Introduzione teologica al Nuovo Testamento 8839404791

Questa trattazione si differenzia dalle consuete introduzioni in quanto le questioni storiche servono soltanto come base

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Introduzione teologica al Nuovo Testamento
 8839404791

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Nuovo Testamento Supplementi a cura

di J iirgen Roloff

2

Introduzione teologica al Nuovo Testamento

Paideia Editrice

Introduzione teologica al N uovo Testamento Eduard Schweizer Edizione italiana a cura di Omero Soffritti

Paideia Editrice

Titolo originale dell'opera : Eduard Schweizer Theologische Einleitung in das Neue Testament Traduzione italiana di Anna Sacchi Balestrieri Revisione di Omero Soffritti © Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1989 © Paideia Editrice, Brescia 1992

ISBN

88. 394.0479·1

All'lnternational Baptist Theological Seminary

di Riischlikon/Ziirich come modesto segno di riconoscenza per la «Scroll of Honour» a me conferita il 24 aprile 1986

Premessa

Man mano che invecchio vedo sempre meglio quante sono le cose che non sappiamo. Del resto questa è anche una constatazione liberatrice, che è af fiorata e continuamente riaffiora anche in molte conversazioni con mia mo­ glie. Si diventa così sempre più riconoscenti a coloro che sanno ciò che noi non sappiamo. Perciò mi giunse gradito il compito, ;;hiaramente delimitato, che mi fu proposto dall'allora curatore dei «Grundrisse zum Neuen Testament» G. Friedrich. Mi piacque l'idea di scrivere una «introduzione teologica�>. Nel far ciò occorre prendere in seria considerazione le varie situazioni e i vari tempi in cui l'unica fede dev 'essere testimoniata e soprattutto vissuta. Ciò vale sia per il Nuovo Testamento, sia per la chiesa attuale. Immediatamente dopo la fine dei miei studi e dopo un mezzo anno di supplenza, dovettt� in una situazione di emergenza, prendere il posto, in Ba­ silea, mia città natale, di tre parroci, in un quartiere operaio che contava una comunità di IJ.JOO membri e cento cresimandi tra i quindici e i sedici anni, che alla sera, tra le 6 e le 7, uscivano dalle fabbriche e dal porto del Reno e venivano a lezione. Poiché eravamo in un periodo di disoccupazione, era possibile avere molte conversazioni con uomini durante le visite a domi­ cilio. Successivamente ho vissuto quasi dieci anni in un comune agricolo sui monti di San Gallo e così ho imparato, benché ancora troppo poco, che qui come là il medesimo messaggio doveva essere presentato in maniera assai varia. Così è poi avvenuto anche nel mio servizio accademico. Ho dovuto sempre di nuovo imparare nei vari continenti della nostra terra, ma soprat­ tutto da persone di ogni possibile confessione religiosa; ascoltare afferma­ zioni molto insolite ed inoltrarmi anche in regioni inesplorate. Ricordo, in proposito, le belle esperienze fatte nel gruppo di lavoro del «Commentario evangelico-cattolico», ma anche il rapporto che mi ha legato all'Istituto su­ periore di teologia dei Battisti in Riischlikon /Ziirich. Alcuni studenti di que­ sto istituto superarono presso di noi all'università l'esame di dottorato. La dedica vuoi essere un segno della comunione difede vissuta con loro ed an­ che coi loro docenti e amici negli USA. Io sono stato il primo dei non Batti­ sti ad essere insignito della massima onorificenza loro possibile, e ciò mi ha vivamente commosso. Il fatto che non possiamo celebrare né il battesimo coi Battisti né l'eu ca-

IO

Premessa

restia coi Cattolici dimostra che non abbiamo ancora trovato l'unità della chiesa del Nuovo Testamento. Questo ci addolora. Tuttavia, nonostante tut­ te le differenze dogmatiche ed ecclesiastiche, negli ultimi decenni molto si è fatto in comune nel campo delle ricerche, dell'ascolto e delle iniziative. Vogliamo quindi tanto più seriamente cercar di ascoltare con la massima concentrazione il Nuovo Testamento, anche in ciò che sulle prime non ci va a genio. E poiché sono ancora tanti i pregiudizi che improntano noi e il no­ stro modo di leggere, possiamo soltanto pregare che Dio stesso ce ne liberi sempre più. Così può essere inteso anche il mio tentativo, e io spero che il lettore lo legga non soltanto con spirito critico ma anche con un tantino di umorismo, se gli capiterà di trovarvi qualche errore. Egli sa bene che chi se ne sta seduto sull'erba e non sale sul melo non rischia di cadere giù, ma non raccoglierà mai mele. Eduard Schwèizer

Indice del volume

Prennessa

9 13 r3 14 17 25 32 35 45 48 57

1.

66 66 73 76 82 88 93 97 99

II.

r o8 ro8 114 II7 II9

III.

Discepoli di Paolo 17· La lettera ai Colossesi I8. La lettera agli Efesini 19. La seconda lettera ai Tessalonicesi 20. Le «lettere pastorali» a Timoteo e a Tito

124 124 130 134 138

IV.

Le altre lettere 21. La lettera agli Ebrei 22. La lettera di Giaconno 23. La prima lettera di Pietro 24. La lettera di Giuda e la seconda lettera di Pietro

v.

144 144

·

Tradizione orale e prinna stesura scritta Preannbolo I. Gesù nella storia del suo tennpo 2. Trasnnissione occasionale di atti e parole di Gesù 3. Trasnnissione ad opera di profeti 4· Trasnnissione ad opera di «esperti della Scrittura» 5· Trasnnissione nella liturgia 6. Il problenna della nnessa per iscritto 7· Inizi dei vangeli (Q) 8. La grande questione: tradizione di Gesù ejo professione di fede nel Cristo? Paolo 9· Vita e lettere ro. La prinna lettera ai Tessalonicesi rr. La prinna lettera ai Corinti 12. La seconda lettera ai Corinti I3. La lettera ai Galati I4. La lettera ai Filippesi I5. La lettera a Filemone I6. La lettera ai Ronnani

I primi tre vangeli e gli Atti degli Apostoli 2 5.

Il vangelo secondo Marco

12

Indice del volume

152

26. Il vangelo secondo Matteo 27. ll vangelo secondo Luca 28. Gli Atti degli Apostoli

r6o

171 1 76

VI.

176 185

r89 r89

VII.

194 194

vm.

r 99 202

La cerchia giovannea 29. Il vangelo secondo Giovanni 30. Le lettere di Giovanni Il libro profetico 31. L'Apocalisse di Giovanni Riepilogo 3 2. La formazione del Nuovo Testamento

Indice analitico Indice dei passi biblici

I. Tradizione orale e prima stesura scritta

Preambo/o>'< Per scrivere una introduzione al N uovo Testamento occorre decidere preliminarmente di limitarsi agli scritti divenuti canonici, anche se esisto­ no documenti del primo cristianesimo che sono altrettanto antichi o più antichi di certe parti del Nuovo Testamento, come, ad esempio, il Vange­ lo di Tommaso, certi vangeli giudeo- cristiani, la prima lettera di Clemen­ te ecc. Tuttavia i testi neotestamentari si differenziano da questi in quan­ to, letti sempre come «Scrittura» , divennero guida per le comunità' ( cfr. sotto, 3.2). Non va tuttavia dimenticato che essi furono scritti in un tempo e in una situazione ben definiti. Perciò la nostra trattazione non può partire da de­ terminati problemi, per esempio dalla questione relativa al significato di «peccato» o di «grazia» nel Nuovo Testamento. Si dovrà piuttosto proce­ dere sostanzialmente da scritto a scritto e prendere seriamente in consi­ derazione il tempo e la situazione storica di ogni singolo libro. Certamen­ te, solo molto in breve e senza una più ampia discussione si potrà stabilire ciò che in generale è riconosciuto o contestato. A questo proposito appa­ rirà chiaro dove l'autore vede la giusta soluzione, senza peraltro che que­ sta possa essere esaurientemente motivata. Inoltre andrebbero messe a confronto le comuni «introduzioni».' La questione peculiare di cui qui si tratta riguarda ciò che è «teologicamente» avvenuto, quindi ciò che fino ad oggi è essenziale per la fede della chiesa, per esempio quando fu messa per iscritto per la prima volta la tradizione orale, o quando Matteo, in un tempo e in una situazione diversi, volle sostituire Marco con un nuovo Il libro può essere letto anche senza tener cont o delle note, che sono destinate a coloro che vog li o no approfondire e proseguire il lavoro d i ricerca. Gli scritti dei cosiddetti Padri apostolici (lettera di Barnaba, 1" c 2" Lette ra di Clemente c Pseudo-Cic­ mentine, Didaché, Erma, Ignazio, Papia, Lettera ai Filippesi di Policarpo) si trovano in traduzione tede­ sca ad es. in Neutestamentlichc Apocryphen, ed. E. Hcnneckc, Tuhingcn '1924, scritti giudaici (Sibillini, Testamenti dci Dodici Patriarchi) inDie Apocryphen und Pseudepigraphen des Alten Teslament.r, cd. E. Kautzsch Tubingen 1900, o in P. Ricssler Altjiidisches Schriftum ausserhalb der Bibel, Augsburg 1928. *

L

,

,

Vom Verstehen des Neuen Testamenls, 1979 (GNT 6) 206. 2. Per es. W.G. Kiimmel, Ein/eitung i11 das Neue Testamenl, llcidelberg "1983; H. M. Schcnke- K.M. Fi­ s cher Einleitung in die Schri/ten des Neuen Testaments l/Il, Bcrlin 1978/ 1979; E. Lohse, Die Entstehung Cfr. P. Stuhlmacher, ,

des N. T., Stuttgan 'r983.

I4

Tradizione orale e prima stesura scritta

vangelo, o quando Paolo dalla risposta ai violenti attacchi subiti in Gala­ zia passò al compito di preparare la sua visita a Roma, dove sullo sfondo potevano esistere problemi analoghi, ma dove in ogni caso una ostilità nei suoi riguardi non si era ancora palesemente manifestata, ecc. La nostra trattazione si differenzia dunque dalle consuete introduzioni in quanto le questioni storiche servono soltanto come base per conoscere il meglio possibile le affermazioni teologicamente importanti degli scritti neotestamentari. Si differenzia da una comune teologia del Nuovo Testa­ mento nel senso che non è orientata secondo concetti quali peccato e gra­ zia, ma secondo i singoli scritti. È quindi più decisamente anche esposi­ zione di un decorso storico e, quindi, un'impresa molto più modesta. Nel far ciò non si può assolutamente tener conto di un unico e coerente pro­ cesso evolutivo, ma si devono sempre far notare anche nuove impostazio­ ni, soluzioni alternative, correzioni che, considerate dal di fuori, sono, dal punto di vista storico, casuali. Tuttavia la questione dell'unità della testi­ monianza neotestamentaria, quindi anche del rapporto reciproco in cui si pongono le varie risposte, per esempio di Paolo o della lettera di Giaco­ mo, è permanentemente viva. Si dovrà quindi anche almeno accennare come l'autore, in una decisione necessariamente personale, vede la dire­ zione in cui le tensioni e i contrasti notati possono, nella fede e nella vita della chiesa, essere percepiti c superati. r.

Gesù nella storia del suo tempo

r . r. Le testimonianze extracrt"stiane su Gesù sono molto poche. Lo sto­ rico romano Tacito3 racconta, in occasione dell'incendio di Roma avvenu­ to sotto Nerone, che Cristo (il termine è da lui inteso come nome) fu giu­

stiziato sotto Ponzio Pilato. Svetonio4 narra che in Roma tra i Giudei era scoppiata una rivolta provocata da un certo Cresto (le vocali greche e ed i erano allora pronunciate allo stesso modo) . Entrambi scrivono intorno al roo d.C. o poco più tardi. In un'opera dello storico giudeo Giuseppe si trova, poco prima dell'anno roo, un brano più lungo su Gesù, che tut­ tavia sicuramente non può provenire da un giudeo ma soltanto da un cri­ stiano credente, forse da uno dei numerosi copisti cristiani. Tuttavia è possibile che nel testo si trovasse un breve cenno dell'esecuzione capitale subita da Gesù, da cui prese avvio questa elaborazione. In un altro punto Giuseppe menziona la morte di Giacomo (v. 30) e la tradizione di un appellativo molto meno chiaro in Gv. 6,68-69 («il Santo di Dio)>) nonché il duro rimprovero rivolto a Pietro, che tuttavia non è spiegabile con una più tarda «idea di concorrenza» quale potrebbe tra­ sparire dalle parole di Cv. 2 1 ,20-22 ; Gal. 2,n-2o, sono difficilmente im­ maginabili senza che un fatto della vita di Gesù li abbia determinati. La questione del peculiare significato di tutta la sua esistenza, dell'autorità di tutte le sue azioni ed esperienze risalirebbe allora già al tempo della sua attività e non soltanto agli ultimi giorni che precedettero la sua morte. Il fatto stesso che l'episodio sia stato tramandato dimostra in ogni modo quanto si sentisse l'importanza di questa questione A questo proposito il riserbo è stato sempre più messo da parte. In Le. 9,18-22 manca il rim­ provero a Pietro e secondo Mt. 16,1 3-20 egli è chiamato beato a causa della sua professione di fede nel Cristo. Ma che il titolo «Cristo», che in tut ti i vangeli compare più di 500 volte, in realtà non sia mai posto in boc­ ca a Gesù, dimostra al tempo stesso una sorprendente fedeltà nei con­ fronti dei fatti storici della sua vita, in particolare perché va considerato assieme alla tradizione di molte parole ed atti di Gesù che manifestano la sua unicità (v. sotto, 7.5 ) . 2 . 8 . Gesù ha fondato la chiesa? Legata alla professione di fede di Pietro compare anche la promessa che Gesù «edificherà la sua chiesa (o comu­ nità)» sul fondamento di questo discepolo che professa la sua fede in lui. Il termine che significa «chiesa» o « comunità)> in tutti i vangeli compare soltanto qui e nel passo affine 18,q. Questa promessa è quindi quasi sicu­ ramente trasferita all'indietro dal tempo post-pasquale, ma in essa è ri­ p reso qualcosa che in Gesù era già presente. Per tutta la tradizione è im­ portante il fatto che Gesù ha radunato attorno a sé, da un lato, la cerchia dei dodici, dall'altro un più folto gruppo di seguaci, uomini e donne (Mc. 15,41; Le. 8,1-3) . Poiché i dodici, dopo la pasqua , non avevano alcuna funzione precisa, questa cerchia non si è sicuramente formata solo allora; essa ha un significato quale germe di una ricostituzione del popolo delle .

24

Tradizione orale e prima stesura scritta

dodici tribù, che per Gesù è solo molto limitata ma è tipica della comuni­ tà post pasquale (v. sotto, 23. 1 ) . Le. 22,30 (similmente Mt. 19,28) potreb­ be risalire a Gesù, ma in tutti i casi è segno che la comunità seriore attri­ buisce al Gesù terreno il concetto che ha di se stessa e perciò è a cono­ scenza del proprio carattere di Israele di nuovo richiamato a Dio. Anche parole come Mc. 8,34-35 uniscono Gesù ai suoi seguaci. L'invio dei (do­ dici?) discepoli, pasti in comune in una cerchia più ristretta e parabole come quella del granello di senape indicano che la comunità post-pa­ squale in una certa forma (molto più aperta ! ) era già precostituita presso il Gesù terreno. '7 Il fatto che nel parlare del «gregge» che dev'essere di nuovo radunato (Mc. 14,27-28) o dei « fratelli» che da Pietro devono esse­ re di nuovo raccolti (Le. 22,32; cfr. Gv. 2 1 , q) , e in particolare poi in Mt. 16,18 e nell'ulteriore abbellimento della parabola del grano di senape (v. sotto, 4 . 1 ) , questa comunità sia presentata espressamente come scopo fis­ sato da Gesù stesso, dimostra, siano o non siano le parole autentiche espressioni di Gesù, quanto importante fosse per la tradizione ancorare la comunità alla vita del Gesù terreno. 2 .9. Il Padrenostro. Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare e na­ turalmente dopo la pasqua essi hanno seguito la sua direttiva, certo non come se si trattasse d'una legge: in Le. n ,2 4 il testo del Padrenostro si differenzia notevolmente da Mt. 6,9-1 3 . Ma entrambe le varianti hanno conservato la parola «padre» per rivolgersi a Dio, cosa sorprendente per un giudeo di quei tempi. rs Quanto nuovo e inaspettato fosse questo dono risulta dal fatto che la comunità di lingua greca conserva ancora l'antica espressione aramaica di Gesù («abba» : Mc. 14,36; Rom. 8 , 1 5 ; Gal. 4,6) e che in tutta la tradizione fa sempre dire a Gesù o «mio padre» o «vostro padre», mentre egli non si è mai associato ai discepoli in un comune « no­ stro padre». Anche Mt. 6,9 dice soltanto che i discepoli dovevano pregare così: «Padre nostro che sei nei cieli». A questo proposito la comunità non dimenticò mai che Gesù aveva inteso il suo rapporto unico col Padre non per elevarsi sopra tutti gli altri quale Figlio di Dio, ma per esprimere così la sua subordinazione al volere divino (Mc. 13,32; Mt. n ,25-27) . Questo dimostra che la tradizione orale rifletteva già sulla posizione particolare di Gesù, che lo distingueva da tutti gli altri, e in lui non vedeva solo chi per primo aveva infuso nei suoi discepoli il coraggio di prorom­ pere, come lui, entusiasticamente nell'invocazione «abba» e di superare così la vita terrena. -

-

17. U. Luz, in Chr. Link - U. Luz - L. Vischer, Sie aber hielten /est an der Gemeinschaft, Zurich-Basel

1988, 49-59· r8. Schweizer (n. 1 5 ) 720 s. In passi quali Sal. 89,27 è chiaramente ancora un'immagine (come

( I Cor. r r ,26-27) , «calice . . . tavola del Signore» (n ,23.27; 10,21 ) (v. sotto, 5 .4) . A quanto pare, questa fu la porta attraver­ so la quale questo titolo entrò nel linguaggio della comunità, dove poi prese nuove associazioni da ciò che «Kyrios-Signore» significava per il mondo ellenistico. 3 ·4· Sentenze di diritto sacro per il presente. Ma in tutti e tre i passi «ma­ ranatha» viene dopo ammonimenti p rofetici: «Se uno non ama il Signore, sia maledetto» ; «Se uno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa predizione, Dio gli toglierà la sua parte dall'albero della vita» ; «Chi è san­ to, venga; chi non lo è, si penta». La forma di queste frasi è quella degli enunciati veterotestamentari della sapienza e della legge («Chi scava [agli altri] una fossa, vi cadrà dentro [egli stesso] » : Prov. 26,27; «Chi sparge sangue umano, dall'uomo sarà sparso il suo sangue»: Gen . 9,6), ma esse sono molto più radicali in quanto non annunciano felicità o infelicità ter­ rene, bensì il definitivo giudizio di Dio. Pertanto si possono definire «sentenze di diritto sacro»,'� nelle quali certi profeti annunciano il giudizio di Dio e non esigono semplicemente sanzioni ecclesiastiche. Ma ciò signi­ fica che per la comunità la futura venuta del Signore agisce già nel pre­ sente. Forse il fatto risale a parole di Gesù, quali «Chiunque avrà ricono­ sciuto me davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo riconoscerà lui davanti agli angeli di Dio, ma chi avrà rinnegato me davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio» (Le. 12,8-9, v. sotto, 3.8) . Al pa­ ri di Paolo (I Cor. 3,q letteralmente: « Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà costui», cfr. r r , 3 1 ; 14,38) anche certi profeti avranno nel culto creato tali frasi o trasferito parole di Gesù in questa forma (Mt. 5,19 ecc . ) . In una proposizione che incominci con «Se» o « chi» è sempre men­ zionata la possibilità di obbedire o disobbedire e si rinuncia alla condan­ na legale ma ci si attende il giudizio di Dio, in casi estremi la morte del peccatore (I Cor. r r ,3o; 5 , 1 -5 ; Atti 5 ,5 . 10) . Ciò è riflesso in Apoc. 2 - 3 , dove il profeta, mosso dallo Spirito (2,7), parla in nome di Gesù risorto 22. Did. ro,6 ; forse anche 1 Cor. r6,22 nel caso che la lettera venisse letta nel servizio liturgico prima della celebrazione della cena (G. Bornkamm, Das Ende des Gesetzes, Miinchen 1952, 1 2 3 - I 3 2 ; contro Dunn [n. 2 1 ] 5 5 ; G. Delling, KuD 10 [1964] 76) . Di fronte alla frequenza delle affermazioni sulla venuta di Dio e dei rari casi di preghiera al riguardo ricorrenti nell'A. T. c nel giudaismo (D.E. A une, The Apocalypse of fohn and Graeco-Roman Revelatory Magie: NTS 33 [ 1987] 492; ma diversamente nell'ellenismo ! ) si deve prendere in seria considerazione, nonostante Apoc. 22,20, anche «Il Signore viene>> (o: «è venuto>>?) co­ me possibile significato originario.

23. E. Kiisemann, Exegetische Versuche und Besinnungen

Jl,

GOuingen 1964, 69-82.

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Tradizione orale e prima stesura scritta

( 2 , 1 ) facendo espresso riferimento a lui e quindi può anche usare espres­ sioni in prima persona: «Verrò (da te) come un ladro» ( 3 , 3 , cfr. r6, r5). 3 · 5 · Trasformazione di detti escatologici. L'ultimo esempio mostra come parole di Gesù furono trasformate, rivolte a situazioni e problemi nuovi, «ricreate»:� ma anche come nel nome del Risorto furono date nuove di­ rettive. Se dapprima l'immagine dell'irruzione del ladro fu coniata, for ­ se da Gesù stesso, come allusione al giorno del giudizio (così anche in 1 Tess. 5 ,2.4; 2 Pt. 3 , ro), al quale con la sua minaccia ben si adatta, Le. 1 2 ,3940 mostra come questa immagine fu esplicitamente riferita all'arrivo del Figlio dell'uomo. Anche se si pensa a un processo inverS025 si può osserva­ re come l'originaria espressione figurata sia a poco a poco «deparaboliz­ zata» e sempre più decisamente trasformata in diretto enunciato riguar­ dante Crist0 .26 Anche nell'invito a «vigilare» si può constatare il mutamento delle enunciazioni. L'immagine del padrone che si è recato ad una festa di noz­ ze, e che quindi ritornerà a casa tardi, è facilmente comprensibile. Qui è importante che i servi veglino per essere poi pronti a riceverlo. Così è rac­ contata la breve parabola in Le. 12 ,36-38. Il fatto del tutto inaspettato, che compare in quasi tutte le parabole di Gesù (v. sopra, 2.3) qui è sol­ tanto questo: che il padrone al ritorno invita i servi a tavola e li serve. Questo tratto, che sottolinea l'amore e la benevolenza impensabili del Si­ gnore, è quindi qui messo nel massimo rilievo. In modo del tutto analogo Mc. 13,33-37 racconta di un uomo che parte per un viaggio. Ma qui l'e ­ sortazione «Vigilate dunque perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se a sera tarda o a mezzanotte o al primo canto del gallo o al mattino presto» è fuori luogo. Questo padrone è assente per un viaggio, sicché sarebbe assolutamente impossibile vegliare ogni notte fino al matti­ no. In effetti è anche detto che egli ha assegnato ad ogni servo il suo com­ pito c solo al port iere ha ordinato di vigilare. L'esortazione «Vigilate dun ­ que, perché non giunga all'improvviso e vi trovi addormentati» va intesa ormai in senso traslato: i servi nel frattempo devono compiere fedelmente i loro doveri. Messo in rilievo è quindi il modo di comportarsi ora, nel tempo dato a ciascuno sulla terra, e l'attesa dell'arrivo del padrone sotto­ linea soltanto la responsabilità di cui «i servi» dovranno poi render conto. L' e sp e rienz a , fatta dalla comunità, che la venuta del Figlio dell'uomo non sarebbe stata così imminente, ha evidentemente colorito la breve parabo24. Kelber (n. 19) 30.

25. RH. Gundry, Hellenization o/ Dominica! Tradition and Christianization o/ ]ewish Tradition in the Eschatology o/ 1-2 Thessalonùms: NTS 33 (1987) 170. 26. Ibid. e R. Bauckham, Synoptic Parousia Parables and the Apocalypse: NTS 2 3 ( 1 976(77) 165- 169; Id.,

Synoptic Parousia Parables Again : NTS 29 ( 198 3 ) 129

s.



Trasmissione ad opera di profeti

29

la, di modo che essa ora mette l'accento sul fatto che il compito assegnato ad ogni membro della comunità deve essere adempiuto su questa terra. Malgrado questo, l'antico grido «vigilate» è emesso ancora per tre volte ne1 vv. 3 3 · 3 5 · 3 7· Ancora qualcosa di simile compare, in altro modo, nella parabola, molto più decisamente sviluppata, delle dieci vergini (Mt. 2 5 , 1 - 1 3 ) . Qui è espressamente dichiarato che lo sposo arriva molto più tardi di quanto ci si aspetta: anzi proprio in questo consiste l'effetto finale, senza il quale la parabola sarebbe impossibile. Essa annuncia non più l'arrivo prossimo, ma l'arrivo tardo al quale gli uomini si devono preparare. Qui non s'invita più a vigilare; anche le vergini sagge si addormentano. Sebbene l'ant i ca esortazione «Vigilate, dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora» chiuda ancora la parabola, qui con essa s'intende qualcosa di diverso da prima, cioè che ci si deve procurare per tempo tanto olio che sia suffi­ ciente anche per un tempo inaspettatamente lungo. La comunità è quindi esortata a darsi da fare per poter resistere nella fede e nella speranza an­ che per un lungo periodo di tempo ed essere così pronta un giorno ad andare incontro al suo Signore. 3.6. Attuale responsabilità di fronte al rinvio della parusia. La situazione della comunità appare ancor più chiara nella precedente parabola del pa­ drone che per il tempo della sua assenza mette uno dei suoi servi a capo dei «conservi» (Mt. 24.45-5 1 ) . Le. 1 2,42-46 chiama questo servo addirit­ tura «amministratore della casa», distinguendolo così ancor più chiara­ mente dagli altri «servi». Ora dunque la parabola descrive il compito di un capo della comunità . Se qui è ancora il servo malvagio a pensare che debba trascorrere molto tempo prima che il padrone ritorni (Mt. 24,48 ; Le. 1 2 , 45 ) , la parabola dei talenti in Le. 19,n è invece diretta contro coloro che aspettano la sua venuta come imminente e mette in rilievo soltanto l'importanza del servizio di tutti i servi , di cui essi dovranno un giorno render conto al ritorno del padrone (Le. 19, 1 2-27; Mt. 25, 14-30) . Nella forma lucana è ancor più accentuata la sua lunga assenza : egli è andato in un paese lontano per ricevervi la dignità di re (v. 1 2 ) , così come Gesù è andato in cielo per ritornare un giorno come re. Un fatto storico, accadu­ to dopo la morte di Erode nel 4 a.C.;7 ha fornito i colori per il racconto. Ciò che era accaduto in quel tempo, nella parabola è ripreso nel v. 14, so­ prattutto anche nel v. 27, che esce dal contesto. Dopo che Gesù già nel v. 26 ha spiegato la parabola in prima persona, nel versetto seguente im­ provvisamente parla di nuovo il «principe» della parabola, che dà ordine 27. Flav. Ios . , an!. 17,299· 303 e 3_39: Archelao cerca di ottenere a Roma la dignità regale e in seguito uc­ cide i suoi avversari.

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Tradizione orale e prima stesura scritta

di uccidere i suoi nemici. Con i due versetti Luca vuol mettere in rilievo la gravità dell'avvertimento e il giudizio che minaccia colui che non accetta la signoria di Gesù. 3 ·7· Spostamenti di accento. Negli strati più antichi sembra dunque, dal punto di vista teologico, che l'avvento futuro del regno o del Figlio del­ l'uomo sia il vero e proprio punto centrale del messaggio, nel senso però che il regno futuro agisce già nel presente e lo caratterizza. Ciò che questo significa in concreto per la vita quotidiana degli ascoltatori è una riflessio­ ne piuttosto secondaria rispetto all'annuncio del fatto. Mentre l'attesa del compimento di ciò che in Gesù è già avvenuto resta in sostanza costante, l'evoluzione del suo significato per l'agire attuale della comunità è varia­ bile. Già allo stadio della tradizione orale Gesù è fin dal principio colui che annuncia quel compimento della fine ad opera di Dio che ancora non è avvenuta e in cui egli avrà un ruolo determinante (v. sotto, 3 . 8 ) , e, dopo la pasqua, egli è anche colui che ha messo in moto gli avvenimenti finali. Ma questo diventa a poco a poco l'orizzonte naturalmente presupposto, e perciò anche nelle formule di fede e negli inni (v. sotto, 5.2) praticamente non è più menzionato. In compenso si parla sempre più insistentemente di ciò che il futuro significa per il presente della comunità e per tutto il suo comportamento, mettendo maggiormente in guardia ora dal pericolo di attese troppo entusiastiche di una fine imminente, ora dal pericolo di un affievolimento della speranza. 3.8. Il Figlio dell'uomo come giudice. Si discute vivacemente se Gesù si sia considerato Figlio dell'uomo e ne abbia parlato. Il fatto è tuttavia pro­ babile, poiché il titolo, diversamente dal titolo «Cristo» (v. sopra, 2.7), tranne che in Atti 7,56 (e in un semplice paragone usato senza articolo in Apoc. r , r 3 ; I4,I4) appare solo in bocca a Gesù. Egli ha probabilmente vi­ sto il suo ruolo futuro come quello di testimone decisivo nel giudizio, il cui intervento a favore dell'uomo o a sua accusa decide la sentenza (Le. r2,8-9) . Anche Paolo lo dice (I Cor. 4,5) pur senza usare il titolo «Figlio dell'uomo» che per i greci sarebbe stato incomprensibile. Egli rivelerà la nostra situazione e «la lode» (sentenza favorevole) verrà poi da Dio. Ma poiché il fatto che Gesù garantisca per noi decide il giudizio, Paolo può indicare nella stessa frase anche Gesù stesso come giudice {v. 4) e parlare del suo seggio di giudice (2 Cor. 5,ro) come di quello di Dio (Rom. I4,ro) . Se quindi Gesù, secondo Le. r2,8-9, con la frase enigmatica ri­ guardante il «Figlio dell'uomo» ha parlato quasi per immagine del suo ruolo nel giudizio finale o ancor più del ruolo che la sua predicazione e il suo comportamento avranno come norma per tutto il giudizio di Dio, ciò è stato sempre più decisamente cristologizzato dalla comunità, che ha parlato della sua «parusia» {«venuta», « apparizione»), usando un termine



Trasmissione ad opera di profeti

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per il quale nella lingua d i Gesù non esisteva ancora alcuna espressione corrispondente. 3·9· Profeti itineranti o profeti residenti? Se si considera tutta l'evoluzio­ ne, appare chiaro che la trasmissione dei detti di Gesù fu sin dall'inizio continuamente rivolta anche «profeticamente» alla mutevole situazione e problematica, e quindi si ebbe una trasformazione o una nuova coniazio­ ne di detti. Ovviamente i tradenti si sapevano in questo guidati dal Gesù risorto. Tuttavia bisogna essere molto cauti nell'identificare questi traden­ ti con i profeti radicali itineranti (v. sopra, 3 . 1 ) . Gli unici di cui possiamo avere una qualche percezione storica sono i discepoli che hanno accom­ pagnato Gesù, i dodici e forse una cerchia più ampia, inoltre le donne che lo hanno seguito dalla Galilea (Mc. 15,41 ; Le. 8,1-3). Ma per quanto li ri­ guarda dobbiamo osservare due fatti: da una parte, essi si sono appun­ to stabiliti in Gerusalemme, a differenza di quegli ellenisti che furono co­ st retti ad una vita nomade a causa della persecuzione subita in Gerusa­ lemme (Atti 8, r .4-5) . Questo passaggio dalla vita nomade alla sedentarie­ tà vale, in altra forma, anche per i profeti in Antiochia (Atti 13,1) e Cesa­ rea (Atti 2 1 ,8-9) , non per Agabo (v. 10) . In realtà sembra che anche Aga­ bo, Giuda e Sila abitassero a Gerusalemme e che di là intraprendessero viaggi ( r r ,27-28; 2 1 , 10; 15,32-33). Anche Did. 1 3 , 1 sa di profeti erranti che prendono fissa dimora. Quelli menzionati dallo Pseudo-Clemente,8 trovano profeti che hanno preso residenza e li accolgono, e anche quelli di cui parla l'Apocalisse di Pietro rinvenuta a Nag-Hammadi (79,19-29) sembra avessero un domicilio fisso. Più importante è un'altra osservazio­ ne: la forma radicale dei detti di sequela, secondo la quale i chiamati ab­ bandonavano «tutto», si trova soltanto in Le. 5,n .28 ( contro Mc. 1 , 18.20; 2, 14; ivi solo in Mc. 10,28 in bocca a Pietro) . Ciò fa pensare piuttosto che appunto all'inizio della tradizione non esistesse una netta separazione tra quelli che abbandonavano tutto, quelli che lasciavano la loro patria per stabilirsi altrove e quelli che si assumevano solo il rischio di perdere, all'occasione, tutto per amore di Gesù. Forse i racconti sono perciò stati ripetuti in modo che tutti i particolari diventarono irrilevanti e presentan­ do soltanto, in forma d'altrettanti dettagli, i seguenti momenti: la venuta di Gesù, il suo sguardo, il suo invito, la sua promessa e l'ubbidienza, che appariva ovvia, di colui che era stato chiamato (Mc. 1 , 16-2o; 2,14; cfr. Le. 1 9 , 1 - r o sviluppato in forma novellistica) . 3 . 10. Pasqua e pentecoste come cesura determinante. D'altra parte, la forma della sequela di coloro di cui possediamo notizie, i dodici, le donne e una cerchia più vasta non chiaramente descritta, è stata nuovamente de.z8. G. Kretschmar, Ein Beitrag z;ur Frage nach dem Ursp rung /riihchristl. Askese: ZThK 61 (19(54) .:17-41.

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Tradizione orale e prima stesura scritta

terminata c trasformata dagli incontri con il Risorto. Per quanto sappia­ mo, essi abitano ora con le loro famiglie in Gerusalemme. I profeti che di lì se ne erano andati, ritornano o si stabiliscono in altro luogo. Non sap­ piamo se, oltre a questi, in Galilea siano esistiti profeti itineranti più radi­ cali e, se sì, quanti fossero. Innanzitutto la convinzione che Gesù Cristo innalzato continui a parlare per mezzo dei suoi profeti si radica molto fortemente nella prima esperienza dopo la pasqua ed è quindi determina­ ta dall'avvenimento della risurrezione e non certo dalla più o meno inin­ terrotta continuazione dell'attività in Galilea. Sia nei dodici in Gerusa­ lemme (Atti 2,32 ecc.) sia in Paolo e nei suoi concorrenti (che si presenta­ no come profeti itineranti ?) (Rom. 15,19; I Cor. 12,9-10; 2 Cor. 12,12) si manifesta lo stesso duplice potere di annunciare e di guarire che si ha nei discorsi missionari di Gesù, ma con la differenza che questo potere è ora attribuito allo Spirito, la cui venuta è collegata con un fatto avvenuto in Gerusalemme dopo la pasqua (pentecoste) e in Paolo con la sua chiamata da parte del Risorto. Dove esplicitamente si parla dell'azione dello Spiri­ to, in Apoc. 2-3, essa ha espressamente un fondamento cristologico nel «testimone fedele, principio della creazione di Dio» (3,14), cioè nel Risor­ to (2 , 1 .8), elevato a Signore e giudice (2, 1 2 . 1 8 ; 3 , 1 .7) . In ogni caso la pa­ squa è intesa come cesura che rende possibile l'esperienza apocalittica di un mondo nuovo già cominciato. 4·

Trasmissione ad opera di «esperti della Scrittura»

4. 1 . Compimento dell'Antico Testamento in parabole di Gesù. I primi cristiani non avevano altra Bibbia che il nostro Antico Testamento. Quan­ to Gesù fosse modellato su passi della Scrittura c intenzionalmente vi fa­ cesse riferimento, è un problema di cui si discute; ma chi conosceva la sua Bibbia anche solo approssimativamente, trovava in essa ciò di cui Gesù parlava o ciò che faceva e subiva. Nella parabola del granello di senapa egli raccontava che questo diventava un albero (Le. 13,19 Q), e a coloro che la ripetevano venivano in mente passi quali Sal. 104, 12 che parlavano di uccelli tra i suoi rami. L'«albero» promesso da Gesù diventava così compimento di quanto era già accennato nel creato e non era lontano il pensiero che la comunità di Gesù fosse attuazione e compimento dell'a­ zione creatrice di Dio. Forse già in Q risonava la profezia dell'albero piantato da Dio stesso, di cui parla Ez. 17,23, o Dan. 4, r8, che dice che «gli uccelli del cielo abitavano tra i suoi rami» . Si affermava quindi che ora era iniziato il compimento definitivo. Al posto dei tiranni e dei loro regni Dio ha messo Gesù e la sua comunità. La formulazione in Mc. 4,32 («alla sua ombra») si avvicina ancor più a Ez. 17,23 e 3 1 ,6. Molto proba-



Trasmissione ad opera di «esperti della Scrittura»

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bilmente Marco vede già annunciato nella parabola di Gesù il compimen­ to della predizione profetica: «Alla sua ombra dimorano tutti i popoli» (Ez. 3 1 ,6; di fatto anche Dan. 4,18-19). Probabilmente qui è presente il frutto di un «lavoro da scribi», cioè la riflessione di uomini che sanno leg­ gere i testi profetici, che hanno accesso ai rari rotoli della Scrittura e han­ no tempo per studiarli (cfr. sotto, 23 .5) . Quanto era implicito nei racconti fatti da Gesù con autorità, è stato così sviluppato : ora, in Gesù e nel nuo­ vo popolo di Dio da lui chiamato, si realizzano i piani di Dio con Israele e con il mondo delle nazioni. Fintantoché Gesù stesso narrava parabole co­ me questa, tutta l'importanza stava nel fatto che proprio ora aveva inizio l ' azione finale di Dio e gli ascoltatori dovevano aprirsi ad essa. Guardando in retrospettiva all'opera di Gesù, diventa importante l'inserimento nella storia salvifica di Dio. 4.2. Il compimento dell'Antico Tes/amento nel futuro. La stessa cosa si può constatare nell'aspettativa della comunità nei riguardi del futuro. Personalmente Gesù ha parlato del tempo finale ancora da venire proba­ bilmente soltanto per immagini, soprattutto in quella del banchetto (Mc. 14,25 ; Le. 22, 15-18.24-30; 12,37; 14, 15 -27) . La comunità ha presto ag­ gi unto elementi che trovava nella sua Bibbia. I profeti hanno spesso par­ lato di spada, fame e peste, che sarebbero venute prima del definitivo in­ tervento di Dio (Ger. 14, 12; 21,7; 38,2; Ez. 5,12; cfr. 14, 2 1 ; r Re 8 ,37) . Ez. 38,19-22 a spada e peste aggiunse anche terremoto e, secondo Am. 8,8; Gl. 2, ro, il crollo del mondo doveva aver inizio con un possente terremo­ to. Di tempi di lotta e di persecuzione parlano Mich . 7,6 ed uno scritto giudaico del n secolo a.C. (lub. 23 , 1 9-25 ) . Questo portò a tu tta una cate­ na di segni premonitori, come quella che si ha in Mc. 13,7-9.24-27 (la pe­ ste soltanto nel parallelo Le. 2 r , u ) e in modo del tutto simile in Apoc. 6 (rivolta, guerra, terremoto, fame, peste, persecuzione, crollo cosmico) . A ciò s'aggiunse una predizione sulla distruzione di Gerusalemme (duran­ te i gravi disordini alla fine degli anni sessanta?) e avvertimenti alla comu­ nità che mettevano in guardia contro il pericolo di seduzioni (Mc. 13, 1420 e 5-6.21-23) ed esortavano anche a resistere nelle persecuzioni ( 1 3 ,9rr.r3). È incerto se da parte sua Gesù pensasse a Dan . 7 quando parlava in modo misterioso e provocatorio del « Figlio dell'uomo» (v. sopra, 3.8). In ogni caso l'esplicito rinvio a questo passo e la sua combinazione con Sal. no, r in Mc. 14,62 o con Zacc. 12, ro-r4 in Apoc. 1,7 è opera di membri della comunità esperti della Bibbia. 4-3- Il compimento dell'Antico Testamento nella passione di Gesù. Un problema particolare è costituito dalla storia della passione. Naturalmente non poteva essere semplicemente tramandata a lode di Gesù come avve-

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Tradizione orale e prima stesura scritta

niva delle sue guarigioni o anche delle parabole e delle direttive etiche. Essa assumeva un significato soltanto attraverso la sua interpretazione. Ciò è avvenuto molto presto, come dimostrano le formule già riprese da Paolo (v. sotto, 5 .4-5 ) . In un certo senso la passione di Gesù fu traumati ca per la comunità29 e quindi ci si dovette necessariamente chiedere quale fosse il suo significato. Un racconto «innocente» della passione (in con­ trapposizione alla pecca originaria del discorsoro non si è mai avuto. Ci si chiede se per le altre narrazioni e notizie su Gesù le cose siano andate in modo sostanzialmente diverso. Nessuno ha raccontato di guarigioni ope­ rate da Gesù senza porre almeno implicitamente la domanda se questo Gesù non fosse il profeta degli ultimi tempi o un uomo di Dio o un tau­ maturgo o il Messia. Solo che in questo caso era meno urgente che non nella passione di Gesù ricordarsi di affermazioni veterotestamentarie o farvi espressamente riferimento. Certo il rimando ad esse, o anche una formula che a poco a poco si consolidava, ad es. «secondo le Scritture» o «affinché si adempisse . )> , costituisce una esplicita proposta agli ascolta­ tori di intendere in questo modo quanto era avvenuto e non lascia più la possibilità di rispondere in molti modi. Ma i racconti di guarigioni già di per sé inducevano a chiedersi quale fosse il potere e il significato di Gesù, mentre la sua passione era invece incomprensibile senza quei rimandi ed era difficile poterla tramandare senza una presentazione come quella che si ha in r Cor r5,3-5 o in Rom. 4,25, o senza la reminiscenza di descrizio­ ni veterotestamentarie del Giusto sofferente. Ma passione e morte di Gesù non soltanto furono attestate in queste formule , ma vennero anche raccontate. Ciò è già presupposto in I Cor. n,23. La comunità sa perlomeno della notte in cui Gesù fu tradito e della precedente cena con i discepoli. Secondo il v. 26 la morte di Gesù è an­ nunciata in occasione o durante la cena del Signore, e questo è difficil­ mente pensabile senza corrispondenti testi liturgici. È vero che alla morte di Gesù non si doveva far fronte solo «testualmente», né con il racconto né con la formula interpretativa. Essa fu continuamente ricordata nella celebrazione della cena/' ma proprio questa cena divenne a sua volta si­ gnificativa almeno mediante il testo delle parole (intcrpretative) di Gesù e un breve racconto di introduzione. 4+ Rimandi impliciti ed espliciti. In Marco la storia della passione è raccontata ancora in modo semplice, essendo in generale caratterizzata dall'immagine del giusto sofferente, così come naturalmente e spontanea­

.

.

29. Kelber (n. 1 9) 193. 30. Stenger (n. 19) Il· 3 1 . Kelber (n. 19) 195.

.



Trasmissione nella liturgia

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mente doveva avvenire nel caso di un giudeo che narrasse la passione di Gesù. Per quanto riguarda ancora Marco, resta incerto se un determina­ to passo della Scrittura si trovi o no dietro il racconto ( 14, 18.34-38; 15, 23/36.29.33 ) . Sebbene le parole pronunciate sul calice nell'ultima cena a ccennino già alla soluzione del morire «per molti» annunciato in Is. 53, I I (Mc. 14,24; anche nel logion di Gesù in 10,45 ) , non si rimanda mai espressamente a questo passo utilizzato anche nella form ula prepaolina di Rom. 4,25 . È incerto se sullo sfondo di 14,49.61 ; 15,27 si trovi Is. 53,7. 1 2 . All a Scrittura vien fatto riferimento soltanto in 14,27 ( quando il pastore viene percosso, il gregge si disperde) . In 15,24.34 (spartizione delle vesti, grido di Gesù : «Dio mio, Dio mio . . . » ) riecheggia chiaramente il Sal. 22 (vv. 19 e 2) senza che sia menzionato. Solo a poco a poco certe allusioni alla Sc rittur a diventano più chiare (Mt. 2J,9·I0· 34-43 ; Le. 23,34-35 ·46-49) e vengono anche espressamente menzionate (Le. 22,37 [!s. 53,12 ! ] ; Gv. r 3 , r 8 ; 19,24.28.36-37). In genere in Luca e Giovanni compare una diversa tradizione della passione con certi punti di contatto tra questi due vange­ li. Sulla fìne di Giuda in Mt. 27,3 -ro; Atti 1 , 1 6 - 2o e Papia (framm. 3) si hanno tre diverse versioni a poco a poco sempre più fortemente impron­ ta te alla Scrittura { dapp rima Zacc. I I , 12-13 [con Ger. 18,2; 19, 1 ; 32, 7] ; poi Sal. 69,26; ro9,8; infine Sal. 69,24; 109,18) . ;2 Che il racconto del­ la passione si sia for m ato solo nella redazione scritta del vangelo,33 è un'i­ potesi che, di fronte a quanto è già presupposto in Paolo e alla tradizione ampiamente sviluppata, appare sommamente improbabile. 5.

Trasmissione nella liturgia14

5 . r . Il nome del «Signore» rimrto dai morti. Gi à l'invocazione «Signore nostro, vieni ! » (v. sopra, 3·3-4) è espressione della fede all'interno del­ l'assemblea cultuale. L'espressione «Gesù è Signore» è intesa come pro­ fessione di fede suggerita dallo Spirito santo ( I Cor. r2,3 ) . Come conte­ nuto dell'annuncio 2 Cor. 4,5 cita « Gesù Cristo Signore» (cfr. Atti 9,28) e come invocazione nel servizio liturgico risuona il «nome del Signore no­ stro Gesù Cristo» ( I Cor. r , 2 ; cfr. Gl. 2,32 [3,5] in Rom . 10, 13 e forse an­ che in Atti 2,21 riferito a Gesù) ; similmente 2 Tim . 2,22; Atti 9,14.21 ; 22,16; Giac. 2 , 7 ; Herm. 72 ( sim. 8,6),+ Nel battesimo è invocato il «no­ me del Signore Gesù (Cristo) »: Atti 8,r6; 19,5 ; I Cor. 6, r r ; Did. 9,5 (di­ versamente in 7 , 1 ) ; poiché «dove è proclamato l'essere signore, ivi è pre=

32. E. Schweizer,

Zu Apg.

1 , 1 6-22 ;

Id. , Neotestamentica, Zurich

33- Kelher (n. 19) 187- 199.

34· Cfr. E. Schweizer, ]esus

Christus,

in TRE

XVI

(1987) 677-685 .

1963, 416 s .

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Tradizione orale e prima stesura scritta

sente il Signore» (Did. 4, 1) Anche certe guarigioni e cacciate dei demoni sono compiute «nel nome del Signore»: Atti I9,I3·I7 ( Giac. 5,14?). La «professione di fede nel Signore Gesù» come contenuto della fede «che salva» può essere formulata anche in una proposizione narrativa: «Dio ha risuscitato Gesù dai morti» (Rom. ro,9) . Dio non è più soltanto un essere sommo, ma si è ora manifestato come colui che ha risuscitato GesÙ35 (dai morti) : I Tess. 1 ,9-10; Rom. 4,24; 8 , n ; Gal. r , r ; 2 Cor. 4,14; cfr. I Cor. 6,14. Si rimanda già molto presto a colui o a coloro che ne fu­ rono testimoni: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Le. 24,34; cfr. I Cor. 15 ,4-5) . Tali professioni di fede facevano forse parte della liturgia (battesimale) . Comunque, Dio è similmente lodato in salmi c professioni di fede giudaici: «Loda il Signore . . . che ti ha perdonato tutte le tue colpe» (Sal. 103,2-3) ; «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dall'Egitto» sarà persino espresso come perenne professione di fe­ de con le nappe di tutte le vesti (Num. 15,4I ; cfr. Es . .20,2 ) ; cfr. Is. 45 ,6-7: «lo sono il Signore che ha creato la luce e ha fatto le tenebre». Più fre­ quenti sono le frasi indipendenti, spesso introdotte con «infatti» : «Cele­ brate il Signore (omologesi) , infatti egli è buono» (Sal. ro6,1, dove segue un lungo elenco delle sue opere) ; cfr. Sal. r n ; 1 1 3 (v. r - 2 : «il nome del Signore», v. 7 letteralmente: «che risuscita il povero dalla terra») ; n8; 1 2 1 ,2 (« compare in forma premarciana e (abbreviato) anche in forma prepaolina in rapporto con la cena del Signore; e così pu­ re in Rom. 3 ,25 ; 5,9, e spesso con espressione postpaolina si parla del san­ gue di Gesù o anche dell'«agnello» (r Cor. 5,7; Gv. 1 , 2 9; I Pt. 1 , 19; Apoc. 5,6) . Per la liturgia della cena costituiscono prove I Cor. 1 1 ,23-26 e Mc. 14,22-24; per la liturgia battesimale Rom. 6,3-4 fa supporre, quale parte costitutiva, una corrispondente formulazione sul morire di Gesù per noi. 5 · 5 · La formula duplice di morte e risurrezione di Gesù. In uno stadio più avanzato dell'evoluzione ( che dal punto di vista cronologico non va posto necessariamente più tardi) Mc. 8,3 1 ; 9,3 1 ; 10,34 alla passione e al ri­ getto aggiungono espressamente l'uccisione e la risurrezione; ma già in I Cor. 15,3-5 il morire per i peccati e il risorgere sono congiunti. Questi so­ no i due avvenimenti salvifici, entrambi assicurati, da una parte, dalla se­ poltura e, dall'altra, dall'apparizione a Cefa e ai dodici. Da parte sua Pao­ lo aggiunge gli «oltre cinquecento», Giacomo, tutti gli apostoli e se stesso



Trasmissione nella liturgia

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come testimoni. Il «per noi» è menzionato a proposito del morire (dove la croce non è nominata) , mentre a proposito della risurrezione «al terzo giorno» è forse messo un particolare accento sull'adempimento della Scrittura ( Os. 6,2 ! ) menzionato in entrambe le parti. Tuttavia la forma greca dimostra che Cristo per la comunità è ancor sempre presente come il Risorto. Si tratta quindi della professione di fede di una comunità che p ensa in modo storico( -salvifico) ( «secondo la Scrittura») e per la quale problema decisivo è il dar buona prova nel giudizio finale ( «per i nostri peccati » ) . L'introduzione dimostra che Paolo ha «ricevuto» questa for­ mula in Gerusalemme o in Antiochia e l'ha «trasmessa>> ai Corinti. La co­ munità ha quindi riassunto in forma vincolante quello che era il centro della sua fede e l'apostolo l'ha trasmesso, forse prima del battesimo, a co­ loro che volevano unirsi alla comunità. Ciò non vuoi dire che quanto era in essa detto non dovesse essere continuamente interpretato e che nel cul­ to non potessero essere proclamate o cantate anche spontaneamente nuo­ ve professioni di fede, in forma fissa ( r Cor. 12,3?) o in nuova formulazio­ ne, come oggi si può per esempio riscontrare in comunità dell'Asia e del­ l'Mrica, dove il ritornello di un canto è fisso mentre tutto il resto può va­ riare secondo la situazione e l'ispirazione del primo cantore. Anche Rom. 4,2 5 collega il donarsi di Gesù, nostro Signore, «per i no­ stri peccati» alla sua risurrezione per la nostra giustificazione. L' accop­ piamento, insolito in Paolo, di risurrezione e giustificazione e la formula, che prende a modello Is. 53,12, del donarsi rimandano ad un'origine pre­ paolina. Anche nei riassunti delle prediche di Pietro negli Atti degli Apo­ stoli, morte (come crocifissione) e risurrezione stanno l'una accanto all'al­ tra, ma nello schema: «voi avete crocifisso colui che Dio ha risuscitato» (o: «questo ha . . ») : 2,23-24; 3 , 1 5 i 4,1 0 ; 10,39-40 (da Paolo sviluppato in 13,27-30) . Qui l'elevazione alla signoria e alla gloria è collegata alla risur­ rezione (Atti 2,32- 3 3 ; 5,30- 3 1 ; cfr. l'elezione di Gesù a giudice in 10,4043 ; 17,3 1 ) o la può sostituire (2,36; 3 , 1 3 ) . Come in r Cor. 15,5(-8), in 2,32; 3,15; 5,32; 10,39; 13,31 è aggiunta anche la testimonianza degli apostoli, con la differenza che negli Atti si fa riferimento al Gesù terreno (2,22; 1 0,3 ? -38) . 5 .6. L 'invio del Figlio preesistente. La frase «Dio mandò suo Figlio af­ finché (riscattasse gli uomini)» ( Gal. 5,4-5 ; Rom. 8,3-4; Gv. 3,16 e 17; I Gv. 4,9) non è una formula, ma un modo di dire in certo qual modo fisso, che richiama espressioni giudaiche sulla Sapienza (Sap. 9 , 1 o . q ecc. ) .�o In posizione centrale qui sta la venuta di Gesù, e viene presupposto il suo .

40. E. Schwcizer, Zum reli[!.ionsgeschichtlichcn Hintergrund der e il genere «vangelo)> è con ciò già in precedenza programmato come informazione su colui che si è in­ ca rnato. Ma non appena il prologo è congiunto al vangelo, il riferimento alla persona di Gesù si fa ancor più centrale. La «gloria» che in essa ri­ splende ( r ,r4) si può ora trovare in tutto il suo agire, nei suoi miracoli (2, 1 1 ) , come è visto dalla «fonte dei segni)> fatta propria dall'evangelista (v. sotto, 29. 1 ) , e paradossalmente anche nella sua «glorificazione)> sulla croce (12,23 .28 ; 1 3 ,3 1 - 3 2 ; cfr. 21,19). Essa è descritta come « innalzamen­ to» del «Figlio dell'uomo» ( 3 , 14; 6,62) con il titolo tipico anche di Q, e implica che a lui, «Figlio dell'uomm>, è affidato il giudizio (5,21 -22) , co­ me di nuovo dichiara anche Q. In Fil. 2 tutto è orientato fin dall'inizio verso questa glorificazione, che da un lato si collega al messaggio che an­ nuncia il Risorto costituito « Signore» (v. sopra, 5.2-3), dall'altro riprende anche l'attesa del giudice di tutto il mondo caratteristica di Q, peraltro nell'immagine dell'adorazione universale del «Signore>>. Qui Paolo, ma forse già anche l'inno prima di lui, ha pensato alla parusia. Ma fin dall'i­ nizio la frase si poteva interpretare nel senso che con l'innalzamento di colui che si è fatto uomo, cioè con la sua «ascesa al cielo», tutto si è già compiuto. Ciò indica quanto sia vicina una ellenizzazione ancor più mar­ cata in cui tutto, come in Giovanni, è concentrato sul presente già com­ piuto, peraltro in modo che la dimensione del futuro ancora in arrivo non scompaia completamente. D'altro canto esistono anche detti di Q che di­ chiarano che il giudizio futuro si decide già ora a seconda della posizione che si assume nei confronti di Gesù (Le. 1 2 , 8 - 9 ) e garantiscono la presen­ za del regno di Dio tra coloro che già ora la sanno vedere nel potere di Gesù (Le. 1 1 ,2o; 17,20-21 ) . 7·9· Q e il messaggio di morte espiatrice e risurrezione. Il fatto che negli inni manchi l'esplicito annuncio di morte e risurrezione di Gesù (v. so­ p ra, 5 . 1 0 e 1 3 ) mostra che essi, per quanto si differenzino da Q, sono ra­ dicati in un «mondo» analogo di esperienza e di pensiero. Si potrebbe

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Tradizione orale e prima stesura scritta

addirittura seguire una strada del tutto diversa movendo da esperienza e pensiero sapienziali. Sap. 2-5 descrive come il «saggio» (4,17) , il «giusto povero» (2, 10) viene rifiutato e condotto a «una morte infame» (2,20) , ma poi, resosi caro a Dio (4,ro) , nel giudizio condannerà i suoi nemici (4, 16; 5 , 1 ) e, annoverato tra i figli di Dio, vive con i «santi» (5,5 ) . Qui sono uti­ lizzati motivi presi dai canti del Servo di Dio, soprattutto da Is. 53· Di qui si porrebbe allora al centro appunto la passione di Gesù, sia che la si comprenda più decisamente come avvenimento primo che si ripete nel destino dei discepoli o, con Is. 53, come espiazione per i molti, e con essa si porrebbero al centro la risurrezione e l'elevazione a Dio come giustifi­ cazione di Gesù e salvezza per coloro che da lui si lasciano condurre sulla sua strada. Questa è la linea che si afferma in molte formule di fede (v. sopra, 5.4-6), ma anche nel racconto premarciano della passione (v. so­ pra, 4.4) e poi nei vangeli sinottici. Ciò può essere sintetizzato «cherigma­ ticamente» (in forma di annuncio) in brevi formulazioni, ma anche espo­ sto narrativamente, per esempio nel vangelo di Marco, così come anche l'umiliazione o incarnazione del Preesistente e la sua elevazione o glorifi­ cazione sono concentrate «cherigmaticamente» nell'inno, per esempio in Fil. 2,6-n e Cv. 1 , 1-18, ma anche esposte «narrativamente» nel racconto del quarto vangelo. 7.10. Le due possibilità accolte nel Nuovo Testamento. In Gesù si poteva dunque vedere un maestro di sapienza (v. sopra, 7.5 ) . Oltre che in Q ciò si può riscontrare anche nella lettera di Giacomo (v. sotto, 22 . 1 ) , forse an­ che negli eretici delle lettere di Giovanni (v. sotto, 30.2) . Si potevano riu­ nire le sue parole come quelle del Siracide o dell'autore dei Proverbi. Certo già in Q appariva chiaramente che qui tutta l'importanza stava in colui che pronunciava queste parole, poiché egli era l'ultimo, decisivo, messaggero della sapienza (v. sopra, 7 . 5 ) . Il suo insegnamento poteva con­ trapporsi alla legge di Dio, senza però abolirla (Mt. 5 , 17-48 ) , di modo che già in Matteo egli venne identificato con la figura della Sapienza (v. sopra, 7.8) . Il suo rifiuto da parte degli uomini e la morte da profeta che infine subì (Le. 1 3 ,34-35) poterono già in Q essere intesi come rifiuto di Dio (v. sopra, 7.7) . Se quindi in lui agiva la Sapienza stessa di Dio, si era ad un passo dall'affermare la sua esistenza presso Dio già al tempo della crea­ zione (v. sopra, 7.8) . Gesù non è altro che la personificazione della pre­ senza salvifica di Dio, che già aveva agito nella creazione e poi nella predi­ cazione mediante la «Sapienza», anche se da gran parte degli uomini ciò non fu riconosciuto. Ma si poteva anche pensare prendendo le mosse dal rifiuto subìto dalla Sapienza e dal suo messaggero e poi riprendere tutti gli enunciati riguardanti il Giusto sofferente, anzi la sua morte espiatrice annunciata già in Is. 53 (v. sopra, 7 . 9 ) .

8.

Tradizione di Gesù e(o professione di fede nel Cristo?

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L'interessante di queste analogie, nonostante il genere completamente diverso di una raccolta di detti di Gesù in Q, di una professione cristolo­ gica di fede negli inni, è il fatto, su cui poco ancora si riflette nell'indagi­ ne, che, senza alcuna visibile dipendenza, in entrambe è presente un pen­ siero strutturato in modo simile, che nel primo caso è ripreso tutte e due le volte da Matteo e Luca e nel secondo da Paolo ed è di nuovo esposto e precisato mediante l'inserimento nel vangelo o nel corpo delle lettere. A questo proposito la fonte dei logia muove dal maestro di sapienza terreno Gesù di Nazaret, ma ne vuole affermare la singolarità assoluta facendo parlare per mezzo di lui la Sapienza miticamente rappresentata, cioè di­ morante presso Dio fin dall'eternità. L'inno della lettera ai Filip pesi, e co­ sl pure il prologo di Giovanni, partono invece da una figura celeste con­ cepita in categorie mitiche come eguale a Dio e vogliono descrivere la sin­ golarità assoluta nel suo abbassamento allo stato di schiavo. In entrambi i casi la morte è quindi intesa solo come la fine della vita e come inizio del­ la elevazione a futuro giudice e signore del mondo. Ma determinante è il fatto che né Q né gli inni sono stati semplicemente ripresi come tali nel Nuovo Testamento; essi sono stati inseriti nel contesto di tutto un vangelo o di tutta una lettera. Con ciò i loro enunciati sono stati anche riplasmati: la morte è ora intesa come morte in croce e la risurrezione dai morti come inizio dell'annuncio della comunità. Su questo si dovrebbe riflettere an­ cora molto seriamente. 8. La grande questione: tradizione di Gesù e/ o professione di fede nel Cristo ?�' 8 . r . Le due vie che portano a Gesù Cristo. Da un lato, nella tradizione che portò ai nostri vangeli, sono stati dunque conservati e riuniti detti di Gesù, raggruppati racconti sulla sua attività e collegati anche ai suoi detti. Dalla fede dei relatori essi sono stati anche sempre commentati, integrati, in parte persino creati di nuovo, ma tutto l'interesse si concentrava sul­ l' attività del Gesù terreno. D'altro lato, nella tradizione, che si fa evidente soprattutto in Paolo, si formarono nella comunità primitiva determinate espressioni, formule di fede, strofe inniche, in cui si esprimeva la fede nel Cristo risorto . Qui la risurrezione poté essere intesa come allusione alla parusia e alla fine del mondo o come suggello divino sulla morte vicaria di Gesù o come sua elevazione alla signoria sulla comunità (e sul mondo) . In questo caso l'incarnazione poté essere vista come abbassamento, l'esi65. Prima pubblicazione inglese in Horizons (n. w) 86-98; 2. The Crea! Question: Tradition of Jesus andfor Confession o/Christ?

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stenza terrena come umiliazione. Sono, queste, due forme di fede com­ pletamente diverse, che forse risalgono a due o più luoghi d'origine sepa­ rati l'uno dall'altro? Il primo sviluppo si deve localizzare, per esempio, in Galilea ed il secondo in Gerusalemme e nel movimento missionario che partì di là? La raccolta dei detti di Gesù, che Matteo e Luca utilizzano in comune (v. sopra, 7. 1 , 3 ) , si troverebbe nella prima tradizione; Paolo, nelle cui lettere, a prescindere dalla morte di Gesù sulla croce, si trova così po­ co del Gesù terreno, nella seconda. Quella prima tradizione non sarebbe per lui persino « un altro vangelo» ( Gal. r ,6) t6 8.2. Galilea e Gerusalemme: due comunità primitive? Purtroppo non sappiamo quasi nulla sul tempo che sta tra questi inizi e il loro sedimen­ tarsi nelle lettere di Paolo da un lato, e nei vangeli dall'altro. Molto fa pensare ad origini separate. In Atti 9,2. 3 1 veniamo a sapere di comunità in Damasco e in Galilea, senza che si sia parlato di missioni in quei luoghi. In analogia con 8,4.40, si deve forse pensare ad un movimento provenien­ te da Gerusalemme o qui esistevano gruppi che vivevano sotto l'effetto dell'attività terrena di Gesù senza che il loro pensiero fosse particolar­ mente rivolto alla sua morte e alla sua risurrezione? Ciò spiegherebbe perché nelle parole di Gesù di Q comuni a Matteo e Luca, ancora man­ canti in Marco, non si parla di croce e risurrezione, ma solo del potere di lui come essere terreno e giudice venturo (v. sopra, 7.8-9 ) . Ciò presuppo­ ne certamente una conoscenza della morte e risurrezione (o elevazione al cielo) , ma non un vero e proprio interesse di fede al riguardo. La morte andrebbe intesa nella linea del Gesù che non ha casa (Mt. 8,2o; Le. 9,58) , la risurrezione come elevazione a celeste Figlio dell'uomo che un giorno agirà da testimone determinante o da giudice (Mt. 24,27.37·39; Le. 12,8; q,24.26 . 3o) . Parimenti sarebbe comprensibile perché Paolo, per esempio nell'incidente di Antiochia, quando Pietro non volle più mantenere la co­ munità di mensa con gli etnicocristiani, non fece presente che Gesù man­ giava con pubblicani e peccatori (Le. 7,34) , e riguardo alla questione del­ l' astensione da determinati cibi non si rifece alla convinzione di Gesù che ciò che entra in bocca non contamina l'uomo (Mc. 7,15), e per il problema del sabato non fece riferimento al comportamento di Gesù (Mc. 2,27; 3 , 1 6 ) , bensì alla fede nella giustificazione, valida per tutti, mediante l a fede nel Crocifisso ( Gal. 2,u-21; Rom . 1 4, 1 3 - 2 3 ; I Cor. 8,7- 1 3 ; Rom. 14,6-9) . Anche secondo gli Atti degli Apostoli, nel concilio (Atti 15) non si fece ri­ ferimento al comportamento di Gesù o alle sue parole, ma alla grazia del 66. H.E. Todt, Der Menschensohn in der synoptischen Oherlie/erung, '1963, 244; cfr. H. Koster, One Jesu and Four Gospels: HThR 61 (1968) 210 s.; J. Robinson, Kerygma und Geschichte im Neuen Testament, in Koster - Robinson (n. 59) 20-66; Schulz (n. 59) 28- 32; E. Schillebeeckx, Jesus, Freiburg 1975, 355- 388; K.M. Fischer, Das Urch ristcntum, Berlin 1985, 55

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Tradizione di Gesù ejo professione di fede nel Cristo?

Signore Gesù. Infine, per quanto riguarda Paolo, si può dimostrare che, in modo analogo, da un lato fu importante il suo piano teologico, quindi la sua predicazione di Cristo, soprattutto nelle lettere dei suoi discepoli (v. sotto, III) ma anche in Ignazio e altri, dall'altro, in una tradizione del tutto separata, la sua vita, quale appare nelle leggende degli Atti apocrifi degli Apostoli, reca un'impronta gnostica. I due filoni di tradizione si so­ no sviluppati in modo indipendente l'uno dall'altro. Si devono dunque supporre almeno due comunità primitive, una in Galilea, per la quale era determinante l'attività del Gesù terreno, l'altra in Gerusalemme, dove al centro stavano morte di croce e risurrezione? Si potrebbe inoltre postula­ re una comunità premarciana e pregiovannea e separare la comunità di Gerusalemme di lingua aramaica da quella ellenistica, sì da intravedere da quattro a cinque radici. 8.3. Gerusalemme come sola comunità primitiva. Gli Atti degli Apostoli conoscono soltanto una comunità importante per l'ulteriore sviluppo, quella di Gerusalemme. Ciò corrisponde in realtà alla tendenza di Luca e il fatto che gli apostoli, durante la persecuzione successiva alla morte di Stefano, poterono rimanere indisturbati in Gerusalemme (8, 1 ) dimostra che essa - diversamente da quanto potrebbe apparire in Luca - era sol­ tanto orientata in senso contrario alla comunità di lingua greca, che evi­ dentemente era più libera nei confronti della legge di quanto non fosse il gruppo « apostolico». Comunque, vi sono due gruppi nel medesimo luogo e le differenze sembrano più o meno riguardare conseguenti conclusioni nella questione relativa alla legge, non un'accentuazione dell'attività ter­ rena di Gesù da un lato, e della sua morte e risurrezione dall'altro. In par­ ticolare secondo Gal. 1 , 17-20; 2 , 1 - 2 , anche Paolo conosce soltanto una p rima comunità, quella di Gerusalemme. Ciò è tanto più sorprendente in quanto, quando fu chiamato in Damasco e qui fatto incontrare con la co­ m unità di Gesù, imparò a conoscere, come era avvenuto già anche prima quand'era loro avversario, soltanto le comunità che si trovavano al di fuo­ ri della Giudea (Gal. 1 , q.22). Ciò mostra che anche in Damasco gli apo­ stoli di Gerusalemme costituivano l'autorità decisiva. È vero che secondo Atti 18,24-25 ; 19,1-3 c'erano discepoli che non avevano vissuto l'espe­ rienza di pentecoste, ma - contrariamente alla tendenza di Luca - in en­ trambi i casi si tratta probabilmente di Giudei ellenisti e di seguaci del Battista che divennero cristiani solo in Efeso. Se inoltre si ammette che tutti gli apostoli erano galilei, che, se tutto non inganna, avevano accom­ p agnato Gesù durante la sua attività terrena ed erano stati testimoni, pro­ babilmente in Galilea, dell'apparizione del Risorto, la tesi di due o più comunità primitive separate l'una dall'altra diviene molto discutibile 8-4- Influsso reciproco di diversi filoni di tradizione. Le tre lettere di .

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Giovanni non parlano mai dell' attività terrena di Gesù, pur non essendo sorte in una tradizione comunitaria diversa dal vangelo, che anzi era noto al loro autore. Negli Atti degli Apostoli si fa riferimento al Gesù terreno solo molto sporadicamente, due volte in una predica di missione (2,22; ro,38), una volta in una questione morale (20,35) con un detto che non si trova nel vangelo ( ! ) ; eppure gli Atti provengono dallo stesso autore di questo vangelo. Paolo presuppone una certa conoscenza della vicenda della passione ( I Cor. I I ,23 ) , quindi già una serie coordinata di singole narrazioni diverse, tipica dei vangeli, inoltre la povertà di Gesù (2 Cor . 8,9) e alcune sue parole ( I Cor. 7,ro; 9,14 [cfr. 14,37; 15,3] ; I Tess. 4, 15). In ogni caso, ciò è più di quanto troviamo nelle lettere di Giovanni e più o meno paragonabile a quel che si trova negli Atti. Più importante è che per Paolo resta essenziale il ritorno di Cristo, centrale anche nelle raccolte di parole di Gesù. Il collegamento di Sal. 8,7 (che parla del Figlio dell'uomo come alcuni detti di Gesù) e Sal. I Io, r (che compare anche nella tradizio­ ne sinottica) è già ripreso da Paolo ( I Cor. 15,25-27; cfr. Ef 1 ,20-22) evi­ dentemente dallo stesso ambiente dal quale attinge la tradizione dei detti di Gesù ( cfr. Mc. 14,62 , forse anche il testo greco di Mc. 12,36 influenzato da Sal. 8,7; più tardi Ebr. r , r 3 oltre a 2,6; Polyc. , Phil. : «gloria» l «sotto­ posto», oltre a «trono alla sua destra») . L'invocazione « abba» è comune a Mc. 14,36 e a Rom . 8, 15; Gal. 4,6, il titolo di Figlio di Dio a Mt. 4,3 l Le. 4,3 e a Paolo (spesso). Si può supporre che frasi come quella di Le. 10.4 abbiano portato ad attaccare Paolo (I Cor. 9,1-18, v. sotto, 3 1 .2) ,67 e, se tutto non inganna, certi profeti, forse persino i profeti itineranti che si at­ tenevano alla lettera all'osservanza delle regole missionarie di Gesù (v. so­ pra, 3.9), provenivano proprio da Gerusalemme (Atti u ,27-28 ; [ 1 3, 1 ; ] 15,22 . 3 2 ; 21,9-10) . Secondo i vangeli, dispute di Gesù hanno avuto luogo sia in Galilea sia in Gerusalemme. Secondo i primi tre vangeli invero i mi­ racoli sono avvenuti quasi soltanto in Galilea, ma è questo il segno di una particolare tradizione galilea o di uno schema marciano che concentra i miracoli prima della professione di fede di Pietro (cfr. comunque ro,52) ? Soprattutto vi sarà stata una tradizione del Gesù terreno ambientata in Gerusalemme ed orientata a questa città, come indicano Giovanni, che parla di miracoli ivi avvenuti, e notizie affini in Luca. Anche il raggruppa­ mento di moltiplicazione dei pani (una soltanto ! ) , passaggio all'altra riva, cammino sul mare (e richiesta di un segno: Mc. 8, u - 1 3 ; Gv. 6,26-30? ) sembra v i facciano parte, mentre l'immediata reazione della gente è riferi­ ta soltanto in Cv. 6,14-15. Il racconto dell'unzione in Gv. 12,1-8 unisce 67. G. Theissen, Legitimation und Lebensunterhalt, in Id., Studien (n. 9) 20I -23o, specialm. 214-226 ( NTS 2r [ 1 975] 205 -2I4l ; inoltre R. Scroggs, The Sociological Interpretation o/ the New Testament: NTS =

:z6 (!980) 174

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motivi marciani e lucani. I l fatto che è difficile che Giovanni abbia cono­ sciuto uno o più sinottici, rende comunque probabile che sia in Galilea sia in Giudea siano stati raccolti racconti di Gesù con le corrispondenti parole. In particolare il racconto della passione, che è ambientato in Ge­ rusalemme ed essenzialmente orientato alla morte e risurrezione di Gesù, è probabilmente la più antica coerente tradizione di Gesù (v. sopra, 7.2) . Infine nel capitolo precedente si è visto chiaro come la tradizione Q sia strettamente collegata anche con enunciati innici che si trovano nelle let­ t ere, sebbene non si possano dettagliatamente dimostrare dipendenze di­ rette. 8.5. Insegnamento e narrazione. Anche nel giudaismo di quel tempo si può notare una certa separazione tra il campo della tradizione didattica, quindi dell'interpretazione della legge, e quello della narrazione, quindi delle leggende di profeti e di martiri. In realtà qui insegnamento significa chiarimento di problemi morali, quindi proprio ciò che è tipico anche di detti di Gesù, mentre la narrazione trasmette piuttosto l'annuncio della salvezza nell'agire di Dio, com'è, anche in questo caso, tipico dei racconti che riguardano Gesù. Comunque, questo fa pensare che la stessa comu­ nità abbia riunito parole di Gesù e racconti che per lo più sfociano in un detto, nei quali naturalmente non si parlava ancora di morte e risurrezio­ ne, ma che essa ponesse l'accento, per esempio nella sua liturgia della ce­ na del Signore, anche sul racconto di passione e risurrezione e sul signifi­ cato che queste avevano per la fede. Ma con ciò non sono ancora spiegati i differenti interessi che caratterizzano vangeli e scritti epistolari. Quale che sia in particolare la valutazione che si dà della prima comu­ nità di Gerusalemme, essa fu in ogni caso una comunità che sperava nella prossima venuta del regno di Dio c anche una comunità caratterizzata da profeti (v. sopra, 3 .2) . Perciò i discepoli dalla Galilea si trasferirono con le loro famiglie e i loro beni a Gerusalemme. Così certamente l'esperienza pasquale, che includeva anche la missione, testimoniava la grande svolta già avvenuta, poiché la comunità pensava che il tempo che avrebbe sepa­ rato l'annuncio e la chiamata alla conversione dal compimento finale sa­ rebbe stato breve (v. sopra, 3 . 3 ) . Si può pensare che la risurrezione di Ge­ sù fosse importante più come presupposto della sua venuta, della risurre­ zione di tutti e della instaurazione del regno di Dio, oppure come inizio della sua sovranità sulla comunità che già viveva nel mondo nuovo sotto il p erdono di Dio: in ogni caso al centro si trovava il Risorto e non il mae­ stro terreno e il suo esempio. La morte di croce, dapprima enigma e mo­ tivo d'imbarazzo, alla luce della Scrittura fu intesa in funzione vicaria e come espiazione per i peccati di Israele. La predicazione fu così innanzi­ tutto annuncio della ventura salvezza promessa già fìn d'ora a chi si con-

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vertiva e credeva. In questioni etiche gradualmente emergenti e nel ri­ spondere ad attacchi agirono probabilmente con efficacia detti di Gesù e racconti su di lui. Dapprima si trattò di un filone secondario, che divenne però sempre più importante. In molte questioni quotidiane il retto modo di comportarsi non si poteva certo dedurre con semplicità dal principio fondamentale della morte e risurrezione di Gesù, a meno che non si fosse un dotto teologo come Paolo. Questi infatti già in I Cor. 7 , m ; 9,14, e di fatto anche in Rom. 12, 14-!7, riprende detti di Gesù, citandoli accanto a precetti veterotestamentari (Rom. 12,2o; I Cor. 9,9-m) . 8.6. Esperienza pasquale e ritorno al Gesù terreno. Questo sviluppo si può paragonare a quello delle formule di fede. Se dapprima tutta l'im­ portanza veniva data alla risurrezione di Gesù, considerata come inizio della sua figliolanza divina (Rom. 1 ,4; Atti 13,33) c della sua signoria (Rom. 10,9; Atti 2,36) , più tardi questo termine venne arretrato alla vita di Gesù e infine al giorno della sua nascita: fin dal battesimo ebbe inizio l'opera di Gesù come Figlio di Dio (Mc. 1 , n ; Atti 10,37-38), mediante la sua nascita dalla vergine divenne Figlio di Dio (Le. 1 , 35) . Certo, questa evoluzione non si svolse su una sola linea. Già prima di Paolo furono col­ legati, da un lato, risurrezione e parusia ( I Tess. I , IO , senza accenno alla morte di Gesù, v. sopra, 5.2), dall'altro, invio e morte espiatrice del Figlio di Dio (Gal. 4,4-5 ; Rom. 8,3; v. sopra, 5 .6) o abbassamento da esistenza celeste ed elevazione a signore del mondo (Fil. 2,6- n ; v. sopra, 5.10). Vi­ ceversa, in Paolo né battesimo né nascita di Gesù compaiono come fon­ damento della sua dignità; viene menzionata soltanto la sua discendenza da David in una formula da lui citata (Rom. 1 , 3 ; v. sopra, 5 . 3 ) . Sicuramen­ te dunque si sono avuti, l'uno accanto all'altro, sviluppi molto diversi, che sembrano tutti aver radici nell'esperienza pasquale di un nuovo mondo di Dio, già iniziato, e insieme in una ansiosa attesa del futuro da parte della prima comunità di Gerusalemme, nella quale, sulla base delle apparizioni del Risorto e dell'esperienza della presenza dello Spirito di Dio, era an­ nunciata la salvezza e attesa la definitiva instaurazione del suo regno. 8.7. Problematiche diverse. Paolo non sa nulla di una qualsiasi altra pre­ dicazione (1 Cor. 15, u ) . Egli fu chiamato in Damasco e ritornò in questa comunità; forse conobbe anche altre comunità in «Arabia», certamente più tardi quelle della Siria occidentale, mentre in un primo tempo rimase sconosciuto alle comunità giudaiche (Gal. 1, 17-24) . Supposto che fosse esistita una predicazione che non parlava di morte e risurrezione, essa do­ vrebbe essere dunque stata assorbita, già pochi anni dopo la morte di Ge­ sù, almeno là dove giunse Paolo, in quella proveniente da Gerusalemme. Come indicano il vangelo e le lettere di Giovanni, la differenza sta piutto­ sto nella rispettiva problematica. Dove si trattava della fondamentale te-

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Tradizione di Gesù efo professione di fede nel Cristo?

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stimonianza di fede cristiana, sono messi in rilievo risurrezione e definitivo avvento di Gesù (r Tess. 1 , 10; 4, 14) ; dove si trattava di problemi partico­ lari, come la morte di membri della comunità prima di questo avvento e del giusto conforto in questa situazione, divenivano importanti parole di Gesù (autentiche o ritenute tali) ( r Tess. 4, 15-r8) . La forma premarciana, come quella prepaolina, delle parole pronunciate nella cena del Signore mostra che fin dall'inizio l'interpretazione della morte di Gesù come evento salvifico, e forse come pegno del suo ritorno, era collegata alla ce­ lebrazione, mentre non era ancora stabilito se il «per molti» fosse da in­ terpretare nel senso di espiazione, sostituzione vicaria, riscatto, comunio­ ne di sofferenza o in altro modo (v. sopra, 4· 3 e 5 .4) . Quando, come in Paolo, l'interesse stava nel chiarimento didascalico, queste interpretazioni diventavano determinanti e si poneva al centro la crocifissione di Gesù in un primo momento incomprensibile: proprio la morte maledetta da Dio diventava salvezza. Quando si esortava ad accettare una vita in umiltà, per esempio in tempi di persecuzione o nella convivenza con altri membri della comunità, l'accento veniva posto sull'umiltà manifestatasi in tutta la vita di Gesù, umiltà che giunse al suo punto massimo nella morte. Ciò va­ le per frasi che affermano che il Figlio dell'uomo non ha casa (Le. 9,58) come pure per l'inno prepaolino di Fil. 2,8 (v. sopra, 5 . 10) o per enuncia­ ti paolini quali 2 Cor. 8,9; Rom. 8 , 1 7 ; 15,3. Qui la tradizione della vita no­ made di Gesù divenne importante in particolare per coloro che cercavano di continuare questa forma di predicazione e operavano come profeti iti­ neranti. 8.8. Giusto sofferente e morte espiatrice, risurrezione ed esaltazione. Do­ ve era dato il massimo peso al futuro avvento del regno di Dio, venivano ripetute parole di Gesù riguardanti il venturo Figlio dell'uomo assieme a conseguenti esortazioni a vivere nel frattempo una vita di adeguata prepa­ razione e di responsabile servizio. Naturalmente Gesù stesso aveva parlato poco o nulla della sua morte e della sua risurrezione, tuttavia erano en­ trambe presupposte, poiché era Gesù che, come Figlio dell'uomo, sareb­ be venuto a giudicare. Come indicano soprattutto i primi enunciati sulla passione, in questo caso era la categoria del Giusto sofferente che poi è innalzato a Dio la forma di linguaggio in cui ciò diveniva comprensibile. Dove la massima importanza era data alla salvezza già promessa al cre­ dente, la morte e la risurrezione costituivano la svolta decisiva. Già nei te­ sti giudaici che parlavano del Giusto sofferente riecheggiavano frasi di ls. .53 (v. sopra, 7.9) . Dove nella morte di Gesù si vedeva la svolta escatologica, es se venivano usate esclusivamente per esprimere l'unicità di questo even­ to. Che la risurrezione di Gesù sia stata in origine intesa soprattutto come elevazione (a venturo Figlio dell'uomo come pure a Signore della comunità

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e del mondo) risulta ancora dal fatto che Paolo, senza far distinzioni, mette alla pari l'apparizione del Risorto da lui avuta dal cielo e le precedenti esperienze fatte dagli apostoli prima di lui ( I Cor. 15,5-8; Gal. 1 , 1 5- 17) . Anche qui si possono constatare forti spostamenti d'accento, ma è difficile che provengano da comunità separate l'una dall'altra. È infine comune alla tradizione che porta ai vangeli e alla tradizione che porta a Paolo l' anco­ raggio alla teologia sapienziale giudaica (v. sopra, 7.8- 10) . 8.9. Dal kerygma alla tradizione su Gesù e dalla tradizione su Gesù al kerygma. Da un lato si partì dunque dalla risurrezione e dalla dignità in­ comparabile, da essa comprovata, del Risorto, il quale sarebbe venuto an­ che come Signore alla instaurazione definitiva del regno di Dio. Ci si ri­ chiamava al suo insegnamento e al suo comportamento quando si trattava di questioni etiche, di problemi relativi alla forma del culto o della vita in comune, di incertezze sul futuro. D'altra parte ci si interessava all'inse­ gnamento e all'esempio del Gesù terreno in quanto costituivano direttive per problemi concreti, però in modo che la sua autorità era sempre pre­ supposta, se non espressa direttamente. Che i testimoni del suo operato si domandassero già prima della pasqua chi era colui che agiva in tal mo­ do, e che molti di essi sperimentassero in lui la venuta di Dio, è un fatto che accenna già in anticipo a ciò che si comprese dopo la pasqua. Certa­ ment e una gran parte della tradizione su Gesù è stata raccolta in Galilea, ma molto probabilmente un'altra parte è stata raccolta in Gerusalemme. Certo l'importanza che le si diede è anche stato diverso da comunità a co­ munità, ma è molto improbabile che siano esistite comunità che vivevano solo con questa tradizione o solo con la professione di fede nella morte c risurrezione di Gesù senza conoscere la sua attività terrena. 8. 10. Vangeli come correzione di una pura cherigmatizzazione. Ma vi so­ no senza dubbio segni che la tradizione su Gesù divenne importante in un tempo in cui l'ancoraggio dogmatico della fede alla morte e alla risurre­ zione intese come avvenimenti salvifìci determinanti fu chiaramente assi­ curato. Matteo nei confronti di Marco ha messo in evidenza in quattro punti che si tratta di « questo vangelo del regno di Dio» predicato da Ge­ sù, evidentemente perché vedeva il pericolo di una fede nel «vang elo» (come lo chiamava brevemente Marco; v. sopra, 6.2) che non era più inte­ ressato alla predicazione del Gesù terreno (4,23; 9,35 ; 24, 14; 26, 1 3 ) . Egli sottolinea anche che Gesù resta presente nella sua comunità specialmente nei suoi comandamenti (28,20) . La formula di introduzione a un detto di Gesù: «Ricordatevi delle parole del Signore Gesù che disse . . . » (o sim . ) compare in Atti 20,35 ; I Clem. 13 ,8-9; 46,7-8; Polyc. , Phil. 2 , 3 . 68 L a rac68. Cfr. anche Papia (in Eusebio, hist. ecc!. 3,39,15), l'Apocrifo di Giovanni e, riferito alle parole degli apostoli, Gd. q.

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colta di detti di Gesù nel cosiddetto Vangelo di Tommaso sembra già presupporre i tre primi vangeli, e alla metà del n secolo per Papia è più importante la tradizione orale dei testimoni oculari e dei suoi diretti ga­ ran ti che ciò che è scritto nei libri.69 Al racconto della trasfigurazione di Gesù (Mc. 9,2-8) ci si richiama nella molto tarda seconda lettera di Pietro (1,16-r8), al fine di assicurare la certezza della predicazione. Il pericolo di una teologia che più tardi porterà alla gnosi (v. sotto, 20.2) e che prese sul serio il messaggio di grazia e di salvezza ma non lo legò più necessaria­ mente alla storia di Gesù, sembra abbia contribuito al sorgere della tradi­ zione di Gesù propria dei vangeli. Marco, nel più antico dei nostri vangeli, conosce già questo interesse per il Gesù terreno. Sembra che egli precisamente si opponga ad un'im­ magine che in Gesù vedeva solo il taumaturgo. Così egli riconosce sen­ z'altro i suoi miracoli come manifestazioni del suo potere, ma sottolinea che essi possono essere intesi rettamente solo se si riconosce anche il cammino che lo portò alla croce e se lo si segue nello stesso cammino (v. sopra, 2 . 1 e n. 1 3 ) . Nello sviluppo che porta alla gnosi non sono più stati narrati miracoli di Gesù, ma ormai soltanto quelli del Signore innalzato che opera nei suoi apostoli (v. sopra, 2 . r ) ; secondo questa concezione il «Cristo>> celeste operò solo dal battesimo di Gesù fino all'ultima sera, ma poi abbandonò l'uomo Gesù prima che questi venisse crocifisso (v. sotto, 30.2) . Nel vangelo più antico invece si manifesta di nuovo lo stretto lega­ me tra tradizione di Gesù e teologia della croce. È addirittura il kerygma di croce e risurrezione che qui impronta tutta la raccolta della tradizione del Gesù terreno. Marco è così rimasto fedele a ciò che era proprio della predicazione fin dalle sue radici (v. sotto, 25 .8). 69. Eus., hist. ecci. 3,39, 4 -

II. Paolo

nessuno di quanti vissero al tempo del Nuovo Testamento abbiamo tante notizie come di Paolo. Non solo la sua attività viene narrata per esteso negli Atti degli Apostoli, ma possediamo anche una serie di lettere sue, mentre Gesù non ha lasciato nulla di scritto. Tuttavia vi è un gran numero di questioni irrisolte che riguardano non solo i dati della sua vita ma anche il suo messaggio . Di

9· Vita e lettere 9. 1 . Dati cronologici. In relazione al primo soggiorno di Paolo a Corin­ to, e quindi al tempo del cosiddetto secondo viaggio missionario, Atti r8, 12 menziona Gallio ne come pro console romano, che fu in carica dalla primavera del 5 1 fino alla primavera del 52 (o forse un anno più tardi). Ciò corrisponde alla notizia di Svetonio (v. sopra, r.r), secondo la quale i giudei, forse soltanto i giudeocristiani e i loro più accaniti avversari, furo­ no espulsi da Roma t sempreché ciò sia avvenuto realmente nell ' anno 49, come viene precisato solo verso il 4oo circa.7' Si potrebbe così spiegare co­ me Paolo abbia trovato ospitalità presso Aquila e Priscilla che già in Ro­ ma si erano fatti cristiani (Atti r 8 ,2 ; r Cor. r6, r9} . Secondo Gal. r , r 8 ; 2 , 1 dalla conversione d i Paolo a l concilio apostolico (Atti 1 5 ; Gal. 2 , r - ro ; v. sotto, 1 3 . 1 } trascorsero 15-16 anni, o forse soltanto 1 3 · 14, se in 2 , 1 , con­ trariamente a quanto normalmente avviene, si calcola di nuovo partendo dalla conversione di Paolo e non dalla sua visita a Gerusalemme. Nell'an­ tichità si conteggiavano di solito il primo e l'ultimo anno. Se dal soggiorno in Corinto nel 5 r / 52 si conta alla rovescia, la conversione di Paolo si deve porre all'incirca nel 32, al più tardi nel 35 d.C . , cioè solo 2-5 anni dopo la probabile data di morte di Gesù (anno 30 o 3 1 ) , v. sopra, 1 .2. Secondo Atti 1 3 - 14 il primo viaggio missionario si svolse prima attra­ verso la Cilicia; seguì poi, attraverso tutta l'Asia Minore e la Macedonia, il viaggio ad Atene e Corinto, dove Paolo rimase un anno e mezzo ( r 8, n ) . Sarebbe diverso se si supponesse che le indicazioni degli Atti degli Apo 70. Testi in U. Wilckens, Der Brief an die Romer 1, 1 978 {EKK VI/ r ) , 3.5 con n. 88. 71. Orosius, historiae adv. paganos 7,6, 1 5 s . ; cfr. Schcnke-Fischcr (n. 2)

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Kummcl (n. 2)

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13.



Vita e lettere

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stoli siano errate o vadano interpretate in altro modo. Si potrebbe porre il concilio apostolico di Gal. 2 , 1 - 10 in occasione della seconda visita di Paolo a Gerusalemme (Atti 1 1 ,30/ 1 2 ,25 ) , come propriamente richiede­ rebbe Gal. 2, 1 . Poiché Erode Agrippa morì nel 44 d.C. ( 12,23 ) , in questo caso si dovrebbe risalire almeno a 1 3 - 14 anni prima, di modo che la con­ versione di Paolo andrebbe posta all'incirca nel 30 d.C/2 Ma in Gal. 2 , 1 I O s i tratta della circoncisione degli etnicocristiani; di ciò si parla i n Atti 15, non al tempo dei capp . 1 1 - 1 2 . Si potrebbe pensare che, dopo l'inci­ dente di Gal. 2 , 1 1 -2 1 , sia stata discussa la questione della comunione di mensa tra giudeocristiani ed etnicocristiani e che Atti 15,19-20.29 si rife­ risca a questo. Ma di tale accordo Paolo non sa nulla. Secondo Atti 21 , 2 5 esso gli viene comunicato (diversamente da quanto raccontato in Atti 15) soltanto quando si trova per l'ultima volta in Gerusalemme, poco prima del suo arresto. In Rom. 14, 1 3-23; I Cor. 8,4-8; 10,25-34 Paolo decide anche in tutt'altro modo. Sarebbe di nuovo diverso, se si supponesse che Paolo abbia compiuto il cosiddetto secondo viaggio già molto prima, an­ teriormente al concilio apostolico, per cui l'incidente con Gallione an­ drebbe allora posto solo più tardi, per esempio al tempo in cui Paolo visi­ tò Corinto venendo da Efeso (v. sotto, 1 2 . 4 ) . In questo caso la sua prima lettera, quella ai T essalonicesi, si potrebbe collocare già nell'anno 41 circa (v. sotto, 10. 1 ) .7J Ma dò è improbabile, poiché Gal. 1 , 2 1 tra la conversione e il concilio apostolico menziona solo Siria e Cilicia. 9.2. Dati biografici. Dati di fatto certi sono: la persecuzione delle comu­ nità cristiane da parte di un Paolo irreprensibile quanto alla giustizia de­ rivante dalla legge (Fil. 3,6) , peraltro non in Giudea (Gal. 1 ,22), resta in­ certo se in Gerusalemme (Atti 7,58; 8 , 1 ) ; poi la sua chiamata presso Da­ masco ( Gal. r , q ; Atti 9,3) ; due o tre anni passati in Arabia, ciò che po­ trebbe significare i dintorni di Damasco e una prima attività missionaria; quindi visita in Gerusalemme a Pietro e a Giacomo fratello del Signore; circa tredici anni dopo questa visita (o dopo la sua chiamata?) il concilio apostolico ; poi lo scontro con Pietro, che forse non ebbe un esito favore72.

Co sl Schenke-Fischer (n. 2 ) 1 55 s.; cfr. 6o. 73· G. Liidemann, Paulus der Heidenapostel r, 1 980 (FRLANT 123) 263-272; il concilio apostolico po­

trebbe allora essere posto addirittura in corrispondenza con Atti 1 8,22 (circa .51 d.C.) (p. 165; similmente già J.M. Suggs, Paul's Macedonian Mznistry: NT 4 [ 1 96o] 6o-68 e R. Jewitt, Pauluschronologie, Miinchen 198 2 [in inglese: Philadelphia 1979] 141 ; cfr. anche U. Schnelle, Der erste Thessalonicherbrief und dù· Entstehung der paulinischen A nth ropologie : NTS 32 [1986) 208 s . ) . La chiamata sarebbe all ora da collo­ care nell'autunno del 37 (Jewitt 58-63. 1.56 s . ) . Critico invece T. Holtz , Der erste Brie/ an die Thessaloni­ cher, 1 9 8 6 (EKK'"Xm) 20-23. Ampia esposizione delle diverse opinioni e critica in G. Sellin, Hauptproble­

me des 1 . Korùztherbrie/es, in ANRW 2_:1-4 ( 1 987) 2986-2990. Egli ritiene che la visita a Gerusalemme ed Antiochia (Atti 1 8 , 2 2 ) sia soltanto un'annotazione di Luca, di modo che a rigar di termini non si possa parlare di tre viaggi, ma solo di uno all'inizio nel sud dell'Asia Minore e di una successiva attività svolta in Asia Minore e in Europa.

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vole a Paolo, poiché egli non dice che si sia imposta la sua opinione (Gal. r , r3-2,2o; 2 Cor. r r ,32; v. sotto, 13.2) ; infine persecuzioni subite ad opera di giudei e romani durante la sua attività missionaria (2 Cor. r r ,24-33 ) . Soltanto Luca informa che di mestiere era fabbricante di tende,74 che era cresciuto in Tarso e da fariseo aveva studiato sotto Gamaliele in Gerusa­ lemme (Atti r 8 , 3 ; 22,3 ; 26,5) , ma questi dati s'armonizzano con gli altri (cfr. I Cor. 4,1 2 ; 9,12-15; I Tess. 2,9; Fil. 3 ,5) ; in Giudea (tranne che in Gerusalemme?) secondo Gal. r ,22 non è mai stato. Secondo Atti 19, 8. 10.22 ; 20, 31 durante l'ultimo viaggio missionario rimase da due a tre an­ ni in Efeso. Con ciò concordano le notizie di 2 Cor. r 2 , r4; 1 3 , 1 (cfr. 2 , r ) , secondo le quali Paolo d a Efeso andò una volta a Corinto per una visita intermedia, precisamente più tardi di I Cor. 16,1 -9, dove si parla solo di un soggiorno. Poiché Paolo operò a lungo almeno qui e prima in Corin­ to, e da questi due luoghi fece scappate in altre regioni (Illiria [Rom. 16,r9] da Corinto ? ) , e poiché inoltre la cesura tra quelli che son detti il secondo e il terzo viaggio in Atti r8,22-2 3 è molto poco marcata, si può parlare di «viaggi» solo nel senso di una rassegna ordinatrice della sua at­ tività (v. sopra, n. 73) . Secondo Atti 28,30, dopo l'arresto in Gerusalemme (circa nel 57 d.C . ? ) , il procedimento giudiziario e il viaggio a Roma (circa nel 6o? ) , Paolo poté operare ancora per due anni senza impedimenti. Evi­ dentemente è stato giustiziato in Roma (durante la persecuzione di Nero­ ne del 64 d.C . ? ) , poiché le lettere pastorali (v. sotto, 20. 1 ) non sono in grado di attestare un suo ritorno in Oriente. Il suo martirio, awenuto do­ po che egli era giunto fino all'estremo Occidente (Spagna: Rom. 15,24?) è menzionato in I Clem . 5 nel 95 d.C. 9· 3 · Lettere di Paolo: ampiezza della raccolta . Tutte le sue lettere (tranne quella breve a Filemone) Paolo le ha dettate, e di sua mano ha aggiunto soltanto i saluti ( I Cor. r6,2r ; anche Gal. 6 , r r riguarda probabilmente la parte conclusiva) .75 Le cose importanti venivano scritte su pergamena, le brevi notizie incise su tavolette d'argilla. Per le lettere si usava per lo più il papiro, che consisteva in strisce sottili tagliate dallo stelo del papiro e incollate l'una all'altra e che presentavano una superficie ruvida, permea­ bile, su cui non era facile scrivere. Avvolte attorno al bastoncino e munite all'esterno dell'indirizzo, venivano poi spedite. Paolo durante la dettatura spesso si corregge (I Cor. r , r6) e non evita affatto frasi spezzate (Rom. 2 , 17/2 1 ; 3,8; 5 ,6-8 . 1 2 / 1 5 ; 9,22-24; Gal. 2,4-6 ) . 74· Poiché non esistevano tende d i cuoio, l'idea che Paolo fosse u n «lavoratore del cuoio>> è senza dubbio errata. Quelli che confezionavano tende erano artigiani appartenenti al ceto medio (P. Lampe, Paulu.r­ Ze/tmacher: BZ 3 I [1987] 256-261).

75· Anticamente chi scriveva lettere si trasferiva sempre col pensiero al momento in cui la lettera sarebbe stata letta: «ho scritto» non va riferito a un fatto precedente, ma è eguale a «scrivo».



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Le tredici lettere attribuite a Paolo e la lettera agli Ebrei, dove la men­ zione di Timoteo in 1 3 ,23 vuoi forse suggerire che Paolo è il mittente, so­ no chiamate con il nome dei loro destinatari, le sette lettere «cattoliche» o «ecumeniche», cioè destinate ad una cerchia più vasta di comunità, con il nome del loro autore. Sette delle lettere sono in genere riconosciute come di Paolo, sette (ivi inclusa la lettera agli Ebrei) attribuite ad altri autori (v. sotto, 9.4) . Oltre alla prima e alla terza lettera ai Corinti (I Cor. 5,9 ; 2 Cor. 2,4; ma v. sotto, 11.1 ) anche la lettera ai Laodicesi menzionata in Col. 4, 16 è andata perduta. 9+ Le lettere sono autentiche e integre? Non si può stabilire con cer­ tezza se le lettere a noi giunte corrispondano esattamente a quelle scritte da Paolo o se, più tardi, durante la raccolta, siano state rielaborate, forse anche in modo da riunirne due o tre in una sola (2 Cor. , v. sotto, 1 2 . 1 - 3 ) . Fatti paralleli non s i possono facilmente documentare. Nell'antichità let­ tere non autentiche, anche intenzionalmente falsificate (ad esempio quelle attribuite a Platone) sono relativamente frequentF6 Una lettera di Gere­ mia, che sicuramente fu scritta solo molto più tardi, si trova nella tradu­ zione greca dell'Antico Testamento. N el corso della trasmissione molti testi sono stati cambiati o integrati. In particolare si può facilmente dimo­ strare che versi di Omero e di Esiodo furono citati, trasformati, anche in­ ventati e, col ricorso a notevoli aggiunte, presentati come testimoni della verità della fede giudaica.77 Aggiunte cristiane a scritti giudaici possono es­ sere chiaramente riconosciute nei Libri Sibillini, nei Testamenti dci Dodi­ ci Patriarchi e in Flavio Giuseppe. Un testo utilizzato dalla Didaché, un ordinamento ecclesiastico siriaco (fine del 1 secolo d.C . ? ) o anche la Di­ daché stessa, sono liberamente ripresi e sviluppati nella Lettera di Barna­ ba, nel Pastore di Erma, nel cosiddetto Ordinamento Ecclesiastico Apo­ stolico e nelle Costituzioni Apostoliche. Nel contenuto le traduzioni dif­ feriscono spesso dall'originale. Per esempio, i titoli interessanti «l'essere umano / l'uomo» in Hen. aeth. 89, 1 . 9 mancano nei frammenti aramaici dell' originale.78 Spesso è stata avanzata l'ipotesi che nella maggior parte delle lettere di Paolo a noi giunte siano stati uniti più scritti (v. sotto, 10. 1 ; r r . 1 ; 1 2 . 1 - 3 ; 14. 1 ) e per quanto riguarda l a seconda lettera ai Corinti si deve forse vera(HKA W I/2) 1 37 s. 140. 143. 145. 237, cfr. in· dice analitico; per il giudaismo: M. Hengel, Anonymitiit, P•eudepigraphie und «litt?rarische Flilschung» in der judisch-hellenistischen Literatur, in Pseudepigrapha, Genf 1 972, 2 31 -329; inoltre N . Brox (ed. ) Pseu­ depigraphie in der heidnischen undjiidischen Antzke, 1977 (WdF 484).

76. W. Speyer, Die literarische Fiilschung im Altertum, 1971

77. N .

Walter, Der Thoraausleger Aristobulos, 1964 (TU 86) 150-166.

78. E. Schweizer, Menschensohn und eschatologischer Mensch im Judentum, in Id., Neues Testament und Christologit? im Werdm, Gèittingen 1982, u 3 .

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mente pensare che essa risulti dall'unione di due lettere. Sarebbe tuttavia esagerato dichiarare che, per quanto riguarda i particolari, l'onere della prova spetta a chi afferma che un determinato passo è stato aggiunto più tardi o corretto, ma che per quanto riguarda l'intero scritto lo stesso one­ re spetta a chi presuppone l'unitarietà e l'integrità di una lettera di Pao­ lo.79 Per quanto ne so, non esistono altri casi in cui lettere diverse siano state (spezzettate e) riunite a formarne una sola. Certamente nei libri pro­ fetici dell'Antico Testamento sono raggruppati brani di tempi e di autori diversi e i vangeli contengono materiale preso da fonti molto varie, ma en­ trambi i casi sono assai differenti e all'inizio non si trovava un tutto in sé compiuto com'era una lettera dell'apostolo. È anche difficile immaginare come in una «scuola di Paolo» certe lettere potessero essere non solo uni­ te l'una all'altra, ma anche scomposte in parti e poi ricomposte in modo nuovo. Certe lettere di Paolo furono sempre considerate «Sacra Scrittura» più di altri testi e sicuramente anche più frequentemente trascritte. Che non si trovino tracce di una lettera originaria non ancora rappezzata con altre, sarebbe invero possibile; gli inserimenti di Rom. r6,25-27 e I Cor. 14,34-35 hanno lasciato tracce nei manoscritti, ma non quello di 2 Cor. 6, r4-7, r , che pure difficilmente faceva parte della lettera originale. In ogni caso non c'è da aspettarselo senz'altro. Vere difficoltà presenta solo la seconda lettera ai Corinti (v. sotto, r 2 . r ) . Non si può così giungere alla certezza e nel seguito della nostra trattazione si potrà soltanto far menzio­ ne dei motivi che fanno pensare a una eventuale suddivisione. 2 Tess. , Col. , E/ , rf 2 Tim . e Tit. quasi sicuramente sono state scritte da discepoli di Paolo. Comunque la lettera agli Ebrei viene solo assai di rado e molto tardi attribuita a Paolo. A quel tempo aweniva spesso che certi discepoli pubblicassero i loro scritti nel nome del loro maestro, per dire con questo che tutto quanto scrivevano l'avevano imparato da lui. Il con­ cetto di «proprietà intellettuale» come noi oggi lo intendiamo, non esiste­ va. A ciò si aggiunge che la comunità era convinta che, in virtù dello Spi­ rito santo, la parola dell'apostolo fosse ancor sempre viva tra loro e af­ frontasse direttamente i loro problemi. Quando uno non aveva una posi­ zione riconosciuta e voleva opporsi nel nome di Paolo ad una corrente pericolosa, doveva far parlare Paolo stesso per essere ascoltato. Ciò non esclude che certe annotazioni come quella che si ha in 2 Tess. 3 , 17, dove è messa in rilievo l'autenticità della firma, o la citazione di nomi di persone 79· W.O. Walker, The Burden ofProo/ in ldcntifying ln terpolatio ns in the Pauline Letters: NTS 33 (1987) 6ro-618. W. Schmithals, Die Briefe des Paulus in ihrer urspriinglichen Form, Ziirich 1984, conta tredici lettere inviate a Corinto (pp. 19 s.), cinque a Tessalonica (p. rn, con integrazioni del redattore) , inoltre tre a Filìppi (p. 99), due a Roma (p. 125) ed una (Rom. r6) ad Efeso (p. 158).



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che si trovano presso Paolo, come in E/ 6,21 ; 2 Tim . 4,19-2 1, siano mezzi discutibili per dare alla lettera una parvenza di autenticità.Ho 9·5 · Carattere di una lettera. Sorprende che tra i 27 scritti neotestamen­ tari siano state accolte nel canone 21 lettere. Certo, esse si trovano tutte al secondo posto dopo i vangeli, che in un primo tempo (nel r8o circa) sono de signati come «Scrittura» o «i libri», poiché la comunità trovava in essi il fondamento posto una volta per tutte, Gesù Cristo ( r Cor. 3 , u ) . Ma già il fatto di una raccolta di lettere mostra che nel N uovo Testamento non si tratta semplicemente di informazioni riguardanti avvenimenti passati (e nei loro effetti ancora vivi) ma di parola rivolta come messaggio al presen­ te concreto. Quindi la sostanza del Nuovo Testamento, cioè il messaggio di Gesù Cristo, non si può cogliere se non nel fatto che essa esprime il rapporto di Gesù con Dio, con il mondo e soprattutto con gli ascoltatori o lettori del messaggio. In primo piano può trovarsi il suo rapporto con Dio o con il mondo, ma anche allora in modo da includere il significato che ha per chi ascolta e chi legge. Già la forma della lettera in quanto tale è interessamento alla situazione particolare del destinatario (v. sopra, 6 . 1 ) di modo che l'aiuto determi­ nante sta nel conforto che viene da ciò che è accaduto già da tempo da parte di Dio, al di là di ogni forzo dell'autore e del destinatario. Nelle let­ tere si tratta perciò di un presente molto concreto, di una situazione ben determinata per la quale esse sono scritte, ancor prima che fosse scritto il primo vangelo (ma cfr. sopra, 7.2), e proprio così anche del solo avveni­ mento di cui parlano i vangeli. In questo senso appare chiaro che «la Pa­ rola si è fatta carne» (Gv. r , r4) e può essere udita solo se penetra di volta in volta nella situazione umana. Un'acqua assolutamente pura, distillata, anche l'acqua di diretta fusione sui monti, non spegne la sete, ma la spe­ gne solo quando ha accolto in sé i minerali, in certo modo quindi le im­ purità del terreno attraverso il quale è passata. Anche il messaggio del Nuovo Testamento non avrebbe portato alcun aiuto, se non fosse pene­ trato nel mondo di allora e non venisse trasposto in quello odierno. Auto­ correzioni (v. sopra, 9.3) ricordano quanto anche i destinatari siano pre­ senti con la loro situazione e i loro problemi quando Dio vuole esprimer­ si, e fratture di frasi non corrette segnalano quanto sia difficile parlare adeguatamente, in linguaggio umano, di colui che nessuna parola d'uomo può esprimere. In questi scritti così fortemente condizionati dalla storia, la cui scelta sembra essere anch'essa storicamente «accidentale» (v. sopra, 9· 3-4) e non si limita affatto ad un genio, Paolo, ma fa parlare collabora8o. N. Brox, Falsche Verfasserangaben, r975 (SBS 79) , specialm. 45·48. 57·67. Del resto per tutte le lette· re c la relativa bibliografia più recente cfr. ANRW 25.4 ( 1 987).

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tori, discepoli, anche testimoni completamente diversi {lettere di Giovan­ ni) e critici di Paolo (lettera di Giacomo) , la comunità ascolta la «parola di Dio predicata da noi>>, come Paolo dice in 1 Tess. 2 , 1 3 . 9.6. Fede in Gesù. L'importanza teologica d i Paolo consiste nel fatto che come nessun altro egli nel tempo dopo la pasqua ha affrontato la questione: che cosa significa annunciare ora Gesù?8' Già le comunità che aveva perseguitato prima della sua conversione c nelle quali aveva iniziato la sua vita di missionario non si sono limitate a trasmettere il messaggio di Gesù e a mantenere vivo il ricordo delle sue azioni, ma lo hanno predicato come crocifisso e risorto e come colui che un giorno verrà a portare a compimento tutte le cose (v. sopra, 5 ) . Paolo si trova quindi fin dall'inizio nella tradizione delle comunità cristiane della diaspora giudaica (Dama­ sco, più tardi Antiochia) e la riprende anche intenzionalmente nelle sue formule e in alcune citazioni. Tuttavia l'ha anche teologicamente rielabo­ rata con forza straordinaria e ha indicato così, per secoli, alla predicazio­ ne di tutta la chiesa quale fosse la direzione da seguire. Che cosa significa nel tempo dopo la pasqua annunziare Gesù come colui che è sempre, e ora più che mai, vivente? Paolo parla della fede «in Gesù» o del fatto « che Gesù è morto e risorto per noi». Si tratta di una formulazione nuova. Con essa Paolo non vuoi semplicemente designare un tener-per-veri certi principi o certi fatti storici: egli parla spesso anche del «morire e risorgere con Cristo» e del «vivere in Cristo», esprimendo così chiaramente che la salvezza sta in ciò che Dio ha operato nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Essa non sta quindi nel nostro entusiasmo o nei nostri sforzi, e nemmeno nel vigore della nostra fede e nell'intensità della nostra esperienza di Dio. Certamente per Paolo la fede è vita nuova nella fiducia in quel Dio che ci viene benevolmente incontro in Gesù Cri­ sto. Ma ciò che Paolo ha compreso in Gesù e ha sottolineato con straor­ dinaria chiarezza è il messaggio che gli alti e bassi di questa vita di fede non decidono della nostra salvezza. Esiste perciò un'unica base solida: Gesù Cristo stesso ( 1 Cor. 3 , r r ) . Egli vuoi vivere e vivrà in noi, ma noi sia­ mo salvi non in virtù della nostra fede ritenuta perfetta, ma perché tali siamo divenuti mediante la sua vita, morte e risurrezione, completamente e per sempre. Perciò egli agisce anche in noi in modo che tale fiducia e tale fede prendano sempre di nuovo forma nella vita in tutti i suoi aspetti. 9·7· Paolo nell'immagine dei suoi lettori. Perciò è comprensibile che Paolo già durante la sua vita sia stato violentemente discusso e lo sia tut­ tora. Certi giudeocristiani vedono in lui, forse già all'inizio del n secolo, il grande impostore che in base a una discutibile visione combatte l'attendi8 1 . Rassegna: O . Merk, Paulus/orschung 1936·1985 : ThR 53

(1988) I-81.

10.

La prima lettera ai Tessalonicesi

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bile messaggio di Pietro che era vissuto con Gesù e ne aveva ascoltato il messaggio (Ps. Clem. , hom . 17, 14-19) . 2 Pt. 3,15-16, all'incirca in questo tempo, riconosce Paolo come «caro fratello», ma dichiara anche che è molto difficile da comprendere e perciò da qualcuno viene anche travisa­ to. Per Agostino, Paolo fu determinante; nello studio di Lutero sulla let­ tera ai Romani (1515/16) si ha il vero e proprio scoppio della Riforma. La teologia dialettica ha avuto inizio con l'esegesi della lettera ai Romani di Karl Barth del 1919 e 1922. Mentre Friedrich Nietzsche riconosce in Pao­ lo il « cinismo logico di un rabbino» e pensa che alla «lieta novella» sia se­ guita da vicino la peggiore di tutte: quella di Paolo, oggi viceversa gli vien rivolto il rimprovero di aver inaugurato con miti pagani della natura una pagana, anzi bizantina, teologia del Kyrios e di corte, e di aver così tradito la sua eredità giudaica. 8 ' Altri vedono in Paolo assolutamente un giudeo, fino a che non lo si fraintende e non lo si interpreta alla luce di Agostino e di Lutero. 8 � È stato e continuerà ad essere aspramente discusso se Paolo abbia del tutto falsificato Gesù, se si sia dovuto distanziare almeno da una parte della tradizione su Gesù, 84 o se sia stato l'unico a riconoscerlo nel suo significato più profondo.8J 10.

La prima lettera ai Tessalonicesi

ro. I . Unitarietà, luogo d'origine, datazione. In 1,2-5 + 3,n-13 e 2,13 + 5,23-28 si possono scorgere due diversi inizi e due diverse conclusioni epistolari; si può inoltre rilevare la differente situazione in 2, 17-3.4 e 3,610 e supporre che siano state unite insieme una lettera di raccomandazio­ ne data a Timoteo (all'incirca 2,1 -3.4 [senza 2,1_5- 16] ; 3 , n -4,8) e una let­ tera scritta dopo il suo ritorno ( all'incirca 1 , 1 - 10 ; 3,6 10 ; 4,9-5,28 [senza 6 4,18; _5 ,27 ] ) . 8 Ciò è possibile ma in realtà difficile da immaginare (v. so­ pra, 9·4) . -

82. G. Bornkamm, Paulus, 1\)69 (UB I I 9 ) 2.36 e 238 ( - E. Bloch ) .

83. C oncet to formulato in modo aggressivo già nel 1966 d a K. Stendahl (Pau! among ]ews and Gentzles, Philadelphia 1976, specia lm . 12-17. 78-96 ) ; poi E.P. Sanders, Pau!, the Law and the ]ewish People, Phil­ adelphia 1983, riepilogo pp. 207-2I0; inoltre M.D. Hooker, in Pau! and Paulinism (Fs. CK Ba rrett) London 1982, 47-56; ].D.G. Dunn, The New Perspective on Pau!: BJRL 65 ( 1983) 9 5 1 2 2 ; E. Schweizer: ThLZ 109 ( 1 984) 666-668; equilibrato: P. Stuhlmacher, Paulus und Luther, in Glaube und Eschatologie (Fs. W.G. Ki.imme!), Tii binge n 1985, 285-302. ,

-

84. L.E. Keck, Pau! and His Letters, Philad el p h ia 1979, 46 .

85. W.G. Kiimmel, Jesus und Paulus: ThBI 19 (1940) 209 23 1 sp ecial m ente 221 s . ; E. Jiingel, Paulus und ]esus, 1 962; ]. Blank, Paulus und ]esus, 1968 (STANT r 8 ) ; H. Weder, Das Kreuz Jesu bei Paulus, 1981 (FRLANT 125) 34-44, specialm. 38-40; H. Bra u n , Jesus, Stuttgart 1984, 259-270, e, in generale, From ]esus to Pau! (Fs. F.W. Beare, Waterloo, Ont. 198 5 ) . -

86. Cosl all'incirca Schenke-Fischer (n. 2 ) diversa delle singole sezioni.

1,

,

65-7I , che tuttavia suppone u n a successione completamente

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Secondo 3 , 1-2.6, Timoteo, che Paolo aveva mandato da Atene a Tessa­ Ionica, è ritornato da lui (a Corinto ? ) . Questa è probabilmente la situa­ zione descritta in Atti r8,5, di modo che si tratta della più antica lettera di Paolo a noi giunta. Ciò vale sia che la si ponga nel 50-52 circa, sia dieci anni prima (v. sopra, 9 . 1 ) . ro.2. La predicazione missionaria paolina. I n 1,9-10 (vedi sopra, 5 . 2) è espressamente riassunta la predicazione missionaria di Paolo, di cui fa parte la predicazione dell'unico Dio e il distacco dagli idoli Ciò è interes­ sante perché le due cose non appaiono in altre lettere di Paolo, ma vi sono presupposte. In un certo senso, dunque, spesso i contenuti più importan­ ti della predicazione non sono più quelli espressi ma quelli presupposti. Le lettere hanno una funzione diversa dalla predicazione missionaria fon­ damentale e non ci si deve aspettare un'uguaglianza di contenuto. Ciò po­ trebbe valere anche per quanto Paolo ha raccontato e più tardi presuppo­ sto su Gesù. 87 Della prima predicazione fa parte anche l'annuncio del giu­ dizio, che Paolo pensava ancora che sarebbe avvenuto prima della sua morte (4,17) . Ma in entrambi i casi non si tratta semplicemente di una istruzione generale sulla unicità di Dio e sul fine della storia universale. Dio è predicato come colui che ha risuscitato Gesù, e il giudizio come luogo dell'incontro con Gesù salvatore. In 4,14 si parla in forma stereoti­ pa «del morire e risorgere di Gesù» (l'espressione propria di Paolo sareb­ be stata: «essere crocifisso e risuscitato») e in 5 , ro del suo «morire per noi» (v. sopra, 5 .4-5 ) . Indubbiamente, dunque, l'annuncio della morte ( avvenuta «per noi») e della risurrezione di Gesù è già qui fondamento della predicazione paolina, come attesta anche I Cor. 15,3, secondo cui la predicazione della morte di Gesù per noi e della sua risurrezione ebbe luogo «fin dall'inizio» (o: «prima di tutto)> ? ) . Ma Paolo, presumibilmen­ te, non ha parlato esplicitamente della risurrezione dei morti, sebbene egli, come fariseo, vi credesse. 88 È vero che la connessione della risurrezio­ ne dei morti con quella di Gesù viene illustrata per la prima volta nella controversia con i Corinti, mentre qui (come in I Cor. I),j i ) normale è ancora il rapimento, il che però non rende necessaria una datazione molto alta (v. sopra, 9 . r ) . ro. 3 · Attesa della parusia imminente. Indubbiamente l'attesa del futuro era diventata un problema, poiché alcuni membri della comunità erano morti e i Tessalonicesi si chiedevano dubbiosi se per costoro non fosse andata perduta la speranza nel ritorno di Cristo. Paolo, il quale ritiene .

z Tess. 1,6 parla di «imitazione del Signore», presupponendo quindi almeno la conoscenza della gio· iosa fiducia in Dio nutrita da Gesù anche nel dolore. 88. Su questo richiama l'attenzione anche Liidemann {n. 73) 263 s.

87.

10.

La prima lettera ai Tessalonicesi

75

che essi, in gran parte, come anche lui stesso, sarebbero rimasti in vita fi­ no alla venuta del Signore e poi sarebbero stati rapiti (4,15), non ha forse prima tenuto affatto conto dei possibili casi di morte. La sua risposta è importante perché relativizza l'attesa a breve termine ancor sempre pre­ supposta; infatti è di secondaria importanza che questa si adempia mentre ancora siamo in vita o dopo la nostra morte, poiché il vivere «in Cristo» non viene annullato dalla morte, ma per tutti porta al definitivo essere «con Cristo» (4, 16- q; v. sotto, 14.4) . Anche per questo Paolo parla qui ancora liberamente di «spirito, anima e corpo» (5,23) e non si dà ancora pensiero dello Spirito di Dio (che agisce anche nel credente) il quale, co­ me poi è esposto in I Cor. 15,44-45 ·50, è in contrasto con «carne e san­ gue», anzi con l'elemento «psichico» (v. sotto, 1 1 . 5 ) . r o + Il centro teologico: «santi}i.cazione» . L a lettera mira propriamente alla «santificazione» della comunità (4,3+7) , all'incarnazione del messag­ gio udito, che venne annunciato «non soltanto con le parole, ma anche con potenza e Spirito santo e in piena certezza» (1,5) e ha assunto corri­ spondente forma nella comunità. I capp. 1 -3 volgono uno sguardo retro­ spettivo al primo, recente soggiorno presso i destinatari della lettera, con lodi e ringraziamenti che si trasformano in preghiera. Essi sono simili a quei primi salmi di lode che si trovano nella Bibbia, che in certo modo sono composti ancora in presenza dell'avvenimento salvifico (Es. 15; Giud. 5 ecc.) e che sfociano nell'invito ad informare la vita a questa gioia. In r,6; 2,14 ciò può essere descritto come «imitazione» dell'apostolo o delle comunità della Giudea e quindi anche del Signore. Paolo è del resto cauto nell'uso di questo concetto (che si ritrova solo in I Cor. 4,16; n , r ) , poiché la fondamentale diversità d i Gesù ( cioè di colui che è morto «per noi» e risorto) ma anche dell'apostolo, il cui messaggio non è parola d'uomo ma «parola di Dio predicata (a voi) da noi» (2,13), non deve esse­ re annullata. Ma qui tema peculiare è il dar forma alla fede; perciò Paolo ricorda il suo proprio comportamento perché esso può aiutare la comuni­ tà a vedere come la fede viene vissuta. Certo, anche questo è in definitiva solo opera di Dio (5,23 ) , ma la comunità, rendendo grazie e giudicando con prudenza, deve creare spazio al suo spirito e alla sua parola e !asciarli agire (5,18-22). L'invettiva contro una parte ( ! ) dei giudei in 2,14-16 non è naturalmente di tipo razzistico, ma è rivolta contro gli impedimenti op­ posti alla missione alle genti. Che ora la collera divina si sia rivolta contro di loro non è in ogni caso, supposto che non si tratti addirittura di una glossa non paolina aggiunta solo dopo la distruzione di Gerusalemme,89 l'ultima parola dell'apostolo (v. sotto, 12.5 e r6.4) . 89. SuDa discussione vedi Holtz (n. 7 3 ) 97, specialm. n. 431 ; W. Trilling, Die Brie/e des Paulus an die Thessalonicher, in ANRW 2-'·4 (1987) 3391 .

11.

La prima lettera ai Corinti

r r . r . Unitarietà} luogo} data. Già da tempo si suppone che parti della lettera precedente, nominata in 5,9, o, a prescindere dall'introduzione e dalla conclusione, persino tutta questa lettera, siano state inserite nella nostra prima lettera ai Corinti. Ciò risulta qui particolarmente probabile per il fatto che nella seconda lettera ai Corinti l'unitarietà molto diffi cil­ mente si può sostenere (v. sotto, 1 2 . 1 ) . Per lo più si pensa a (5,1-8; 6,r­ rr) 6,1 2-20; 9,24-10,22 ; r r ,2-34; ma sono state presentate svariate propo­ ste.90 Benché la suddivisione in materiale di due, tre o anche più lettere sia oggi largamente ammessa, non è possibile giungere alla certezza (v. sopra, 9·4· e sotto, 12.3) . In ogni caso la nostra prima lettera ai Corinti fu scritta in Efeso, dove Paolo, secondo 16,5 .8 (cfr. Atti 19,21 ) , intende restare an­ cora fino a pentecoste per poi andare in Grecia passando per la Macedo­ nia. Se sono esatti i dati cronologici di Atti 20,3 .6, secondo cui Paolo po­ co dopo la pasqua ha lasciato di nuovo la Grecia dopo un soggiorno di tre mesi, presumibilmentc è partito da Efeso solo nell'autunno. Aquila e Pri­ sca, che egli ha conosciuto durante la sua prima visita a Corinto durata un anno e mezzo e presso i quali ha lavorato (Atti r8,2-3, cfr. 7) , sono ora con lui (1 Cor. 16, 19) . Secondo Atti 18,18 a suo tempo sono partiti con lui per Efeso. Paolo ha udito qualcosa dalla «gente di Cloe» ( r , r r ) e ha rice­ vuto una lettera (7, 1) portatagli forse da Stefana, Fortunato ed Acaico (r6,17), alla quale ora risponde punto per punto (7,1 .25 ; 8,r; r2, r ; cfr. 16, r . r 2 ) . Ha mandato Timoteo a Corinto, ma evidentemente questi non vi è ancora giunto (4,17; r6,IO) . Apollo, che secondo 3 ,6 e Atti r8,27-19,I ha già operato in Corinto, non vuole accompagnarlo nonostante il consiglio dell'apostolo (r6,12) . La maggior parte della comunità di Corinto, città di porto e di quartie­ ri di divertimento, appartiene agli strati socialmente bassi e anche moral­ mente discutibili ( 1 ,26-29; 6,9- r r ) ; ma per la comunità sono importanti persone di ceto più alto, che possono anche mettere a disposizione casa e viveri per i pasti in comune ( 1 1 ,21-22; Rom. 16,23) .91 1 1 ,5 presuppone che 90. Rassegna dì tutti ì tentativi fatti finora e una propria proposta in G. Sellìn (n. 73) 2964-2982. Non sì dovrebbe separare il cap. 13 dal contesto dei capp . 12-14, poiché anche in Rom. 1 2 ,9a l'invito all'«amore» chiude la sezione sui doni della grazia (vv. 3-8) e conduce a quella che tratta del modo di comportarsi nella comunità (e nel mondo) (vv. 9b-21 ) , cfr. E. Schweìzer, in Cbarisma und Agape (r Ko 12-14), 1983 (Ben., monogr. Reihe 7) , 43· L'unitarietà è dimostrata da A. Strobel, Der erste Brief an die Korintber, 1989 (ZBK) 12 (esclusa la glossa 14,33b-35 [ibid. 223 s.] ) .

9 1 . G . Theissen, So1.ia!e Integration und sakramentales Handeln : NT 2 4 (1974) 179-205 ( a I Cor. n) Studien (n. 9) 290-317; cfr. Id., Christo!ogie und Sozialerfahrung (a I Cor. 12) - Studien (n. 9) p6·JJO. Che in piccole città, per esempio della Galazia, la situazione apparisse diversa, è posto in rilievo da G. Schollgen, Was wissen wir iiber die So1.ia!struktur der pau!inischen Gemeinden?: NTS 34 ( 1 988) 73· Che colà sia esistito un tempio alla dea dell'amore con mill e prostitute, sembra in realtà essere un equivoco;

11.

La prima lettera ai Corinti

77

anche certe donne intonino la preghiera e profetizzino durante il servizio liturgico,9, il che però non si accorda con 14,34-3 5 , secondo cui durante tale servizio esse dovrebbero tacere; ma poiché questa annotazione in di­ versi manoscritti è introdotta solo dopo il v. 40, probabilmente è una no­ tizia marginale aggiunta più tardi, che alcuni copisti hanno inserita là do­ ve a margine incomincia, altri dove finisce (ma cfr. sotto, 20.4) . 1 r . 2 . Kerygma e vita . Nessun'altra lettera mostra in modo così forte la penetrazione del messaggio nella vita concreta della comunità. Due cose sono determinanti: Paolo non formula la sua predicazione in frasi sciolte dal tempo e dalla situazione, ma la espone in frasi molto pratiche, che di­ mostrano riconoscenza, che ammoniscono, esortano, informano tutta la vita, e queste non sono mai motivate soltanto dalla loro possibile utilità, dalla loro conformità alla morale o da riflessioni razionali, ma sono sem­ pre presentazione del messaggio centrale di Gesù Cristo crocifisso e ri­ sorto.91 Ci si può certo chiedere se ciò riesca sempre e se le corrispondenti decisioni siano sempre giuste, ma è chiaro che si tratta di questa predica­ z ione centrale e che essa, secondo il pensiero di Paolo, può essere com­ presa solo se penetra nella vita concreta della comunità, in tutta la sua problematica e nelle sue molteplici esperienze. 1 , 1 8-2,16 concentra s u l Crocifisso tutto ciò che Paolo ha da dire; il cap. 1 3 vede nell'amore senza limit i il modo in cui la fede in lui può essere vissuta e il cap. 15 annuncia la risurrezione di Gesù, e con ciò anche la risurrezione dei morti in gene­ rale, come l'avvenimento senza il quale tutta la fede sarebbe vana. Qui le &asi sulla croce e sulla risurrezione sono enunciati che determinano la vi­ ta della comunità e l'invito all'amore è invito a vivere (7,5) non è comprensibile se si trovassero immediatamente l'uno dietro l'altro. Si dovrebbe quindi almeno ammettere che il redattore abbia di sua iniziativa ricomposto 7,5 .

12.

La seconda lettera ai Corinti

85

quella contenuta nei capp. ro- 1 3 . Con questa lettera manda Tito, che essi

conoscono già da una sua prima visita durante l'organizzazione della col­

letta, e si aspetta di incontrarlo poi a Troade (2, 1 2 ) . In un primo tempo

aveva deciso di andare in Macedonia passando per Corinto e, nel viaggio

di ritorno per andare a Gerusalemme, fermarsi ancora una volta a Corinto ( r , I 5 - r6 ) , cosa che poi non gli riuscì ( 1 ,2 3 · 2 ,2) . Ancora in Asia, quindi probabilmente ad Efeso, Paolo corre un grave pericolo che mette a rischio la sua vita ( 1 ,8-9) ; si reca poi (v. sopra, r r . r ) in Macedonia dove incontra Tito ( 2 , 1 2 - 1 3 ; 7,5-7) . Gli Atti degli Apostoli tacciono su tutte queste

complicazioni e raccontano soltanto che Paolo si reca a Corinto, dove ri­ mane per tre mesi per partire poi, in compagnia di Timoteo e di altri, per Gerusalemme passando per la Macedonia (20,2-5) . Ciò è confermato d all a lettera ai Romani, che deve essere stata scritta in Corinto o nelle sue vicinanze, dato che Cenere ( r6, r ) è un sobborgo di Corinto. Poiché si p re su ppo ne un buon rapporto con la comunità, tutte le difficoltà sono state dunque appianate (15 ,25-29, v. sopra, r 2 . r ) . 12.5. Anche esperienze e prestazioni religiose possono essere «carne>>. Non esiste altra lettera in cui, come in questa, emergano, almeno in bre­ ve, qua s i tutte le affermazioni centrali dell'apostolo e al tempo stesso sia­ no dette con tanta straordinaria partecipazione personale alla situazione conc ret a I c ap p ro-r3, che prcsumibilmente furono scritti in preced en za, mostrano il duplice carattere del ministero apostolico, che corrispon­ de al e un «vivere per Dio», quin­ di qualcosa che muta il nostro rapporto con . . . , di modo che ora tutto pas­ sa dalla morte alla vita e non più viceversa. In 6,15 egli chiama questo av­ venimento «nuova creazione» . Non si tratta dunque di contrapporre ora alla circoncisione l'incirconcisione; non giova né l'affermare la circonci­ sione né il rinunciarvi, ma soltanto il sapere che con Gesù Cristo ha avuto inizio un mondo nuovo in cui non sono determinanti «né circoncisione né incirconcisione, né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna» (3,28), ma solo la vita in Cristo che tutti riunisce in un sol uomo (3,28; v. sotto, r6. 3 ) . 1 3 + Giustizia donata. Movendo di qui Paolo interpreta i n modo nuovo l'Antico Testamento. La promessa fatta ad Abramo include tutti i popoli (3,8) e ciò si è awerato in Gesù Cristo in cui tutti sono riuniti (3,28). Egli è il «discendente» previsto dalla promessa (come afferma 3 , 16 con una in­ terpretazione in sé molto discutibile) , proprio perché in nostra rappre-

1 3 . La lettera ai Galati

91

sentanza ha portato la maledizione posta dalla legge sopra la morte di croce ( 3 , 1 3 ; 4,4-5 ) . Perciò la legge data sul Sinai, e con essa l'attuale Ge­ rusalemme terrena, fa parte della discendenza generata da Abramo me­ diante la schiava Agar secondo riflessioni puramente umane («secondo la carne » ) . l sacco e la sua discendenza invece sono generati dalla promes­ sa stessa di Dio («mediante la promessa»; v. sotto, r6.5) alla libertà del­ la Gerusalemme celeste (4,2 1 -28) . Tanto strana appare questa allegoria, quanto decisivo è il passo in essa compiuto (v. sotto, r6.3) . Ciò che Paolo chiama «fede» è la vita nel mondo nuovo, che è discesa sugli uomini (3 ,23). In essa un incirconciso può essere accolto come fratello e uno che non mangia secondo le prescrizioni della legge come commensale. Ciò non avviene per il fatto che sia stata compiuta una particolare prestazio­ ne, ma perché lo « spirito» o la «promessa» stessa produce la vita fintan­ toché il credente non fa marcia indietro e non si riprende in mano la sua vita stessa conformandola a criteri e ordinamenti umani. Mentre l'essere giusti di r Tess. 2 , 10 designa ancora, senza una più precisa descrizione, il retto comportamento dell'apostolo di fronte alla comunità, ora, in consi­ derazione dell'incomprensione dei Galati, viene ancor più decisamente affermato che tale giustificazione perviene all'uomo da Gesù Cristo ( 2 , 16 17), non semplicemente dall'agire umano conforme alle norme della legge (2,2 1 ) . Non è più Paolo che vive, ma è Cristo stesso che vive in lui (2,20) . 1 3 - 5 · La vita come frutto dello Spirito. Tuttavia si tratta di una vita nuo­ va, che Paolo esortando al bene descrive in 5 , 1 -6,ro e che in 6,2 designa con l'espressione «legge di Cristo». Ora, tutta la lettera, intesa forse, se­ condo lo schema retorico in uso a quel tempo e insegnato nelle scuo­ le, anzitutto come una difesa (quale è tenuta in giudizio) , si può dividere in: introduzione ( 1 , 1 - r r ) , racconto ( r , r 2- 2,14), tesi ( 2 , 1 5 - 2 ! ) , argomenta­ zione ( 3 , 1 -4, 3 1 ) , epilogo (5,1-6, 1o) e riassunto (6, n -r8) . "'H Ma proprio in questo modo risulta evidente che questa parte parenetica contenuta in 5 , 1 6,ro esce, propriamente parlando, da questo schema e passa in un altro genere, cioè in quello deliberativo, di modo che non si tratta, come nel primo caso, di contrapporre il meglio al peggio, ma della decisione unica­ mente possibile di fronte a questa nuova creazione'"'' ( cfr. sotto, 16.3) . La fede perciò non può essere altro che il «formarsi di Cristo in noi» (4,19), cioè l'azione dell'amore (5,6 ) . In contrasto con la molteplicità delle 108. Così H.D. Betz , Galatians, Philadelphia 1 979; inoltre R.G. Hall, The Rhetorical Outlim· /or Gala· tians - A Reconstderation: JBL 106 ( 1 987) 277- 287; exordium 1, 1 - 5 , proposition 1 ,6-9, proof: A. narration I , I0-2· 2 1 , B. further headings 3 , 1 -6,10, epilogue 6, n - r 8 , dove Hall presuppone lo s chema del dis co rso deliberativo, non quello del discorso giudiziario come Bctz.

109. W. Harnisch, Einubung des neuen Seins: ZThK 84 ( 1 987) 286

the Truth , Edinburgh 1988 (indicato) .

s.

Ved i anche J.G. Barclay, Obeying

92

Paolo

«opere» della carne che sono evidenti, è questo l'unico «frutto» dello Spi­ rito, che tutto abbraccia, anche le nostre e le altrui debolezze e mancanze (5,19.22; 6,1-4) . Non si può credere se non vivendo, e la vita si deve espri­ mere nel pensiero e nell'azione, nel sentimento e nell'esperienza, nella ve­ glia c nel sogno. Essa ha trovato il suo posto come totalità nel mondo nuovo della libertà creato da Cristo e non può perciò diventare la «pista di decollo di un comportamento puramente umano» (della « carne») (5, 1 . 1 3 ; sotto, 22.4) . 1 3 .6. L'Israele di Dio nella speranza del compimento escatologico . Il fatto che il dono di Dio diventi un compito ( I Tess. ) viene qui dunque radical­ mente approfondito di fronte alla richiesta di un ritorno alla rigorosa os­ servanza della legge e dell'accusa rivolta alla predicazione paolina d'indur­ re alla irresponsabilità morale. Ciò avviene nel senso di un radicale contra­ sto tra la giustizia acquisita umanamente e la giustizia donata da Dio, che tuttavia non rimane astratta ma si realizza in una vita che non edifica più sulle proprie opere e sulla propria posizione e perciò può intendere positi­ vamente anche la propria debolezza come necessità di abbandonarsi alla forza di Dio. All'incirca nello stesso tempo, nella sua corrispondenza coi corinti Paolo deve ancora una volta in un'altra versione approfondire ta­ le argomento di fronte a coloro che contrappongono a Cristo non il loro adempimento della legge, ma la loro sapienza. Paolo conosce la fede come «frutto» prodotto dallo Spirito, che impronta ogni esperienza, ogni senti­ mento, ogni pensiero ed azione, ma sa anche che ciò apparirà chiaro sol­ tanto nel futuro definitivo di Dio : «> e «imitazione» sono designate con la stessa parola, ha favorito questo travisamento. Tuttavia la lettera agli Ebrei con la sua visione tipo logica dell'Antico Test amento presuppone un cammino che Dio ha intrapreso col suo popolo verso il Cristo. Questo cammino si continua nella comunità ( 1 2 , I - 3 . 12-16) fino all'ultima «venu­ ta» del «giorno che si approssima» e del suo giudice ( = Dio o Cristo ?, 10,25 ·37, cfr. 12,23 ) . Certo, si può discutere se primariamente si pensi, apocalitticamente, in categorie temporali al discendere della Gerusalem­ me celeste alla fine dei tempi o se, ellenisticamente, si parli in concetti spaziali dell'entrata definitiva nel mondo superiore da sempre esistente. Se nel primo caso si pensa piuttosto a un popolo di Dio «in attesa», nel secondo caso c'è sullo sfondo l'idea del viaggio dell'anima al cielo attra161 . E. Grasser, Hebr

r, r -4 :

EKK

v/3 (1971) 76 s.

2 1 . La lettera agli Ebrei

129

verso le cose terrene, che sono pura copia del reale mondo celeste, e con ciò il concetto del «popolo di Dio in cammino» (Kasemann) , anche se questo non è proprio il tema, ma «la base nascosta della lettera agli Ebrei».' 62 Certamente la comunità è già giunta a Dio e ai suoi angeli, alla Gerusalemme celeste e al festoso raduno degli eletti ( 1 2,22-2 3 ) , ciò che ancora una volta fa pensare a Giovanni (v. sotto, 29.7) ; ma la sua fede (non più in contrasto con le opere della legge come in Paolo) deve essere dimostrata come fedeltà, fermezza e resistenza nelle persecuzioni ( n , l 12 , 1 ) . I l pericolo d i apostasia incombe e per essa non esiste penitenza (!2,16-I?; 6,4-6 ) . Naturalmente qui non si ha un divieto di diritto eccle­ siastico di accogliere quei membri della comunità che erano caduti e che ora si convertono, '63 divieto che nel quadro di tutto il Nuovo Testamento è limitato anche dal comportamento di Gesù nei confronti di Pietro (Le. 22, 3 1 -34; Gv. 2 1 , 1 5 - ! 9 ) . 2 1 . 6 . Cristo, fine del culto . La lettera agli Ebrei ha fatto per la que stione del culto veterotestamentario, portato a compimento nel sacrificio di Ge­ sù Cristo offerto «una volta per tutte» (7,27; 9,12.28; I0,10. 14) , ciò che Paolo ha fatto per la questione della legge veterotestamentaria. Al posto della fede nel Cristo per noi morto e risorto, che abolisce le opere come precondizione della salvezza, nella lettera agli Ebrei subentra la fede in Cristo sommo sacerdote che sacrifica se stesso cd entra nel cielo, abolen­ do il rituale del culto come precondizione della salvezza (7, 1 8 ; 8 , 1 3 ; 10,9) . Ancor più che in Paolo, l'accentuata predicazion e della morte sacrificale include anche tutta l'attività terrena di Gesù (2,9- 1 8 ; 4,15 ; 5,7-9) . Tutto è chiaro, ma non è detto che cosa l'autore consideri un pericolo per i destinatari della lettera e che cosa vuol rilevare di fronte ad esso. Nella comunità, o in una parte di essa, c'è la tentazione di int rodurre un culto cristiano corrispondente a quello giudaico? Allora l'importanza sta tutta nella unicità e definitività del culto portato a compimento da Cristo e valido per tutti gli uomini e per tutti i tempi, e quindi anche nell'adora­ zione di Dio priva di culto della liturgia comunitaria. La difficoltà deter­ minante per la comunità sta nella sua stanchezza e rassegnazione o ancor più nella sua paura di fronte alla sofferenza? Allora la cosa più importante per l'autore sono le sue esortazioni, costantemente intramezzate ad affer­ mazioni sul Cristo e sulla sua salvezza, a resistere e a rip rendere sul serio la propria condotta di vita in Cristo, e la predicazione di ciò che da lui è già stato portato a compimento ne è la motivazione. Si deve forse pensare ad un gruppo di fanatici all'interno della comunità (distinti dai «tutti» che r62. Grasscr (n. 147) r65- 167. 179, in polemica con O. Hofìus. Cfr. Fischcr-Schenke (n. 2) n 263-269. 1'2) 1 14 s . ; Fe!J (n. 1") 3 584 s . : si p ensa soltanto al com p lesso Jdla comunità?

163. Cfr. Rissi (n.

I 30

Le altre lettere

sono salutati in 13,24-25) i quali analogamente ai Corinti pensano che tutto è già compiuto ? In tal caso, il cap. 8 contiene il loro punto di vista, e la visione di Cristo quale sommo sacerdote celeste che ha già unito cielo e terra è per loro diventata addirittura la tentazione di una «chiesa trion­ fante» che vive già in cielo e ha lasciato dietro di sé la terra di cui non de­ ve più darsi pensiero. Contro ciò quindi l'autore nei capp. 9-10 sottolinea l'importanza del ministero terreno di Gesù, della sua morte espiatrice e al tempo stesso le esigenze morali valide sul cammino che ancora prosegue fino all'ultimo giorno. In questo caso dunque l'autore avrebbe corretto una teologia troppo «giovannea» che faceva scomparire sofferenza e mor­ te dietro la vittoriosa esaltazione di Gesù e al tempo stesso toglieva im­ portanza al futuro di fronte al presente già colmo di salvezza. '6� Di un tentativo di introdurre di nuovo un'azione cultuale non si parla mai direttamente. Una semplice stanchezza della comunità non può in ogni modo aver provocato tutta la descrizione del sommo sacerdote Cri­ sto . Resta del pari dubbio se sia veramente possibile separare ciò che preesisteva e ciò che invece l'autore ha introdotto di suo, ad es. nei capp. 8-10. Comunque si veda la situazione e si separi la tradizione, che sicura­ mente è presente, dalla redazione, certamente la nuova visione del Cristo - tradizionale efo creata dall'autore è una risposta - che in questa forma non si ritrova in nessun'altra parte del Nuovo Testamento - alla domanda che in generale si presentava e che era provocata dalla liturgia della comunità, una liturgia allora unica nel suo genere, senza immagine di Dio, senza tempio e senza sacerdoti, quindi priva di oggetti sacri, di luoghi sacri e di persone sacre. -

22.

La lettera di Giacomo

22. 1 . Carattere dello scritto. Carattere epistolare si ha tutt'al più in r , r . Peraltro i destinatari a cui è rivolto lo scritto sono «le dodici tribù nella dispersione», quindi tutto il popolo di Dio sparso per il mondo (v. sotto, 2 3 . 1 ) . Per quanto riguarda il contenuto, si tratta piuttosto di una raccolta di detti sapienziali, soprattutto sul tema della legge e della corrispondente retta condotta di vita . In 108 versetti si trovano 54 imperativi. Sebbene il nome di Gesù Cristo compaia soltanto in 1 , 1 e 2, 1 e molte cose potrebbe­ ro essere dette anche da un giudeo non cristiano, confessione, preghiera degli anziani e perdono dei peccati (5,14- 1 5 ) , l'attesa della venuta del Si­ gnore («parusia», 5,7), l'accenno ad una nuova nascita ( r , r8), all'«invoca­ zione del bel nome» (nel battesimo 2 ,7) , il divieto di giuramento ( 5 , 1 2 co164. Cfr. Rissi (n. 1,52) 1 19, che rimanda a Cullmann.

22.

La lettera di Giacomo

131

me Mt. 5,34) , forse anche l a formula «poveri davanti a l mondo . . . ricchi nella fede» (2,5 ) , indicano chiaramente un cristiano. Soprattutto 2,14-26 non sarebbe pensabile senza Paolo, specialmente perché si argomenta con l'unica frase veterotestamentaria che è propriamente in contrasto col pun­ to di vista della lettera di Giacomo ma era stata messa in forte rilievo da Paolo (2,23 : «Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia» Gen . 15,6) . Il termine synagogé (2,2) anche in Ebr. 10,25 è usato in modo del tutto simile per indicare l'assemblea cristiana. 22.2. Autore e datazione. Lo stile è caratterizzato da un greco erudito, viene citata la traduzione greca dell'Antico Testamento, e la legge cultua­ le, riguardante ad esempio circoncisione, divieti relativi a determinati cibi e riguardante i sacrifici, non ha più alcun ruolo. L'autore perciò non può essere il fratello di Gesù, il capo della comunità di Gerusalemme (Gal. 2,9; Atti 12,17; 2 1 , 1 8 ) , che, nonostante la sua fedeltà alla legge giudaica e l'energica presa di posizione dei farisei a suo favore, morì martire nell'an­ no 62 d.C.' 65 Giacomo è forse nominato perché dall'autore e dai lettori è riconosciuto come autorità; infatti, benché non esista una scuola che fa capo a Giacomo, si ha però un certo collegamento di tradizione. '66 È diffi­ cile stabilire il tempo. L'autore potrebbe aver avuto molto presto notizia della teologia paolina. Comunque, proprio l'argomentazione che si serve di Gen . 15,6 è difficilmente collocabile prima delle polemiche con i Gala­ ti, e in ogni caso nella prima lettera ai Tessalonicesi non si ha ancora nes­ sun'eco di tale problematica. Nella comunità vi sono già anche maestri e presbiteri ( 3 , 1 ; 5 , 1 4) che occupano posizioni evidentemente ambite; d'al­ tro canto ci si aspetta la guarigione non dai carismatici ma dalla preghiera dei presbiteri (5,14) . Non si parla di falsi maestri e non si rimanda ad au­ torità per una retta dottrina. Delle persecuzioni generali degli anni novan­ ta non vi è alcuna traccia. La lettera non si può quindi collocare troppo tardi, specialmente perché l'importanza dei giudeocristiani, e quindi il contrasto con la legge mosaica, andò sempre più diminuendo, sebbene I Tzin. 1,7 presupponga ancora discussioni riguardo alla legge, forse però in opposizione a elucubrazioni (gnostiche?) (v. sopra, 20-4) . Si penserà così prima di tutto, senza poter giungere ad una assoluta certezza, al tempo =

16,. Flav. Ios., ant. 20,200; Egesippo in Eus., hist. ecc/. 2,23.

166. C osì B.R. Halson, The Epistle of Jamcs: «Christian Wisdom,?, i n Studia Evang elica, ed. F.L. Cross IV, 1968 (TU ro2) 312-314 (una «Scuola» di catecheti). H. Paulsen, Jakobusbrief TRE XVI 492 la pone nel 7o- roo d.C. J.A.T. Robinson, Redating the New Testament, London 1976, 1 39 vede nella lettera di Giacomo lo scritto più antico del Nuovo Testamento. W. Popkes, Adressaten, Situatton und Form des ja­ kobusbrie/s, 1 936 (SBS 1 39) 184· 188 ipotizza un modello fondamentale di «discorso d'istruzione», che

potrebbe risalire a Giacomo, ma che sarebbe stato cambiato e arricchito con altro materiale (per esempio il discorso della montagna ! ) .

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Le altre lettere ' 1'

che va dall'So al 90. 7 La lettera è anche attestata per la prima volta in Origene ( 1 85-254 d.C . ) e anche allora non era ancora dappertutto rico­ nosciuta. 2 2 . 3 . Fede ed opere. La questione se non si debba addirittura fare il ma­ le affinché risalti ancor più la sola efficacia della grazia è da Paolo respin­ ta come pazzesca (Rom . 3,8), ma qui essa è sentita come un problema. Evidentemente vi sono stati dei pazzi che hanno tratto tali conseguenze. Paolo stesso sa che «la fede opera per mezzo dell'amore» ( Gal. 5,6) e la legge trova la sua pienezza nell'amore (5,14) . Egli può dire che noi siamo chiamati ad «ogni opera buona» e siamo giudicati secondo le nostre ope­ re (Rom . 2,8; 2 Cor. 9,8 ; n , 1 5 ) . Una fede ridotta a pura e semplice idea è del tutto estranea a Paolo. Di fronte a tali malintesi è indubbiamente giu­ sto ricordare che non vi è «fede senza opere» (2,18). Tuttavia con ciò non si tocca la decisiva affermazione di Paolo. Egli parla essenzialmente del­ l' amore che porta a compimento la legge, proprio perché non è mai pos­ sibile soddisfarlo completamente, ma si resta sempre debitori nei suoi confronti (Rom. 1 3 ,8-ro) . Ora, anche Giacomo parla della «legge regale>> dell'amore del prossimo (2,8) e della «legge della libertà» ( 1 , 25 ; 2,!2), an­ zi della «parola (della legge) piantata>> ( 1 ,2 1 -22) . Sa che «noi tutti sbaglia­ mo in molte cose>> (3,2), ma che la pratica della misericordia, quindi l'a­ more del prossimo, trionfa sulla legge ( 2 , 1 3 ) . Manca soprattutto ogni ac­ cenno al dovere di osservare tutte le prescrizioni relative al culto, nono­ stante l'avvertimento di 2,10, secondo il quale chi «osserva tutta la legge, ma la trasgredisce anche in un sol punto, diventa colpevole di tuttm>. Si può quindi dire che una teologia sapienziale, quale appare sullo sfondo per esempio nel discorso della montagna ma anche in Paolo, è il vero e proprio fondamento. Essa non soltanto motiva la richiesta etica, ma de­ scrive anche il fondamento salvifico movendo dal quale diventa comunque possibile una vita nuova. La sapienza, cioè, è un dono di Dio che viene «dall'alto», non è «terrena, psichica, demoniaca» ( 3 , 1 5 ; v. sopra, 1 r .5 ) . 22-4- Cristo nuovo legislatore? A differenza d i Paolo si afferma che l'uo­ mo «è giustificato in virtù delle opere» (2,24) e che la fede collabora con le opere (2,22 ) . Paolo intende la fede come completa fiducia nella grazia di Dio, che sola giustifica l'uomo, e l'amore come il modo in cui tale fede vive. Paolo perciò usa quasi sempre, cioè ogni volta che non riprende for­ mule tradizionali, il singolare «opera», quando parla delle manifestazioni della fede. Ovviamente non esiste vita che non si esterni sia nell'agire sia nel sentire e nel pensare e soffrire. Solo che la vita della fede è diventata unitaria, un tutto, nei suoi alti e bassi orientato a Dio. Non è più divisibile 167. Pratscher (n. 122) 209·213. 2 1 8-22 1 .

22.

La lettera di Giacomo

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in manifestazioni singole che si possano misurare e sommare secondo la lettera della legge (v. sopra, r r .5-6; r6.5) . Si può e si deve richiamare l'at­ tenzione su pratiche singole che non si possono conciliare col comporta­ mento fondamentale della fede; ma, viceversa, non si possono addizionare manifestazioni positive per risultare giusti davanti a Dio. Si può soltanto costantemente far richiamo alla vera fede che giustifica. Certo, una visione diversa s'impone innanzi tutto nel secondo secolo : Gesù è colui che dà la legge, «il nostro nuovo legislatore», anzi «la legge eterna e definitiva» stessa. '68 22.5. Avvertimento a guardarsi da una grazia a buon prezzo. Sarebbe un errore se la correzione della lettera di Giacomo, che è comprensibile in una determinata situazione anche se non è ancora sufficiente a risolvere il problema, '69 diventasse la vera e propria base. Più fortemente che in altri scritti neotestamentari, qui è presente solo una determinata parte della predicazione. Gesù Cristo è maestro e giudice. Parole di Gesù appaiono forse in 1 ,5-6 (Mt. 7,7; Mc. r r , 23 ) ; r,22 ( Mt . 7,2r ) ; 2,5 (Le. 6,2o) ; 3,18 (Mt. 5,9) e soprattutto in 5 , 1 2 , dove presumibilmente è addirittura con­ servata una forma più originaria rispetto a Mt. 5,34-37. La definitiva ve­ nuta di Gesù motiva tutte queste ammonizioni (5,7-8) . Di preesistenza, incarnazione, vita terrena, morte e risurrezione o elevazione di Gesù non si parla mai. Gli esempi per la religiosità cristiana sono scelti solo nell'An­ tico Testamento (Abramo: 2,21-23; Raab : 2,25; i profeti e Giobbe: 5, ro­ n; Elia: 5,17-18; cfr. Ebr. r r ) . In 2 , 1 si parla invero di « fede in (o: di? ) Gesù Cristo, nostro Signore glorioso», m a in 2,19 si precisa : «credere che esiste un solo Dio». Se si riconoscono questi limiti, allora l'avvertimento a guardarsi da una grazia a buon prezzo, che rende impossibile la vera fede anche in senso paolina, va assolutamente ascoltato. Sono così svelati proprio certi pecca­ ti di tutti i giorni: le male parole ( 3 , r - 1 2 ; 4, r r - I 2 ) , l'inchinarsi dinanzi al ricco e il disprezzo del povero (2,1-9), l'indifferenza sociale che opprime gravemente il lavoratore ( 5 , r -6), anche la sicurezza con cui si fanno pro­ getti senza dire: «se il Signore vorrà e saremo vivh> (4, 1 3 - 16) e il semplice non fare il bene (4,17). Ciò ricorda, in forma semplice eppure così stimo­ lante, ciò che è la fede, il cui carattere di dono («dall'alto») e la cui effica­ cia liberatoria («legge di libertà») non sono tuttavia dimenticati.

168. Herm. 59 ( - sim. 5,6), 3 ; 69 ( - sim. 8,3), 5; Iust . , dia !. 14,3; u,2. Sulla legge della libertà cfr. Schnak­ kenburg, Die sittliche Botschaft des Neuen Testaments, 1988 (HThK Suppl. 11/2) 206-210. 169. Pratscher (n. 1 2 2 ) 214-2 1 6 .

23.

La prima lettera di Pietro

23. 1 . Autore, data, luogo. Il carattere epistolare è qui più evidente che nella lettera di Giacomo. Quasi tutte le parti dell'Asia Minore, ad ecce­ zione dei territori periferici meridionali (v. sopra, 1 3 . 1 ) , sono menzionate come luogo di residenza dei destinatari. Gli «stranieri eletti della dispora» ( 1 , 1 ) secondo 1 , 14- 18; 2,9-ro; 4,3-4 sono etnicocristiani. Si tratta quindi di elezione alla comunità di Gesù, che si differenzia dal circostante mon­ do pagano (2,11-12). Ciò vale anche per Giac. 1 , 1 e Apoc. 7,4, dove si par­ la delle dodici tribù d'Israele (v. sopra, 2.8) . Dietro questa visione si trova quindi una tradizione che intendeva l'edific azione della comunità dei di­ scepoli di Gesù come raccolta delle dodici tribù disperse in un Israele ri­ costituito'70 (v. sopra, 7.6) , ma che ora è completamente trasferita alla co­ munità in prevalenza etnicocristiana. L'ottimo greco e l'uso della tradu­ zione greca dell'Antico Testamento escludono che Pietro sia l'autore, e non sono nemmeno da attribuire semplicemente a Silvano quale segreta­ rio di Pietro (5,12) . Non si accenna mai al Gesù terreno. Inoltre la perse­ cuzione generale (4, 12-19) presupposta per lo meno in Asia Minore, se non nel mondo (cfr. 5 ,9) , per la quale già è sufficiente l'essere cristiani, difficilmente è pensabile prima della morte di Pietro. È probabile che Pietro abbia operato in Corinto ( I Cor. 1 , 1 2 ; 9, 5 ) ; ma non è facile, anche se non impossibile, immaginare che egli abbia scritto una lettera alle co­ munità paoline con tanti pensieri di Paolo. Inoltre Paolo nelle comunità da lui fondate non conosce alcun presbitero (5 , 1 -4) . Si penserà quindi ad un autore più tardo, che scrive in nome di Pietro, forse all'inizio delle persecuzioni degli anni novanta. Si è anche ritenuto che la lettera sia stata in origine redatta in nome di Paolo. A ciò s' adatterebbero Silvano e Mar­ co, che sono menzionati in 5 , 12-13 . Il primo, secondo I Tess. 1 , 1 ; 2 Cor. 1 , 19, è collaboratore di Paolo e probabilmente da identificare con Sila, che, secondo Atti 15,(27)40- 18,5, accompagnò Paolo nel suo secondo viaggio. Il secondo è probabilmente il Marco nominato in Film. 24; Col. 4 , r o e l'attributo «mio figlio» va inteso in senso spirituale come in Film. ro. Soltanto più tardi il nome dell'autore sarebbe stato cambiato, forse perché l'abbreviazione PLS fu erroneamente letta come PTS. '7' Ma poiché l'immagine della coppia degli apostoli Pietro e Paolo e della loro morte come martiri (in Roma) , come appare ad es. in I Clem. 5 , negli anni no­ vanta era evidentemente molto diffusa, è del tutto possibile che la teologia paolina, in un tempo in cui minacciava di offuscarsi, dovesse essere di nuovo predicata in nome del primo apostolo. Lotte all'interno della chieqo. Chr. Knoch, in Link - Luz - Vischer (n. 17) 8 r .

171 . Così Schenke:: -Fischer (n. 2) 1 203.

23.

La prima lettera di Pietro

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sa tra seguaci di Pietro e di Paolo non sono pensabili, poiché (tranne che in 1 , 1 ) nessuno dei due apostoli è menzionato o anche solo chiaramente caratterizzato. «Babilonia» (5,13), come in Apoc. 18,2-3 e in certi scritti giudaici, è uno pseudonimo di Roma. 23.2. Unitarietà. Degno di nota è il nuovo inizio in 4,12, poiché prima, nonostante 1,6-7, non si ha l'impressione che siano già sopravvenute sof­ ferenze a causa della fede. 2,20-21 è limitato agli schiavi e 2,13-14 consi­ dera i governatori in senso positivo. Tuttavia questo punto di vista è preso dalla tradizione (Rom. 13,1-5; I Tim 2,1-2; Tit. 3,1) e indica soltanto che le persecuzioni sono all'inizio (4, 17) . In ogni caso nell'autore non hanno suscitato le reazioni di Apoc. 12,17-13,18 (v. sotto, 3 1 .5 ) . Non si deve quindi pensare a due scritti in origine indipendenti né ad un sermone battesimale completato più tardi ( 1 ,3-4, 1 1 ) o addirittura ad una liturgia battesimale ( con battesimo tra 1 ,22 e 2 3 ) , a cui seguisse una conclusiva ce­ lebrazione liturgica generale (4, 12-j , 1 1 ) .'7• Eulogia ed amen (4, n ) si trova­ no anche altrove all'interno di una lettera (Rom. n,36; cfr. 1,25 ; 9,5 ; Gal. 1,5; Tim. 1,17; cfr. Apoc. 1 ,6) . 23.3. Correlazione paolina tra grazia e salvezza. La lettera mostra ciò che Paolo in questo tempo significa là dove è preso sul serio. Paolina è già in 1,2 la duplice affermazione dell'assoluto carattere di grazia della salvezza ottenuta mediante il sangue di Gesù (anche 1 , 19; cfr. 2,24; 3,18; v. sopra, 5.4) e della sua concretizzazione nell'ubbidienza e nella santifìcazione (anche 1 ,22) . Paolina è anche, per forma e contenuto, la continuazione in un rendimento di grazie introduttivo ( 1 ,3 - 1 2 ) . Qui la fede, a differenza della visione solo futura (come in 2 Cor. 5,7), è descritta sotto un duplice aspetto. Da un lato, il suo contenuto è il compimento già avvenuto delle speranze veterotestamentarie (cfr. I Cor. 10, 1 1 ) , dall'altro essa rimane an­ cora speranza del compimento finale che muterà in gioia le sofferenze at­ tuali (cfr. Rom. 8,24) . Già presupposta in Paolo (2 Cor. 5,17; Gal. 4, 19; Film. w) e tipica degli scritti postpaolini (Tit. 3,5) e giovannei ( Gv. 3,3.5) è l'idea di una nuova nascita ( 1 ,3.23; 2,1-2) . Paolina infine è anche l'a­ spettativa che «noi, liberati dal peccato, vivremo per la giustizia» (2,24; Rom. 6,x8). 23.4. Discesa nel regno dei morti. Anche l a giustapposizione «messo a morte nella carne, reso vivo nello (o: mediamente lo) spirito» (3,18 di Ge­ sù) ricorda Paolo. Peraltro con ciò non s'intende la contrapposizione tipi­ camente paolina della resistenza umano-carnale a Dio e al suo Spirito, bensì la distinzione tra vita terrena e celeste, che Paolo in Rom. 1,3-4 ha .

172. H. Preisker, Der erste Petrusbrie/, '19.51 (HNT 1.5) r_56-r62. Rassegna dei tentativi finora compiuti e relativa critica in N. Brox, Der erste Petrusbrie/, '1986 (EKK XXI) 19-24, che pensa con ragione a una «let­

tera circolare» concepita unitariamente.

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Le altre lettere

probabilmente ripreso dalla tradizione ma che ha espresso anche in 9,5 in modo un po' diverso. Questa frase che parla di morte e risurrezione in I Pt. 3, 19-20 si collega all'affermazione, propria di questa lettera, dell'an­ nuncio del Risorto agli «spiriti in prigionia». Sicuramente qui non si pen­ sa agli inferi ma alla dimora dei è definitivamente compiuto in coloro che sono salvati «mediante l'acqua» (ora in senso strumentale: il battesimo) , in quanto così sono dati in pro­ prietà a colui che è asceso al cielo e siede alla destra di Dio e ha ottenuto la sovranità sopra tutte le potenze e le potestà. Ciò che ora avviene nel battesimo si è quindi in certo modo adempiuto anche universalmente. Tutto questo è espresso in modo semplice e nella concezione del mon­ do di quel tempo, la quale però, sul piano teologico, descrive il significato dell'evento Cristo, che va non solo oltre i limiti di luogo ma anche oltre quelli di tempo. Esso vale per tutti gli uomini, anche per quelli che non hanno potuto udir nulla del vangelo. 23.5. Sacerdozio di tutti i credenti. Il secondo, peculiare contributo della lettera consiste nella nuova visione della chiesa come tempio c popolo di Dio, per il quale valgono le promesse veterotestamentarie. Anche questo è già prefigurato in Paolo. La comunità in I Cor. 3 , r6 è detta tempio di Dio e la citazione del non-popolo che diventa popolo, degli esclusi dalla mi­ sericordia che ora ottengono misericordia ( 2 , ro) si trova anche in Rom. 9,25 e precisamente unita, come in I Pt. 2,6-8, ad una combinazione di Is. 28,r6 e 8,14 (Rom. 9,32- 3 3 ) . Sembra quindi che i due passi risalgano a riflessioni prepaoline della comunità, frutto di studio della Scrittura. In 2,r-6 per due volte in stile participiale viene innanzitutto descritta l'esperienza determinante dell'allontanarsi dall'antico e del volgersi al nuovo (vv. r / 3 fine. 4) ; segue un imperativo che invita i lettori a realizza­ re il loro nuovo stato di «bambini appena nati>> e di «pietre vive» (vv. 2a/ 5a) e al tempo stesso con una proposizione finale («affinché . . . » «per. . . ») si indica la meta (vv. 2b/5b) ; infine si chiude motivando tutto questo processo mediante l'atto d'amore di Cristo ( vv . 3 / 6 ) . Ciò si ripete

23.

La prima lettera di Pietro

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analogamente nei vv. 7-ro, dove la differenza dai non credenti (vv. 7-8), l'attribuzione del nuovo carattere di «stirpe eletta, sacerdozio regale , na­ zione santa, popolo appartenente a Dio» (v. 9a) e l'indicazione del fine («affinché proclamiate . . . », v. 9b) sono di nuovo motivate dall'azione di Dio in Cristo, la quale li ha fatti «popolo» e «diletti» (v. 10) . Gli attributi veterotestamentari validi per Israele sono dunque trasferiti alla comunità di Gesù. A questo proposito è scelta l'unica frase dell'Antico Testamento che attribuisce a tutto il popolo dignità e santità sacerdotali. '73 Come si spiega in 2 , I I -3, 17, qui si pensa alla proclamazione affidata e dona t a ad ogni membro della comunità nel mondo pagano (e giudaico), non ad in­ carichi all'interno della chiesa. Ciò dunque non impedisce affatto che all'interno della comunità esistano vari carismi (4,10- n , distinti ormai in predicazione della parola e in diaconia) ed anche ministeri ordinati di «anziani» (5,1-4) senza che per questo chi è investito d'un ufficio sia se­ parato dai laici.'74 23.6. La chiesa che sol/re. . . per il mondo. Questo dono del sacerdozio generale nei confronti del mondo riprende di nuovo l'elezione di Israele per la salvezza del mondo annunciata nell'Antico Testamento. Paolo ha inteso la vita dell'apostolo soprattutto come partecipazione alle sofferenze di Cristo ( I Cor. 4,9-13; 2 Cor. 4,7- 1 8 ; Col. 1,24), sebbene valga anche per la comunità che la partecipazione alle sofferenze di Cristo porta ad essere glorificati con lui (Rom . 5,3-5; 8,q) . Ciò è chiaramente ripreso nella prima lettera di Pietro come compito e promessa per tutta la comu­ nità, forse con la decisa conferma dell'esperienza di una persecuzione ge­ nerale (4,1 6 ; v. sopra, 2 3 . 1 , e sotto, 3 1 . 1 e 5 ) . La passione di Gesù è anche passaggio alla risurrezione e alla gloria celeste ( 1 , n ; 3,18-22) ; così è anche per la comunità ( 1 , 6 - 9 ; 4, 1 3 -14; 5,10), che proprio nelle sue sofferenze adempie la sua missione nel mondo. Ciò è pensato in modo così obiettivo e lontano da ogni glorificazione del martirio, che anche la silenziosa sop­ portazione delle difficoltà del matrimonio da parte delle donne e soprat­ tutto la sofferenza degli schiavi soggetti ai capricci dei loro padroni (ciò che oggi certamente va sottoposto anche ad esame critico) sono viste in diretta connessione con la passione di Cristo e come possibilità di diffon­ dere il vangelo ( 3 , 1 - 2 ; 2, 18-25 ) . 23 .7. Pellegrinaggio dei popoli a Sion - chiesa per il mondo. Nelle prime professioni di fede, al centro stava Gesù morto e risorto per noi. Perdono 173 . Filone limita questo sacerdozio generale al giorno di pasqua, in cui ogni israelita può uccidere l'a· gnello (spec. leg. 2,14' ; vit. Mos. 2 , 224; decal. 1 59 [come eccezione] ) . 174. I n 5 , 5 i presbyteroi sono distinti dai più giovani e cost ituiscono la generazione più vecchia. Trattazio· ne più ampia in E. Schweizer, Das Priestertum alter Glaubenden, in !m Gespriich mit der Bibel (per P. Frehner) , eJ. V. Weymann, Zi.irich 1987, 1 1 · 20.

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dei peccati, salvazione nel giudizio finale, salvezza eterna sono assicurati in prima linea al singolo. Già la frase giudeocristiana-prepaolina di Rom. I , 3 4 pone al centro l a sovranità del Gesù terreno, e specialmente del Risor­ to, sul suo popolo. Gli inni celebrano Cristo quale signore celeste. In r Tirn. 3 , 16 e specialmente nello schema di rivelazione questa sovranità è considerata anche come terrena nella missione di Paolo alle genti (v. so­ pra, 5 ) . Nella prima lettera di Pietro ciò giunge ad un perfezionamento degno di nota. Veramente determinante non è ciò che la comunità teori­ camente sa sull'elevazione del Cristo alla destra di Dio o ciò che si è svolto in un passato già divenuto eroico nel trionfo del grande apostolo delle genti, bensì ciò che avviene nelle difficoltà della vita matrimoniale e nella vita quotidiana degli schiavi e sempre più anche nelle prigionie e dove si hanno le esecuzioni capitali. È qui che Gesù Cristo vuole instaurare la sua sovranità. In certo qual modo con ciò è ripresa e rinnovata anche la speranza pro­ fetica dell'affluire di tutti i popoli a Sion alla fìne dei tempi (ls. 2,2-3) , che determina chiaramente anche Mt. 8 , r r - 1 2 e riecheggia anche in Paolo (cfr. Rom. 15,16 con Is. 66, 2 0 ) Anche per lui l'agire di Dio nei confronti d'Israele è la radice nella quale i popoli vengono innestati come rami sel­ vatici. Secondo Rom . r r , r r-32 il compito degli etnicocristiani consiste nel guadagnare a Cristo i giudei che ancora non credono in lui, finché un giorno anche questi si aggiungeranno alla moltitudine dei gentili. In Ef 2 , 1 1 - 2 2 Israele resta il popolo che fin dalle origini appartiene a Dio, ma i due gruppi di giudeocristiani ed etnicocristiani, riuniti in «un solo corpo» in seguito all'abbattimento del muro, si trovano accanto l'uno all'altro alla pari. Nella prima lettera di Pietro si manifesta in modo ancor più evidente la mutata situazione storica. Né i giudeocristiani né i giudei hanno alcun ruolo. La minaccia proviene esclusivamente dai pagani e ad essi deve esse­ re indirizzato il messaggio mediante la buon prova della comunità. Il pe­ ricolo che minaccia lo sviluppo successivo, posteriore al Nuovo Testa­ mento, è che giudaismo e paganesimo diventino entità del passato, di fronte alle quali il cristianesimo appaia quindi come «terza stirpe» . Nella prima lettera di Pietro il contrappeso è illimitato: la comunità non può in nessun caso mettersi, soddisfatta, a riposo. Come sacerdozio che include tutti i membri può e deve proclamare le grandi opere di Dio, ma proprio così essa sa quanto debba al fatto di essere stata chiamata a far parte del­ l'eredità d'Israele ( r , I ; v. sopra, 23. 1 ) e del benevolo agire di Dio verso quel popolo . .

24.

La lettera di Giuda e la seconda lettera di Pietro

24. 1 . La lettera di Giuda. Nella lettera di Giuda appare come la giovane chiesa affronti il problema della falsa fede. In mezzo ad essa vivono uomi­ ni che prendono parte all'agape ( v. 1 2 ) , che forse non era ancora distinta dalla cena eucaristica, m ma insegnano una dottrina talmente diversa, che l'autore può solo raccomandare di separarsi nettamente da loro, qualora essi non si lascino ricondurre alla vera fede (v. 23) . Solitamente si pensa a gnostici cristiani (v. sopra , 20. 2 ) o a loro precursori. La distinzione tra «pneumatici» e «psichici» (v. 19) era tuttavia già nota prima della gnosi (v. sopra, 1 1 .5 ) . Già questo prova una affinità con Giac. 3 , 1 5 , mentre il ri­ chiamo alla «grazia» (v. 4) , forse addirittura la minaccia della «Condanna» (v. 15), fa pensare a Rom. 3 , 8 , vale a dire alla problematica di fede ed ope­ re trattata anche in Giac. 2 , 14-16,'76 di modo che «Giuda» in un certo sen­ so anche dal punto di vista teologico sarebbe il «fratello di Giacomo» . Teologicamente importante è il fatto che qui noi siamo definitivamente passati dal tempo apostolico (v. 17) al periodo della storia della chiesa. Gli apostoli hanno «una volta per tutte trasmesso» (v. 3) «la fede santissi­ ma» (v. 20) . A ciò è strettamente connessa anche la schematizzazione dei maestri d'errore che, come nelle più tarde lotte della chiesa contro gli eretici, sono designati come personaggi tipici che si potevano riscontrare già nel giudaismo (e che non cessano mai di comparire) . '77 Alla fine del 1 sec. d.C. il canone veterotestamentario è di fatto fissato, ma qui sono citati scritti giudaici che in esso non sono inclusi, in partico­ lare l'Enoc etiopico (v. 14) . Anche il v. 9 proviene probabilmente da uno scritto del genere, forse dalla chiusa del Testamento di Mosè, che è anda­ ta perduta. Da un lato i maestri d'errore sono descritti come visionari e «sognatori» che apertamente non rispettano nemmeno i limiti esistenti tra uomini ed angeli o persino Dio (v. 8; cfr. anche vv. 6-7) , proferiscono quindi parole «arroganti» (v. r6) e bestemmiano su tutto (v. ro) ; dall'altro sono designati come libertini che in campo sessuale si abbandonano a pratiche discutibili (vv. 4·7.8. r6.r8.23 ) . Messa in forte rilievo è la punizio­ ne con «fuoco eterno» e «tenebra eterna» (vv. 7 · 1 3 ) . Tutto questo prova, anche a prescindere d a un ottimo stile greco, che l'autore non può essere il fratello di Gesù e di Giacomo (Mc. 6, 3 ) . «Giu175· F. Hahn, Randbemerkungen zum ]udasbrief ThZ 37 ( 1 98 1 ) 212. Una originaria espressione figurata «impurità nelle vostre àgate>>, come fu erroneamente letto (W. Whallon, Should we Keep, Omi, or Alter the hoi in Jude 1 2 ? : NTS [ 1 988] 156-1 59) è improbabile. 176. Solo nel v. 4 si trova krima come in Rom. 3,8, mentre nei w . 6. 1 5 si ha invece krisis: G. Sellin, Die Haeretiker des Judasbrie/es: ZNW 77 (1986) 209-212. Egli non pensa a «gnostici in senso proprio», ma piuttosto a «maestri itineranti che vivono estasi prodotte pneumaticamente» ( p . 224) . 177. Hahn (n. 175) 209 s. 2 1 3-215.

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Le altre lettere

da» è stato forse scelto perché la lettera si colloca chiaramente nella tradi­ zione giudeocristiana; ma si sapeva che Giacomo aveva subito il martirio già nel 62 d.C . ? Ancora un po' più tardi, forse addirittura solo dopo la definitiva sconfitta dei giudei nella guerra contro Roma ( 1 35 d.C . ) , la se­ conda lettera di Pietro si richiama anch'essa all'apostolo Pietro, perché vive nel mondo degli etnicocristiani, che deve la sua esistenza anche a Pie­ tro ( I Cor. 9,5 ; r Clem. 5 ; v. sopra, 2 3 . r ) . ' 7x Naturalmente può darsi anche che un Giuda più tardo abbia avuto un fratello di nome Giacomo, poiché i due nomi sono frequenti. Bella è la lode a Dio (vv. 24-25) che fa da con­ clusione alla lettera. 24. 2. La seconda lettera di Pietro: l'autore. Nella seconda lettera di Pie­ tro sono riprese, a forma d'inserzione, consistenti parti della lettera di Giuda. Poiché la lettera vale come testamento di Pietro ( I , I4- I5) ma i fal­ si maestri comparvero solo molto tempo dopo la sua morte, la loro com­ parsa (diversamente che in Gd. v. 4) è solo predetta (2, 1 - 3 ; 3 , 3 ) . Tuttavia in 2, 10-22 , dove l'autore segue più da vicino la sua fonte, di loro si parla di nuovo nella forma del presente. Già questo dimostra che la lettera di Giuda non è viceversa una abbreviazione - difficilmente comprensibile della seconda lettera di Pietro. Ancor più chiaramente lo provano i brevi accenni in 2,4 e n , che si possono realmente comprendere soltanto alla luce dei vv. 6 e 9 di Giuda. Che citazioni e allusioni prese da scritti giu­ daici non riconosciuti siano state cancellate nella seconda lettera di Pietro è facilmente comprensibile; solo la Scrittura sacra ha valore. Mentre in Gd. 5 - n si citano come esempi di castigo divino la generazione del deser­ to, la caduta degli angeli (Gen . 6,1-4) , Sodoma e Gomorra, Caino, Balaam e Core, in 2 Pt. 2,4-7.15 si susseguono, in giusta successione cronologica, caduta degli angeli, generazione del diluvio, Sodoma e Gomorra, Balaam. Con il cambiamento di una lettera nel testo greco l'osservazione che i maestri d'errore prendono parte alle agapi (agapais) (Cd. v. 12) viene mu­ tata in «gavazzano nei loro piaceri» (apatais) (2 Pt. 2,13), evidentemente perché agapi ecclesiali con loro non sono più pensabili. La lettera è espressamente detta seconda lettera ( 3 , 1 ) ; è sottolineata la testimonianza oculare dell'autore a proposito della trasfigurazione (o ri­ surrezione? ) di Gesù ( r , r6-r8) e Paolo è chiamato «nostro diletto fratel­ lo» (3,15) . Rispetto a I Pt. 1 , 1 ora in 2 Pt. I , I invece di «Pietro» si trova «Simon Pietro» , invece di «apostolo», «servo (Rom. r , r ; Fil. r , r ; Gd. r ) e apostolo» , e invece che alla cristianità dell'Asia Minore ci si rivolge ora a tutti i cristiani in generale. La lettera vuoi dunque chiaramente valere co­ me lettera dell'apostolo Pietro. 178 . Jbìd. 2 1 5 - ; H 8 .

24- La lettera di Giuda e la seconda lettera di Pietro

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Per contenuto e stile è completamente diversa dalla prima lettera di Pietro . Prima della fine del n secolo è ancora sconosciuta e anche dopo è quasi sempre contestata, in Italia fino al 400 circa, quando in Siria non è ancora conosciuta. Essa quindi proviene sicuramente da uno scrittore tar­ do ed è probabilmente lo scritto più recente del Nuovo Testamento. Le lettere di Paolo sono considerate, accanto ad altre, «sacra Scrittura» ( 3 , 1516), mentre di ciò la lettera di Giuda non dice ancora nulla, e già si pone il problema della loro interpretazione. Evidentemente a giudizio dell'au­ tore certe affermazioni di Paolo sono state male interpretate dagl i avver­ sari. I «santi profeti» sono quelli dell'Antico Testamento e stanno accanto ai «vostri apostoli» (3,2; diversamente ancora in Ef 3 , 5 ) . La prima gene­ razione, i «padri», si sono già spenti (3,4) , il che non si adatta affatto a Pietro, che probabilmente morì martire nel 64 d.C. (cfr. sopra, 2 3· r ) . 24· 3 · Garanzia apostolica - natura divina ? Non è facile valutare la lette­ ra, perché la sua tendenza non è chiara. Da un lato, non parla più della «fede santissima» (Gd. 20} , ma vede nella fede un bene che si riceve in sorte ( 1 , 1 } . Essa è soprattutto «conoscenza>> ( 1 , 3 . 8 ; 3,r8; cfr. 1 , 16 letteral­ mente: «a voi portata a conoscenza» ; 3 , 1 5 } . L'apostolo non è più in primo luogo colui al quale è affidata la predicazione, cioè la comprensione di quanto è avvenuto nella vita, morte e risurrezione di Gesù per la comuni­ tà e il mondo, sì da poterla trasmettere nella forma che tocca gli ascolta­ tori o i lettori del momento, le loro questioni, possibilità e tentazioni in modo che la loro vita possa così divenire nuova. Sembra che egli assicuri la fede col fatto che è garante di avvenimenti prodigiosi, per esempio del­ la trasfigurazione di Gesù ( 1 , 16-18}. Ancor più problematica è l' afferma­ zione che la comunità, mediante questa conoscenza, diviene partecipe di «natura divina» e così sfugge al mondo malvagio ( 1 ,4) . Certo, 3 , 16 è a co­ noscenza del fenomeno della falsa interpretazione della testimonianza apostolica, ma l'autore non cerca di dare un nuovo fondamento alla retta comprensione servendosi, ad esempio, di altri enunciati di Paolo, ma af­ ferma solo che gli avversari sono degli «ignoranti» che «stravolgono» tut­ to. r ,2o potrebbe essere persino il divieto di ogni spiegazione personale che non sia assicurata dalla chiesa, ma probabilmente vorrà soltanto dire che nessun profeta parla in base ad una interpretazione propria. Tutto questo fa pensare a culti e taumaturghi ellenistici o alla grande stima in cui dalla gnosi era tenuta la conoscenza che discopre una innata natura divina dell'uomo, d'altra parte però conoscenza e salvezza sono chiaramente legate alla testimonianza apostolica, che attesta come storica l'azione di Dio compiuta in Gesù Cristo. Inoltre per indicare i «testimoni oculari» r , r6 non sceglie il termine consueto, ma un termine usato nei mi­ steri ellenistici col quale viene designato l' «osservatore>> che in un avveni-

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Le altre lettere

mento riconosce la presenza del dio. '79 L'apostolo non è quindi soltanto testimone oculare di fatti, ma al tempo stesso è colui al quale è dato co­ noscere in essi l'azione di Dio. Perciò quella che egli conosce non è sem­ plicemente una natura divina innata nell'uomo, bensì chiaramente il dono concesso per grazia da Dio, dono che mediante il vangelo giunge all'uo­ mo e lo separa anche eticamente dal mondo. 24-4- La visione del futuro. Lo stesso avviene per ciò che è detto sul fu­ turo. Lo scherno gettato sul mancato ritorno di Gesù (3.4) caratterizza un tempo in cui s'affievolisce l' attesa immediata dell'ultimo giorno e l'aspet­ tativa della futura azione di Dio scompare o viene ridotta soltanto alla sal­ vezza del singolo. Ciò è certamente tipico della concezione ellenistica del tempo. Ci si può anche chiedere se il discorso del «regno eterno . . . di Ge­ sù Cristo» ( 1 , n ) o del «giorno che sorge nei vostri cuori» ( 1 , 19) non indi­ chi anche nella seconda lettera di Pietro un modo di pensare del tutto si­ mile.'��o Soprattutto ci si potrebbe chiedere se dietro a ciò non si trovi an­ che la retta conoscenza che con Gesù in realtà già qualcosa del futuro di Dio ha fatto irruzione nel nostro presente. In ogni modo questo sarebbe il punto di vista della lettera agli Efesini (v. sopra, r8.4 e 6) e soprattutto del vangelo di Giovanni (v. sotto, 29,7) . Ci sarebbe inoltre da chiedersi se la ripresa delle immagini, già presenti negli stoici, della distruzione del mondo e dei suoi «elementi» (v. sopra, Il-3) nella conflagrazione univer­ sale (3,I0.12) realmente sia d'aiuto, specialmente se si osserva che l'autore non solo parla, come Cd. ro, degli «esseri irragionevoli>>,'8' ma li caratte­ rizza anche come «nati per la cattura e la distruzione» (2, 1 2 ) . Egli è quin­ di veramente interessato soltanto al destino dell'uomo, che nella Stoa è separato dagli altri esseri perché dotato di ragione. D'altra parte si deve pur riconoscere con gratitudine che l'autore con­ serva la speranza protocristiana e profetica dell'Antico Testamento in «un nuovo cielo e una nuova terra, in cui dimora la giustizia» ( 3 , 1 3 ; Is. 65 ,17; 66,22), e al tempo stesso, contro tutte le tendenze gnostiche, si tiene fer­ mo nel credere che il mondo è stato creato e viene conservato dalla parola di Dio ( 3 .4-5 ) . Resta così affermato il carattere di promessa della parola di Dio che anche profeticamente indica il futuro di Dio ( r , r9-20; 3 , 1 3 ; cfr. 3,2.17). L'attesa parusia, pur risultando a prima vista dimostrazione di potenza e giorno di condanna dei malvagi ( r ,r6; 2,3.9; 3,7), serve diret­ tamente ad invitare la comunità a dar buona prova in campo etico, in un testo in cui di nuovo in buona forma ellenistica «virtù, conoscenza, tem179. M. Rese, recensione di E. Fuchs P. Rcymond, La deuxième épitre de Saint Pierre. L'épitre de Saint ]ude: ThLZ 109 ( 1 984) 266. ·

180. lbtd.

181. Per es. anche Philo, spec. leg. 2,146.

·

24.

La lettera di Giuda e la seconda lettera di Pietro

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peranza, pazienza, pietà e amore fraterno» sono inseriti in mezzo ai due concetti cristiani di «fede» e «amore» ( 1 ,5 -7) . L'avvertimento che il gior­ no del Signore verrà come un ladro ( r Tess. 5,2) non è perciò affatto in contrasto con l'affermazione che per Dio un giorno è come mille anni, e che perciò egli concede ancora tempo per la conversione e che persino la pietà della comunità, come dicono anche i rabbi, può affrettare l'avvento del giorno ( 3 ,8- 1 2 ) . Questa non è certo la speranza paolina che un giorno Dio sarà «tutto in tutto» ( r Cor. 15,28), ma resta fedele a centrali punti di vista biblici in un tempo che non è più aperto a queste idee. In ciò asso­ miglia alle lettere pastorali (v. sopra, 20. 2 ) . 24.5 . Storicità del vangelo contro l'atemporalità gnostica . Forse non si tratta solo della più tarda ma anche della più problematica lettera del Nuovo Testamento, '6' sempre che venga vista al di fuori della particolare situazione del suo tempo. Essa condivide questa caratteristica con gli scritti trattati nei capp . 18-22. Di fronte all'imminente assalto della gnosi (v. sopra, 20.2) e al pericolo che la speranza veterotestamentaria e prato­ cristiana, che intende la storia come cammino di Dio verso un fine e non come caotico intreccio di accecamento umano, possa cedere ad una filo­ sofia astorica e atemporale, questo chiaro richiamo è essenziale. Che fede e amore includano anche le esigenze etiche valide nel mondo quando si possono con esse conciliare, è per l'ulteriore vita della comunità di Gesù un fatto essenziale, già indicato in Fil. 4,8. Della triplice autorità del pri­ mo cattolicesimo alla fine del II secolo - Scrittura, dogma e ministero uf­ ficiale (v. sotto, 28.6) - solo la prima è inequivocabilmente stabilita come fondamento ( 1 ,19-2 1 ; 3,r6), mentre il dogma in ogni caso non è ancora formulato, anche se si presuppone che la fede sia soprattutto dottrina tra­ mandata , e il ministero ufficiale, a prescindere dall'autorità dei due apo­ stoli determinanti, non appare ancora in nessun luogo. La lotta per il si­ gnificato della narrata storia di Dio nel passato dell'evento Cristo e del futuro di Dio promesso nella parola, ha reso possibile il radicarsi della fu­ tura comunità nella Scrittura, per quanto molte cose debbano essere det­ te in modo diverso in tempi e situazioni diverse. Per le lettere di Giovanni v. sotto, cap. 3 0 . 182. Kiisemann, Eine Apologie der urchristlichen Eichatologie, in Id. (n. 2 3 ) I (r96o) 135: «probabilmente lo scritto più problematico del canone».

V. I primi tre vangeli e gli Atti degli Apostoli

Formule di fede e canti protocristiani (v. sopra, 5 ) presuppongono indub­ biamente un uomo Gesù, possono accennare anche alla sua morte o alla sua incarnazione, ma mirano ad affermare l'azione di Dio in lui e nei suoi riguardi e descrivono quindi soprattutto la «dimensione» in cui vanno vi­ ste la sua vita e la sua morte. Determinanti, perciò, sono gli avvenimenti che >, cioè dell'annuncio che continua a diffondersi dopo la pasqua (v. sopra, 6.2) , quale è breve­ mente riassunto in I Cor. 15,3·5 . '89 25 + Assenza di Gesù dopo la pasqua? Marco non parla mai dell'attività del Risorto in seno alla comunità, '90 sebbene il cap. 13 descriva il tempo tra la pasqua e la parusia. È il tempo in cui «lo sposo è loro tolto» (2,19-20) e i servi devono attendersi una lunga assenza del loro padrone partito per una terra straniera, come dice la parabola di Le. 1 2 ,36, che ha subito una trasformazione (ad opera di Marco?) : Mc. 13,34-37 (v. sopra, 3 - 5 ) - Inten­ de forse Marco addirittura polemizzare con i dodici che secondo 16,8 non hanno mai ricevuto il messaggio di Gesù e sono quindi rimasti ciechi? Es­ si allora sarebbero i rappresentanti della comunità di Gerusalemme e con essa dell'evoluzione (giudeocristiana) della predicazione del Cristo partita 188. R. Pesch, Der Sr:hlusr der vormarkinischen Passionsgeschichte und des Markusevangeliums: Mk IJ,42· x 6,8, in L'évangile de Mare, cd. M . Sabbe, Gembloux 1 974, 402 s. 189. P. Pokorny, Die Entstehung der Ch risto logie, Stuttgart 1 98 5 , 1 57 s.

190. Maggiori prccisazioni per quanto segue si trovano in E. Schwcizer (n . 1 87) , 90- 100.

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di là. L'unica possibilità di comprendere Marco sarebbe allora di pensare che egli ha posto tutto l'accento sull'attività terrena di Gesù, ed ha, per esempio, trasformato anche il racconto dell'apparizione del Risorto nel­ l' episodio della trasfigurazione del Gesù terreno. Persino la crocifissione fu allora interpretata come vittoria che tutto conclude, l'ultimo grido co­ me un grido di trionfo di Gesù. L'altra possibilità consisterebbe nell'in­ tendere apocalitticamente Marco solo come invito ad attendere il ritorno di Gesù, o almeno nel cap. 1 3 (ritorno) e nei capp . r4-r6 (passione) vede­ re due «vertici» del vangelo di egual valore. La promessa che i discepoli «vedranno» Gesù in Galilea ( r6,7) sarebbe allora da riferire all'apparizio­ ne di Gesù quando ritornerà per il giudizio oppure, interpretata in modo diverso, al suo ritorno nella missione ai pagani degli ultimi tempi che avrà inizio in Galilea. Ma tale interpretazione di r6,7, almeno per l'evangelista stesso, non è possibile (v. sopra, 25 . 3 ) , sia che in origine fosse raccontata un'apparizione pasquale, sia che si rinviasse soltanto alla formula di fede in cui la risurrezione era affermata in conformità della fede. Che Gesù è il Figlio dell'uomo che ritornerà come giudice, è per Marco un concetto essenziale, ma ai fini dell'ammonimento etico, e all'infuori del cap. 13 e di q,62 attinti dalla tradizione'9' è ripreso soltanto una volta e solo in que­ sto contesto (8,38-9, 1 ) . Proprio Marco ha decisamente completato l'idea tradizionale del Figlio dell'uomo che ritornerà come giudice e l'ha così trasformata mediante l'annuncio del Figlio dell'uomo sofferente (8,3 r ; 9, 12. 3 1 ; 10,33·45 ; I4, 2 1 . 4I ) , sia che questo esistesse già prima di lui o che sia stato creato da lui. Ma che Marco si sia limitato al Gesù terreno non si può sostenere, poiché secondo 8,32 (v. sopra, 2 5 .2), l'annuncio fonda­ mentale, che avviene non più in forma velata, è appunto quello della pas­ sione e risurrezione. Soprattutto è molto improbabile la polemica con i dodici e quindi con la comunità giudeocristiana. Ai dodici è affidato il mistero del regno di Dio (4, r r ) ; a loro Gesù spiega tutte le parabole (4,34) e attraverso la loro tradizione le spiega anche ai lettori del vangelo ; essi sono diventati (6,7- 1 3 ) e saranno ( r 3 ,9- 1 3 ) autorizzati annunciatori di Gesù. Essendo stati partecipi dell'ultima cena l'hanno tramandata alla comunità ( 14,22-25 ) . Certamente essi rimangono ciechi fino a quando si dànno alla fuga nel Getsemani, ma ciò vale anche per tutti gli uomini e mette soltanto in risalto la grazia di Dio quale esclusivo fondamento di ogni conoscenza di Gesù (v. sopra, 25 .2) . Infine, anche secondo Marco, 19r . Il cap. I 3 è probabilmente una visione apocalittica del futuro, da collocare forse intorno al 44 d.C . . forse un riassunto catechetico d i varie traJizioni d i varia età, come ora riconosce anche G . Beasley -Mur­ ray , ]esus an d the Kingdom o/ God, Exeter 1985, 3 2 3 . A C. Breytenbach, Nachfolge und Zukunftserwar­ tung nach Markus, 1984 (AThANT 71) 331- 3 .37 riconosco volentieri che per Marco l'orientamento al fu­ turo è forse ancor più imponante di quanto io pensi.

25.

Il vangelo secondo Marco

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Gesù non è solo l'assente nel tempo della sua comunità, egli è presente nel suo «nome» e nello «Spirito», come pensano anche gli Atti degli Apo­ stoli (v. sotto, 28. 3 ) . Il battesimo nello Spirito ad opera di Gesù annuncia­ to in 1,8 ha luogo secondo 1 3 , I I . 1 3 nella proclamazione del suo nome do­ po la pasqua, e 9,37-40 parla pure di questo tempo, perché la sequela è messa in discussione rispetto ai discepoli, non rispetto a Gesù. Che il tito­ lo di Kyrios sia presupposto per colui che siede alla destra di Dio ( 12,3637) non può forse essere messo troppo in rilievo, poiché esso non include espressamente la sovranità di Gesù sulla comunità, ma la dignità di co­ lui che un giorno ritornerà ( q,62) . I racconti di guarigioni e di sequela presuppongono invece che la stessa cosa avvenga sempre nella comunità postpasquale ( n ,22-24; 10,28-30) . Si può quindi dire soltanto che per Marco Gesù è colui che opera terrenamente ma che nella croce e nella ri­ surrezione raggiunge il suo fine e un giorno ritornerà come giudice, però è già operante nel suo «nome» e nella vigorosa proclamazione della sua comunità. 25 ·5· Il segreto messianz'co. Tutta la descrizione dell'attività terrena di Gesù in Marco assume un'altra «dimensione» in virtù di ciò che solita­ mente viene chiamato il suo «segreto messianico». Con ciò s'intendono peraltro cose diverse: r . il divieto di propagare la notizia di guarigioni mi­ racolose; 2. il rilievo dato al parlare in parabole come a un discorso com­ prensibile solo ad iniziati; 3· il divieto imposto ai demoni di proclamare Gesù Figlio di Dio ; 4· l'incomprensione dei discepoli. 1 . La segretezza del miracolo, indicata per esempio dal ritirarsi in casa con pochissimi o con nessun testimone, può far parte dello stile tradizionale (2 Re 4,3335) . I miracoli sono per Marco sicuramente importanti. Che il divieto di propagarne la notizia venga spesso infranto, indica quanto poco si possa nascondere il potere divino di Gesù. Ma redazionalmente Marco mette l'accento sull'insegnamento di Gesù, menzionato venti volte e, a prescin­ dere da 6,30 dove è riferito ai discepoli in una forma linguistica diversa, attribuito sempre a Gesù stesso. A questo proposito Marco ricorda che Gesù si sottrae al desiderio di miracoli ( r ,38) e accenna all'incomprensio­ ne di amici e nemici riguardo ai miracoli (3,6; 6,5-6; 8,8-2r ) . I miracoli possono quindi secondo lui essere male interpretati fino a che nella se­ quela non sono comprese e assunte la croce e la risurrezione (8,31 -37) . 2. La concezione delle parabole come linguaggio segreto è premarciana. Anche Marco pone l'accento sul segreto del regno di Dio, che si dischiu­ de soltanto a colui che Gesù stesso istruisce (4,34) e a colui al quale Dio stesso apre gli occhi (8,22-26; 10,46-52 ) . Ma egli non può più porre una divisione tra quelli di fuori e quelli di dentro come ancora fa 4, n-r2, un passo che egli ha ricevuto dalla tradizione, e come avviene anche negli -

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scritti dei monaci giudei del Mar Morto. Secondo Marco anche i discepo­ li sono tra quelli che non comprendono (4, 1 3 ; v. sopra, 2 . 5 ) , e alla fine è un pagano che «vede>»>, mentre i discepoli hanno abbandonato Gesù ( 15,39; 14,50) . Se il lettore può comprendere chi è Gesù, sappia che lo deve al miracolo di Dio. - 3 · Il sapere soprannaturale dei demoni è pari­ menti un tratto tradizionale. Marco se ne serve per segnalare al lettore il «più» di Gesù rispetto a taumaturghi contemporanei ed anche a tauma­ turghi profetici dell'Antico Testamento ( 1 ,24; 3 , n ) , ma la vera fede nel Figlio di Dio sarà donata solo dalla voce stessa di Dio nelle parole di Gesù (9,7; cfr. I , I I ) . - 4· La cecità dei discepoli è un mezzo per affermare che fede e sequela sono completamente dono di Dio, un evento dovuto alla sua grazia. '9' 25 .6. Teologia della croce. Marco è interpretato in modi così diversi perché di fatto riunisce pure tradizioni molto diverse e soprattutto collega racconti di miracoli e una visione apocalittica del futuro (cap. 1 3 ) alla sto­ ria della passione. Dell'autorità di Gesù che si manifesta nella purificazio­ ne del tempio e nella maledizione dell'albero di fico ( n , 1 2-28) si parla anche nella storia della passione, con localizzazione in Gerusalemme, e l'accenno a colui che verrà si collega già al primo annuncio della passione e risurrezione e all'annesso invito a seguirlo su questa strada. A prescin­ dere dalla questione se queste diverse tendenze risalgano in origine a dif­ ferenti comunità o se si trovino l'una accanto all' altra nella stessa comuni­ tà (v. sopra, 8 ) , tale sguardo d'insieme è anche una prestazione teologica­ mente essenziale. Il particolare accento marciano consiste nel fatto che Gesù si manifesta sempre più chiaramente come colui che è, come il let­ tore sa fin da 1 , 1 o almeno da I , n , come Figlio di Dio che, secondo 1 , 23, porta a compimento l'Antico Testamento (v. sopra, 25 .2). Ma egli non fa ciò per mezzo di miracoli sempre più prestigiosi, che al massimo porta­ no a questa convinzione i demoni. La voce di Dio udita nel battesimo, che è rivolta solo a Gesù ( I , n ) e che inoltre lo spinge subito nel deserto a lot­ tare con Satana, nella trasfigurazione di Gesù è udita anche dai discepoli, che soltanto per breve tempo vedono la dignità sua propria e subito dopo sono esortati ad ascoltarlo (9,7) . Ma la rivelazione, che per la prima volta rende possibile la professione umana di fede nel Figlio di Dio, è la sua morte in croce ( 15.39). Che ciò debba essere raccontato alla fine del van­ gelo è naturalmente un'esigenza della narrazione storica, ma viene già an­ nunciato in 3 ,6, in un certo senso anche già accennato con la cattura del Battista in 1 , 1 4 come soprascritta di tutto ciò che avverrà in seguito. x92. Cfr. U. Luz, Das Geheimnismotiv und die markinische Christologie: ZNW �6 ( 1 96.:;) 9-30; ristampa in Das Markus-Evangelium, ed. R. Pesch 1 97 9 (WdF 4u) 2 I I -237; E. Schweizer, Zur Frage des MessiaJ· geheimnisses bei Markus, ihid. 1-8; ristampa in Id. , Beitrage (n. 40) u -20.

25 . 25 · 7 ·

Il vangelo secondo Marco

Differenze rispetto alle formule di fede

e

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agli inni e rispetto a Pao­

lo. Non è prestabilito un ponte che conduca alla concezione di un Figlio da sempre preesistente presso Dio, che viene sulla terra, o, per essere pre­ cisi, è prestabilito meno che in Q (v. sopra, 7.8) . Ma non si potrà nemme­ no affermare che Marco abbia intenzionalmente respinto o anche soltanto escluso tali concetti. Parole di Gesù quali 2,17; I0,45 (« Non sono venuto per chiamare i giusti . . . per farmi servire» ) ; 9,I9 (« . . . neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre . . . ») o l'invio del figlio nella pa­ rabola ( 1 2,6-8) non sono in ogni caso al riparo da tale interpretazione, pur essendo possibili anche in bocca di un profeta degli ultimi tempi. Ma la teologia della croce di Marco non è certamente identica a quella di Paolo. Diversamente che in Paolo l' «epifania» del potere di Gesù nei suoi miracoli è vista in senso del tutto positivo, anche se rimane «nascosta» e può persino mettere fuori strada se non si segue il Crocifisso e Risorto. Diversamente da Paolo, Marco scorge il pericolo a cui sono esposti i suoi lettori non tanto nell'autoesaltazione, contro la quale va predicata la giu­ stificazione dell'empio, quanto nella sequela difettosa, sulla quale si deve di nuovo richiamare l'attenzione da un lato con l'esempio della via per­ corsa da Gesù, dall'altro con lo sguardo rivolto a colui che ritornerà. Co­ me il Giusto sofferente, secondo Sap. 2, Io-2o e 5, I-5, è confermato dalla sua elevazione a Dio (v. sopra, 7.9) , così tutta la vita di Gesù è confermata dalla risurrezione e vuoi portare a seguirlo. La sua risurrezione fa atten­ dere la sua definitiva venuta alla fine dei tempi e motiva così l'urgenza della sequela. Essa si trova sempre sotto il segno di colui che un giorno salì sulla croce per «servire e dare la sua vita in riscatto per molti» ( Io>45 ; 14,24) e che è venuto «per chiamare non i giusti, ma i peccatori» (2, I7) . 25 .8. Annuncio come narrazione. Che Marco abbia scritto un vangelo, abbia quindi ritenuto che la narrazione rappresenta una forma di annun­ cio dell'azione divina necessaria tanto quanto la formulazione in forma di professione di fede e quanto la chiamata alla fede e alla vita di fede, che impone una decisione, è un fatto teologico determinante. Esso si trova già nell'Antico Testamento, dove, accanto a formule di fede che lodano Dio e ai comandamenti che descrivono la vita che su di essi si fonda, è traman­ data in forma narrativa la storia di Dio con Israele. Queste forme possono comparire entrambe nello stesso salmo o libro profetico, l'una accanto al­ l'altra o intrecciate l'una con l'altra. Fondamentale fu l'iniziativa di Mar­ co, che in questo modo utilizzò decisamente spunti di tradizione narra­ tiva, soprattutto di fronte al pericolo di una pura ideologia, cioè di una fede che vivesse di tesi, quali quelle della giustificazione dell'empio, del perdono dei peccati e della necessità di ritenere per vero il giusto, senza fondare tutto questo sull'agire storico di Dio in Gesù di Nazaret. Si sa-

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I primi tre vangeli e gli Atti degli Apostoli

rebbe potuto allora intendere Gesù come primo rappresentante o anche come simbolo di questo retto modo di pensare, così come Platone fu il primo rappresentante della filosofia platonica, o come il mito di Attis rappresentava simbolicamente ciò che continuamente si svolge nell'anima umana senza che per questo fosse necessario sapere di più sulla vita di Platone o credere in un Attis realmente vissuto sulla terra. Nel migliore dei casi Gesù sarebbe allora rimasto maestro e forse anche modello di tale fede. Per Paolo il fatto che Gesù avesse subito la morte di croce, maledet­ ta da Dio (Gal. 3, 13) fu un tale scandalo, che il radicamento della sua fede in questa sconvolgente storia di Gesù rimase per lui fondamentale e in nessun momento fu messo in discussione. Ma intorno al 7o le cose muta­ rono. Per la comunità etnicocristiana questa vicenda, che si era svolta in un lontano angolo dell'impero romano, passò sempre più in secondo pia­ no e minacciò di scomparire. Proprio la decisione di riprenderla in una forma narrativa in cui il suo significato non fosse semplicemente fissato in un aspetto ideologico, ma dovesse essere sempre di nuovo riconosciuto e creduto, nei secoli seguenti preservò la comunità dal diventare semplice­ mente una ideologia di tinta religiosa accanto ad altre. Anche a prescin­ dere completamente dal contenuto, questo è il contributo sommamente importante che Marco, e in parte anche i suoi precedessori, hanno dato a tutto il messaggio del Nuovo Testamento. '93 26. Il vangelo secondo Matteo

26 . 1 . Autore, data, luogo. Poiché Matteo presuppone l'esistenza del vangelo di Marco (v. sopra, 7. 1 ) , si può pensare che abbia scritto il suo vangelo verso gli anni 8o. Si è fatta l'ipotesi di un autore etnicocristiano o, viceversa, di un giudeo ancora appartenente alla sinagoga, dove lottava contro il rifiuto opposto a Gesù.'94 Contro questi due estremi sta da un lato il fatto che in Israele era radicato un comportamento rigido nei confronti della legge (v. sotto, 26.7-8), dall'altro il netto rifiuto dei giudei (v. sotto, 26.6). Si dovrà quindi pensare ad un giudeocristiano, più precisamente ad uno scriba giudeocristiano, quale è descritto in 1 3 , 5 2 . Tuttavia Giacomo, fratello di Gesù e più tardi capo della comunità di Gerusalemme, non ha alcun ruolo, mentre Pietro per la comunità è il tradente determinante dell'insegnamento di Gesù. Ciò fa pensare più alla Siria che alla vera e 193. E. Schweizer, Die theologische Leistung des Markus: EvTh 24 (1964) 337-355; ristampa in Id., Bei­ trage (n. 40) 21 -42 e in Das Markus-Evangelium (n. 192) 163 - 1 89. 194. Cfr. U. Luz, Das Evangelium nach Mattbaus, 1985 (EKK I/r) 62-64. 70 s.; R. Hummel, Die Ausein­ andersetzung zwiscben Kircbe und Judentum, 1963 (BEvTh 33) 28-33 (non una separazione completa

dalla sinagoga) .

26.

Il vangelo secondo Matteo

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propria Palestina, dove, dopo la partenza di Pietro, Giacomo assume la guida della comunità (Atti 12, 17; 2 1 , 1 8 ; in Gal. 2,9 è nominato per primo, contrariamente a 1 , 18-19) . Anche secondo Gal. 2 , n Pietro ha un ruolo importante in Antiochia (cfr. sopra, 9.2) . In Mt. 9,9 il pubblicano chiama­ to da Gesù porta il nome di Matteo (Mc. 2, 14: Levi) . Ma l'autore non è testimone oculare della vita di Gesù, come già lo prova l'utilizzazione del vangelo di Marco. Si potrebbe pensare che la raccolta di detti di Gesù (Q; v. sopra, 7.3) sia stata fatta risalire ad un Matteo, il che avrebbe poi determinato il cambiamento del nome (v. sopra, 7 . 1 , la testimonianza di Papia, e n. 54) . Ma non si sa con certezza fino a che punto P apia sia in possesso di notizie attendibili; egli riporta anche storie fantasti che e la sua notizia difficilmente è riferibile a tutto il vangelo, supposto che egli parli per lo meno di detti di Gesù che sarebbero stati raccolti da Matteo i n lin ­ gua ebraica. Il nostro vangelo non è una traduzione, ma è stato scritto in greco. Inoltre alcune delle citazioni veterotestamentarie corrispondono solo al testo della traduzione greca dell'Antico Testamento (per esempio «vergine»: 1,23). 26.2. Rapporto con Marco e Q. Se Matteo ha scritto un libro suo, ciò di­ mostra che Marco per lui non bastava. Peraltro egli lo riprende quasi completamente con occasionali abbreviazioni . Senza sostituzione sono tralasciate soltanto la parabola del seme che cresce da sé, forse perché rappresenta l'uomo come totalmente passivo (Mc. 4,26-29) , e l'introdu­ zione di Mc. 3,20-21 secondo la quale i congiunti di Gesù lo ritenevano pazzo, notizia naturalmente sconvolgente. I due passi mancano anche in Luca; sarebbero forse già stati cancellati nelle copie di Marco che essi uti­ lizzarono? Sono inoltre tralasciati Mc. 1 ,22-28 e 12,41 -44, il primo perché il riconoscimento dei demoni era sospetto, il secondo perché Mt. 24, 1 («e Gesù uscì dal tempio») doveva direttamente seguire come adempimento di 23,38-39 («La vostra casa sarà lasciata; vi dico infatti che da ora non mi vedrete più finché . . . » ) . In aggiunta a Marco, sorprende innanzitutto la cornice del vangelo. I capp. 1-2 descrivono la nascita e l'infanzia di Gesù e 28, n -2o la guardia al sepolcro e l'apparizione del Risorto alle donne e agli undici discepoli in Galilea. Quest'ultima potrebbe essersi trovata in origine in Marco, ed entrambe sono prova dell'incomparabile agire di Dio in Gesù, che porta definitivamente a compimento tutte le cose. Per que­ sto, inoltre, il libro s'inizia con un albero genealogico, che si svolge in tre serie di quattordici ( due volte sette) generazioni, da Abramo fino a Da­ vid, da David (contato di nuovo) fino all'ultimo re prima dell'esilio e dal primo re dopo l'esilio fino a Gesù ( r , r -17). Perciò il libro termina con la promessa che Gesù sarà presente nella sua comunità fino alla fine del mondo (28,20) . Inoltre all'inizio vi sono quattro donne pagane ( 1 , 3 . 5 ·6) e =

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alla fine «tutti i pagani» (28,19) . Va aggiunto che Matteo ha ripreso da Q dei detti di Gesù e li ha inseriti in grandi complessi: nel discorso della montagna (capp . 5-7) , nell'invio dei dodici (cap. 10, dove Mc. 6,7-13 è molto più breve) , nelle parole sul Battista (cap. n ) , nel discorso in para­ bole (cap . 1 3 , che amplia notevolmente Mc. 4) , nell'«ordinamento della comunità» (cap. 18, in aggancio a Mc. 9 , 3 3 -50) , nelle invettive contro i fa­ risei (cap. 23 , in Mc. 12,37-40 solo brevemente accennate) e nel discorso della fine dei tempi (capp. 24 [in parallelo a Mc. 1 3 ] e 25 ) . Essi terminano per lo più con la formula : «Quando Gesù ebbe finito queste parole . . . » (7,28; 1 1 , 1 ; 1 3 ,5 3 ; 19, 1 ; 26, 1 ) . 26 . 3 . Gesù comprovato da parola e azione. Nei capp. 3-4, e poi di nuovo dal cap. 12, Matteo riprende la sequenza di Marco introducendovi però a più riprese materiale supplementare. '9' Nei capp. 5 -7 raccoglie nel grande «discorso della montagna» detti di Gesù che in Luca compaiono in punti diversi, nei capp. 8-9 azioni di Gesù che in Marco, alcune anche soltanto in Luca (Q), ricorrono in punti diversi. Perché lo faccia, è evidente. In 9,27-34 narra due guarigioni, una di due ciechi e una di un sordomuto, che non si trovano né in Marco né in Luca e in certo modo rappresentano un duplicato di quanto è n arr ato in 20,29-34 e 12,22 -24. Perché? Secon­ do 1 1 ,4 i messaggeri del Battista «odono e vedono» ciò che Gesù gli man­ da a dire: «Ciechi recupcrano la vista, storpi camminano, lebbrosi sono mondati, sordi riacquistano l'udito, morti risuscitano e ai poveri è annun­ ciata la buona novella» ( 1 1 ,5 ) . Con l'aggiunta che si ha in 9,27-34 Matteo giunge a ottenere che tutti questi miracoli siano raccontati nei capitoli 89. L'annuncio della buona novella ai poveri avveniva già nel discorso dell a montagna (capp. 5-7) , che s'inizia appunto con la frase «Beati i pove­ ri . . . �> . Dunque, ciò che Gesù si attribuisce nelle parole dirette al Battista è già tutto avvenuto. Dietro a questo si trova una importante decisione teo­ logica, che si manifesta anche nel fatto che Mattco ha spostato alla fine del discorso della montagna la frase di Mc. 1 ,22 «ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non co ­ me gli scribi» (7,28-29) . Ciò significa: a lui non basta più annunciare sempli c emente, come fa Marco, alla luce di quanto i discepoli capirono dopo la pasqua, che l'autorità di Dio si è manifestata già nell'insegnamen­ to del Gesù terreno; per lui è essenziale ciò che il Gesù terreno ha inse­ gnato con tale autorità. Considerando il contenuto del suo insegnamento il lettore dovrà maturare il suo giudizio sull'autorità divina di Gesù. Lo stesso vale anche per le azioni di Gesù che Matteo racconta prima di an­ nunciare, sulla base di queste azioni, l'inizio della fine dei tempi. Mc. 1 ,23 I95· Per quanto segue vedi Schweizer, Matthiius (n. 1 86) :w-22.

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e 3 , r r mancano: che esseri ultraterreni, anche « i mmo n di » , conoscano il segreto di Gesù, svelino che egli è il Figlio di Dio, per Matteo non è suffi­ ciente. Il lettore stesso deve giudicare . Soltanto la parola p ro fetica de1la Scrittura, che Gesù stesso proclama come già adempiuta, gli è d'aiuto ad interpretare questi fatti per ci ò che realmente sono ( r r ,5 ) . Non basta, dunque, sulla base del messaggio dell'evangelista «credere�> che in Gesù Dio stesso si è incontrato definitivamente col mondo e che ciò vale sia per il Gesù terreno sia per il Gesù risorto e glorificato; occorre anche che su tale fede si indaghi . Diversamente, significherebbe ricadere nell'ideologia (v. sopra, 25 .8). Alla fede sono senz'altro forniti criteri che rendono possi­ bile un giudizio che la giustifica, sebbene anche Matteo sappia che parole e azioni non sono mai inequivocabili e possono portare anche alla incre­ dulità e all 'ostilit à (12,14 spiegato teo l ogica m ente da 12,15-21 ) . Anche se per la fede non esistono prove, Gesù dona all'uomo una certezza fondata sulle sue parole e sulle sue azioni , che suscitano in lui la vita. 26 + Vita di Gesù nei suoi discepoli. Teologicamente importante è pure il fatto che il cap. 10 si trovi tra le - raccolte dei detti e del1e azioni di Gesù (capp. 5-7/8-9) da un lato, e la parola di Gesù sul tempo giunto a com­ pimento ( r r , 5 ) , alla quale queste mirano, dall'altro. Prima cioè che Gesù dica la parola interpretativa, si parla della schiera dei discepoli. Ciò che in 9,35 è detto di Gesù: «Egli guariva ogni m alattia e infermità» quattro ver­ setti dopo è attribuito come compito ai discepoli in modo letteralmente identico ( I O , r ) . La duplice missione, tipica di Gesù, di annunciare il regno di Dio e di guarire malati, risuscitare morti, purificare lebbrosi, cacciare demoni , viene affidata anche a loro ( 10,7-8) . Secondo 9,36-38 non sono soltanto i dodici, bensì gli «operai» di tutti i tempi quelli che devono istruire «le pecore senza pastore» d'Israele; Mc. 6,34 aveva detto questo soltanto di Gesù stesso . Gesù è quindi anche colui che continua a vivere nel potere trasmesso ai suoi discepo li . Per quanto questi discepoli siano innanzitutto quelli che furono inviati in missione al tempo di Gesù, come l ' evangelista ora ricorda, essi tuttavia sono in funzione dei futuri membri della comunità, come si vede già in 9,8, dove, nella conclusione del rac­ conto della guarigione del paralitico, la turba si meravigliava che un tale potere fosse dato «agli uomini» (non soltanto al Figlio dell'uomo, v. 6 Mc. 2, 10) . Che ciò non si riferisca solo al potere di gu a ri re ma anche a quello di rimettere i peccati risulta chiaro in r8,21-35 (v. sotto, 26.5 ) e nell ' aggiunta alle parole dette sul calice: «versato per molti per il perdono dei peccati» (26,28). I discepoli prendono anche parte alle sofferenze di Gesù . Con 8,18 ha i nizio il racconto della t e m pesta sul lago ( Mc 4, 3 5 41 ) , ma Matteo inserisce (vv. 19-22) due detti relativi alla sequela e tra­ sforma il v. 23 in modo che i discepoli ora «seguono» Gesù sulla barca e =

=

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quindi nella tempesta. Matteo dunque vede in ciò rappresentati la navi­ cella della chiesa e il suo destino. '96 Perciò anche l'annuncio di persecuzio­ ni e sofferenze a testimonianza per il mondo viene da lui tolto dal discor­ so della fine dei tempi (Mc. 1 3 ,9-13) e trasferito nel discorso di missione (Mt. ro,q-25 ) , dove egli già anche nei vv. 7-16 ha ripreso molto dal di­ scorso di missione di Q (Le. 10,2- 12). Il detto sul portare la croce dietro a Gesù, che in Mc. 8,34-35 si trova solo dopo la professione di fede di Pie­ tro, compare parimenti in Mt. ro,38-39 (e 16,24-25 ). Già in occasione del battesimo ad opera di Giovanni Gesù in Matteo dichiara che è neces­ sario «che noi adempiamo ogni giustizia», includendo quindi i suoi futuri discepoli ( 3 , 1 5 ) . Inoltre Mt. 26,29 .38.40 al testo di Marco aggiunge che Gesù «con» i discepoli berrà il succo della vite nel regno di Dio e che perciò essi ora devono vegliare « con lui» . Per Matteo i discepoli non sono più ciechi ed increduli, essi sono co­ stantemente uomini «di poca fede » (8,26; 14, 3 1 ; 16,8) . Non si dice più che non hanno fede (Mc. 4,40) e che sono ciechi e sordi come gli estrane i (Mc. 8,18) . In 1 3 ,16-17 i discepoli, in contrapposizione ai ciechi e ai sordi, sono persino dichiarati beati perché vedono e odono ciò che i profeti e i giusti stessi non poterono vedere e udire (Le. 10,23-24 Q) , mentre Mc. 4,13 quasi li identifica con quelli. I discepoli rappresentano cosl anche la comunità futura, che non è cieca alla messianità di Gesù, ma non ha suf­ ficiente forza per resistere alle tentazioni della vita terrena. Già in 14,33, quindi prima della professione di fede di Pietro, i discepoli onorano Gesù come vero Figlio di Dio. Ciò non è loro nascosto; ma essi si oppongono all'idea che egli lo sia nell'umiliazione. Perciò anche il duro rimprovero rivolto a Pietro, che non riesce a comprendere la via della passione, non viene mitigato, benché egli sia stato in precedenza chiamato beato (r6,2 3 ) . 26.5. La particolare posizione di Pietro. Tra i discepoli Pietro è messo ancor più fortemente in rilievo che in Marco. Il punto in cui è dichiarato beato si trova al centro del vangelo ( r6,q), ma ciò non esclude che an­ ch'egli faccia parte degli « uomini di poca fede», anzi di coloro che pensa­ no solo al modo degli uomini ( 14,3 1 ; 16,23 ) . È strano che manchi la prima apparizione del Risorto davanti a lui (Le. 24,34; 1 Cor. 15,5 ) . Secondo Mt. 28,9 (cfr. Gv. 20, 14-18) prime testimoni sono le donne e Pietro non viene mai citato in particolare come destinatario del messaggio dell'angelo ( cfr invece Mc. r6,7) . Nuovo, invece, rispetto a Marco, è il suo intervento in IJ,I5 ; 17,24-27; 18,21, sempre in rapporto ad una questione importante .

196. G. Bornkamm in Id. - G. Barth - H.J . Held, Oberlieferung und Auslegung im Matthausevangelium, 1961 (WMANT I) 48-5 3. Sulla trasparenza dell'aspetto storico per il tempo della chiesa cfr. le differen­ ziazioni in W. Schenk, Die Sp rache des Matthaus, Gottingen 1 987, .343 s.

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per il comportamento etico della comunità, sicché egli parla in nome di tutti i discepoli (cfr. IJ, IJ-r6; r8,21/35, anche 16,20.21 .24; 19,27; 26,35 ) . L a struttura del particolare macarismo riguardante Pietro i n r6,r7-19 presenta anche notevoli paralleli con quello riguardante tutti i discepoli di Gesù in 5,12-r6,'97 dove questi sono visti nella categoria dei profeti (5, 1 2 ; cfr. 10,41 ) . Alle parole «Beati siete voi>> (con le quali s'inizia in 5 , 1 2 il discorso diretto) l «Beato sei tu» ( r6, r 7) segue la loro nuova definizio­ ne con «Voi siete» l «tu sei» e una metafora («il sale della terra» l «la roccia») , che si conclude con una promessa: la città sul monte non può rimanere nascosta l la comunità fondata sulla roccia non può essere di­ strutta (cfr. anche le medesime espressioni «sciogliere» e « regno dci ci eli » in 5, 19-20 e 16, 19) . Inoltre il potere «di legare e di sciogliere» secondo r8,18 è dato a tutti i membri della comunità. Come per i rabbi, ciò signifi­ ca che essi, nei problemi che continuamente emergono, stabiliscono ciò che si deve o non si deve fare, per esempio quando si tratta delle prescri­ zioni relative al sabato o ai cibi, e così dichiarare gli uomini «esenti dal­ l ' obbligm> o obbligati all'osservanza. A questo proposito il primo di que­ sti poteri può spettare soprattutto a Pietro, il secondo alla comunità, co­ me dimostra la continuazione nella parabola del servo, a cui è condonato un debito fantasticamente alto (v. sotto, 26.9) e che tuttavia tormenta un suo conservo a motivo di una somma di denaro al paragone piccolissima. La presenza di Gesù allorché due o tre si trovano insieme a pregare ( 18,1920) è dunque fondamento del potere di perdonare. Anche se in r6,19 si pensa più alle sentenze obbliganti o esoneranti maturate nelle scuole, il fatto è designato coi medesimi vocaboli. Ciò che Pietro e gli scribi cristia­ ni fanno, si differenzia quindi solo nell'accento da ciò che è promesso a tutti i membri della comunità. Tra tutti i discepoli è in modo particolare Pietro il garante della tradizione e dell'interpretazione dei comandamenti di Gesù ( 28,20) . Perciò anche in r6,r8 non si ha la fondazione della chie­ sa, ma una promessa, espressa al futuro, che Gesù mediante la trasmissio­ ne continua, affidata soprattutto a Pietro, delle sue parole edificherà la «sua comunità», il popolo di Dio. 26.6. Israele e la comunità di Gesù. Questo popolo di Dio per Matteo è precisamente Israele. I territori pagani citati in Mc. 3,8 e 7,31 sono trala­ sciati. Gesù, fatta forse eccezione per IJ,21, rimane entro i confini d'I­ sraele. Mentre Mc. 7,27 afferma che il pane spetta prima ai figli (Israele) e poi ai cagnolini (pagani) , Gesù in Mt. 1 5 , 24 dichiara che egli è mandato soltanto ad Israele e invia esplicitamente i suoi discepoli in missione sol197. M.). Suggs, Wisdom, Christology and Law, in Matthew 's Gospel, Cambridge, Mass. 1970, 120·127Che 5 , 1 3 - 16 faccia corpo con 5 , 1 1 s. è già stato dimostrato da J. Dupont, Les béatitudes m , 1973 (EtBJ 327·329-

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tanto ad Israele ( 10,5-6.23 ) . Gesù è detto « figlio di Davide>> ; manca anche la promessa che un luogo di preghiera per tutti i pagani sostituirà il tem­ pio giudaico (Mc. n , q) . Soltanto nel discorso sul tempo finale è predetta la predicazione del vangelo a tutto il mondo e precisamente come pre­ condizione del futuro giudizio finale (Mt. 24, 14 come Mc. J 3 , Io), e solo dopo che Israele avrà definitivamente rifiutato Gesù (27,25) sarà, dopo la pasqua, aperta la via verso i pagani (28, 19) . Certamente questo non può motivare una presunzione della comunità, che al tempo di Matteo aveva già un carattere fortemente etnicocristiano.'98 Se cioè 2 1 ,23-22,14 e ancora 22,15-24,5 1 descrivono il «processo>> di Dio contro Israele con interroga­ torio dell'accusato, sentenza di colpevolezza, esecuzione della pena (in cui nel primo tratto i brani sono sempre collegati l'uno all'altro da lemmi ripetuti) , le due sezioni finiscono poi col duro avvertimento alla comunità di Gesù, alla quale accadrà esattamente la stessa cosa se non manterrà la fede (22 , 1 1 - 14i 24,42-5 1 ) . Per essa vale la minaccia di «pianto e strido r di denti» che si trova alla fine (22, 1 3 ; 24,5 1 ; anche 1 3 ,42) . Anch'essa può di­ ventare una schiera di «ipocriti » (24,5 1 ) . Viceversa, anche dopo la morte di Gesù continua l'invito a credere rivolto ai giudei ( 10,23 ; q,27a) . Ci si può persino chiedere se 23,29 non si aspetti, come Rom . 1 1 ,25-26, che al­ meno all'ultima venuta di Gesù anche Israele lo riconosca. Tuttavia il pas­ so resta oscuro. 26.7. Amore come «clausola generale» al di sopra della legge. Matteo dunque pone intenzionalmente la questione dell'identità della comunità di Gesù. Come già dimostrano le citazioni di riflessione («Ciò avvenne af­ finché si adempisse ciò che il profeta . . . dice») che Matteo probabilmente riprende dalla tradizione, ciò può essere da lui pensato soltanto nella ca­ tegoria del compimento delle promesse fatte ad Israele. La comunità è quindi il popolo di Dio riunito e rinnovato da Gesù, ora esteso a tutto il mondo (v. sopra, 7.6), nel quale fino al giudiz io finale sono presenti cat­ tivi e buoni (parabole della zizzania e della rete, 1 3 ,24-30· 36-43 ·47·50) . Perciò Gesù è innanzitutto colui che non abolisce la legge e i profeti, ma dà loro compimento (5,17) . La legge deve essere insegnata ed osservata (5,18-19) . In 24,20 si presuppone persino che per rispettare il sabato (di cui non parla Mc. 13,18) non si debba fuggire in quel giorno nemmeno se c'è pericolo di vita. Ma quando fosse messo in pericolo l'amore, come nd caso delle prescrizioni sui cibi ( 1 5 , I I ) impossibili da osservare da parte dei pagani, l'amore è più importante. Il comandamento dell'amo re del prossimo è quindi la «clausola generale» che sta al di sopra di tutti i sin198. Cfr. Schweizer, Matthaus (n. r86) n6-1 25. È incerto se secondo 27,52 le vittime degli assassini ( 2 3 . 3 1 s . ) compaiano come testimoni contro Israele ( P . Hoffmann, Das Zeichen fiir lsrael, i n Zur neutesta­ mentlichen Oberlieferung von der Auferstehung ]esu, Darmstadt 1988, 449 s . ) .

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goli comandamenti, così come la costituzione di uno stato sta al di sopra di tutte le leggi esecutorie. Perciò la regola d'oro, che «è la legge e i pro­ feti» (7, r 2 ) , unitamente a 5,!7 fa da cornice al nucleo centrale del discorso della montagna, e i falsi maestri, dai quali alla fine si mette in guardia (7,22-23), sono coloro che lasciano raffreddare l'amore (24, r r -I2) . Perciò del comandamento dell'amore del prossimo in 22 ,40 è detto che da esso «dipende tutta la legge e i profeti» e tale comandamento è espressamente equiparato all'amore di Dio . Anche in 19,19 nel materiale ripreso da Mar­ co viene inserita, come in 9,r3; 12,7, l'affermazione veterotestamcntaria che Dio vuole misericordia, non sacrificio. 26.8. Gesù, Sapienza di Dio. Alla luce di tutto questo vanno intese an­ che le antitesi: non solo l'omicidio, ma già l'odio ; non solo l'adulterio commesso, ma già il desiderio offende la volontà buona di Dio, perché offende il prossimo (5,21 -48) . Gesù è dunque primariamente il maestro che dona la possibilità di una vita nuova e proprio nei suoi buoni e soc­ correvoli comandamenti sarà sempre accanto alla sua comunità (28,20) . Tuttavia la categoria di maestro (di sapienza) (v. sopra, 7.7) non è ancora sufficiente, e lo dimostra un paio di osservazioni degne di nota. In rr,r9 si dichiara che la Sapienza di Dio è giustificata (ottiene giustizia davanti a Dio e a tutto il mondo) dalle sue opere, non più, come in origine e ancora in Le. 7,35, dai suoi figli. Ma in rr,2 si è parlato delle ( 1 , 3 ; 22,7·9 . 18). I nomi dci dodici apostoli sono scolpiti sulle pietre di fondamento della Gerusalemme celeste (21, 14) senza che l'autore accenni di essere uno di loro. Certamente non è colui che ha scritto il quarto vangelo. Lo stile è diverso perfino in cosette insignificanti, anche se si volesse spiegare la forte reminiscenza di forme semitiche come linguaggio intenzionalmente arcaico-sacro. Mancano pensieri e concetti giovannei importantissimi, ad esempio il contrasto tra luce e tenebre, amore e odio, Dio e mondo, o l' «essere da Dio» e il «rimanere in Dio/Cristo» ecc. Mentre il vangelo di Giovanni parla quasi esclusivamente della salvezza già presente e difficil­ mente del suo futuro o al massimo dice che il già presente «permane>> o si compie, tema dell'Apocalisse è proprio il futuro di Dio non ancora at­ tuato. '38 Se per il vangelo l'incarnazione del Logos di Dio è il punto cen­ trale, per l'Apocalisse tale è la sua presente e soprattutto futura posizione di sovrano che è stato glorificato e ritornerà. Entrambi, come Is. 53,7 ( Atti 8,32) e I Pt. 1 , 19 (cfr. I Cor. 5,7), parlano di Cristo come dell'« agnel­ lo», ma l'Apocalisse usa al riguardo un altro terminel39 che può significare anche «ariete». Certamente vi sono delle somiglianze col vangelo di Gio­ vanni, per esempio la designazione di Cristo come Logos (Gv. 1 , 1 - 14, ma solo nel prologo, v. sopra, 5 . 1 3 ; Apoc. 19, 1 3 ) , l'idea della fede come di un «conservare» (le parole di Gesù) e l'importanza del «tendere testimonian­ za». Ma tali corrispondenze si trovano anche in Paolo e specialmente nel­ la lettera agli Ebrei. All'inizio del rv sec. Eusebio propone come autore il presbitero Giovanni (v. sopra, 30. 1 ) :4" Ciò è possibile, quantunque il titolo =

238. Una disintegrazione atemporale ( Lohmcyer) è da escludere al pari di una chiara successione tempo· rale (Rissi): T. Holtz, Die Chrirtologie der Apoka!ypse des Johannes, 1971 (TU 85) 216-218. Cfr. O. Bo­ cher, Die )ohannes-Apoka!ypse in der neueren Forschung , in ANRW 2 5 . 5 ( 1 988) 3850·3893. 239. Si trova anche nell'aggiunto Gv. 2 1 , 15, ma per i membri della comunità (cfr. P. Whale, The Lamb n/

john: ]BL 106 [ 1987] 289-295).

240. Hist. ecc!. 3 . 39,6. ]. Roloff, Die 0/fenbarun?, des Joh an n es , 19 84 ( Z BKl I ) s. mostra nell'inizio della Apocalisse l'affinità con gli inizi di lettere paulint! e postpaolint!.

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Il libro profetico

di presbitero nell'Apocalisse sia attrib uito soltanto ai ventiquattro vegliar­ di celesti (4,4- 10) . L'opera potrebbe essere stata composta al tempo della prima grande persecuzione, quando il solo essere cristiani era punibile anche in Grecia e in Asia Minore, quindi all'incirca al tempo di Domiziano negli anni no­ vanta. Il numero 666 ( 1 3 , 18) risale a giochi con numeri. Poiché le lettere greche (come le ebraiche) sono anche cifre, si possono, per es. , sommare e usare come cifratura di un nome: «lo amo coloro il cui numero è 545 . . . ».'4' Anche certi gnostici cristiani hanno voluto con ciò dimostrare che Cristo e lo Spirito santo sono una sola cosa, poiché alfa ed omega (Apoc. 1 ,8) dànno insieme 801, lo stesso numero della somma delle lettere di peristerd ( colomba, Le. 3,22 ecc.) :4, In lettere ebraiche, «imperatore Nerone» dà 666:41 numero che in lettere greche corrisponde a «M. Ner­ va», il successore di Domiziano che regnò soltanto dall'estate del 97 alla primavera del 98 (Apoc. 17,ro?).'44 Ma ci sono tante altre possibilità, che, seguendo il consiglio di Berengaudo, è meglio tralasciare il conteggio poi­ ché potrebbe uscir fuori anche il proprio nome. 24' È vero che il martirio totale è un'eccezione (2,13), tuttavia «Nerone», di cui si diceva che sareb­ be ritornato quale tiranno ancor più terribile, o «Nerva» alla fine della grande persecuzione costituirebbero possibilità evidenti. I destinatari si trovano nell'Asia Minore (capp. 2-3 ) , e le sette comunità rappresentano simbolicamente la chiesa di tutto il mondo, il cui destino viene appunto descritto in ciò che segue. L'autore si trova nell'isola di Patmos di fronte all'Asia Minore ( 1 ,9) . È strano che, diversamente da quanto avviene in I Pt. , nelle lettere pastorali e un po' più tardi anche in Ignazio, non si avverta quasi nulla dell'influsso paolina. La questione della legge, per es. , non ha più alcun ruolo. Sembra quindi che nelle comunità dell'Asia Minore abbiano agito influssi assai diversi, specialmente se si dovessero collocare qui anche il vangelo e le lettere di Giovanni. Forse, almeno in parte, ciò si può spiegare col fatto che profeti itineranti (v. sot­ to, 3 1 .2) e comunità sedentarie ebbero evoluzioni diverse. 3 1 . 2 . Carattere pro/etico. Nell'ambito del canone neotestamentario il li­ bro ha tanta importanza perché è lo scritto di un profeta. Nella comunità dei primi tempi i profeti hanno svolto un ruolo importante:,46 Mt. 5 , r r - u ; =

241. R . Schiitz, Die 0//enbarung des Johannes und Kaiser Domitian, 1933 (FRLANT 50) 63. 242. Ircn., haer. 1, 14,6 (Harvey 8,7); Hipp. , elench. 6,49,5. 243 · L. Brun, Die romischen Kaiser in der Apokalypse: ZNW 26 ( 1927) 148 n. I (come possibilità discuti· bile). Inoltre in L. Kreitzer, fohn and the Nero Redivivus Myth : ZNW 79 ( 1 988) 92· I I5, specialm. 92 n. 2: in greco sarebbe possibile NÉpwv K11h11p wv . 244. Cosi H Kraft, Die 0/fenbarung des Johannes, 1974 (HNT r6a) 222. 245. In E. Stauffer, 666: CNT I I (1947) 237. 246. Cfr. soprattutto U.B. Miiller, Prophetie und Predigt im Neuen Testament, 1975 (StNT ro).

31.

L'Apocalisse di Giovanni

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7,22 ; 23,34 ; 24, r r - r2 (v. sopra, 26.5) ; Atti 2, 17- 18; r r ,27-28 ; 1 3, 1 ; 15 ,32 ; 19,6; 2 1 ,9-10 (v. sopra, 3 . 2 e 8) ; Rom. 12,6; I Cor. 1 2 , 28; 14 , 1 ; I Tess. 5 ,20 (v. sopra, ro.4) ; Ef 2,2o ; 4, r r (v. sopra, 18. 3 ) ; I Tim. 1 , r 8 (v. sopra, 20. 3 ) ; 3 Gv. (v. sopra, 30.4) . Naturalmente d i essi non è tramandato nulla di scritto. Il profeta annuncia sempre in modo nuovo il messaggio di Dio in una situazione concreta, sicché si giunge a delle decisioni ( I Cor. 14,2425 ) . Ciò è più importante della predizione del futuro (e ciò vale anche per l'Apocalisse ! ) , sebbene abbia naturalmente una parte anche un determi­ nato giudizio sul futuro della comunità e si presentino anche vere e pro­ prie profezie (Atti I I ,28 ; 20,23 ; 2 1 , u ) . Da questi profeti residenti nelle comunità vanno distinti i veri e propri profeti itineranti che anche dopo la pasqua intendono alla lettera l'invito di Gesù alla sequela, abbandonano casa e famiglia e senza possedere nulla vanno col loro messaggio da una comunità all'altra (Mt. 10.41 ; v. sopra, 3 . 1 ) . Soprattutto la Didaché (un ordinamento ecclesiastico siriaco degli anni novanta?) descrive come fos­ sero sostentati dalle comunità e talvolta si stabilissero in esse ( ro,7; I I ,4I2).'47 Tali profeti itineranti hanno forse rinfacciato a Paolo ( I Cor. 9,3-18) d'aver portato con sé denaro (da lui stesso guadagnato) nei suoi viaggi missionari (in territori non ancora cristiani, Rom. 15,20 ! ) . Sono attestati fino al m sec. e costituiscono una delle radici del movimento monastico che ebbe inizio nel rv sec.'48 3 1 . 3· Il significato del complesso delle immagini. Ciò che è strano, ma anche teologicamente importante, è la straboccante quantità di immagini singolarissime. In modo strano viene con ciò ripreso qualcosa che già si scorge dietro le parabole di Gesù (v. sopra, 2 . 3) , nei discorsi figurati di Giovanni (v. sopra, 29.5 ) , nel concentrarsi di Luca sul narrare (v. sopra, 27.7) , ma anche nelle affermazioni paoline che Dio si può conoscere sol­ tanto se si viene da lui conosciuti ( I Cor. 8,2; 1 3 , 1 2 ) . Dio non si può de­ scrivere, in senso stretto quindi non si può nemmeno insegnare, ma in­ dubbiamente è percepibile nel suo incontro con l'uomo. Ciò differisce completamente dalla concezione greca del logos, la quale parte dal pre­ supposto che il macrocosmo, l'universo, sia strutturato analogamente al microcosmo, l ' uomo, c sia regolato dallo stesso spirito, il logos. Dio sa­ rebbe allora da trovare nella visibile regolarità delle leggi dell'universo, quindi comprensibile dalla ragione. Il greco loda Dio quando scopre nelle più strane forme di animali le stesse, fisse, immutabili leggi della circola­ zione del sangue che valgono anche per lui. L'autore di Giob. 38-41 inve247. Anche a proposito delle autorità a cui Papia si richiama, Ki:irtner (n. 54) r29- r 3 2 pensa a predicato­ ri itineranti. 248. Schweizer, Matthiius (n. r86) r63·I7o; ora anche Theissen, Wanderradikalismus (n. 9) 83-ror con nn. 20 e 64; per I Cor. 9 vedi Id. (n. 67).

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Il libro

profetico

ce è impressionato dalla ricchezza e dal movimento della vita e si stupisce di ciò che è inaspettato e inconcepibile, dell'ippopotamo che «mangia l'erba come un bue», ha «vertebre come tubi di ferro» e drizza la sua co­ da in su