Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento 8839920196, 9788839920195

Un'introduzione, autorevole, sicura e informatissima, al modo in cui Gesù fu compreso nel tempo della sua vita e de

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Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento
 8839920196, 9788839920195

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Raymond E. Brown

INTRODUZIONE ALLA CRISTOLOGIA DEL NUOVO TESTAMENTO

Editrice

Queriniana

Sacerdoti

Ai miei confratelli

della Socie tà S. Sulpizio (S.S.)

con gratitudine per il sostegno, l'amicizia, l 'incoraggiamento

Titolo originale

An lntroduction

to New Testament Christology - Mahwah

Paulist Press, New York

© 1994 by Associated Sulpicians of the U.S. © 1995 by Editrice Queriniana, Brescia via Piamarta, 6-25187 Brescia ISBN 88-399-2019-6 Traduzione dali' inglese-americano di LUCA DE SANTI Edizione italiana a cura di GIUSEPPE SEGALLA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

Premessa

«La gente chi dice che io sia?»: è una domanda collegata a Gesù fin da quando il primo vangelo fu scritto. In questo vangelo, essa dà luogo ad una varietà di risposte, inclusa quella spontanea, ma scarsamente compresa, data da Pietro, il suo discepolo più noto (cfr. Mc 8,27-33). Da allora in poi, la domanda ha provocato una varietà di risposte e, nei nostri tempi� i libri che valutano Gesù filosoficamente, teologi camente o biblicamente, possono durare mediamente una mezza dozzina di anni. La maggior parte degli studi biblici è di una spaventosa complessità, dal momento che gli studiosi discu­ tono il significato e l' origine di ogni versetto, quando non si tratta di ogni mezzo-versetto, del Nuovo Testamento (d' ora in poi NT) . In questo libro non ho l ' intenzione di impegnarmi nei dettagli di tal i dibattiti tecnici o di proporre nuove soluzioni (o, a fortiori, di discutere le moderne cristologie), poiché non intendo scrivere un contributo che debba essere letto principal­ mente da studiosi . Non c ' è alcun tentativo di percorrere in maniera esaustiva l' abbondante letteratura cristologica, biblica o teologica� la bibliografia sarà contenuta praticamente al minimo e limitata ad opere in inglese. Il libro è indirizzato ad un' ampia gamma di persone interessate alla Bibbia, sia che la leggano da sole o che siano impegnate in gruppi di studio, corsi o program­ mi di teologia per principianti. Il mio scopo è mettere tutti questi lettori in condizione di comprendere le questioni e il perché di un dibattito e di conse­ guire, così, la conoscenza dello sfondo biblico per leggere più approfondita­ mente e riflettere con discernimento sulle proposte moderne. Inevitabilmen­ te, alcune sezioni del libro si presentano più difficoltose di altre - penso par­ ticolannente al capitolo quarto e alla terza appendice, che trattano di singoli passi - ma, consapevole di ciò, ho reso possibile seguire l' argomento gene­ rale del libro, anche se si sceglie di saltare queste sezioni difficoltose. In breve: questo libro ha carattere introduttorio. Nel corso degli anni, cominciando da uno dei miei primi libri, Jesus God

and Man (1976)* e continuando con articoli nel New Jerome Biblica/ Com ­ mentary ( 1 990), mi sono occupato continuamente della questione-Gesù, da diverse angolature. Sono un cristiano la cui professione di fede contiene la proclamazione che Gesù è «vero Dio e vero uomo». Ciò nonostante, ricono­ sco che questa formulazione del IV secolo va oltre ciò che è espl icitamente affermanto nel NT e, così, partendo dal principio che non dovrebbe esserci dicotomia tra la fede e un accurato studio biblico, ho cercato di lavorare tor­ nando alla presentazione di Gesù nel primo periodo del cristianesimo. Quali conoscenze aveva Gesù? Quale autocoscienza ha manifestato? Come i suoi seguaci hanno riflettuto su di lui e sono cresciuti nella loro comprensione? In che modo ciò che emerge da uno studio di Gesù nel NT è in relazione alle successive formulazioni del la chiesa su di lui? Ora, io metto insieme molto di ciò che ho scritto, pensato, studiato in risposta a queste domande. L' ho fatto, non ristampando saggi, ma riformulando completamente, ampliando e riordinando precedenti riflessioni e combinandole con nuove osservazioni, per costituire ciò che spero servirà come un'introduzione comprensibile al modo in cui Gesù fu compreso nel NT, cioè, ad una cristologia del NT. I docenti in campi biblici e teologici dovrebbero essere capaci di costruire su di essa come su di uno sfondo, mentre procedono nella presentazione dei propri punti di vista. Oltre che impartire nozioni, questo studio ha uno scopo pastorale. I fedeli cristiani la cui vita spirituale dovrebbe essere modellata su quella del Mae­ stro, se non si confrontano in modo maturo con l' identità di Gesù, corrono il rischio di costruirsi un Gesù immaginario e di tentare così di procurarsi una guida di comodo. Inoltre, qualsiasi cosa essi abbiano udito, si offrirebbe loro l ' opportunità di constatare che un approccio non letterali stico al NT non necessariamente distrugge o mina le classiche credenze cristiane. Coloro che non accettano le pretese cristiane riguardo a Gesù non possono permet­ tersi di essere puramente scettici o rigettare duramente tali pretese, come se fossero basate su una lettura 'fondamentalista ' , o acriticamente letteral ista, della testimonianza. Se i non-cristiani non hanno speso neppure poche ore a studiare l 'identità di Gesù, hanno privato se stessi di una basilare possibilità di capire perché le vite di tante persone siano state influenzate dal fatto di credere che egli è il Messia di Dio. Per l ' estensione della sua informazione, possa questo libro essere a servizio di entrambi i gruppi.



[Trad. it., Gesù Dio e uomo, Cittadella, Assisi 1970].

parte prima

IL SIGNIFICATO

DELLA CRISTOLOGIA E I DIVERSI APPROCCI AD ESSA

Capitolo primo

Che cosa si intende per 'cristologia'

Molto presto i discepoli d i Gesù l o riconobbero come il Messia, cioè l' 'unto' - e specificamente l' atteso re unto, proveniente dall a linea regale di

Davide 1 • Il termine greco per 'Messia' è Christ6s, da cui 'Cristo ' . Messia, o Cristo, era una qualificazione tanto comune di Gesù, sia nella combinazione ' Gesù Cri sto ' , s i a nel l ' uso assoluto, che 'Cristo' divenne rapidamente l' equivalente di un nome personale. Nel suo senso più letterale, dunque, la 'cristologia' dovrebbe occuparsi di come Gesù arrivò ad essere chiamato Messia o Cristo e di che cosa si intende con questa designazione. Ci sono, tuttavia, nel NT molti altri titoli attribuiti a Gesù: Rabbi (Maestro), Profeta, S o m m o S acerdote, S a l v atore, Maestro o S i g n ore 2 , i l Fi g l i o , Fig l i o dell ' Uomo, Figlio d i Dio e anche Dio 3 • I n u n senso più ampio, quindi, la 'cri stologia' si interessa di ogni comprensione di Gesù, in relazione alla sua identità e al suo ruolo nel piano divino - per cui il termine d'ora in poi sarà usato secondo quest' accezione. Gli studiosi distinguono diversi tipi di cristologia. La 'cristologia bassa' comprende una valutazione di Gesù espressa con dei termini che non neces­ sariamente implicano la divinità; per esempio: Messia, Rabbi, Profeta, Som-

1 La prima appendice spiega l' origine di quest'attesa e come si è sviluppata durante un periodo di mille anni. 2 Il termine greco lryrios comprende i seguenti significati : 'signore ' , 'Maestro' e 'Signore'. Tal­ volta, quando 1' evangelista, che crede che Gesù è Signore riferisce una conversazione, è difficile stabilire se non sia la sua fede a colorare i1 titolo, dato a Gesù da qualcuno che sul piano storico lo ha appena incontrato. Per esempio, in Gv 20,28 l'espressione «Mio Signore [Jcyrios] e mio Dio» manifesta la fede che l'evangelista vuole sia condi vi sa dai suoi lettori. Ammessa questa volontà, che significato ha il fatto che, in 4, 1 l , la donna samaritana (che. chiaramente, non comprende chi sia Gesù) lo chiami lryrios? Dobbiamo tradurre 'signore', 'Maestro' o 'Signore'? 3 La discussione sulla possibilità che il NT chiami Gesù 'Dio' sarà affrontata infra, nella terza appendice. ,

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Il significato della cristologia

mo Sacerdote, Salvatore, Maestro. La 'cristologia alta' comprende una valu­ tazione di Gesù espressa con una terminologia che implica un aspetto di divinità; per esempio: S ignore, Figlio di Dio, Dio. Queste descrizioni sono formulate accuratamente (notare il corsivo) . Ho detto ' necessariamente ' , nella descrizione della cristologia bassa, poiché non voglio affermare che gli scrittori del NT, che hanno utilizzato il lin­ guaggio tipico di una cristologia bassa, non abbiano creduto nella divinità di Gesù (dal momento che non la nega, ogni scrittore del NT può aver infatti creduto nella divinità di Gesù; eppure molti non usano una termino­ logia o designazioni che ci mettano in condizione di conoscere con preci­ sione la loro posizione cristologica) . A volte, in passi differenti, lo stesso scrittore usa, per Gesù, termini che riflettono rispettivamente una cristolo­ gia alta ed una bassa. Per esempio, Le l ,35 e 3,22 parla di un angelo e di una voce celeste che proclama Gesù 'Figlio di Dio' , mentre Le 7, 1 6 non esita a riportare il fatto che, dopo il risuscitamento del figlio della vedova di Nain ad opera di Gesù, tutti glorificavano Dio dicendo: «Un grande pro­ feta è sorto tra noi » . Definendo l a cristologia alta, h o parlato d i 'un aspetto d i ' divinità, poi­ ché mentre gli appellati vi elencati collocano Gesù nella sfera del divino, né gli appellativi stessi né gli autori che li i mpiegano veicolano necessaria­ mente la stessa comprensione della divinità. C 'è un' ampia gamma di pos­ sibilità nella comprensione del grado o della modalità della divinità di Gesù. Quanto al grado, teoricamente Gesù potrebbe essere stato considera­ to divino, ma inferiore ad altre figure divine che non erano umane, per esempio agli angel i , che erano conosc iuti nell' AT come ' figli di Dio' . Oppure, Gesù potrebbe essere stato giudicato uguale in divinità all"unico vero Dio' che lo ha mandato (vedi Gv 17 ,3). Quanto alla modalità, teorica­ mente Gesù potrebbe essere stato un uomo deificato ad un certo punto del­ la sua esistenza- 'reso divino ' , per esempio, al momento del suo battesi­ mo, quando lo Spirito di Dio scese su di lui, o al momento della sua risur­ rezione, quando Dio lo elevò al cielo. Oppure potrebbe essere stato divino lungo tutta la sua vita, nel senso che fu concepito come un essere divino, senza un padre umano. Oppure potrebbe essere stato una divinità prima dell ' incarnazione. Ed anche in quest'ul tima eventualità egli potrebbe esse­ re stato portato ali ' esistenza da Dio Padre come il primogenito di tutta la creazione (vedi Col l, 1 5), o avrebbe potuto essere i ncreato e da sempre con il Padre. La fede cristiana, classica o ortodossa, articolata nel IV seco­ lo, ci dice che Gesù, come Figlio, è uguale a Dio Padre in ogni cosa ed esi­ ste dali' eternità; questa articolazione non ci dice come la maggior parte degli autori neotestamentari del 1 secolo ha raggiunto, se mai è accaduto,

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questa precisione4• Dopo tutto, una descrizione di Gesù come 'Figlio di Dio' , compreso secondo ciascuno dei gradi o delle forme appena menzio­ nati gli sarebbe comunque stata applicabile. In realtà, quando riconoscia­ mo che i l ibri che compongono il NT sono stati scritti in diverse parti del mondo mediterraneo e durante un periodo di quasi cento anni (tra il 50 e il 1 25 circa), è più che verosimile che anche i termini di una cristologia alta abbiano assunto significati diversi per le diverse persone che li hanno impiegati. Un passo fondamentale in ogni dibattito cristologico serio è la considera­ zione del fatto che la riflessione religiosa cristiana, poiché implica la com­ prensione di Gesù da parte di esseri umani, si è sviluppata e modificata, come accade per ogni altro tipo di riflessione umana. È vero che i cristiani sostengono che c'è stata una rivelazione divina circa l' identità di Gesù, ma ciò non significa direttamente che i credenti abbiano compreso la rivelazio­ ne completamente o tutta in una volta. Il classico passo in cui Mt riferi sce che Simon Pietro poté confessare che Gesù era il Messia, il Figlio del Dio vivente, perché questo gli fu ri velato dal Padre di Gesù che è nei cieli ( 1 6, 1 6- 1 7), mostra altrettanto chiaramente che Pietro non aveva compreso aspetti essenziali di questa confessione.

4 Nel comune pensiero cristiano, una formulazione dogmatica conciliare non può contraddire il NT; il dogma può tuttavia essere andato oltre ciò che nel NT era chiaramente espresso o evidente­

mente compreso, precisamente perché sono state poste delle questioni che non venivano prese in considerazione al tempo de11e origini.

Capitolo secondo

Vari approcci alla cristologia del N uovo Testamento

Nella seconda e terza parte del libro tratterò rispettivamente della cristo­ logia propria di Gesù (presentando il modo in cui egli ha manifestato e valu­ tato la sua relazione con Dio) e del la cristologia dei cristiani del NT (illu­ strando le forme nelle quali quelli che hanno creduto in Gesù lo hanno con­ siderato). Le osservazioni che chiudono il precedente capitolo sollevano la questione degli ambiti a cui queste due cristologie rin1andano. Fino a che punto ciò che i suoi di scepoli dicevano e pensavano di lui corrisponde all ' immagine riflessa in ciò che egli stesso diceva e faceva? Risposte consa­ pevoli o inconsapevoli a tale questione si sono risolte in differenti approcci alla cristologia del NT. Una carre llata di questi approcci5 predispone un utile accesso al problema fondamentale della cristologia del NT. Saranno incluse sia visioni scientifiche sia visioni 'non scientifiche '6; vale a dire : non solo le prospettive che circolano fra gli studiosi, ma anche quelle diffuse tra la mag­ gioranza dei cristiani, pur non confortate da pubblicazioni scientifiche.

5 Per lo scopo e il livello di questo libro, sarebbe controproducente superare il limite di alcune classificazioni molto generali. Si potrebbero fare molte suddivisioni per illustrare le diverse sfuma­ ture di ogn i singolo approccio scientifico che presenterò In NJBC 8 1 , §§ 4-9, ho offerto una sinte­ si di quanto ho scritto qui. 6 Non c ' è alcuna connotazione peggiorativa in questa classificazione descrittiva specialmente quando i punti di vista espressi sono plausibili o intel li genti (i punti di vi sta scientifici non sono necessariamente corretti o veramente intelligenti ) Con l' espressione 'non scientifico mi riferisco a quanti non sono specialisti in campo biblico; spesso, naturalmente possono essere preparati o anche essere specialisti in altri campi Bisognerebbe notare comunque che, a volte, coloro che sono i primi a riconoscere che il loro campo di specializzazione è complicalo ed esige delle sfumature, sono disposti ad accettare che l'occuparsi di questioni concernenti la religione la Bibbia o Gesù dovrebbe essere un fatto semplice .

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(A) Conservatorismo non scientifico Questo punto di vista vorrebbe identificare la cristologia degli scritti del NT con la cri stologia di Gesù stesso. Nonostante i vangeli siano stati scritti più o meno fra 30 e 70 anni dopo il ministero di Gesù , sono ritenuti reso­ conti puntualissimi di quanto Gesù aveva detto durante la sua vita. Conse ­ guentemente questo conservatorismo postula che non c'è stato u n significa­ tivo sviluppo cristologico nel NT. Da notare che la questione è riconoscere uno sviluppo o una differenza. Un' ulteriore questione è se la differenza sia radicale e rappresenti una di scontinuità. Quelli di cui mi occupo qui non ammettono un' effettiva differenza; quelli che più avanti saranno presentati come conservatori moderati ammettono la differenza, ma non la disconti­ nuità. Diamo un esempio. In Mt 1 6, 1 3-20, Gesù risponde entusiasticamente alla confessione di Pietro che lo proclama Messia, Figlio del Dio vivente. Il con­ servatorismo non scientifico tende ad accettare questo come una diretta remini scenza storica, proveniente dal ministero di Gesù, e lo offre come spiegazione del perché successivamente i cristiani lo hanno chiamato Figlio di Dio7• Ancora, Gv 8,58 e 17,5, in cui Gesù parla come un personaggio divino preesistente e sostiene di essere esistito prima di Abramo o addirittu­ ra prima che il mondo cominciasse, dovrebbero essere trattati come afferma­ zioni storiche, che hanno consentito a Gv di scrivere ali ' inizio del suo van­ gelo: «In principio era la Parola . . . e la Parola era Dio» 8 • Si può dire che un conservatorismo ingenuo, con qualche rara eccezione, ha costituito la pro­ spettiva dei cristiani fino al 1700; prima di allora infatti commentatori e pre­ dicatori non avevano considerato i grossi problemi inerenti al presupposto della precisione del racconto evangelico. La situazione è cambiata con

7 Per anticipare una discussione successiva, gli studiosi che non concordano sottolineano il fatto che, in Mc 8,27-30 (ritenuto dalla maggioranza il testo più arcaico) la confessione di Pietro e la reazione di Gesù sono significativamente differenti. Si potrebbe suggerire, come soluzione, l ' esi­ stenza di una tradizione proveniente dal ministero di Gesù, nella quale Pietro confessava Gesù come Messia, ma mostrava pure di avere un' inadeguata comprensione del conflitto tra gli aspetti trionfalistici delle aspettative messianiche e l' autocomprensione di Gesù relativamente al proprio ruolo. Alla luce della riflessione cristologica post-pasquale. Mt avrebbe espanso la tradizione della confessione di Pietro, fino al punto di poter esprimere quanto era considerato una vera compren­ sione della messianicità di Gesù - una comprensione che, di fatto, Pietro ha eventualmente procla­ mato dopo la risurrezione. 8 Gli studiosi che non concordano potrebbero obiettare che non c'è alcuna indicazione di tale conoscenza della preesistenza in Mc, Mt o Le.

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l' avvento della critica storica del Nf9. Questa critica ha reso la stragrande maggioranza degli studiosi consapevole del fatto che esistono delle differen­ ze sia tra gli scrittori del NT, sia tra le loro prospettive e quella dell' epoca precedente, in cui Gesù era vissuto. A dispetto di questi cambiamenti intervenuti nel campo della ricerca, il 'conservatorismo non scientifico' ha continuato ad esistere, con varie sfuma­ ture, negli ultimi due secoli. Da un lato, studiosi di formazione protestante erano i più promettenti sostenitori della critica biblica; alcuni di loro l' hanno usata per sfidare le tradizionali credenze cristiane, negando perfino la divinità di Gesù. Molti credenti protestanti praticanti reagirono con ostilità ai punti di vista degli studiosi, punti di vista che consideravano distruttivi del cristianesi­ mo, e per difendere i 'fondamenti' della fede cristiana 1 0 rigettarono non sem­ plicemente un uso radicale della critica biblica, ma la critica come tale. Con­ seguentemente un certo 'conservatorismo non scientifico' protestante diventò consapevolmente difensivo. In massima parte, dall' altro lato, gli studiosi cat­ tolici si mostrarono lenti ad accettare le forme più acute della critica biblica; nell' atmosfera antimodemista dei primi anni del xx secolo, alcuni imprudenti avventurosi furono condannati dali' autorità ecclesiastica romana. A causa dell 'attento controllo ecclesiastico, ordinariamente i cattolici non avvertivano neppure la possibilità che esistessero delle differenze tra Gesù nel tempo della sua vita e Gesù come viene presentato negli scritti del NT. Il loro conservato­ rismo, su questa come su altre questioni bibliche, non fu difensivo ma perva­ sivo. Il modemismo cattolico, con i suoi eccessi, fu spazzato via prima che potesse g uadagnare u n seguito consistente; e praticamente non c ' era, all' interno del cattolicesimo, un insegnamento biblico liberale da cui difen­ dersi. Comunque, la chiesa cattolica romana iniziò a modificare la sua posi­ zione nei confronti della critica biblica durante il pontificato di Pio XII, negli anni quaranta, e ad incoraggiame un uso intell igente. Negli anni sessanta,

9 Vale la pena di segnalare che l' uso normale della parola 'critica', in riferimento allo studio della B ibbia, non implica un porsi criticamente o negativamente nei confronti della Bibbia. Signifi­ ca, i nv ec e sottoporre la Bibbia allo stesso tipo di critica, o analisi dettagliata, utilizzata per ogni altro libro - per esempio riconoscendo differenze tra i suoi autori e verificando il tipo di conosce n re in loro possesso, dove hanno attinto il loro materiale e che genere di libro hanno inteso scrivere. Alcuni studiosi, che per primi hanno cominciato ad applicare l' analisi critica, non credevano che Dio avesse ispirato la Bibbia; tuttavia anche molti che credevano nell'ispirazione sono giunti a riconosceme la validità e l ' importanza. L'ispirazione divina non modifica il fatto che ogni parola, nella Bibbia, è stata scritta da un essere umano, in riferimento al quale tali questioni sono appro­ priate. 10 Come ho mostrato in BRTOQ 43, questo spiega il nome 'fondamentalismo' , applicato alle forme più estreme di questo movimento. ,

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l'insegnamento ufficiale della chiesa cominciò ad affermare che i vangeli non sono necessariamente resoconti letterali delle parole e delle azioni di Gesù 11 • Una tale dichiarazione dovrebbe aver preparato i cattolici a comprendere la questione cristologica fondamentale : potrebbe esserci una differenza tra l' autopresentazione di Gesù e le affermazioni fatte su di lui dagli scrittori del NT. Purtroppo questo cambio nell' insegnamento non ha raggiunto con suc­ cesso la grande massa dei cattolici; il conservatorismo non scientifico prevale ancora (tuttora in maniera non difensiva) 1 2 • Molti cattolici praticanti non sono ancora informati di alcun' altra prospettiva, sebbene adesso quasi tutti i bibli ­ sti cattolici (vedi più avanti) riconoscano che i vangeli manifestano uno svi­ luppo che va oltre l' era di Gesù e per anni l'abbiano insegnato ai candidati al sacerdozio o ai gradi accademici 13•

(B) Liberalismo non scientifico Sul versante opposto si colloca la posizione di chi sostiene non esservi continuità tra l ' autovalutazione di Gesù e la cristologia elevata dei docu­ menti del NT. Questo tipo di liberalismo liquida la cristologia del NT come 11

Mi riferisco ali' Istruzione sulla verità storica dei vangeli ( 1964) della POt-.'TIACIA COMMISSIO­ paragrafi cruciali di questo documento sono pubblicati in BBRC. 1 1 1 - 1 1 5; cfr. pure NJBC 12, § 35 [EB, 644-659]. La sostanza di quest' Istr uzione è stata accolta nella Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (Dei Verbum 5 . 1 9) del CONCILIO VATICANO l1 [EV, I, 872.90 1 ]. La storia dello sviluppo del pensiero biblico in ambito cattolico, negli ultimi cento anni, è riassunta in NJBC 72, §§ 3-9. 1 2 U n gruppo molto piccolo d i cattolici h a resistito, in maniera adamantina, a tutti i cambiamenti verificati si dagli anni '40 nelle prospettive bibliche della chiesa, considerandoli false interpretazio­ ni, sostenute dai 'neo-Modemisti', e respingendo persino le dichiarazioni fatte dal Segretario deiJa Pontificia Commissione Biblica. Questo gruppo esprime le proprie opinioni in alcuni giornali e riviste, polemicamente di parte, che hanno rivolto attacchi violenti anche alla gerarchia cattolica, considerata eccessivamente liberale! 13 Ci si può, con ragione, meravigliare chiedendosi perché i seminaristi, se non hanno appreso un conservatorismo semplicistico circa il NT, non comunicano delle prospettive più sfumate nella loro predicazione. Ricorre la scusa che qualcosa di più complesso e sfumato potrebbe confondere la gente - una spiegazione sempre più speciosa, quando, come ora, un numero sempre maggiore di cattolici riceve un' educazione superiore e potrebbe trovare un motivo di fiducia nello scoprire che la loro chiesa, una volta passato il pericolo, è capace, di fronte all'evidenza. di modificare Je pro­ prie opinioni. È probabile sia più decisivo il fatto che la diffusione di prospettive bibliche sfumate, secondo modalità che la gente trovi costruttive (anziché frammentarie e inquietanti ), richieda un impegno e un'immaginazione maggiori rispetto a quanto la maggior parte dei predicatori è dispo­ sta ad impiegare. L' arre ndevolezza spesso non richiede alcuno sforzo e sopravvive anche quando la chiesa insegna il contrario. NE

BIBLICA. I

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non importante o come una distorsione e, spesso, è stato strettamente asso­ ciato alla tesi secondo la quale Gesù sarebbe stato soltanto un maestro di eti­ ca o un riformatore sociale, erroneamente proclamato divino da discepoli eccessivamente entusiasti o confusi (dei quali Paolo viene considerato, talo­ ra, il principale istigatore ). Vedremo più avanti come ci siano studiosi che assumono radicalmente punti di vista liberali (con sfumature molto diverse); qui sto parlando di quelli che hanno sentito che «gli studiosi dicono certe cose» e le hanno accolte senza alcuna significativa ricerca da parte loro - un approccio del tipo: «Nessuno lo crede più». Già verso la fine del XVIII seco­ lo, l'influenza dei deisti inglesi e degli enciclopedisti francesi aveva spinto alcuni a diffidare delle storie evangel iche riguardanti i miracoli di Gesù e la risurrezione, in quanto queste storie sarebbero finalizzate a dimostrare la divinità di Gesù. In apparenza sulla sola base delle sue intuizioni personali, niente di meno che una figura come Thomas Jefferson ha prodotto un NT dal quale sono state el iminate sezioni altamente cristologiche! Attualmente il liberalismo non scientifico è, talvolta, alimentato da resoconti tendenziosi delle 'ultime' scoperte ; per esempio: i rotoli del Mar Morto mostrano che il Gesù del NT era solo una pallida imitazione del Maestro di quel gruppo; o: i vangeli apocrifi, scoperti in Egitto, mostrano che i primi cristiani, inventori di incredibili storie su Gesù, erano eccessivamente fantasiosi. Il fatto che questi resoconti siano rigettati dalla stragrande maggioranza degli studiosi del NT non riesce ad intaccare l ' aura di sofisticazione di cui il liberalismo popolare cristologico si avvolge. Ora voglio occuparmi di quegli approcci scientifici alla cristologia del NT, che, giusti o sbagliati che siano, si devono prendere in seria considerazione in quanto sostenuti con argomentazioni intelligenti, desunte dal testo del NT. Fino a questo punto, i paragrafi precedenti sono stati una sobria sollecitazio­ ne a tener conto che la maggior parte della gente risponde alla questione dell' identità di Gesù senza alcuno sforzo effetti vo per stabilire con precisione quello che il NT afferma al riguardo. Dal lato del conservatorismo, come ho mostrato, molti protestanti riflettono la reazione di una precedente generazio­ ne nei confronti degli aspetti distruttivi della critica biblica radicale e molti cattolici restano ignari del fatto che la loro chiesa e i loro studiosi hanno pro­ ceduto oltre i punti di vista insegnati nel catechismo durante la prima parte del xx secolo. Dal lato del liberalismo, c'è una tendenza ad appellarsi a ciò che gli studiosi più recenti si suppone abbiano detto, secondo quanto viene riportato dai mezzi di comunicazione. Malgrado le differenze tra gli studiosi, descritte più avanti, i loro sforzi rendono omaggio alla verità che la cristolo­ gia è una q uestione così importante, per l ' adesione religiosa, che non si dovrebbero esprimere giudizi senza aver considerato seriamente le prove.

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(C) Liberalismo scientifico Questo tipo di liberalismo differisce da quello non scientifico per alcuni importanti aspetti. Riconosce che il NT è segnato dalla cristologia� dalrini­ zio alla fine, e che i suoi autori sostengono che Gesù fosse ben più di un moralizzatore o un riformatore sociale. Ciò nondimeno, come è implicato dalla classificazione 'liberalismo ' , non accetta che le valutazioni di cristolo­ gia alta, riferite a Gesù nel NT, stiano in reale continuità con la sua autova­ lutazione. In breve le valutazioni di cristologia alta sono considerate errate14• Sostenendo questa posizione, gli studiosi liberali hanno rintracciato, con una accurata metodologia, il processo 'creativo' nella cristologia del NT e noi siamo debitori nei loro confronti per alcuni dei primi dettagliati schemi di rappresentazione dello sviluppo del pensiero del NT. Essi hanno messo in rilievo la possibil ità di tracciare lo svil uppo di prospettive teologiche carat­ teristiche, partendo dalle comunità palestinesi gi udeo-cri stiane di lingua semitica 1 5, attraverso le comunità siriane giudeo-cristiane di lingua greca, fino agli etnico-cristiani di lingua greca delle chiese di Asia Minore e Gre­ cia, per finire alle comunità influenzate da geni individuali, come Paolo e Giovanni. Verso la fine del XIX secolo, la ricerca scientifica ha considerato i dati linguistici e storici come elementi necessari per scoprire, con conve­ niente accuratezza, tanto le singole fasi dello sviluppo cristiano, quanto la terminologia impiegata in ogni fase per presentare Gesù 16•

14 Situato tra il liberalismo non scientifico e il liberalismo scientifico, si trova il punto di vista di coloro che hanno letto opere di studiosi liberali (senza averne sufficientemente analizzato in modo critico i lati deboli) e la cui prospettiva su Gesù è di fatto troppo determinata daHa loro reazione al soffocante fondamentali smo dal quale sono emersi. Vorrei considerare come esempio di ciò il vescovo episcopaliano J.S. SPONG: in Bom of a Woman (Harper, San Francisco 1 992), 36-40. pre senta un Gesù che non era di origine divina. ma un es�re umano dotato. umile, generoso e altrui­ sta. I suoi amici non lo considerarono certamente un messia, tuttavia subirono un' esperienza pasquale o una percezione interiore, che li abilitò a cogliere i n Gesù dei modelli di totale dipenden­ za da Dio, così che la sua vita apparve riflettere la vita di Dio. In BBM 704, ho espresso questo giudizio: «lo non penso che alcun autore del NT riconoscerebbe il Gesù di Spong come il perso­ naggio da procJamare o del quale scrivere». 15 Usualmente ritenute di lingua aramaica, ma non può essere escJusa la possibilità che parlasse­ ro ebraico; e alcuni giudeo-cristiani potrebbero aver parlato entrambe le lingue. L'aramaico era una li ngua largamente in uso, con una varietà di dialetti molto differenti. ma l ' aramaico parlato in Palestina dovrebbe essere stato così vicino all'ebraico come l' italiano lo è aiJo spagnolo. 16 Una concretizzazione classica del metodo liberale e della cristologia da esso prodotta è stato il libro Kyrios Christos di W. BousSET, apparso in Germania nel 1 9 1 3 (la pubblicazione in tradu­ zione inglese del 1970 [Abingdon, Nashville], testimonia la crescente attrazione esercitata da que­

Per di più, si era in un momento di grande entusiasmo per lo studio com­ parativo delle religioni. Gli interpreti liberal i del NT pretendevano di trova­ re nella mitologia religiosa greco-romana la chiave di accesso alla termino­ logia e all e immagini applicate a Gesù ; così, per esempio, nel mito di un' antica divinità, come Zeus, che si unisce ad una donna e genera un figlio divino, potrebbe trovarsi la spiegazione della rappresentazione di Gesù come Figlio di Dio, concepito senza un padre umano; oppure, nel mito del dio della vegetazione che muore e risorge, potrebbe trovarsi la spiegazione del la risurrezione di Gesù da morte. Un' affermazione frequente, nelle anali­ si l iberal i dell o sviluppo della cristologia, è che i titoli come ' Signore' e 'Figlio di Dio' furono applicati a Gesù, con un senso divino, solo nella mis­ sione cristiana verso i gentili di lingua greca - sia che essi non esistessero in un primitivo stadio giudeo-cristiano, sia che fossero usati nel senso, molto più umile, di maestro e messia (re unto)1 7 • Questa speculazione ha dato l ' impressione di uno sviluppo lineare verso una 'cristologia più alta' , vale a dire una cristologia che utilizzava i titoli più chiaramente evocativi della divinità. Questo svil uppo lineare si sarebbe verificato nel passaggio dal mondo giudaico al mondo ellenistico, da un periodo primitivo, nel 1 secolo, ad uno successivo. La cristologia alta, una volta scoperta, è stata spesso con­ siderata una felix culpa, perché solo mediante tale divinizzazione è stata sal­ vaguardata la memoria di Gesù. Il Gesù storico, infatti, fu il predicatore di una rigorosa esigenza etica, che sfidò le i stituzioni religiose e le false idee del suo tempo; i suoi ideali e le sue intuizioni non andarono perduti perché la comunità sovrappose alla memoria di lui una cri stologia che lo trasforma­ va nel celeste Figlio dell' Uomo, Signore e Giudice del mondo - di fatto lo trasformava in un Dio. Senza quest' amplificazione, lui e il suo messaggio sarebbero stati dimenticati. Ma se nei secoli successi vi tale supporto cristo-

sto tipo di cristologia). Cfr. NJBC 70, §§ 39-4 1 . Comunque, come avremo modo di vedere, le sco­ perte del xx secolo hanno effettivamente rovesciato alcune ipotesi del XIX secolo. 17 La nota 2, cfr. supra, spiega come kjrios possa significare sia 'maestro' sia 'Signore ' . Così, per quanto riguarda il titolo 'Figlio di Dio', la promessa del profeta Natan al re Davide che la sua dinastia sarebbe continuata, presenta Dio che dice della discendenza di Davide: «lo sarò suo padre ed egli sarà mio figlio» (2 Sam 7 , 1 4a ). Dunque, teoricamente, l'espressione 'figlio di Dio' potreb­ be essere stata una designazione per chiunque. della casa di Davide, fosse unto re e così per il Messia. senza significare la divinità di questa figura. Come ora sappiamo, comunque, le deduzioni liberali basate su tali osservazioni sono troppo semplicistiche. l. A. FITZMYER, in una serie di arti­ coli (cfr. anche NJBC 82, §§ 52-54), ha sostenuto con argomenti convincenti che 'Signore', come titolo riferito all'esaltazione. risale almeno alla primitiva comunità cristiana di Gerusalemme­ cioè risale oltre le comunità gentili di lingua greca, ad una non grande distanza dalla vita stessa di Gesù. Su 'Figlio di Dio', vedi la nota 1 1 7.

Vari approcci alla cristologia del Nuovo Testamento

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logico è stato necessario per conservare viva la memoria di Gesù, secondo il giudizio degli studiosi liberali, ora questo supporto potrebbe essere abban­ donato. La ricerca moderna --:-è stato affermato - può raggiungere il vero Gesù e trattenerlo senza gli ornamenti cristologici. Forme diverse di liberali­ smo scientifico hanno fatto la loro comparsa durante il xx secolo: per esem­ pio, intorno al 1 990, gli scritti di J. D. Crossan e B. Mack (cfr. infra, p. 21 1 ), che usano vangeli apocrifi o una fonte Q ricostruita per sostenere che le pre­ sentazioni cristologiche dei van� eli canonici sono largamente fittizie.

(D) Esistenzialismo bultmanniano Un momento di particolare fioritura del liberalismo scientifico risale ad una data precedente la prima guerra mondiale, un periodo segnato da11 'entu­ siasmo per il conseguimento di moderne tecnologie capaci di garantire un nuovo e migl iore tenore di vita. La grande guerra mostrò che l'umanità era più abile ad apprendere il modo di morire e portò ad un nuovo apprezza­ mento della più tradizionale enfasi cristiana sul bisogno della salvezza dona­ ta da Dio in Gesù. Tra i portavoce di questa reazione c ' erano K. B arth, nell' ambito della teologia si stematica, e R. Bultmann, nell' ambito dello stu­ dio del NT. Data la radical ità dell' approccio al NT messo in atto da Bult­ mann, lo si è a volte erroneamente presentato come un liberale, mentre, di fatto, ha rigettato categoricamente il liberal ismo del periodo pre-bellico. Naturalmente ha continuato ad accettare la metodologia approntata dagli studiosi liberali nella classificazione degli stadi di sviluppo della cristologia del NT e, tra l ' altro, ha cercato di affi nare il metodo, conferendogli una maggiore precisione. Bultmann è rimasto quasi agnostico circa la relazione tra la cristologia del NT e l ' autovalutazione di Gesù, ma non ha pensato che la cristologia alteri la rilevanza di Gesù. Piuttosto, vede un'equivalenza fun­ zionale tra le proclamazioni cristologiche del NT e la proclamazione del regno di Dio fatta da Gesù. Quest'equivalenza funzionale viene elaborata nei termini di un esistenzialismo. L' umanità ha bisogno di sfuggire al circo­ lo vizioso di un' esistenza futile e questo può avvenire solo attraverso l' azio­ ne liberante di Dio; Gesù è venuto a proclamare che Dio era decisamente in azione nel suo ministero e ha provocato la gente ad accettare quest' azione divina. La chiesa domandava che la gente accettasse Gesù come Messia e Signore; fare questo significava l'equivalente di proporre la stessa sfida esi­ stenziale che Gesù aveva proposto. Per questa ragione, sarebbe disastroso

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fare a meno della cristologia del NT, come i liberali hanno sostenuto; sareb­ be lo stesso che fare a meno della sfida che è il cuore del cristianesimo, una sfida basata su ciò che Dio ha fatto per noi, piuttosto che su ciò che noi pos­ siamo fare per noi stessi. L' apice dell' influsso esercitato da Bultmann sulla cristologia si è registrato nel periodo tra il 1 920 e il 1 950.

(E) Conservatorismo scientifico (moderato) Nel terzo quarto del xx secolo, si è verificata una svolta verso posizioni più conservatrici, rispetto a quelle di Bultmann, nella forma di una conti­ nuità discernibile tra la valutazione di Gesù, durante il suo ministero, e la valutazione di lui negli scritti del NT. Alcuni studiosi, elencati più avanti , potrebbero sorprendersi di trovarsi classificati tra i conservatori, ma, se le loro posizioni vengono comparate a quelle del liberalismo e dell'esi stenzia­ lismo, questa collocazione non appare del tutto inappropriata: il motivo sta nel fatto che essi postulano una cristologia nello stesso ministero di Gesù. Potrebbero essere divisi in ragione del loro ammettere che la cristologia fos­ se esplicita o implicita. Una cristologia esplicita implicherebbe un' autovalu­ tazione da parte di Gesù stesso mediante l ' uso di titoli o designazioni già conosciuti nei circoli giudaici. Una cristologia implicita relegherebbe tali titoli e designazioni ad un uso primitivo della chiesa, ma attribuirebbe allo stesso Gesù atteggiamenti ed azioni implicanti uno stato elevato di innalza­ mento, reso esplicito dopo la sua morte. Tra i primi sostenitori di una cristo­ logia esplicita si possono elencare O. Cullmann, C. H. Dodd, J. Jeremias, V. Taylor e molti scrittori cattolici nel periodo precedente il concilio Vaticano II. Tra quelli che si orientano verso una cristologia implicita si possono elencare F. Hahn, R. H. Fuller, N. Perri n e alcuni post-bultmanniani in Ger­ mania 1 8. La cristologia esplicita, che è sembrata sul punto di scomparire, è tornata in auge alla fine del xx secolo. 'Figlio del l ' Uomo' rimane un titolo che secondo molti studiosi Gesù stesso avrebbe usato. 'Messia' resta un titolo che altri potrebbero avergli attribuito durante il tempo della sua vita, sia che egli accettasse o meno la designazione. Le scoperte di Qumran mostrano

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Per ulteriori informazioni su questi studiosi, cfr. NJBC 70, §§ 30, 57, 6 1 , 63-70.

Vari approcci alla cristologia del Nuovo Testamento

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che titoli come 'Figlio di Dio' e 'Signore' erano conosciuti nella Palestina di lingua semitica, al tempo di Gesù 1 9 • Inoltre, la pratica di assegnare certi titoli a stadi specifici, successi vi a Gesù, della diffusione geografica e temporale del cristianesimo è, ora, considerata troppo semplicistica. Non tutti i Giudei divenuti cristiani avevano la medesima cristologia e, in più, una larga parte di gentili convertiti al cristianesimo condivideva la prospettiva, circa Gesù, trasmessa dai missionari giudei che li avevano evangelizzati. Così, invece di assegnare la cristologia bassa ai giudeo-cristiani e la cristologia alta agli etnico-cristiani, si potrebbe, più opportunamente, supporre che un gruppo di giudeo-cristi ani con i loro convertiti etnico-cristiani manifestasse una cristo­ logia più bassa, rispetto a quella di un altro gruppo di giudeo-cristiani e di gentili convertitF0• Questa rassegna mostra che la ricerca scientifica non è giunta a posizioni universalmente accettate circa la relazione tra la cristologia di Gesù e quella· dei suoi seguaci, eccetto per il fatto che le posizioni collocate ai due estremi dello spettro ( 'non c ' è differenza' , 'non c ' è continuità' ) hanno sempre meno sostenitori . Dedichiamoci ora ai testi del NT cui tutti, nella loro indagine, hanno dovuto prestare attenzione. Anziché forzarli in uno degli approcci fin qui riportati, la mia intenzione è quella di adottare una presentazione di tipo descrittivo.

1 9 Passi evangelici relativi ad alcuni di questi titoli saranno discussi più avanti, nel capitolo setti­ mo. quando ci si domanderà se Gesù abbia affermato di essere il Messia, Figlio di Dio e/o Figlio del l ' Uomo. 20 A questo proposito, cfr. R. E. BROWN, Not Jewish Christianity and Gentile Christianity but Types ofJewish/Gentile Christianity, in CBQ 45 ( 1983) 74-79.

parte seconda

LA CRISTOLOGIA DI GESÙ Un tentativo di discernere come Gesù ha concepito e

la sua relazione con Dio il suo ruolo nel piano di Dio

passando in rassegna le parole e le azioni pertinenti di Gesù

Capitolo terzo

Cautele rigu ardo ad attese e presupposti

Benché io abbia dichiarato che la mia intenzione primaria è quella di esse­ re descritti vo, nel presentare i testi neotestamentari che riflettono l ' atteggia­ mento di Gesù nei confronti del suo ruolo e ciò che tale atteggiamento rivela circa la sua identità, alcune cautele sono necessarie. Nella linea delle attese, quanto sarebbe stato utile se il NT ci avesse dato una serie di passi 'lo sono . . . ' in cui Gesù avesse espresso un' autovalutazione; per esempio: «lo sono solo un profeta» o «lo sono il Figlio di Dio» o {5,7). Questa stessa angoscia, più che la sofferenza e la morte, è chiamata prova nei racconti della preghiera di Gesù che, nella scena sinottica sul monte degli Ulivi, la notte prima della sua morte, chiedeva che il calice della sofferenza fosse allontanato da lui.

• m • ·Wdl· ldll - e presupposti

(8) Atteggiamenti che limitano l'umanità di Gesù I lettori che credono in Gesù possono apprezzare il mio rifiuto di i nteres­ sarmi alle supposizioni del tipo 'non poteva avere' o 'doveva avere' , prive della convalida di testimonianze neotestamentarie, quando queste supposi­ zioni negano o svalutano la divinità di Gesù. Il rifiuto diviene più provoca­ torio se guardiamo l ' altro lato del quadro. Quanti respingono la divinità di Gesù hanno riflettuto a lungo sulle loro posizioni e sono chiari nel loro diniego. Quanti invece hanno delle perplessità circa l ' umanità di Gesù spes­ so non sono neppure consapevol i del loro pregiudizio. In teoria sottovaluta­ re l' umanità di Gesù è una deviazione dal dogma cristiano altrettanto seria che sottovalutare la sua divinità26 ; dal momento però che gli oppositori del cristianesimo negano la divinità, i cristiani sono molto più sensibili alle limitazioni poste alla divinità di quanto non lo siano per le limitazioni poste all ' umanità. Real isticamente, può ben darsi che la maggior parte dei cristia­ ni abbia tollerato solo quel tanto di umanità che giudicava consona alla sua maniera di concepire la divinità. Al livello più semplice, ci sono credenti che trasferiscono la figura del Gesù glorificato già nei giorni del suo mini­ stero pubblico, immaginando che egli abbia camminato attraverso la Galilea con un' aura intorno a sé, quasi circondato da un alone luminoso. Non posso­ no raffigurarselo come gli altri uomini e sono imbarazzati di fronte alle sce­ ne evangeliche nelle quali Gesù appare a volte stanco, risentito, confuso tra la fol la, trattato come un fanatico e come un sobi llatore della plebaglia. Quanto questo disagio sia diffuso, Io si coglie dalle rumorose opposizioni a nuove traduzioni dei vangeli, che eliminano il linguaggio aulico de Il' inglese biblico e presentano Gesù che parla in maniera quotidiana. Per esempio, ci sono state proteste nei confronti dell' irriverenza di una prima forma della New American Bible che, letteralmente e correttamente, rendeva il disprezzo espresso dagli oppositori di Gesù che si riferivano a lui qualificandolo come «quell' individuo» ! Illustriamo i presupposti del genere 'non poteva avere' o 'doveva avere ' , che mettono delle limitazioni all' umanità d i Gesù. Eh 4, 1 5 pone un'impor­ tante restrizione, quanto al peccato, nella rassomiglianza che trova tra Gesù e gli altri esseri umani : «Abbiamo un sommo sacerdote non incapace di sen­ tire compassione per la nostra debolezza, ma è uno che in ogni cosa è stato

26 Papa LEONE MAGNO, Sermone VII sulla Natività (PL 54, 2 1 6): «Negare la verità della natura umana in Cristo è male come rifiutare di credere che la sua gloria è uguale a quella del Padre».

provato come noi, (però) eccetto il peccato» 21 • Non si fa nessun' altra ecce­ zi one nell ' uguaglianza di Gesù a noi e, così , potremmo ritenere che Gesù fu come noi nel possedere una conoscenza limitata. Un dottore della chiesa, che fu uno strenuo difensore ortodosso dell ' unicità di persona in Cristo, non esitò ad affermare: «Abbiamo contemplato la sua divinità nel fatto che per amore nostro non ha rifiutato di scendere ad un li vello così basso da soppor­ tare tutto quanto appartiene alla nostra natura, inclusa l ' ignoranza che essa comporta» 28 • Ciò nonostante, nel corso dei secoli, un principio del tipo 'deve avere' ha condotto oltre la discussione: «non si può negare a Cristo alcuna perfezione che per lui fosse stata possibile avere». (Questo principio è stato portato alle sue estreme conseguenze nella posizione dei teologi dell' università di Salamanca29, secondo cui, tra gli uomini, Gesù deve essere stato il più grande dialettico, filosofo, matematico, dottore, politico, musici­ sta, oratore, pittore, agricoltore, navigatore, soldato, ecc.). In termini di conoscenza, dal momento che .l ' onniscienza era considerata una perfezione, ha guadagnato terreno la tesi che Gesù doveva conoscere tutte le cose (si può legittimamente discutere, comunque, se l ' onniscienza sia una perfezione per gli esseri umani). La forma più sempl ice di argomen­ tazione per sostenere la tesi è che Gesù è Dio e Dio conosce ogni cosa. Alcuni, con pretese scientifiche, abbelliscono l' argomentazione accentuando il fatto che la persona è il soggetto del la conoscenza e c' era solamente una persona (la persona divina) in Gesù. Già gli studiosi medioevali sostenevano che la conoscenza si acquisisce attraverso la natura e Gesù aveva due natu­ re. Secondo il pensiero scolastico, Dio e gli uomini conoscono in modi dif­ ferenti : la conoscenza di Dio è immediata e non-concettuale; la conoscenza umana è nonnal mente raggiunta mediante l' astrazione ed è concettuale. Di cooseguenza, una conoscenza divina non è semplicemente trasferibile in una mente umana. To mmaso d ' Aquino scriveva 3 0 : « S e non ci fo s s e stata nell' anima di Cristo alcun' altra conoscenza oltre alla sua conoscenza divina,

27 Il concilio di Calcedonia (DBS § 30 l) pone la stessa restrizione: Gesù è «consustanziale a noi secondo l'um anità, simile a noi in tutto eccetto il peccato». 28 CIRILLO DI ALESSANDRIA, PG 75, 369. Chiaramente dunque, 'ignoranza' è un termine ammis­ sibile ed ha una connotazione non peggiorativa, ma soltanto limitativa. Nelle polemiche moderne degli ultraconservatori contro il punto di vista secondo cui Gesù ebbe una conoscenza l i m itata, si può trovare la falsa accusa secondo la quale quanti sostengono questa posizione ritengono che Gesù fu 'ignorante' - una riformul azione distorta che è peggiorativa. 29 SALMANTICENSES, Cursus Theologicus, tractatus XXI «De Incarnatione», disp. 22, dubium 2, n. 29. 30 Summa Theologiae III, q. 9, a. l, ad l m.

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3'1

non avrebbe conosciuto nulla. La conoscenza divina non può essere un atto dell ' anima umana di Cristo, essa appartiene ad un' altra natura» . In tal modo, la forma più semplice della tesi secondo cui Gesù, nella sua vita� avrebbe fruito della conoscenza divina di tutte le cose, risulta debole. In un altro approccio al problema, però, Tommaso d' Aquino ha postulato l ' esistenza di speciali aiuti per la natura umana di Gesù, che avrebbero supe­ rato i limiti della sua conoscenza: Gesù godeva della visione beatifica cioè, la visione di Dio che altri raggiungono solo dopo la loro morte in gra­ zia di Dio -, come pure di una conoscenza infusa da Dio. Anche un certo numero di affermazioni autoritative della chiesa cattol ica, nessuna delle quali defi nita dogmaticamente, ha favorito la teoria che Gesù avesse la visione beatifica e una conoscenza illimitata3 1 • In un tale approccio, se un passo del vangelo suggerisce che Gesù non ha conosciuto qualcosa o ha par­ lato in un modo che oggi riconosciamo essere impreciso, questo deve essere accaduto per adattarsi al comune modo di pensare del suo tempo; nel suo spirito tuttavia possedeva l' esatta conoscenza dell' oggetto in causa. Effetti­ vamente, il clima teologico è cambiato e teologi cattolici romani di grande spicco ora ammettono limitazioni nella conoscenza di Gesù. Alcuni� come K. Rahner, J. Gal ot e J. Ratzinger, non insistono sulla teoria della visione beatifica, almeno nella sua forma classica. Comunque, qualunque cosa si sostenga in questo dibattito teologico, io credo sia importante guardare alle testimonianze del NT così come sono, senza elementi del tipo 'doveva ave­ re' . Optando per un approccio descrittivo alla testimonianza del NT e trascu­ rando i presupposti del tipo ' non poteva avere' o 'doveva avere ' , che deriva­ no dal i ' enfatizzare un aspetto deli ' asserto ' vero Dio, vero uomo ' , non inten­ do negare il fatto che i portatori di tali presupposti contribuiscano, in qual­ che modo, al quadro cristologico complessivo. Obiezioni poste da filosofi e scienziati, da un lato, e corollari ricavati da teologi, da un altro lato, vanno presi sul serio, ma non si deve permettere che forzino la testimonianza del NT. In particolare, anche se quei teologi che pensano che Gesù abbia dovuto possedere una conoscenza illimitata (almeno in questioni religiose) sono nel

3 1 Cfr. BJGM 40-4 1 , note 4 e 6. È importante sottolineare che non c'è alcun dogma della chiesa sull 'estensione della conoscenza di Gesù. Come ho indicato in NJBC 7 1 , §§ 80-85, la chiesa riven­ dica il diritto di interpretare autoritativamente ciò che la Scrittura significa per la vita e la fede del popolo, ma essa non è si è mai pronunciata autoritativamente su questioni storiche come quella sulla quale ci stiamo interrogando: «Quanto ha conosciuto Gesù durante la sua vita?». La chiesa potrebbe essere, comunque, preoccupata che non si dia alla questione alcuna risposta che neghi la divinità di Gesù.

giusto (cosa di cui dubito), ciò non significa necessariamente che la gente abbia compreso questo nei tempi del NT, né che il NT debba essere letto per sostenere ciò. Il giudizio andrebbe riconosciuto come una conclusione teolo­ gica, piuttosto che come una norma per discernere quanto gli autori del NT hanno trasmesso a riguardo di Gesù32• A volte filosofi , scienziati, teologi (e perfino biblisti) hanno bisogno di ripensare certi giudizi religiosi su Gesù ; la testimonianza biblica dà il miglior contributo a questo ripensamento quando viene presentata con il minor numero possibile di presupposizioni consape­ vol i . S fortunatamente non possiamo mai sfuggire alle presupposizioni inconsapevoli.

32 A d u n livello più generale, come ho evidenziato dal principio, nella nota 4 , nel pensiero catto­ lico romano non c'è bisogno di tormentare i testi biblici per trovare nei tempi del NT una consape­ volezza delle dottrine della chiesa formulate nei secoli successivi, anche se quelle dottrine non possono essere viste in contraddizione col NT. Dovremmo essere attenti alle linee di sviluppo che vanno dal NT alla dottrina successivamente definita, in modo che sia chiaro che la chiesa interpre­ ta la rivelazione, piuttosto che imporre dogmi estri nseci: tuttavia una dottrina può derivare da approfondimenti cristiani posteriori su ciò che è impl icato nel mistero rivelato in Cristo.

Capitolo quarto

Che cosa si può arguire riguardo a Gesù dalle sue parole su argomenti non concernenti il Regno e se stesso

B enché io non abbia la pretesa di aver scoperto tutto il materiale evange­ lico riguardante Gesù che potrebbe far luce su come egli abbia concepito il suo ruolo e compreso se stesso, farò un serio sforzo di esaminare i testi più importanti e rappresentativi. Inoltre, poiché Ii dividerò per argomenti, i let­ tori potranno vedere che cosa un particolare tipo di materiale trasmette su Gesù. Cominceremo, in questo capitolo, con indicazioni più generali sulla sua conoscenza in questioni secolari e religiose, mentre nel successi vo capi­ tolo ci dedicheremo a fatti e parole direttamente collegati alla proclamazio­ ne del Regno 33 • Francamente il materiale di quest' ultimo tipo è pi ù im por­ tante per comprendere il resto del libro, così che, se i lettori dovessero tro­ vare troppo difficoltosa I ' analisi dei testi evangelici affrontata in questo capitolo, potranno tornare ad essa successivamente.

(A) Che cosa si può arguire dalla conoscenza che Gesù mostra circa le faccende ordinarie della vita Ci sono testi nei vangeli che sembrano indicare che Gesù, nella sua cono­ scenza delle faccende della vita, abbia condiviso le normali limitazioni uma­ ne ; ci sono altri testi che gli attribuiscono una conoscenz� straordinaria, o addirittura sovrumana, di tali fatti .

33 In questi capitoli, ho utilizzato (con cambiamenti significativi) alcuni materiali dei miei pre­ cedenti studi su quanto Gesù conobbe, in CBQ 29 ( 1 967) 3 1 5-345 e BJGM 39-79.

TESTI CHE INDICANO UNA CONOSCENZA LIMITATA 1 . Durante il ministero pubblico. Il miglior esempio è Mc 5,30-33. Gesù sta camminando tra la folla; una donna tocca i suoi vestiti e viene guarita dal suo potere miracoloso; percependo che u n ' energia è uscita da lui, Gesù domanda chi abbia toccato i suoi vestiti. I discepoli pensano che questa sia una domanda priva di senso, mentre si è tanto compressi e confusi tra la fol­ la, ma la donna si fa avanti e confessa. La narrazione sembra presupporre, evidentemente, un' ignoranza da parte di Gesù, anche se questa presupposi­ zione è quanto meno accidentale nel corso della storia. La storia è approssi­ mati vamente la stessa, anche se con toni più sfumati, in Le 8,45-47 ; invece Mt 9,22 tralascia la descrizione della domanda di Gesù e la sua ricerca34• In Mt, Gesù si gira, vede la donna e sa che cosa è accaduto. Molto probabil­ mente, la forma di Mc è più originale ; Mt riflette un certo disagio circa i' ignoranza che Mc attribui sce a Gesù-l5• 2. Durante l 'infanzia. Ci sono due testi che meritano attenzione nel rac­ conto dell ' infanzia di Le. In Le 2,46 Gesù è presentato nel tempio, ali ' età di dodici anni, mentre pone domande ai maestri della Legge. Il versetto suc­ cessivo dice che i maestri erano stupiti per la sua conoscenza e per le rispo­ ste che dava. Gesù è evidentemente pensato come un bravo ragazzo, ansioso di apprendere. In Le 2,52, dopo la scena succitata, si descri ve Gesù che cre­ sce in sapienza, allo stesso modo che in statura e grazia di Dio. Si tratta di una formula stereotipa; infatti una simile affermazione viene fatta, in riferi­ mento a S amuele, in l Sam 2,26 e, in riferimento a Giovanni Battista, in Le 1 ,80. Da un punto di vista critico, è difficoltoso usare q uesti testi in una ricostruzione della vita di Gesù, perché non c ' è modo di verificare questo materiale presente nel racconto dell' infanzia di Le (non ci sono altri racconti dell' infanzia di Gesù nei vangeli canonici e non sappiamo niente della fonte utilizzata da Le). Tuttavia, è chiaro che l' evangelista non trovava strano il fatto che Gesù ponesse domande o crescesse nella conoscenza (ordinaria) . Questa è un' importante considerazione, specialmente perché il racconto

34 In questo libro, procederò con la prospettiva più comunemente accolta tra gli studiosi: gli autori di Mt e Le hanno conosciuto e usato Mc indipendentemente, senza conoscere l'uno J ' opera dell 'altro. 35 Una simile attitudine alla correzione verso altre apparenti 'debolezze umane· riportate nel racconto di Mc si vede, per esempio, nell'omissione operata da Mt del miracolo in cui il tentativo di Gesù di guarire un cieco ha, in un primo momento. un successo solo parziale (Mc 8.22-26), come pure nel fatto che Mt sfuma l ' atteggiamento sgarbato dei discepoli nei confronti di Gesù (cfr. Mt 8,25s. con Mc 4,38s.).

de li' infanzia di Le presenta Gesù come Figlio di Dio fin dal primo momento del suo concepimento .

TESTI CHE INDICANO UNA CONOSCENZA STRAORDINARIA O SOVRUMANA 3. Negazione di limitazioni. C'è una tendenza nei vangeli più tardivi a sopprimere ogn i traccia della necessità, per Gesù, di conseguire una cono­ scenza ordinaria. Abbiamo già visto questo in Mt (cfr. supra, A l ) , ma il fenomeno è evidente specialmente in Gv. Se in Gv 6,5 Gesù domanda a Filippo dove si potrà trovare pane per sfamare la grande folla, l ' aggiunta parentetica, nel versetto seguente, insiste sul fatto che Gesù stava soltanto mettendo alla prova Filippo, poiché Gesù già sapeva ciò che stava per fare e, così, implicitamente, sapeva che c' era un ragazzo in mezzo alla folla che aveva cinque pani d' orzo e due pesci (6,9). Benché Gesù abbia scelto alcu­ ni discepoli di modesta qualità, egli conosceva fin dall ini zio quelli che avrebbero rifiutato di credere (6,64) . In particolare, sapeva che Giuda Isca­ nota lo avrebbe tradito (6,7 1 ; 1 3, 1 1 ) Tutto questo è congrue n te con la ten­ denza giovann e a di rappresentare Gesù senza alcun elemento di debolezza o di dipendenza umane 36 • In 1 0, 1 8 , in relazione alla sua morte, Gesù può. dire: «Nessuno mi toglie la vita, piuttosto io la offro di mia propria volontà. Io ho il potere di o ffrirla e il potere di riprenderla». Nonostante Gv dichiari che il Verbo si è fatto carne ( l , 1 4 ) E. Kasemann sostiene che il Gesù gio­ vanneo non ha sopportato una kénosis, cioè uno svuotamento fino al più totale abbassamento (come in Fil 2,6-8). Nel Gesù incarnato la gloria pro­ pria del Fi g lio di Dio spl e nd e costantemente per tutti quelli che hanno occhi per vedere 3 7 • 4. Capacità di leggere nelle menti. Tutti i vangeli attribuiscono a Gesù la capacità di conoscere ciò che la gente sta pensando, anche senza che essà l' abbia m an ifestato (Mc 2,6-8 e par. ; Mc 9,33-35 e Le 9,46-47 ; Gv 2,24-25; 1 6, 1 9.30). Una tale capacità non è insolita nelle storie di personaggi religio '

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36 Gv 3,22 riferisce che in Giudea Gesù portava avanti un ministero battesimale, una pratica che potrebbe indicare l ' i nfluenza di Giovanni Battista su di lui. In 4,2 questo è accuratamente negato: Gesù non battezzava direttamente, ma solo i suoi discepoli. 37 La quarta appendice discuterà la posizione di Kasemann. In essa ci sono esagerazioni , . ma bisogna ammettere che, preso singolarmente, il ritratto giovanneo di Gesù è abbastanza sbilanciato in favore della divinità. Solamente bilanciando Gv con Mc, possiamo avere la base scritturistica per considerare Gesù, allo stesso tempo, pienamente divino e pienamente umano.

si straordinari e ci si potrebbe chiedere se, da parte del Gesù storico, questo rappresenti un' acuta percezione di natura umana o una conoscenza sopran­ naturale. Certamente in Gv, come pure molto probabil mente negli altri van­ geli, l ' evangelista suppone quest 'ultima. 5. Conoscenza a distanza. Tutti i vangeli contengono episodi nei quali Gesù conosce ciò che sta accadendo altrove, oltre i limiti di una visuale umana. (a) In Gv l ,48-49 Gesù sa (ha vi sto) che Natanaele stava sotto una pianta di fico, il che provoca la grande meraviglia di Natanaele. (b) In Mc I l ,2 e par. , mentre Gesù si prepara ad entrare in Gerusalemme, ordina ai discepoli di andare in un villaggio molto vicino; entrando in esso troveranno un puledro legato, sul quale nessuno è ancora montato38 • Questa vicenda non è raccontata da Gv, la cui narrazione dell ' ingresso in Gerusalemme è, per certi aspetti, più primitiva rispetto a quell a dei sinot­ tici. In Gv 1 2, 1 4 è Gesù stesso a trovare l ' animale. (c) In Mc 1 4 , 1 3 - 1 4 e Le 22, 1 0- 1 1 , per preparare la Pasqua, Gesù invia due dei suoi discepoli con quest'istruzione: «Andate nella città e un uomo con una brocca d' acqua vi verrà incontro; seguitelo e, nel luogo in cui entrerà, dite al padrone della casa: "Il Maestro dice : Dov' è la mia sala da pranzo, in cui possa mangiare la Pasqua (il banchetto pasquale) con i miei disce­ poli?"». Si dovrebbe notare che in Mt 26, 1 8 il racconto non ha tale riferi­ mento ad una misteriosa conoscenza di ciò che sta per accadere. Il Gesù di Mt semplicemente invia i discepoli indiri zzandoli a casa di un certo uomo per fare i preparativi di Pasqua. (d) In Mt 1 7 ,24-27, la conclusione della discussione sul fatto che Gesù pagas s e la tassa previ sta, e implicitamente sul fatto che doves sero pagarl a i suoi discepoli, è stata amplificata. Gesù dice a Pietro di andare al lago di Galilea: il primo pesce preso avrebbe avuto nel J a bocca una moneta, che sarebbe servita a pagare la tassa per Gesù e per i suoi. Non ci viene raccontato che Pietro abbia fatto secondo le istruzioni ed abbia trovato la moneta, ma è implicito. Questo racconto si trova soltanto in Mt, probabil mente proveniente da una tradizione petrina, peculiare di Mt ( 1 4,28-3 3 ; 1 6 , 1 6b - 1 9 ) . Il suo scopo principale è didattico (problema del pagamento delle tasse da parte dei cristiani ; collegamento di Pietro a

38 In Mt 2 1 ,2 si parla di due animali. Si potrebbe sostenere che, in questo caso e in quello seguente, Gesù abbia previamente concordato con le persone adatte ciò che sarebbe dovuto acca­ dere, ma difficilmente gli evangelisti avrebbero potuto i nterpretare l' avvenimento in questa manie­ ra razionalista; essi vedevano questi fatti come esempi di conoscenza straordinaria.

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Gesù) 39; il fatto che Gesù sapesse che si sarebbe trovata la moneta nella bocca del pesce ( probabile simbolizzazione del fatto che Dio fornisce ciò di cui i cristiani hanno bisogno per far fronte, in simili circostanze. ai loro obbl ighi civili) è accidentale. Nonostante lo scopo didattico, questo è uno dei pochi miracol i di Gesù che, più da vicino, ras somiglia ad un' azione magica, tipica dei racconti riguardanti operatori di miracoli ellenisti. Molti studiosi lo considerano un racconto popolare e, sia nel racconto dell ' infanzia sia in quel lo dell a passione, Mt sembra intercettare una vena di materiale popolare drammatico, che narra avveni menti straordinari (una stella segnale della nascita del re dei Giudei; terremoti alla morte e risurrezione di Gesù; i santi escono dalle tombe e appaiono in Gerusalemme). Nella valutazione di questi episodi si incontrano dei problemi . Gli episodi (a) e (b) non hanno alcuna possibilità di verifica e per (d) è estremamente difficoltoso. Per gli epi sodi (b) e (c) esiste un' altra versione, che non suppo­ ne una conoscenza straordinaria. Malgrado queste difficoltà, dobbiamo rico­ noscere che la tradizione sulla capacità di Gesù di conoscere a distanza risa­ le ad una tradizione molto primitiva, ma dovremmo pure es sere attenti ssimi riguardo ad ogni ipote si teologica che collegasse tale conoscenza al suo essere divino. L' AT attribuisce questo tipo di conoscenza a molti profeti ; per esempio, Ezechiele, vivendo a Babilonia, ha una visione di avvenimenti che accadono a Gerusalemme. Un a visione extra-sensoriale a di stanza viene supposta in una storia riguardante Samuele (J Sam l O, l ss.), che è molto simile all' episodio di Mc 1 4, citato sotto (c). Ricapitolando ciò che abbiamo considerato sotto A: c'è un' antica tradi­ zione evangelica che accetta, senza percettibile difficoltà, il fatto che Gesù abbia avuto normalmente una conoscenza limitata delle faccende ordinarie della vita; molto verosimilmente la soppressione di quest' aspetto, operata da Mt e Gv, è una modificazione teologica secondaria. D ' altra parte, probabil­ mente fin dove la tradizione è rintracciabile, Gesù era presentato come un uomo che aveva una conoscenza e percezione degli altri più che ordinarie. Nelle grandi figure religiose e profetiche, questa conoscenza superiore non esclude limitazioni e ignoranza in altri campi e così ci si può quasi aspettare una combinazione dei due elementi in Gesù.

39 Per ulteriori approfondimenti al riguardo, cfr. R . E. BROWN e altri (edd.), Peter in the New Testament, Paulist, New York 1 973, 1 0 1 - 1 05, un libro che esprime un consenso raggiunto da stu­ diosi protestanti e cattolici.

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(B) Che cosa si può discernere dalla generale conoscenza che Gesù mostra su questioni religiose Ciò che è stato detto sotto A non dovrebbe presentare difficoltà per la maggioranza dei teologi interessati ali' ampiezza della conoscenza di Gesù, quali che siano le loro presupposizioni (vedi il capitolo terzo); sono pochi oggi gli studiosi che non ammettono che Gesù abbia dovuto conseguire una conoscenza sperimentale per quanto concerne le faccende ordinarie. Molti , comunque, non ammetterebbero che Gesù possa essere stato limitato quanto alla sua conoscenza religiosa40• In quest' ambito cominci amo a toccare la sostanza del ministero di Gesù o, almeno, dei racconti evangelici di questo ministero; dal momento che questi documenti riferiscono solo ciò che ha una rilevanza religiosa, tralasciando le azioni comuni compi ute da Gesù, che ave­ vano un minimo o nessun significato religioso41 (se in A abbiamo visto degli esempi di conoscenza straordinaria circa cose ordinarie, pure quegli epi sodi erano, in definitiva, associati ad un' azione che aveva una rilevanza religiosa) . Lasciando per il prossimo capitolo testi che mostrano più direttamente la comprensione che Gesù ebbe della propria missione di proclamazione del regno di Dio, concentriamoci qui sulla sua generale conoscenza religiosa. Nell ' uso delle Scritture e dei concetti teologici, Gesù manifestò una cono­ scenza superiore rispetto a quella del suo tempo da costringerci a supporre una fonte soprannaturale di tale conoscenza? Si prega di notare la formula­ zione della domanda. In ciò che segue, dovrò mettere in contrasto la prospet­ tiva di Gesù (così come è riportata nei vangeli) con una prospettiva moderna, scientifica, e questo può sembrare molto arrogante. Enfaticamente, io non sostengo, in maniera assolutamente categorica, la superiorità di una visione del mondo moderna, scientifica; essa risponde ai bisogni dei nostri tempi, ma visioni del mondo di epoche passate hanno la loro propria comprensione del­ la verità - una comprensione che, a volte, abbiamo perso a nostro detrimento. 40 Cfr., comunque, K. RAHNER, Dogmatic Considerations on Knowledge and Consciousness in Christ, in lo Dogmatic versus Biblica! Theology, Helicon, Baltimore 1 964. 241 -267. specialmen­ te 26 1 [ed. it., Considerazioni dogmatiche sulla scienza e autocoscienza di Cristo, in Io., Saggi di cristologia e mariologia, Paoline, Roma 1 9672, 1 99-238, specialmente 23 1 ]: «Pertanto, si può tran­ quillamente parlare d'una graduale evoluzione spirituale, anzi, addirittura d'un' evoluzione religio­ sa di Gesù». 4 1 La stessa cosa si è verificata, naturalmente, con le grandi figure dell' AT e con Paolo: cosl abbiamo delle rappresentazioni semplificate di persone i cui pensieri e la cui azione erano intera­ mente centrati su Dio, o su li' attività di Dio. .•

Eppure questo riconoscimento non risponde ad una questione centrale, che è, specificatamente, se ci sia stata una differenza dimostrabile tra Gesù ed altri suoi contemporanei quanto ad una conoscenza religiosa generale.

TESTI CHE ILLUSTRANO LA CONOSCENZA DELLA SCRITTURA DA PARTE DI GESÙ Le Scritture fornivano il vocabolario religioso di base del Giudaismo e, se

Gesù ha avuto una conoscenza straordinaria, qui potremmo attenderci che essa si manifesti. Quando citeremo, più avanti, i casi presenti nei vangeli in cui si dice che Gesù ha usato la Scrittura, satà molto difficile essere certi di essere di fronte ai suoi ipsissima verba, cioè alle sue proprie parole. Uno degli aspetti preminenti nella predicazione apostolica era la presentazione di uno sfondo veterotestamentario che rendeva Gesù intellegibile per i suoi discepoli giudei. Un tale ricorso ali ' AT era, quasi certamente, in continuità con l ' abitudine propria di Gesù di citare le Scritture, ma non è sempre possi­ bile determinare se il riferimento veterotestamentario del vangelo provenga da Gesù o dalla predicazione apostolica. In ciò che segue, tutti gli studiosi moderni corrono il rischio di apparire arroganti, sembrando di conoscere più di quanto Gesù abbia conosciuto. Non c ' è niente di tale natura che sia impli­ cato qui: l ' esegesi praticata al tempo di Gesù aveva la sua validità, ma la questione è se Gesù abbia mostrato una conoscenza straordinaria della Scrit­ tura, molto al di là di quella del suo tempo. l . Esempi in cui una citazione implica un errore. Non ci preoccuperemo dei casi in cui Gesù cita la Scrittura e la citazione non può essere rintracciata nell' AT; per esempio: Gv 7 ,38. In questi casi c'è sempre la possibilità che egli stia citando un libro che non ci è stato conservato4 2 , o che stia citando un Targum (traduzione aramaica), o qualche altra forma popolare del testo biblico. • In Mc 2,26 Gesù dice che Davide entrò nella casa di Dio, mentre Abiatar era sommo sacerdote e mangiò i pani della presentazione. La scena si tro­ va in l Sam 2 1 ,2-7 ; là, però, il sommo sacerdote non è Abiatar, ma Achi­ melec. Mt e Le sembrano aver notato la difficoltà, poiché i loro racconti

42 Il canone dei libri sacri giudei (che successivamente i cristiani hanno chiamato AT, ma che dai giudei era chiamato 'La Legge. i Profeti e gli Scritti ' ) non doveva ancora essere completamen­ te o unanimamente stabilito, almeno nell'area degli 'Scritti ' . I Giudei del tempo di Gesù, per esem­ pio a Qumran e ad Alessandria, utilizzavano come sacri libri che la successiva tradizione giudaica non ha canonizzato.

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di questo detto di Gesù omettono ogni menzione del sommo sacerdote (cfr. Mt 1 2, 4 ; Le 6,4)43 • Abiatar era più conosciuto di Achimelec e più strettamente associato a Dav ide nella vecchiaia, così che la tradizione popolare può aver facilmente confuso i due. Ma. se la lezione è genuina, Gesù non appare consapevol� del fatto che sta seguendo una versione non accurata della storia. In Mt 23,35, Gesù fa riferimento al sangue di tutti i giusti sparso sulla ter­ ra, dal sangue di Abele al sangue di Zaccaria, il figlio di Barachia, che fu assassinato tra i l santuario e l ' altare. Quest' identificazione di Zaccaria sembra manifestare una confusione: Zaccaria, figlio di Barachia, era un profeta minore, attivo tra il 520 e il 5 1 6 circa; fu invece Zaccaria, figlio di Joiada, ad essere ucciso nel tempio nell' 825 a.C. circa (cfr. 2 Cr 24,2022). Se la confusione esisteva nella soggiacente fonte Q, evidentemente Le ha notato la confusione, dal momento che Le 1 1 ,5 1 omette «il figlio di Barachia»44•

2. Esempi in cui la citazione della Scrittura attribuita a Gesù non mostra senso critico, ma riflette le idee imprecise del suo tempo. • In Mc 1 2,36s. e par. , Gesù cita Sal 1 1 O («Il Signore ha detto al mio Signo­ re» ) e attribuisce questo salmo a Davide. Non si tratta soltanto di una generica attribuzione, poi ché tutta l ' argomentazione di Gesù riposa sul fatto che Davide stesso abbia composto il salmo45• Quasi tutti gli studiosi moderni, compresi i cattolici, pensano al salmo come ad una composizio­ ne, messa in circolazione da un banditore di oracoli regali, per l ' incorona-

43 Anche alcuni mss. di Mc omettono la frase riportata in corsivo. ma i migliori mss e le regole della critica testuale ne segnalano la genuinità. Alcuni copisti di Mc manifestavano così la stessa esitazione mostrata da Mt e Le nel l ' incl udere l ' errore. 44 In una moderna trattazione J . M. Ross ( Which Zachariah ? in lrish Biblica/ Studies 9 [ 1 987] 70-73) suppone l'esistenza di uno Zaccaria sconosciuto messo a morte nel tempio, non molto pri­ ma dei giorni di Gesù - una sol uzione che io considero disperata. Per non far respingere tale con­ fusione di personaggi veterotestamentari come insignificante, ricordiamo che uno dei fondamentali argomenti cristiani contro il carattere sacro e rivelato del Corano è stato costituito dalla confusione che Maometto sembra aver fatto tra Miriam, la sorella di Mosè, e Miriam (Maria), la madre di Gesù. Per quello che comprendo del pensiero cristiano, comunque, benché la Bibbia sia ispirata, è inesatto ritenere che ogni cosa in essa contenuta sia stata rivelata e, così, la presenza di inesattezze, in un genere letterario che non richiede esattezza, non costituisce un'obiezione alla sacralità della Bibbia. 45 Naturalmente, per lungo tempo r attribuzione del salmo a Davide fatta da Gesù è stata consi­ derata una prova incontrovertibile della paternità davidica del salmo; cfr., per esempio, il decreto della Pontificia Commissione Biblica Romana datato l maggio 1 9 1 0 (NJBC 72, § 27 [EB 332339]). Per l a libertà cattolica odierna in tali questioni, cfr . NJBC 72, § 25. .

Parole di Gesù su argomenti diversi dal Regno

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zione o l' anniversario del re. I l ruolo personale d i Davide come autore è altamente improbabile. • In Mt 1 2,39-4 1 (cfr. anche 1 6,4; Le 1 1 ,29-32), Gesù dice che il segno di Giona, il profeta, sarà dato alla generazione presente. Se lasciamo da par­ te la questione su che cosa fosse il segno, il riferimento di Gesù al libro di Giona si comprende meglio se egli pensava ad esso come ad un resoconto storico. Di fatto, studiosi conservatori hanno usato la citazion e di Gesù per provare il valore storico di Giona, malgrado gli i mprobabi li avveni­ menti in esso narrati (compresa l ' esagerata estensione della città di Nini­ ve) . Gli studiosi contemporanei della Bibbia sono quasi unanimi nel con­ siderare il libro di Giona come una parabola, che fa emergere la figura di un profeta altrimenti sconosciuto: Giona, il figlio di Amittai (2 Re 1 4,25). Tuttavia non dovremmo insistere troppo su questo esempio, perché non possiamo essere certi che Gesù abbia considerato storica la vicenda di Giona. 3. In alcuni altri casi le citazioni della Scrittura attribuite a Gesù utilizza­ no un 'ermeneutica che oggi potrebbe essere considerata marginale, almeno dalla maggioranza degli studiosi, per i quali la norma fondamentale è il sen­ so letterale� cioè il senso che gli autori originali i ntendevano trasmettere con ciò che scri ssero46 • Naturalmente, un ' interpretazione che andasse oltre i l senso letterale era abbastanza normale a l tempo di Gesù, per esempio negli scritti di Qumran (cfr. Rotoli del Mar Morto), nei Targum (traduzioni ara­ maiche che erano spesso abbastanza interpretative) e negli scritti rabbinici posteriori ; io non desidero denigrare la qual ità di tale interpretazione . Ma qui ci stiamo domandando precisamente se Gesù dimostrasse una conoscen­ za della Scri ttura superiore a quella a lui contemporanea. Consideriamo alcuni esempi di interpretazione attribuiti a Gesù. • In Gv l 0,33-36 per confutare «i Giudei» che lo accusano di farsi Dio Gesù cita Sal 82 , 6 che parla dei giudici come «dèi ». Così egli sostiene che le stesse Scritture giudaiche usano il titolo 'dio' per esseri umani. Ci sono molti tentativi di spiegare quest'esegesi (cfr. BGJ 1 .409-4 1 1 ) , ma sembra inevitabile che Gesù renda plausibile una differenza di significato nella parola 'dio ' . I Giudei lo hanno accusato di farsi Dio, con la 'D' maiusco­ la; egli ha risposto proponendo un esempio in cui esseri umani sono chia­ mati 'dèi ' , in un senso traslato. Tuttavia, poiché questa scena è tanto caratteristica della teologia giovannea, non possiamo essere sicuri che la citazione proponga degli ipsissima verba. ,

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Per ulteriori precisazioni e condizioni su questo punto, cfr. NJBC 7 1 , §§ 9- 1 3 .

La cristologia

di Gesù

Se torniamo a Mc 1 2,36 e par. (cfr. supra, sotto B 2), troviamo un al­ tro problema ermeneutico nell' insistenza di Gesù sul fatto che il salmo davidico I l O si riferisca al Messia. Egli presume che, nel versetto «Il Signore [ Dio] ha detto al mio Signore», il «mio Signore)> sia il Messia. Pochi studiosi moderni, compresi i cattolici, ritengono che fosse atteso «il Messia» quando fu composto Sal I l 047 • Al contrarì o, in quel tempo, il salmo, che può essere stato utilizzato nella cerimonia d ' incoronazione o nella l iturgia, si riferiva a qualunque re della linea davidica. I farisei non furono capaci di confutare l 'argomentazione di Gesù, poiché, come sem­ bra, anch' essi pensavano che il salmo si riferisse al Messia; però, in quel­ lo che gli autori moderni considerano il suo significato letterale, Sal 1 1 O non confermerebbe il punto di vista di Gesù. 4. Passi evangelici che presentano Gesù come istruito nella Scrittura. Viene riferita una generale ammirazione per l ' autorità e la profondità dell ' insegnamento di Gesù (cfr. Mt 7,29; 22, 1 6) . In particolare, Gv 7, 1 5 sembra collegare questa meraviglia alla sua conoscenza della Scrittura: «Come mai costui ha una tale formazione se non ha avuto un maestro?». Per i bambini giudei, l' apprendimento del leggere e dello scrivere doveva essere centrato sulla conoscenza della Scrittura. Le 4, 1 7 riporta la tradizione che Gesù sapeva leggere la Bibbia. Dunque i vangeli presentano Gesù che non esita a contraddire l ' esegesi dominante, quando essa è in confl i tto con l ' interpretazione del suo ruolo o delle esigenze del regno di Dio. La sua cita­ zione di Sal I l O, per esempio, è fatta per provare che l' esegesi dei farisei è sbagliata: il Messia è più che il Figlio di Davide. È da considerare pure la serie «Avete udito che fu detto . . . ma io vi dico», i n Mt 5, e l ' utilizzazione fatta della Scrittura per rispondere ai farisei sul divorzio (Mt 1 9,4) e ai sad­ ducei sulla risurrezione (22,3 1 -32).



=

Nondimeno, l'impatto complessivo dei numeri 1 -4, sull' uso della Scrittu­ ra da parte di Gesù, non indurrebbe a pensarlo come di molto superiore ad un maestro insigne del suo tempo.

47 La prima appendice mostrerà che l ' attesa di un particolare futuro re della casa di Davide, che avrebbe realizzato i progetti di Dio per Israele, probabilmente non si sviluppa prima della fine dell'esilio babilonese.

Pt�role di Gesù

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argomenti diversi dal Regno

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TESTI CHE ILLUSTRANO L' USO FATIO DA GESÙ DI CONCEITI RELIGIOSI CONTEMPORANEI Qui, ovviamente, dobbiamo operare una selezione. Se stiamo indagando sulla conoscenza di Gesù, il campo di studio più utile potrebbe essere costi­ tuito dal suo atteggiamento verso le concezioni del suo tempo che, per comune consenso, ora consideriamo inadeguate o non corrette. Ha dimostra­ to una consapevolezza di questa inadeguatezza, come ci si potrebbe attende­ re se fosse stato onnisciente? Certamente nei vangeli è presentato come uno che corregge o modifica idee del suo tempo, intimamente connesse alla sua missione (idee sul Messia) o alle esigenze di Dio (idee sul matrimonio, la purità rituale, l' amore fraterno). Per il momento, tuttavia, siamo occupati con l' atteggiamento di Gesù verso concetti religiosi generali , che non erano così intimamente connessi con la missione di proclamare il regno di Dio. Come esempi, ci interessiamo della demonologia, della rappresentazione della vita futura e dell' apocalittica. 5. Demonologia. I vangeli sinottici descrivono uno straordinario numero di casi di possessione diabolica durante il ministero di Gesù. Non intendo occuparmi qui del l ' esistenza dei demoni o della possibilità della possessione diabolica o anche della circostanza che la possessione diabol ica possa essere stata più frequente prima che il regno di Dio facesse la sua irruzione nel Regno del male. Neppure intendo occuparmi della rilevanza religiosa della battaglia contro il male, implicata nelle espulsioni di demoni48• Ma alcuni dei casi che i vangeli sinottici descri vono, come esempi di possessione demoniaca, sembrano essere casi di malattia naturale. I sintomi descritti in Mc 9, 1 7- 1 8 sembrano essere quelli dell' epilessia, mentre i sintomi descritti in Mc 5 ,4 sembrano essere quelli di una pericolosa pazzia. Non si può sfug­ gire all ' impressione che, talvolta, in relazione alla possessione demoniaca, sia gli evangelisti che Gesù riflettano l ' i nesatta comprensione medico-reli­ giosa dei loro tempi . Nel secondo dei casi citati, Gesù caccia i demoni fuori dall' uomo in sano e li fa entrare in una mandria di porci - una destinazione che è in se stessa un esempio delle convinzioni demonologiche popolari. La parabola, attribuita a Gesù nella tradizione Q (Mt 1 2,43-45 ; Le 1 1 ,24-26),

48 Cfr. BRTOQ 68-69, per la discussione su come un'importante verità religiosa possa essere espressa in una visione del mondo differente dalla nostra - una visione che, nella prospettiva della scienza, può essere inferiore alla nostra, ma di gran lunga più ricca dal punto di vista del simboli­ smo.

UJ cristologia di Gesù

sui demoni che vagano cercando un posto per abitare, è un altro esempio di idee primitive che vedevano i demoni abitare in case infestate. Occasionai­ mente, Gesù corregge idee contemporanee circa una relazione troppo stretta tra mal attia o calamità e peccato personale (Le 1 3, l -5 ; Gv 9,2-3), ma nel quadro evangelico generale non c ' è alcuna indicazione che, nella questione dei demoni e delle cause mediche della malattia, egli abbia colto l' inadegua­ tezza dei punti di vista popolari del suo tempo49• 6. Vita futura. Non si dice che Gesù abbi a dato descrizioni dettagliate del­ la vita ultraterrena. Questo è accaduto perché rivelare tali cose non era la sua missione o perché non conosceva dettagli circa la vita futura? Sulla base della testimonianza biblica disponibile, non si può risolvere la questione; tuttav ia dovremmo notare le i mmagini materialistiche che egli usa, nei pochi casi in cui parla a tale riguardo. In Mc 9 ,43 ss Gesù descrive la gente che entra nella vita futura con una mano, un piede o un occhio, come se nel­ la vita ultraterrena la gente dovesse possedere un corpo come sulla terra, compresi i difetti. La puni zione è descritta come un fuoco inestinguibile (Mc 9,48; Mt 25,4 1 ), vermi voraci (Mc 9,48), un frustrante stridore di denti e pianto (Mt 8 , 1 2; 1 3 ,42) e un ' insaziabile sete (Le 1 6,24). Un grande abisso separa il luogo di beatitudine dal luogo del castigo di fuoco (Le 1 6,26). Nel luogo della beatitudine la gente si rallegra, in sontuosi banchetti, alla pre­ senza di Dio e dei patriarchi (Mt 8, 1 1 ), mentre gli invidiosi dannati sono costretti a guardare (Le 1 3 ,28). Accanto alla difficoltà di determinare se tali descrizioni rappresentino ipsissima verba oppure no. dobbi amo confrontarci con il problema supplementare di determinare quanto di questo linguaggio Gesù i ntenda in un senso figurato. Da una parte, non possiamo ritenere che tutto sia inteso in senso letterale e, dal l ' altra, non possiamo ritenere che Gesù condivida la nostra sofisticazione su alcune di tali questioni - una sofi­ sticazione tipica di un punto di vista scientifico, non necessariamente più vicina ad una verità che è meglio espressa simbolicamente. Quando Gesù parla di cielo sopra le nubi (Mc 1 3 ,26; 1 4,62), come possiamo essere sicuri che sapesse che il cielo non era collocato sopra le nubi? Il fatto che, in un caso, abbia corretto una visione popolare della vita ultraterrena con la quale non concordava (Mc 1 2,24-25 e par. : i morti, dopo la risurrezione, non si sposano) potrebbe suggerire che egli non aveva obiezioni verso altre opinio­ ni popolari che colorano il suo stesso linguaggio. .

49 È vero che il quarto vangelo non presenta casi di possessione demoniaca. ma difficilmente questo è un tratto primitivo conservato solo in Gv. Piuttosto, Gv è interessato ad una battaglia, di più ampie d imensioni cosmiche, tra Gesù e i1 male, personificato nel Principe di questo mondo ( 1 2,3 1 ; 1 4,30).

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Una questione correlata potrebbe essere quella concernente la conoscenza da parte di Gesù dell ' immortalità dell' anima. Certamente la maggioranza dei riferimenti di Gesù alla vita ultraterrena era nei termini della risurrezio­ ne del corpo. Eppure il quadro non è semplice: passi come Mc 8,36� Mt l 0,28 e Le 23,43 si possono spiegare più facil mente ritenendo che in Palesti­ na circolassero già delle idee circa l ' immortal ità del l ' anima - o almeno cir­ ca qualche presenza personale presso Dio di chi mori va prima della risurre­ zione del corpo (cfr. Fil 1 ,23; 2 Cor 5,8). Dovremmo perciò essere molto cauti nel supporre che Gesù non abbia mostrato alcuna conoscenza di qual­ cosa di diverso dalla risurrezione dei morti che avrebbe dovuto verificarsi alla fine del tempo50 • 7. Apocalittica . Il problema appena affrontato del linguaggio figurato attribuito a Gesù nella descrizione della vita ultraterrena si ripresenta nella valutazione delle immagini apocalittiche presenti nelle descrizioni della fine del tempo fatte da Gesù. Sentiamo che il sole e la luna si oscureranno e le stel le cadranno dal cielo (Mc 1 3,24-25 e par. ) ; ci saranno guerre, terremoti e carestie (Mc 1 3 ,7-8 e par. ) - in breve, i fenomeni che gli scritti apocalittici giudaici avevano predetto per secoli. Naturalmente non sappi amo se tal i cose non accadranno. Pochi studiosi, tuttavia, sarebbero disposti ad accetta­ re queste immagini come qualcosa che superi una descrizione stereotipa di una catastrofe, una descrizione che era divenuta così standardizzata che l ' intervento divino finale non si sarebbe potuto descrivere diversamente. Se queste descrizioni apocalittiche presenti nel vangelo risalgono a Gesù stes­ so, sicuramente egli dovrebbe essere stato consapevole di ripetere il lin­ guaggio stilizzato delle Scritture. Si può sempre sostenere che Gesù fosse cosciente di offrire descrizioni puramente simboliche ; inoltre, in questi pas­ si, niente suggerisce che Gesù non abbia atteso i fenomeni che descriveva. Sintetizzando i numeri 5-7: nei tre ambiti della demonologia, della vita ultraterrena e dell' apocalittica, Gesù sembra attingere ai concetti religiosi del suo tempo, senza che vi siano indicazioni di una conoscenza superiore e

50 O. CULLMANN. lmmortality of the Soul or Resurrection of the Dead, Epworth, London 1 958, ha sostenuto energicamente che la speranza del NT non è speranza di immortalità; a fortiori ha sostenuto che Gesù non ha predicato l ' immortalità. Ma questo può essere troppo semplicistico. J . BARR, The Garden of Eden and the Hope of lmmortality ?, Fortress, Minneapolis 1 993, sostiene che in Genesi l ' uomo e la donna erano immortali dal principio e, in Old and New lnterpretation, SCM, London 1 966, 52ss. , insiste nel sostenere che sia la risurrezione del corpo che l'i mmortalità dell ' anima erano anticipazioni evangeliche. Notare la combinazione delle aspettative in Gv 1 1 ,2526, un passo per il quale, sfortunatamente, non abbiamo paralleli sinottici.

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La

cristologia di Gesù

senza correzioni sostanziali dei concetti. Come vedremo nel prossimo capi­ tolo, ci sono altri ambiti, specialmente nella proclamazione del regno di Dio, nei quali l ' insegnamento di Gesù sfidava quello dei suoi tempi; non possia­ mo però trovare la sua unicità negli ampi concetti religiosi di cui si è discus­ so in questa sezione.

TESTI CHE ILLUSTRANO LA CONOSCENZA DEL FUTURO DA PARTE DI GESÙ Ci si può attendere una certa estensione della conoscenza del futuro nelle descrizioni che i vangeli fanno di Gesù, dal momento che riferiscono fosse considerato un profeta (Mc 6 , 1 5 ; Le 7, 1 6; Gv 6, 1 4)5 1 • È un luogo comune dell a moderna scienza biblica che i profeti dell' AT fossero primariamente dei riformatori religiosi, coinvolti nelle vicende del loro tempo, e che non spendessero la loro vita fissando un futuro lontano. In una tale comprensio­ ne, Gesù, in quanto profeta, non avrebbe dovuto essere necessariamente dotato di prescienza. Ma non possiamo giudicare la valutazione del profeta nel I secolo, partendo dalla moderna comprensione critica della profezia veterotestamentaria. Nel giudaismo post-esilico (cioè dopo il 539 a.C.), la prescienza profetica del futuro ha ricevuto una più grande accentuazione. Le interpretazioni bibliche (pesharfm) di Qumran suppongono che profeti come Abacuc abbiano real mente scritto circa la comunità di Qumran, che non avrebbe fatto la sua comparsa se non centinaia di anni dopo il tempo del pro­ feta. Quindi la valutazione di Gesù come profeta, fatta dai suoi contempora­ nei, può ben aver comportato una tradizione sulla sua conoscenza del futu­ ro52 . Se Gesù ha avuto conoscenza del futuro, che cosa possiamo desumerne circa la comprensione che ha avuto del suo ruolo nel piano di Dio? Questa domanda segna i parametri dell ' indagine: dobbiamo concentrarci sulla cono­ scenza da parte di Gesù del proprio futuro, o del futuro del popolo di Dio, che è in qualche modo correlato alla sua identità o autoconsapevolezza. Se la conoscenza fosse molto dettagliata, potrebbe mostrare che fu partecipe della conoscenza propria di Dio; se invece fosse meno dettagliata, dovrebbe alme­ no darci un indizio riguardo a come egli considerò il suo destino. 5 1 È abbastanza plausibile che Gesù fosse considerato un profeta durante il suo ministero; infat­ ti il ruolo del profeta era più spontaneamente ovvio rispetto ai ruoli sottintesi in alcuni degli altri titoli che i vangeli danno a Gesù (Messia, Figlio dell'Uomo, ecc.). 52 I cattolici dovrebbero essere consapevoli che il concilio Vaticano I ha affermato che Gesù ha fatto delle vere profezie (DBS § 3009).

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In tutti i casi di seguito discussi, comincerò dall'investigare la quantità di dettagli implicati nella conoscenza del futuro attribuita a Gesù. C ' è una dif­ ficoltà maggiore nella valutazione di questo, perché i vangeli furono scritti dopo la maggior parte degli eventi che si pensavano predetti da Gesù - tutti furono scritti dopo la sua morte e risurrezione; Mt, Le e Gv furono probabil­ mente scritti dopo la caduta di Gerusalemme. Volendo mostrare il compi­ mento delle parole di Gesù, i redattori dei vangeli potrebbero aver chiarifi­ cato quelle parole aggiungendo dei dettagli, in modo che il lettore potesse riconoscere la loro natura profetica53• Di conseguenza, nelle profezie attri­ buite a Gesù, ci si deve chiedere quanto appartenga ai suoi ipsissima verba e quanto appartenga invece alle chiarificazioni apportate dagli evangelisti alla luce de li' evento susseguente. Se possiamo stabilire che le affermazioni di Gesù sul futuro possono essere state più vaghe di quanto appaiano ora, qual è la linea di demarcazione tra la ferma convinzione che egli ha avuto su come le cose si sarebbero verificate e una reale prescienza? Una dettagliata prescienza è tipicamente sovrumana; un' irremovibile convinzione non supe­ ra necessariamente i poteri umani. 8 . Precognizione della sua passione, crocifissione e risurrezione 54 • Poiché stiamo indagando su una precognizione dettagliata, non ci occupiamo di predizioni generali di sofferenza o morte. Hanno interesse predizioni esatte sul chi e sul come. Tutti i vangeli attribui scono a Gesù una tale dettagliata prescienza durante il suo mini stero. Inoltre, dobbiamo essere consapevoli di un problema che crea sospetti apriori stici circa le esatte predizioni della cro­ cifissione e risurrezione attribuite a Gesù; precisamente è il fatto che i disce­ poli, a riguardo dei quali si può supporre abbiano udito le predizioni, non hanno previsto la crocifissione, benché fosse imminente, e neppure aspetta­ vano la risurrezione. Le 24, 1 9-26 è un resoconto tipico delle loro reazioni. Queste loro mancanze possono essere attribuite al desiderio degli evangeli-

53 Un' esegesi razionali sta più antiquata parlava, in questi casi, di vaticinia ex eventu, cioè di passi semplicemente creati dopo gli eventi, dalla chiesa o dagli evangelisti, per scopi apologetici. Questo approccio (che. anche se non avesse implicazioni religiose, è troppo semplicistico in termi­ ni di scienza biblica) ha avuto solo un piccolo seguito tra i credenti, che l' hanno giudicato equipa­ rare gli evangelisti a dei menzogneri e l' hanno trovato inconciliabile con una comprensione della Bibbia come parola di Dio. Ma la discussione sul dettaglio delle profezie di Gesù non ha bisogno di essere espressa in una maniera puramente razionalista. Riflettendo sui rispettivi eventi, dopo che hanno avuto luogo, gli evangelisti possono aver specificato meglio ciò che già veniva considerato profezia. Questo sarebbe un passo pedagogico, che non è ingannevole, né indegno della Scrittura ritenuta sacra. 54 Presento un' ampia trattazione di questo materiale nella quarta appendice di BDM (2. 1 4691 49 1 ).

sti di costituire un avvertimento, per i lettori del vangelo, circa la lentezza dei discepoli nel comprendere; ci si può però anche chiedere se le predizioni originali, se storiche, fossero così esatte come sono ora pervenute a noi . Consideriamo alcuni dei principali esempi di tali predizioni . • Mc 8 ,3 1 ; 9,3 1 ; l 0,33-34 e par. I vangeli s i nottici riportano quello che è considerato, per lo più, un gruppo speciale di tre detti profetici di Gesù come predizione della passione, della morte e della risurrezione del Figlio dell ' Uomo. Se ci concentriamo sul l ' espressione di Mc, nella pri­ ma predizione Gesù dice che il Figlio del l ' Uomo deve soffrire molto, essere rigettato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere ucc iso ed essere risuscitato dopo tre giorni. La seconda predizione è meno specifica, perché parla semplicemente di azioni compiute da uomi­ ni, senza identificare esattamente i responsabili. La terza predizione è la più specifica: non solo menziona i responsabi li, ma dice anche che lo condan neranno e lo consegneranno ai Gentili, che lo scherniranno, gli sputeranno addosso e lo flagelleranno (in Mt la terza predizione menzio­ na la crocifissione) . Queste tre predizioni appartengono a quella catego­ ria di detti del Figlio dell ' Uomo che lo raffigurano in una condizione ter­ rena di sofferenza. Alcuni studiosi , come Tod t e Higgins55, che hanno dedicato degli studi a tutto campo al problema del Figlio dell' Uomo nei vangeli, non considerano i detti di questa categoria parole autentiche di Gesù. Sottol ineano che i passi che mostrano il Figlio dell' Uomo soffe­ rente non si trovano nella tradizione Q delle parole di Gesù, tradizione comune a Mt e Le, e che quindi, per tali detti, abbiamo soltanto l ' autorità della tradizione di Mc. Altri studiosi rifiutano di pronunciarsi contro l ' autenticità di questi detti sulla base di fondamenti così generali ; come vedremo, detti sul Figlio dell' Uomo sofferente si trovano anche in Gv (probabilmente in modo indipendente da Mc) . Un ' i mportante questione è se l ' enunciazione delle predizioni sia la stessa .della descrizione degli eventi nel racconto della passione di Mc. Anche Todt riconosce che vi sono delle differenze e, così, non è tanto facile ritenere che l ' evangelista prima abbia scritto la passione e risurrezione e, poi, sia tornato sul testo creando le tre profezie alla l uce di ciò che aveva scritto. C'è, dunque, una sufficiente ragione per pensare che le profezie dettagliate provenga­ no direttamente da Gesù?

5 5 Cfr. H. E. TooT, The Son of Man in the Synoptic Tradition, Westminster, Philadelphia 1 965; A. J. B . HIGGINGS, Jesus and the Son of Man, Fortress, Philadelphia 1 964. Altro materiale sul Figlio dell' Uomo si potrà trovare nel capitolo sesto, sotto C.

Pam� di �à su argo�llll diversi dtJI Regno



Paradossalmente la testimonianza di Gv suggerisce che il modello delle tre predizioni può essere antidatato rispetto ad ogni vangelo scritto e, insieme, mette in questione l ' esatta formulazione. In Gv 3, 1 4 ; 8,28� 1 2 , 3 2 - 3 4 , ci sono tre detti di G e s ù , che asseri s c o n o c h e i l Figlio del l ' Uomo deve essere «innalzato». Nel l ' ultimo detto Gv chiarisce che ciò si riferisce al tipo di morte di cui Gesù stava per morire, specificata­ mente la crocifi ssione con la quale fu innalzato da terra; si implica anche il suo innalzamento a Dio nella risurrezione/ascensione (cfr. BGJ 1 . 1451 46). Notiamo che la formulazione, nelle predizioni giovannee, non ha dettagli; piuttosto riecheggia il vago linguaggio di fs 52, 1 3 : «Ecco, il mio servo . . . sarà innalzato» . Si potrebbe suggerire che, ad un primitivo li vello della tradizione su Gesù, prima dei vangeli scritti, ci fosse un modello di tre profezie concernenti la sofferenza e la vittoria del Figlio deli ' U orno, formulate con un linguaggio veterotestamentario - formulate nel linguag­ gio di fs 52 in una tradizione pregiovannea e, probabilmente, nel linguag­ gio di Dn 7 («un figlio d ' uomo» elevato fino a Dio; cfr. p. 54, infra) in una tradizione premarciana. Nello sviluppo pregiovanneo non si specificò u l teriormente, con i dettagli post factum della passione, men tre ciò cominciò a verificarsi nella tradizione premarciana; Mc ha continuato il processo. Almeno una tale ricostruzione è molto più verosimile, rispetto alla possibilità che Gv abbia attinto da Mc il modello delle tre predizioni, lasciando cadere tutti i dettagli della passione e aggiungendo un moti vo proveniente da Isaia. In Mt 1 2,39-40 Gesù offre ai farisei il segno di Giona: «Come Giona è sta­ to tre giorni e tre notti nel ventre della balena, così il Figlio dell ' Uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». È una chiara predizione della risurrezione, ma studi sinottici comparati vi suggeriscono che l' inter­ pretazione matteana del segno è un' addizione secondaria a un detto più originale, probabilmente più ambiguo, sul segno di Giona. Nel passo paral lelo, Le I l ,29-30.32, c ' è un' altra interpretazione, questa volta nei termini della predicazione di Giona: «Come Giona diventò un segno per gli uomini di Ninive, così lo sarà il Figlio dell ' Uomo per questa genera­ zione: [ . . . ] infatti essi si pentirono alla predicazione di Giona» (l' ultima frase appare anche in Mt 1 2,4 1 e, così, Mt ha elementi di una duplice interpretazione). Una terza formulazione del detto, in Mt 1 6,4, menziona semplicemente il segno, senza spiegarlo, e questa può essere stata la for­ ma originale. In questo caso, le due differenti interpretazioni del segno, che ora appaiono in Mt 1 2 e Le 1 1 , possono rappresentare spiegazioni alternative, presenti nella chiesa primitiva - spiegazioni che nascono quando i cristiani studiarono la vicenda di Giona per scoprire in che

modo questi fosse un segno di Gesù, il Figlio dell ' Uomo. Questo detto, dunque, non può essere usato per stabilire la dettagliata prescienza della propria risurrezione da parte di Gesù. • C ' è una tradizione secondo la quale Gesù conobbe anticipatamente che Giuda lo avrebbe tradito. Gv 6, 70-7 1 attribuisce questa precognizione a Gesù, durante il suo ministero. In tutti i vangeli il tema del tradimento pros si mo appare n eli' ultima cena; nei sin ottici è formulato nei termini della consegna del Figlio dell' Uomo. I n Mt 26,25 e Gv 1 3 ,27 Gesù sa che il traditore è Giuda. Mc 1 4, 1 8-2 1 non lo specifica56 , ma, dal momento che Mc 1 4, l 0- 1 1 ha già detto di Giuda ai lettori, siamo probabilmente spinti a supporre che Gesù sapesse che egli era il traditore. Se questa predizione è stimata autentica, ci si dovrebbe ancora domandare se essa rappresenti una prescienza soprannaturale o soltanto una penetrante intuizione, basata sul carattere di Giuda (precedentemente Gv 1 2,6 aveva descritto Giuda come corrotto) e/o sulla direzione che gli avvenimenti stavano prendendo (specialmente nei sinottici, in cui la predizione è fatta dopo che Giuda ha già raggiunto un accordo con i sommi sacerdoti). Da questa predizione, dunque, si può scarsamente giudicare il livello della prescienza di Gesù, benché sembri verosimile che gli evangelisti abbiano voluto farci pensare che la prescienza fosse soprannaturale. In sintesi : è difficile decidere circa la prescienza che Gesù ha avuto della sua passione, crocifissione e risurrezione . La critica moderna pone seri dub­ bi circa una prescienza dettagl iata. Inoltre non dobbiamo sottovalutare i l generale consenso della tradizione evangelica s u l fatto che Gesù fosse con­ vinto anticipatamente che, benché la vita gli sarebbe stata tolta violentemen­ te (cfr. anche Le 1 7,25; Mc 1 0,45), Dio alla fine lo avrebbe giustificato. Una tale convinzione può es sere nata da una riflessione di Gesù sul l ' AT, per esempio sulla vicenda di Geremia e sulla figura del Servo del Signore nel Deutero-Isaia (anche la morte violenta di Giovanni Battista può aver orien­ tato la mente di Gesù in questa direzione) 57 • La convinzione potrebbe avere rilevanza sotto il profilo cristologico ; infatti significherebbe che Gesù ha compreso ciò che gli accadeva come una parte essenziale del piano di vino per il Regno - un tema � ul quale tornerò più avanti .

56 E neppure lo fa Le 22,22, malgrado 22,48 mostri che Gesù sa ciò che Giuda sta tramando. 57 Qui siamo a disagio per il fatto che il materiale evangelico non è disposto in un ordine crono­ logico. In Mc 2.20 Gesù ha predetto la sua morte prima di ogni descrizione della morte del Batti­ sta, ma la prima delle tre predizioni dettagliate sul Figlio dell' Uomo (Mc 8,3 1 ) si trova dopo la morte del Battista. Gv (2, 1 9-22; 3 , 1 4) presenta Gesù consapevole della sua crocifissione e risurre­ zione anche prima che il Battista sia arrestato (3,24).

Parole di Gesù sa argomenti diversi tli:Jl Regno

9. Prescienza della distruzione di Gerusalemme e del santuario del tem­ pio. Cominciamo con il preavvertimento della distruzione di Gerusalemme nel discorso escatologico dei sinottici (Mc 1 3 e par.). In Mc 1 3.,2 e par. , Gesù predice che la grande costruzione del tempio sarà di strutta e non resterà una pietra sul l ' altra. Nel 70 d.C., l' esercito romano devastò Gerusa­ lemme. Le parole di Gesù non rappresentano una dettagliata prescienza di ciò che accadde; infatti g iganteschi blocchi di pietra del tempio erodiano sono ancora in Gerusalemme, per esempio nel 'muro del pianto ' . Mc 1 3 , 1 4 e Mt 24, 1 5 presentano Gesù che dà un segno di quando questo, con avveni­ menti connessi, accadrà: «Quando voi vedrete l ' abominio della desolazione stare dove non dovrebbe». Il 'voi' è, presumibilmente, riferito al gruppo di di scepol i/apostoli cui sta parlando; l' immagine è presa da Dn 9,27 e 1 2, 1 1 (come Mt indica), che usa questa terminologia per la statua del dio pagano che il governatore siriano della Palestina, Antioco Epifane, aveva collocato, nel 1 70 a.C. circa, sull' altare del sacrificio nel tempio. Così, il segno potreb­ be essere un'indicazione figurata che Gerusalemme sarebbe stata distrutta da stranieri. Le 2 1 ,20 spec ifica il segno: «Quando voi vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, saprete che la desolazione è vicina» . Alcuni studiosi hanno giudicato questo testo una esplicitazione aggiunta dopo il 70, quando Le seppe ciò che i Romani avevano fatto; altri hanno sostenuto che Le abbia conservato la forma più originale della predizione, formulata da Gesù in un linguaggio derivato dalle descri zioni veterotestamentarie della caduta di Gerusalemme ad opera dei Babilonesi nel 5 86 a.C. 58• Nessuna del le due spiegazioni sembra richiedere in Gesù un' esatta conoscenza del futuro. Nel­ le sue parole riguardanti la distruzione della città, come già un tempo Gere­ mia ed Ezechiele, Gesù potrebbe aver minacciato di punizione divina59 una Gerusalemme ribelle ed aver usato a tale scopo un linguaggio tradizionale. Il detto non starebbe ad indicare che egli conoscesse preci samente quando60 o come questo disastro si sarebbe verificato.

58 C. H . Dooo, The Fall of Jerusalem and the 'Abomination of Desolation , in Journal of Roman Studies 37 ( 1 947) 47-54; ristampato in Io., More New Testament Studies, Eerdmans, Grand Rapids 1 968, 69-83. Se questo è vero, mentre in Mc e Mt il prototipo che Gesù offre, per il disastro imminente, proviene dalla profanazione del tempio di Gerusalemme da parte di Antioco Epifane, il prototipo di Le è una più antica devastazione. 59 Gesù non era il solo, tra i suoi contemporanei, a fare questa premonizione. Nel 62 d.C. circa, Gesù figlio di Anania avvertiva dell ' i mminente distruzione del tempio (cfr. GIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica, 6.5.3; 300-309). C ' è anche un' ulteriore tradizione giudaica (cfr. Talmud Babilo­ nese, Gittin 56a; Midrash Rabbah sulle Lamentazioni 1 ,5 ; 3 1 ) secondo la quale Rabbi Zadok cominciò a digiunare intorno al 30 d.C. per prevenire la distruzione di Gerusalemme. 60 I riferimenti alla responsabilità e agli effetti, collegati non solo alla 'generazione presente' ma '

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1..4 cristologia di �-

Occupiamoci adesso delle varie forme di predizione fatte da Gesù circa la distruzione del santuario61 • • Mc 1 4,57-5 8 : «Alcuni portavano una falsa testimonianza contro di lui dicendo: "Lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò q uesto tempio fatto da mani d' uomo e in .tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d' uomo"». Ancora Mc 1 5 ,29: «Quelli che passavano lo insu ltavano . . . dicendo: 'Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni ' » . • Mt 26,60-6 1 : « S i presentarono due che affermavano: "Costui h a dichiara­ to: Io posso distruggere il tempio di Dio e ricostruir(lo) in tre giorni"». Ancora Mt 27,39-40: «Quelli che passavano lo insultavano . . . dicendo: 'Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni ' » . • A t 6, 1 3- 1 4: «Presentarono, quindi, dei falsi testimoni che dissero: 'Que­ st' uomo [Stefano] non cessa di proferire parole contro questo luogo santo e c ontro la Legge; infatti lo abbiamo udito dire che questo Gesù di Naza­ reth distruggerà questo luogo ' » . • G v 2, 1 9-2 1 : «Gesù rispose loro [ai Giudei] : 'Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo farò risorgere' . Egli parlava del tempio del suo corpo». Che Gesù abbia fatto un'affermazione, più o meno in questi termini, è molto verosimile. Per una quarantina di anni dopo la morte di Gesù il tem­ pio rimase in piedi, palesemente inattaccabile; durante questo periodo, diffi­ cilmente i cristiani potrebbero aver creato un' affermazione nella quale Gesù dichiarava di potere, o volere, distruggere il tempio. Piuttosto essi avrebbero tentato di scoprire il significato di quella che doveva sembrare una profezia incompiuta. Sia Mc che At suggeriscono l ' esistenza di un elemento di falsi­ ficazione n eli' attribuzione giudaica del l ' affermazione a Gesù - probabil­ mente nella forma in cui l ' affermazione fu presa da quel li che deridevano i cristiani; vale a dire: per significare la distruzione fisica da parte di Gesù stesso o la ricostruzione, da parte sua, di un santuario materi ale uguale a quello distrutto. Mc avrebbe trovato la verità in questa predizione, quando il santuario da ricostruire venne compreso come un santuario non fatto da mani d' uomo: precisamente la comunità cristiana62 • Bisognava anche com-

anche ai suoi figli, in due differenti passi (Mt 27,25 e Le 23,28), se originali, possono indicare che Gesù non aspettava un'immediata attuazione del giudizio di Dio. 6 1 In BDM 1 .429-460, ho dedicato un' intera sezione (§ 20) alle dichiarazioni di Gesù sulla distruzione del tempio di Gerusalemme. 62 Come supporto a questa interpretazione si veda l Pt 2,5: «E come pietre vive, voi venite impiegati per la costruzione di un edificio spirituale». L' aggiunta marciana 'fatto da mani' e 'non fatto da mani' (linguisticamente molto più familiare in greco che non in aramaico) è, molto verosi­ milmente, l' incorporazione di una correzione cristiana del modo in cui Gesù era stato male inter-

Parole di

Gesù .su argo,.,., ...,.. dal Regno

prendere che la distruzione del santuario, fatto da mani d' uomo, da parte di Gesù era parzialmente simbolica; cioè alla sua morte il velo del santuario si scisse in due dall' alto in basso (Mc 1 5 ,38), a significare che il luogo aveva perso la santità che derivava dalla presenza di Dio. Mt non considera falsa l ' attribuzione del detto a Gesù: piuttosto, l ' affermazione dei due testimoni le conferisce una valenza legale; neppure la ritiene necessaria per distinguere due tipi di santuario, come fa Mc. Al tempo in cui Mt fu scritto, l ' esercito romano aveva materialmente distrutto il tempio di Gerusalemme e, così, la prima parte delle parole di Gesù aveva avuto un compimento letterale. Per Mt, questo conferma la possibilità (da notare: «lo posso») per Gesù di porta­ re a compimento la seconda parte. Gv, riconoscendo di dare una spiegazione post factum, che divenne comprensibile solo dopo la morte di Gesù, usa il verbo «risorgere», invece di «ricostruire>> ; in tal modo può interpretare che Gesù si sia riferito alla sua morte e risurrezione. Questo processo interpreta­ tivo mostra che la forma originaria della predizione, benché mani festi una certa convinzione, non presenta una prescienza dei dettagli, che solo Dio potrebbe dare. Ciò nonostante, Gesù riferisce qui la propria azione al giudi­ zio di Dio sul santuario. Se egli ha usato ' lo' , parlando della distruzione del tempio, è andato oltre gli avvertimenti profetici dell' AT (e del giudaismo contemporaneo) circa il destino, pericolosamente compromesso, di Gerusa­ lemme. Così cominciamo ad accostare i l ruolo personale di Gesù nella venuta del Regno, che sarà oggetto di discussione nel prossimo capitolo. l O. Prescienza della parusia. Quest' aspetto della prescienza di Gesù si riflette in modo di verso sul problema complessivo della sua identità e del suo ruolo nel piano di Dio. Gli esempi illustrati sopra, ai numeri 8 e 9, riguardavano predizioni di cose che realmente sono accadute; qui siamo impegnati con la predizione di qualcosa che non è accaduto e dobbiamo chiederci se Gesù presumeva di conoscere quando sarebbe accaduto, oppure se erroneamente si aspettava che accadesse entro un breve tempo. Qui, sotto il titolo " parusia' , raggrupperò affermazioni riguardanti la venuta del Figlio dell' Uomo, il ritorno di Gesù e la venuta del regno di Dio con potenza63 • La divergenza in queste affermazioni quanto al tempo della venuta configura una situazione molto delicata che non possiamo assolutamente sperare di

pretato dai suoi nemici. Da notare che i due aggettivi sono omessi negli insulti rivolti a Gesù dai passanti. 63 Un tale raggruppamento può rappresentare un' eccessiva semplificazione. La venuta del regno di Dio non include, necessariamente, la venuta del Figlio dell' Uomo. Alcuni esegeti, pensando che i riferimenti alla futura venuta del Figlio dell' Uomo provengano da Gesù, ritengono (a mio giudi­ zio senza alcuna plausibilità) che Gesù aspettasse un Figlio dell' Uomo diverso da se stesso.

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La cristologia di Gesù

risolvere ; sarà tuttavia utile classificare le differenti prospettive temporali che in esse sembrano implicate. (a) A nticipazione di una parusia immediatamente dopo la morte di Gesù

I detti seguenti associano la parusia alla vittoria di Gesù sulla morte.



In Gv 1 4,3, durante l ' ultima cena, Gesù dice che sta partendo, ma ritor­ nerà, per prendere con sé i suoi discepoli. Da quanto appare in superficie si tratta di una parusia immediatamente successiva alla morte di Gesù ; infatti un linguaggio simile a questo 'essere presi con Gesù in cielo' si trova in un passo che parla di parusia, nel più antico scritto cristiano con­ servato: l Ts 4, 1 6- 1 7 . M.-E. Boismard64 ha sostenuto che Gv 1 4,3 rappre­ senta uno degli strati escatologici più antichi in Gv. L' interpretazione di una parusia immediatamente dopo la morte può es sere applicata alle parole di Gesù rivolte al sommo sacerdote, in Mc 1 4,62: «Voi vedrete il Figlio dell' Uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo» 65 • Mc 1 4,25 e Le 23,42-43 sono altri passi, più intellegibili se Gesù avesse aspettato un' immediata vittori a del Regno dopo la morte. Tutto questo quadrerebbe bene con la teoria ch e'Gesù non abbia conosciuto precisamente quale forma avrebbe assunto, oltre la morte, la sua vittoria. Si potrebbe congetturare che, in quanto ebreo, egli parlasse di questa vit­ toria nei termini dell' immagine di Dn 7, che egli utilizzò per riflettere sul Figlio dell ' Uomo66 • Di fatto, comunque, dopo la sua morte ha avuto luo­ go la risurrezione mentre la parusia è rimasta una realtà futura. Questo è un approccio che non può essere rifiutato o dimostrato. Tutte le afferma­ zioni riportate sono passibili di altre interpretazioni e nessuna di esse spe­ cifica il momento preciso della venuta del Figlio dell ' Uomo.

64 In u n articolo in francese, sull ' evoluzione dell'escatologia in Gv, in Revue Biblique 68 ( 1 96 1 ) 5 1 8-523. 65 Mt 26,64 e Le 22,69 (ognuno nella propria formulazione) modificano il verbo in questo detto, con una frase avverbiale: «d' ora in poi ». Le omette il riferimento alla venuta del Figlio dell ' Uomo, probabilmente perché il detto sembrava implicare una parusia immediata. 66 L' aspettativa del NT potrebbe rappresentare una modificazione del senso letterale di Dn 7, 1 314.26-27, dove un figlio d'uomo non è tanto un personaggio individuale quanto una figura umana simbolica. che rappresenta Israele o i santi di Dio. In Dn, questo figlio d' uomo è presentato non come uno che arriva al popolo sulla terra, ma come uno che arri v a a Dio. Si vedano le pp. 9 1 -95. infra.

(b) Anticipazione della parusia durante la vita degli ascoltatori di Gesù

Una prospettiva che pone un intervallo di almeno una generazione tra la vittoria di Gesù sulla morte e la sua parusia riceve un indiretto supporto dai riferimenti di Gesù alla vita di una chiesa o di una comunità, dalla missione dei suoi discepol i ad Israele e oltre, dalle sue parabole che parlano di cresci­ ta e dai suoi ordini di battezzare e di commemorarlo ne li' eucaristia� ecc. • In Mt l 0,23 Gesù dà istruzioni ai Dodici� perché si rivolgano ad Israele e perché predichino; nel passo parallelo di Mc (6,7. 30) la scena è quella del l' invio a due a due, verso le città i ntorno alla Galilea. Gesù li avverte che incontreranno persecuzione, ma li assicura: «quando vi perseguiteran­ no in una città, fuggite in un' altra; in verità vi dico, non avrete finito di percorrere tutte le città d ' Israele prima che venga il Figlio dell ' Uomo». Combinando le versioni di Mt e Mc, A. Schweitzer formula la sua famosa teoria, secondo la quale Gesù aspettava la parusia prima che i Dodici ter­ minassero la loro missione in Galilea. Quando essi tornarono senza che ciò fosse accaduto, Gesù fu preso da disappunto, comprendendo che la sua morte sarebbe stata necessaria per provocare l ' intervento di Dio. Oggi pochi sono disposti a seguire Schweitzer in questa interpretazione. Le scene di Mt e Mc non possono essere combinate. L' ambiente di Mt I O (per esempio i riferimenti alla persecuzione da parte d i si nagoghe, di governanti e re, nei v v. 1 7 - 1 8) è quello di una chiesa situata più avanti nel tempo e, almeno nella sua forma attuale, l 0,23 deve essere compreso in quest' atmosfera e non come un riferimento ad un' aspettativa entro il tem­ po del ministero di Gesù. La chiesa siro-palestinese rassicura se stessa che, nonostante la persecuzione, non sono esaurite tutte le possibilità di preservazione prima che venga il Figlio dell' Uomo. • Mc 1 3,30 e par. : «In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute». Nell ' attuale contesto, l' espressio­ ne «queste cose» dovrebbe includere la venuta del Figlio del l ' U omo descritta in 1 3,26. Ma questo contesto può avere poco valore per deter­ minare il significato originario del detto; molti studiosi riconoscono che il discorso escatologico, in Mc 1 3, è una collezione di detti prima indi­ pendenti. Alcuni sostengono che il riferimento originale di «queste cose» fosse la di struzione del tempio menzionata in 1 3 , 2-4. S forzi per dar ragione dei limiti temporali del detto, sostenendo che >, che interpreta 'Messia' , per rendere intelle g ib i le l 'elogio di Pietro che segue. In Mc Gesù reagisce ordinando ai discepoli di «non dire niente a nessu­ no» . Questo non può implicare che la confessione di Gesù come Messia da parte di Pietro fosse sbagliata, poiché l ' intestazione di Mc ( l , l ) identifica Gesù come il Messia. Piuttosto, il silen z io fa parte della presentazione che Mc fa di Gesù, il quale prima del tempo della sua condanna a morte non vuole aderire a quest ' identificazione, per timore che venga trascurato i l necessario elemento d i sofferenza i n essa contenuto99• Quando Gesù conti­ nua a parlare della futura sofferenza del Figlio dell' Uomo Pietro lo rimpro­ vera e questo porta Gesù a caratterizzare Pietro come Satana perché pensa da un punto di vista umano, anziché dal punto di vista di Dio (Mc 8,33). Sicuramente, dunque, Pietro ha una comprensione impropria del termine Messia, in quanto lo intende in un modo che esclude la sofferenza. Le ripor ta sia un ordine dato da Gesù di non parlarne a nessu no, sia un detto riguar­ dante la sofferenza del Figlio dell' Uomo, ma non riferisce alcuna lode o bia­ simo all ' indirizzo di Pietro 1 00• Alla fine della più lunga scena matteana, Mt 1 6,20-23 ha, approssimativamente, lo stesso materiale di Mc, con minori chiarificazioni 101 • Comunque, questi versetti sono preceduti , in 1 6, 1 6s., da un encomio di Pietro, motivato dalla sua confessione di Gesù come il Mes­ sia, il Figlio del Dio vivente: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l' hanno rivelato, ma il Padre mio che è nel cielo» . L' encomio è unito ad una promessa che la chiesa sarà edificata sulla roccia che è Pietro, al quale saranno date le chiavi del Regno ed i l potere di legare e sciogl iere ( 1 6, 1 8 - 1 9) . Alcuni guardano a questo materiale, che Mt ha aggi unto a quanto aveva attinto da Mc, come ad una creazione matteana. Ad ogni modo l ' aggiunta porta una forte impronta semitica quanto al tono e può essere abbastanza ragionevole che Mt abbia fuso due tradizioni concernenti la confessione di Pietro102• La prima sarebbe stata la tradizione appresa da ,

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99 Questo silenzio, o motivo di segretezza, è spesso considerato come una creazione di Mc e non come un' autentica memoria proveniente dal ministero di Gesù. La standardizzazione e la ripetizio­ ne del motivo di segretezza può. di fatto. essere propria di Mc, ma non possiamo essere certi che qualche memoria di reticenza. proveniente dal ministero di Gesù, non sia stata generalizzata (cfr. V. TAYLOR, The Gospel According to St. Mark, Macmillan, London 1 953, 1 22- 1 24). 1 00 L'omissione del rimprovero a Pietro è tipicamente lucana; infatti questo vangelo, quasi sem­ pre, attenua oppure tralascia materiale che mette in catti va l uce qualcuno dei Dodici. 101 Precisamente: «non dire ad alcuno che egli era il Messia»; e l' aggiunta «Tu mi sei di scanda­ lo», indirizzata a Pietro. 1 02 Cfr. i] libro ecumenico. Peter (nota 39), 86-89.

La cristologia

di Gesù

Mc una confessione fatta da Pietro, durante il ministero, che identifica Gesù come il Messia, ma manifesta una comprensione molto inadeguata delle implicazioni del titolo. La seconda può essere stata una confessione post-pasquale, fatta da Pietro, di Gesù come il Figlio di Dio, una compren­ sione che derivava dal la rivelazione divina. Non c ' è modo di provare che la scena marciana di base della confessione di Pietro (cui hanno attinto sia Mt che Le) sia storica. Il parallelo di Gv 6,6770 aiuta a stabilire un' origine pre-evangelica della confessione di Gesù fatta da Pietro, se si accetta la tesi (che io preferi sco) dell ' indipendenza di Gv da Mc. Però in questo parallelo Pietro confessa Gesù come «il S anto di Dio», non come il Messia (anche se 'il Santo' può ampiamente essere equivalente del Messia) 1 03 • Se dovessimo decidere che la confessione, in se stessa, non è storicamente implausibile, essa suggerirebbe che i discepoli di Gesù l ' abbia­ no acclamato come il Messia durante il tempo della sua vita e che egli non abbia respinto tale designazione, anche se riteneva che implicasse frainten­ dimento. 2. La domanda del sommo sacerdote durante il processo del sinedrio (Mc 1 4,6 1 -62; Mt 26,63-64; Le 22,67-69). Con una piccola variante, Mc e Mt concordano nel fatto che la domanda unisce due titol i: «Sei i l Messia, il Figlio del Benedetto (Mt: il Figlio del Dio vivente)?». Le, che forse segue qui un' altra tradizione, separa la domanda sul Messia da quella sul Figlio di Dio (Le 22, 70). Ci sono problemi sulla storicità dei sin ottici: sia quanto alla collocazione di questo processo nella notte precedente la morte di Gesù ( Gv 1 1 ,47-5 3 ha una sessione del sinedrio alcuni giorni prima), sia quanto al concentrare in questo luogo le fondamentali accuse contro Gesù ( Gv le ha disseminate; per esempio, Gv l 0,24-25 pone la domanda sul Messia e la relativa risposta durante il ministero) 1 04 • Nonostante tutto, se lasciamo da parte la collocazione temporale e la combinazione con 'il Figlio di Dio ' , la domanda sul Messia, rivolta a Gesù in tutti e quattro i vangeli da coloro che sono presentati come suoi nemici , aumenta la probabilità che la designazio­ ne messianica sia sorta durante il tempo della vita di Gesù. Non abbiamo idea di come le autorità giudaiche (o la folla in Gv) giunsero a pensare che Gesù potesse essere il Messia - dai suoi discepoli? per le ri vendicazioni del­ lo stesso Gesù? per una maligna congettura che Gesù potesse essere così pretenzioso? -

1 03 La confessione del Messia appare sulle labbra di Andrea, il fratello di Pietro, in Gv 1 ,4 1 .

1 04 G v 7,25-27.3 1 suppone che tutti i n Gerusalemme sapessero dell' asserzione che Gesù era il Messia. ·

La risposta di Gesù alla domanda sul Messia varia nei vangeli . In Mc, risponde: «lo lo sono», il Messia, il Figlio del Benedetto. Al livello della linea narrativa che l' uditorio di Mc (approssimativamente negli anni 60 del 1 secolo) sta seguendo, difficilmente Mc avrebbe potuto fornire una risposta negativa, dal momento che, come è stato precedentemente notato, aveva affermato questa identità per Gesù in l , 1 . 1 1 . Tuttavia, quando Pietro ha con­ fessato che Gesù è il Messia, il Gesù di Mc è molto meno affermativo di quanto non lo sia, ora, davanti al sommo sacerdote. Presumibilmente la forte dichiarazione è stata provocata da due fattori : qui, in un processo destinato a condannare Gesù, non c ' è pericolo di trascurare l ' elemento di sofferenza; e qui 'il Figlio del Benedetto ' è unito a 'Messia' nella domanda (come lo era pure ' Figlio di Dio' nella forma di Mt, al numero l ). Ma, se retrocediamo dalla linea narrativa e dal tempo in cui il vangelo fu scritto fino al tempo di Gesù, la risposta di Gesù di essere il Messia è stata così inequivocamente affermativa? Probabilmente le risposte di Gesù negli altri vangeli gettano luce su questo punto. In Mt Gesù risponde alla domanda del sommo sacerdote, che collegava la questione sul Messia a quella sul Figlio di Dio, in questo modo: «Tu l 'hai detto». Si tratta di un' affermazione 105, ma essa trasferisce all ' interrogante la responsabilità dell ' interpretazione da dare al punto in questione - un' inter­ pretazione di cui chi parla non è entusiasta. Se ci si domanda, al li vello della linea narrativa, perché il Gesù di Mt è stato tanto entusiasta quando Pietro ha usato questi titoli combinati, mentre ora è molto più cauto quando li usa il sommo sacerdote, la soluzione è che Pietro li ha utilizzati in una confessione pronunciata sotto l' influsso di una rivelazione divina, mentre il sommo sacer­ dote li usa come una domanda incredula, per trovare prove contro Gesù. Le, che separa la domanda sul Messia da quella sul Figlio di Dio, ha una risposta molto ambigua alla richiesta sul Messia: «Se ve lo dico non mi cre­ derete; se vi interrogo non mi risponderete» (Le riserva la risposta di Gesù, «Voi dite che io lo sono», da considerarsi affermativa, per la richiesta sepa­ rata sul Figlio di Dio). In Gv l O, gli avversari Giudei di Gesù lo sfidano sul­ la sua pretesa identità, e i due titoli, Messia e Figlio di Dio, compaiono nello stesso ordine che si trova nei sinottici . Alla domanda: «Se tu sei il Messia,

1 0 5 Pochi studiosi tentano di sostenere il contrario: però, più tardi, chiaramente in dipendenza dal fatto che Gesù ha fatto una tale dichiarazione, i passanti lo insultano mentre pende dalla croce: «Se tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce» (Mt 27,40). Di fatto nel loro scherno i sommi sacer­ doti e gli anziani riportano: «Egli ha detto: 'Io sono il Figlio di Dio'» (27.43). Non tratterò questa scena (Mt e Mc 1 5,32) in cui i sommi sacerdoti scherniscono Gesù crocifisso come il Messia. poi­ ché, in termini di prova cristologica, essa è dipendente dalla scena del processo.

La cristologia di Ge.sj

diccelo apertamente», Gesù risponde: «Ve l ' ho detto e non credete» ( 1 0,2425) - una risposta davvero molto simile a quella che si trova in Le, così che i due vangeli potrebbero far eco alla stessa tradizione. L' impressione domi­ nante che si ricava da tre vangeli , escludendo Mc, è che al livello della linea narrati va, benché Gesù non abbia negato di essere il Messia, egli fosse cauto quando gli oppositori usavano questo titolo, poiché sapeva che non avrebbe­ ro creduto e non avrebbero compreso il suo modo di vedere. Potrebbe que­ sto essere più vicino alla storia che non la semplice affermazione di Mc? Comunque, dobbiamo essere cauti poiché tutti gli evangelisti hanno posto la questione attenti a come i Giudei dei loro tempi, che non credevano in Gesù, comprendevano ciò che i cristiani dicevano di lui ; tutti e quattro hanno for­ nito una risposta facendo attenzione a come i cristiani confessavano Gesù. Si percepisce che il sommo sacerdote e Gesù sono collocati in un quadro narrati v o che risente delle discussioni in atto tra la sinagoga e la chiesa. 3. La donna samaritana in Gv 4,25-26. La donna dice: «lo so che un/il Messia (la parola significa 'Cristo ' ) deve venire; quando verrà, ci dirà ogni cosa». Gesù risponde: «lo, che ti sto parlando, (lo) sono». Al livello della linea narra tiva, la risposta produce un senso buono; Gesù era stato dichiara­ to Messia dai suoi seguaci in 1 ,4 1 senza obiezioni da parte sua: ora un' altra persona, che si avvicina al credere in lui, fa la confessione di fede. Comun­ que, pochissimi studiosi di Gv ritengono che il dialogo con la donna samari­ tana sia sempl icemente storico; e d' altronde, per quanto ne sappiamo, i Samaritani non aspettavano il Messia, dato che avevano rigettato l ' alleanza fatta tra Dio e Davide riguardo alla continuità della successione regale nella linea davidica106• Così questa scena non ci dice che durante la sua vita Gesù riconoscesse, senza alcuna obiezione, di essere il Messia. 4. 'Il Re dei Giudei '. Tutti e quattro i vangeli (Mc 1 5,2 e par. ) concordano sul fatto che Pilato abbia chiesto a Gesù se egli fosse «il Re dei Giudei» 1 07 • Tutti e quattro i vangel i (Mc 1 5,26 e par.) concordano che 'il Re dei Giudei ' era, nel titolo o n e l i ' accusa, associato alla croce di Gesù . Prima della domanda di Pilato sul Re dei Giudei, Mc 1 4,6 1 aveva introdotto la questione

re

1 06 Tuttavia, i Samaritani pervennero all' attesa del Taheb (che la letteratura samaritana posterio­

descrive come un personaggio con Je caratteristiche di Mosè), ma è difficile datare quest' attesa. 1 07 Non è chiaro se questa domanda sia una testimonianza separata da quella costituita dal titolo sulla croce, perché la domanda potrebbe essere un'elaborazione fatta a partire dal titolo; a partire cioè dal fatto che Gesù fu crocifisso con quest' accusa i cristiani potrebbero aver supposto che Pila­ to abbia rivolto questa domanda a Gesù. Se Gv ha una tradizione indipendente da Mc. la spiegazio­ ne mediante un' elaborazione successiva è dubbia, dal momento che è inverosimile che entrambe le tradizioni, indipendentemente, procedessero attraverso i medesimi passaggi.

Parole di Gt•.r;ù .'ìu se stesso

del Messia; dopo la moti v azione per la crocifissione, Mc introduce lo scher­ no a Gesù in quanto è il Messia ( 15,32). Probabilmente, dunque, intendeva avvertire i lettori di associare le due cose: i Romani condannano a morte Gesù perché pretendeva di essere il Messia, il Re dei Giudei. In Mt la proba­ bilità si trasforma in una virtuale certezza, perché Pilato, che ha chiesto se Gesù è «il Re dei Giudei» (27, 1 1 ) , per due volte mostra di sapere che Gesù è chiamato i l Messia (27, 1 7 .22). Le 23,2 accenna appena ali ' accusa presentata a Pilato: Gesù «ha detto di essere il Messia Re» . Si è difesa con forza la sto­ ricità del titolo sulla croce: «Il Re dei Giudei» 1 0 8 • Di conseguenza questo titolo accresce la possibilità che 'Messia' fosse associato a Gesù durante i l tempo della sua vita. 5. Primitiva confessione cristiana di Gesù come il Messia. Ho menziona­ to precedentemente la massiccia frequenza d e l i ' applicazione del titolo 'Messia' a Gesù da parte dei suoi discepoli in tempi successivi alla risurre­ zione e, di fatto, verosimilmente in un periodo molto primitivo 1 09• Ciò può essere plausibile se non vi fosse stato alcun riferimento a Gesù come Messia prima della sua morte? Conclusioni. La testimonianza che deriva da questi cinque punti rende estremamente plausibile che l ' idea di Gesù come Messia sia sorta durante la sua vita. Effettivamente, la testimonianza esclude certe possibilità teoriche riguardo a questa idea. Scriverò in corsivo alcuni giudizi. Penso che sia poco plausibile che Gesù abbia mai_ negato di essere il Messia, altrimenti i suoi discepoli avrebbero detto che era stato giustiziato sulla base di un' accu­ sa totalmente falsa: non era un re ed ha negato di esserlo. Invece nella loro predicazione e nei loro scritti essi affermano che era un re, ma non nel senso in cui lo accusavano i suoi oppositori. Penso sia certo che alcuni tra coloro che accusarono Gesù, Giudei e/o Gentili, ritennero che egli o i suoi disce­ poli pretesero egli fosse il Messia {re]. Di fatto è molto probabile che i discepoli di Gesù, durante la sua vita, l 'abbiano confessato come il Messia. La contro-proposta, secondo cui pro­ babilmente i Giudei oppositori di Gesù supponevano che egli pretendesse di essere il Messia, è un' ipotesi disperata, dato che l e 3 (cfr. supra) attribui­ scono l ' uso del titolo ai suoi discepoli o a quelli che stavano per diventarlo. Inoltre, se consideriamo il numero 5, è poco probabile che i suoi discepoli,

108

Cfr. N. A . DAHL, The Crucijied Messiah, Augsburg, Minneapolis 1 974, 1 0-36. Rm 1 ,3-4, che fa dipendere la messianità di Gesù dalla sua discendenza davidica secondo la carne, è una formula pre-paolina, che può risalire a prima del 40 d.C. Cfr. pp. 1 1 4- 1 1 5 . 109

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UJ

cristolo�ia di Gesù

dopo la risurrezione, abbiano accettato con tale entusiasmo qualcosa che gli avessero attribuito i suoi oppositori. Infine, considererei probabile che Gesù non abbia mai chiaramente o entusiasticamente accettato il titolo nel senso in cui i discepoli e gli oppositori glielo proponevano 1 1 0 • Egli non intese fare cose che molti avrebbero associato al Messia, per esempio stabilire un regno terreno, conquistare domini stranieri o comportarsi come un governante ter­ reno; e pensò pure che la discendenza davidica non avesse un significato cruciale (Mc 1 2,35-37 e par.). È logico supporre che Gesù non abbia mai negato di essere il Messia ed anche che non fosse entusiasta del titolo come gli veniva proposto? Si possono facilmente immaginare circostanze in cui ciò sarebbe stato perfettamente logico. Per esempio, se Gesù considerava se stesso come il mediatore ultimo di Dio nel portare il Regno, potrebbe non aver negato di essere il Messia, perché nella mente di molti ciò avrebbe significato che egli non era il mediatore ultimo di Dio. D ' altro canto, la sua comprensione di se stesso può aver significato qualcosa che egli non trovò esattamente nelle aspettati ve precedenti e così poté affermare di essere il Messia senza entusiasmo 1 1 1 • Paradossalmente quest' atteggiamento orienta ad una cristologia più elevata rispetto a quella che si avrebbe se egli si fosse considerato del tutto defmito da quanto generalmente ci si attendeva riguar­ do al Messia.

1 1 ° C'è poco a sostegno deJla posiz i o ne che, benché Gesù facesse delle lu ci de affermazioni di essere il Messia, queste non fossero comprese a causa del l ' ottusità o della durezza di cuore dei suoi ascoltatori. Piuttosto passò del tempo dopo la sua morte perché le presupp os i zi oni dei Gi udei circa il Messia fossero modificate e adattate alla vicenda di Gesù, così che i credenti pote ssero riconoscerlo, senza riserve, come il Messia in tutte le fasi della sua vita (cfr. i capi tol i dal settimo al decimo). . 1 1 1 Per i cattolici Pio X [DBS § 3435 (EB 226)] condannò la proposizione modemista secondo cui Cristo non era stato sempre co n sa pe vol e della sua dignità messianica. La nota teologica (valu­ tazi one ) da collegare a questo tipo di condanna è, notoriamente, difficile da determinare. Ino l tre , l ' idea è condannata nel cont esto globale dello stori ci s mo modemista, in cui essa serviva come negazione della d i v i n i t à di Gesù. La presente discussione, s u l l ' atteggiamento di Gesù nei confronti della term i n olog ia messianica, è in perfetta consonanza con la fede nella div i n ità di Gesù. Doven­ do formulare una comune posizione moderna, con un occhio alla di chi araz ione di Pio X, di re i che i van gel i mostrano Gesù sempre consapevole della sua dignità (che i mpl i ca una relazione unica con Dio); non sono chiari quanto al fatto che egli considerasse il termine ·Messia', nel senso inteso dai suoi contemporanei, adeguato ad esprimere questa di g ni tà .

Parok di G�sù .su .s� sttiiD

-

(B) Gesù ha affermato di essere il Figlio di Dio? Per evitare confusione, è bene ricordarci che chiamare qualcuno 'figlio' in relazione a Dio è ambiguo. Non significa necessariamente la filiazione divina, nel senso proprio che uno abbia origine da Dio in modo da avere la natura stessa di Dio, ma può connotare solo una speciale relazione a Dio. Nell' AT gli angeli sono chiamati 'figli di Dio' perché sono parte della corte celeste e della famiglia di Dio1 1 2 • Dio trattava il re davidico come un figlio, nel senso che esercitava una speciale attenzione nei suoi confronti e per la continuazione della dinastia1 1 3 • Della nazione di Israele Dio può dire, per mezzo del profeta Osea ( 1 1 , 1 ): «Dall' Egitto ho chiamato mio figlio>). Nel libro della Sapienza (2, 1 3- 1 8) i derisori criticano il giusto perché si conside­ ra un figlio di Dio, cioè uno che Dio amava e trattava come se fosse un suo proprio figlio. Nonostante questi usi di 'figlio ' , il titolo formale 'il Figlio di Dio' non appare mai nella B ibbia ebraica. Nella letteratura giudaica antecedente al NT, il titolo appare solo una vol­ ta: in quello che è stato chiamato un frammento dello pseudo-Daniele, con­ servato in aramaico a Qumran (4Q246), si può leggere: «sarà detto essere il Figlio di Dio, e lo chiameranno il Figlio del l ' Altissimo)) 1 1 4 • La mancanza di contesto in questo testo mal conservato, appartenente ad un documento più ampio, rende difficile l ' identificazione del soggetto, benché sembri indicare un re. Milik, datando il frammento al 25 a.C. circa, vi ha visto un riferimen­ to ad un re siriano ostile ai Giudei; D. Flusser1 1 5 ha sostenuto che l ' uso dei titoli aveva una tonalità arrogante da anticristo (antiDio), esemplificata da Antioco Epifane. Molti studiosi ora, tuttavia, intendono i titoli positivamen-

1 1 2 Nel più ampio sfondo religioso del Vicino Oriente, da cui il concetto di angelo fu molto probabilmente adattato e trasferito nel pensiero ebraico, gJi dei erano maschi e femmine ed ave­ vano bambini che erano letteralmente 'figJi ' (e 'figl ie') di dèi. Nella Bibbia, invece, benché parte del linguaggio e dell' immagine possa essere rimasta, gli angeli sono parte dell ' unica creazione di Dio. 1 1 3 Per mezzo di Natan Dio promise a Davide che suo figlio avrebbe regnato dopo di lui: «ed io sarò per lui un padre ed egli sarà per me un figlio» (2 Sam 7 , 1 4) . In Sal 2,7 Dio si rivolge al re davidico come a «mio figlio». Ancora non è chiaro se 'il figlio di Dio' fosse un titolo ufficiale del re. l l 4 Questo testo è stato discusso e divulgato da J. T. Milik in una lezione tenuta ad Harvard nel 1972. J. A. FITZMYER ha tracciato delle linee fondamentali. disponibili in NTS 20 ( 1 973- 1 974) 39 1 394, n pubblicate i n FA WA 90-94, l 02- 1 07. I l testo è stato finalmente pubblicato d a E. PuECH, in Revue Biblique 99 ( 1 992) 98- 1 3 1 , e commentato da J. A. FITZMYER, in Biblica 74 ( 1 993) 1 53- 1 74. 1 1 5 Cfr. lmmanuel i O ( 1 980) 3 1 -37.

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lA cristologia di (jesù

te, spesso riferendoli ad una figura futura che viene da parte di Dio1 1 6 • Que­ st' interpretazione è favorita da un altro documento di Qumran ( J QSa 2, 1 2), in cui si dice che Dio genererà il Messia, in un momento atteso nel futuro. In particolare, J. J. Collins vede una possibile relazione di questo 'Figlio di Dio' a 'uno simile ad un figlio d' uomo' in Dn 7, 1 3- 1 4, a cui I' Antico dei giorni (Dio) darà dominio, gloria e Regno. Ciò nondimeno, qui, dove stiamo ponendo questioni storiche, sarebbe metodologicamente imprudente giudi­ care, sull ' uso di 'Figlio di Dio' per Gesù, in dipendenza troppo stretta dall'oscuro 4Q246. Il fatto che la chiesa del NT confessasse Gesù come il Figlio di Dio è amme sso da tutti gli studiosi e questa confessione può ben esser sorta a par­ tire dall a prima decade della vita della chiesa primitiva 1 17 • Sulle labbra dei cristiani, questo titolo attribuiva a Gesù una relazione a Dio non solo specia­ le, ma unica. È questa relazione unica che ci interessa quando domandiamo: «Gesù si chiamò o si considerò il Figlio di Dio?» 1 1 8 (rammento ancora ai let­ tori che questo non è lo stesso che chiedersi : «Gesù era il Figlio di Dio?» ; ci stiamo interrogando sul modo in cui egli formulava la sua identità). I passi del vangelo che si riferi scono a lui come al Figlio di Dio sono provenienti proprio dal tempo del ministero di Gesù? Se è così, hanno messo in risalto la connotazione della filiazione così presto? oppure erano, piuttosto, sempli­ ci affermazioni che Gesù era il Messia, il re davidico che Dio trattava e pro­ teggeva come un figlio?

1 1 6 Fitzmyer (= un re), F. Garda Martfnez (= Melchisedek), M. Hengel (= probabilmente il popolo giudeo). II Messia è proposto da E. PUECH - J. J. CoLLINS, The 'Son of God ' Text from Qumran, in FJTJ 65-82. 1 17 Bultmann e molti studiosi della prima metà del xx secolo vorrebbero attribuire la confessio­ ne di Gesù come Figlio di Dio alla chiesa ellenistica. L' uso, comunque, probabilmente può essere rintracciato fino alla prima generazione di cristiani. Il titolo appare in l Ts 1 , 1 0, il più antico testo cristiano conservato (50 d.C. circa). At 9,20 riporta il titolo •iJ Figlio di Dio' al tempo della conver­ sione di Paolo (36 d.C. circa) e la frequenza del titolo negli scritti paolini significa che esso era molto consolidato nel pensiero paolino. Esso appare in Rm 1 .3-4, che è mollo verosimilmente un'antica confessione non paolina. O. CULLMANN, The Christology of the New Testament, SCM, London 1 959, 275-305, insiste molto sull'origine palestinese� cfr. pure M. HENGEL, The Son of God, Fortress. Philadelphia 1 976 [ed. it., Il Figlio di Dio, Paideia, Brescia 1 984]. 1 1 8 Gv, come vedremo (pp. 1 74- 1 75), parla di Gesù come monoghen és, 'unigenito', un termine che può essere combinato con 'Figlio ' .

Parol� di Ge.fù JU :te stesso



TRE ESEMPI DI ATIESTAZIONE CON MINORE VALORE PROBATORIO

l . Risposte di Gesù alle proclamazioni o alle domande riguardanti il suo essere il Figlio di Dio (Mt 1 6, 1 6- 1 7 e par. ; Mc 1 4, 6 1 -62 e par. ) . Nel presente capitolo abbiamo già discusso questi testi sotto A. l e A.2, in quanto parte della questione messianica, po � ché in entrambi i casi 'Messia' è legato a 'Figlio di Dio' (quest'ultimo con minori varianti ). Come ho mostrato, a livello degli scritti degli evangelisti nell' ultimo terzo del 1 secolo, essi impli­ cano il riconoscimento di Gesù come il Messia, nel senso di essere l ' unico Figlio di Dio. Ora, il 'Figlio di Dio' era parte della combinazione aggiunta a 'Messia' , nello sviluppo post-pasquale della tradizione per facilitare l' inter­ pretazione 1 1 9 o risale al tempo di Gesù ? In quest' ultimo caso, durante la vita di Gesù che cosa può aver significato una tale confessione per Pietro o per un sommo sacerdote giudeo? 2. Il concepimento verginale e il Figlio di Dio. Pur essendo indipendenti, i racconti dell ' infanzia di Mt e Le concordano nel fatto che Gesù è Figlio di Dio in un modo unico, perché Maria ha concepito il suo figlio per mezzo del lo Spirito Santo, senza l' apporto di un maschio. Molti pensano che que­ sto concepi mento vergi nale si rifletta, indirettamente, sulla conoscenza di Gesù circa la sua filiazione, in quanto Maria avrebbe parlato a Gesù della paternità divina (se pure c'era bisogno che egli ne fosse informato). L' assen­ za dei racconti dell ' infanzia in Mc (e Gv) suggerisce che la loro aggiunta al quadro evangelico è relativamente tarda (anche se contengono materi ale molto primitivo). Non abbiamo informazioni sulla fonte da cui Mt e Le attinsero il materiale che presentano nei racconti deli' infanzia1 20; neppure

1 19 Ricordiamo che nei paralleli al primo passo (la confessione di Pietro) Le 9,20 mancava di 'Figlio di Dio' e Gv 6,69 aveva 'Santo di Dio ' ; nei paralleli a] secondo passo ( l ' interrogatorio del sommo sacerdote) Le e Gv rendono ' Figlio di Dio' un concetto separato da Messia. Mt 1 4,33 ha una confessione aggiunta. I discepoli nella barca dicono: «Veramente tu sei Figlio di Dio», dopo che Gesù ha camminato sull'acqua e ha calmato il vento. L' assoluta assenza di questa confessione nel parallelo marciano (6,5 1 -52) suggerisce che Mt ha proceduto ad un' articolazione post-pasquale di ciò che Mc implica: la ragione per cui Gesù può fare tali cose, come i cristiani giungeranno a riconoscere, è la sua condizione di Figlio di Dio. 1 20 Per il periodo del ministero pubblico quelli che accompagnavano Gesù come discepoli sono plausibilmente la fonte dell a tradizione riguardante ciò che fece e disse. Certamente essi non erano presenti durante il tempo della sua infanzia. Sembra che Giuseppe sia morto prima che Gesù cominciasse il suo ministero e l' ultima informazione su M aria nel NT è quella che la vede in Geru­ salemme (dove era giunta, presumibilmente, dalla Galilea per la festa del pellegrinaggio), con i seguaci di Gesù, prima di Pentecoste (A t l , 14 ). Il NT non offre prove che ella abbia vissuto con la

. _.

lLl cristologia

di Gesù

possiamo considerare i due racconti dell' infanzia come totalmente storici, dal momento che in molti dettagli non concordano né con ciò che viene nar­ rato nel successivo ministero, né tra di loro1 2 1 (comunque, il modo del con­ cepimento e l ' identità di Gesù come Figlio di Dio sono i fatti più importanti, sui quali i due racconti del l ' infanzia concordano) . La presentazione di Gesù e di Maria durante il ministero pubblico non richiama mai un singolo detta­ glio dai racconti dell' infanzia, perciò, storicamente, non abbiamo modo di arguire l ' autocomprensione raggiunta da Gesù in conseguenza del modo del 2 suo concepimento 1 2 • 3. L 'affermazione della filiazione divina di Gesù al battesimo e alla tra­ sfigurazione. Nei vangeli si nottici, Dio, parlando dal cielo, identifica Gesù come «il mio Figlio prediletto», sia al battesimo 1 23 , sia alla trasfigurazio­ ne 1 24. La difficoltà di stabilire il carattere storico di una teofania (in cui Dio appare o parla al popolo dal cielo) è enorme. Un altro ostacolo all' utilizza­ zione di questa testimonianza, nella nostra indagine, deriva dall' intenzione della narra zione. In Mc, benché chiaramente tanto la visione quanto la voce siano dirette a Gesù, l ' ipotesi che la scena dica a Gesù chi egli sia viene oggi respinta dalla maggioranza degli studiosi. Per esempio, E. Haenchen scri ve: «Il racconto [Mc] non vuole descrivere un' esperienza interiore di Gesù, poiché sarebbe abbastanza lontano dalla mente dell' evangelista» 1 25 •

comunità dei cristiani di Gerusalemme, quando questa si costituì dopo Pentecoste, e non c'è alcuna attestazione antica che el1a sia stata la fonte da cui entrambi gli evangelisti ricevettero informazio­ ni suH 'infanzia. 12 l BBM 32-37, 576-577. 1 22 Una possibile eccezione potrebbe essere Le 2,49, dove, all' età di dodici anni. Gesù parla a suo «padre» e a sua madre (2.48). in termini che definiscono Dio «mio Padre». Ma questa scena è peculiare di Le e difficilmente utilizzabile in una discussione storica. 123 Mc l , l l ; Mt 3 . 1 7; Le 3,22. In Gv l ,34 Giovanni il Battista (per mezzo di una rivelazione che proviene da Dio) rende testimonianza che Gesù è «il Figlio di Dio» : comunque questa lezione è dubbia, da un punto di vista testuale, e la lezione alternativa, «il prescelto di Dio», può essere più originale. Cfr. nota 1 78, sul1o sfondo del Servo Sofferente. 1 24 Mc 9,1; Mt 1 7,5; Le 9,35 (senza «predi letto»). Gv non racconta la trasfigurazione. 12 5 Cfr. lo Der Weg Jesu. Topelmann, Berlin 1 966, 6 1 . Nel 1 967. in BJGM 85, ho fatto osser­ vare che Haenchen ha esattamente caratterizzato la tesi secondo cui il battesimo rappresenta la vocazione di Gesù come tesi che nasce dal protestantesimo liberale all' inizio del secolo (per esem­ pio, J. Weiss) e che era imbarazzante trovare famosi scrittori cattolici i quali. improvvisamente, la scopri vano e la sposavano. ritenendo che rappresentasse l ' ultima novità nel l ' esegesi biblica. L' argomento che Mt debba implicare una rivelazione a Gesù dal momento che Gesù è il solo a vedere lo Spirito di Dio discendere va respinto. non solo per il fatto che la voce parla di lui in terza persona ( «Questi è il mio Figlio prediletto>>: Mt 3. 1 7), ma per 3, 1 3- 1 5 dove Gesù mostra di essere consapevole della sua dignità prima del battesimo. In Le la voce è indirizzata a Gesù (3,22: «Tu sei il mio Figlio prediletto)>), ma 2.49 mostra che egli era consapevole della sua identità filiale già molto prima. .•

Parok di ( it�.fù

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Lo scopo della scena marciana è pedagogico: l a voce di Dio al battesimo parla per i lettori, per dire loro, all ' inizio, chi è Gesù 1 26 (che questo non sia servito a coloro che erano presenti alla scena è evidente dal fatto che, lungo il vangelo di Mc, pri ma della morte di Gesù, nessun uomo mostra di essere consapevole che egli è il Figlio di Dio) . La trasfigurazione ricorda ai lettori che i discepoli non hanno compreso chi sia Gesù, e non lo comprenderebbe­ ro neppure se egli rivelasse se stesso apertamente. Non possiamo trattare questi interventi della voce celeste come semplici avvenimenti storici che esigerebbero necessariamente la capacità da parte di Gesù di esprimere la sua identità come Figlio di Dio.

DUE ESEMPI DI ATTESTAZIONE CON MAGGIORE VALORE PROBATORIO 4. Riferimenti di Gesù a Dio come Padre. Per sostenere la posizione che Gesù si sia riferito a se stesso come Figlio unico di Dio, abitualmente si è argomentato che Gesù parlava di Dio come di «mio Padre» e che mai si è unito ad altri dicendo «nostro Padre». L'argomentazione non è senza proble­ mi. Primo, l ' espressione 'mio Padre' non appare mai in Mc ed appare solo quattro volte in Le. L' uso frequente è tipico di Mt, ma per nessuna delle ricorrenze di 'mio Padre' vi è un parallelo sinottico. È istruttivo, per esem­ pio, confrontare Mt 1 2,50 («la volontà del Padre mio») con Mc 3,35 e Le 8,2 1 («la volontà [o parola] di Dio»), e confrontare Mt 26,29 («il regno del Padre mio») con Mc 1 4,25 («regno di Dio»). Chiaramente, in questi casi, è veros imile che Mt abbia introdotto 'Padre' in passi che, originariamente, non contenevano tale designazione. Secondo, se il Gesù di Mt parla del 'Padre mio' parla pure frequentemen­ te ai suoi discepoli del 'Padre vostro' 1 27 • In Mt 7,2 1 , per esempio, Gesù parla della volontà del " Padre mio' ; in 1 8, 1 4 ( secondo i migliori testi moni testua­ li) parla della volontà del ' Padre vostro' . Che diritto ha l' esegesi di ritenere

1 26 In Mt e Le la questione è leggermente differente. Ai lettori è stato già detto nei racconti dell'infanzia. attraverso la rivelazione angelica, che Gesù è il Figlio di Dio (in Le questo è stato detto loro anche attraverso le stesse parole pronunciate da Gesù quando aveva dodici anni). Ora Dio lo conferma parlando ad alta voce. 1 27 Un intero gruppo di passi, nel discorso della montagna, insegna ai discepoli a considerare Dio come loro Padre in un modo molto speciale (Mt 5, 1 6.45.48 ecc.).

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La

cristologia di Gesù

prima facie che 'mio Padre' implichi una relazione più inti ma a Dio rispetto a 'vostro Padre' 128 ? Terzo, J. Jeremias 1 29 ha sostenuto che l' abitudine di Gesù di rivolgersi a Dio chiamandolo «Abba» («Padre») nel la preghiera è una sua peculiarità; l' epiteto aramaico ( 'abba ') è affettuoso (= ' Papà ' ) ed implica una relazione intima, familiare . In tal modo Gesù rivendicava una relazione speciale, familiare, a Dio come a suo Padre, al di là della generale relazione postulata nel giudaismo contemporaneo. Altri studiosi hanno contestato Jeremias ed alcune precisazioni sono effettivamente necessarie 1 30 • Abbiamo un certo numero di esempi di Giudei che si rivolgono a Dio come ' Padre' o 'Mio Padre' , pregando in greco (3 Maccabei 5,7; 6,3 [4] ; Sap 14,3; Sir 23, 1 ), ed ora c ' è l ' esempio di un salmo-preghiera di un rotolo del Mar Morto, che si rivolge a Dio, in ebraico, come «Mio Padre>> ( 4Q372: 'ab l). Nel greco dei vange l i , varie espressioni sono usate da Gesù per rivolgersi a Dio come 'Mio Padre' e 'Padre' (pdter mu, pater, patér) ; non possiamo semplicemen­ te ritenere che tutte traducano l' aramaico 'abba '. Di fatto, nei vangeli il solo esempio del tennine aramaico traslitterato in greco (abba) è Mc 1 4,36 131 • In attestazioni aramaiche, del periodo tra il 200 a.C. e il 200 d.C., 'abf è nor­ male per l' espressione 'mio padre ' , detta da un bambino, e solo nella lettera­ tura databile dopo il 200 d.C. lo sostituisce 'abba '. Quindi, l ' interpretazione 'papà' dell' uso di Gesù dovrebbe esser lasciata cadere1 32• Comunque, fatte tutte le precisazioni necessarie, se riconosciamo che storicamente Gesù si rivolse a Dio con l' aramaico 'abba ', dobbiamo pure riconoscere il carattere non usuale di questo fatto. Anche in seguito, 'abba ' non è usato per Dio nel l ' ebraico aramaizzante della Mishna, ed appare solo una volta, come appellativo rivolto a Dio, nelle antiche traduzioni aramaiche della Bibbia (targum). Come dice Fitzmyer: «Non c ' è prova nella letteratura del giudai­ smo pre-cristiano o palestinese del 1 secolo che 'abba ' fosse usato, in qua-

1 28 Una po s s i bile modificazione è che Gesù, implicitamente, è l' unico che dà ad altri il diritto di parlare di Dio in questo modo. 1 2 9 La sua più co n cis a trattazione è Abba in The Centrai Message of the New Testament, SCM, London 1 965 [ed. it.. Il messaggio centrale del Nuovo Testa m en to , Paideia, Brescia 1 9822], 9-30; cfr. anche R. HAMMERTON- KELLY, in Concilium 143 (3; 1 98 1 ) 95- 1 02. 1 3 0 Lo stato attuale della discussione è stato presentato con precisione da J. A. FITZMYER, Abba and Jesus ' Relation to God, in A cause de l 'évangile, Mélanges J. Dupont, Lectio Divina 1 23, Cerf, Paris 1 985, 1 . 1 5-38. 1 3 1 Le 22,42, parallelo di Mc 1 4,36, usa pater; su questa base, molto plausibilmente il greco pater in Le 1 1 ,2 ('Padre' contrapposto a 'nostro Padre' nella preghiera del Signore di Mt) traduce un soggiacente 'abba '. 1 3 2 J . B ARR, 'Abba ' lsn 't Daddy, i n JTS NS 39 ( 1 988) 28-47.

Parole di Ge.fù su se stesso

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lunque senso, come appellativo personale rivolto a Dio da un individuo» 1 33 • C ' è dunque una caratteristica propria nell ' uso di Gesù. Ciò nonostante, Gesù offriva la condivisione di questa relazione ai suoi discepoli: insegnò loro a pregare Dio come 'Padre' (Le 1 1 ,2, la forma originale del l ' appellativo nella preghiera del S i gnore) ed essi trasferiscono l ' abitudine di usare «Abba» anche nel mondo di lingua greca (Gal 4,6; Rm 8, 15). Quarto, anche i n Gv, dove l a relazione d i Gesù a Dio come Figlio (hyios) · è tenuta distinta dalla relazione dei credenti cristiani come figli (tékna) 1 34 , il termine 'Padre', rivolto a Dio, non è chiaramente distintivo. In Gv 20, 1 7, Gesù risorto dice: « Salgo al Padre mio e Padre vostro » . Tenendo conto de li' analogia con la formulazione simile in Rut l , 1 6, comprendiamo che Gesù intende: «mio Padre che è ora vostro Padre» (cfr. nota 245) . Mediante il dono dello Spirito dopo la risurrezione, Dio diventa il Padre di quelli che credono in Gesù. Da tutta questa discussione sul l ' uso d eli' espressione 'Padre' fatto da Gesù rivolgendosi a Dio, si può trarre almeno questa conclusione: se Gesù presentava se stesso come il primo di molti costituiti in una nuova e speciale relazione a Dio com.e Padre, questa priorità implica che la sua filiazione era, in qualche modo, superiore alla filiazione di tutti quelli che lo avrebbe­ ro seguito. 5. Riferimenti di Gesù a se stesso come Figlio. Possibilità di una conclu­ sione più solida emergono se passiamo dai testi in cui Gesù parla di Dio come Padre a quelli in cui parla di se stesso come Figlio, ma anche qui dob­ biamo procedere con cautela. Non c ' è alcun dubbio che il Gesù del quarto vangelo pretenda di essere il Figlio di Dio 1 3 5 , il solo che ha visto e udito Dio e che è venuto sulla terra per rivelare Dio agli uomini. Egli si presenta anche come «l' unico Figlio» di Dio ( Gv 3, 1 6 ). La condizione di eccellenza di que­ sto figlio è esemplificata in affermazioni come «Il Padre ed io siamo una sola cosa» ( 1 0,30) ; «Chi ha visto me ha visto il Padre» ( 1 4,9). Fino a che punto possiamo attribuire al ministero di Gesù questa chiara cristologia del Figlio di Dio? Il quarto vangelo fu scritto per manifestare che Gesù è il Figlio di Dio (20,3 1 ) ; nel piano dell' evangelista, le parole del Gesù giovan-

1 33 Cfr. Abba, 28. Nelle pp. 29-30, egli contesta due passi proposti da G. VERMÈs, Jesus the Jew, Fortress, Philadelphia 1 98 1 [ed. it., Gesù l 'ebreo, Boria, Roma 1 983], 2 1 0-2 1 1 , uno dei quali (nel­ la Mis/ma) è incerto e l' altro proviene dal molto tardo Talmud Babilonese. 1 34 Naturalmente questa è una distinzione che difficilmente è stata fatta neJla li ngua aramaica di Gesù e non è una distinzione conservata attraverso il NT; per esempio, Gal 4,5 e Rm 8, 1 5 usano un nome astratto, correlato a hyi6s, per la 'filiazione' adottiva dei cristiani. 1 35 Hyi6s ( 'figlio'), da solo o con il genitivo 'di Dio', in Gv è applicato a Gesù oltre 30 volte.

La cristologia di

Gesù

neo, benché possano essere radicale nelle parole pronunciate da Gesù duran­ te il suo ministero, sono rivestite della gloria del Gesù risorto. Inoltre, nella quarta appendice, vedremo che la cristologia di Gv si chiarì medi ante un ' ulteriore riflessione quando la comunità giovannea fu perseguitata dalla sinagoga a causa di Gesù. Perc iò l ' uti l izzazione di Gv per determinare scientificamente come Gesù parlò di se stesso, durante il tempo della sua vita, è molto difficile. Ciò nonostante l ' abitudine giovannea di presentare Gesù che si riferisce a se stesso come 'Figlio' non è senza paral leli negli altri vangeli; vi sono tre casi, nei racconti sinottici del ministero, ai quali dobbiamo prestare l a mas­ sima attenzione; i vi Gesù sembra parlare di se stesso, in maniera assoluta, come «il Figlio» di Dio. Primo, nella tradizione Q dei detti di Gesù c'è un famoso testo, riportato da Mt I l ,27 e Le l 0,22: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessu­ no conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivela­ re» - il cosiddetto «loghion giovanneo» 1 36• Questo detto ha molti tratti semi­ tici e può ben riflettere un detto originale di Gesù. J. Jeremias ha proposto l' attraente suggerimento che l' originale fosse in stile parabolico, conside­ rando la possibilità che Gesù abbia attinto al detto secondo cui un padre e un figlio si conoscono l ' un l' altro intimamente e, così, un figlio è il più adatto a rivelare i pensieri più reconditi del padre 1 37• Questo detto, dunque, non pro­ va chiaramente che Gesù abbia presentato se stesso come 'il Figlio' in senso assoluto (benché questo non sia da escludere, dal momento che molte para­ bole hanno pure tratti allegorici, e Gesù potrebbe aver giocato sul suo essere 'il Figlio ' ). Secondo, in Mc 1 3 ,32 Gesù dice: «Quanto a quel giorno o a quell' ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre». È curioso che il passo più significativo, che parla in modo assolu-

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Il fatto che, in questo passo. la relazione sia tra un Padre che ha bisogno di essere rivelato ed Figlio rende inverosimile che si tratti di un riferimento al Figlio dell' Uomo piuttosto che al Figlio di Dio. La designazione 'giovannea' deriva dalla circostanza che il l6ghion ricorda il pensie­ ro e lo stile del quarto vangelo. Se fosse stato, dal principio, conservato come un detto isolato, non legato ad alcun vangelo, gli amanuensi l'avrebbero sicuramente aggiunto a Gv. Il fatto che esso si trovi nella fonte Q ci mette in guardia dal pensare che la cristologia e il linguaggio giovannei siano interamente una creazione giovannea; piuttosto è un massiccio (e indipendente) sviluppo di temi che si trovano attestati anche nella tradizione sinottica. 1 37 Cfr. A bba. (cfr. la nostra nota 1 29) 23-25. In quest ' interpretazione l ' articolo determinativo prima di 'Figlio' è l ' articolo determinativo dello stile parabolico, che serve ad indicare una situa­ zione generica, come «il seminatore uscì a seminare)). In italiano o in inglese si userebbe un artico­ lo indeterminativo per una tale situazione, mentre la forma definita è un buon aramaico.

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to di Gesù come di Figlio (di Dio), sia il passo più celebre dei vangeli per affermare che la conoscenza di Gesù era li mitata ! Abbiamo discusso questo passo (p. 57 -59) ed abbiamo visto che non è senza difficoltà. Benché alcuni pensino che la chiesa primitiva possa aver aggiunto la designazione elevata di Gesù come 'il Figlio' per bilanciare il riconoscimento che la sua cono­ scenza era limitata 13 8 , la probabilità depone a favore di questa designazione, che Gesù dà di se stesso, come originale. Terzo, la parabola degli operai nella vigna (Mc 1 2, 1 - 1 2), per quanto possa aver subito sviluppi, contiene una fondamentale, semplice comparazione, che, probabilmente, risale a Gesù. In questa parabola, dopo aver trattato duramente i servi mandati a ritirare l ' affitto, gli operai uccidono il figlio del proprietario. Non c ' è accenno che il figlio sia alla fine vendicato, come ci si potrebbe aspettare se la morte del figlio fosse uno sviluppo post-pasquale della parabola. Il figlio si colloca nella linea dei profeti che sono stati maTti­ rizzati e rigettati, ma ha un' identità che li supera. Mc 1 2,6 e Le 20, 1 3 (ma non Mt 2 1 ,37) descrivono questo figlio come agapetos, «amato in modo unico». Questi tre passi sinottici rendono verosimile che Gesù abbia parlato e pen­ sato di se stesso come 'il Figlio ', implicando una relazione molto speciale a Dio, che è parte della sua identità e della sua condizione 1 39 • Eppure, indiscu­ tibilmente, egli non ha mai usato per se stesso il titolo 'il Figlio di Dio' .

(C) Gesù ha affermato di essere il Figlio dell'Uomo? Vi è oggi un grande disaccordo sul fatto che questo fosse un titolo al tem­ po di Gesù, su che cosa significasse e sul fatto che Gesù lo abbia usato rife-

1 38 Come ha mostrato J . P. Meier (NJBC 78, § 3 5 ) , comunque, una soluzione più semplice sarebbe stata la soppressione del riferimento alla sua conoscenza limitata. 1 3 9 Non ho aggiunto Mt 28, 1 9, dove Gesù risorto dice agli undici discepoli : «Andate, dunque, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», un passo che non si trova altrove. Poiché un'altra attestazione presenta una formula battesimale più semplice, «nel nome di Gesù», probabilmente abbiamo qui una formula liturgica usata nella chiesa di Mt alla fine del 1 secolo, quando i cristiani, sotto la guida dello Spirito Santo, pervennero ad una più piena comprensione detr azione divina nella salvezza. Secondo questa teoria, Gesù risorto det­ te un ordine di evangelizzare, ma la frase di Mt, che riporta tale ordine, riflette l'esperienza cristia­ na del compito di evangelizzazione.

La crinologia

di�

rendosi a se stesso. Può essere di consolazione sapere che ci sono tracce di un' antic a perplessità nelle parole rivolte a Gesù in Gv 1 2,34: «Come puoi dire c h e il Figlio del l ' Uomo deve e s sere elevato? Chi è questo Figlio dell' Uomo?». L' uso evangelico di questo titolo per Gesù presenta statistiche che sono drammaticamente differenti dalle statistiche discusse in relazione ai titoli 'il Messia' e 'il Figlio di Dio' . L'accettazione o l ' uso di questi titoli durante la vita di Gesù è difficile da arguire persino dali' attestazione immediata dei v a n ge l i , i n parte a c a u s a d e l l a loro s c arsa fre q u e n z a ; ma ' i l F i g l i o dell ' Uomo' ricorre circa 80 volte nei vangeli e sempre, eccetto due casi par­ zialmente discutibili (Mc 2, 1 0; Gv 1 2,34), chiaramente come autodesigna­ zione di Gesù. È stato osservato che si può costituire un insieme di 5 1 det­ ti 1 40 , 1 4 dei quali si trovano in Mc e 1 0 nella fonte dei detti (Q). Fuori dei vangeli l' espressione ricorre solo 4 volte : Eb 2,6; Ap l , 1 3 ; 1 4, 1 4 ; A t 7 ,56, e soltanto nell ' ultimo caso (un prestito lucano dall' uso del vangelo) ha l ' arti­ colo determinativo come nei vangeli. Il dibattito per stabilire se il Gesù sto­ rico abbia usato questo titolo per se stesso, o se esso sia un prodotto della riflessione della chiesa primitiva, retrodatato al ministero di Gesù, si è svi­ luppato negli ultimi cento anni . Se si accetta l ' ultima prospettiva, si incon­ trano due grandi difficoltà: perché questo titolo è stato tanto massicciamente retroproiettato, ponendolo sulle labbra di Gesù, in una proporzione che sor­ passa di tanto la retroproiezione di titoli come 'il Messia' , 'il Figlio di Dio' e 'il S ignore ' ? e se questo titolo è stato, al principio, coniato dalla chiesa pri mitiva, perché non ha quasi lasciato traccia nella letteratura neotestamen­ taria non evangelica, ciò che non è vero per gli altri titoli? Ci sono tuttavia degli aspetti strani, riguardo a questo titolo, nel l ' uso evangelico 1 4 1 . Nessuno si rivolge a Gesù con questo titolo e Gesù non spiega mai il suo significato. Quando la questione giunge al i ' identità di Gesù, nonostante il suo ampio uso dell' espressione 'il Figlio dell' Uomo ' , essa non è mai suggerita come una sua identificazione (e non è mai usata per lui dai primi cristiani nelle loro confessioni di lode o di fede). L' esaltazione come

140 J . JEREMIAS, in Zeitschrift fii r die Neutestamentliche Wissenschaft 58 ( 1 967) 1 59- 1 64. 1 4 1 Queste osservazioni provengono da J . D. KINGS BURY, The Christology of Mark, Fortress, Philadelphia 1 984, 1 66- 1 79. Egl i contesta che, di versamente da 'Figlio di Dio ' , o da titoli che foca1izzano sotto un profilo interiore l' identità di Gesù, 'Figlio dell' Uomo' focal izzi sotto un profi­ lo esteriore la relazione di Gesù al mondo. Nel caso presente mette a fuoco ciò che. per iniziativa divina. sarà dato a Gesù in ragione della sua condizione e di quanto dovrà fare - fattori che fanno da complemento e manifestano chi egli è. Riterrei quindi che il titolo possieda una dimensione sia esteriore che interiore.

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Fig l i o del l ' Uomo, con il potere di giudicare, è ciò che Gesù afferma più chiaramente nel suo processo di fronte alle autorità giudaiche, la notte pre­ cedente la sua morte. Eppure, nonostante Gesù sia schernito sulla croce per tutti gli altri dettagli del processo (la distruzione del santuario, il Messia, i l Figlio d i Dio), non v i è alcun riferimento a questa identificazione di s e stes­ so come Figlio dell ' Uomo. Date queste difficoltà, esaminiamo molto breve­ mente alcune questioni che entrano nel dibattito sulla storicità dell' uso di questo titolo da parte di Gesù 14 2 • Quando e come 'il Figlio dell' Uomo' diventa un titolo? Poiché ho hyiòs tu anthropu, la normale espressione greca, è sconosciuta nel greco letterario e produce in greco un senso tanto tenue quanto 'il figlio delr uomo' come epiteto ne produce in una conversazione italiana, le origini di quest' u so devono essere poste in un contesto semitico. La voce di vi n a che parla ad Ezechiele lo chiama più di novanta volte «figlio d' uomo» (= «un uomo»), un termine che evidenzia il contrasto tra il messaggio celeste e il destinata­ rio mortale. Più pertinentemente rientra nel dibattito quell' «uno simile a un figlio d' uomo» che compare nel testo aramaico di Dn 7 , 1 3 , ma questa desi­ gnazione significa semplicemente uno simile ad un uomo 1 43• Poiché c ' è poco altro nelle Scritture canoniche d i attinente a questa figura, ad u n certo momento diventò di moda fare appello ad attestazioni religiose comparative e postulare l ' esistenza, nel Vicino Oriente (si è pensato spesso ad origini ira­ niane ), della rappresentazione ampiamente accettata di un uomo celeste, come sfondo a partire dal quale il NT ha potuto chiamare Gesù 'il Figlio dell' Uomo ' . Quando si è respinto questo approccio per mancanza di prove, una forte linea di studio (per esempio negli anni 1 956- 1 990: B . Lindards, N. Perrin, G. Vermès) giunse a negare l ' esistenza nel giudaismo di qualun-

142 Per una buona rassegna della letteratura, straordinariamente abbondante. su questa proble­ matica, cfr. 1. R. DoNAHUE, in CBQ 48 ( 1 986) 484-498; nonché M. CASEY, in JSNT 42 ( 1 99 1 ) 1 743. Le prospettive di Casey sono segnate dalla fiducia di poter determinare quali detti sul Figlio dell' Uomo siano originali, ricostruendo il soggiacente strato aramaico (per il quale, comunque, egli dipende da Targumln successivi al 1 secolo). Dopo il tempo di Gesù, egli sostiene, ci fu uno sviluppo secondario del concetto e dei detti, alla luce di Dn 7 e del la parusia di Gesù. 1 4 3 O. J . F. SEITZ, The Future Coming of tlze Son of Man, in Studia Evangelica VI, Texte und Untersuchungen 1 1 2, Akademie, Berlin 1 973. 478-494, ha indicato Sal 80 come complemento del quadro di Dn 7. Se quest' u ltimo mette in relazione uno come un figlio d' uomo ai santi del l ' Altissi­ mo, Sal 80, 1 5- 1 6, in una preghiera a Dio, mette in relazione un figlio d' uomo alla vigna d'Israele: «Prenditi cura di questa vigna e proteggi ciò che la tua destra ha piantato, un figlio d' uomo che tu hai reso forte». La richiesta continua in 80, 1 8 : «11 tuo aiuto sia con l ' uomo della tua destra, con il figlio d' uomo che tu hai reso forte». Seitz sostiene che, poiché questo salmo tratta dell' elevazione di un essere terrestre, può aver costituito il primo sfondo di Mc 1 4,62.

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cristologia di Gesù

que attesa di una figura specifica, conosciuta come il Figlio del l ' Uomo o l ' Uomo Celeste. Ancora, facendo appello agli apocrifi giudaici (piuttosto che alla religione comparata non giudea), un' altra linea di studio, che ora sembra rivivere, ha sostenuto che c' era, nel I secolo, un' aspettativa giudea secondo cui Dio avrebbe reso vittoriosa ed introni zzata sui nemici d ' I sraele una specifica figura umana, che sarebbe stata lo strumento del giudizio divi­ no - una figura che potrebbe appropriatamente essere designata 'il Figlio dell' Uomo' , dal momento che incarnava o esemplificava il destino di tutti gli uomini giusti. Per rispettare l ' incertezza della situazione della ricerca. ho deciso di ri spondere alla questione della plausibil ità de li' uso del titolo 'il Figlio del l ' U orno' da parte di Gesù a l i ' interno di ognuno di questi due approcci, costituiti segnatamente dal i ' esistenza o meno di uno specifico concetto giudaico del 'Figlio del l ' Uomo' . Applicherò ciascun approccio ad .un testo particolarmente significativo per la prospettiva cristologica di que­ sto libro, Mc 1 4, 6 1 -62 e par., in cui il sommo sacerdote domanda se Gesù ammetta di essere il Messia, il Figlio del Benedetto/Dio, e Gesù risponde che il Figlio dell' Uomo sarà visto sedere alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo. l . Esistenza di un concetto giudaico di Figlio dell ' Uomo. In circoli apo­ calittici giudaici, la cui voce è echeggiata nella letteratura non canonica del n e I secolo a.C. e del 1 secolo d.C., può essersi sviluppata una forte immagi­ ne di u n Figlio del l ' Uomo celeste, grazie alla riflessione su Dn 7 144 un' immagine non largamente attestata fuori di questi circoli e che ha lascia­ to tracce relativamente sparse a partire da essi� comunque è un ' i mmagine che potrebbe ben risalire a Gesù ed ai suoi primi seguaci cristiani, in ragione della loro inclinazione fortemente apocalittica. È stato ampiamente riconosci uto che la sezione di 'parabole' (similitudi ­ ni) dello scritto giudaico apocri fo l Enoc (37-7 1 ) ha contribuito alla conce­ zione del Figlio dell' Uomo. Di più, l ' assenza di questa sezione da molti frammenti di l Enoc trovati a Qumran sembrerebbe a prima vista favorire l' idea che la sezione delle parabole sia una composizione ·ed un'inserzione cristiana in l Enoc e dunque uno scritto che rifletterebbe, più che spiegare,

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1 44 Anche se la prova a sostegno è stata riconosciuta per lungo tempo, ci sono stati problemi di datazione e di interpretazione. La seconda metà del xx secolo ha perfezionato l ' apprezzamento degli studiosi per gli scritti apocrifi, specialmente perché lo studio del materiale dei rotoli del Mar Morto, trovati a Qumran (NJBC 67, §§ 79- 1 17), ha rinforzato la nostra comprensione dell ' ampiez­ za d orizzonte del giudaismo coevo. Per ciò c h e segue sono debitore alle intuizioni di J. J. COLLINS, The Son of Man in First-Century Judaism, in NTS 38 ( 1 992) 448-466. •

•• l ' uso del NT145• Recentemente, comunque, è stato riconosciuto che gli argomenti in favore di una composizione giudaica, pre-cristiana o non-cri­ stiana, delle parabole hanno maggior forza, e sono emerse proposte sul per­ ché i membri della setta di Qumran potrebbero non aver concordato con la teologia di questa sezione del l Enoc e, così , non averla c o n servata. Collins 1 46 propone per la composizione una data intorno al 50 d.C. I riferi ­ menti all ' Antico (Principio) dei Giorni, in l Enoc 46, 1 e 47,3, indicano che l ' autore ha utilizzato D n 7,9- 1 0. 1 3- 1 4 e rendono verosimile che questo ritratto del Figlio dell' Uomo provenga da una riflessione su Daniele . In real tà, i l linguaggio di l Enoc ci lascia aperta la possibilità di vedere l' emergere di una figura convenzionale dalla più indeterminata rappresen­ tazione di Daniele. In l Enoc 46 l ' imprec isione di Daniele è presentata innanzi tutto con il riferimento ad uno «la cui faccia aveva l 'apparenza di un essere umano» , ma poi, domandando, viene spiegato che è «il Figlio del l ' Uomo che ha la giustizia». Benché egli sia come uno deg1 i angel i , ha un rango più alto di quello degli angeli 1 47• I l Figlio dell' Uomo è uno il cui nome è stato pronunciato alla presenza del Signore degli Spi riti, prima che il sole e le stelle fossero create (48,2-3 ). È descritto come «l' Eletto>> (il ser­ vo prescelto di fs 42, l ?) , poiché i due titoli sono giustapposti in l Enoc 62, 1 . 5 . Di fatto 48, l O e 52,4 sembrano identificarlo come il Messia e il Signore. Il Figlio del l ' Uomo è mostrato seduto sul trono di gloria in 62,5, presumibilmente deducendo che uno dei troni in Dn 7,9 fosse preparato per lui (Collins) - un' intronizzazione che potrebbe suggerire che, già in circoli giudei, Dn 7 venisse unito a Sal I l O, l («siedi alla mia destra») come appa­ re riflesso in Mc 1 4,62. In l Enoc il Figlio dell' Uomo ha un ruolo giudizia­ le. Preliminarmente, c ' erano in Dn 7, 1 3- 1 4 accenni di giudizio, per «uno

1 45 Si veda il resoconto sulla discussione di: D. W. SUTER, in Religious Studies Review 7 ( 1 98 1 ) 2 1 7-22 1 . 1 46 In Son of God (cfr. nota 1 1 6), egli sostiene che difficilmente si può negare una data anteriore al 70 d.C .. data l' influenza delle parabole su Mt 1 9,28; 25,3 1 e l 'assenza di un riferimento alla caduta di Gerusalemme. 1 47 Parte della difficoltà di immaginare il Figlio dell' Uomo in l Enoc è la sua possibile identifi­ cazione con l' esaltato, celeste Enoc, in 7 1 ,5. 1 1 - 1 7, specialmente 7 1 , 14. Per molti questo ha signifi­ cato che il Figlio dell' Uomo in l Enoc è più un ruolo che un personaggio specifico. In contrappo­ sizione ali ' identificazione di Enoc. R. H. Charles deliberatamente cambia la traduzione ed alcuni hanno sostenuto che questo passo era un' addizione secondaria alle parabole. Col lins (Son of Man, 455-457) sostiene che in 7 1 , 1 4, Enoc non è identificato col Figlio dell' Uomo ma è considerato un essere umano. esaltato per condividere l ' uguaglianza al Celeste Figlio dell' Uomo. In 70, 1 il nome di Enoc è innalzato vivo alla presenza del Figlio dell ' Uomo, un'immagine che sembra distinguere i due perso_naggi.

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simile a un figlio d' uomo» che viene condotto alla corte celeste, dove sono aperti i libri che decideranno il destino dei grandi regni, rappresentati dalle bestie (7, l Oc ). Tuttavia in Daniele non ci viene detto specificamente quale partecipazione avrà quest' uno simile a un figlio d' uomo quando, alla venu­ ta dell' Antico dei Giorni, sarà pronunciato il giudizio (7,22) 14� . L' immagine di Isaia ( 1 1 , 1 -4) che descrive lo spirito dato al re davidico per abil itarlo a giudicare rettamente può echeggiare in l Enoc 62,2, dove lo spirito di giu­ stizia è riversato sull' eletto per abilitarlo ad uccidere i peccatori . In l Enoc 63 , 1 1 ; 69,27.29, i malvagi sono condotti davanti al Figlio dell ' U omo per essere svergognati, mentre il nome del Figlio dell ' Uomo è rivelato ai bene­ detti . Collins (cfr. Son of Man) cootesta che le parabole di l Enoc «mostri­ no come il testo di Daniele abbia ispirato vi sioni di una figura salvifica celeste nel giudaismo del I secolo» 1 49• Una ri flessione su Dn 7 e il Figlio dell' Uomo appare, dopo l Enoc, alla fine del I secolo in 4 Ezra (2 Esdra) 1 3, un' altra apocalisse giudaica, com­ posta originariamente in ebraico o aramaico. Daniele (7, 1 -28) vide quattro bestie mostruose, che rappresentavano i grandi regni della storia del Vicino Oriente, il cui potere veniva rimpiazzato dall' autorità che Dio dava ad uno simile ad un figlio d ' uomo, il quale veniva sulle nubi del cielo. Quando Ezra

148 Talvolta Dn 7 è presentato semplicemente come l ' intronizzazione di questa figura umana rappresentativa (un'ascensione al cielo sulle nubi). senza indicazioni di una futura attività in rela­ zione a quelli che sono sulla terra; nel qual caso la combinazione di intronizzazione e parusia in Mc 1 4.62 sarebbe un'innovazione maggiore. Comunque, G. R. BEASLEY M u RRAY, Jesus and Apo­ calyptic, in J. LAMBRECHT (ed.), L 'Apocalypse johannique et l 'Apocalypse dans le Nouveau Testa­ meni, Duculot, Gembloux 1 980, 425-426, puntualizza il fatto che la scena implica la partecipazio­ ne di questo personaggio umano nella teofania del l ' Antico di Giorni e una teofania comprende sempre un intervento nelle questioni umane sulla terra. Egli cita K. Mtiller per il fatto che mai nell' AT. o nella primitiva letteratura gi udaica o talmudica, le 'nubi' giocano un ruolo, quando l ' interesse è quello di esprimere l ' atti vità di esseri celesti tra di loro, interamente nell' ambito del la trascendenza. Solo quando essi scendono dal rivello trascendente. le nubi entrano in gioco� pertan­ to in Dn 7 sarebbe implicato il fatto che il personaggio umano ha ancora un ruolo per il quale discenderà ad esercitare autorità. 149 Come ho mostrato (con riferimenti bibliografici) in BDM 1 .5 1 1 , s� l'autore di l Enoc speci­ fica il quadro di Daniele per presentare un personaggio umano intronizzato in cielo, esattamente il Figlio dell ' Uomo, altri scritti giudaici offrono soluzioni che potrebbero aver orientato il pensiero in questa direzione. Ezechiele il tragediografo (prima del 1 50 a.C.) presenta Dio, con corona e scettro. che conduce Mosè al trono celeste perché vi sieda, coronato e abilitato ad esaminare i cieli. La figura celestiale di Melchisedek, a Qumran, contribui sce al ritratto di una figura intronizzata che dovrà venire a giudicare. e un frammento innico del rotolo della Guerra presenta uno che ha valore come maestro e nel rendere giustizia leg�le, esaltato fino a sedere nei cieli ed accolto tra le divinità nella santa assemblea. Una simile ascesa al cielo costituiva una parte importante dello sfondo palestinese del I secolo.

vede un'aquila mostruosa, dice ( 1 2, 1 1 ) che essa è «il quarto regno apparso in una visione al vostro fratello Daniele». In 1 3,3 uno «in fonna d' uomo>> sale dal mare e vola sulle nubi del cielo. Questa figura sovrumana distrugge le forze del male emettendo un alito fiammeggiante dalla sua bocca e riuni­ sce una pacifica e gioiosa moltitudine. Nel suo commentario, M. Stone 1 50 seri v e : «L'uomo è interpretato come il Messia, creato prima e preparato in anticipo, che libererà la creazione e guiderà quelli che sono abbandonati>>. Egli ritiene che la visione di sogno in se stessa, indipendente dali' interpreta­ zione, può provenire da una fonte precedente Ezra; questa fonte avrebbe attinto a Dn 7, come ha fatto pure l' autore di 4 Ezra. Tutta questa di mostrazione suggerisce che, in circoli apocalittici giudei del 1 secolo d.C., la rappresentazione che si trova in Dn 7 aveva dato origine al q uadro di una figura umana messianica di origine celeste, preesistente, glorificata da Dio e costituita come giudice 1 5 1 • Su questo sfondo, Gesù, se aveva familiarità col pensiero apocalittico, può aver usato la terminologia 'Figl io dell ' Uomo ' 1 52 • Non è neces sario che abbia letto le parabole di l Enoc, ma solo che sia stato a conoscenza di alcune delle riflessioni che fiori­ vano su Dn 7, che davano o avrebbero dato ori gine alla presentazione del Figlio dell' Uomo nelle parabole e a quella dell' uomo in 4 Ezra. In realtà, l' ambiente fornito per l ' autoriferimento di Gesù al Figlio dell' Uomo durante il suo processo, in Mc 1 4,6 1 -62, potrebbe aver senso. Il sommo sacerdote domanda se Gesù era il Messia, il Figlio del Benedetto. Gesù avrebbe usato il ruolo del 'Figlio del l ' Uomo· per interpretare la questione messianica, spiegando in che senso egli rispondeva affermativamente a quella designa­ zione proposta dal sommo sacerdote 1 53• La rivendicazione da parte di Gesù

1 5° Fourth Ezra. Hermeneia, Fortress, M inneapolis 1 990. 397. Il tennine «mio figlio» è usato in alcune versioni per la figura d'uomo in 1 3,37.52, anche se in 7,28 era usato per il Messia. Altre versioni leggono «mio servo», come in 1 3,32, che può far eco al linguaggio di Isaia sul servo. Abbiamo visto che nelle parabole di l Enoc il Figlio dell ' Uomo veniva identificato sia col servo che col messia. 1 5 1 A l d i l à degli apocrifi, s e Giustino (Dialogo 32, l ) riferisce correttamente le opinioni dei Giu­ dei, l' identificazione dell ' «uno simile a un figlio d' uomo» di Daniele con il Re Messia era accetta­ ta dalla metà del 11 secolo d.C. 1 52 Gli studiosi, generalmente, distinguono tre tipi di detti sul Figlio dell' Uomo che si trovano sulle l abbra di Gesù nei vangel i : ( l ) quelli che si riferi scono all ' attività terrena del Figlio dell ' Uomo (mangiare, abitare, salvare ciò che è perduto); (2) quelli che si riferiscono alla sofferen­ za del Figlio dell' Uomo; (3) quelli che si riferiscono alla gloria futura e alla parusia del Figlio dell ' Uomo per il giudizio., I riliev i, qui, sono particolarmente pertinenti al terzo tipo. 1 53 Precedentemente (pp. 8 1 -82), ho discusso il frammento di Qumran sul 'Figlio di Dio' (4Q246) e l' affermazione di J . J . Collins per cui 'Figlio di Dio', in questo testo, è da mettere in relazione con l ' uso di 'figlio d' uomo' in Dn 7. Se questo fosse giusto e fosse esistita, nel giudai-



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di tale ruolo apocalittico del Figlio del l ' Uomo potrebbe anche spiegare l ' indignata accusa di bestemmia del sommo sacerdote, se la bestemmia va intesa come la pretesa arrogante di usurpare prerogative divine. 2. Inesistenza di una concezione giudaica di Figlio dell ' Uomo. Benché io trovi la dimostrazione e la riflessione proposta sotto il numero l attraente, probabi lmente l ' opinione dominante tra gli studiosi è che Gesù o i suoi discepoli siano responsabili della specificazione del concetto del Figlio dell' Uomo, poiché non c' erano, nel giudaismo, né un quadro né un' aspetta­ tiva stabilizzati di questa figura. Ci sono differenti teorie su come i cristiani abbiano sviluppato il concetto. Alcuni, che vogliono attribuire questo sviluppo alla chiesa primitiva, sostengono che Gesù usasse un' espressione semitica equivalente al Figlio del l ' Uomo, ma non come un titolo. G. Vermès porta la prova dei targumfn aramaici, dove ' figlio d' uomo' serve come circonlocuzione per 'io' ; tuttavia J. A. Fitzmyer ha insi stito, del tutto correttamente, che ogni testimonianza proposta è posteriore al NT e non costitui sce prova per quest' uso al tempo di Gesù. Veramente, l ' espressione può significare 'qualcuno' e B. Lindars 1 54 ha sostenuto che in nove detti di Gesù, che sembrano essere autentici, 'figlio d' uomo' è usato per significare 'un uomo come sono io' oppure 'un uomo nella mia posizione' . Comunque, quando si legge Mc 8,3 1 o 8 , 3 8 , due di questi detti , è difficile vedere come possano avere senso tradotti in tal modo. Conseguentemente, se Gesù ha usato l ' espressione "il Figlio dell'Uomo ' , sembrerebbe averlo fatto nel senso dell' utilizzazione d i un titolo. L a propo­ sta che Gesù usasse questo titolo per riferirsi ad un personaggio futuro che sarebbe venuto a giudicare, ma non fosse lo stesso Gesù, ha perso molti dei suoi sostenitori. Ammettendo che Gesù avesse idea del ruolo che svolgeva nel rendere presente il dominio di Dio, la sua previ sione di un' altra figura umana non identificata, che avrebbe portato a termine l ' opera, sembra inve­ rosimile.

smo apocalittico, una catena interpretativa che legava insieme l' attesa del Messia davidico (riflet­ tendo su 2 Sam 7, 1 1 - 1 6). il ' figlio d' uomo' di Daniele, che doveva essere assunto al cielo, e un personaggio regale, che Dio chiamava ' figlio' e faceva sedere alla destra del suo trono (Sal 2,7; I l O, l ), al1ora dovrebbe esserci maggior connessione, di quella verificata finora, tra i titoli presenti nella domanda del sommo sacerdote (il Messia, il Figlio del Benedetto/Dio) e la risposta di Gesù nei termini del 'Figlio del l ' Uomo ' . Tuttavia l'intera catena interpretati va, con Dn 7 come punto di partenza. è altamente congetturale. Inoltre, quand'anche fosse vera. rimarrebbe l ' i ncertezza nello stabilire se le frasi del dialogo cristologico al processo di Gesù, nei termini di un titolo come rispo­ sta ad una domanda riguardante altri titoli, provengano da Gesù o dai suoi primi discepoli. 1 54 Jesus Son of Man, Eerdmans, Grand Rapids 1 983, 25-29.

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Gli scritti di N. Perrin 1 55 considerano le presentazioni evangeliche del Figlio dell' Uomo come derivate dalla riflessione cristiana midrashica (cioè interpretati va) su Dn 7, che impiegava Sal I l O, l per proclamare Gesù come il Signore esaltato e Zc 1 2, l O («guarderanno a colui che hanno trafitto») per sviluppare la nozione del Figlio dell' Uomo che viene dal cielo per essere visto quaggiù. Naturalmente questi sono passi dell' AT che appaiono nel NT e si trovavano chiaramente nell' arsenale neotestamentario per interpretare Gesù. Ma due puntualizzazioni vanno fatte in riferimento alla tesi di Perrin. Primo: è sicuramente verosimile che il quadro evangelico si sia sviluppa­ to oltre ogni singolo passo veterotestamentario o intertestamentario cono­ sciuto e oltre ogni attesa, e che questo sviluppo probabilmente ebbe luogo mediante la combinazione interpretativa di diversi passi. Eppure, ogni affer­ mazione che tutto questo sviluppo deve provenire dai primi cristiani, senza che niente provenga da Gesù, riflette uno dei pregiudizi peculiari della ricer­ ca moderna. Un Gesù che non rifletteva sull' AT e non usava le tecniche interpretati ve del suo tempo è una proiezione non realistica, che sicuramente non è mai esistita. La percezione che passi veterotestamentari o intertesta­ mentari fossero interpretati per dare una comprensione cristologica non assegna una data al processo. Provare che questo può non essere stato fatto da Gesù, almeno incoativamente, è sicuramente non meno difficile che pro­ vare che lo abbia fatto. Dietro un' attribuzione alla chiesa primitiva c'è spes­ so nascosto il presupposto che Gesù non avesse una cristologia, neppure quanto al modo di riflettere sulle Scritture, per discernere in quale delle maniere anticipate egli si collocasse nel piano di Dio. Si può davvero pensa­ re che questo sia credibile? Secondo : Perrin parla di u n pesher tecnico. Egli intende una lettura del l ' AT ed una sua applicazione interpretati va alla situazione presente com ' è illustrata dai commentari biblici dei rotoli del Mar Morto, chiamati pesher su Abacuc, pesher sui Salmi, ecc. Ovviamente qualcosa che ha a che fare con la tecnica interpretativa impiegata in questi commentari può essere stato usato da Gesù e/o dai cristiani, sviluppando l ' immagine del Figlio del l ' Uomo. Inoltre un pesher è un commentario interlineare su un libro dell' AT, in cui il fattore di autorità deve essere la rivelazione mediante il testo sacro. È altamente significati vo che nessuno dei ventisette libri del NT sia un pesher, o commentario interlineare, sull' AT. Piuttosto i vangeli sono in certo senso commentari su Gesù . Il centro ermeneutico è cambiato.

1 55 Raccolti in A Modern Pilgrimage in New Testament Christology, Fortress, Philadelphia 1 974.

Anche se passi veterotestamentari sono applicé:lti a Gesù, l' idea non è prima­ riamente che l' AT costituisca il senso della presente situazione, ma che la presente situazione costituisca il senso dell' AT: l ' autorità è fornita da Gesù, non dalle Scritture. Sottolineo questo perché non penso che l'interpretazione cristologica del Figlio dell' Uomo venga semplicemente dall' interpretazione dei testi dell' AT; la cristologia esisteva a partire da una percezione di Gesù (o dalla percezione che Gesù aveva di se stesso) e trovava voce e colore in espressioni provenienti da passi dell' AT che ora erano considerati avere un significato più profondo rispetto a quello fino ad allora riconosciuto. Insomma, vorrei sostenere che in questo secondo approccio (per cui non c ' era un concetto giudaico stabilizzato del Figlio delr Uomo), niente esclude le seguenti possibilità: Gesù raggiunse una ferma convinzione che se egli fosse stato rigettato e messo a morte come lo erano stati i profeti antichi, Dio avrebbe portato a compimento il Regno divino, prendendo le sue parti contro quelli che lo avevano considerato un falso portavoce e che avevano respinto come diabolico il potere sul male e sul peccato che Dio gli aveva dato. Riflettendo su Dn 7 e su altri passi veterotestamentari (Sal I l O, l ; pro­ babilmente Sal 80, 1 8), Gesù potrebbe aver esteso il concetto simbolico di 'uno simile a un figlio d' uomo' al quale Dio avrebbe dato gloria e dominio. 'Il Figlio dell' Uomo' divenne il personaggio umano che Dio glorifica e attraverso cui egli manifesta il trionfo finale; Gesù lo ha usato per se stesso, considerandosi strumento del piano di Dio. I primi cristiani, sulle tracce del linguaggio di Gesù, svilupparono ulteriormente l' idea, l ' applicarono a diffe­ renti aspetti della sua vita e l ' usarono frequentemente per descrivere l ' auto­ comprensione di Gesù 1 56• Ma parte della ragione per cui il titolo "Figlio dell ' uomo" compare nei vangeli nel modo in cui non appaiono i titoli 'Mes­ sia' e 'Figlio di Dio' è precisamente il fatto che questa descrizione veniva ricordata come derivante da Gesù, in maniera decisamente affermativa. Se in quest' approccio riflettiamo sulla storicità di Mc 1 4,62, Gesù potreb­ be aver parlato del 'Figlio dell' Uomo ' come del la sua comprensione del proprio ruolo nel piano di Dio precisamente quando si trovò di fronte a pro­ vocazi oni ostili, che riflettevano le aspettative dei suoi contemporanei. Ine­ vitabilmente la memoria cristiana avrebbe puntualizzato lo sfondo scritturi­ stico delle sue parole. Anche se tutto Mc 1 4,6 1 -62 e par. è formulato nel lin-

156 U. Luz. The Son of Man in Matthew: Heavenly Judge or Human Christ, in JSNT 48 ( 1 992) 3-2 1 , mostra come Mt ha sviluppato l' applicazione del titolo e suggerisce che nel II secolo ci furo­ no ul teriori svil uppi cristian i . Secondo l ' opinione di Luz, «lo schema tradizionale ' figlio dell ' uomo· fu riempito di nuove cristologie».

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guaggio cristiano degli anni 60 (linguaggio non senza relazione alle idee del 30/3 3 d.C.), c'è ragione di credere che in 1 4,62 possiamo essere vicini alla mentalità ed allo stile di Gesù stesso 1 57 • Abbiamo visto (pp. 5 1 -53) che c' era anche una probabilità che Gesù parlasse della futura distruzione e ricostru­ zione del santuario 1 58 • Ciascuna di queste affermazioni future circa il piano di Dio contiene un minaccioso elemento di giudizio, più un elemento in cui Gesù, rivendicato da Dio, avrà una parte nel portare al suo culmine il piano di Dio. L' elemento di minaccia può essere abbastanza comprensibile sullo sfondo della storia dei profeti . * * *

S iamo alla conclusione della seconda parte di questo libro: la nostra inda­ gine sulla presentazione di Gesù nei vangeli per arguire come Gesù abbia considerato la sua relazione a Dio e il suo posto nel piano di Dio. Il lungo capitolo quarto, che ha considerato la testimonianza pertinente a questa pro­ blematica, partendo dalla generale conoscenza di Gesù sia delle questioni ordinarie che di quelle rel igiose, ha prodotto scarsi risultati. Evidentemente né Gesù né gli evangelisti erano preoccupati di offrire ai loro rispettivi ascoltatori e lettori un quadro complessi vo della conoscenza di Gesù, che avrebbe potuto aiutare a definire o a chi arire la sua condizione. Eppure c' erano tradizioni che gli attribuivano la conoscenza e l ' autorità caratteristi­ che di un profeta, anzi di una figura profe�ica che portava a compimento il piano di Dio. Il quinto capitolo ha investigato ciò che si può arguire riguardo a Gesù dal materiale più centrale per i suoi interessi : la proclamazione che, attraver­ so le sue azioni e nelle sue parole, si stava facendo sentire il dominio regale di Dio. N eli' interesse del regno di Dio egli operava contro il male con un potere che era ben al di là del raggio di un 'esperienza ordinaria. Dali' inizio alla fine del suo ministero Gesù ha mostrato un' incrollabile fiducia di poter interpretare autoritativamente le richieste che il regno di Dio pone a coloro

1 57 La difficoltà di stabil ire cosa Gesù abbia inteso dicendo al sommo sacerdote e ai membri del Sinedrio: « Voi vedrete il Figlio dell' Uomo sedere alla destra della potenza e venire sulle nubi del cielo», può deporre a favore del l ' autenticità (sulla difficoltà di questo testo. si veda p. 54). Se i cristiani avessero prodotto una tale affermazione posi factum, presumibilmente l ' avrebbero chiarita. 1 58 Come per la difficoltà menzionata nella nota precedente, il problema di comprendere come la ricostruzione sarebbe stata compiuta costituisce un argomento in favore dell'autenticità. Post factum c ' è la tendenza a modellare più chiaramente le 'profezie ' .

· ·t.c1FJII' di a.8 che l o riconoscono. Mentre quando Gesù parlava della vita futura o dei segni degli ultimi tempi sembra aver ripetuto le descrizioni correnti al suo tempo, quando parlava del dominio regale di Dio parlava con original ità. Questo era il suo compito e qui non soffrì alcuna opposizione. Egli poteva, e lo fece, dichiarare perdonati i peccatori, modificare la Legge di Mosè, viola­ re i precetti del sabato, infrangere le usanze tradizionali (mangiare con gli esattori delle tasse e con i peccatori) , fare richieste esigenti (proibire il divorzio, invitare al celibato e ad abbandonare i legami familiari), sfidare il senso comune (incoraggiamento a porgere l ' altra guancia) - in breve: inse­ gnare come nessun maestro del suo tempo i nsegnava. Tra i santi uomini di Israele (Geremia, Elia, singoli maestri) si possono trovare paralleli per Gesù per quanto riguarda atteggiamenti individuali, detti o fatti, ma il quadro complessivo di Gesù non è riducibile ad alcun modello. La sua convinzione quanto al successo ultimo della sua missione (probabilmente accompagnata da una mancanza di conoscenza su come questa vittoria si sarebbe compiu­ ta) ricorda, in qualche modo, la convinzione dei profeti dell' AT. Ma nessun profeta ruppe, come fece Gesù, col passato sacro in un modo così radicale e con tanta sicurezza. Inoltre, la certezza con cui Gesù parlava e agiva implica la consapevolezza di una relazione unica con Dio. Le tradizioni del vangelo concordano nel presentarlo come un uomo che pensa e può agire e parlare in vece di Dio. La superiore autorità e il potere manifestati da Gesù e ricono­ sciuti da molti che lo incontravano fanno supporre che egli fosse più che l' ultimo profeta dei tempi ultimi mediante il quale si faceva strada la salvez­ za di Dio. La relazione sottintesa fra lui e Dio era più che quella di un mediatore; Dio agiva non solo mediante lui, ma in lui. Il sesto capitolo ha cercato nelle parole di Gesù su se stesso un modo per designare questa relazione unica fra Gesù e Dio; ha analizzato il suo atteg­ giamento nei confronti di designazioni provenienti dalr eredità teologica del giudaismo (Messia, Figlio di Dio, Figlio dell' Uomo), che potevano addirsi ad un personaggio unico nel piano di Dio. Verosimilmente, benché alcuni tra gli amici e tra i nemici pensassero che egli fosse o pretendesse di essere il Messia (cioè, l ' unto di Dio, il re del la dinastia di Davide che avrebbe instaurato il Regno), Gesù non ha mai accettato questo titolo chiaramente o entusiasticamente - le sue parole e le sue azioni implicavano che egli fosse il mediatore ultimo, ma la sua concezione del Regno e il suo ruolo in esso differi vano in molti modi da ciò che, generalmente, si attendeva dal Messia. Anche se i dati per l ' uso giudaico del titolo 'il Figlio di Dio' e per l ' uso fat­ tone da Gesù durante il suo mini stero pubblico sono pochi, c'è una conside­ revole testimonianza secondo la quale egli si presentava in una relazione filiale con Dio, che chiamava Padre, talvolta presentando se stesso come il

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Figlio. Coloro che accettavano l a proclamazione del Regno fatta da Gesù sarebbero divenuti figli di Dio, ma la sua filiazione era precedente e fondan­ te. Quanto al � Figlio del l ' Uomo ' , sia che il titolo abbia designato o meno una figura attesa nel giudaisn1o. è verosimile che il ritratto apocalittico di Daniele di «uno simile a un figlio d' uomo» che Dio esalta, rende vittorioso e riveste del potere definitivo e della regalità perché sia universalmente manifestato in un contesto di giudizio, sia entrato a far parte della compren­ sione di Gesù su come la mi ssione affidatagli da Dio si sarebbe compiuta. In tal modo, si potrebbe proporre che una chiara relazione fi l iale a Dio, in quanto Figlio, e l ' esaltazione apocalittica fossero componenti modi ficanti il titolo di 'Messia' , così che Gesù ha potuto dare una risposta meno limitata alla questione sorta sulla possibilità di attribuirgli questo titolo. Nel secondo capitolo, quando ho parlato del 'conservatorismo moderato' come de li' approccio che, probabilmente, riscuote maggiore consenso nella ricerca cri stologica, ho spiegato che quelli che l ' accettano sono divisi sulla possibi l i tà che la valutazione della cristologia di Gesù sia 'esplicita' o ' implicita' . O Gesù considerava se stesso con titoli o designazioni già cono­ sciuti in circoli giudaici, oppure tali titoli e designazioni appartenevano al periodo successivo alla risurrezione, quando i primi cristiani tentavano di trovare un linguaggio che rendesse giustizia degli atteggiamenti e del le azio­ ni di Gesù. Ciò che ho presentato nella seconda parte crea quasi una posizio­ ne intermedia: Gesù ha trovato, ed anche usato, certi titoli e designazioni, ma spesso in una forma incipiente, per cui dovevano essere tra loro combi­ nati per giustificare la sua concezione del piano di Dio. L' esplicitazione da parte dei primi cristiani, dunque, non starebbe a significare l ' uso dei titoli per la prima volta ma l' affinamento e la reinterpretazione dei titoli al fine di renderl i più adatti ad essere usati separatamente per descrivere Gesù senza distorsioni . La conti nuità tra la cristologia di Gesù e la cristologia della chiesa 1 59 deve aver implicato più che una ricerca linguistica per esprimere ciò che era implicito nelle parole e nelle azioni di Gesù - deve essere consi­ stita anche nel progressivo perfezionamento della terminologia cristologica che egli aveva iniziato a perfezionare. Il modo in cui i cristiani procedettero a questo perfezionamento è ciò di cui ora ci occuperemo.

1 59 A mio giudizio, la continuità è una questione molto importante. Cfr. anche B. F. MEYER, The A ims of Jesus, SCM, London 1 979, per un approccio al Gesù storico che condivide questo interes­ se.

parte terza

LE CRISTOLOGIE DEI CRISTIANI DEL NUOVO TESTAMENTO Un tentativo di discernere come gli scrittori del Nuovo Testamento hanno valutato Gesù arguendolo da come hanno descritto

i vari momenti della sua vicenda terrena

Introduzione all a discussione

La sequenza, nello sviluppo dal modo in cui Gesù presentava ·se stesso durante la sua vita al modo in cui quelli che credevano in lui lo presentaro­ no successivamente, è più complessa di quanto tale sequenza possa essere per qualunque altro personaggio. In altri casi si può trovare un' adeguata spiegazione dello sviluppo in fattori logici , psicologici e familiari, rintrac­ ciabi li 1 60; nella tradizione su Gesù è intervenuto, in maniera determinante, un fattore eccezionale, che va oltre la verifica umana: precisamente la risur­ rezione. Nella tradizione di Israele pubblicamente accolta (cioè in tutto q u anto l ' ultima generazione riteneva canonico), nessuno, fino a quel momento, era stato risuscitato dalla morte alla vita etema1 61 ; questa pretesa di fede circa Gesù aveva quindi un significato enorme. Insieme alla procla­ mazione di una vittoria sulla morte, la risurrezione di Gesù alla gloria, ope­ rata da Dio, rendeva giustizia sia ali ' origine sia alla verità dell' autorità/pote­ re che aveva rivendicato e manifestato. I suoi discepoli che videro Gesù risorto compresero che era ancor più di quanto essi avevano capito durante il suo ministero pubblico. La risurrezione perciò rende davvero difficile spiegare la cri stologia più esplicita, attestata dopo la risurrezione, come una creazione romanzata. Teoricamente e idealmente, una presentazione della cristologia del NT dovrebbe essere capace di ritenere ammessa la realtà della risurrezione, dal

160 Per nominarne solo alcuni: le aspettative teologiche dei suoi seguaci; la loro condizione in relazione all'appartenenza al giudaismo e le pressioni esercitate su di loro; l 'influenza proveniente dal contatto con Gentili. 1 6 1 Altri erano stati risuscitati (cfr. nota 85) e di alcuni si diceva che erano ascesi al cielo senza morire (Enoc, El ia). C ' erano pure racconti apocrifi riguardanti personaggi famosi che andavano oltre ciò che era accettato nella tradizione canonica ed alcuni di questi possono esser giunti vicini alla rivendicazione di ciò che il NT rivendica per Gesù; per esempio l ' ascensione di Mosè.

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Le cristologie del N. T.

momento che ciò che viene studiato sono i ricordi di coloro che credevano nella risurrezione e, insieme, la proclamavano. Però, realisticamente un libro di introduzione alla cristologia, come q uesto, sarà letto da studenti i quali hanno sentito che alcuni studiosi negano la realtà della risurrezione; potrebbero pertanto insospettirsi dell' onestà di una presentazione che omet­ tesse ogni di scussione sulla questione. Tenterò di rendere giustizia a entram­ bi gli approcci, incl udendo una discussione sulla realtà della risurrezione, ma collocandola nella seconda appendice, in modo che non interrompa la trattazione propriamente cristologica. Continuiamo dunque, passando dalla seconda parte, in cui abbiamo consi­ derato le testimonianze concernenti la valutazione che Gesù ha fatto di se stesso, alla terza parte, in cui esaminiamo come dopo la risurrezione lo con­ sideravano i cristiani del periodo neotestamentario. Ci sono molti modi per poter procedere 162 • Se questa fosse un' analisi più avanzata e dettagliata della cristologia del NT, potremmo considerare uno ad uno i singoli autori del NT e studiare la cristologia di ciascuno, vale a dire, di Mt, di Lc-A t, di Gv, di Paolo. Darò un saggio di quest' approccio, nella quarta appendice, discuten­ do alcuni aspetti della cristologia giovannea, poiché è la più singolare tra i vangeli. Globalmente, comunque, penso che non sarebbe saggio in questo lavoro introduttorio un tale approccio specializzato 1 63• Rimarrebbe ancora il compito di mettere in relazione le diverse cristologie ed i lettori potrebbero ritrovarsi con una comprensione di Gesù eccessivamente settoriale. È più utile giungere ad una visione complessiva di come i cristiani consideravano Gesù durante vari periodi nel primo secolo. Un altro approccio potrebbe consistere nel lavorare con i diversi titoli applicati a Gesù nel NT, come molti libri di cristologia hanno già fatto. Nell' ultimo capitolo abbiamo visto che probabilmente alcuni titoli erano usa­ ti durante la vita di Gesù da lui stesso o da altri che parlavano di lui. Si potrebbe rintracciare l ' ulteriore sviluppo di questi titoli dopo la sua morte e risurrezione, come pure l ' i ntroduzione di altri titoli. Darò un saggio di que­ st' approccio, questa volta nella terza appendice, ricostruendo l ' uso del titolo

1 62 Tenendo conto della dichiarazione della Pontificia Commissione Biblica, del 1 983, sulla cri­ stologia, che esamina una varietà di approcci, con i punti di forza e i limiti di ognuno [cfr. EB 9091 039]. Cfr. J. A. FlTZMYER, Scripture and Christology: A Statement of the Biblica/ Commission with a Commentary, Paulist, New York 1986. Una buonissima informazione sulla cristologia neo­ testamentaria, disposta secondo le domande che spesso la gente pone, si trova in BRTOQ §§ 38-8 1 . 1 63 I libri che scelgono quest' approccio, spesso, non sono facilmente leggibili; pedagogicamente il più soddisfacente è E. RICHARD, Jesus One and Many: The Christological Concept of New Testament Authors, Glazier, Wilmington 1 988.

Introduzione alla discussione

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'Dio' per Gesù - un titolo che, secondo la testimonianza raggiungibile, non applicò a se stesso e non è attestato per lui durante i primi decenni del cristia­ nesimo, ma cominciò ad essere usato con frequenza crescente dali' ultimo ter­ zo del 1 secolo circa fino al II secolo. Quest'itinerario è un' impresa particolar­ mente fruttuosa, perché «Dio vero da Dio vero» diventò la descrizione classi­ ca della divi nità di Gesù . Non è sembrato prudente, comunque, concentrarsi qui su altri titoli e tentare di rintracciarli attraverso il NT; un tale approccio è molto tecnico e, probabilmente, troppo difficile per molti principianti che potrebbero essere raggiunti da questo libro164• Inoltre, come è stato spiegato nel secondo capitolo (sotto C), studiosi liberali eruditi , della fine del XIX secolo e dell' inizio del xx, hanno sviluppato un 'grafico' geografico-lingui­ stico piuttosto preciso, su cui hanno pensato di poter tracciare gli sviluppi nell' uso dei titoli attribuiti a Gesù, assegnandoli rispettivamente: ad un grup­ po di lingua aramaica, il cristianesimo giudeo-palestinese; ad un gruppo di lingua greca, il cristianesimo della diaspora giudea; ad un gruppo di lingua greca, il cristianesimo proveniente dai Gentili; ecc . Per le ragioni illustrate in quel capitolo, molti studiosi non hanno più fiducia che si possa lavorare con tale precisione e, in particolare, siamo meno certi nel giudicare quali designa­ zioni i Giudei in Palestina avrebbero potuto non usare per Gesù . A mio giudizio1 65 , in questo volume introduttorio è più interessante e van­ taggioso un altro approccio - un approccio che non ignora il modo in cui Gesù fu designato (di qui i titoli), ma è meno soggettivo perché si concentra sui passi del NT, come ora si trovano, senza speculare se debbano essere associati ai vari tipi di comunità appena citate. Attingendo al NT nella sua totalità, studieremo come di v erse valutazioni di Gesù fossero associate a differenti aspetti della vicenda di Gesù. Per questi aspetti utilizzo il termine 'momento cristologico ', intendendo una scena nella vita di Gesù che è diventata veicolo per dare espressione alla cristologia del NT (per esempio il concepimento di Gesù, l ' infanzia, il battesimo, la morte, la risurrezione, la seconda venuta). La discussione di un 'momento' non intende includere la questione se una rivelazione storicamente sia avvenuta nel tempo e luogo della rispettiva scena - per esempio, ci fu una rivelazione .della identità di Gesù quando fu battezzato e, se sì, per chi? - ma solo il grado cui gli scritto­ ri del NT arrivavano a comunicare una cristologia ai loro lettori descrivendo quel momento.

164

Questo giudizio può essere confermato se i lettori studieranno la terza appendice, perché

molti lettori potrebbero trovare troppo difficile la trattazione del titolo 'Dio ' .

165 Sviluppo qui più dettagliatamente il profilo che s i trova in NJBC 8 1 , §§ 1 2-23.

1 08



11

c:ri.\'IOiofk del N. T.

Nella trattazione sarà introdotto un elemento di cronologia, disponendo il materiale secondo la probabile sequenza temporale dell' attestazione neo­ testamentaria pertinente il rispettivo momento. Il primo documento cristia­ no conservato è l Ts, databile intorno al 50, cioè dopo due decadi di storia cristi ana. Tuttavia abbiamo accesso al pensiero cristiano dei decenni prece­ denti, gli anni 30 e 40, in di versi modi. Nelle sue lettere degli anni 50, Pao­ lo usa formule che provengono da un periodo precedente, talvolta dagli anni 30. Alcuni materiali evangelici avevano preso forma molto tempo pri ­ ma del primo vangelo scritto (propriamente Mc, presumibilmente negli anni 60) e noi abbiamo un probabile accesso a questo periodo, precedente la formazione del vangelo quando per esempio Mc e Gv, pur essendo indi­ pendenti, concordano 1 66 • I discorsi attribuiti a Pietro e a Paolo in At furono composti da Luca negli anni 80, ma contengono alcune espressioni cristo­ logiche che non si trovano altrove in Le ed hanno l ' aria di essere primitive. Anche se queste espressioni non sono genuinamente antiche, ma sono il risultato di u n ' arcai c i zzazione lucana ( i m m ag i n ando cioè sulla base dell' informazione 1 67 , come i primi cristiani parlavano e pensavano), queste espressioni possono aiutare a confermare il pensiero prirnitivo che si può scoprire con altri mezzi. Se si comincia con il materiale ricostruito risalente a prima del 50 e poi si procede attraverso gli scritti superstiti del NT, seguendo l ' ordine probabile della loro composizione, si può rintracciare un insieme di momenti cristologici che sembra muoversi 'all' indietro' verso la vicenda terrena di Gesù. La primitiva testimonianza interpretava cristologi­ camente delle scene riguardanti la fine del la vita di Gesù ; la testimonianza successiva interpretava cristologicamente scene che si riferivano all ' inizio della sua vita. Questo non è senza logica: la risurrezione, vista come un intervento di Dio, portava i discepoli di Gesù alla fede autentica in chi egli fosse e, solo alla luce di questa fede, essi poterono volgersi ad interpretare i precedenti aspetti della sua vita 1 68 • Quest ' osservazione può essere utile, ma richiede cautela per diversi moti­ vi. Primo: la nostra dimostrazione di un uso cristologico dei testi (anche per

1 66 Benché un certo numero di eminenti studiosi pensi che Gv dipenda interamente da Mc, molti sostengono ancora che Gv, in larga misura, preservi una tradizione simile ma indipendente dalla trattazione marciana che è alla base dei sinottici. Cfr. D. M. SMITH, John among the Gospels, For­ tress, Minneapolis 1 992, specialmente il capitolo 6; BDM l , 75-93. 1 67 È virtualmente impossibile studiare gli Atti e pensare che Le non abbia alcuna informazione sul passato. 1 68 Per una più approfondita trattazione di questo approccio e per le risposte ad alcune obiezio­ ni cfr. BBM 709-7 1 2. ,

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il periodo precedente il 50) dipende dagli scritti che sono stati conservati. Il pensiero cristiano su Gesù era certamente più ampio e più variegato di quel­ lo che troviamo nei pochi scritti rimastici. Se organizziamo il pensiero secondo l' ordine cronologico verosimile dei documenti, dobbiamo ricordare che lo sviluppo del pensiero è raramente lineare e che, in certi momenti, sicuramente coesistono di versi punti di v ista. Secondo: quando gli studiosi liberali , ali ' inizio del xx secolo, cercarono di rintracciare uno schema come quello appena indicato, lo fecero col presupposto che gli sviluppi crearono un significato cristologico, mai esi stito durante la vita di Gesù. È di gran lunga più sicuro lavorare con l ' autocomprensione degli scrittori del NT, i quali pensavano di dire e valutare una realtà già presente. Così, nei capitoli che seguono, presenterò uno sviluppo, durante il 1 secolo, che sottintende una crescente comprensione cristiana circa l' identità di Gesù e non la crea­ zione ex nihilo di una nuova identità.

Capitolo settimo

Cristologie espresse in termini di seconda venuta di Gesù o di risurrezione

N e l presente capi t o l o m ' i n teresserò d i cristologie c e ntrate su due ' momenti cristologici ' , precisamente la seconda venuta (parusia) e la risur­ rezione - cristologie attestate nel periodo di predicazione compreso tra gli anni 30 e 50, prima che apparisse il primo degli scritti cristiani conservati .

(A) Cristologia della seconda venuta (p arusia) È una cristologia che guarda al futuro . U n ' attesa della parusia o del­ l ' apparizione di Gesù che ritornava dal cielo era forte durante il periodo del NT. Ci occupiamo qui, comunque, solo delle affermazioni che annettono una valutazione cristologica dell 'identità di Gesù a questo momento della sua seconda venuta. L' antichità di queste affermazioni è plausibile, ma non certa. Il primo elemento di prova è un' affermazione cristologica nel secondo discorso di Pietro che in At non sembra riconducibile alla cristologia tipica­ mente lucana. In A t 3, 1 9-2 1 Pietro pone un intervallo per la conversione pri­ ma della parusia. Quest' evento impl icherà l ' invio, da parte di Dio, del Mes­ sia designato, Gesù, «il quale deve essere accolto in cielo fino al tempo del­ la restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dali' antichità, per bocca dei santi profeti». Questo si può leggere intendendo che, solo quando tornerà, Gesù sarà il Messia. Una linea molto marcata, nell' aspettativa giu­ daica del Messia, desiderava questo re davidico unto a capo di una monar­ chia il cui centro era Gerusalemme, dove i Gentili sarebbero venuti per il culto. Il Messia avrebbe dunque portato vittoria, pace e prosperità a Israele sulla terra. In realtà Gesù non fece niente di tutto questo. Eppure le anticipa-

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zioni giudaiche sarebbero potute restare intatte ed essere ancora applicate a Gesù� se si sperava che al suo ritorno egli avrebbe fatto tutto quanto il giu­ daismo aspettava dal Messia. Poi , completata l ' instaurazione del regno di Dio, Gesù sarebbe stato il Messia preannunciato dai profeti 1 69 • Un' interpretazione cristologica futura è possibile anche per la preghiera Maranathd, «Signore nostro, vieni ! », conservata nella traslitterazione dal­ l ' aramaico in l Cor 1 6,22 e nella traduzione greca in Ap 22,20 1 7 0• Quando abbiamo formule liturgiche conservate in due lingue, come «Abba Patér» della preghiera di Gesù i n Mc 1 4,36 (le due parole significano 'Padre ' ) e «nai, am én » di Ap l ,7 (ambedue le parole significano ' sì, così è' come risposta) ci sono probabilità che la form ula sia nata tra cristiani di lingua aramaica e sia stata preservata da cristiani di lingua greca, che l' accompa­ gnavano con l ' equivalente nella loro lingua (alla fine, in ambienti di l in­ gua greca, l ' equi valente avrebbe sostituito l ' aramaico). Benché un cristia­ nesimo d i lingua aramaica sia durato molto oltre gli anni 30 e 40, per spie­ gare la conservazione di una formula come Maranathd in l Cor, un testo del 55 circa, si può plausibilmente ritenere che essa risalga alla prima esperienza di Paolo con i cristiani, negli anni 30. Se questa parola aramai­ ca fosse di recente formulazione, perché si sarebbe preoccupato di inse­ gnarla a quelli che parlavano in greco a Corinto? La preghiera poteva in origine sottintendere che al suo ritorno Gesù sarebbe stato il S ignore che governa la terra; così essa avrebbe annesso un valore cristologico al momento della parusia. ' Detti sul Figlio dell' Uomo riguardanti il futuro ' , cioè passi che parlano del Figlio dell' Uomo che nel futuro torna dal cielo per giudicare il mondo o risuscitare i morti, si trovano in tutti i vangel i , come pure nelle fonti pre­ evangel iche postulate. Molti studiosi ritengono che questi testi abbiano costituito il più antico uso del Figlio dell ' Uomo nel corso della tradizione 17 1 ; abbiamo visto (pp. 97 -99) la possibilità che proveni ssero da una riflessione fatta da Gesù stesso su Dn 7. La connotazione originaria può essere stata che, quando Gesù fosse tornato, avrebbe compiuto la descrizione di Daniele ,

169 Non sto insinuando che i salmisti o i profeti come Isaia abbiano avuto una chiara precogni­ zione riguardante il Messia ed abbiano predetto nel dettaglio che cosa questo personaggio. apparte­ nente ad un futuro lontano, avrebbe fatto. Piuttosto le loro parole sono oggetto di riflessione e di reinterpretazione, nel periodo post-esilico, per dar forma all' attesa del grande Messia futuro. Il corso di questa discussione presuppone una comprensione dello sviluppo del messianismo come l 'ho delineato nella prima appendice. 17° Cfr. J. A. FITZMYER, in NJBC 82. § 53. 1 7 1 S u questi detti, cfr. J . MEIER, in NJBC 7 8 , §§ 38-4 1 .

di un 'figlio d' uomo' (essere umano) al quale l' Antico di Giorni darà ogni potere e il giudizio. Collegare l' identità di Gesù alla seconda venuta futura (precisamente egli sarà Messia o Signore o Figlio del l' Uomo) probabilmente costituiva un pun­ to relativamente fragile nel pensiero cristiano; infatti i passi discussi posso­ no essere i soli esempi neotestamentari di questa cristologia 1 72• Suggerisco che la ragione per l' esiguità di tale tradizione è teologica. Il cristianesimo è una religione di speranza e ciò che Dio ha ancora da fare, in e mediante Gesù, rimane un' importante componente di questa prospettiva teologica; ciò nonostante, la sostanza della proclamazione cristiana al mondo è costituita da ciò che Dio ha fatto in Gesù. Se il vangelo, o la buona notizia, è messo sulla bi lancia, questo aspetto supera l' importanza di ciò che Dio farà. 'Ciò che, agli occhi della fede, Gesù è già' , supera in importanza 'Ciò che, nell' anticipazione della speranza, Gesù sarà' .

(B) Cristologia della risurrezione È una cristologia che mette l ' accento sul presente, precisamente su chi Gesù è; la risurrezione è il 'momento' che dà espressione a questa realtà. Nelle nostre considerazioni abbiamo appena esaminato la testimonianza cri­ stologica nel periodo precedente gli scritti cristiani cons e rvati, e in quel periodo, prima del 50, c ' è un' attestazione per la cristologia della risurrezio­ ne più ampia che per la cristologia della seconda venuta. Non solo è la cri­ stologia dominante dei discorsi attribuiti a Pietro e Paolo in At, ma si trova anche, nelle epistole paoline, in alcune affermazioni che verosimilmente hanno un' origine pre-paolina. Gesù è Messia, Signore e Figlio di Dio alla presenza del Padre in cielo ed egli ha conseguito questa condizione per il fatto che è stato risuscitato [by being raised up ], o esaltato. Comi nciamo con i riferimenti cristologici alla risurrezione in At. In

1 72 Un' attesa della seconda venuta è attestata lungo tutto il NT ed è una parte resistente della fede cristiana, ma qui sto parlando solo del fatto di rendere la parusia un momento di affinamento sotto il profilo cristologico. Per un maggiore approfondimento sulla parusia o sulla cristologia futura, cfr. J. A. T. RoBINSON, in JTS NS 7 ( 1 956) 1 77 - 1 89; ristampato nel suo Twelve New Testa­ ment Studies, SBT 34, Allenson, Naperville (IL) 1 962, 1 34- 1 53 ; FULLER, Foundations 1 43- 1 47. 1 84- J 85 [cfr. Bibliografia scelta] ; R. F. ZEHNLE, Peter's Pentecost Discourse, SB L Monoghraph Series 1 5. Nashville 1 970. 57-59.92-93.

2,32.36 sentiamo Pietro proclamare: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato . ... Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù che voi avete crocifisso». At 5 , 3 1 presenta Pietro che annuncia: «Dio lo ha esaltato con la sua destra, come capo e salvatore». È Paolo che parla in 1 3,32-33: «Ciò che Dio aveva promesso ai padri, lo ha compiuto per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come è scritto in Sal 2: 'Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato' ». L' ultima frase echeggia un salmo che fa riferimento ali ' incoronazione dei re di Giuda; il profeta N atan promise che un discendente di Davide sarebbe stato trattato come figlio di Dio. La risurrezione di Gesù, considerata come la sua introniz­ zazione in cielo, potrebbe parlare della sua incoronazione regale e così, nel contesto davidico, del momento della sua generazione come Figlio di Dio 1 73• Per quanto riguarda la testimonianza pre-paolina, ali' inizio della lettera ai Romani ( l ,3-4), Paolo cita una formulazione della proclamazione del vange­ lo, aspettandosi che i destinatari la riconoscano. La comunità romana non era stata fondata da Paolo, ma probabilmente da mi ssionari arri vati da Geru­ salemme, nei primi anni 40 1 74 • Presumibilmente la. formulazione, dunque, riflette il pensiero di quel periodo. Con essa Paolo descrive Gesù Cristo: «nato dalla stirpe di Davide, secondo la carne; costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito Santo [Spirito di Santità 1 7 5 ] mediante la risurre-

173 Influenzati dai racconti dell ' infanzia in Mt e Le (che saranno analizzati più avanti), quando i cri stiani senti vano parlare della generazione o della nascita del Messia, tendevano a pensare all' annuncio a Maria e alla nascita a Betlemme. Ma, probabilmente, l'uso più antico di un linguag­ gio che aveva a che fare con la nascita di Gesù come Messia implicava la sua morte (le doglie del parto) e la sua risurrezione. Questo si riflette in Gv 1 6, 1 9-22 dove, durante l 'ultima cena, nella not­ te prima del la sua morte, Gesù paragona il fatto della sua partenza e del suo ritorno al doloroso tra­ vaglio di una donna nelle doglie del parto e alla sua successiva gioia quando il bambino è nato; e sta anche dietro l ' i m magine di Ap 1 2 , 1 -5, in cui una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle (= Israele� cfr. Gen 37,9- 1 0) è in travaglio, fino a quando parto­ risce il suo bambino che deve dominare le nazioni (= linguaggio dei salmi per indicare il re mes­ sianico) e che è immediatamente rapito verso Dio e il trono celeste. Questo non può riferirsi a Betlemme, perché trascurerebbe l'intera vita di Gesù sulla terra; piuttosto descrive l ' agonia della crocifissione e la morte che conduce alla nascita del Messia. mediante la risurrezione e l' assunzio­ ne verso Dio (nel pensiero giudaico 'le doglie del parto del Messia' non sono i suoi dolori, ma le sofferenze di Israele, che precedono l'invio del Messia da parte di Dio). La comprensione della risurrezione come la nascita del Messia ha lasciato il suo segno pure sulla teologia neotestamenta­ ria del battesimo, in termini per cui il cristiano battezzato (con l'immersione nell ' acqua) nella mor­ te di Gesù esce (dall'acqua) come nuova creatura, nata di nuovo, o dall ' alto. 1 7 4 Cfr. R. E. BROWN - J. P. MEIER, Antioch and Rome, Paulist, New York 1983 [trad. it., A ntio­ chia e Roma, Cittadella. Assisi 1 987], specialmente 97 - l 04. 1 75 Il modo greco ebraicizzante di descrivere Io Spirito Santo (un nome al genitivo piuttosto che un aggettivo) non è normale nel linguaggio paolino ed è una delle indicazioni che questa formula­ zione non fosse propria di Paolo, ma presumibilmente fosse in uso a Roma.

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zione dai morti». Qui, benché per nascita naturale Gesù sia il Messia discen­ dente di Davide, per la risurrezione egli è il Figlio di Dio, mediante lo Spiri­ to Santo, in potenza. Ancora, molti studiosi riconoscono che vi è un inno pre-paolino citato in Fil 2,6- 1 1 ; anzi alcuni sostengono che l ' inno fos se ori ­ ginariamente composto in aramaico e potrebbe risalire alla Palestina degli ultimi anni 30 1 76 • In quest' inno, Fil 2,8-9 afferma : «[Gesù] si fece obbedien­ te fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio l ' ha esaltato e gli ha dato il nome [cioè: 'S ignore ' ] che è al di sopra di ogni altro nome». Nel pensiero dell' AT, conoscere il nome di una persona equi vale a conoscere l' identità della persona; da qui l ' importanza deJ 1 a rivelazione a Mosè del nome di Dio in Es 3, 1 4. Così, l' esaltazione di Gesù dopo la morte lo identi­ fica come Signore. Come si riflette in alcuni testi considerati prima, la risurrezione era in ori­ gine contrapposta ad un ministero pubblico caratterizzato da umiltà, così che mediante la risurrezione Gesù diventò, in un certo senso, più grande di quan­ to fosse durante il ministero. Questo è ciò che gli studiosi vogliono dire par­ lando di una cristologia dei 'due stadi' . Essa è espressa in varie formule1 77 in cui Dio, alla risurrezione, costituisce Gesù Signore e Messia, genera/designa Gesù come il Figlio divino, oppure dà a Gesù un nome eccellente. La cristologia della risurrezione può aver richiesto un cambiamento mag­ giore nelle attese giudaiche del Messia rispetto alla cristologia della seconda venuta, perché ora la vittoria, la pace, la prosperità e il culto divino sono tut­ ti trasferiti in cielo dalla terra, propria dell' attesa giudaica. Per quelli che hanno gli occhi della fede, Gesù è Signore e regna in cielo. Se ricordiamo che gli Atti ci hanno forn ito un' espressione di cristologia della parusia, insieme ad espressioni di cristologia della risurrezione, si può stabilire una conti nuità in questo modo: il Messia regnante, che ora i credenti vedono in cielo con gli occhi della fede, altri lo vedranno con i loro propri occhi alla parusia, quando scenderà dal cielo. Si può ragionevolmente ritenere che tutti gli esempi di cristologia della risurrezione citati qui riflettano formulazioni anteriori al 50. Se ci spostiamo al periodo degli scritti cristiani conservati, dopo il 50, Luca e Paolo, nono­ stante riportino questi passi, sono andati oltre questi nella loro personale cri­ stologia. Non si conserva una cristologia a due stadi, né si crede che attra­ verso la risurrezione Gesù abbia ricevuto un' identità che non possedesse

1 76

Cfr. J. A.

FITZMYER,

in CBQ 50 ( 1 988) 470-483.

1 77 Da notare che la questione riguarda la cristologia delle singole formule, non la cristologia

delle opere del NT in cui le formule sono conservate.

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Le crlnologie tkl Il�

già, come Messia o Figlio di Dio. Le origini della cristologia a due stadi possono risiedere nel fatto che, mediante la risurrezione, i primi discepoli appresero aspetti di Gesù che essi non avevano compreso chiaramente prima - un approfondimento tradotto nei termini: Gesù diventa (viene fatto, viene generato, ecc.). Gli scrittori del NT che ripetono queste formule evidente­ mente le pensano equi valenti a Gesù si rivela come, cioè alla manifestazione di una sua identità come Messia, Fig lio di Dio, Figlio dell' Uomo, S ignore, ecc. ; un' identità che egli aveva già durante il tempo della sua vita, ma che restava oscura per quelli che lo vedevano fisicamente. Quest'osservazione ci conduce alla successiva forma di cristologia che domina i vangeli, scritti approssimativamente nel periodo compreso tra gli anni 60 e il 1 00 .

Capitolo ottavo

Cristologie espresse in termini di ministero pubblico di Gesù

Tutti i vangeli presentano un Gesù che en1 chiaramente Messia, Figlio di Dio (e talvolta specificatamente Signore) durante il suo ministero pubblico. I lettori del vangelo se ne rendono immediatamente conto perché assistono ad una rivelazione collegata al battesimo di Gesù, in cui Dio parla dal cielo e lo chiama «mio Figlio prediletto» (Mc l , I l ; Mt 3, 1 7 ; Le 3,22) 1 78 • Nella cri­ stologia dei 'due stadi ' , discussa alla fine del precedente capitolo, il ministe­ ro di Gesù, dal battesimo alla croce, può senza difficoltà essere presentato come un ministero umile (Fil 2, 7 parla di Gesù nella «condizione di servo»), dal momento che l' esaltazione giunge solo con la risurrezione. Nella cristo­ logia del ministero, comunque, in cui condizione di esaltazione e servizio umile coesistono, c'è un'inevitabile tensione. Consideriamo un modo in cui questa tensione è trattata dagli evangelisti. Un passo della cristologia della risurrezione, come At 1 3 ,33, può applicare senza riserve Sal 2,7 a Gesù: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato». La designazione battesimale dei sinottici, «Mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto», ha modificato Sal 2,7, combinandolo con parole (quelle in corsivo) provenienti dalla descrizione del Servo in fs 42, l . Con questa com­ binazi one gli evangelisti indicano che, per comprendere Gesù come il re messianico, durante il suo ministero pubblico, si deve riconoscere che egli

178 La situazione in Gv l ,33-34 è complicata. Giovanni Battista dice che ha ricevuto una rivela­ zione riguardo a Gesù, che egli avrebbe riconosciuto in occasione della discesa dello Spirito (per­ ciò al battesimo) e, in conseguenza di questa rivelazione. egli attesta l ' identità di Gesù. Come è stato spiegato nella nota 1 23, in molti mss. di Gv questa testimonianza ha la formulazione: «Questi è il Figlio di Dio», ma alcuni testimoni leggono: «Questi è l ' Eletto di Dio». che può essere la lezione originale. Si fa eco alla descrizione del Servo del Signore nel testo greco di fs 42, l : «Gia­ cobbe mio figlio/servo ... Israele mio eletto>>, una descrizione i cui echi si trovano anche nel qua­ dro sinottico della rivelazione battesimale.

1 18



Le cristologie

del N. T

era simultaneamente sia il Messia/Figlio sia il Servo che non ha alzato la voce (/s 42,2) ed è stato trafitto per i nostri peccati , sopportando la colpa di tutti (/s 53). Poiché non è chiaro se nel giudaismo pre-cristiano le idee del Messia e del Servo Sofferente fossero state unite, i Giudei, che non accetta­ vano le pretese cristiane, potrebbero ben aver evidenziato che un Messia, la cui vita terminava nella sofferenza, rappresentava un drastico cambiamento nella concezione dell' atteso re davidico. I cristiani avrebbero replicato che Gesù proiettava luce sull' insieme delle Scritture e mostrava come passi una volta separati potevano essere combinati. Al di là di questo approccio, comune nella descrizione del ministero di Gesù, i singoli scritti del NT trattano diversamente la tensione fra la figura del Messia/Figlio esaltato e quella del Servo umile, e tale differenza contri­ buisce notevolmente alla specificità di ognuno dei quattro vangeli . Marco conserva il grado maggiore di umiltà, descrivendo, prima della crocifissione, un ministero in cui nessun uomo riconosce o accetta la filia­ zione divina di Gesù. Accade perciò che l' identità cristologica di Gesù sia un 'segreto' noto ai lettori (ai quali viene svelato al battesimo) e ai demòni (che hanno una conoscenza soprannaturale: Mc 1 ,24; 3, 1 1 ; 5,7) ma non a quelli che lo incontrano e neppure a quelli che lo seguono mentre predica e opera guarigioni. Mc 8,2 7 - 33 mostra quanto poco perfino Pietro, il discepo­ lo più eminente, abbia compreso Gesù. Egli arri v a a riconoscere che Gesù è il Messia, ma la sua comprensione della messianicità non può ammettere che Gesù possa soffrire. È come il cieco di 8 ,22-26 : Gesù ha imposto le mani sull' uomo ed egli giunge ad una parziale visione (la gente vista come degli alberi); occorrerà un' ulteriore azione di Gesù prima che egli veda chiaramente. Se i lettori o gli ascoltatori di Mc si meravigliano del fatto che Gesù non rivela la sua identità cristologica ai suoi discepoli, la scena della trasfigurazione. in Mc 9,2-8, forni sce una risposta. Là Gesù è trasfigurato davanti a loro e la gloria, che era stata nascosta durante il ministero, brilla luminosamente. La voce di Dio, che i lettori hanno udito al battesimo, parla di nuovo dal cielo proclamando: «Questi è il mio Figlio prediletto». Eppure i discepol i ancora non comprendono, perché, nella prospettiva di Mc, solo attraverso la sofferenza e la croce, essi (o i futuri seguaci) possono compren­ dere la piena identità di Gesù . È del tutto intenzionale dunque che, in Mc, solo dopo la morte di Gesù si possa finalmente avere un riconoscimento cre­ dente di lui come Figlio di Dio ( 1 5 ,39). Se nella forma di Mc la tensione tra un ministero di umiltà ed un' alta identità cristologica è, in modo molto visibile, conservata nelle reazioni che Gesù produce sui suoi discepoli, essa è manifestata più sottilmente in Gesù stesso. Come abbiamo visto, nella seconda parte, è possibile che il Gesù di

Cristologi� tkl ministero pubblico di Gesù

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Mc non conosca ogni cosa. Anche se è Figlio prediletto di Dio, ammette che solo il Padre, e non il Figlio, conosce quando le cose future riguardanti il destino del mondo accadranno ( 1 3,32). Benché Gesù possa essere certissi­ mo del proprio destino quando predice che il Figlio dell' Uomo dovrà soffri­ re ed essere ucciso (8,3 1 ; 9,3 1 ; l 0,33-34) e quando sfida Giacomo e Gio­ vanni a bere il calice che egli berrà ( l 0,38), allorché arriva il momento, il Figlio domanda al Padre di lasciar passare l ' ora della sofferenza e della cro­ cifissione e di allontanare da lui il calice. È quasi come se Gesù non potesse essere pienamente il Messia fino a quando non sia passato attraverso l ' espe­ rienza della croce e non abbia gridato: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» ( 1 5 ,34). In questo, Mc non è lontano dalla lettera agli Ebrei (5,8): «Pur essendo Figlio, imparò l' obbedienza dalle cose che soffri». Quel­ la di Mc non è una cristologia a due stadi, in cui Gesù consegue una nuova e più alta identità dopo la morte e la risurrezione; invece, apparentemente, la piena identità di Figlio/Servo, già presente al battesimo, non è sperimentata né manifestata fino alla croce. Matteo risolve parte della tensione nel racconto del ministero pubblico, preso da Mc, lasciando che la condizione di Gesù esaltato si faccia strada attraverso l ' umiltà, così che in certe occasioni i suoi discepoli riconoscono chi egli è. Le formulazioni post-pasquali dell ' identità di Gesù, che Mc fa pronunciare soltanto ai demòni durante il ministero, ora sono pronunciate dai discepoli di Gesù. La comparazione di Mc 6,47-52 e Mt 1 4,23-33, testi che riproducono la scena di Gesù che cammina sull' acqua, è istruttiva. In entrambi i testi Gesù arriva, attraversando il mare, presso i discepoli che stanno lottando nella loro barca a causa del vento; i discepoli si spaventano pensando che sia un fantasma; Gesù li esorta a non aver paura, entra nella barca e fa cessare il vento. Mc riferisce che essi erano assolutamente frastor­ nati, perché non capivano e i loro cuori erano induriti. Mt riferisce che essi lo adorarono, dicendo: «Veramente tu sei il Figlio di Dio». Perché questa differenza? I lettori di Mc sanno perché Gesù può fare questo, in quanto hanno udito al battesimo che egli è il Figlio di Dio; Mc si aspetta pure che i lettori comprendano che, dopo la risurrezione, i discepol i sarebbero giunti alla fede guardando indietro alla storia - diversamente non ci sarebbe « Van­ gelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio» (Mc l , l ). Egli mostra però che, duran­ te il ministero e prima della croce, i discepoli non avevano modo di com­ prendere tale verità. Mt, con una pedagogia più insistente, legge la fede cri­ stologica post-pasquale dei discepoli direttamente nella scena, assicurandosi che i lettori comprendano ciò che Mc si aspetta che essi comprendano. Un fenomeno simile si può osservare nei due racconti della confessione di Pie­ tro a Cesarea di Filippo (Mc 8,27-33; Mt 1 6 , 1 3-23). Nessuno dei due evan-

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Le cristologie del N. T.

gelisti dissimula che la comprensione di Pietro della messianicità di Gesù, benché corretta a parole, sia sbagliata nei suoi presupposti e nelle implica­ zioni, in quanto rigetta la sofferenza - in realtà è tanto sbagliata da essere satan ica e da riflettere solo il modo di pensare umano, non quello divino. Ma, ancora una volta, Mc lascia supporre ai lettori che Pietro, dopo aver visto il Signore risorto in Gali lea (secondo quanto gli era stato indicato in 16, 7), abbia ricevuto intelligenza da Dio e sia giunto ad una fede piena in Gesù come Messia, Figlio di Dio. Mt dice questo chiaramente, sia includen­ do nella confessione di Pietro la componente post-pasquale (non la semplice forma marciana «Tu sei il Messia», ma «Tu sei il Messia, il Figlio del- Dio vivente»), sia registrando che Gesù loda questo, in quanto proprio di un modo di pensare che trascende quello umano («non te l ' hanno rivelato la carne e il sangue»), perché proviene dal Padre che è in cielo. L' inclusione di 'risposte ' post-pasquali tra le ambiguità del ministero è stata uno dei fattori che hanno procurato l ' apprezzamento della chiesa primitiva a Mt, giudicato il migliore strumento catecheti co per comunicare l ' intera figura di Gesù, e l' hanno reso così il vangelo più usato e megl io conosciuto. Il modo in cui Mt ritrae un Gesù la cui fi liazione divina può esser vista dai suoi discepoli (almeno nei momenti di fede) interessa il racconto mattea­ no sia delle azioni di Gesù sia delle azioni dei suoi discepol i . Sulla strada per andare a guarire la figlia di Giairo, quando Gesù è toccato dalla donna con l ' emorragia, il Gesù di Mc (5,30-3 1 ) può chiedere: «Chi ha toccato il mio mantello?» ed essere rimproverato dai suoi discepoli per aver fatto una domanda insensata, dato che si trova in mezzo alla folla. Il potere di guarire esce dal Gesù di Mc ed egli non sa chi ne abbia beneficato. Sembra che né la limitazione della conoscenza di Gesù, né la rudezza dei discepol i sia tol­ lerabile nel quadro di Mt; infatti qui (9,22), senza alcuna domanda, e dunque senza alcuna reazione da parte dei discepoli, Gesù si volta e guarisce la don­ na, di cui già conosceva i pensieri . Quando il Gesù di Mc si addormenta in barca durante una tempesta, i discepoli possono svegliarlo con un rimprove­ ro [«Maestro, non t ' importa se periamo?» (4,38)] che diviene una preghiera nel racconto di Mt: «Signore, salvaci; periamo» (8,25). L' effetto fulminante della maledizione della pianta di fico pronunciata dal Gesù di Mc non di ven­ ta evidente fino al giorno successivo ( 1 1 ,20-2 1 ), mentre la pianta si secca immediatamente quando il Gesù di Mt la maledice (2 1 , 1 9-20). Il Gesù di Mc può imporre le mani a un cieco con il risultato che l ' uomo vede solo parzial­ mente, così che Gesù deve imporre le mani ancora una volta prima che l'uomo veda chiaramente (8,22-26). Benché Mc intenda questo parabolica­ mente, per illustrare la difficoltà di portare i discepoli a vedere con gli occhi della fede, la storia potrebbe essere letta come se implicasse un difetto nel

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potere miracoloso di Gesù. La cristologia di Mt non ammette una tale impli­ cazione e così omette la guarigione del cieco in due stadi 1 79 • Luca. Abbiamo visto che Mt ha introdotto una cristologia post-pasquale nel racconto preso da Mc, consentendo ai discepoli, durante il ministero pubblico, di formulare un' alta comprensione di fede di Gesù e che questo si riferiva al modo in cui Mt presentava Gesù e la relazione dei discepoli con lui . La situazione in Le è più complicata, perché l' autore ha un secondo libro (Atti) in cui Pietro e gli altri possono formulare una cristologia post­ pasquale; così non ha bi sogno di introdurre nel suo vangelo formulazioni di quella cristologia (volendo stabilire un confronto possiamo dire che Mt ha scritto i suoi 'Atti degli Apostoli' per sovrapposizione alla narrazione evan­ gelica) . Conseguentemente Le non accresce l' intensità della confessione cri­ stologica marciana durante il ministero, nel modo in cui lo fa Mt; eppure Le è ancora più sensibile di Mt nel rifiutarsi di rappresentare i limiti umani di Gesù o l' irriverenza nei suoi confronti da parte dei discepoli. Per esempio in Le la confessione di Pietro (9 ,20-22) che Gesù è «il Messia di Dio» non dif­ ferisce sostanzialmente da quella che Pietro pronuncia in Mc, «Tu sei il Messia», e non è tanto forte, cristologicamente, come quella che si trova in Mt, «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente» [in At (2,36; 3 , 1 4- 1 5 ; 5,3 1 ), dopo tutto, al Pietro lucano sarà data l' opportunità di confessare Gesù come Signore, Messia, Santo e Giusto, Autore della vita, Capo, Salvatore, e (4, 12) come colui che ha il solo nome sotto il cielo mediante il quale dobbiamo essere salvati]. Ma Le non riferisce ciò che Mc e Mt raccontano: che la catti­ va comprensione della messianicità da parte di Pietro era tanto grave che Gesù lo paragonò a Satana. Le, come Mc, non presenta i discepoli che confessano Gesù come Figlio di Dio durante il ministero pubbl ico, ma si riferisce a Gesù come S ignore 1 1m, così che i lettori vengono resi consapevoli del l ' identità altamente cristologi­ ca di Gesù. Le non riporta dettagli troppo descrittivi dell' umiltà di Gesù, come quelli che si trovano nel racconto della passione di Mc e Mt. Per esempio Le non accoglie da Mc il fatto che nel Getsemani, con la sua anima triste fino alla morte, Gesù fosse sconvolto, turbato e si gettasse con la fac­ cia a terra e il fatto che sulla croce urlasse a gran voce: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Durante la passione Le neppure riporta i diso-

1 79 Mt conserva di Mc ciò che precede questa storia ( 1 6,5- 1 2 = Mc 8, 14-2 1 ) e ciò che segue ( 1 6, 1 3-20 = Mc 8,27-30), sicché la sua omissione di Mc 8,22-26 è deliberata. 1 80 Alcuni dei riferimenti in terza persona (Le 1 0, 1 ; 1 3 , 1 5 ; 1 7,6) sono meno ambigui quanto al senso più alto di kjrios; cfr. nota 2.

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norevoli particolari del comportamento dei discepoli, raccontati da Mc e Mt: Gesù aveva predetto che avrebbero perso la loro fede e sarebbero stati dispersi; li trovò tre volte addormentati e rimproverò Pietro; tutti loro sareb­ bero fuggiti 1 8 1 • I l nobile Gesù lucano, che è i n pace con Dio e con se stesso (23 ,46), ha discepoli che rimangono con lui nelle sue prove (22,28). Giovanni . Se immaginiamo una bilancia su cui i vangeli sinottici pongo­ no l ' u miltà di Gesù come Servo e la sua identità esaltata come Mes­ sia/Figlio, il peso sul piatto dell' esaltazione aumenta muovendosi da Mc, attraverso Le (il vangelo senza gli Atti), a M t. Ciò nonostante, l ' aspetto dell' umiltà non è mai perso di vi sta. Con Gv il peso è tanto incrementato e la bilancia tanto inclinata dal lato dell ' identità esaltata che la debolezza umana, virtualmente, scompare (poiché qui il mio interesse è la cristologia del ministero in Gv, difficilmente questo ritratto di Gesù può riferirsi alla teologia giovannea della preesistenza, che sarà discussa nel prossimo capito­ lo). Mt e Le hanno ancora bisogno di una trasfigurazione per richiamare alla mente dei lettori e dei discepoli la gloria di Gesù, che è per lo più nascosta ­ per un breve momento essa è resa manifesta. In Gv la gloria di Gesù è mani­ festata ai suoi discepoli nel suo primo segno miracoloso (2, I l ), così che una trasfigurazione sarebbe inutile. Sì ! La Parola si è fatta carne, ma questo non è un auto-svuotamento e un' assunzione della condizione di servo, nel senso descritto da Fil 2,7. Piuttosto, nel �diventare carne' di cui parla Gv, «noi abbiamo visto la sua gloria, la gloria dell' Unigenito che viene dal Padre» 1 82• Se in Fil 2,8-9, dopo la morte di Gesù sulla croce, Dio lo esalta e gli dà un nome che è al di sopra di ogni altro nome, in Gv Gesù ha questo nome durante la sua vita sulla terra ed usa il suo potere di proteggere quelli che il Padre gli ha affidato ( 1 7,6. 1 2 ; cfr. p. 1 3 8- 1 39, infra). Per quanto riguarda il riconoscimento dell' identità di Gesù, da parte dei discepoli, vediamo che nel vangelo di Le nessun essere umano professa che Gesù è Figlio di Dio; in Mc il primo a farlo è il centurione romano dopo la morte di Gesù e in Mt i discepoli, o Pietro, usano questa confessione in momenti altamente signifi­ cativi, nel mezzo del ministero. In Gv, proprio all' inizio del vangelo, nei pri­ mi giorni dell' incontro dei discepoli con Gesù, essi lo confessano Messia,

1 8 1 Le sapeva, come mostra At, che questi discepoli sarebbero alla fine diventati i grandi predi­ catori della fede cristiana e che alcuni avrebbero dato la loro vita per Gesù. Ciò relativizzava per lui l ' importanza della loro temporanea fragilità, fino al punto da poterla tralasciare. 1 82 Tuttavia, un'importante restrizione posta alla gloria che il Gesù giovanneo manifesta durante il tempo della sua vita sulla terra è data dal fatto che non si tratta della stessa gloria che egli aveva presso il Padre prima che il mondo fosse (Gv 1 7,5).

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Re d ' Israele e Figlio di Dio ( 1 ,4 1 .49) 1 8 3 • Continuamente Gesù parla di se stesso come del Figlio e pubblicamente r i v e n d i c a l ' unità c o l Padre ( 1 0,30. 3 8 ; 1 4,9), così che anche i suoi opposi tori comprendono che sta sostenendo di essere uguale a Dio (5, 1 8 ; l 0,3 3 ; 1 9,7). Essi vedono questo come un' arrogante pretesa ('farsi' uguale a Dio), ma il Gesù giovanneo non 'fa' niente da se stesso. Egli semplicemente è il Figlio e il Padre gli ha rimesso tutte le cose, così che chiunque rifiuta di onorare il Figlio rifiuta di onorare il Padre (5 , 1 9-23). L' apertura poetica del vangelo descrive la Parola che in principio era Dio ( 1 , 1 ) e diventa carne in Gesù ( 1 , 14); la fine del van­ gelo presenta uno dei discepoli di Gesù, Tommaso, che lo confessa «Mio Signore e mio Dio» (20,28). La terza appendice mostrerà che alcuni dei principali passi del NT che chiamano Gesù 'Dio' si trovano nel vangelo e nelle lettere di Gv. Questa cristologia dell'esaltazione, la più alta tra i vangeli, e di fatto pro­ babil mente la più alta nel NT1 84 , riguarda la descrizione di Gv del modo in cui Gesù agi sce durante il ministero. Il Gesù giovanneo conosce tutte le cose così che quando interroga un discepolo su di una semplice questione come: «Dove compreremo il pane perché questa gente possa mangiare?», l ' evangelista si ferma per rassicurare i lettori che Gesù chiedeva questo non perché non lo sapesse, ma per saggiare la reazione del discepolo (6,5-6). Nel mezzo del ministero, proprio alla prima menzione di Giuda Iscariota, Gesù segnala che, al momento della scelta dei Dodici, sapeva che uno di loro era un diavolo, che lo avrebbe tradito (6,70-7 1 ). Poiché Gesù è una cosa sola con il Padre, c'è un certo imbarazzo quando rivolge una petizione a Dio, come se ci fosse qualche incertezza sul fatto che la richiesta sarebbe stata esaudita. Quando perciò Gesù si avvicina al luogo dove è sepolto Lazzaro, sembra che si metta a pregare per il morto, ma difficilmente possono consi­ derarsi una petizione le parole: «Padre, ti ringrazio perché mi hai ascoltato. lo so che sempre mi dai ascolto, ma ho detto questo per la folla che sta intorno, perché possa credere che tu mi hai mandato» ( 1 1 ,4 1 -42). Nel rac-

18 3 In risposta viene detto loro che vedranno cose più grandi e cioè gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell ' Uomo (Gv l ,50-5 1 ). Il Figlio deiJ' Uomo, che è venuto dal cielo, in gloria, incarna la più grande rivelazione che deve essere ancora apprezzata dai discepoli. 1 84 Come ho affermato precedentemente. tutti i vangeli e, secondo me, tutti i l ibri del NT in cui si pone la questione, considerano Gesù come un essere divino, anche se la divinità è espressa in diversi modi. Nel giudicare una cristologia 'più elevata' sono importanti la chiarezza e l'univocità della articolazione di un dato libro su]]a divinità di Gesù. La quarta appendice offrirà suggerimenti su fattori che possono essere ricondotti all ' articolazione giovannea.

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conto della passione, il Gesù giovanneo non è in alcun senso una vittima, ma ha un completo controllo: «lo offro la mia vita . . . nessuno me la toglie, ma la offro di mia volontà: Io ho il potere di offrirla e il potere di prenderla di nuovo» ( l O, 1 7- 1 8). Il Gesù di Mc, quando la sua anima è triste, prega il Padre che quest' ora si allontani da lui (Mc 1 4,35)� invece, il Gesù di Gv, quando la sua anima è afflitta, dice a se stesso: «E che dovrei dire? Padre, salvami da quest' ora?». Egli dichiara che non sta pregando così, perché il suo scopo era quello di giungere a quest' ora, piuttosto dice: «Padre, glorifi­ ca il tuo nome» (Gv 1 2,27-28). Gesù dà a Giuda il permesso di uscire per tradirlo ( 1 3,27-30) . Quando egli dice «lo sono», il gruppo di soldati romani e la polizia dei Giude i , che erano venuti ad arrestarl o , cadono a terra all ' indietro ( 1 8 ,6). I discepoli del Gesù giovanneo non fuggono mentre vie­ ne arrestato� egli ordina di !asciarli andare, così che si possa vedere che non ha perduto nessuno di loro ( 1 8,8-9) . Questo Gesù non muore solo e abban­ donato� non solo il Padre è sempre con lui ( 1 6,32), ma ai piedi della croce ci sono sua madre e il discepolo prediletto ( 1 9,25-27) - simboli di una comu­ nità credente che si è raccolta. Dunque, sapendo di aver portato a termine tutto ciò che il Padre gli ha dato da fare e di aver compiuto la Scrittura, egli può decidere: «Tutto è compiuto» e rendere il suo spirito ( 1 9,28-30). Ovvia­ mente, come ultime parole, questa frase è abbastanza lontana dal grido : ·«Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» di Mc e Mt. Questi esempi sono sufficienti per mostrare che, nonostante l ' accordo dei quattro evangelisti sul fatto che durante il suo minis � ero Gesù fosse già Mes­ sia e Figlio di Dio, il modo in cui essi bilanciano questo elemento con un quadro di lui che lo raffigura rifiutato e incompreso varia fino al punto che emergono rappresentazioni evangeliche di Gesù molto differenti . Per quanti accettano la confessione posteriore della chiesa, che Gesù è vero Dio e vero uomo, il differente quadro di ogni vangelo, mentre sostiene globalmente questa confessione, offre il suo peculiare approfondimento su l' uno o l ' altro aspetto di questo mistero: Mc per esempio insiste maggiormente su Gesù come vero uomo, Gv i n vece su Gesù come vero Dio. Nessun vangelo potrebbe farci vedere l ' intero quadro e solo quando i quattro sono stati presi in tensione tra loro, la chiesa ha cominciato ad apprezzare chi era Gesù. Benché ci siamo interessati del ministero pubblico di Gesù, la parte più ampia delle narrazioni evangeliche, la nostra rassegna dei ' momenti ' utiliz­ zati nel NT per formulare una valutazione di Gesù non è completa. Il vange­ lo più antico, Mc, ci ha detto c�e Gesù era il Messia e il Figlio di Dio fin dall ' i nizio del suo ministero pubblico (e quindi che egli non diventò o fu fatto Figlio di Dio mediante la risurrezione, né che sarà Messia al momento

125 del suo ritorno) . Quest' affermazione, comunque, lascia aperte delle questio­ ni: Gesù era il Figlio di Dio prima di essere battezzato da Giovanni? In que­ st' occasione, le parole di Dio, «Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc l , 1 1 ), sono una formula per indicare l' adozione di Gesù come Figlio divino? Non vedo ragioni per sospettare che, nella prospettiva di Mc, Gesù sia diventato il Figlio di Dio al battesimo, ma il suo totale silen­ zio su Gesù prima del battesimo lascia un' ambiguità che gli altri tre evange­ listi hanno scelto di rimuovere. Tutti gli altri tre iniziano i loro vangeli pri­ ma del battesimo ed usano 'momenti ' del pre-ministero, per indicare l ' iden­ tità di Gesù. Ora ci dedichiamo a questa fase della cristologia del NT.

Capitolo nono

Cristologie espresse in termini di p re - ministero

Possiamo considerare i e riflessioni cristiane sull' identità di Gesù prima che egli cominciasse il suo ministero pubblico, sotto tre titoli : (A) cristolo­ gia della cerchia familiare o dell ' infanzia, centrata su Gesù fanciullo; (B) cristologia del concepimento centrata sul concepi mento/nascita di Gesù ; (C) cristologia della preesistenza, centrata su ciò che precedeva la vita umana di Gesù (in realtà, il quadro è più vari_egato, poiché sia A che C possono essere suddivisi). La nota comune è mostrare che l ' identità di Gesù, manifestata durante il suo mini stero pubblico, è in contìnuità con l' identi tà che egli ave­ va p recedentemente. Ciononostante, quando siano esaminate criticamente, queste cristologie del pre-ministero sono notevol mente i n dipendenti l ' una dall' altra. Il vangelo di Gv, per esempio, l ' esponente principale della cristo­ logia della preesi stenza (o,, più esattamente, della cristologia della pre-crea­ zione), non palesa alcuna conoscenza di tutti i racconti de l l' i nfan z ia di Mt e Le, in cui è formulata la cristologia del concepimento, e viceversa. All ' inter­ no della stessa suddivisione, anche se Le e Mt hanno motivi co muni circa il concepi m ento di Gesù come Figlio di Dio, le narrazioni in cui questi motivi trovano espression e sono del tutto differenti. Ciò che vedremo in questo capitolo, dunque, dimostra l ' ampie zza e la varietà della primitiva riflessione cristiana sull' identità di Gesù.

(A) Cristologia della cerchia familiare o dell'infanzia Si potrebbe pensare che il primo passo logico, nella ri flessione sull' iden­ tità di Gesù prima che fosse battezzato e dunque prima che cominciasse il �uo ministero pubblico, sarebbe dovuto consistere nel riferire ciò che egli

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era quando in gioventù v i veva con l a s u a fami g l i a o, ancora prima, quand' era un ragazzo che cresceva. Eppure, tutto questo periodo ha lasciato veramente poche tracce nei vangeli canonici. Per esempio, Mt, che comincia il suo racconto dell ' infanzia con Gesù nel grembo della madre, salta da ciò che è accaduto a Gesù quando aveva circa due anni (la persecuzione del bambino da parte di Erode, la fuga in Egitto e il trasferimento della famiglia da Betlemme a Nazareth) alla scena del suo battesimo. L'esile testimonian­ za, per il tipo di cristologia in discussione, consiste in un racconto lucano di Gesù a dodici anni, un racconto giovanneo di un miracolo che Gesù fa alla presenza di sua madre e dei suoi fratelli e un vangelo apocrifo dell ' infanzia contenente miracoli compiuti da Gesù a cinque anni . Il più conosciuto d i questi racconti è quello di Gesù lasciato nel tempio di Gerusalemme, narrato in Le 2,4 1 -5 1 . Benché Le faccia seguire questo episo­ dio al racconto del concepimento e della nascita, in cui l ' identità di Gesù come Figlio di Dio era stata già rivelata, probabilmente prima aveva avuto un'esistenza autonoma (notare che i genitori, che avevano cercato Gesù con preocc upazi one, sono infastiditi perché si era attardato e non capiscono quando egli parla loro di suo Padre). Questa è la prima volta in Le che Gesù parla e le sue parole rivelano la sua identità. Maria ha detto «tuo padre [ Giu­ seppe] ed io», ma correggendo implicitamente il riferimento di Maria al 'padre ' , Gesù chiarisce che il primo diritto sulla sua vita è esercitato dal suo Padre celeste, il suo vero Padre. Gesù informa sua madre che la parentela naturale non ha un diritto autoritativo su di lui: ella e Giuseppe avrebbero dovuto sapere che egli stava nella casa di suo Padre (o si occupava del lavo­ ro di suo Padre - la frase ellittica ha diverse connotazioni). Se al battesimo la voce di Dio dal cielo identificherà Gesù come il «mio Figlio prediletto», già nella sua fanciullezza Gesù ha affermato quest' identità 1 85 • La storia in Gv 2, 1 - 1 1 è più complicata. Nella sequenza in cui Gv l ' ha introdotta, Gesù è già stato battezzato e ha raccolto discepol i . Inoltre, i l miracolo h a luogo a Cana, una città della Galilea vicino a Nazareth 186, prima

1 85 Una tale storia quando entrò nel vangelo canonico di Le con il suo racconto del ministero pubblico di Gesù, creò una difficoltà logica. Se Gesù da ragazzo parlava apertamente della sua filiazione divina. come mai era sconosciuto quando cominciò il suo ministero (4,22-24) e come mai non parlava apertamente di quest' identità durante i1 ministero? La fine della storia in Le 2,5 1 5 2 tenta d i superare questa difficoltà, suggerendo che, eccetto quest'unico caso nel tempio, Gesù era obbediente ai genitori che non Io comprendevano e pertanto mentre cresceva non andava pro­ clamando la sua identità in modo aperto. 1 86 Nei vangeli sinottici, durante il suo mini stero Gesù non compie miracoli in Galilea, sua regione d' origine (per esempio, Mc 6,5) e, così. la localizzazione di questo miracolo giovanneo a

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che lui andasse a Cafarnao (2, 1 2), il luogo centrale del ministero. Sua madre è una figura centrale nella storia e i suoi ' fratelli' sono presenti 1 87 • Quanto meno quindi la storia implica una transizione dal circolo familiare al mini­ stero. Più verosimilmente, a mio giudizio, questo racconto di un miracolo apparteneva una volta ad un genere in cui Gesù compiva miracoli nel cer­ chio della sua famiglia, anche prima del battesimo (vedere il paragrafo suc­ cessivo). L'aspettativa di sua madre che egli potesse fare qualcosa per risol­ vere la mancanza di vino per gli amici o i parenti, alle nozze, implica che egli abbia fatto cose m iracolose già prima e di per sé il cambiamento dell' acqua in un' abbondante quantità di eccel lente vino rassomiglia alle sto­ rie apocrife del l ' infanzia di Gesù, dove egli compie miracoli a vantaggio della famiglia. La risposta di Gesù a sua madre, distinguendo tra l ' interesse di lei (di convenienza) e il suo proprio interesse (l' ora per manifestare la sua gloria) è, da un punto di vista funzionale, la stessa risposta data alla madre nella storia lucana del tempio appena discussa. Il lettore scoprirà che l"ora' comprende ciò che il Padre gli ha dato da fare e che la gloria che egli comincia a manifestare a Cana (2, 1 1 ) è collegata alla gloria che egli aveva presso il Padre, prima che il mondo fosse ( 1 7 ,5). Così, sia nel racconto luca­ no che in quello giovanneo, prima che il ministero cominci pienamente, resistendo agli interessi familiari Gesù delimita il suo ruolo e la relazione a Dio come Padre, che è parte della sua identità. Probabilmente la cristologia della cerchia familiare o dell ' infanzia si svi­ luppò in circoli popolari piuttosto che nella predicazione pubblica, responsa­ bile della formazione di molta parte della tradizione evangelica. Questo sospetto è ali mentato dali' esistenza di un Vangelo dell 'Infanzia di Tommaso ( V/T) extra-canonico, risalente alla fine del n secolo, in cui Gesù opera una serie di miracoli cominciando a cinque anni 1 88 • Alcuni di questi sono mira­ coli di comodo, per esempio un miracoloso rifornimento di acqua di cui sua madre ha bisogno e l ' allungamento di un asse di legno di cui ha bisogno suo padre. Se il racconto giovanneo di Cana in origine era collegato ad una tale tradizione, come ho precedentemente suggerito, diventa comprensibile che

Cana è un altro argomento a favore di un contesto temporale originario precedente il ministero pubblico. 1 87 In Mc 3,2 1 .3 1 -35 1 ' inizio del suo ministero sottolinea la sua partenza da casa e il suo allonta­ namento dai parenti, specificatamente da sua madre e dai suoi fratelli. Il fatto che, nel racconto di Cana, Gesù sembra essere ancora legato a questo circolo suggerisce che in origine può essere stata una storia ambientata nel pre-ministero. 1 88 L' ultima storia nella serie è una forma della narrazione lucana di Gesù al tempio all ' età di dodici ann i .

sua madre si aspettasse che egli fosse capace di fare qualcosa per metter riparo alla mancanza di vino. In un' altra direzione V/T fondamentalmente asserisce in un modo popolare, immaginario, che il potere miracoloso che Gesù possedeva durante il suo ministero pubblico era già posseduto da Gesù fin dai suoi primi anni. Egli guarisce un ragazzo con un piede ferito, molti­ plica il grano e risuscita un bambino morto da poco. A causa del carattere infantile di alcuni dei miracoli, come fare uccelli di creta e poi farli volare, la rilevanza cristologica di questo vangelo è spesso trascurata. Quando il fanciullo Gesù fa questo miracolo, «un certo Giudeo» obietta che ha lavora­ to la creta di sabato, proprio come i Farisei obietteranno durante il ministero pubblico (cfr. Gv 9,6. 1 6) ; proprio come l ' adulto Gesù reagirà alla contesta­ zione sul sabato, così il fanciullo Gesù mostra di non lasciarsi smuovere dall ' obiezione, implicando che egli non è legato dal sabato e alludendo in tal modo alla sua autorità. Se si mettono insieme questi tre esempi di cristologia della cerchia fami­ liare, ordinando li in base ali' età che Gesù ha in ciascuno di essi e muoven­ dosi così da V/T attraverso Le 2,4 1 -5 1 a Gv 2, 1 - 1 1 , si riceve una chiara risposta: sia per le parole che per le azioni, Gesù era Figlio di Dio non solo prima che fosse battezzato da Giovanni, ma anche dal primo momento del suo comportamento consapevole.

(B) Cristologia del concepimento Nel capitolo introduttorio ai loro vangeli, sia Mt sia Le collegano l' iden­ tità umana di Gesù come discendente di Davide al fatto che il suo padre legale, Giuseppe, era della casa di Davide (Mt l ,20; Le l ,27). Entrambi col­ legano la sua identità divina al fatto di essere stato concepito da Maria per mezzo dello Spirito Santo, senza un padre umano (Mt l ,20; Le l ,35). Eppu­ re i racconti dell' infanzia di Le e di Mt sono molto differenti e devono esse­ re stati composti indipendentemente l ' uno dall ' altro. Perciò, molto verosi­ milmente, questi punti in comune riguardo al concepimento provengono dalla condivisione di una tradizione databile prima dei due vangeli. Mt (l ,2 1 .23; 2, 15) formula l' identità divina parlando di colui che salverà il suo popolo dai suoi peccati : Emmanuele (Dio con noi) e Figlio di Dio. Proprio alla fine del vangelo, Mt 28,20 ritornerà all' identità dell ' Emmanuele quando Gesù risorto dice : «lo sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo» . Così implicitamente Mt ci sta dicendo che nel e attraverso il suo

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concepimento Gesù aveva già un' identità, che sarebbe stata manifestata più esplicitamente dopo la risurrezione. La formulazione lucana dell' identità divina di Gesù come ' Figlio di Dio' è particolarmente interessante se ricordi amo Rm l ,3-4, che abbiamo discus­ so alle pp. 1 1 4- 1 1 5, come un esempio di cristologia della risurrezione. Là, utilizzando una formula arcaica, Paolo identifica Gesù come discendente di Davide, secondo la carne, ma costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito S anto, medi ante la risurrezione dai morti. Così nella doppia iden­ tità di Gesù Figlio di Davide e Figlio di Dio, la discendenza umana median­ te la nascita è associata al primo elemento, «Spirito Santo» e «potenza» sono associati al secondo elemento. Le sembra aver avuto molta familiarità con questo tipo di linguaggio; nella sua espressione di cristologia del mini­ stero infatti, dopo che la voce di Dio ha detto dal cielo «Tu sei il mio Figlio prediletto», ci viene detto che «Gesù tornò in Galilea con la potenza dello Spirito» (Le 4, 1 4). Nel racconto lucano del concepimento di Gesù, l ' angelo Gabriele prima dice a Maria che il bambino che ella concepirà e partorirà sarà Figlio di Davide. Le parole in 1 ,32-3 3 : «Sarà grande e sarà chiamato il Figlio dell' Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, sarà re della casa di Giacobbe per sempre, e il suo regno non avrà fine», sono semplicemente una riformulazione dell ' oracolo di Natan a Davide in 2 Sam 7,9- 1 6 1 89 , che sta alla base di ogni speranza messianica (prima appendi­ ce, A). Là Dio parlava per mezzo di Natan: «lo ti farò un nome grande ... Innal zerò tuo figlio dopo di te . . . Stabilirò il trono del suo regno per sempre, così che io sarò per lui un padre ed egli sarà per me un figlio . . . . Così la tua casa e il tuo regno avranno stabilità davanti a me per sempre. Il tuo trono è stabilito fino ali ' eternità». Se il linguaggio dell ' AT fornisce il materiale per la prima metà del la doppia identità del Gesù di Le, quello della prima predi­ cazione cristiana (per esempio Rm) fornisce quello per l a seconda metà dell' identità 1 90 • In risposta alla domanda di Maria: «Come è possibile que­ sto?», l ' angelo Gabriele spiega come Maria diventerà la madre del Figlio di Dio ( l ,34-35): «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell' Altissimo; il bambino che nascerà sarà chiamato san­ to, Figlio di Dio » .

1 8 9 Troviamo un' altra riformulazione di quest'oracolo nella letteratura dei rotoli del Mar Morto; cfr. pure pp. 8 1 -82, supra, e BBM 3 1 1 . 1 90 Possiamo sospettare che i lettori di Le, che erano già stati evangelizzati, avrebbero potuto riconoscere nelle parole di Gabriele a Maria lo stesso vangelo che veniva predicato loro circa Gesù.

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Se mettiamo in fila i passi che usano i termini 'Spirito' /'potenza' in rela­ zione alla 'filiazione divina ' , essi sono associati alla risurrezione nella for­ mula pre-paol ina in Rm, al battesimo nell ' inaugurazione del ministero in Le ed ora al concepimento nel racconto del l ' infanzia in Le. Nella formula di Rm la doppia identità sembra essere sequenziale: Figlio di Davide mediante la nascita poi Figlio di Dio mediante la risurrezione 1 9 1 • Nella cristologia del concepimento di Le, le due filiazioni sono simultanee. Nel piano del l ' intera opera di Le il messaggio cristologico è, in sieme, artistico e i n s i stente . L' identità di Gesù come Figlio di Dio è proclamata da un angelo al suo con­ cepimento, da Gesù stesso la prima volta che parla (2 ,49), da Dio al battesi­ mo (3 ,22) e da Paolo dopo la risurrezione (At 1 3 ,32-33). Abbiamo visto, nel capitolo ottavo, trattando della cristologia del ministe­ ro, che confrontati a Mc gli altri due sinottici affermano l ' identità esaltata di Gesù come Figlio di Dio per bilanciare la sua umiltà. Questa scelta acquista un significato più vasto, se capiamo che questi due evangelisti hanno infor­ mato i loro lettori che non c ' era neppure un momento della sua vita terrena in cui Gesù non avesse avuto quest' identità divina. In realtà la cristologia del concepimento riguarda il modo in cui, sia Mt che Le, narrano l' intera storia di Gesù che segue la nascita. Dal momento che essi attingono da Mc, dove Gesù all ' inizio del suo ministero è sconosciuto anche a Nazareth sotto il profilo religioso, ognuno ha dovuto affrontare il problema di quelli che avevano ricevuto per primi la rivelazione della sua identità. Tra questi dovrebbero essere inclusi i magi, che ebbero una rivelazione dall' apparizio­ ne di una stella in Mt 2, 1 -2, e i pastori, che la ebbero da un angelo in Le 2, l 0- 1 2; entrambi questi gruppi sono accuratamente rimossi dalla scena, immediatamente dopo aver onorato il bambino (Mt 2, 1 2 ; Le 2,20). Le 2,2538 ha anche Simeone e Anna, che sono spinti soprannaturalmente a ricono­ scere l ' identità di Gesù quando fu presentato al tempio, ma sono entrambi vecchi e potrebbero perciò non aver vissuto e non aver visto Gesù crescere. Giuseppe (Mt) e Maria (Le) sono i principali destinatari di una rivelazione cristologica al concepimento di Gesù. L' assenza di Giuseppe durante il ministero pubblico (incl udendo la mancata menzione di un padre n ell ' elen­ cazione del1a famiglia di Gesù, in Mc 6,3) suggerisce che anch ' egli fosse morto. In tal modo Maria rimane il solo personaggio del racconto dell' infan­ zia ancora attivo quando Gesù comincia il suo ministero. Dal momento che Mc non riporta una cristologia del pre-ministero e può

191 Nonostante il suo uso della formula arcaica, Paolo potrebbe non aver pensato all' identità divina come successiva a quella umana (come vedremo, infra, sotto C).

aver conosciuto poco delle origini di Gesù, può presentare Maria tra i paren­ ti di Gesù che non comprendono, o non apprezzano, ciò che egli sta facendo nel suo nuovo ministero (3,2 1 . 3 1 ; 6,4 ). Invece Mt e Le sanno che Maria ha concepito Gesù per mezzo dello Spirito Santo e difficilmente possono accet­ tare una tale presentazione. Mt, che conserva il passo precedente e quello seguente a Mc 3,2 1 , omette accuratamente quel versetto in cui i parenti di Gesù pensano che sia fuori di sé ; Mt 1 3,57 omette, rispetto a Mc 6,4, l ' affer­ mazione che Gesù non era apprezzato tra i suoi parenti . Il ritratto di Maria nel racconto dell' infanzia di Le è molto più elaborato di quello che offre Mt. Maria non solo ha concepito per mezzo dello Spirito Santo, ma è anche stata la prima persona cui è stato proclamato il messaggio evangelico della dop­ pia identità di Gesù. A questo ella ha dato la fondamentale risposta che si aspetta da un cristiano («Sia fatto di me secondo la tua parola») e così è diventata la prima discepola. In armonia con questa presentazione positiva, il corpo del vangelo lucano non solo omette i passi marciani sfavorevoli eli­ minati da Mt, ma reinterpreta l ' unica scena in cui appare Maria nel racconto sin ottico del ministero pubblico. Quando ella e i 'fratelli' di Gesù vengono a cercarlo, non sono più contrapposti alla famiglia dei discepoli, come in Mc 3,3 1 -3 5 ; piuttosto la madre e i fratelli sono elogiati come «quelli che ascol­ tano la parola di Dio e la compiono» (Le 8, 1 9-2 1 ) . Inoltre, in At l , 1 4, Le ha cura di mostrare che, dopo l' ascensione del Signore, la madre e i fratelli, con i Dodici e le donne, rimasero fedeli, aspettando la venuta dello Spirito.

(C) Cristologia della preesistenza Fin qui, i 'momenti ' discussi come veicoli per la formulazione della com­ prensione cristiana di Gesù erano situati entro la sua vicenda terrena. Ma alcuni passi del NT indicano che i primi cristiani credevano che il Figlio di Dio avesse avuto una preistoria, prima di questa vicenda. In ciò che segue non è sempre facile di stinguere tra una precisa nozione della preesistenza del Figlio divino e un piano di preparazione nella ' mente' di Dio per la venuta del Figlio. Preesistenza nei periodi di Mosè e Abramo. Alcuni passi che associano Gesù ad eventi dell' AT non vanno considerati più che una comparazione. Per esempio Gv 3, 1 4 usa per Gesù un'immagine del cammino nel deserto: «Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell ' Uomo» . Altri passi possono essere intesi più letteralmente. Per

esempio è sorprendente l ' affermazione di Paolo in l Cor l 0,4: «l nostri padri [ = antenati]» che accompagnavano Mosè errando nel deserto bevvero tutti la stessa bevanda spirituale; essi «bevvero dalla roccia spirituale che li seguiva, e la roccia era Cristo» 1 9 2 • Mt l ,2 inizia la storia della nascita o della genealogia di Gesù con Abramo che genera Isacco, così che Gesù sembra già essere stato presente nella storia di Abramo 1 93• In Gv 8,56 Gesù dice: «Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne ralle­ grò». Quando «i Giudei» obiettano che questo è impossibile, dal momento che Gesù ha meno di cinquant' anni di età, Gesù insiste: «Prima che Abramo fosse, Io sono» (8,58). Preesistenza nel periodo di Adamo. La genealogia di Le (3,38) identifica Gesù come Figlio di Adamo, Figlio di Dio. È difficile sapere se il secondo titolo vada preso più alla lettera del primo, come molti interpreti ritengono. In ogni caso altri testi suggeriscono che i primi cristiani, in qualche modo, associavano Gesù ad Adamo 1 94 • Il paral lelo tra Gesù e Adamo, in Rm 5, 1 21 7 , in se stesso non indica la preesistenza di Gesù nel periodo adamitico. La prova più importante potrebbe essere l' inno pre-paolino di Fil 2,6- 1 1 , in relazione al modo in cui viene interpretato 1 95 ( alcuni studiosi rifiutano di vedere qualsiasi indicazione di preesistenza n eli ' inno; altri lo interpretano come viene spiegato qui ; molti lo interpretano come sarà spiegato nella suc­ cessiva sottosezione ). L' inno può implicare che in origine vi fossero due figure, Cristo Gesù e Adamo, coesistenti e parallele, nell' immagine (somi­ glianza) di Dio (per Adamo, cfr. Gen l ,27). Uno (Adamo) non accettò la condizione di servo inerente ali ' essere umano, ma volle tentare di essere uguale a Dio e fallì, venendo per conseguenza ridotto ad uno stato infelice (Gen 3,5. 1 5- 1 9). L' altro (Cristo Gesù) non desiderò essere uguale a Dio, ma volontariamente umiliò se stesso, non solo accettando la condizione di servo (che è inerente ali' essere umano), ma andando oltre e facendosi obbediente fino alla morte di croce. Perciò fu innalzato da Dio ali ' uguaglianza, per il fatto che gli fu dato il nome di vino di 'Signore ' .

1 92 E . E . ELLIS, Christos in l Corinthians /0:4, 9. i n FJTJ 1 68- 1 73, per analogia con l Cor 8,6 («Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose»), sostiene uno sfondo sapienziale ed una pree­ sistenza pre-creazionale in l 0,4. 193 In maniera meno chiara un riferimento alla preesistenza di Gesù in tempi patriarcali è Gal 3 , 1 6, dove Paolo afferma che Gesù è di scendente o seme di Abramo. 1 94 Cfr. C. M. PATE, Adam Christology as the Exegetical & Theological Substructure of 2 Corinthians 4: 7-5:2/, University Press of America, Lanham (MD) 199 1 . In questo libro introdut­ torio, non discuterò il mito dell' uomo primigenio ( Urmensch) che alcuni, interessati allo studio comparato delle religioni, vorrebbero far derivare da un ambiente iraniano. 195 Cfr. pure G. HOWARD, Phil. 2:6- / l and the Human Christ, in CBQ 40 ( 1 978) 368-387.

Preesistenza pre-creazionale. 'Incarnazione' significa che il Figlio di Dio non venne all ' esistenza nel suo concepi mento umano 1 96 ; piuttosto egli era un mediatore già esistente nella sfera divina, che si incarnò nel grembo di Maria. Tecnicamente l ' i ncarnazione non ci dice se questo mediatore sia sta­ to creato (come lo erano gli angeli che esistono nella sfera divina) o sia esi­ stito con Dio prima di ogni creazione. A fortiori non ci dice se il mediatore sia Dio o uguale a Dio. Avendo posto questa premessa, tratterò qui i possibi­ li riferimenti neotestamentari, percorrendo testi che implicano una preesi­ stenza pre-creazionale, poiché molti studiosi, influenzati dal prologo al van­ gelo di Gv, dove la Parola che diventa carne esiste prima della creazione, uniscono le due idee. Nella discussione sul periodo adamitico, abbi amo vi sto una possibile interpretazione dell 'inno pre-paolino in Fil 2,6- 1 1 . In quel l ' interpretazione, né Adamo né Gesù erano ancora uguali a Dio, donde la tentazione di cercare di afferrare l' uguaglianza, con Gesù che ri fiuta e Adamo che accondiscen­ de. La maggior parte degli studiosi, comunque, interpreta Fil 2,6-7 nel senso che Gesù non considerava l ' essere uguale a Dio come qualcosa da tenere stretto. In quest' interpretazione, diversamente da Adamo che in quanto crea­ tura non era uguale a Dio ma cercava di esserlo, Gesù era già uguale a Dio, ma volle abbassare se stesso, accettando la condizione di un servo, diven­ tando un essere umano 1 97• Quelli che sostengono quest' interpretazione riten­ gono correttamente che una più normale comprensione del greco, in Fi/ 2,78, sarebbe che il Figlio 'diventi ' un essere umano. A sostegno c ' è pure 2 Cor 8,9, che parla del Signore Gesù Cristo «il quale, pur essendo ricco, diventò povero per voi».

1 96 Non sappiamo come Mr e Le abbiano inteso il concepimento di Gesù per mezzo dello Spirito Santo, senza un padre umano. Per loro era questo il venire all' esistenza del Figlio di Dio? Il «per­ ciò» in Le 1 3 5 («Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell' Altissimo; perciò colui che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio») potrebbe essere inter­ pretato come un'indicazione in questa direzione. Non si può semplicisticamente ritenere che Mt o Le pensassero ad un modello giovanneo di incarnazione. Benché alcuni studiosi pensino che Le abbia conosciuto il vangelo di Gv, ciò è molto lontano dal i ' essere certo e Gv non menziona mai il concepimento di Gesù. Ignazio di Antiochia ( I l O circa) è il primo, di cui si sappia, ad aver unito cristologia del concepimento e cristologia del l ' i ncarnazione; infatti egli si riferisce sia a Gesù come Parola di Dio che alla nascita da una vergine (Magnesi 8.2; Smirnensi l , l ). 197 Ci sono due questioni. La prima è come tradurre harpagm6s (un possesso desiderato): qual­ cosa da afferrare, o qualcosa, già posseduto, da tenere stretto. La seconda è come tradurre gen6me­ nos nella frase appositi va di «prendendo (o accettando) la condizione di un servo» ; precisamente si tratta di stabilire se significhi «essendo» o «diventando» come gli esseri umani. ,

Cristologie del pre-�ro

Ovviamente se il Figlio di venta un essere umano deve essere preesistito; ma da quanto tempo? Questo non è chiaro nei due passi di Fil e 2 Cor. In riferimento al passo di Fil, alcuni sostengono che l ' essere uguale a Dio di Gesù deve includere una pree si stenza eterna. Però il punto principale dell' inno sembra essere l'uguaglianza nella condizione e nella gloria e ci si può domandare se la formulazione possa essere spinta fino al punto da includere uguaglianza in ogni aspetto. Un altro inno nel corpo paolina (Col 1 , 1 5-20, che può essere antidatato rispetto alla lettera) presenta Gesù che ha una condizione altissima, senza porre una preesi stenza pre-creazionale. Dopo che in l , 15 Gesù è stato definito l' immagine dell' invisibile Dio, si parla di lui come del primogenito di tutta la creazione, nel quale e per mez­ zo del quale tutte le cose sono state create (cfr. Sir 24,9). La descrizione parallela nell' inno ( l , 1 8) lo presenta come il primogenito dai morti, median­ te il quale Dio ha riconciliato a Sé tutte le cose. «Primogenito dai morti» significa che lo stesso Figlio è morto ed è stato il primo a risorgere, così che, mediante lui, altri possano risorgere dalla morte. «Primogeni to di tutta la creazione» implica similmente che il Figlio è stato creato per primo e, poi, per mezzo suo, altri sono stati creati ? Se è così questa sarebbe una pree­ sistenza anteriore al momento della creazione. l Cor 8,6 dice che ogni cosa esiste per mezzo di Gesù Cristo, ma lascia ancora incerta l' idea di una pree­ sistenza creazionale o pre-creazionale. La lettera agli Ebrei (4, 1 4- 1 5 ; 5,8) descri ve un Cristo che, pur essendo Figlio di Dio, fu provato in tutto come noi (eccetto il peccato) e che ha impa­ rato l ' obbedienza attraverso la sofferenza. L' autore di Eb l 0,5- 1 O pensa chia­ ramente all ' incarnazione; infatti descrive i sentimenti di Cristo quando venne nel mondo ed entrò in un corpo che Dio aveva preparato per lui. Qual era la condizione del Figlio di Dio prima che venisse nel mondo? Eb l ,5ss. chiari­ sce che il Figlio è più grande di tutti gli angeli . Eb l ,2 dice che, mediante il Figlio, Dio ha creato il mòndo1 98 • Fu creato anche il Figlio? Lo stesso passo parla di Dio che lo ha designato, o costituito, erede di tutte le cose ; questo potrebbe comportare come sfumatura di significato il renderlo Figlio, o potrebbe indicare un ruolo nella creazione di un Figlio già esistente. L' ultima ipotesi è preferibile per il linguaggio usato in l ,3, dove il Figlio è descritto come un riflesso della gloria di Dio, che porta l ' impronta dell' essere di Dio e sostiene l ' universo con il suo potere 1l)l); c i si rivolge al Figlio come a Dio in

198 Eb 2,7-8 aggiunge che Dio ha sottomesso ogni cosa al Figlio (che per un breve tempo era meno degli angeli) e che niente è stato lasciato fuori del suo controllo. 1 99 Cfr. il linguaggio paragonabile a Sap 7,25-27.

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, · · ·.

u cristologie del N. T.

1 ,8 (cfr. terza appendice, pp. 1 8 1 - 1 82). Pertanto è verosimile che Eb immagi­ ni un Figlio divino che è preesistente alla creazione, ha partecipato alla crea­ zione di ogni cosa e si è incarnato come Gesù Cristo. Il vangelo di Gv offre lucidi esempi di cristologia pre-creazionale 200• I versetti di apertura ( l , 1 -2) delr inno che serve come prologo chiariscono non solo che mediante la Parola (che è il Figlio; cfr. l , 1 8) tutte le cose sono state create, ma anche che la Parola esisteva, alla presenza di Dio, prima della creazione. Se in Gen l , l «In principio» significa «all' inizio della crea­ zione», in Gv l , l «In principio» significa «prima che qualunque cosa fosse creata». Che nell' intenzione di Gv la preesistenza di Gesù come Figlio di Dio non sia frutto di un linguaggio inni co, merame nte figurati v o, o di una licenza poetica, è chiaro da 1 7 ,5, in cui il Gesù giovanneo dice letteralmen­ te, e coscientemente, di aver avuto un' esistenza gloriosa con il Padre prima che il mondo fosse (cfr. pure 1 6,28; 3 , 1 3 ; 5 , 1 9 ; 8,26.58). Una particolare sfaccettatura della cristologia pre-creazionale giovannea appare nell' uso dell'espressione 'Io sono' da parte di Gesù. Il conisponden­ te greco eg o eimi può essere semplicemente una frase di uso comune, equi­ valente a «eccomi» o a «sono io». Comunque essa ha anche una utilizzazio­ ne solenne e sacrale ne li' AT, nel NT, nello gnosticismo e in scritti religiosi pagani greci 20 1 • Di grandissima importanza, per la nostra indagine, è l' uso assol uto, in Gv, della locuzione 'Io sono' , senza predicato, che distinguerò scrivendola in maiuscolo. Così 8,24: «Se non credete che IO SONO, morire­ te nei vostri peccati »; 8,28: «Quando avrete innalzato il Figlio del l ' Uomo, allora saprete che IO SONO » ; 8 , 5 8 : «Prima che Abramo esi stesse, I O SONO»; 1 3 , 1 9: «Quando accadrà, potrete credere che I O SON0» 202 •

200 Questa è solo una parte del più ampio quadro cristologico giovanneo. La terza appendice evidenzierà che Gv, chiaramente, chiama Gesù Dio (20,28). La quarta appendice puntualizzerà alcuni fatti che possono aver catalizzato lo sviluppo cristologico giovanneo. 20 1 Per Io spettro dell'uso. sia generale che giovanneo, cfr. BGJ 1 .533-538. 202 Vorrei aggiungere altri due testi. Il primo è 6,20, quando i discepoli sulla barca sono spaven­ tati perché vedono qualcuno venire verso di loro sull' acqua e Gesù li rassicura: «10 SONO: non abbiate paura». Il secondo è 1 8,5: i soldati e la guardia, che sono venuti nel giardino dal l ' altra par­ te del Cedron per arrestare Gesù, dichiarano che stanno cercando Gesù di Nazareth ed egli rispon­ de: «10 SONO». Alcuni ci dicono che il primo esempio significa semplicemente: «Eccomi, ecco cioè qualcuno che voi conoscete e non un essere soprannaturale o un fantasma». Ci dicono che il secondo significa semplicemente: «Sono io, cioè quello che voi state cercando». Una soluzione migliore è riconoscere un gioco neirespressione «10 SONO», in quanto ha un doppio significato: mentre ha u n ' i mportanza minore sulla linea della narr azione (come è stato appena esemplificato), ha anche una più alta connotazione. Nel primo esempio l' aspetto sacrale proviene dal contesto che comprende il camminare di Gesù sul l ' acqua e una pericolosa tempesta, nonostante la quale tocca-

Cristologie del p re-ministero

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C ' è u n a naturale tendenza a sentire che queste affermazioni sono incomplete; per esempio, in Gv 8,25 «i Giudei» rispondono domandando: «Bene, dunque, chi sei tu ?». Poiché quest' uso va molto al di là del la lin­ gua ordinaria, tutti riconoscono che l ' uso assoluto di 'IO SONO ' , ha una speciale funzione rivelatoria in Gv. La spiegazione più comune consiste nel l ' associare quest' uso giovanneo con ' IO SONO' utilizzato come un nome divino, nel l ' AT e nel giudaismo rabbinico203• L' AT offre eccellenti esempi del l ' uso di ' Io sono ' , compresi esempi impressionanti del l ' uso assoluto. Cominciamo con l ' affermazione: «lo sono Jhwh/Dio», poiché l ' uso assoluto di ' I O SON O ' , nel l ' AT, è una sua variante. In ebraico l ' affermazione ha semplicemente il pronome � I o ' ed il predicato 'Jhwh ' o 'Dio' , senza un verbo connettivo. Questa formula è rivelatoria in maniera limitata, esprimendo autorità divina e dando assicurazione e una ragione per credere ( Gen 26,24; 28, 1 3 ; Es 6,6; 20,2.5; Lv 1 8 ,5; Ez 20,5 ). In parti­ colare, dove Dio promette: «Saprete che io sono Jhwh» (Es 6,7 ; cfr. 7,5), ci avviciniamo a Gv 8,24.28, citato supra . L' uso più importante della for­ mula veterotestamentaria «lo sono Jhwh» accentua l ' unicità di Dio: «lo sono Jhwh (o lo sono Colui) e non ce n ' è altri», per esempio, nel De utero­ Isaia, come pure in Os 1 3 ,4 e Gl 2,27 . L' ebraico 'Io Jhwh ' o 'Io Colui ' è tradotto nell ' AT greco semplicemente come ' Io sono' (egÒ e imi); poiché il predicato non è espresso, questa tradu zione pone un grosso accento sul l ' esi stenza. C ' è anche una prova che l ' uso di 'egÒ eimf nel greco del Deutero-lsaia viene ad essere compreso non solo come un' affermazione di unicità divina e di esistenza, ma anche come un nome divino. Il testo ebraico di fs 43,25 leg­ ge: «lo, lo sono Colui che cancella le vostre trasgressioni». Il testo greco traduce la prima parte di quest' affermazione usando 'egÒ e imi" due volte. Questo può significare: «lo sono Colui, lo sono Colui che cancella le vostre trasgressioni»; ma può anche essere interpretato così: «lo sono "IO SONO' che cancella le vostre trasgressioni», una traduzione che fa di � eg Ò eimf un

no immediatamente terra; nel secondo esempio deriva dal fatto che quelli, sentendo la risposta di Gesù, cadono a terra all'indietro. Entrambi, dunque, sarebbero esempi di una teofania o apparizio­ ne divina di uno che, come il Dio d'Israele, è padrone delle tempeste e del mare, e davanti al cui nome ogni ginocchio deve piegarsi. 203 Benché alcuni studiosi abbiano suggerito per la formula giovannea uno sfondo nell' uso reli­ gioso pagano (nelle formule magiche di Iside, nel Corpus Hermeticum, negli scritti dei Mandei e nella liturgia di Mitra), resta difficile trovare paralleli a quest'uso assoluto. Per esempio, i testi magici in cui si legge semplicemente: «Io sono ... )), non costituiscono esempi di un uso assoluto, poiché doveva essere fornito un nome da chi utilizzava il testo.

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Le cristologie del N. T.

nome. Js 5 1 , 1 2 è simile. Il testo ebraico di Js 52,6 afferma: «Il mio popolo conoscerà il mio nome, in quel giorno (essi conosceranno) che Io sono Colui che parla»; ma il testo greco può essere letto: «che 'eg o eimt è colui che parla», in modo che «IO SONO» diventa il nome divino, che dovrà essere conosciuto nel giorno del S ignore. Su questo sfondo, l ' uso assoluto di 'IO SONO' da parte del Gesù giovan­ neo diventa abbastanza intellegibile; egli sta parlando nello stesso modo in cui Jhwh parla nel Deutero-Isaia204• Per esempio, in Gv 8,28 Gesù promette che, quando il Figlio dell' Uomo sarà innalzato (ritornando al Padre}, «allora saprete che egÒ eimf»; in ls 43, l O Jhwh ha scelto Israele perché «tu possa conoscermi e credere in me e comprendere ego eimi» . L' uso giovanneo assoluto di 'IO SONO' ha l ' effetto di presentare Gesù come divino, con una (pre )esistenza proporzionata alla sua identità, proprio come l ' AT greco com­ prendeva il Dio d' Israele205• Gv non ha inventato quest' uso per Gesù ; nei sinottici vi sono esempi vicini all ' uso assoluto di 'ego eimt , anche se si può sostenere che sia pre­ supposto un predicato. Per esempio in Mt 1 4,27 (Mc 6,50) ; mentre Gesù si avvicina camminando sull ' acqua, dice ai di scepoli che sono sulla barca: «egò eim{, non abbiate paura» . Questo è lo stesso uso che abbiamo visto in Gv 6,20 (nota 202). Che in questa scena Mt intenda più che un semplice «Eccomi» è suggerito dalla professione di fede pronunciata dai di scepoli (Mt l 4,33): «Veramente tu sei il Figlio di Dio ! » . O, ancora, quando parlan­ do dei segni degli ultimi giorni, Gesù mette in guardia: «Verranno molti nel mio nome, dicendo 'eg Ò e imi" » (Mc 1 3 ,6; Le 2 1 ,8). Il contesto non suggeri­ sce chiaramente un predicato (anche se Mt 24,5 ne dà uno: «lo sono il Mes­ sia») e la giustapposizione di 'eg o eimf e «mio nome» ci porta vicino all ' uso giovanneo. Così l ' uso assoluto di 'IO SONO' in Gv, più che una creazione dal nulla, può essere l ' elaborazione di un uso registrato in una

204 Ci sono molti riferimenti giovannei al nome divino che Gesù porta. Nel suo ministero Gesù ha reso noto e rivelato il nome del Padre ai suoi discepol i ( 1 7,6.26). Egli è venuto nel nome del Padre (5,43) e ha compiuto le sue opere nel nome del Padre ( 1 0,25); di fatto, egli dice che il Padre gli ha dato il nome ( 1 7, 1 1 . 1 2). Il grande peccato è rifiutare di credere nel nome de li 'unico Figlio di Dio (3, 1 8). In A t e in Paolo (per esempio, Fil 2,9- 1 1 ) il nome dato a Gesù, di fronte al quale deve piegarsi ogni ginocchio, è kjrios o 'Signore' - il termine usato nella LXX per tradurre ' JH W H ' o 'A donai' . È possibile che Gv consideri 'egb eimi" come il nome divino dato a Gesù. 205 Se comprendiamo •Jhwh' come derivato da una forma causativa (cfr. F. M. CROSS, JR., in Harvard Theological Review 55 [ 1 962] 225-259), il testo ebraico di Es 3 , 1 4 legge: « 'lo sono che causo l'essere' mi ha mandato a voi», o, forse più originariament� in terza persona: «Colui che causa l'essere». Ma il testo greco legge: «>. Natural­ mente quest' argomento è indebolito dal fatto che Gesù sta citando Sa/ 22, 1 , usando così una forma convenzionale di appello. Comunque una spiegazione di questo tipo non è possibile per l' uso simile di «mio Dio» fatto da Gesù in Gv 20, 1 7 : «Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» 245 •

243 La frase cruciale (ei m è héis ho the6s) si può tradurre anche: « ... se non l ' unico Dio».

244 Mi occuperò di tutti i passi che usano 'Dio' per Gesù a livello redazionale degli autori del

NT. Non sono interessato, al momento, a stabilire se si tratti di ipsissima verba di Gesù o se Gesù

possa aver usato il termine 'Dio' riferendolo a se stesso. 24 5 Respingo l'opinione che in questo passo Gesù stia facendo un' accurata (e teologica) distin­ zione tra la sua relazione al Padre e la relazione dei suoi discepoli al Padre, cioè tra la sua naturale filiazione e Ja loro più larga filiazione/adozione, ottenuta mediante il battesimo. Questo passo va interpretato sullo sfondo della teologia giovannea: l ' ascensione, di cui Gesù sta parlando in 20, 1 7 , condurrà a quel dono dello Spirito (20,22; anche 7,38-39) che rigenererà i suoi discepoli dall' alto (3,3) e li renderà figli di Dio ( l , 1 2). Così il Padre di Gesù diverrà il Padre dei discepoli ed essi diverranno fratelli (e sorelle) di Gesù. Da notare che il messaggio di 20, 1 7 deve essere riferito ai suoi 'fratell i ' . Come in Rut l , 1 6, il significato è: «Il mio Dio che è ora il tuo Dio» (BGJ 2, l O 1 61 0 1 7).

Terza appendice

3. Ef l , 1 7 : «II Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria» (cfr. pure 2 Cor 1 ,3 ; l Pt 1 ,3). In Ef 1 ,3 sentiamo parlare del «Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo», ma 1 , 1 7, per il suo carattere improvviso, produce un' impres­ sione ancora più forte. Proprio come nei precedenti esempi tratti dai vangeli, in cui Gesù parla di 'mio Dio ' , questi esempi, tratti dalle epistole, rendono difficile pensa­ re che l' autore designasse Gesù come Dio. 4. Ci sono parecchi passi che, per mezzo di giustapposizione immediata, sembra­ no distinguere tra Dio e Gesù Cristo. Eccone una campionatura. • Gv 1 7, 3 : «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l ' unico vero [o reale: a lethi n6n] Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo». • l Cor 8,6: «Per noi c ' è un solo Dio, il Padre, dal q uale sono tutte le cose e per il quale esistiamo, e un solo Signore, Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose e per mezzo del quale esistiamo». • Ef 4,4-6 distingue tra « ... un solo Spirito ... un solo Signore ... un solo Dio e Padre di tutti noi». In l Cor 1 2,4-6, si fa una distinzione simile: « . . . lo stesso Spirito . . . l o stesso Signore . . . l o stesso Dio»; cfr. pure 2 Cor 1 3 , 14. • l Tm 2,5 : «Infatti c'è un solo Dio, e c ' è un solo mediatore tra Dio e gli uomini [anthrdpoi], l' uomo [anthrdpos] Cristo Gesù» . Questi passi associano strettamente Gesù, il Signore, a Dio, il Padre ( e talvolta anche allo Spirito); perciò sono molto utili nella discussione dell' atteggiamento del NT nei confronti della divinità di Gesù, nonché delle radici neotestamentarie del la successiva dottrina della Trinità. Comunque, per i nostri scopi, essi mostrano che, mentre Gesù era associato a Dio ed era chiamato Signore o mediatore, c 'era una forte tendenza a riservare il titolo 'Dio' al Padre, che è l' unico vero Dio. 5 . Tangenzialmente correlati alla nostra discussione sono alcuni passi che sem­ brano affermare che Gesù sia inferiore a Dio o al Padre 246 . L' esegesi di questi passi riguardava alcuni capitoli di questo libro, dove abbiamo analizzato l' atteggiamento di Gesù e quello dei cristiani del NT nei confronti della sua divinità, ma essi non implicano di rettamente l ' uso del titolo 'Dio ' . Ciò nonostante è bene almeno elen­ carli per richiamarl i alla mente. • Gv 14,28: «Il Padre è più grande di me)), Questo è il terzo testo giovanneo che abbiamo menzionato nella presente appendice. Il fatto che vi siano passi giovan­ nei che non favoriscono l ' applicazione del termine 'Dio' a Gesù servirà a contro­ bilanciare l' enfasi che il quarto vangelo pone su tale applicazione con alcuni chiari esempi. • Mc 1 3,32: «Quanto a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre)) (cfr. pp. 57-58, supra). ­

246 È superfluo dire, per coloro che credono in Nicea e Calcedonia, che questi passi saranno spiegati in modo da non rinnegare la verità che dal l ' eternità il Figlio è uguale al Padre e che dal primo momento della sua incarnazione Gesù era vero Dio e vero uomo. Gli autori del NT non pos­ sono aver formulato le loro affermazioni con una sensibilità attenta ai futuri dibattiti e alle fonnule conciliari.

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Fil 2,5- l 0 : «Cristo Gesù, i l quale pur essendo i n forma/immagine (morphi) di Dio, non considerò la sua uguaglianza con Dio un possesso da custodire gelosa­ mente, ma svuotò se stesso assumendo la forma di servo . . . . Per questo Dio lo ha molto esaltato e gli ha dato il nome che è sopra ogni nome ... così che ogni lin­ gua confessi che Gesù è Signore, a gloria di Dio Padre» 247 • · · l Cor 1 5 ,24 parla del Cristo trionfante della seconda venuta, che consegnerà il regno a Dio Padre. In 1 5,28 Paolo continua: « Anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti». Alcuni han­ no suggerito che Paolo stia parlando del Figlio nel suo ruolo di capo della chiesa; in ogni caso, 'Dio' è riservato, come titolo, a Colui al quale il Figlio è sottomesso. •

(B) Passi in cui è dubbio l'uso del titolo 'Dio' per Gesù I dubbi circa questi testi nascono da due fattori: la presenza di varianti testuali e problemi di sintassi. PASSI CHE CONTENGONO VARIANTI TESTUALJ 248

6. Gal 2 ,20 : «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me, e ora questa vita nella carne io la vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stes­ so per me». Ho messo in corsivo le parole cruciali, dove alcuni importanti testimoni del NT greco leggono: «Dio e Cristo» 249 • Ci sono due modi di tradurre questa

247 Come abbiamo visto (cfr. pp. 1 34- 1 35) ad alcuni questo linguaggio suggerisce un paralleli­ smo tra Adamo e Gesù: entrambi sono immagine di Dio, senza che né l' uno né l ' altro siano ancora uguali a Dio; mentre l'uno aspira ardentemente, ma senza successo al l' uguaglianza, l ' altro accetta l'umiliazione, la condizione di servo, con il risultato di essere elevato e di ricevere il nome divino. Per molti studiosi il linguaggio suggerisce che Gesù, essendo in partenza uguale a Dio, non ha considerato questa condizione un possesso da custodire gelosamente, ma si è svuotato (una kénosis svuotamento ), assumendo la forma di servo. Si dovrebbe inoltre notare che nell' esaltazione, descritta alla fine di questo passo innico, il nome dato a Gesù non è ' Dio', ma ' Signore ' . Il 'Dio' che ha esaltato Gesù e gli ha dato i l nome è Dio Padre. 248 Mi interesserò solo di quelli che ritengo abbiano qualche rilevanza, ignorando per esempio, l Tm 3, 1 6, dove alcune testimonianze più tardive hanno un riferimento a Dio manifestato nella carne, invece di un riferimento pronominale a Gesù. L' attestazione di una tale lettura non è abba­ stanza forte per autorizzarne una seria presa in considerazione. 249 J>4\ il codice Vaticano e (la mano originale di) Beza. MTC 593 spiega che questa ed altre varianti possono essere sorte dalla erronea lettura dell'espressione «il Figlio di Dio» da parte di un amanuense. =

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vari ante: «fede in Dio e in Cristo, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» oppure « fede in Dio Cristo, ecc . » . Soltanto nella seconda traduzione di questa variante ' Dio' è usato come un titolo per Gesù. In generale le edizioni critiche del NT greco preferiscono la lettura «Fig1 io di Dio» alla variante, ma, in parte, questo può accadere perché gli editori considerano 'Figlio di Dio' una lettura meno evoluta da un punto di vista teologico e quindi più originale. L' espressione «Dio e Cristo» non si trova mai altrove negli scritti pao1 ini e così è sospetta; neppure è chiaro per­ ché, se fosse originale, un copista l ' avrebbe cambiata in «il Figlio di Dio». Per tali motivi questo testo non dovrebbe essere considerato tra quei passi che chiamano Gesù Dio. 7. A t 20,28: «Lo Spirito Santo vi ha posto come vescovi a pascere la chiesa di Dio che egli si è acquistata con il suo sangue». Ci sono due problemi riguardanti le parole in corsivo: uno concerne una lezione vari ante («la chiesa del Si gnore»), l' altro concerne la comprensione grammaticale . Quanto alla lezione variante, «la chiesa di Dio» è lievemente meglio attestata rispetto a «la chiesa del Signore» 250 • Inoltre, la motivazione per cui dei copisti posteriori potrebbero aver cambiato una lezione originale «la chiesa di Dio» in «la chiesa del Signore>> è in certa misura più forte che per un cambio nella direzione opposta 25 1 • Complessivamente, dunque, il peso degli argomenti favorisce «la chiesa di Dio» come più originale. Grammaticalmente questa lettura crea la possibilità che il passo si riferisca a Gesù come Dio, il quale acqui stò la chiesa «con il suo proprio sangue » . C ' è comunque un' altra possibilità: probabilmente «Dio» si riferisce a l ' Padre' e «il suo proprio» si riferisce al 'Figlio' : «la chiesa di Dio (Padre) che Egli acqui stò con il sangue del Suo proprio (Figlio)». Parecchi sostengono quest'interpretazio­ ne o una alternativa: «la chiesa di Dio che egli (Cristo) acquistò con il suo proprio sangue», ponendo un inespresso cambio di soggetto. E così, anche se leggiamo «la chiesa di Dio», non siamo assolutamente certi che questo versetto chiami Gesù 'Dio ' . 8 . G v 1 , 1 8: «Nessuno ha mai visto Dio; egli è l 'unico Dio/Figlio/Che, sempre alla destra del Padre, che Lo ha rivelato» . Le testimonianze testuali non concordano nella lettura greca segnalata con il corsivo. Ci sono tre lezioni principal i, tutte riferi­ te a Gesù, che lo descrivono però in modo differente:

250 La prima è sostenuta dai codici Vaticano, S inaitico e dalla Vulgata; la seconda dai codici Alessandrino, Beza e da alcune versioni minori. La lettura bizantina, «la chiesa del Signore e di Dio», rappresenta una conflazione delle due, dovuta ad un amanuense. 25 1 Benché l 'espressione «la chiesa de l Signore» ricorra sette volte ne li' AT greco, non si trova altrove nel NT, mentre «la chiesa di Dio» ricorre undici volte nelle lettere attribuite a Paolo; qui perciò i copisti del NT potrebbero aver cambiato un testo originale molto inconsueto, «la chiesa del Signore», ne11'espressione più usuale. D' altra parte, «la chiesa di Dio» può aver sconcertato i copisti del NT, così da ritenerla discutibile in quanto il seguito sembrerebbe parlare del sangue di Dio; conseguentemente potrebbero aver cambiato la frase riferendola al «Signore (Gesù)».

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(a) «l' unico Dio», in cui l ' aggettivo ' unico' (monogenis252 ) modifica 'Dio' (the6s). Questa variante ha un maggiore supporto testuale 253 . L'espressione non ricorre in alcun altro luogo in Gv, ma proprio per questa ragione nessun copista può verosi­ milmente averla introdotta in luogo di una descrizione originale più familiare. Poiché essa chiama Gesù 'Dio' , alcuni esegeti sospettano che sia sviluppata in modo troppo alto dal punto di vista teologico per essere primitiva; vedremo però che altrove, in Gv, Gesù è chiaramente chiamato Dio. Forse la sola vera obiezio­ ne alla lezione è la stranezza dell' affermazione che Dio rivela Dio e che solo Dio ha vi sto Dio; questa stranezza scompare, se si comprende che, per Gv, Gesù è il Figlio divino che rivela o vede il Padre divino. (b) «l' unico Figlio», dove la parola usata per ' Figlio' (hyi6s) appare invece della parola «Dio» 254 • Tre degli altri quattro usi di «unico» (monogenis), negli scritti giovannei (Gv 3, 1 6. 1 8; l Gv 4,9), sono combinati con ' Figlio' ; di conseguenza la comparsa della combinazione può essere qui il riflesso di una tendenza del copi­ sta ad armonizzare. (c) «l' unico Che)) (monogenis senza un nome vicino): una variante dipendente dal sostegno patristico 255 • In ragione del contesto, deve riferirsi al Figlio. Alcuni stu­ diosi l ' hanno preferita come lezione originale; le due lezioni precedenti ne rap­ presenterebbero un' espansione e una chiarificazione. Comunque, la completa mancanza di attestazione in copie greche del vangelo la rende molto sospetta. Quando si tratta di citazioni patristiche del vangelo non si è mai certi se i Padri, per ragione di brevità, stiano citando solo le parole essenziali di un passo. Complessivamente, c'è una buona ragione per accettare la lezione (a) come origina­ le e, secondo Harris (Jesus, 83) questa è la prospettiva della maggioranza degli stu­ diosi. Questa lezione chiama Gesù 'Dio' 256 •

25 2 Questo aggettivo significa letteralmente: «uno di un tipo, unico» (lat.: unicus). Girolamo lo traduce unigenitus, 'unico-generato' , probabilmente con una spinta apologetica contro la cristolo­ gia ariana. Cfr. D. Mooov, in Journal of Biblica[ Literature 72 ( 1 953) 2 1 3-2 19. 253 Questa lettura è sostenuta dalla testimonianza dei migliori manoscritti greci (compresi anche i papiri Bodmer del 200 d.C. circa), dalla siriaca, da lreneo, da Clemente di Alessandria e da Ori­ gene. 254 Questa variante è sostenuta da alcune antiche versioni (latina, siriaca, curetoniana), dal codi­ ce Alessandrino e da diversi manoscritti greci posteriori, da Atanasio, da Crisostomo e da molti . Padri latini. 255 M.-E. BoiSMARD, St. John 's Prologue, Newmann, Westminster 1 957, 66, la preferisce, citan­ do a sostegno Taziano, Origene (una volta), Epifanie e Cirillo di Gerusalemme. Il suo più recente scritto in francese sembra comunque indicare un sostegno per la variante (b). 25 6 Ci sono differenti modi di formulare la traduzione di monogen ès theos, in dipendenza dal fatto di costruire 1' espressione come aggetti vo + sostanti v o («Un i [genito] Dio»), o come sostanti vp + sostantivo («Dio il solo Figlio» o «l' Uni-genito che è Dio»).

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Terza ap�ndice

PASSI LA CUI L' OSCURITÀ DIPENDE DALLA SINTASSI

9. Col 2,2-3: « ... la piena intelligenza per la conoscenza del mistero di Dio, Cri­ sto, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» . Ci sono diverse interpretazioni possibi li del testo in corsivo 257 , che in greco consta di tre parole al genitivo (l'articolo definito, «Dio» e «Cristo»): (a) «Cristo» è in funzione di apposizione a «Dio», o almeno dipendente da «Dio»; poiché non c'è l ' articolo prima di «Cristo», i due nomi sono uniti : «la conoscen­ za de] m i s tero del D i o Cri sto» . Quest' interpretazione chiama Gesù 'Di o ' . Comunque nel NT non c ' è u n altro caso in cui ricorra la formula «il Dio CristO>> . (b ) Il genitivo «Cristo» qualifica «Dio» possessivamente: «la conoscenza del miste­ . ro del Dio di Cristo». Grammaticalmente questa soluzione non presenta diffi­ coltà, ed abbiamo visto (supra 3) che Ef 1 , 1 7 parla del «Dio del nostro Signore Gesù Cristo>> ; cfr. pure Col l ,3. (c) «Cristo» è il contenuto del mistero: «la conoscenza del mistero di Dio che è Cri­ sto» 25 8 . È un modo inelegante, per l ' autore, di formulare un tale concetto (si può comparare con il testo più chiaro di Col l ,24.27 o di l Cor 3 , 1 1 ) . La difficoltà grammaticale non è comunque insuperabile e quest'i nterpretazione si adatta bene al concetto paolino di 'mistero' 259 . Sia come sia, le interpretazioni (b) e (c) sono chiaramente preferibili aH ' interpreta­ zione (a) e dunque questo testo non è di quelli che si possono utilizzare nella nostra discussione . l O. 2 Ts l , 1 2 : la frase conclusiva dice letteralmente: « secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo». Ci sono due possibili interpretazioni dei genitivi greci : (a) «la grazia del nostro Dio-e-Signore Gesù Cristo»; (b) «la grazia del nostro Dio e del S ignore Gesù Cristo». La prima interpretazione, che dà a Gesù il titolo ' Dio ' , è preferita per l ' assenza in greco di un articolo prima di «Signore»; ciò crea l ' impressione che i due genitivi siano legati insieme e retti dall' unico articolo che precede «Dio». Ancora, l ' esatta combinazione in tre parole, «Dio e Signore», non si trova altrove nella Bibbia in riferimento ad una persona e, probabilmente, «Signore Gesù Cristo» era una formu­ la così comune che poteva essere pensata come un' entità autonoma ed essere usata senza l ' articolo. La seconda interpretazione è favorita dal fatto che la locuzione pro­ nominale «di noi » (= «nostro») separa i due titol i ; come vedremo (infra analizzando 2 Pt l , l ) questo non è un argomento decisivo. L' argomento più consistente, per la seconda interpretazione, è che «nostro Dio» ricorre quattro volte in l Ts e 2 Ts

257 In aggiunta ci sono delle varianti testuali. dal momento che i copisti tentavano di chiarire il testo.

25 8 Questa lezione si trova nel codice greco di Beza, che in realtà offre un'interpretazione primi­

tiva.

259 Cfr. R. E. BROWN, The Semitic Background ofthe NT Mystérion, in Biblica 40 ( 1 959) 72.

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come un titolo per Dio Padre. Per analogia, nel passo in questione quindi «nostro Dio» dovrebbe essere distinto da «(il) Signore Gesù Cristo» 260 , come la maggior parte dei commentatori riconosce. Così questo testo non può essere considerato un esempio dell ' uso del titolo ·Dio' per Gesù . 1 1 . Tt 2, 1 3 : « . . . la manifestazione della gloria de(l) grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo». Sono possibili tre interpretazioni delle parole in corsivo: (a) «la gloria del grande Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo». Quest' interpreta­ zione, che separa chiaramente. «il grande Dio» e «nostro Salvatore Gesù Cristo», in realtà non è favorita dal greco, che lega insieme le tre parole «Dio e Salvato­ re». Ancora una volta, si può sostenere che «nostro Salvatore Gesù Cristo» fosse una formula di confessione tanto comune da poter automaticamente essere pen­ sata come un· entità separata da ' Dio' . Comunque l ' argomento è meno convin­ cente qui di quanto lo fosse in l O, poiché in 2 Ts l , 1 2 la collocazione di «di noi» separa i due nomi. Inoltre la separazione proposta in quest' interpretazione di Tt 2, 1 3 significa che l' autore sta parlando di una doppia futura apparizione gloriosa, una di Dio e l' altra del Salvatore Gesù Cristo. Non c'è nessuna reale testimonian­ za nel NT per una doppia epifania. (b) «la gloria del nostro grande Dio-e-Salvatore, la quale (gloria) è Gesù Cristo». Quest ' interpretazione segue il greco nell' intendere insieme «Dio e Salvatore», ma applica il titolo composto al Padre. Gesù Cristo (grammaticalmente in appo­ sizione a > si riferisce a Dio Padre e non a Gesù Cristo. Possiamo apprendere qualcosa dall' altro predicato in questa seconda frase di � Gv 5,20, cioè «vita eterna»? Due volte nel quarto van­ gelo Gesù parla di se stesso come della 'vita' ( 1 1 ,25 ; 1 4,6), mentre mai il Padre è chiamato così . Eppure Gv 6,57 parla del «Padre vivente» e chiarisce che il Padre è la fonte della vita del Figlio. Così sembra probabile che, nella terminologia giovan­ nea, sia il Padre che il Figlio pos sono essere designati come 'vita' , come pure entrambi sono designati come ' luce' (l Gv 1 ,5 ; Gv 8, 1 2; da notare che è la lettera a chiamare il Padre luce, mentre il vangelo chiama luce Gesù). Può darsi, comunque, che il predicato «Vita eterna» renda preferibile ritenere Gesù Cristo il soggetto della frase che stiamo discutendo; infatti otto versetti prima (5, 1 2 ) l ' autore della lettera affermava: «Chi ha il Figlio ha la vita» . Inoltre, poiché la prima frase di l Gv 5,20 termina con la dimora dei cristiani in Dio Padre, viene evitata una tautologia, se la seconda frase termina mettendo i cristiani in relazione a Gesù. Considerando tutti i fattori la probabilità sembra favorire la tesi che l Gv 5,20 chiami Gesù "Dio' - un uso non anormale nella letteratura giovannea. 14. 2 Pt l , l : «A quelli che hanno ottenuto una fede di valore uguale alla nostra per la giustizia del Dio nostro e Salvatore Gesù Cristo>>. Le parole in corsivo pre­ sentano lo stesso problema grammaticale che abbiamo vi sto in 2 Ts l , 1 2 ( l O, supra), dove tra le due possibilità, «la grazia del nostro Dio-e-Signore Gesù Cristo» e «la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo», preferivo la seconda, una lettura che di stingue tra Dio (il Padre) e Gesù Cri sto, sulla base dell ' uso che si riscontra nel resto di 2 Ts. Qui dobbiamo preferire «la giustizia del nostro Dio-e­ Salvatore Gesù Cristo» (una persona) o «la giustizia del nostro Dio e del Salvatore Gesù Cristo»? La presenza di un solo articolo determinativo favorisce la prima pos­ sibilità� la posizione di «nostro» favorisce la seconda; nessuno dei due argomenti è veramente convincente. Se si considera l' uso nel resto della 2 Pt, la frase in l ,2 «nella conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro» favorisce una distinzione di persone; da notare comunque che c'è una differente disposizione delle parole. Una costruzione parallela, più vicina e più frequente, con un titolo composto per Gesù, è presentata in l , 1 1 : «nel regno eterno del Signore nostro e Salvatore Gesù Cri sto» (= «Signore-e-Salvatore»; cfr. pure 2,20; 3, 1 8 ); essa suggerisce che l ' autore, molto probabilmente, intendeva applicare a Gesù Cristo entrambi i titoli, 'Dio' e 'Salvato­ re ' . Questo passo potrebbe quasi essere classificato nella prossima sezione, tra i testi che chiaramente chiamano Gesù Dio266 •

266 HARRIS, Jesus, cit., 238, dà un elenco di nomi, mostrando che questo è di gran lunga il punto di vista della maggioranza degli studiosi.

* * *

La seconda divisione principale (B) ha trattato passi in cui l ' uso del titolo 'Dio' per Gesù è dubbio, proprio per valutare quanto dubbi essi fossero e se qualcuno offrisse un probabile supporto per riconoscere che il titolo fosse effettivamente uti­ lizzato. Nove testi (6- 1 4 ) sono stati considerati sotto due punti. Sotto il primo, «Passi che contengono varianti testuali», Gal 2,20 ed A t 20,28 sono stati considera­ ti molto dubbi, mentre Gv l , 1 8 è stato giudicato un caso molto probabile in cui Gesù è chiamato Dio. Sotto il secondo punto, «Passi la cui l 'oscurità dipende dalla sintassi», Co/ 2,2-3 e 2 Ts 1 , 1 2 sono stati ritenuti molto dubbi, mentre Tt 2, 1 3 ; Rm 9,5 ; l Gv 5,20 e 2 Pt 1 , 1 sono stati giudicati casi in cui, in ordine ascendente, si ha una crescente probabilità che Gesù sia chiamato Dio. Così, cinque (8, 1 1 , 1 2, 1 3 , 14) dei nove casi devono essere seriamente considerati nella nostra discussione. Qui viene a proposito una notazione metodologica. Talvolta questi cinque esempi sono respinti dagli studiosi, nonostante gli argomenti grammaticali a loro favore, sulla base del fatto che l' uso di 'Dio' per Gesù è raro nel NT e dunque sempre da consi­ derare improbabile 267 • Comunque la rarità dell' uso, ad un certo livello, non dipende dal fatto che questi esempi vengono respinti? Se questi cinque casi vengono uniti ai tre che citeremo nella sezione seguente, allora l ' uso non è così raro.

(C) Passi in cui Gesù è chiaramente chiamato 'Dio' Avendo presente che ci sono diversi passi nel NT che implicano la divinità di Gesù 2 68 , limitiamo la nostra attenzione a tre testi che esplicitamente usano 'Dio' (the6s) per Gesù. 1 5 . Eb 1 ,8-9: utilizzando le parole di Sa/ 45 ,7-8 l ' autore dice che Dio ha chiama­ to Gesù Suo Figlio: «8Il tuo trono, o Dio, sta in eterno, e lo scettro di giustizia è lo scettro del tuo [suo] regno. 9Hai amato la giustizia e hai odiato l' iniquità; perciò (o) Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di esultanza . . » . Il salmo è citato in Eb secondo la .

267 W AINWRIGHT, Confession, cit., 277, stabilisce due punti, che vale la pena di ripetere. Primo: «molti critici hanno scelto una traduzione meno naturale del greco, perché credono che fosse psi­ cologicamente impossibile per lo scrittore aver detto che Cristo era Dio». Secondo: l 'argomento dell ' incoerenza dell' uso (vale a dire: lo scrittore non chiama altrove Gesù Dio) deve essere usato con cautela, perché non siamo certi che lo scrittore vedesse un'incoerenza nell' uso solo occasiona­ le di un titolo. 2 68 Oltre quelli citati nella nota 276, possiamo menzionare Gv l 0,30: «lo e il Padre siamo una cosa sola>>; Gv 1 4,9: «Chi ha visto me ha visto il Padre»; e l' uso assoluto di 'IO SONO' (egÒ eim{) in Gv 8,24.28.58; 1 3 , 1 9.

1 82 Settanta, l a traduzione greca dell ' AT269 • La prima questione che dobbiamo porci è se 'Dio' (ho the6s) nel v. 8 debba essere reso come un vocativo (come io l ' ho tra­ dotto) o come un nominativo. Pochi studiosi, tra i quali B . F. Westcott, J. Moffatt e E. J. Goodspeed, hanno optato per la seconda possibilità, suggerendo l ' interpreta­ zione: «Dio è il tuo trono in eterno». Questa eventual ità viene respinta dalla stra­ grande maggioranza degli studiosi, per varie ragioni. Se si trattasse di un nominati­ vo, dovrebbe esserci un ordine differente nelle parole, con «Dio» prima di «trono». Nel versetto precedente del salmo, nella Settanta leggiamo: «Le tue frecce, o Onni­ potente, sono acute»; la legge del parallelismo indicherebbe che il versetto successi­ vo dovrebbe essere letto: «Il tuo trono, o Dio, è in eterno>>. Inoltre, il parallelismo con la più vicina riga del salmo, nel v. 8, secondo il testo ebraico («e lo scettro di giustizia è . . . ») suggerisce che, nella riga in considerazione, il soggetto non è «Dio» ma «trono» («Il tuo trono è»). Possono esserci dunque pochi dubbi che la traduzio­ ne del v. 8 che ho offerto sia quella corretta. Cull mann ( Christology, 3 1 O) afferma che «Eb inequivocabilmente applica il titolo ' Dio' a Gesù»: si tratta di una valuta­ zione corretta della testimonianza del v. 8 270 • V . Taylor ammette che nel v. 8 l' espressione «0 Dio>> è un vocativo rivolto a Gesù, ma dice che l' autore di Eb intendeva semplicemente citare il salmo ed usare la sua terminologia, senza alcuna deliberata intenzione di suggerire che Gesù fosse Dio 27 1 • È vero che lo scopo principale della citazione del salmo è confrontare il Figlio con gli angeli e mostrare che il Figlio gode di un dominio eterno, mentre gli angeli sono soltanto dei servitori. Dunque nella citazione non veniva considerato con maggiore rilievo il fatto che il Figlio potesse essere chiamato Dio. Non possia­ mo però presumere che l ' autore non abbia notato che la sua citazione aveva quest' effetto e, quanto meno, sicuramente non ha vi sto niente di sbagl iato in quest' appel lativo. Di fatto chiamare Gesù 'Dio' sottolinea la sua grandezza rispetto a quella degli angeli. Il quadro ha come complemento la situazione simile in Eb 1 , 10, dove l ' applicazione al Figlio del Sal 1 02,26-28 ha l'effetto di ri volgersi a Gesù come Signore. Naturalmente non possiamo essere certi di cosa la formula «0 Dio» del salmo significasse per l ' autore di Eh quando l 'ha applicata a Gesù. Il Sal

269 In effetti, la lettura della Settanta è un fraintendimento del testo ebraico (masoretico) del sal­ mo, ma questo è un problema per l' esegesi del salmo e non riguarda il significato della citazione in Eb. 270 Probabilmente anche Eb 1 ,9 si riferisce a Gesù come a Dio. Tuttavia per tale passo gli stu­ diosi sono più U f! iformemente divisi nello stabilire se il primo 'Dio' che precede 'tuo Dio' sia da rendere come un vocativo, così: «O Dio [= Gesù] , il tuo Dio [= i l Padre] ti ha unto»; oppure come un nominativo in funzione di apposizione, così: «Dio, il tuo Dio ti ha unto». Nell ' u ltima interpreta­ zione «Dio, il tuo Dio» è il Padre. 27 1 Does, cit., 1 1 7. Il tipo di argomento proposto da Taylor non è implausibile. Per esempio, Mt 1 ,23 cita fs 7, 1 4, in relazione alla nascita di Gesù: « . . . sarà chiamato Emmanuele (che significa 'Dio con noi ' )». Non possiamo essere certi del fatto che, poiché ha usato questa citazione, l'evan­ gelista intendesse 'Dio con noi' alla lettera e volesse chiamare Gesù Dio.

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45 è un salmo regale e per analogia con il «Potente Dio)) di /s 9,5(6) 272 , 'Dio' può essere stato semplicemente considerato come un titolo regale e perciò applicabile a Gesù in quanto re Messia davidico. Più verosimilmente, comunque, l ' i ndirizzo veterotestamentario è stato messo a fuoco e specificato, nel suo uso neotestamenta­ rio, per identificare Gesù come divino. 1 6. Gv l, l : «In principio era la Parola; e la Parola era con (verso) Dio, e la Parola era Dio)>. È il primo versetto del prologo di Gv e la sua interpretazione è estremamente com­ plicata. Qui, ancor più che altrove, a causa della complessità dell' interpretazione rimando i lettori ai commentari e tento soltanto una spiegazione limitata all' essen­ ziale. N eli' ordine delle parole, in greco, la seconda riga ha come sua ultima parola «Dio» (= il Padre) con l'articolo determinativo (ho the6s), mentre la terza riga ha come sua prima parola «Dio)) (che è il predicato) senza articolo (theos). La posizio­ ne della parola the6s è, fino ad un certo punto, spiegabile con un 'parallelismo gra­ duale' in greco, dove l 'ultima parola di una riga è la prima parola della riga succes­ siva. La mancanza de) l ' articolo prima di the6s nella terza riga è più difficile. Alcuni la spiegano con la semplice regola grammaticale per cui i predicati che precedono il verbo generalmente non portano l ' articolo. Comunque, il carattere assoluto della regola è discutibile (cfr. HARRIS, Jesus, 30 1 -3 1 3) e non è una soluzione pacifica. Parte della spiegazione del perché l ' autore del prologo abbia scelto di usare «Dio» senza l ' articolo riferendosi alla Parola, mentre ha usato «Dio» con l'articolo riferendosi al Padre, è che egli desiderava mantenere la Parola distinta dal Padre. Anche se la Parola condivide qualcosa con il Padre, tanto da meritare di essere chia­ mata theos, la Parola (Gesù) non è il Padre, come risulterà chiaro attraverso tutto il vangelo. Questa differenza, suggerita dalla presenza del predicato «Dio)) senza articolo nella terza riga e di «Dio)> con l ' articolo nella seconda riga, può consistere nel fatto che la Parola è qualcosa di meno del Padre (cfr. Gv 1 4,28)? Alcuni rispondono affermativamente e traducono: «La Parola era divina» . Si tratta però di una posi­ zione troppo debole. Dopo tutto, in greco c'è un aggettivo per 'divino' (théios) che l' autore ha scelto di non usare. La New English Bible parafrasa: «Ciò che Dio era, la Parola era». Questo è certamente meglio di 'divino ' , ma si perde la stringatezza dello stile del prologo. Inoltre diversi fattori suggeriscono che non si dovrebbe col-

272 Questa è una traduzione letterale di ' El gibbor. Molti pensano che la lista di titoli in fs 9,5(6) fosse presa a prestito dai titoli tradizionali dei monarchi di altri paesi, specialmente del Faraone egiziano. In quanto usato fuori di Israele, il titolo può aver identificato il re con un dio; quando fu portato entro il monoteismo di Israele, comunque, il titolo applicato al re di Giuda Io ritrae come uno particolarmente favorito da Dio, per esempio «il divino potente» o «guerriero divino». Ciò nonostante il NT potrebbe usare questo linguaggio più letteralmente di Gesù. In Gv 1 0,34 abbiamo un caso in cui il riferimento ai giudici come 'dèi ' è interpretato come un riferimento alla divinità.

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Terza appendice

legare alla mancanza dell ' articolo l ' indicazione di essere qualcosa di meno. Questo primo versetto del prologo costituisce un' inclusione 273 con l' ultima riga del prolo­ go e là ( l , 1 8 � cfr. 8, supra) nelle testimonianze testuali meglio attestate, si parla della Parola come del «solo Dio». Per di più, all ' inizio del vangelo, il primo ver­ setto del prologo costituisce esso pure un' inclusione con la fine (origi nale) del vangelo 274 , dove, in 20,28, Tommaso chiama Gesù: «Mio Signore e mio Dio». Neppure il passo conclusivo di quest' inclusione ( 1 , 1 8; 20,28) suggerisce che nel pensiero giovanneo la Parola, in l , l , sia presentata come minore del Padre in senso pieno 275 . Ad un certo livello, chiamare Gesù Dio rappresenta per il quarto vangelo una risposta positiva alle accuse rivolte contro Gesù, in base alle quali egli, con arro ganza, si faceva Dio (Gv 1 0,33� 5 , 1 8). L' autore romano Plinio il Giovane (Epi­ stola l O, 96, 7) descrive i cristiani dell' Asia M i nore che cantavàno inni a Cristo come ad un Dio. Il prologo, un inno della comunità giovannea ad Efeso, corrispon­ de a questa descrizione. 17. Gv 20,28: la sera della domenica, una settimana dopo la Pasqua, Gesù appare a Tommaso e agli altri discepoli, provocando Tommaso a confessarlo come «mio Signore e mio Dio» . Questo è l' esempio più chiaro, nel NT, dell 'uso di 'Dio' per Gesù 276 • Qui Gesù è chiamato 'Dio' (un nominativo con l' articolo determinativo in funzione di vocativo). La scena è destinata a servire come punto culminante del vangelo: mentre Gesù risorto sta di fronte ai discepoli, almeno uno di loro esprime una fede adeguata in Gesù. Egli fa questo applicando a Gesù l' equivalente greco (Settanta) dei due termini riferiti al Dio dell' AT (/cyrios, 'Signore ' , per rendere JH WH, e the6s, 'Dio', per rendere 'Elohim). Il migliore esempio dell'uso veterote­ stamentario è in Sal 35,23, dove il salmi sta esclama: «Mio Dio e mio Signore». Può

273 L'inclusione 'racchiude' una sezione ripetendo alla fine di essa un' idea o una frase dell' ini­ zio.

274 Come la maggioranza degli studiosi, penso che quando il quarto vangelo fu scritto la prima volta, terminasse con il capitolo 20; successivamente in uno stadio finale del l ' edizione fu aggiunto il capitolo 2 1 . 275 Può essere bene, comunque, sottolineare ancora ciò che è stato affermato prima, precisamen­ te che neppure la confessione innica di esaltazione del prologo giovanneo, «La Parola era Dio», ha lo stesso contenuto ideologico che si trova nella confessione di Nicea, per cui il Figlio è 'Dio vero da Dio vero ' . Una problematica differente e un lungo sviluppo filosofico separano le due afferma­ zioni. 276 La pretesa di Teodoro di Mopsuestia, che Tommaso abbia pronunciato un'espressione di rin­ graziamento rivolta al Padre, trova oggi pochi sostenitori. Bultmann ( Christological, cit., 276) considera questo testo «l'unico passo in cui Gesù è indiscutibil mente designato o, più esattamente, chiamato Dio». Quest' affermazione è però esagerata perché non dà il giusto risalto alla probabilità, o meglio alla certezza, che Eb 1 .8 ; l Gv 5,20 e 2 Pt 1 , 1 si riferiscano a Gesù come a Dio. Inoltre. attira più attenzione di quanto sia giustificato su] fatto che 'Dio' è usato con l ' articolo in Gv 20.28 e senza articolo in Gv l , 1 . Come ho notato precedentemente, i due passi costituiscono un' inclusio­ ne e perciò dicono la stessa cosa. C. K. BARRETT, The Gospel according to John, Westminster, Philadelphia 1 9782, 573. avverte, a proposito di Gv 20,28 : «La differenza tra il presente versetto e 1 , 1 (dove theos è senza articolo) non può essere forzata».

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ben essere che l' uso cristiano di una tale formula confessionale fosse provocato dal­ la pretesa del l ' imperatore romano Domiziano al titolo 'Signore e Dio' (dominus et deus noster).

(D) Valutazione della testimonianza Alla domanda che appare nel titolo di quest' appendice si deve dare una risposta affermativa. Nel NT, in tre casi ragionevolmente chiari e in cinque probabili 277 , Gesù è chiamato 'Dio' . L' uso di 'Dio' per Gesù, attestato agli inizi del n secolo, era la continuazione di un uso iniziato ai tempi del NT. Non c ' è ragione di sorprendersi per questo. «Gesù è Signore» era evidentemente una formula confessionale popola­ re ai tempi del NT e in questa formula i cristiani davano a Gesù il titolo di kjrios, traduzione di JHWH278 nella Settanta. Se a Gesù può esser dato questo titolo, perché non potrebbe essere chiamato 'Dio' (theos), termine che la Settanta spesso usava per tradurre 'Elohim? I due termini ebraici sono diventati relativamente interscam­ biabili e in verità JHWH era il termine più sacro. Questo non significa che possiamo sostenere un punto di vista ingenuo circa lo svil uppo che ebbe luogo nell ' uso neotestamentario di ' Dio' per Gesù (né, per que­ sto aspetto, nello sviluppo graduale nel comprendere la divinità di Gesù 279 ). Gli otto casi di cui ci siamo occupati si trovano nei seguenti scritti del NT: Ro1nani, Ebrei, Tito, Giovanni, l Giovanni e 2 Pietro. Vediamo cosa significa ciò in termini di anti­ chità dell' uso del titolo. Gesù non è mai chiamato Dio nei vangeli sinottici e un passo come Mc 1 0, 1 8 sembrerebbe escludere la conservazione di una memoria che Gesù usasse questo

277

Il fatto di trascurare questi cinque casi è ciò che, secondo la mia opinione, rende la trattazio­ di Taylor e di Bultmann troppo pessimistica; per esempio Bultmann, Christology, cit., 276: «È solo con i Padri apostolici che comincia un riferimento libero, non ambiguo, a Gesù Cristo come a 'nostro Dio'». 27 8 Le più antiche e importanti copie conservate della Settanta furono opera di cristiani del rv e v secolo d.C. Non siamo certi della coerenza con cui copie precedenti ed altre traduzioni greche, circolanti ai tempi del NT, usavano lryrios per JHWH. Non voglio sostenere che tutte le occorrenze di 'cristologia elevata' di kyrios per Gesù nel NT riflettano consapevolmente una traduzione di 'JHWH ' ; tuttavia, in generale, gli autori del NT erano consci che a Gesù veniva dato un titolo che in greco era usato in riferimento al Dio d'Israele. 27 9 L'Istruzione della Pontificia Commissione Bibl ica del 1 964, w verità storica dei vangeli, sezione VIII, riconosce che solo dopo che Gesù risuscitò da morte la sua divinità fu chiaramente percepita [EB, 650]. Ciò non significa necessariamente che questa percezione fosse istantanea; essa richiese un lungo tempo per giungere a comprendere il mistero di Gesù e per dare ad esso una formulazione. La disputa ariana lo dimostra chiaramente; cfr. il capitolo decimo, supra. ne

titolo per se stesso. Neppure il quarto vangelo presenta Gesù nell' atto di dire speci­ ficamente che è Dio2 80 . I discorsi che gli At attribui scono agli inizi della missione cristiana non parlano di Gesù come Dio. Non c ' è qu indi ragione di pensare che Gesù fosse chiamato Dio nei più antichi strati del l a tradizione neotestamentaria. Questa conclusione negativa è confermata dal fatto che Paolo non usa questo titolo in alcuna epistola scritta prima del 58 d.C. La prima verosimile ricorrenza dell'uso di "Dio' per Gesù è in Rm 9,5 ; se potessimo essere certi della grammatica di questo passo, potremmo datare l' uso di Paolo alla fine degli anni cinquanta, ma anche allo­ ra non sapremmo se esso fosse diffuso. Cronologicamente, Eb 1 ,8-9 e Tt 2, 1 3 sarebbero i successivi esempi (e, se Rm 9,5 non è interpretato come riferito a Gesù, sarebbero i primi esempi). L'incertezza sulla data di composizione di queste lettere pone un problema. Eh non può essere datata molto prima della caduta di Gerusalemme e, probabiln1ente, andrebbe datata dopo di essa, forse negli anni ottanta. La data di Tt dipende dali' accettazione o no dell' autenticità paolina delle pastorali; un' alta percentuale di studiosi le considera postpaol ine, scritte tra 1'80 e il 1 20. Gli scritti giovannei ci offrono la più grande frequenza di esempi dell' uso del titolo (tre volte in Gv; una volta in l Gv) e sono generalmente datati tra il 90 e il 1 1 O. L' opinione comune degli esegeti contempora­ nei è che 2 Pt sia una delle ultime opere del NT. Se datiamo il periodo neotestamentario dal 30 al 1 30, in modo abbastanza chiaro l' uso di "Dio' per Gesù diventa frequentemente attestato solo nella seconda metà di questo periodo28 1 • Tale contesto cronologico è confermato dalla testimonianza delle

2 80 Più degli altri vangeli, Gv porta all' attenzione il 'problema Dio' nel ministero di Gesù (5. 1 8; 8,58-59; l 0,30-33). Ciò fa parte della tecnica giovannea di esprimere chiaramente la sfida che Gesù porta ai 'Giudei' e di rendere esplicito ciò che era implicito nel ministero di Gesù. Comun­ que Gv mostra una certa cautela con l' anacronismo; e anche in l 0,33-37, Gesù non risponde in maniera esplicitamente affermativa all ' accusa rivoltagli dai Giudei, cioè di farsi Dio. Queste dispute devono essere comprese sullo sfondo del tempo proprio dell' evangelista e dei dibattiti in certe sinagoghe, tra gli anni sessanta e gli anni novanta, su ciò che i cristiani sostenevano in riferi­ mento a Gesù. Gv 20.28 presenta Gesù confessato come Dio una settimana dopo la risurrezione. Senza mettere necessariamente in questione la tradizione giovannea dell ' apparizione a Tommaso, una valutazione critica della scena comporta il sospetto che una formula confessionale, propria del tempo dell'evangelista. sia stata usata per formulare la fede di quel discepolo in Gesù risorto. Se il titolo 'Dio' fosse stato usato tanto presto dopo la risurrezione, non si potrebbe facilmente spiegare l'assenza di questo titolo in confessioni cristiane documentate, anteriori agli anni sessanta. 28 1 Naturalmente, c'è un pericolo nel giudicare l ' uso di un termine dalla sua frequenza; il NT infatti non crea l 'uso, ma attesta un uso già esistente. Nessuno dei passi che abbiamo citato dà qualche prova di innovazione e di fatto un passo come Eb l ,8-9 sembra rimandare ad un uso già tradizionale del salmo. Tuttavia la frequenza del le ricorrenze neotestamentarie, in una questione come quella che stiamo indagando, è plausibilmente un buon indice dell'uso effettivo, poiché i passi citati sotto A, mostrano che non si parlava di Gesù come Dio in molte opere del NT. I fatti non sono adeguatamente spiegati da una teoria che ritenga che fin dai primi inizi Gesù sia stato chiamato Dio ma che accidentalmente quest'uso non sia attestato se non alla fine del periodo neo­ testamentario.

prime opere cristiane extra-bibliche282 • All' inizio del n secolo, Ignazio parla libera­ mente di Gesù come di Dio. In Efesini 1 8,2 dice: «Nostro Dio, Gesù il Cristo, fu portato nel grembo di Maria»; in 1 9,3 dice: «Dio si è manifestato come uomo». In Smirnesi l , l Ignaz i o comincia dando gloria a «Gesù Cristo, il Dio che vi ha fatto sapienti» 2 83 • Abbiamo già citato la testimonianza di Plinio per la quale, appena dopo il cambio di secolo, i cristiani dell' Asia Minore cantavano inni a Cristo come a un Dio. Verso la metà del n secolo (?) 2 Clemente l , l può affermare: «Dobbiamo rite­ nere Gesù Cristo Dio». Anche l ' estensione geografica dell' uso merita di essere notata. Se si ritiene vali­ da la testimonianza di Rm 9,5, allora Paolo, seri vendo dalla Grecia, non manifesta esitazione nell' accettabilità dell' uso per il suo uditorio romano (però Mc, tradizio­ nalmente accettato come il vangelo di Roma, scritto negli anni sessanta [?], non esi­ ta a riportare un detto di Gesù in cui egli distingue se stesso da Dio: cfr. l, supra). Tt (lettera che sembra essere stata scritta dalla Macedonia) è indirizzata a Creta. Il luogo di composizione di Eb non è noto: si ritiene che la destinazione sia Roma. Molto spesso le .opere giovannee sono associate ad Efeso, in Asia Minore, benché alcuni pensino alla Siria. Ignazio, da Antiochia di S iria264 , sembra libero di usare 'Dio' per Gesù, scrivendo sia per l' Asia Minore sia per Roma. L' affermazione di Plinio riflette la pratica cristiana nella Bitinia, in Asia M inore. Così, l ' uso sembra essere attestato in centri cristiani ben conosciuti, o in aree del mondo neotestamen­ tario (Siria. Asia Minore, Grecia e Roma) e non c ' è testimonianza a sostegno della pretesa che alla fine del 1 secolo l' abitudine di chiamare Gesù Dio fosse limitata ad una piccola area, o fazione, entro il mondo cristiano. Quesfuso è un contributo ellenistico al vocabolario teologico del cristianesimo? Dal momento che non abbiamo prove che Gesù fosse chiamato Dio nelle comunità di Gerusalemme o di Palestina nelle prime due decadi del cristianesimo, a prima vista la testimonianza potrebbe suggerire origini elleni stiche 285 • Ciò è confermato dal fatto che, in due passi del NT, ' Dio' è strettamente unito a 'Salvatore' come un titolo per Gesù (Tt 2, 1 3 ; 2 Pt 1 , 1 ) e 'Salvatore' è, ad un certo livello, un titolo elle­ nistico. Comunque, c ' è un' altra testimonianza a suggerire che l' uso aveva le sue

282 Alcuni autori citano Didaché 1 0,6, dove «Osanna al Dio di Davide» è rivolto a Gesù. Comunque, J.-P. AuDET, ne) suo esaustivo commentario sulla Didachè (Gabalda, Paris 1 958), pp. 62-67, sostiene con forza l ' originalità della lettura «Osanna alla casa di Davide». 28 3 Cfr. anche i testi problematici di Tralliani 7 , 1 e Romani 7,3. Il riferimento, in Efesini l , l, al «sangue di Dio» è una reminiscenza di una delle succitate interpretazioni (7) di At 20,28: «la chie­ sa di Dio che egli si è acquistata con il suo sangue». 284 Mt è spesso associato alla chiesa di Antiochia. Il fatto che Mt 1 9, 1 7 modifichi Mc 1 0, 1 8 (dove Gesù evita un aggettivo proprio d i Dio solo: cfr. l , supra) può essere una prova che l' abitu­ dine di chiamare Gesù Dio fosse viva in quella chiesa diverse decadi prima del tempo di Ignazio. 285 Ricordo ai lettori che sto parlando delrorigine dell' uso di questo titolo per Gesù, non delle origini della comprensione di Gesù come divino. Questa comprensione è molto antica ed è stata espressa in vari modi.

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radici nel l ' AT ed è molto verosimilmente giudaico. Come abbiamo visto, Eh l ,8-9 è una citazione di Sal 45. La confessione di Tommaso in Gv 20,28 fa eco ad una formula veterotestamentaria (benché non si possa escludere la possibilià di un valo­ re apologetico contro Domiziano). Lo sfondo per Gv 1 , 1 è l' inizio di Gen e il con­ cetto della Parola riflette temi veterotestamentari come la parola creatrice di Dio e la Sapienza personificata. Probabilmente il meglio che possiamo fare, allo . stato di testimonianza, è lasciare aperta la questione di fondo sulla consuetudine di chiama­ re Gesù 'Dio' . Il lento sviluppo del J ' uso del titolo 'Dio' per Gesù richiede una spiegazione. Non c'è solo il fatto che Gesù non è chiamato Dio negli strati più primitivi del materiale neotestamentario, ma ci sono anche passi, citati sotto A, che implicitamente riserva­ no il titolo 'Dio' al Padre (anche nelle lettere pastorali e ne11a letteratura giovan­ nea) . La spiegazione più plausibile è che, nello stad io più primitivo del cristianesi­ mo, l ' eredità veterotestamentaria dominava l ' uso di 'Dio' ; per cui 'Dio' era un tito­ lo troppo stretto per essere applicato a Gesù. Si riferiva strettamente a 'Colui che è in ciel o ' , al quale Gesù si rivolgeva come Padre e indirizzava preghiere. Gradual­ mente (negli anni ci nquanta e sessanta?), nello sviluppo del pensiero cristiano, 'Dio' fu compreso come un termine più ampio 286 • Dio si era rivelato in Gesù in modo tale che la designazione 'Dio' doveva poter includere sia il Padre che il Figlio 287 • L' ultima letter�tura paolina sembra rientrare in questo stadio di svil uppo. Se Rm 9,5 chiama Gesù Dio, è un caso isolato nel più ampio ambito delle principali opere paoline, che presentano Gesù come Signore e il Padre come Dio. Dal tempo delle pastorali, ad ogni modo, Gesù è ben conosciuto come 'Dio-e-Salvatore' . Le opere giovannee risalgono agli ultimi anni del secolo, quando l ' uso di 'Dio' per Gesù era divenuto comune. Comunque il quarto vangelo conserva alcuni materiali tradizionali provenienti da un periodo molto precedente rispetto a quest ' uso; si vedano 1 4,28; 1 7,3 e 20, 1 7 che, a prima vista, non favorirebbero l' uguaglianza tra Gesù e Dio o la collocazione di Gesù allo stesso livello del Padre. Possiamo forse andare oltre e suggerire l ' ambiente di questo sviluppo? Chiamare Gesù Dio può essere stato un uso liturgico che aveva la sua origine nel culto e nelle preghiere della comunità cristiana. Bultmann ( Christological, 277) ha sostenuto che il titolo ' Signore' fosse dato a Gesù nelle comunità ellenistiche in quanto lo ricono­ scevano come la divinità presente nell' azione di culto. Senza impegnarci con questa teoria, caratterizzata da inesattezze circa l' ambientazione ellenistica (nota 1 7), pos-

286 C ' è stato uno svi lu ppo simile nell'uso di 'Signore' (kfrios), dovunque fosse pensato come una traduzione di JHWH? Kyrios però fu appli cato a Gesù molto più rapidamente di the6s. Il più ovvio pericolo di una concezione politeistica, insito n ell u so di the6s, è stato un fattore ritardante? 28 7 Non considero nella nostra discussione il problema dello S pi ri to Santo, un problema compli­ cato dall 'incertezza sul momento in c u i gli autori del NT cominciarono a pensare allo S piri to (in greco pnéuma, neutro) come ad un agente personale. Per alcune riflessioni cfr. il m io Biblica/ Exe­ gesis and Church Doctrine, Paulist, New York 1 985, 1 0 1 - 1 1 3 . '

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·siamo facil mente riconoscere la situazione liturgica in alcuni casi di confessione di Gesù come Signore e, dunque, potremmo anticipare una situazione simile per la confessione di Gesù come Dio. Degli otto casi di quest' ultima confessione, la maggioranza è chi aramente da situare in un contesto cultuale e liturgico. Quattro sono dossologie (Tt 2, 1 3 ; l Gv 5,20; Rm 9,5; 2 Pt l , l ) e la maggioranza degli esegeti ritiene che molte dossologie, nella letteratura epistolare del NT, echeggino dossologie conosciute e usate, dalle rispettive comunità, nella loro preghiera pubblica. Eh l ,8-9 cita un salmo che era applicato a Gesù e noi conosciamo l' abitudine di cantare salmi nelle celebrazioni cri­ stiane (l Cor 14,26; Ef 5, 1 9). Certamente questo fenomeno potrebbe includere salmi veterotestamentari, che si pensava fossero particolarmente adattabili a Gesù. Così non è troppo avventuroso per W ainwright suggerire che l' autore di Eb richiamasse dei salmi che i suoi lettori cantavano nella loro liturgia e ricordasse loro come questi salmi esprimessero la gloria di Gesù. Il prologo di Gv, che per due volte chiama Gesù 'Dio', era in origine un inno, ed abbiamo già richiamato l' affermazione di Pli­ nio riguardo al fatto che i cristiani cantavano inni a Cristo come a un Dio. Probabilmente, a prima vista, Gv 20,28 sembra un' eccezione alla regola, poiché la confessione di Tommaso si verifica in una situazione storica piuttosto che liturgi­ ca. Eppure anche qui la scena è accuratamente situata in una domenica, quando i discepoli di Gesù sono riuniti insieme. È inoltre una proposta molto plausibile che le parole con cui Tommaso confessa Gesù, «mio Signore e mio Dio», rappresentino una formula confessionale conosciuta nella chiesa del tempo dell' evangelista288 • In questo caso non è inverosimile che la confessione fosse una formula battesimale o liturgica nel1a linea di «Gesù è Signore». Questa teoria delle origini liturgiche del titolo 'Dio' per Gesù, in epoca neotesta­ mentaria, comporta alcune importanti implicazioni circa il significato di questo tito­ lo e, di fatto, ben risponde ad alcune delle obiezioni che Gesù fosse chi amato Dio, menzionate ali' inizio dell'appendice. Si è ad esempio obiettato che chiamare Gesù 'Dio' ha per conseguenza il trascurare i limiti dell ' incarnazione. Ma quest' obiezio­ ne non si può applicare all ' uso del NT; infatti il titolo 'Dio' non è direttamente dato al Gesù del ministero pubbl ico. Negli scritti giovannei è la Parola preesistente (Gv l , l ) o il Figlio alla presenza del Padre ( l , 1 8) o Gesù risorto (20,28) che è chiamato Dio. Le dossologie confessano come Dio il Gesù trionfante; Eb l ,8-9 si riferisce a Gesù il cui trono è per sempre. Nel NT perciò non c ' è alcun evidente conflitto tra i passi che chiamano Gesù Dio e i passi che sembrano descr;vere Gesù incarnato come minore di Dio o del Padre 2 89 • Il problema di come, durante il tempo della sua vita, Gesù potesse essere contemporaneamente Dio e uomo è rappresentato, nel NT,

288 BARRETT , John, cit., 573, è d' accordo sulla colorazione liturgica del passo in discussione.

289 Si vedano i passi citati sotto l e 5. supra. L' unico passo che effettivamente presenta una dif·

ficoltà in questa connessione è l Cor 1 5,24, perché lì Paolo parla del Cristo trionfante sottomesso al Padre. Questo testo richiede uno studio più approfondito alla luce della cristologia nicena.

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non dall ' uso del titolo 'Dio' , ma da alcuni degli strati più recenti del materiale evangelico che pongono in evidenza la divinità di Gesù anche prima della risurre­ zione 290 . Ignazio di Antiochia usa il titolo ' Dio' per Gesù durante la sua vicenda ter­ rena. Questo può essere l ' inevitabile sviluppo (da un punto di vista dottrinale, logi­ co e giusti ficabile) del l ' uso neotestamentario di chiamare Dio il Gesù prima dell' incarnazione e il Gesù della risurrezione; per la testimonianza che abbiamo, si tratta di uno sviluppo posteriore al NT. L' ambiente liturgico dell' uso neotestamentario di 'Dio' per Gesù risponde pure ali ' obiezione che questo titolo sia una definizione eccessivamente metafisica, che oggettivizza Gesù, in opposizione all 'interesse soteriologico del NT. Per quanto posso vedere, nessuno degli otto casi che abbiamo discusso tenta di definire Gesù metafisicamente 29 1 • L' acclamazione di Gesù come Dio è una risposta di preghiera e di culto al Dio rivelato in Gesù. Gv l , 1 8, parlando del Figlio come Dio, dice che Egli ha rivelato il Padre; Gv 1 , 1 ci dice che la parola di Dio è Dio. La confessione di Gesù come Dio è un riconoscimento, da parte di soggetti credenti, della sovranità e del dominio divino in, mediante e da Gesù; per esempio: «Mio Signore e mio Dio» di Tommaso (Gv 20,28); «Dio che è sopra ogni cosa» di Romani (9,5) e «Il tuo tro­ no, o Dio, è per sempre» di Ebrei ( 1 ,8). In che modo la confessione di Gesù come Dio potrebbe essere più soteriologica di quando Gesù è chiamato «nostro Dio-e­ Salvatore» (2 Pt l , l ; Tt 2, 1 3 )? Se c'è qualche valore nell' idea di Bultmann che la fede deve aver riferimento 'a me' , allora egli non può avere alcuna obiezione a ciò che l Gv 5,20 dice di Gesù Cristo: «Questi è il vero Dio e la vita eterna». Così, anche se abbiamo visto che c'è un solido precedente biblico per chiamare Gesù 'Dio ' , dobbiamo valutare con cautela quest'uso all ' interno dell ' ambiente neo­ testamentario. Una ferma adesione ai più recenti sviluppi teologici e ontologici, che portano alla confessione di Gesù Cristo come "Dio vero da Dio vero' , non deve indurre i credenti a sopravvalutare o a sottovalutare la meno sviluppata confessione neotestamentaria.

290 Per esempio: i racconti dell ' infanzia, i quali mostrano che il bambino di Betlemme è stato concepito senza un padre umano; il quarto vangelo, il cui Gesù del ministero apertamente manife­ sta pretese di divinità. Si veda la discussione sulla cristologia del ministero nel capitolo ottavo. 29 1 Anche in Gv 1 , 1 l' approccio è ampiamente funzionale. Non ci sono speculazioni su come la Parola sia in relazione con Dio Padre, e la stessa designazione 'la Parola' implica la funzione di parlare ad un uditorio. La circostanza che 1 , 1 sia ambientato 'in principio' mette in relazione la Parola con la creazione. Ciò nonostante, è corretto dire che passi come Gv 1 , 1 sarebbero stati desti­ nati, presto ed inevitabilmente, a porre questioni che vanno oltre l' aspetto funzionale. Cfr. quarta appendice, sotto «Kiisemann».

Quarta appendice

Caratteristiche della cristologia del vangelo secondo Giovanni

Un modo di studiare la cristologia del NT è concentrarsi sulla cristologia di ogni autore. In un approccio di questo tipo le cristologie degli scritti paolini e giovannei spesso ricevono la massima attenzione, perché in esse viene posta in primo piano la cristologia 'alta' 292 • In questo libro ho scelto di non adottare quest' approccio e la presente appendice è solo una parziale eccezione alla scelta fatta; infatti non si tratta di una presentazione complessiva della cristologia giovannea. La giustificazione per i.·questa parziale eccezione è che la maggior parte dei cristiani, anche se inconsape­ volmente, ha su Gesù punti di vi sta, massicciamente modellati su Gv; spesso si è ritenuto che la cristologia alta di Gv sia quella dell ' intero NT. A mio giudizio, l ' uni­ cità di Gv tra i vangeli non riceve sufficiente attenzione, né nella predicazione, né nell ' educazione rel igiosa 293 . D ' altra parte, gli studiosi sono molto consapevoli dell' unicità e delle peculiarità giovannee, anche se non concordano nel le ragioni soggiacenti. Conseguentemente l ' appendice ha due scopi: (A) introdurre i lettori ad alcuni specifici approcci scientifici alla cristologia giovannea; (B) spiegare le possi­ bili origini di ciò che è peculiare di Gv, tra le cristologie dei vangeli. Quest' enfasi sull' unicità giovannea, comunque, dev 'essere formulata cautamente, per evitare che Gv appaia nel NT un individuali sta i solato, come talvolta è accaduto in teorie moderne sulla sua cristologia.

292 Ci sono articoli sulla teologia paol ina e sulla teologia giovannea in NJBC ed in ogni cristolo­ gia c'è un interesse notevole (rispettivamente 82. §§ 24-80; 83, §§ 24-54). Cfr. pure R. SCROGGS , Christology in Paul and John, Fortress, Philadelphia 1 988. 293 Ho richiamato l ' attenzione su alcune peculiarità nei capitoli ottavo e nono, ma quella tratta­ zione non focalizzava sufficientemente 1' attenzione sulla specificità della cristologia giovannea.

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(A) Alcuni approcci alla cristologia giovannea in scritti contemporanei Qui devo essere estremamente selettivo, ma credo di poter aiutare i lettori pre­ sentando brevemente gli approcci molto diversi alla cristologia giovannea rappre­ sentati da R. Bultmann, O. Cullmann, E. Kasemann 294 e F. Dreyfus.

R. BULTMANN Come in molte altre discussioni sul NT nel xx secolo è Bultmann che, data la con­ sistenza del suo approccio esi stenziale, ha posto il problema della comprensione gio­ vannea di Gesù in una prospettiva chiara. Bultmann riconosce che Gv descrive Gesù come il preesistente Figlio di Dio apparso come un uomo, ma ritiene che una tale idea mitologica non vada presa alla lettera. «Gesù non è presentato, con serietà lette­ rale, come un essere divino preesistente venuto nella fonna umana per rivelare segre­ ti senza precedenti» 295 • Piuttosto, secondo Bultmann, Gv utilizza la preesistenza per accentuare il fatto che le parole di Gesù non provengono da un' esperienza umana, ma da altrove. In Gv non c'è un' istruzione cristologica, né alcun insegnamento sulla qualità metafisica del1a persona di Gesù - ciò che è importante è che Gesù porta le parole di Dio. Il Gesù giovanneo non rivela niente, eccetto il fatto di essere il Rivela­ tore ed anche questo deve essere compreso in termini esistenziali: egli è colui che offre, nella sua persona, ciò che gli esseri umani desiderano ardentemente. Così, per la fede in Gesù, ricevono l' affermazione e il compimento del loro desiderio di vita; non giungono però a conoscere nulla di Gesù, oltre il fatto che Gesù rende possibile la salvezza che viene da Dio: solo il Daj3 ( 'che'), non il Was ( 'cosa' ). Que sta demitizzazione della presentazione giovannea di Gesù ha incontrato opposizione. Possiamo ben comprenderne la ragione se ricordiamo che Bultmann non ritiene di essere stato lui a demiti zzare il Gesù giovanneo, ma che questa era l ' idea dell'evangelista ! Benché più avanti offra due prospettive opposte che forni­ scono i necessari correttivi, voglio evidenziare che, nella durezza della sua posizio­ ne, Bultmann ha ben afferrato un aspetto del vangelo giovanneo, precisamente la decisione cui Cv chiama il credente. Il ritratto giovanneo di Gesù ne descrive un' immagine più ricca di quanto Bultmann riesca a vedere, ma veramente descrive

294 Per la discussione su questi tre studiosi riutilizzo, con notevoli adattamenti, materiale del mio articolo The Kerygma of the Gospel According to John, in Interpretation 2 1 ( 1 967) 387-400, specialmente 392-398. M. M EYE, The Humanity (�f Jesus in the Fourth Gospel, Fortress, Phila­ de1phia 1 988, mette a confronto Bultmann e Kasemann e inserisce la sua posizione tra i due. 295 Theology of the New Testament, Scribners, New York 1 955 [ed. it., Teologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1 9932], 33-69, specialmente 62.

Gesù come il compimento di un desiderio umano, di fronte al quale la gente non può restare indifferente (così, alla luce di una questione discussa nel capitolo deci­ mo, esso rimane altamente funzionale). Poiché Gesù è la luce, la gente deve aprire gli occhi e vedere, oppure volgersi verso la tenebra (Gv 3 , 1 9-2 1 ). Così, B ultmann ha offerto un salutare correttivo ad approcci puramente mistici o speculativi al Gesù giovanneo. Eppure, mentre rende giustizia alla provocazione presente nei discorsi giovannei e ali ' elemento di decisione richiesto dalle parole di Gesù, Bultmann non rende giu­ stizia alle implicazioni teologiche del contesto in cui Gv ha collocato queste paro­ le296 . In uno schema complessivo del vangelo, Gv 1 -4 presenta Gesù come il nuovo Tabernacolo e il nuovo Tempio, come colui che sostituisce l ' acqua per le purifica­ zioni dei Giudei e il luogo del culto giudaico. Si stematicamente Gv 5- l O presenta Gesù che agisce in occasione di grandi feste dei Giudei e sostituisce il significato di temi che erano preminenti in queste feste297 • Tutto questo vuoi dire raccontare al lettore qualcosa su Gesù stesso in relazione ad Israele: egli incarna ogni significato salvifico di cui quelle istituzioni e feste veterotestamentarie erano, una volta, porta­ trici. Inoltre, se si legge Gv tra le righe, si impara molto sul modo in cui Gesù veni­ va compreso dai membri della comunità giovannea e si percepisce pure il disagio de1 1a sinagoga giudaica, con cui essi venivano in contatto (una delle debolezze di B ultmann sta nella sua traduzione dell ' opposizione a •i Giudei ' in larga misura come opposizione al mondo, separando così Gv dal contesto storico in cui fu scrit­ to). 'l Giudei ' , rigettando un Gesù che si fa uguale a Dio, non rifiutano semplice­ mente un 'Rivelatore senza una rivelazione ' ; rifiutano una figura che ha ricevuto la più alta valutazione cristologica dai cristiani giovannei.

0. CULLMANN Ha insistito molto decisamente su quest' aspetto più ampio della presentazione giovannea di Gesù 29 8 • Egli concorda con Bultmann che Gv situa il cristiano di fronte

296 La teoria bultmanniana delle fonti per la composizione di Gv ha influenzato profondamente la sua comprensione della teologia giovannea. Precisamente perché pensa che i discorsi di Gesù provengano da una fonte costituita dai discorsi, mentre le azioni (miracoli) provengano da un' altra fonte, costituita da ·segni', e la struttura narrativa dall'evangelista stesso, non dà sufficiente impor­ tanza al modo in cui le varie parti si modificano reciprocamente nel vangelo. Il suo quadro del 'Rivelatore senza rivelazione' è il distillato del pensiero della sua ipotetica fonte dei discorsi, ma è fedele al pensiero dell ' intero vangelo? È interessante che Cullmann centri la sua opposizione all 'interpretazione di Bultmann precisamente sul fatto che Gv ha scritto sotto forma di un racconto evangelico la vita di Gesù. 297 Per dettagli a questo proposito, cfr. BGJ 1, cxliv, 201 -204.206. Oppure, in fonna più sempli­ ce, si veda il mio libretto The Gospel and Epistles ofJohn, Liturgica! Press, Collegeville 1 988 [trad. it., /l Vangelo e la lettera di Giovanni. Breve commentario, Queriniana, Brescia 1 994], 1 5- 16. 298 Salvation in History, Harper & Row, New York 1 967, specialmente 268-29 1 .

194 a Gesù in una richiesta di decisione, ma accentua il fatto che la decisione è fondata sulla storia della salvezza ed è in relazione ad essa. Per il fatto di aver scritto nella forma di un vangelo che dichiara di richiamarsi alla vita storica di Gesù, l 'evangeli­ sta fa della vicenda di Gesù il centro del processo salvifico di Dio 299 • Secondo F interpretazione data da Cullmann del pensiero giovanneo, accettando Gesù si acce t­ ta sia ciò che è prima sia ciò che è dopo il processo salvifico, vale a dire: ciò che Dio ha fatto in Israele e ciò che Dio ha fatto nel la chiesa. La presentazione giovannea di Gesù come preesistente non è semplicemente un modo mitologico di descrivere l'origine del suo insegnamento; è una parte necessaria del ritratto; se Gesù infatti unifica la storia della salvezza, deve essere esistito fin dal suo inizio. Neppure l ' inte­ resse giovanneo per un'escatologia futura (che B ultmann nega) è accidentale: se Gesù u n i fica la storia della salvezza, allora, attraverso il Paraclito, deve essere ali' opera nell 'era della chiesa che ha fatto seguito alla sua vicenda terrena. Cullmann rende gi ustizia ad elementi del quarto vangelo che l' approccio esisten­ zialista di Bultmann trascura; ciò nonostante ci si può meravigliare che la figura del Gesù giovanneo, che Cullmann presenta come ; Bar 4, l promette che chiunque abbraccia la Sapienza avrà la vita. Della Parola giovannea si dice: «In lui era la vita e questa vita era la luce degli uomini» ( l ,4 ), e Gesù dice: «Sono venuto perché abbiano la vita e l ' abbiano in abbondanza» (l O, l 0). Sap 9, lO riporta la preghiera di Salomone perché la Sapienza sia mandata giù dal cielo, per essere con lui ed operare con lui. Pr 8,3 1 dice che la Sapienza si deliziava di essere con gli uomini. Salomone (Sap 9, 17) esprime meraviglia chiedendo a Dio: «Chi mai ha conosciuto il tuo pensiero se tu non gli hai concesso la Sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall' alto?». Gv 3, 1 3 dice di Gesù: «Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso dal cielo - il Figlio del l ' Uomo». Gli insensati respingevano la Sapienza (Sir 1 5 ,7); l ' apocrifo l Enoc 42,2 constata triste­ mente: «La Sapienza venne a porre la sua dimora tra gli uomini, ma non trovò un luogo per dimorare»; Bar 3, 1 2 , rivolto ad Israele: «Tu hai rigettato la sorgente della Sapienza» . Della Parola giovannea il prologo riferisce: «Venne tra i suoi, ma i suoi non l ' hanno accolto» . Sir 24, 8ss. dice che la Sapienza pose la sua tenda/tabernacolo in Giacobbe (Israele); Gv 1 , 1 4 dice che la Parola dimorò o pose la sua tenda/taber­ nacolo in mezzo a noi 3 1 6 • In particolare la Sapienza ha fissato la sua residenza in Sion o Gerusalemme, «la città eletta» (Sir 24, 1 0- 1 1 ) 3 17 • Molto più che nei Sinottici, il ministero pubblico di Gesù, in Gv, si svolge in larga parte a Gerusalemme. Il compito della Sapienza tra gli uomini è di insegnare loro le cose celesti, che altrimenti sarebbero troppo alte per essere conosciute (Gb 1 1 ,6-7 ; Sap 9, 1 6- 1 8), proclamare la verità (Pr 8,7; Sap 6,22), dare istruzioni su ciò che compiace Dio e la divina volontà (Sap 8,4; 9,9- 1 0) e così condurre il popolo alla vita (Pr 4, 1 3 ; 8,3235; Sir 4, 12; Bar 4, l) e ali ' immortalità (Sap 6, 1 8 - 1 9) . Questa è precisamente la fun­ zione di Gesù, come rivelatore, in numerosi passi di Gv. La Sapienza non si accon­ tenta di offrire semplicemente i suoi doni a coloro che vengono, percorre le strade cercando la gente e chiamandola ad alta voce (Pr 1 ,20-2 1 ; 8, 1 -4 ; Sap 6, 1 6). Così pure troviamo il Gesù giovanneo continuamente in cammino, per incontrare quelli che lo seguiranno ( 1 ,36-38.43), per cercare la gente (5,14; 9,35) e gridare ad alta voce il suo invito in luoghi pubblici (7,28 .37; 1 2,44). L'offerta della Sapienza è respinta da molti, e questo provoca l ' avvertimento della loro distruzione (Pr l ,2432; Bar 3, l 0- 13). Similmente, a loro rovina, molti volgono le spalle a Gesù, luce e fonte di vita eterna (Gv 3, 1 8 . 1 9.36)� non credono quando egli dice la verità (8,46;

316 Il greco skiméo 'dimorare', è in relazione a skené, 'tenda'; il tabernacolo era la tenda della presenza di Dio durante la peregrinazione nel deserto. 3 1 7 Progressivamente la Sapienza venne identificata con la Legge (Sir 24,22-23; Bar 4, 1 ) e si supponeva che le tavole dei dieci comandamenti fossero nell' arca dell'alleanza, nel tempio di Salomone, in Gerusalemme.



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Quarta appendice

10,25). Così la venuta della Sapienza produce una divisione: alcuni cercano e trova­ no (Pr 8 , 1 7 ; Sir 6,27-28; Sap 6, 1 2); se cambiano la loro mentalità, cercheranno e non troveranno (Pr 1 ,28). Lo stesso linguaggio, 'cercare/trovare ' , è usato da Gv per descrivere l'effetto che Gesù produce (7,34; 8,2 1 ; 1 3 ,33). La Sapienza istruisce coloro che diventano suoi figli (Pr 8,32-3 3 ; Sir 4, 1 1 ; 6, 1 8). Similmente il Gesù giovanneo chiama i suoi seguaci: «figlioletti» ( 1 3,33). Nelle sue istruzioni la Sapienza parla in ·prima persona, con lunghi discorsi (Pr 8,3-36; Sir 24), talvolta comparando se stessa a elementi naturali vivi ficanti (v ite, sorgente d ' acqua: Sir 24, 1 7.28). Caratteristico, pure, dei di scorsi del Gesù giovanneo è il modello ·Io sono', talvolta con un predicato come la vite ( 1 5 , 1 .5); dall ' interno di lui scorrono fiumi di acqua viva (7 ,38). L'istruzione che la Sapienza offre può essere simbolizzata come cibo e bevanda: «Venite, mangiate il mio pane e bevete il vino che ho preparato» (Pr 9,5); «Avvici natevi a me, voi che mi desiderate e saziatevi dei miei frutti. . . . Chi si nutre di me avrà ancora fame ; chi beve di me avrà ancora sete» (Sir 24, 1 8.20). Il Gesù di Gv offre acqua viva che zampilla per la vita eterna, così che chiunque ne beva non avrà più sete (4, 14): «lo sono il pane di vita; chi vie­ ne a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (6,35). La Sapienza prova quelli che l ' accettano e li forma (Sir 6,20-26) per condurli ad amarla (Pr 8 , 1 7 ; Sir 4, 1 2 ; Sap 6, 1 7- 1 8) e a diventare amici di Dio. Allo stesso modo Gesù puri­ fica e santifica i suoi discepoli con la sua parola e con la verità (Gv 1 5 , 3 ; 1 7 , 1 7 ) e li prova (6,67) per poterli chiamare amici prediletti ( 1 5 , 1 5 ; 1 6,27). Il definitivo ritor­ no della Sapienza al cielo (l Enoc 42,2) offre un parallelo per il ritorno di Gesù a suo Padre. Nella tradizione si nottica il linguaggio della Sapienza personificata appare in poche occasioni 3 1 8 ; non c'è niente che possa misurarsi con il massiccio uso di echi in Gv; può esserci solo un dubbio minimo che questo sfondo fornisca un elemento fondamentale del vocabolario e delle immagini per la presentazione giovannea di Gesù come un essere preesistente, che venne in questo mondo da un altro, da un ambito celeste in cui era stato con il Padre.

PARALLELISMO CON MosÈ Nonostante tutto, possiamo difficilmente spiegare l ' intera presentazione giovan­ nea della Parola/Gesù con il quadro della Sapienza personificata. Gesù, dopo tutto, era una persona reale, mentre la Sapienza non lo era. Un altro fattore può quindi aver concorso alla presentazione. Nei vangeli sinottici, come si può vedere dal pro-

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Il detto della fonte Q, chiamato 'l6ghion giovanneo' (Mt 1 1 ,25-27 ; Le 10,21 -22; disc u sso a 88) presenta Gesù come un rivelatore, come il Figl io che mette la gente in condizione di cono­ scere il Padre. Il detto che segue in Mt 1 1 ,28-30, in cui Gesù invita la gente ad andare a lui per tro­ vare riposo, riecheggia molto da v icino gli appelli della Sapienza in Sir 24, 1 8 - 1 9 e 5 1 ,23-27. p.

Caratteristiche della cristologia del vangelo secondo Giovanni

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cesso di Gesù davanti alle autorità giudaiche, la più alta confessione che Gesù fa è quella di essere «il Messia, il Figlio di Dio» (anche Mt 1 6, 1 6). Nel capitolo decimo, ho mostrato che la fondamentale confessione di Gesù come il Messia, il re unto del­ la casa di Davide, comportava una tendenza a favorire un' immagine di ' divenire' nel linguaggio cristologico, perché in un determinato momento della vita qualcuno era incoronato e diventava re. ··Gv non rinuncia all ' immagine del messia davidico per Gesù ( 1 0,24-25� 20,3 1 }, ma nelle descrizioni giovannee di Gesù l ' immagine di Mosè è molto più forte del l ' i mmagine davidica3 1 9 . In alcuni dialoghi di Gesù, la comparazione tra azioni e affermazioni di Gesù ed azioni e affermazioni di Mosè è molto importante 320 . La questione chiave per i nostri scopi è la fonte dell' autorità di Mosè. La sua importanza non deri va dal suo diventare re, come nel caso di Davide, ma neli 'esse­ re in relazione con Dio dal quale ha ricevuto la sua autorità per guidare Israele. Quanto ha udito da Dio lo ha trasmesso a modo di statuti e precetti che costituisco­ no la Legge e il suo progetto del Tabernacolo, come luogo di culto, derivava da ciò che gli era stato mostrato da Dio. In Nm 1 6,28 Mosè dice: «Il Signore mi ha manda­ to per fare tutto questo, ed io non l'ho fatto da me stesso». Simil mente l' autorità che Gesù rivendica oon deriva dall'essere stato fatto Messia, ma dalla sua relazione con Dio. Si legge in Gv 5, 1 9 : «In verità, in verità vi dico, il Figlio non può fare niente da se stesso» (pure 8,28); il Padre gli ha dato tutto il potere che ha, per esempio il potere di risuscitare un morto, di giudicare e dare la vita (5,2 1 -27). Il Figlio fa solo ciò che ha visto fare dal Padre (5, 19) e riferisce ciò che ha vi sto alla presenza del Padre (8,38). «Il mio insegnamento non è mio, ma viene da Colui che mi ha manda­ to» (7, 1 6); «Io dico solo quelle cose che il Padre mi ha insegnato» (8,28)� «lo vi dico la verità che ho udito da Dio» (8,40). In quasi tutte le parole rivolte pubblica­ mente alla folla dei Giudei, alla quale ha parlato tante volte, il Gesù giovanneo dice : «Non ho parlato da me stesso; il Padre che mi ha mandato, Egli stesso mi ha ordina­ to che cosa dire e come parlare» ( 1 2,49).

3 1 9 Ritengo che la presenza dei Samaritani nell ' albero genealogico della comunità giovannea (4,39-42) può aver catalizzato questo sviluppo. I Samaritani respingevano il ruolo di Davide e del suo regno, come pure il culto a Gerusalemme, sua città. La figura centrale della loro storia salvifi­ ca era Mosè; i Samaritani che giunsero a credere a Gesù possono perciò aver posto una maggior enfasi sul parallelismo tra Mosè e Gesù. Tra i vangeli, solo Mt si accosta a Gv per questo fattore mosaico. Implicitamente Mt paragona la storia della nascita di Mosè (con il Faraone malvagio che uccide i bambini maschi degli Ebrei) e la storia della nascita di Gesù (con Erode che uccide i bam­ bini maschi a Betlemme), e probabilmente imita i cinque l ibri di Mosè (il Pentateuco) con i cinque discorsi di Gesù, accuratamente distinti nel vangelo. Molti pensano che la presentazione che Mt fa del discorso della montagna di Gesù, che contiene le beatitudini, abbia l'intenzione di ricordare ai lettori Mosè sul monte Sinai e i dieci comandamenti. Mt tuttavia non trasferisce il sottile paralleli­ smo con Mosè alla questione cristologica, come fa Gv. 320 1 , 1 7 ; 3 , 1 4 ; 5,45-47 ; 6,3 1 -32.49-50; 7 , 1 9.22-23 ; 9,28-29. Il linguaggio di questi dialoghi riflette i dibattiti sulla fede in Gesù nella sinagoga nel corso della storia giovannea.

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Quarta appendice

Se riflettiamo sulle presentazioni di Mosè e di Gesù, abbiamo due figure rivela­ triei, ognuna delle quali rivendica che la relazione con Dio è la fonte di tutta la pro­ pria missione e dell'autorità per tutto quello che dice e fa. I cristiani giovannei non si confrontarono con questa somiglianza diminuendo Mosè; piuttosto proclamavano che Mosè aveva preparato la strada a Gesù, così che il rigetto di Gesù era un rigetto di Mosè : «Se voi credeste a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scrit­ to» (5,46). Alla fine, comunque, la loro proclamazione provocò l' osti lità di quanti pensavano di essere fedeli a Mosè, come si vede da ciò che le autorità della sinago­ ga dicono ad un uomo che era giunto a credere in Gesù : «Tu sei suo [di Gesù] discepolo; noi siamo discepoli di Mosè. Sappiamo che Dio ha parlato a Mosè, ma costui non sappiamo da dove venga>> (9,28-29). In parte l ' ostilità era provocata dal­ la pretesa cristiana che Gesù recasse da parte di Dio qualcosa di più grande di quan­ to aveva portato Mosè: «Perché mentre la Legge fu un dono fatto mediante Mosè, quest' amore stabile è venuto mediante Gesù Cristo» ( 1 , 1 7) 32 1 . Mosè può aver dato la manna agli antenati nel deserto, ma essi morirono; Gesù è venuto a dare un pane celeste e