Viaggio nella filosofia. Epoche, autori, opere, temi [Vol. 3]
 9788880206651

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Il volume è frutto della collaborazione fra i tre Autori, ai quali si devono l'ideazione del progetto generale, la scelta dei contenuti e la revisione dei moduli. In particolare, Mauro Imbimbo ha curato: E1 (§ 6), E2 (§§ 1 e 6), 03, 06, T2, T9 (§§ 1-4); Leone Parasporo ha curato: E1 (§§ 3-5), A1, T1; Marco Salucci ha curato: E2 (§ 3), E4 (§ 4.4), A3, A5, A6, T9 (§ 5). Carmelo Marcianò ha curato l'AREA INTERDISCIPLINARE, E1 (§§ 12), E2 (§ 2), E3 (§ 6), 02; Valeria del Nero A2; Marina di Bartolomeo 07, T10; Giuseppina Frisina T7; Francesco Gagliardi 01, 05, T3; Roberta Lanfredini E3 (§§ 1-4 e 7), 08, T8; Umberto Maionchl T5; Giorgio Maragliano E4 (§ 5.1); Sergio Nelli A4, A7; Alberto Peruzzi E4 (§§ 1-5 e 7); Massimo Pulpito E2 (§§ 4 e 5), E3 (§ 5), E4 (§ 6), 04, T6; Andrea Sani T4. La selezione delle fotografie che corredano il volume è a cura di Andrea Binazzi e Francesco Saverio Tucci.

© 2008 by G. B. Palumbo & C. Editore S.p.A. coordinamento tecnico, progetto grafico e copertina

Federica Giovannini redazione

Annalisa Sita impaginazione

Silvia Pacchiarini controllo qualità

Daniela Mariani cartografia e disèglii

Federfg'o Carnevali fotolito

La Nuova Llto -Firenze stampa

Tipo litografia STIAV s.r.l.- Firenze

Proprietà artistica e letteraria della Casa Editrice Stampato in Italia ISBN 978-88-8020-665-1 Finito di stampare dalla Tipolitografia STIAV s.r.l., Firenze, nel mese di gennaio 2008 per conto della G. B. Palumbo & C. Editore S.p.A., Palermo.

Le fotocopie per uso personale de/lettore possono essere effettuate nei limiti de/15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org.

VERIFICHE

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:~t~~tl~~~~~&~:~Krb~i~fj~4~}}~/ che - dice Novalis fa la spola fra le nostre dimore e il cosmo, rinnovando (({'antico, venerabile culto dell'umanità e dei suoi primi dei, delle stelle della primavera, dell'amore». Nelle sue parole si ((SVela un mondo sconosciuto e portentoso», la cui sostanza enigmatica è inaccessibile allo sguardo freddamente razionale. Lontani dalla "casa materna" che è la natura, noi siamo ora in terra straniera; così scrive Schiller (1759-1805), rievocando nel saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-1796) i tempi remoti in cui, ((Semplici figli della natura, eravamo felici e perfetti». In quei tempi, fioriva la poesia ingenua, propria di esseri che vivevano in simbiosi con la natura, a cui dunque era ignota la scissione fra sensi e ragione. Distrutta dal progresso civile, quella unità può oggi rivivere nella moderna poesia sentimentale come tensione cosciente verso un ideale di unità mai pienamente raggiungibile. In questa teoria estetica di Schiller, destinata a influenzare grandemente il movimento romantico, il ritorno alla grecità non si manifesta nella riproposizione di un bello ideale, immutabile nel tempo (come per i neoclassici); diventa invece annuncio del futuro, in cui l'antica fusione sia recuperata in una forma non più ingenua e immediata, bensì carica della moderna consapevolezza. Con accenti simili, Holderlin (17701843) ricorda che (Wn tempo gli dei camminarono tra gli uomini», nella luminosa atmosfera dell'antica Grecia; ora, invece, siamo in una ((glaciale notte», poiché ogni traccia di divino è scomparsa, se non nei fragili momenti dell'amore. Ma la sofferenza dell'opaco presente è destinata a sciogliersi nel mattino di un'età più felice, di cui egli profetizza l'avvento: un'età in cui cessi il conflitto fra l'io e il mondo e mel petto mortale ciò ch'è diviso si unisca».

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SEZIONE EPOCHE IUIQ(bUiliOII!i (11U!FIII48}

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4 Romanticismo e idealismo L'organicismo, si è visto, è una delle t~ndenze caratteristiche del pensiero romantico. E la tendenza a concepire la natura non come una macchina, il cui funzionamento è privo d'intelligenza e di scopi, ma come un organismo la cui vitalità è organizzata in vista di un fine superiore, che si realizza con l'avvento della coscienza e della libertà dell'uomo. Organicista, sotto un altro riguardo, può definirsi anche l'aspirazione a una società in cui vi sia coincidenza, e non conflitto, tra gli interessi comunitari e i diritti dell'individuo. Una concezione organicista della filosofia troviamo infine nei massimi esponenti di quello che tradizionalmente viene definito l'idealismo tedesco: Fichte, Schelling e Hegel. Tutti e tre, come vedremo, condividono l'idea che per la filosofia, dopo la svolta kantiana, sia giunto finalmente il momento di costituirsi come totalità organica del sapere, ossia come la scienza che unifica in sé, secondo un ordine e una connessione necessari, gli assunti di base di tutte le scienze particolari. Se l'organicismo è la tendenza generale della cultura romantica a cui si può collegare il "bisogno di sistema" espresso in forme diverse da Fichte, Schelling e Hegel, l'individualismo è, per contro, la tendenza che, di nuovo in forme diverse, si esprimerà, dopo la morte di Hegel, come deciso rifiuto della sistematicità del filosofare. Filosofi pur lontanissimi l'uno dall'altro come Feuerbach e Kierkegaard rivendicheranno infatti l'irriducibilità "dell'individuo in carne ed ossa", con i suoi bisogni sensibili e la sua inquietudine esistenziale, alle pretese totalizzanti della ragione speculativa. Il necessitarismo logico che media le opposizioni e le "risolve" in una sintesi superiore non ha niente a che vedere, dirà Kierkegaard, con la realtà dell'esistenza individuale, in cui si contrappongono possibilità di vita che non possono essere "conciliate" in nessuna sintesi superiore: nell'esistenza del singolo, a differenza che nell'universalità della logica, gli

opposti non si connettono con un et-et ma con un aut-aut D 2 E•m@li#33M~Mil•l.

111m ®Il testo 4 f '

4.1

Etica e religione in Fichte Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) intrattiene rapporti piuttosto stretti con la cultura romantica tedesca, dapprima a Jena, dove insegna dal1794 al1799, poi a Berlino, dove salvo brevi interruzioni resta fino alla morte (1814). Fra gli altri, conosce e frequenta Novalis, i fratelli Schlegel, Schleiermacher. La sua formazione filosofica si compie tuttavia in un'atmosfera culturale di La formazione di Fichte stampo illuministico e risente del- e l'incontro con Kant la forte impressione suscitata in lui dalla Rivoluzione francese, di cui nel 1793, in uno dei suoi primi scritti, si professa convinto sostenitore. L'opera, come si è già detto, s'intitola Contributi per rettificare i giudizi del pubblico intorno alla rivoluzione francese e si prefigge appunto di difendere dinanzi all'opinione pubblica tedesca l'immagine della rivoluzione, compromessa dai suoi più recenti ed estremi sviluppi. Decisivo è inoltre l'incontro con la filosofia kantiana. Fichte aveva studiato nella facoltà di teologia di Jena e per un certo tempo aveva meditato d'intraprendere la carriera ecclesiastica. La lettura di Kant gli apre una prospettiva nuova nel rapporto con la religione: in sostanza, la prospettiva di un suo tendenziale riassorbimento nella morale. In Kant egli vede in primo luogo il filosofo che ha identificato il divino con l'ordinamento morale del mondo, fondato sulla libertà della ragione. Si reca a Konigsberg, per conoscerlo personalmente, e Kant lo aiuta a pubblicare il Saggio di una critica di ogni rivelazione (1792), dove Fichte dichiara ammissibili solo le verità rivelate che siano compatibili con la ragione. Lo scritto viene pubblicato anonimo, e sia per il contenuto, sia per il linguaggio usato, viene attribuito da molti a Kant e recensito con am-

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mirazione. Kant allora svela l'identità del suo autore, e Fichte, che ha trent'anni, si ritrova di colpo famoso. Negli anni seguenti, e in modo più o meno esplicito per tutta la vita, Fichte continuerà ad elaborare filosoficamente il tema della religione, sempre tenendo fermo il nesso che la lega alla morale: la fede in un governo divino del mondo coincide immediatamente con la coscienza di essere partecipi della legislazione morale della ragione. Per aver sostenuto questa tesi nel saggio

Sul fondamento della nostra fede nel governo divino del mondo (1798), egli riceve un'accusa di ateismo, in seguito alla quale è costretto a dimettersi dall'Università di Jena e si trasferisce a Berlino.

4.2

Oltre Kant: la ricerca del principio supremo Sebbene gli interessi originari e prevalenti di Fichte siano dunque di natura etico-religiosa, il suo confronto con Kant non si limita però a questi aspetti; Fichte lo conduce anzi sulle problematiche strutturali del criticismo, con una radicalità che non ha pari fra i "postkantiani" suoi contemporanei. Fichte ritiene che il problema lasciato irrisolto da Kant sia quello del rapporto tra uso teoretico e uso pratico della ragione, ovvero il problema del rapporto tra il mondo naturale della necessità meccanica, prodotto in sede teoretica dalla legislazione a priori dell'intelletto, e quello soprasensibile della libertà morale, prodotto in sede pratica dalla legislazione a priori della ragione. Kant stesso ha riconosciuto che un "abisso" separa l'uno dall'altro, ma secondo Fichte non è riuscito a colmarlo, questo abisso, con la Critica del giudizio, che pure era stata congegnata per questo scopo. Quello che è mancato a Kant, è un principio supremo (o una "proposizione fondamentale": Grundsatz) che sia incondizionato, cioè tale che se ne possa avere conoscenza senza metterlo in relazione ad altro, e al tempo stes-

so condizionante, cioè tale che contenga le condizioni sia dell'uso teoretico sia dell'uso pratico della ragione. Che il compito ereditato da Kant fosse quello di risalire a un principio supremo del sapere, era stato sostenuto già da Karl Leonhard Reinhold (1758-1823), nelle Let- Ladiscussionecon tere sulla filosofia kantiana (1790- Reinholdsul"principio 92), e Fichte riconosce il proprio supremo" debito verso di lui. Ma Reinhold, che mirava a una rigorizzazione del ramo teoretico del criticismo, aveva identificato tale principio con un "fatto", cioè con il reciproco riferimento di soggetto e oggetto all'interno delle rappresentazioni prodotte dalla coscienza. Fichte si muove in una prospettiva diversa. Per lui si tratta piuttosto di dare un fondamento certo all'affermazione kantiana del primato della ragion pratica, e quindi di risalire a un principio da cui tale primato possa essere dedotto. Ora, contro Reinhold, egli osserva che il principio supremo non può risiedere nell'oggetto della conoscenza, perché questo può esistere, in quanto oggetto, solo a condizione di essere posto da un soggetto che abbia coscienza di esso; l'esistenza dell'oggetto non è dunque originaria, bensì condizionata dall'attività della coscienza. Ma nemmeno la coscienza è originaria, perché può esistere, in quanto coscienza di altro da sé, solo a condizione di esistere anche come coscienza di sé (autocoscienza), cioè solo a condizione di presupporre l'atto con cui ) e ad essa affianca lo Spazio, ((Grande Ambiente)) e la Terra, ((Grande Feticcim). Una religione da filosofi, si potrebbe dire, dove trionfano conoscenza e natura. Comte si spinse, addirittura, ad immaginare un sistema di santi laici, gli scienziati, un calendario con le ricorrenze ecc. In genere, il positivismo viene associato al pensiero laico, ad una svalutazione della fede e del saDalla scienza alla ero, in favore della razionalità scien"fede"nella scienza tifi ca. Comte, invece, ci fa vedere come sia possibile trasformare la fiducia nella ragione

e nella scienza in una fede, facendo così rientrare dalla finestra la religiosità cacciata dalla porta. Tesi del genere non sono affatto tipiche di tutto il positivismo. J. Stuart Mill, per esempio, esponente di primo piano del positivismo britannico, prese una posizione molto differente da quella di Comte sia sul tema politico che su quello religioso.

1.4 Utilitarismo epositivismo in Inghilterra In Inghilterra, il positivismo nasce e si sviluppa sulle radici di buona parte della filosofia britannica dei due secoli precedenti. Ne eredita alcuni temi e, talvolta, anche le soluzioni. Facciamo solo qualche esempio, per dare un'i- Le radici del dea: 1) la teoria della ragione come positivismo facoltà del calcolo, formulata da Hobbes, ritorna in J. Bentham, del quale parleremo fra poco; 2) il tema del ragionamento induttivo come base di tutti i ragionamenti causali e previsionali, trattato da Hume, ritorna in J. Stuart Mill; 3) l'idea, sostenuta con vigore da Hume, che la filosofia debba liberarsi della metafisica, ovvero di ogni affermazione/teoria che non sia né logica né empirica, fa da sfondo all'impostazione di tutto il positivismo inglese. Oltre a ciò, è appena il caso di ricordare un dato storico fondamentale: l'Inghilterra è stato il paese della prima rivoluzione industriale, dove, evidentemente, la connessione tra progresso, scienza e industria era sentita in modo assai vivo, perché un'intera nazione si veniva trasformando radicalmente, agli inizi del XIX secolo, sulla spinta della nuova economia industriale. Jeremy Bentham (1748-1832) è stato una figura poliedrica: giurista famoso in Inghilterra e anche in Francia; filosofo morale e Bentham: l'utilitarismo politico, fondatore dell'utilitarismo alla base dell'ordine moderno; uomo politico, schierato morale e politico prima con i conservatori e poi liberale, giunto a dirigere la ((Westminster RewieW)), organo ufficiale delliberalismo inglese. Non è nostra intenzione dare conto di tutti gli aspetti del pensiero

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1 l'ETÀ DEL PDSITIVISMD N

di B tham ma di soffermarci su due temi: 1) i fond::enti teorici dell'utilitarismo; 2) l'applicazione di criteri utilitaris~ici all'organizzazione di istit ioni sociali, come 11 carcere o la scuola. ~zsposizione più dettagliata delle tesi sull'utilitar·~mo si trova in un'opera pubblicata postuma, nel ~834 Deontologia, o scienza della moralità 1, ma l'ar me~to è trattato anche in Introduzione ai principig~ella morale e della.l~gislazione (1789) e in Trat-

tati della legislazione czvzle e penale (1802).

npunto di partenza del suo ragionamento è si-

mile a quello usato da Co~te nella teoria dei tre stadi. Anche per Bentham Cl sono tre epoche nella storia dell'umanità, l'ultima delLe tre epo Che dell'umanità le quali rappresenta, illuministicamente il progresso al quale dobbiamo tendere. Si tratta di tre epoche della morale e della legislazione. La prima è stata l'età della forza: era questo il criterio per decidere le controversie fra individui e fra popoli. Chi riusciva ad imporre la propria volontà agli altri, st~?iliva, di conseguenza: ciò che era giusto e cw che era legale. Om Bentham pensa genericamente al mondo antico, che gli appare dominato dalla "legge del più forte". Aquesto periodo è seguito quello della frode: un'età nella quale certe minoranze - Bentham si riferisce alle caste sacerdotali e all'aristocrazia _ imponevano le lo:o deci~ioni, che diventava~o consuetudini morall e legg1, non attraverso la VIolenza ma tramite l'inganno, ovvero usando le proprie conoscenze per dominare ~a. maggior.anza della popolazione, che er~ ~atta ~11gnorant1. S~a per arrivare il giorno, pero, m cm le cose cambieranno: alla forza e alla frode si sostituirà il regno della felicità, beninteso una felicità per tutti. Come potrà accadere? Solo a condizione che gli esseri umani assumano come criterio per guidare le proprie scelte sociali l'utilità. Cosa. si~~if!~a es.attamente, per Bentham, cerc,are l u,tihta. Egll, come Hobbes, sostiene che l uomo e naturalmente portato a cercare il piacere e sfuggire al dolore. Nessuno, neppure volendo, può fare altrimenti. l.ll termine'deontologia'deriva dal greco, esignifica "studio di ciò che èdoveroso':

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SEZIONE EPOCHE POSITIVISMU ~ AtlTIPOSI1'1VISM0

Perciò, le parole-chiave dell'etica, 'bene' e 'male', non sono altro che sinonimi di piacere e dolore. Per un individuo il criterio sarà, naturalmente, massimizzare il piacere, qualunque sia il contenuto, e per una comunità dovrà accadere lo stesso. I principi della morale e della legislazione diverranno giusti quando saranno guidati da un criterio di questo tipo: la massima felicità possibile per il maggior numero di persone. Bentham definisce questo sistema aritmetica morale, poiché, come in aritmetica, si tratta di sommare, sottrarre, dividere e moltiplicare. Il filosofo inglese è convinto di aver individuato il miglior criterio possibile, poiché, mentre sul terreno della metafisica o della religione, le controversie sono destinate sempre a rinascere, su quello dell'utilità gli esseri umani si ritrovano senza fatica, dato che fin dalla nascita ognuno di noi ricerca L'utilitarismo: ideaistintivamente l'utilità. La morale chiave del progresso può diventare finalmente una scienza se si fonderà sul calcolo dell'utile. Su questo tema, Bentham riprende e sviluppa un'ispirazione che risale alla Lettera a Meneceo di Epicuro (341271/270 a.C.), in un certo senso il primo utilitarista della storia. Allo stesso modo del filosofo di Samo, egli presenta la morale come ricerca della felicità, il piacere come segno di una condizione felice, e usa lo stesso termine di Epicuro, prudenza, per caratterizzare i comportamenti dell'edonista razionale, ovvero di chi sa calcolare vantaggi e svantaggi di un'azione imminente. Il filosofo inglese guarda con grande ottimismo al futuro: nella Deontologia sostiene che l'affermazione dell'utilitarismo provocherà addirittura la fine della guerra, espressione di una follia incompatibile con la ricerca della felicità collettiva. L'approccio utilitarista alle scelte morali e politiche, nella versione di Bentham, suscita almeno due considerazioni critiche, entrambe fatte valere da Stuart Mill: 1) la ricerca dell'utile come mezzo per procurarsi la felicità non coincide necessariamente con la ricerca della massima quantità possibile di piacere, dove tutte le forme di soddisfazione vengono implicitamente trattate come

quantità uguali da sommare l'una all'altra. Mill sosterrà, come vedremo, che può esserci un utilitarismo qualitativo, l'atteggiamento di chi non accumula ma seleziona; 2) l'utilitarismo, nel momento in cui diventa criterio-guida per le scelte politiche, può diventare incompatibile con un altro principio, che sta a fondamento delle istituzioni liberali: quello secondo cui il potere dello Stato è limitato dai diritti dell'individuo. Se portiamo alle estreme conseguenze l'utilitarismo come "arte di governo", si potrebbe ipotizzare l'approvazione da parte di un qualsiasi parlamento di una legge che limiti drasticamente la libertà di culto perché, supponiamo, questo farebbe aumentare il livello di felicità della grande maggioranza della popolazione. Mill sostiene nel noto saggio Sulla libertà che nessuno Stato può limitare o annullare il diritto di un individuo a costruirsi una vita autonoma, a meno che le sue azioni non rechino un danno effettivo ad altri. Che le obiezioni liberali verso l'utilitarismo "alla Bentham" siano fondate, lo dimostra un progetto di riforma delle carceri elaborato dal filosofo La teoria del inglese per conto del governo, il Fa" controllo totale"

nopticon ovvero la casa d'ispezione

(1791). In questo libro, Bentham cerca di dimostrare la convenienza, per lo Stato, per i cittadini, e anche per i carcerati, della nascita di un nuovo tipo di carcere, costruito in modo tale da consentire ai guardiani di vedere e sorvegliare in ogni momento i detenuti, senza essere visti a loro volta. Con criteri del genere sarebbe opportuno riformare, secondo Bentham, l'edilizia scolastica, quella dei manicomi ecc. Panopticon è un vocabolo derivato dal greco, che si potrebbe tradurre con "visione totale/completa". Dal punto di vista delle attuali idee sulla privacy, l'avvento del panopticon coinciderebbe con l'avverarsi di un incubo: qualcuno ci osserverebbe ventiquattro ore su ventiquattro, annullando qualsiasi forma di riservatezza. Eppure, Bentham non fa che applicare coerentemente la tesi per la quale è bene fare ciò che reca il massimo vantaggio al più ampio numero di persone.

Ci si potrebbe domandare: per quale motivo le idee di Bentham sarebbero un esempio di positivismo ante litteram? Perché il filosofo inglese condivide, senza dubbio, due tesi care a molti positivisti: 1) il progresso intellettuale coincide con l'affermazione delle scienze e della mentalità scientifica, la quale è contraddistinta, quasi sempre, dall'approccio quantitativo - non dimentichiamo che le leggi della fisica sono tutte relazioni fra grandezze; 2) l'impostazione scientifica dei problemi può e deve penetrare in ambito politico e morale, eliminando i residui metafisici, i pregiudizi, le incongruenze accumulatisi nel corso dei secoli. Volendo classificare il pensiero M ili: tra empirismo di John Stuart Mill (1806-1873) epositivismo per mezzo di due etichette, empirismo e positivismo, si potrebbe dire che Mill è stato un empirista interessato a certi aspetti del positivismo o, il che è quasi lo stesso, un positivista con una formazione empiristica. Spieghiamoci meglio: l'empirismo, soprattutto nella versione datane da Hume, è un atteggiamento filosofico che mette in rilievo i limiti della conoscenza umana e prende sul serio il dubbio scettico. Certamente, l'empirista ritiene la metafisica una pseudo-conoscenza mentre, sul piano conoscitivo, può valersi soltanto dei risultati delle scienze, anche se questo non significa fiducia illimitata nella scienza in generale. In questo senso, Mill è stato prima di tutto empirista. Ciò gli ha consentito di vedere con chiarezza certi limiti delle tesi di Comte e Bentham. Il Sistema di logica, pubblicato IISistemadilogica nel 1843, contrariamente a quan- e il problema to il titolo lascia immaginare, non dell'induzione è un testo di logica formale. Per Millla teoria logica non si riduce ad una teoria delle regole formali che rendono i nostri enunciati comprensibili, ma può e deve essere qualcosa di più: soprattutto metodologia del ragionamento scientifico e, per certi versi, teoria della conoscenza. Ovviamente, in un'ottica del genere non sono in gioco soltanto le condizioni di correttezza dei nostri ragionamenti ma anche le condizioni di verità. Il Sistema di logica ha le dimensioni di un ve-

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1 -L'ETÀ DEL POSITIVISMO

ro e proprio trattato. In questa sede presenteremo, in modo sintetico, solo le tesi principali. 1) Mill sostiene che la logica è una branca della psicologia, nel senso che i principi logici, compreso il ben noto principio di non contraddizione, sono tutti generalizzazioni derivate dall'esperienza. Si tratta di questo: avendo sperimentato, ad esempio, l'incompatibilità psicologica di due stati mentali, credere che a ad esempio che x è un tavolo - e credere che non a - che x non è un tavolo - rende logicamente assurdo affermare "x è e non è un tavolo". In altri termini, i criteri di validità e contraddizione logica non sono verità platoniche, ovvero indipendenti dalla natura della razionalità umana, ma, al contrario, dipendono da come siamo fatti. 2) Mill si può definire un nominalista, ovvero ritiene che il concetto raccolga i caratteri comuni di certi oggetti: ciò che esiste, in senso stretto, sono soltanto realtà particolari. Tutte le proposizioni "universali", perciò quelle della forma "tutti gli x sono z" sono in realtà ge-

neralizzazioni di fatti/ eventi particolari. 3) Per questi motivi, il ragionamento-base per gli esseri umani è l'induzione, ovvero il procedimento attraverso il quale estendiamo ad un'intera classe di oggettijeventi, anche quelli non ancora osservati, ciò che abbiamo sperimentato su alcuni di essi; per cui se affermiamo - l'esempio è ovviamente nostro - "i tifosi di calcio sono violenti", questa è la conclusione di un ragionamento induttivo, tratta sulla base di una casistica - scarsa o adeguata, questo non cambia la natura del ragionaL'induzione fonda mento. Tutta l'importanza che la loil sillogismo gica antica e medievale, sulla scia di Aristotele, attribuiva al sillogismo, ossia alla deduzione, per Mill è sbagliata, in quanto le premesse dei sillogismi dipendono, da un pun- · to di vista conoscitivo, dall'induzione. Perché ci fidiamo delle procedure induttive? Perché crediamo nel principio di uniformità della natura, ovvero che i membri di una stessa classe

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si comportino sempre allo stesso modo. Questo principio, a sua volta, si fonda su un altro, quello della causalità universale, secondo il quale a certi fatti, cause, seguono sempre altri fatti, effetti. Entrambi questi principi, però, sono generalizzazioni induttive. Su questo punSCHEDA-FILOSOFIA

Argomenti deduttivi e induttivi [È] opportuno distinguere due tipi importanti [di argomenti]: quelli deduttivi e quelli induttivi. Di ciascun tipo si hanno forme corrette e forme scorrette logicamente. Quelli che seguono sono esempi corretti.

a) Deduttivo: Ogni mammifero ha il cuore. Tutti i cavalli sono mammiferi. >Ogni cavallo ha il cuore. b) lnduttivo:

Ogni cavallo che è stato osservato ha il cuore. >Tutti i cavalli hanno il cuore.

Vi sono certe caratteristiche fondamentali che distinguono gli argomenti deduttivi da quelli induttivi. Ne citeremo due primarie. ARGOMENTI DEDUTTIVI l. Se tutte le premesse sono vere, allora la conclusione deve essere vera. Il. Tutta l'informazione, o contenuto, fattuale della conclusione è già inclusa, almeno implicitamente, nelle premesse. ARGOMENTIINDUTTIVI l. Se tutte le premesse sono vere, allora la conclusione è probabilmente, ma non certamente, vera. Il. La conclusione include informazione non contenuta, nemmeno implicitamente, nelle premesse.

[... ] Da queste caratteristiche segue immediatamente che un argomento deduttivo è o del tutto conclusivo, o del tutto non conclusivo; non esistono gradi di conclusività parziale[ ... ]. Gli argomenti induttivi, tuttavia, presentano gradi di efficacia, che dipendono dalla quantità di conferma che le premesse assicurano alla conclusione ~W.

Sa!mon, Logica elementare, Bologna, Il Mulino 1969, p. 28

to si sono soffermati i critici, sostenendo che Mill ha fatto ricorso ad una "petizione di principio", dimostrando la validità dell'induzione sulla base di una regola derivata anch'essa per via induttiva. In ogni caso, per Mill, non abbiamo alternative all'induzione, poiché non esiste un altro metodo con il quale acquisire conoscenze riguardanti il mondo. È necessario, però, essere consapevoli del fatto che anche le verità più ovvie - "ogni mattina sorge il Sole" - sono tali entro i limiti dell'esperienza. Mill è stato un riformatore dell'utilitarismo, non un suo avversario. Della teoria di Bentham ha accolto due tesi: 1) che la ricerca della felicità sia il movente principale delle nostre azioni (un punto di vista, è bene ricordarlo, che viene da Epicuro, e che Bentham ha semplicemente riformulato); 2) che questa felicità deve essere realizzata per il maggior numero di individui. Si tratta, in altri termini, di rendere possibile un benessere collettivo. Ha rifiutato invece la visione quantitativa di piacere e dolore, l'idea che sia possibile considerare sullo stesso piano tutti i piaceri e i dolori, sommandoli e sottraendoli come se fossero numeri. Al contrario, secondo Mill, per sviluppare l'utilità individuale e collettiva è l limiti

dell'induzione

necessario che ognuno di noi possa differenziare quanto più possibile le proprie scelte. Insomma, Mill auspica una società di individui con uno stile di vita autonomo, e non una società di persone che desiderano tutte le stesse cose. Il filosofo inglese sostiene con grande convinzione la necessità di migliorare l'istruzione e l'educazione, affinché gli individui siano in grado di scoprire che fra i piaceri vi sono differenze qualitative, mentre, se le nostre esigenze rimangono ad un livello elementare, siamo attirati dall'incremento quantitativo. Può essere utile fare un esempio riferito ai nostri giorni allo scopo di chiarire la posizione di Mill: una persona che ritiene di avvicinarsi alla felicità man mano che aumenta il numero di beni/oggetti posseduti - case, auto, bar-

che, mobili ecc. - ha una visione ristretta dell'utilità; viceversa, chi ricerchi la propria utilità su piani diversi - sviluppando le amicizie, facendo sport, imparando le lingue, viaggiando ecc. -, senza badare a quante amicizie si hanno o quanti sport si praticano ma all'intensità del piacere che si prova in quei rapporti o in quelle attività, costui è un utilitarista educato, non il membro passivo di un gregge. La difesa dei diritti dell'indivi- llliberalismo duo, contro il conformismo sociale secondo Mill e culturale e anche contro le pretesa dello Stato di stabilire cosa è bene o male per ciascuno di noi, è al centro del saggio Sulla libertà (1854), che non è esagerato considerare la "Bibbia" delliberalismo inglese. In quest'opera, Mill si propone di definire, nel modo più chiaro possibile, i limiti del-

la sovranità dello Stato sull'individuo (i)3i JOHN STUART MILL,SUHA liBERTÀ . Quando le nostre scelte, che rappresentano lo stile di vita che abbiamo adottato, non procurano alcun danno effettivo a nessun cittadino, lo Stato non ha il diritto di imporci altre scelte, altri gusti. Questo vale anche per i nostri concittadini: essi non hanno alcun diritto di chiederci di pensare e agire come tutti, quando le nostre idee non fanno male a nessuno o soltanto a noi stessi. Non a caso, in un saggio del 1865, dal titolo A. Comte e il positivismo, Mill prende una posizione nettamente contraria alla teoria politica del filosofo francese, espressa nel Sistema di politica positiva, poiché la sofocrazia comtiana gli appare come l'anticamera di una tirannia. Mill teme sia l'eccessivo potere dello Stato sull'individuo, magari sostenu- La tirannia to da motivazioni etiche, sia quel- del conformismo la che A. de Toqueville (1805-1859) definì, nel lungo saggio La democrazia in America, la dittatura della maggioranza: se in un paese il conformi~ smo è giunto ad un livello tale che nessuno si sogna di dire o fare qualcosa di diverso dagli altri, lì si è realizzata una dittatura della maggioranza, senza tribunali né galere. A questo proposito, il filosofo inglese guarda con preoccupazione all'uso che della libertà fanno i suoi compatrioti. La

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1 - L'ETÀ DEL POSITIVISMO

tendenza dominante gli appare quella conformistica: la grande maggioranza crede alle stesse idee e desidera le stesse cose. Gli spiriti liberi, autonomi, sono molto rari. Bisogna aggiungere che, con grande anticipo rispetto a tutta la cultura europea, Mill denunciò nel saggio La servitù delle donne (1869), l'oppressione secolare esercitata dalla società maschile sulle donne, oppressione che non è giustificata da nessuna presunta inferiorità fisica o psicologica del sesso femminile. Influenzato molto probabilmente anche dalle idee della moglie Harriet Taylor, il filosofo inglese auspica l'affermazione dell'uguaglianza fra uomini e donne di fronte alla legge, ivi compreso il diritto di voto, e anche il raggiungimento di pari opportunità nel campo dell'istruzione dove, da sempre, le donne sono state discriminate.

1.5

Evoluzionismo e positivismo Abbiamo detto che il positivismo è nato ed è cresciuto in un clima di grande fiducia nelle scienze e nel metodo scientifico - ovvero in tutto ciò che è sperimentale, osservabile, misurabile. Però, fra tutti i temi di cui si sono occupate le scienze naturali, uno solo ha suscitato nei filosofi positivisti un interesse tale da influenzare in modo profondo le loro tesi. Intendiamo riferirei all'evoluzionismo, una teoria maturata nell'ambito della boLe origini tanica e della zoologia. Il primo nodell'evoluzionismo me che viene alla mente, a questo proposito, è quello di C. Darwin, ma molto prima di lui c'era stato J.-B. Lamarck e negli stessi anni in cui Darwin maturava le sue idee in direzione dell'evoluzionismo, altri ci stavano arrivando. Il filosofo H. Spencer - del quale parleremo più avanti - pubblicò nel 1852, sulla rivista . Se si concorda si è storicisti. Secondo lo storicismo la realtà Complessità umana è fondamentalmente sto- e articolazione del ria: la storicità è il carattere fon- movimento storicistico damentale e, per alcuni, unico della realtà umana. La realtà umana è del tutto eterogenea rispetto alla natura, conseguentemente la conoscenza della realtà umana è del tutto diversa da quella relativa alla natura. La conoscenza della realtà umana è fondamentalmente conoscenza

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3- LA REAZIONE AL POSITIVISMO

storica. Lo storicismo è tuttavia un movimento molto composito, infatti alla domanda "che cos'è la storia e la sua conoscenza?" gli storicisti danno risposte molto diverse. Il minimo comun denominatore sta nella tesi che il metodo delle scienze naturali non è utilizzabile per la conoscenza della realtà umana. Al di là di questa idea comune, si danno tre tesi principali dello storicismo, non sempre sostenute simultaneamente da uno stesso autore. 1) Tesi dell'immanenza. La realtà umana è storia, sopra di essa non c'è nulla, non c'è nessuna realtà che la trascende. 2) Tesi dell'individualità. La realtà umana è fatta di esistenze particolari, di individui e di fatti individuali. C'è un solo Napoleone, e una sola battaglia di Waterloo. Nella natura, invece, gli eventi si ripetono ed è perciò che sono possibili leggi. Le individualità non pos-

SCHEDA-FILOSOFIA

Il positivismo nel giudizio di Croce

In Italia, la negazione della filosofia, o piu veramente lo sforzo di sostituire alla filosofia idealistica una filosofia naturalistica e agnostica, e al metodo speculativo quello estraneo della fisica e delle scienze naturali (che contaminava l'altro e ne era a sua volta contaminato), seguf piu tardi che altrove. [... ] Presto, in Italia, grandeggiò la riputazione di Erberto Spencer col suo codazzo di positivisti inglesi e francesi. [... ] Un positivismo nostrano venne elaborato da un ex-sacerdote, I'Ardigò, filosofo del >. .,. B. Croce, Storia d'Italia da/1871 a/1915, Bari, Laterza ~967, pp. 123-124

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sono essere ricondotte a una lrripetibilità degli essenza comune, universale. eventi umani La conoscenza di queste entità individuali, che è conoscenza storica, non deve perciò (e non può, dal momento che tali leggi generali non esistono) cogliere leggi generali, ma gli individui nella loro irripetibilità. Tutto ciò è in diretta opposizione alle scienze naturali, le quali colgono invece leggi universali. La conoscenza della realtà umana è fornita dunque dalla storiografia. La possibilità di elaborare una scienza dell'uomo modellata sulle scienze naturali, cioè tesa a cogliere leggi universali è perciò esclusa. Il progetto positivistico di fondare una sociologia è destinato al fallimento. 3) Tesi della spiegazione genetica. La realtà umana ha una dimensione esclusivamente temporale e i concetti fondamentali per comprendere la realtà umana sono quelli di "passato" e "presente". Il presente viene inteso come il prodotto del passato: la spiegazione della realtà presente viene fornita dallo studio della sua genesi, cioè del suo passato.

3.2

Windelband e Rickert: storicismo efilosofia dei valori L'opera di Wilhelm Windelband (1848-1915) cerca di coniugare le tesi dello storicismo con la filosofia dei valori e le istanze neokantiane. Nella storia del pensiero si è soliti distinguere fra giudizi teoretici, ovvero che esprimono o connettono rappresentazioni, e giudizi valutativi, cioè che esprimono un valore. Questi sono i giudizi del volere o del sentimento. A questa distinzione netta fra giudizi teoretici e giudizi valutativi Windelband si oppone e sostiene che anche i giudizi teoretici sono valutativi: il valore dei giudizi teoretici è infatti la verità. La filosofia non si deve occupare dei giudizi teoretici in senso stretto, che è compito della scienza, ma della loro valutazione .

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Essa deve cioè occuparsi di stabilire quali sono i termini di validità dei giudizi e i valori che valgono universalmente e necessariamente. La filosofia è per Windelband la scienza dei valori validi universalmente. I valori universali sono quei valori che risultano con evidenza immediata alla coscienza. La distinzione tra vero e falso, tra bello e brutto, e così via non si effettua riferendosi al mondo dell'esperienza ma a quello dei valori. Windelband è consapevole che la realtà umana di per sé può essere priva di valori, tuttavia gli uomini possono creare i valori e realizzarli. Per esempio, la realtà umana di per sé non è razionale, ma gli uomini possono farla diventare tale. I valori non sono dunque, come per l'idealismo, i fondamenti della realtà oggettivamente esistenti, ma sono dei criteri, delle norme a cui gli uomini possono riferirsi per tentare di realizzarli concretamente. Secondo Windelband la storia non è la semplice successione degli eventi umani, ma la sueLa storia umana come Cessione di quelli Che hanno Un Vastoria della cultura lore perché sono realizzazioni concrete del bene, del bello e del vero. La storia umana è dunque soprattutto storia della cultura. Conseguentemente, questa concezione della storia ha per oggetto la storia delle classi colte le quali hanno contribuito alla realizzazione dei valori. Tutto l'insieme della conoscenza è divisibile, per Windelband, in scienze della natura e scienze dello spirito. Le scienze della natura mirano a raccogliere e a elaborare i dati dell'esperienza allo scopo di comprendere le regolarità, cioè le leggi, a cui i dati dell'esperienza sono sottoposti. Le scienze naturali cercano leggi universali e vengono perciò definite nomotetiche. Le scienze dello spirito, al contrario, espongono gli avvenimenti umani nella loro unicità irripetibile, e quindi sono più vicine alla verità perché il mondo è fatto di eventi individuali. Le scienze dello spirito sono scienze che descrivono l'individuale, sono cioè idiografiche. Windelband, come tutti gli storicisti, sostiene dunque una forma di dualismo tra scienze della natura e scienze dello spirito. La

struttura del mondo storico è quella di una molteplicità di soggetti. Pertanto la storia deve cogliere, intuire, comprendere le singolarità. Anche Heinrich Rickert (1863-1936) critica l'insufficienza delle scienze della Insufficienza delle natura: esse non colgono neppure scienze della natura la natura nella sua realtà, ma la rielaborano. Le scienze non ci danno un'immagine autentica della realtà naturale perché anche la struttura della realtà naturale è l'individualità. Tutta la realtà, compresa quella naturale, è fatta di singolarità. Come Windelband, Rickert sostiene che la storia è una successione di avvenimenti singolari e che di questi avvenimenti restano solo quelli che hanno un valore universale, cioè un valore che va al di là del periodo o dell'epoca nei quali sono accaduti. La storia è dunque storia dei valori. Lo storicismo dei valori di Win- Storicismo, filosofia dei delband e di Rickert non è però l'u- valori,filosofiadella nica forma di storicismo. Lo stori- vita e neokantismo cismo si trasforma da una filosofia dei valori a una filosofia della vita. Lo storicismo di Windelband e di Rickert era ancora influenzato dalla scuola neokantiana, molto diffusa all'epoca, la quale tentava una mediazione tra mondo dell'esperienza e mondo della razionalità. La rivolta contro il positivismo si fa però sempre più radicale. Da una parte, il positivismo viene accusato di disconoscere l'autonomia del mondo umano, di tentare dinaturalizzarlo. Dall'altra, i neokantiani vengono accusati di separare il mondo umano da quello dei valori e dell'esperienza concreta. Pertanto alcuni storicisti sosterranno contro il positivismo l'autonomia del mondo umano e contro il neokantismo l'immanenza della ragione.

"''"·····-·-·--··--·-···-··· . ····-··-----..-JbffiM, ·.~ testo 1.1

3.3

testo 1.2

Dilthey: storicismo e vitalismo Per Wilhelm Dilthey (1833-1911) è un dato indiscutibile e acquisito che le scienze dello spirito debbano essere autonome da quelle naturali; ciò che occorre stabilire è invece la natura esatta del-

SEZIONE EPOCHE POSITIVISMO EIUmi'OSITIVISMO

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3- lA REAZIONE Al POSITIVISMO

le scienze dello spirito e fondarne l'autonomia. In una prima fase del suo pensiero egli sostiene che le scienze dello spirito hanno a che fare con un particolare tipo di entità: quella storica. La fondazione dell'autonomia delle scienze dello spirito è dunque antologica, non solo metodologica: non solo esse usano un metodo determinato, ma studiano una realtà determinata. Mentre le scienze naturali vedono soltanto parti della realtà, le scienze dello spirito vedono la connessione tra la realtà umana e il mondo. Il fondamento della realtà umana è l'individuo vivente. Gli individui stabiliscono tra loro dei rapporti dai quali sorgono i vari sistemi culturali e sociali. Questi sistemi non hanno esistenza di per sé, ma sono i prodotti della vita dei singoli individui. La storia è un'attività cosciente degli uomini e, dunque, ancora una volta, è principalmente storia della cultura. Le scienze naturali sono scienze meramente teoretiche, esse separano i fatti studiati dal soggetto che li studia. Tale metodologia è inadeguata per comprendere la realtà umana e storica, proprio perché questa è caratterizzata dal rapporto fra il soggetto, l'uomo, e l'oggetto, il mondo. Le scienze dello spirito devono stare dentro la vita, lo studioso deve immedesimarsi nei fatti che studia. Nelle scienze dello spirito abbiamo un'esperienza non solo teoretica ma vivente: possiamo afferrare l'individualità storica che studiamo solo rivivendo la singolarità dell'evento storico. La storia va comDifferenza tra spiegare presa, non Spiegata. Questa diffee comprendere renza fra spiegazione e comprensione è fondamentale per lo storicismo ed è un tema, come vedremo, ripreso anche dal dibattito più recente. Nello scrivere di storia, nel fare storiagrafia, lo storico presenta il modo in cui ha rivissuto un evento del passato. Comprendere il passato significa farlo rivivere. Gli eventi del passato si comprendono solo se se ne ha esperienza, e non solo conoscenza teoretica. È superfluo sottolineare l'importanza che assume, in tale concezione della storia, il genere della biografia. Una conseguenza di talemetodo è che la conoscenza storica diviene relativa: la storia non

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SEZIONE EPOCHE

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è conosciuta con metodi oggettivi ma relativa ad ogni soggetto. Nella seconda fase del suo pensiero Dilthey ha compiuto uno sforzo notevole per limitare tale relativismo. Resta tuttavia inalterata l'idea fondamentale per la quale il sapere storico è conoscenza della singolarità irripetibile della vita degli uomini nel loro contesto spazio-temporale. Richiamando l'attenzione sull'idea che la vita sia un perenne fluire, un incessante cambiamento, parte dello storicismo si trasforma in una "filosofia della vita" che presenta accenti spesso irrazionali e mistici. Georg Simmel (18 5 8-1918) Dall'uomo che vive ha elaborato una filosofia della vila vita all'uomo vissuto ta con forti accenti mistici e metadalla vita fisici. In lui il razionalismo ancora presente in Dilthey si attenua ulteriormente. Dall'iniziale tesi per la quale i soggetti della vita sono gli individui che hanno esperienze concrete, alcuni pensatori che gravitano intorno allo storicismo giungono a sostenere una sorta di metafisica della vita. La realtà non è più fatta dai singoli soggetti umani viventi ma dalla vita stessa. La vita non è più concepita come un attributo degli uomini ma, al contrario, come un assoluto del quale gli individui sono predicati o attributi. Non ci sono più uomini che vivono, ma è la vita che si manifesta nei singoli uomini.

3.4 Weber: lo storicismo antipositivista e antivitalista Dopo aver compiuto ricerche di storia economica e sociale, di sociologia e di politica, Max Weber (1864-1920) inizia un percorso di riflessione sulla metodologia delle scienze umane o scienze dello spirito. Il metodo delle scienze storico-sociali elaborato da Weber intende opporsi non solo al positivismo, come tutti gli storicisti, ma anche al vitalismo di Dilthey. Egli distingue nettamente conoscere da valutare. Conoscere significa ordinare concettualmente la realtà empirica, valutare significa prendere po-

sizione, schierarsi, e quindi richiamarsi a certi ideali. L'attività delle scienze storiche e sociali si fonda sul conoscere, dunque lo studioso dei fatti sociali deve astenersi dal valutare, egli deve descrivere concettualmente una data realtà sociale. In questo modo Weber prende le distanze dallo storicismo di Dilthey per il quale, al contrario, conoscere significa stare dentro, immedesimarsi nel fatto. Per Weber le scienze sono di due tipi distinti. Si tratta però di una distinzione metodologica, in quanto uno stesso oggetto può essere studiato da due punti di vista diversi. Ci sono scienze che studiano un oggetto prescindendo dalla sua singolarità e dalle sue qualità per coglierne i caratteri universali e quantitativi. Queste scienze si allontanano dalla realtà empirica la quale è fatta di inSCHEDA-STORIA

Weber studioso dei rapporti fra Riforma e capitalismo Come [la dottrina della predestinazione] ha potuto essere tollerata in un'epoca per la quale l'aldilà era non soltanto più importante ma, sotto diversi aspetti, anche più sicuro di tutti gli interessi della vita di qua? Una domanda doveva subito presentarsi a ogni singolo credente e spingere in secondo piano tutti gli altri interessi: sono io dunque tra gli eletti? E come posso io diventare certo di questa elezione? [... ] Da una parte diventa senz'altro un dovere di ritenersi eletti e di respingere ogni dubbio come un assalto del demonio, poiché la scarsa sicurezza di sé è conseguenza di fede insufficiente e quindi di insufficiente efficacia della grazia. L'ammonimento dell'apostolo a «rafforzarell la propria vocazione viene dunque interpretato qui come dovere di conquistare nella lotta quotidiana la certezza soggettiva della propria elezione e della propria giustificazione. [... ] Vengono così educati quei ((Santill sicuri di sé che ritroviamo negli adamantini commercianti puritani di quell'epoca eroica del capitalismo e in alcuni suoi esemplari fino ad oggi. [... ] Per conseguire quella certezza di sé veniva caldamente raccomandato come mezzo principale un indefesso lavoro professionale. 1>

M. Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni 1974, p. 110

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3 _ LA REAZIONE AL POSITIVISMO

dividualità qualitativamente determinate: si tratta delle scienze astratte che mirano alla generalità. Le scienze storico-sociali invece colgono l'individualità, cioè la vera realtà, nella sua concretezza qualitativa. Tuttavia non è possibile conoscere l'oggetto individuale nella sua interezza, poiché ogni individuale è fatto di infinite proprietà, di infiniti lati. Quindi l'oggetto della scienza storico-sociale deve essere un aspetto dell'individuo, quella caratteristica che il ricercatore ritiene valida e significativa. Pur essendo la conoscenza storico-sociale conoscenza della singolarità, essa ha però anche il compito di inserire il fenomeno singolare in un~ rete di relazioni e di connessioni sociali. E questo il significato del termine 'spiegazione' a proposito dei fenomeni storico-sociali. In genere per gli storicisti la spiegazione è caratteristica solo della scienza naturale, per Weber è invece caratteristica anche della scienza sociale. Anzi, per certi aspetti la scienza sociale utilizza una spiegazione di tipo causale, spiegazione che è caratteristica della scienza naturale. La spiegazione La spiegazione causale storico-sociale cerca dunque annellascienzasociale ch'essa le cause, ma intese come condizioni di esistenza dei fenomeni sociali. Questo tipo di spiegazione è diversa da quella delle scienze naturali che cercano di connettere i fenomeni attraverso leggi. Nella sociologia e nella storiografia occorre individuare la causa essenziale di un fenomeno, intendendo con ciò la condizione di esistenza del fenomeno. La spiegazione storica è una sorta di attribuzione: l'attribuzione di un fenomeno alle sue condizioni di esistenza. Le attribuzioni vengono effettuate utilizzando un tipo di sapere nomologico: il collegamento tra un fenomeno e le sue condizioni di esistenza segue delle regolarità. Data la presenza di certe condizioni, ci aspettiamo che, in genere, si verifichi un determinauna regolarità al di là t o fenomeno. La presenza di istidell'individualità tuzioni come lo "Stato", la "Chiesa", n"mercato" ecc. costituiscono degli elementi che danno regolarità agli eventi e quindi facili-

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SEZIONE EPOCHE . PO§lTIVISMO EANTIPil!i!TIVISMO

tano la procedura di attribuzione. Tutto ciò permette di costruire dei modelli di spiegazione, con l'avvertenza che non bisogna scambiare i modelli che servono per conoscere la realtà, con la realtà stessa. La realtà è costituita da molte individualità; tali individualità sono, a loro volta, costituite da molti lati: non è quindi possibile dare una spiegazione esaustiva, univoca e esauriente degli eventi storico-sociali. Le cause di un fenomeno storicosociale sono sempre molteplici. Tuttavia, secondo Weber, è incontestabile che gli avvenimenti umani manifestino una certa regolarità; pertanto è possibile rintracciare delle uniformità dei fenomeni umani e quindi è possibile farne una sociologia. Weber si è occupato molto di sociologia, disciplina di cui è stato uno dei fondatori; altri storicisti invece, la ritenevano troppo compromessa con il concetto di leggi tipico delle scienze naturali.

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(':le-----·-···-···-"-''~·-··-·-------··-·-·--~mm: ' testo 1.

3.5

Il dibattito più recente Come è facile comprendere, il dibattito fra lo storicismo e il positivismo pone una questione che va ben al di là della parabola storica in cui queste due correnti di pensiero si sono sviluppate. La questione è quella dello statuto stesso della conoscenza storica: se cioè la conoscenza storica sia una forma di conoscenza assimilabile a quella delle scienze naturali oppure no. La discussione su tale tema è proseguita a lungo nel Novecento ed ha annoverato protagonisti diversi. Fra gli avversari più recenti dello storicismo vanno rammentati gli empiristi logici IIC3:~ LA FILOSOFIA ELA CRISII>ELLA CIVILTÀ EUROPEA , esponenti di un movimento sorto negli anni Venti che ha poi avuto una vastissima influenza sulla filosofia soprattutto di lingua inglese. L'attacco dell'empirismo logico alle tesi storicistiche che separavano le scienze dello spirito dalle scienze naturali fu inaugurato da Cari Gustav Hempel (1905-97). Egli scriveva, nel suo

testo 1

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saggio La funzione delle leggi generali nella storia (1942), che è (Wpinione ampiamente diffusa

che la storia, in opposizione alle cosiddette scienze fisiche, si occupi della descrizione di eventi singoli avvenuti nel passato invece che ricercare le leggi generali che governano tali eventi>). Hempel sosteneva, insieme a tutti gli empiristi logici, l'u-

nità metodologica di tutte le scienze empiriche e, pertanto, negava validità ad una concezione della conoscenza storica che la intendesse come una comprensione sui generis, .tesa a una partecipazione simpatetica con l'oggetto. La conoscenza storica, per Hempel, utilizza un tipo di spiegazione non diversa da quella utilizzata dalle altre scienze empiriche. La caratteristica fondamentale di tali spiegazioni è il ricorso a leggi e a deduzioni. Queste spiegazioni sono note, dunque, come spiegazioni nomologico-deduttive. Il modello di spiegazione nomologico-deduttiva, in realtà già proposto da K.R. Popper nel 1934, 11 modello è illustrato da Hempel con un nomologico-deduttivo esempio divenuto celebre. Mettiae i suoi critici m o il caso che una fredda mattina d'inverno abbia trovato il radiatore della mia automobile rotto e che mi sia spiegato l'evento attribuendone la causa alla temperatura troppo bassa della notte. Ora, questa spiegazione è valida se: 1) i seguenti fatti sono veri: che nella notte la temperatura è scesa sotto zero; che la macchina si trovava all'aperto; che il radiatore era pieno di liquido; che il tappo del radiatore era ben serrato; che il radiatore era costruito con un materiale resistente a una certa pressione massima ecc.; 2) le seguenti leggi naturali sono valide; per esempio: che il liquido nel radiatore congela a una certa temperatura, che tale liquido aumenta di volume congelando ecc.; 3) l'asserzione con cui spiego la rottura del radiatore è deducibile dalla congiunzione delle condizioni enunciate ai punti 1) e 2). In generale, un certo evento E è spiegato validamente quando la sua descrizione è deducibile da due tipi di premesse: il primo dei quali con-

tiene eventi Cl, C2, C3, Cn accaduti o presenti prima dell'evento, il secondo è un elenco di leggi L1, L2, L3, Ln universali.

~-L~) la quale a sua volta corrisponde allo stadio senile di ogni civiltà, stadio caratterizzato dal culto delle scienze esatte, dalla dialettica, dalla dimostrazione, dall'esperimento, dalla categorizzazione: ((dopo duecento anni di orge di scientismo - sentenzia Spengler- se ne ha abbastanza. Ne ha

abbastanza non il singolo, ma l'anima stessa della civiltà)). Questa stessa stanchezza, unita a un sentimento di distacco aristocratico, è divenuta uno dei temi più sentiti dalla letteratura della crisi, rintracciabile, ad esempio, nei romanzi di Hermann Hesse (1877-1962), o nelle amare considerazioni di Italo Svevo (1861-1928).

Oh! È difficile trovare la traccia divina in mezzo alla vita che facciamo, in questo tempo così soddisfatto, così borghese, così privo di spirito, alla vista di queste architetture, di questi stessi negozi, di questa politica, di questi uomini! Come potrei non essere un lupo della steppa, un sordido anacoreta in un mondo del quale non condivido alcuna mèta, delle cui gioie non vi è alcuna che mi arrida? Non resisto a lungo né in un teatro né in un cinema, non riesco quasi a leggere il giornale, leggo raramente un libro moderno, non capisco quale piacere vadano a cercare gli uomini nelle ferrovie affollate e negli alberghi, nei caffè zeppi dove si suonano musiche asfissianti e invadenti, nei bar e

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1 -LA CULTURA DELLA CRISI

2 nei teatri di varietà delle eleganti città di lusso, nelle esposizioni mondiali, alle conferenze pei desiderosi di cultura, nei grandi campi sportivi: non posso condividere, non posso comprendere queste gioie che potrei avere a portata di mano e che mille altri si sforzano di raggiungere. Ciò che invece mi accade nelle rare ore di gioia, ciò che per me è delizia, estasi e elevazione, il mondo lo conosce e cerca e ama tutt'al più nella poesia: nella vita gli sembrano pazzie. Intatti se il mondo ha ragione, se hanno ragione le musiche nei caffè, i divertimenti in massa, la gente americana che si contenta di cosi poco, vuoi dire che ho torto io, che sono io il pazzo, il vero lupo della steppa come mi chiamai più volte, l'animale sperduto in un mondo a lui estraneo e incomprensibile, che non trova più la patria, l'aria, il nutrimento. ~H.

Hesse, Il lupo della steppa, Milano, Mondadori 1978, pp. 85-86

La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l 'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza ... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco! ~

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l. Svevo, La coscienza di Zeno, Milano, Dall'Oglio 1978, p. 479

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La fenomenologia Nei difficili anni che seguirono la prima guerra mondiale, di fronte a un mondo culturale animato da uno scetticismo radicale, che negava in modo reciso la possibilità di un sapere certo e di un fondamento assoluto della conoscenza, Edmund Husserl (1859-1938) proponeva di ripristinare la figura del filosofo come funzionario dell'umanità, come figura, cioè, che si facesse carico di una funzione etico-politica. Pur vivendo pienamente la cul- La ricerca tura della crisi, quindi, Husserl te n- di una via alternativa ta di percorrere un cammino alternativo. In un'epoca che non sapeva più riconoscere nella ragione lo strumento prioritario e primario dell'uomo, stava al filosofo indicare all'umanità la nuova strada da percorrere, quella cioè di una nuova filosofia razionale in grado di costituire un inizio definitivo e indubitabile. Questa filosofia venne denominata da Husserl fenomenologia, cioè scienza descrittiva dei fenomeni così come essi si danno alla coscienza e alla soggettività, scienza di ciò che semplicemente si mostra o ci appare, scienza, quindi, che utilizza come strumenti principali l'evidenza e l'intuizione. Solo ciò che si dà evidentemente alla coscienza può, secondo Husserl, essere accolto nell'ambito della disciplina fenomenologica. Tutto il resto è dogma, opinione infondata e in molti casi irrazionale, pregiudizio che nulla ha a che fare con una autentica filosofia. Lo stretto legame che viene istituito fra razionalità e evidenza è uno degli assi portanti della filosofia di Husserl. La fenomenologia può essere così concepita come pensiero che tratta l'inizio del filosofare (non a caso Cartesio veniva considerato da Husserl come uno dei filosofi da cui trarre maggiore ispirazione) e, al tempo stesso, come disciplina contraddistinta da una estrema radicalità: il primo compito del metodo fenomenologico è infatti quello di "sospendere" (fare epoché) tutte le opinioni che non hanno una fondamento nell'evidenza o, il che per Husserl è lo stesso, che non sono razionalmente fondate.

r In questo progetto confluiscono due elementi che hanno storicamente condizionato il pensiero husserliano: gli studi matematici condotti con Karl Weierstrass a Berlino (Husserl si laurea in matematica con una tesi sul calcolo delle variazioni nel1883) e l'incontro, che sarà decisivo per tutto il percorso filosofico futuro, con Franz Brentano nel 1884. Da quest'ultimo Husserl riprenderà uno dei concetti fondamentali della sua filosofia: il concetto di intenzionalità. Stando alla definizione che Bren11 carattere tano dà di questo termine, l'intenfondamentale zionalità si riferisce alla capacità della coscienza che gli stati di coscienza hanno di essere relativi a, o di riferirsi a, oggetti, stati di cose o eventi. Il concetto di intenzionalità permette a Brentano di tracciare una rigorosa distinzione, un criterio di demarcazione fra ciò che è mentale e ciò che non è mentale, fra fenomeni di coscienza e fenomeni fisici. Solo i fenomeni mentali hanno, infatti, una direzione intenzionale: ogni percezione ha un percepito, ogni desiderio un desiderato, ogni giudizio un giudicato, e così via. Husserl pone la definizione di intenzionalità a fondamento della sua analisi della coscienza, ma con una importante revisione: per Husserl, contrariamente a quanto sostenuto da Brentano, non tutti gli stati di coscienza sono intenzionali. Non sono intenzionali, ad esempio, le sensazioni, ma anche stati di coscienza più complessi come la depressione, oppure l'ansia, i quali si distinguono dagli stati di coscienza intenzionali (la paura, ad esempio, oppure un sentimento di tristezza per qualcosa di determinato). Così, a differenza di Brentano, l'intenzionalità non funge più da criterio di demarcazione fra fisico e psichico, pur rimanendo la funzione essenziale della coscienza, quella funzione senza la quale una coscienza non può dirsi veramente tale. Il mettere al centro della fenomenologia il concetto di intenzionalità ha questa importante conseguenza: qualsiasi fenomeno è necessariamente relativo a uno stato di coscienza; non esistono oggetti che non siano intenzionati da un vissuto (Erlebnis) intenzionale.

Questo ((fitorno alla soggettività)) e alla descrizione dei suoi vissuti richiede un nuovo metodo di indagine: il metodo fenomenologico. Le caratteristiche che contraddistinguono il metodo di analisi fenomenologico sono le seguenti.: 1) La fenomenologia si propone come analisi descrittiva degli stati di coscienza: la fenomenologia non indaga le cause psico-fisiologiche che determinano il sorgere dei nostri vissuti; essa non spiega bensì si limita a descrivere in modo puro e evidente ciò che è dato alla coscienza. Così facendo, la fenomenologia non descrive il vissuto in quanto radicato in un particolare organismo e in una determinata situazione, né ha a che fare con regolarità psicologiche fondate sulla natura umana (come era il caso, ad esempio, di Hume). Così facendo, essa tratta come non di sua competenza l'analisi della genesi psicologica del vissuto, così come l'analisi di una eventuale matrice organica del vissuto. Analisi descrittiva significa quindi, per il fenomenologo, analisi dei vissuti presi in sé stessi, della struttura della soggettività in quanto tale. 2) La fenomenologia si propone come indagine eidetica o essenziale: essa analizza le strutture invarianti dei vissuti e degli oggetti a cui i vissuti si riferiscono, operando con descrizioni che hanno validità necessaria e essenziale. Tale atteggiamento si concentra in primo luogo sulle entità logiche: considerando la logica come una teoria degli oggetti ideali, la fenomenologia esprime un chiaro oggettivismo e anti-psicologismo. L'indagine eidetica, tuttavia, non si limita alle sole entità logiche, estendendosi a tutti i fenomeni, compresi i vissuti. Anche in questo caso, infatti, non è tanto l'individuo quello che la fenomenologia ha di mira quanto la sua struttura essenziale. La tesi della fenomenologia come indagine di essenze non è inoltre, per Husserl, in contrasto con l'assoluta priorità della soggettività: le strutture invarianti dell'esperienza e degli oggetti che in tale esperienza si mostra-

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2- LA FENOMENOLOGIA

no, devono essere concepite come strutture fornite dalla soggettività e non come strutture che gli oggetti esibirebbero in sé e per sé. 3) La fenomenologia si propone come indagine trascendentale: gli oggetti verso cui i vissuti di coscienza sono intenzionalmente rivolti sono oggetti costituiti dalla soggettività. Qualsiasi riferimento a oggetti che non sono il risultato di tale costituzione, come la tradizionale cosa in sé di ascendenza kantiana, devono essere "sospesi", "neutralizzati" dal metodo fenomenologico. Strumento fondamentale dell'indagine trascendentale è l'epoché fenomenologica: essa ha lo scopo di mettere fra parentesi la credenza nella effettiva esistenza del mondo, permettendo così di interrompere quella adesione ingenua alla realtà che si verifica nell'atteggiamento naturale per poi riversarsi nelle scienze positive, che nell'atteggiamento naturale sono radicate. L'interruzione della credenza nella realtà del mondo esterno permette così il superamento del dogmatismo incorporato sia nell'atteggiamento naturale sia nell' atteggiamento scientifico. Quantomeno nell'atteggiamento scientifico che di fatto si è realizzato nella scienza moderna. La Lebenswelt è, per Husserl, un terreno di certezze, fondamento di ogni nostra prassi oltre che di ogni nostra teoria. Negare la certezza del mondo della vita· significherebbe annientare il mondo e tutto ciò che esso contiene, significherebbe negare la nostra stessa vita . . L'idea di restare aderenti quanto più è possibile alla concretezza del mondo della vita viene ripresa sia da Martin Heidegger sia da Maurice Merleau-Ponty. In entrambi i casi, ciò che si verifica è tuttavia un chiaro superamento sia dell' atteggiamento teoretico sia dell'adesione all'idealismo trascendentale (priorità assoluta della soggettività) che contraddistinguono la fenomenologia di Husserl. Con Heidegger l'analisi fenomenologica diventa in prima istanza analisi dell'uomo nella sua concretezza e finitezza; l'essere-nel-mondo non

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può essere risolto in una analisi delle strutture invarianti della soggettività. La fenomenologia non sarà più, per Heidegger, analisi della struttura dell' esperienza, bensì riflessione sul- Dalla fenomenologia la dimensione propria dell' esisten- all'esistenzialismo za. D'altro canto, comprendere la natura umana significherà cogliere questa natura come realtà essenzialmente temporale e immanente. L'uomo, in altre parole, non è un soggetto chiuso in sé stesso. Il suo essere nel mondo non è affatto, inoltre, un accidente estrinseco alla sua natura essenziale bensì un fattore che costituisce la soggettività stessa. Sarà compito della fenomenologia descrivere questa fatticità. L'idea di fenomenologia che emerge da queste considerazioni è quella di un metodo di analisi che, pur mantenendo il suo originario carattere descrittivo, considera tuttavia come oggetto di descrizione ambiti che Husserl riteneva estranei alla fenomenologia. I fenomeni non sono più, per Heidegger, strutture ideali costituite dalla soggettività, ma fenomeni concreti, strettamente vincolati all'esistenza. Una riflessione analoga può esser fatta per l'uso che Merleau-Ponty fa del termine 'fenomenologia'. Anche in questo caso, infatti, il metodo fenomenologico delinea i contorni di un'indagine che si avvicina quanto più è possibile alla esperienza concreta. L'esempio della trattazione che Merleau-Ponty fa del corpo proprio va esattamente in questa direzione, una direzione nella quale è la stessa nozione di coscienza, insieme alla nozione di filosofia trascendentale, che risulta profondamente trasfigurata. Il concetto di corpo non è infatti né definibile in termini di pura coscienzialità né oggettivabile mediante un atto di riflessione. Il ritorno alla soggettività, che costituisce la caratteristica essenziale della fenomenologia di Husserl, non deve quindi in alcun modo esser fatto coincidere, per Merleau-Ponty, col ritorno a una entità in sé. Analogamente, alla base della esperienza non vi è l'atto di costituzione di una soggettività trascendentale bensì il ritorno all'esperienza originaria del-

la percezione. L'indagine sull'intenzionalità diviene così fenomeno non astrattamente intellettuale bensì esistenzialmente incarnato. Anche in questo caso, come già per Heidegger, è il concetto stesso di descrizione fenomenologica che subisce una profonda trasformazione. L'intenzionalità diviene infatti, in questo caso, non una funzione della coscienza, bensì un atto originario per larga parte inesprimibile. Ancora una volta l'aspetto che viene rimarcato è l'inerenza della coscienza alla esistenza concreta, esistenza che nel caso di Merleau-Ponty si realizza in una coscienza corporea e incarnata.

2.1

Husserl: La crisi delle scienze europee I.',epoché, la messa fra parentesi, la messa "fuori gioco" di tutte le assunzioni non evidenti assume, ne La crisi delle scienze europee una veste estremamente generale: il metodo fenomenologico viene lì infatti interpretato come il solo metodo in grado di attuare un mutamento radicale dell'umanità. I',umanità che Husserl ha in mente è la civiltà europea, una cultura che ha intrapreso un cammino sbagliato e il cui totale disorientamento esige, per poter essere risolto, una radicale sospensione, una disposizione critica verso tutti i contenuti tradizionali del sapere. La crisi delle scienze europee viene scritta da Husserl negli anni fra il '29 e il '36, gli anni cioè che vedono in Germania il crollo della repubblica di Weimar e l'avvento del nazismo. È, questo, anche il periodo più difficile della vita del filosofo: il periodo del suo totale isolamento, perché ebreo e perché la sua filosofia viene superata, nell'interesse di allievi e assistenti, dalla filosofia di Heidegger. La motivazione di quest'opera risiede, in ultima analisi, in un intento di carattere storicoculturale. Proprio in quegli anni, come abbiamo visto, la cultura europea era animata da una profonda ostilità nei confronti delle scienze e della razionalità in generale. Osserva Husserl: mel-

la miseria della nostra vita, si sente dire, questa scienza non ha niente da dirci)). La crisi delle scienze sembra non riguardare, tuttavia, la validità delle singole teorie scientifiche, e tanto meno la loro efficacia. Quello che è in crisi non è infatti l'utilizzabilità delle scienze sul piano pratico, ma il significato che le scienze hanno per l'uomo e per la sua esistenza. Più in particolare, la critica alle scienze deve essere individuata nel venir meno, nelle scienze stesse, di un progetto complessivo, nel non sentirsi più parte di un progetto unitario, nel loro evitare sistematicamente un possibile coinvolgimento in domande che riguardano la vita e il destino dell'uomo. Da quest'ultimo punto di vista, la negazione irrazionalistica della scienza è un L'irrazionalismo sentimento che non deve rimane- e il suo superamento re inascoltato. Ma l'ascolto non significa adesione incondizionata e pessimismo radicale: in realtà l'irrazionalismo, cioè la risposta più comune al sentimento della crisi che anima la cultura del tempo, altro non è che il sintomo di una malattia che deve essere curata. E l'artefice della cura può essere solo la filosofia.

Noi siamo riusciti a comprendere anche se soltanto nelle linee più generali, come il filosofare umano e i suoi risultati non abbia affatto il significato puramente privato o comunque limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque- e come potremo dimenticarlo?-, nel nostro filosofare, funzionari dell'umanità. La nostra responsabilità personale per il nostro vero essere di filosofi, nella nostra vocazione interiore personale, include anche la responsabilità per il vero essere dell'umanità, che è tale soltanto in quanto orientato verso un telos, e che se può essere realizzato, lo può soltanto attraverso la filosofia. È possibile - di fronte a questo !!Sé>> esistenziale- sfuggire? E se non è possibile, che cosa dobbiamo fare per poter credere, noi che già crediamo; noi che non possiamo continuare seriamente nel nostro precedente filosofare se esso ci dà a sperare filosofie ma non una filosofia? I-Iusserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, Il Saggiatore 1975, p. 46

~E.

SEZIONE EPOCHE DELlA (:JVi!JÀ f:IJROPEA

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2 -LA FENOMENOLOGIA

L'irrazionalismo non è una filosofia, ma una patologia della cultura, una patologia di cui si Il rifiuto della ragione devono ricercare le cause. La pritradizionale non è ma causa dell'irrazionalismo va irrazionalismo individuata in un cattivo utilizzo, da parte della intera civiltà europea, della nozione di ragione. Ciò che deve essere superato è il concetto positivistico di ragione, un concetto che Husserl non esita a definire ((residua[e)) rispetto a una autentica rappresentazione delle scienze. La ragione neopositivistica è, per Husserl, un cattivo esempio di razionalismo. Il suo rifiuto radicale e acritico della metafisica ha finito, infatti, per escludere come privi di significato (e privi di interesse scientifico) i problemi più autentici della ragione, quelli che riguardano, ad esempio, il significato che le scienze rivestono per l'umanità. Da qui la necessità, per Husserl, di un'indagine storica, un indagine cioè che rintracci le radici ultime di quell'errore filosofico che ha condotto a un impoverimento e a una limitazione dell'idea stessa di ragione. È stata infatti questa strada che ha fatto sì che la filosofia tacesse di fronte al destino dell'uomo, trasformandosi in un pensiero non più in grado di dare all'umanità e alla sua esistenza un fondamento sicuro. Il fondamento, la radice dell'errore deve essere individuato, per Husserl, nei rapporti che il mondo della scienza ha intrattenuto con il mondo della vita [Lebenswelt]. La scienza si è solitamente basata su un realismo ingenuo legato alla prassi dello scienziato. Per gli scienziati dell'età moderna ciò che le scienze ricercano e scoprono è una "realtà in sé" a fronte della quale il mondo dell'esperienza, quello in cui comunemente viviamo e in cui siamo immersi, deve essere dichiarato illusorio. L'illusorietà è data, inoltre, dal carattere soggettivo (si pensi alla nota distinzione fra qualità primarie e proprietà secondarie nella scienza moderna) dell'esperienza e dei suoi contenuti. Il mondo della scienza, così facendo, si pone come negazione del mondo della vita, mondo che si fonda essenzialmente sull'esperienza.

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SEZIONE EPOCHE lA FU.6SGfiA t lA CRISI

Nella Crisi la descrizione del mondo della vita, del mondo quotidiano pre-scientifico, quello della percezione immediata, ha una valenza molto forte: esso costituisce infatti la base nascosta, dimenticata, rimossa dalle costruzioni della scienza moderna. Nel mondo della vita è evidente, per Husserl, il diretto operare della soggettività e della coscienza: quell'oggetto è colorato per me, il suono di quella melodia è un suono per me. Il mondo della vita vale essenzialmente per le persone che vivono in esso, ed esso costituisce l'ambito di una costante attività costitutiva del soggetto. L'universalismo oggettivistico propugnato dalla scienza moderna, che trova nella figura di Galileo Galilei il suo principale e radicale difensore, costituisce, da questo punto di vista, un misconoscimento, per molti aspetti una negazione, del mondo della vita, ed è proprio questo che la fenomenologia si propone di interpretare e superare. Ciò che deve essere riletto alla luce della nuova indagine fenomenologica è che l'idealizzazione del mondo della vita, del mondo intuitivo (idealizzazione che trova nell'applicazione della matematica al mondo naturale il suo principale strumento operativo) ha in realtà origine dal mondo della vita stesso e dalle sue fondamentali esigenze. Ma il fatto è che la scienza, nel suo sviluppo, ha totalmente dimenticato la sua origine, il fatto cioè di esser nata come perfezionamento, come affinamento del mondo della vita e delle sue esigenze pratiche. Così facendo la scienza nella sua globalità opera un travisamento che Husserl definisce obiettivistico e naturalistico: il "vestito di idee" del metodo geometrico e matematico, originariamente confezionato per servire alla vita, per ampliare quanto più possibile le possibilità empirico-intuitlve di previsione, si contrappone - con la sua esattezza - alla relatività del mondo della vita, tentando a ogni costo di negarla. Galileo [... ] è un genio che scopre e insieme occulta. Egli scopre la natura matematica, l'idea metodica, egli apre la strada a un'infinità di scopritori e di scoperte fisiche. Egli scopre, di fronte alla causalità universa-

le del mondo intuitivo, ciò che da allora in poi si chiamerà senz'altro (in quanto sua forma invariante) legge causale, la ''forma a priori" del "vero" mondo (idealizzato e matematico), la "legge della legalità esalta", secondo la quale qualsiasi accadimento della "natura" - della natura idealizzata - deve sottostare a leggi esatte. Tutto ciò è una scoperta e insieme un occultamento, anche se fino ad oggi l'abbiamo considerato una pura e semplice verità. La critica, che si dice filosoficamente rivoluzionaria, rrdella legge classica di causalità!! da parte della fisica atomica, non rappresenta un mutamento di principio. Perché nonostante tutte le novità rimane, mi pare, il principio essenziale: la natura in sé matematica, la natura che si dà nelle formule e che soltanto in base alle formule può essere interpretata. .- Cit., pp. 81-82

L'atteggiamento naturalistico e oggettivistico si pone non solo come negazione del mondo delNaturalismo la vita e dell'esperienza, ma anche e oggettivismo: della stessa soggettività, dalla quanegazioni della vita le secondo Husserl tutto ha origine: per il filosofo naturalista una scienza dell'uomo è possibile solo se il soggetto stesso viene interpretato come una parte della natura. È da questo oblio della funzione originaria della soggettività che nasce la nozione positivistica di razionalità, una nozione che abbiamo visto essere per Husserllimitata e fuorviante. Dare una versione naturalistica e oggettivistica della soggettività (quella che secondo Husserl è la visione standard della psicologia) significa prescindere dal valore progettuale, e in definitiva etico, della ragione in generale, e della ragione scientifica in particolare. È, quindi, la nozione naturalistica, oggettivistica di razionalità (quella nozione che la storia occidentale moderna ci ha storicamente tramandato) che deve essere rivista e analizzata criticamente, non la noziDfie-d-i-razionalità in assoluto. Al contrario, Husserl nella Crisi si oppone recisamente ad ogni forma di irrazionalismo e di anti-scientismo radicale: non si deve negare la scienza, ma ricondurre la scienza a riflettere sulle pro-

prie origini; portarla a riconoscere Non abolire ma la non esistenza di una "realtà in riformare la scienza sé" poiché il mondo (in primo luogo il mondo della vita e in secondo luogo il mondo obiettivo delle scienze) è, di fatto, il correlato delle nostre esperienze. Il soggetto dell'esperienza è l'elemento irriducibile, che non può essere subordinato a nessuna realtà più originaria, quindi nemmeno a una realtà fisico-naturalistica. La crisi delle scienze europee prende le mosse da quel profondo sentimento di crisi che abbiamo visto coinvolgere l'intera civiltà occidentale e ne condivide i tratti caratteristici. Tuttavia la risoluzione di Husserl, quella esemplificata dalla strada fenomenologica, non condivide alcun esito di tipo irrazionalistico: la fenomenologia rappresenta un punto di vista unitario sul mondo, il progetto di una filosofia universale in grado di fondare un ideale di umanità europeo, un ideale cioè che fornisca una risposta razionale alle domande sorte con il venir meno dell'ottimismo positivistico e scientista. La fenomenologia, così facendo, costituisce un radicale tentativo di resistere alla minaccia ((di soccombere allo scetticismo, all'irrazio-

nalismo, al misticismO>). Alla luce di queste considerazioni è possibile comprendere l'accettazione solo parziale delle riflessioni husserliane da parte della cultura dell'epoca. Molte tesi della Crisi- l'impossibilità, da parte della "scienza dei fatti", di dare una risposta ai problemi del senso o del non-senso della esistenza umana; la stretta connessione fra scienza moderna e tecnica; la critica alla visione naturalistica e oggettivistica - erano in realtà perfettamente conformi al sentimento dell'epoca. Ma· proprio nel momento in cui la vicinanza sembrava più forte, ecco che emergeva anche la distanza più sostanziale: laddove la cultura della crisi intravedeva una perdita assoluta di eticità e la totale responsabilità, o quantomeno impotenza, della ragione occidentale, Husserl continuava a vedere nella ragione lo strumento Dall"'eroismo della primo della riconquista, da parte ragione"al"destino della civiltà occidentale, di quei va- dell'Occidente"

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CIVIU'A ~IJIUIPEA

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2- LA FENOMENOLOGIA

3 lori etici, spirituali che in quella fase sembrava aver totalmente dimenticato. Sullo sfondo della cultura della crisi, il pensiero di Husserl mostra senz'altro di partecipare ai problemi del tempo, e tuttavia esso sembra offrire loro una risoluzione drasticamente differente.

La crisi dell'esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell'Europa, nell'estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell'ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell'Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo. Il maggior pericolo dell'Europa è la stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, in quanto "buoni europei", in quella vigorosa disposizione d'animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in eterno; allora dall'incendio distruttore dell'incredulità, dal fuoco soffocato della disperazione per la missione dell'Occidente, dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell'umanità: perché soltanto lo spirito è immortale. ,.. Cit., p. 358

In realtà l'accorato appello di Husserl all'eroismo della ragione, solo atto in grado di risollevare il futuro della civiltà occidentale, non fu ascoltato né dai filosofi né dagli intellettuali dell'epoca. Husserl, di fatto, in quegli anni non era più il punto di riferimento della filosofia tedesca, una filosofia e una cultura che avevano bisogno di sollecitazioni ben più forti di quelle che il razionalismo della fenomenologia poteva fornire, una cultura in cui la parola chiave non era più 'ragione' ma destino.

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U4 fiU:l:SOfll~ ~ Ul

Heidegger: essere ed Esserci Il tema della tecnica rivestiva per Husserl un'importanza cruciale. Nella sua opposizione radicale all'obiettivismo e al naturalismo, nel leggere l'evoluzione della scienza moderna come perdita del significato e del legame originario al mondo della vita, Husserl individuava nella tecnica una delle ragioni fondamentali della trasformazione della scienza in scienza di meri dati di fatto. La scienza moderna è caratterizzata essenzialmente dalla tecnica. Diagnosticando una crisi delle scienze europee Husserl ha diagnosticato anche una crisi della nostra epoca in generale, in quanto la nostra èra è essenzialmente caratterizzata dallo sviluppo scientifico. Anche il pensiero di Martin Heidegger (18891976) rimarca fortemente la responsabilità dell'Occidente nella perdita del senso dell'esistenza umana e, al tempo stesso, si inter- La perdita di senso roga circa il ruolo che il pensiero fi- dell'esistenza umana losofico può svolgere in questa fase di decadenza della nostra cultura e della civiltà. Heidegger vive la devastante esperienza della prima guerra mondiale e degli anni che la seguirono. Da lì l'esigenza di individuare un pensiero filosofico più aderente alla drammaticità dell'esistenza, un pensiero meno accademico e più concreto. Tale concretezza veniva individuata essenzialmente nella storicità e finitezza dell'uomo. Le riflessioni sulla essenziale storicità dell'uomo portano Heidegger a constatare l'inadeguatezza delle categorie con cui tradizionalmente si era soliti pensare all'esistenza. Il pensiero filosofico non sa fornire un adeguato resoconto dell'esistenza poiché ha una falsa impostazione del problema dell'essere, una impostazione che è radicata nella civiltà occidentale fin dalle sue prime origini. Chiarire la natura dell'esistenza, offrire al pensiero filosofico una concretezza implicava quindi, per Heidegger, una reimpostazione radicale del problema metafisica dell'essere. La filosofia deve, per essere autentica, porsi la domanda fondamentale: che cosa è l'essere? Questa domanda ha un senso perché,

fra le cose che sono, ce n'è una che ha anche esperienza dell'essere, e questo ente è l'uomo. In virtù di questa sua capacità fondamentale, Heidegger non parla mai di "uomo" bensì di Esserci: l'uomo è quell'ente la cui essenza consiste nel comprendere l'essere. La parola 'esperienza' - tanto cara a Husserl - viene così sostituita dalla parola, ben più congeniale a Heidegger, 'esistenza': esistenza è la relazione che permette all'Esserci di comprendere l'essere. Da qui il motto heideggeriano che ((['essenza dell'Esserci è la sua esistenzm. Il che significa che parlare di un uomo come di essere atemporale, non relazionale, non gettato in un mondo, un uomo cioè che non è essenzialmente connesso con un'esistenza è una vera e propria assurdità. L'essere nel mondo non è, per l'uomo, un fatto accidentale, ma un fatto essenziale, qualcosa che se non ci fosse cancellerebbe la sua stessa natura liJ s . Così facendo, Heidegger sottolinea l'essenzialità, per l'individuo, del far parte di una certa cultura, di una certa civiltà, di un certo momento temporale. L'uomo è essenzialmente storico. D'altro canto, l'Esserci è il luogo in cui l'essere si rivela. Analizzando quindi le strutture del primo si troverà la strada per impostare il problema dell'essere. L'uomo non è pensabile se non come parte di un mondo a cui appartiene e in cui svolge temL'essere temporale e poralmente la sua esistenza. Comrelazionale dell'uomo prendere la natura umana significa, per Heidegger, coglierla come una realtà temporale, il cui tratto essenziale è l'essere-nel-mondo. La filosofia ha in larga parte dimenticato la natura dell'Esserci e, così facendo, ha obliato che l'essere nel mondo è la costituzione fondamentale dell'Esserci. Una filosofia che sia in grado di parlare all'uomo contemporaneo deve, necessariamente, prendere le mosse dalla sua quotidianità. Nel mondo le cose si danno come utilizzabili, come oggetti pronti da usare. D'altro canto, uno strumento per poter essere usato deve rimandare a qualcos'altro, cioè far parte di una trama di relazioni, di una rete di connessioni che Heideg-

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QUADIIO

Gf.IIIERI\I.f.

3 - HEIDEGGER: ESSERE E ESSERCI

ger chiama la signijicatività dell'oggetto: senza di essa l'oggetto non riveste alcun significato, ma se non ha significato non può essere usato in modo appropriato. La rete di relazioni che permette l'utilizzabilità delle cose è il mondo. In questo senso è lecito affermare che il mondo è una possibilità: la possibilità, per le cose, di rivelarsi nel senso che è loro proprio. La trama delle connessioni è tuttavia condizione necessaria ma non sufficiente per l'utilizzabilità delle cose. È infatti essenziale che alla rete di relazioni si aggiunga l'esistenza di un progetto all'interno del quale le cose possano essere "interpretate" come strumenti: solo se esiste una progettualità posso, di fatto, usare uno strumento come quello strumento e non come un altro. Senza progetto, quindi senza intenzione, non è possibile essere nel mondo in modo adeguato, quindi non è possibile una mondanità. L'Esserci è, di nuovo, l'unica entità in grado di avere progetti. Utilizzabilità e progettualità sono quindi le due condizioni essenziali dell'essere nel mondo. Caratteristica ulteriore dell'Esserci è il suo essere gettato nel mondo. Se l'Esserci c'è, questo non dipende certo da una sua scelta. L'esistenza è un fatto in cui ci troviamo senza poterne dare alcuna spiegazione, così come non riusciamo a fornire una spiegazione del nostro appartenere a un certo momento temporale e a un certo momento spaziale. L'uomo è, per essenza, inserito in una situazione storica e culturale ben definita. Heidegger sintetizza l'aspetto strumentale e progettuale da un lato e l'essere gettati nel mondo con la seguente frase: . Per accostarsi all'essere l'uomo deve reagire allo spaesamento del mondo moderno e pensare sulla base della "vicinanza all'origine", poiché l'origine è il luogo dove l'uomo è più vicino all'essere; il contrario, quindi, dell'alienazione, della inautenticità e dell'estraniazione in cui vive l'uomo moder-

SEZIONE EPOCHE

1.1\ FILOSOFIA E1.11

DEU.Iì CIVILTÀ EUROPEA

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3 - HEIDEGGER: ESSERE E ESSERCI

4 no. Al gergo della inautenticità, come è stato detto, Heidegger sostituisce ora il gergo dell'originario. La critica della metafisica diviene così il modo per recuperare il senso originario dell'essere, quel senso che con ogni probabilità era stato intravisto dal pensiero greco alle sue origini, e la cui assoluta dimenticanza da parte dell'uomo moderno ha condotto w !la medesima desolante frenesia della Dall'inautenticità alla ricerca del senso

tecnica scatenata e del! 'organizzazione senza radici dell'uomo norma-

Questo compito - affermava Heidegger nel '35 - spetta al popolo tedesco, il popolo metafisica (nel senso della autentica metafisica) per eccellenza. Al progressivo oblio dell'essere, all' erramento caratteristico dell'umanità moderna caratterizzata dalla riduzione dell'essere all'ente - Heidegger tenta ora di sostituire lo stretto legame fra popolo tedesco e pensiero greco originario, quello antecedente alla nascita della metafisica occidentale di Platone e Aristotele. Solo così è possibile operare il superamento della vita inautentica e entrare nella autenticità dell'esistenza. Ma cosa significa, per l'umanità moderna, autenticità? L'autenticità sta, per Heidegger, nell'ascolto silenzioso della chiamata della coscienza, la quale ci conduce alla appropriazione consapevole di ciò che siamo, del destino che ci è proprio, senza che la coscienza operi in ciò il minimo intervento. Nella parola destino si racchiude la risposta che Heidegger dà alla crisi drammatica del presente. All'esistenza che ha smarrito la propria strada, un'esistenza che è stata privata della sua autenticità da una cattiva interpretazione della metafisica, Heidegger risponde con un invito a una decisione vuota e al tempo stesso perentoria: