Testi medici latini antichi: le parole della medicina, lessico e storia: atti del VII Convegno internazionale, Trieste, 11-13 ottobre 2001 9788855527651, 8855527657

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Testi medici latini antichi: le parole della medicina, lessico e storia: atti del VII Convegno internazionale, Trieste, 11-13 ottobre 2001
 9788855527651, 8855527657

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EDIZIONI E SAGGI DI FILOLOGIA

UNIVERSITARI CLASSICA

Collana diretta da G. CALBOLI,

A. GHISELLI,

9.

I. MARIOTTI,

A. TRAINA

ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE LESSICOGRAFICA SULLA LETTERATURA SCIENTIFICA E TECNICA GRECA E LATINA

TESTI I.E

MEDICI

PAROLE

DELLA

LATINI ANTICHI

MEDICINA:

LESSICO

E STORIA

Atti del VII Convegno Internazionale Trieste, 11 - 13 ottobre 2001 LINGUE

TECNICHE

DEL

GRECO

E DEL

LATINO -

IV

Direzione e coordinamento

Sergio Sconocchia e Fabio Cavalli a cura di Maurizio

Baldin,

Marialuisa

Cecere,

Daria

Crismani

Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Scienze dell'Antichità "L. Ferrero" Università degli Studi di Perugia Dipartimento di Studi Paleocristiani, Tardo-Antichi e Medievali Accademia Jaufré Rudel di Studi medievali

PATRON EDITORE BOLOGNA

2004

Copyright © 2004 by Pätron editore - Quarto Inferiore - Bologna I diritti di traduzione e di adattamento,

totale o parziale, con qualsiasi mezzo

sono riservati per tutti

i Paesi. É inoltre vietata la riproduzione, anche parziale, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Prima

edizione,

luglio 2004

Ristampa

5.4

32

10

2009

2008

2007

2006

2005

2004

Si ringraziano le Istituzioni che hanno permesso con i loro contributi la realizza-

zione del Seminario e la stampa degli Atti: Rettorato dell'Università di Trieste;

Dottorato di ricerca sulla letteratura scientifica e tecnica greca e latina.

Opera pubblicata con il contributo del Miur cofinanziamento 40% "Corpus lessicale della medicina antica greca e latina" (Unità di Ricerca delle Università di Trieste e Perugia)

PATRON Editore - via Badini, 12 40050 Quarto Inferiore (BO) Tel. 051.767003 Fax. 051.768252 E-mail: [email protected]

Sito: www.patroneditore.com Il catalogo generale & visibile nel nostro sito web. Sono possibili ricerche per: autore, titolo, materia e collana. Per ogni volume ὃ presente il sommario e per

le novità la copertina dell'opera e una sua breve descrizione. Stampa:

LI.PE. Litografia Persicetana, San Giovanni in Persiceto, Bologna.

In ricordo del maestro e amico Mirko Grmek

INDICE

Presentazioni

Mirko

13

scientifica e cultura umanistica (F. Foschi) .................... Grmek

SEZIONE

(Krapina,

1924-Paris, 2000) (D. Gourevitch) ........

*

Cultura

....................1.0srrerre cere nere nenne ese ze recare κεν εε varesini ce rezenene

I

Lessico medico

in Lucilio (C. Santini) ........................................-.

Peste e malattia in Sallustio (I. Mariotti) ......................................

Appunti

sulla

crenoterapia

nel

XXXI

libro

della

Naturalis

historia di Plinio (I. Bona) .................. eene

Les

ulcéres,

leurs

pharmacopée Considerazioni

appellations

et

leur

traitement

dans

la

végétale de Pline l'Ancien (V. Bonet) ................ sull'esegesi di militare

Capitani)....................

elles

in Celso VI, 6, 31

61

A (U.

eiieeeiseseeseen zes eresie nh nh nnns nsns nnne sensn nnns

73

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline

l'Ancien (P. Gaillard-Seux)......................................

eene

83

Les Controuersiae de Sénèque le Rhéteur et la préface du De medicina de Celse: lartiste et le médecin, histoire de regards (F. Le Blay) ........................ eere eene

99

Il termine vapor nell’Edipo di Seneca (C. Nencioni)....................

117

Giuliano imperatore

e un probabile caso di intossicazione da

monossido di carbonio (P. Parroni, E. Parroni) ......................

123

6

Lattesa della guarigione negli avverbi prognostici finali delle ricette pseudoapuleiane (M.F. Buffa Giolito) ........................... I verbi delle preparazioni farmaceutiche nell'Herbarius dello ps. Apuleio (G. Maggiulli) .......................... eee

143

SEZIONE II di Celio Aureliano (F. Stock) ...........

157

A proposito di Anthim. 30 (P. Paolucci) ...................................ssss

173

Note sul lessico anatomico

Die

lateinische Übersetzung der Therapeutika des Alexander von Tralles: Bemerkungen zur Textüberlieferung und zum Wortschatz (D. Langslow) .....................

De

Physica

q.u.

Plinii

Sangallensi

181

eene

annotationes

aliquot

cum

capite prius inedito (Cap. VIII, Ad dentium dolorem remedia, pp. 197-200) (A. Oennerfors)....................

An

Edition

and

Translation

of

the

eere

197

pseudo-Hippocratic

Epistula de uirginibus (K.-D. Fischer).......................................

211

SEZIONE III Tradizione

classica

e

medicina

medievale:

il

La

prologo

dei

......................

229

traducción castellana de los nombres de enfermedades en la obra de Bernardo de Gordonio: tractatus de crisi et de diebus creticis (A.A. Guardo)................... eese eene nennen nena

241

Pantegni di Costantino l'Africano (G. Marasco)

Note per una traduzione del primo libro del Canone di Avicenna (R. Gagliardi) ..... ἐνννννννννννννοννννννννννννονννννεεννννννννννννννε κεν eee nnn

267

Deformaciones de términos médicos en el Alphita (M.C. Herrero ie niente

285

Simone, la anula e Mondino: osservazioni su due lessici medici del basso Medioevo (F. Cavalli) ................................... eere

295

Ingelmo) .......Ψ.ννννννννννννν νον ννονννν esee eene eene nenne nnne

then nsa aset

Le parole della cucina: osservazioni sui lessici medici e gastronomici del Medioevo

(M. Cecere) ...........................

eene

311

Indice SEZIONE

IV

Naturaleza

y

Dios

en

los

textos

anatómicos

del

miento (M.Á. González Manjarrés) ...................

Renaci-

cn

327

El léxico de Celso en una traducción de Hipócrates del siglo XVI: el libro II de las Epidemias de Pedro Jaime Esteve (M.T. Santamaría Hernández) ..................... eere nennen

353

Sulle tracce dell'editore: parole chiave nei marginalia dell'editio Rovilliana di Celio Aureliano (A.M. Urso) ................................

375

Giovanni Manardo y la historia del léxico de la patología: Oculorum morbi (P. Conde Parrado, A. Paíno Carmona) .......

405

Léxico

latino

del álgebra

(LI. Blanco Pérez) ......

Autori

medici

en una

traducción

del siglo XVII

ian cesis ioot orent rhone rr attrita toes

greci e latini nell'opera di Giacomo

Leopardi

Parte IE (E. Da...

435

449

Autori medici greci e latini nellopera di Giacomo Leopardi Parte II (S. Sconocchia) .....ΨἍἁἍἱνννννννννννννννννν νον ονοννννονενννονενννννννον

467

Cesare Lombroso e il lessico botanico nella medicina popolare greco-calabra (A. Zumbo) ......... eco aiar

489

SEZIONE V greca e latina (S. Sconocchia) ............

493

antico (V. Pizzani) ...............................

545

Un problema di lessico anatomico (I. Garofalo) ..........................

553

Osservazioni sul lessico botanico nei testi medici (D. Fausti)....

561

La lingua della medicina Musicoterapia

Per

nel mondo

un lessico della medicina: ThlL e “vocabolario (A. Grillone) ΗΝ

del sesso”

577

Entre decoctum y syrupus: la terminología del jarabe (A.I. Martín Ferreira] sn

a CMM

585

Nivel de lengua, connotaciones y léxico técnico: el campo de suffumigare (E. Montero Cartelle) ...........................

esee

611

8

Indice

Hidropesía

y

diabetes

(la

insaciable

sed

del

Pérez Ibänez) ................ e eeeceeeeeeeee nennen

hidrópico) nennen

(MJ.

nn iii eni

627

La lippitudo dans la littérature classique: de l'oeil qui dégoutte 651

à l'eeil qui dégoüte (M. Pardon) ..........................

SEZIONE

Sulle

VI

molteplici

valenze

di φάρμακον

a partire

dai

dialoghi

platonici e dai testi ippocratici (I. Capitani)............................ Appunti

su

alcuni

termini

del

lessico

farmacologico

(D.

Crismani) ......ccessessssesssnessnenenenenensnnssnnnsnnennnnonennnnnonnnnnnnnnnnnnnnnnsnnnnnn

Domenico Pizzimenti Vibonense: maestro, interprete, copista sec. XVI

(M.R. Formentin)

Indice degli Autori antichi .................... Indice degli Autori moderni .........................

in

etrusco

683

del

.......«ννννννννννν εν εν εν ceci κεν εν nennen rennen

Alcune denominazioni di piante medicinali Recchi) ............... eese eene nnns

665

691

(6.

703

ον νενενονννννννννονννννννννον

709 717

Presento con piacere con questa breve nota il volume di Atti del VII Colloquio

internazionale su Testi medici latini antichi. Le parole della medicina: lessico e storia, colloquio che si inserisce in una tradizione importante e, vorrei dire, luminosa. La città di Trieste, punto di incontro di civiltà multietniche - e non solo Mitteleuropee, ma aperte all'Oriente e al mondo - e l'Ateneo triestino, notoriamente attivo con la sua Area di ricerca nel campo della scienza e della sperimentazione,

e con personalità di spicco come quelle dei Premi Nobel Carlo Rubbia e Margherita Hack,

porgono

il loro caldo ringraziamento a tutti gli studiosi che sono

stati

presenti a questo Convegno, specialisti insigni esteri e italiani nel settore difficile e affascinante della Medicina antica; l'Università di Trieste ἃ grata per le relazioni ricche di interesse e spesso in grado di offrire risposte attendibili a quesiti aperti da lunga data. Le parole della medicina: lessico e storia. ficità della lingua della medicina nelle sue Tavola rotonda sul Lessico greco-latino della tati raccolti nei presenti Affi saranno tanto

Il problema dei linguaggi e della speciimplicazioni e nei suoi vari aspetti; la medicina antica: sono certo che i risulpiù importanti quanto più ogni studio-

50 avrà saputo rinunciare a idee e posizioni rigide e aprirsi, attraverso il dialogo, ad accogliere la parte di verità che talora, anche in contrasto con sue proprie profonde convinzioni, puó essere apportata dagli altri. Verità che, come ὃ stato già detto da qualcuno, non & patrimonio esclusivo di singoli individui, ma deve scaturire dal confronto, dalla collaborazione, dalla conquista comune, come accade in diversi settori della nostra esistenza. E per questo che sono grato agli organizzatori del Convegno, in primis a Sergio Sconocchia e Fabio Cavalli, per la realizzazione dell'incontro di studio e dei presenti Atti, i cui risultati sono destinati ad aprire prospettive di studio e metodologie nuove: come sono grato agli studiosi che con loro hanno curato il volume, il quarto se non erro della collana Lingue tecniche del greco e del latino tra quelli editi con la prestigiosa Casa editrice Pàtron - volumi di cui ricevo regolarmente copia ed a cui sono affezionato -. Un grazie dunque ed un cordiale augurio di positivo riscontro al presente volume, dal quale, ne sono certo, trarranno beneficio tutti gli studiosi che si applicano a questo settore di studi. Prof. Lucio Delcaro

Magnifico Rettore dell'Università di Trieste

10

Presentazioni

In qualità di Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Antichità, una struttura di solida tradizione e di ampie prospettive di studio - dalle ricerche sul mito alle innovazioni dell'informatica umanistica, dall'archeologia aperta anche a orizzonti e terre lontane, alla storia, agli aspetti scientifici e tecnici del mondo classico -, sono lieto e onorato di scrivere questa breve nota introduttiva al volume di Atti e di dare un caldo ringraziamento agli studiosi che, qui convenuti da prestigiose Università estere e italiane, hanno discusso su un tema ricco, nella sua riconosciuta oggettività scientifica, di risvolti nuovi e affascinanti. In un contesto multietnico e aperto per sua natura alle esperienze di civiltà molteplici - e non intendo riferirmi alla sola dimensione mitteleuropea - l'Ateneo triestino, notoriamente all'avanguardia nel campo della ricerca sulle realtà scientifiche e tecniche (basti pensare alle ricerche sul sincrotrone), si pone con la realiz-

zazione di questo VII Colloquio internazionale Testi medici latini antichi. Le parole della medicina: lessico e storia al centro di un dibattito sulla lingua della medicina,

per sua stessa natura tecnica e speciale. Gli studiosi internazionali qui convenuti, da Philippe Mudry a Klaus-Dietrich Fischer, da Danielle Gourevitch a David R. Langslow, si sono affiancati a non meno celebri Colleghi italiani, da Ubaldo Pizzani e Carlo Santini, da Italo Mariotti a Silvano Boscherini, da Ivan Garofalo a Piergiorgio Parroni, da Fabio Stok a Umberto Capita-

ni, per la individuazione delle caratteristiche più salienti

e marcate della lingua della

medicina: un settore di studi da anni ben rappresentato anche nel nostro Dipartimento - potrei citare le edizioni, del resto a tutti voi note, su autori di medicina romana, da opere di età Giulio-Claudia a testi di età galenica, le Concordanze edite con Olms, la Letteratura scentifica e tecnica di Grecia e Roma edita con Carocci, cui si aggiunge, con il presente Convegno, la ricerca specifica su un settore difficile e affasci-

nante, come quello della lingua della medicina. Sono anche certo che la tavola rotonda realizzata su un tema come quello del Lessico della medicina greca e latina antica, che nel nostro Dipartimento & presente con un filone di ricerca finanziato dal MIUR (Corpus lessicale greco e latino della medicina antica, coordinatore nazionale il Collega Sergio Sconocchia), rappresenti un momento importante di riflessione, definizione e messa a punto di queste problematiche: attraverso il confronto delle idee si perviene a posizioni più approfondite e motivate. Agli ideatori del Convegno, Colleghi del Dottorato in Letteratura scientifica e tecnica greca e latina, con Philippe Mudry, rivolgo un caldo ringraziamento con l'auspicio che questi Atti apportino frutti duraturi. Prof. Ezio Pellizer Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Antichità di Trieste

Presentaztoni

11

Sono lieto ed onorato di presentare il volume che raccoglie gli Atti di tre intense giornate di studio quali sono state quelle svolte a Trieste nell'ottobre 2001, con interventi di grande interesse ed alto profilo scientifico. E questa la prima volta che l'Accademia Jaufré Rudel di studi medievali, da me presieduta, collabora con l'Università di Trieste per la realizzazione di un avvenimento così importante, e

questo & certamente motivo di grande soddisfazione per tutti noi: ma non solo. Alcuni anni fa, in seno all'Accademia, si é andato formando e consolidando un gruppo interdisciplinare per lo studio della medicina del Medioevo, con il progetto, peraltro ambizioso, di arrivare, tra le altre cose, alla formazione di un corpus elettronico della medicina medievale, ritenendolo uno strumento assolutamente indispensabile per lo studio e la comprensione di quel fenomeno di portata ancora non del tutto chiarita che fu l'innestarsi nella società cittadina e mercantile europea, ed in special modo italiana, della medicina "scientifica" e dell'opera dei medici di forma-

zione universitaria. E inoltre chiaro (ma non cosi scontato specie per quanto riguarda una certa storiografia medica) come la medicina del medioevo sia, seppure attraverso strade diverse, una continuazione ed un approfondimento della medicina del mondo

antico e che nella lingua della medicina medievale,

pur con l'interfe-

renza dei numerosi sostrati linguistici, giochi un ruolo molto importante la lingua tecnica del latino classico e della tarda antichità. E in questa ottica quindi, che la partecipazione dell'Accademia nell'organizzazione di questi Colloqui Internazionali, offertaci dall'amico Prof. Sergio Sconocchia, a cui noi tutti dobbiamo un sincero tributo di stima e d'affetto, deve essere vista, augurandoci d'altronde che questa

continuatio mediaevalis, perlomeno per quanto riguarda la lessicografia tecnica antica diventi, più che un occasione, una consuetudine di confronto e di studio. Fabio Cavalli

Presidente dell'Accademia Jaufré Rudel di studi medievali

12

Presentazioni

Desidero innanzitutto rivolgere un pensiero di gratitudine a chi mi ha incoraggiato e anche finanziariamente aiutato per la realizzazione di questo Colloquio, ir primis il Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Trieste, Prof. Lucio Delcaro, e il Direttore del Dottorato in Letteratura scientifica e tecnica greca e latina, Prof. Ubaldo Pizzani; con loro un vivo ringraziamento all'amico Dr. Fabio Cavalli, Presidente dell'Accademia di Studi medievali "Jaufré Rudel” e agli amici e allievi che curano con me questi Atti, in particolare alla Dottoressa Marialuisa Cecere, valida Segretaria del Convegno. Il VII Colloquio internazionale era stato in realtà progettato da tempo nelle sue linee generali in uno dei Seminari di Dottorato tenuti a Trieste, precisamente nel maggio 2000, con gli amici Pizzani, Mudry, Stok, Carini e Cavalli: la scelta del tema cadde su Le parole della medicina: lessico e storia, un tema che sento congeniale con il gruppo di amici delle Università di Trieste, Perugia e Messina con cui lavoriamo da anni alla realizzazione di un Corpus lessicale della medicina antica greca e latina, lavoro certo ampio e problematico, ma di cui stiamo ora, dopo tante difficoltà, per raccogliere i primi frutti con la pubblicazione, sia pure parziale e in forma di Work in progress, dell'index del Corpus e con l'edizione delle Concordanze lemmatizzate di Celso con l'Editore Olms, opera in fase molto avanzata. Ringrazio tutti gli studiosi che hanno partecipato al Colloquio: ognuno ha apportato la propria preziosa esperienza di ricerca nella determinazione di prospettive fondamentali per lo studio di una lingua speciale come quella della medicina antica greca e latina. Il volume di Atti rispecchia, nella sue varie sezioni, le attitu-

dini specifiche degli studiosi. Ringrazio molto anche il Collega Prof. Alf Önnerfors che, pur non avendo potuto partecipare al Convegno, rarci della sua presenza partecipando a questi Atti con buto sulla Physica Plinii. La Tavola rotonda, di cui approfondiremo le tematiche pubblicazione dei risultati), ha permesso di mettere a

ha voluto ugualmente onoun suo importante contriin un futuro incontro (con punto nuove metodologie e

linee di ricerca e costituisce un punto di partenza per l'ampliamento dei lavori sul Corpus aperto alla collaborazione internazionale. Al Corpus lessicale della medicina

greca e latina antica si affianca il progetto dell'Accademia "Jaufré Rudel" di costituire un Corpus elettronico della medicina medievale. Questi Atti costituiscono un contributo rilevante per la determinazione di linee

di studio e classificazione delle 'parole' della medicina antica, nel loro lessico e nella loro storia, in dimensione dunque sincronica e diacronica, ma anche, in qualche modo, nella dinamica sintattica e stilistica dell'usus scribendi dei diversi autori, nella loro lingua.

Il VII Colloquio si pone dunque come ponte ideale tra i Colloqui del passato, da quelli di Macerata e Losanna a quello di Bruxelles e i Colloqui del futuro: contributo operoso di studiosi che, con le loro ricerche, assicurano i progressi di questi nostri studi. Sergio Sconocchia

Franco

Foschi

CULTURA

SCIENTIFICA

E CULTURA

UMANISTICA

Non farò riferimento all'ormai secolare discussione sulle ‘due culture’ se non per alcuni aspetti ancora attuali e meno discussi in Italia. Di solito ci si riferisce al famoso saggio di Ch. P. Snow !, ma molto piü

raramente alla risposta di F. R. Leavis?, il critico letterario di Cambridge celebre in Inghilterra, che ho imparato a conoscere attraverso l'amico G. Singh che é stato suo collaboratore e poi l'editore delle sue opere postume.

Per la verità si potrebbe ora parlare delle ‘tre culture’, come dimostra nei

suoi

scritti (del 1985, tradotti ora in Italiano) Wolf Lepenies ?, Rettore

del Wissenschaftskolleg di Berlino, che ripercorre in modo originale le fasi del dibattito sviluppatosi soprattutto in Francia,

in Germania

e in Inghil-

terra a partire dal XIX secolo sul pensiero sociologico come terza cultura o Tultimogenita delle scienze' come direbbe Lepenies. Ma mi limiteró qui a far cenno soprattutto alle due culture. Ch. P. Snow, nato nel 1905, era un

buon

fisico,

esperto

di politica

scientifica, ma anche scrittore di romanzi sui problemi dell'etica della scienza. Nel 1956 pubblicó sul «New Statesman», la rivista di Sidney e

| Cfr. Ch. P. Snow, Le due culture.

Prefazione di L. Geymonat,

Milano

1965, 3 (1959). Questa

edizione contiene sia il testo della celebre conferenza Le due culture e la rivoluzione scientifica te-

nuta a maggio blicata culture.

Cambridge nel maggio 1959 per la serie Rede Lectures in brossura e, per lunghi passi, in «Encounter», Maggio negli Stati Uniti in veste rilegata, Cambridge University Successive considerazioni (cfr. pp. 51-103), con risposta

(cfr. pp. 1-51) edita nello stesso 1959 e fascicoli seguenti e pubPress 1959, sia il testo di Le due anche ad alcune posizioni pole-

miche di F. R. Leavis (si veda infra).

2 F. R. Leavis, Two Cultures? The Significance of C. P. Snow, pubblicato per la prima volta in «Spectator» del 9 marzo 1962, ristampato come opuscolo dagli editori Chatto & Windus nell'ottobre 1962. Per altre accuse a Snow si veda ad esempio «Spectator» del 23 marzo 1962 e fascicoli successivi. La prima traduzione italiana della risposta di F. R. Leavis alla tesi di Snow è stata curata da G. Singh, Due culture?, Feltrinelli Ed., Milano, estratto da /l Verri n. 19, pp. 22-40. G. Singh, critico letterario, poeta, leopardista in particolare, ha scritto tra l'altro una grande biografia letteraria di F. R. Leavis (F. R. Leavis, A Literary Biography

by G. Singh,

Iuckworth,

London

1955). 3 W. Lepenies, Le tre culture. Sociologia tra letteratura e scienza, Bologna 2000, con una intro-

duzione all'edizione italiana di A. Dal Lago.

14

Franco Foschi

Beatrice Webb, un articolo dal titolo The two cultures ^ e poi nel 19575 un successivo articolo: i due scritti contenevano la maggior parte delle idee fondamentali di Snow e furono poi sviluppati tre anni dopo nella conferenza tenuta a Cambridge di cui si & detto. Di li una controversia in parte

ancora attuale tra cultura scientifica e cultura letteraria, che era già iniziata nei secoli precedenti e che investi tutta l'Europa. Nella separazione delle due culture Snow individuava il problema centrale del mondo occidentale e in particolare dell'Inghilterra. Snow rimproverava agli scienziati

la loro mentalità chiusa rispetto alla letteratura, e ai

letterati la loro paurosa ignoranza della rivoluzione tecnico-scientifica, ma le sue preferenze erano comunque per la cultura scientifica, interprete del

futuro. Più chiaramente Snow accusava i letterati del XX secolo di colpe morali gravi per aver diffuso un'immagine del mondo che era sfociata nella tragedia di Auschwitz. Al contrario le scienze naturali secondo lui erano profondamente morali.

Il saggio Le due culture e la rivoluzione scientifica ebbe vasta risonanza suscitando su giornali e riviste reazioni intense e non sempre positive che attestano comunque il preciso zione e incomunicabilità tra le stabilire un dialogo, se non si civiltà occidentale. Ledizione del 1965 contiene

e duro richiamo che Snow fa alla separa«due culture», per le quali ὃ necessario rivuole compromettere il destino dell'intera anche Le due culture. Successive considera-

zioni, cioè le considerazioni aggiuntive del 19635, in cui lo Snow prende in esame alcune delle numerose polemiche suscitate dalla sua conferenza ? e ribadisce il suo convincimento che siamo entrati in una nuova epoca; in essa, alle forme tradizionali della cultura, quella umanistica e quella scientifica, non

rimane che la possibilità di allearsi. Secondo

lo studioso,

«Nel-

le condizioni proprie della nostra età, o di qualunque età che possiamo prevedere non ἃ piü possibile l'uomo rinascimentale» ®. Snow defini le ‘due culture’ piuttosto ‘due sottoculture'?, richiamando anche i valori profondi del termine 'cultura' 19; l'autore individua anche

nella nascente

'terza

cultura’, ancora non del tutto esistente, ma che «si verificherà nell'immediato futuro» !!, quella in pratica sociologica allora nascente, la forma di cultura piü idonea ad affrontare il problema delle conseguenze della rivo-

* 5 6 7

«New Statement», 6 ottobre 1956. In «Sunday Times», 10 e 17 marzo 1957. Cfr. «The Times Literary Supplement», 1964. Per alcune accuse Snow afferma di essere stato frainteso: Cfr. Le due culture. Successive

considerazioni... cit., pp. 57-59: cosi da Leavis era stata riportata non esattamente la sua frase «Ciascuno di noi muore solo», che riprende una affermazione di Pascal: «On mourra seul». 8 Ibid., p. 61.

9 Tbid., p. 63.

10 Ibid., pp. 64-68.

!! Ibid., p. 71; Snow parla già di ‘tre culture’ anche a p. 10.

Cultura scientifica e cultura umanistica

15

luzione scientifica sul piano sociale e umano. Snow parla anche delle condizioni politiche dell'umanità 12. «È pericoloso avere due culture che non possono o non sanno comunicare» '?. Come nota Geymonat, ciò che più amareggia l’autore è «l'atteggiamento di cieca, preconcetta diffidenza degli umanisti nei confronti della meravigliosa rivoluzione in atto entro la scienza e la tecnica» !4. Anche secondo Geymonat !? non è possibile in Italia riuscire a innovare le istituzioni della

scuola senza prima affrontare un'approfondita scienza-cultura su un piano filosofico.

discussione del problema

Secondo Geymonat !®: È vano parlare di superamento della frattura fra le due culture [...] fin quando non si sia dimostrato, con un'analisi coraggiosa della struttura odierna della scienza, che essa non puó esaurirsi in ricerche specialistiche sempre piü frammentarie e disorganiche. Se non si raggiungerà questa dimostrazione, la cultura scientifica non solo continuerà ad apparirci come inconciliabile con quella umanistica, ma ci apparirà, in ultima istanza, come una non-cultura. Snow

osserva !*:

Colmare la frattura che separa le nostre due culture è una necessità sia nel senso intellettuale piü astratto, sia nel senso piü pratico. Quando questi due sensi si sviluppano

separatamente,

nessuna

società

é in grado

di pensare

con

assenna-

tezza [...] Per l'amore che portiamo alla vita intellettuale [...] per le sorti della società occidentale che vive precariamente ricca fra i poveri, per il bene dei poveri che non devono essere poveri se nel mondo v'é ancora una briciola d'intelligenza,

è doveroso per noi e per gli Americani e per l'intero Occidente guardare con occhi nuovi

al nostro sistema educativo [...].

A Snow replicò soprattutto il critico letterario F. R. Leavis nel 1962 18, Nella

sua conferenza

di Richmond,

con

la sua

nota verve polemica,

lui

che era sempre stato fuori dall'establishment accademico, attaccó la presunzione scientifica di Snow ma criticó anche una certa tradizione letteraria inglese. Tra l'altro defini Snow come

«figlio spirituale di H. G. Wells» per aver

messo in rilievo, come un funesto presagio, le minacciose conseguenze del declino culturale contemporaneo. Al contrario, proponeva

12 13 14 15 l6 17 18

che ad evitare il declino

si concentrasse

Ibid., pp. 99-102. Tbid., p. 100. Prefazione ... cit., p. VIII. Ibid., p. XI. Cfr. p. XII. Cfr. Le due culture ... cit., p. 49. Cfr. F. R. Leavis, Two Cultures? The Significance of C. P. Snow... cit.

ogni

16

Franco Foschi

sforzo

creativo

su

una

vitale English

School’,

una

università

profonda-

mente riformata, incentrata sulla letteratura come strumento per comprendere il senso della civilizzazione occidentale del presente e la rivoluzione industriale da essa prodotta. Al termine della sua conferenza a Richmond,

F. R. Leavis esprimeva la

speranza che la Cambridge del futuro potesse diventare la sede nella quale la cultura coltivata dai giornali della domenica non fosse piü considerata un esempio «del meglio che nel nostro tempo conosciamo e pensiamo». Con ciò evocava la polemica che già alla fine del XIX secolo si era svolta

tra Matthew Arnold e Thomas Henry Huxley sulle due culture. Arnold aveva già sostenuto nel 1868 che era di pari importanza studiare le scienze dello spirito e quelle naturali, ma poi sviluppó questo concetto sostenendo che l'obiettivo di utilizzare i risultati delle scienze naturali

non poteva essere raggiunto se non attraverso gli studi umanistici, la poesia e la religione. Letteratura e scienza 1882 a Cambridge.

fu la conferenza

che Arnold

tenne

il 14 giugno

Lanno dopo ripeté la conferenza almeno 29 volte in America. La gente - come scrisse alla sorella - era pazzamente entusiasta specie nel New England. Era diventato l'argomento del giorno. Tornato in Inghilterra ebbe a

ripetere la stessa conferenza, a volte con oltre 2.500 uditori. Con questa conferenza Arnold rispondeva a quella tenuta da T. H. Huxley il 1? ottobre 1880 nel Birmingham Science College su 'Scienza e cultura'. E evidente dal titolo che Arnold intendeva parlare di ambedue

ture come separabili. Huxley, scienziato

illustre, soprannominato

'il bulldog

le cul-

di Darwin',

si

batteva per la diffusione delle scienze naturali. Arnold nella replica spiegö che era stato mal interpretato e che dal suo

concetto di 'Letteratura' facevano parte anche gli Elementi di Euclide e i Principia di Newton, come gli scritti di Copernico, Galilei e Charles Darwin. Contemporaneamente rimproverava ad Huxley di parlare solo di Science nel corrente significato inglese di 'scienze naturali', invece che nel

senso tedesco della parola Wissenschaft, che comprende

anche

la critica

letteraria e lo studio delle lingue antiche. La poesia e l'eloquenza non erano invece oggetto solo delle scienze; chi ad esse si dedicava elaborava i principi di una dottrina della vita che pote-

va aiutare l'uomo a comprendere se stesso e a orientarsi nel mondo. Il programma avviato da M. Arnold, fu proseguito e ampliato con decisione da F. R. Leavis anche se questi rimase per tutta la vita insieme a sua moglie Quenie Doroty Roth un antiaccademico. D'altra parte per lui e per il suo gruppo della rivista «Scrutiny» né Marx né Wells poteva essere di qualche utilità alla critica letteraria.

E in una conferenza alla London School of Economy su «Letteratura e società» disse a proposito dell'opera poetica che: «nascono individui dotati, subentra l'ispirazione e il risultato & la creazione». Piü importante inve-

Cultura scientifica

e cultura umanistica

17

ce &, secondo lui, ricercare le condizioni extraletterarie della produzione letteraria; e questo non si può fare ricostruendo solo le concatenazioni economiche e materiali, ma scoprendo la tradizione spirituale di cui faceva parte l'opera poetica di un autore. Il dibattito ha avuto un seguito soprattutto in Germania, in Francia, nella stessa Inghilterra e in Italia. Non possiamo oggi approfondire questo appassionante

itinerario.

Mi limiteró qui ad accennare al già citato lavoro di W. Lepenies !?, a discutere di un recente saggio di C. Bernardini e T. De Mauro ?? e a fare infine qualche riferimento alla solitaria opera di Giacomo Leopardi, che aveva anticipato di quasi un secolo il dibattito inglese e quello dell'Europa

della prima industrializzazione. Lepenies affronta nel suo lavoro la questione che contrappone la sociologia con il suo desiderio di affermazione globale e le tendenze antisocio-

logiche insite nella cultura dell'Europa tra i secoli XIX e XX. Lo studioso ripercorre in tre contesti diversi - la Francia (da Auguste Comte e dal primo positivismo alla svolta del secolo), l'Inghilterra (Da John Stuart Mill a Beatrice Webb al romanzo utopistico di H. G. Wells a

temi della critica letteraria inglese nei secoli XIX e XX), la Germania (dall'opera di W. H. Riehl all'ideologia tedesca dell'ostilità verso la scienza e fede nella poesia, al contrasto tra poesia e letteratura e tra sociologia e storiografia;

a Stefan George,

Georg

Simmel,

Max

Weber,

a Thomas

Mann,

a

E. R. Curtius, K. Mannheim e T. S. Eliot fino alla competizione fra Sociologia e Antisociologia nel nazionalsocialismo colto) - il difficile percorso che portó la sociologia ad affermare la sua autonomia e dignità scientifica. Carlo Bernardini

amichevole,

e Tullio De Mauro

discutono nel loro volume ?!, in un

arguto e interessante dialogo, sulla questione, quanto mai at-

tuale, come riconosce Bernardini 22: l'incontro tra le 'due culture', come il 'progresso',

é un tema quanto mai presente, un dibattito ancora non supe-

rato; certo Charles P. Snow parlava in 'altre' circostanze, ma il problema di fondo & sempre presente e vivo. Bernardini ribadisce 25: se un problema di incomunicabilità c’® questo ὃ dovuto soprattutto ai linguaggi che diventano divergenti là dove il linguaggio scientifico si prende la sua autonomia e lascia in soffitta il linguaggio di tutti i giorni [...] Non voglio alcun conflitto tra le due culture, voglio solo che quei testoni di letterati e dei filosofi smettano di parlare come funzionari di una «cultura dominante» e, riconoscendo che noi

19 W. Lepenies, Le tre culture. Sociologia tra letteratura e scienza... cit. 20 C. Bernardini - T. De Mauro, Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture, Roma-Bari 2003. 21

Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture... cit.

22 Cfr. Contare e raccontare... cit., p. 7.

23 [bid., p. 10.

18

Franco

Foschi

scienziati siamo perfino in grado di vedere i nostri limiti, ci diano almeno «l'onore delle armi». In parole povere, che non ci considerino pregiudizialmente barbari.

A questa domanda De Mauro risponde, e positivamente. Aspetti e problemi richiamati da Bernardini sono: 1. Einstein sempre

bene;

2. Falsificabile e impossibile;

4. Vizi, handicap

ci sta

3. Diffidare, pretendere e creare;.

e difetti; 5. Che sia bello solo quel che piace;

6. Come

è

bella l'intuizione, relativo anche alle forme, induttive della comprensione; 7. C? veramente del metodo? 8. L'algoritmo per dieci milioni di nonsensi; 9. Difficile arrendersi all'evidenza;

10. Della refrattarietà a capire anche ció che

e evidente; 11. Gli insegnanti: esperti, educatori, attori, missionari, pastori, o che?; 12. Conclusione, a mo' di arrivederci.

De Mauro risponde all'amico anche lui con una Premessa. Riconosce che alcuni dei punti toccati da Bernardini sono di stretta pertinenza disciplinare, li enumera e risponde a ognuno di essi.

Interessante è la risposta per il punto 1. Serve a qualcosa il latino? ** De Mauro, richiamandosi proprio a Giorgio Pasquali nega che il latino sia strumento che servirebbe ad affinare la logica, ne pone in risalto il valore di lingua delle comuni radici culturali europee e ne sottolinea le affinità

con l'italiano, in particolare con il volgare toscano del Due, Tre e Quattrocento. Relativamente al punto 2. L'italiano è una lingua inadatta alla divulgazione? ?5

De Mauro afferma che questo non è affatto vero, anche se l'italiano è a volte artefatto e involuto. Non è l'italiano ad essere poco adatto alla divulgazione, ma

«certe tradizioni di stile createsi nel passato e che ancora ci

pesano addosso a renderci difficile usare l'italiano in modo

sciolto, diretto,

concreto» 26, Così conclude 27: «Anche in e con l'italiano divulgare si può. E, of course, si deve».

Per il punto 3. In leccese si può parlare dello sbarco sulla Luna? ?* Lin-

signe linguista ribadisce la dignità di ogni linguaggio a esprimere perfettamente ogni contributo: si pensi al napoletano delle canzoni. Relativamente al punto 4. Solo in inglese si può parlare di scienze e fare

buona divulgazione? 2° L'autore deve riconoscere, con certi limiti, l'attuale egemonia della lingua inglese. De Mauro osserva ?°: «L'inglese, rispetto all'italiano, è la lingua la cui struttura più sospinge verso la atemporalità e

impassibile amodalità dei protocolli osservativi degli statements e delle formule scientifiche». 24 25 26 27 28 29

De Mauro De Mauro Cfr. p. 100. Cfr. p. 104. De Mauro De Mauro

pp. 85-92; cfr. Bernardini p. 6. pp. 93-104; cfr. Bernardini p. 31-32. pp. 105-109; cfr. Bernardini p. 40. pp.109-116; cfr. Bernardini pp. 31, 40.

30 Cfr. p. 116.

Cultura scientifica e cultura umanistica

19

Per il punto 5. /l pensiero umanistico è responsabile della scarsa circolazione della cultura scientifica in Italia? ! De Mauro nega questa responsabilità. Lumanesimo inteso come studia humanitatis arricchisce lo spirito, e sinonimo di equilibrio culturale ??. Si chiede De Mauro ?*: Troppo

umanesimo

e poca

scienza?

Ma

no,

poco

umanesimo

e poca

scienza

perché poca & la propensione nazionale all'accertamento rigoroso di fatti e dati, alle misurazioni e descrizioni precise, all'esperienza diretta. Dietro ciö c'é tutto un mondo

storico che ci pesa addosso,

di cui non riusciamo a

liberarci: milioni di

battezzati e cresimati che non hanno letto mai una riga di Vangelo, e non parliamo di Antico Testamento, assenza di biblioteche, poca lettura.

Breve e intensa e la risposta che il linguista dà relativamente al punto 6. La storia delle scienze deve essere una storia «interna», di idee, non una storia «esterna» di aneddoti biografici? * De Mauro afferma ?5: [...] le idee, specie nuove, camminano, ἃ stato già detto, sulle gambe degli uomini, e delle donne. Sulle gambe delle sollecitazioni che vengono da sviluppi o esigenze di sviluppo della vita quotidiana, delle tecniche, della produzione, dell'istruzione.

Relativamente al punto 7. Il formalismo & capace di generare la sua in-

terpretazione? ?* De soggetto,

senza

Mauro

sottolinea ?: «Non

radice nella prassi dei bisogni

si danno

linguaggi

senza

(Lucrezio e Vico dicevano

nella inopia) degli utenti, nelle scelte e determinazioni degli utenti». Per il punto 8. È colpa della cultura umanistica non capire il «potere evoca-

tivo delle formule» e il valore delle astrazioni? *? Il linguista risponde negativamente. In realtà Anche le piü trite e ovvie parole e frasi di una qualsiasi lingua storica nel suo uso, che in opposizione alle formalizzazioni dei linguaggi formali che ne abbiamo

estratto, diciamo ‘informale’, anche loro astraggono, comprimono e predicano 39.

Infine, per il punto 9. Ci servono «piccole stravaganti aperture», un certo grado di «flessibilità intellettuale» perché le scienze progrediscano? Ὁ Lo studioso dà risposta affermativa. De Mauro ribadisce *': «una lingua storico-

31 32 33 34 35 36 37 38

De Cfr. Cfr. De Cfr De Cfr. De

Mauro p. 119. p. 121. Mauro p. 123. Mauro p. 124. Mauro

39 Cfr p. 128.

pp. 116-122; cfr. Bernardini soprattutto p. 58. pp. 122-123; cfr. Bernardini pp. 24-26. pp. 123-124; cfr. Bernardini pp. 35, 21, 37-38. pp.124-130; cfr. Bernardini pp. 41, 52 e 58, 60.

40 De Mauro pp. 130-135; cfr. Bernardini pp. 58; 67-69. 4l Cfr. p. 132.

20

Franco Foschi

naturale (una qualunque che la storia abbia già predisposto a esprimere complessi

saperi)

é sempre

la base indispensabile

per costruire linguaggi

formali e calcoli». Lo studioso cita, tra l'altro 4, The common Language of Science di Albert Einstein e quello che Carnap definiva Toleranzprinzip; conclude richiamando Benedetto Croce. Notevoli sono nel libro di Bernardini-De Mauro la bibliografia, gli studi

e i saggi richiamati 4; utile l'Indice dei nomi. Farò ora qualche cenno alla solitaria opera di Leopardi, che, come si è detto, aveva anticipato di circa un secolo il dibattito inglese e quello europeo della prima industrializzazione. Certo è che dal suo piccolo osservatorio recanatese aveva tratto alcune originali convinzioni sulla importanza - e i limiti —

della cultura scientifica nell'opera letteraria e nella creazione poetica. Per capire lo svolgimento del pensiero leopardiano a questo proposito, bisogna rileggere le sue opere, a partire da quelle giovanili. Troppo sbriga-

tivamente scolaro,

liquidate come puramente le

così

dette

Dissertazioni

compilative od esercitazioni di uno filosofiche

del

1811-1812

(aveva

13

anni!) sono per metà serie dissertazioni scientifiche, sulla fisica del moto,

la gravità, l'urto dei corpi, l'estensione, l'idrodinamica, i fluidi elastici, la luce, l'astronomia,

l'elettricismo;

del resto anche

alcune delle dissertazioni

dette di metafisica sarebbero oggi classificate tra le scienze dell'uomo, la psicologia e l'antropologia. Per ognuna di queste materie Giacomo studiò i

testi più aggiornati e si può oggi dimostrare che la biblioteca paterna ne possedeva

più di quanti si è creduto.

di quel Compendio

Si potrebbe continuare con l'esame

di Storia Naturale (1812) che resta ancora sostanzial-

mente inedito.

A leggere poi il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815) e la Storia della Astronomia (1813) con le sue aggiunte e il tentativo di rifacimento della Storia degli errori (1817) che doveva comprendere Astronomia, Geografia e Storia naturale, ci si accorge che è sorprendente l'aggiornamento sulle scoperte più recenti. Ma soprattutto, il giudizio dell'autore è

molto personale e motivato. Tutt'altro che un riassunto di letture più o meno di seconda mano! Di qui cominciò

[...] la sua capacità

di comprensione

della realtà

in

una straordinaria sintesi tra le idee e le cose, da cui nasce la sua scoperta di una ultrafilosofia che riconcili filosofia, scienza e poesia e che conoscendo l'intiero e l'intimo delle cose, ci ravvicini alla natura (Zibaldone 115, 7 giugno 1820). Ma al tempo stesso nota nello Zibaldone (3239-3244, 22 agosto 1823)

che la natura sezionata sotto il coltello anatomico perde ogni «effetto poetico generale» che può derivare solo dall'uso combinato della ‘ragione’ e 'dell'immaginazione' o del ‘sentimento’.

42 Cfr. pp. 132-133. 43 Cfr. le Note, rispettivamente pp. 72-74 e 136-137.

Cultura scientifica e cultura umanistica

21

Su questo rischio di contraddizione tra poesia, sapere scientifico e metafisico, Leopardi riflette nel corso degli anni per «distinguere il bello dal

vero e quindi la letteratura e la poesia dalle scienze» (Zibaldone,

1252, 30

giugno 1821). Altrove Leopardi afferma «l'odierna filosofia che riduce la metafisica, la

morale ec. a forma e condizione quasi matematica, non & piü compatibile con la letteratura e con la poesia, com'era compatibile quella de' tempi ne' quali fu formata la lingua nostra, la latina, la greca»

(Zibaldone,

1359).

Taluni sono indotti a pensare ad un Leopardi antiscientifico. Al contra-

rio la sua preoccupazione era tesa a creare la sintesi tra nuova scienza, filosofia e poesia.

Italo Calvino nelle sue sei proposte per il prossimo millennio, cita Leopardi come fosse il filo conduttore del suo pensiero. La leggerezza del lin-

guaggio lunare: «Quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava». La rapidità: Leopardi mostra la velocità, ad esempio dei cavalli, che desta una quasi idea dell'infinito (Zibaldone, 1999, 27 ottobre 1821), in se-

guito suggerisce la rapidità e la concisione dello stile,*che diventa forza e abbondanza

2041,

di pensieri

3 novembre

o di immagini

1821). Ma

e sensazioni

la metafora

spirituali

(Zibaldone,

del cavallo per la velocità della

mente era stata usata prima da Galileo. «il discorrere & come il correre»; questo é in certo modo il programma stilistico di Galileo. E poi la teoria dell'esattezza che si ritrova sempre nello Zibaldone. Paradossalmente essa è nelle pagine sul ‘vago’, l'indeterminato, l'indefinito, il

molteplice che peró nascono da una osservazione

precisa, da una scelta

della luce, degli oggetti, dell'atmosfera.

Dice perfettamente Calvino: «Leopardi parte dal rigore astratto dell'idea matematica di spazio e di tempo e la confronta con l'indefinito, vago fluttuare delle sensazioni». Ma tutto questo non sarebbe stato possibile in termini poetici se non fosse stato preceduto da una severa riflessione sul progresso scientifico, i suoi limiti, i suoi rischi e il suo significato per l'uomo. Forse per questo uno dei piü grandi scienziati e filosofi del XX secolo, quale fu Bertrand Russell scrisse a proposito de l'Infinito: «essa esprime più di qualsiasi altra poesia da me conosciuta il mio pensiero riguardo

l'universo e le passioni umane». E in una lettera a Singh scrisse: «considero la poesia e il pessimismo di Leopardi la più bella espressione di ciò che dovrebbe essere il credo di uno scienziato».

Voglio infine ricordare quel passo di Zibaldone 1224-1226, in cui Leopardi spiega le ragioni di un vocabolario universale europeo: [...] Sarebbe opera degna di questo secolo, ed utilissima alle lingue non meno che alla filosofia, un Vocabolario universale europeo che comprendesse quelle parole significanti precisamente un'idea chiara, sottile, e precisa, che sono comuni a tutte o alla maggior parte delle moderne lingue colte. E massimamente quelle parole che appartengono a tutto quello che oggi s'intende sotto il nome di filosofia, ed a

22

Franco Foschi

tutte le cognizioni ch'ella abbraccia. Giacché le scienze materiali, o le scienze esatte non hanno tanto bisogno di questo servigio essendo bastantemente riconosciute e fisse le loro nomenclature, e le idee che queste significano non essendo cosi facili [1225] o a sfuggire, o ad oscurarsi e confondersi e divenire incerte e indeterminate, come quelle della filosofia. [..] Alle scienze son buone e convengono

le voci

precise,

alla bella letteratura

le

proprie. Ho già distinto in altro luogo le parole dai termini, e mostrata la differenza che è dalla proprietà delle voci alla nudità e precisione. È proprio ufficio de’ poeti e degli scrittori ameni il coprire quanto si possa la nudità delle cose, come ὃ ufficio degli scienziati e de’ filosofi il rivelarla. [...] Allo scienziato le parole piü convenienti sono le più precise ed esprimenti un'idea più nuda. Al poeta e al letterato per lo contrario le parole più vaghe ed esprimenti idee più incerte o un mag-

gior numero d'idee ec. Leopardi sente inadeguato il sapere scientifico rispetto all'infinito desiderio dell'uomo che puó appagarsi solo nell'immaginazione e nell'illusione

di una felicità che fugge a fronte dell'esperienza: «La natura ha voluto [...] che l'uomo [...] avesse

i sogni dell'immaginazione per cose reali e quindi

fosse animato dall'immaginario come

dal vero» (Zibaldone

168).

Infatti per il Cristoforo Colombo delle Operette morali, non conta che il

sogno si avveri o l'impresa fallisca ma il fatto che il viaggio liberi gli uomini dalla noia per un po' e li induca ad amare la vita e renda pregevoli molte cose, che altrimenti non si avrebbero in considerazione.

La trasposizione poetica della scoperta della terra nella canzone Ad Angelo Mai evidenzia però come con la realtà cada l'immaginazione e con essa il mito come forma originaria del conoscere umano. Ritrovare questa illusione nella realtà dell'immaginario é uno dei compiti della poesia, al di là del conoscere scientifico.

Danielle

Gourevitch*

MIRKO

GRMEK

(KRAPINA,

1924 - PARIS, 2000)

Mirko Grmek ci ha lasciati con grande coraggio nella notte tra il 5 e il 6 marzo dell'anno scorso, il 2000. Oggi, 2001, & il primo anniversario della sua

morte.

Con grande coraggio ci ha lasciati, perché soffriva di sclerosi amitrofica bilaterale, malattia che in francese si chiama 'morbo di Charcot', dia-

gnosticatogli solo un anno prima, ma di fatto già presente e percettibile molto prima. Con grande

coraggio,

perché aveva lavorato

fino all'ultimo giorno per

dare un ritocco definitivo a certe sue iniziative che gli stavano particolarmente a cuore, come ad esempio quell'Arétée de Cappadoce, Areteo di Cappadocia, tradotto da Laennec, giunto da Ginevra precisamente il mattino dopo la morte. Un'opera per la quale io, in qualità di successore nella sua

cattedra, come

avevo scritto una

ancora

quel

libro

che

prefazione, curava

o meglio

assieme

con

una

lettera d'addio.

Jacques

Jouanna,

O

cioè

l'edizione delle Epidemie V e VII di Ippocrate, uscita nel novembre 2000. Ci ha lasciati con incrollabile coraggio, perché aveva ordinato tutte le sue carte, e deciso il futuro della sua biblioteca che era di una ricchezza eccezionale, regalandone una parte all'Accademia delle scienze di Zaga-

bria, e l'altra all'Imec, a Parigi e a Caen

(Institut Mémoires de l'Édition

Contemporaine).

Ci ha lasciati con coraggio, perché la perdita velocissima dell'autonomia fisica era inaccettabile per un uomo

come

lui, col suo senso del dovere,

la

sua vita integra, fatta di scienza e di coscienza. Inoltre poiché nessuna convinzione religiosa gli impediva di agire sul proprio destino, non ha voluto accettare la tracheotomia e la totale incapacità fisica. Del resto, come diceva nel

1998 all'editore Di Rienzo ed ai suoi collaboratori,

come

«il ricorso a tecniche

la respirazione artificiale continua deve essere considerato abusivo se

la personalità del malato ὃ molto compromessa e se il suo stato ὃ senza speranza di miglioramento» (La vita, le malattie e la storia, Rorna, p. 55). * Directeur d'études à l'École pratique des hautes études.

24

Danielle Gourevitch

Con grande coraggio ha telefonato ai suoi amici piü vicini per un ultimo saluto. Le sue spoglie riposano a Parigi nel cimitero del Montpar-

nasse. Tolere mors vita potuit, post fata superstes fama viget. Periit corpus, sed nomen in ore est, così suona un epitaffio romano. Il nome di Grmek ri-

marrà a lungo sulle labbra dei colleghi, allievi ed amici; la sua fama rimarrà più a lungo ancora, quando codeste nostre labbra non potranno più pronunciare

il suo nome.

Mirko Grmek era nato nel 1924 a Krapina, che si trovava allora nel regno dei Serbi, Croati e Sloveni, oggi cittadina della Croazia;

aveva nulla di preistorico, qualche chiamava homo novus Krapinensis.

dato che non

volta con un tocco di tenerezza

lo si

Dopo gli studi liceali a Zagabria, entrò al Regio Politecnico d'Italia, dapprima situato a Torino, quindi trasferito a Lucca a causa della guerra. Quest'esperienza giovanile fu dura ma molto formativa: i professori italiani, assai ragionevolmente, non avevano nessun riguardo particolare per gli

studenti croati, non facevano differenze, ed i giovani dovevano fin da subito seguire tutte le lezioni in lingua italiana. Così quel ragazzo già plurilingue

aggiunse

al proprio

arco

la freccia

dell'italiano; e così

nacque

lo

scienziato europeo.

Il Regio

Politecnico

fu chiuso

per ragioni

di guerra,

e Mirko

Grmek

raggiunse i partigiani, conobbe diversi campi svizzeri più o meno duri, divenne ufficiale nelle truppe alleate. Tornato a Zagabria cominciò a studiare medicina,

laureandosi

in medicina

nel

1951,

poi nelle scienze mediche

nel 1958. Lavorò allora come psichiatra negli ospedali di Zara e Zagabria, poi rinunciò alla pratica ospedaliera che doveva per forza frenare le proprie ambizioni intellettuali e si consacrò completamente come professioni-

sta alla storia della medicina. Con questo curriculum divenne il fondatore e il primo

direttore dell'«Istituto croato delle scienze naturali, matemati-

che e mediche»

a Zagabria (1960-1963).

Iniziò così la carriera scientifica di storico delle scienze presso gli Slavi

del Sud (o Jugoslavi), un campo di ricerca che non avrebbe mai più abbandonato, come attestano il recente convegno internazionale su Baglivi e la pubblicazione della corrispondenza tra Sorkocecic ed Aldrovandi a pro-

posito dei pesci e delle conchiglie della regione di Ragusa, ancora in corso di stampa, per quanto di mia conoscenza. Grazie a questi primi lavori, acquistò rapidamente una fama internazionale e così iniziò la sua carriera francese, con una borsa di studio offerta dal Collège de France nel 1962, con l'incarico di leggere ed ordinare

le carte di Claude Bernard. Venne così pubblicato nel 1967 il Catalogue des manuscrits de Claude Bernard, e Grmek trovò posto in Francia come storico della biologia e della medicina francesi. Poté infatti lasciare la soffocante Jugoslavia comunista per Parigi dove si sistemò e divenne france-

se nel 1967. La sua tesi di lettere fu discussa nel 1971, sempre su Bernard: Raison-

Mirko

nement

Grmek

25

expérimental et recherches toxicologiques chez Claude Bernard.

1] li-

bro fu pubblicato due anni dopo, nel 1973, in una delle collane dell'École pratique des hautes études. All'indomani del suo dottorato, nel 1971, riceve infatti da questo istituto un primo incarico in storia della medicina come ‘chargé de conférences', ossia in qualità di assistente del professor Pierre Huard al quale subentrò nel 1973 col titolo di 'directeur d’etudes’.

Grazie alla libertà della quale fruiscono ampiamente i docenti della Scuola, grazie al carattere multidisciplinare che ci è d'uso, grazie agli scambi proficui con numerosi discepoli che erano professionisti in vari campi del sapere, Grmek divenne anche storico della medicina antica ed il suo libro Les maladies à l'aube de la civilisation occidentale (1983 — tradot-

to in italiano nel 1985, Le malattie all'alba della civiltà occidentale) rappresentó quasi un affare di stato nel mondo erudito. Maestro padrone dei vari metodi utili a questi tre rami del sapere storico, li applicó anche alla storia contemporanea, mettendo in atto, come già avevano fatto Littré o Daremberg, i dati scientifici più recenti per la storia del passato, e viceversa il metodo filologico per la storia del presente, scri-

vendo l'Histoire du sida. Début et origine d'une pandémie actuelle, tradotto lo stesso anno in italiano: Aids. Storia di una epidemia attuale (1989), e ideando la Storia del pensiero medico occidentale, in tre volumi (1993-1998,

poi tradotti in francese), diretti da lui con mano ferma nei minimi particolari. Il giorno della morte,

Mirko

Grmek

lasciava 33 volumi

(ora sono

34) e

339 articoli pubblicati su riviste, dizionari, libri collettivi, prefazioni, interviste ed altro ancora, scritti o tradotti in francese, italiano, croato, tedesco, inglese, giapponese, rumeno, spagnolo e greco. Era tra l'altro dottore honoris causa dell'Università di Bologna storia delle scienze.

per la

SEZIONE

I

Carlo Santini

LESSICO

MEDICO

IN LUCILIO

Dall'esame dei frammenti di Lucilio, poco piü di 1400 versi scampati al naufragio in virtù di citazione dei grammatici, è possibile stendere un in-

ventario di vocaboli che hanno una qualche attinenza con la storia della medicina; in aggiunta, la presenza in uno stesso libro di vari riscontri medici sembra autorizzarci a ipotizzare alcuni nuclei tematici. Queste presenze si giustificano ai termini dello statuto anepico del genere satirico; si

tratta infatti di testi che, pur nella comune colta, presuppongono

dimensione della letteratura

nel dettato l'afflusso di molti termini

della cultura

materiale. In Lucilio in particolare parrebbe trattarsi non soltanto di riferimenti piü

o meno occasionali alla vita di ogni giorno, quella lingua «cól-

ta dalla bocca di tutti» cui accenna Bignone !, dove & naturale che l'osservazione della salute e della malattia del corpo abbiano un loro spazio si-

gnificativo; la connotazione fisiognomica si presta infatti a valutazioni a tutto campo del rapporto tra aspetto fisico ed indole del personaggio menzionato, mentre il richiamo alla patologia vera e propria funge da modulo

argomentativo per esemplificare tramite una serie di considerazioni gnomiche, anche esse topiche del genere, la precarietà della condizione uma-

na. E in proposito indicativo che parte non irrilevante dei 77 frammenti in settenari trocaici del libro XXVI, che, come sembra, fungeva da libro di esordio nella prima raccolta, composta quando Scipione Emiliano era ancora in vita, affronti il tema della aleatorietà della buona salute, delle con-

dizioni per mantenerla,

della malattia sempre

in agguato

e della morte

inevitabile, o comunque imprescindibile presenza. Se l'inventario delle occorrenze puó dare adito a non poche considerazioni sia filologiche sia linguistiche, assai piü difficile risulta il compito di

redigere delle osservazioni sistematiche sia per quanto concerne il campo

Edizioni dei frammenti di Lucilio utilizzate: Fr. Marx, I-II, Lipsiae 1904; N. Terzaghi / I. Mariotti?, Florentiae 1966; W. Krenkel, I-II, Leiden 1970; Fr. Charpin, I-II-III, Paris 1978-1979-1991. ! E. Bignone, Storia della letteratura latina, II, Firenze 1945, p. 107.

30

Carlo Santini

della lingua tecnica, sia per quanto attiene la storia della scienza medica. In primo luogo le citazioni di grammatici ci rendono prudenti su considerazioni linguistiche complessive, inoltre lo stesso campo semantico appare,

come

risulta da questa disamina, quanto

mai eterogeneo e difficilmente

definibile, tanto da chiedersi se rientri nel tema di questo intervento tutto

quanto concerne il corpo umano osservato dallo scrittore nella sua funzionalità generale, e talora anche quello degli animali, vista la tendenza alla

descrizione antropomorfica, oppure ci si debba soffermare esclusivamente sui riscontri di specifiche patologie. Infine va anche detto che tutti questi dati sono desumibili occasionalmente, da un corpus di un autore che non

si é proposto di trattare istituzionalmente di medicina, come invece sappiamo che fece Catone. Lindagine sul contributo di Lucilio alla storia della lessico medico non

puó non porsi come primo parametro quello del rapporto con la lingua greca, parametro per altro indiscutibile e determinante per definire la facies linguistica delle Satire nel loro insieme. La questione, sia detto qui in breve, non riguarda solo la quantificazione dell'afflusso delle parole greche in latino, che si é aperto a tali voci durante tutto il corso della sua storia,

anche se proprio il secondo secolo a.C. ὃ quello che vede l'ingresso della filosofia, della grammatica e della grande tradizione delle τέχναι elleniche a Roma, ma implica soprattutto l'indagine sul ruolo al quale tali vocaboli

sono chiamati a rispondere nell'ambito del progetto letterario di Lucilio. Nello scrittore latino l'assunzione del grecismo 2, e comunque del forestierismo e dell'esotismo ὁ, non risulta in genere essere un fenomeno banale di adesione ad una cultura superiore, ma tende invariabilmente a marcare

l'allusione ad ideologie

o anche a tendenze culturali dell'età con l'aggiunta

che tali allusioni raramente

si configurano

in un contesto sistematico,

ma

si modificano piuttosto da circostanza a circostanza in base alle leggi so-

vrane della varietas e della antifrasi che governano di volta in volta il corso della composizione. Contrariamente a quanto potremmo aspettarci, i grecismi delle patologie non

sono

molti; sono

stati tutti menzionati

da I. Mariotti *: gangraena

(γάγγραινα) e herpestica (hapax) da ἑρπηστική, ἑρπυστική [scil. νόσος] al v. 53 M, senex arthriticus ac podagrosus a 331 M, la discutibile congettura narce da (νάρκη, ‘torpore’) edita da Marx a 494 (narcesis in Stowasser), cataplasma (κατάπλασμα) a 814 M; c'è poi una forma greca non traslitterata a 923

M febris una atque una ἀπεψία 'indigestione', che, se di mano dell'autore,

2 Si vedano in particolare i lavori di I. Mariotti, / grecismi di Lucilio, «Studi Urbinati» 28, 1954, pp. 357-386; R. Argenio, / grecismi in Lucilio, «RSC»

11, 1963, p. 5-17; A. Mazzarino Anco-

ra greco in Lucilio, «Helikon» 3, 1963, pp. 467-472. 3 Cfr. M. Imperato, Uso letterario di tecnicismi e esotismi nelle Satire di Lucilio, in Lingue speciali e interferenza (cur. R. Bombi), Roma 1995, pp. 275-295. 4 I. Mariotti, Studi luciliani, Firenze 1960, p. 72.

Lessico medico

in Lucilio

31

merita di essere notata, collocata come é in una struttura chiastica accanto alla voce latina. Un probabile grecismo é anche querquera [scil. febris]

da kxapxaipo 'scuoto, come ammette anche Fest. 309 L^. I termini anatomici, che qui tralascio, sono sempre di origine latina, a parte il diffuso e già plautino stomachus; quelli delle patologie si presentano spesso sotto forma di accumulo verbale in asindeto o polisindeto nell'ambito di un unico verso, come

labica,

a 494 M

febris, senium,

vomitum,

pus, con finale monosil-

a 741 M tamen aut verruca aut cicatrix melius: papulae differunt, a

982 M tristem, et corruptum scabie, et porriginis plenum, a 983-4 M inluvies scabies oculos huic deque petigo (conscendere, a 1195 M inguen ne exi-

stat, papulae, tama, ne boa noxit. Come risulta da questi passi, e in particolare dall'ultimo Lucilio presenta una sequenza di patologie concernenti l'epidermide oppure di fenomeni che si rendono visibili sulla superficie del corpo, come le pustole (papulae due volte), l'ernia all'inguine (inguen, cfr ΤῊΝ, 1581,27, corrispondente al greco βουβωνοκήλη, come in Cels.

7,18,11 super haec inguen quoque nonnumquam

+ varice implicetur: bubo-

nocelen appellant), il gonfiore alle gambe (tama, hapax derivato forse dalla radice di tumeo

tramite

*tu -ma), le varici (varicosus a 801

M), la scabbia

(scabies due volte), la tigna e altre malattie affini, come forse l'escara (porrigo, depetigo in tmesi: il contesto si riferisce in questo caso alla pelliccia di un leone vecchio), la vitiligine, cioé la formazione di macchie bianche sull'epidermide (vitiligo a 1185 M, cfr. Cels. 5,28,19 vitiligo quoque

quamvis per se nullum periculum adfert, tamen et foeda est et ex malo corporis habitu fit). Si tratta quindi essenzialmente di una 'medicina dell'apparire' che riflette l'attenzione posta all'aspetto del corpo, che corrisponde alla valenza tutta 'estrinseca' ascritta alla malattia nel contesto letterario della satira. Tale tendenza trova a sua volta conferma nell'impiego di aggettivi miranti a caratterizzare l'indole dell'individuo tramite il riscontro di menomazioni

e difetti fisici particolarmente accentuati: la voce catax, ‘zoppo’ a 77 M, il quadro dei rugosi passique senes di 557 M (Non. prie rugosum

vel siccum),

17,26 L PASSVM est pro-

la coppia allitterante varicosus vatax a 801 M

seconda voce, 'dai piedi deformi',

(la

é una neoformazione con suffisso velare,

come altrove in Lucilio), l'ablativo di qualità gibbere magno a 1179 M e infine il grecismo con il quale Lucilio designa per metafora dalla sfera della pittura la silhouette del corpo gracile, cfr. 59 M vix vivo homini ac monogrammo,

così

come

informa

Nonio

a 53,95.

L MONOGRAMMI

dicti sunt

homines

macie pertenues et decolores: tractum a pictura, quae priusquam

coloribus corporatur, umbra fingitur. Quasi tutte le malattie più celebri nel mondo antico trovano in qualche

modo menzione nei frammenti di Lucilio; è questo il caso dell'idropisia,

5 Dubitativo Mariotti, op. cit., 55 n. 2.

32

Carlo Santini

cfr. 764 M aquam te in animo habere intercutem, dove è usata la forma originaria del latino (Prisc. 2, 271,1 invenitur apud vetustissimos) rispetto al greco ὕδροψ e al grecismo hydropicus; notevole appare il sapido espressionismo di Lucilio, che farà scuola agli altri poeti satirici, realizzato dal-

l'immagine dell'acqua che si addensa tra la pelle dell'animus 5. Altri casi sono quelli dell'angina, cfr. 1093 M insperato abiit quem una angina sustulit hora (Galeno distingue in proposito tra xuváyyn e συνάγχη), la pleurite, cfr.

1314

M

tum

lateralis dolor,

certissimus

nuntius

mortis,

corrispondente

a πλευρῖτις νόσος, litterizia, cfr. 1092 M nos esse arquatos (anche qui rispetto al greco ἱκτερικός è stata preferita”? una delle varie forme tradizionali del latino, cfr. Cels. 3,24,1 morbus quem interdum arquatum,

interdum

regium nominant; Scrib. 127 auruginem quod vitium arquatum quidam vocant), i brividi della febbre (1194 M febris querquera;

mal di testa (1277 M capitis dolores),

1277 M querquera),

il torpore e le sindromi

il

letargiche,

cfr. 391 M languor obrepsitque pigror torporque; 1306 M torpor. Il profilo delle patologie

in Lucilio è completato

da alcuni quadri,

di

dimensione piü ampia, di due o piü versi, nei quali viene presentato il decorso della malattia, come nel caso di 570-2 M tempestate sua atque eodem

uno tempore et horae | dimidio et tribus confectis dumtaxat — eandem | ad quartam che in genere si suppone riferirsi alla febbre quartana, oppure i vv. 105-6 M Symmacus praeterea iam tum depostus bubulcus / exspirans, animam, pulmonibus aeger, agebat, dove Lucilio parla della consunzione giunta ormai allo stadio terminale del suo intendente, circostanza questa

che lo costringe a intraprendere l'iter Siculum per controllare lo stato delle sue proprietà aeger

nell'isola. Depostus

insanabilis,

desperatus

è un colloquialismo per depositus,

(Th.l.L.

s.v.

583,74)

come

osserva

cioè Nonio

430,24s. L; questa ultima forma compare nel contesto chirurgico del ferimento di Enea a Aen. 12,395, dove si ricorda il motivo che ha indotto Iapige a dedicarsi alla professione medica, cfr. ut [scil. Japyx] depositi proferret fata parentis. Una glossa di Servio, ad Aen. 1,96, informa poi che il ver-

bo exspirare puó essere usato sia assolutamente, sia con il complemento oggetto,

cfr

ergo dicimus

animam

exspirat; tenuto

et oppetit

et mortem

oppetit,

conto del fatto che la cesura

sicut et exspirat

pentemimera

et

mar-

cherebbe intenzionalmente il sintagma exspirans animam l'edizione di Terzaghi/Mariotti punteggia in corrispondenza e attribuisce a agebat in apparato valore mediale che ne fa il corrispondente di degebat, uso questo ammesso per altro nel TA.l.L. s.v. 1400 III, Charpin invece traduce «expirant,

6 Sulla valenza caratteriale ascritta all'idropisia, che quindi potrebbe giustificare il tropo di Lucilio, siamo per altro informati da Servio, cfr. ad Geo. 1, 124 VETERNO pigritia: nam vetemum dicitur morbus intercus, id est ὕδροψ, qui homines efficit pigros. 7 Tuttavia Mariotti, op. cit., p. 73, come già seppure dubbiosamente Heraeus, pensa che dietro la lezione citer dei mss. al v. 44 corretto da Marx in cetera possa nascondersi la forma icter da ἵκτερος.

Lessico medico

exhalait

son

in Lucilio

dernier

33

souffle

de ses poumons

malades»;

è anzi

probabile

che l'ambiguità semantica risalga allo stesso Lucilio. Un caso a parte & rappresentato dal v. 802 M tironeo et «hoc» non mortifero adfectus vomicae vulnere; Marx rispetta la lezione tyroneo dei mss. di Nonio (274,30 L L) che già I. Dousa ha corretto in Chironeo, cosi come

fanno anche Terzaghi/Mariotti, Krenkel e Charpin, cfr. v. 579 T, v. 917 K, fr. 29,18 Ch: Chironeo et non mortifero adfectus vomicae vulnere. Marx crede che Lucilio abbia qui alluso ad un aneddoto citato da varie fonti (Cic. Nat. deor. 3,28,70; Val. Max. 1,8 ext. 6; Plin. Nat. hist. 7,166) e perció abbastanza noto, secondo il quale il colpo della spada di un nemico incide l'ascesso di un malato,

tanto da determinarne

non

la morte,

ma

addirittu-

ra la guarigione; per Marx quindi il colpo della spada sarebbe stato inferto da un tiro, cioé da una recluta inesperta ?. E tuttavia la congettura Chi-

roneo non solo trova una giustificazione dal punto di vista paleografico ?, ma è rispecchiata anche perfettamente dalla storia della medicina: l'aggettivo desunto dal nome del mitologico centauro, al quale compete anche

un posto nella storia della farmacopea, appartiene di diritto al linguaggio medico per contrassegnare un particolare tipo di ulcerazione dell'epidermide. La causa mitologica dell'aggettivo dal nome proprio deriverebbe per antonomasia

dalla ferita incurabile, che il centauro Chirone si ὃ procurata

con la freccia di Eracle imbevuta nel sangue dell'Idra, cosi come & detto nella raccolta di Apollodoro, cfr. 2,5,4; il quadro diagnostico e prognostico relativo a questo genere di ulcera é a sua volta descritto da Celso, cfr.

5,28,5

Chironeum

oras duras,

autem

ulcus appellatur,

quod et magnum

est et habet

callosas, tumentes. exit sanies non multa sed tenuis. odor malus

neque in ulcere neque in eius umore est; nulla inflammatio, dolor modicus est; nihil serpit

ideoque

nullum

periculum

affert,

sed non

facile sanescit.

Lulcerazione sarebbe tanto pericolosa, quanto inguaribile, come appunto era la piaga di Chirone, tanto che il centauro avrebbe chiesto di scambiare la propria immortalità con la mortalità di Prometeo, cfr. Apoll. 2,5,11; in questo contesto culturale la contrapposizione (non) nel verso di Lucilio tra vulnus mortiferum e vulnus Chironeum appare del tutto congrua.

Se il contesto di questo episodio è quello dell'aneddoto di una guarigione fortuita, il ruolo della Fortuna diviene assai rilevante nel testo luciliano

quando si parla di malattia, conformemente all'asserto diatribico e sentenzioso del genere; la malattia viene rappresentata come un evento imprevisto e imponderabile (1093 M: insperato), che ognuno crede stia sempre

lontano da sé, cfr. 640 M idcirco omnes evasuros censent aegritudinem; la morte

tuttavia è sempre presente per un attacco di angina (1093 M), per

8 Marx,

II, p. 282: «nos non repudiabimus

adiectivum

tyroneo quod e castrensi

sermone

sumpsit Lucilius». ? Charpin, III, p. 177: «Chironeo sans doute orthographié Cironeo, ce qui aurait permis la confusion entre Cy et Ty».

34

Carlo Santini

una febbre o un'indigestione, cfr. 923-4 M at cui ? quem febris una atque una ἀπεψία, / vini, inquam, cyathus unus potuit tollere, oppure per l'impossibilità di alimentarsi, cfr. 637 M paucorum, atque hoc pacto si nil gustat

internundino. In questa dimensione di precarietà e di costante timore per la propria salute si collocano dei richiami alla sintomatologia, cfr. 1314 M tum lateralis dolor, certissimus nuntius mortis, all'apparire sulla superficie del corpo di affezioni cutanee, cfr. 1185 M haec odiosa mihi vitiligo est. num dolet' inquit, all'insorgere dell'ernia che renderebbe difficile la deambulazione (dell'anziano? !?) e a gonfiori sospetti, cfr. 1195 M inguen ne existat, papulae, Il quadro menti come forcipiumque

tama, ne boa noxit. del lessico medico viene completato dalla menzione di stru‘scalpelli’ e ‘pinze per estrazione’, cfr. 401 sg. M scalprorum / milia viginti; 403 sg. M et uncis / forcipibus dentes evelleret,

forse presenti nel bagaglio dei soldati durante l’assedio di Numanzia !!. Carisio a Gramm. 120,23s. B, dopo aver distinto per categorie quanti si servono di siffatti strumenti (sarcinatores, tonsores), riporta i versi di Lucilio che attengono alla sfera della medicina chirurgica, cfr. qui etiam medicorum forcipes dicit libro IX, e in effetti tale uso risulta essere secondo il

Th.l.L. s.v. 1051,48 il primo della latinità; sempre Carisio subito dopo cita Virgilio a Aen. 8,453 versantque tenaci forcipe massam, un'occorrenza della quale si deduce che qui il vocabolo sta ad indicare le tenaglie del fabbro; invece a Aen. 12,405 prensatque tenaci forcipe ferrum la voce si riferisce

proprio alle pinze del chirurgo trattandosi del tentativo di estrarre la freccia che ha colpito Enea; la glossa del Danielino a questo passo FORCIPE FERRVM: hic forcipem dixit quod Graeci ardiotheran dicunt, qua solent spicula vulneribus evelli (ma Danielino aveva già segnalato a 8,453 has tamen

forcipes in medicinalibus Graeci ardiothera appellant, quibus solent in bello vulneratis spicula extrahi) sta a marcare la scelta lessicale tecnica che qui Virgilio puó aver desunto proprio da Lucilio, come in precedenza per il caso di depositus.

anche

abbiamo

visto

Il corpus di frammenti medici luciliani nonostante le sue minuscole dimensioni offre tuttavia l'opportunità per un'indagine ulteriore, se cioè in essi

sia possibile individuare qualche considerazione che trascenda il mero ambito descrittivo per segnalarci un retroterra ideologico e culturale piü marcato.

In particolare vale la pena di analizzare quei frammenti

tutti prove-

nienti dal già citato libro XXVI, che già nell'edizione Marx risaltano come un gruppo compatto per affinità tematica; si tratta in effetti di versi che

appartengono

ad una riflessione generale sulla condizione

umana !? nel-

l'ambito di un contesto in cui il comportamento di Lucilio si contrappone

10 Marx, II, 11 Marx. II, ad Numantiam, 12 Charpin,

p. 379: «Corpori senectute corrupto parcendum esse videtur scripsisse Lucilius». p. 152: «instrumenta medica quae miles nimis anxius salutis suae secum vexerat increpante Scipione et irridente». II, p. 127.

Lessico medico

in Lucilio

35

a quello di altri non meglio definiti, che possono comprendere

i suoi con-

cittadini, come l'intera umanità !?. Nel quadro di tale atteggiarsi dialettico il tema della malattia e del medico si presenta verosimilmente come un passaggio tutt'altro che irrilevante dell'argomentare, giacché, nel contesto di tematiche da filosofia popolare, di probabile carattere diatribico, trova ragione di essere il paragone tra il medico che cura le malattie del corpo e il filosofo, o almeno l'uomo di buon senso, che cura quelle dell'anima.

Per cinque frammenti, nei quali si fa sicuramente riferimento al tema della medicina, la sequenza proposta da Marx é stata poi ripresa anche da Terzaghi/Mariotti e da Charpin, il quale ultimo li ha collocati in successione l'uno dopo l'altro !4 senza soluzione di continuità; il discorso si aprireb-

be quindi

con il pensiero dei physici omnes

cioe i fisiologi,

«les philo-

sophes naturalistes» (Charpin), «Naturphilosophen» (Krenkel), che partono dalla constatazione generale del rapporto di συμπάθεια tra corpo ed animo, cfr. 635-6 M principio physici omnes constare hominem ex anima et corpore / dicunt [680-1 T: 660-1 K; fr.64 Ch]; 638 M animo qui aegrotat, videmus

corpore hunc signum dare [683 T; 662 K; fr.65 Ch]; 639 M tum doloribus confectum

corpus

animo

obsistere

[684

T; 659

K; fr 66 Ch];

642M

neque

prius quam venas hominis tetigit ac praecordia [686 T; 664 K; fr.67 Ch]; 645-6 M ut si eluviem facere per ventrem velis, / cura, ne omnibus distento

corpore expiret viis [689-90 T: 666-7 K; fr.68 Ch]. Accanto

a questo

nucleo

concettuale

andrebbero

accostati

altri

due

frammenti che servono a completare l'intero discorso, cfr. 602 M quam fastidiosum

ac vescum

vivere [688

T; 630 K; fr.62 Ch], che

starebbe

forse a

indicare la sindrome da nausea oppure da anoressia, cfr. Gell. 16,5,7 aliter Lucilius vescum appellat cum edendi fatidio, al quale si puó aggiungere

637 M [682 T; 663 K; fr.63 Ch] paucorum, atque hoc pacto si nil gustat internundino, che si riferisce alla morte da digiuno ^. In questo ultimo frammento la presenza del lessico medico ἃ attestata dalla voce gustare ‘assaggiare’

(Charpin

traduce

«sil ne

mange

rien»),

cioè

l'assunzione

di

cibo o bevanda da parte del malato, cfr. Cels. 1,3,23 post vomitum, si stomachus infirmus est, paulum cibi ... gustandum. C'è poi 643 M [687 T; 665

K; fr61 Ch] vestimentis frigus atque horrorem exacturum putet, con la rappresentazione di un malato febbricitante; anche in questo caso la distinzione tra frigus e horror & tecnica, come desumiamo da Celso, cfr. 3,3,3 frigus voco,

ubi extremae partes membrorum

inalgescunt,

horrorem,

ubi cor-

pus totum tremit: il medico cerca di curare la febbre coprendo il corpo di abiti pesanti oppure di coperte (vestimenta) per farlo sudare !9. Qui la voce putet potrebbe indicare che quello prescritto dal medico ὃ destinato a rive-

13 Charpin, II, p. 124. 14 Solo a discostarsi in parte dall'ordine di successione & Krenkel. 15 Charpin, II, p. 293. 16 Cfr. Krenkel, II, 381: «durch Schwitzen», che cita in proposito Cels. 3, 9, 2.

Carlo Santini

36

larsi un rimedio utile e necessario ! oppure inutile e fallace !8: in entrambi i casi la voce svela un modulo di valutazione/svalutazione dell'arte me-

dica, che gode per altro nel genere satirico di considerazione ambivalente. Anche nel citato frammento 645-6 M ut si eluviem facere per ventrem velis, / cura, ne omnibus distento corpore expiret viis cogliamo un invito alla prudenza (cura ne) che potrebbe configurarsi come scetticismo nei confronti dei rimedi della medicina oppure degli effetti della cura. Lesegesi del frammento

è complicata dal fatto che questi settenari trocaici sono citati in due occasioni da Nonio, a 55,23s. L EXPIRARE dictum est ab spiritu effuso vel ab spiraminibus e poi a 148,27 L ELVVIEM purgationem; nel primo caso Nonio riporta anche i versi sulla morte dell'intendente Simmaco (105-6 M), di cui si è

già detto, quindi con riscontro al valore ambivalente di expirare, vuoi come 'esalare l'ultimo respiro', vuoi come ‘traspirare’. Entrambi i significati rinviano ad un contesto medico, ma cosa avesse effettivamente in mente Lucilio è dif-

ficile da determinarsi: per ragioni cronologiche ogni riscontro con una teoria, come quella dei πόροι della scuola dei Metodici, non risulta possibile. In genere si ritiene, probabilmente

a buon

diritto, che omnibus

... viis sia un co-

strutto sovrabbondante che sostituisce utraque via 15, vale a dire per os et per

ventrem. Il discorso di Lucilio concernerebbe un aspetto tutto concreto della terapia: se il purgante è eccessivo c'è il rischio che all'evacuazione si aggiunga anche il vomito 29; Krenkel ritiene invece che l'effetto è determinato dalla malattia del paziente, piuttosto che dalla fretta di raggiungere il risultato ?!. Lucilio sembrerebbe quindi tenere qui presente la concezione estesa del termine venter

(κοιλία) come

se fosse

«praticamente

tutta la parte cava del corpo

umano» 22, articolata nella parte superiore (ἄνω κοιλία, cfr. anche Cat. De agr. 156,2 alvum si voles deicere superiorem) e in quella inferiore (κάτω κοιλία). Lenfasi dell'espressione (omnibus viis) può essere assimilata a quella di un verso di Terenzio, cfr. Eun. 105 plenus rimarum sum: hac atque illac perfluo, che presuppone anche esso la percezione complessiva della cavità intestinale

con gli orifizi anale e orale. Il punto

di maggior

interesse è quello naturalmente

dell'affermazione

della interazione tra corpo ed anima, sulla quale concordano omnes physici, considerandola elemento basilare (principio) per la loro teoria. Il concetto sembra in effetti piuttosto generico per consentire di procedere oltre alcuni accostamenti, già segnalati dalla critica; la constatazione della di-

pendenza dell'anima dal corpo che compare come dichiarazione di Aristippo, cfr. Diog.

Laert.

2,94 τὸ μὲν yàp σῶμα πολλῶν ἀναπεπλῆσθαι

17 Charpin II, p. 127. 18 N, Terzaghi, Lucilio, Torino 1934, p. 130.

19 Marx, II, p. 237. 20 Charpin, II, p. 295. 21 Krenkel, II, p. 383.

22 I. Mazzini, La medicina dei Greci e dei Romani, Roma 1997, p. 227.

παθημάτων,

Lessico medico

in Lucilio

37

τὴν δὲ ψυχὴν συμπαθεῖν τῷ σώματι καὶ ταραττεσθαι, si configura nel contesto ideologico dell'edonismo cirenaico, e quindi come principio materialista in contrapposizione all’idealismo di Platone che identifica l'anima con l'uomo

perché ad essa soltanto spetta la funzione del comandare (Alc. 130 a-c). Ma non tutti i seguaci dello stesso Platone fino al neoplatonismo sono dello stesso parere, come ricorda implicitamente 25, Nemesio, che critica inoltre lo stoico Cleante per la sua teoria relativa all'interazione tra corpo e anima, cfr. De nat. hom. 2, p. 21,19 συμπάσχει ἡ ψυχὴ νοσοῦντι ... τῷ σώμα-

n. Alla base del rapporto tra le due entità si colloca quindi il predominio della corporeità, secondo un'affermazione che viene poi ripresa e sviluppata da Panezio, per il quale l'immortalità dell'anima non è ammissibile

giacché anche essa è soggetta al dolore e quindi anche alla malattia ed alla

morte

analoga

(Cic.

Tusc.

lunghezza

1,79 dolere

autem

animos,

ergo

etiam

d'onda per quanto riguarda linterazione

interire).

Su

tra corpo e

anima si colloca la posizione epicurea, cosi come questa viene ribadita in vari passi del libro III del De rerum natura; il nocciolo dell'argomentazione .della quale Lucrezio si avvale per dimostrare che l'anima è mortale consiste anche qui nell'ammettere che anche essa può ammalarsi allo stes-

so modo del corpo, cfr. vv. 459-62 huc accedit uti videamus, corpus ut ipsum | suscipere immanis morbos durumque dolorem, | sic animum curas acris luctumque metumque; / quare participem leti quoque convenit esse e ancora a vv. 521-22 ergo animus sive aegrescit, mortalia signa / mittit, ut

docui, seu flectitur a medicina. Non so fino a quanto sia accettabile l'idea dell'influenza del pensiero di Epicuro su Lucilio, così come è stato suggerito da Murley ^*, anche se si

offre l'occasione per un raffronto suggestivo (signum dare - signa mittit); come nota infatti Charpin, in Lucilio «les deux éléments sont cóte à cóte», ma lo scrittore evita tuttavia da «les assimiler entiérement» 25, Una soluzione potrebbe venire da quelli che risultano gli echi del contesto cultura-

le del tempo, e quindi va lasciato aperto il problema se Lucilio citi intenzionalmente da qualche filosofo oppure si limiti ad orecchiare espressioni che giravano nell'atmosfera culturale di Roma, circostanza questa che si verifica anche

nel caso della discussa

interpretazione

del primo

accenno

ad Epicuro fatta da un autore latino (753 M: eidola atque atomus vincere Epicuri volam). Marx osserva anche che anima è distinta da animus ?$; dire con esattezza quando la differenza, che risale alle distinzioni della psicologia del greco (ψυχή, θυμός, anche νοῦς) abbia assunto in latino valore epistemologico & impossibile, ma sappiamo che nel latino del II secolo

23 1995, 24 25

A. Setaioli, La vicenda dell'anima nel commento di Servio a Virgilio, Frankfurt am Main 7. C. Murley, Lucretius and the History of Satire, «TAPhA» 70, 1939, p. 388. Charpin, II, p. 295: «la confrontation du corps et de l'àme n'est qu'une comparaison».

26 Marx,

II, p. 234.

38

Carlo Santini

a.C. essa aveva bisogno di essere glossata (sulla scena) come emerge dall'atitudine pedagogica di Accio, cfr. 296 R sapimus animo, fruimur anima:

sine animo anima est debilis. Tale discrimine emerge anche da Lucilio, che quando parla in generale dei due elementi si avvale dell'antifrasi anima vs/ corpus, ma che nel quadro sopra propostoci di un corpo sfinito dal dolore, ce lo presenta mentre si oppone (obsistere) all'animus.

Italo Mariotti

PESTE

1.

LE

E MALATTIA

PAROLE

DELLA

MEDICINA

IN SALLUSTIO

COME

TECNICISMI

«Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto»: così Leopardi definisce i tecnicismi nello Zibaldone, 110 (cfr. 1702), e questa definizione quadra bene con le parole della medici-

na in quanto termini tecnici, per i quali è richiesta la fredda e oggettiva denotazione di entità o fenomeni scientificamente determinati. Termini tecnici sono, p. es., «coriz(z)a» e «rinite» rispetto a «raffreddore» o «infreddatura», che evocano immediatamente - con un effetto conno-

tativo — esperienze e situazioni vive e molteplici. Così è per «infiammazione»

di fronte a «flogosi», che tuttavia,

significa propriamente

in questo

come

in quanto deverbale di φλογόω,

‘combustione’. Spesso la parola della medicina -

in tanti altri casi — è frutto di un traslato, obliterato

dal trascorrere del tempo.

2.

USO

TRASLATO

Inversamente, la parola della medicina, tecnicizzatasi nella sua accezione specifica, può assumere un valore traslato. Un esempio vistoso è

lit. «tifo», che come

termine della patologia designa,

in primo

luogo,

un'affezione intestinale. Se però il vocabolo è connesso con lo sport, capiamo subito che il significato è quello metaforico: il gr. τῦφος, ‘fumo,

vapore’, dal senso di ‘annebbiamento’ passa a quello di ‘torpore’, e il tifo come malattia provoca appunto obnubilamento e torpore; dall'imprestito latino typhus, ‘rigonfiamento, gonfiore’ nel Liber medicinalis di O. Sereno, ‘superbia’ e ‘orgoglio’ in Arnobio e Agostino, è venuto il no-

stro «tifo» — probabilmente attraverso il milanese «fare il tifo» per ‘fare lo svenevole' - nel senso di ‘passione’ sportiva. Di qui si è ricavato il verbo

«tifare»,

e così via.

‘manifestare

entusiasmo

(o fanatismo)’,

anche in politica

40 3.

Italo Mariotti METAFORA

Questo

E LINGUA

si potrebbe

POETICA

definire

- senza

ingiuria,

naturalmente

-- un

uso

basso della terminologia medica. Piü interessanti, per noi, le metafore di tono alto, tipiche della poesia e della prosa di stile poetizzante o comun-

que elevato. Lorigine della metafora, come sapevano gli antichi e ribadirà il Vico, è popolaresca. Ben noto è il passo di Cicerone nell'Orator, 81, sul sermo rusticorum: i contadini dicono fra l'altro sitire agros, o laetas esse se-

getes quando

il raccolto é abbondante

(cfr. de orat. 3, 155), e di qui viene

laetamen. I contadini greci, d'altronde, dicevano che i φυτά rigogliosi erano ἱλαρά o addirittura che ridevano, γελᾶν (Schol. Hom. Il. 23, 598a), e i poe-

ti γελᾶν — fin da Omero - per 'brillare, luccicare' o ridere, come gli aequora ponti di Lucrezio. Ma la libertà concessa ai poeti ὃ nota: cfr. p. es. Quint. inst. 8, 6, 17 sg.

4.

PROSA

D'ARTE LATINA:

SALLUSTIO

E LA TRANSLATIO

RETORICA

Metafore ardite sono nel complesso rare nella prosa latina che per convenzione chiamiamo classica. Cesare é sempre attento a non superare i limiti di un elegante riserbo. Cicerone, che sa avvalersi con consumata peri-

zia di tutti i mezzi della retorica, ha metafore soprattutto nelle opere filosofiche, ma non rinuncia ai principii dell'aptum e del decorum

ai quali fa

riferimento nel III libro del De oratore, dove tratta -- a partire dal 8 155 -della translatio, e al ὃ 165 ammonisce che la translatio, la quale non deve

mai oltrepassare la giusta misura

di comprensibilità e buon gusto, mol-

lienda est praeposito saepe verbo, p. es. con ut ita dicam. come

vedremo,

se non

usa ut ita dicam

usa però, come

Anche Sallustio, Cicerone,

il quasi

attenuativo oppure veluti e simili. Di fronte a Cicerone, e tanto più a Cesare, Sallustio si distingue comunque per l'arditezza delle sue metafore. Di questo erano consapevoli gli antichi lettori. Da Svetonio, gramm. 10, 7, sappiamo che Sallustio era criticato per la sua obscuritas, in generale, e in

particolare per la sua audacia in translationibus. L'obscuritas e l'audacia sono aspetti di quello stile concentrato e vigoroso - ricco di asindeti, ellissi, antitesi spesso asimmetriche,

sentenze e via dicendo - che rispecchia la

personalità dell'autore e la sua visione dei fatti narrati.

5.

PESTE E MALATTIA E POLITICA

IN SALLUSTIO,

IMMAGINE

DELLA

CORRUZIONE

MORALE

Come ha messo in rilievo Eiliv Skard nel volume miscellaneo Serta Eitremiana (Oslo 1942, 141 sgg.), il linguaggio figurato di Sallustio preferisce in primo luogo immagini tratte sia dalla sfera militare (p. es. l'animo come dux atque imperator della vita degli uomini, in /ug. 1, 3), sia dalla

Peste

e malattia in Sallustio

41

sfera della medicina. Pestis ricorre cinque volte nelle sue opere, pestilentia una volta. Luso é sempre metaforico. Per il significato, pestis e pestilentia sono nella prassi interscambiabili, anche se — come spiega Isidoro in diff.

1, 430 - pestis & propriamente

il nomen

morbi,

mentre pestilentia & id

quod ex se efficit, il morbus late pervagatus di Agostino in psalm. lattia in sé ed epidemia non

si distinguono

1, 1. Ma-

nei testi letterari, come

del re-

sto è di solito in italiano, dove «peste» vuol dire per lo più ‘pestilenza’: la

peste del Boccaccio e del Manzoni, e la peste di Atene in Tucidide e Lucrezio. Piü antico &, ovviamente, pestis, attestato molto pilı ampiamente e fin da Plauto ed Ennio. In prosa compare solo con Cicerone, ma pestifer (già in Novio) & nella Rhetorica ad Herennium, oltre che in Cicerone stesso; pestilentia compare a partire sempre da Cicerone, e da Varrone e Ca-

tullo, ma pestilens & già in Catone, mentre pestilitas ἃ creato per motivi metrici da Lucrezio, che usa pestis solo in senso traslato. A me sembra,

però, che la testimonianza

più antica di pestis, che è la parola-base,

si

debba ricavare dallo scongiuro riportato da Varrone, rust. 1, 2, 27, terra pestem teneto, salus hic maneto, in meis pedibus, dove pestis indica in

modo generico un malanno ai piedi, probabilmente la gotta del piede; e non sarà un caso che nel Liber di Q. Sereno, v. 776, pestis sia proprio la podagra. In altre formule magiche (Plin. nat. 26, 93 e, con pestilentia, Marcell.

med.

15,

11), pestis

è un panus,

un ascesso

superficiale,

un tumor

e simili. E spesso, in tutto l'arco della latinità, pestis - il cui etimo è ignoto — denota un'entità dannosa e in più casi una malattia non precisata, ma dolorosa e pericolosa. Il significato generico e la pericolosità del morbo favoriscono l'uso tra-

slato del termine. Sallustio ha pestis come sinonimo espressivo di mors in lug. 70, 5 e 106, 3; riferito a nemici esterni ibid. 14, 10, dove con illa pestis vengono designati i Cartaginesi avversi ai Numidi, 17, dove

Mitridate definisce

e in epist. Mithrid.

i Romani peste conditos orbis terrarum;

riferi-

to a nemici interni le cui iniziative, i cui incepta sono destinati a far grave danno (pestem factura) alla res publica nel fr. 1, 74 Maur. delle Historiae. Sia come

morte,

sia come

rovina di un popolo provocata

ni o interni, pestis ha precedenti

da nemici

ester-

fin dalle tragedie di Ennio e dalle com-

medie di Plauto, che se ne serve anche a livello paratragodico, p. es. a proposito del mezzano Ballione, 'rovina' di Atene in Pseud. 204. Precedente immediato di Sallustio è Cicerone, che usa pestis metaforicamente quasi cento volte, molto spesso per bollare singoli individui, come in greco λοιμός (Demosth.

in Aristog.

I 80), o gruppi: Verre, Catilina e i suoi, Clodio

ecc. In Sallustio invece, come abbiamo visto, in questo senso specifico pestis non ricorre mai, né per un personaggio determinato né per un mo-

vimento come quello catilinario. Penso che ció si spieghi come reazione, per l'abuso che Cicerone aveva fatto di quel traslato. Se vuol parlare di peste in senso medico-sanitario Cicerone ricorre al derivato pestilentia, te-

stimoniato nelle sue opere ora per l'epidemia, ora per l'insalubrità dell'aria e dei luoghi. Sallustio rovescia la situazione: scrive pestilentia, per quanto

42

Italo Mariotti

risulta dai nostri testi, solo una volta, ma come

e morale,

metafora del male politico

in un passo altamente significativo, Catil.

10, 6, che ora vedre-

mo. Luso figurato di pestilentia & attestato per la prima volta in Catullo, che ha pestis per l'epidemia in 64, 76 e tre volte in senso traslato, p. es. nostrae pestis amicitiae in 77, 6, contro Rufo. Pestilentia si legge nel c. 44, O funde noster: al v. 11 sg. il poeta critica aspramente il discorso di un Se-

stio, orationem ... plenam veneni et pestilentiae legi (cfr. pestilens in 26, 5). Dopo Sallustio, in senso figurato il vocabolo sarà ripreso da Seneca e da Gellio, poi molte

in 44,

volte in testi cristiani, ma

- a differenza

di Catullo,

che

12 prende le mosse da pestilentia in quanto 'aria malsana, venefica'

- Sallustio ὃ il primo a dare un significato metaforico al termine nell'accezione di ‘epidemia’: Catil. 10, 6 ubi contagio quasi pestilentia invasit. E con invasit intransitivo, che rimanda a 2, 5 ubi ... lubido atque superbia invase-

re, lo scrittore dà un altro tocco di aulicità alla frase, un tono alto e dolente nella sua drammaticità: non mera retorica, ma espressione di una passione etica e politica che é in primo luogo trepidazione per le sorti del-

la res publica e monito al lettore, negli anni della guerra di Modena, della battaglia di Filippi e della guerra di Perugia. Lelaborazione retorica non & dunque che lo strumento per manifestare quell'intimo travaglio, in consonanza con le idee dello storico, convinto che la decadenza

della classe po-

litica e la corruzione dilagante abbiano favorito la rivolta di Catilina.

6.

CONTAGIO,

TABES

E AFFINI

Questo dilagare della corruzione, frutto di avidità e di sprechi in circolo vizioso, viene rappresentato da Sallustio, per mezzo di invado, oltre che in Catil.

tanta

2, 5 e 10, 6 (come

vis

morbi,

Lespressione

eorum

veluti tabes

medievale,

atque

ἃ ripresa,

si e visto), ibid.

uti

tabes

variata,

invaserat,

plerosque

in Jug.

dove

36, 5 ma

32,

civium

4 tanta

transitiva:

animos

invaserat.

vis avaritiae

in animos

in ἃ stato omesso

e da qualche editore moderno

in forma

da qualche

copista

(Ernout, Kurfess) per una malin-

tesa esigenza di uniformità, dato che questo & l'unico caso di invado + in attestato in Sallustio. Comunque si giudichi di ció, ὃ interessante notare come ínvado ritorni piü volte con termini tipici della medicina come sog-

getto: da una parte contagio quasi pestilentia, dall'altra vis morbi con uti tabes nei due luoghi citati della prima monografia; vis avaritiae spiegato con veluti tabes in Iug. 32, 4. Solo nel secondo di questi tre casi morbus è usato da Sallustio per una colpa - l'inosservanza di due decreti del senato da parte dei seguaci di Catilina — sentita come malattia della società. Cosi

è in Cic. Catil. 1, 31 morbus qui est in re publica; cfr. Sull. 53. Più significativi sono contagio e tabes. A proposito di contagio, che è hapax in Sallustio - il quale non ha mai contagium, forma poetica (al plurale) e, nella prosa, postaugustea -, va ricordato che accanto al significato etimologico di ‘contatto’ è presente quello di ‘influsso malefico’ già in Ci-

Peste

e malattia in Sallustio

43

cerone. Il nostro storico lo precisa in Catil 10, 6, come abbiamo detto, con quasi pestilentia, e in or. Phil. 9 usa in senso analogo contactus in rife-

rimento a licentiam scelerum, quasi rabiem; e rabies (che era già in or. Lep. 19) in senso proprio morbus caninus est, per usare la definizione di Festo, p. 338, 5 Linds.

Come contagio e pestilentia, anche contactus & hapax in Sallustio. Tre volte, invece, è presente - in quel che resta delle sue opere - tabes; oltre

che nei due passi già citati, compare in hist. 4, 46 Maur: poche parole, in un contesto non definibile, per deplorare un mos, un malcostume, insinuatosi a Roma ut tabes. L'immagine è sempre quella di un morbus, come appare, se non altro, da Catil. 36, 5. Dal significato primitivo di "liquido di scioglimento', p. es. della neve, tabes si era tecnicizzato in quello di 'umore corrotto e malattia relativa: Celso ha tutto un capitolo, 3, 22, de tabe, atrofia cachessia tisi. In Livio e Tacito il termine ἃ ripreso, in metafora, piü volte;

in Livio, anche

con invado.

Sallustio stesso ha poi tabesco,

cosi

come torpesco, hebesco e senesco, con soggetti astratti. 7.

L'AVIDITÀ COME

MALATTIA

DEL CORPO

E IL PROBLEMA

DI CATIL.

11, 3

Analogo a questi verbi, in quanto appartiene alla stessa area semantica dell'indebolire, svigorire, fiaccare, è il lat. effemino, che nella letteratura medica ricorre in Celso a proposito del calore: 1, 9, 6 si nimius est, corpus

effeminat, nervos mollit, stomachum solvit. In Sallustio effemino & testimoniato in Catil 11, 3. Siamo nella sezione finale della c. d. Archeologia; l'autore ribadisce qui la condanna dell’avaritia, dell'avidità di ricchezze, già formulata nel capitolo precedente

(10, 4). L'avaritia, scrive, quasi vene-

nis malis

virilem effeminat:

imbuta

corpus animumque

dove

va notata la

scelta del verbo, hapax in Sallustio, che determina la callida iunctura del denominativo di femina col derivato di vir (virilem, concordato col termine più vicino). Ma quel che fa spicco è l'immagine dei veleni, che attribuisce

concretezza all'astratto. I veleni sono venena mala, e l'aggettivo - in posizione determinativa - è arcaismo giuridico. Questi di Sallustio sono veleni metaforici, s'intende, ma nella figurazione trascinano con sé, accanto all'animo, il corpo e lo intridono come pozione malefica. Che l'avidità debi-

liti il corpo è però affermazione difficile da comprendere e ha sorpreso anche gli esegeti antichi. Nel primo capitolo del l. III di Gellio si assiste, infatti,

a una discussione in cui Favorino, il neosofista maestro dell’autore,

critica l'opinione di Probo, il quale spiegava corpus animumque come circumlocutio poetica, che non comporterebbe lo svigorimento del corpo: la περίφρασις non andava presa alla lettera, ma voleva dire semplicemente che dall'avidità tutto l'uomo viene corrotto. Lespressione, diremmo noi, andrebbe spiegata come coppia polare che, in quanto tale, rappresenta una totalità come, nell'immediato contesto sallustiano, bonus et ignavos al 8 2 e, nel nostro 8 3, neque copia neque inopia. La tesi di Probo è contrad-

44

Italo Mariotti

detta da un interlocutore anonimo, secondo il quale chiunque sia domina-

to dalla cupidigia di denaro non svilisce solo l'animo, ma giunge ad incuriam usque corporis. Lavido sarebbe dunque anche avaro. E noto il doppio significato di avarus (parola che in Sallustio non compare) e avaritia (che Sallustio usa spesso): da una parte ‘avido’ e ‘avidità’, dall'altra ‘avaro, tirchio’ e ‘avarizia, spilorceria’; e l'avaro, secondo l'anonimo interlocutore,

trascura

la propria

salute con conseguenze

negative per la salvaguardia

delle sue forze fisiche. In Sallustio, tuttavia, avaritia è l'avidità, non l'avarizia. Anche se i due concetti spesso coincidono, l'avaritia è collegata stret-

tamente, per lui, non con la spilorceria ma col lusso intemperante, la /uxuria, fonte di dissipatezza e di sperpero, che è la causa principale di quella decadenza morale che favoriva i disegni di Catilina. Come in Cesare, manca in Sallustio aviditas, mentre è ben attestato

avidus, e ad avidus corrisponde avaritia, più volte in coppia con luxuria. La coppia è piuttosto frequente in Cicerone, che in de orat. 2, 171 definisce la luxuries come mater dell'avidità di ricchezze (cfr. S. Rosc. 75 ex luxurie exsistat avaritia necesse est): l'avaritia presuppone dunque una vita di lusso e di mollezze,

tra le quali, ma

non

necessariamente,

la nostra lussu-

ria. Una vita trascorsa fra gli agi e i piaceri, d'altra parte, logora lo spirito ma infiacchisce anche il corpo, lo svirilizza. Dice Mario nel suo discorso al popolo, in /ug. 85, 40, di avere appreso dal padre e da altri uomini ve-

nerandi munditias

mulieribus,

viris laborem convenire:

le raffinatezze, in

altre parole, effeminano l'uomo. Cfr. Polyb. 36, 15, 2 e 4 sul re Prusia II di

Bitinia, alieno dal sopportare i disagi, cioè amante di ogni lusso e comodità, dissoluto ed effeminato, ἐκτεθηλυμμένος xoi τῇ ψυχῇ koi τῷ σώματι. E questa una spiegazione sufficiente dell’aporia che faceva già discutere gli antichi? In realtà la luxuria non & indicata qui da Sallustio in modo esplicito, e questo suscita perplessità. Tra i commentatori, solo il Vretska (Heidelberg 1976) e il McGushin (Leida 1977) s'impegnano: il primo si attiene allidea che in avaritia sia sottintesa la vita lussuosa e licenziosa che dell'avidità è lo scopo, il secondo rimanda al già ricordato Skard, il quale

supponeva un'allusione al mito della camicia di Nesso:

imbutam

Nesseo

sanguine vestem, dice Ovidio, metam. 9, 153. Tra gli altri, il Ramsey (Atlanta 1984) é incline ad attribuire ai metaforici veleni, presi alla lettera,

l'effeminatio corporis, mentre il nostro Garbugino (Napoli 1998) propende per la probiana circumlocutio poetica. A me pare che vada valorizzato il confronto con Cicerone, Tusc. 4, 23 sgg. Dopo aver parlato delle passioni (perturbationes, πάθη), Cicerone vi sviluppa un paragone tra le malattie e infermità del corpo, da una parte, e quelle dell'animo. Dalle malattie in senso

stretto (morbi,

νοσήματα)

le infermità

(aegrotationes,

ἀρρωστήματα)

si

distinguono in quanto alterazioni cum imbecillitate - come Cicerone chiarisce al 8 28 -, cioé si distinguono in quanto debilitano, svigoriscono, effeminano (cfr. Anon. Londin. /atrica, p. 5 di Comment. in Aristot. Gr. suppl. III 1, con l'áppéotnua che toglie τὴν ῥῶσιν τῶν σωμάτων ar. 30 sg.). La fonte dichiarata é Crisippo che, dice Cicerone al 8 23, sottilizza troppo, come in

Peste

e malattia in Sallustio

45

generale gli Stoici, per istituire un parallelo tra i morbi del corpo e quelli dell'animo. Molto di Crisippo si ricava da Galeno. Nel De placitis Hippo-

cratis et Platonis, Galeno polemizza appunto con Crisippo in quasi tutto il l. V (dal I al VI capitolo).

Sallustio poteva leggere nel suo Polibio, 1, 81, 5 e 7, che non solo i corpi degli uomini si guastano per ulcerazioni, ἕλκη, e ascessi o tumori,

φύματα, fino a diventare incurabili, ma così - e molto più, πολὺ μάλιστα — anche le ψυχαί; Polibio aggiunge poi (al 8 7) che in modo quasi uguale, παραπλησίως,

nella psiche ἐπιφύονται μελανίαι καὶ σηπεδόνες, chiazze

nere e cancrene. D'altra parte Crisippo, 421 sgg. negli Stoic. vet. fragm. di

von Arnim (vol. III, p. 102 sgg.), tra i νοσήματα dell'animo citava fra l'altro la φιλαργυρία, e a proposito degli ἀρρωστήματα citava per il corpo ποδάγρα e ἀρθρίτιδες, per la psiche la smania di celebrità, la propensione ai piaceri e

simili passioni. Sulle sue orme, in Tusc. 4, 24 Cicerone scrive che quando la passione e inveterata e si & insediata tamquam in venis medullisque insorgono et morbus et aegrotatio, poi spiega che cum est concupita pecunia

e non è intervenuta la ragione, quasi quaedam Socratica medicina, la cupidigia di denaro permanat in venas et inhaeret in visceribus: nasce cosi quello stato patologico, morbus et aegrotatio, che, se mette radici, non si puó espellere; eique morbo nomen est avaritia. Questo passo di Cicerone presenta singolari coincidenze con quello di Sallustio: da una parte l'uso di concupisco (nel nostro 8 3 l'avaritia ha in sé, dice Sallustio, l'amore per il denaro, quam, scil. pecuniam, nemo sapiens concupivit); ma soprattutto

l'idea dei veleni di cui è imbevuta l'avaritia corrisponde alla cupiditas pecuniae che in Cicerone, come abbiamo visto, permanat in venas proprio come un veleno. Cosi in Cluent. 173 in venas atque in omnis partes corporis permanare & detto appunto di un venenum. Preso isolatamente, al di fuori del confronto tra soma e psiche, il passo delle Tusculanae ora citato era sufficiente per indurre Sallustio a scrivere corpas animumque virilem effeminat (dove corpus precede per la legge dei cola crescenti);

all'eventuale fraintendimento egli era comunque

dalla diffusa opinione che lo squilibrio psichico provocato

trascinato

dalle passioni,

le perturbationes dell’animo, debiliti anche il corpo: a prescindere dalla φιλοινία che in Erodoto 3, 34, 3 fa παραφρονέειν o in Cesare Gall. 4, 2, 6 fa remollescere ed effeminare gli uomini, secondo gli Svevi, penso p. es. all'av-

vilimento, alla depressione di Cicerone ai tempi delle definitive vittorie di Cesare: in Brut. 12 Cicerone parla di una sua diuturna perturbatio totius valetudinis; cfr. p. es. Tusc. 4, 35 aegritudine ... debilitatus e 64 ecfeminatum

per la paura. In Sallustio stesso, l'agitazione fisica, corporea, di Giu-

gurta in Jug. 72, 2 e il riflesso di un'agitazione dell'animo turbato, del metuere, del pavescere (e il φόβος, il timor, & una perturbatio dell'animo): Giugurta, somno excitus, ... tumultum facere: ita formidine quasi vecordia exa-

gitari. Ma su questo tema molto, senza dubbio, si puó aggiungere. Io mi limito a segnalare, dalla praefatio di Celso, il 8 4 sg., dove si legge che nei tempi più antichi la salute era per lo più buona grazie ai boni mores, non

46

Italo Mariotti

viziati da desidia e luxuria, e che queste due forme di corruzione prius in Graecia, deinde apud nos adflixerunt i corpora: li hanno danneggiati, ossia fiaccati, effeminati.

Agiva forse sullo sfondo anche Platone, che - lasciando da parte la medicina tracia di Zalmossi (Charm. 156 d 4 sgg.) - insiste in numerose occasioni sul parallelismo tra anima e corpo: si veda, p. es., Gorg. 464 a 7 sgg., sull'analogia tra il benessere fisico e quello dell'anima, tra medicina e giustizia, o rep. 4, 444 c 6 sgg., dove la giustizia e l'ingiustizia sono para-

gonate alla salute e alla malattia del corpo. Piü interessante per noi la sezione sulla ginnastica che comincia a rep. 3, 403 c 9: cfr, p. es., 403 d 4

Sg. ψυχὴ ἀγαθὴ ... σῶμα παρέχειν ὡς οἷόν τε βέλτιστον, o 405 c 8 sgg. su ἀργία e δίαιτα sregolata che riempiono il corpo di ῥεύματα e πνεύματα, co-

stringendo i medici a parlare di flati e catarri. C'è però un passo del Timeo più specifico per l'influsso dell'anima sulla salute degli uomini. Nel Timeo,

com'è

noto, Platone si occupa anche di medicina:

dopo aver tratta-

to di astronomia e cosmologia, si rivolge all'uomo e, a partire da 44 d 3, prende in esame anatomia e fisiologia, poi patologia e terapia. In 86 b 2 sgg. spiega l'origine fisica dell'ignoranza e della follia, malattie dell'anima; in 87 e 1 sgg., a proposito del rapporto tra corpo e anima, che costituiscono il συναμφότερον chiamato ζῷον, introduce l'argomento che qui interessa:

ibid.

7 sgg. ὅταν τε ἐν αὐτῷ (lo ζῷον) ψυχὴ κρείττων οὖσα σώματος περιθύμως

ioyn, διασείουσα πᾶν αὐτὸ ἔνδοθεν νόσων ἐμπίμπλησι, καὶ ὅταν εἴς τινας μαθήσεις καὶ ζητήσεις συντόνως ἴῃ, κατατήκει (- effeminat), διδαχάς 1 αὖ καὶ μάχας ἐν λόγοις ποιουμένη δημοσίᾳ καὶ ἰδίᾳ Öl ἐρίδων γιγνομένων διάπυρον αὐτὸ ποιοῦσα σαλεύει, καὶ ῥεύματα

καὶ φιλονικίας ἐπάγουσα, τῶν

λεγομένων ἰατρῶν ἀπατῶσα τοὺς πλείστους, τἀναίτια αἰτιᾶσθαι ποιεῖ. I medici che pensano a cause fisiche sono dunque ingannati dalle apparenze: l'ori-

gine di quel deperimento e delle altre affezioni corporee va ricercata in realtà nella scossa violenta provocata dall'ira, in un eccessivo fervore negli

studi o nell'accalorarsi senza freno in discussioni pubbliche o private per l'ambizione di vincere a tutti i costi. La φιλονικία, unita spesso in Platone alla φιλοτιμία, è più volte in coppia con la φιλοχρηματία, p. es. in leg. 11, 938

b 5 sg., come

φιλόνικος con φιλοχρήματος e diAokepóng

in rep.

8, 551

a

7 sg. e 9, 586 d 5 (cfr. 581 c 5, dove gli uomini sono distinti in tre yévn principali, il φιλόσοφον contrapposto al φιλόνικον e al φιλοκερδές); la φιλονικία sta accanto alla πλεονεξία in leg. 3, 677 b 7, sulle macchinazioni che i cittadini ordiscono per prevalere gli uni sugli altri. Si tratta, in ogni

caso, di passioni dell'anima che, secondo le teorie espresse nel Timeo, eccitano e consumano

il corpo. Che

il dialogo

suscitasse interesse

a Roma

negli ambienti intellettuali di fine Repubblica & dimostrato se non altro dalla traduzione - con ogni probabilità parziale - che ne fece Cicerone nel

45 (a noi resta, con lacune, solo la parte corrispondente a 27 d 6 - 47 b 2). Che Sallustio, lettore e ammiratore di Platone, al quale s'ispira nei proemi delle due monografie e altrove, potesse conoscere, direttamente o indirettamente, quelle teorie nessuno vorrà dubitare.

Isabella Bona

APPUNTI SULLA CRENOTERAPIA NEL XXXI LIBRO DELLA NATURALIS DI PLINIO

HISTORIA

Sin dai tempi piü antichi, l'uomo ha conosciuto l'importanza delle acque, per i numerosi

benefici derivanti, ed ha saputo usufruirne in tutti i

suoi bisogni. Si è così affermata sempre più la crenoterapia, una cura che ha offerto all'umanità sofferente rimedi di indiscussa efficacia in molte malattie. Il potere termico di un'acqua, quello fisico-chimico e la sua azione farmacoterapica

variano,

naturalmente,

secondo

i gas in essa contenuti,

alcuni dei quali anche rari, come, ad esempio, l'elio, il neon, l'argon, il cripton e lo xenon. Molteplici sono poi i sali presenti nell'acqua, quali iodio, bromo, fluoro, litio, bario, stronzio, silicio, titanio e, in misura minore,

rubidio,

cesio,

rame,

zinco,

fosforo,

ecc.

Sorgenti

di

acque

minerali

sono sparse un po in tutto il mondo ma specialmente in Italia, dove si trova il pià vasto patrimonio idrico mondiale. Queste acque affiorano alla superficie dalla profondità della terra, da cui, attraversando differenti strati geologici, assumono i vari sali e gas che

in esse si trovano disciolti e variamente misti o combinati. Il loro diverso valore ed i molti benefici che si possono ottenere dalle acque termo-minerali dipendono, oltre che da due fattori fondamentali, il potere termico ed il potere fisico-chimico, anche da quello, non

meno

importante dal lato te-

rapeutico, dello stato elettrico delle molecole dei sali e della loro dispersione nell'acqua, ossia lo stato colloidale!. Tutte queste acque hanno

! Lo stato colloidale & quello proprio della materia vivente. Il termine indica una sostanza semifluida simile a colla che si trova dispersa în un liquido in minutissime particelle. Vi sono alcuni

metalli e metalloidi che possono essere ridotti allo stato colloidale mediante elettrolisi o attraverso processi chimici ed essere così usati come medicamenti. Uno dei primi studiosi a riconoscere l'im-

portanza delle soluzioni colloidali, da lui denominate pseudosoluzioni, fu Francesco Selmi (Vignola 1817-1881), il cui nome e legato alla storia della chimica per la scoperta di alcune ptomaine, basi organiche che si formano dalla putrefazione delle proteine animali. Il chimico inglese Graham Thomas (Glasgow 1805 - Londra 1869) condusse particolari ricerche sui colloidi, sostanze che partecipano alla costituzione della materia vivente, subendo la trasformazione in cristalloidi soltanto dopo la morte della materia viva. I termini di cristalloidi e di colloidi furono introdotti dal Graham, al quale va il merito di avere sottoposto a un'indagine sistematica le proprietà dei colloidi, che possono essere sciolti da solventi, ma non sono, in questo caso, utilizzabili. Sappiamo che un colloide

Isabella Bona

48

un'azione piü attiva alla fonte, ma possono dare qualche beneficio anche a

domicilio, purché il tempo trascorso dall'erogazione non sia troppo lungo, poiché, in tal caso, si disperderebbero le minutissime particelle dei suoi sali che, col passare del tempo, si uniscono in aggregati di maggiore gran-

dezza rimanendo

in sospensione nellacqua, dando cosi luogo ad una di-

minuzione del suo potere terapeutico sino a perdersi del tutto. Importante é anche la temperatura dell'acqua che viene classificata in

due

grandi

categorie:

acque

‘fredde’, da pochi

gradi

sopra

zero

fino a

20°C., e acque 'termali' oltre i 20°C. che, a loro volta, sono distinte in acque ipotermali, da 20°C. a 40°C., omeotermali, da 30°C. a 40?C., e ipertermali oltre i 40°C.; queste ultime possono raggiungere e superare i 150°C. I

benefici di queste acque si ottengono sia dalla cura idropinica, che si effettua bevendone durante il giorno un determinato numero di bicchieri, sia dal bagno termo-minerale, praticato solitamente in periodo estivo o sul finire della primavera.

Degli effetti curativi posseduti dalle varie sorgenti e di come già seppero usufruirne gli antichi, Plinio parla ampiamente nel XXXI libro della Naturalis historia, che costituisce la piü valida testimonianza delle conoscenze sino

allora acquisite in questo settore della medicina. Il naturalista latino ha dedicato alle acque, alle sostanze in esse contenute ed ai loro eccezionali benefici, i primi 72 paragrafi, utilizzando, a quanto sembra, quale fonte principale, il trattato Sulle acque, di cui ci è pervenuto un ampio estratto in Ate-

neo ?, del maggiore naturalista greco dopo Aristotele, Teofrasto. Dopo aver esaltato nei primi 3 paragrafi il meraviglioso potere delle acque, Plinio inizia, nel 4?, ad elencare le varie qualità delle sorgenti che si trovano sparse generosamente in tutti i luoghi: ve ne sono di fredde e cal-

de, altre che possono essere calde e fredde assieme, come quelle che sgorgano presso i Tarbelli, popolazione dell'Aquitania ?, e dai monti Pirenei, ed altre, ancora, tiepide e miti: emicant benigne passimque in plurimis terris alibi frigidae, alibi calidae, alibi iunctae, sicut in Tarbellis Aquitanica gente

et in Pyrenaeis montibus tenui intervallo discernente, alibi tepidae, egelidae. Proprio nome

per

alcune

le caratteristiche

località, come

delle

loro

sorgenti

Puteoli ^, l'odierna Pozzuoli,

avrebbero

preso

il cui nome

il

deri-

verebbe da putei, pozzi, secondo la spiegazione fornita da Varrone ?, poi-

è allo stato di ‘solo’ quido è contenuto passare dallo stato tipo appartengono

quando le particelle solide sono disperse in un liquido e di 'gelo' quando il liin minutissime goccioline nella massa solida; è ‘reversibile’ o 'idrofilo' se può di ‘gelo’ a quello di ‘solo’, ‘irreversibile’ se non ha questa possibilità; al primo i colloidi organici, al secondo quelli inorganici.

2 Athen. 2, 41-43; cfr. fr. 159 Wimmer.

3 Cfr. Plin. nat. 4, 108. 4 Il nome Puteoli fu assegnato alla città dai Romani quando, durante la guerra annibalica, ne dedussero una colonia. Cfr. Strabo 5, 4, 6. Secondo Liv. 32, 29, 3 e 34, 45, 1, la colonia venne dedotta nel 194 a.C. 5 Varrone (ling. 5, 25) riporta anche un'altra etimologia, meno esatta, secondo la quale Pute-

Appunti sulla crenoterapia nel XXXI libro della Naturalis historia...

49

ché in quella zona vi sono molte sorgenti di acqua calda e fredda, l'antica Statiellae (Aquae Statiellae) 5, 33 km a sud di Alessandria, oggi Acqui Ter-

me, e Sextiae (Aquae

Sextiae) ', l'attuale Aix-en-Provence,

nella provincia

Narbonese.

In nessun luogo, tuttavia, le acque termali sono pià abbondanti che nel golfo di Baia né con piü varietà terapeutiche (8 5): nusquam

quam

tamen

largius

in Baiano sinu nec pluribus auxiliandi generibus. Il celebre porto di

Baia, località balneare nei pressi di Cuma, città fondata dai Calcidesi, situato in una insenatura, era, infatti, famoso per le sue acque, di gran lun-

ga le più rinomate di tutte quelle della Tirrenia*. Baia, per le sue sorgenti termali, ebbe fin dalla tarda età repubblicana un rapido fiorire poiché, per sfruttarne le virtü terapeutiche, già a partire dal I secolo a.C. sorsero lun-

go tutto l'arco del golfo numerose ville di nobili e ricchi romani, da Pompeo Magno a Licinio Crasso e Giulio Cesare ?. Plinio ricorda in particolare le acque di Licinio Crasso, mezzo al mare.

utili alla salute poiché

emettevano

vapori

in

Sempre al 8 5 Plinio nomina le proprietà terapeutiche delle acque di Baia, proprietà che differiscono in base ai minerali in esse contenuti: vi sono quelle ricche di zolfo, altre di allume !°, altre di sale, altre ancora di

oli potrebbe derivare da putor 'puzzo' a causa del cattivo odore, dovuto alle emanazioni di zolfo e allume dalle sue solfatare, che arrivava fino a Baia e a Cuma; cfr. pure Strabo 5, 4, 6. Varrone,

inoltre, rende noto che fuori dalle città vi erano i puticuli, piccoli pozzi il cui nome deriva da putei, fosse tombali ove si seppellivano i morti, e cita Elio Stilone (GRF

fr. 32, p. 65 Funaioli) secon-

do il quale erano detti puticuli quei pozzi in cui marcivano (putescebant) i cadaveri gettativi den-

tro; si sarebbe trattato di un pubblico sepolcreto situato oltre l'Esquilino. Varrone ricorda anche Afranio, il quale in una togata (com. 430 Ribb.3) chiama questa zona putiluci (putilucos in Varrone è emendamento dello Scaligero per il tràdito cutilucos; per le varie congetture del termine in Afranio cfr. p. 220 Ribb.3 ad loc.), pozzi luminosi, perché ivi guardando in alto si vede la luce del giorno attraverso i pozzi. Sembrerebbe trattarsi di un cimitero a gallerie che prendevano la luce attraverso lucernari. Cfr. anche Fest. 217, 8 L.; Paul.-Fest. 216, 6; Ps. Acr. ad. Hor. sat. 1, 8, 10. 6 Cfr. Strabo 5, 1, 11.

7 Plinio a nat. 3, 36 nomina Aquae Sextiae come città di diritto latino appartenente alla popolazione dei Salluvii. 8 Cfr. Strabo 5, 2, 9; Plin. nat. 2, 227; 3, 61. 9 Cfr. A. D'Ambrosio, s.v. Baia, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, 452-453. Baia era rinomata quale luogo adatto per chi amava una vita agiata e mondana e per la cura di alcune malattie. Cfr. Cic. Cael. 27; 35; Strabo 5, 4, 5; Vitr. 2, 6, 2; Prop. 1,11; 3, 18, 2; Ov. ars am. 1, 255; met. 15, 713; Sen. epist. 51; Mart. 6, 42, 7.

10 Plinio a nat. 35, 183-190 descrive 4 qualità di alumen (phorimon, oxvovóv, strongyle e Melinum), corrispondenti a diverse forme cristalline assunte dall'allume naturale; esso sarebbe un

trasudamento naturale della terra, essendo composto di acqua e di fango, che, concentratosi d'inverno, matura al sole dell'estate. Cfr. anche Cels. 5, 2; Galen. alfab. 7; Isid. orig. 16, 2, 2. Tra i

paesi di origine dell'allume Plinio nomina l'isola di Cipro, la Spagna, l'Egitto, l'Armenia, la Macedonia, il Ponto, l'Africa e le isole di Sardegna, Melo, Lipari e Stromboli, senza accennare ai giaci-

menti di minerali di allume esistenti nelle vicinanze di Roma, che assumeranno grande importanza in seguito alla scoperta del minerale alunite a Tolfa presso Civitavecchia nel 1461, quando il papa Pio II ne costituirà il monopolio, servendosi dell'esperienza tecnica di Giovanni di Castro;

50

Isabella Bona

nitro !! o di bitume 12; ve ne sono poi alcune di composizione mista, salata

o acida ed altre che giovano soltanto per il loro calore: aliae sulpuris vi, aliae aluminis, aliae salis, aliae nitri, aliae bituminis, nonnullae etiam acida salsave mixtura, vapore ipso aliquae prosunt. Ognuna di queste acque e

particolarmente utile nella cura di determinati disturbi che interessano diverse parti del corpo, come i tendini, i piedi o le anche; altre sono benefi-

oggi il giacimento della Tolfa è quasi esaurito. L'impiego dell'allume come emostatico glutinante

le ferite e come astringente è molto antico nella medicina greca e romana; da Plinio sappiamo che veniva usato anche nella cura delle malattie cutanee contro le quali si somministrava nei bagni o sotto forma di pomate.

L'allume (Al3[SO4]3K:S04 * 24H,0) è un solfato doppio di alluminio e potassio. Si presenta in cristalli incolori, trasparenti, che all'aria sfioriscono lentamente. Oggi viene preparato da bauxite, allumina pura, leucite, feldspati, caolino, argilla, ecc., trattando questi materiali con acido solforico e aggiungendo poi allumina o solfato potassico, secondo la composizione dei prodotti di partenza. L'allume è solubile in 10 parti di acqua fredda e in 0,5 di acqua bollente. Scaldato, prima fonde nella sua acqua di cristallizzazione, poi, perduta l'acqua, si rigonfia e sopra i 160°C. si converte in una massa bianca spugnosa (allume usto). É usato in tintoria come mordente, nel-

la concia delle pelli, per impermeabilizzare tessuti, ecc., mentre in medicina come emostatico e

astringente per lo piü all'esterno in soluzione o in pomata; l'allume usto é utilizzato come caustico e per cauterizzare piaghe. 11 Plinio dedica al nitro o salnitro (8122: sal nitrum) i 88 106-122, esponendo le caratteristiche naturali del nitro e descrivendo i luoghi nei quali si trova con maggiore abbondanza, come la Macedonia,

l'Egitto e la Lidia,

i modi di produzione, le proprietà (di scaldare, ridurre,

rodere, ispessire, disseccare, ulcerare) e le sue applicazioni in medicina nelle diverse malattie: esso serve nella cura di bolle e di pustole e per eliminare le cicatrici degli occhi e le granulosità

delle palpebre, giova contro il mal di denti ed i parassiti della testa, toglie le vitiligini bianche, cura l'infiammazione dei testicoli, elimina le coliche, si applica per la paralisi della lingua, é utile contro l'asma, guarisce la tosse cronica, ecc. Cfr. Diosc. 5, 113 (le concordanze con Dioscoride sono notevoli; probabilmente i due autori dipendono da una fonte comune);

cfr. anche

Cels. 2, 33, 5; 5, 6; 7; 12; 15; 19, 19; 28, 18. Il salnitro (nitrato potassico, KNO;) si trova in natura generalmente in piccole quantità in alcune acque e terre e si forma per lo più dove sostanze

organiche azotate vengono a putrefazione; si prepara anche nelle nitriere artificiali con calce e cascami azotati, lasciandoli a contatto per mesi o anni, ottenendo nitrato di calcio che viene poi trasformato in salnitro per doppio scambio con solfato potassico. E usato come concime

nell'ortofloricoltura, in metallurgia come fondente e ossidante e in medicina quale antisettico e nel trattamento della ipopotassiemia, a causa delle azioni secondarie cui dà origine (aritmia

cardiaca, paralisi, ecc.). 12 Plinio a nat. 35, 178-182 distingue diversi tipi di bitumen,

liquido (petrolio), semisolido

(catrame) e solido (asfalto), ricordando il pissasphalton, una qualità chiamata così dai Greci per la sua somiglianza a pece con bitume. Perché sia buono il bitume deve essere il piü possibile brillante e pesante, con un odore acuto, mentre quando ὁ leggero e poco brillante ὃ falsificato con la pece. Sempre secondo Plinio, esso avrebbe le stesse proprietà dello zolfo, quali arrestare il sangue, sciogliere, cicatrizzare e rimarginare le ferite; sarebbe utile nelle dermatiti scagliose, nella gotta, spalmato sulle parti malate, nella tosse, nell'asma, nelle lombaggini e nelle artriti. Cfr. Diosc. 1, 73 (anche qui emergono riscontri evidenti tra Plinio e Dioscoride); cfr. anche Cels. 5, 3; 11; 19, 2. Il bitume, oggi usato particolarmente per pavimentare strade, è una miscela combustibile di idrocarburi solida o liquida ottenuta da petroli naturali o, come avviene in Italia, da rocce asfaltiche o bituminose; si trova allo stato naturale in grandi quantità in masse galleggianti sul-

l'acqua e, mescolato con sostanze minerali, nel Mar Morto e nel cosiddetto Lago della pece nell'isola di Trinidad.

Appunti sulla crenoterapia nel XXXI libro della Naturalis historia...

5]

che in caso di lussazioni o fratture, vi sono poi quelle che aiutano a liberare l'intestino, che guariscono le piaghe o che curano specificamente il

capo e le orecchie e, infine, quelle che sanano gli occhi, ricordate da Plinio come acque di Cicerone (8 6): Jam generatim nervis prosunt pedibusve aut coxendicibus, aliae luxatis fractisve, inaniunt alvos, sanant vulnera, capiti, auribus privatim medentur, oculis vero Ciceronianae ?. Naturalmente i

benefici che si possono ottenere dalle acque variano col variare della quantità e delle diverse combinazioni di minerali in esse contenuti. Cosi, ad esempio, l'importante composto

dello zolfo !* con l'idrogeno (idrogeno

solforato), che, oltre a trovarsi in natura allo stato libero in grande quanti-

tà nelle emanazioni vulcaniche, & presente anche in certe acque minerali dette sulfuree o solforose !5, perché ricche di acido solfidrico libero (fino a 160 cm? per litro) o sotto forma di solfuri, si & rivelato molto utile nella

cura di diverse malattie per mezzo di bagni, irrigazioni, fanghi e inalazioni. Esse hanno un'azione terapeutica nei disturbi dell'apparato digerente, del fegato e delle prime vie respiratorie e nell'artritismo; usate per bagni recano utilità nelle malattie croniche della pelle. Vi sono anche acque sulfuree miste (8 5: nonnullae etiam acida salsave mixtura), che insieme a determinate

quantità

di zolfo contengono

altri sali

minerali

(cloruro

di so-

dio, iodio, bromo), che conferiscono all’acqua proprietà curative diverse, come, ad esempio, le acque sulfuree salse, che esplicano un'azione tera-

peutica contro la stitichezza e i disturbi gastrointestinali !9, le acque sulfuree salso-bromo-iodiche, utili nella diatesi urica, nell'artritismo, nelle congestioni del fegato, nel linfatismo, nelle dermatosi e nelle malattie gineco-

13 Plinio si riferisce alle fonti calde salutari per gli occhi che sgorgarono nella parte anteriore

della villa di Cicerone presso Cuma, quando, morto l'oratore, ne era proprietario Antistio Vetere, celebrate da Laurea Tullio, uno dei liberti di Cicerone, in un'epigrafe riportata dallo stesso Plinio al 8 8. 14 I giacimenti più antichi sono quelli della Sicilia, dai quali sino alla fine dell'800 proveniva

tutto lo zolfo del commercio mondiale. Altri giacimenti italiani sono nelle Marche e nella Romagna. In seguito ne furono scoperti molti negli Stati Uniti, in Unione Sovietica ed in Giappone. Lo

zolfo si trova pure nel mondo organico, specie animale, essendo uno dei composti delle sostanze proteiche, particolarmente nelle unghie e nei peli (cheratina); l'organismo umano ne contiene circa lo 0,25%. Oltre ad essere utilizzato in medicina, lo zolfo rientra in moltissimi altri usi, come, ad es., la preparazione dell'acido solforico e della polvere nera, la difesa delle viti contro l'oidium, la vulcanizzazione del caucciü e la fabbricazione del solfuro di carbonio e dei fiammiferi. Bruciando lo zolfo nell'aria o in atmosfera di ossigeno si forma l'anidride solforosa (SO;). Questa, tra i molteplici impieghi, & usata anche come battericida e disinfettante e ancora come

conservante nell'industria enologica e conserviera. 15 L'idrogeno solforato (HS) si trova anche fra i prodotti di putrefazione delle sostanze pro-

teiche che emanano odore di uova marce e in quantità notevoli negli strati inferiori di certi mari, quali ad es. il Mar Nero. 16 Tra le acque che hanno un'azione purgativa, ricordiamo, ad es., quelle di Montecatini (Pi-

stoia) che sono solfate, clorurato-sodiche ed anche magnesiache, contenenti bromo, iodio, litio e ferro. Proprietà purgative hanno anche le acque della Salute di Livorno e quelle di St.-Vincent (Aosta), acidule, bicarbonate, saline e leggermente ferruginose.

52

Isabella Bona

logiche !’, e le acque

sulfuree

salso-solfato-alcaline, efficaci nelle malattie

intestinali e del fegato !5. Tra le varie fonti già conosciute nell'antichità e descritte da Plinio, ri-

cordiamo, per le particolari proprietà delle loro acque, quelle tiepide Albule 1" vicino a Roma, che servono nella cura delle ferite (8 10): iuxta Romam Albulae aquae volneribus medentur egelidae, e quelle di Cotilia nella

Sabina, adatte allo stomaco e ai tendini, talmente fredde che assalgono il corpo

come

in un

morso:

corpora invadunt, ut prope vis, universo corport.

La

fonte

di Tespie,

Cutiliae

in Sabinis

morsus

videri possit,

in Beozia??,

favorisce

gelidissimae aptissimae

l'immediato

suctu

quodam

stomacho,

ner-

concepimento

nelle donne: Thespiarum fons conceptus mulieribus repraesentat, cosi come la fonte Lino, in Arcadia, protegge il feto e non permette che avvengano

aborti: custodit autem Linus fons in eadem Arcadia abortusque fieri non patitur, mentre, al contrario, a Pirra il fiume chiamato Afrodisio renderebbe sterili: e diverso in Pyrrha flumen, quod Aphrodisium vocatur, steriles facit. Al 8 11, Plinio cita Varrone come auctor della notizia secondo la quale

le acque dell’Alfeo ?!, oggi Rufia, che scorre presso Olimpia e va a sfociare nello Ionio sulla costa del Peloponneso, di cui & il maggiore fiume, fanno scomparire le macchie della vitiligine (Lacu Alphio vitiligines tolli) ?, una discromia cutanea caratterizzata da macchie bianche della pelle, che o fortemente ipocromiche, nettamente limitate e circondate

acromida una

17 Di particolare azione terapeutica, in queste malattie, si sono rivelate le acque della Porretta (Bologna), di Castellammare di Stabia (Napoli), di Sirmione del Garda e di Salice Terme (Pavia), costituita quasi esclusivamente di ville ed alberghi essendo rinomatissima per le sue acque termali salso-iodico-ferruginose.

18 Indicate per la cura di queste malattie sono le acque acidulo-bicarbonato-ferruginose della Fonte di Pejo (Trento). 19 Cfr. Stabo 5, 3, 11; Sen. nat. quaest. 3, 20, 4; Suet. Aug. 82, 2; Galen. meth. med. 8, 2; simpl.

med. 1, 7; Isid. orig. 13, 13, 1. Le Acque Albule presso Tivoli sono tuttora rinomate per la cura di malattie croniche della pelle, dell'artritismo e dei disturbi del fegato e dell'apparato digerente. Analoghe proprietà possiedono le Terme di Tabiano, frazione di Salsomaggiore (Parma), di Castroreale (Messina) e di Trescorre Balneario (Bergamo), le cui acque sono salutari, oltre che nelle

infiammazioni delle mucose, nei disturbi del ricambio, dell'apparato digerente e respiratorio, anche nelle affezioni ginecologiche. 20 La notizia risalirebbe a Teofrasto (hist. plant. 9, 18, 10).

21 1] corso dell'Alfeo é in piü tratti sotterraneo; di qui la leggenda che il fiume, in cui sarebbe stato trasformato

il mitico cacciatore Alfeo innamorato

di Aretusa,

passasse

sotto il mar

Ionio

per confondere le sue acque con quelle della fonte Aretusa, nell'isola di Ortigia, a Siracusa. Cfr. Strabo 6, 2, 4; Sen. nat. quaest. 3, 26, 6; Plin. nat. 31, 55; Sil. 14, 53-54. 22 La notizia è anche in Strabone (8, 3, 19), il quale fornisce l'etimologia del nome Alfeo da ἀλφός - vitiligine. Plinio (nat. 20, 165; 21, 129; 22, 156; 27, 112; 30, 28 e 120) ricorda vari rimedi tratti dal mondo vegetale e da quello animale per eliminare le macchie bianche (vitiligines albae) o per far sbiadire le macchie scure (vitiligines nigrae) della vitiligo. Di questa malattia cutanea Celso (5, 28, 19) menziona tre tipi: alphos, di colore bianco con macchie pressoché ruvide e sparse, melas, con macchie scure, e leuce, simile all'alphos ma con macchie biancastre e più profonde, con peli bianchi somiglianti a lanugine.

Appunti sulla crenoterapia nel XXXI libro della Naturalis historia... zona di superpigmentazione, delle mani, agli avambracci,

53

localizzate di preferenza ai genitali, al dorso al collo e al viso, spesso simmetriche;

da que-

sto disturbo era affetto il pretore Tizio, descritto da Plinio con una faccia

da statua di marmo: marmorei signi faciem 35. Le acque del fiume

Cidno, in Cilicia, nell'Asia Minore

sud-orientale,

in-

vece, curavano la gotta (8 11): Cydnus Ciliciae amnis podagricis ** medetur, malattia molto diffusa e ben conosciuta fin dai tempi piü antichi. Già Ippocrate ed in seguito Celso e Galeno dimostrano, infatti, una sicura cono-

scenza di questa malattia costituzionale cronica, frequentemente ereditaria, dovuta ad uno squilibrio del ricambio purinico e caratterizzata da un eccesso nel sangue di acido urico che precipita nei tessuti e negli organi; precipitazioni uratiche avvengono soprattutto nelle cartilagini delle artico-

lazioni e nei tessuti connettivi, come legamenti e tendini, con una diminuzione dell'eliminazione dell'acido urico attraverso le urine 25. A Tungri, città della Gallia, oggi Tongres in Belgio, vi è una famosa fonte costellata di moltissime bolle di sapore ferruginoso; l'acqua che ne

sgorga & purgativa, elimina le febbri terzane e le malattie dei calcoli (8 12): Tungri civitas Galliae fontem habet insignem plurimis bullis stillantem,

ferruginei saporis, quod ipsum non nisi in fine potus intellegitur. Purgat hic corpora,

tertianas febres

discutit,

calculorum

vitia.

Plinio

parla

qui

delle

febbri malariche ?5, nelle quali si può riconoscere o la terzana primaverile, che svolge il suo ciclo asessuato in 48 ore, dando cosi accessi febbrili a giorni alterni, oppure la terzana maligna, o malaria estivo-autunnale o perniciosa, in cui, pur essendo di 48 ore il ciclo evolutivo, l'accesso febbrile, oltre che terzenario, ὃ quotidiano ed irregolare; ὃ questa una forma accompagnata da gravi sintomi generali, come ingrossamento della milza e anemia. La febbre, sovente preceduta da intenso e prolungato brivido di freddo,

è quotidiana,

di rado intermittente,

per lo più continua o subcon-

tinua, spesso con gravi sintomi del sistema nervoso. Questa malattia, infettiva ed endemica, è trasmessa all'uomo attraverso la puntura del genere anofele della zanzara 27.

23 Dovrebbe trattarsi del pretore L. Titius, menzionato da Valerio Massimo (8, 3, 1). Cfr. F. Münzer, s.v. Titius 14, in Pauly-Wissowa, RE, VI, A2, 1937, col. 1558.

24 Cfr. Plin. nat. 26, 100. Sulla podagra cfr. anche Cels. 4, 24; 5, 18; Diosc. 5, 128.

25 Contributi sostanziali, per una più esatta conoscenza, si devono all'inglese T. Sydenham nel 1683 e ad A.B. Garrod nel 1848, il quale riusci a dimostrare nella gotta un eccesso di acido urico nel sangue (iperuricemia) dipendente da un difetto di eliminazione da parte del rene. Recentemente si & ritenuto non essere interessato il rene, in quanto si ὃ ammessa una aumentata affinità

per l'acido urico che é attratto e precipitato nei tessuti (ritenzione tissurale). In tal modo l'aumento di acido urico nel sangue starebbe a indicare uno stato di saturazione da parte dei tessuti. 26 Cfr. Plin. nat. 22, 50; 28, 82 e 86. Sulle febres tertianae cfr. anche Cels. 2, 1; 3, 3; Ps. Soran.

quaest. med. 125; 133; 136. 27 I parassiti della malaria umana sono il plasmodium vivax, il p. malariae ed il p. falciparum.

Scopritore del protozoo, parassita della malaria che vive nel sangue, fu il medico francese Carlo Alfonso Laveran (1845-1922), premio Nobel nel 1907 per la medicina, alla cui moltiplicazione at-

54

Isabella Bona

Fra Pozzuoli e Napoli vi erano le fonti Leucogee, ricordate da Plinio per la loro proprietà nella cura degli occhi e delle ferite (8 12): Leucogaei fontes inter Puteolos et Neapolim oculis et vulneribus medentur. Queste sor-

genti, che sgorgano dal fiume Araxus, presso i colles Leucogaei, circostanti a nord e ad est la solfatara di Pozzuoli,

erano utili anche

per rinforzare

i

denti 28, Essi dovevano il loro nome ai vapori di zolfo che avevano schiarito fino a renderla biancastra la pietra lavica di cui sono costituiti. Dal 8 13 al 8 30, Plinio alterna a notizie strettamente scientifiche e mediche

altre

che

risentono

piü

del

meraviglioso,

come,

ad

esempio,

ai 88

13-14, riservati alla proprietà di alcune acque di influire sul colore delle pecore e dei buoi che vi si abbeverano, ove si legge di due fonti nell'Estiotide in Tessaglia,

di cui

una,

Cerona,

li avrebbe

fatti diventare

bianchi,

mentre l'altra, Neleo, neri; ai 88 15-16 & ricordata la proprietà di talune acque

in Beozia

presso il santuario di Trofonio,

di dare la memoria

vicino al fiume Ercinna,

o, al contrario, l'oblio.

Al 8 17 Plinio attribuisce ad un certo Policlito ?? l'informazione che l'acqua del Lipari ?, fiume vicino a Soli, in Cilicia, serviva per ungersi: Polyclitus Lipari iuxta Solos Ciliciae ungui; la stessa notizia é data anche da

Teofrasto

riguardo

ad

una

fonte

dal

medesimo

nome,

ma

situata

in

Etiopia (Theophrastus hoc idem in Aethiopia eiusdem nominis fonte), e, secondo Lico ?', anche nel territorio degli indiani Orati ? esisteva una fonte con la cui acqua si tenevano accese le lucerne: Lycos in Indis Oratis fon-

tem esse, cuius aqua lucernae luceant, fatto questo riferito anche riguardo ad un'altra località, Ecbatana, capitale della Media. Tutte queste acque, per il loro contenuto di grasso, dovevano essere ricche di petrolio. Sempre al 8 17, Plinio riporta una notizia proveniente da Teopompo, secondo il quale nel territorio degli Scotusei ? vi era un lago che curava

tribul l'accesso febbrile, sostenendo l'unicismo del parassita. Spetta peró a Giovanni Battista Grassi (1854-1925), medico e zoologo che condusse importanti studi sulla malaria degli uccelli e dell'uomo, la scoperta che la malaria umana si trasmette per mezzo dell'anofele e la conoscenza del ciclo evolutivo del parassita nella zanzara.

28 Cfr. Plin. nat. 18, 114. Il naturalista riferisce che questi colli erano ricchi di zolfo (cfr. anche nat. 35, 174) e di creta e, a tal proposito, ricorda un decreto di Augusto col quale comandava

di pagare per quel territorio ai Napoletani 200.000 sesterzi all'anno, prelevandoli dalla sua cassa privata, quando dedusse una colonia a Capua, poiché quel terreno argilloso era indispensabile agli abitanti di Capua per la lavorazione dell'alica, pianta delle graminacee da cui si ricavavano una farina ed una rinomata bevanda (nat. 3, 60; 18, 109-116; 22, 128-129).

29 torno XXXI 30 31

Cfr. FGrHist 128 F 11 Jacoby. Policrito di Mende (la grafia Polyclitus & erronea), vissuto inal 300 a.C., & una delle fonti paradossografiche citate da Plinio nei primi 30 paragrafi del libro. Il nome Lipari etimologicamente deriverebbe da A1xapóc, ricco d'olio. Lico di Reggio, storico del IV sec. a.C. Cfr. FGrHist 570 F 14 Jacoby.

32 Popolazione dell'India ricordata da Plinio anche a nat. 6, 75. 33 Cfr. FGrHist 115 F 271 Jacoby. Gli Scotusei, abitanti di Scotusa o Scotussa, erano una po-

polazione della Tessaglia menzionata da Plinio anche a nar. 4, 35.

Appunti sulla crenoterapia nel XXXI libro della Naturalis historia...

55

le ferite: Theopompus in Scotusaeis lacum esse dicit, qui vulneribus medeatur, proprietà riconosciuta anche alle acque sulfuree Albule (8 10) e a quelle delle fonti Leucogee (8 12). ΑΙ 8 20 Plinio informa dell'esistenza in Germania, a Mattiaco, oggi

Wiesbaden vicino a Magonza, oltre il Reno, di fonti calde, la cui acqua, anche dopo attinta, continua a bollire ancora per tre giorni, formando at-

torno ai bordi dei recipienti pietra pomice: sunt et Mattiaci in Germania fontes calidi trans Rhenum, quorum haustus triduo fervet, circa margines vero pumicem faciunt aquae. Ció indurrebbe a pensare che quelle sorgenti, ancor

oggi

attive,

siano

ricche

di ortosio

(o ortoclasio),

minerale

silicato

di alluminio e potassio (KAISi;0}), componente essenziale di molte rocce di recente

origine,

come

le trachiti,

cristalline a struttura porfirica,

com-

poste di ortosio nella varietà sanidino, l'ossidiana e, di uguale composizione, la pietra pomice, anch'essa di recente origine, vulcanica, vetrosa, di

struttura fibrosa e lucentezza serica, leggerissima, di colore biancastro-grigiastro. Queste rocce vulcaniche sono comuni in Italia, dai colli Euganei ai campi Flegrei e abbondano nelle isole Lipari; tra i vari usi, la pietra po-

mice ὃ utile per levigare metalli, per digrassare e per smacchiare. Ai

88

31-35,

Plinio

parla

di dispute

che

avvenivano

tra

i medici

su

quali tipi di acque potabili fossero migliori. Tale questione era già stata a lungo discussa nella letteratura scientifica e medica precedente; la piü

antica attestazione risalirebbe al trattato Arie, acque, luoghi di Ippocrate, sull'influenza

delle condizioni

climatiche

ed ambientali

sull'uomo,

citato

dallo stesso Plinio, il quale per questo argomento utilizza peró come fon-

ti principali ed immediate Varrone e Celso. I medici condannavano le acque stagnanti e pigre mentre stimavano quelle che scorrono *4, poiché, come giustamente spiega Plinio, queste, scorrendo e urtandosi, si purificano

e migliorano

(8 31): Stagnantes

pigrasque

merito

damnant,

utiliores

quae profluunt existimantes, cursu enim percussuque ipso extenuari atque proficere. Il naturalista latino, poi, si stupisce che qualcuno possa apprezzare di piü l'acqua delle cisterne: miror cisternarum ab aliquis maxime probari 55. Plinio

inoltre

(8 32)

è contrario

a quanto

si diceva

sulla

maggiore leggerezza di certe acque, come quelle piovane e quelle provenienti dallo scioglimento della neve e del ghiaccio, teoria che sembra risalire a Teofrasto 56, poiché ritiene che non vi possa essere una rilevante differenza di peso tra un'acqua e un'altra ?", mentre ammette che tutti i

34 Già Teofrasto (apud Athen. 2, 42 c) riteneva che le acque correnti fossero in generale migliori di quelle stagnanti. 35 Da Ateneo (2, 46 d) sappiamo che tale opinione sulla maggiore bontà dell'acqua delle cisterne era espressa da Evenore, medico del IV sec. a.C.

36 Apud Athen. 2, 42 d. 37 Già Erasistrato nel III sec. a.C., muovendo probabilmente una critica nei confronti di Teofrasto, non riteneva possibile giudicare la qualità dell'acqua dal suo peso (apud Athen. 2, 46 c).

56

Isabella Bona

liquidi si riducono per congelamento (8 33): minui certe liquorem omnem congelatione deprehenditur ?*. Ai 88 36-37, in cui Plinio si occupa delle acque cattive, ricordando che

soprattutto il fango costituisce un difetto per l'acqua, rileva come, invece, per un fiume sia indizio di salubrità se vi pullulano le anguille (8 36): Limus aquarum vitium est. Si tamen tis indicium habetur >.

idem amnis anguillis scateat, salubrita-

Secondo il naturalista latino, che nei 88 36-40 mette a frutto la propria esperienza personale, l'acqua migliore e più consigliabile resta certamente quella dei pozzi; egli suggerisce ciò che è più importante osservare per essere sicuri che sia buona e perché ne sia garantita anche la continuità (8 39): ut illa e vado exiliat vena, non e lateribus. Dunque perché l'acqua sia

buona e continua la vena deve sgorgare dal fondo e non dai lati, ossia il pozzo non deve essere scavato a fianco della falda. I 88 41-42 sono riservati da Plinio all'esaltazione dell'acqua da lui rite-

nuta la più celebre di tutte le acque del mondo, l'acqua Marcia, che per la sua freschezza e salubrità ὃ definita uno dei tanti doni dati dagli dei all'Urbe (8 41): Clarissima aquarum omnium in toto orbe frigoris salubritatisque palma praeconio urbis Marcia est, inter reliqua deum

munera

buta.

tempo

Quest'acqua,

secondo

l'informazione

pliniana,

un

urbi trichiamata

Aufeia e la sua sorgente Pitonia, nasce all'estremità dei monti Peligni e, attraverso la regione dei Marsi e del lago Fucino, si dirige verso Roma, immergendosi dentro caverne, per rispuntare nella regione di Tivoli da

dove viene portata a Roma su una costruzione ad archi lunga 9 miglia. I lavori per condurre questacqua a Roma furono intrapresi dal pretore Quinto Marcio Re e negli anni 144-143 fu realizzato l'acquedotto; in seguito Marco Agrippa, il collaboratore di Augusto, restauró a sue spese la co-

struzione ‘. Plinio, poi, al 8 42, parla di un altro corso d'acqua, l'acqua Vergine*!, condotta da Agrippa a partire dal bivio dell'ottava pietra miliare, a 2 mi-

glia dalla via Prenestina. Il contatto con quest'acqua doveva dare una sensazione molto piacevole se Plinio lo paragona allo stesso piacere che dava il bere l'acqua Marcia: cum quantum Virgo tactu praestat, tantum praestet Mar-

38 [ppocrate (aer. 8) osserva che l'acqua fatta congelare e poi sgelare diminuisce di volume; ció avviene, come sappiamo, per l'evaporazione, di cui gli esperimenti condotti dagli antichi non tenevano conto. 39 Anche Aristotele (anim. hist. 592 a 5-6; fr. 311 Rose) e Teofrasto (fr. 171, 10 Wimmer) os-

servano che le anguille preferiscono le acque piü pure, sostenendo che soffocano in breve tempo se l'acqua non è pura.

40 Notizie più precise ed esaurienti sugli acquedotti romani sono riportate nel trattato De aquaeductu urbis Romae di Frontino. 41 Plinio spiega che questo corso d'acqua si sarebbe guadagnato il nome di acqua Vergine a causa del suo rifuggire dal vicino ruscello di Ercole. Una diversa spiegazione sull'origine del nome è riferita da Frontino (ag. 1, 10), secondo il quale sarebbe stato chiamato Vergine poiché

una fanciulla mostrò delle sorgenti ai soldati che cercavano acqua.

Appunti sulla crenoterapia nel XXXI libro della Naturalis historia...

57

cia haustu. ἃ questo punto Plinio, che, come sempre, disapprova l'avidità che porta all'uso disordinato dei doni della natura, passa dall'entusiasmo

per la bontà di quelle acque all'amara constatazione della loro fine, dovuta all'egoismo da parte dei ricchi, i quali se ne appropriavano conducendo nelle loro ville e nei loro possedimenti ció che, invece, sarebbe dovuto es-

sere per la salute di tutti: quamquam utriusque iam pridem urbi periit voluptas, ambitione avaritiaque in villas ac suburbana detorquentibus publicam salutem. Dopo

i 88 43-49, dedicati

alle tecniche

usate per trovare l'acqua,

i 88

50-56, sulle caratteristiche delle sorgenti in rapporto ai luoghi, alle stagioni ed all'intervento dell'uomo,

e i 88 57-58, riservati a informazioni

sulle

caratteristiche dei tubi che conducevano l'acqua dalle sorgenti alle fontane, Plinio al 8 59 riprende la trattazione dell'impiego terapeutico delle ac-

que, utilizzando Celso quale maggiore auctor fino al 8 66. Tra quelle allora ben conosciute e già ricordate al 8 5, vengono qui richiamate quella sulfurea, utile ai tendini, quella ricca di allume, utile ai paralitici e alle persone affette da debolezze simili, e quella ricca di bitu-

me o di nitro come l'acqua di Cotilia, menzionata già al 8 10 per la sua utilità allo stomaco e ai tendini, buona anche per bere e come purga (8 59): Est autem utilis sulpurata nervis, aluminata paralyticis aut simili modo solutis, bituminata aut nitrosa, qualis Cutilia est, bibendo itaque purgationi-

bus 42, Proseguendo a parlare dell'utilità delle sorgenti calde, Plinio, al 8 60, mette però in guardia a non rimanere troppo a lungo immersi; consiglia

buono un tempo non superiore di molto a quello di un normale bagno, mentre considera un errore il bere quantità esagerate di acqua. Egli, poi, ammette come si possa trarre grande vantaggio dal fango delle fonti stesse, purché lo si lasci seccare bene al sole dopo averlo spalmato sul corpo (8 61): Utuntur et caeno fontium ipsorum utiliter, sed ita, si inlitum sole inarescat, così come sarebbero consigliate le acque marine, fatte riscalda-

re, per la loro utilità contro i dolori ai tendini 9, per cementare le ossa dopo una frattura, per le contusioni e per rendere asciutto il corpo (8 62): Medendi modus idem et in marinis erit, quae calefiunt ad nervorum dolores,

feruminanda a fracturis ossa, contusa, item corpora siccanda. Plinio considera talmente utile l'acqua di mare che, dopo aver elencato

una

svariata

gamma

di malattie

che possono

(emottisi, gonfiori, parotiti, quartane,

da essa

trarre vantaggio

artriti, ecc.), descrive, per coloro che

42 Anche Vitruvio (8, 3-4) riferisce che le sorgenti solforose ristabiliscono dall'affaticamento

dei nervi e dei tendini, quelle ricche di allume curano, in fomenti, le membra colpite da paralisi o da qualche forma morbosa e quelle bituminose sono utili nelle malattie interne come bevanda purgativa; egli ricorda poi un tipo nitroso d'acqua fredda, quale l'acqua di Penna Vestina, quella di Cotilia e di altri luoghi simili, che serve da purgante presa come bevanda. 43 Cfr. Diosc. 5, 11, 1.

58

non

Isabella Bona

hanno

la fortuna

di abitare sulla costa,

in quale modo

sia possibile

prepararla: per raggiungere pienamente le proprietà naturali della piü salata acqua di mare, egli suggerisce di unire un sestario di sale con 4 sestari d'acqua o, meglio ancora, 8 ciati ^^ di sale alla stessa quantità d'acqua perché cosi scalda la muscolatura

e non

irrita il corpo (8 67): Cetero sexta-

rius salis cum IIII aquae sextariis salsissimi maris vim et naturam implet. Moderatissimum autem putant supra dictam cyathis salis temperari, quoniam ita et nervos

aquae mensuram octonis excalefaciat et corpus non

exasperet. Al 8 72, che

chiude

la sezione

sulle acque,

Plinio

offre

ancora

alcune

annotazioni sulla idroterapia della gotta: Muscus, qui in aqua fuerit, podagris inlitus prodest,

per la quale si avrebbe

un giovamento

spalmando

il

muschio che si trova nell'acqua di mare 4, per il dolore e il gonfiore dei talloni, con l'aggiunta di olio: idem oleo admixto talorum dolori tumorique, per l'eliminazione delle verruche *: Spuma aquae adfrictu verrucas tollit, nec non harena

litorum

maris, praecipue

tenuis et sole candens,

mediante

frizioni con la schiuma o con la fine sabbia delle spiagge marine, infuocata dal sole, e per essiccare, coprendoli, i corpi dei malati di idropisia o di quelli che soffrono di flussioni: siccandis rum aut rheumatismos sentientium 4.

Da queste

brevi note desunte

corporibus

coopertis

hydropico-

dalla trattazione sulla idroterapia,

che

rappresenta la prima parte (88 1-72) del XXXI libro (la seconda, 88 73122, é dedicata ai sali e l'ultima, 88 123-131, alle spugne), risulta evidente

come Plinio abbia esposto la materia in modo scientifico, senza indulgere a digressioni di carattere meraviglioso e magico, di cui e solito arricchire le sue notizie. Anche la scelta delle fonti pone il XXXI libro su di un piano nettamente piü scientifico rispetto ai precedenti XXVIII-XXX, riservati

ai rimedi tratti dagli animali, ed al successivo XXXII,

dedicato come

il

XXXI ai rimedi tratti dagli animali acquatici. La fonte principale & sicuramente Varrone, quale mediatore del filosofo e naturalista di Ereso, Teofrasto. Di questi, Plinio, a quanto sembra, avrebbe utilizzato, oltre al trattato

Sulle acque, anche l'opera, andata perduta, Sui sali (in particolare per i 88 73-122), che rappresenta quanto di meglio sia stato scritto sull'argomento nell'antichità; il naturalista latino ha cosi il merito di aver conservato la

testimonianza più ampia di quest'opera teofrastea. Tra le altre fonti, di provata auctoritas scientifica, specie per le parti strettamente mediche, troviamo Ippocrate, Ctesia di Cnido, storico greco e medico alla corte persiana di Artaserse II Memnone,

Epigene (IV sec. a.C.)

44 Per raggiungere l'equivalente di un sestario (antica misura di capacità pari a circa mezzo litro) ci volevano 12 ciati (un ciato = circa 0,045 |.). 45 Cfr anche Plin. nat. 27, 56; Diosc. 4, 98. 46 Cfr. Plin. nat. 20, 123. Sulle verrucae che ἀκροχορδόνας Graeci appellant cfr. Cels. 2, 1, 19.

41 Bagni di sabbia erano abitualmente prescritti per la cura degli idropici. Cfr. Cels. 3, 21, 6 e Soran. (apud Cael. Aur. chron. 3, 112).

Appunti sulla crenoterapia nel XXXI libro della Naturalis historia... ed

il latino Celso.

Plinio, inoltre, cita alcuni storici e paradossografi,

59 quali

Teopompo di Chio e Lico di Reggio, entrambi del IV sec. a.C., Policrito di Mende, il grammatico alessandrino di età tiberiana Apione e Cicerone. Pertanto,

a

conclusione

di

questa

disamina,

possiamo

riconoscere

a

giusta ragione il rigore scientifico cui si ὃ attenuto Plinio nel trattare la materia idro-crenoterapica, presentando le proprietà benefiche delle acque e gli innumerevoli vantaggi che da esse si possono trarre.

Valérie Bonet

LES ULCERES, LEURS APPELLATIONS ET LEUR TRAITEMENT DANS LA PHARMACOPÉE VÉGÉTALE DE PLINE L'ANCIEN Cette étude

se propose

d'étudier les désignations

des ulceres dans

le

texte de Pline l'Ancien ainsi que les rapports qui peuvent étre trouvés entre ces appellations et la pathologie de la lésion d'une part, entre les noms

et le traitement végétal appliqué d'autre part. l. LES APPELLATIONS DES ULCERES: 1.1.

ABONDANCE

NATURE

ET CLASSEMENT

ET PRÉCISION

Le nombre de références aux ulcères dans la pharmacopée végétale de Pline est très important. Ceci est à l'image de la place que tiennent les lésions ulcéreuses dans la médecine de l'Antiquité et en particulier l’ulcere cutané. Dans les textes les plus anciens, méme s'ils ne sont pas médicaux, les ulcéres apparaissent lorsqu'on veut donner un apergu global et rapide des différents types de maladies. Ainsi, le poéte Pindare évoque l'art

d'Asclépios en déclarant: «Tous ceux qui venaient à lui, porteurs d'ulceres nés dans leur chair, blessés en quelque endroit par l'airain luisant ou la pierre de jet, le corps ravagé par l'ardeur de l'été ou le froid de l'hiver, il

les délivrait chacun de leur mal» !. On peut aussi penser à la fameuse plaie de Philoctéte évoquée par Eschyle, décrite avec précision par Sophocle et qui a donné lieu à maintes représentations artistiques, comme l'ont montré M. Grmek et D. Gourevitch dans leur bel ouvrage Les Maladies dans l'art antique ?. Pline lui-méme affirme dans son Histoire Naturelle: «Il y a de nombreux genres d'ulcéres et de non moins nombreuses manières

de les traiter» ?.

I Pindare, Pyth. 3, 3, 47-53; voir M. Grmek, Les Maladies à l'aube de la civilisation occidentale, Paris 1993, 77-78.

? Mirko Grmek, Danielle Gourevitch, Les Maladies dans l'art antique, Paris 1998, 98-109. 3 Pline, 26, 39.

62

Valérie Bonet

Le mot pour désigner l'ulcere est ulcus. Il est parfois employé seul sans autre précision. Par exemple, lorsque Pline parle des propriétés du gui: «Les ulcères, dit-il, sont soignés tres efficacement par le gui máché et appliqué» 4. Il en va de méme pour l'action du daphné-olivier nain, de la jusquiame, du lierre, du poireau vivace et autres chaméléons noirs. On en déduira que ces plantes sont capables de soigner tout type d'ulcéres. La plupart du temps, cependant, le substantif ulcus est accompagné de déterminations trés précises et trés variées. La question que l'on peut alors se poser est sil y a une adéquation réelle entre la variété du vocabulaire et la variété des lésions désignées. Les nuances exprimées sont-elles seulement des variétés d'expression dues entre autres au fait que Pline utilise des sources trés diverses ou bien correspondent-elles à de véritables différences entre les ulceres? Plusieurs appellations ne pourraient-elles pas désigner un méme ulcère? Autrement dit, cette richesse est-elle seulement une richesse lexicale ou avait-on fait la différence entre de nombreux ulcéres? La question se pose

surtout pour les déterminations qui évoquent la nature de l'ulcere.

Ainsi y a-t-il vraiment une différence entre les ulcères phagédéniques et les ulcéres rongeants de l'Antiquité? La première dénomination

traduit le

mot phagedaena ou moins souvent l'adjectif phagedaenicus. Les feuilles du figuier sauvage par exemple «soignent les quefois le mot est accompagné d'ulcus qui la graine du panais erratique «arréte les fraiche avec du miel» 5. On trouve aussi

ulcéres phagédéniques» 5. Quelest alors complément du nom: ulcéres phagéniques, appliquée une tournure faisant intervenir

une proposition relative: les galles du chéne s ‘appliquent «sur les ulcères que l'on appelle phagédéniques»’. En ce qui concerne l'expression «ulcéres rongeants» on y a recours pour traduire le mot normae. Ainsi la préle arréte les ulcéres rongeants *. Ce substantif correspond au grec vóun qui désigne l'action de «se repaitre», de «dévorer», de «ronger» et qui est employé par Hippocrate ?. Il sagit donc bien d'évoquer un ulcére qui corrode, qui entame lentement, grignote petit à petit les chairs. Par son étymologie, le mot phagedaena semble bien désigner la méme réalité pathologique. Le grec φαγέδαινα et l'adjectif correspondant φαγεδαιvikóg se rattachent au verbe φαγεῖν- qui sert d'aoriste au verbe ἐσθίω «manger». Ces mots décrivent donc là encore un ulcére qui dévore la partie atteinte.

La distinction entre les normae et les phagedaenae semble donc assez dif-

4 Pline, 24, 12: ulcera commanducato impositoque e[ficacissime sanari. 5 Pline, 23, 128: phagedaenas «sanant».

ὁ Pline, 20, 30: phagedaenas ulcerum sistit recens cum melle impositum.

7 Pline, 24, 9: ulceribus quae phagedaenica vocantur. 8 Pline, 27, 117: nomas sistit. ? Hippocrate, Prorrh. 98.

Les ulceres, leurs appellations et leur traitement dans la pharmacopée...

63

ficile à faire, d'autant plus que les traducteurs rendent parfois indifféremment phagedaenae par «ulcéres phagédéniques» ou «ulcéres rongeants».

Qu'en est-il de nos jours? Plus de trace de «l'ulcére rongeant» dans les dictionnaires médicaux courants, on trouve cependant un «ulcére rodens»

(de rodo, «ronger») mais il désigne une affection beaucoup plus spécifique: c'est un épithélioma basocellulaire du sujet ágé, siégeant à la face ou au cou. Il présente une ulcération dont la base et les bords sont indurés. Quant à l’ulcère phagédénique, on le trouve encore pour désigner une ulcération qui a tendance à envahir les tissus voisins en surface et en profondeur mais le plus souvent on se sert de l'expression pour évoquer une maladie chronique des régions chaudes et humides qui se caractérise par la formation sur un membre inférieur d'une plaie laissant l'épiderme voire

le derme à nu. L'ulcère phagédénique est dà à la pénétration de diverses bactéries dans la peau lors de traumatismes mal soignés.

On peut peut-étre encore rapprocher les ulcéres humides ulcera umida et les ulcéres suintants ulcera manantia.

Ainsi la racine d'astragale réduite

en poudre est utile pour les ulcères humides !° et celle du nénuphar soigne les ulcères suintants !!. Les deux expressions ulcera umida et ulcera manantia

désignent visiblement une plaie ulcéreuse qui coule. Il est donc

possible apparemment

qu'il y ait davantage de termes appellatifs que de

sortes d'ulcéres reconnues et distinguées.

1.2.

CLASSEMENT

Le nombre

DES DÉTERMINATIONS

de determinations

du mot ulcus est important

et elles sont

une abondante source de renseignements sur les ulcéres antiques. On peut

recenser quarante

huit déterminations

différentes possibles pour les lé-

sions ulcéreuses dans la pharmacopée végétale de Pline. Certains ulcéres sont beaucoup plus cités que d'autres. Arrivent en téte les ulcéres suintants (ulcera manantia) avec dix neuf références et les ulceres serpigineux (ulcera serpentia ou quae serpunt), seize références. Se

détachent aussi les ulcéres de la bouche (ulcera oris) et de la téte (ulcera capitis). Enfin on peut citer les ulcéres invétérés (ulcera vetera). En revanche, plusieurs types d'ulcéres ne sont cités qu'une fois comme les ulcéres des jambes

(tibiarum

ulcera), les ulcéres calleux

(ulcera callosa), rebelles

(ulcera difficilia) ou provoqués par la neige (ulcera a nive facta). On peut étre étonné de trouver dans cette liste l'ulcére des jambes qui, pour nous, est celui auquel

on

pense

en priorité,

si l'on évoque

les ulcéres

cutanés.

On peut encore attirer l'attention sur l'ulcère calleux, qui, bien que ne pré-

sentant qu'une seule occurrence

chez Pline, fait encore partie des types

10 Pline, 26, 147: Astragali radix in pulverem trita umidis ulceribus prodest. 11 Pline, 26, 144: Manantia nymphae heracliae radix sanat.

64

Valérie Bonet

d'ulcéres reconnus par la médecine moderne et se trouve dans les dictionnaires

médicaux.

Quant

à l'ulcére

penser qu'il doit cette célébrité au

suintant,

511] est le plus

cité, on

ce symptóme

fait partie de

fait que

peut

l'évolution courante d'un ulcére cutané. De méme, Si les ulcéres rongeants ou phagédéniques sont aussi présents dans les recettes de Pline, c'est peut-

étre parce que la caractéristique de l'ulcére en général est bien de donner l'impression de «grignoter» la chair. Il reste à préciser qu'un ulcere peut avoir plusieurs déterminations. Ainsi, la persicaire traite les ulcéres qui sont à la fois noirs et invétérés 12. Le cytinet vient

à bout

des ulcéres rongeants

des organes

génitaux P. Le

pois chiche soigne les ulcéres suintants de la téte !^. La plupart du temps, bien

sür

la double

détermination

concerne

d'une

part

la localisation

et

d'autre part l'aspect de la lésion. Elle s'observe surtout lorsque Pline évoque les ulcéres cutanés ou muqueux visibles et concerne trés peu les ulceres des organes internes.

On peut classer les déterminations des lésions ulcéreuses en cinq groupes plus ou moins représentés dans le texte de Pline. Les déterminations d'ulcus renseignent d'abord sur la nature et l'aspect des ulcéres; On trouve dans ce groupe quinze types d’ulceres différents qu'on a classés par ordre décroissant d'importance: les ulcéres suintants (ulcera manantia); les ulceres serpigineux (ulcera serpentia); les ulcéres phagédéniques (phagedaenae); les ulcéres rongeants (nomae); les ulcéres putrides (ulcera putrescentia); les ulcéres humides (ulcera umida); les ulcères sordides

(ulcera sordida);

vermineux

les ulcéres

(ulcera verminosa);

repoussants

(ulcera

taetra); les ulcères

les ulcéres gangréneux

ulcéres noirs (ulcera nigra); les ulcéres

appelés

(gangraenae);

les

ceria (ulcera quae ceria

vocant); les ulcères calleux (ulcera callosa); les ulcères végétants (ulcera increscentia); et les ulcéres dont la chair se détache (ulcera alienata).

Dans ce cas la précision concerne la couleur, l'aspect ou la lésion. On peut aussi isoler un groupe qui concerne le degré de ceres. Il y a ainsi les ulcéres profonds (ulcera cava) ou vétérés (vetera ulcera), les ulcéres rebelles (ulcera difficilia)

gravité des ulles ulcères inou ce qui est

probablement

difficile

la méme

chose,

les ulcéres

à cicatrisation

l'évolution de

(ulcera

difficile cicatricem trahentia) et encore les ulcères malins (cacoéthe) et les ulcéres incurables (ulcera deplorata).

Quelques déterminations prennent en compte l'áge du patient et le texte de Pline distingue ainsi les ulcéres des enfants ulcères des vieillards (ulcera senum).

(ulcera infantium) et les

D'autres expressions, elles ne sont que deux, évoquent l'origine des ul-

12 Pline, 27, 62: Eadem (les deux espéces de persicaires) sanant ulcera vetera nigra. 13 Pline, 26, 81: Genitalium nomas hypocisthis alba.

14 Pline, 22, 148: Farina utriusque (pois chiche sauvage et cultivé) ulcera manantia capitis sanat.

Les ulcéres, leurs appellations et leur traitement dans la pharmacopée...

65

cères. Il y a ceux produits par la chaussure (ulcera quae calciamento facta sunt) et ceux dus à l'action de la neige (ulcera a nive facta) Enfin et surtout, le dernier groupe comprend les déterminations qui localisent les ulcéres. Chez Pline, on trouve vingt et une localisations possibles, des localisations externes (téte, visage, jambes etc...) et des localisations internes (vessie, poumons, estomac etc...). Du cuir chevelu aux jambes, toutes les parties du corps et tous les organes sont concernés; On trouve

des

localisations

cutanées

ulcéres des muqueuses de nombreux

organes

(cuir chevelu, jambes,

paupiéres)

et des

(bouche, organes génitaux) mais aussi des lésions (utérus,

intestins,

vessie,

poumon,

estomac).

Ceux

qui reviennent le plus souvent sont les ulcères de la bouche, ce qui s'explique aisément vu le caractére courant et fréquent des aphtes. Que dire si l'on compare ces déterminations avec notre systéme moderne de classement, si tant est que cette comparaison soit possible. Dans nombre d'ouvrages modernes, notre classement est plus simple: on distingue surtout l’ulcere muqueux (en particulier gastro-duodénal) de l'ulcere cutané, ce dernier pouvant désigner soit l'ulcére veineux, soit l’ulcere artériel, soit l'ulcére capillaire. Ce sont là les principales variétés d'ulcéres. A cóté de celle-ci existent divers types de la lésion qui ne sont souvent que des cas particuliers. Quelques correspondances avec les appellations antiques demeurent. L'ulcère serpigineux a traversé les siécles en désignant visiblement la méme réalité, de méme que l'ulcére putride avec cependant une précision moderne supplémentaire: il s'agit pour nous d'une surinfection de la plaie observée en milieu hospitalier. En tout cas, les principes de désignation semblent bien étre les mémes. Les appellations des ulcères aujourd'hui, comme dans l'antiquité, évoquent leur aspect («ulcére cratéiforme», «ulcére en miroir», «ulcére putride»), l'origine («ulcère variqueux»,

«ulcére de stress»,

«ulcére tuberculeux

de la

peau», ulcére neurotrophique») ou la localisation («ulcére vésical de Hunner», «ulcère peptique», «ulcère aigu de la vulve») 1.3.

NATURE

GAMMATICALE

ET CONSTRUCTION

DES DÉTERMINATIONS

Les déterminations d'uleus permettent donc de distinguer les ulcéres d'aprés cinq critéres principaux. Pour offrir la plus grande précision possible, ces expressions déterminatives font appel à des natures grammaticales variées et à diverses constructions syntaxiques.

La détermination consiste à ajouter un adjectif épithète à ulcus. Lulcere est ainsi umidum (humide), sordidum (sordide), nigrum (noir) ou taetrum (repoussant) etc... Laristoloche «détruit les ulcéres putrides, purge les ulcères sordides, et employé seule, comble les ulcères profonds» !5. 15 Pline, 26, 142: Putria ulcera exest, sordida purgat, cava ulcera explet per se.

66

Valérie Bonet

Quelquefois le mot ulcus disparait et l'expression binominale nom τ adjectif est remplacée par un substantif seul. Ainsi norma désigne l’ulcöre suintant et cacoéthes lulcére malin. Le mot ulcus s'efface devant la caractéristique de la lésion assez spectaculaire ou grave pour occuper le devant de la scéne. Bien entendu, des noms apparaissent aussi dans les expressions qui évoquent les localisations des ulcéres, mais dans ce cas, le substantif est celui de la partie du corps ou de l'organe affecté. Il a la fonction de complément du nom ulcus. Ainsi, la racine du chiendent «en dé-

coction dans du vin, guérit les coliques, la dysurie et les ulcères de la vessie» 16, On trouve aussi des participes apposés comme manantia, «suintant», de mano, «couler», serpentia, «serpigineux», de serpo, «ramper», putrescen-

tia, «putrides», incresco,

de putresco,

«croitre».

«se putréfier» et increscentia,

Il s'agit de participes

présents

qui

«végétant»,

mettent

de

en valeur

une action «accomplie» par l'ulcere d'une certaine facon et nous le montrent train en d'évoluer. Ce sont des ulcères qui coulent, progressent à la manière

d'un serpent, qui se corrompent

et qui végètent: ils sont donc en

évolution constante. La valeur du participe présent permet d'insister sur le caractére «vivant» de l'ulcére qui se transforme de maniére continue. «La racine fraiche «du pouliot» est trés efficace, dit Pline, contre les ulcéres végétants

(increscentia)» !'. Les

amandes

améres,

quant

à elles, «soignent

les ulcéres putrides (putrescentia) !5. La relative déterminative est aussi employée dans le texte de Pline pour distinguer et décrire les ulcéres. Se développant sur plusieurs mots, ces relatives permettent une plus grande précision. Par exemple, certaines lésions sont qualifiés «d'ulcéres qui ont une cicatrisation difficile» !?. Les ulcéres

serpigineux

ont

souvent

droit

aussi

à une

relative:

ainsi,

la berce

«est appliquée sur les ulcères qui rampent avec la rue» 29, Dans ce cas, la relative permet de développer une image: il s'agit d'une personnification qui assimile le mal qui s'étend à un serpent qui rampe, donc à un étre vivant. Cette personnification lui donne une puissance particulière. On la retrouve dans le participe serpentia. Le verbe qui se rattache

directement à serpentes, «les serpents», transforme le mal en une béte venimeuse, un ennemi contre lequel il faut lutter, ce qui est conforme à la facon dont on concevait la maladie dans l'Antiquité. Le médicament devait mener un véritable combat contre un agent destructeur qui avait pénétré dans le corps. Aujourd'hui aussi nous pouvons avoir limpression que l'ul-

16 Pline, 24, 180: Radix decocta in vino torminibus medetur et urinae difficultatibus, ulceribus vesicae.

17 Pline, 20, 157: Radix contra increscentia ulcera recens potentissima. 18 Pline, 23, 144: Sanat ulcera putrescentia. 19 Pline, 27, 117: Ulcera quae difficilem cicatricem habent.

20 Pline, 20, 141: Inlinitur ulceribus quae serpunt cum ruta.

Les ulcéres, leurs appellations et leur traitement dans la pharmacopée...

67

cere serpigineux se déplace, puisque, plus ou moins linéaire, nous le voyons sétendre par une extrémité et cicatriser par l'autre. Dans une moindre mesure, le participe increscentia qui, associé à ulcera, désigne les ulcères

végétants, développe aussi une personnification ou du moins une image en évoquant un ulcére qui croit ou qui pousse comme une mauvaise herbe.

2.

LE TRAITEMENT

2.1.

LES PLANTES

DES ULCÉRES ET LES ULCERES

A la variété des appellations

correspond

la variété

des traitements:

on

peut donc se poser une question: le traitement proposé est-il en harmonie avec les appellations des lésions? ou du moins y-a-t-il des traitements différents selon la nature de l'ulcére à traiter? ou bien les ulcères bénéficient-

ils d'un traitement général, interchangeable d'un ulcére à l'autre? On

peut

donc

dans

un

premier

temps

examiner

les relations

que

les

plantes entretiennent avec les ulcéres. Tout d'abord, certains types d'ulceres mobilisent plus de plantes que d'autres. C'est l'ulcére de la bouche qui peut étre soigné par le plus grand nombre de plantes, une trentaine. Il

devance de beaucoup l'ulcére de la téte pour lequel Pline en propose seize et qui arrive en deuxième position. Cela s'explique certainement par la fréquence des ulcérations bucales et en particulier des aphtes, qui, liés à des facteurs infectieux, hormonaux mais aussi alimentaires ainsi qu'au surmenage et à l'hygiöne sont très fréquents et létaient peut-étre encore plus dans l'Antiquité. Les remédes proposés pour en venir à bout sont préparés à la fois avec des plantes

exemple symbolique:

ayant une

dimension

particuliere,

par

myrte, gattilier, orchis, laurier, olivier et des plantes

communes d'accés: ronce, vigne, oignon, préle, céleri, etc... Ainsi, la graine du gattilier soigne les ulcères de la bouche?!. Mais on peut tout aussi bien utiliser du céleri qui «pilé dans de l'eau froide, est bon pour les ul-

cérations de la bouche» 22, A cóté de ces ulcéres qui peuvent, selon les Anciens, étre traités par de nombreuses plantes, on trouve mentionnées les lésions ulcéreuses de l'estomac ou du poumon pour lesquelles Pline ne propose qu'une seule

plante. Seul le suc du genévrier vient à bout de l’ulcère du poumon 25. Quant à celui de l'estomac, il faudra pour le guérir faire appel à la graine noire de la pivoine et à rien d'autre 24. Pourquoi en est-il ainsi? Il est certain d'abord que l'ulcére du poumon

21 Pline, 24, 63. 22 Pline, 20, 115: In frigida «aqua» tritum oris ulceribus «medetur». ?3 Pline, 24, 19. 24 Pline, 27, 87.

68

Valérie Bonet

est moins courant que l'ulcération bucale. Il est donc logique que l'on pro-

pose un moins grand nombre de médicaments. De plus, il s'agit là d'ulceres atteignant les organes internes et donc non visibles et bien moins diagnosticables pour la médecine antique, d'autant plus pour celui qui n'est pas médecin. Tandis qu'aphtes et ulcères de la tete, par exemple, sont observables et donc facilement reconnaissables et traitables par la médecine familiale, ce qui explique peut-étre l'emploi du céleri, de l'oignon,

de

la vigne,

entre

autres,

produits

alimentaires

de consommation

courante et aisément accessibles à tout un chacun pour les traiter. De la méme facon, lorsqu'il s'agit des ulcères distingués par leur aspect, ce sont les ulcéres suintants, putrides et serpigineux qui mobilisent le plus grand nombre de plantes, plus de quinze chacun. Or, ce sont ceux qui présentent une particularité facilement observable et assez spectaculaire: formation de pus, suintement de liquide, ou avancée lente et particuliere de la lésion. Si l'on réunit les ulcéres phagédéniques et rongeants, pour les raisons que nous avons évoquées

plus haut, il faut les rajouter à

la liste des ulcéres «à traitement multiple» mais on remarque que ce ne sont pas les mémes plantes qui soignent les deux «types» de lésions. On trouve la bryone, le cáprier et la carotte pour l'ulcére phagédénique alors que l'ulcére rongeant «prefere» l'arum à casquette, la cigüe et le márier. En

centre

tout cas, si ces quatre

des

préoccupations,

ou cinq types d'ulcéres sont visiblement

c'est probablement

parce

qu'ils

au

représentent

l'évolution courante d'une lésion ulcéreuse: suppuration, suintement, «grignotage» des chairs et progression lente mais constante. Enfin,

mérite

d'étre

mentionné

le fait que

l'ulcére

rebelle

(difficile ul-

cus) et l'ulcere incurable (ulcus deploratum) ne sont soignés selon Pline que par une seule plante: «La baie du myrte, chauffée avec du vin, soigne les ulcéres rebelles des extrémités du corps» ?. On ne trouvera pas d'autre occurrence. Reste également unique la référence au tamier qui soigne les ulceres incurables 26: «Il est une aide contre les ulcéres serpigineux incurables».

Faut-il en déduire que les ulcéres que l'on ne pouvait soigner étaient particuliérement rares et que l'on parvenait donc à guérir la plupart de ces lésions?

Cela dit, que

d'une médication ments puisqu'on en venir à bout, que l'expression

les ulcéres jugés

désespérés

ne bénéficient

pas

variée est assez logique: inutile de proposer des traitene peut les guérir! Si de nombreuses plantes pouvaient ils ne seraient plus incurables! On remarquera d'ailleurs verbale utilisée dans la phrase qui évoque le pouvoir du

tamier est auxilio est, «il est une aide»,

«un secours»

et non

pas «soigne»

ou «guérit».

25 Pline, 23, 159: Ulcera difficilia in extremitatibus corporis sanat cum vino subfervefactum «semen». ?6 Pline, 26, 139: Ulceribusque quae serpunt deploratis auxilio est.

Les ulceres, leurs appellations et leur traitement dans la pharmacopée...

69

Cela dit, un assez grand nombre de plantes est cité pour lutter contre les «vieux ulcères», vetera ulcera: de lastragale à la verveine, en passant

par le chou et le lis, une quinzaine de végétaux les traitent. On a donc l'impression que, si l'ulcére incurable était rare, en revanche, la lésion ulcéreuse était considérée comme une lésion lente qui s'étend sur une très longue période et par conséquent comme un mal difficile à soigner mais dont on pouvait finalement venir à bout. La situation peut aussi étre examinée d'une autre facon. Certaines plantes sont-elles employées plus que d'autres dans le traitement des ulceres? Une plante agit souvent sur plusieurs types d'ulcéres mais quelquesunes «se préoccupent» plus que les autres de ces lésions. Elles sont à vrai dire assez peu nombreuses. Quatre seulement ont parmi leurs indications plus de cinq références aux ulcéres: il s'agit du myrte, de l'olivier, de la vigne et de la ronce. Ce sont surtout le myrte et l'olivier qui semblent étre des «spécialistes» des lésions ulcéreuses. Le myrte, par exemple, traite les ulcéres en général: les feuilles sont séchées, réduites en poudre puis

répandues sur les ulcéres 27, Plus précisément, ce célébre arbuste s'occupe des ulcéres de la bouche, du ventre, de l'utérus, du siège, de l'aine et aussi des ulcéres repoussants, suintants et rebelles.

Quant à l'olivier, son action s'exprime de la méme

facon. A cóté d'un

pouvoir général sur ces lésions gráce à ses feuilles que l'on máche

avant

de les appliquer 25, il exerce ses propriétés contre les ulcères oculaires, bucaux, utérins, génitaux et les ulcères sepigineux, sordides, suintants et putrides. Comme pour le myrte, c'est la feuille surtout qui agit ou bien l'amurque. Les

quatre

plantes

«spécialistes»

des

ulcéres

sont,

à

vrai

dire,

des

végétaux courants et facilement accessibles, ce sont aussi des plantes qui

ont un nombre d'indications élevé. Les ulceres cutanés ou muqueux étant, comme les autres maladies de peau, trés fréquents dans l'Antiquité, on comprend qu'on les soigne par des plantes que quiconque peut trouver à

portée de main. Cela dit, pourrait-on mettre en lumiére une autre «spécialisation» dans les traitements végétaux des ulcéres? On ne peut pas vraiment parler de différence de traitement selon la nature et la localisation de l'ulcére. Cependant, chaque ulcére à son bouquet particulier de plantes et il ne se confond avec aucun autre: cerfeuil, mélèze, muscari, asphodèle pour les ulcéres du visage; orge, raifort, serpentaire, gourde pour ceux des intestins; ou bien encore, myrte pour l'utérus; pivoine pour l'estomac; pourpier pour les amygdales; gattilier pour les testicules. Mais on ne voit guére ce qui motive le choix de tel végétal plutót que tel autre. Au total, cent trente plantes traitent quarante-huit types d'ul-

27 Pline, 23, 162: Siccantur in farinam quae inspergitur ulceribus. 28 Pline, 23, 69: Commanducata inposita ulceribus medentur.

70

Valérie Bonet

ceres. Parmi elles, trés rares sont celles qui ne s'occupent que des ulcéres et sont donc véritablement «spécialisées». On peut évoquer le pigamon ou

rue des prés dont les ulcéres constituent la seule indication 29 et le laurier de Saint-Antoine qui ne soigne rien d'autre que les ulcères à évolution maligne. Sur les quatre indications de la salicaire, trois concernent les ulceres: elle traite les ulcérations produites par les chaussures, déterge les bords

épaissis

des

ulcéres

et arréte

l’extention

des

ulcères

rongeants.

En

fait, sa quatriéme indication pourrait encore s'appliquer aux ulcéres pui-

squ'il s'agit de traiter les plaies. La plupart des plantes, cependant, ont des maladies trés variées en plus des ulcéres.

2.2.

PARAMETRES

INTERVENANT

DANS LE CHOIX DU TRAITEMENT

Il ne serait pas vrai de dire pour autant que le traitement des ulcères ne suit pas certains principes thérapeutiques. Quelquefois, l'action de la plante est trés précise. C'est une action particuliére qui ne guérit pas tota-

lement l'ulcére mais constitue une étape du traitement. On aura alors une plante différente pour chaque étape. Il existe donc une certaine rigueur dans le traitement.

Il y a d'abord les plantes qui détergent les ulcères: l'anémone, la bugrane, l'ivraie, la lentille, le poireau vivace,

la vigne sauvage et la sabine qui

«appliquée, nettoie les ulcères» 3°, Le lupin, quant à lui, pourra ensuite fai-

re sécher les ulcères: la farine faite avec des lupins «employée seule, dit Pline, séche les ulcères» ?!, tandis que le lin les empéche de farine de la graine de lin bouillie dans du vin empéche un penter» ??, Puis, on pourra utiliser la persicaire pour combler ulcères ?. Enfin, l’asphod2le restaurera pour finir la pilosité la lésion a sévi ?^.

s'étendre: ulcére de les sinus à l'endroit

«La serdes où

La précision dans la thérapeutique se voit aussi dans le fait que certai-

nes plantes agissent seulement sur certains symptómes de l'ulcere. Il ne sagit plus alors que de soigner telle ou telle lésion symptómatique. Laristoloche traite en particulier les callosités des lésions ?. Quant à la lentille, elle fait éclater les pustules % tandis que la passerage atténue les cicatrices des ulcères ?7.

29 30 31 32 33 34 35

Pline, Pline, Pline, Pline, Pline, Pline, Pline,

27, 24, 22, 20, 27, 22, 26,

138. 102: Inlita ulcera purgat. 155: Per se siccat ulcera. 251: «Farina seminis lini» serpere ulcus in vino decocta prohibet. 63: Explere sinus ulcerum. 70. 142: Clavos in ulcere natos.

36 Pline, 22, 142: Pusulas ulcerum rompit.

37 Pline, 20, 181.

Les ulcéres, leurs appellations et leur traitement dans la pharmacopée...

71

Lutilisation de la lentille pour faire disparaítre les pustules nous montre qu'au-delà de tout principe d'utilisation, il existe des paramétres extérieurs à la pathologie dans le traitement des ulcères; ces paramètres sont les grandes idées qui circulent dans la médecine antique. En effet, l'emploi de la lentille contre les pustules se rattache à ce que l'on appellera plus tard la théorie des signatures: la lentille ressemble à une pustule et se trouve par là-méme

toute indiquée pour cette utilisation. On trouve méme

une double signature dans l'emploi des capillaires contre les ulcéres humi-

des de la téte. Ces plantes poussent, en effet, dans les lieux humides. De plus, elles ont, dans l'Antiquité, un effet sur les cheveux et comme en témoignent leurs tiges fines et foncées qui font ment penser à des cheveux. La plante est donc doublement Il est une autre idée qui circule dans la pharmacopée

le cuir chevelu, immanquablesignée. antique et qui

consiste à soigner le semblable par le semblable et méme

le mal par le

mal.

Le traitement

Elle

régne

à cóté de la thérapeutique

des

contraires.

des ulcéres n'y échappe pas. Ainsi, le pouliot sauvage est ulcérant: «Il a une nature si brülante, dit Pline, qu'il ulcére les parties du corps sur lesquelles on l'applique ?*. On va alors l'appliquer sur les ulcéres végétants. Il en va de méme, par exemple, pour l'anémone à fleur écarlate, qui, à cause de sa vertu corrosive provoque des ulcéres; «aussi l'emploie-t-on, affirme

Pline, pour déterger les ulceres» ??. Ainsi, le choix des plantes qui soignent les ulcéres obeit à d'autres paramétres que la simple localisation de la lésion à tel ou tel endroit du corps. En conclusion, on peut donc davantage

parler de variété que de confu-

sion en ce qui concerne les ulcéres antiques et leur traitement. Méme si l'on ne peut pas toujours trouver de rapports entre les déterminations de ulcus et les traitements proposés, cela ne veut pas dire qu'on n'obeisse pas à une certaine logique. En tout cas, une volonté d'atteindre la plus grande précision possible apparait, qui doit permettre de trouver le traitement le mieux adapté.

38 Pline, 20, 156: Natura tam fervens est ut inlitas partes exulceret.

39 Pline, 21, 166: Et ideo expurgantes ulceribus adhibetur.

Umberto Capitani

CONSIDERAZIONI SULLESEGESI DI MILITARE IN CELSO VI, 6, 31 A

Nel corso di due articoli apparsi nella stessa annata sulla stessa rivista, «Museum Helveticum» 47, 1990, B. Lófstedt, Notizen zu Sprache und Text von

Celsus, De medicina

(fasc. I, pp. 60-62), e P. Flury nella sezione del la-

voro a più mani dal titolo Beiträge aus der Thesaurus - Arbeit XXV che occupa le pagine 222-234 del fasc. IV (il breve excursus riguarda le sole pagine 225-226), offrono due diverse in Celso, De medicina 6, 6, 31 A: (cito dall'edizione del Marx)

interpretazioni

dell'occorrenza

militare

Si vero scabri oculi sunt, quod maxime in angulis esse consueuit, potest prodesse rinion, id quod supra positum est; potest militare: id, quod habet aeruginis rasae, piperis longi, papaueris lacrimae, singulorum P. X II; piperis albi, cummis, singulorum P. X III; cadmiae elotae, cerussae, singulorum P. X XVI !.

1 Registro l'apparato critico di F. Marx (ed. teubneriana Leipzig 1914) integrato con le lezioni

di T, codice venuto alla luce solo negli anni '70: rinion V s.s. h; hrynion P rhinion FJT militare) esse militare T esse (s.s. prod) militare J similare VP simulare F similiter prodesse Palavi-

cinus: cfr. Plin. n. h. XXIV 168. rasae PJT rosae FV sing. - cummis om. JT p.om.F p XIII! VT catmiae J catinae T

lotae VJT XVI FVP III JT.

Testo nelle edizioni anterioni al 1769: si... potest similiter prodesse id ... Testo di L. Targa 1° edizione (Patavii 1769): si ... potest similiter id ...(con omissione di prodesse:

ma v. anche nota in calce al passo) Testo del Targa 2° edizione (Veronae 1810): si ... potest prodesse rhinion [ id quod supra positum est ]; potest similiter id ... (cfr. nota in calce al passo)

C. Daremberg (Parisiis 1848): si ... potest prodesse pıviov; potest similiterid ... (vd. anche Adn. crit. XXXVIII).

Similiter prodesse è una correzione del Palavicinus in F; stando al Marx (Proleg. XLVI-XLVII) l'umanista avrebbe mutuato l'emendamento direttamente da J codice del Niccoli; prod sarebbe

74

Umberto Capitani

Lófstedt, p. 61, nel capitoletto Zum Wortschatz, intende militare come voce verbale, un infinito sinonimo di prodesse = ‘giovare, essere di aiuto.

In effetti la sua postilla: «questo significato speciale di militare non ἃ attestato nel Th... né in ODL.»? è un po’ ambigua: valuta correttamente se si riferisce all'eventuale uso specifico di militare - prodesse in ambito strettamente medico; sbaglia se con l'espressione «Spezialbedeutung» pensa piü estensivamente, tout court, alla eccezionalità di militare = prodesse. Infatti

il Th.L.l. attesta sotto voce milito (cfr. 8, 969, [47-48]) una decina di esempi di militare in senso traslato (= prodesse), quasi tutti comunque da autori poco noti, di un particolare milieu letterario (filosofico-religioso) e di epo-

ca tarda. Riportiamo soltanto un passo di Claudiano, autore di fine del IV secolo e che esula da questo ambito: 7, 97, Aeolus ... cui militat aether, e due di Agostino:

in Psalm.

9, 5***: haec ei (scil: Christo) militaverunt ad

nostram liberationem, e c. Cresc. 3, 5, 5 p. 414, 17: ut «ad» hominem sanctificandum ... ministra deo militet falsitas?. In realtà per queste ultime due occorrenze non vi é un rimando preciso da parte del compilatore del lern-

ma, ma di sicuro le avrà tenute in conto, quando, dopo la precisa segnalazione dei passi cui facevo cenno, prosegue con un generico alias ?.

Flury, piuttosto polemico nei confronti di alcune osservazioni di Lófstedt,

dunque stato aggiunto di seconda mano dal Niccoli in base ad una sua congettura. Invece se accettiamo il parere di R. Sabbadini, Sui codici della medicina di Corn. Celso, «Stud. It. Fil. Class.»

8, 1900, 1-32, 3 e 17, il Niccoli avrebbe trovato la lezione prodesse militare in S, antigrafo di J (in tal caso prod soprascritto sarebbe frutto di una sua revisione) e prodesse del Pallavicinus deriverebbe direttamente da questo perduto codice. Su questa linea anche altri filologi tra cui G. Billanovich, Milano, Nonantola, Brescia. I. Tra Milano e Nonantola: il De Medicina di Cornelio Celso e

la biblioteca del monastero di S. Ambrogio, in «La cultura antica nell'occidente latino dal VII alXI sec. (Settimana di studio del centro italiano di Studi sull'alto Medioevo)», Spoleto 1975, 321352, 331, e F. Stok, / frammenti di Celso nel Cornu copiae di Perotti, «Studi umanistici piceni» 13, 1993, 237-246, 237. Sulla questione mi propongo di ritornare in un successivo contributo dove esaminerò più dettagliatamente, dal punto di vista critico testuale, 6, 6, 31 A ed altri controversi passi di Celso Nel passo pliniano 24, 168 cui fa riferimento il Marx nel suo apparato, e sul quale torneremo piü avanti, viene menzionata la militaris (scil.: herba): si tratta con ogni probabilità della Achillea millefolium L. indicata generalmente come millefolium; ma millefolium indica talvolta il Mvriophyl-

lum spicatum L. per cui è attestato l'equivalente stratiotice (= στρατιωτική); in tal caso la militaris di Plinio, data la relazione sul piano linguistico, potrebbe corrispondere a quest'ultima erba, pur mancando testimonianze di identificazione al riguardo. Poi al paragrafo successivo Plinio parla di un'erba στρατιώτης (senza un documentato rapporto, nonostante il nome, con la militaris) che cor-

risponde alla Pistia stratiotes L. Per tutto questo cfr. J. André, Lexique des termes de botanique en latin, Paris 1956, 209 (s.vv. militaris e millefolium) e 305 (s.vv. stratiotes e stratiotice).

2 La traduzione & mia. 3 Nel Thesaurus, loc. cit. e seguenti, di militare = servire, obsequi, operam dare, prodesse, ab-

biamo esempi di tutte le combinazioni per quanto riguarda il soggetto dell'azione e il dativo di vantaggio secondo lo schema: animans militat animanti / rei e res militat animanti / rei. Seguono,

nella sezione cum structuris variis, esempi di militare verbo servile reggente l'infinito, cui faremo riferimento piü tardi per un passo di Tertulliano e altre costruzioni col dativo del gerundio o del gerundivo; vengono successivamente registrati costrutti con preposizioni e qui figurano i passi di

Agostino segnalati.

Considerazioni sull'esegesi di militare in Celso VI, 6, 31 A

75

dopo averne segnalato (p. 226) l'esegesi per il passo di Celso nel senso della mia seconda ipotesi *, conclude, con una venatura polemica, che un sempli-

ce sguardo all'apparato di Marx avrebbe dissuaso lo studioso dalla sua lambiccata interpretazione. In accordo col Marx, Flury valuta militare come ag-

gettivo neutro e segnala la presenza del passo di Celso sotto il lemma militaris sia nel Th.l.l. che in ODL. Personalmente aggiungerei che Löfstedt non deve proprio aver preso in considerazione l'eventualità di militare aggettivo:

non l'ha cercato sotto il lemma militaris nei due lessici; altrimenti ne avrebbe dato notizia.

Questa la panoramica della questione.

Esamino

ora qualche dettaglio

prima di produrre argomenti che credo decisivi per la corretta esegesi del passo

evo innanzitutto che linterpretazione di Lófstedt non ἃ per cosi dire originale. Già il traduttore di Celso della Loeb, W.G. Spencer (II vol. De me-

dicina, 1938! = 1953?, London-Cambridge, 219) rendeva: «when the eyes are scabrous, which mostly occours at their angles, the rhinion salve noted abo-

ve may do good; that one may also serve which contains: ...» °; successivamente nell'indice di W.F. Richardson (1982, fondato sull'edizione della Loeb, p. 94, colonna I) viene registrato il lemma milito con l’inducazione: 6, 6, 31 A, mentre manca militaris.

E probabile che Lófstedt abbia tenuto conto di questi precedenti, anche se nulla dice al riguardo. Incidentalmente faccio osservare che la traduzione di Spencer sorprende: nel 1938 non era stato ancora pubblicato alcun fascicolo relativo alla lettera M nella collana dal Thesaurus, quindi Spencer non aveva a portata di mano quei pur limitati passi, di cui abbiamo già parlato, attestanti l'uso di militare nel senso di prodesse. Escluderei che

abbia potuto leggere direttamente sulle opere qualcuno di quei loci, piuttosto obsoleti e difficilmente accessibili, per trovarvi un supporto alla sua discutibile lettura di Celso. Né d'altronde opere come il Forcellini, il Lewis-Short, il Georges e altri lessici importanti già pubblicati a quell'epoca avrebbero potuto essergli utili perché non vi troviamo segnalazioni dell'uso di militare = prodesse. Solo, alla fine della colonna II di p. 243 del quarto volume del Forcellini, s.v. milito (uso traslato), troviamo

elencati due passi di Teodoro Prisciano e

Tertulliano con questa annotazione: «singulare est illud Theod. Priscian. l. 2 P.1 c.13 extr. (= Theod. Prisc. log. 38 = Eup. faen. 2 = De cholera cap. 13: cfr. Th.LL. s.v. milito 8, 968, 30 ss.): Febribus vero interpositis,

consideratis tem-

poribus serviendum est. Intensius tamen effusionum sollicitudini militabo; in quibus saepe etiam sanguinis supervenientis effusio procuravit» 5, quindi «mi4 Intende il verbo col significato di 'aiutare' che non ci sarebbe nel Thesaurus. 5 Ma stranamente, per il testo, segue nella punteggiatura il Marx con doppio punto dopo militare.

6 Del passo registrato in Thesaurus 8, 968, 29 sgg. (come unicum nel senso di pugnare

imagine

in

nell'accezione medica) riproduco la traduzione di Th. Meyer, Theodorus Priscianus

76

Umberto Capitani

litare pro conari, cum infinito: Tertull. Pall. 1 ad fin. (2 Tertull. pall. 1, 3): Aries” machina est, quae muros frangere militat». Nel primo passo & evidente l'uso di militare + dat. nel senso di adversari - dat., verbo tipico del linguaggio terapeutico, come risulta da Plinio, N. h., passim;

nel secondo quello del verbo come

sinonimo dei servili pos-

se, valere, anche se dobbiamo ammettere un impiego del verbo suggerito dall'immagine dell'ariete (o della trave) in quanto macchina

da guerra.

Basandoci anche sulla successiva documentazione del Thesaurus, questi

specifici impieghi appaiono

isolati e del tutto eccezionali.

In ogni caso,

anche se noti a Spencer, non potevano essergli di sostegno per l'esegesi di militare = prodesse del testo celsiano. Proprio il sopracitato passo di Teodoro Prisciano ci permette qualche altra considerazione sempre pertinente alla particolare intepretazione di Spencer, Richardson, Lófstedt. In Celso troviamo spesso termini del lessico militare impiegati in senso

medico *; mi limito a citare alcuni esempi: per gli aggettivi: inexpugnabilis in 3, 20, 1 (inexpugnabilis paene dormiendi 1,9,2;

1,9, 3; 2, 1, 17; 3, 27,3

necessitas); inimicus in 1 pr. 6;

A; 4, 11, 6; 4, 11, 8; alias; opportunus

(nel

senso di «esposto al male») in 1, 5, 2; 2 pr. 2; 2, 10, 14; 4, 6, 35 4, 9, 1; 8, 10, 1 G: gli opportuna classicamente erano i luoghi esposti all'attacco del nemico; per i sostantivi: propugnaculum in 8, 4, 17 (plusque in osse propugnaculi cerebrum

habeat,

quam

habiturum

fuit eo exciso); renisus

in 5, 28,

12 E; tormentum

in 3, 18, 21; 3, 21, 9; 4, 21, 2; 4, 22, 1; 5, 25, 3 A; alias;

inoltre. i meno significativi auxilium e impetus; ma il fenomeno & piü vasto e appariscente per i verbi quali: conflictare in 2, 3, 1; 2, 7, 3; 2, 7, 7; 3,

7, 2 D; defendere in 4, 12, 3; effugere in 2, 5, 1; 7, 26, evincere

in 3, 22, 8; 5, 26, 33 C; expugnare

2 G e L; 7, 26, 3 B;

in 3, 15, 4; fugere in 1, 1, 2; 1,

6, 1; 3, 23, 3; incursare in 3, 22, 9 (quamdiu quidem febricula incursat); 3, 22, 10; invadere in 3, 22, 1 (diutius saepe et periculosius tabes eos male habet, quos invasit); 6, 6, 1 B; 6, 15, 1; iugulare in 1 pr. 43; 2, 10, 11 (si vehe-

mens febris urget, in ipso impetu (!) eius sanguinem mittere hominem

iugu-

und die Rómische Medizin, Jena 1909, 197: «Wenn aber Fieber auftritt, so muss bei der Behandlung auf die Zeitpunkte achten. Jedoch muss man mit noch mehr Sorgfalt die besorgniserregenden Ausleerungen behandeln, da háufig durch der damit verbundenen Blutabgang Lebensgefahr droth». Interessante notare che effusionum sollicitudini militabo del testo & espressione ricercata anche se un po' contorta (Ξ pugnabo contra effusiones o adversabor effusionibus, quae sollicitudinem afferunt). Per le varianti testuali, che comunque non alterano il senso del passo, rimando all'apparato dell'edizione teubneriana di V. Rose ad. loc. 7 Ma edizioni piü recenti recano trabes, cfr. Th.l.L. 8, 970, 35 sgg. 8 Per un raffronto tra linguaggio militare e terminologia medica esclusivamente nell'ambito

anatomico, cfr.: R. Lentini, 'Realien' militari e medicina: per un approccio all'incrocio dei due campi semantici, in Lingue tecniche del greco e del latino - I] - Atti del III Seminario internazionale sulla letteratura scientifica e tecnica greca e latina (Trieste 1997), a cura di S. Sconocchia e L. Toneat-

to, Bologna 2000, 89-97 (in partic. 93-97). Nello stesso volume figura anche il contributo di I. Mastrorosa sui rapporti tra lessico militare e terminologia retorica: Similitudini, metafore e lessico militari nella trattatistica retorica latina: Cicerone e Quintiliano, 277-310.

Considerazioni sull'esegesi di militare in Celso VI, 6, 31 A lare est); 3, 15, 6 (nam quartana

neminem

77

iugulat); 3, 20, 1; 4, 25, 1; 8, 14,

3 (dove la malattia & paragonata al carnefice); lacessere in 8, 11, 6; luctari in 4, 4; obruere

in 3, 25, 2 (nel senso di «abbattere»: febricula oritur, quae

facile tot malis obrutum hominem consumit); obsidere in 6, 11, 3; 7, 22, 2; 7, 22, 3; obsistere in 5, 22, 6; obstare in 4, 12, 1; 4, 14, 3; occupare

in 2, 3,

1; 3, 3, 2; 3, 15, 5; 3, 15, 6; 3, 21, 5; alias; occurrere (in senso medico già in Cicerone)

in 3, 12, 5; 7,

in 1 pr.18,

4,

19 e 56;

1, 9, 3; 3, 1, 3; 3, 2, 7; alias; perrumpere

3B; 7, 5, 1 B; 7, 5, 4 A e C; alias; perturbare in 1, 3, 3;

prosternere in 4, 27, 1 A (interdum etiam sic exanimat [scilicet: malum], ut tamquam comitiali morbo prosternat); pugnare in 3, 4, 8; 3, 12, 2; 3, 22, 11; 4, 5, 6; 5 pr. 1e 3 6, 6, 37 A; 8, 9, 1 D; repugnare in 1 pr. 58; 3, 1, 4; 3, 4, 13; 3, 18, 11; 6, 18, 2, C; subvenire in 3, 4, 8; 3, 5, 3; 5 pr. 1; 7, 14, 8;

urgere in 1 pr. 22; 1, 3, 8; 2, 1, 6; 2, 4, 2; 2, 4, 4; 2, 7, 15; alias; vincere in 1 pr. 39; 3, 12, 55 3, 19, 2; 3, 27,4 A; 4, 7, 3; 4, 10, 1; 7, 33, 1 (si quando

medicamenta vincantur); alias. Senza voler esagerare l'importanza del fenomeno, in quanto si tratta di un cliché già ampiamente documentato anche per la medicina greca, sono d'accordo con quanti vi leggono un'influenza della mentalità romana ver-

sata nell'arte della guerra ?; inoltre non dimentichiamo che Celso nell'ambito dell'enciclopedia Artes ha scritto proprio risulta da Quintiliano e da Vegezio.

sulla tecnica militare come

Tuttavia militare come lo intendono Spencer, Richardson, Lófstedt, esula da questo impiego particolare: non corrisponderebbe, in senso figurato,

ad adversari ma ad un ... ‘pacifico’ prodesse. Siamo dunque fuori dell'ambito sopra indicato. Già questo é indirettamente un argomento - contro, comunque non a favore, dell'esegesi sopraindicata. Ma accettando per un momento l'equivalenza militare = prodesse sussiste l'ulteriore ostacolo delle limitate occorrenze cui sopra facevo cenno: tra Celso e Claudiano, il piü vicino cronologicamente dei testimoni, avremmo quattro secoli di vuoto. Si obietterà che sul piano stilistico l'interpretazione di Spencer, Richardson, Lófstedt, risolverebbe l'apparente difficoltà dell'id che segue militare, pleonastico se il suddetto termine & aggettivo sostantivato e non verbo: ba-

stava un piü scorrevole potest (scilicet: prodesse) militare (scilicet: collyrium), quod habet; ma anche in precedenza, dopo rhinion, troviamo uno strano id (id quod supra positum est). Forse per questo il Targa (cfr. testo e nota in calce al passo nella seconda edizione) espungeva id ...est, mentre

9 Un cenno a questo specifico rapporto si trova in un articolo sulla lingua di Sereno Sammonico, autore di medicina in versi: R. Fuchs, Zu Serenus Sammonicus, «Arch. L.L.G.» 11, 1900, 37-

59, 43-45. Largomento merita di essere approfondito; una considerazione marginale su questo troviamo in Lentini, art. cit. 96: «Infine una felice σύγκρισις di ars militare e medicina si ritrova in Plinio e Dioscoride, quando, a proposito di applicazioni fitoterapiche con funzioni di vulnerari emostatici, citano due tipi di erbe rispettivamente dette: herba militaris e stratiotes. Evidente-

mente l'esperienza dei milites su ferite da armi aveva creato una terminologia di sicuro riferimento, che esulava dal campo specifico in cui era nata per divenire definizione volgare».

78

Umberto Capitani

successivamente, come abbiamo segnalato all'inizio, dava il testo: potest similiter id, quod... Faccio tuttavia rilevare che con militare aggettivo, e non verbo, seguito da id, il passo acquista un certo colorito retorico (come Ph.

Mudry ha evidenziato in vari recenti contributi, Celso indulge a queste ricercatezze

— d'altronde

nelle Artes

aveva

trattato

anche

di retorica) 10: si

veda l'anafora potest... potest !!. Non costituisce problema allora: rhinion, id quod supra positum est... mi-

litare, id quod habet..., da tradursi: «puó giovare il collirio rhinion, quello -intendo - di cui sopra davo la formula

(non:

«quel collirio rhinion di cui

...»); lo può il collirio militare, quello - intendo - che contiene...». Nel complesso dunque l'esegesi di militare = prodesse nel passo celsiano

appare decisamente improbabile. Flury mette in luce l'errore di metodo

di Lóefsedt:

non

aver tenuto

conto della notizia di Marx in apparato col giusto accostamento di militare nel De medicina e militaris, nome di pianta in Plinio, che implica l'iden-

10 Sull'elegantia stilistica di Celso esiste una ricca bibliografia; mi limito agli studi più importanti: G. Leopardi, Zibaldone 2729; Marx, op. cit. (Proleg.), XCV-CIX; C.A. Brolén, De elocutione A. Cornelii Celsi, diss. Upsala 1872, passim; J. Finlayson, Celsus, «Glascow medical Journal» 37, 1892, 321-348, in partic. 326-327; I. Woehrer, De A. Cornelii Celsi Rhetorica, diss. phil. vind. VIU2, Wien-Leipzig 1903, passim; J. Ilberg, A. Cornelius Celsus und die Medizin in Rom, «Neue Jahrb. klass. Alt.» 19 (- 101) 1907, 377-412, in partic. 387-404; M. Schuster, Der Wundarzt und seine Kunst (Nach Celsus), «Wiener Blätter» 1, 1923, 143-145; A. Castiglioni, Aulus Cornelius Celsus as a Historian of Medicine, «Bull. Hist. Med.» 8, 1940, 857-873, in partic. 859-863; H. D. Jocelyn, The new chapters of the ninth Book of Celsus' Artes, «Pap. Liv. Lat. Sem.» 5, 1985, 299-336, in partic.

309-318; S. Camoletto, Note al |. VII del De Medicina di A. Cornelio Celso, «Latomus» 45, 1986, 132-142, in partic. 132 e 137; D. Langslow, Latin technical language. Synonyms and greek words in

latin medical terminology, «Trans. Phil. Soc.» 87, 1989, 33-53; B. Chuaqui J., Comentarios sobre el proemio de Celso a De Medicina, «Rev. Méd. Chil.» 120, 1992, 947-953, in partic. 948; I. Mazzini, Caratteri della lingua del De medicina di A. Cornelio Celso, «Riv. Cult. Class.» 34, 1992, 17-46; E. Montero Cartelle- M.T. Santamaria Hernandez, «Nec elegantius quam Celso» (Colum. IX, 2,1). So-

bre la Elegantia del 'De medicina' de A. Cornelio Celso, «Helmantica» 44, 1993, 477-488; H. Von Staden, Author and Authority. Celsus and the Construction of a Scientific Self, in Tradición e inno-

vación de la Medicina Latina de la Antigüedad y de la Alta Edad Media. Actas del IV Coloquio Internacional sobre los textos médicos latinos antiguos (Santiago de Compostela, Sept. 1992), a cura di

M.E. Vázquez Buján (Cursos e congresos da Universidade de S.d.C. 83), Santiago de Compostela 1994, 103-117; A. Ónnerfors, Das medizinische Latein von Celsus bis Cassius Felix, in Aufstieg und Niedergang der Rómischen Welt, 2, 37, 1, Berlin-New York 1993, 228-392, in partic. 237-239; Ph. Mudry, Le 'De Medicina' de Celse. Rapport bibliographique, ibid., 787-799, in partic. 797-798; I.C. Popa, Celsus, De medicina über Zähne Mundhöhle, Gesicht und Kieferknochen (medizinischer und philologischer Kommentar), Berlin-Tübingen 1999, 279-284; C. Schulze, Celsus, Hildesheim-Zürich-New York 2001, 75-78; Ph. Mudry, Éléments pour une reconsidération de la langue et du style de Celse, in Latin vulgaire, latin tardif. Actes du IVe Colloque international sur le latin vulgaire et tardif. (Caen, 2-5 Septembre

1994), Hildesheim-Zürich-New York 1995, 685-697, in partic. 685-689

Il Per l'anafora in Celso cfr.: Marx, op. cit., (Res mem.) 447, dove, dopo il nostro passo, viene citato 5, 28, 4 E: possunt proficere... Cotonea ..., potest emplastrum ... potest nigra hedera; rileviamo

che l'anafora riguarda il solo verbo servile mentre proficere (sinonimo di prodesse) vale per tutti i soggetti; perché allora in 6, 6, 31 A Celso avrebbe dovuto ripetere dopo prodesse un sinonimo ol-

tretutto di uso peregrino? Questo argomento vale anche contro prodesse ... prodesse (v. n. 1).

Considerazioni sull'esegesi di militare in Celso VI, 6, 31 A

79

tificazione come aggettivo della vox celsiana. Poi Flury critica opportuna-

mente in una nota la bévue del compilatore del lemma militaris del Thesaurus

quando

registra

la parola

celsiana

modo sbrigativo con cui in ODL

come

termine

botanico "7, e

il

viene segnalata la stessa come semplice

appellativo di un generico rimedio terapeutico.

E senz'altro da escludere che militare in Celso sia il nome di un'erba: non

lo consente

in primo

luogo

il genere

neutro,

struttura e l'andamento del passo: avremmo

in secondo

luogo

la

un elenco di colliri col loro

nome ‘commerciale’ interrotto ex abrupto dalla citazione di un ‘semplice’. Inoltre come si legherebbe militare vegetale a quel che segue id quod habet... ? Dovremmo quanto meno integrare con un et. Il compilatore della voce del Thesaurus & caduto in un grossolano equivoco: ha supposto che Marx, citando il passo pliniano in calce a quello di Celso, volesse sic et simpliciter identificare militare del primo con (herba) militaris del secondo, laddove l'editore tedesco cercava semplicemente un sostegno per la sua felice congettura nell'ambito più generale del lessico tecnico. Non c'é dubbio che Marx abbia inteso militare come nome di collirio al pari di rhinion; e Flury concorda con questa identificazione, ovvia a mio

parere già alla prima lettura del passo, ma non cosi scontata se ha suscitato una certa disputa filologica. D'altronde,

in base alle mie conoscenze

di testi latini soprattutto in campo tecnico, questo caso risulta un unicum per una possibile confusione tra due categorie grammaticali diverse, un aggettivo e un verbo, che permettono, in teoria, esegesi distinte e tra loro

non comparabili. Se soldati risulta siani: per la

dunque Celso allude a un collirio militare, forse perché usato dai (Celso, come abbiamo visto, aveva scritto anche sull'arte militare), ulteriormente arricchito il già cospicuo patrimonio dei calchi celστρατιωτικόν della fonte » militare. Segnalo qualche altro esempio: terminologia botanica: lingua canina (5, 27, 13 A) « κυνόγλωσσον

(cinoglossa o lingua di cane - Cynoglossum officinale L); personina (5, 27, 10) « npocémov 22,

2;

(bardana

= Artium

6, 9, 2) « πεντάφυλλον

anatomica:

intestinum

caecum

lappa

(= Potentilla

L); quinquefolium reptans

(4, 1, 8; 4, 21,

(2, 33, 5; 4,

L); per la terminologia

1) « τυφλὸν ἔντερον; intesti-

num ieiunum (4, 1, 7; 5, 26, 2 A; 5, 26, 16) « νῆστις; loci (2, 8, 16; 5, 21, 6; 5, 25, 3 A) « τόποι (= utero); processus (8, 1, 8; 8, 1, 11; 8, 1, 12; 8, 1, 13; 8, 1, 14; alias) « ἐπίφυσις (= epifisi, parte terminale delle ossa lunghe); radius (8, 1, 19; 8, 1, 20; 8, 1, 22; 8, 11, 1; 8, 16, 1) < xepxíc (= radio, osso esterno dell'avambraccio); tunica (2, 8, 3; 4,1, 55 5, 28, 12E, N; 66,9 B,

C; 7, 2, 2; alias) « χιτών (= membrana,

dell'occhio nei passi del sesto li-

bro); per la terminologia patologica: abscessus (2, 1, 6; 2, 7, 27; 2, 7, 31;

12 Cfr. 8, 956, 71 sotto il titolo nomen herbae. 13 OLD 5, 1109, col. 1.: s.v. militaris, 1, f («as the name of certain remedies»).

Umberto Capitani

80

2, 7, 32; 2, 8, 20; 2, 8, 27; alias) « ἀπόστημα (= ascesso); carbunculus (5, 28, 1 A; 6, 6, 10; 6, 18, 5) « ἄνθραξ e ἀνθράκιον (= pustula carbonchiosa);

fistula (2, 8, 25; 5, 28, 12

ABCEFGHL

M; 6, 18, 2 H; alias) < σῦριγξ

(= fistola); resolutio (2, 1, 12; 2, 1, 22; 2, 8, 14; 2, 8, 29; 2, 8, 40; 2, 10, 6; alias) « παράλυσις (= paralisi); suffusio (6, 6, 35; 7, 7, 13 4; 7, 7, I ABD

E) < ὑπόχυσις (= cateratta); scabri oculi (nel passo in esame) < τράχωμα (= tracoma);

inoltre: inrationalis (1 Pr. 38) « ἄλογος !^.

Proprio di un collyrium stratioticum (o τοῦ στρατιώτου),

di composizione

e di un κολλύριον στρατιωτικόν

simile

anche

se

non

identica

alla

ricetta celsiana, si ha notizia nella letteratura medica latina e greca. E questo un argomento decisivo in favore dell'esegesi militare = agget-

tivo e al tempo stesso un sostegno all'emendamento del Marx. Confrontiamo

il passo di Celso con uno di Scribonio

Largo e

tre di

Aezio.

Al (cap.

capitolo 19

nocchia,

ss.),

33

delle

- diamo

Leipzig,

1983,

Compositiones il testo

di

secondo

Scribonio,

l'edizione

p. 26 (per le varianti

sezione

Collyria

teubneriana

di Sco-

e l'interpretazione

delle

14 Sul fenomeno dei calchi in Celso, cfr.: N. Anke, Lexicographische Bemerkungen medizinisch-philologischen Inhalts, «Philologus» 32, 1872, 385-405 e 577-599 (passim e in partic. 591592); C. Sändulescu, Cercetäri lexicologice asupra lui Celsus, «Stud. Class.» 2, 1960, 279-290; G. Caturegli, Espressioni mediche latine e greche del De Medicina di A. C. Celso. La cultura storicomedica di A.C. Celso, (Scientia veterum 98, serie X), Pisa 1966, 5-69; U. Capitani, A.C. Celso e la terminologia tecnica greca, «Annali Scuola Normale» 5, 1975, 449-518 (passim); L. Rippinger, À propos de quelques noms de maladies chez Celse et Scribonius Largus, in Études de linguistique générale et de linguistique latine offertes en hommage à Guv Serbat, Bibliothèque de l'information

grammaticale, Paris 1987, 207-218 (in partic. 212-217); J. Bertier, Les noms des lésions corporelles d'origine interne d'aprés le «De Medicina» de Celse (V, 28), in Le latin médical. La constitution d'un langage scientifique. Réalités et langage de la médecine dans le monde romain. Actes du IIle Colloque international Textes médicaux latins antiques! (Saint-Étienne,

11-13 septembre 1989), a cura

di G. Sabbah (Mémoires 10), Centre Jean-Palerne, Saint-Étienne 1991, 297-308; I. Mazzini, Caratteri ..., cit., 31-32; S. Sconocchia, La lingua della medicina a Roma nel I sec. d.C. e Cornelio Cel-

so, in Lingue tecniche del greco e del latino - I — Atti del 1° Seminario internazionale sulla letteratura scientifica e tecnica greca e latina (Trieste, Marzo 1992), a cura di S. Sconocchia e L. Toneatto, Trieste 1993,

189-201

(in partic. 194-196); R. Svandrlik Civilia, Su alcune questioni lessicali in Celso:

neologismi e loro sviluppo attraverso autori successivi, ibid., 198-201; P. Toninato, Metafore della medicina in Celso, ibid., 202-207; S. Contino, Aspetti della lingua di Celso, in La médecine de Celse.

Aspects historiques, scientifiques et littéraires (Mémoires 13), Centre Jean-Palerne, a cura di G. Sabbah e Ph. Mudry, Saint-Étienne 1994, 281-293 (in partic. 282-286); D.R. Langslow, Celsus and the makings of a Latin medical terminology, ibid., 297-318 (passim); S. Sconocchia, Osservazioni sul lessico e sulla sintassi del De medicina di Celso, ibid., 319-341 (passim); S. Sconocchia, Sui grecismi di Celso: i calchi, in Lingue tecniche del greco e del latino - Il - Atti del Il Seminario internazionale sulla letteratura scientifica e tecnica greca e latina (Trieste, 4-5 Ottobre 1993) a cura di S. Sconocchia e L. Toneatto, Bologna 1997, 217-225; S. Sconocchia, Il lessico greco-latino della me-

dicina antica: uno specimen operativo della lingua di Celso, in Atti del II Seminario Internazionale di Studi sui Lessici Tecnici Greci e Latini (Messina

14-16 Dicembre

1995), Messina-Napoli

1997,

407-431 (passim); F. Stok, Il lessico latino della follia, tra lingua tecnica e metafora, ibid., 433-453, in partic. 445; I. Mazzini, A. Cornelio Celso. La chirurgia (libri VII e VIII del De medicina). Testo,

traduzione e commento (Università degli Studi di Macerata, Facoltà di Lettere e Filosofia. Testi e documenti 5), Macerata-Pisa-Roma 1999, 32.

Considerazioni sull'esegesi di militare in Celso VI, 6, 31 A

81

sigle dei codici

ri-

mando

e delle edizioni di Scribonio e di Marcello Empirico

all’apparato

di Sconocchia

e all'index siglorum

a p. XXIV

della

suddetta edizione) - leggiamo:

Stratioticum collyrium ad aspritudinem et caliginem, recipit autem haec: psimithii X p. VI, piperis albi X p. I, omphacii

X p. II, cadmiae

X p. III,

opobalsami X p. II, opii X p. I, commis X p. II. teruntur aqua pluviali. collyrium hoc melius superiore ad caliginem facit. In Aezio - diamo il testo secondo l'edizione di A. Olivieri, Berlin 1950 (rimandando all'apparato per le varianti nei punti non significativi) - troviamo invece:

7, 79 (II, 325, 19 ss.): ᾿Επιμέλεια σκληροφθαλμίας, ξηροφθαλμίας xai ψωροφθαλμίας ... θεραπεύειν μὲν οὖν τὴν ξηροφθαλμίαν μετὰ τῆς λοιπῆς τοῦ σώματος ἐπιμελείας διὰ τῶν ὑγρασίαν

προσκαλουμένων ἐπὶ τοὺς ὀφθαλμούς, οἷά ἐστι τὰ γραφησόμενα ξηρὰ φάρμακα τά τε στρατιωτικά (in apparato leggiamo che due codici recano τὸ... στρατιωτικὸν) καὶ τὸ διακέντητον κολλύριον... ibidem (326,

10 ss.)

.. καθάπερ τῇ Epaovotpátou ὑγρᾷ καὶ τῷ στρατιωτικῷ κολλυρίω᾽ ... 7, 114 (389, 20 ss.):

Τοῦ δὲ Στρατιώτου Κολλύριον

xoAAópiov (in apparato

τὸ στρατιωτικὸν

vengono

οὗ e στρατιωτικοῦ)

registrate

ἡ σύνθεσίς

ἐστιν

le varianti Tide

καδμίας

«fj ψιμμυθίον > iC πεπέρεως λευκοῦ ἰοῦ ὀπίου ὀμφακίου ἀνὰ « B κόμμεως > 9. ποιεῖ δὲ καὶ πρὸς τραχέα βλέφαρα. Per quanto riguarda la terminologia patologica ὃ evidente la corrispondenza tra si vero scabri oculi sunt di Celso e aspritudo di Scribonio, e

σκληροφθαλμία (= 'oftalmia dura’), ξηροφθαλμία (= arida lippitudo = secchezza dell'occhio,

attualmente

detta ‘oftalmia cocente’)

e ψωροφθαλμία

(= in-

fiammazione scabrosa delle palpebre con prurito) di Aezio. Per quanto

invece concerne

la composizione

delle ricette, come

abbia-

mo già osservato, c'é una corrispondenza generica ma non precisa di ingredienti

e dosaggio 15; di questo

15 Confronto tra Celso e Scribonio Largo: Celso aerugo rasa P. X II

non ci dobbiamo

sorprendere

Scribonio Largo +

piper longum P. X II

*

papaveris lacrima (= opium) P. X II

opium X p. I

piper album P. X IIH

piper album X p. I

cummi P. X INI

cadmia elota P. X XVI cerussa P. X XVI + +

dato che

commi X p. Il

-

cadmia X p. III psimithium (- cerussa) X p.VI omphacium X p. II opobalsamum Xp. II

Umberto Capitani

82

anche nelle farmacopee moderne troviamo discrepanze per uno stesso preparato galenico nelle varie edizioni. Queste differenze tra Celso e Scribo-

nio e Celso e Aezio, che evidenziano una derivazione dei tre autori da una fonte comune

e non la dipendenza

diretta di Scribonio e Aezio da Celso,

si rivelano paradossalmente significative in quanto ci portano ad escludere l'eventualità di un militare verbo, accolto e riprodotto come denominazio-

ne di collirio da entrambi, attribuendo ai due medici antichi quell'equivoco, aggettivo inteso come verbo, che abbiamo riscontrato in alcune esegesi moderne.

Inoltre Celso non indica l'eccipiente liquido che in Scribonio Largo é aqua pluvialis. Confronto tra Celso e Aezio: Celso aerugo rasa P. X II

Aezio

ióc« B

piper longum P. X II papaveris lacrima (= opium) P. X II piper album P. X III cummi P. X III cadmia elota P. X XVI cerussa P. X XVI

Neppure in Aezio viene indicato l'eccipiente.

ómov < f πέπερι λευκόν « B

κόμμι < è xadpia < ἢ ψιμμύθιον « 13 ὀμφάκιον < B

Patricia Gaillard-Seux

LA PLACE DES INCANTATIONS DANS LES RECETTES MÉDICALES DE PLINE L'ANCIEN

LHistoire Naturelle de Pline l'Ancien est bien connue pour contenir nombre de recettes médicales marquées par la magie, en dépit de la con-

damnation buées

de l'art des magi

ou non

aux mages,

par lauteur!.

Certaines d'entre elles, attri-

offrent l'intérét de comporter

une incantation.

Le recensement de ces incantations montre qu'elles ne sont pas trés nombreuses par rapport à l'ampleur des parties médicales de l'Histoire Naturel-

le? et que le naturaliste n'a accepté dans son ceuvre que certains types de formules. Cette présence chez Pline d'incantations, et plus spécialement d'incantations visiblement admises en fonction d'une sélection de sa part, pose le probléme des raisons qui ont guidé le choix du naturaliste. Or, plusieurs développements de l'Histoire Naturelle, consacrés au pouvoir de la parole, éclairent l'attitude de Pline face au pouvoir des mots et permettent d'émettre quelques hypothéses sur les causes des choix qu'il a opérés. Une première catégorie d'incantations largement représentée dans

l'Histoire

Naturelle

a pour

unique

contenu

la mention

du

nom

du

malade ou celle du nom de la maladie soignée; il arrive que chacune des deux précisions figure dans la méme formule. R. Heim a classé ce type d'incantations parmi les incantamenta simplicia 3; il a été

! Sur la condamnation de la magie par Pline, voir notamment le célèbre développement du début du livre 30 (1-18), oà il la dénonce comme une chose détestable, inefficace, vaine, n'ayant de réalité que dans l'art des empoisonnements (proinde ita persuasum sit intestabilem, inritam, inanem esse, habentem tamen quasdam ueritatis umbras, sed in his ueneficas artes pollere, non magicas; 30, 17); il donne d'autre part souvent des recettes des mages en les dénoncant; voir par exemple 28, 86; 37, 124.

2 Sur les trente-sept livres de l'Histoire Naturelle, les livres 20-27 sont consacrés aux remèdes végétaux et les livres 28-32 aux remèdes animaux; les remèdes tirés des minéraux sont disséminés dans les livres 33-37, et de nombreuses allusions médicales parsément le reste de l'oeuvre.

3 Incantamenta magica graeca latina, «Jahrbl. Klass. Philol» suppl. XIX, 1893, 463-576, p. 471. R. Heim a distingué diverses catégories d'incantations, dont la premiere est celle des incantamenta simplicia; pour les autres types, qui concernent donc des incantations complexes, nous

ne nous y attarderons pas dans le détail car notre but n'est pas ici d'étudier les incantations en elles-mémes, mais de voir ce qui parait acceptable à Pline.

84

Patricia Gaillard-Seux

suivi par A. Önnerfors dans l'étude qu'il a consacrée aux incantations médicales *. Chez Pline, l'indication la plus fréquente concerne la maladie soignée; elle apparait lors de la récolte, de la fabrication ou de l'utilisation du remede et est toujours accompagnée d'autres rites. Trois cueillettes sont concernées par cette pratique. Par exemple, la cueillette de l'anémone: Magi multum quidem iis tribuere, quae primum aspiciatur eo anno tolli iubentes dicique colligi eam tertianis et quartanis remedio, postea adligari florem

panno russeo et in umbra aduersari, ita, cum opus sit, adalligari °. Cette indication est reprise à peu près sous la méme forme pour le chamélaea 5 et les deux espèces de thlaspi 7. Lindication de la maladie soignée figure aussi dans deux recettes de préparation

de remédes,

par exemple

pour une amulette contre les fiévres

quartes: Vrucam in linteolo ter lino circumdant totidem nodis ad singulos dicente quare faciat qui medebitur *. Trois passages montrent le respect de la méme obligation au moment de l'utilisation du remède, ainsi: Pecudis lien recens magicis praeceptis super dolentem lienem extenditur, dicente eo

qui medeatur lieni se remedium facere. Post hoc iubent in pariete dormitorii

eius tectorio includi et obsignari anulo terque nouies eadem dici ?.

4 Zaubersprüche in Texten der rómischen und frühmittelalterlicher Medizin, dans G. Sabbah (éd.), Études de médecine romaine, Mémoires VIII du Centre Jean Palerne, Saint-Étienne 1988, 113-156; p. 118. 5 «Les Mages, en vérité, ont attribué une grande importance à ces plantes. Ils ordonnent de cueillir la première qu'on aura apergue de l'année, en disant qu'on la cueille comme remède à la fiévre tierce et à la fièvre quarte; puis d'attacher la fleur dans une étoffe rousse, de la conserver à

l'ombre et de la porter ainsi en amulette quand il en sera besoin» (21, 166). Les traductions, sauf indication contraire, sont celles de la Collection des universités de France, aux Belles-Lettres. 6 Aiunt, si quis ante solis ortum eam capiat dicatque ad albugines oculorum se capere, adalligata discuti id uitium («On affirme que, si on le cueille avant le lever du soleil en disant que c'est pour les taies des yeux, on guérit en le portant en amulette»;

24,

133). Le chamélaea

est le

daphné-olivier-nain (Daphne oleides L. et Daphne oleaefolia L.). Les identifications de plantes sont celles de J. André, Les noms de plantes dans la Rome antique, Paris 1985. 7 Praecipitur ut qui colligat dicat sumere se contra inguina et contra omnes collectiones et contra uulnera, una manu tollat («Il est recommandé à celui qui les cueille de dire qu'il les prend contre les maux de l'aine, contre toutes les collections, contre les blessures, et de les enlever d'une seule main»; 27, 140). La premiere espéce est la bourse-à-pasteur (Capsella bursa pastoris

L.), la deuxiéme est indéterminée. 8 «On met une chenille dans un petit linge qu'on entoure trois fois d'un fil de lin noué d'autant

de nceuds à chacun desquels celui qui appliquera ce reméde doit dire pourquoi il le fait» (30, 101). Le deuxiéme exemple est constitué par une pratique attribuée aux mages: ex homine siquidem re-

sigmina ungium e pedibus manibusque cera permixta, ita ut dicatur tertianae, quartanae uel cotidianae febri remedium quaeri, ante solis ortum alienae ianuae adfigi iubent ad remedia in his morbis

(«Qu'on incorpore à de la cire des rognures d'ongles de pieds et de mains tout en disant qu'on recherche un remède pour les fièvres ou tierces, ou quartes, ou quotidiennes, puis qu'avant le lever du soleil, on applique cet amalgame sur la porte de la maison d'un autre»; 28, 86); elle n'est évoquée par Pline que pour dénoncer la malfaisance des mages (à cause du transfert de la maladie à un autre), alors qu'il ne porte aucun jugement sur les recettes oü figurent des incantations simples.

9 «Les Mages ordonnent d'étendre une rate fraiche de mouton sur la rate malade, tandis que

r —

-—

.—.——

«=

«>

sia:

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien Cependant,

dans deux autres cas, le nom

85

de la maladie est mentionné

dans l'incantation, mais les paroles à prononcer consistent en formules plus développées appartenant à des carmina plus complexes que nous évoquerons plus loin !°. La seule recommandation de préciser le nom du malade se rencontre uniquement à propos de la récolte de trois plantes. Pline évoque ainsi les

prescriptions des mages à propos de la grande camomille: Magi contra tertianas

sinistra

manu

euelli eam

iubent

dicique

cuius

causa

euellatur,

nec

respicere, dein eius folium aegri linguae subicere, ut mox in cyatho aquae deuoretur!!. Une vipérine et la racine de l'ortie d'automne sont concernées

par la méme prescription ᾽2. Enfin, pour la cueillette du xyris et celle de la racine de cognassier,

il

faut à la fois nommer le malade et la maladie. Ainsi pour le xyris: Strumas haec uel panos

uel inguina

discutit.

Praecipitur

ut sinistra

manu

ad hos

usus eruatur colligentesque dicant cuius hominis uitiique causa eximant 15. celui qui applique ce reméde dit que c'est pour la rate qu'il le fait. Il est prescrit d'enfermer ensuite cette rate dans un mur de la chambre à coucher du malade, de la recouvrir de mortier qu'on scelle avec un anneau en redisant trois fois les mémes paroles» (30, 51). La deuxiéme recette concerne la menthe: Aiunt et lieni mederi eam «in» horto gustatam ita ne uellatur, si is qui mordeat dicat se lieni mederi, per dies VIIII («On affirme qu'elle guérit aussi la rate, si on la goüte au jardin sans l'arra-

cher, et si en y mordant on déclare qu'on se guérit la rate, et cela pendant neuf jours»; 20, 151). La dernière recette concerne la buglosse (Anchusa italica Retz): Buglosso inarescente, si quis medullam e caule eximat dicatque ad quem liberandum febri id faciat, et alliget ei septem folia ante accessionem, aiunt febri liberari («Lorsque la buglosse commence à sécher, si l'on retire la moelle de la tige

en disant qu'on le fait pour délivrer quelqu'un de la fievre et qu'on attache ensuite à ce malade, avant l'acces, sept feuilles de la plante, on prétend que celui-ci est libéré de sa fièvre»; 26, 116). 10 En 24, 176 (voir p. 82) et en 28, 215 (voir note 17), le nom de la maladie est cité sans ambiguité. Voir également 26, 92-93, où la maladie semble étre désignée par le mot pestem (voir p. 82); 27, 100, oü le mot κανθαρίδες symbolise certainement le mal soigné (voir p. 82 et note 15); 27, 131, oü c'est probablement aussi le cas pour le mot pullus (voir note 16). !! «Contre les fiövres tierces, les Mages recommandent de le cueillir de la main gauche en di-

sant sans se retourner pour qui on le cueille, puis d'en mettre une feuille sous la langue du malade, et de la lui faire avaler peu aprés dans un cyathe d'eau» (21, 176). La grande camomille (Chrysanthemum parthenium Bernh.) porte les noms, d'apres Pline, de parthenium ou leucanthes ou amaracus ou encore, en latin, de perdicium ou muralis.

12 La vipérine est la pseudoanchusa, nommée par quelques-uns echis ou doris; ce serait selon J. André une vipérine à fleurs bleu-violet, Echium plantagineum L., et sans doute E. italicum L., à fleurs rosées (note

1, p. 93, à 22, 50, éd. CUF, Paris 1970). Le rituel la concernant est le suivant:

Folium eius sinistra decerpi iubent Magi et cuius causa sumatur dici tertianisque febribus adalligari («Les Mages recommandent de cueillir ses feuilles de la main gauche, de dire pour qui on les cueille, et de les faire porter en amulette contre les fièvres tierces»; 22, 50). Pour la racine de l'ortie d'automne, il faut indiquer non seulement le nom du malade, mais aussi celui de ses parents: Quidam e nostris... autumnalis urticae radicem adalligatam in tertianis ita ut aegri nuncupentur,

cum eruatur ea radix, dicaturque cui et quorum filio eximatur, liberare morbo tradiderunt; hoc idem et contra quartanas pollere («Certains auteurs latins... ont enseigné que la racine de l'ortie

d'automne portée en amulette dans les fièvres tierces guérit la maladie, pourvu qu'en l'arrachant on désigne les malades et qu'on dise le nom de l'homme pour qui on la recueille et celui de ses parents. Cela est efficace aussi contre les fiévres quartes»; 22, 38). 13 «Celle-ci dissipe les scrofules, les abcés cutanés ou les tumeurs de l'aine. On recommande

86

Patricia Gaillard-Seux

En tout, Pline rapporte donc treize incantations précisant de la manière la plus simple le nom de la maladie, ou celui du malade ou les deux. Parmi les incantations complexes

mentionnées

par Pline, le plus grand

nombre accompagne un acte, que parfois elles expliquent. Une seule accompagne la récolte d'une plante, celle de l'aigremoine, et comporte également

le nom

de la maladie;

c'est une

incantation

en

forme

d'historiette,

ainsi rapportée par Pline: Medetur et subus effossa sine ferro, addita in colluuiem poturis uel ex lacte ac uino. Quidam adiciunt effodientem dicere oportere: haec est herba argemon, quam Minerua repperit subus remedium,

quae de illa gustauerint *4. Huit autres sont parallèles à l'utilisation du remède.

Lune

est en grec

et aide l'action du reméde en essayant de chasser la maladie par des menaces: φεύγετε κανθαρίδες, λύκος ἄγριος ὕμμε διώκει !?. Deux essaient d'impo-

ser une limite à la maladie, ainsi dans cette recette: tum

Panos sanat... uerbascum cum sua radice tusum, uino aspersum folioque inuoluet ita in cinere calefactum, ut inponatur calidum. Experti adfirmauere pluri-

mum referre, si uirgo imponat nuda ieiuna ieiuno et manu supina tangens dicat: «negat Apollo pestem posse crescere cui nuda uirgo restinguat»; atque ita retrorsa

manu ter dicat, totiensque despuant ambo !6.

pour ces usages de l'arracher de la main gauche et de dire en l'arrachant le nom de la personne

pour qui on la récolte, et celui de sa maladie» (21, 143). Le xyris, plante indéterminée, est considérée comme un iris sauvage dans l'Antiquité. Pour la racine du cognassier, le rituel est le suivant: Radix eorum circumscripta terra manu sinistra capitur ita ut qui id faciet dicat quare capiat et cuius causa; sic adalligata strumis medetur («On trace sur le sol, autour de la racine du cognas-

sier, un cercle avec la main gauche et on l'arrache en disant pourquoi et pour qui on l'arrache: portée en amulette, elle guérit les écrouelles»; 23, 103). 14 «Elle guérit aussi les porcs, arrachée sans l'usage du fer, jetée dans les eaux sales destinées à leur boisson ou donnée dans du lait et du vin. Quelques-uns ajoutent qu'il faut dire en l'arrachant: ‘Voici l'herbe argémon, que Minerve a découverte pour servir de reméde aux porcs qui en auront mangé'» (24, 176); traduction J. André modifiée. Le nom scientifique de l'aigremoine est Agrimonia eupatoria L.

15 Elle accompagne l'utilisation d'une pierre couverte de mousse ramassée pres d'un fleuve: Lapis uulgaris iuxta flumina fert muscum siccum, canum. Hic fricatur altero lapide addita hominis saliua; illo lapide tangitur inpetigo. Qui tangit, dicit: φεύγετε κανθαρίδες, λύκος ἄγριος ὕμμε διώκει

(«Sur toutes les pierres, le long des rivières, pousse une mousse sèche et blanche. On frotte la pierre qui la porte avec une autre pierre, en la mouillant de salive humaine, puis avec la seconde pierre on touche l'impétigo. Celui qui le touche dit: fuyez, cantharides, le loup sauvage vous poursuit»; 27, 100). J'ai adopté dans l'incantation la forme ὕμμε, doublet dialectal de ὑμᾶς. Les manuscrits indiquent la formule en caracteres latins, et le mot est écrit hema, ce qui peut se transcrire αἷμα, sang; voir R. Heim, op. cit., p. 482, n° 68. Mais les formules paralléles (ordre de fuir, nom de la maladie, ici symbolisée par les cantharides, indication qu'il y a poursuite par un ani-

mal ou un dieu) emploient la structure que j'ai préférée; voir C. Bonner, Studies in Magical Amulets, chiefly Graeco-Egyptian, Michigan University 1950, p. 75-76, qui mentionne une amulette avec Persée tenant la téte de la Méduse, dont le texte est le suivant: φύγε, ποδάγρα. Περσεύς σε διώκει.

16 «Les panus guérissent par... la molène broyée avec sa racine, arrosée de vin, enroulée dans ses propres feuilles et chauffée ainsi dans la cendre pour étre appliquée chaude. Ceux qui l'ont

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien

87

Trois incantations sont beaucoup plus étroitement une sorte de commentaire de l'acte engagé, comme lorsqu'il faut dire au malade, en lui apportant une amulette, que l'on apporte à jeun un reméde à un homme à

jeun ". Les deux dernieres accompagnent la confection d'amulettes, comme dans la recette suivante: Inguinibus medentur aliqui licium telae detrac-

tum alligantes nouenis septenisue nodis, ad singulos nominantes aliquam atque ita inguini adalligantes 18.

uiduam

expérimenté ont affirmé qu'il importe beaucoup que cette application soit faite par une vierge nue et à jeun sur le malade également à jeun et que touchant «le panus» de sa main renversée, elle dise: «Apollon défend que la peste puisse se développer chez celui sur qui l'éteint une vierge nue», puis après avoir retourné la main, qu'elle prononce trois fois cette formule, et que tous deux crachent autant de fois» (26, 92-93). La moléne recouvre le genre Verbascum L.. Cette incantation est curieusement rangée par R. Heim (op. cit., p. 508, n? 136) dans les incantamenta, quibus actio magica adiuuatur, oü il fait essentiellement figurer des incantations pour protéger les maisons. A. Ónnerfors mentionne le carmen qui nous intéresse à propos des euocationes morborum tout en soulignant qu'il ne s'agit pas de la méme chose (op. cit., p. 119-120), mais n'en fait

pas d'analyse. La deuxiéme incantation appartient à la recette suivante: Círca Ariminum nota est herba quam resedam uocant. Discutit collectiones inflammationesque omnes. Qui curant ea, addunt haec uerba: «Reseda, morbis reseda; /scisne, scisne, quis hic pullus egerit radices? / Nec caput

nec pedes habeat». Haec ter dicunt totiensque despuunt («Aux environs d'Ariminum on connait une plante qu'on appelle réséda. Elle dissipe les collections et toutes les inflammations. Ceux qui l'emploient ajoutent ces paroles: «Réséda, sois le sédatif des maladies. / Sais-tu, sais-tu quel rejeton a planté ici ses racines? Qu'il n'ait ni pied, ni téte». Ils répètent trois fois cette formule et

crachent trois fois; 27, 131). La plante est peut-étre le réséda blanc (Reseda alba L.). La traduction du mot pullus par «poulet» (A. Ernout, CUF) a été remplacée par celle de «rejeton», pour tenir compte du jeu de mot sur ce terme qui signifie à la fois «petit», «poulet», et «rejet». Sur le sens du mot, voir A. Ernout - A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris 4° éd. augmentée d'additions et de corrections par J. André, 1985, s.v; le sens de «rejet d'une plante parasite» apparait chez Caton, Agr., 51, 1; 133, 1. Sur le probléme de la traduction de ce mot dans l'incantation, voir notamment J.H. Philipps, Juxtaposed medical traditions: Pliny, NH, 27, 131, «Class. Weekly» 76, 1981, 130-132.

17 24, 181: leiunum esse debere qui colligat; ita ire in domum absentis cui medeatur, superuenientique ter dicere ieiuno ieiunum

medicamentum

dare, atque ita adalligare triduoque id facere

(«Celui qui cueille doit étre à jeun, aller dans cet état chez la personne à guérir en son absence et, quand elle arrivera, lui dire trois fois: «je viens à jeun donner un reméde à un homme à jeun»). Il s'agit d'une amulette contre les écrouelles et les panus, faites de neuf noeuds de chiendent. Les recettes où figurent les autres incantations sont les suivantes: Magi uerrini genitalis cinere poto ex

uino dulci nis in suo de verrat, lit comme

demonstrant urinam facere in canis cubili ac uerba adicere, ne ipse urinam faciat ut cacubili («Les Mages conseillent, aprés avoir bu, dans du vin doux, la cendre d'une verge d'uriner dans la niche d'un chien en pronongant ces mots: "C'est pour ne pas pisser au un chien dans sa niche"; 28, 215); Partus accelerat hic mos, ex quo quaeque conceperit,

si cinctu suo soluto feminam cinxerit, dein soluerit adiecta precatione euinxisse eundem et solutu-

rum, atque abierit (Laccouchement est encore accéléré par cette coutume: si l'homme dont une femme a congu, ayant dénoué sa ceinture, la met à cette femme puis la lui óte en pronongant cette formule: "celui-là méme qui l'a lié la déliera" et s'en va»; 28, 42).

18 «Pour guérir les maux des aines, certains détachent un fil d'une toile, y font neuf ou sept noeuds en pronongant à chacun le nom de quelque veuve, puis l'attachent à l'aine» (28, 48); l'autre incantation se trouve dans la recette suivante: Magi heliotropium «in» quartanis quater, in tertianis ter adligari iubent ab ipso aegro precarique eum soluturum se nodos liberatum et iacere non exempta herba («Les Mages recommandent au malade de nouer lui-méme l'héliotrope quatre fois

88

Patricia Gaillard-Seux

On peut ajouter à ces incantations véritables une amulette utilisant l'écrit, mentionnée pour dénoncer les abus des mages. Elle est constituée par des améthystes sur lesquelles il faut graver le nom leil, contre les ueneficia !?.

de la lune et du so-

Enfin, le nombre d'incantations qui constituent à elles seules le reméde est extrémement

restreint. Ce sont tout d'abord deux incantations vérita-

blement orales, dont une seule figure parmi les recettes données par Pline.

Il s'agit d'une recette de guérison d'une piqüre de scorpion: Si quis asino in

aurem

percussum

a

scorpione

se

dicat,

transire

malum

protinus

tradunt ?°. La seconde est plus un mode de prévention qu'un remède; c'est un exemple

donné

dans le passage du livre 28 sur le pouvoir des carmina

que nous verrons plus loin: Attalus adfirmat scorpione uiso si quis dicat «duo», cohiberi nec uibrare ictus 2). S'ajoute également ici une amulette utilisant l'écrit, qui est à nouveau un exemple donné dans le passage du livre 28 déjà évoqué,

un papier portant

les deux lettres grecques PA, contre

la lippitudo 33. Lexamen des incantations présentes dans l'Histoire Naturelle met donc en relief plusieurs caractéristiques: les incantations les plus nombreuses

appartiennent

à la catégorie

la plus simple

et la plus

anodine,

celle oü il y a obligation de nommer le malade ou la maladie ou les deux; les incantations plus complexes sont seulement en nombre restreint; fort peu de ces incantations constituent à elles seules le remède et parmi celles-ci, une seule est conseillée parmi les recettes; aucune de celles qui sont mentionnées ne comporte de termes incompréhensibles, sauf à la rigueur les deux lettres grecques utilisées contre l'ophtalmie, qui ne figurent pas dans une recette; aucune n'appartient à la catégorie

dans les fièvres quartes, trois fois dans les fièvres tierces, de déclarer dans une prière qu'il défera les noeuds quand la fièvre aura cessé, et de se coucher sans óter la plante»; 22, 61). L'héliotrope désigne ici diverses variétés d'héliotropes (Heliotropium europaeum L., H. villosum L., H. supi-

num L.) et le tournesol ou chrozophore des teinturiers (Chrozophora tinctoria Juss.). 19 Magorum uanitas... promittit... si lunae nomen ac solis inscribatur in iis atque ita suspendatur e collo cum pilis cynocephali et plumis hirundinis, resistere ueneficiis («Les Mages imposteurs

assurent... que si les noms de la lune et du soleil y sont gravés, et si elles sont ainsi suspendues au cou avec des poils de cynocéphale et des plumes d'hirondelle, elles préservent des maléfices»; 37, 124). Cette recette peut étre classée dans les recettes médicales dans la mesure oü les ueneficia

sont parfois des poisons. 20 «On prétend que si quelqu'un dit à l'oreille d'un àne qu'il a été piqué par un scorpion, le

mal passe aussitót à l'animal» (28, 155). 21 «Attale affirme que, si en apercevant un scorpion, on dit «deux», l'animal s'arréte et ne pique plus» (28, 24). 22 M. Servilius Nonianus princeps ciuitatis non pridem in metu lippitudinis, priusquam ipse eam nominaret aliusue ei praediceret, duabus litteris Graecis PA chartam inscriptam circumligatam lino subnectebat collo («Tout récemment, M. Servilius Nonianus, l'un des premiers de la cité,

en appréhendant une ophtalmie, avant que lui-méme ait prononcé le nom du mal ou que quelqu'un d'autre le lui eüt signalé, s'attachait au cou, enveloppé dans un linge, un papier marqué des

deux lettres grecques PA»; 28, 29).

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien nommée

par R. Heim

ἀδύνατα,

où lincantation

89

raconte une histoire im-

possible ??. Le contraste est donc grand avec Marcellus, dont l'oeuvre est, après l'Histoire Naturelle, la source latine la plus longue faisant une grande place aux recettes médico-magiques. Celui-ci ne mentionne que peu d'incantations simples recommandant de nommer le malade, ou la maladie

ou les deux 24. Il n'indique pas moins de trente-deux incantations compréhensibles et vingt-huit incantations incompréhensibles, dont la majorité constitue à elles seules le reméde

(18 sur 32 et 24 sur 28) ^. Ces in-

cantations incompréhensibles étaient particuliérement utilisées dans le milieu des mages: une source purement magique, les papyrus grecs, donne majoritairement, dans ses recettes médicales, ce type de formule,

constituant le reméde 25, La nature des incantations médicales susceptibles d'étre connues ne différait pas entre l'époque de Pline et celle de Marcellus et les particularités

de l'Histoire Naturelle en matière d'incantations sont donc dues à des choix du naturaliste, choix dont nous pouvons chercher l'explication notamment dans deux passages de l'Histoire Naturelle, où s'exprime son attitude face au pouvoir contraignant des mots: 28, 10-29; 2, 140-141. Le passage du livre 28 a souvent attiré l'attention des commentateurs, mais a rarement été

mis en rapport avec la place des incantations dans l'oeuvre de Pline 27. 23 Op. cit., p. 491-492. Une incantation donnée par Marcellus est un bon exemple α ἀδύνατα: Stolpus a caelo cecidit, hunc morbum pastores inuenerunt, sine manibus collegerunt, sine igni coxerunt, sine dentibus comederunt («Un sot est tombé du ciel, des bergers ont trouvé cette maladie, ils l'ont ramassée sans les mains, ils l'ont fait cuire sans feu, ils l'ont mangée sans les dents»; 28,

16; traduction personnelle). Le mot stolpus semble étre un hapax; il peut étre rapproché de stupidus et de stultus, que l'on trouve dans des incantations recensées par R. Heim (op. cit., p. 498),

auxquelles celui-ci renvoie (op. cit., p. 496, n. 2). 24 L'obligation de nommer

la maladie apparait dans trois recettes (1, 54; 23, 47; ibid., 70),

celle de nommer le malade lors de la récolte d'une plante (14, 65), de la capture d'une araignée (14, 68) et dans l'emploi de deux remédes (15, 103; 22, 10), celle de nommer le malade et la maladie dans une seule recette (8, 52). Voir également 8, 62 et 10, 33 où le nom du malade intervient dans la confection du reméde. 25 Pour les incantations compréhensibles constituant à elles seules le reméde, voir 8, 172; 10,

35; 11, 25; 12, 46; 14, 67; 15, 11; ibid., 89; ibid., 101; ibid., 102; ibid., 108; 18, 30; 20, 66; ibid., 78; 21, 2; ibid., 3; 28, 16; ibid., 74; 29, 23. Pour les incantations compréhensibles accompagnant une récolte ou, beaucoup plus souvent, l'utilisation d'un remède, voir: 8, 27; ibid., 29; ibid., 30; ibid.,

199; 12, 24; 14, 26; 22, 41; 23, 68; 26, 13; ibid., 129; 29, 35; 32, 19 (- ibid., 21); 36, 19; ibid., 70. Pour les incantations incompréhensibles constituant à elles seules le remede, voir 8, 56; ibid., 57;

ibid., 58; ibid., 59; ibid., 64; ibid., 170; ibid., 171; ibid., 190; 10, 34; ibid., 55; ibid., 56; ibid., 69; ibid., 70; 12, 24; 14, 24; 15, 105; ibid., 106; 21, 8; 22, 10; 26, 43; 28, 72; ibid., 73; 29, 26; 31, 25. Pour les incantations incompréhensibles accompagnant un acte médical, voir 8, 192; ibid., 193; 29, 45; 31, 33. 26 Voir le cas le plus marquant, PGM, VII, 193-214, qui donne dix recettes médicales qui comportent toutes une incantation; sept de ces formules sont incompréhensibles ou comportent des termes ou caractères incompréhensibles, par exemple POYPAPBIZAPOYPBBAPIAXXDPHN (PGM, 7, 198). Voir K. Preisendanz, Papyri graecae magicae, t. 2, Leipzig-Berlin 1931, p. 8-9. 27 Voir notamment

T. Koeves-Zulauf,

Reden

und Schweigen,

Römische

Religion bei Plinius

90

Patricia Gaillard-Seux

Au début du livre 28, premier des livres consacrés aux remédes animaux, qui commence par les remédes tirés de l'homme, le naturaliste se pose la question du pouvoir de la parole, car, s'il existe, il faut le faire servir à l'homme, c'est-à-dire l'utiliser parmi les remèdes: Quid si uerum est, homini acceptum fieri oportet conueniat ??. Il pose ainsi le probléme: Ex homine remediorum primum maximae quaestionis et semper incertae est, polleantne aliquid uerba et incantamenta carminum 35. Lexpression uerba et incantamenta carminum montre que Pline souhaite s'intéresser aux termes, aux mots (uerba) et aux enchantements (incantamenta), c'est-à-dire à la maniere de dire contraignante, propre aux carmina, terme presque intraduisible puisqu'il désigne des formules chantées dans les domaines aus-

si bien magique, religieux que poétique ??. Cette interrogation semble d'importance à Pline car il y consacre vingt paragraphes, oü il prend la peine de réfléchir et d'accumuler les exemples. Plusieurs points sont à souligner dans ce développement. Tout d'abord, Pline, s'interrogeant sur les carmina, s'intéresse aussi bien

aux prieres qu'aux incantations. Parmi les exemples auxquels il recourt fi-

gurent donc les prieres officielles romaines

aussi bien que l'incantation

que disait César avant de monter en voiture. Ensuite, dépassant le problème des carmina, Pline en vient à s'interroger sur l'efficacité de certains ri-

tes, méme magi,

sans paroles?!'. D'autre part, il n'est jamais

ni des magicae artes, point à relever, quand

affirmait sa haine des mages.

Enfin, presque

question ni des

l'on sait combien

Pline

tous les exemples cités par

Pline sont empruntés à la religion romaine traditionnelle ou au monde

ro-

main; il n'existe qu'un petit nombre d'exceptions 52. Pline parle ainsi assez Major, Munich 1972, dont l'étude se fonde sur la sémantique. Voir aussi A. Baümer, Die Macht des Wortes in Religion und Magie (Plinius, Naturalis Historia, 28, 4-29), «Hermès»

112, 1984, 84-99,

qui critique certaines théses de T. Koeves-Zulauf; C. Guitard, Pline et la classification des priéres dans la religion romaine (NH, 28, 10-21), dans J. Pigeaud (dir.), Pline l'Ancien, témoin de son temps, Nantes, 22-26 octobre 1985, Bibliotheca Salmanticensis, Estudios 87, Salamanque-Nantes 1987, 473-486. Certains rites mentionnés par Pline (sans qu'ils utilisent obligatoirement la parole) ont été étudiés par F.G.M. Wolters, Notes on antique Folklore of Pliny's Natural History Book XXVIII, 22-29, Amsterdam-Paris

1935.

28 «Si ce pouvoir est réel, il faudrait le porter au compte de l'homme» (28, 10). 29 «A propos des remèdes tirés de l'homme, se pose aussitót une question trés importante et toujours pendante: les mots et les enchantements des formules ont-ils quelque pouvoir?» (28, 10). J'ai modifié la traduction CUF d'A. Ernout, qui me semble inadaptée, de uerba et incanta-

menta carminum («formules magiques et incantations»). Le mot incantamentum, à rapprocher d'incantatio, est rare et vraiment employé surtout par Pline et Ammien Marcellin; voir Th.l.l., s.v. 30 Voir Th.L.I., s. v; A. Ernout - A. Meillet, op. cit., s.v. 31 Ayant énuméré de nombreux exemples de prières et d'incantations du paragraphe

10 au

paragraphe 21, Pline évoque à partir du paragraphe 22 des exemples de rites dont trés peu implique l'emploi de la parole. 32 I] fait allusion à l'incantation par laquelle est arrétée l'hémorragie d'Ulysse d'aprés Homere (Od., 1, 455) et à une autre de Théophraste pour la sciatique (fragm. 87, Wimmer); il signa-

le aussi l'incantation contre les scorpions rapportée par Attale, que nous avons vue plus haut, et évoque l'invocation des dieux dans d'autres pays (28, 24).

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien

9]

longuement

en

commengant

des

prières

par dire:

utilisées Quippe

en

diverses

uictimas

caedi

circonstances

à Rome,

sine precatione

non

uidetur

referre aut deos rite consuli? 33. Le naturaliste s'interroge donc sur le pouvoir des carmina en ayant le souci de voir si l'on peut lui apporter la caution du mos maiorum. Il souligne d'ailleurs à un moment, aprés l'évocation de quelques rites typiquement

romains:

Prisci quidem

nostri perpetuo

talia credidere, difficillimumque ex his, etiam fulmina elici ?^. Cette sorte de garantie apportée par les Anciens, ainsi que l'absence de mention des magi, entraînent-elles que, pour le naturaliste, cet usage de la parole ne soit pas superstitieux ou magique? Il semble pourtant que non.

Le caractére au fond magique de l'éventuelle efficacité des carmina ne lui échappe pas. S'il prend soin de n'en rien dire dans ce passage, il donne plus loin au livre 30 comme preuve que la magie a laissé des traces en Italie les lois des XII Tables, en précisant: Quae priore uolumine exposui 55.

Or, c'est dans le fragment du livre 28 qui nous intéresse qu'il cite les lois des XII Tables: Quid? Non et legum ipsarum in XII Tabulis uerba sunt: qui

fruges excantassit, et alibi: qui malum

carmen incantassit? 38. On peut se

demander si l'absence de mention explicite du nom des mages ou de leur art n'est pas volontaire dans ce passage, car Pline ne pouvait ignorer que l'usage de la force de la parole pour contraindre les dieux était caractéris-

tique de la magie 51. En effet, la réponse de Pline à sa propre question sous-entend un em-

barras certain, qui pourrait justifier le désir de passer sous silence ceux qu'il condamne. Bon nombre de passages impliquent la croyance en l'efficacité des mots et de certains usages superstitieux; le naturaliste s'appuie

d'abord sur la croyance générale en l'efficacité des carmina. Trés vite aprés sa question initiale, il note déjà: Sed uiritim sapientissimi cuiusque respuit fides, in uniuersum

uero omnibus horis credit uita nec sentit **. Il remarque

que beaucoup de gens croient que les poteries peuvent étre brisées par des

charmes et que beaucoup le croient aussi pour les serpents 5’. Il va méme 33 «Ne

semble-t-il pas inefficace d'immoler des victimes ou de consulter rituellement

les

dieux sans une formule de prière?» (28, 10). 34 «Nos ancétres du moins ont cru de tout temps à la réalité de tels faits, et méme au plus difficile à réaliser, celui de faire jaillir la foudre» (28, 13). Cette remarque vient apres le rappel du

rituel de la prière à Rome et des allusions à diverses formules employées à Rome (dévotion des Decii, priére de l'ordalie de la vestale Tuccia, sacrifice d'un couple d'une nation en guerre contre les Romains...). 35 «Comme je l'ai montré dans un livre précédent» (28, 12).

3% «Hé quoi? ne lit-on pas dans les lois mémes des Douze Tables, ces propres mots: "celui qui aura jeté un sort sur les moissons..." et ailleurs: "celui qui aura prononcé une malédiction"?» (28, 17). 37 Sur ce point, voir par exemple Ovide, Met., 7, 198; Virgile, Buc., 8, 99; Tibulle,

1, 8, 19 et

surtout Lucain, Phars., 6, 446; 456-457; 463. Dans un passage cité plus loin, Pline parle d'ailleurs

du pouvoir de contraindre les dieux que l'on attend des carmina (voir p. 96 et note 71). 38 «Les plus savants individuellement rejettent cette croyance, mais dans l'ensemble, l'humanité y croit à chaque heure et ne s'en rend pas compte» (28, 10); traduction A. Ernout modifiée.

39 Multi figlinarum opera rumpi credunt tali modo, non pauci etiam serpentes ipsas recanere et

92

Patricia Gaillard-Seux

jusqu'à en appeler à l'opinion

commune

en rappelant: Defigi quidem

diris

precationibus nemo non metuit *. Il affirme: Libet hanc partem singulorum quoque conscientia coargere ^!. Or, la force de l'opinion admise est toujours importante pour Pline; ainsi, à nouveau dans le domaine du pouvoir des mots, il évoque ailleurs la croyance du vulgaire au fait que le liévre donne la beauté à cause du jeu de mots lepus (lievre) — lepos (gráce, beauté), et il écrit: Aliqua debeat subesse causa in tanta persuasione *. On a là une illustration de ce qu'a souligné A. Baümer: Pline reste soumis à la pensée populaire traditionnelle, qu'il considére comme une expérience donnée par la nature, une sorte

de preuve empirique 35, Ayant mis en avant la quasi universalité de la croyance au pouvoir des mots, il s'appuie d'autre part sur l'autorité d'écrivains et de personnages il-

lustres qui ont manifestement cru au pouvoir de la parole ou de certains rites. Il se réfère ainsi au témoignage de L. Pison sur le roi Tullus Hostilius foudroyé pour avoir mal observé les rites destinés à faire apparaitre Jupiter et au récit du méme auteur sur le présage de la téte humaine

trouvée sur le Capitole, promettant à Rome gloire et bonheur *. Il souligne que Verrius Flaccus s'appuie sur des auteurs qu'il juge dignes de foi

pour faire état du rite de l'évocation par les prétres romains de la divinité d'une ville assiégée *. Les auteurs cités pour avoir indiqué des incantations sont Homére, Théophraste, Caton et Varron *. Trois personnages il-

hunc unum illis esse intellectum, contrahique Marsorum cantu etiam in nocturna quiete («Nombreux sont ceux qui croient que les ouvrages de poterie peuvent étre brisés par des charmes ana-

logues, beaucoup l'admettent aussi des serpents, mais que ces animaux sont capables de retourner les enchantements, qu'ils n'ont que cette sorte d'intelligence, et qu'ils sont attirés par le chant des Marses, méme dans le repos de la nuit»; 22, 19). Les Marses sont un peuple d'Italie centrale qui avait une réputation de magiciens et de charmeurs de serpents; sur eux, voir notamment Vir-

gile, En., 7, 750-755; Horace, Ep., 5, 73; Stace, Pun., 5, 73. 40 «Il n'est d'ailleurs personne qui ne redoute d'étre envoüté par des priéres maléfiques» (28, 19). Traduction A. Ernout modifiée.

41 «Il me plait, pour confirmer ces observations, de faire appel à la conscience de chacun» (28, 22). Voir également 28, 14, oü Pline souligne que de nombreux auteurs soutiennent que les grands événements annoncés par le destin et par des présages peuvent étre modifiés avec des paroles (Multi uero magnarum rerum fata et ostenta uerbis permutari). 42 Volgus et gratiam corpori in VIIII dies, friuolo quidem ioco, cui tamen aliqua debeat subesse

causa in tanta persuasione («Le vulgaire, lui, croit qu'il confére au corps de la beauté pour neuf jours, et cela sans doute par simple jeu de mots, mais cette croyance est si répandue qu'elle doit

avoir quelque fondement»; 28, 260). 53 Op. cit., p. 99: «... bleibt er der traditionellen Volksmeinung verpflichtet, die er als naturge-

gebene Erfahrung, d. h. als eine Art empirischen Beweis ansieht». 44 28, 14-15; le passage commence ainsi: L. Piso primo Annalium auctor est... 45 28, 18: Verrius Flaccus auctores ponit, quibus credat... 46 28, 21: Dixit Homerus profluuium sanguinis uolnerato femine Ulixen inhibuisse carmine, Theophrastus ischiadicos sanari, Cato prodidit luxatis membris carmen auxiliare, M. Varro podagris («Homère a dit qu'Ulysse arréta par une incantation l'hémorragie de sa cuisse blessée, Théophraste, que l'on guérit la sciatique de la méme facon; Caton a publié une formule salutaire

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien

93

lustres sont donnés comme exemples de croyance en l'efficacité de la parole ou des rites: César qui récite un carmen avant de monter en voiture “7, M. Servilius Nonianus, princeps ciuitatis, qui porte une amulette écri-

te ^, et Mucianus, ter consul, qui porte également une amulette 35. Une telle accumulation d'illustres personnages laisse entendre que des autorités aussi reconnues n'ont pas pu se tromper Ὁ. Enfin, dans tout le développement incriminé, Pline ne se dissocie pas de ceux qui accomplissent un certain nombre d'actes superstitieux en employant souvent la premiére personne du pluriel. Par exemple: Vestales nostras hodie credimus nondum egressa urbe manci-

pia fugitiua retinere in loco precatione ?!. Le fragment du paragraphe 22 au

paragraphe

méme

personne 52.

25

est également

presque

entiérement

rédigé

à la

Bien plus, Pline semble affirmer lui-méme l'efficacité des carmina. Aprés avoir évoqué deux présages annongant la gloire de Rome, qui auraient pu étre détournés par des paroles à l'instigation d'un devin étrusque,

il ajoute: Haec

satis sint exemplis

ut appareat ostentorum

uires et in

nostra potestate esse ac, prout quaeque accepta sint, ita ualere 53. Il note, apres lévocation du rite de l’enterrement vivant d'un couple originaire d'une nation en guerre avec Rome: Cuius sacri precationem... si quis legat,

profecto uim carminum fateatur, omnia ea adprobantibus DCCCXXX anno-

pour les luxations des membres, et M. Varron «une autre» pour la goutte»); voir Homère, Od., 1,

455, oü ce sont en réalité les fils d'Autolycos qui guérissent ainsi Ulysse; Théophraste, fr. 87, éd. Wimmer; Caton, Agr., 160; Varron, R.R., 1, 2, 27.

47 28, 21: Caesarem dictatorem post unum ancipitem uehiculi casum ferunt semper, ut primum consedisset, id quod plerosque nunc facere scimus, carmine ter repetito securitatem itinerum aucupari solitum («On rapporte que le dictateur César, aprés une dangereuse chute de voiture, avait coutume, chaque fois qu'il s'installait dans un véhicule, de répéter trois fois une formule

magique afin d'assurer la sécurité de ses déplacement, usage qui, comme on le sait, est maintenant généralisé»).

48 28, 29. Il s'agit de l'amulette portant les deux lettres grecques PA que nous avons déjà évoquée (voir n. 22). M. Servilius Nonianus, issu d'une illustre famille, était un sénateur, devenu consul en 35 ap. J.-C. (Tacite, Ann., 6, 31; Dion Cassius, 58, 25); c'était également un historien, cité par Tacite (Dial., 23) et par Quintilien (10, 1, 102). Voir RE, s. v. Servilius n? 69.

49 Le personnage mentionné est C. Licinius Mucianus, membre de la gens Scaeuola, consul pour la première fois sous Claude en 52. Il joua un grand róle dans l'avènement de Vespasien et sous son regne, ce qui explique qu'il fut consul également en 70 et 74. Il était aussi l'auteur de Mirabilia, que cite Pline à diverses reprises. Voir RE, s. v. Licinius n? 116. 50 Les références à des personnages illustres n'ont pas dans ce passage le róle, relevé par G. Serbat, qu'a souvent l'indication d'une référence dans l'Histoire Naturelle, celui de marquer une distance, une réserve par rapport à ce qui est dit (G. Serbat, La référence comme indice de distance

dans l'énoncéde Pline l'Ancien, «Rev. de Philol », 47, 1973, 38-49). 51 «Aujourd'hui encore nous croyons que nos vestales retiennent sur place par une prière les esclaves fugitifs tant qu'ils ne sont pas sortis de Rome» (28, 13). Traduction A. Ernout modifiée. 52 Sur cet emploi de la premiere personne du pluriel, voir l'allusion d'A. Baümer, op. cit., p. 99.

53 «En voilà assez pour démontrer par des exemples que l'action des présages est en notre pouvoir et que leur valeur dépend de la facon dont on les interprete» (28, 17).

94

Patricia Gaillard-Seux

rum euentibus °*. Aprés avoir évoqué la priére des vestales, que nous avons mentionnée plus haut, il précise: Cum, si semel reciapitur ea ratio, et deos preces aliquas exaudire aut ullis moueri uerbis, confitendum sit de tota coniectatione >. C'est ensuite qu'il donne la caution des ancétres qui ont cru de tout temps à la réalité de tels faits. Lorsqu'il enchaîne sur une série d'usages

plus ou moins

superstitieux, observés

dans la Rome

de son épo-

que, il précise: Etiam mutas religiones pollere manifestum est 56. Toutes ces remarques

de Pline paraissent

indiquer que, méme

si on ne

l'avoue pas, sans doute pour ne pas paraitre superstitieux, tout le monde croit au pouvoir

preuves.

de la parole,

Le choix d'exemples

l'opinion commune

et que,

romains,

pour

lui, en tout cas,

il a fait ses

la caution des ancétres,

et aux autorités éminentes,

l'appel à

l'affirmation de l'efficacité

de certains carmina et des rites en général lui permettent d'en arriver plus facilement et de maniére admissible à cette conclusion implicite alors que

sa condamnation vigoureuse de la magie lui interdisait de recourir à des exemples issus de sources ostensiblement magiques et ne pouvait qu'accentuer son embarras. T. Koeves-Zulauf et A. Baümer, après étude de ce fragment du livre 28, estiment, pour leur part, que Pline croit au pouvoir

de la parole °”. Un passage du livre 2 semble d'ailleurs confirmer cette adhésion du naturaliste, qui y montre une attitude trés proche de celle du livre 28. Il rap-

pelle: Exstat Annalium memoria sacris quibusdam et precationibus uel cogi fulmina uel impetrari °®. Or, dans le livre 28, Pline souligne la croyance des Anciens en cette possiblité ??. Il ajoute plus loin: Imperare naturae sacra audacis est credere, nec minus hebetis beneficiis abrogare uires, quando in fulgurum quoque interpretatione eo profecit scientia, ut uentura alia

finito die praecinat et an peremptura sint factum aut prius alia facta quae lateant, innumerabilibus in utroque publicis priuatisque experimentis 90.

54 «Quiconque lira la priére de ce sacrifice... devra reconnaitre le pouvoir de ces formules, pouvoir d'ailleurs entiérement confirmé par huit cent trente ans de succes» (28, 12). Traduction A. Ernout modifiée. 55 «Cette opinion une fois admise avec la croyance que les dieux exaucent certaines prières ou se laissent toucher par quelques paroles, il faut alors reconnaitre la totalité de la conjecture»

(28, 13). 56 «Il est manifeste que certains actes religieux, méme sans paroles, ont leur pouvoir» (28, 24). 57 T. Koeves-Zulauf, op. cit., p. 31: «Es kann mithin auf mittelbarem ebenso wie auf unmit-

telbarem Wege festgestellt werden, dass Plinius an die aussergewóhnliche, reliogiós-magische Macht der menschlichen Worte glaubt»; A. Bäumer, op. cit., 99: «Es ist sich also insgesamt gezeigt, dass für Plinius die Macht des Wortes erwiesen ist». 58 «Il ressort de la tradition annalistique que gräce à certains rites et certaines prières, on commande ou on obtient la foudre» (2, 140). 59 Voir p. 91 et n. 34.

60 «Il est aussi audacieux de croire que la nature obéit à des rites que stupide de leur refuser un pouvoir bienfaisant: car dans l'explication de la foudre également la science a fait de tels progrès qu'elle peut en prédire l'arrivée à jour fixé et annoncer si les foudres à venir annuleront l'ef-

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien

95

Pline veut parler ici des foudres en tant que présages. Pour lui, c'est la nature qui envoie ces signes divinatoires, qui obéissent donc à une loi na-

turelle, tout comme par exemple les météores, autres signes divinatoires, dont Pline dit nettement qu'ils sont régis par une loi naturelle inconnue $!.

Le naturaliste s'appuie donc sur l'existence d'une telle loi naturelle pour envisager par contamination l'éventuelle efficacité des sacris et precationi-

bus destinés à provoquer la foudre. La reconnaissance du pouvoir de la parole et des rites est donc ici trés proche.

Toutefois,

à la fin du paragraphe,

Pline adopte l'attitude du chroni-

queur objectif et souligne la diversité des opinions sur la question: Quam ob rem sint ista ut rerum naturae libuit, alias certa alias dubia, aliis proba-

ta aliis damnanda: nos de cetero quae sunt in his memorabilia non omittemus ©. Toujours sur le méme sujet, il admet: Varia in hoc uitae sententia et pro cuiusque animo 53.

Or, dans le passage développé du livre 28, Pline arrive à une conclusion assez proche puisqu'il finit en disant: Quapropter de iis ut cuique libitum fuerit opinetur **. Cette conclusion,

peu satisfaisante pour nous, était dans

la tradition de ce type de livre, compendium scientifique oü le lecteur prend ce qui lui plait 9. Pline adopte la méme formule au sujet de sujets plus nettement scientifiques à nos yeux, par exemple à propos de la respiration des poissons oü il conclut également: Quam ob rem de his opinetur ut cuique libitum erit 55. Pourtant, lorsque le naturaliste laisse ainsi le lecfet d'une foudre passée ou bien expliquer des foudres antérieures demeurées jusque là obscures, l'un et l'autre cas étant vérifiés par d'innombrables exemples tant publics que privés» (2, 141). 61 Arque ego haec statis temporibus, naturae ut cetera, arbitror existere, non, ut plerique, uariis de causis, quas ingeniorum acumen excogitat, quippe ingentium malorum fuere praenuntia; sed ea

accidisse non quia haec facta sunt arbitror, uerum haec ideo facta quia incasura erant illa, raritate autem occultam eorum esse rationem ideoque non, sicut exortus supra dictos defectusque et multa

alia, nosci («A mon sens, tous ces météores se manifestent périodiquement, comme les autres phénomènes de la nature, et ne dépendent pas, comme le croient la plupart des hommes, des causes variées qu'imaginent des esprits ingénieux. Ils furent sans doute les présages d'immenses

malheurs; mais ces malheurs n'arrivérent pas, je crois, parce que des météores étaient apparus; au contraire, ceux-ci apparurent parce que les catastrophes étaient imminentes. Cependant leur rareté cache la loi qui les régit et les empéche d'étre connus comme le sont les levers d'astres, les éclipses, dont nous avons parlé plus haut, et bien d'autres phénoménes»; 2, 97). Le mot ratio est

l'un de ceux que Pline emploie lorsqu'il veut désigner une loi de la nature, à cóté de lex, ritus et ordo, voir F. Larbre, Ordre et nature chez Pline l'Ancien, thése de 3* cycle en philosophie, Poitiers 1981, dactylographiée, p. 119. 62 «Que ces signes soient donc tels qu'il a plu à la nature, tantót certains, tantót douteux, évi-

dents pour les uns, à rejeter pour les autres: pour notre part, nous n'omettrons pas ce qu ils offrent de mémorable» (2, 141). 63 «Lopinion de l'humanité sur ce point est variable et suit les dispositions de chacun» (2, 141); traduction J. Beaujeu modifiée.

64 «Libre à chacun d'en penser ce qui lui plaira» (28, 29). 65 G. Bachelard a bien noté que jusqu'au XVIIIe siècle, le livre de science est un dialogue entre l'auteur et le lecteur, oü l'on tient compte des centres d'intérét du lecteur et de son point de vue (La formation de l'esprit scientifique, Paris 1938; éd. Vrin, 1983, p. 25 sv...). 66 «Libre à chacun d'en penser ce qui lui plaira» (9, 18).

96

Patricia Gaillard-Seux

teur libre, c'est souvent pour lui une maniere d'exprimer sa propre incertitude. En effet, par ailleurs, il ne craint pas de donner son opinion quel que soit le sujet: il critique violemment et il condamne la magie δ΄ ainsi que la médecine de son temps 55; sur un sujet scientifique, comme la nature de l'ambre, il se fait un plaisir d'établir ce qu'il estime étre la vérité 9°; évoquant le transport et l'exposition d'un phénix à Rome, il tranche en af-

firmant que c'est un faux phénix 79. Pline hésite donc à adhérer complètement et ouvertement à une croyance qu'il sait rejetée par ce que nous ap-

pellerions des intellectuels éminents, les sapientissimi évoqués au début du développement du livre 28.

Bien plus, il fait des réserves. En particulier, aprés diverses allusions à des charmes

utilisant la parole: Neque est facile dictu externa uerba atque

ineffabilia abrogent fidem ualidius an latine inopinata, et quae inridicula uideri cogit animus semper aliquid inmensum exspectans ac dignum deo mouendo,

immo

tations contre

uero quod numini imperet ?!. Il évoque ensuite des incanla gréle, certaines

maladies

et les brülures, dont

il affirme

que plusieurs ont été éprouvées, mais il précise que devant la diversité des opinions qu'elles suscitent, il ressent une grande géne à les révéler: Carmina quidem

extant contra grandines

contraque

morborum

genera

contraque

ambusta, quaedam etiam experta, sed prodendo obstat ingens uerecundia in tanta animorum uarietate 12; il se peut qu'il s'agisse d'incantations incompréhensibles. En effet, la méme attitude apparait dans le livre 17, oü le naturaliste note: Quippe cum auerti grandines carmine credant plerique, cuius uerba inserere non equidem serio ausim, quamquam a Catone proditis

contra luxata membra iungendae harundinum fissurae ?. Or l'incantation de Caton contient des termes incompréhensibles 74, alors que dans les

67 Voir n. 1. 68 Voir notamment 29, 1-28.

69 37, 31-46. 70 10, 5: Sed quem falsum esse nemo dubitaret («Mais c'était, personne n'en douterait, un faux phénix»). Voir aussi par exemple en 7, 165, oü il repousse l'idée que les astres déterminent la vie d'un individu. 71 «Mais il n'est pas facile de dire ce qui ébranle le plus la confiance en ces pratiques; sont-ce

les termes barbares et impossibles à prononcer ou les étranges mots latins dont le ridicule n'échappe pas à l'esprit, qui, lui, attend toujours quelque chose de sublime qui soit capable d'émouvoir la divinité et bien plutót de lui commander» (28, 20).

72 «Il existe des incantations les suscitent», je 73 «On croit

aussi contre la gréle, contre certaines espèces de maladies, contre les brülures, dont plusieurs ont été éprouvées, mais, devant la diversité des opinions «qu'elressens une grande géne à les révéler» (28, 29). en effet généralement qu'on détourne la gréle par une incantation dont je n'ose-

rais vraiment pas donner sérieusement les paroles, bien que Caton ait rapporté une incantation

contre les luxations qu'on doit employer en méme temps que les attelles de roseau» (17, 267). 74 Le passage sur la célébre formule de Caton contre les luxations est ainsi rapporté par les

manuscrits: /ncipe cantare — in alio s. f.: «Moetas uaeta daries dardaries asiadarides una petes», usque dum coeant -: «motas uaeta dardares astataries dissunapiter», usque dum coeant... Et tamen

cotidie cantato — in alio s.f. [uel] luxato uel hoc modo: «huat hauat huat ista pista sista dannabo

La place des incantations dans les recettes médicales de Pline l'Ancien

97

deux passages relevés, il est question d'incantation contre la gréle. Il est fort peu probable que ce soit par crainte de l'efficacité de ces carmina quil évite de les retranscrire, comme le pense A. Baümer 75, étant donné

les remarques

sur le caractére ridicule des incantations

incompréhensi-

bles. Lattitude globale de Pline montre donc que, sans trop l'avouer, il est tout disposé à croire au pouvoir de la parole, mais avec des réticences à cause de l'opinion des gens éclairés et de l'aspect ridicule des termes incompréhensibles. C'est cette attitude qui explique sans doute en grande

partie la place faite aux incantations dans son ceuvre. L'absence d'incantations incompréhensibles tout d'abord. Leur aspect ridicule suffit à les écarter du texte de l'Histoire Naturelle. Il se peut que le méme souci du ridicule lui ait fait exclure les ἀδύνατα. La quasi absence dans les recettes d'incantations constituant à elles seules le remède ne peut relever que d'un choix, qui s'explique soit par les réticences du naturaliste à adhérer complétement à la croyance au pouvoir de la parole, soit par le souci de ne pas choquer les lecteurs sapientissimi qui rejettent cette croyance. C'est ainsi qu'il finit par faire place presque uniquement aux incantations sim-

ples, trés anodines, et à un petit nombre d'incantations qui apparaissent comme

un adjuvant du remède.

Mais la présence méme

de ces incantations, dans les limites que s'est

fixées Pline, pose question.

Elle ne peut étre due à un désir de transmettre

un savoir déjà publié 79, puisque nous venons de voir que dans le domaine des carmina, le naturaliste a fait des choix. Étant donné sa remarque sur une loi naturelle inconnue à propos des météores et son acceptation assez

large du pouvoir des mots, il est probable qu'il n'a pas voulu priver ses lecteurs de secours qui pouvaient étre réels. C'est d'autant plus envisageable qu'ailleurs, aprés un passage trés critique sur la médecine astrologi-

dannaustra — [et luxato uel hoc modo]: «Huat haut haut istasis tarsis ardannabou dannaustra» («Commencez l'incantation - un autre manuscrit porte: «moetas uaeta daries dardaries asiadari-

des una petes», jusqu'à ce que les moitiés se rejoignent -: «motas uaeta daries dardares astataries dissunapiter», jusqu'à ce que les moitiés se rejoignent... Cependant, chaque jour faites l'incantation - un autre manuscrit porte: [ou] pour la luxation ou bien de cette facon: «huat hauat huat ista pista sista dannabo dannaustra - [et pour la luxation ou bien de cette facon]: «huat haut

haut istasis tarsis ardannabou dannaustra»» Agr., 160). Nous ne nous attarderons pas sur les problèmes d'établissement du texte et de traduction posés par ce fragment, l'essentiel est pour nous ici qu'il s'agisse de toute facon d'une incantation incompréhensible. 75 Op. cit., p. 97. 76 Le naturaliste se retranche en effet parfois derriere ce souci, lorsqu'il admet dans son ouvrage des faits discutables. Ainsi, après l'évocation de diverses hypotheses concernant la distance des astres et des nuages, l'encyclopédiste souligne: Inconperta haec et inextricabilia, sed prodenda, quia sunt prodita («Tout cela est obscur et inextricable, mais doit étre publié pour l'avoir déjà été»; 2, 85); après une série de remèdes animaux fort suspects, il écrit: Vix est serio complecti quaedam, non omittenda tamen, quia sunt prodita («Beaucoup de ces recettes ne doivent pas étre prises au sérieux; il ne faut cependant pas les omettre, puisqu'elles ont été publiées»; 30, 137).

98

Patricia Gaillard-Seux

que, il dit étre prét à retranscrire les remédes des mages dont l'efficacité est vraisembable:

lethargum

Ex

istis confessa

aut

certe

uerisimilia

olfactoriis excitari ". Or le développement

du

ponemus,

sicuti

livre 28 sur le

pouvoir des carmina se justifiait par le souci de le faire servir à l'homme, c'est-à-dire de l'utiliser parmi les remédes. On ne peut donc exclure que la présence limitée d'incantations dans l'Histoire Naturelle corresponde à une manière de retenir dans la magie, malgré toutes les condamnations dont

Pline l'accable, ce qui, dans ses aspects les plus bénins, en fait une science de la nature susceptible de servir l'homme.

ΤΊ «Parmi leurs remèdes, nous citerons ceux dont l'efficacité est incontestable ou parait, du moins, vraisemblable, comme de réveiller les léthargiques avec des odeurs fortes» (30, 97).

Frédéric Le Blay

LES CONTROVERSIAE DE SÉNEQUE LE RHÉTEUR ET LA PRÉFACE DU DE MEDICINA DE CELSE: L'ARTISTE ET LE MÉDECIN, HISTOIRE DE REGARDS Dans sa trés belle étude consacrée à L'image du corps dans l'oeuvre de Virgile ', Philippe Heuzé affirme, aprés avoir scrupuleusement recensé et classifié le lexique de l'anatomie et de la physiologie mis en oeuvre par le poète augustéen, que le regard de l'artiste diffère de celui du médecin. Alors que le regard du médecin cherche à percer l'enveloppe corporelle, celui de l'artiste s'arréterait à la surface, à l'apparence externe et immédiatement visible du corps, ne montrant de l’anatomie et de la physiologie que ce que la nature veut bien offrir à son ceil. Ces conclusions portées

par l'auteur sur Virgile sont incontestables; toutefois, envisageant d'autres textes - celui de Lucain en particulier - l'auteur de l'étude reconnaít déjà,

à raison, une plus grande incertitude. Nous voudrions montrer que cette opposition entre le médecin et l'artiste, loin de pouvoir étre érigée en prin-

cipe, suscite au contraire une série de questions; à cette fin, laissant de cóté l'écriture poétique, nous porterons notre attention sur l'art visuel par

excellence, la peinture. En effet, tandis que l'anatomiste cherche à voir, à élargir le domaine du visible en faisant reculer les frontieres de l'invisible,

le peintre, lui, cherche à faire voir, à rendre visible méme l'invisible. À de multiples égards,

les termes

du débat scientifique et épistémologique

re-

coupent ceux du débat esthétique. Le Prométhée de Parrhasios: Les Controuersiae de Sénéque

le Rhéteur

nous

livrent

une

anecdote

sur le peintre Parrhasios qui est sans doute la fable la plus troublante qu'un auteur ancien nous ait laissée sur un artiste. Cette petite histoire sur Parrhasios et son Prométhée - la fameuse controverse 5 du livre 10 occupe dans l'histoire de l'art et la littérature sur l'art une place de premier ordre; les études sur la peinture et l'art des Anciens ne manquent pas de la citer, alors que l'ouvrage

de Sénéque

! Collection de l'École francaise de Rome, Rome 1985.

le Rhéteur

reste, quant

à

100

Frédéric Le Blay

lui, malconnu 2. Rappelons d'abord brièvement les faits présentés dans ce texte: le célébre peintre Parrhasios d'Éphése est mis en scene torturant, ou plutót faisant torturer par ses assistants, un vieil esclave afin de pouvoir représenter le supplice de Prométhée. La fable, saisissante, constitue pour nous l'unique témoignage antique sur la cruauté et la folie auxquelles la poursuite de la perfection artistique peut conduire ?. Si la controverse 10, 5 est originale et unique - en tant que controverse - parce qu'elle nous présente un des plus grands peintres de l'antiquité en pleine activité créatrice, la situation sur laquelle elle se fonde ainsi que la structure de son développement

n'en possèdent pas moins

un modèle,

ou

un équivalent, dans l'ensemble du corpus des Controversiae. En effet, nous ne pourrions pas nous livrer à une analyse structurelle de notre controver-

se sans la comparer à la controverse 5 du livre 2, Torta a tyranno pro marito. Ces deux textes doivent, comme nous allons le montrer, étre lus en miroir l'un de l'autre, dans un double rapport d'analogie thématique et formelle. Dans la controverse du livre 2, une femme, torturée par un tyran qui souhaitait faire la lumiére sur un complot ourdi par son mari, a fait preuve d'un grand courage

en persistant à dire qu'elle ne savait rien. Plus

2 Il conviendrait plutót de dire que ses controverses ont été quelque peu oubliées des lecteurs modernes;

en effet, les seules

éditions

intégrales

modernes

avec

traduction

des oeuvres

de

Sénèque le Rhéteur, Controuersiae et Suasoriae, sont celles de H. Bornecque, CUF, Les Belles Let-

tres, Paris, 2ème éd. 1932 (reprise sous le titre Sentences, divisions et couleurs des orateurs et des rhéteurs, préface de P. Quignard, Aubier, Paris 1992), et de M. Winterbottom, Loeb Classical Library, Harvard University Press, Cambridge-London 1974. Les préfaces des Controuersiae ont été traduites par L.A. Sussman, in Speech Monographs 37, 1970, 135-151. Il n'y a pas eu de commen-

taire des Controuersiae depuis le XVIIIéme siécle et nous n'avons qu'un commentaire moderne des Suasoriae, avec traduction, celui de W.A. Edward, The Suasoriae of Seneca the Elder, Cam-

bridge 1928. Toutefois, ce texte a eu une influence considérable sur plusieurs genres littéraires de l'Antiquité jusqu'au Moyen-Äge et à la Renaissance. Ce texte délaissé par les éditeurs et commentateurs contemporains appartient en effet à un genre, la déclamation, qui a joué un róle fonda-

mental dans la culture et l'éducation des élites du Ier siècle de notre ère. Selon L.A. Sussman, in The Elder Seneca, «Mnemosyne, Bibliotheca Classica Batava», 51, Leiden 1978, 1: Latin literature and style were never the same again, so extensively and immediately did declamation affect the

literary trends of the period. Sur ce genre et son histoire, cf. S. F. Bonner, Roman Declamation in the Late Republic and Early Empire, Liverpool 1949, rééd. 1969; H. Bornecque, Les déclamations

et les déclamateurs d'aprés Sénèque le Père, Lille 1902; J. Cousin, Études sur Quintilien, I. Contribution à la recherche des sources de l'Institution oratoire, Paris 1935; G. Francois, «Declamatio et

Disputatio», «L.Antiquite classique» 32, 1963, 513-540; A. Oltramare, Les origines de la diatribe romaine, Lausanne 1926.

3 Des épisodes similaires nous sont rapportés à propos de grands artistes modernes. Ainsi A. Rumpf, in «Parrhasios», «American Journal of Archaeology» 55, 1951, 1-12, remarque que l'anecdote est racontée sous une forme similaire à propos de Michel - Ange et de Rubens; E. Kris & O. Kurz, in Legend, Myth and Magic in the Image of the Artist,

A Historical Experiment, préf. de

E.H. Gombrich, Yale University Press, New Haven-London 1979 (1ére éd. Vienne 1934), associent la méme légende au méme Michel-Ange et au sculpteur baroque autrichien Franz Xavier Messerschmidt. Nous pouvons d'emblée affirmer que ces fables semblent avoir pour source commune la controverse de Sénèque, ce qui nous permet d'avancer que ce texte fait en quelque sorte partie de la mémoire collective de l'histoire de l'art.

Les Controversiae de Seneque le Rhéteur et la preface du De medicina... 101 tard, son mari tua le tyran. Il divorga ensuite d'elle sous le prétexte de sa

stérilité, puisqu'elle n'avait pu enfanter aprés cinq ans de mariage. Lépouse répudiée

le poursuit

pour

ingratitude.

Le théme

central de la torture

suggere d'emblée une analogie entre ce cas et celui de Parrhasios.

Dans

les deux cas, nous avons une victime faible et sans défense, une femme et un vieillard, et un bourreau tout puissant assisté de serviteurs. Car ni Parrhasios ni le tyran ne se livrent directement à la torture; ils n'en sont que les commanditaires et spectateurs. Cette premiére analogie se retrouve dans la description des deux épisodes: les déclamateurs mettent en scene le peintre et le tyran non pas agissant mais donnant des ordres. Ainsi dans la controverse 2, 5, nous trouvons une série d'impératifs: Instabat

tyrannus: torque: illa pars etiam potest; subice ignes: in illa parte iam

exaruit cruor; seca, uerbera, oculos lancina, fac iam ne uiro placeat matrix (6).

«Le tyran insistait: torture-la: cette partie peut encore endurer; brüle-la: sur cette partie le sang est déjà sec; écorche-la, frappe-la, arrache lui les yeux, fais en sorte qu'elle ne porte plus d'enfant pour son mari». Aiebat tyrannus: ure, caede uentrem (...) Caede uentrem, ne tyrannicidas pariat (7). «Le tyran disait: brüle la, frappe son ventre (...) Frappe son ventre, afin qu'elle ne puisse pas enfanter de tyrannicide».

Dans la controverse 10, 5, nous retrouvons les mémes impératifs: Aiebat tortoribus; sic intendite, sic caedite, sic istum quem

fecit cummaxime

uul-

tum seruate, ne sitis ipsi exemplar (3). «Il disait aux bourreaux: tiraillez-le comme cela, frappez-le comme cela, entretenez cette expression qu'il vient juste de faire voir, si vous ne voulez pas vous-mémes servir de modele». Torque, uerbera, ure: sic iste carnifex colores temperat (...) Etiamnunc torque, etiamnunc; bene habet, sic tene, hic uultus esse debuit lacerati, hic morientis (10). «Torture, frappe, brüle: c'est ainsi que ce boucher mélange ses couleurs (...) Torture-le encore, encore; c'est bon, maintiens le comme cela, cette expression était assurément celle d'un homme mutilé, celle d'un mourant».

Dans les deux cas, nous voyons bien que le commanditaire est un spectateur attentif aux moindres réactions du corps de sa victime, et qu'il donne des ordres précis en fonction de ce qu'il cherche à obtenir d'elle. Nous pouvons déceler un autre parallélisme formel dans le constat de l'inefficacité de la torture: Caeditur: tacet; uritur: tacet (2, 5, 8).

«On la frappe: elle garde le silence; on la brüle: elle garde le silence». Caeditur; parum est, inquit; uritur: etiamnunc parum est; laniatur: hoc, inquit, «in» irato Philippo satis est, sed nondum in irato Ioue (10, 5, 1). «On le frappe: ce n'est pas assez, dit-il; on le brüle: ce n'est toujours pas assez; on

102

Frédéric Le Blay

le lacère:

cela, dit-il, c'est assez

pour

la colère de Philippe,

mais

pas assez pour

celle de Jupiter».

Malgré tous leurs efforts dans la cruauté, ni l'artiste ni le tyran ne par-

viennent au résultat qu'ils ont en vue; la femme garde le silence, et le vieil olynthien n'exprime

pas suffisamment

sa souffrance.

Notons

que dans les

deux cas, c'est à un refus ou une absence d'expression que les bourreaux se heurtent ^. Nous pouvons donc en tirer une première conclusion, en disant

qu'il est possible d'assimiler Parrhasios au tyran de la controverse 2, 5. Les différents orateurs intervenant dans le débat sur Parrhasios suggèrent d'ailleurs à plusieurs reprises cette assimilation; ainsi le grec Nicetes: εἰ πυρὶ «καὶ» σιδήρῳ ζωγραφοῦνται, τίνει» ruppavovvrai; (23).

«Si l'on peint les hommes au moyen du feu et du fer, qu'utilisera-t-on pour leur imposer la tyrannie?»

et Romanius Hispo surenchérit à sa suite: ignis, ferrum, tormenta: pictoris ista an Philippi officina est?

«Le feu, le fer, les instruments de torture: est-ce l'atelier d'un peintre, ou celui de

Philippe?»

Musa avait déjà comparé un peu plus haut Parrhasios à Philippe lui-méme: Narraturus sum Olynthi senis ignes, uerbera, tormenta: aliquis nunc me Philippo putat. Dii deaeque te perdant ! misericordem Philippum fecisti. Si tis, iratum louem imitatus est, si nobis, iratum uicit Philippum (6). «Je vais raconter les brülures, les coups, les tortures soufferts par Olynthien: on pense alors que mes plaintes portent contre Philippe. Que et les déesses t'anéantissent! Tu as fait de Philippe un miséricordieux. Si

queri de isti crediun vieil les dieux vous l'en

croyez, il a représenté la colere de Jupiter, si vous m'en croyez, il a surpassé la colére de Philippe».

À partir de la question de Romanius

Hispo, il est possible de dévelop-

per l'analogie entre le peintre et le bourreau; tous deux exercent leur activité dans un ‘atelier’ (officina) c'est-à-dire un lieu où ils ont sous la main assistant et outils nécessaires. Le pinceau du peintre devient un outil de torture, et son vient torture.

apprenti

un

assistant

Statuitur ex altera parte Parrhasius cum flagellis, eculeis (9).

bourreau.

coloribus,

La pratique

artistique de-

ex altera tortor cum

ignibus,

4 On peut noter, dans le cas de l'épouse torturée, la présence en arrière-plan d'un motif medical, puisque dans la pensée hippocratique, la bouche et le vagin de la femme sont deux organes analogues et correspondants; ainsi, le silence de la bouche a pour conséquence immédiate la

stérilité de la matrice.

Les Controversiae de Seneque le Rhéteur et la préface du De medicina...

103

«D'un cóté se campe Parrhasios avec ses couleurs, de l'autre le bourreau avec le feu, le fouet et le chevalet de torture».

Une autre analogie est développée par Latro: In argumentis dixit quantum semper artibus licuisset: medicos, ut uim ignotam morbi cognoscerent, uiscera rescidisse; hodie cadauerum artus rescindi ut neruorum articulorumque positio cognosci possit (17). «Il fit valoir entre autres arguments tout ce qui avait toujours été permis aux arts: les médecins, afin de connaitre la cause cachée d'une maladie, avaient disséqué des entrailles; on disséquait tous les jours des parties de cadavres, afin de connaitre la position des nerfs et des articulations».

C'est une autre pratique qui est avancée ici, celle de la dissection, qui, il est vrai, possède toutes les apparences de la torture. Avec ce parallele, le

pinceau se fait tantót instrument de torture, tantót scalpel. L'analogie suggere explicitement une assimilation du médecin au bourreau?. On doit évidemment ici se demander quel sens il convient d'attribuer à la condamnation de cette manière de pratiquer l'art. Car l'exemple emprunté à l'ars medicina fournit un argument de bien peu de poids. La cruauté du peintre semble

bien

étre légitimée

au

nom

de la connaissance;

c'est au

nom

de

leurs arts, de leurs artes respectives, que médecin et peintre agissent de la sorte. Mais la préface de Celse nous montrera justement que cette justification ne va pas de soi. Si condamnation

l'objet: condamne-t-on

il y a, il faut alors en identifier

un peintre en particulier, ou

l'art en général?

Ou

bien cette fable n'est-elle que prétexte à un exercice rhétorique 9?

ars et natura:

Pour déculpabiliser la femme

de sa stérilité, l'un des orateurs de la

controverse 2, 5, Papirius Fabianius, introduit l'argument suivant: 5 Tl s'agit de l'un des thèmes de la préface du De medicina, sur lequel nous allons revenir. Le texte de Sénèque se fait en effet l'écho d'un débat très vif à son époque sur la figure du médecin. Les meurtres

par empoisonnement

sont un motif récurrent dans ses controverses;

of, dans les

critiques et condamnations dirigées contre la profession médicale à Rome, l'accusation d'empoisonnement,

revient souvent. Le médecin-empoisonneur est ainsi traditionnellement associé au

médecin-boucher. Le médecin-assassin n'est pas une figure importante dans le texte de Sénéque - une seule controverse, 4, 5, met en scène un fils médecin refusant de soigner sa belle-mère. Le

motif est néanmoins un classique du genre comme en témoignent d'autres sources, les Déclamations de Calpurnius Flaccus (cf. l'édition commentée établie par L.A. Sussman, Mnemosyne, Bibliotheca Classica Batava, 133, Brill, Leiden-New York-Kóln 1994) et une déclamation attribuée à Quintilien (cf. A. Stramaglia, (Quintiliano) I gemelli malati: un caso di vivisezione (Declamazio-

ni maggiori, 8), Università degli Studi di Cassino, Cassino 1999). 6 Cette manière d'esquiver les questions posées par cette controuersia n'est pas, on l'aura

compris, le point de vue que nous avons choisi d'adopter. Si les controverses constituent certes des prétextes à débattre - les situations dont elles partent sont toutes plus improbables les unes que les autres, elles n'en appellent pas moins une interprétation et une lecture approfondies. Les questions qu'elles posent interrogent non seulement les pratiques sociales mais aussi l'éthique, telle que les écoles philosophiques tentent de la définir.

104

Frédéric Le Blay Expecta, potest parere; non respondet ad propositum nec ad certam diem fecundi-

tas; sui iuris rerum natura est nec ad leges humanas conponitur 1: modo properat et uota praecurrit, modo lenta est et demoratur «Attends, elle peut enfanter; la fertilité tes; la nature n'est sujette qu'à ses propres humaines: tantót elle se presse et précéde fait attendre».

(7). ne répond pas à des plans, ni à des dalois, et elle ne se règle pas sur les lois nos souhaits, tantót elle s'attarde et les

Les orateurs suivants vont développer à sa suite leurs arguments sur ce théme de la nature qu'on ne peut forcer. Le premier argument, celui du

méme

Papirius Fabianius, ainsi que ceux de Julius Bassus et d'Argenta-

rius, consistent à montrer que la stérilité de la femme est une conséquence des tortures qu'elle a dà subir. Le tyran s'est acharné sur son ventre afin qu'elle ne puisse pas enfanter; par conséquent si le mari est involontairement la cause des tortures qu'elle a dà souffrir, il est aussi la cause de sa stérilité. Mais l'orateur suivant, Triarius, nous donne la version la

plus éclairante sur ce théme: Non ex formula natura respondet nec ad praescriptum casus obsequitur; semper expectari fortuna mauult quam regi. Aliubi effunditur inprouisa segetum maturitas, aliubi sera magno fenore moram redemit. Licet lex dies finiat, natura non recipit. Aiebat tyrannus: indica; nulla tua culpa est; «tacet». Caeditur: tacet; uritur: tacet (8).

«La nature ne répond pas à un règlement, la chance n'obéit pas à un ordre; la fortune préfére toujours se faire attendre plutót que d'étre gouvernée. Ici la moisson mürit abondamment en avance, là elle s'attarde et compense son retard en offrant un grand profit. La loi peut fixer des dates, la nature ne les accepte pas. Le tyran disait: "Parle; la faute n'est pas tienne"; elle garde le silence. On la frappe: elle garde le silence; on la brüle: elle garde le silence».

Nous avons ici un jeu d'analogies assez complexe: la nature qui naccepte pas de se soumettre aux lois ou aux ordres, est à la fois la femme qui ne peut pas enfanter "sur commande" et la femme qui refuse de parler sous la torture. L'image de la moisson est un symbole de fertilité qui vaut à la fois pour la nature et pour la femme (la Mére Nature). Le mari qui veut forcer sa femme à enfanter est mis sur le méme plan que le ty-

ran qui veut la forcer à parler. Marcellus ajoute ainsi aux paroles de Triarius: Crudelior es etiam illo quem occidisti tyranno; ille torsit, sed dimisit ad uirum. «Tu es plus cruel que le tyran méme que tu as tué; il l'a torturée, mais il l'a renvoyée ... à son mari».

Le mari est ni plus ni moins associé par ces mots au tyran. Après avoir été rendue à son mari et à la suite du tyrannicide, la femme retrouve un 7 Nous qui soulignons.

Les Controversiae de Sénéque le Rhéteur et la préface du De medicina...

105

autre tyran, un autre bourreau: le mari prend la place de celui qu'il vient de supprimer.

Tous deux sont coupables de faire violence à une femme, de

faire violence à la nature. C'est donc sous un méme chef d'accusation que l'on peut les regrouper. Peut-on porter la méme accusation contre Parrhasios ? Parrhasios, en voulant représenter avec la plus grande exactitude les souffrances de Prométhée, est-il un criminel contre nature?

Dans leur remarquable ouvrage sur les biographies d'artistes, E. Kris et O. Kurz? essaient d'établir l'existence de liens entre les légendes concernant les vies d'artistes et certains traits invariants de la psyché humaine ?, que la psychanalyse avait commencé à définir. Le point de départ de cette étude est un travail que l'un des auteurs, E. Kris, avait publié peu de temps auparavant sur le sculpteur baroque autrichien Franz Xavier Messerschmidt !°. Il y mentionnait la rumeur selon laquelle l'artiste aurait cru-

cifié son modéle pour représenter l'agonie du Christ sur la croix, une fable qui avait pour origine le réalisme frappant de l'un de ses crucifix. Il n'est pas nécessaire de développer davantage sur cette rumeur pour voir combien elle est proche du texte de Sénéque. De fait, les deux critiques allemands ouvrent leur réflexion par l'affirmation selon laquelle on peut dé-

montrer,

dans les biographies, la récurrence de certaines préconceptions

au sujet des

artistes.

Selon

eux,

ces motifs

ont

une

origine

commune

et

remontent aux débuts de l'historiographie !!. Ils citent une autre légende, à propos d'un artiste des plus connus, Michel-Ange ?: le maitre italien aurait lui aussi mis en croix un jeune homme et l'aurait fait mourir afin de peindre son agonie. Différentes variantes existent autour de cette légende et les auteurs y associent l'histoire d'un docteur qui aurait tué un pele-

rin afin de pouvoir étudier la circulation du sang !.

8 Op. cit. 9 Ce sont les termes mémes qu'emploie E.H. Gombrich dans sa préface pour définir la teneur de cette étude à caractére expérimental.

10 Die Charakterköpfe des Franz Xavier Messerschmidt,

«Jahrbuch

Kunsthistorishes

Mu-

seum» VI, Vienne 1932, 169-228.

11 En effet, selon les auteurs de cette étude, toutes ces anecdotes sont liées à un inconscient collectif sur l'art et ne doivent pas étre tenues pour véritables: elles sont du domaine de la mythologie et de la fable. 12 Nous pensons que, comme dans le cas de Parrhasios, le fait que l'anecdote porte sur une grande figure artistique, et non pas sur un artiste obscur qui pourrait étre fictif, en renforce le caractére mythique. C'est en effet le propre des grandes figures de l'histoire que de susciter des légendes qui tendent à les faire sortir du domaine de l'histoire pour les faire entrer dans celui de la mythologie. E. Kris et O. Kurz montrent d'ailleurs bien que la biographie d'artiste a ses origines dans le monde grec - elle est presque absente du monde romain - et qu'elle est généralement

une collection de leitmotifs typiques qui tendent tous à présenter l'artiste sous le visage du héros. Ainsi, à propos des sculpteurs grecs, ils indiquent que grand nombre de nos connaissances ont une source unique, les Vies des Sculpteurs Grecs de Douris de Samos, qui ne nous est connue que

par des citations. Il semble que cette oeuvre adoptait la forme de l'anecdote et que chez les Anciens déjà elle avait la réputation d'étre peu fiable (cf. Plutarque, Vie de Pericles, 28). 13 Cfr. R. Engelmann, Ein neues «Urtheil Salamonis und die Friesbilder der Casa Tiburiana»,

106

Frédéric Le Blay

Pour E. Kris et O. Kurz, l'ensemble de ces légendes et des variations qui s'y rapportent ont pour origine l'image de l'artiste comme magi-

cien !5; l'artiste est un créateur, capable de déformer la réalité ou méme d'engendrer une autre réalité. À ce titre il se pose comme rival du Démiurge. Cette idée que l'artiste crée comme Dieu, qu'il est un alter deus est généralement centrale dans les biographies, particuliérement lorsqu'elles revétent la forme du mythe. S'il atteint l'excellence, l'artiste dépasse alors les bornes imposées à l'humanité et Dieu lui inflige un juste chátiment;

nous

avons

là, comme

Kris

et

Kurz

l'indiquent,

une

autre

version de l'histoire de la Tour de Babel. Or selon certaines traditions, cet édifice fut construit par des Géants du méme type que Prométhée. Le mythe de Prométhée lui-méme est une variation sur ce motif de la rivalité entre le Créateur et sa créature. Nous pensons ainsi que le sujet méme du tableau attribué par Sénéque à Parrhasios suggérait une réflexion sur la position de l'artiste par rapport à l'acte de création et à ses limitations; et c'est, selon nous, à une telle réflexion que Sénèque nous

invite,

sous

la forme

d'une

controverse.

Pour

compléter

ce motif

quils appellent «The Envy of the Gods» E. Kris et O. Kurz citent une version moins connue du mythe de Prométhée15, "Prometheus who overstepped his bounds by instilling breath into his sculptures". Selon cette version, Prométhée faconna les hommes à partir de l'argile, mais il n'était pas capable de leur insuffler la vie. Lorsqu'il parvint, avec l'aide de Minerve,

à voler le feu divin du

ciel, il fut également

capable

d'instiller une Ame dans ses créatures. Mais il fut puni pour sa présomption: il fut enchainé au Caucase, condamné à avoir son foie perpétuellement dévoré par un vautour. Le Prométhée qui surpasse ici le

lot qui lui est assigné - qui fait preuve d'hybris - et qui est par conséquent

chátié

est

un

Prométhée

créateur,

un

Prométhée

artiste,

un

sculpteur qui cherche à conférer la vie à son oeuvre. Cette audace de Prométhée est aussi celle de Parrhasios. En torturant un vieillard, modéle pour Prométhée, Parrhasios a usurpé la place de Jupiter. Gavius Silo s'exclame: Pro luppiter ! -- quem

enim

melius inuocem

aduersus Parrhasium

quam quem

imitatus est ? (I) «Par Jupiter ! - car quel dieu pourrais-je mieux invoquer contre Parrhasios que

celui qu'il a imité».

«Hermes»

XXXIX,

1904,

146-154.

Nous avons

de bonnes

raisons de penser que le texte de

Sénéque le Rhéteur est la source commune à toutes ces légendes. Or la référence au médecin qui doit travailler sur des cadavres afin d'acquérir la connaissance se trouve déjà dans notre texte, comme nous l'avons montré plus haut. 14 Pour les sources et le détail de ces traditions, cf. E. Kris et O. Kurz, op. cit. 84-85.

15 Elle est en tout cas absente de la Théogonie d'Hésiode.

Les Controversiae de Sénèque le Rhéteur et la préface du De medicina...

107

Argentarius: Hoc Promethea facere est, non pingere (3). «Cela, c'est faire un Prométhée, non le peindre». Triarius:

Sed ultrum uult Parrhasius eligat: parum pie aut infamauit Iouem aut imitatus est (5). «Mais que Parrhasios choisisse ce qu'il préfère: il a montré son peu de piété ou bien en portant l'infamie sur Jupiter ou bien en l'imitant».

Cornelius Hispanus: Non seruas propositum; hoc supra Promethea est. Tantum patiendum te Parrhasio quantum irato Ioue (6).

est pingen-

«Tu ne t'en tiens pas à ton plan; cela va au-delà de Prométhée. On ne devrait pas souffrir plus lorsque Parrhasios peint que lorsque Jupiter est en colere».

Le peintre n'a pas seulement voulu surpasser Philippe, il a aussi cherché à imiter, à surpasser le plus grand des dieux. En cela, il est compara-

ble à Prométhée !$, celui-là méme qu'il peint; il s'arroge un pouvoir que seul les dieux ont, il fait preuve d'hybris "7. Pourquoi Parrhasios?

À ce stade de notre réflexion, il semble nécessaire de poser la question de l'authenticité de cette expérience artistique inouie présentée par Sénè-

que le Rhéteur. En effet, ce qui nous parait troublant avant tout, c'est le caractére

insolite de cette anecdote

à propos

d'un peintre

qui n'est pas,

comme la plupart des personnages qui peuplent les Controversiae, un personnage

de fiction mais

un peintre

bien réel et, qui plus est, comptant

parmi les plus fameux et les mieux connus de l'Antiquité. Car si les ac-

16 Notons d'ailleurs que les deux criminels sont mis sur le méme plan par le titre donné à la controverse: Parrhasius et Prometheus. Peut-on y voir un effet recherché? La suggestion d'une assimilation semble en tout cas possible si l'on lit ce titre à la lueur du contenu de la controverse, c'està-dire si l'on procéde à une relecture du texte. C'est ce que nous essayons de montrer: ce texte peut

étre lu à deux niveaux, celui d'un cas de controverse fictif et celui d'une reflexion sur l'art et d'une condamnation déguisée d'un grand artiste et de l'esthétique qu'il représente. 17 De nombreuses sources s'accordent en effet pour dresser du peintre d'Éphese le portrait

d'un homme insolent, imbu de sa gloire et de son talent. Ces témoignages ont été regroupés dans le recueil Milliet, traduit et publié par A. Reinach en 1921 (Textes grecs et latins relatifs à l'histoire de la

peinture ancienne, présenté et annoté par A. Rouveret, Macula, Paris 1985); pour la personne de Parrhasios, on trouvera l'ensemble des passages aux pp. 220-243. Indiquons simplement que plusieurs sources présentent le peintre aimant se vétir d'un manteau de pourpre et se ceindre d'une couronne d'or. Selon Pline (35, 71), il se prétendait de la race d'Apollon et selon Thémistios (Orat. 2, 29c), ayant entrepris la figure d'Hermes, il fixa sur le tableau ses propres traits, par vanité.

108

Frédéric Le Blay

teurs des Suasoriae sont les plus grands noms de l'histoire et de la littérature anciennes (Alexandre, Xerxés, Agamemnon, Cicéron, etc.), les personnages qui peuplent l'autre partie de l'oeuvre de Sénèque sont des types que nous rencontrons dans la comédie ou les premiers romans;

teurs donnés comme

comme

ils sont les ac-

fictifs et typiques d'un genre qui se veut lui-méme

la présentation de situations

H. Bornecque !? parle méme

typiques. À propos

de roman

des Controversiae

ou de nouvelle; L.A. Sussman

les

qualifie d'oeuvre d'évasion 5. Avec les themes présentés par Sénéque nous avons non seulement des modeles de causes à plaider mais aussi des modeles

d'intrigues

romanesques 20, et lorsque

Quintilien

caractérise

l'évolu-

tion de la pratique déclamatoire par lintroduction de sujets comme les magiciens, les épidémies, les oracles et les belles-méres cruelles nous ne pouvons que penser aux Métamorphoses d'Apulée. Seules cinq controverses font référence à des personnages ou événements historiques ?!.

Léditeur

anglais

des

Controuersiae,

M.

Winterbottom ??, introduit

la

controverse consacrée à Parrhasios en indiquant d'emblée que la chrono-

18 Op. cit., 88-89. 19 «In one sense, declamation was also an escape to an exciting, often violent and unreal

world populated by wicked stepmothers, pirates, tyrants, prodigal sons, rapists or historical figures from the dim past. This escapist value first becomes visible during the civil wars of the late Republic, when the leading actors of that drama turned to declaiming in the darkest moments of turmoil» op. cit., 13, et plus loin, nous lisons: «The romantic and unreal world of the declamation also provided pleasant diversion and satisfied a desire for escape» (p. 16). Essayant de retracer l'histoire de la declamation en tant que genre, J. Fairweather, in Seneca the Elder, Cambridge University Press, Cambridge, London, New York 1981, pose le probléme de l'ancienneté de la pratique et des possibles sources grecques; elle cite Philostrate et sa division de l'histoire de la rhétorique d'école grecque en deux périodes ou «sophistiques» (Vit. soph. 1, 481): la premiere période

initiée par Gorgias serait celle des themes philosophiques mettant en scene héros et dieux, la seconde période, commengant avec Eschine, se caractériserait par l'usage nouveau de thémes peuplés par les hommes pauvres, les hommes riches, les braves, les tyrans, et thémes dérivés de l'histoire, contenant des références à des personnages connus et nommés. Cette division binaire du genre et de son évolution souligne parfaitement la division des écrits de Sénéque en Controversiae et Suasoriae. 20 L. A. Sussman, in The Elder Seneca, op. cit., nous renseigne sur la postérité des Controuer-

siae: il montre évidemment l'influence que l'oeuvre a eu sur la littérature ancienne des premiers siécles de notre ére mais également sur la littérature médiévale et au-delà. Il mentionne ainsi les Gesta Romanorum, un recueil de contes romantiques (romantic tales) qui connut une large cir-

culation au cours du Moyen-Äge; selon lui, au moins onze des contes sont directement inspirés de thémes de déclamation présents dans les Controuersiae, les autres contes du recueil étant tirés

de Valöre Maxime, Pline l'Ancien et Hérodote. Le roman Ibrahim ou l'illustre Bassa de Melle de Scudéry (1641) reprend également le théme de la Controuersia 1, 6, présent dans les Gesta Romanorum. Le Decameron de Boccaccio emprunte lui aussi largement à Sénèque le Rhéteur et nous renvoyons le lecteur aux articles de Falconi: /l motivo del malato d'amore in un argumentum di

Seneca Padre, «Giorn. Ital. Filolog.» 13, 1960, 327-36, et Valori di poesia negli argumenta e deformazione retorica negli sviluppi di alcune Controuersiae di Seneca, «Giorn. Ital. Filolog.» 14, 1961, 214-29.

21 4, 2; 7, 2; 9, 1; 9, 2; 10, 5. 22 Dans son édition citée en début d'article.

Les Controversiae de Sénéque le Rhéteur et la préface du De medicina... 109 logie semble remettre en cause la véracité de cette anecdote. Le vieillard torturé par le peintre est un citoyen d'Olynthe, devenu esclave après la prise de sa cité par Philippe. La date de la prise d'Olynthe nous est bien connue (348 av. J.-C.) et il semble peu probable que Parrhasios ait été en-

core vivant à cette date. A. Rumpf ? avance le méme argument en citant Pline 24, qui date le floruit de Parrhasios, contemporain et rival de Zeuxis, dans la 95éme Olympiade (400-396 av. J.-C.). Il en conclut que la controverse de Sénéque est de toute évidence une fiction. Il ajoute qu'il n'est pas méme nécessaire de supposer l'existence d'un Prométhée peint par Parrhasios, méme si elle est probable 25. M. Winterbottom indique qu'il n'y a pas de Prométhée connu parmi les oeuvres de Parrhasios mais que nous savons de ce peintre qu'il était attaché au détail physique réaliste ?5. A. Rumpf

avance

une

autre

controverse 27 mettant

en

scène

un artiste célè-

bre, Phidias; le Zeus Elien de Phidias existait, bien qu'il ne soit pas vrai que l'artiste fut renvoyé à Athènes avec les mains coupées, comme Sénéque le dit. Comme il l'explique, le maitre d'éloquence "donne de la saveur" à sa Controuersia en y faisant intervenir un artiste célébre et une oeuvre non moins célébre. Mais avons-nous seulement affaire à une intention rhétorique ou littéraire? Est-il seulement question de "saveur" ou notre controverse cache-t-elle d'autres intentions? Parrhasios a-t-il été choisi par

le rhéteur parce qu'il était connu comme de son art ou l'auteur avait-il d'autres

un artiste particuliérement imbu

raisons

plus profondes

pour trans-

former le peintre en abominable bourreau? Selon nous, la controverse sur Parrhasios et son Prométhée n'est pas seulement la discussion d'un cas de torture mais aussi la discussion d'un probléme esthétique, reprenant les termes d'un débat sur la création artistique et ses règles. Nous n'avons pas de textes du méme auteur sur l'art et les artistes, et ses Controuersiae et

Suasoriae,

si elles traitent largement

de problémes

stylistiques et histori-

23 Op. cit. 24 35. 64. 25 Sénèque le Rhéteur est en effet le seul auteur à faire référence à ce tableau et la fiabilité des Controuersiae est, comme nous l'avons déjà dit, fort douteuse. A. Rouveret, Histoire et imaginaire de la peinture ancienne, École Francaise de Rome, «Bibliothèque de l'École Franc. d’Athenes et de Rome» 274, Rome 1989, 475-96, dresse une liste des tableaux antiques dont la localisa-

tion est indiquée dans les textes; elle ne fait pas figurer dans cette liste de Prométhée peint par Parrhasios. Elle y mentionne en revanche un Prométhée enchaîné de Panainos, que Pausanias (5, 11, 5-6) aurait vu à Olympie, parmi les panneaux de la balustrade entourant la statue de Zeus. Néanmoins, dans son édition du recueil Milliet, elle suggère que si l'anecdote de Sénèque est ma-

nifestement invraisemblable, il devait bien exister un Prométhée supplicié peint par Parrhasios, d'un réalisme saisissant; une anecdote aurait été inventée par les ciceroni pour expliquer l'im-

pression qu'il causait. A. Rouveret cite Ménandre parlant dans un fragment (fr. 535, Kock) de ceux qui peignent Prométhée cloué. La seule chose que nous pouvons donc affirmer est que l'existence de ce tableau est de l'ordre du vraisemblable. 26 Cf. Pline 35, 67: argutiae uultus. 27 Controv. 8, 2.

110

Frédéric Le Blay

ques liés à la pratique de l'art oratoire - en particulier dans les préfaces qui introduisent chaque livre des Controuersiae, ne proposent pas de réflexion esthétique plus générale, n'offrent pas de références - pas méme à

titre de comparaison - à l'art figure 28, Cependant la controverse que nous étudions comporte trois références à de grands noms de l'art ancien, Par-

rhasios qui en est le personnage central, Phidias et Zeuxis ?. Ces références sont accompagnées d'un commentaire ou d'une réflexion d'ordre esthétique. Fulvius Sparsus invoque Phidias: Non

uidit Phidias louem, fecit tamen uelut tonantem; nec stetit ante oculos eius

Minerua, dignus tamen illa arte animus et concepit deos et exhibuit. Quid facturi sumus si bellum uolueris pingere? Diuersas uirorum statuemus acies et in mutua uulnera arnabimus manus? Victos sequentur uictores? Reuertentur cruenti? (8) «Phidias n'a pas vu Jupiter, cependant il l'a représenté comme s'il tonnait; et Minerve non plus n'a pas posé devant ses yeux, mais son esprit, digne d'un tel art,

a su et concevoir les dieux et les faire voir. Que ferons-nous si tu décides de peindre la guerre? Disposerons-nous des rangs d'hommes que nous opposerons et mettrons-nous dans leurs mains des armes afin qu'ils se blessent? Les vainqueurs poursuivront-ils les vaincus? Reviendront-ils couverts de sang?»39,

Et Spyridion rappelle une anecdote mettant en scéne Zeuxis et son fa-

meux tableau de l'enfant tenant une grappe de raisins: Traditur enim Zeuxin, ut puto, pinxisse puerum uuam tenentem, et, cum tanta esset similitudo uuae ut etiam faceret aues aduolare operi, quendam ex spectatoribus dixisse aues male existimare de tabula; non fuisse enim aduolaturas si puer similis

esset. Zeuxin aiunt obleuisse uuam quod similius (27).

et seruasse id quod melius erat in tabula,

non

«On rapporte en effet que Zeuxis, je crois que c'était lui, avait peint un enfant tenant une grappe de raisins et que, comme la grappe était si ressemblante à la

28 Il est vrai que Sénèque n'a pas voulu rédiger un traité mais plutót une collection de dis-

cours, assortis de commentaires, afin d'entretenir la mémoire des déclamateurs de sa jeunesse; d'autre part, on peut voir en lui un représentant de l'esprit «vieux romain» manifestant son désintérét pour l'art. Le débat à propos des idées de Sénèque reste ouvert; L.A. Sussman, The Elder Seneca, op. cit., et «The Artistic Unitv of the Elder Senecas first Preface and the Controuersiae as a whole», «American Journal of Philologv» 92/1, 1971, 285-91, voit en lui un représentant du ca-

ractére vieux romain, de la «old line Republican cast». A.F. Sochatoff, Basic Rhetorical Theories of the Elder Seneca, «Classical Journal» 34, 1938-39, 345-354, qualifie Sénèque de 'réactionnaire'. Mais 1. Fairweather, op. cit., remet en cause cette austérité attribuée à Sénèque et fait de lui un moderniste au nom de ses références littéraires (en particulier Ovide qu'il cite souvent et qu'il admire).

29 Ces trois références peuvent sembler peu de choses, d'autant plus qu'elles portent sur des artistes que tout texte cite des lors qu'il est question d'art, mais le fait qu'elles soient regroupées dans la méme controverse - alors que ce sujet n'est pas abordé dans les autres controverses - est à nos veux très significatif. 30 Ajoutons la mention d'Albucius Silus: Phidias ommnia opera sine tortore fecit (11): «Phidias a fait toutes ses oeuvres sans emplover de bourreau».

Les Controversiae de Seneque le Rhéteur et la préface du De medicina...

111

réalité qu'elle attirait les oiseaux vers le tableau, l'un des spectateurs avait dit que les oiseaux faisaient la critique du tableau; car ils n'auraient pas volé vers elle si l'enfant avait semblé réel. On dit que Zeuxis effaca la grappe et conserva ce qu'il y avait de meilleur dans le tableau, et non ce qui ressemblait le plus à la réalité».

Cette

anecdote

est rapportée

en

des termes

similaires

par Pline

(35,

64); notons que Pline la place dans le contexte d'un concours entre Zeuxis et Parrhasios, oü l'enjeu est de peindre un tableau qui donne l'illusion de

la réalité. Or le vainqueur du concours, dans le texte de Pline, est Parrhasios. Le texte de Sénèque donne à

l'anecdote un sens différent: l'idée que

ce qui est meilleur dans l'oeuvre n'est pas ce qui est le plus ressemblant à la réalité ne se trouve pas dans la version plinienne, qui plaide au contraire en faveur de la similitude parfaite comme réussite ultime. R. BianchiBandinelli ?! note également cette différence entre la version proposée par Sénéque et cette qui nous a été transmise par Pline; selon lui, lauteur de la controverse prend part au débat artistique entre Idéalisme et Naturalis-

me et se place nettement du cóté de l'Idéalisme ?. La premiére citation au sujet de Phidias va dans le méme

sens, en mettant en avant l'imagination

de l'artiste — c'est-à-dire dans ce contexte la capacité de l'artiste à se représenter les éléments de la réalité qu'il ne voit pas - en opposition à un asservissement à la réalité sensible. Nous pensons que cette intervention du

déclamateur Fulvius Sparsus est en fait une citation de Cicéron ? qui écrit que Phidias, lorsqu'il créait son type de Minerve ou de Zeus, n'avait personne sous les yeux qui lui servit de modèle mais qu'il contemplait une beauté idéale sur laquelle il dirigeait son regard. A. Michel ?* montre que l'art est pour Cicéron une imitation non pas de l'apparence mais de l'idée; l'artiste imite un modèle qu'il ne voit pas. Or nous pensons que cette idée de Cicéron est partagée par Sénèque le Rhéteur *; le crime de Parrhasios 31 In Parrasio, Storicità dell'arte classica, Bari 1973, 111-30, reprise de Piccoli problemi da risolvere, Parrasio: linea, spazio, volume, «La Critica d'Arte» 3, 1938, 4-11. 32 Nous ne pouvons pas ici définir les termes et enjeux de ce débat qui opposent deux conceptions de l'imitation du réel, la mimesis, et qui agitait les contemporains des orateurs présentés

par Sénéque dans les Controuersiae.

A propos de ce débat, nous renvoyons notre lecteur à l'étude

essentielle d'A. Rouveret sur l'Histoire et Imaginaire de la peinture ancienne citée plus haut oü les

termes du débat sont clairement posés, notamment à travers la notion de phantasia, présentée par B. Schweitzer in Mimesis und Phantasia, «Philologus» 89, 1934, 286-300. A. Rouveret montre

bien que ce débat central au sein de la critique et de l'histoire de l'art antiques a été particulierement actif à Rome parmi les contemporains de Cicéron. Citons également H. Bardon, Le concept de similitude à Rome, Aufstieg und Niedergang der Rómischer Welt, I, 2, 857-68, A. Oltramare,

Idées romaines sur les arts plastiques, «Revue des Et. Lat.» 19, 1941, 82-101, A. Desmouliez, Cicéron et son goüt. Essai sur une définition d'une esthétique romaine à la fin de la République, «Coll.

Latomus» 150, Bruxelles 1976, D. Babut, Sur la notion d"imitation’ dans les doctrines esthétiques de la Gréce classique, «Revue des Ét. Grecques» 98, 1985, 72-92. 33 Orator, 9. 34 In Les rapports de la rhétorique et de la philosophie dans l'oeuvre de Cicéron, Recherches sur les Fondements philosophiques de l'art de persuader, Paris 1960, 140-1. 35 A.F. Sochatoff (op. cit.) montre que selon Sénéque l'acmé de l'éloquence romaine est at-

112

Frédéric Le Blay

est d'avoir torturé un vieil homme;

la motivation

de ce crime était la né-

cessité ressentie par le peintre d'avoir sous les yeux un modele des souffrances endurées par Prométhée; cette motivation reposait sur une conception erronée de la création artistique. À l'origine du crime de Parrhasios, il y une erreur artistique. Comme nous l'avons vu par la comparaison de la structure de notre texte avec celle d'une autre controverse, la torture est un acte de violence contre la nature: en torturant un corps, en le forgant à révéler ce qu'il veut cacher, le bourreau fait violence à la nature. Or c'est à une telle violence contre nature que le tenant du Naturalisme se condamne; comment en effet donner le spectacle d'un corps torturé si ce n'est en commengant par s'offrir ce spectacle? Lartiste et le médecin: Il est temps désormais d'en venir au texte de Celse, dont nous annoncions le commentaire. Quel rapport la préface du De medicina entretientelle avec les exercices oratoires de Sénéque le Rhéteur? Commengons par une évidence: ces deux textes sont, à quelques années prés, contemporains. Ils appartiennent à la méme époque et, selon toute vraisemblance, au méme contexte culturel. Le grand érudit que fut Celse ? a toutes les chances d'avoir été formé à la controverse dans les écoles de rhétorique, formation dont le caractére polémique de sa préface témoigne. Or, de quoi est-il question dans ce texte qui se veut un exposé synthétique de l'histoire

de la médecine 37? De méme que Sénéque semble se faire l'écho du débat agitant critiques et historiens de l'art - et sur lequel Cicéron lui-méme, quelques décennies auparavant, s'était déjà montré bavard -, de méme Celse choisit d'ouvrir son ouvrage sur l'opposition entre écoles et théoriciens de cette autre ars qu'est la médecine, sur ses finalités et ses principes. Le débat, dont les acteurs principaux sont les sectes dogmatique et empirique, porte essentiellement sur la pratique de la dissection comme moyen de connaissance. De cette pratique à la torture, le pas est aisément

franchi, d'autant plus que, comme Celse le rappelle, la vivisection sur des hommes a pu étre pratiquée à Alexandrie:

teinte par Cicéron; il est donc fort probable que l'auteur des Controuersiae partageait l'ensemble des goüts esthétiques du grand orateur romain. D'autre part A.F. Sochatoff met en évidence la censure que Sénèque applique à une certaine licence (licentia) dans la pratique de l'art oratoire;

il condamne par exemple les uerba sordida, les uerba obscena et les uerba cotidiana. Nous pensons qu'en donnant à ces adjectifs leur sens le plus fort, la méme condamnation pourrait s'appliquer, selon notre auteur, aux pratiques de Parrhasios.

36 Le De medicina ne constitue qu'une partie, la seule qui nous ait été transmise, d'une ceuvre véritablement encyclopédique.

37 On le lira dans l'édition récemment établie par G. Serbat, CUF, Les Belles Lettres, Paris 1995 (préface, livres 1 et 2). Pour la préface en particulier, il convient de se reporter à l'édition et

au commentaire de Ph. Mudry, La préface du De medicina de Celse, «Bibliotheca Helvetica Romana» XIX, Institut Suisse de Rome

1982.

Les Controversiae de Sénéque le Rhéteur et la préface du De medicina...

113

23-25: Praeter haec, cum in interioribus partibus et dolores et morborum uaria genera nascantur, neminem putant his adhibere posse remedia qui ipsas ignoret; ergo necessarium

esse incidere corpora

mortuorum,

eorumque

uiscera

atque

intestina scru-

tari; longeque optime fecisse Herophilum et Erasistratum, qui nocentes homines a regibus ex carcere acceptos uiuos inciderint, considerarintque, etiamnum spiritu rema-

nente, ea quae natura ante clausisset,

eorumque positum, colorem, figuram, magni-

tudinem, ordinem, duritiem, mollitiem, leuorem, contactum, processus rum recessus, et

inde singulo-

et siue quid inscritur alteri, siue quid partem alterius in se recipit

[...] Hérophile et Érasistrate, et à leur suite tous les tenants de la médecine

dogmatique,

cherchaient à obtenir des parties internes du corps, que la

nature

normalement

tient

cachées

(ea quae

natura

ante

clausisset),

une

image exacte quant à la place des organes (positum), leur couleur (colorem), leur forme (figuram), leur taille (magnitudinem), leur disposition (ordinem), leur dureté (duritiem), leur mollesse (mollitiem), leur poli (leuorem) °®, leurs points de contact (contactum), puis leurs saillies respectives

et leurs creux (processus inde singulorum et recessus). Les mémes éléments sont mentionnés de nouveau lorsque Celse présente le point de vue opposé, celui des Empiriques, qui refusent la dissection

en invoquant

largument

épistémologique

parce qu'elle constitue une violence

(40-44);

l'ouverture

faite à la nature,

change

du

corps,

nécessaire-

ment l'aspect de l'objet étudié, dont les caractéristiques observables sont les suivantes: colorem, leuorem, mollitiem, duritiem, similiaque omnia et également sedem, positum, ordinem, figuram, similiaque alia. Ces deux énumérations sont d'une grande précision plastique et esthétique, celle-là méme que l'artiste naturaliste cherche à obtenir. Ces deux passages nous rappellent précisément l'un des témoignages que nous conservons

sur Parrhasios.

Dans

ses Mémorables

(3, 10), Xéno-

phon met en scéne un dialogue entre Socrate et le célebre peintre; la discussion porte sur la finalité de l'art pictural, qui doit étre, selon Socrate,

la représentation de l’äme et de ses différents états; l'argumentation progresse ainsi du visible - le corps - vers l'invisible - l'àme, selon un schéma

bien socratique. Voici donc les premiers mots prononcés par Socrate: «Dis-moi, Parrhasios, déclara Socrate, la peinture n'est-elle pas une image des choses qu'on voit [eixaoia τῶν ὁρωμένων" Ainsi les enfoncements et les saillies [τὰ γοῦν κοῖλα kai τὰ ὑψηλὰ],

le clair et l'obscur [rà σκοτεινὰ καὶ τὰ dwreiva], la dureté

et la mollesse [rà σκληρὰ xai τὰ μαλακὰ], la rudesse et le poli [τὰ τραχέα xai τὰ λεῖα), la fraicheur du corps et la vieillesse du corps [rà νέα xai τὰ παλαιὰ σώματα], vous les imitez à l'aide de couleurs?» 39

38 De nombreux manuscrits portent la lecon liuorem, qui, comme l'indique G. Serbat, redouble le terme colorem. Le terme leuorem, qui introduit la notion de ‘poli’ de la surface, semble plus judicieux.

39 P. Quignard commente ce passage de Xénophon - la traduction que nous donnons est la

114

Frédéric Le Blay

Le texte de Celse ajoute couleur, taille, forme et position, éléments absents de la définition de Socrate mais on peut affirmer que, pour ce der-

nier, ces caractéristiques vont de soi puisqu'il parle de peinture. Le philosophe

insiste

plutót

sur d'autres

aspects,

moins

évidents,

puisqu'ils

sem-

blent davantage relever du toucher que de la vue; faire toucher en faisant voir, c'est là que réside le talent du peintre. De la confrontation de ces passages, nous pensons pouvoir dire que le regard de l'artiste et celui du médecin

se rejoignent.

Le

lexique

et les motifs

caractérisant

le domaine

du visible sont analogues dans les sphéres de l'esthétique et de la science. Ici, le peintre, en la personne de Parrhasios, touche au moyen

leurs à l'exactitude anatomique.

de ses cou-

Un témoignage de Pline l'Ancien sur l'art

de Parrhasios est à cet égard tout à fait révélateur: Confessione artificum in liniis extremis palmam adeptus. Haec est picturae summa subtilitas; corpora enim pingere et media rerum est quidem magni operis, sed in quo multi gloriam tulerint, extrema corporum facere et desinentis picturae modum includere rarum in successu artis inuenitur. Ambire enim se ipsa debet extremitas et sic desinere ut promittat alia post se ostendatque etiam quae occultat. (35, 67-68) «De l'aveu des artistes, il a remporté la palme pour les contours. Telle est, en peinture, l'habileté supréme. Savoir peindre les corps et le milieu des objets est, sans doute, un grand mérite, mais beaucoup de peintres ont par là acquis la gloire; dessiner les limites du corps, enfermer dans un contour exact une peinture, voilà qui se trouve rarement exécuté avec succés. Car l'extrémité doit tourner et sachever de facon à donner l'impression qu'il y a autre chose derriere elle et à voir méme ce qu'elle cache.» (trad. A. Rouveret) #

Ce passage, d'interprétation et de traduction délicate, na pas manqué d’intriguer les commentateurs *'. Limitons-nous seulement à indiquer que,

selon Pline, tout le génie de l'artiste réside dans sa capacité à faire voir méme ce qui est caché, à faire deviner sous une surface ou un volume la présence d'une autre surface, d'un autre volume. Telle est bien la problé-

matique de la représentation et du dessin anatomiques *. Le grand artiste

sienne - dans son remarquable ouvrage Le Sexe et l'effroi, Gallimard, Paris 1994. Dans le méme ouvrage, il commente la controverse 10, 5 de Sénéque le Rhéteur. Bien qu'il ne fasse pas de rapprochement explicite entre ces deux textes, il semble qu'il ait senti leur communauté d'idées. 40 La peinture ancienne, Recueil Milliet, op. cit. 41 R. Bianchi-Bandinelli, op. cit., a donné, avec sa théorie de la «linea funzionale», une interprétation de ce texte subtile et concluante, que l'ensemble des historiens de l'art ont adoptée à

leur tour. 42 1] est intéressant de constater que Pline donne, comme

sources à cette affirmation, les

noms de Xénocrate et d'Antigone. Or le premier est un disciple du sculpteur Lysippe mais aussi un éléve d'Aristote qui, dans un célebre passage des Parties des animaux (645a), fait l'apologie des observations à caractére anatomique. Le second est un sculpteur de Pergame qui aurait participé au groupe des Galates, mettant en scène le suicide et l'agonie de guerriers gaulois. De tels auteurs

ont sans doute été sensibles à la précision anatomique des tableaux de Parrhasios. Sur ces questions cf. M. Bieber, The Sculpture of the Hellenistic Age, 2&me éd., Columbia University Press,

Les Controversiae de Seneque le Rhéteur et la préface du De medicina... 115 serait donc celui qui sait rendre visible ce qui échappe normalement à

la

vue. Dans le cas de Parrhasios, cette grandeur se gagnerait à un prix très lourd, celui de la cruauté et de la violence. Or, si nous revenons à la préface de Celse, c'est bien de cela dont il est

question dans l'opposition entre les écoles empirique et dogmatique. Pour le tenant de la secte dogmatique qui incise un corps, il s'agit bien d'observer ce que la nature tient caché (ea quae natura ante clausisset). À cet effet, il

a souvent

recours

aux

actes

violents

— dans

le sens



il se rend

coupable de violence contre la nature - que sont la dissection et la vivisection. Les notions

de natura

et de casus

reviennent

ainsi à plusieurs repri-

ses dans l'exposé de Celse, qui rappelle que pour les empiriques, le hasard des blessures, à la guerre ou dans l'aréne, offre au médecin sufisamment

d'occasions d'observer l'intérieur du corps; nul besoin donc de provoquer l'expérience: «Si quid tamen sit quod adhuc casum offerre curantibus.»(44)

De méme

spirante homine

conspectu

subiciatur,

id saepe

le Pseudo-Galien 45 divise l'anatomie en deux parties: celle qui

se pratique de propos délibéré et n'est exercée que par les dogmatiques, et celle qui se fonde sur le hasard des blessures que le médecin est appelé à soigner (κατὰ περίπτωσιν ἀνατομή / xat ἐπιτήδευσιν ἀνατομή). Dans la controverse sur la femme torturée, le mari voulant forcer sa femme à enfanter

est mis sur le méme plan que le tyran qui veut la forcer à parler; le mari est lui aussi un bourreau - tortor; d'autre part, de par le motif de la fécondité/fertilité, la femme est explicitement associée à la natura. La condam-

nation de la torture se fait en des termes similaires à ceux du débat médical et épistémologique. Lartiste naturaliste et le médecin dogmatique sont par conséquent coupables de la méme transgression, selon une règle exposee dans une troisième controverse de Sénéque, portant sur le suicide *:

un homme s'est suicidé et l'on dispute pour savoir s'il mérite une sépulture. En sa faveur, on argumente en faisant valoir que son corps a été créé

par la nature et qu'il appartient donc de le rendre à la nature au moyen d'une sépulture. En effet, la nature a voulu que la laideur soit cachée; donner une sépulture à un cadavre, c'est donc respecter l'ordre naturel des

choses en dérobant à nos yeux le spectacle de la corruption des chairs “5.

New York 1961, Ε Chamoux, Pergame et les Galates, «Revue des Et. Grecques», CI, 1988, 492-500 et R. Wenning, Die Galateranatheme Attalos I. Eine Untersuchung zum Bestand zur Nachwirkung pergamischer Skulptur, «Pergamische Forschungen» IV, Berlin 1978. 43 Dans ses Definitiones medicae, K. XIX, 357. 4

Homicida in se, 8, 4.

45 Cet argument selon lequel la nature ne fait voir du corps que ce qui est digne d'étre vu se retrouve chez un autre contemporain de Celse et de Sénéque, l'auteur présumé du traité Sur le Sublime (43, 5).

116

Frédéric Le Blay Les textes que nous avons

commentés

et rapprochés

au cours

de cette

analyse appartiennent à des genres bien distincts et traitent de questions relevant de domaines aux frontiéres définies. Loin de nous donc l'idée de vouloir établir des filiations ou rechercher des sources communes, encore moins de supposer que leurs auteurs respectifs aient pu se citer. Toutefois, à travers leur lecture, nous avons pu constater que les termes du débat esthétique et ceux du débat scientifique semblaient se rejoindre. La pratique d'une ars ou d'une τέχνη s'inscrit nécessairement dans un certain rapport avec la nature. Lartiste ou le médecin se doivent de définir leur activité et leur róle en des

termes

similaires, qui

portent

tant sur les conditions

de

réalisation que sur les finalités. Nous pensons avoir montré que, entre les polémiques médicale et artistique — celle qui oppose dogmatiques et empi-

riques d'une part et celle qui oppose naturalistes et idéalistes d'autre part - les convergences

étaient

certaines.

Les

arguments

invoqués

de

part et

d'autre, les notions mises en jeu se recoupent. Puisqu'il s'agit, dans le ca-

dre. de ce colloque, de réfléchir sur les mots de la médecine, son lexique et son histoire, il nous a paru important de situer l'ars medica

dans une

perspective plus large, celle de la réflexion sur les artes. Cet élargissement

perd sans doute de sa pertinence si l'on se penche seulement sur la pratique

médicale

ou

la médecine

comme

science

constituée;

mais

dés

lors

que, à l'instar de Celse, on considére la pensée médicale d'un point de vue historique

et critique,

de tels rapprochements

devraient

se révéler riches

d'enseignements. Remerciements:

nous

tenons

ici à exprimer

notre gratitude

à Mme

Agnes

Rouveret, Professeur à l'Université de Paris-X Nanterre, et à Mme Danielle Gourevitch, Directeur d'études à l'École Pratique des Hautes Études, pour les précieuses suggestions qu'elles ont bien voulu faire à propos de cette étude. Enfin, nous remercions M. Jackie Pigeaud, Professeur à l'Université de Nantes et membre de l'Institut Universitaire de France, pour la direction stimulante et bienveillante qu'il donne à notre travail.

Chiara

Nencioni

IL TERMINE

LEdipo

VAPOR

NELLEDIPO

di Seneca, cosi come

DI SENECA*

l'Edipo Re di Sofocle,

inizia con le luttuo-

se immagini di una terribile pestilenza che ammorba Tebe. Attraverso il monologo iniziale del re, angosciato per i funesti vaticini sulla sua sorte, e per l'aria di morte che grava sulla città, si schiude ai nostri occhi l'immagine di una Tebe immersa in un'aria spessa e soffocante, arsa dal sole di-

venuta una landa sterile. Ovunque i fuochi delle pire, sulle quali vengono gettati in fretta gli innumerevoli cadaveri. La peste fa strage di tutta la po-

polazione, indistintamente. Dopo un breve dialogo fra Edipo e Giocasta, entra in scena il coro, che innalza un canto di morte,

immagini

infernali.

cupo e lugubre di

La distruzione non colpisce soltanto gli uomini

ma

anche gli animali e la vegetazione. Vengono poi enumerati e descritti, con precisione quasi clinica, i nuovi e strani sintomi della malattia. E questa una notevole pagina di aemulatio !. I sintomi, infatti, sono ripresi dai testi precedenti, sia greci che latini, in cui sono presenti descrizioni di pestilenze: Hom.,

Il.,

1, 44-52;

Soph.,

Oed.

Tyr., vv.

1-215;

Thuc.,

2, 47-54;

Diod.,

12, 45 e 58 e 14, 70; Lucr. 6, 1138-1286; Ovid., Met., 7, 523-613; Verg., Georg., 3, 478-

566; Luc. 6, 93-105;

Manil.,

1, 800-892. Tali sintomi

sono:

un

languore che prende gli arti (vv. 182-183: piger ignavos alligat artus / lan-

guor), rossore al volto (v. 183: rubor in vultu), esantema e rash cutaneo sul corpo

(v.

184: maculaeque

cutem

sparsere leves), febbre

(v. 185: tum

vapor

ipsam corporis arcem / flammeus urit), gonfiore agli occhi (v. 187: oculique

* Desidero ringraziare la Dottoressa Alessandra Venuti, collega e amica preziosissima; il Professore F. Stok e il Professore G. Aurelio Privitera per gli utili consigli; il Professore Philippe Mudry per il premuroso incoraggiamento. I

Cfr K. Anliker, Prologe und Akteinleilung in Senecas Tragoedien, Bern-Stuttgart 1960, 29-

35; A. Cattin, Les themes lyriques dans les tragédies de Sénéques, Neuchätel 1963, 40-49; W. Wurnig, Gestaltung und Funktion von Gefuehlsdarstellungen in den Tragoedien Senecas, Frankfurt am Main-Bern 1982, 35-50; R. Jakobi, Der Einfluss Ovids auf den tragiker Seneca, Berlin-New York 1988, 90-99; C. Schmitz, Die komische Dirnension in der Tragoedien Senecas, Berlin- New York

1993, 25-58; K. Toechterle, Lucius Annaeus Seneca. Oedipus, Heidelberg 1994, 166-192.

118

Chiara Nencioni

rigent), sensazione di bruciore al corpo (vv. 187-188: sacer ignis / pascitur artus), ronzio alle orecchie (v. 189: resonant aures), emorragia nasale (vv. 189-190: stillatque niger naris aduncae / cruor), disturbi intestinali (v. 191: intima creber viscera quassat / gemitus stridens), sete insaziabile (vv. 195-

196: petitis fontes / aliturque sitis latice ingesto). La nostra attenzione si sofferma ora sui vv. 185-186, in cui leggiamo: tum vapor ipsam corporis arcem / flammeus urit. Anche questo sintomo di intenso calore febbrile ὃ presente nelle descrizioni di pestilenze che Seneca usa come fonti. Il calore alla testa e le manifestazioni febbrili, infatti, si trovano già in Thuc. 2, 49, 2: τῆς κεφαλῆς θέρμαι ἰσχυραί; Diod. 14, 71, 2: πυρετοί; Lucr. 6, 1145: caput incensum fervore gerebant; Verg., Georg. 3, 482-483: ignea venis / omnibus acta sitis miseros

adduxerat

artus;

Ovid.,

Met.

7,

554-555:

flammaeque

latentis / indi-

cium rubor est; Manil. 1, 881: corripit exustis letalis flamma medulllis. Tuttavia & interessante osservare che in nessuna delle fonti latine tale sintomo è descritto con il termine vapor; inoltre il nesso vapor flammeus è attestato solo nellAntiopa di Pacuvio, quindi in un'altra opera tragica

(come riportano Varr, Rust.

1, 2, 5: verum etiam est illud Pacuvii, sol si

perpetuo sit aut nox. «flammeo vapore» aut frigore terrae fructos omnis interire e Fest. 482, 31 Lindsay: torrens participi aliter pro exurens ponitur, ut est apad Pacuvium

in Antiopa

«flammeo

vapore torrens terrae fetum exusse-

rit»)?. Si noti però che in Pacuvio il significato di vapor è quello comune di emanazione calda.

Il termine vapor significa, infatti, in senso proprio, 'esalazione', anche in contesti fisico-meteorologici: e.g. Cic., Nat. D. 2, 10, in cui Cicerone, esponendo gli effetti del calore sull'acqua, afferma che anche quella fredda

ha origine dall'evaporazione: ipse enim oritur ex respiratione aquarum; earum enim quasi vapor quidam aer habendus est...; così Seneca stesso, in Nat. Quaest. 2, 12, 4, usa vapor nel senso di esalazione. Infatti, citando Aristotele, scrive: «entrambe (sc. terra e acqua) restituiscono qualcosa di sé: l'esalazione della terra (terrenus vapor) è secca e simile a fumo e dà origine ai venti, ai fulmini, ai tuoni». In senso traslato, vapor indica un intensissimo calore: e.g. Plin. 9, 12, 1, in cui, trattando di una grossa varietà

di testuggini che vivono nell'oceano indiano, scrive che, quando la corazza si essicca al calore del sole (solis vapore siccato cortice), quegli animali non sono più in grado di nuotare; così Seneca stesso, in Troad. 564-565, usa vapor

nel senso

di intenso

calore.

Andromaca,

infatti, lamentando

la

2 Il nesso che unisce vapor a flamma ricorre, invece, 4 volte nella letteratura latina: Lucr. 5, 1102: inde cibum coquere ac flammae mollire vapore (in cui vapor ha il significato di calore); Ovid., Amor.1, 2, 46: fervida vicino flamma vapore nocet (in cui vapor ha il significato metaforico di ardore amoroso); Vitr., De Arch. 2, 6, 1: igitur penitus ignis et flammae vapor per intervenia per-

manans et ardens effecit levem eam terram (in cui vapor ha il significato di calore) e 5, 10, 5: ipsumque ad circinum fieri oportere videtur, ut aequaliter a medio flammae vaporisque vis per curvatu-

rae rotundationes pervagetur (in cui vapor ha il significato di vapore).

Il termine vapor nell'Edipo di Seneca

119

sorte dei suoi figli, piange. ...vastus an patriae vapor / corripuit artus, «il grande incendio della patria ha distrutto il tuo corpo». Inoltre, Seneca, nell'Edipo, utilizza il termine vapor già al v. 47, all'interno del lamento iniziale del re, che descrive, con profonda costernazione, le condizioni in cui versa Tebe, flagellata dalla pestilenza: una terribile

arsura tormenta, la città, non spirano i venti, un sole bruciante secca la terra e prosciuga i corsi d'acqua, la luna e le stelle sono offuscate ed «un nero, pesante vapore incombe sulla terra»: sed gravis et ater incubat terris vapor.

Nonostante

Seneca

non

sia uno

scienziato,

tuttavia i suoi interessi

per le scienze naturali e per la medicina sono ben noti, in linea con la temperie culturale in cui vive. Il significato con cui vapor è usato in questo passo da Seneca, infatti, pare risentire dell'influenza della teoria miasmatica, di derivazione ippocratica, secondo la quale responsabile della malattia é un quid di morboso, miasma, contenuto nell'aria, che la deteriora e la rende nociva per la natura umana e talvolta anche per quella

animale. Laer corrotto é dunque il fattore primario e la causa principale dell'insorgenza indicare l'aria vapor, là dove (e.g. Liv, 3, 6, già citato v. 47 cativo,

delle epidemie. È interessante mettere in evidenza che, per corrotta, Seneca ricorre, in maniera originale, al termine altri autori usano aer (e.g. Vegez., Mulomed. 1, 17, 5), odor 3 e 25, 26, 10)?. Tale uso di vapor si riscontra, oltre che al dell'Edipo, anche nel Tieste al v. 87 e, in modo piü signifi-

nelle Naturales

Quaestiones

6, 28,

1. Nel

Tieste

l'ombra

di Tantalo

penosamente chiede alla Furia: «sia io inviato come un'esalazione maligna (dirus vapor) attraverso le fenditure della terra

stis)

venuta

a diffondere

fra la popolazione

o come una pestilenza (pe-

il suo

terribile

contagio

(gravem...luem)». Il vapor é dunque un'esalazione pestilenziale che diffonde morte intorno, anche se non grava dall'alto, come al v. 47 dell'Edipo, ma viene dal sottosuolo. Sempre dal sottosuolo, ma in senso fisico e non

figurato, viene il vapor pestilenziale anche nelle Naturales Quaestiones 6, 28, 1. Seneca, trattando dell'origine dei terremoti, spiega perché, in concomitanza di essi, si verifichino molto spesso pestilenze. La causa & che la

terra racchiude sostanze letali, acque nocive e arie mefitiche. Come prova di questa

teoria,

Seneca

adduce

l'osservazione

che,

in numerose

località

italiane, attraverso fenditure del terreno, emerge un'esalazione pestilenziale (per quaedam

foramina pestilens exhalatur vapor) che né gli uomini



gli animali possono respirare senza danno. A questo proposito, é interessante confrontare Diodoro Siculo, che, descrivendo le cause della peste di Atene, in 12, 58, 3 parla di παχείας καὶ δυσώδεις ἀτμίδας per indicare le esalazioni nocive e maleodoranti sorte dai luoghi paludosi e acquitrinosi che corrompono l'aria (ἀναθυμιωμένας

3 Cfr. F. Stok, Il lessico del contagio, in Atti del Seminario Internazionale di Studi. Letteratura

scientifica e tecnica greca e latina Zumbo, Messina 2000, 55-89.

(Messina, 29-31 ottobre 1997), a cura di P. Radici Colace e A.

120

Chiara Nencioni

διαφθείρειν τὸν πλησίον ἀέρα) causando la peste 4; ἀτμίς significa propriamente ‘vapore’ ‘esalazione’ ed è l'equivalente greco del vapor usato da Seneca al v. 47 dell’Edipo. Si noti poi come, all'interno della stessa opera, vapor sia usato, nel medesimo contesto, con due significati diversi: al v. 47 ha il significato comune di esalazione pestilenziale, al v. 185, invece, il significato di calore febbrile. Si osservi, inoltre, che l'uso di vapor come sintomo di una malattia e presente esclusivamente in Seneca tragico. Lo si trova sia nell'Edipo e nella Fedra che nell'Ercole sull'Eta pseudosenecano. Nella Fedra, vapor è utilizzato due volte in riferimento alla malattia

d'amore: al v. 102 l'amore che si alimenta e brucia dentro la donna è paragonato al vapor che fuoriesce dal cratere dell'Etna ^; al v. 640 Fedra descrive ad Ippolito i sintomi della malattia che la consuma: «vapor e amore

ardono il mio petto delirante. Divampa un fuoco crudele che penetra nel profondo delle mie viscere e, nascosto nelle vene, come un'agile fiamma corre attraverso le alte travi 5». È qui presente l'immagine topica dell'amore come un fuoco; tuttavia è significativo l'uso del termine vapor per indicare

la manifestazione

del calore

ardente,

della febbre

d'amore,

di cui la

matrigna è preda. Interessante è il confronto con Apul., Mer. 10, 2, in troviamo il nesso vaporibus febrium in relazione alle manifestazioni l'amore incestuoso di una matrigna per il figliastro. Si dice, infatti, ella dissimulava come malattia del corpo quello che in realtà era una

cui delche ma-

lattia dell'anima: «tutti sanno che negli ammalati e negli amanti i sintomi delle alterazioni, sia riguardo all'aspetto del volto sia riguardo alla salute

nel suo complesso, hanno esattamente il medesimo corso: un pallore orribile, occhi fradici di stanchezza, ginocchia che si piegano, un sonno agitato, respiri tanto più profondi quanto più a lungo dura il tormento. Si sarebbe creduto che solo le vampe della febbre (vaporibus febrium) lagitas-

sero, ma il fatto è che Nell'Ercole sull'Eta, morbo di cui é preda del corpo causata dal fatto

anche piangeva ^». vapor è usato due volte per descrivere i sintomi del Eracle, la sensazione di bruciore e di dissoluzione veleno di cui ὃ intrisa la veste che Deianira gli ha

inconsapevolmente

indossare.

Al v.

1223,

l'eroe

definisce

il morbo

4 J. Jouanna, Miasme, maladie et semence de la maladie, in Studi su Galeno. Scienza, filosofia, retorica e filologia,

a cura di D. Manetti, Firenze 2000, 59-92.

5 Sen., Phaedr. 100-103: non me quies nocturna non altus sopor/ solvere curis: alitur et crescit malum / et ardet intus qualis Aetneao vapor / exundat antro... 6 Sen., Phaedr. 640-644 (Zwierlein): pectus insanum vapor / amorque torret. [ntimis saevit ferus / [penitus medullas atque per venas meat] / visceribus ignis mersus et venas latens / ut agilis altas flamma percurrit trabes. 7 Apul., Mer. 10, 2: iam cetera salutis vultusque detrimenta et aegris et amantibus examussim convenire nemo qui nesciat: pallor deformis, marcentes oculi, lassa genua, quies turbida et suspiritus cruciatus tarditate vehementior. Crederes et illam fluctuare tantum vaporibus febrium, nisi quod et flebat.

Il termine vapor nell’Edipo di Seneca

121

che lo consuma come un cancro interno che si fissa nel midollo e gli sottrae la forza, «il fegato arde e un vapor sottile ha prosciugato tutto il sangue (totumque lentus sanguinem avexit vapor)?». Poi, al ν 1367, Eracle chiede di essere gettato in mare per cercare sollievo dal doloroso bruciore,

pur consapevole che «loceano stesso, piü vasto della terra, non avrà la meglio sui miei vapores»: non ipse terris maior oceanus meos / franget vapores. Quindi, mentre nella Fedra il termine vapor é usato come sintomo di una malattia dell'anima, quale l'amore, nell'Edipo (cosi come nell'Ercole sull'Eta, sebbene per Eracle non si tratti di una vera e propria malattia ma di un avvelenamento) vapor descrive il sintomo di una malattia del corpo, la sensazione di ardente calore provocata dalla peste. Tuttavia vapor non & mai utilizzato nei testi medici per descrivere un sintomo di malattia, ma esclusivamente all'interno di prescrizioni, con il significato di calore. Infatti, vapor ed il verbo denominativo da esso derivato, vaporare, sec. d.C.).

sono

attestati nell'autore

medico

latino Scribonio

Largo

(I

In Scribonio Largo ci sono 5 attestazioni: in 20, 2-3? e in 20, 14-16 !9, parlando

dei colliri, l'autore dice che ὃ necessario fare impacchi

(vaporare)

di acqua calda agli occhi; in 40, 5-7 !!, trattando del male d'orecchio, afferma che una cura eccellente contro di esso ὃ l'applicazione di un impiastro di pece,

la cui emanazione

di calore (eius vapori)

lenisce il dolore; in

43, 2-4 ", a proposito della parotite, spiega che bisogna fare impacchi (vaporare) alle orecchie con acqua

marina

bollente; in 142, 6-9 13 in cui, trat-

tando di come curare il tenesmo, dice di ungere e frizionare l'ano con una sonda con licio di Patara o indico, finché essa trattiene il calore (diutius enim vaporem continet). Nei testi medici, dunque, vapor e derivati si trovano sempre nel contesto di ricette o prescrizioni di impacchi e fumigazioni. Luso che ne fa Seneca nelle tragedie per indicare un sintomo di un qualche morbo & quindi del tutto particolare.

Riassumendo: vapor ha i seguenti significati:

8 PsSen., Herc. Oet. 1218- 1123: eheu quis intus scorpios, quis fervida / plaga revulsus cancer

infixus meas / urit medullas? Sanguinis quondam capax / tumidi vigor pulmonis arentes fibras / distendit: ardet felle siccato iecur / totumque lentus sanguinem avexit vapor. 9 Larg. 20, 2-3: ex aqua quam poterint sustinere calidissima spongeis expressis vaporare eos diutius...

10 Larg. 20, 14-16: triduo enim aut plerumque quadriduo tollit dolorem adiutum ovi infusione

et aquae calidae vapore.

11 Larg. 40, 5-7: florem picis autem appello, quod excipitur, dum ea coquitur, lana superposita eius vapori... 12 Larg. 43, 2-4: oportet autem aqua marina ferventi novis spongis demissis et per linteum intortum utrisque expressis vaporare porotitern...

13 Larg. 142, 6-9: diutius enim vaporem continet, perungendus anus erit specillo lycio Patarico vel Indico, vel hoc collyrium iniciendum, quod ad omnem deiectionem et tormina bene facit.

US

h3 μα

122

Chiara Nencioni

. vapore acqueo, sia in contesti fisico-meteorologici sia nei testi medici. . calore e, per estensione di quest'ultimo significato, anche . febbre (come nel passo senecano qui discusso, Edipo v. 185, e in Apul., Met.

10, 2) e

u »

passione (malattia d'amore, febbre d'amore). . esalazione della terra, come in Edipo v. 47. L'uso che di vapor fa Seneca & originale, sia quando & usato per descri-

vere un sintomo di malattia, sia quando & usato per indicare l'aria corrotta

e ammorbante,

in linea con la teoria miasmatica.

Piergiorgio Parroni, Eleonora Parroni

GIULIANO IMPERATORE E UN PROBABILE CASO DI INTOSSICAZIONE DA MONOSSIDO DI CARBONIO

Il passo di cui intendiamo occuparci appartiene al Misopogon, l'operetta che Giuliano compose contro gli Antiocheni nella seconda metà di feb-

braio del 363 d. C. La data si puó ricostruire con precisione grazie a unallusione contenuta nel cp. 10 dell’operetta !, dove Giuliano mette in bocca agli Antiocheni l'accusa di dover sopportare la sua ‘pesantezza’ (faρύτης) ormai da sette mesi. Ora, poiché sappiamo che Giuliano raggiunse

Antiochia il 18 o 19 luglio del 362, il conto è presto fatto 2. Da Malala (p. 328, 2-4 Dindorf)? sappiamo che il testo dell'operetta fu fatto affiggere nel cosiddetto Tetrapilo degli elefanti all'esterno del palazzo imperiale. Questa forma di diffusione del Misopogon ὃ certamente curiosa, ma si spiega tenendo conto del temperamento dell'imperatore e del momento particolare in cui fu scritto. Giuliano sta per lasciare Antiochia (lo farà il successivo 5 marzo) per la spedizione contro i Persiani, dove troverà la morte di li a poco, il 26 giugno di quello stesso anno 363. Egli vuole riaffermare la supremazia di Roma con un'impresa memorabile che ne san-

cisca la vittoria definitiva sul suo secolare nemico: novello Alessandro, sta per spingersi verso i confini del mondo conosciuto, animato da un destino

di grandezza e di gloria. Ma ad Antiochia, dove ha soggiornato alcuni mesi per organizzare la spedizione, ha ricevuto un'accoglienza ostile e questo non è certamente un buon viatico. È Giuliano stesso a informarci (cpp. 14 e 37) che contro di lui sono stati tra l'altro composti carmi in anapesti, in

cui si prende di mira la sua barba ispida (da qui il titolo dell'operetta: «il nemico della barba»), il suo aspetto incolto, la sua misantropia. Da dove derivava tanta ostilità da parte degli Antiocheni contro Giulia-

no? Per comprenderlo è necessario rifarsi un po’ indietro.

! Qui e di seguito mi servo della traduzione di Arnaldo Marcone, autore anche del commento, nell'edizione curata per la Lorenzo Valla [Milano 19903] insieme con Carlo Prato, cui si deve

il testo critico, e Jacques Fontaine, che ha scritto l'introduzione. 2 Vd. Marcone, op. cit., 173 e 327. 3 [Ioannis Malalae Chronographia ex recensione Ludovici Dindorfii ..., Bonnae 1831.

124

Piergiorgio Parroni,

Eleonora

Parroni

Quando Giuliano mette piede ad Antiochia, come abbiamo detto il 18 o 19 luglio del 362, egli è ormai il legittimo Augusto. Costanzo II è morto di morte naturale il 3 novembre dell'anno precedente, e quindi Giuliano non

ha avuto bisogno di spargimenti

di sangue per far valere quella dignità

imperiale a cui lo aveva elevato un pronunciamento militare agli inizi del 360. Prima della morte di Costanzo II Giuliano & di fatto un usurpatore. Egli, che era stato creato Cesare da Costanzo

nel 355, nell'ottobre del 359

aveva ricevuto dall'Augusto, minacciato da un attacco persiano, la richiesta dell'invio di truppe in oriente. In quanto Cesare egli mostra di ubbidire agli ordini di un'autorità superiore, ma le truppe, riunite a Parigi, sede del suo quartier generale, insorgono di fronte alla minaccia di partire per terre lontane e proclamano Giuliano Augusto. Giuliano, forzato dagli eventi, accetta. Prima di partire per l'oriente, dove egli pensa di doversi scontrare con Costanzo e poi sferrare l'attacco all'impero persiano, si dà a riordinare le cose in occidente. E per questo che la partenza & rinviata all'agosto del 361. Giuliano sogna

di restaurare

il culto delle antiche tradizioni romane,

di

cui é parte integrante la religione. Ha già avviato il suo piano riformatore nella prima tappa a Costantinopoli, la sua città natale, dove giunge [11 dicembre 361. Con la conferma dell'Editto di tolleranza, già emanato in Gallia, restituiva pari dignità a tutte le religioni, e nel contempo provvedeva

al restauro dei templi pagani andati in rovina, ordinando che fossero rimessi al loro posto quegli elementi architettonici (colonne, capitelli, ecc.) asportati dai cristiani per adornare i loro templi, prendeva provvedimenti per moralizzare il clero pagano, i cui costumi erano decaduti, allontanava i cristiani dall'esercito ritenendo la pratica militare inconciliabile con i principi del Vangelo, riformava la scuola impedendo ai cristiani l'insegnamento dei testi classici nella convinzione che ci dovesse essere assoluta coerenza fra studi e pratica di vita, si impegnava sul piano teologico (in

una notte fra il 22 e il 25 marzo del 362 compose il discorso Alla Madre degli dei e con analogo febbrile impegno scrisse sul finire del 362, già ad Antiochia, un altro celebre discorso, A Helios re *). D'altro canto riformava la corte introducendo quei principi di austerità morale a cui aveva ispira-

to la sua vita, rifiutando lo sfarzo, riducendo il numero dei funzionari e abolendo privilegi, circondandosi di retori e filosofi, perseguendo in sostanza un modello che aveva il suo precedente in Marco Aurelio. Tutto questo, applicato ad Antiochia, sortisce effetti disastrosi. Antiochia è una città completamente cristianizzata che rifiuta il ripristino dei culti pagani e nel contempo è espressione di quel cristianesimo ormai

mondanizzato che concilia tranquillamente la nuova fede con l'amore per i piaceri, gli spettacoli teatrali e circensi, il lusso sfrenato e la dissolutez-

4 Non a caso anche questi due testi sono inclusi nella già citata edizione a cura di J. Fontaine e altri.

Giuliano imperatore e un probabile caso di intossicazione... za. E naturale che in tale clima l'ascetismo di Giuliano,

125 nutrito di cultura

pagana, dovesse diventare presto oggetto di scherno e di attacchi pubblici e privati. Alcuni episodi in particolare intervennero ad alienargli definitivamente le simpatie degli Antiocheni. È Giuliano stesso a informarcene nel Misopo-

gon. Lordine di rimuovere

il corpo di s. Babila (cp. 33) dal recinto del

tempio

una

di Apollo

considera

una

a Dafne,

contaminazione

località

del

nei pressi

luogo

sacro

di Antiochia,

(s. Babila

che

egli

ἃ designato

sprezzantemente come ὁ νεκρός), provoca la reazione degli Antiocheni, che accompagnano i venerati resti alla nuova dimora con un imponente corteo. La conseguenza ὃ che quando di li a poco, il 23 ottobre 362, il tempio di Apollo va a fuoco, Giuliano ne fa ricadere la colpa sui cristiani e adotta dure misure repressive (chiusura della chiesa madre arresto di numerosi cristiani). Che a incendiare il tempio

di Antiochia e fossero stati i

cristiani non si poté provare neppure con la rigorosa inchiesta da lui ordinata (lo stesso Ammiano,

22,

13, 1-5, pure favorevole all'imperatore, riferi-

sce di un rumor secondo il quale a causare l'incendio sarebbe stato Asclepiade, tempio

un un

filosofo cero

di passaggio

acceso).

per

Antiochia,

che

avrebbe

Nell'agosto

precedente

(cp.

34),

lasciato

nel

nella ricorrenza

della festa di Apollo, Giuliano si era precipitato a Dafne convinto di trovarvi una folla imponente e scopre invece che c'é solo un sacerdote che per il sacrificio non ha a disposizione che un'oca (cosa inaudita per lui che per la mania dei sacrifici si era guadagnato l'appellativo di victimarius, come sappiamo da Ammiano, 22, 14, 3). Ogni tentativo di Giuliano per ingraziarsi gli Antiocheni fallisce. Appe-

na arrivato ad Antiochia ὃ accolto in teatro da un grido: «c'é abbondanza di tutto, di tutto a caro prezzo»

(cp. 41). Giuliano

si informa

e provvede

facendo venire grandi quantità di grano dall'Egitto e introducendo un calmiere, che peró scontenta tutti: i ricchi, che vedono minacciati i loro profitti, i poveri, che sono costretti a subire i ricatti del mercato nero. Il Misopogon ὃ la risposta a questo stato di disagio e di sconforto, ed & la risposta non di un imperatore ma di un intellettuale che ha a disposi-

zione solo le armi della cultura e della retorica. Avrebbe potuto usare la repressione e la violenza e invece rivolto agli Antiocheni dice candidamen-

te loro: «per questo non vi faró mai nulla di terribile, trucidando o percuotendo o legando o imprigionando o punendo. Come potrei?» (cp. 37). Ed e singolare che Giuliano per ribattere le accuse degli Antiocheni faccia una scelta paradossale, quella di autoaccusarsi. «Sebbene desideri molto elogiarmi, non posso; di ragioni per biasimarmi ne ho mille» (cp. 2). L'au-

todenigrazione

parte dallaspetto

fisico («a un viso

... per natura

.. né

molto bello, né nobile, né fresco, per stranezza e misantropia io stesso ho

aggiunto questa folta barba, per fargli appunto

scontare il solo fatto di

non essere bello per natura. Perció permetto ai pidocchi di scorrazzarvi come fiere in una boscaglia», cp. 3) per passare poi a quello morale («non mi bastava avere un corpo simile, mi ci voleva anche un tenore di vita du-

126

Piergiorgio Parroni, Eleonora

Parroni

rissimo», cp. 4). Ed é proprio in questo contesto che si inserisce l'episodio di cui intendiamo occuparci (la premessa ὃ stata forse un po' lunga, ma indispensabile, credo, per inquadrare adeguatamente il racconto). Dunque Giuliano dice che fin da bambino si & abituato a subire privazioni e a moderarsi nel cibo, tanto che gli & capitato di rado di vomitare,

anzi una sola volta «da quando é diventato Cesare» e oltretutto «per caso, non per indigestione» (cp. 6); tutto ció ha «reso aspro il suo carattere, e ostile a una città che vive nel lusso» (ibid.). A riprova di questo introduce

un racconto che occupa l'intero capitolo 7, interessante per piü di un aspetto ma soprattutto, considerato il tema del presente convegno, per quello che riguarda la storia della medicina. Giuliano

si trovava

a svernare

a Lutezia

(Parigi),

dove

sappiamo

che

aveva fissato il suo quartier generale nel 358?. L'anno non è certo, ma potrebbe essere lo stesso 358 o uno dei due successivi (nell'agosto del 361, come s'é detto, egli parte alla volta dell'oriente). La descrizione della città è «la prima della nascente città di Parigi» 5. Parigi è un'isola sul fiume (la Cité), circondata da mura, a cui si accede da entrambe

le sponde con pon-

ti di legno. Il fiume ha un regime costante e offre un'acqua dolcissima e purissima, bella all'aspetto e buona da bere. Linverno parigino di solito &

abbastanza mite sia per effetto del vicino Oceano (che egli calcola distante 900 stadi, cioè circa 160 km.), sia «per qualche altra ragione che gli è oscura» (la corrente del Golfo?), tanto che vi é fiorente la coltivazione della vite e dei fichi, che d'inverno vengono protetti «con una sorta di rivesti-

menti in paglia di grano o di materiali affini». Quell'anno è però straordinariamente freddo: sulla Senna galleggiano grandi lastre di ghiaccio simili a marmo frigio, che, accavallandosi le une sulle altre, «erano sul punto di formare un passaggio continuo arginando

Nonostante

il freddo

intenso

la corrente».

e nonostante

che

la stanza

da letto

di

Giuliano, come nella maggior parte delle case, sia dotata di impianto di riscaldamento, egli decide di «sopportare il clima, privo di questo conforto». Poiché Giuliano dice che il riscaldamento è ottenuto ὑπὸ ταῖς καμίνοις è evidente che si tratta di un impianto ad aria calda, simile a quelli di cui erano dotate le terme. Il freddo si fa ogni giorno piü intenso,

ma Giuliano resiste anche perché teme che il riscaldamento della stanza possa far sprigionare umidità dalle pareti. A un certo punto peró scende a un compromesso: non fa accendere il riscaldamento ma acconsente a farsi

portare nella stanza da letto una specie di braciere, sia pure moderatamente alimentato. A questo punto & importante rivolgere l'attenzione al te-

sto greco, che si presenta problematico.

Dice dunque

πῦρ κεκαυμένον καὶ «δάλους;» λαμπροὺς ἀποθέσθαι

Giuliano: ἐκέλευσα

παντελῶς μετρίους, cioè «or-

dinai di portare dentro braci e di mettervi sopra tizzoni ardenti in numero

5 Marcone, op. cit., 325. $ Marcone, ibid.

Giuliano imperatore e un probabile caso di intossicazione...

127

assolutamente limitato». Lincertezza risiede in quel δάλους, che, come apprendiamo dall'apparato di Carlo Prato, ὃ lezione marginale del Marc. 251, mentre il Paris. 3029 ha ἄνθρακας, che é anche congettura dello Spanhemius. Sia il Marciano che il Parigino sono due codici secondari,

mentre la migliore tradizione ha soltanto λαμπρούς, per cui sembra evidente che sia caduto il sostantivo, che si & cercato di ripristinare per tempo

attraverso congetture. Il Nauck aveva tentato di negare la lacuna sospettando che λαμπρούς valesse λαμπτῆρας, ‘fuochi’, ma non mi pare che l'ipote-

si sia molto fondata. Comunque stiano le cose, ai nostri fini é importante che nella stanza da letto di Giuliano vengono introdotte delle braci (πῦρ κεκαυμένον). Interessante & quel che segue: Giuliano dice che quel fuoco pur misurato fu perö tale da far sprigionare «dalle pareti una massa di vapori che lo fecero addormentare». Dunque & evidente che egli attribuisce l'assopimento allo sprigionarsi dell'umidità dalle pareti (quella stessa che aveva paventato come effetto del riscaldamento ad aria calda), la quale gli avrebbe riempito la testa (ἐμπιπλαμένης μοι τῆς κεφαλῆς) provocandogli un principio di soffocamento (ἐδέησα μὲν οὖν ἀποπνιγῆναι). A scongiurare il

peggio é il provvidenziale risveglio: Giuliano viene portato all'aria aperta (κομισθεὶς δὲ ἔξω),

e, consigliato

dai medici

di vomitare,

subito

si sente

meglio tanto che la notte trascorre tranquilla e il giorno seguente egli è in grado di svolgere la sua normale attività. I sintomi descritti sono chiari (forte cefalea e affanno respiratorio) e il trattamento medico appropriato: una immediata ossigenazione del pazien-

te e il vomito, qui indotto ma

in casi pilı gravi spontaneo, sono in grado

di rimettere in poche ore Giuliano in perfetta salute. Errata & invece la diagnosi

fatta

da

Giuliano

e probabilmente

dai

medici:

lintossicazione

non sarà stata provocata dall'emissione di vapore dalle pareti ma

dalle

esalazioni di monossido di carbonio sprigionate dal braciere. [P.P.]

Giuliano nel passo in esame sembra descrivere proprio il quadro clinico e sintomatologico di un'iniziale intossicazione da monossido di carbonio (CO). Come è noto, il CO è prodotto dalla combustione incompleta di carbone, legno ed altre sostanze contenenti il carbonio. Tale gas svolge la sua azione tossica sull'organismo in modo subdolo (é infatti inodore, incolore e non irritante) e rapidamente letale in quanto si lega all'emoglobina,

proteina contenuta nei globuli rossi e deputata al trasporto di ossigeno, sostituendosi a quest'ultimo. In sostanza il CO e l'ossigeno competono per lo stesso legame chimico emoglobinico, ma grazie all'affinità per l'emoglo" bina che è 200-300 volte più elevata per il CO che per l'ossigeno, il monossido di carbonio si comporta come un veleno formando la carbossie-

moglobina, molecola altamente tossica, stabile e dal caratteristico colore ‘rosso ciliegia' 1. ? Trai numerosi manuali clinici e medico-legali che affrontano l'argomento citiamo: G. Tiberio, A. Randazzo, L. Gattinoni (a cura di), Emergenze medico-chirurgiche, Milano-Parigi-Barcello-

128

Piergiorgio Parroni, Eleonora Parroni

Da questi brevi cenni di biochimica si intuisce come l'azione venefica del CO sull'organismo sia da attribuirsi primariamente ad una condizione di ipo-anossia sistemica, sebbene alcuni studi recenti attribuiscano al CO anche un'azione diretta di tipo istotossico?. Gli organi e i distretti piü sensibili alle condizioni di ipossia sono naturalmente quelli che utilizzano molto ossigeno per soddisfare i processi metabolici, in particolare l'encefalo. Di conseguenza, se l'intossicazione non avviene durante il sonno (quando

la vittima

spesso

muore

senza

rendersene

conto),

i primi

sintomi

da

intossicazione che si manifestano sono la cefalea e la pulsazione dolorosa delle tempie, l'irritabilità, la nausea e il vomito, i disturbi visivi e la dis-

pnea. Seguono per cui la In assenza si aggrava fatti nelle

quindi la sonnolenza e l'astenia, specie agli arti inferiori,

vittima è spesso impossibilitata a sottrarsi all'azione del tossico. dell'intervento da parte di personale sanitario il quadro clinico progressivamente sino al coma ed alla morte del paziente. Infasi iniziali dello stato comatoso si rileva una lieve o moderata

accelerazione della frequenza respiratoria e della frequenza cardiaca; poi con il progredire del danno ipossico sistemico diviene più evidente la polipnea e compaiono i segni elettrocardiografici di ischemia o infarto acuto associati ad alterazioni del ritmo e a un quadro di edema polmonare acu-

to. Nelle fasi terminali insorgono convulsioni e depressione fino all'arresto.

respiratoria

I sintomi clinici sono in rapporto alla percentuale di carbossiemoglobina rilevata nel sangue della vittima: ne consegue che la gravità del quadro clinico dipende sia dalla concentrazione di CO nell'aria inspirata (maggiore è la concentrazione di CO presente nell'ambiente, maggiore sarà la quantità che ne viene inspirata), sia dalla durata dell'esposizione (la gravità dell'intossicazione é correlata al tempo di esposizione al gas), sia dalle condizioni cliniche dei soggetti esposti (un individuo con patologie polmo-

nari preesistenti - per esempio affetto da bronchite cronica ostruttiva -muore prima di un soggetto che gode di buona salute).

Le misure terapeutiche da adottare in caso di intossicazione da monossido di carbonio consistono, prima di tutto, nell'allontanamento immedia-

to dell'individuo dall'ambiente contaminato e nella somministrazione di O, al 100% mediante maschera; in tal modo l'ossigeno riesce a competere con il CO per i siti di legame sull'emoglobina. Lossigenoterapia iperbarica, quando disponibile, consente un allontanamento ancora piü rapido del CO dal circolo ematico.

na 1997, 282-83; C. Gerin, F. Antoniotti, S. Merli, Medicina Legale e delle Assicurazioni, Roma

19973, 216-19; per ulteriori precisazioni in merito alle basi strutturali e funzionali dell'emoglobina si rimanda a L. Stryer, Biochimica, Bologna 19893, 161-70. 8 V. Fineschi, A. Lo Storto, M. Neri, D. Pallotta, E. Turillazzi, Modificazioni cardiovascolari e

reperti morfologici cardiaci per asfissia: studio sperimentale e casistico, Comunicazione presentata al IV Congresso nazionale Gruppo Italiano di Patologia Forense, Castelgandolfo, 15-17 nov. 2001 (atti in corso di stampa).

Giuliano imperatore e un probabile caso di intossicazione...

129

Tornando al passo di Giuliano, alla luce di quanto sinteticamente esposto in merito

alla patologia secondaria

all'esposizione

a CO,

& plausibile

interpretare l'episodio narrato come un'intossicazione da CO misconosciuta dall'autore medesimo per ovvie ragioni storiche.

Il fatto che l’autore riferisca di essersi risvegliato dopo essersi assopito costituisce una eccezione nei casi da intossicazione acuta da CO; tuttavia l'episodio potrebbe giustificarsi tenendo conto delle probabili caratteristiche del locale in cui soggiornava Giuliano (ampio e non ermeticamente chiuso), ma soprattutto della minima produzione

di CO, data l'esiguità del

materiale che alimentava il braciere introdotto nella camera (Giuliano dice che i tizzoni ardenti che egli ordina di porre nel braciere erano «in nume-

ro assolutamente limitato»). In ogni caso appare scolastica (quasi da manuale di medicina) la descrizione del quadro sintomatologico intossicazione da CO sofferta e riferita da Giuliano. Infine, per quanto riguarda l'episodio narrato da Livio (23, dotto, nella letteratura medica, da Palmieri? e, di recente, da al. 10. quale precedente storico di intossicazione da monossido

7, 3) e adBolino et di carbo-

nio

parere,

a fini

omicidiari,

esso

non

sembrerebbe

trovare,

a mio

di iniziale

un

chiaro riscontro da un punto di vista medico-scientifico. Infatti Livio racconta che nel 216 a. C., all'indomani della battaglia di Canne,

una delega-

zione campana si recó da Annibale per chiedergli, insieme ad altri vantaggi per la città di Capua, la cessione di 300 prigionieri romani da utilizzare per il riscatto di cavalieri campani arruolati in Sicilia. Da quello che segue si comprende che i Campani poterono liberamente catturare capi alleati e cittadini romani

senza

distinzione

fra militari e civili e che,

con il pretesto di farli prigionieri, li rinchiusero in uno stabilimento termale dove persero miseramente la vita per soffocamento provocato da ec-

cesso di calore (ubi fervore atque aestu anima interclusa foedum in modum exspirarent). Le parole di Livio inducono a ritenere che la morte dei prigionieri si sia determinata

per asfissia da confinamento

piuttosto che per intossica-

zione da monossido di carbonio. Per asfissia da confinamento si intende, in patologia forense, un'asfissia che si instaura quando una o piü persone

vengono rinchiuse in uno spazio ridotto e confinato per cui non & possibile il ricambio dell'aria. Essa si manifesta per la progressiva diminuzione della percentuale di ossigeno presente nell'aria respirata, a cui si aggiun-

gono

gli effetti

dannosi

derivanti

dall'accumulo

dell'anidride

carbonica

espirata dagli individui presenti nell'ambiente chiuso, dal surriscaldamento

? V.M. Palmieri, Medicina Forense, II, Napoli 19657, 513. 10 G. Bolino, F. Traditi, F. Umani Ronchi, L'intossicazione acuta da monossido di carbonio: revisione della casistica dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Roma "La Sapienza" (anni 1990-1999) in occasione di un doppio decesso per ossicarbonismo da cause accidentali, «Jura Medica» 13 (1), 2000, 81-134.

130

Piergiorgio Parroni, Eleonora Parroni

dell'ambiente e dalla saturazione dell'aria con il vapore acqueo !!. Elementi, questi ultimi, particolarmente rappresentati nel caso in esame, data la

tipologia del locale in cui erano stati rinchiusi i prigionieri romani (una sauna).

In tali circostanze

la morte

sopraggiunge

tanto più rapidamente

quanto

più l'ambiente ristretto è confinato in relazione al numero

delle

persone presenti e ai fattori sopra ricordati. Allo stato attuale, quindi, riteniamo che la testimonianza di Giuliano, finora passata inosservata, possa considerarsi la prima attestazione certa di un fenomeno di cui solo in tempi relativamente recenti si sono indagate le ragioni. Meno chiare sono infatti le cause della morte di Q. Lutazio

Catulo, che nell'87 a. C. si suicidò rinchiudendosi in una stanza appena intonacata, nella quale era stato introdotto del fuoco. Secondo la maggioranza delle testimonianze antiche ? Catulo sarebbe morto per l'effetto combinato delle esalazioni venefiche della calce e del fumo. Il solo Plutarco, Vita di Mario, 44, 5 si limita a parlare di asfissia provocata da «carbo-

ni accesi» in ambiente chiuso !?. È singolare come anche in questo caso si attribuisca per lo più azione tossica ai vapori sprigionati dalle pareti per effetto del calore; qui però si dà rilievo, come concausa, al fumo, che già di per sé potrebbe essere stata causa di morte. [E. P.]

11 C. Puccini, Istituzioni di Medicina Legale, Milano 19995, 595-96. 12 Diodoro, 38, 4, 3; Appiano, 1, 342; Velleio Patercolo, 2, 22, 4; Valerio Massimo, 9, 12, 4.

13 Più vago il riferimento alla calce e/o al fumo in altre fonti più tarde. Sull'argomento vd. J. Linderski, Fumo necare: an Addendum, «Glotta» 65, 1987, 250 sg.

M. Franca Buffa Giolito

LATTESA DELLA GUARIGIONE* NEGLI AVVERBI PROGNOSTICI FINALI DELLE RICETTE PSEUDOAPULEIANE

La definizione dellavverbio come pars orationis quae adiecta verbo si-

gnificationem eius explanat atque implet & tramandata espressamente come palemoniana da Carisio !, coincide con quella corrispondente della Techne

di Dionisio il Trace? ed ἃ seguita dalla maggior parte dei grammatici tardolatini, tra i quali

Donato?

e Diomede *; i suoi attributi

sono tre: il significato, la comparazione,

indispensabili

la forma.

Si è appurato come l'avverbio (gr. grippnua), che per sua natura esprime la maniera d'essere, costituisca in origine il «complemento intrinseco

al verbo ... nei riguardi del quale compie la stessa funzione dell'aggettivo nei riguardi del sostantivo: indica cioé la qualità del processo»; solo piü tardi s'incontra con funzione determinativa, unito anche ad un aggettivo o

ad un altro avverbio °. E indubbio che gli avverbi si rinnovino continuamente: non appena alcune forme

si stabilizzano come

formule

fisse, l'esigenza affettiva crea o

rafforza mezzi espressivi nuovi che, pur essendo oggetto di creazione individuale

e spesso

letteraria,

subiscono

tutte

le vicende

comuni

del linguaggio 5. L'esempio caratteristico di questo processo

nella categoria

avverbiale

che

significa

‘molto’:

alla

storia

si individua 7

vi s'incontrano

lessemi

* Ho tratto questa iunctura dal titolo del capitolo VII di V. Di Benedetto, I! medico e la malattia. La scienza di Ippocrate, Torino 1986.

! Cfr. G.L. 1, 180, 28-29 Keil = 241, 12 Barwick; 1, 181, 17s. Keil = 233, 2-3 Barwick. 2 Si veda a 49, 4s. Pecorella. 3 G.L. 4, 362, 14 Keil - 595, 25 Holtz; 4, 385, 10 Keil - 640, 2 Holtz.

4 G.L. 1, 403, 17 Keil. 5 F. Cupaiuolo, La formazione degli avverbi in latino, Napoli 1967, 7-8; 27-28. 6 Essendo uno degli elementi pià mobili della frase, l'avverbio gode di grande libertà di costruzione nell'ambito della proposizione: sull'argomento sempre utili si rivelano le osservazioni di 1. Debeanvais, L'adverbe dans la phrase latine, in «Les ét. Class.» 16, 1948, 33-38 e soprattutto di J. Marouzeau, Ladverbe dans la phrase latine, in «Rev. ét. Lat.» 23, 1945, 182-202 (ripubblicato nel volume L'ordre des mots dans la phrase latine, IIL: Les articulations de l'énoncé, Paris 1949, 11-33). 7 Cupaiuolo, La formazione cit., 16.

132

M. Franca Buffa Giolito

come

multum,

bene,

valde, admodum,

oppido,

affatim,

immense,

opprime,

fortiter, vehementer, satis, perquam. Ebbene,

anche nell'erbario dello Ps. Apuleio? (nella chiusa delle ricette)

si lasciano focalizzare azioni indicanti la risoluzione della morbilità, accompagnate da avverbi ? di valenza positiva, significanti ‘molto’ o comun-

que indicanti la straordinaria efficacia delle cure proposte; si tratta per lo più di avverbi in -e!'?, meno spesso in -ter !!. Procedendo analogamente per la categoria avverbiale che significa 'subito', ci avvediamo che l'avverbio italiano vale: a) improvvisamente; b) in fretta, rapidamente; c) immediatamente, senza indugio. Non compaiono

nell'erbario pseudoapuleiano avverbi latini il cui valore rientri nel punto a); nel punto b) sono compresi celeriter ^, citò 13, mature '^, mentre il punto c)

8 Per fare il punto sull'autore e sul suo erbario si veda Gigliola Maggiulli Giolito, L'altro Apuleio. Problemi aperti per una

nuova

- M. Franca Buffa

edizione dell'Herbarius,

parte I, Napoli

1996, 71-73. Leggo il testo nell'ediz. Antonii Musae de herba vettonica liber. Pseudo Apulei Herbarius. Anonymi de Taxone liber. Sexti Placiti liber medicinae ex animalibus, edd. E. Howald e H.E. Sigerist, C.M.L. 4, Leipzig 1927. Sulle due mani operanti sul testo, ovvero l'autore delle ricette originali e quello Auctus della praefatio, dei tituli morborum e dei nomina herbae si legga Gigliola Maggiulli, Uterque Plinius, uterque (Ps.) Apuleius (Per una ricostruzione della dottrina pliniana nell'Herbarius), in «Romanobarbarica»

14, 1996-97, 103-142.

9 Tralascio le espressioni avverbiali composite, del tipo: sine mora, cum summa admiratione etc. 10 Indico tra parentesi il nr. progressivo delle erbe seguito dopo la virgola da quello della riga dell'ediz. H.-S. AEQUE (29, 5 proficit; 29, 13 - efficaciter prodest); BENE (104, 3 facit); FACILLIME (1,

65 sanat; 77, 11 conualescit); MIRE (3, 12 proficere creditur; 4, 4 tollit; 20, 16 sanat; 24, 9-10 praestat; 25, 4 proficit; 31, 7 prodest; 37, 3 proficit; 49, 4 discutit; 45, 20 curat; 45, 22 sanat; 59, 14 facit; 80, 6-7 sanabit; 82, 5 sanabit; 89, 10 sanat; 90, 4 restringit; 97, 9 sanat; 104, 5 facit; 106, 4-5

remediabis; 119, 3 facit; 124, 4 facit; 131, 35 sanantur); MIRIFICE (1, 3-4 tollit; 1, 10 purgat; 2, 21 remediat; 3, 5 sanat; 5, 3 sanat et...discutit; 11, 10 sanat; 31, 17 discutit; 31, 19 sanat; 32, 4 sana-

bitur; 32, 8 tollit; 33, 4 sanat; 34, 3-4 auxiliatur; 36, 4 sanat; 36, 6-7 statim - effugat; 40, 8 sanat; 41, 10 rumpit; 42, 11 sanat; 45, 4 sanabuntur; 55, 4 sanat; 88, 9 restringit et sanat; 131, 40-41 statim - sanantur); OPTIME (80, 25 facit); POTENTISSIME (76, 12 sedat); SUMME (3, 3 proficit; 34, 12 facit; 54, 4 facit; 75, 3 prodest; 76, 15 sedat; 95, 7 facit; 102, 6 sedat; 113, 6 religat); VALDE (86, 7 pro-

dest); VALIDISSIME (16, 4-5 proderit; 35, 4 proficit; 76, 17 prodest). 1! DILIGENTER (18, 15 proficiet); EFFICACITER (2, 13 sanat; 29, 13 aeque — prodest; 96, 4-5 pro-

dest); FORTITER (1, 67 medetur); POTENTER (18, 18 proficit; 107, 3-4 emendat); VEHEMENTER (24, 7 discutit). 12 Derivando da celer (= pronto, veloce) vale ‘celermente, prontamente’, in contrapposizione

a tarde, come cito. Cfr. DELL, 110, s.v. celer.

13 E una forma fossilizzata di ablativo, con comparativo e superlativo, da citus (= veloce, svelto), che insieme a pochi altri avverbi come modö, ha però abbreviato la finale lunga -ó tipica dell'ablativo dei nomi della II declinazione, per effetto della correptio giambica: cfr. R.G. Kent, The Forms of Latin, Baltimore 1946, $ 231, 30; F. Sommer, Handbuch der lateinischen Laut-und Formenlehre, Heidelberg 19142-3 (= 1948), 146; tuttavia citò e modo, con finale lunga, si leggono talora in Plauto: vd. Cupaiuolo, La formazione cit., 40.

14 E un avverbio in -e, con comparativo e superlativo, da maturus e vale ‘a tempo opportuno, a proposito', ma anche 'prematuramente, troppo presto' come in Nep. Att. 2, 1 ed infine, in senso traslato, è in relazione allo svolgimento e significa ‘prontamente, con celerità, sollecitamente'. Cfr. DELL, 391, s.v. maturus.

Lattesa della guarigione negli avverbi prognostici finali delle ricette...

133

è rappresentato da mox 1", statim !9 e continuo !”, avverbi di tempo, giacché rispondono tutti alla domanda

«entro quanto tempo?». In particolare:

— -

CELERITER è avvicinato a: lenire (87, 4) 18; reducere (3, 17) CITO é unito a: remittere (93, 44)

-

MATURE é congiunto a: discutere (31, 5) !?

-

Mox è unito a: discutere (35,

-

dere (58, 4); liberare (83, 12-13); occidere (62, 13) 21; provocare (83, 8) 22; restringere (39, 7; 59, 4; 75, 14; 127, 4) 23; sanare (4, 10; 9, 4-5; 36, 15; 44, 4; 80, 4); sanus esse (116, 9) 24; sedare (77, 4) 25; solvere (61, 4-5) 26 SIATIM è unito a: effugare (36, 6); purgare (21, 7) 27; sanare (3, 8; 131, 29; 131,

18; 62, 8); eicere (62, 4) 20; excitare (112, 4); interci-

-

40-41); sentire (52, 4) CONTINUO ἃ unito a: discutere (93, 16); sanare (92, 12); sanus fieri (93, 7)

Poiché per ovvie ragioni di tempo non potremo occuparci di tutti i pas-

si proposti, tralasceremo gli avverbi del punto 5) che accompagnano verbi specifici correlati alla sintomatologia, appuntando la nostra attenzione sui rimanenti tre avverbi del punto c), allorquando esprimano l'immediatezza della salute 25 ritrovata, in seguito all'utilità del rimedio proposto. Essi in-

15 Su questo avverbio vd. J.C. Jones, 'Mox' mit seinen Verbindungen, in «Arch.Lat. Lex.Gr.» 13, 1904, 524-531; H.J. Rose, Mox, in «Class. Quart.» 21, 1927, 57-66; G. Norwood, Mox, in «Class. Journ.» 36, 1941, 421-423; Cupaiuolo, La formazione cit., 138. 16 Gli avverbi in -im, «molto frequenti nel periodo arcaico e nel tardo latino, risultano dal-

l'uso irrigidito di un accusativo singolare di un astratto col tema in -ti-(-si-)»: F. Cupaiuolo, Problemi di lingua latina. Appunti di grammatica storica, Napoli 1991, 255; Id., La formazione cit., 50; 53; 106. Si veda anche A. Funck, Die lateinische Adverbia auf -im, in «Arch. f. lat. Lexik.Gr.» 7, 1891, 485-506; 8, 1893, 77-114, particolarmente 109-1 10. Infine, si noti che il suffisso -tim ha for-

nito molti avverbi, soprattutto al sermo familiaris: K. Bergsland, Les formations dites adverbiales en -tim, -atim et -im du latin republicain, in «Symb. Osloenses» 20, 1940, 52-85; J. Schaffner-Rimann, Die lat. Adverbien auf -tim, Winterthur 1958, 38-39. 17 Gli avverbi con terminazione in © sono, com'è noto, forme fossilizzate di ablativi: in parti-

colare continuo, avverbio indicante tempo, era in origine aggettivo accompagnato dall'ablativo di un sostantivo del tipo tempore, die, anno, caelo, etc.: vd. Cupaiuolo, La formazione cit., 40. 18 Nell'Index verborum memorabilium dell'ediz. H.-S. cit. il verbo lenire compare ancora una

volta soltanto nell'erbario a 90, 14. 19 Discutere ha molte occorrenze nell'erbario: a 1, 33; 8, 10; 18, 10, 19; 19, 16; 20, 11; 24, 7; 31, 5, 17; 35, 18; 38, 7; 43, 4; 44, 5; 45, 15, 18; 49, 4; 86, 3; 93, 16. 20 I] verbo si ritrova anche in 8, 10, in unione al lessema pus.

21 Quest'azione si rintraccia anche a 130, 9. 22 Provocare occorre in 125, 12; 127, 8. 23 Il verbo si legge altresì in 2, 16; 52, 5, 7; 68, 5; 88, 9; 90, 4. 24 [ a iunctura & presente anche in 93, 53.

25 Si tratta di un'azione di ripetuta occorrenza nello Ps. Apuleio: a 42, 8; 48, 6; 53, 7; 54, 6; 72, 7; 76, 12; 80, 18; 88, 8, 26; 93, 13, 19; 99, 8; 102, 6; 108, 6; 116, 25; 125, 9; 128, 6; 131, 25. 26 S'incontra inoltre in 15, 11; 40, 12; 85, 15; 124, 35; 131, 28.

27 Purgare figura spesso nell’erbario: in 1, 10; 2, 10; 11, 13; 19, 9; 59, 7; 73, 6; 81, 6; 83, 4; 89, 5; 112, 3.

28 Determinare la salute del malato é il fine della medicina: la salute e la salvezza dalla morte (= guarigione) sono due degli obiettivi principali degli ippocratici: cfr. C.H. 4, 312 Littré.

134

M. Franca Buffa Giolito

dicano il 'subito' della guarigione, soltanto laddove compaiano in funzione determinativa di sanare (verbo specifico della guarigione stessa, o iuncturae sinonimiche del tipo sanus fieri o esse), come si evince dalla lettura

delle cure ?? seguenti: 1) Herb. 3, 6-8 Ad eos qui induratas uenas habent et cibos non recipiunt. Herbae

uerbenacae sucus datur bibere,

sed coctum, postea

miscetur, cum

uino et

melle et aqua et statim sanat.

[Se il verbo sanare riveste qui il valore tradizionale di «guarire, risanare, rendere fa ni 2)

sano» potrebbe essere il medico, grazie al suo intervento terapeutico, che subito guarire il malato, piuttosto che il rimedio, uerbenacae sucus, soggetto delle azioche precedono] Herb. 4, 8-10 Ad dentium dolorem. Herbae simfoniacae radix cocta cum uino austeri, sorbeat et teneat eam in dente qui dolet, mox sanat dentium dolorem. [La patologia coincide con quella della ricetta 80, 2-4 riportata infra. Come nella cura che precede potrebbe essere il medico che guarisce subito il mal di denti, anche se grammaticalmente il soggetto sembra simfoniacae radix]

3) Herb. 9, 2-5 Ad lunaticos. Herba

botracion si lunatico in ceruice ligetur lino rubro,

luna decrescente,

cum

erit signum tauri uel scorpionis parte prima, mox sanabitur. [Qui e il lunaticus che sarà guarito: la diatesi passiva stabilisce senza equivoci

che si tratta del malato a 'subire' l'azione del risanamento. «Non & casuale che talvolta la stessa previsione di guarigione che spesso segue il vero e proprio intervento terapeutico del medico si possa cogliere anche in connessione a una formula di incantesimo» 3°: nei testi medici egiziani la nozione del guarire «subito» si trova

anche in concomitanza con frasi rituali che venivano recitate 3! e che provocavano l'immediata guarigione del paziente. Inoltre, la rapidità e la regolarità con cui, nei testi terapeutici assiro-babilonesi, il ristabilimento del malato si pone in dipenden-

29 Non si terrà conto di due ricette (precisamente A. 131, 27-29: «Ad aurium dolorem. Sucus eius cum oleo nardino solutum, mixturas suffundis auribus, statim mire sanat» e 131, 37-41: «Ad epilempticos, hoc est daemoniosos et qui spasmum patiuntur, sic facies. De corpore ipsius herbae mandragorae tribulas scripulum 1 et dabis bibere in aqua calida, quantum merus continet, statim mirifice sanantur») in quanto risultano di dubbia autenticità, giacché si leggono in h. 131, nel paragrafo concernente la mandragora, che non è trádito nei codici più antichi dell'erbario, così che è stato ipotizzato che il capitolo relativo non si trovasse nello Ps. Apuleio genuino: vd. Buffa Giolito, L'altro Apuleio cit., parte II, 126 e n. 34. L'uso di avvicinare due avverbi (statim mire

e statim mirifice) potrebbe rappresentare un caso particolare nella moda della tarda latinità di raddoppiare l'avverbio (o la preposizione) per conferire maggiore forza espressiva: cfr. Cupaiuolo, La formazione cit., 17, che sottolinea come l'uso di duplicare l'avverbio sia caratteristico soprattutto della lingua popolare; infine, mire e mirifice potrebbero fungere da spie linguistiche di un qualche evento prodigioso, relativo alla medicina magica. 30 Vd. Di Benedetto, Il medico cit., 152. Sulle ἐπωιδαὶ e sui rituali catartici in genere si veda-

no Giuliana Lanata, Medicina magica e religione popolare in Grecia fino all'età di Ippocrate, Roma

1967, 46-48 e H. Grapow, Von den medizinischen Texten, in Grundriss der Medizin der alten Ágypter, II, Berlin 1955, 13-15. 31 [n merito si veda Grapow, Von den medizinischen Texten cit., 26.

L'attesa della guarigione negli avverbi prognostici finali delle ricette...

135

za dall'intervento del medico, si chiariscono supponendo che esse presuppongano un modulo magico ??, come nel nostro caso 33] 4) Herb. 36, 13-15 Ad canis rabidi morsum.

Herbae personaciae radices cum sale marino tritas morsui inponito, mox sanat. [È il medico34 che guarisce subito. La ricetta va confrontata

con la successiva,

per la somiglianza del lemma] 5) Herb. 44, 2-4 Ad morsum canis. Herbam gallicrus teris cum axungia et pane domestico et inponis,

mox sanabi-

tur.

[E il malato che, in seguito alla terapia del medico, subito sarà guarito]

6) Herb. 80, 2-4 Ad dentium dolorem. Herbae rosmarini radix conmanducata

dentium dolorem

sine mora

tollit; sucus

eius super dentem si tenuerit, mox sanat.

[Come nella cura 3, 6-8 chi compie l'azione potrebbe essere il medico, che, in seguito all'intervento terapeutico, subito guarisce il mal di denti] 7) Herb. 92, 7-12 Ad colubri morsum. Herba ebulum, antequam succidas eam, tenes eam et ter nouies dicis: omnes malas bestias canto, atque eam ferro quam acutissimo e limo secundum terram tri-

fariam praecidito et id faciens de eo cogitato, cui mederis, reuersus ita ne respicias et ipsam herbam contritam adponito, continuo sanabitur. [La ricetta presenta una prescrizione rituale sulla raccolta dell'ebulum, con la presenza di ben quattro costanti di origine magica 35: 1) il numero: qui magici sono

il 3 (ter, trifariam)

e un suo multiplo

(novies);

2) il rito, ovvero

il tenere

la

pianta all'atto dell'incantatio; 3) gli strumenti usati per la raccolta (il coltello, il ferro); 4) il luogo dove viene posto il rimedio per ottenerne effetti catartici, apotropaici e curativi. Nel nostro caso l'erba, ridotta in polvere, viene applicata sulla parte del corpo morsicata e tosto il malato sarà guarito]

8) Herb. 93, 5-7 Ad dolorem intestinorum infantium. Herbam puleium et ciminum tritum ex aqua super umbilicum inponito, continuo sanus fiet. [Anche in questo caso le erbe, ridotte in polvere, vengono applicate sulla parte del corpo malata ed il piccolo paziente tosto tornerà sano] 9) Herb. 116, 5-9 Ad praecordiorum dolorem.

32 Si legga ancora Di Benedetto, /! medico cit, 152. Del resto i metodi magici e gli incantamenta prosperano soprattutto nella letteratura degli Euporista: si legga al riguardo Carmélia Opsomer- R. Halleux, Marcellus ou le mythe empirique, in Les Ecoles médicales

à Rome, Actes du ?e

Colloque internat. sur les textes médicaux latins antiques, Lausanne, septembre 1986, edd. Ph. Mudrye 1. Pigeaud, Génève 1991, 164-165; 177-178. 33 Qui la terapia di origine magica presenta le costanti del tempo propizio della raccolta o 'erboristeria astrologica', a luna calante, e del rito, con la scelta del colore rosso: vd. Maggiulli,

Laltro Apuleio cit., parte I, 27-29. i

34 Al riguardo si veda Di Benedetto, Il medico cit., 145-146, che ricorda come nel libro II Sul-

le malattie (in 1. Jouanna, Hippocrate, t. X, parte II, Paris 1983, 88 12-75) compaia la formula-tipo «facendo queste cose (il malato) guarisce», dove il fare del malato coincide spesso con il seguire alla lettera le istruzioni impartite dal medico curante. 35 Cfr. ancora Maggiulli, L'altro Apuleio cit., parte I, 27. Piü in generale risulta sempre utile: A. Delatte, Herbarius. Recherches sur le cérémonial usité chez les Anciens pour la cueillette des simples et des plantes magiques, Bruxelles 1961.

136

M. Franca Buffa Giolito

Herbam rutam siluaticam contunde in uaso ligneo, deinde adde tribus digitis quod prendere potueris, mitte in calicem uini ciatum I et aquae ciatos II, da ut bibat, et contineat se in lecto modicum, mox sanus erit. [Dopo l'intervento terapeutico del medico, & il malato che subito sarà sano, ovvero risanato: la iunctura mox sanus erit trádita dai codd. migliori (delle classi a e B) é omessa da y; B 36 ha l'usuale sanabitur]

Nell'ambito degli avverbi ivi impiegati si ricavano le seguenti tipologie: Sanare al presente

indicativo (diatesi attiva) STATIM,

MOX

3, 8: statim sanat 4, 10: mox sanat 36, 15: mox sanat

Sanare al futuro indicativo (diatesi passiva) MOX,

CONTINUO

Fieri o esse al futuro indicativo - sanus MOX,

9, 4-5: mox sanabitur 44, 4: mox sanabitur 92. 12: continuo sanabitur

CONTINUO

93, 7: continuo sanus fiet 116, 9: mox sanus erit

80, 4: mox sanat

Nelle ricette analizzate mox, presente in tutte e tre le colonne, risulta dunque l’avverbio più usato (6 occorrenze), seguito da continuo (2) e da statim (1).

Mox, lessema antico, non romano e usuale, che rientra nel gruppo di avverbi primitivi e di incerta etimologia, cioé senza facili e riconoscibili connessioni etimologiche o che, comunque, si puó supporre non derivino da altre parole, presenta corrispondenze solo con l'indo-iraniano (sanscrito makshü, avestico mosu ‘presto’) e con l'italo-celtico: potrebbe riallacciar-

si ad una antica forma con vocale finale, forse in origine -u, caduta già in epoca remotissima ??, Piuttosto raro nell'epoca classica, non è soltanto equivalente di ‘fra poco, presto’: ora si oppone a ‘frattanto’, talora indica un futuro non immediato (corrispondendo così a ciò che è olim nel passato), spesso ricorre nelle enumerazioni 3°. L'avverbio in genere prospetta: a) un futuro immediato, in rapporto al tempo che segue immediatamente, a partire dal presente (accompagnato dai tempi presente e futuro) e vale

‘ben presto, poi, fra poco’; b) un momento rispetto al passato (accompagnato

36 Secondo

futuro accentuato, immediato

da tempi

la divisione della tradizione manoscritta

passati), con il significato di

in tre classi (a, B, y), proposta da

Howald e Sigerist, Antonii Musae cit., che con la sigla B contraddistinguono il lacunoso codice

Bambergensis medicus 8 (L III 15): Buffa Giolito, L'altro Apuleio cit., parte II, 103. 37 V. Pisani, Lat. vix e mox, in «Orpheus» 1, 1980, 115-116 ipotizza che si possa vedere in i.e. ' *moksu un nom.-acc. sing. neutro usato come avverbio.

38 DELL, 417, s.v.; Walde-Hofmann, 117, s.v. 39 Nella prosa d'età imperiale si è manifestata la tendenza ad adoperare mox come sinonimo di post e deinde. Nella tarda latinità il suo impiego & confuso con quello di modo e spesso, in

unione con quar, forma un avverbio interrogativo: più in dettaglio vd. Cupaiuolo, La formazione cit., 138-139.

Lattesa della guarigione negli avverbi prognostici finali delle ricette... ‘ben

presto,

subito

dopo,

poi'

c)

sussidia

un

futuro,

lontano

rispetto

137 al

presente, e vale genericamente ‘in seguito, più tardi' *. Ai fini della nostra indagine ὃ necessario attualizzare soltanto la connotazione del punto a).

Continuo rientra tra le forme fossilizzate di ablativi con terminazione -ó (originariamente -ód), da temi nominali in -o *!. Da Carisio * sembra risultare che l'uso della -o per -e negli avverbi fosse una caratteristica di alcuni dialetti del latino. Derivando da continuus

(a sua volta da contineo), lavver-

bio è in funzione dello spazio e del tempo e vale ‘immediatamente dopo’ nello spazio, ma anche 'subito dopo, immediatamente, tosto' nel tempo. Statim fa parte degli avverbi in -im, antichi accusativi singolari di temi in -ti- (-si), temi generalmente ampliati in -tión- (-siön-): spesso inizialmente laccusativo era da considerarsi ‘interno’ come appare ancora in Plauto Amph. 276, nella triplice allitterazione consonantica statim stant signa, in rilievo per la presenza della figura etimologica sui primi due lesse-

mi, dove statim è esattamente paragonabile al gr. στάσιν, otáónv, accusativi del contenuto, e a sthítim del sanscrito 9. Derivando ‘stabilmente,

saldamente,

a pie’ fermo'

e dunque 'subito, senz'indugio' *.

da stare, statim vale

e, per traslato, 'all'istante, li per li’

|

Dalla tabella risulta evidente che il futuro indicativo sembra il tempo preferito presentando cinque occorrenze (in tre casi l'azione ἃ precisata dal verbo sanare, in due viene impiegata la forma perifrastica con sanus + il futuro di sum e fio), seguito dal presente indicativo che compare quattro volte, a marcare l'evento, la sorpresa, con sanare in diatesi attiva. Il segmento testuale costituito da avverbio di tempo indicante 'il subito' * l'azione immediatamente conseguente, la guarigione, potrebbe far pensare a prima vista alla formula di chiusura tipica dei prodotti empirici, in quanto osservazione di una concomitanza tra l'applicazione di un qualsia-

si rimedio e un effetto terapeutico 55. Ma

andrà

altresì verificata un'altra ipotesi, che si tratti cioè dell'indizio

di un approccio medico

primordiale, che evidenzia il nesso tra atto tera-

40 Cosi L. Colucci, in Enc.Virg., 3, 609, s.v. 41 Cupaiuolo, La formazione cit., 40. 42 G.L.

1, 193,

ilsgg. Keil = 251,

1sgg. Barwick: ...et vero, non vere...non quia negem ultra

Sassinum interque Vestinos sed et Teatinis et Marucinis esse moris e litteram relegare, o videlicet pro eadem littera claudentibus dictionem. 43 Cupaiuolo, La formazione cit., 50-53.

*4 DELL, 652, s.v. sto. 45 Gal. De optima secta 1, 131-132 Kühn; Ps. Gal. Introductio sive medicus 14, 677-678 Kühn;

K. Deichgráber, Die Griechische Empirikerschule. Sammlung der Fragmente und Darstellung der Lehre. Um Zusätze vermehrter anastatischer Neudruck der Ausgabe von 1930, Berlin-Zürich 1965, 100; Opsomer- Halleux, Marcellus ou le mythe empirique cit., 169-171. Sull'argomento cfr. M. Franca Buffa Giolito, Dentifricia diuersa de experimentis in Marcello, in Atti del 3* Colloquio Europeo di Etnofarmacologia-1a Conf. Intern. di Antropologia e Storia della Salute e delle Malattie (Genova 29 maggio-2 giugno 1996), Genova 1998, 169-177; Ead., L'altro Apuleio cit., parte II, 134-135.

138

M. Franca Buffa Giolito

peutico e evento del decorso, accertabile anche in altre opere mediche anteriori, alle quali ὃ giocoforza accennare sia pure fugacemente: significativi per documentare la fiducia nella guarigione si sono rivelati i giudizi clinici sulla evoluzione futura della malattia che compaiono dopo la sequen-

za-tipo sintomatologia *%/terapia e che presuppongono mutato,

proprio

in rapporto

ad un

avvenuto

un quadro

trattamento

medico

clinico pratico.

Per esempio, nelle indicazioni prognostiche finali 47 di trattati tecnico-tera-

peutici del Corpus Hippocraticum **, fa spicco la propensione a focalizzare la perizia dell'intervento curativo del medico *, spesso con la previsione della guarigione del malato. Da un recente esame comparativo delle occorrenze lessicali delle prefazioni del De medicina

dello Ps. Plinio, del De

medicamentis

di Marcello

e

dell'Herbarius dello Ps. Apuleio risulta che nella praefatio allografa 59 all'erbario non s'incontra il vocabolo designante il malato e ne resta piuttosto evidenziato il rapporto medico » malattia che investe prevalentemente l'ambito della eziopatogenesi della malattia e dell'intervento terapeutico

(vires herbarum et curationes corporis), mentre all'interno delle ricette del breviario fitoterapico, nell'esame del rapporto rnedico/malattia, l'analisi del

trattamento di quest'ultima e dell'esercizio dell'ars medendi meno in parte, anche il rapporto tra malato e malattia 5!.

coinvolge, al-

46 O semplice presentazione dell'affezione: così Di Benedetto, // medico cit., 145.

47 Che possono essere a buon diritto confrontate con i testi terapeutici assiro-babilonesi, dove di regola la formula relativa alla guarigione del malato & in stretta connessione con la terapia e la segue: Di Benedetto, // medico cit., 151; D. Goltz, Studien zur altorientalischen und griechischen Heilkunde. Therapie, Arzneibereitung, Rezeptstruktur, in «Sudhoffs Archiv Zeitschr. f. Wis-

senschaftsgechichte» 16, Wiesbaden 1974, 2 sgg. 48 Come il II libro Sulle malattie (vd. sopra n. 34), Sulle affezioni interne (in Oeuvres completes d'Hippocrate,

ediz. con trad. franc. di E. Littré, Paris

1839-1861

(= rist. Amsterdam

1973-1978),

vol. VII), il III libro Sulle malattie (in R. Potter, Hippokrates. Über die Krankheiten, III, Berlin 1980) e la parte piü arcaica del trattato Sulle malattie delle donne (in Oeuvres complétes d'Hippocrate cit., ediz. Littré, vol. VIII. Il testo dello strato C é stato édito da H. Grensemann, Hippokrati-

sche Gynäkologie, Wiesbaden 1982). 49 Nel I libro delle Epidemie di Ippocrate viene affermata la necessità di unificare in un'unica analisi critica i vertici del triangolo ippocratico, le tre personae dramatis: malato, medico, malattia, termini fondamentali dai quali è composta l'arte medica: così M. Vegetti, Opere di Ippocrate, Torino 19762, 294-295. Per gli ippocratici il processo di risanamentp ha per prota-

gonista la φύσις, ma suoi ministri sono il medico che cura e il malato che collabora con lui e che gli obbedisce: C.H. 2, 636; 4, 458; 5, 314; 9, 14-16 Littré. In merito si vedano Danielle Gou-

revitch, Le triangle hippocratique dans le monde gréco-romain. médecin, Roma

1984 e M.D. Grmek

medico occidentale.

Le malade, la maladie et son

(a cura di), Il concetto di malattia, in Storia del pensiero

I. Antichità e medioevo,

Bari

1993,

339:

i medici

ippocratici studiavano

e

curavano i malati, non le malattie. 50 Scritta da un sedicente Apuleius Platonicus dopo il 395, giacché nel testo dell'Herbarius

posseduto da Marcello, magister officiorum in quell'anno, non figurava l'epistola prefatoria: vd. in merito Maggiulli, L'altro Apuleio cit., parte I, 16-17; M. Franca Buffa Giolito, Lettura retorica della praefatio di Ps. Apuleio Platonico, in «Serta Antiqua et Mediaevalia», II, Tradizione enciclopedica e divulgazione in età imperiale, Roma 2000, 205-207. 51 M. Franca Buffa Giolito, Topoi della tradizione letteraria in tre prefazioni di testi medici lati-

Lattesa della guarigione negli avverbi prognostici finali delle ricette...

139

Ora, si è osservato che in due opere 52, che si riconnettono alla scuola di

Cnido "5, si concede grande spazio alle malattie; in esse affiora con evidenza la fiducia nelle capacità guaritrici del medico: nel primo trattato, l'atteggiamento di fronte all'intervento terapeutico & fondamentalmente ottimistico 5^, mentre nel secondo l'operato del medico é ostentato come idoneo ad avvia-

re al risanamento, e dunque a volgere positivamente, uno stato di salute contrassegnato dalla problematicità della malattia. La previsione del successo si rivela in una

successione

canonica

che si rintraccia anche

nei testi

medici egiziani e assiro-babilonesi, dove spesso s’incontra la giuntura «e il malato guarirà», dopo la trattazione di un singolo caso clinico 55. Alla fine dei consigli terapeutici, nei testi egiziani ^5, sono previste formule eterogenee che, in vario modo,

ne accentuano

la validità senza li-

mitazioni o snellimenti 57. Frequentemente vi compare l'espressione «cosi egli subito guarisce»

(o altra equivalente)

in cui si coglie la nozione di

«subito» 58.

Anche nei testi terapeutici accadici è palese la certezza incondizionata nell'efficacia della cura praticata dal medico; la guarigione è un dato formulare, che & di contro problematicizzato in numerosi testi tecnico-tera-

peutici greci, i quali riconoscono nondimeno un margine di casi non riducibili ?. Ma, seppure il quadro si presenti in modo piü complesso rispetto

ni, in Alfrieda et 1. Pigeaud (a cura di), Actes du VIe Colloque International sur Les textes medicaux latins (Nantes, 1-3 sept. 1998), Nantes 2000, 23. 52 Mi riferisco a Sulle affezioni interne (VII Littré) e Sulle malattie II, 88 12-75 (X, 2 Jouanna). 53 Tale scuola, come si sa, ebbe i suoi principali rappresentanti in Eurifonte ed Eradico di Cnido; per i medici cnidi la medicina è essenzialmente una pratica di cura e di guarigione: vd. J.

Ilberg, Die Ärzteschule von Knidos, in «Berichte über die Verhandlungen der sächsischen Akademie der Wissenschaften zu Leipzig», Phil.-hist. Klasse, 76, 1924, Heft 3, Leipzig 1925, 7; L. Bour-

gey, Observation et expérience chez les médecins de la Collection hippocratique, Paris 1953, 37; 145; LM. Lonie, The Cnidian Treatises of the «Corpus Hippocraticum», in «Classical Quaterly» 59, 1965, 18-19; J. Jouanna, Hippocrate. Pour une archéologie de l'école de Cnide, Paris 1974, 16-24; 176 sgg.; 253 sgg.; Vegetti, Opere di Ippocrate cit., introd., 36 sgg. Si vedano altresi R. Boncompagni, Le cause delle malattie in «Affezioni interne», in «Studi classici e orientali» 19-20, 1970-1971, 76-84; H. Grensemann, Knidische Medizin, Teil 1: Die Testimonien zur ültesten Knidischen Lehre und Analysen Knidischer Schriften im Corpus Hippocraticum, Berlin 1975; A. Thivel, Cnide et Cos? Essai sur les doctrines médicales dans la Collection hippocratique, Paris 1981. 54 Vd. al riguardo Di Benedetto, Il medico cit, 148.

55 Di Benedetto, 1 medico cit., 159, n. 24. Tralasciando i rimandi puntuali ivi registrati, preciso che il nesso & tra la guarigione e «un singolo atto terapeutico o un singolo evento del decorso», sia esso «il fasciare con un preparato specifico, il bere un liquido da parte del malato, il mangiare» o altro. 56 [n relazione sia al malato che guarisce sia al medico che lo fa guarire; inoltre si prevede, seppur raramente, il caso che - dopo avere esaminato il malato -- il medico ne dichiari la non curabilità; tuttavia l'esito dell'intervento medico & presentato sistematicamente come positivo: cfr. Di Benedetto, // medico cit., 152. 57 Grapow, Von den medizinischen Texten cit., II, 73-74. 58 Si veda ancora Di Benedetto, Il medico cit., 160, n. 32, con i relativi riferimenti testuali. 59 Goltz, Studien cit., 258 e soprattutto n. 80.

140

M. Franca Buffa Giolito

ai testi assiro-babilonesi corrispondenti, nella sostanza si percepisce il residuo di un approccio primitivo di fronte all'intervento del medico che

tratta la malattia: il confronto conferma il carattere di arcaicità che le formule prognostiche greche spesso rivelano 99. Ma

torniamo a Sulle affezioni interne: come

è stato sottolineato δ᾽, nel 8

26, al termine di una serie di prescrizioni terapeutiche, si legge la locuzione «in questo modo subito lo guarirai» 52. Sistematicamente l'autore, dopo il trattamento terapeutico, conclude l'esposizione semiologica della malat-

tia con una breve frase che focalizza il risultato della preparazione, o il grado di gravità della malattia o tutt'e due contemporaneamente 9; spesso alla fine della trattazione

della singola malattia si ha la previsione

della

salute ritrovata δ΄. Usuale, nel trattato, è l'impiego del futuro (in relazione alla guarigione del malato) nelle frasi ricorrenti ὑγιὴς 9° ἔσται «sarà sano/ guarirà» oppure ὑγιέα ποιήσεις «(lo) renderai sano/ (lo) guarirai» $5. Infine, nel contesto della previsione del risanamento e nelle formule fi-

nali, assiduamente occorre l'avverbio di grado superlativo 9” τάχιστα, (neutro plurale da ταχύς) conformemente al ripetuto rituale secondo cui, in conseguenza del trattamento proposto, il malato non solo guarirà, ma lo

farà prestissimo 59 (τάχιστα appunto). Tale superlativo, che compare venticinque

volte in Sulle affezioni interne,

mai

in Sulle malattie

II (88

12-75),

presenta una frequenza d'uso di gran lunga inferiore negli altri trattati del Corpus, anche se di maggior estensione rispetto a Sulle affezioni interne, il

cui autore quando non usa τάχιστα impiega ἐν τάχει, come per es. al 8 37: ἐν τάχει ὑγιὴς ἔσται. Si tratta verosimilmente di un'espressione mente cnidia che inoltre si riscontra nei trattati ginecologici 70,

60 quella 61 62 63

tipica-

Sulla questione di una eventuale derivazione di qualche elemento della medicina greca da accadica si veda ancora Goltz, Studien cit., 238-240. Di Benedetto, Jl medico cit, 148. Leggo il testo in Oeuvres completes d’Hippocrate cit., VII, 234, 14-15 Littré. Jouanna, Hippocrate. Pour une archéologie cit., 225 e n. 1.

64 Cfr. Sulle affezioni interne 88 9; 37. 65 1] lessema, in quanto termine tecnico, compare già a sottolineare le guarigioni operate da

Asclepio, come risulta da innumerevoli riscontri nelle iscrizioni di Epidauro: cfr. 7.G. IV 951. Per tutte le testimonianze riguardanti Asclepio & sempre utile la monografia di E. e L. Edelstein, Asclepius. A Collection and Interpretation of the Testimonies, Baltimore 1945, II, soprattutto 132-138. Infine, una curiosità: la voce ὑγιής figura sette volte nel Vangelo di Giovanni (V 4, 7, 9, 11, 14, 15; VII 23). 66 Ritorna qui l'alternanza medico/malato riscontrata nella chiusa delle cure dell'erbario pseudoapuleiano prese in esame. Si vedano N. Van Brock, Recherches sur le vocabulaire médical du grec ancien. Soins et guérison, Paris 1961, 159; Goltz, Studien cit., 133; Di Benedetto, 1 medico

cit, 149. 67 E risaputo che in greco «la suffissazione del neutro plurale & quella che si afferma come

caratterizzazione dell'avverbio al superlativo»: Cupaiuolo, Problemi cit, 258. Raramente s'incontrano espressioni equivalenti corradicali. 68 Cfr. Sulle affezioni interne 88 1, 2, 8, 9, 15, 17, 18, 20, 21, 23, 24, 33, 35, 40, 42, 48, 51, 54.

69 Vd. 7, 260, 6 Littré. 70 Si legga ancora 8, 34, 3 8 7; 34, 17 8 8; 86, 9-10 8 36; 94, 7 8 38 Littré.

Lattesa della guarigione negli avverbi prognostici finali delle ricette... Dunque

141

l'uso ricorrente di 'subito', in connessione con il recupero della

salute, risulta fortemente sottolineato in Sulle affezioni interne, trattato che proprio in questa particolarità conserva un tratto arcaico7), congruente

con una concezione primitiva dell'operare del medico.

Nei nove passi dell'erbario esaminati siffatto segnale primordiale ricompare nell'explicit delle ricette: si pensi sia alle occorrenze dell'avverbio pri-

mitivo mox, antico, non romano, privo di sicura etimologia ma con significative corrispondenze formulare

e alla nozione

con l'indo-iraniano, sia alla guarigione come dato di 'subito' nella previsione

del risanamento,

che

consentono di ipotizzare, almeno per la chiusa di alcune cure dell'opuscolo fitoterapico, un micro-nucleo medico originario, molto remoto,

ricondu-

cibile a Sulle affezioni interne. Tale presenza avvalora la congettura che almeno uno dei fontes pseudoapuleiani conservasse, forse in traduzione latina, tracce del corpus ippo-

cratico 72. Aggiungo

che il segmento

conformemente

testuale preso in considerazione

ἃ redatto

alla lexis codificata nel reticolo della topica retorica, dove

i topoi esprimono

un punto di vista sul mondo ’*. Un solo esempio:

nel

genere epidittico sono encomiate le azioni che avvengono al momento opportuno, quelle compiute da un individuo che agisce da solo, o per primo, o senza alcun aiuto, o più degli altri etc., oppure quelle ottenute subito,

τάχιστα £npáx8ncav:

così ancora

leggiamo

nei Progymnasmata "^ di Elio

71 «È segno di arcaicità l'affiorare di una attesa della guarigione che è sproporzionata rispetto alla validità effettiva dei procedimenti terapeutici impiegati»: Di Benedetto, /l medico cit., 5. 72 Come già ho ipotizzato in Tracce di medicina pseudoippocratica in due trattati fitoterapici tardolatini: Polibo di Kos, in «KOINNNIA»,

23, 1999, 54, congetturando che, pur essendo opera

sommaria di orientamento pratico, l'erbario pseudoapuleiano ha salvaguardato frammenti di medicina greca se il rimando all'auctoritas polibana permette di supporre che, ancora all'epoca dello Ps. Apuleio e del compilatore delle Curae herbarum, brandelli del pensiero di Polibo fossero presenti nella cultura medico-botanica occidentale, seppure mediati attraverso fonti o sillogi di traduzioni latine del pensiero medico greco che si collocano alla fine di una direttrice ideale che va da Ippocrate-Polibo fino a Galeno. Al riguardo si vedano anche A. Beccaria, Sulle tracce di un antico canone

latino di Ippocrate e di Galeno,

1961, 1-75; 14, 1971, 1-23 e Danielle

in «Italia medioev. e umanist.»

2, 1959,

1-56; 4,

Jacquardt, La scolastica medica, in Storia del pensiero medico

occidentale cit., 264.

73 Cfr. M. Pia Ellero, Introduzione alla retorica, Milano 1997, 66-67. Abbiamo un'idea degli ammaestramenti impartiti a scuola, articolati in una successione progressiva, dapprima grazie a Quintiliano (1, 9, 2: versus primo solvere, mox mutatis verbis interpretari paraphrasi audacius ver-

tere, qua et breviare quaedam, et exornare... permittitur; 1, 9, 3: sententiae quoque et chriae et ethologiae, subiectis dictorum

rationibus apud grammaticos

scribantur,

2, 4;

10, 5, 5) e Svetonio

(gramm. 4, 7; 25, 8) tra i Latini; più tardi grazie a Teone ed Ermogene tra i Greci: vd. Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 1987, 26-27. 74 Il termine figura nella Rhet. ad Alex. 28, 4 Fuhrmann. Cfr. Lucia Calboli Montefusco, Exordium narratio epilogus. Studi sulla teoria retorica greca e romana delle parti del discorso, Bologna, 1988, 33, 46-47; L. Pernot, La Rhétorique dans l'Antiquité, Paris 2000, 194-199; G. Reichel, Quaestiones progymnasmaticae, dissertatio inauguralis, Leipzig 1909, 49-114; D.L. Clark, Rhetorik in Greco-Roman Education, New York 1957, 177-213.

142

M. Franca Buffa Giolito

Teone, retore del I-II secolo d.C. ^. Forte è la suggestione

di supporre

che l'azione del medico fosse ritenuta degna di encomio, soltanto se l'effetto del suo 'agire' era un ristabilimento immediato. Un' ultima osservazione: ancora ai nostri giorni la iunctura 'guarire subito’ è d'attualità se rientra nella retorica della pubblicità: la salute è uno degli argomenti-tipo più noti e sfruttati e molti sono gli slogans che, pubblicizzando un presidio medico-farmaceutico, esibiscono un messag-

gio oratorio che elimina il tempo e le relazioni causali, privilegiando soprattutto il pathos 756, per cui il rimedio

non è più un oggetto, ma qual-

cosa di personificato che si occupa di noi e concede un «sollievo istantaneo», liberandoci dal male e dall'angoscia.

75 Cfr. L. Spengel, Rhetores Graeci, Leipzig 1853-1856, II, 110, 21-23. 76 Sull'argomento si veda O. Reboul, Introduzione alla retorica, trad. it. di Gabriella Alfieri, Bologna 1996, 105.

Gigliola Maggiulli

I VERBI DELLE PREPARAZIONI FARMACEUTICHE NELLHERBARIUS DELLO PS. APULEIO

Introduzione.

Herba

plantago

cum

axungia

vetere pisata

/ et inposita

/

persanat. E questa la cura 1, 20 dell'Herbarius dello ps. Apuleio, un tratta-

to di fitoterapia che si articola in 131 capitoletti corrispondenti a 131 herbae, suddivisi in più paragrafi (ma talvolta anche uno solo) che trattano le curae herbarum disposte per lo piü a capite ad calcem, anche se non sempre é presente un rigore metodologico. La struttura formulare é di solito tripartita in segmenti, in ordinata successione, segnati ognuno da voci verbali che indicano: 1. la formulazione farmaceutica; 2. il modo di somministrazione o impiego (signatura); 3. il risultato positivo della terapia. La forma linguistica delle curae si allinea ai trattati del genere dei dynamidia e di fitoterapia (mi riferisco per es. all'anonimo trattato curae herbarum), che per esigenze pratiche dei fruitori sono caratterizzati da essen-

zialità sintattica lineare con la preferenza

a costrutti paratattici !, dalla

presenza di avverbi associati non solo al verbo, ma anche a sostantivi e aggettivi, da diversificazioni di preposizioni con valore strumentale soprattutto per introdurre gli ingredienti della formulazione farmaceutica, dall'evoluzione dei casi preposizionali (es. de + abl. in luogo dell'ablativo di strumento e di materia), da nominativi o accusativi assoluti determinati dall'ellissi del verbo, dalla frequenza, soprattutto nelle prescrizioni, dei ver-

bi all'imperativo presente o futuro 2. Il periodo breve caratterizzato talvolta da scambi

di soggetti e la presenza degli imperativi

futuri ricordano il

modello stilistico della lingua giuridica delle antiche leggi di tono arcaico.

I Se in qualche caso l'essenzialità della costruzione si converte in forme più ornate, ciò è dovuto all'intervento dello ps. Apuleio Platonico, detto anche ps. Apuleio, auctus, che opera sull'originale testo dell'Herbarius circa un secolo dopo con aggiunte di sicura derivazione pliniana. ? Sugli elementi caratterizzanti la lingua tecnica degli antichi trattati medici cfr. I. Mazzini, La Medicina dei Greci e dei Romani, I, Roma 1997, 133-171, in particolare cenni sulla lingua dello ps. Apuleio sono tracciati da Silvia Jannaccone, Osservazioni sulla lingua dell'Erbario dello Pseu-

do Apuleio, in «Atti della Accad. Naz. dei Lincei Rend. Classe di Scienze morali, storiche e filol.» (Ser. 8) 10, 1955, 25-35.

144

Gigliola Maggiulli I verbi tecnici della formulazione farmaceutica.

Occupano

di solito, ed

ovviamente, la prima sede con la preferenza dei modi impersonali ?, dell'imperativo*, ma anche dell'indicativo futuro? e pià raramente, dell'indicativo presente e si prestano ad una catalogazione in rapporto con le piü ricorrenti tecniche di manipolazione dei 'semplici' utilizzati nella prepara-

zione e ad una schematizzazione in base a valori concettuali affini. Nell'Herbarius appaiono evidenti piü categorie ricollegabili alle tecniche della preparazione,

sicché

possiamo

associare

le relative voci verbali

in ampi

raggruppamenti che qui enumeriamo nel rispetto dell'ordine in cui le azioni di manipolazione trovano posto nelle curae. Sono ricollegabili al concetto della 'triturazione' e forme affini (sminuzzare, tritare, polverizzare, etc.) le seguenti voci verbali: tero

60

occorrenze

contero contundo

29 18

" "

tundo

15

"

redigo in pulverem pi(n)so pisto

13 15 10

" " "

Dalla 'triturazione' si passa alla ‘miscelazione’ con: misceo conmisceo admisceo

14 11 1

occorrenze " "

permisceo

1



Un gruppo temperature: ferveo subferveo fervefacio fervesco formento foveo tepefacio bullio

di verbi

stabilisce

il concetto

del ‘riscaldamento’

a varie

occorenza n M M

3 Esempio: Herb. 1,2 Herbae plantaginis sucum tepefactum fomentando ventris dolorem tollit. 4 Esempio: Herb. 75,4 Herbae solatae sucum cum oleo ciprino misce et tepefacto stilla in auriculas; Herb. 88,8 Herbam rubum de vino coquito... 5 Esempio: Herb. 74,5 Herbarn celidoniam cum sevo caprino conteres et inpones (inponis Ca);

Herb. 78,1 Herba gramen, decoques eius florem et in panno linis et inponis in splenem... E molto interessante l'oscillazione del tempo futuro nel verbo della preparazione e del tempo presente nel verbo della signatura. 6 Esempio: Herb. 80,5 Herbam rosmarinum cum pipere et melle teris et facis pastillos...

I verbi delle preparazioni farmaceutiche nell'Herbarius dello ps. Apuleio

145

e più specificatamente alla 'decozione' o ‘macerazione a caldo’: coquo decoquo

-

discoquo

27 26

occorrenze "

|

"

1

occorrenza

e alla "combustione": comburo

COM

occorrenze "n

μὰ

UL)

[49

sicco exprimo superexprimo

..

Da ultimo annotiamo una serie di voci meno ricorrenti e non raggruppabili in azioni sinonimiche:

"





Li]

Appare evidente la superiorità numerica delle voci verbali semplici su quelle composte da preverbi con funzione perfettiva detti appunto 'verbi perfettivizzanti' ^ (per-, cum-, ad-, de-, super-). Tali preverbi, per consuetu-

dine, dovrebbero avere una vitalità e funzione tale da flettere l'accezione del verbo a significati diversi ed esprimere particolari sfumature e aspetti verbali modificati in relazione all'azione (aspetto momentaneo o duraturo, aspetto ingressivo o regressivo), ma nell'Herbarius questa funzione non sempre risulta operante in modo chiaro e distinto sicché nel testo non sempre emerge evidente una eventuale diversa valenza tra i verbi tecnici

semplici e composti. Nel primo segmento delle curae & presente di solito un solo verbo della formulazione; talvolta, ma raramente, si susseguono due verbi dello stesso timbro (Herb. 1,13 ...contusa vel pisata...) oppure due verbi tecnici di accezione diversa si ricollegano a signature differenti (Herb. 1,2): herbae plantaginis sucum

tepefactum fomentando

ventris dolorem

tollit, et si tu-

mores fuerint, tunsa et inposita tollit tumorem.

Si puó constatare, se pur in modo molto relativo, una ripetibilità nel rapporto tra verbo tecnico e verbo della somministrazione soprattutto tra tundo/contundo (e talvolta piso/pisto) ed inpono (Herb. 1,16; 17; 18; 23; 2,1; 4,2; 9,2; 10,2; 15,1; 40,2; 41,2; 42,3; 47,1; 50,1; 2; etc.) dove si afferma

l'esigenza di dover pestare la pianta officinale fino a ridurla ad una poltiglia per poterla applicare sulla cute. Gli altri verbi non registrano casi ben schematizzabili. 7 Sui preverbi perfettivizzanti cfr. A. Traina-G. Bernardi Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna 19924, 214-216.

146

Gigliola Maggiulli La scelta dei verbi composti o la preferenza del composto sul semplice

potrebbe trovare una ragione in relazione ad altre due coordinate, la signatura e gli eccipienti. Se il rapporto tra il verbo tecnico della preparazione e quello consequenziale in seconda sede della somministrazione mostra una certa co-

stanza tra tundo + inpono (somministrazione topica) e tero + potui do, bibo (somministrazione per os), tuttavia non si puó stabilire assolutamente

nulla di ricorrente e schematizzabile.

parazione dei malagmata

Infatti dalla osservazione della pre-

(quasi malagma, genus malagmae, quasi malag-

mae genus, more malagmae, vice malagma, tamquam

malagma) appare evi-

dente come esista un'oscillazione indifferenziata di alcuni verbi della preparazione

(piso, pisto, tundo, tero, contero)

nei confronti

di inpono verbo

della signatura. Trascriviamo tutti i medicamenti dei malagmata si da evidenziare l'oscillazione dei verbi tecnici collegabili alla ‘triturazione’: Tipo di preparazione

Verbi della preparazione

Signatura

quasi malagma (1,11)

q herba plantago pisata

inponis

(14, 2)

herbae draconteae radix...pisata

-

(33,1) (129, 1)

‘erba lapatium acutum...pisata herbae brassicae...pisata

inposita inducis

(76,6) (126, 1)

herba senecion trita. herba erifion pistata

adposita inposita

(50, 1)

herbae grias radix pistatu

inposita

(12, 1)

herba artemisia tunsa

inducis

(41, 2)

herba bovis lingua...pistata

inposita

(124,1)

herbam sempervivum...contritum

inpone

(22, 1)

herbam apollinarem..teris.pisabis

genus malagmae

quasi malagmae genus more malagmae vice malagmatis vice malagmae tamquam

malagma



^ inponis um

Coquo

am

=

(dis- e de-). Coquo ed i suoi composti (de- e dis-) sono verbi che

si ricollegano tutti indistintamente a svariate operazioni di riscaldamento come la decozione in veicolo idrofilo (aqua, vinum, acetum), la macerazione a caldo in eccipiente lipofilo (oleum) o veicolo idrofilo fuso (mel), il ri-

scaldamento

con cenere. I tre verbi non trovano distinzione neppure

se

posti in relazione con i verbi della somministrazione sia nelle preparazioni per uso esterno (pono, inpono, inlino, unguo, perunguo, lavo, pono in um-

bilico, in capite mitto, in linteolum utor, gargarizo, etc.) sia in quelle per uso interno (manduco,

conmanduco,

bibo, sumo, potui do, etc.).

Decoquo registra un numero di occorrenze (26) equilibrato con quelle di coquo (27). Il preverbo de-, secondo la definizione classica, è anceps (Gell. n.

I verbi delle preparazioni farmaceutiche nell'Herbarius dello ps. Apuleio A. 7,16,3 ‘de’ praepositio...est anceps), ma

nel testo dello ps. Apuleio

147 non vi

sono elementi tali da poter stabilire con certezza se il preverbo conferisca al verbo una valenza aspettuale regressiva o piuttosto, come si vorrebbe, una valenza intensiva e progressiva (Gell. n. A. 7,16,3: de — praepositio ad augendum

et cumulandum valet) si da interpretare decoquo nell'accezione di una cottura più prolungata rispetto a coquo e a calore più moderato rispetto a discoquo.

Infatti dal raffronto delle occorrenze dei verbi non emerge alcuna sfumatura semasiologica, né in relazione agli ingredienti, né in relazione alla signatura,

tale da poter catalogare le voci in campi semantici distinti. Interessante puó essere il confronto tra: Herb. 45,6 Herbam marrubium discoque et ex aqua corpus lavato, scabiem discutit... Herb. 35,3 Herbam centauriam minorem decoque in aqua ad tertias et ex eadem dabis bi-

Plin. nat. 20,208 Fit autem huius papaveris aut cuiuscumque silvestris capitibus CXX in aquae caelestis sextariis tribus biduo maceratis in eademque discoctis, deinde liquato iterum cum

melle decocto ad dimidias partes vapore tenui.

In quest'ultima formulazione Plinio & molto preciso per quanto riguarda la tecnica farmaceutica della preparazione. Si specificano dapprima la specie vegetale che deve essere utilizzata (papaveris aut cuiuscumque silvestris),

la parte

utilizzata

come

droga,

cioé

le capsule,

e la loro

quantità

(CXX capitibus), il tipo e la quantità del solvente con cui eseguire l'estrazione (in aquae caelestis sextariis tribus, acqua piovana che per il suo con-

tenuto poverissimo di sali minerali corrisponde abbastanza bene alla moderna

acqua

deionizzata

utilizzata

in molte

preparazioni

farmaceutiche

moderne non per uso parenterale). Indi vengono descritte le varie operazioni: macerazione della droga per due giorni (biduo maceratis) e decozione successiva nello stesso solvente in cui era avvenuta la macerazione (in

eademque discoctis), separazione del liquido estrattivo dalla droga esaurita (deinde liquato), aggiunta di miele (iterum cum melle, componente che puó non solo funzionare come eccipiente edulcorante, ma anche come ulteriore principio attivo con

azione emolliente

e blandamente

antisettica), con-

centrazione della soluzione mediante evaporazione a lenta ebollizione sino a ridurre il volume alla metà (decocto ad dimidias partes vapore tenui).

Concludendo, in questo passo pliniano discoquo e il verbo tecnico farmaceutico corrispondente alla moderna 'decozione' (estrazione dei principi attivi della droga mediante ebollizione in acqua per un periodo di tempo

relativamente breve) e decoquo, invece, & voce verbale utilizzata per indicare la riduzione di volume del solvente mediante lenta ebollizione ottenendo quindi un aumento della concentrazione dei principi attivi. Anche in queste due curae dell'Herbarius sopra citate risulta che decoquo

si ricollega all'operazione di riduzione di volume mediante prolungata ebol-

148

Gigliola Maggiulli

lizione e discoquo corrisponde alla decozione in acqua (et ex aqua). Come si è detto, la testimonianza pseudoapuleiana, anche se interessante, è tuttavia

marginale poiché discoguo registra questa sola occorrenza. Misceo (ad-, per-, con-). Spostiamo ora l'attenzione su altro verbo e suoi composti messi a confronto non tanto sull'asse sintagmatico con la ricerca della valenza percettiva del preverbo, prospezione che non riesce ad offrire sicuri approfondimenti, quanto nel contesto della stessa formulazione farmaceutica. Se mettiamo a confronto le ricette caratterizzate dalla voce misceo e composti (ad-, per-, con-)? e poniamo l'attenzione su due momenti di detta preparazione, cioé sugli eccipienti e sul verbo che indica la signatura, prendiamo atto della seguente situazione: 1) si ricollegano a misceo eccipienti sia liquidi a bassa viscosità (lac, acetum, vinum),

sia liquidi

a media viscosità (oleum), sia semisolidi o soli-

di basso fondenti con viscosità quindi decisamente

superiore (lutum, mel,

axungia);

2) il preverbo ad- esprime l'idea dell'aggiungere sicché admisceo

pren-

de il significato di 'mescolare aggiungendo' e bene si ricollega ad un eccipiente liquido a bassa viscosità (vinum);

3) il preverbo per- indica durata

nel tempo

e conferisce

al composto

permisceo lidea di 'mescolare a lungo' fino al completamento dell'azione, ma in verità sorprende di trovare il verbo associato ad un eccipiente liquido a bassa viscosità (acetum);

4) conmisceo, formato dal preverbo cum-, concretizza l'idea di 'conglo-

bare, amalgamare,

fondere assieme' sicché bene si giustificano

gli ecci-

pienti ad esso ricollegabili con viscosità superiore all'aceto ed al vino, sia liquidi

(oleum),

sia

solidi

basso

fondenti

(mel,

axungia,

adeps

caprinus,

cera). Ne consegue che misceo è verbo altamente polivalente in relazione agli eccipienti; i suoi composti con ad- e per- indicano una dispersione in un liquido poco viscoso; conmisceo & collegato allazione del conglobare, incorporare la droga o in un veicolo liquido piü viscoso o piü frequentemente in un eccipiente semisolido a temperatura ambiente o solido a basso punto di fusione. Per quanto riguarda l'uso dei verbi in rapporto alla signatura si puó notare che le preparazioni

misceo

e conmisceo

vengono

farmaceutiche

utilizzate prevalentemente

con misceo, ad-

per uso esterno ὃ

(ut cerotum in linteolum utor, inunguo, perunguo, lavo, pono, inpono, perfrico, in auricula stillo, in auricula conicio), mentre il preparato derivato da permisceo (che registra una sola occorrenza in 93,17) viene somministrato per os (potui do). 8 Sono assenti i composti in-, inter- e pro-. 9 In due sole occorrenze (37,2 e 52,2) la preparazione farmaceutica di misceo è collegata ad un uso interno (potui do).

I verbi delle preparazioni farmaceutiche nell'Herbarius dello ps. Apuleio

149

Fervo, ferveo, fervefacio, fervesco, foveo. Ferveo (e fervo, da cui l'oscilla-

zione fervere/fervére),

& usato in letteratura piü spesso col valore di ardere,

essere infiammato, e quindi bruciare di passione, ma nella accezione primaria tecnica é presente in Verg. Aen. 4, 567 fervere flammis dove risulta evidente il rapporto di ferveo con una diretta fonte di calore da cui il verbo dipende. Ferveo nel lessico farmaceutico dell'Herbarius compare due volte col significato di 'ardere', 'bollire' (Herb. 74,2 cineri ferventi; 93,4 in aqua fervente maceratum) ed una volta come verbo tecnico della preparazione farmaceutica (Herb. 125,2 ..et aquae sextarium, ut simul ferveat ad quartas) col significato di una ebollizione prolungata sicché non viene a differenziarsi da fervesco (Herb.

116,3) la cui suffissazione stabilisce il con-

cetto di una azione iterativa e duratura. In entrambi i casi si ottiene una preparazione da somministrarsi per os. In rapporto col verbo di stato ferveo, il composto fervefacio ha significato di fare cuocere ed esclude l'ebollizione dal momento che l'eccipiente é

olio (eccipiente lipofilo a punto di ebollizione elevato). Il preparato viene utilizzato per uso esterno (Herb. 42,2 perunguo).

Foveo & verbo arcaico che si ricollega all'azione del calore. Appartiene ai verbi causativi detti anche fattitivi ^, ma determina anche il fenomeno della forza specifica che il calore esercita sul corpo umano con il significato quindi di applicare qualcosa di caldo per lenire il dolore. L'accezione consequenziale, più spesso usata, è quella di 'curare' !!.

Se foveo compare come verbo tecnico della preparazione farmaceutica certamente in Herb. 36,3 (Herbae personaciae aqua foveto) ?, in Herb. 38,3 (Ad omnes encatismas. Herba ibiscum decocta cum malva et feno Graeco,

de eadem aqua fovebis et haec omnia teres et encatismas inpones) esso è consequenziale a decoquo: indica un riscaldamento del decotto, già ottenuto con una precedente operazione tecnico-farmaceutica, prima di procedere al suo utilizzo come

fomento.

Anche

in Herb.

74,3 (Ad parotidas.

Herba

celidonia cum axungia trita inponitur, sed ante aqua foveto) foveo è impiegato col significato di far riscaldare una preparazione prima di utilizzarla

per uso esterno. Risulta perciò evidente come foveo venga usato, oltre che come verbo tecnico, anche per indicare un riscaldamento del medicamento finito a temperature atte ad essere sopportate dalla cute durante l'applicazione topica. Tero, tundo. Le valenze verbali di tero e tundo, (e composti col preverbo con-), pur registrando ognuna vaste polisemie specifiche, presentano con-

10 Cfr. A. Traina, G. Bernardi Perini, cit., 180-181. 1! Con questa accezione cfr. ad es. 38,4 ...intestinum foves...; 82,1 ...coquitur in aqua, et ex ea

aqua fovebis pedes; 87,1... cum aqua decoctam, de ea aqua subinde oculos foveat; 88,8 ...de vino coquito ad tertias eoque vino foventur condolomata ...; 122,1...vulnus foves... 12 Da foveo infatti deriva fomentum 'cataplasma', 'calmante', lenitivo' il cui suffisso in -mentum

è presente in voci scientifiche mediche (p. es. experimentum, medicamentum, linimentum, etc.).

150

Gigliola Maggiulli

fluenza di significato nelle azioni del ‘tritare’, 'triturare', ‘sminuzzare’. Tale accezione si é mantenuta in fero attraverso il supino tritum che visualizza l'azione del ‘frantumare’ con strumento tagliente; i supini di tundo (tunsum) e in modo

piü evidente di contundo

(contusum) visualizzano l'azione

piü drastica del 'frantumare' battendo e pestando con strumento contundente. Nell'Herbaruis tero e tundo sono ampiamente presenti entrambi col significato tecnico di 'tritare', 'pestare' piante o loro parti sia da sole sia con altre, spesso incorporate nei piü svariati eccipienti per ottenere forme farmaceutiche distinte utilizzate per uso interno o esterno (soprattutto con tundo). La confluenza dei significati trova testimonianza già in età classica con Virgilio (georg. 2,519 teritur Sicyonia baca trapetis) dove tero & usato nel senso di 'schiacciare', 'frantumare le olive nel frantoio. Anche in Herb. 40,3 (malvam

erraticam ...in mortario

teris) e 100,2 (haec in mortario

teres) il verbo è usato con la valenza di ‘pestare in mortaio’ analogamente a quanto viene più volte testimoniato da Plinio "3. Non si evidenziano accezioni specifiche neppure fra i loro composti (contundo e contero) come bene emerge ad es. da Herb. 1,10 (tundolcontundo) !^ e 108, 1 (tero/contero) 15: l'erba plantago viene pestata fino a ricavarne

un

succo

viene frantumato

da bere

(dabis bibere)

minutamente

così come

in modo

cilmente per os (potui dabis). Emerge di preparazione tra tundo/contundo

il bulbo

dell'erba lilium

tale da essere somministrato

invece (Herb.

fa-

una distinzione tra tecniche 1,10) e tero/contero (Herb.

108,1) alla luce del rapporto tra verbi tecnici e rispettive signature. Contundis: dabis bibere - tunsam: inponito e analogamente conterito: potui dabis = tritum: adponas. Pi(n)so,

pisto.

Anche

tra pi(n)so

e pisto

non

esiste

nessuna

differenza

sia sullasse sintagmatico sia sull'asse paradigmatico. Pi(n)so é voce piü antica rispetto a pisto !9. Nell'Herbarius il verbo pistare compare in 10 cu-

rae di cui in Herb. 79,2 si parla specificatamente di pianta essiccata (siccata = droga secca) che viene pestata sino ad ottenere una polvere impalpabile (in pulvere mollissimo redactam); tale polvere viene sospesa somministrata per os (vino ...potui datum).

in vino e

Nelle altre ricette si puó presumere che la pianta sia utilizzata allo stato fresco e, tranne un caso (Herb. 47,1 pistata per se), pestata assieme ad

13 C'è da notare come Plinio usi la forma sintagmatica tero + mortarium (nat. 33,104; 109;

34; 106; 168); rundo — pila (13,126; 20,207; 28,143; 33,87). 14 Herbam plantaginem contundis et sucum eius de cocleario vel de ligula dabis bibere, ipsam quoque herbam tunsam in umbilico inponito.

15 Herbae lilii bulbum conterito et potui dabis, ut ipsum bulbum tritum morsui adponas, sanabitur. l6 Compare in Med. Plin. una sola volta in una preparazione molto semplice (2,27,4 malvae erraticae coctae: pisas cum sale et pedibus ponis). Pisto & voce assente.

I verbi delle preparazioni farmaceutiche nell'Herbarius dello ps. Apuleio

151

eccipienti semisolidi (axungia, mel, panis cum aceto) in modo tale da otte-

nere una

specie di malagma

(malagma

genus,

vice malagmatis).

Questa

preparazione di consistenza molle (lipofila o idrofila) viene poi ovviamente

adoperata per uso esterno spalmandola sulla parte del corpo malata. Altrettanto dicasi per pi(n)so che in 13 occorrenze stabilisce una forma

farmaceutica per uso esterno e in 2 (Herb. 10,3 e 35,1) - come già si è visto per pisto

— porta ad una

polverizzazione

della droga

che

viene

indi

somministrata per os in veicolo idrofilo. La

formulazione

farmaceutica.

Già

ad

apertura

dell'Herbarius

appare

evidente una formulazione farmaceutica essenziale e snella a confronto con i testi di medicina tradizionale di Celso e Scribonio. Per chiarezza

esemplifichiamo ancora con alcune ricette di malagmata 17: Scribonio c. 255 Malagma ad opisthotonon, id est cum cervix reflexa est in posteriorem partem aut rigida cum intensione oculorum et maxillarum. facit et ad cynicon spasmon, cum in utramlibet partem depravata est facies; item ad omnem tensionem et contractionem nervorum et ligationem, ancylen quod Graeci vocant; item ad dolorem omnis partis quamvis veterem: bdellii » p. XVI, opopanacis +» p. VIII, galbani + p. VIII, adipis vitulini « p. XVI, piperis grana numero CLX, ammoniaci guttae

« p. VIII, cachryos

+ p. VIII, iris « p. XVI, cerae » p. LV, tere-

binthinae . p. L. arida quae sunt contunduntur, cribrantur; sucum habentia cum resina subinde admixta contunduntur; cera in frusta concisa aqua ferventi demittitur et subacta manibus miscetur ceteris in pilam. oportet autem pilum ligneum frequenter cypreo oleo perungere. hoc malagma cypreo oleo liquefactum acopi usum praestat. Celso 5,18,5

Commune autem et iocineri et lieni et abscessibus et strumae, parotidibus, articulis, calcibus quoque suppurantibus aut aliter dolentibus, etiam concoctioni ventris Lysias composuit ex his: opopanacis, styracis, galbani, resinae, singulorum P. « II; Hammoniaci, bdelli, cerae, sebi taurini, iridis aridae P. « IIII; cachryos acetabulo, piperis granis XL; quae contrita irino unguento temperantur. Celso 5,18,9 Aliud ad eadem Nilei: croci magmatis, quod quasi recrementum eius est, P. . III]; Hammoniaci thymiamatis, cerae, singulorum P. «= XX. Ex quibus duo priora ex aceto teruntur cera cum rosa liguatur et tum omnia iunguntur.

ps. Apul. 1,11 Si qua duritia in corpore fuerit. Herba plantago pisata cum axungia sine sale et factum quasi malagma,

inponis in duritia et discutit.

17 Per le indicazioni sui malagmata di Celso e Scribonio rimando a S. Sconocchia, Alcuni rimedi nella letteratura medica latina del I sec. d. C.: Emplastra, malagmata, pastilli, acopa, in Aa.Vv. Studi di lessicologia medica antica, a cura di S. Boscherini, Bologna 1995.

152

Gigliola Maggiulli ps. Apul. 14,2 Ad ossa fracta in corpore. Herbae draconteae radix cum

axungia pisata, fac-

Em

Dal confronto si puö stabilire che nei trattati di medicina . emergono piü particolari sulle malattie da curare;

h3

tum quasi malagma, mox ossa fracta de corpore educit et lepidas extrahit.

. le ricette contengono

un numero

superiore

di componenti,

per ciascu-

no dei quali e riportato un dosaggio ben specificato; 3. vi é di conseguenza

maggior

complessità

nell'esecuzione

della ricetta

con la presenza nella stessa di più verbi della preparazione. Celso

e Scribonio

ci forniscono

formulazioni

piü

articolate,

con

do-

saggi ben precisi, adatte per essere preparate da un operatore qualificato (medico-farmacista)

possibilmente

dotato

di

una

officina

galenica

bene

attrezzata per quanto concerne sia i prodotti (droghe vegetali e animali, prodotti attivi di origine minerale, eccipienti vari, etc.), sia gli strumenti adatti per poter eseguire le varie operazioni tecnico farmaceutiche. Lo ps. Apuleio, viceversa, finalizza il suo trattato per una automedicazione in cui il paziente possa sostituirsi al professionista non solo per la diagnosi in base ai sintomi, ma anche nella preparazione di formulazioni molto semplificate e ridotte all'essenziale per quanto concerne principi attivi, eccipienti e tecnica della preparazione. Bisogna del resto conside-

rare che l'autore nello scrivere un erbario presenta formulazioni tipicamente fitoterapeutiche, mentre Celso e ancor piü Scribonio utilizzano nelle loro ricette anche sostanze farmacologicamente attive di origine minerale.

La formulazione farmaceutica dell'Herbarius si allinea piuttosto a quanto si legge in Med. Plinii dal qual testo lo ps. Apuleio in parte dipende e, quindi,

indirettamente

si allinea anche

alla sezione botanico-farmaceutica

della Naturalis historia pliniana. In particolare dal confronto dei passi in cui è notevole la dipendenza dell'Herbarius da Med. Plinii !* si può notare da parte dello ps. Apuleio una forte attenzione alla formulazione farmaceutica della ricetta nell'osservanza dei verbi della preparazione, che fre-

quentemente riporta con la preferenza della forma semplice rispetto alla composta.

Sappiamo come tracce del testo di Plinio siano penetrate nell'Herbarius attraverso la mediazione di Med. Plinii sicché l'eventuale assenza del verbo

tecnico in Med. Plinii spesso è dovuta all'assenza di esso già in Plinio. Dal confronto dei passi paralleli fra i tre testi, di cui riportiamo come esempio: Plin. n. h. 25,125 plantago et ad omnes bestiarum morsus pota atque inlita... Med. Plinii 3,10,2 Canis rabiosi morsui. ...Plantago pota et inposita facit et adversus canis rabiosi morsum et adversus omnium

bestiarum.

18 Sui passi paralleli cfr. G. Maggiulli, Uterque Plinius, uterque (Ps.) Apuleius (Per una ricostruzione della dottrina pliniana nell'Herbarius), in «Romanobarbarica»14, 1996-97, 103-142.

I verbi delle preparazioni farmaceutiche nell'Herbarius dello ps. Apuleio ps. Apul. 1,23 Ad morsum facillime sanat.

rabidi canis.

153

Herba plantago contusa et inposita

possiamo stabilire una dipendenza di Med. Plinii da Plinio (pota et inposita) pur con

la variatio

del verbo della signatura

(inlita/inposita) ed altresi

una dipendenza dello ps. Apuleio da Med. Plinii (inposita) nel rispetto della struttura canonica dei tre segmenti con l'innovazione del verbo della formulazione in prima sede (contusa), assente nelle fonti. É certamente evidente la volontà dello ps. Apuleio di formulare una ricetta nel modo piü semplice, essenziale e preciso per sopperire ad esigen-

ze pratiche ed immediate. Conclusione. La lettura dell'Herbarius ci porta a stabilire che: 1. una stessa pianta o parte di essa (folia, radix, semen, flos, flosculus, fructus)

tundo,

& soggetta

ad

operazioni

redigo in pulverem,

di tecnica

farmaceutica

macero, pisto, piso, coquo,

diverse

(trito,

etc.) per ottenere

preparati differenziati con somministrazioni distinte (inpono, bibo, potui do, induco, etc.); 2. cé in linea di massima una traiettoria, se non costante certamente ricorrente ed evidenziabile, tra il verbo della formulazione e della signatu-

ra; tundo + inpono; pisto — inpono; tero, redigo in pulverem + potui do, bibo, induco, etc.; 3. la formularità propria delle curae dell'Herbarius diventa elemento ca-

ratterizzante del genere dei dynamidia oscilla tra una linearità minima

nel rispetto di una struttura che

ed essenziale, di norma,

e, rare volte, for-

me piü articolate negli eccipienti, nei dosaggi, nei tempi e modi di somministrazione che risentono in un certo senso delle formulazioni farmaceutiche dei testi di medicina tradizionale !?; 4. accanto a curae tipiche dei dynamidia e a curae che risentono di una tradizione di scuola medica si trovano alcune ricette tratte dall'esperienza popolare dove ovviamente é assente il verbo tecnico della preparazione,

ma sono presenti altri elementi quali i tempi ed i modi della raccolta, l'influenza degli astri, il materiale degli utensili utilizzati, etc. 29;

19 Riporto ad es. le curae 4 e 3 di Herb. 99 Herba hedera nigra: 4. Ad spalangiorum morsus. Herbae hederae radicis sucus bibitur; 3. Ad splenis dolorem. Herbae hederae nigrae grana primo III, secundo

V, tertio VII, quarto IX, quinto XI, sexto XIII, septimo XV, octavo XVII, nono XIX, decimo

XXI in vino bibantur diurnis diebus, si cum febre, in aqua calida, maximo auxilio lienosis auxiliatur. Cfr. anche Herb. 125, 1: Ad tussem. Herbae feniculi radicem tunsam in mero ieiunus bibat per dies IX. 125,2: Ad vesicae dolorem. Herbae feniculi viridis fascem et apii viridis radicem, sparagi agrestis radicem, in pultario novo mittis et aquae sextarium, ut simul ferveat ad quartas, et ieunus

bibat diebus VII vel pluribus, balneum utatur, in recente non descendat, dolorem sedat sine mora. 20 Riportiamo due curae di Herb. 78 Herba gramen quale esempio strutturata secondo lo schema tradizionale (Ad splenis dolorem. Herba rem et in panno linis et inponis in splenem, sentiet beneficium) e la cura

frigida non bibat, vesicae significativo. La cura 1 & gramen, decoques eius flo2 risulta come allineata a

154

Gigliola Maggiulli

5. nell'Herbarius sono presenti anche curae con tratti formulari propri delle cantationes e precationes dove talvolta si registra la presenza del verbo della preparazione tecnica ?!; 6. l'Herbarius dello ps. Apuleio & quindi la documentazione di quattro differenti aspetti delle formulazioni farmaceutiche: quelle derivate dagli er-

bari e, molto più raramente, quelle derivate dalla medicina di scuola o dalla medicina popolare o addirittura da una pseudomedicina magico apotropaica;

7. certamente i verbi della preparazione contribuiscono ad evidenziare le intenzioni dello ps. Apuleio di scrivere un trattato che potesse svincolare il paziente da professionisti con pochi scrupoli e miranti piü al guada-

gno che alla missione di lenire il dolore e guarire le malattie 22. Lo rileverà circa un secolo dopo l'Autore della Praefatio con una quasi ossessiva ricorrenza di voci con valenza negativa nei confronti dei medici quali stupiditas, venditatio, lucripetas, merces

riferita all'onorario.

8. in ciascuna cura i componenti attivi e gli eccipienti in genere vengono ridotti all'essenziale, quasi mai vengono specificate le relative dosi e

precisata

la durata

del

trattamento,

l'indicazione

terapeutica

& spesso

schematizzata da un semplice sintagma e infine un numero limitato di operazioni relativamente semplici viene espresso da altrettanti verbi della preparazione.

credenze popolari (Ad epiforas oculorum. Herba gramen, quod in se trifurcum habet, nam in plura

dividitur, decrescente luna sublatum, quam plurimum repositum habeto, deinde unum ex his lippire incipienti ad collum ligato, celeriter inpendentem epiforam discutere creditur). Cfr. anche 110,2 (Ad occursus malos, ut non timeas. Herbam cardum silvaticum, si sole novo fuerit luna in capricorno, tollis, et quamdiu tecum portaveris, nihil mali tibi occurrit).

21 Riporto ad es. le prime tre curae di Herb. 92 Herba ebulum di cui la 1 e la 2 appartengono al genere dei dynamidia e la 3 riflette formule di medicina magica. 92,1: Ad cauculosos. Herba ebulum tenerum cum foliis tritum ex vino potui datum cauculos expellit. 92.2: Ad splenem. Herbae

ebuli radicem coctam ad tertias cum aqua bibat. 92,3: Ad colubri morsum. Herba ebulum, antequam succidas eam, tenes eam et ter novies dicis: omnes malas bestias canto, atque eam ferro quam acutissimo e limo secundum terram trifariam praecidito et id faciens de eo cogitato, cui me-

deris, reversus ita ne respicias et ipsam herbam contritam adponito, continuo sanabitur. 22 Una netta presa di posizione contro i medici di pochi scrupoli & già presente in Plin. nat. 29,17: in hac artium sola evenit ut cuicumque medicum se professo statim credatur, cum sit peri-

culum in nullo mendacio maius. Del resto la sezione della nat. dedicata alla fitoterapia si alinea piü agli erbari che non ai testi di medicina.

SEZIONE

II

Fabio Stok

NOTE SUL LESSICO ANATOMICO DI CELIO AURELIANO

Il tratto forse pià appariscente del lessico di Celio Aureliano é la sua insistenza nel proporre insieme denominazioni greche e denominazioni latine !, fenomeno non ignoto alla letteratura medica latina (è rilevabile già in Celso ?), ma che in Celio ha una frequenza e una sistematicità che superano ogni precedente. Questo programmatico bilinguismo dell'opera celiana ha contribuito ad alimentare, in passato, giudizi piuttosto sbrigativi sulla lingua di questo

autore, del tipo di quello formulato da Max Wellmann, per cui la lingua di Celio rivelerebbe una

«schon ganz zum

Romanismus

hinneigende

Latini-

tát» ?. Ad una piü equilibrata valutazione della lingua di Celio ha lavorato, nel secolo scorso, Gerhard Bendz ‘4, la cui postuma edizione critica dei due trattati maggiori di Celio? ha anche favorito, nell'ultimo scorcio del secolo, un rinnovato interesse nei confronti di questo autore ὅ. ! Lo osserva, per es., J. André, Remarques sur la traduction des mots grecs dans les textes médicaux du Ve siécle (Cassius Félix et Caelius Aurélianus), «Rev. de Philol.» 37, 1963, p. 66; cfr. anche F. Ilberg, Vorläufiges zu Caelius Aurelianus, «Berichte à. die Verhandl. d. Sáchs. Ak. d. Wiss. philol.-hist. Kl.» 77.1, 1925, p. 5. 2 Cfr. U. Capitani, A.C. Celso e la terminologia tecnica greca, «Ann. Scuola Norm. Pisa» s. III, 5, 1975, 479-511. 3 Cfr. M. Wellmann, s. v. Caelius 18, in Pauly-Wissowa RE III.1 (1897), c. 1258, che riprese un

giudizio già formulato da V. Rose, Anedocta Graeca, v. II, Berlin 1870, p. 167 e ripetuto successivamente anche da K. Vietmeier, Beobachtungen über Caelius Aurelianus als Übersetzer medizinischer Fachausdrücke verlorener griechischer Schriften des methodischen Artzes Soranos von Ephesus, In.-Diss. Münster, Gütersloh i. W. 1937, p. 15 (cfr. A. Ónnerfors, Das medizinische Latein bis Cassius Felix, in Aufstieg und Niedergang der Rórnischen Welt, hrsg. von W. Haase, II 37.1, Berlin/ New York 1992, pp. 227-392, p. 306n.).

4 Cfr. G. Bendz, Caeliana. Textkritische und sprachliche Studien zu Caelius Aurelianus, Lund/Leipzig [Lunds Universitets Ärsskrift N. F. ἀνά. 1 Bd. 38 n. 4] 1943 (sul giudizio di Wellmann cfr. p. 13). 5 Cfr. Caelii Aureliani Celerum passionum libri III Tardarum passionum libri V, ed. G. Bendz, 2 voll., Berlin 1990-1993. 6 Cfr. i contributi contenuti in Le traité des Maladies aigués et des maladies chroniques de Caelius Aurelianus. Nouvelles approches. Actes du colloque de Lausanne 1996, textes réunis et édités par Ph. Mudry, Nantes, Université de Nantes, 1999 e la monografia di A.M. Urso, Dall'autore

al traduttore. Studi sulle Passiones celeres e tardae di Celio Aureliano, Messina 1997.

158

Fabio Stok

Ho già segnalato, in un intervento proposto proprio qui a Trieste, in un

precedente incontro organizzato da Sergio Sconocchia ’, l'esigenza di uno studio specifico del lessico dei trattati celiani, volto ad evidenziare i tratti

peculiari che caratterizzano questo autore nell'ambito della medicina della Tarda Antichità. In quell'occasione mi soffermai su alcuni aspetti del lessico celiano della patologia. I sondaggi che proporró in questa sede riguar-

dano, invece, il lessico dell'anatomia. Rispetto

al lessico patologico

o farmacologico,

il lessico

anatomico

è

caratterizzato dalla presenza di un più consistente fondo linguistico latino non-tecnico, quello delle denominazioni degli organi e parti del corpo nella lingua quotidiana 8. Queste antiche denominazioni latine furono in par-

te recepite dalla lingua tecnica, in parte soppiantate dalle corrispettive denominazioni greche, in età tardorepubblicana subirono la concorrenza di queste ultime.

o imperiale,

o comunque

Mi soffermerò proprio su alcuni casi che rientrano in quest'ultima tipologia,

di coesistenza/competizione

fra denominazioni

latine

e denomina-

zioni greche, con l'obiettivo di verificare quale sia, rispetto a questa situazione, il comportamento di Celio. La milza è designata in latino dal termine lien (con qualche riscontro in altre lingue i.-e. 9), testimoniato a partire da Plaut. Curc. 220.236.244 e

Cato

agr

157,

7.

La

corrispondente

denominazione

greca

è splen !°

(σπλήν). Il termine lien restò d'uso corrente non solo nella letteratura di

età repubblicana ma anche nella letteratura medica della prima età imperiale (Celso e Scribonio Largo). Resta dubbia, per quel che riguarda Celso, il caso di 5, 28, 2A, dove troviamo usata la denominazione

greca: et

in ulcere

frase

autem

aut splene hoc

nascitur

[scil. carcinoma).

espunta da Targa quale interpolazione e pubblicata da Marx

(in apparato, peraltro, egli propone hoc

nascitur,

dove

La

fu

con la crux

il restauro: etiam in utero aut liene

si nota l’uso di lien, e non

di splen); l'occorrenza

di

splen è accreditata da Rippinger !! ma non da Langslow, che richiama anche l'attenzione sulle varianti splene pro liene rilevabili nell Laurentianus

Plut.

73, 7, il piü importante

codice

umanistico

di Celso

(copiato

nel

1427 da Niccolò Niccoli) 2.

? Cfr. F. Stok, Note sul lessico della patologia in Celio Aureliano, in Lingue tecniche del greco e del latino III. Atti del III Seminario internazionale sulla letteratura scientifica e tecnica greca e latina, a c. di S. Sconocchia e L. Toneatto, Bologna 2000, pp. 147-67. 8 Cfr. J. André, Le vocabulaire latin de l'anatomie, Paris 1991, pp. 235-40. 9 Cfr. A. Walde, Lateinisches Etymologisches Wórterbuch, Heidelberg 19654, I, p. 799; A. Ernout-A. Meillet, Dictionnaire etvmologique de la langue latine, Paris 19854, 358.

10 Cfr. O. Weise, Die griechischen Wörter im Latein, Leipzig 1892, p. 521; F. Biville, Les emprunts du latin au grec. Approche phonétique, II, Louvain-Paris 1995, 16. "11. Rippinger, La provenance des emprunts au grec du latin médical du ler siècle de notre ere étude d'un échantillon: Le De medicinade Celse, in «Travaux de Linguistique» 1, 1995, pp. 115 e 123. 12 Cfr. D.R. Langslow, Medical Latin in the Roman Empire, Oxford 2000, 93.

Note sul lessico anatomico

di Celio Aureliano

A prescindere da questo

controverso

159

passo

celsiano,

la più antica oc-

correnza di splen & rilevabile in Vitruvio, che parla di pecora privi di milza (habent

non

apparentem

splenem),

che

a Creta

si ciberebbero

di un'erba

chiamata asplenos (1, 4, 10) 3. È da notare che Vitruvio, nello stesso contesto, usa anche i termini latini lien e lienosus: le erbe in questione curant

lienosos, mentre i pecora herbam rodendo imminuerint lienes. Il fatto che Vitruvio introduca il termine greco in relazione alla milza

animale non & probabilmente cusuale, in quanto troviamo utilizzato splen, ancora a proposito di animali, anche in Colum. lor (in ambito

7, 10, 8, vitiosi splenis do-

letterario l'attestazione più antica è in Pers.

1, 12 13). Linte-

resse per gli organi interni degli animali é connesso con le tradizionali pratiche divinatorie, spesso basate sull'osservazione delle viscere animali. Questo contesto spiega la fortuna che incontrano nella cultura romana

no-

tizie della tradizione scientifica greca sull'esistenza di animali privi di milza: oltre che in Vitruvio, troviamo questo tipo di notizie anche in Plinio, che a nat.

8, 122 e 25, 46 parla di animali

sine splene,

utilizzando,

si di-

rebbe non casualmente, il termine greco: la milza umana, infatti, & generalmente designata nella Naturalis historia da lien. Solo in poche occasioni

Plinio utilizza splen, per lo più a proposito di rimedi da utilizzare per guarire la milza

(23, 25; 24,

121;

24,

131;

24,

185); a 24,

131,

in particolare,

troviamo utilizzati, nello stesso contesto, sia lien che splen. Dopo Plinio, come ha osservato André, l'uso di splen tende a generaliz-

zarsi (mentre lien «se raréfie considérablement» 15): lo evidenziano autori come Teodoro Prisciano, Cassio Felice e Marcello Empirico esiti romanzi, che interessano esclusivamente splen 15.

ed anche gli

E di un certo interesse, nel quadro di questa evoluzione dell'uso linguistico, che

Celio,

pur

facendo

mente lien (22 occorrenze)

uso di ambedue

rispetto a splen

i termini,

preferisca

(5 occorrenze).

nel capitolo relativo alle malattie della milza (chron.

netta-

In particolare

3, 4) egli utilizza solo

lien, nella descrizione della malattia a 3, 4, 49, in liene constituta (p. 706, 27) e poi a 56 (p. 710, 30); 60 (p. 714, 12); 62 (p. 714, 30) e 66 (p. 718, 11

e 13-14). Il termine greco è utilizzato a chron. 2, 1, 14, a proposito della paralysis, che puó interessare anche (p. 552,

15). A chron.

organi interni: uel splenem

aut iecur

2, 11, per il fluor sanguinis, i due termini si alterna-

no: a 127, fra i loci da cui esso puó scaturire, sono elencati iecur ac lien (p. 620,

20); a 132 ex iecore uel splene

(p. 624, 7), ripreso

poco

oltre con

l’altra denominazione: quoties ex liene sanguis ferri perspicitur etc. (p. 624,

11-12).

13 14 15 t6 8164).

Cfr. Cfr. Cfr. Cfr.

J. André, Note sur gr. ἄσπλενον -oc, «Rev. de Philol.» 53, 1978, 252-52. la nota di W. Kissel, Heidelberg 1990, 128. André, Le vocabulaire, cit., 156. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 19684, 674 (n.

160

Fabio Stok

Nella trattazione dell'aurugo, a chron. 3, 5, troviamo ancora splen a 69 (p. 720, 16) e lien a 70 (p. 720, 29). Analogamente a chron. 3, 8 per l'hydrops: lien a 96 (p. 736, 20); 106 (p. 742, 22); 109 (p. 744, 17), splen a

111 (p. 746, 2); e a chron. 4, 7, 93 per la colica passio: discernitur a iecoris ac splenis uel peritonei tumoribus, qui in peritoneo sunt aequales, in iecore uero ac liene quadam circumscriptione finiti (p. 826, 26-28).

Nel complesso Celio, pur dando evidentemente preferenza alla denominazione latina, utilizza i due termini indifferentemente, si direbbe per esi-

genze di variatio 17. Ad analoghe conclusioni arriviamo esaminando l'uso dei patonimi relativi alla milza, per i quali Celio propone un'opzione esplicitamente bilingue già nel titolo del capitolo relativo a queste affezioni (i titoli dei capito-

li risalgono, con ogni probabilità, allo stesso Celio !5): de lienosis quos splenicos [Graeci] dicunt (chron. 3, 4, p. 706, 24-25 15). Un'ulteriore denominazione latina è proposta nell'index del libro III, de lienicis, quos splenicos uocant (p. 679, 7), e utilizzata poi nella trattazione. Diversamente da lienosus, ben attestato (a partire da Plaut. Cas. 414) lienicus non è utilizzato da altri autori. Se passiamo ad osservare l'ulteriore uso di questi termini, scopriamo

che il patonimo greco splenicus, che abbiamo trovato nell'index citato e nel titolo, non ricorre altrove, in quanto nella trattazione Celio utilizza solamente

lienicus e lienosus.

Si consideri

che splenicus ὃ un termine ben

presente nella tradizione latina a partire da Plinio, che preferisce nettamente il termine greco (13 occorrenze) al latino lienosus (2 occorrenze). In precedenza lienosus era corrente, nella letteratura medica (Celso e Scribonio Largo) e non (il termine, come ho già segnalato, é attestato già in Plauto;

in seguito

in Vitr.

1, 4, 10). Luso

di splenicus

si afferma

nella tar-

da antichità: in Marcello Empirico prevale nettamente (assieme a spleniti-

cus) su quello di lienosus. Anche in questo caso, direi, la scelta di Celio appare di un certo interesse, anche

per la presenza

della

formazione

lienicus,

non

attestata

da altri

autori. L'uso dei due termini risponde ancora, si direbbe, a esigenze di variatio: ambedue i termini designano il malato alla milza (solo a 3, 4, 58 [p. 712, 26] lienicus ὃ denominazione di rimedi, quaedam lienica uocaverunt); lienosus ὃ utilizzato a 3, 4, 49 (p. 708, 5); 56 (p. 712, 2); 57 (p. 512, 10); 58 (p. 712, 25); 63 (p. 716, 16); 67 (p. 718, 26); lienicus anche a 3, 4, 51 (p.

708, 21), 56 (p. 710, 32); 57 (p. 712, 12), 59 (p. 714, 9); 64 (p. 716, 22).

17 Sulla cura retorica di Celio si soffermó già Bendz, Caeliana, cit., pp. 89-90, per il fenomeno delle Doppelübersetzungen (cfr. anche Önnerfors, cit., 316-17). Su altri aspetti cfr. F. Stok, Retorica ed etimologia nei trattati di Celio Aureliano, in Les textes médicaux latins comme literature. Actes du Vle colloque international sur les textes médicaux latins du le au 3e septembre 1998 à Nantes, éd. par A. et 1. Pigeaud, Nantes 2000, 281-96. 18 Cfr. F. Stok, Struttura e modelli dei trattati di Celio Aureliano, in Le traité, cit., 7-9. 19 Faccio riferimento, qui e oltre, a pagine e righe dell'ed. Bendz (n. 5).

Note sul lessico anatomico di Celio Aureliano

161

Un'altro interessante caso di «concorrenza» fra denominazione latina e greca di una stessa parte anatomica, tus e thorax.

ὃ quella evidenziata dai termini pec-

Il termine pectus (diversamente da lien) non & incluso da An-

dré nell'«héritage indo-européen» del lessico anatomico latino ?. ma & anch'esso

antico

e ben

attestato

a partire da Naev.

inc.

59 Blánsdorf,

dove

appare nel significato traslato di sentimento, la cui sede ὃ collocata nel cuore/petto (magnae metus tumultus pectora possidet). In accezione piü

marcatamente continuo meum

anatomica,

per la cavità toracica, cfr. Plaut. Aul. 626-627:

cor coepit artem facere ludicram / atque in pectus emicare;

per il significato usuale di «petto», cioè la parte esterna del corpo, cfr. per es. Plaut. Curc. 282, ne quem in cursu capite aut cubito aut pectore offendam aut genu. Il greco θώραξ, nei poemi omerici «corazza», e usato per designare la relativa parte del corpo a partire da Ippocrate e Platone. In latino thorax 2) & introdotto nel significato originario da Virgilio, che usa il termine nell'Eneide ?, e nel significato anatomico

da Celso, che lo utilizza per

lo piü ? per designare la parte esterna del corpo («petto»): cfr. per es. 3, 19, 1, sudor ... ex toto thorace et cervicibus atque etiam capite prorumpit. Laltro termine, pectus, & invece utilizzato da Celso generalmente (ma non sempre) per designare la cavità toracica: cfr. per es. 3, 7, 1A, uomitu pectus purgare, e 4, 8, 2, dolor in pectore praecordiisque est. E possibile che sia stato proprio Celso ad introdurre l'uso di thorax in accezione

anatomica; é significativo il fatto che Scribonio Largo utilizzi solamente pectus. Diverso da quello di Celso & il comportamento di Plinio, che nella Naturalis historia tende a riservare a thorax il significato di «cavità toracica»: cfr. per es. 21, 155, dolor in thorace; thoracem purgare a 22, 33 e passim.

Laltro termine, pectus, designa prevalentemente il «petto», cfr. specificamente 11, 207, pectus, hoc est ossa, praecordiis et vitalibus natura circumdedit; ... pectus homini tantum latum, reliquis carinatum; ma talora anche la cavità toracica: cfr. per es. 11, 181, cor ... medio pectore est; 21, 136,

pectoris dolores; 24, 24 pectoris vitia ecc. Nei testi medici tardoantichi l'uso di thorax tende certamente ad intensificarsi e, come ha osservato André, il termine «est trés employé à faveur

des traductions au sens de poitrine» 24. Di un certo interesse è il tentativo di differenziare i due termini testimoniato dall'excerptum pseudo-sorania-

no pubblicato da Stadler: specialite autem tota quidem pars, quae est inan-

20 Cfr. André, Le vocabulaire, cit., 236.

21 22 23 «cavità

Cfr. Weise, op. cit., p. 534; F. Cfr. M.R. Posani, s. v. thorax, Non sempre, come sostiene toracica» sono segnalati da

Biville, op. cit., 450. in Enciclopedia Virgiliana V*, Roma 1990, 165-66. André, Le vocabulaire, cit., p. 220; occorrenze di thorax per Langslow, Medical, cit., 151n.

24 Cfr. André, Le vocabulaire, cit., 220.

162

Fabio Stok

te usque ad diafragma et latera, thorax uocatur. Quas inter pars illa, quae quasi ossum est, pectus uocatur 35. Le preferenza tardoantica per thorax trova conferma in Celio Aureliano, soprattutto se ci si limita a considerare i dati quantitativi: nei due trattati

maggiori thorax

registra 60 occorrenze, pectus

pectus,

conviene

quasi

peraltro,

sempre

animali

distinguere

(quali

quelle

componenti

37. Fra le occorrenze al

plurale,

di farmaci)

che

di

riguardano

solo in un

caso,

chron. 3, 8, 105, il termine al plurale ὃ riferito all'uomo: tenuitas extentae cutis secundum ora uel colla aut iugula uel pectora (p. 742, 13-14). Negli altri casi (8 occorrenze) i pectora sono sempre di animali (mentre il singolare, per converso, é sempre riferito all'uomo).

Considero chron.

Come

separatamente,

nell'esame dell'uso dei due termini, acut. e

ho dimostrato in un'altra sede ?5, i due trattati presentano ca-

ratteristiche peculiari, probabilmente conseguenti ad epoche di composizione e esigenze non coincidenti. In acut. le occorrenze dei due termini sono in numero grosso modo equivalente: 19 di pectus e 23 di thorax. Nell'uso, con qualche eccezione che vedremo oltre, essi tendono a sovrapporsi, con un'alternanza che sem-

bra obbedire non ad esigenze di precisione semantica, ma di variatio. Lo possiamo verificare con sicurezza nei contesti in cui sono utilizzati ambedue i termini: nella terapia della peripneumonia sono previste applicazioni medicamentose al torace, per le quali sono utilizzati in un caso thorax, nell'altro pectus: cfr. 2, 29 151, thoracem cataplasmamus et interscapulam (p. 234,

11), e 153, pectori ... cerotaria apponimus

(p. 23, 32-33).

Troviamo

congiuntamente ambedue i termini a 2, 27, 203: secundum pectus uel thoracem prioribus et a tergo partibus aliqua ex supradictis apponimus (p. 268,

29-31) 27, Pape traduce «Brust» e «Brustkorb», ma quella di Celio & sostanzialmente un'iterazione sinonimica.

A 3, 2, 9 ὃ descritta la possibile area

d'azione del fuoco sacro: si circum colla se ignis sacer infunderit siue in pectore apparuerit

(p. 298, 8-9), dove pectus

designa

ovviamente

la parte

esterna del corpo, trattandosi di un'affezione che interessa l'epidermide; poco oltre, a 3, 3, 11, Celio prescrive colla protegenda cum thorace (p. 298, 32), per poi ancora pectus a 3, 3, 23 (p. 306, 19). La superficie esterna del torace & designata piü frequentemente da thorax a 2, 27, 144, dove fra i sintomi della peripneumonia c'è anche il thorax etiam extantior (p. 230, 5), e in una serie di passi in cui torace è interessato da sudorazione, cfr. 1, 9, 68, detergendus ... sudor, qui per uultum atque

thoracem emicuerit

(p. 60, 25-26);

1, 16, 158 (p. 110,

13) e 2, 14, 92, uul-

25 Cfr. H. Stadler, Neue Bruchstücke der Quaestiones medicinales des Pseudo-Soranus, «Arch. f. latein. Lexik.» 14, 1906, 367. 26 Stok, Struttura, cit., 25-26. 21 Cfr. anche Cael. Aur. quaest. med. 115, thorax et pectus incenduntur (p. 260, 16 Rose); a 235

fn. 271, 37 Rose) pectus designa la superficie esterna.

Note sul lessico anatomico di Celio Aureliano tus et thoracis

roscida humectatio

(p. 190,

163 15-16) e da manifestazioni

epi-

dermiche, cfr. 2, 10, 71, in thorace atque uultu ... maculae (p. 174, 19). Cfr. anche

2, 29,

149, dove si prescrive una cura reclinato thorace (p. 232, 24).

Ma per lo spasmo, nell'usuale osservazione del sintomo piü appariscente, e utilizzato pectus, cfr. 3, 6, 69, mentum

Singolare l'occorrenza di thorax a chron.

pectori configitur (p. 334,

1) 28,

2, 11, 127, dove il termine sem-

bra designare la pleura: thorax, hoc est membrana, quae interius latera cingit (p. 620,

17), ma forse non & infondata l'emendamento et pro hoc est ri-

levabile nell'edizione Rovilliana

(1566), trattandosi di una serie che com-

prende anche summitas faucium, arteria asperior, pulmo, diaphragma, stomachus, iecur, piü verosimile, la serie, e non Ambedue i

lien e uena maior, tutti loci ex quibus sanguis fluit: sembra infatti, che thorax fosse citato come uno degli elementi delcome denominazione della pleura. termini sono utilizzati in riferimento a medicamenti appli-

cati nell'area toracica: thorax a 2, 29, 149, lanarum appositione thoracem secus (p. 232, 30-31); 3, 21, 200, medicamento secundum thoracem ac uentrem (p. 408, 28-29); 3, 16, 129 (p. 370, 5); pectus a 2, 27, 197, pectori

atque ori uentris apponimus (p. 266, 4); 2, 37, 196 (p. 264, 29); 2, 37, 201 (p. 268, 8); 2, 37, 215, non solum anterioribus partibus, sed etiam posterioribus pectoris (p. 274, 30-31); 2, 39, 228 (p. 284, 2). In riferimento

al dolore, pectus

& utilizzato

a 2,

14, 91, dolor ... etiam

brachium tangens et pectus atque ilium (p. 188, 27-28); 2, 19, 114, etiam pectus uel mamillam tangere uideatur (p. 208, 4); ivi, si sub pectore dolor et

ad iugulum non tetenderit (p. 208, 8); 2, 35, 185, dolor ... sub his partibus pectoris, quae costis teguntur (p. 256, 23-24). Ma a 2, 19, 118 troviamo si inferius thorace fuerit dolor (p. 210, 16). Maggiore specificità, come ho già segnalato, ha l'uso dei due termini in riferimento a sintomi particolari. La grauedo riguarda sempre il thorax: cfr. 2, 34, 181 grauedo ... in toto thorace (p. 254, 2-3); 2, 35, 185 (p. 256, 19); 2, 36, 190 (p. 260, 30); 2, 27, 143 grauedo thoracis (p. 228, 22); 2, 32, 165 (p. 244, 29); 2, 34, 180 (p. 252, 28-29); 2, 35, 184 (p. 256, 13); 3, 20, 194 (p. 406,

9). Isolata l'espressione spiratio thoracis

a 2, 16,

100 (p.

196,

18), che è accostabile, però, ad altre espressioni nelle quali è utilizzato, invece, pectus:

cfr.

2, 3,

18, stridor pectoris

(p.

140,

20-21);

2, 27,

145

(p.

230, 12); 3, 5, 50 (p. 322, 12-13); 3, 2, 8, gutturis atque pectoris stridor (p. 296, 29); 3, 6, 68 (p. 332, 22-23). Nel complesso, in acut. Celio sembra utilizzare i due termini in modo quasi analogo a quanto lo abbiamo visto fare con lienicus / lienosus e con lien / splen, con un uso cioè indifferenziato e motivato da esigenza di variatio. Solo in qualche misura, come abbiamo visto, thorax e pectus sono privilegiati in particolari designazioni di sintomo.

28 Anche Cael. Aur. quaest. med. 205, contrahitur caput ad pectus (p. 268, 25 Rose).

164

Fabio Stok

In chron. luso di thorax (38 occorrenze) prevale nettamente su quello di pectus (10 occorrenze), ma proprio la preferenza assegnata a thorax sembra assicurare una distribuzione almeno in parte motivata sul piano semantico.

Una sovrapposizione nell'uso dei due termini & rilevabile in riferimento all'applicazione di medicamenti esterni: a 3, 1, 6 leggiamo che pectus te-

gendo lana atque fouendum oleo (p. 682,

15-16); poco oltre, a 7, catapla-

sma adhibenda thoraci (p. 682, 29). Nel complesso, peró, anche in questa accezione prevale nettamente l'uso di thorax: cfr. 1, 4, 75 (p. 472, 23); 77 (p. 474, 11); 1, 5, 156 (p. 522, 19); 2, 7, 97 (p. 602, 29); 2, 7, 112 (p. 612, 6); 3, 1, 10 (p. 684, 17); pectus solamente a 3, 2, 22 (p. 690, 29) e 29 (p. 694, 31). | Luso di thorax & esclusivo nei riferimenti a ferite, cfr. 2, 12, 144, cum

uulnerationibus thoracis saepe pulmo penetratus (p. 630, 23-24); postura, cfr. 3, 1, 5, thorace atque capite subleuato (p. 682, 13); sudorazione, cfr. 2, 5, 89

(p. 598,

13);

3, 2, 40 (p. 702,

2); sintomi

dermatologici,

cfr.

5,

10,

102 (p. 916, 20); 106 (p. 918, 17); 107 (p. 918, 24). Ma a 5, 10, 97, dove e designato un punto preciso della superficie esterna, il termine utilizzato è pectus: inflatio uel tensio iuxta finem pectoris uel sub extremis costis atque ossibus ultimis perseuerans usque ad ilia (p. 914, 1-2). Troviamo regolarmente thorax, invece, nella designazione della cassa toracica, cfr. le definizioni del diaframma a 1, 4, 75, quod nos thoracis atque uentris discrimen appellamus (p. 472, 25-26); 2, 1, 14 (p. 552, 14); 2, 11, 127 (p. 620, 18); e dell'anthereon o ruma a 2, 7, 102, thoraci atque gut-

turis summitas (p. 606, 1); 107 (p. 608, 22); 2, 8, 116 (p. 614, 12). Come in acut, è frequente il sintomo della thoracis grauedo, cfr. 2, 7, 95 (p. 602, 4); 2, 11, 130 (p. 622, 15-16); 3, 1, 2 (p. 680, 14-15); 5, 10, 96 (p. 912, 26). Diversamente da acut., invece, lo stridor ὃ riferito anche al thorax, cfr. 2, 14, 198, sibilatio uel stridor thoracis (p. 664, 23); stridor pectoris come in acut., perö, a 3, 1, 3 (p. 680, 17). Altre sintomatologie che interessano il thorax: 3, 1, 5, cum thoracis euersione atque singultu (p. 682, 4-5); 3, 1, 11, urendum thoracem uel ca-

put crediderunt (p. 684, 34); 2, 7, 94, influxio ad thoracem uel pulmonem, quae

appellatur phthisis

(p. 600,

22-23);

96

(p. 602,

11

e 13);

2,

13,

152,

ipso pulmone aut thorace sanguinis nascitur fluor (p. 636, 23-24); 185 (p. 656, 22); 5, 10, 102, eruptiones ... ad thoracis inania (p. 916, 20); 2, 14, 196, tossicula siue catarrho thoracis (p. 664, 5-6); 4, 5, 83, tussicula longa per interualla et thoracis pungente tensione (p. 820, 24); 2, 14, 198, punctio ulcerato thorace (p. 664, 27). A queste ultime occorrenze & accostabile 2, 11,

130,

dove

troviamo

peró

implicato,

per il sintomo

pectus: dolor inferius a pectore fiet rotunditate quadam (p. 622,

dolorifico,

anche

il

thoracem pungens

19-20). E forse significativo il fatto che subito oltre pectus

sia an-

cora citato per il sintomo dolorifico: dolor secundum latera uel pectus (p. 622, 22).

Restano un paio di occorrenze nelle quali l'uso di pectus & certamente

Note sul lessico anatomico di Celio Aureliano

165

specifico, in quanto esse riguardano sensazioni percettive più complesse dei sintomi citati sopra e designati per lo piü in riferimento al thorax. Particolarmente

significativo & 1, 3, 54, dove & descritto l'incubo, caratterizza-

to dalla sensazione di essere posseduti da un'entità esterna, siquidem ueluti ascendere atque insidere suo pectori sentiant quicquam, (p. 460, 7-9). A

questa occorrenza può essere accostato 3, 4, 51, dove la duritia dei lienosi è definita ueluti pectus inuadens

Nel complesso,

(p. 708, 22).

direi, in chron.

la ricerca della variatio sembra venir

meno, rispetto ad acut. Questa considerazione dovrebbe spiegare il ricorso

nettamente maggiore a thorax e una tendenziale specificità del significato assegnato a pectus, anche se restano alcuni casi in cui il significato dei due termini & certamente lo stesso. Il terzo caso di denominazione anatomica bilingue che esamino è quello della bile. Il latino conosce due diverse denominazioni di questo secre-

to, bilis (di origine sconosciuta; pochi paralleli in i.-e. 25), e fel (dalla stessa radice i.-e. da cui deriva il greco χόλος, y6An ??). Mentre bilis ha un significato univoco (a prescindere dai traslati suggeriti dalla teoria umorale delle emozioni), fel, oltre che la bile, designa anche la vescicola biliare ?!, che gli anatomisti antichi consideravano quale parte inferiore del fegato, cfr. Cels. 4, 1, 5, ex inferiore uero parte ei [scil. iecori] fel adhaeret; Plin. nat. 11, 191, (in iecore) est fel, non omnibus datum animalibus; 32, 96, fellis pi-

tuita. Nel significato di «bile animale» fel & attestato a partire da Plauto (Cas. 223

naceum agr.

et al.); in quello di «vescicola biliare» da Cic. div. 2, 29, fel galli-

(osservato dagli aruspici); bilis da Plaut. Amph.

727 et al. e Cato

141, 4 et al.

Nel latino classico la bile umana & designata prevalentemente da bilis, mentre fel & utilizzato soprattutto per la bile animale (usata in farmaceutica e altro), spesso con l'aggettivo relativo all'animale in questione, cfr. per es. fel bubulum (Varro rust. 1, 2, 25 ecc.), fel taurinum (Cels. 4, 7 ecc.), fel ursinum

sapore

(Plin.

amaro

28,

167

ecc.).

Per la bile animale

(nelle occorrenze

mel) e del tipico colore

fel ὃ paradigmatico

di Plauto fel ἃ sempre

(cfr. Plin. nat.

in opposizione

37, 70, fellis coloris,

a proposito

del

a di

minerali). Questa specializzazione dei due termini ἃ rilevabile anche nella letteratura medica della prima età imperiale (Celso; Scribonio Largo) 52; troviamo fel nel significato di «bile umana» forse in Sen. Oed. 358, felle nigra tabidum spumat iecur (dove fel potrebbe designare anche la vescicola biliare),

certamente

in

Plin.

nat.

28,

103,

28,

103,

(membrana)

quae

fel

continuerit. A Plinio risale la prima attestazione di felleus, cfr. nat. 26, 124,

29 Cfr. Walde, cit., 105-06; André, Le vocabulaire, cit., 155.

30 Cfr. Walde, cit., pp. 473-74; Ernout-Meillet, cit., 223. 31 Cfr. André, Le vocabulaire, cit., pp. 154-55; Langslow, Medical, cit., 153.

32 Cfr. Langslow, Medical, cit., 153.

166

Fabio Stok

per una radix che sudores felleos movet. Successivamente fel tende ad imporsi su bilis, come evidenziano anche gli siti romanzi, numerosi per fel ??,

limitati al sardo per bilis *. A sua volta fel, nella Tarda Antichità, subi la concorrenza di cholera, prestito dal gr. xoAepa che a partire da Celso (cfr. 2, 1, 21; 2, 13, 1; 4, 18) designa, come il termine greco, la malattia provocata dall'eccesso di bile.

Il corrispettivo greco di bilis / fel, va precisato, è x6An, termine a cui do-

vrebbe

corrispondere

un prestito chole, che però è utilizzato da Celio,

come vedremo, solo per designare il termine greco. Quale corrispondente di y6An, è invece attestato cholera, nella duplice forma cholera -ae e cholera -um. André indica nel IV sec. d.C. lepoca a partire dalla quale cholera

«n'est pas rare au sens du ‘bile’» 55. La sinonimia cholera / bilis ἃ esplicitata da Vegezio a mulom. 2, 114, bilis, quae colera appellatur uulgo. Altre occorrenze

nella letteratura medica

in Vindic.

med.

2; epist. ad Pentad.

p.

486; Theod. Prisc. log. 84 e 91; Cass. Fel. 21; Marcell. med. 30, 54; Diosc. 3, 150; Orib. syn. 1, 2 ecc.; nella letteratura non medica in Lampr. Alex. 17, 2; Hier. in Ier. 25, 15 sgg. p. 1017 e epist. 54, 4; Chromat. beat. 4 ecc. Da notare che Teodoro

nuando a

Prisciano utilizza cholera

per la bile umana,

conti-

riservare fel a quella animale 3°.

Rispetto alle linee di tendenza descritte, Celio é moderatamente conservatore. Scarta bilis a favore di fel, adeguandosi alla tendenza impostasi in età imperiale. C'è, nell'intera opera celiana, una sola occorrenza di bilis, a acut.

1, 6, 180, in dipendenza

da Cic. Tusc.

3, 11, per la definizione

cice-

roniana della melancholia: Tullius atram bilem dixit ueluti altam iracundia (p.

538,

4);

l'altra

citazione

latina

che

accompagna

quella

di

Cicerone,

Verg. Aen. 8, 219-20, ha atro felle. Nella stragrande maggioranza dei casi la bile ἃ designata da fel. Il termine, va osservato, non ha mai

il significato

di «follicolo biliare». Celio sembra esser stato attento, per questo aspetto, a sciogliere un'ambiguità presente nell'uso tradizionale del termine. Generalmente fel ricorre al singolare,

come

nell'uso tradizionale: uomi-

tus fellis in acut. 1, 4, 42 (p. 46, 4); 3, 11, 104 (p. 354, 7); 3, 14, 113 (p. 358, 31); 3, 15, 123 (p. 366, 12); 3, 20, 194 (p. 406, 11) e chron. 1, 1, 5 (p. 430, 22); fellis infectio (di persone) chron. 3, 5, 72-73 (p. 722, 16.22); color fellis in chron. 5, 3, 56 (p. 886, 23); 3, 5, 68, mutatio coloris in fellis qualitatem (p. 720, 8-9); cfr. anche 3, 5, 78 (p.726, 9); fel diffusum (nell'aurugo) 3, 5, 71 (p. 722, 4); fellis detractio 3, 5, 77 (p. 724, 33). In riferimento alla

bile animale felle taurino 17, 153 (p. 382, 22); 156 846, 29); acrimonia fellis 416, 24); qualitas fellis in 33 34 35 36

Cfr. Ivi, Cfr. Cfr.

in acut. 3, 4, 30 (p. 310, 22); 34 (p. 312, 20); 3, (p. 384, 12); chron. 4, 8, 120 (p. 842, 22); 128 (p. in acut. 3, 17, 156 (p. 384, 13); 3, 21, 213 (p. acut. 2, 21, 127 (p. 218, 5).

Meyer-Lübke, cit., 281 (n. 3234). p. 96 (n. 1105). André, Le vocabulaire, cit., 155. Langslow, Medical, cit., 153.

Note sul lessico anatomico di Celio Aureliano

167

L'uso di fella plurale è attestato a partire da Tert. coron.

14 ?' (solo sin-

golare per Char. gramm. p. 33, 15 B.; fella & fra i nomina generis neutri, quae in numero plurali aptota esse reperiuntur in Prob. gramm. app. IV 194, 31). In Celio troviamo fella quasi sempre in chron.: cameli cerebrum atque fella a 1, 4, 139 (p. 512, 9); nigra fella a 1, 6, 180 (pp. 536, 32 e 538,

2); fella que Greaci glycea uocant a 3, 1, 2 (p. 680, 6-7) ?*; fella deducere a 3, 5, 75 (p. 724, 8). In acut.

3, 19,

188, nella discussione sull'etimologia di

cholerica passio, Celio riferisce l'opinione di coloro che negano la connessione fra la malattia e la bile: non fella, sed esse liquida in eundem

colorem

transeuntia (p. 402, 11-12), dove fella & effettivamente il plurale di fel. Nei luoghi citati di chron., diversamente, Celio sembra uniformarsi all'uso di

fella pro fel (ed anche questa andrà compresa nel dossier delle peculiarità di chron.

rispetto ad acut.).

Da segnalare anche l'uso dei derivati felleus (12 occorrenze), fellifluus (1 occorrenza), felliducus (1 occorrenza) e fellosus (6 occorrenze). Il The-

saurus linguae Latinae ?? registra anche fellineus sulla base di chron. 4, 7, 92, dove in passato gli editori leggevano felineorum scil. humorum *, ma Bendz,

invece, felleorum

(p. 826,

19), e di Verec.

in cant.

2, 32 commento

all'uua fellis di deut. 32, 32, uuis fellineo liquore vexatis Fellifluus

ὃ utilizzato

solo ad acut.

3,

19,

188

con

intento

«didattico»,

nella spiegazione dell'etimologia di cholerica passio: a fluore fellis per os atque

uentrem

effecto,

altra occorrenza

ueluti fellifluam passionem

del termine

segnalata

(p. 402,

nel Thesaurus

8-9) *!. L'unica

linguae Latinae

e

quella ricostruibile in Isid. 4, 5, 4, unde et colera, id est fellicula nominata est, hoc est fellis effusio

(così il testo di Lindsay),

dove fellicula,

hapax,

è

verosimilmente da emendare felliflua ^ sulla scorta del luogo di Celio 35. Felliducus

(hapax)

& formato

da Celio su χολαγωγός **: cfr. chron.

3, 4, 63,

medicaminibus felliducis, quae cholagoga uocant (p. 716, 17-18). Felleus («felle permixtus, fellis qualitate praeditus» 35), prima di Celio, è attestato solo da Plinio (cfr. sopra); nella stessa epoca di Celio lo utilizza

anche Agostino, nel significato metaforico di «amaro». Fellosus («felle per-

37 H. Ammann,

s. v., Thesaurus linguae Latinae VI.1 (1915), c. 422.

38 Cfr. anche Plin. nat. 27, 91. 39 H. Ammann, s. v., Thesaurus linguae Latinae VI.1, 1915, c. 455. 40 J.L. Heiberg, Glossae medicinales, Kopenhagen 1924, 92n. 41 Vietmeier, cit., rende fellifluus = χολερικύς (p. 26).

42 Cfr. H. Ammann, s. v., Thesaurus linguae Latinae VI.1, 1915, c. 455: «uocabulum fort. ab Isid. prave a fel deminutive formatum?» (rinvia a O. Probst in «Arch. f. Gesch. der Med.» 8, 1914, 31.). Non discute il testo di Lindsay H.-A. Schütz, Die Schrift «De medicina» des Isidor von Sevilla, In.-Diss. Giessen, 1984, 91. 43 Fonte di Isidoro: cfr. P. Schmid, Contributions à la critique du texte de Caelius Aurelianus, Neuchätel 1942, 40-42. 44 Cfr. Vietmeier, cit., 26. 45 H. Ammann, s. v., Thesaurus linguae Latinae VI.1, 1915, c. 455: indica (chron.) «3, 6, I ursina», ma sarà 3, 6, 81 urina.

168

Fabio Stok

mixtus, fel sapiens, felli similis» #) fu probabilmente coniato da Celio ^' ed

é sostanzialmente un sinonimo di felleus. Ambedue gli aggettivi sono utilizzati in chron.

4, 8, 108, (lumbrici) sanguinolenti

uel fellosi aut cum

stercore

per podicem uel humore felleo (p. 836, 4-5). Designano ambedue la qualità di umori e secreti: cfr. acut. 2, 14, 91, liquidis excrementis et primo spumosis, dehinc sanguinolentis, ita fellosis ac inde saniosis (p. 190, 4-5); 92, uentris

fluor spumosus ac felleus (p. 190, 12); 92-92, etenim spumosa sanguinis in qualitatem transeunt, sanguinolenta in liuorem, item fellea aeruginosa ... item post felleam uel saniosam qualitatem in sanguineam transeunt (p. 190, 2021.23-24 48); 94, fellea qualitas (p. 192, 4); 2, 27, 143, tussicula sanguinolenta atque fellea (p. 228, 30); chron.

3, 4, 51, fellosa egestio stercorum

(p. 708, 20);

4, 6, 84 uaria fellosa (p. 822, 6). In altri casi sembrano designare piuttosto il colore: cfr. chron. 3, 5, 68, felleus color (p. 720, 5); 3, 5, 69, felleum corpus (p. 720, 18); 3, 2, 19, uomitus crassioris uel tenacis aut fellei et prasini hu-

moris uel alterius cuiuslibet substantiae circa supradictos colores (p. 688, 3233); acut.

1, 3, 37, urina fellea (p. 42, 22); chron.

3, 6, 81 (p. 728,

10);

1, 6,

182 (uomitus) fellosus uel ferrigineus aut niger (p. 538, 24). In più occasioni Celio propone anche il corrispondente greco di fel, cfr. acut.

3, 19,

188

(nella già citata etimologia

appellant (p. 402, cam

nominauit

lia), fel Per lera la casi: in quindi

di cholerica passio), cholen fel

10); 3, 19, 206, Hippocrates fel cholen appellans choleri-

(p. 412,

19-20); chron.

1, 6, 1 (nell'etimologia di melancho-

autem cholen appellant (pp. 536, 33-538, 1) ^. quel che riguarda il patonimo, Celio preferisce al tradizionale choforma passio cholerica. Utilizza altresi cholera, ma in pochissimi acut. praef. 3 nell'elenco di malattie discusse dell'opera (p. 22, 18), in luogo di passio cholerica; in acut. 3, 19, 188-189 (p. 402, 14.19)

e 192-193 (p. 404, 28 e 32), nella trattazione della passio cholerica in riferimento ad Asclepiade (p. 402, 14: «cholera», inquit etc.), quindi riproducendo l'uso dell'autore discusso; a chron. 4, 6, 84 fra le cause della dysenteria: fit antecedente fluore, quem Graeci diarrhoean uocant, aut cholera aut tumore

uentris (pp.

820,30-822,

2), dove designa

comunque

una

condizio-

ne patologica °°. Solamente a chron. 4, 2, 15 cholera ha il significato, che abbiamo visto corrente nella Tarda Antichità, di «bile»: phthiriasis est pas-

sio solutionis, cholerae rubeae egestione plurima per tenues uias emergente, qua haec animalia generantur (p. 782, 18-20) 51.

46 H. Ammann, s. v., Thesaurus linguae Latinae V1.1, 1915, c. 456. 47 Rende χολύδης per Vietmeier, cit., p. 20. 48 Pape (p. 191) traduce generalmente «gallig», ma l'occorrenza di p. 190, 21 come «gallenfarbig».

49 Analogamente Cassio Felice a 57, 1: flavi fellis id est rubei quod Graeci xanthon cholen uocant (cfr. A. Fraisse, ed. Paris 2002, p. 161, n. 515).

50 Pape (p. 821): «Brechdurchfall». 51 Pape (p. 783): «eine sehr starke Absonderung von rótlicher Galle».

Note sul lessico anatomico

di Celio Aureliano

169

Per quel che riguarda la bile, in definitiva, in acut. Celio utilizza esclusi-

vamente fel, segnalando solo in un paio di casi il corrispondente greco chole (e alterna, invece, l'uso dei derivati felleus e fellosus). In chron., e solamente in una sola occasione, utilizza cholera nel significato di «bile», probabilmen-

te in presenza di un piü frequente uso di cholera patonimo, poco usato in acut. Il confronto fra le due opere potrebbe suggerire un'evoluzione dell'uso

di Celio, in direzione dell'acquisizione di cholera «bile» (chron. & posteriore ad acut.), ma

questa evoluzione

sembra

contraddetta

da diaet. pass. (prece-

dente ad acut.), dove troviamo regolarmente cholera con questo significato: cfr. 65 cholera rubea (p. 256, 10-11 Rose); 113, cholerae reiectione (p. 260, 7 R.); 221, cholerum reiectatio (p. 270,

16 R.).

I casi fin qui esaminati hanno riguardato situazioni di «concorrenza» fra denominazioni

anatomiche

greche

e latine.

Nei

casi

che

esamineró

ora, le denominazioni «concorrenti» sono tutte greche, relative a particolari anatomici per i quali il latino non disponeva di un termine proprio. Anche questi casi, come vedremo, pongono il problema delle diverse scelte lessicali che caratterizzano i due trattati celiani. A chron. 5, 10, 91 Celio designa la pleura semplicemente come membrana, quae latera cingit (p. 910, 6-7), ma in numerosi

altri casi, sempre in

chron., accompagna alla perifrasi latina anche il termine greco, nelle forme hypozygos membrana o senz'altro hypozygon. Cfr. chron. 2, 11, 127 (già

citato sopra), thorax, hoc est membrana, quae interius latera cingit, a Graecis hypozygos appellata (p. 620, 17-18); 5, 10, 95, in membrana, quae latera

circumtegit, hypozygos appellata (p. 912, 14-15); 2, 12, 143, hi uero, qui ex hypozygo membrana fluores uenerint etc. (p. 630, 16-17); 5, 10, 83, in hypozygo membrana (p. 910, 23); 5, 10, 104, hypozygo membrana (p. 916, 35); 2, 1, 14 (fra le parti interne suscettibili di paralysis), aut hypozygon etc. (p. 552, 15); 2, 11, 130, qui ex hypozygo sanguinem fluunt (p. 622, 21). I] gr. ὑπόζυγος non è attestato: nel lessico di Liddell-Scott è registrato sulla base di Celio 52. La stessa considerazione vale per il sinonimo ὑπόδυpa (‘tunica’), accolto nell'accezione di «pleura» sulla base di un altro luogo di Celio, chron. 1, 4, 75, laxato etiam hypodymate siue membrana, quae la-

tera ex interioribus contegit (p. 472, 26-27) ?. Il Thesaurus linguae Latinae registra la forma hypodymate ?* e hypozygoslhypozygon 55. In acut.,

diversamente,

Celio

utilizza

una

terza denominazione

greca

della pleura, l'unica in qualche misura attestata: cfr. 2, 13, 88 (nella defini-

zione della pleuritis di Apollonius Mys) passio ... secundum branas,

52 53 54 55

quas

hypezocotas

uocant

(p.

186,

20-21);

2,

16,

laterum mem96,

Cfr. H. Liddell-R. Scott, A Greek-English Lexicon, rist. Oxford 1968, 1881. Ibid. Cfr. B. Rehm, Th. I. L., vol. VI.3 [1942], c. 3157. Ivi, c. 3162.

hypezocota

170

Fabio Stok

membranam, quae latera ex interiore cingit (p. 194, 5); hypezocos membrana a 2, 17, 98-100 (p. 196, 3.9.14.25-26); 2, 19, 123 (p. 214, 6-7) e 2, 34,

181 (p. 254, 3). Per ὑπεζωκώς Liddell-Scott56 rinvia ad Alex. Aphr. pr. 1, 53 e a Gal. anat. admin. 7, 2 (II 591 Kühn): in Galeno, però, la pleura è definita ὑμήν che τὰς μὲν πλευρὰς ὑπέζωκσεν (cfr anche loc. aff. 2, 3 [VIII 77 K.]: τὰς πλευρὰς ὑπεζωκότος ὑμένος). La denominazione 57 è confermata da Cassio Felice 55, che a 66, 1 propone peraltro la stessa perifrasi che abbiamo trovato in Celio: in una parte pulmonis et hypezocotos laterum membranae

(diversa parafrasi ha, Teodoro Prisciano a log. 21: exteriores cutes pulmonis).

È appariscente, in questo caso, il diverso uso lessicale che caratterizza i due trattati celiani. Il fenomeno è stato notato da André, che ha ipotizzato che l'uso celiano rispecchi quello della fonte dei due trattati 55: Sorano, cioè, avrebbe utilizzato ὑπεζωκώς nel trattato sulle malattie acute e ὑπόζυyog (e ὑπόδυμα) nel trattato sulle malattie croniche. L'ipotesi non è da escludersi,

ma

converrà

tener conto

della frequenza

con cui i due

trattati

celiani rivelano scelte lessicali diverse, che almeno in alcuni casi non possono essere ricondotte agli originali soraniani.

Ne segnalo ancora un altro, per arricchire un dossier che andrà comunque

valutato globalmente.

Il latino maxilla, derivato da mala/malae 59,

è testimoniato a partire da Cic. orat.

153 ed utilizzato da Celso per desi-

gnare la mandibola (in opposizione a malae, «mascella») δ᾽; designa indistintamente l'osso, la massa muscolare e la parte esterna. Per designare

specificamente i muscoli mascellari, Scribonio Largo ricorre alla perifrasi muscoli maxillares (cfr. 9 e ne (cfr. 6, 9, 5; 8, 1, 9.10), (7, 7, 151). Celio Aureliano ricorre atque buccarum musculi a 65 (p. 528, 21); 2, 4, 73-74

53); Celso, che riserva maxillaris alla dentazioadotta la perifrasi musculi qui maxillas tenent talora, in chron., alla sola perifrasi: temporum 1, 1, 10 (p. 434, 16); musculi buccarum a 2, 3, (p. 588, 14.23) e 2, 4, 78 (p. 590, 24), ma piü

spesso, nello stesso chron., alla perifrasi aggiunge anche il corrispondente greco: cfr. 1, 1, 7, temporum atque buccarum musculos, quos siagonas uocant (p. 434, 15-16); 1, 1, 37 (p. 450, 2-3); 1, 4, 76 (p. 474, 4-5); 1, 4, 90, buccarum musculos, quos siagonas appellant (p. 482, 10) €. A 2, 1, 8 leg-

56 Liddell-Scott, cit., p. 1881 (s. v. ὑποζώννομι). 57 Cfr. B. Rehm, s. v., Th. L L., vol. V1.3, c. 3151 (che intende, però, ὑπόζωμα, «diaframma»;

analogamente Weise, cit., p. 441, intende ὑπόζυγος come diaphragma). 58 Cfr. Fraisse, ediz. cit., p. 178 n. 567.

59 Cfr. André, Le vocabulaire, cit., 120. 60 Cfr. Langslow, cit., pp. 152 e 332.

61 mandibula è testimoniato da partire da Tert. anim. 10. $2 Da notare che le perifrasi senza il greco sono tutte nella parte conclusiva di chron.

Note sul lessico anatomico di Celio Aureliano

171

giamo il termine greco al singolare, ma con la consueta perifrasi latina, siagon paralysi uitiatus, siquidem nos musculum, qui buccas colligat, dicere poterimus (p. 458, 8). A 2, 1, 21, infine, la perifrasi latina e rintracciabile solo nella prescrizione relativa alla patologia della mascella: si siagon uel

mentum paralysi fuerit uitiatum, erunt cucurbitae infigendae atque musculis buccarum (p. 556, 8-9). Se passiamo ad acut., anche in questo quadro ci troviamo di fronte ad un uso lessicale regolarmente diverso: cfr. 2, 10, 59, musculorum, quibus buccae colligantur, conductio, quos appellant siagonitas (p. 166, 26-27); 2,

10, 69, musculos, qui bucca colligant, quos siagonitas appellant (p. 172, 2021); 2, 11, 80, musculis, qui buccas colligant, quos siagon«i»tas uocant (p. 180, 13); 3, 6, 63, tensionem musculorum secundum colla atque buccas, quos siagonitas uocant (p. 330, 15-16); 3, 8, 75, buccarum musculos, quos siagonitas uocant (p. 336, 28) e 3, 8, 79 (p. 338, 32-33). Anche in questo caso non puö essere esclusa l'ipotesi che Celio trovasse, nel trattato soraniano, σιαγών e σιαγόνες per le malattie croniche e σια-

γονίται per quelle acute (ambedue i termini sono attestati 583). Ma è forse più verosimile che le diverse soluzioni adottate nei due trattati risalgano allo stesso

Celio,

in relazione

al diverso

contesto

che hanno accompagnato la stesura delle due opere.

63

Ctr. Liddell-Scott, cit., 1595,

e alle diverse

esigenze

Paola

Paolucci

A PROPOSITO

DI ANTHIM.

30

Lorigine bizantina del medico Antimo, autore dell'Epistula ad Theudoricum regem Francorum [de observatione ciborum], non & stata messa in

dubbio provatamente

né smentita da alcuno, da quando

il primo editore

del testo, Valentin Rose, la presuppose nella sua ricostruzione della vicenda biografica del medico,

il quale, nell'anno 488, sarebbe partito da Bisan-

zio per raggiungere Ravenna al séguito di Teodorico l'Amalo !. In virtù di tale provenienza dell'autore, oltre che per la nota derivazione del lessico medico latino dal greco?, ha destato particolare interesse negli studiosi, accanto alla tardolatina, anche la componente linguistica greca del De observatione ciborum. Lo studio più importante in relazione a questo aspetto rimane l'articolo di Karl Mras, pubblicato nell'annata 19431947 di «Wiener Studien» (pp. 98-117), il quale va integrato con qualche

successivo

contributo,

non

specificamente

dedicato

all'argomento,

ugualmente utile a chiarire il valore di certe espressioni d'altro canto, alcune affermazioni dello stesso Mras ?.

bensi

o a correggere,

! Cfr. V. Rose, Anecdota Graeca et Graecolatina II, Berlin 1870, 44 sgg. Per un profilo dell'autore e della sua opera cfr. L. Zurli, Trilogia medica. 1. Antimo: una dietetica per le nazioni agli albori del VI secolo, in Prefazioni, prologhi e proemi di opere tecnico-scientifiche latine, vol. 3, Roma 1997, 317-420.

2 Vasta la bibliografia sull'argomento. Basti citare qui alcuni fra gli studi più noti come J. André, Remarques sur la traduction des mots grecs dans les textes médicaux du Ve siécle (Cassius

Felix et Caelius Aurélianus), «Rev. Philol.» 37, 1963, 47-67; Id., Le vocabulaire latin de l'anatomie, Paris 1991; G. Baader, Lo sviluppo del linguaggio medico nell'antichità e nel primo medioevo, «Atene e Roma»

15, 1970,

2-19; U. Capitani,

Celso e la terminologia

tecnica greca,

«Ann.

Sc. Norm.

Sup. Pisa» 5, 1975, 449-518; D. Gourevitch, Les noms latins de l'estomach, «Rév. Philol.» 50, 1976, 85-110; AA.VV., Le latin médical: la constitution d'un language scientifique, Saint-Étienne 1984; D.

Langslow, Latin Technical Language: Synonims and Greek Words in Latin medical Terminology, «Transact. Philol. Soc.» 87/1, 1989, 33-53; I. Mazzini, Introduzione alla terminologia medica, Bologna 1989; AA.VV., Studi di lessicologia medica antica, a c. di S. Boscherini, Bologna 1993.

3 Cfr. e. g. P. Cecchini, Alcune particolarità lessicali nel De observatione ciborum di Antimo, «Giorn. It. Filol.» 45, 1993, 247-251; C. Deroux, Anthime et les tourterelles: un cas d'intoxication alimentaire au trés haut moyen áge, in Maladie et maladies dans les textes latins antiques et médie-

vaux, «Actes du Ve Colloque International "Textes médicaux latins" (Bruxelles, 4-6 sept. 1995)», Coll. Latomus 242, 1998, 366-381.

174

Paola Paolucci

Il merito dell’illustre studioso, aldilà delle singole questioni, è stato quello di non essersi limitato, come a qualche anno di distanza Jax 4, a rintracciare nel testo i «termini, qui vocantur technici e lingua Graeca deprompti»?

(come

dysentericus,

hepaticus

et sim.),

ma

è stato

soprattutto

l'aver individuato i grecismi antimiani, per così dire, meno trasparenti, ossia le strutture sintattiche e le locuzioni greche sottese a periodi composti

esclusivamente di ‘materiale lessicale’ tardolatino. Ad esempio, nell'espressione prefatoria nam de potu est quando habent est quando non habent egli ha ravvisato una matrice greca del tipo ἔστιν ὅτε

μὲν ἔχουσιν, ἔστι δὲ ὅτε οὐκ ἔχουσιν, confermata dalla traduzione letterale altolatina dell'opera di Paolo d'Egina, ove piü volte corrispondono i nessi est quando e ἔσθ᾽ ὅτε. Riprodotte dal greco sarebbero anche concordanze di soggetto neutro plurale con predicato singolare quali quelle occorrenti nei capitoli 14 e 22: rispettivamente ut credatur quae diximus e posteriora ipsorum non praesumatur, quia gravat stomachum. Ed ancora, nello stesso capitolo 14, risulta particolarmente interessante il lessema exire col significato di enarrare proprio del greco διεξιέναι, sul quale è ricalcato.

Non mi dilungo su altri esempi, giudicando questi sufficienti ad essere adeguata premessa all'esegesi del capitolo 30, sul quale intendo soffermare in particolare la mia attenzione. Questo brevissimo capitolo, infatti, pur sembrando a prima vista per la sua sintassi e i suoi lessemi soltanto uno dei più tipici esempi di latino volgare tardoantico, cela in vero anche un

tecnicismo del lessico ornitologico greco ®. Reco il testo così come lo si legge nell'ancora insuperata edizione di Eduard Liechtenhan *: Passaris, qui in parietibus nutriunt, pullus ipsorum bene assus aut elixus praesumere.

Tale edizione si mostra in generale piuttosto fedele alla tradizione manoscritta e, al contempo, & rispettosa del latino dei tempi di Antimo, tanto

lontano dalla lingua classica quanto piü & vicino alle nascenti lingue romanze. Sicché la constitutio textus del Liechtenhan & assai difforme rispetto alla redazione ‘normalizzata’ delle due edizioni Rose (figlie dei loro tempi: l'una del 1870, la teubneriana invece del 1877), nelle quali si inter-

viene ad 'emendare' quei fenomeni tipici del latino tardo, che intendo trattare nel prosieguo, non prima, però, di aver fornito anche il testo restituito dal Rose:

4 Cfr. K. Jax, Adnotationes quae pertinent ad latinitatem, qua composita est Anthimi medici de observatione epistula, «Innsbrucker Beitr. zur Kulturwiss.» 1, 1953, 115-123. 5 Cfr. Jax cit. 115. 6 Fondamentali per lo studio del lessico ornitologico 1. André, Les noms d'oiseaux en latin,

Paris 1967 e F. Capponi, Ornithologia Latina, Genova 1979.

7 Cfr. E. Liechtenhan, Anthimi de observatione ciborum ad Theodoricum regem Francorum

epistula,

CML VII

1, Berlin 19632.

A proposito di Anthim. 30 De passeribus

qui

175

in parietibus

nutriuntur,

pullos

ipsorum

bene assos

aut elixos praesumere «bonum est». Risulta evidente dal confronto delle due redazioni or ora addotte l'alto tasso di concentrazione dei fenomeni linguistici tardolatini che Liechtenhan ha scelto (giustamente), fidando nella sua formazione di studioso del latino postclassico ed appoggiandosi al contempo sulla tradizione

manoscritta, di voler rispettare. Anzittutto va rilevato che l'espressione incipitaria passaris si fonda sul

complesso della tradizione manoscritta, con riguardo, in particolare, per la forma

ponentesi

fonetica testimoniata

alla forma

dai due codici piü autorevoli (G ed A), op-

foneticamente

normalizzata

esibita

dal

resto

della

tradizione (passeres BgPH). Tale incipit, come segnala nell'Index grammaticus (p. 54) Lichtenhan stesso seguito poi dalla Herbst?, va inteso come nominativus pendens, un costrutto «isoliert», attestato sin dall'età classica ma diffusosi nella lingua tardolatina?, ricorrente nei prontuari tecnicoscientifici perlopiù - come già Svennung ha mostrato nei suoi Untersuchungen zu Palladius und zur lateinischen Fach- und Volkssprache (Uppsala 1935, 437) - con la funzione di nominativo di rubrica. Su questo costrutto già di per sé particolare, il quale conferisce andamento anacolutico all'intero capitolo, si innesta poi, a confermarne la derivazione dal Vulgarlatein,

la forma fonetica passar, che già l'autore dell'Appendix Probi rifiuta recisamente

(198,

33 K. passer

non

passar),

e che

trova

numerose

attestazioni

epigrafiche e letterarie !°. Per quanto invece attiene al fenomeno della terminazione -is per -es, come anche -us per -os propria dei casi retti della terza e seconda declinazione plurale, e qui in particolare dell'espressione

pullus... assus aut elixus (per pullos... assos aut elixos) oltre che del sostantivo passaris, rinvio agli studi già prodotti sull'argomento, non ritenendo opportuno riaprire e tanto meno riaffrontare in questa sede la vexata quaestio dell’incidenza nel testo antimiano della barbaries dei copisti che lo

hanno tramandato in area gallica !!. Di fronte al cospicuo esempio addotto risulta senz'altro meno rilevante a mostrare il forte colorito linguistico tardolatino del passo in questione l'uso con funzione di pronome anaforico del determinativo ipse (cf. supra ipsorum), sul quale si sofferma ampiamente la Herbst (op. cit. 26) 12.

8 Ch. Herbst, Anthimus: eine Diäterik aus dem sechsten Jahrhundert: Einführung und spra-

chlicher Kommentar, Salzburg 1994, vol. 2 ad loc. 9 Cfr. W. Havers, Der sog. 'Nominativus pendens', «Indogerm. Forsch.» 43, 1926, 207-257. 10 Cfr. CIL VI 2698,

2; 32627,

21;

Pap.

Corp.

278,

4 πάσαρες: otp«ov8oi»;

Itala lev.

11,

16

(Lugd.), deut. 14, 15 (ibid.), Matth. 10, 29; 10, 31 (cod. K), Luc. 12, 6 (cod. d); Not. Tir. 111, 40. Cfr. inoltre M. Niedermann,

«Vox Romanica»

5, 1940,

181.

1! Cfr. Zurli cit. 331 sgg. e il mio Su una recente ‘riedizione’di Anthimus, «Giorn. It. Filol.» 51, 1999, 312 sg. 12 Cfr. anche S.H. Weber, Anthimus,

De Observatione Ciborum.

sary with a Study of the Latinity, Leiden 1924, 120.

Text, Commentary and Glos-

176

Paola Paolucct

All'incipit di questo capitoletto fa eco l'explicit, il quale, lungi dal necessitare di alcuna integrazione !?, presenta un tipico caso di infinito con valore imperativo !* occorrente anche in altro luogo del trattatello (cf. p. 19, 14 nec nominare), ed anch'esso tipico della Volkssprache 15. Anticipo

sin d'ora che in considerazione della sua presenza anche nella lingua greca, oltre che nella latina, il suo impiego

potrebbe

dire, piuttosto congeniale al nostro autore. Non

essere stato, per cosi

ὃ forse irrilevante, infatti,

che molti degli autori tecnici che lo impiegano dipendano in qualche modo - secondo che mostrano gli esempi addotti in proposito dal Lófstedt

(Verm. Stud. cit. 186 sgg.) —, vuoi perché essi ne sono traduttori vuoi perché invece ne sono

cessariamente

rielaboratori, da fonti greche con le quali vanno

confrontati

ne-

i loro usi dellinfinito con valore imperativo-

prescrittivo.

Ma non è certo l'infinitivus imperativus il grecismo più rilevante del capitolo. Esso infatti si cela nell'espressione passaris, qui in parietibus nutriunt.

Lo ‘snodo’ più importante per la sua comprensione è costituito dal predicato nutriunt, le vicende testuali ed interpretative del quale rivelano pie-

namente l'incertezza degli studiosi di fronte ad esso. Significativa è anzitutto l'oscillazione della diatesi di questo verbo nella tradizione

manoscritta

e, di conseguenza,

nelle edizioni.

Sebbene

non

ci

sia ragione di accogliere nel testo il nutriuntur dei soli PH (perché l'uno «omnia fere, quae sermonis vulgaris quem dicunt sunt, immutavit» e perché il copista dell'altro parimenti «normam grammaticorum sibi sequendam existimavit»), non si può negare che questo uso assoluto del predicato attivo disturbi almeno un po’ !5.

Il Liechtenhan,

probabilmente

in mancanza

di attestazioni di nutrio

con accezione di vivo, sto, nidifico et sim., ovvero col valore della diatesi media da cui facilmente si perviene alle accezioni dei verbi suddetti,

13 Come rileva lo stesso Rose in Adn. ad 14, 11 l'integrazione bona est (sic) di B è stata prodotta già dal copista ex coniectura. 14 Lo aveva già rilevato Weber cit. 87 «presumere [sic] Greek usage: infinitive used for imperative».

15 Sull'argomento cfr. Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen, Band III, 8 704; J.B. Hoffmann-A. Szantyr, Lateinische Syntax und Stilistik, Band II, 366 sg.; E. Löfstedt, Vermischte Studien zur lateinischen Sprachkunde und Syntax, «Skrifter Kungl. humanistiska Veteskapssamfundet» 1, Lund 1936, 186 sgg.; Svennung, Untersukungen cit. 436 sgg. 16 Non che il latino ignori usi assoluti dell'attivo nutrio, ma, quando questi occorrono, solita-

mente mostrano di avere il senso di multum alimenti praestare (cfr. e. g. Cels. 3, 19 cibus non multus quidem, sed saepe tamen nocte ac die dandus est, ut nutriat; Orib. syn. 6, 26 nam si plus coquatur, plus notrit) o di alere (cfr. e. g. Aug. civ. 7, 23 Adhuc respondeatur, quam partem terrae permeet pars mundani animi, ut deum faciat Tellumonem? Non, inquit, sed una eademque terra habet geminam vim, et masculinam, quod semina producat, et femininam, quod recipiat atque nutriat; inde a vi feminae dictam esse Tellurem, a masculi Tellumonem; 8, 6 sive omnem vitam, vel quae nutrit et

continet, qualis est in arboribus...), entrambi inadeguati al nostro contesto.

A proposito di Anthim. 30

177

avendo comunque ben compreso, a differenza di altri ", il significato dell'intero sintagma, come mostra la traduzione annessa alla sua edizione («Sperlinge, die an den Hauswánden nisten»), ha risolto il problema sottintendendo quale compl. ogg. del predicato il sostantivo pullos (cfr. Index grammaticus 58 «obiectum suppleri potest»). Tale interpretazione trova qualche ragione d'essere difesa nell'uso piuttosto corrente del-

l'espressione pullos nutrire in riferimento ai passeri, attestato dai Sermones di S. Agostino

(90,

10 scitis istos passeres et hirundines

quemadmo-

dum diligant coniuges, simul ova foveant, simul pullos nutriant) 18, ed in vero anche in altri casi, esperibili nel testo antimiano,

di ellissi del com-

plemento oggetto: 28, 13 nam si habuerit sale, peius exterminat; 17, 6 tarde sentit e 5, 12 modicum sentiat (sc. calorem). Tutt'al piü, vista la conti-

guità del termine pullus, si potrebbe pensare ad una figura di ἀπὸ κοινοῦ del compl. oggetto rispetto ai predicati nutriunt e praesumere o, piü semplicemente, all'ellissi di eos. Meno probabile invece, anche se apparente-

mente

la più

economica,

una

semplice

variazione

della

punteggiatura

(ossia passaris, qui in parietibus nutriunt pullus ipsorum, assus aut elixus praesumere), sì che il sintagma pullus ipsorum venga inglobato nella relativa e l'espressione passaris...

assus

aut elixus

costituisca

il compl.

ogg.

del predicato imperativo. Meno probabile - dicevo - esclusivamente sotto il profilo semantico, perché Antimo nella sezione, ove è calato il cap. 30, tratta della adeguatezza alimentare dei pulcini dei volatili e di quegli uccelli che hanno le carni tenere, lasciando intendere per contro l'inadeguatezza

dei

volatili

con

carni

dure

e fibrose 15.

Pertanto,

variando

la

punteggiatura, egli verrebbe a dire (contrariamente a quanto sino a quel punto ha sostenuto) che sarebbero commestibili i passeri adulti, anziché i loro pulcini.

Tuttavia l'ipotesi, formulata dal Liechtenhan, dell'ellissi del compl. oggetto di nutriunt, viene superata in vero dalla presenza di attestazioni del-

17 Fraintendono il passo Marsili (Anthimi de observationem [sic] ciborum, Pisa 1959, 83) e Gentili (I! medico bizantino Antimo (VI secolo) e la sua epistola "de observatione ciborum", in Atti

del XVI Congresso nazionale della Società Italiana di Storia della medicina, Bologna-Ravenna 1959, 217), i quali rispettivamente traducono «I passeri, almeno quelli che (la gente) nutre entro

le pareti» e «Dei passeri che si nutrono sui davanzali». Intendono bene invece la Herbst cit. 212 «Die Spatzen, die an den Wänden nisten» e Grant (Anthimus. De observatione ciborum. On the observance of foods, Totnes-Devon 1996, 63) «... sparrows that nest in the walls of houses». Weber

cit. 27, il quale interpreta «Sparrows which are brought up in the walls of houses...», pensa probabilmente ad una pratica di allevamento di questi volatili simile a quella che ci é attestata da

Cassiano Basso per le galline (cfr. Geop. 14, 7, 2). 18 Cfr. anche Colum. 8, 2, 12 sg. cum exceperunt ova generosarum, vulgaribus gallinis subiiciunt, ut ab his exclusi pulli nutriantur. 19 Cfr. Anthim. 27 Carnis vero de gruis interdum pro desiderio, quia ipsae nigras carnis habent et melancolicam humorem generant; 29 Columbi agrestis non sunt congrui. De domesticis uero columbis pipionis [pipio = pullus, n. d. r.] ipsorum apti et boni...; 31 Ficitulas et ipsas bonas et aptas sunt uel alia genera aucellorum, qui albas carnis habent, uel alias auis teneras praesumantur.

178

Paola Paolucci

l'uso, nel tardolatino, di questo

predicato attivo con valore medio 20, le

quali ho potuto reperire fra le schede del lemma nutrio che mi sono state gentilmente messe a disposizione dal prof. D. Krómer, direttore del Thesaurus linguae Latinae. Tale impiego si rinviene anzitutto in un luogo delle Acutae Passiones di Celio Aureliano (1, 114 quaedam denique, inquit, animalia ex ipsis solummodo nutriunt), in relazione al quale il Bendz preferi difendere in un pri-

mo momento la lezione nutriunt dell'editio Guinterii anziché la correzione

marginale nutriuntur della Rovilliana e la lezione se nutriunt di Amman

e

Delattre, annoverando tale passo fra gli esempi di "Intransitivierung sonst reflexivisch konstruierter Verba", di cui è questione in Caeliana (Lund

1943, 35 sg.) ?!. Altro esempio interessante è fornito dalla Vita di Cesario di Arles, nella

quale

si racconta

che

grazie

all'intercessione del santo

alcuni cinghiali

scomparvero dal luogo ove erano soliti stare: 1, 48 At ille publica voce, elevatis oculis et manibus,

aspiciens in caelum,

dixit: ‘Domine Iesu Christe,

ne

in loco illo ultra apri accessum habeant!' Ex eadem hora usque in praesentem diem numquam ibi nec nutrierunt, sicut consueverant, nec comparuit

quod venari posset ^. Ai precedenti il Feltenius (in Intransitivizations in Latin, Uppsala 109) aggiunge

infine un

altro luogo,

dai Carmina

di Venanzio

1977,

Fortunato,

ove il verbo nutrire compare con valore intransitivo: 1, 18, 17 hic referunt nutrisse lupos deserta tenentes. Alla luce di tali esempi mi sembra, quindi, ragionevole intendere anche il predicato nutriunt esibito dal capitoletto antimiano nel senso di se nu-

triunt o, il che & lo stesso, del medio nutriuntur, senza bisogno di sottintendere alcun compl. oggetto, come vuole Liechtenhan, e tanto meno di correggere la lezione manoscritta, come fece Rose. Chiarito, dunque, l'aspetto letterale dell'espressione, per una completa esegesi del passo non resta che individuare la specie particolare di volatile

ivi designata.

Non

é improbabile,

a questo proposito, che Antimo abbia

20 Sul valore medio o passivo che puó essere assunto dalla diatesi attiva cf. M. Bonnet, Le latin de Grégoire de Tours, Paris 1890, 628 sgg.; E. Wolfflin, Die Latinitát des Benedikt von Nursia, «Arch. lat. Lex. Gramm.» 9, 1896, 515 sgg.; A.H. Salonius, Vitae Patrum, Lund 1920, 276; Svennung cit. 450; B. Junel, In Cassium Felicem Studia, Diss. Uppsala 1936, 126 sgg.; E. Löfstedt, Ver-

mischte Studien, Lund 1936, 207 sgg.; A. Erikson, Sprachliche Bemerkungen zu Epiphanius" Interpretatio Evangeliorum, Diss. Lund

1939; D. Norberg, Bemerkungen zu den Avellana-Briefen, «Era-

nos» 39, 1941, 117 sgg. 21 Va detto che Bendz successivamente cambia idea in proposito e sceglie di restituire nutriuntur, cfr. le sue Emendationen zu Caelius Aurelianus, Lund 1954, Einl. 18 e p. 117. 22 Già Krusch (MGH Script. rer. Merov. 3 p. 476, 7) notava in relazione a questo luogo che «Nutrire sensu reflexivo pro pasci accipitur». Il Callebat (in Sermo cotidianus dans les Métamor-

phoses d'Apulée, Caen 1968, 300 sg.) annovera il luogo dalla Vita di Cesario di Arles in parola fra gli esempi di impiego assoluto di verbi transitivi con senso riflessivo assieme ad Apul. met. 11, 25 Tuo nutu spirant flamina, nutriunt nubila.

A proposito di Anthim. 30

179

inteso tradurre con l'intera perifrasi passaris qui in parietibus nutriunt (come mostra d'aver inteso anche Baer estensore del lemma passer nel Thesaurus) la specie dello στρουθὸς πυργίτης, la quale viene fatta corrispondere in una glossa (Gloss. 2, 426, 25) al passer muralis. Questa specie viene denominata

in latino anche passer parietinus o parietum

— come

attesta

Agostino ? — oppure, secondo la testimonianza dell'Antidotario di Bruxelles (135 ... stercus passeris parietarii teris), passer parietarius, in virtü della sua caratteristica di vivere e nidificare nelle fenditure delle pareti ?^. Tale identificazione viene confermata,

da un lato, da alcuni dati di cul-

tura materiale concorrenti a provare l'impiego alimentare di questo volatile e, dall'altro, dalle modalità di resa in latino dei termini greci, specie de-

gli aggettivi, proprie del nostro autore. Quanto al primo aspetto, vale la pena citare, pià che la menzione di questa specie fra i prodotti alimentari dell'Editto dei prezzi di Diocleziano (4, 37 L.), la testimonianza del De sanitate tuenda di Galeno (6, 435 K. 195, 5 sgg. Ko.), ove si annoverano fra i volatili commestibili insieme ai

passeri montani e agresti anche i passerotti che nidificano sulle torri: ἐὰν δὲ ἀπορῶμεν ὀρείων ὀρνίθων, ἐκ τῶν £v toig ἀγροῖς τρεφομένων xai τῶν κατὰ τοὺς πύρyoug περιστερῶν νομάδων λαμβάνειν προσήκει, καθάπερ καὶ τῶν ἐν αὑτοῖς τοῖς πύργοις

νεοττευόντων στρουθίων, οὖς ὀνομάζουσι πυργίτας.

Non & pensabile, vista la fortuna di Galeno in ambiente bizantino e ravennate 25, che un medico d'origine bizantina trapiantato a Ravenna ne ignorasse la produzione dietetica e che, giunto a parlare dei passaris subi-

to dopo: aver trattato dei columbi agrestis (sic in Anthim. 29), come sopra Galeno stesso, non avesse in mente gli στρουθίοι ἐν toig πύργοις νεοττεύοντες, Ovvero πυργίται, di cui ἃ menzione in quell'autore nel quale già Rose

vedeva una sua probabile fonte 25, Quanto

all'aspetto

linguistico,

infine, va detto che la resa & conforme

ad una delle varie 'strategie' impiegate da Antimo

nella 'traduzione' dei

grecismi. Infatti, se & vero che alcune volte egli li impiega esplicitandone

espressamente

la versione latina (come

ἃ nei capitoli 25 elleborum

her-

23 Cfr. Aug. c. epist. fund. 32 p. 233, 5; in psalm. 58; serm. 1, 10. 24 Cfr. Cassiod. in psalm. 10, 2 passerum... plura sunt genera: alii gaudent ad foramina parietum, alii valles... requirunt, nonnulli montes appetunt. 25 Per la fortuna di Galeno in ambiente bizantino cfr. Symposium on Byzantin Medecine, «Dumbarton Oaks Papers», 1983 passim. Per la fortuna di Galeno a Ravenna cfr. A. Beccaria, Sulle tracce di un antico canone latino di Ippocrate e di Galeno I, II, III, «It. Med. Um.» 2, 1959, 156; 4, 1961, 1-75; 14, 1971, 1-23; I. Mazzini-N. Palmieri, L'école médicale de Ravenne. Programmes et méthodes d'enseignement, langue, homme, in Les écoles medicales à Rome, Actes du II Colloque

International sur les textes médicaux latins antiques, Lausanne, sept. 1986, Geneve 1991, 285-293; A.M. Ieraci Bio, La cultura medica a Ravenna

1994, 279-308. 26 Cfr. Rose cit. 44.

nel VI sec. d.C., «Atti dell'Acc. Pontaniana»

43,

180

Paola Paolucci

bam, meo;

quae Latine dicitur sitri; 34 afratus Graece quod Latine dicitur spu64 quod nos Graeci dicimus alfita, Latine vero polenta; 78 oxygala

vero

Graece,

quod

Latine

vocant

melca),

ed

altre

volte

invece

accosta

il

grecismo al suo corrispondente latino senza esplicitare che l'uno ἃ resa dell'altro (cfr. e. g. 1 bene fermentatum, non azimum; 28 qui fluxum ventris patiuntur vel desentericis),

non

mancano

i casi, ed & questo l'aspetto che

qui interessa maggiormente, in cui egli si limita alla sola resa perifrastica, perlopiü con una proposizione relativa, dei vocaboli tecnici greci. Il che si

ravvisa facilmente, ad esempio,

nelle perifrasi mediante le quali Antimo

intende

νεφριτικοί,

esprimere

il nosonimo

e cioè

renium

vitia

habentes

(cap. 79), qui vitia renium habent (cap. 58), qui... vitiosus renis habent (cap. 61), come anche nella denominazione di quella specie di anguille viventi nelle acque di luoghi rocciosi, dette da altri saxatiles, e che in greco si sarebbero chiamate πετραίαι (cf. Galen. 6, 718 K.), le quali invece da Antimo sono definite, secondo la stessa modalità impiegata prima per la denominazione dei passerotti, Anguilae..., quae in glarea aspera vel in saxosis locis nascuntur (cap. 43).

David Langslow DIE LATEINISCHE ÜBERSETZUNG DER THERAPEUTIKA DES ALEXANDER VON TRALLES: BEMERKUNGEN ZUR TEXTÜBERLIEFERUNG UND ZUM WORTSCHATZ Im folgenden Beitrag gebe ich einen vorláufigen Bericht

zur Textüberliefe-

rung der lateinischen Fassung der Therapeutika des Alexander von Tralles; außerdem behandle ich einige lexikalische Einzelfälle und allgemeine stili-

stische Züge dieses Werkes. Diese Veróffentlichung ist Teil eines eher langfristigen

Projektes,

das sich noch

in einer relativ frühen

Phase

befindet

und dessen Ziel die erste kritische Ausgabe dieses lateinischen Textes (mit englischer Übersetzung und philologischem Kommentar) ist !.

1.

EINLEITUNG:

ALEXANDER

VON TRALLES

UND DIE THERAPEUTIKA

Alexander, ein Sohn des Arztes Stephanos, lebte im 6. Jh. n. Chr. zur Zeit des Kaisers Justinian, und wurde

in eine angesehene,

gebildete Familie

in

der Stadt Tralles im westlichen Kleinasien geboren. Seine vier Brüder errangen jeweils hóchste Würden in ihren Berufen, darunter einer, der Architekt Anthemios, der den Wiederaufbau der Hagia Sophia in Byzanz

nach dem Erdbeben i. J. 477 und dem Nika-Aufstand von 532 leitete. Wie sein Vater und

sein Bruder

Dioskoros,

zierte im ganzen Kaiserreich; land, Italien, Gallien,

und

wurde

er erwáhnt,

Spanien

Alexander

Arzt und

prakti-

daf er Heilmittel in Griechen-

kennenlernte

(I. 289,

563, 565;

II. 139

Puschm.) 2. Der Historiker Agathias von Myrine (Hist. 5. 6. 5 ed. Keydell)

1 Frühere Fassungen dieses Vortrags wurden im August 2000 in Helsinki beim 6. Internationalen Kongreß über Vulgár- und Spätlatein, im Oktober 2000 beim Kolloquium "Work in Progress' des Seminars für Klassische Philologie und Antike Geschichte der Universitát Manchester

und im Januar 2001 als Gastvortrag der Münchner Vereinigung für Geschichte der Medizin und des Instituts für Klassische Philologie der Universitát München gehalten. Den jeweiligen Teilnehmern bin ich dankbar für rege Diskussion und hilfreiche Kritik. Mein besonderer Dank gilt Klaus-Dietrich Fischer, der mir durch zahlreiche Hinweise und Bemerkungen bezüglich sowohl der deutschen Form als auch des Inhalts des vorliegenden Aufsatzes sehr groBzügig geholfen hat. Für verbliebene Irrtümer bin ich alleine verantwortlich. ? Zitate nach der Ausgabe von Theodor Puschmann (Hg.), Alexander Trallianus, 2 Bánde, Wien 1878-1879.

182

David Langslow

hat festgehalten, daß Alexander eine ehrenvolle Einladung nach Rom empfing und sich dort niederließ (ἐν τῇ πρεσβύτιδι Ῥώμῃ κατῴκησεν évtipótata μετακεκλημένος) ?. Das Hauptwerk unter seinen erhaltenen Schriften sind die Therapeutika, eine ausführliche Abhandlung über praktische Medizin in zwólf Büchern. Von diesen behandeln Bücher 1-11 das klinische Bild und die Therapie zahlreicher, nach dem allgemeinen Prinzip a capite ad calcem angeordneter Krankheiten (aber mit Ausschluß der Chirurgie und Gynäkologie), während

Buch

12, das möglicherweise

gesondert verfaßt wurde,

sich

mit dem wichtigen Thema Fieber (nach unserer Vorstellung den fieberhaften Infektionskrankheiten) beschäftigt. Das 12. Buch hat ein kurzes, an einen gewissen Cosmas gerichtetes Vorwort, das ein Werk von größerem Umfang als nur einem Buch über Fieber einzuleiten scheint. Der Autor

gibt sich als alter Mann, nicht mehr in der Lage, die ärztliche Praxis auszuüben (γέρων ... καὶ κάμνειν οὐκέτι δυνάμενος, I. 289, 8-9 Puschm.); er beabsichtige, seine in vielen Jahren medizinischer Praxis gewonnenen Erfahrungen in klarer, gewóhnlicher Sprache (aber s. 6. unten) aufzuzeichnen. Als medizinischer Autor zeigt Alexander sich als praktisch orientiert,

eklektisch, und von Dogmen unabhängig. Während einige Teile seiner Bücher

1-11

sorgfältig verfaßt

und

vollständig

sind,

erwecken

andere

den

Eindruck, noch unfertig zu sein und sehen eher wie die Notizen und gesammelten Rezepte eines vielbeschäftigten Arztes aus. Alexander erwägt eine lange Reihe von antiken medizinischen Theorien und Praktiken, auf die

er sich

z. T.

beruft

oder

die

er

z. T. ablehnt;

ein

bemerkenswertes

Kennzeichen seiner Therapeutik ist der Stellenwert, den er magischen Heilmitteln, Amuletten, und Beschwörungen usw. einräumt. Er zeigt seine fachmännische und unabhängige Einstellung besonders in Bezug auf Galen, der, obwohl ausnahmslos mit Ehrerbietung erwähnt, nicht selten von Alexander kritisiert wird. Unter seinen Nachfolgern in der ärztlichen Praxis in späteren Jahrhunderten, hat Alexander sowohl als Arzt als auch als medizinischer Schriftsteller höchstes Ansehen genossen. Puschmanns Urteil ist für das gesamte Mittelalter und die moderne Zeit bis ins 20. Jh. typisch, wenngleich es, wegen der ziemlich kolorierten Sprache, heutzutage etwas übertrieben wirkt ^. Ich zitiere ihn trotzdem (I. 74-5):

3 Vgl. Prosopography of the Later Roman Empire, Bd. IIIA, Hg. J.R. Martindale, Cambridge 1992, 44-5. 4 Kaum weniger lobend ist die Beurteilung von F. Brunet in der langen biographischen Einleitung (I. 1-90) zu seinen vier Bänden Oeuvres médicales d'Alexandre de Tralles, Paris 1933-1937, einer französischen Übersetzung der Therapeutika mit Kommentar. Eine neuere Einschätzung

der Bedeutung Alexanders, die von F. Kudlien in seinem Artikel Alexander of Tralles im Dictionary of Scientific Biography, Hg. C.C. Gillispie, 14 Bde und Index, New York 1970-1980, Bd. 1, 121, (wohl in Reaktion auf Wellmann in PWRE

I, 1460-1) eher zurückhaltend:

ist

«In summary, one may

state that Alexander was, as a representative of Byzantine medicine, rather refreshing, not unin-

Alexander Trallianus Latinus

183

Die byzantinische Culturperiode hat die Entwickelung der Wissenschaften nur wenig gefórdert; aber ihr fiel die Aufgabe zu, die geistigen Errungenschaften der Vergangenheit zu erhalten und der Nachwelt zu übermitteln. Die Medicin begann den fast tausendjáhrigen Winterschlaf geistiger Erstarrung, aus dem sie erst durch die Glockentóne, welche mit dem Wiedererwa-

chen der Wissenschaft die Freiheit des Forschens, das Morgenlicht der neuen Zeit verkündeten, zu neuer Thätigkeit erwachte. Aber gleich wie manchmal im Herbst die schon entlaubten Báume noch einmal frische Blüthen treiben, so gebar diese Zeit einen Mann, der originell im Denken und Handeln, noch einmal den Glanz vergangener Pracht und Grósse entfaltete. Dieser Arzt, welchen Freind neben Hippokrates und Aretaeus stellt 5, ist: Alexander von Tralles.

2.

DER LATEINISCHE

ALEXANDER

Die Therapeutika wurden früh genug ins Lateinische übersetzt, um in Auszügen in England in 'Bald's Leechbook', dem vor dem Jahre 900 verfaßten

altenglischen medizinischen Handbuch (London, British Library, Royal 12. D. XVII), zu erscheinen ®. Es stimmt mit dem

frühen Erscheinen der latei-

nischen Fassung von Alexanders Werk in England überein, dafi es bekanntlich mehrere Abschriften dieses Textes schon im Mittelalter in engli-

schen Bibliotheken gibt) ’. Man

muf

gab

(und

heute

in

England

sich nicht lange mit medizinischem

und

Schottland

noch

Latein befassen, bis man

durch den TALL oder ein anderes Werk auf ‘Alex. Trall.' verwiesen wird und man feststellen muß, daß, obwohl die Textstellen durchaus zutreffend und wichtig erscheinen, der Zusammenhang undurchsichtig bleibt oder, noch schlimmer, überhaupt keinen Sinn ergibt. Dies liegt daran, daß die

teresting, and not, perhaps, altogether unimportant». Die neueste Stellungnahme, die von V. Nutton im Neuen Pauly, ist wiederum recht positiv: «Seine Schriften vereinen beachtliche Kenntnis álterer Lit. mit Erfahrungsberichten aus seiner eigenen langjáhrigen Arztpraxis und vermitteln abgesehen von den Schriften Galens die besten Einblicke in den Arbeitsalltag eines ant. Arztes». Wichtige positive Stellungnahme auch von John Duffy, Byzantine Medicine in the Sixth and

Seventh Centuries: Aspects of Teaching and Practice, in J. Scarborough (Hg.), Symposium on Byzantine Medicine (Dumbarton Oaks 1983), «Dumbarton Oaks Papers» 38, 1985, 21-27. 5 D. ἢ. der Engländer John Freind (1675-1728) - Chemiker, Arzt (ab 1727 Hofarzt) und Poli-

tiker -, im ersten Alexander betreffenden Absatz seines großes Werkes The History of Physick; From the Time of Galen to the Beginning of the Sixteenth Century, 2 Bde., London 1725-1726, 5. Ausgabe 1758. S. den Artikel von Marie Boas Hall im Dictionary of Scientific Biography (wie n. 4),

Bd. 5, 156 f. 6 Hierzu J.N. Adams und M. Deegan, Baldi Leechbook and the Physica Plinii, «Anglo-Saxon England» 21, 1992, 87-114. 7 Von neun Eintragen unter Alexander von Tralles bei M. Manitius, Handschriften antiker Autoren in mittelalterlichen Bibliothekskatalogen «Zentralblatt für Bibliothekswesen», Beiheft 67, Leipzig 1935, 323, beziehen sich vier auf englische Bibliotheken. Von den 16 bisher bekannten vollstän-

digen Exemplaren des lat. Alexander befinden sich vier in England und zwei in Schottland.

184

David Langslow

einzige gedruckte 'Ausgabe' der lateinischen Fassung ein 1504 in Lyon erschienener Frühdruck

ist *, der (mit Berichtigungen

und

Randnotizen)

auf

einer einzigen Handschrift des 15. Jh. (G2 in 3. unten) zu fußen scheint. Nur die in Buch 2 der lateinischen Fassung enthaltenen Exzerpte von Philumenos (1. Jh.) und Philagrios (4. Jh.) wurden kritisch ediert ?. Die vorlie-

gende Mitteilung berichtet von meinen Vorarbeiten für die erste kritische Ausgabe des vollstándigen lateinischen Textes !?. Mein Ziel ist, diesen historisch und sprachgeschichtlich wichtigen Text zum ersten Mal Latinisten, Romanisten, und Medizinhistorikern der Anti-

ke und des Mittelalters zugánglich zu machen. Eine kritische Ausgabe des lateinischen Textes wird die Beziehung zwischen der lateinischen Fassung und der griechischen Urfassung systematisch klarstellen und zeigen, wie die lateinische Überlieferung zu einer Verbesserung des griechischen Textes beitragen kann. Sie kónnte auch wesentlich zur Lósung zwei weiterer Ergebnissen beitragen, welche für das weitere Gebiet der Geschichte und Übermittlung der Medizin der Antike und des Mittelalters im Westen von Bedeutung sind. Erstens wird die Ausgabe in der angedeuteten Weise zeigen,

inwieweit

es

möglich

ist, auf

Grund

von

textinternem

Material

die

grundsátzlichen Fragen über die Entstehung und Geschichte des lateinischen Textes, nämlich das Wer? Wann? Wo? zu beantworten - ich komme gleich hierauf zurück. Zweitens wird das Unternehmen durch die Identifikation der Exzerptoren (und ggf. der Quellen) des lateinischen Alexander,

soweit das möglich ist, zu zeigen versuchen, wie sich dieser Text in das komplizierte Muster der Übermittlung medizinischen (und heil-magischen) Wissens im ersten Jahrtausend nach Christus und danach einfügt. Es ist, um die Wahrheit zu sagen, erstaunlich daß der lateinische Alexander noch nicht ediert worden ist, trotz (a) des langen Interesses von Forschern an lateinischen (und griechischen) medizinischen Texten, und

(b) der Bedeutung und

ganz

besonders

des Alexander von Tralles in der Medizingeschichte, der

lateinischen

Fassung

seiner

Therapeutika

in der

Medizingeschichte des westlichen Mittelalters. Bekanntlich haben lateinische medizinische Texte zu verschiedenen Zeiten und aus verschiedenen Gründen viel Aufmerksamkeit auf sich gezogen. Im letzten Drittel des neunzehnten Jahrhunderts wurden viele Erstausgaben veróffentlicht, zum

Teil im Zusammenhang

mit der Arbeit am Thesaurus linguae Latinae. Ein

8 Nachdrucke erschienen 1520 in Pavia und 1524 in Venedig. 9 Nämlich in den Ausgaben von Th. Puschmann, Nachträge zu Alexander Trallianus, Berlin 1887, von P. Mihäileanu, Fragmentele latine ale lui Philumenus si Philagrius, Bukarest 1910 und

von R. Masullo, Filagrio: Frammenti, Neapel 1999, Puschmann berücksichtigte drei lateinische Handschriften (meine M, P2 und P3 in 3. unten), Mihäileanu drei mehr (A, Mu und P1) und Ma-

sullo auch noch B, C, G1 und L. 10 Das Vorhaben wurde ursprünglich zusammen mit J.N. Adams unternommen, und es kann sein, daB diese Zusammenarbeit weiter laufen wird - jedenfalls trágt Jim Adams keine Verant-

wortung für den hiesigen Bericht.

Alexander Trallianus Latinus

185

Hauptinteresse galt der Identifikation romanischer Kennzeichen in subliterarischen, 'vulgáren', lateinischen Texten, und einige medizinische Autoren wurden, ob zu Recht oder zu Unrecht, hierfür als wichtige Quellen ange-

sehen.

Seit den

frühen

80er Jahren des letzten Jahrhunderts

Philosophen, Sozial- und Kulturhistorikern und logen und Medizinhistorikern ein viel breiteres und römischer Medizin Platz gegriffen, obwohl nig systematische Arbeit für das medizinische

hat unter

Archáologen sowie PhiloInteresse an griechischer bislang überraschend weLatein und Griechisch als

Fachsprachen geleistet wurde. Auf seltsame Weise ist dabei der lateinische Alexander - eventuell wegen seines beachtlichen Umfangs oder seiner spä-

ten Abfassungszeit -- trotz dieser Entwicklungen der Aufmerksamkeit der Forschung entgangen.

3.

ZU DER

ÜBERLIEFERUNG

Die Bedeutung des lateinischen Alexander kommt nicht nur durch die erstaunliche Anzahl vollständiger handschriftlicher Exemplare zum Ausdruck, sondern zeigt sich auch bei einer Reihe verschiedener Auszüge aus diesem

Werk, die in spätere medizinische Sammelwerke Eingang fanden !!. Einige Exzerpte sind praktisch zu selbstándigen Werken geworden. Die beiden wichtigsten dieser Art sind der Abschnitt über die Gicht (De podagra) und die Kompilation über die diátetische Behandlung von 44

Krankheiten (Liber diaetarum diuersorum medicorum, hoc est Alexandri et aliorum). Letzteres wurde verschiedentlich in mittelalterliche Sammlungen aufgenommen,

und wurde z. B. auch als Buch 5 mit der spátmittelalterli-

chen Redaktion der Physica Plinii (Physica Plinii Florentino-Pragensis) verbunden.

Dieser Liber wird in mindestens vier alten Handschriften, die im

Durchschnitt weit álter als die vollstándigen Alexander-Handschriften sind, überliefert 12, während De podagra noch reichlicher vertreten ist ^, darunter am Schluß des 2. Buchs der lateinischen Fassung von Galen, Ad Glauconem,

und

(11. Jh.).

im 4. Buch

Exzerpte

(4. 4-18) von Gariopont

aus Alexander

Latinus

bzw. Passionarius Galieni

erscheinen

auch

als wichtiger

Bestandteil des sogenannten Liber passionalis '*, und weitere Handschriftli!! Viele dieser Verweise habe ich dem scharfen Auge und dem grossen Wissen von Klaus-

Dietrich Fischer zu verdanken. 12 Sankt Gallen, Stiftsbibliothek, 752 (Ende 9. Jh.), S. 133-59; Kopenhagen, Koninglike Bibliotek, Gamle Καὶ. Samling 1653 (11. Jh.), ff. 61r-66v; Vendóme, Bibl. mun. 109 (11. Jh.), 134v137v, 140r-142v; London, British Library, Regius 12. E. XX (12. Jh.), ff. 146v-151v. 13 Poitiers, Bibl. mun. 184 (11. Jh.), 60v-67r; Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, barb. lat. 160 (11. Jh.), 109r-112v; lat. 4417 (Ende 11. Jh.), 80v-85v; lat. 4418 (11. Jh.), 101v-107v;

Vendóme, Bibl. mun. 109 (11. Jh.), 75v-86v (leider fehlen die letzten zwei Kapitel des 2. Buches des lat. Alexander, 2. 270-271); London, British Library, Regius 12. E. XX (12. Jh.), ff. 107r-111v.

14 Sankt Gallen, Stiftsbibliothek, 752 (Ende 9. Jh.), und Berlin, Staatsbibliothek, Phillipps lat. 1790 (9./10. Jh.), ff. 43-69, 78-87.

186

David Langslow

che Auszüge ließen sich in einer ganzen Reihe anderer früher und gut ge-

schriebener Handschriften identifizieren. Einige hiervon sind durch ihr Alter und ihre hohe Qualität von großer Bedeutung als Textzeugen, wie zum

Beispiel der Codex Vindocinensis 109 (11. Jh.), der nicht nur den Liber diaetarum und fast die ganze Abhandlung De podagra enthält, sondern auch weitere umfassende Auszüge !’; Vendöme 109 ähnelt sehr den zwei ältesten Exemplaren des vollständigen Werkes, Pl und M (s. unten), ist aber viel deutlicher und in weniger verzerrter Sprache geschrieben, und

ist daher ein wichtiger Zeuge für etwa 90 Kapitel des lateinischen Alexander !5. Die bisherige Arbeit hat sich um die Identifikation und Sammlung von Handschriften und vorläufige Kollationen gedreht. Bis heute habe ich die folgenden fünfzehn 17 (mehr oder weniger) vollständige handschriftliche Exemplare

des lateinischen Alexander ausgemacht

(hier in zeitlicher Rei-

henfolge, am Ende der Frühdruck): P1 M

Paris, BN, lat. 9332 (Anf. s. IX) Montecassino, Archivio della Badia 97 (Anf. s. X [Beccaria !8])

A O

Angers, Bibl. mun. 457 (Ende s. IX [Beccaria]; s. XI [Wickersheimer 197) Orléans, Bibl. mun. 283 (Ende s. XI)

(Ch

Chartres, Bibl. mun. 342 (s. XII) [im Krieg zerstört, nur ein paar Seiten in Fotos an der University of North Carolina, Chapel Hill erhalten])

D Gl

Durham Cathedral, C. 4. 11 (s. XII-XIII) Glasgow, University Library, Hunter 435 (s. XII-XIII)

Mu

München, Bayerische Staatsbibliothek, clm 344 (s. XII-XIII)

Ox C

Oxford, Pembroke College 8 (s. XII-XIII) Cambridge, Gonville & Caius College 400 (Anf. s. XIII)

Ma P2 P3 B

Madrid, BN 1049 (s. Paris, BN, lat. 6881 Paris, BN, lat. 6882 Brüssel, KBR 10869

G2

Glasgow, University Library, General 1228 (s. XV)

L

London, British Library, Harley 4914 (s. XVI)

XIII) (s. XIII) (s. XIII) (s. XIV)

(ed. Practica Alexandri yatros greci cum expositione glose interlinearis Jacobi de Partibus et (Simon) Januensis in margine posite, Lyon 16. April 1504) Jede

dieser Abschriften

beinhaltet

die Bücher

1 und

2. Sie unterschei-

15 Einschlieflich 1. 103 De mulsa (auch in Vendóme, Bibl. mun. 172 und 175 (beiden des 11. Jh.)), 1. 36 De cardiaca passione (auch in Uppsala, Universitetsbibliotek (Carolina) C 664 (9. Jh.)),

und ein Duzend anderer Kapitel aus dem 1. und dem 2. Buch des lat. Alex. l6 Zu den medizinischen Handschriften in Vendóme, s. H.E. Sigerist, Early mediaeval medical texts in manuscripts of Vendóme, «Bull. Hist. Med.» 14, 1943, 68-113. 17 Inzwischen sechzehn: dazu kommt noch Genf, Bibl. publ. et univ., lat. 78 (s. XIII). 18 = A. Beccaria, / codici di medicina del periodo presalernitano (secoli IX, X e XI), Rom 1956. 19 - E. Wickersheimer, Les manuscrits latins de médecine du haut moyen áge dans les bibliothéques de France, Paris 1966.

Alexander Trallianus Latinus

187

den sich hauptsáchlich darin, wieviel (falls überhaupt Buch, über Fieber (s. 4. unten), vermitteln.

etwas)

sie vom

3.

Die Abschriften in Gruppen aufzuteilen und ein Stemma aufzustellen, ist nicht leicht gewesen. Entweder bin ich übermáfig vorsichtig gewesen, oder die Textüberlieferung ist sehr gut, denn ich habe etwa sechzehn Kapitel kollationiert, und bin immer noch nicht in der Lage, sämtliche

Handschriften in ein Stemma einzuordnen. Allerdings haben sich folgende Gruppierungen (bzw. Untergruppen) herausgestellt: (1 - alt und konservativ) (2a — ziemlich alt)

M P1 A (Ch)

(2b - jünger)

P2 Ma P3 (G1?)

(2c - ganz jung)

G2 > L

P3(!) Mu O

(C?)

D Ox

(B?)

ed.

Gewif bleibt vieles unsicher oder fraglich, aber wenigstens ist mir neuerdings

endlich klar geworden,

daß

im

Grunde

mit

einem

haupt zu rechnen ist - was ich zu bezweifeln begonnen stens

drei der Handschriften

santeste

ist Kontamination

Fall betrifft die Handschrift

gang zu einer Abschrift meiner Gruppe

Stemma

hatte. In minde-

festzustellen:

P3, deren Kopist

über-

der interes-

offensichtlich

Zu-

(1) (oben) hatte, die aber anderer-

seits wahrscheinlich eine zusátzliche Quelle von Lesarten im Archetyp von den zwei jüngsten Handschriften (G2, L) und des Frühdrucks (ed.) gewesen ist. Auf diese Weise zeigt ed. (mit L und G2) nicht nur Zeichen (zumindest) eíner leichten Überarbeitung und einer weitgehenden Normalisierung der Sprache, sondern auch Gemeinsamkeiten mit M und PI, die beide sehr alt sind, sich stark áhneln, sehr schlecht geschrieben und für die

Rekonstruktion des Textes sehr wichtig sind. Aber mehr zur Überlieferung an anderer Stelle 20,

4.

ZUM

INHALT

Alle zur Zeit verfügbaren men darin überein,

Abschriften des lateinischen Alexander stim-

daß sie das Werk

in drei Bücher aufteilen. Von diesen

befaßt sich Buch 3 mit Fiebern (= Buch 12 der griechischen Urfassung), während die Bücher 1 und 2 den Großteil des Materials der Bücher 1-11

der Urfassung unter sich aufteilen, wie unten dargestellt wird.

20 Das Stemma von Masullo (wie n. 9), 36, das sich auf den Abschnitt über die Milzkrankheiten beschränkt, zeigt zwar viele Gemeinsamkeiten mit meinen bisherigen Ergebnissen, aber auch bedeutende Abweichungen, und stellt keine Kontamination fest.

David Langslow

188

Alex. Lat. (Druck 1504) B.1

B.2

1-20

Haare, Kopfhaut

21-51 52-8 59-60 61-74

Kopfschmerzen phrenesis lethargus Epilepsie

75-84 85-107 108-30 131-5 136-42 143-9

melancholia Augen Ohren Nase, Gesicht, Zähne synanche pleuritis

ed. Puschmann Gr. Hss. (M) (= Marc. gr. V. 9) B.1

B. B. —— B. B.

B. 1, I. 441-575, 591-617

2 3

B. 2, II. 3-67 B. 3, II. 71-123

4 6 (4)

B. 4, II. 125-45 B. 6. II. 229-43

1-13

Husten

B. 5 (4)

B. 5, II. 147-67

14-50

stomachi passiones

B. 7 (6)

B. 7, II. 245-313

51-6

cholericae passiones

Ende B. 7

II. 313-19 περὶ λυγμοῦ Anf. B. 8, II. 321-35

57-78

Leber

B. 7 Anf. B.

10

Anf. B. 9, II. 379-413 Ende B. 9, II. 415-39 περὶ δυσεντερίας

79-83, 86-103

Magen-Darm-Trakt

[84-85] 104-50

(Philumenos) [Leber] Milz



151-7 158-77

(Philagrios) Wassersucht Blutspucken

B. 8 (7) Anf. B. 7 (6)

B. 10, II. 439-61 Β. 5, Il 187-209

Nieren, Harnblase, Genitalien colicae passiones Podagra

B. 8 B. 9 (8) B. 11

B. 11, II. 463-501 Ende B. 8, IL 335-77 B. 12, II. 501-75

B. 12

(neues B.), L 289-369

178-203 204-34 235-71

B. 3 prol. 1-9 10-20

— [II. 409-11]

Π

211-27

à

;

ephemerae febres

21-6 27-45

aus Fáulnis entstehende Fieber Ohnmacht bei Fieber Ohnmacht

46-66

hecticae febres II. 371-439 tertiana, quartana

Große Teile der griechischen Urfassung sind weggelassen worden, aber es ist nicht immer eine Frage des Kürzens: die Kapitel in Buch 1 über Nasen-, Gesichts-, und Zahnkrankheiten stehen nicht im griechischen Original; und im 2. Buch gibt es lange, den früher lebenden griechischen Ärz-

Alexander Trallianus Latinus

ten

Philumenos

Darm-,

und

und

189

Philagrios

Milzleiden,

welche

zugewiesene Lücken

des

Abschnitte

griechischen

über Originals

Magen-, füllen;

ferner findet man überall zusätzlich eingeschobene Wörter und Sätze. Es ist auffällig daß dann, wenn der griechische Text besonders skizzenhaft ist,

die lateinische Fassung manchmal auffallend von der griechischen abweicht und einen ausführlicheren Text bringt. Andererseits wurden die Amulette und die übrigen magischen Heilmittel, die den zweiten Teil des

therapeutischen Abschnitts bei jeder Krankheit ausfüllen, oft in der lateinischen Fassung ausgelassen werden - dies gilt aber nicht unbedingt die gesamte lateinische Fassung gleichermaßen.

5.

ZWEI

LEXIKALISCHE

für

EINZELFÁLLE

Als Probestück wurde auf Grund der drei áltesten Abschriften und des Textes und Apparats von Puschmanns Ausgabe des griechischen Originals ein provisorischer Text der ersten elf Kapitel von Buch 2 erstellt. Aus dieser vorlàufigen Arbeit an diesem Text geht es eindeutig hervor, daf die lateinische Übersetzung von verschiedenen Gesichtspunkten her von Interesse ist. Erstens wird sofort deutlich - als ob es eines Beweises bedürfte! - daß der Frühdruck der lateinischen Fassung gänzlich unzureichend ist, leicht verbessert

werden

kann,

und

dringend

ersetzt werden

muß.

(Ein

kleines,

einfaches der obigen Tabelle zu entnehmendes Beispiel ist etwa die Wiederholung von Kapitel 75 des 2. Buches als Kapitel 84-85). Zweitens, wie bei jeder Übersetzung eines antiken Werkes (und wie auch bei den lateinischen Übersetzungen von z. B. Hippokrates und Ori-

basios 2!), wird der lateinische Alexander offensichtlich eine Grundlage für die Verbesserung des griechischen Textes sein 22. Beide Aspekte werden anhand

des lateinischen Worts meditare

wichtige (-ari) im

9. Kap. des 2. Buches veranschaulicht. Im ersten Satz, wie dem unten ste-

henden Apparat zu entnehmen ist ?, haben die meisten Handschriften euenerit fieri, etwa 'sollte es passieren' (daf$ ein Tumor entsteht). Aber M und Pi bieten etwas ganz anderes, und zwar meditauerit fieri. Was kann das bedeuten? Hier sind Text, Apparat und eine Übersetzung:

21 Eine gute Orientierung hierzu bietet M.E. Vázquez Buján in zwei Aufsátzen an, Problernas

generales de las antiguas traducciones médicas latinas, «Studi medievali» 25, 1984, 641-80, und Remarques sur la technique de traduction des anciennes versions latines d'Hippocrate, in G. Sabbah (Hg.), Textes 1984, 153-63.

médicaux

latins antiques

(Centre Jean Palerne Mémoires,

5), Saint-Étienne

22 Es stellt sich heraus, daß Puschmanns Ausgabe, obgleich sie eine in mancher Hinsicht bewundenswerte Leistung darstellt, hinsichtlich der griechischen Überlieferung unzulänglich ist. Hierzu s. B. Zipser, Pseudo-Alexander Trallianus: Text, Übersetzung und Kommentar, Diss. Heidel2003. berg,

Die Siglen (die übrigens nur provisorisch sind) werden in alphabetischer Reihenfolge an-

gegeben, da mir ein sicheres und vollständiges Stemma noch fehlt.

190

David Langslow 2.9 Signa si fyma in pulmone fiat. (1) Quodsi fyma meditauerit fieri in pulmone, erit omnino difficultas spirandi, coangustatis praecordiis: {num quodt desubito contingit, sed adhuc consueta agere ipsa consequitur actio, et, per partes adcrescens, leditur. (1) Quodsi] Quod P3 (corr. ex quodsi) | fyma P1] sima Mu fimam A fimon Ox O (add. .i. flegmö) ffgmon M flegmon D f$monem ΡΖ fimonem GI fleg-

monem BCed.G2L

s(?)imala P

| meditauerit

fieri] medetauerit_fierit PI

i

et.

ne] iin | pulmonem

no] omni

modo

P1 in Sulmone

BG2L

fuerit OP3

in pulmone

| in pulmo-

fuerint Ma

! spirandi] sperandi A' | coangustatis]

| omni-

coangustiatis

G2 que coangustatis DMaO coangustata M angustata P1 qué coangusta P3' (-tis add. m3) | praecordiis] -ia MP1 | num MP1] nam AC non cett. ji G1Mu | quod] quid P1 quidem DG1MaOP3 quia ed.G2L | desubito] subito C | contingit DMOOx] -et GIMaP3 -at cett. | ante adhuc add. in marg. dum P3 mà | agere ipsa] ipsa agere Ox | consequitur] -atur BD consequi ed. uidetur Ma | partes] -is P1 | adcrescens MP1] acrescens B accrescens cett. accrescentes P3' | leditur] ledit BCG10P3 ledat Ma 'Die Zeichen, wenn

ein Tumor in der Lunge entsteht. (1) Aber falls ein Tu-

mor in der Lunge zu entstehen

Atmen

droht, wird es grófite Schwierigkeiten

geben, weil die Brust eingeengt ist: [der Rest ist gewissermaßen

klar!] das geschieht

beim

un-

freilich nicht ganz plötzlich, sondern diese Funktion

(des Atmens) wird auf die bisher gewohnte Weise (der Tumor?) nach und nach wächst, behindert.’

ausgeführt

und,

sowie

Es liegt nahe, daß meditauerit nicht allen Abschreibern sofort verständlich war, und zur Umgestaltung des Textes durch das neutrale, aber deutlichere euenerit geführt hat 24. Der griechische Text des ersten Satzes lautet: II. 151. 26 Puschm. Εἴπερ ein φῦμα «μὴ» μελετηθὲν ἐν τῷ πνεύμονι,... Nach Puschmann sollten wir eine Negativpartikel einschieben, und der Satz soll heißen, ‘wenn ein Tumor in der Lunge nicht ordentlich behandelt wird’. Ich frage mich, ob dieses μή wirklich unbedingt notwendig ist. Denn es lohnt sich,

daran

zu erinnern,

daß

gr. μελετάω,

μελετάομαι

auch

die

Bedeutung

‘drohen’ haben kann, daß es in den antiken Glossarien oft mit lat. medito(r) gleichgesetzt wird, daß lat. medito(r) als gelegentliche Variante für minitor ‘drohen, bedrohen’ zu belegen ist (u.a. in der Überlieferung von Cicero (z. B. Sex. Rosc. 101) und Horaz (z. B. C. 4. 14. 28)). Ich würde eher vorschla-

gen, wir verzichten auf Puschmanns μή im griechischen Text, wir übernehmen für die lateinische Fassung die Lesart von M und PI, und wir erken-

nen im lateinischen Text eine getreue Übersetzung des griechischen Originals mit der Bedeutung ‘falls ein Tumor in der Lunge zu entstehen droht.

24 Dies wurde möglicherweise von einer 'Umsegmentierung' wie in M fygmon editauerit nahegelegt, wobei man nach einem sinnvollen mit e- anlautenden Verbum des Geschehens gesucht hätte. Ob voneinander unabhängig oder nicht, haben fünf Hss. sich mit dem Verbum ‘sein’ (fueri(n)t) zufrieden gegeben.

Alexander Trallianus Latinus

Andererseits,

191

gibt es Stellen, wo

ein scheinbarer Unsinn

im Frühdruck

leider sämtlichen Handschriften gemeinsam ist, und auf Lösung aus anderer Richtung warten muß. Um dies mit einem Beispiel zu veranschaulichen: im

11. Kapitel des 2. Buches hatte ich gehofft, den richtigen Wortlaut zu finden, der im dritten Satz hinter dem Wort extussire steckt. Hier sind die drei ersten Sátze des Kapitels, mit Übersetzung und einem Teil des Apparats: 2.11 De lapide sputato. (1) Ego autem quod uidi necessarium existimaui non tacere, sed ut uobis exponam que uidi et miratus sum. (2) Spuit quidam uir lapidem specialiter, et hoc non forte pinguem humorem et glutinosum, sed existentem lapidem, nec asperum sed satis lenem et durum, et resistentem fortiter tactui, ita ut cadens in terra sonum faciat. (3) Iste uir per multum tempus molestiam sustinens de tusse non poterat ifortiter extussiret, donec lapidem spueret.

"Vom Spucken eines Steins. (1) Ich aber hielt es für notwendig, nicht zu verschweigen, was ich sah, sondern Euch zu beschreiben, was ich sah und was mir auffiel. (2) Ein Mann spuckte einen Stein aus auf besondere Weise, und zwar nicht etwa eine dicke und klebrige Masse, sondern einen wirklichen Stein, nicht rauh sondern recht glatt und hart, recht widerstandsfáhig gegen Berührung,

so daß er beim

Fallen auf den Boden

ein Geräusch

machte.

(3)

Dieser Mann hatte lange Zeit Beschwerden durch Husten erlitten und hatte nicht? aufhören können, heftig husten?, zu bis er den Stein ausspuckte'. (3) uir] ubi(?) Ox om.

MaP3'

add. m2

uir qui M

| per] om.

DOx

| multum

tempus] multo tempore DMOx multum tempore P1 multa tempora O | molestiam MO] -ias cett. | sustinens] sustinuit G1 sustinuerat DOx pertulit Mu | de tusse quasi tit. Pl corr. ex tussu Mu | non] et non DMOxPI | poterat] corr. ex oportet

ACDMMuOxP2]

Mu

| extussire]

tussire Ox | lapidem] om.

C | spueret

ex(s)pueret cett. expuerit P1

Der entsprechende Satz des griechischen Originals lautet: II. 153.24 Puschm. οὐκ ἠδυνήθη τοῦ βήσσειν ἰσχυρῶς ἀπαλλαγῆναι, ἕως ὅτου τὸν λίθον ἀνέπτυ-

σεν, und bedeutet ganz klar 'er konnte nicht vom

heftigen Husten befreit

werden, bis er den Stein ausspuckte'. Die einzelnen Teile dieses Sinns sind

hinter dem lateinischen Wortlaut noch zu spüren, aber für die ursprüngliche Form der Übersetzung müssen wir uns wohl auf eine Konjektur beschränken, es sei denn, wir wollten versuchen, etwas mit extussire anzufangen, und

zwar in der Bedeutung ‘mit Husten aufzuhören’ - wobei freilich fortiter schwierig bleibt. Oder haben wir hier einen der seltenen Fälle, wo der Übersetzer den griechischen Text nicht verstanden hat? Eventuell war sein griechischer Text schon verdorben: letzteres wäre freilich eine bedauerliche Zusatzhypothese, aber ein paar Zeilen später - in demselben Kapitel - fällt es auf, wiederum in allen Handschriften, daß der Steinspucker, obwohl er sich

im Griechischen wieder gut erholt, in der lateinischen Fassung stirbt 25.

25 II. 155. 1-2 Puschm. xai ei μὴ τούτοις ἐχρησάμην, οἶμαι, ὅτι dv ἀπώλετο παραπλησίως toic φθόην

192 6.

David Langslow SPRACHLICHE

UND STILISTISCHE ZÜGE

Drittens ist die lateinische Übersetzung auch von einem linguistischen Ge-

sichtspunkt aus von hóchstem Interesse, und zwar wegen der Art des Spátlateins, in dem sie abgefafit ist: hier findet man eine grofe Anzahl neuer

und

seltener Formen

wahrscheinlich macht,

daß

auf

Grund

und

Gebrauchsweisen.

des

generellen

die lateinische Fassung

kurz

nach

Es

Eindrucks,

wurde

vermutet 29,

den

das

der griechischen

Latein

Urfassung

entstand, wenn nicht sogar zu Lebzeiten Alexanders; in jüngerer Zeit, aber immernoch offenbar ohne solide Argumente, wurde der lateinische Alex-

ander mit der Übersetzungsarbeit an griechischen medizinischen Texten in der Schule von Ravenna im 5. und 6. Jh. in Verbindung gebracht 27, Wegen des Mangels an externem Beweismaterial ist natürlich das systematische Studium eines verläßlichen lateinischen Textes notwendig, um festzustellen, wann und wo er entstanden ist. Wegen des bisherigen Mangels eines zuverlässigen lateinischen Textes, biete ich hier in provisorischer Weise eine kurze Auswahl von sprachlichen und stilistischen Merkmalen,

welche für die Frage nach der Latinität des Alexander-Übersetzers von Bedeutung sind, und welche sich wahrscheinlich in dem besten Text, den wir

herstellen kónnen, befinden werden. Zuerst zu der ebenerwähnten Meinung, die Übersetzung habe ‘Schule’ von Ravenna zu tun. Einerseits gibt es gewiß auffallende sche Übereinstimmungen ausschließlich oder fast ausschließlich ältesten lateinischen Übersetzung des Oribasios. Erwähnenswerte sind etwa ?*:

mit der lexikalimit der Beispiele

νοσήσασι: womit vgl. die lateinische Fassung, 2. 11. 5 et postea proiecit lapidem (et?) non post multos dies ut ptisici solent ita defunctus est. 26 Zuerst, m. W., von Valentin Rose, Anecdota

Graeca

et Graeco-Latina:

Mitteilungen aus

Handschriften zur Geschichte der griechischen Wissenschaft, 2 Bände, Berlin 1864-70, 2. 108; s. auch K. Sudhoff, Medizinischer Unterricht und seine Lehrbehelfe im frühen Mittelalter, «Sudhoffs Archiv» 21, 1929, 28-37, insb. 32; H. Merland, Zu einer neuen Ausgabe der Nachträge zu Alexander Trallianus, «Symb. Osloens.» 12, 1933, 92. 27 Vgl. G. Cavallo, La cultura scritta tra antichità e alto medioevo, in A. Carile (Hg.), Storia di Ravenna. II. 2 Dall'età bizantina all'età ottoniana, Venedig 1992, 79-125, insb. 99; A.M. Ieraci Bio, La trasmissione della letteratura medica greca nell'Italia meridionale fra X e XV secolo, in A. Garzya

(Hg.), Contributi alla cultura greca nell'Italia meridionale Napoli 1989, 133-257, insb. 195. Über die Schule von Ravenna s. I. Mazzini und N. Palmieri, L'école médicale de Ravenne: Programmes et méthodes d'enseignement, langue, hommes, in P. Mudry und J. Pigeaud (Hgg.), Les écoles médicales à Rome (Actes du deuxieme Colloque International sur les textes médicaux latins antiques, Lausanne, septembre 1986) Genf 1991, 285-310.

28 Für die Einzelheiten der Belege verweise ich auf den TALL, s. vv. Über aspratilis, sablonosus und uirga s. J. Svennung, Wortstudien zu den spätlateinischen Oribasiusrezensionen, Uppsala 1932, 65-8, 118 bzw. 142; zu uirga s. auch J. N. Adams, The Latin Sexual Vocabulary, London 1982, 14-15.

Alexander Trallianus Latinus

193

acidonicus / acetonicus 'bitter'?? aspratilis (piscis) 'an felsigen Orten lebend' bullitionem facere 'sprudeln, kochen' die Schreibweise mirti- für gr. μυρσιoperatiuus ‘wirksam' princeps (neruorum) ‘Hauptnerv’ (oder: ‘Ausgangspunkt

(der Ner-

ven), Gehirn?)

sablonosus ‘sandig’ uirga ‘Penis’. Andererseits, im Gegensatz zu der neuesten sprachlichen Charakterisierung des Oribasios-Übersetzers 39, zeigt unser Text (a) eine viel niedrigere

Anzahl an Gräzismen: insbesondere sind gerade nichtmedizinische Gräzismen

selten;

(b) durchgehend

finden

wir Zeichen

eines gebildeten

Lateins;

und (c) háufige Zeichen einer Kenntnis einer Art Lateins, an die nicht alle glauben: ich meine damit natürlich ‘medizinisches Latein‘, im engeren Sinne, d. h. die Sprache - zumindest die Schriftsprache - einer Gruppe praktizierender lateinsprachiger Ärzte. Ich veranschauliche kurz noch Punkte (b) und (c).

Unter den allgemeinen Merkmalen eines gehobenen Lateins, die sich in sámtlichen Handschriften vorfinden, fallen folgende auf:

(a) die Beherrschung des Ablativus absolutus, von partizipialen Konstruktionen und von komplexer Hypotaxe im Allgemeinen; (b) sehr háufiges

Hyperbaton

(das interessanterweise

zum

Teil inner-

halb der Überlieferung beseitigt worden ist): z. B. aus einem einzigen Kapitel, 2. 236 expedientem

wenden

- Behandlung’;

(sie) wahrgenommen

apponere

curationem

'die erforderliche

in ipsis sentiuntur membris

- Körperteilen’;

-- anzu-

‘in diesen — werden

difficilis articulorum

efficitur motus

'schwierig in den Gelenken - wird gemacht - die Bewegung (c) die Verwendung von archaischen und gehobenen grammatischen Wörtern und Partikeln, wie z. B. absque ‘ohne’ (im lateinischen Alexander

mindestens

so häufig wie sine!), adhuc ‘auch’ (und adhuc etiam et), atque

‘und’;

(d) eventuell absichtliche Alliteration (z. B. 2. 36 ut citius cibos accipi-

ant ‘damit sie die Speisen schneller aufnehmen),

bzw. Anklinge an das

Schullatein, wie z. B. in der Klausel esse uideatur ‘zu sein scheine'(!).

Dieser Eindruck einer gehobenen Latinitàt wird nicht unbedingt widerlegt von dem Vorhandensein einer Reihe nichtklassischer Merkmale, wie z. B. aut certe (= aut) ‘oder’; et sic ‘und dann’; ibidem (= ibi) ‘dort’; ita ut (an-

29 Auch in der lateinischen pseudohippokratischen Schrift De conceptu: s. I. Mazzini und G. Flammini (Hgg.), De conceptu. Estratti di un'antica traduzione latina del Περὶ γυναικείων pseudoippocratico, Bologna 1983, 31. 30 Mazzini in Mazzini und Palmieri (wie n. 27), 290-3.

194

David Langslow

statt ut consecutivum)

‘so daß’; mox

(= statim)

'sofort'; tertio (= ter) 'drei-

mal’ ?!. Diese kommen in allerlei späteren Texten vor, selbst bei gebildeten Schriftstellern, und es läßt sich in diesem Zusammenhang betonen, daß volkssprachige Merkmale, sogar Vulgarismen, sich mit der Zeit zu einem festem Bestandteil der Standardsprache entwickeln können. Dazu kommt noch, daß die Zahl reiner Romanismen im lateinischen Alexander anschei-

nend sehr gering ist ??. Was das ‘medizinische - angeht, (das griechische wie wir in 1. oben sahen, zicht auf nicht allgemein

Latein’ — oder besser vielleicht: ‘Medizinerlatein’ Original wurde nach den Worten der Vorrede, ja angeblich für jedermann verfaßt, unter Ververständliche Ausdrücke 35), so glaube ich, daß

die lateinische Fassung doch auf ‘Medizinerlatein’ abgefaßt wurde und Züge zeigt, die wir in anderen Texten der seriösen Medizin als vertraut wiedererkennen. Erstens finden sich Fälle, die hauptsächlich den Wortschatz

betreffen,

die im großen und ganzen medizinischen Inhalts sind, und die nur - oder beinahe nur - bei den Medizinern vorkommen, wie z.B. (in alphabetischer Reihenfolge) **: in statu accessionis (einer Krankheit) ‘in der Ausbruchsphase' accidentia f. / accidens n. ‘Symptom’ adescatio ‘Krankenkost'

bromiditas/brumositas (gr. βρῶμος ‘Gestank’) capitis dolor (gr. xegaXapyia) ‘Kopfschmerzen'

dominari (Subj. = Krankheit, Obj. = Patient) 'beherrschen' expedit ‘ist fórderlich' (mit pers. Subj. fast ausschl. bei Medizinern) ?? inferiores partes 55 (gr. xà κάτω) ‘die unteren Körperteile’ mordicatio ‘das Beißen’

31 Über diese Gebrauchsweisen vgl. J. Svennung, Untersuchungen zu Palladius und zur lateinischen Fach- und Volkssprache, Lund 1935, Register, s. vv.; J.B. Hofmann und A. Szantyr, Latei-

nische Syntax und Stilistik, München 1965, Wortverzeichnis, s. vv.; J.N. Adams, Pelagonius and Latin Veterinary Terminology in the Roman Empire, Leiden 1995, 483-4, 624-5.

32 Bislang sind die einzigen auffälligen Beispiele: uomitus ex rafanis (REW 7051; ex radicibus bei Theod. Prisc., Cass. Fel.) 'Brechmittel aus Rettichen’; dilatare (v.l. differre) 'verzögern‘; caballicare (auch bei Anthim.; Lex. Sal.), caballicatio (auch bei Diosc.) 'Reiten'.

33 Auf griechisch, I. 289. 12-14 Puschm. ἐσπούδασα γὰρ, ὡς ἐνδέχεται, κοιναῖς καὶ μᾶλλον εὐδήλοις χρήσασθαι λέξεσιν, ἵνα καὶ τοῖς τυχοῦσιν ἐκ τῆς φράσεως εὔλυτον εἴη τὸ σύνταγμα; das lateinische Vorwort (3. Pr.), obwohl beginnend wie das griechische, ist ganz anderen Inhalts.

34 Für die Einzelheiten der Belege (wohlbemerkt bis auf die Adjektive mit sub- und terribilis mentis turbatio) verweise ich auf den ThLL, s. vv. 35 Andererseits scheint der Imperativ auf -to sehr selten zu sein. Ein Beispiel nach futurischem Nebensatz - auf ganz klassische Weise - kommt 2. 25. 1 vor, si tibi uisum fuerit ..., fugito ... prouocare. 36 Bemerkenswert hier (und bei capitis dolor) ist auch die 'medizinerlateinische' Wortfolge:

s. Verf., Medical Latin in the Roman Empire, Oxford 2000, Kap. 4.

Alexander Trallianus Latinus

paragoria

(mitsamt

195

paragoricus,

paragorizare)

‘das

Wohltun,

Lindern’

(vgl. z. B. 2. 257 paragoriam sibi esse (gr. ὠφελεῖσθαι!)) 57

perfectius curari 'perfekt behandelt zu werden' sub- "leicht, etwas’ + Adj. (z. B. in subrubicundus, subtumidus)

cum terribili mentis turbatione ‘mit schrecklicher geistiger Störung?’ 38. Dazu

kommt

wendung

noch

(wie bei anderen

reimender Hyponyme

lateinischen

Medizinern)

die Ver-

mit auffallenden Suffixen ?, wo im Grie-

chischen nichts derartiges vorkommt, wie z.B.: 1.6 salsedinis aut acredinis ‘von Salzigkeit oder Bitterkeit' (gr. ἀλμυρὸν ἢ öpıμύ, I. 447,

17 Puschm.);

2. 265 ad tuburosos et ad calcitosos(?) et lapidosos poros 'zur Behandlung von knotig aufgetriebenen und verkalkten(?) und versteinerten Gichtknorren' (anscheinend nichts Entsprechendes im Griech., II. 559, 29 Puschm.);

3. 10 neque rigore neque horrore mouentur '(die Patienten) haben weder Anfälle von Kálte- noch von Fieberschauern' (gr. nur οὐδὲ κινοῦσι ῥῖγος, I. 311, 14 Puschm.).

Drittens möchte sam

machen

ich kurz auf das 'rezeptabschliefiende' enim

- man

könnte es auch

als ‘empfehlendes’ enim

aufmerk-

bezeichnen

-,

námlich den hàufigen Fall, wo der letzte Satz eines Rezepts oder einer Behandlungsmafinahme, der die wohltuende Wirksamkeit des Medikaments

bzw. der Prozedur bestátigt oder wenigstens behauptet, mit enim eingeleitet wird. Dieses enim Scribonius

Largus

findet sich häufig in der medizinischen

(Mitte

1. Jh.) bis zumindest

ins hohe

Prosa von

Mittelalter 9. Es

kommt auch im lateinischen Alexander oft vor, und zwar dort, wo im Griechischen entweder die satzeinleitende Partikel oder der ganze Satz anscheinend gefehlt hat. Drei typische Beispiele sind folgende:

37 Laut dem TALL, erscheint paragoria (pare-) bei Marcell., Soran., ps. Soran., Theod. Prisc., Oribas., Rufus, und metaphorisch bei Aug., Caes. Arel. Über die lexikologische Bedeutung metaphorischen Gebrauchs s. Verf., The language of poetry and the language of science: the Latin poets and "medical Latin", in J.N. Adams und R.G. Mayer (Hgg.), Aspects of the Language Poetry (Proceedings of the British Academy, 93), Oxford 1999, 183-225.

of Latin

38 Nichts Entsprechendes im griech. Original, II. 187 Puschm.; vgl. cum terribili mentis alienatione in Parallelstellen bei Theod. Prisc. und dem Liber Byzantii, und s. dazu K.-D. Fischer, Der

Liber Byzantii, ein unveróffentlichtes griechisches therapeutisches Handbuch in lateinischer Übersetzung, in C. Deroux (Hg.), Maladie et maladies dans les textes latins antiques et médiévaux (Actes du Ve Colloque International «Textes latins médicaux de l'antiquité et du haut moyen áge», Bruxelles, 4-6 septembre 1995) (Collection Latomus, 242), Brüssel 1998, 276-94.

39 Vgl. Verf., Medical Latin (wie n. 36), Kap. 5.

40 Näheres dazu in Verf., Latin discourse particles, 'medical Latin’ and ‘classical Latin', «Mne-

mosyne» 53, 2000, 537-60, insbesondere 550-3.

196

David Langslow 1. 6 et cum opus fuerit, cum oleo uteris. experimentatum enim est ualde 'und

wenn es nötig ist, verwende es in Verbindung mit Öl. Es ist enim sehr bewährt’ (nichts Entsprechendes im Griech., I. 451, 21 Puschm.); 1. 9 hoc enim et conseruat capillos et innigrat 'dies enim bewahrt die Haare und schwárzt sie' (gr. καὶ μελαῖνον τὰς τρίχας καὶ φυλάττον, I. 453, n. 4 Puschm.);

l. 9 lauabis aqua frigida. bonum est enim satis ‘wasche mit kaltem Wasser. Dies ist enim sehr gut' (gr. κάλλιστόν ἐστιν, I. 453, n. 13 Puschm.).

Schließlich, viertens, ein kurzes Wort zum Nominalstil, womit gemeint ist, daß eine Nominalisierung

gezogen wird #!. lateinische Texte nend) als auch den Stellen, wo

dem

entsprechenden Verb oder Adjektiv vor-

Dieser Stil charakterisiert sowohl andere, besser bekannte der hohen Medizin (wieder mit Scribonius Largus beginden lateinischen Alexander, und zwar oft auch gerade an der griechische Text einen verbalen Ausdruck vorzieht.

l. 14 sanguinis detractio aut humorum

purgatio 'Entziehen von Blut oder

Reinigung der Sáfte' (nichts Entsprechendes im Griech., I. 457-8 Puschm.) (vgl. 2. 236 sanguinis detractionem facere 'eine Entziehung von Blut durchzuführen'

(gr. ποιεῖσθαι κένωσιν αἵματος, II. 503, 21 Puschm.));

1. 29 embroche et unctiones stomacho adhibende sunt ‘Umschläge und Einreibungen sind auf den Magen aufzutragen' (gr. ἐπιβρέχειν δεῖ καὶ ἀλείφειν 'man soll báhen und einreiben', I. 479, 12 Puschm.); 1. 31 aquae potiones iuuant ‘das Wassertrinken ist förderlich’ (gr. ὑδροποτεῖν "Wasser zu trinken', I. 483,

1 Puschm.).

Um in aller Kürze zusammenzufassen: Es ist bestimmt klar geworden, daß meine Ausführungen zum lateinischen Alexander den Charakter des Vorläufigen tragen. Zur Zeit aber ist meine Arbeitshypothese - die übri-

gens ganz anders ist als diejenige, mit der ich angefangen habe -, daf die lateinische Fassung auf jemanden zurückgeht, der Latein als Muttersprache beherrschte (und nicht, wie vielleicht der Oribasios-Übersetzer (s. n. 30), Griechisch),

der relativ gebildet war,

der das

Medizinerlatein

kannte,

und dem andere lateinische medizinische Texte zur Verfügung standen. Letzteres fällt einem sofort auf, denn der allererste Satz des lateinischen

Alexander aus Theodorus Priscianus stammt *, aber darüber müßte man dann bei anderer Gelegenheit sprechen!

4! Näheres in Verf., Medical Latin (wie n. 36), Kap. 6.

42 Vgl. Theod. Prisc. eup. faen. 1. 7 (p. 16, 14-16 ed. V. Rose, Leipzig 1894) Contingit haec in capite duplex passio cadentium capillorum, ut aliquando defectu quodam cadant et nudando partes capitis turpent mit Alex. Trall. 1. 1 (nach der Hs. A (oben, 3.)) Contingit hec duplex passio cadenti-

bus capillis ut aliquando defectu quodam cadant et nudando partes capitis turpent.

Alf Oennerfors

DE PHYSICA Q.U. PLINII SANGALLENSI ANNOTATIONES ALIQUOT CUM CAPITE PRIUS INEDITO (CAP. VIII, AD DENTIUM DOLOREM REMEDIA, PP. 197-200)* Sergio Sconocchia amicitiae ergo

In opere magno, quod inscribitur / codici di medicina del periodo presalernitano (secoli IX, X e XI), Roma 1956 (Storia e letteratura, 53), A. Beccaria codicem Sangallensem 751, 'Stiftsbibliothek cod. 751' s. IX (siglum S

in hoc libello meo) accurate descripsit. De paginis 182 sqq. - 280, Plinio Secondo, De medicina L. I-III (Beccaria p. 374 sq.) in commentatione, cui titulus est /n Medicinam Plinii studia philologica (Lundae 1963), equidem egi, cum fortunam librorum medicinalium Naturalis historiae Plinianae enarrarem - de qua quidem primus iam Valentinus Rose, Über die Medicina Plinii,

«Hermae»

8, 1874,

18-66 disseruerat. Postmodo

alii uiri docti, et

primarii quidem K.-D. Fischer cum alibi tum in Quelques réflexions sur la structure et deux nouveaux témoins de la 'Physica Plinii! (in Pline l'Ancien témoin de son temps, Conventus Pliniani ... Acta- 1987, Salamanca-Nantes), et Sergio Sconocchia in Studi di letteratura medica Latina, Ancona 1988, cap. V, La medicina romana della tarda antichità: un nuovo testimone della cosiddetta Physica Plinii Bambergensis disputauerunt. Sconocchia commen-

tationem suam his uerbis finit: «Mi ripropongo ... un'edizione della Physica Plinii Bambergensis ..; mi ripropongo altresì un nuovo approfondito esame della struttura di tutta la Physica Plinii».

Appellationem 4.6. "Physica Plinii' in libro meo supra commemorato (1963) explanaui; quo nomine ex codicibus, quibus traduntur, tres quasi quosdam riuos, Bambergensem', 'Sangallensem', 'Florentino-Pragensem' nominaram, qui

ex opere medico, quae 'Medicina Plinii uulgo appellata est, fluxerunt atque exeunte antiquitate uel medio aeuo progrediente alii aliunde aucti sunt. Anno 1975 ‘Physicam Bambergensem', i.e. codicis Bambergensis med. 2

(olim L. III. 6) fol. 93v — 232r, Q nominati, editionem principem publicaui * Ad codicem Sangallensem 751 per notas paginarum et uersuum remitto.

198

Alf Oennerfors

(Olms, Hildesheim). Alterius codicis Bambergensis, med. 1 (olim L. III. 81, cfr Beccaria sub numero 48), a me M nominati, imaginem luce ex-

pressam edendam curauit G. Keil anno 1989 !, Tria, quod ad hoc tempus cognoscere liceat, archetypa ‘Physicae Plinii (nam ‘hyparchetypa’ non audeo dicere) ponenda sunt, quorum pro testimoniis, quantum in nostram peruenit notitiam, sex codices (partim manci) -

de fragmentis quibusdam

uideas uelim Fischer et Sconocchia, quos supra

memoraui -, uetustiores scilicet tres (M, Q, S), saeculo IX scripti (Q fortasse s. X in.), et totidem recentiores E, F, P (= ©, s. XIV et XV?, ex uno manantes fonte) agnosci possunt. Tres ergo ‘Physicae Plinii' quasi stirpes esse (M

et Q,

S, 8)

e communi

radice

enatas

uariisque

modis

ab

auctoribus

anonymis singulariter ac proprie cultas credo, cfr Studia philologica mea (1963) 46 sqq. Exemplaria primigenia Bambergensium et Sangallensis post Marcellum in Italia conscripta iudico, cfr editionem meam 'Bambergensis' Q p. 9 sq. et infra de sermone S codice ad posteritatem translato. In praesenti autem libello philologas quaestiones, non historiam et cognationes riuorum illorum 'Physicae Plinii' tractaturus sum. Obiter quoque ostendere

in animo est, quomodo editionem 'Sangallensis' futuram formatam uelim. Inter uetustiores S - qui compilationem satis amplam remediorum a ‘capitis dolore' usque ad ‘morsum symii’ continet - ceteris peius, immo miserabiliter textum tradit. Hic librarius, fortasse iam ipse auctor opusculi primigenii, admodum indoctus atque insipiens, innumera uocabula, quin

tota enuntiata, praue interpretatus saepenumero horribili modo peruertit, ita ut multo labore opus sit ad hunc contextum extricandum sanandumque, quod ab omni parte uix umquam fieri poterit, cum locis exspectatio-

ne pluribus et fontes et consimiles medicamentorum commendationes desint. Sed uno exemplo cum fonte comparabili uti libet, quo ueritatem animo complectaris. Codicis pagina 277 in capite quod inscribitur ‘Ad uenena et mala medicamenta' antidotum q.u. Mithridaticum traditur, cuius quidem ingressio in 'Medicina Plinii' 3, 33, 1 sq. huiusmodi est: Antidotum Mithridaticum laudant medici eiusdemque compositiones diuersas afferunt et ad commendanda migmata pretiosa propter raritatem ingentes pecunias po-

scunt. appendunt namque singulas libras uicenis sestertiis et infelicium credulitatem, hoc quoque ingenio circumueniunt ut illis persuadeant emere quae noceant. alia namque stomachum

laedunt, alia caput adgrauant, alia pallorem afferunt et corporis

1 Das Lorscher Arznei Buch. Faksimile der Handschrift Msc. Med. ! der Staatsbibliothek Bamberg, Stuttgart 1989. Quid de huius textus editione cum interpretatione et indicibus ab U. Stoll emissa censeam («Sudhoffs Archiv», Beiheft 28; Klass.-philol. Diss. Würzburg) e «Gnomonis» 66, 1994, 688-695 comperire possis; cfr. etiam A. Oe, Sprachliche Bemerkungen zum sogenannten Lorscher Arzneibuch, in «Latin vulgaire - latin tardif III» éd. par M. Iliescu et W. Marxgut, Tübingen 1992, 255-280.

2 Hi libri tres 'Physicae Plinii Florentino-Pragensis' a discipulis meis J. Winkler (1984), W. Wachtmeister (1985), G. Schmitz (1988) in «Lateinische Sprache und Literatur des Mittelalters»

(Frankfurt a.M.- Bern-New York-Paris), dissertationes Colonienses, editi sunt.

De Physica q.u. Plinii Sangallensi

199

maciem. itaque frequenter accidit ut hi qui illorum antidotis usi sunt miserius morerentur quam si bibissent uenenum.

Quae sic in codice Sangallensi reddita inuenimus: antidotum

mitri

daticummedicamina

eiusquidequaeconpositiones

diuersasadferunt

sedadcondapimenta ? Pciossppter caritaté ingentem, pecunià poscunt adpendunt namg: insingulaslibras .XXV. Itertis & infeliciu omniumcrudelitate hicquoq: generecircüueniunt utiles p suadenté requieos uocant. Namquialiastomacoledunt alias caput adgrauant taliaspallorem adferent & corporis aciem itaq: frequenteraccedit queillorum antidotis uis essent miseriis quamsibibissem uenenü.

Quamquam non dubitari potest, quin S codicis scriba, licet extremi ingenii fuerit, exemplar, quod transscribendum accepisset, probo studio ad uerbum exscribere conatus sit, tamen, ut generis humani fert imbecillitas fragilitasque, uarias manus oculorumque insidias euadere non potuisse

plurimi monstrant loci. Sequitur, ut in textu constituendo duae identidem oriantur quaestiones: prior, quid ad eum sermonem Latinum, quo locutus est quemque, appellatione sua ipsius saepe inductus, litteris reddidit

auctor

exemplaris,

quod

S codicis

librarius

exscribebat,

referre

possumus? altera, quid pro mendis et inscientia Slibrarii habere atque interpretari necesse est? Inter fontes animaduertuntur Plinius ipse - cuius Naturalis historia hic

illic aut extra ceteros auctores medicos aut melius uberiusque quam apud eos adhibetur -, Scribonius lus, Theodorus

Largus,

Priscianus. Vtrum

Celsus,

Medicina

q.u.

Plinii, Marcel-

'Additamenta' Euporiston eius (Rose, ed.

1894, 268 sqq.), Ps. Apulei 'Herbarium', Ps. Musae 'Libellus de herba Vettonica’, Oribasii et Dioscuridis opera Latine uersa pro fontibus proximis

recta uia susceptis an pro scriptis, quae per breuiaria et excerpta primigenio compilatori innotuerint, iudicanda sint, incertissimum est. Sed id mo-

nuerim, huius libri medici compositorem - ut collegas plerosque, cfr Studia mea philologica (1963) 24 sqq. - in praeceptis fontium suorum reddendis et quod ad res medicas et quod ad sermonem attinet liberrime esse uersatum; itaque nequaquam oportet nec re nec lingua S codicis tenorem ad fontium similitudinem conformare.

De

sermone

Latino, qui S codice traditur, nunc aliqua praemonita

uelim. Dixeram supra ea me persuasione teneri, exemplaria primigenia Bambergensium et Sangallensis compilationum in Italia nata esse. Cuius rei

testimonia sunt in primis cum

frequentissimae -s et -t litterarum, quibus

uerborum

omissiones

formae

terminantur

tum

confusiones

uariae

inde

exortae (in ‘scripturis’ q.u. 'inuersis manifestae), tum etiam -t (-) pro -nt (-), -nt (-) pro -t (-) scripturae, de quibus fuse Loefstedt, Langobard.

124 sqq, ut

3 cond in condimenta 'correxit' manus secunda. Legi debere liquet ad commendanda pimenta ἢ. e. pigmenta - medicamenta, cfr. Meyer-Lübke, «Wiener Studien» 25, 1903, 106; REW 6488; Svennung, Unters. p. 596; pigmentarius: pharmakopoles Gloss. Goetz 3, 371, 25, al.

200

Alf Oennerfors

infra p. 198, 23 sedat pro -ant; 198, 28 tinniat pro -iant; 200, 1 intumuerit pro -int; porro p. 226, 29 accipiant pro -iat; 239, 5 sint pro sit; 240, 29 euocant pro -at; 243, 16 prosint pro -sit. Insuper monuerim accusatiuum casum hic illic - uelut 195, 26 sonitum ... aurium emendat adipem uulpis; 213, 10 omnes moruos (= -bos) ... recedet (= -ent); 215, 23 cum puluerem factum fuerit; 226, 8 cui murram tritam admiscetur; 234, 6 Vomicas ... erumpunt; 248, 7 Stalem (= extalem) si exierit; 249, 23 fistolas ... nascuntur

- subiecti locum tenentem itidem Italicam originem indicare uideri 4. Ceterum alia eorum, quibus permultis Mulomedicinae Chironis,

positionum

Lucensium,

gorii Turonensis,

Legum

Com-

Oribasii Latini, Dioscuridis Latini, Anthimi, GreLangobardicarum

sicae Plinii Sangallensis communia

insignis est sermo,

sunt, uelut a pro au (agusto

etiam 199,

Phy10);

i pro e, e pro i (et in longis et in breuibus uocalibus), uelut reciperint 192, 24; petrosileno 217, 21; in fronti

184, 7; tergi 247, 28 (ubi deterge Ps.

Theod. Prisc.); gumini 199, 9; u pro o, o pro u (et in longis et in breuibus): pressurio rum

196, 13; muro-

212, 25; lotei (coloris) 211, 27; pulenta 244, 7;

e, € pro ae; ae, e pro e (passim); h- et -m omissa uel falso apposita (passim), itidem -s; b etu, b etp, c et g, d et t permutata;

geminatio consonantium uel consonans simplex pro duplici; -al-am, -ol-um, -el-em et in obiecti accusatiui casu et post tiones et in ablatiui sing. casu sine ullo discrimine usurpata; -(t)o et -(t)um terminationes

imperatiuorum

et participiorum

praeposipass. con-

fusae (ut portatum 250, 226 pro -ato); permutatio generis grammatici - in primis neutri in femininum, lia (sing.

coll.

200,

19; 244,

2; 250,

1; 6) et neutri

ut fo-

in masculinum,

numquam masculini in neutrum; permutatio coniugationum, ut ad-, con-, promiscere et miscere 3:ae niugationis (passim), mulgere 3:ae coniugationis 198, 21, linare 194, 17, al., in-, sublinare 184, 5; 209, al.; uerba intransitiua ex transitiuis (ut 199, 16; 23; 200, 2 sedat dolor, 18 sanat, 197, 5 restringere), appositiones q.u. partitiuae (u. H-Sz 57)

non-

co15; 228, fre-

quentissimae — saepius, ut exemplum ponam, uinu(m) bonu(m) sestertio(s) duo(s) scriptum inuenies quam uini boni sextarii duo (uel -ios -os).

Inter alia insignia, ut ita dicam, syntactica in libro medico Sangallensi 751 parentia nominandi sunt accusatiui et nominatiui sine structura propria libere adhibiti, ut certa praecepta uel admonitiones in oculos incur4 Cfr. D. Norberg, Synt. Forsch. 18; 26 sqq.; 95 sq.; Beiträge zur spätlat. Svntax (1944) 26 sqq.; A. Josephson, Casae litterarum. Studien zum Corpus Agrimensorum Rom. (1950) 182; Westerber-

gh 234 sqq.; J. Gil-B. Loefstedt, Sprachliches zu Valerius v. Bierzo, «Cuad de fil. clas.» 10, 1976, 284 sqq.; Oennerfors, latromagische Beschwórungen in der 'Physica Plinii Sangallensis', «Erani» 83, 1985, 243, ann. 10.

De Physica q.u. Plinii Sangallensi

201

rant; liceat mihi afferre, quae in «Erani» 83, 1985, 242 de hoc casuum usu monueram: «Konstruktionsloser Akk. oder Nom. statt ad(uersus), contra

od. Dat. (in)commodi erscheint in der Physica Sangallensis sehr häufig als eine Art Sonderüberschrift vor den jeweiligen Rezepten und Vorschriften, eine Verwendung dieser Kasus ..., die in der gramm. Literatur bisher nur gestreift wurde (H-Sz 31). Svennung, Unters. 173f. geht auf den «ungemein häufigen Akk. in Rubriken» bei Apicius ein (Vorstufen schon bei Cato d. À. ..) und erwähnt dabei auch den «harten Wechselmit dem Nom.». Für das Vorkommen des Gerundivums in solchen konstruktionslosen Überschriften bringt er keine Beispiele. Hier eine Auswahl aus der ‘Phys. Sang’: p. 194, 30 Aurium dolor; 199, 19 u. 23 Item dentium dolor; 200, 14f. Stridor dentium; ib. 22 Gingiuae fluentes; 227, 12 sqq. Ren(ijum dolor (3mal); Akkusativ:

193, Iff. Aciem oculorum; 200, 8 u. 13 Dentionem infantium; 220, 17 Digestionem;

mit dem

Gerundivum:

193,

11 u. 13 Album

tollendum;

196, 5 Ver-

mes aurium necandos; 249, 14 Siringium curandum; 270, 10 Demones effugandos». — Et genetiuus partitiuus libere adhibitus materiam medicamenti designat, ut 195, 1 aceti squillitici in uino mixtum, H-Sz 54; u. annotationes meas ad 188, 8 (nondum typis editas). E contrario nonnulla sermonis medici, qui S codice traditur, antiqui-

oris notae

sunt, uelut imperatiui permulti

in -to exeuntes?

(‘imperatiui’

q.u. 'futuri), ac et atque particulae (ut 231,

16 ac, ubi atque Marc.

236,

sympathetici (ut 189, 28; 193,

17 atque), datiui commodi,

incommodi,

med.;

26; 212, 12; 186, 5; 191, 17). His et similibus rebus sermonis, quo artium diuersarum homines utebantur (quem 'Fachsprache' fere hodie nomina-

mus), studium illud apparet in uetustis consuetudinibus perseuerandi. In eo

textu,

praesertim

e quo

in casuum

partem

modicam

terminationibus,

infra imprimendam

ut iam

curabimus,

attigimus, chaos et anar-

chia regnant. Sed ad normam sermonis puri atque 'urbani' talia redigere -quod per se facile fieri posset - mea quidem opinione et uanum et inutile

esset. Multa uitiosa sine dubio errores scribae sunt - si aperti, corrigantur -; neque pauca uulgaris sermonis insignia prae se ferunt - si phonetice, ut dicimus, et syntactice explanari possunt, in contextu sic remaneant ut exarata sunt. Emendationes coniecturaeque respectu sermonis genuini compi-

latoris peragendae uidentur. DE EPITOMA

Cum numerari

INFRA EDITA

«dentium dolor», ut ait Cornelius Celsus, «maximis tormentis adpossit»

(6, 9,

1), ope

epitomae

capitis VIII 'Physicae

Sangallen-

sis demonstrare in animo est, quibus remediis illius cruciatus atque uitiorum e malis et infirmis dentibus pendentium usi homines antiquitatis uergentis et medii aeui se tutari potuerint aut saltem conati sint. 5 Cfr. quae in «Symbolae Osloenses» 64, 1989, 135 ann. 9 exposui.

202

Alf Oennerfors

Ac primum quidem fieri mentionem.

Cum

animaduertimus Celsus earum

forficum, summi

usum

terroris, nullam

strenue commendet

(7, 12, 1 A-

F), et Scribonius Largus (53, Ad dentium dolorem quamuis plurimi dicant forfices remedium esse, multa tamen citra hanc necessitatem scio profuisse) et Marcellus, eum secutus (quamuis plurimi dicant forficem remedium esse optimum..., 12, 1), re uera forfices extra remedia dentium seponunt. Neque apud alios Celsi commendationes repeti uidi. In capite VIII 'Physicae Sangallensis haec remedia proponuntur (cum praecepta quaedam partim cohaereant, non omnes numeri hic indicati penitus exacti sunt): 1) pulueres uel res solidae uel compositiones contritae: 5; 2) collutiones uel gargarizationes uel retentiones compositionum selectarum in ore: 15; 3) commanducationes: 4; 4) emplastra: 2; 5) dentifri-

cia: 5; 6) ad dentionem infantium curae: 3; 7) gingiuis (et gingiuis infantium): 6; 8) incantamenta:

2.

Comparanda: Celsus: libri VI cap. 9 curas longiores, ut abstinentiam cibi, alui ductiones, calida cataplasmata, fomenta, confectiones compositionesque uarii generis (in quarum parte radices herbarum nonnullarum

sunt) et circiter 20 praecepta breuiora continet; de usu forficum

ab eo

commendato uide supra. - Scribonius Largus in cpp. 53-58 (pp. 33-35 Sconocchia) uaria praecepta, breuiora cum longioribus mixta (gargarizationes, collutiones, commanducationes, emplastrum, fricationem) praebet. - 'Medicina Plinii' 1, 13, Dentibus: circ. 35 praecepta (dentioni infantium separatim). - 'Physica Plinii Bambergensis', cpp. 35-38: 42 praecepta (dentioni et dentifricia separatim). - Cod.

Bamb.

med.

1 (M), Secunda

capitu-

latio 35-41 (fol. 24v-25r), breuia capitula 'Ad dentium dolorem', 'Dentes si nimio capitis reumate laxauerint', ‘Ad dentium molarium dolorem’, ‘Ad dentes uitiosos et cauos’, ‘Ad dentes candidos faciendos', ‘Ad dentes mola-

res’, 'Dentioni' tradit. - Marcellus, med. cp. 12: circ. 70 praecepta (ad gingiuas et dentifricia in separatis capitibus), inter quae duo incantamenta (12, 24 et 46, Heim

sub num.

190 et 99). — Cassius Felix, cap. 32, Ad den-

tium dolorem (pp. 63-68 Rose) circ. 10 praecepta satis diffusa praebet, in-

ter quae etiam 'ad dentes agitantes', 'dolor malae', 'reumatizantibus gingiuis', 'cancerosa ulceratio gingiuarum', 'putredo gingiuarum', dentifricia.

APPENDIX

Editio princeps capitis VIII codicis Sangallensis 751

Ad dentium dolorem remedia (p. 197, 25 - 200, 26)

(25)

AD DENTIVM

(26) (27)

Piper nigrum modice in uino mittis et tepefacto gargaridiet; dolorem amittit. Item tede astella conciditur * (28) et decoce in ace-

DOLOREM

REMED

to * idque acetum in ore contine. Item in aqua lentiscum de- (29) coctum

De Physica q.u. Plinii Sangallensi

203

mobiles dentes confirmat. Item rubi, in quo mora nas- (30) cuntur, pampina eius rubi dequoque in uino austeri et conmanduca. p. 198 (1) Item aduersus mobilitatem: millefolium in dolore «m»anditur et tritum

(2)

maxille

inponitur.

Item

dentes

acuti

quibus

fiant

nec

limari

(3)

necesse sit aut dolorem paciatur: pumice marina ex aceto den- (4) tes frica, continuo exequabis; licet totum dentem exterere uel- (5) lis. Item dentium

dolorem:

urticae

radicem

in aceto

decocae

et (6) ex eo aceto

in

os contine, sedat statim. Item cum uideris primum (7) lunam nouam, tenes aduersis «Noua luna,

manibus ad maxillam aliam noui dentes, puteres uermes

[ad] alium (8) manum et dicis: exputo».(9) Hoc ter dicis et ex-

pues. Item ex lacte caprino dentes utiliter fican- (10) tur. Item dentium dolor: herbe caprofici oculi tres, idest gemmas uel (11) quinque uel septem, aceti agri guttulam unam, et ad dimidias decoces (12) et in orae mitte et inde expuetur et iterum mittis, mirificae dolorem (13) dentium sanat. Dentium et capitis dolorem: Contra lunam dicis (14) haec: «Luna

noua, dentes noui, uermes

putredi foras exite! Quo-

lupus nec canis adtingere potest, sic nec ad me,

lor aliquis adtingere possit!»

Hinc

nomen

(15) modo

(16) ne caput

ad te nec meum,

do-

(17) in carta inscribis et caput

ligas. Item molarum dentium dolorem: si (18) subito indoluerit, de dextra parte uenit, idest in parte dextram (19) maxillae, facies cataplasma, indu-

cis in linteolo et in sinistro cu- (20) bito inponis, ligas, et mox pausat; sic utraque facies; rem miram! Ex (21)ictu s[u]i dentes mouentur capra mulgat et os suum colluat sepius. (22) Item, cauis dentibus: cimisces recentes contritos in cauum dentem fu- (23) si dolorem continuo sedat. Item den-

tem uitiosum: piretri radicem (24) ex pusca et melle gargaridiet et contineat cum

in qua sale

parte

pusillum

dolet.

(25)

in se con-

Vt dentes (26)

terito

candidos et inde

facias: dentes

ros marinum infricabis.

Item

dentifricia: sic facies, ut dentes (27) nigros emende: testum «uel» catinum tunde,

hoc est de uasa aut atra- (28) mentaria

solent,

conbure

et tere di«li»-

dentes candidos facias: fo- (30) mane dentes frica uel sero

(29) genter,

[aut] que bene tinniat fieri

et inde

lia lemtiscis

sicca,

frica dentes. tere et tribla,

Item

ut

et inde

p. 199 (1) utere. Item nigris dentibus: talum bubulum conburis, teris et cri(2) bellas ad diligentia, et inde uteris. Item dentifricium ut supra: (3) sic facies, ut dentes nigros emend[ent]es: lentisci fasciculum siccatum (4) in umbra et corticis pini partis tres pariter uel singulatim tun- (5) dem et cribella diligenter et inde frica cottidiae, quia exsolidat (6) gingiuas. Dentes nigros ut candidos facias: ossa pullina tundis (7) diligenter; ut lenius sit, adde murta trita ff VI, inde cottidiae (8) dentes frica. Optimum est. Caui dentes:

[si] impleueris

uocant,

gumini

uel

edere,

malo ter- (9) rae tunso, quam

que

(10)

ad

mense

Agusto

Greci cyclamen

ferro

uulnerari

204

Alf Oennerfors

oportet, et birumen inponatur. (11) Item cauum teres, conbustos in caua- (12) tura indito. Item

dentem: lumbricus terrae cauis dentibus: coclee in-

cise inuenitur lapillus, (13) infusus sedat dolorem. Item dentis dolor: urticae

radicem

conman-

(14)

ducabis

et sucum

eius

continebis

in ea parte,

qua dolet; sane ul[e]r- (15) tica sine ferro legit. Item dentium dolor: fraxini folia conman- (16) ducet, et sedat dolor. Item platani arboris radi-

cem decoctam in (17) ore teneat. Item herba portulaca deferueat in aceto, et in ore teneat. Item lentiscum teres, ex (19) oleo et uino ciatis III. decoce et tepidum in ore tenebis, et sanat. Item dentium dolor: (20) herba

uettonica ex uino ueteri ad tertias decoce, et gargaridiet; dolo- (21) rem tollit. Item dentium dolor: herba iosquiamum, radix eius decocta (22) cum uino austeri

in ore sorbeat

et teneat in dentes

in ea parte (23) qua dolet,

et mox sedat dolor. Item dentium dolor: herba celidonia, (24) quem am

dic«unt,

aceto

radic»em

decoce,

eius

tepefacto

et cypressi

gargaridiet.

trita et [in] tede

Item

herba

solata,

strignos dicunt, Latinae cuculum, grana habet quasi cas submasticent; dolorem dentium tollit. Procussis

facies: malum praecides;

astella

pioni-

(25)

quem

cum

(26)

alii

rusea, eius (27) bacin manum (28) hoc

stipticum, idest siluaticum, discoques et ad se - (29) tam

si recens

est uulnus,

ipsa die

sentit,

si diuturnum,

ter (30)

in

die curas; saet quod grossum habes, intrinsecus tolles; cum granula p. 200 (1) et piro «cum fi»cis percussa manu in dentibus si intumuerit conmastica et inpo- (2) ne, et mox sedat dolor; et sanguinem et tumorem tollet mirificae

Cyclamenos deribus

oris

et (3)

dentes

confirmandos,

qui

moti

fuerint,

«curat».

herba, radix sicca (4) tunsa triblata et melli Licio equis pon-

mixta

celeriter curat

moti fuerint. De[te]ntionem

(5)

«uitia»

infantium:

oris;

etiam

dentes

confirmat,

si

(6) ut [si] infans sine dolore den-

tiat, araneum uiuum et cera pummica: co-(7) gito ab infra cera et licio ligato et in collo liga; sicuti filacterio utatur. (8) Dentionem infantium: «dentes equis» qui primi cadunt inuenti et alligati in argento (9) et auro uel eramento facile dentionem prestat, sed melius est, si ipsi (10) dentes,

qui cadent, terra non tangant; et in pellicula ligabis. Caprino (11) lactae uel leporis cerebello gingiuas refrica. Item uulpis dentium (12) cinis cum melle: gingiuas inlinae et eiusdem uulpis dentes gingi- (13) uae infantium

tanguntur. qui

Infantium

dicitur

facere

ad

dentionem: dentes

coclee incise in- (14) ueniuntur

infantium.

Stridor

(15)

dentium:

lapilli;

opopanaci

radicem in linteolum mittis et in fenicio ligas et (16) ei qui patitur in brachio dextro ligas. Infantium dentes, ne gingiue (17) doleant: leporis manus dextra,

hoc

oleo, et dum gingiuis giuis et teneros teneat.

est pede

priore, conburae

et tere (18) [et] in cinere

eius cum

liquidum fuerit, ex eo infanti gingi- (19) uas unguito. Item

ulcerosis: murte folia ex uino decocta (20) os col«u»e. Item ginlabiorum uitia: herbe brusci - ubi morte nascuntur - (21) caules siue cauliculus teris in uino decoctos, et ipsum uinum (22) in ore Gingiuae fluentes, que pregnantes dicuntur: len (23) tisci folia con-

De Physica q.u. Plinii Sangallensi

205

busta cinis facta et inposita prodest.

Si dente dolue- (24) rit: oleastri folia

aqua decocta aut cortices malegranatae. Gingi- (25) uae, reumaticis: num ceruinum conbures et sale conmisces et gingi- (26) uas fricas.

APPARATVS

cor-

CRITICVS

De iis correctionibus, quas per se irrefutabili ratione fieri necesse est, ut «m»anditur uel emend[ent]es, sim., in apparatu critico siletur.

p. 197 27 astelle S cfr 199, 24 in aceto et decoce S sed cfr. NH et Mpl

p. 198 In summa pagina: Qui noscit me diligit me nam

Cfr Vulg. I Ioh 4, 7.

fiant S? fe- S! 4 exaquabis S 7 ad seclusit Heim 11 septe inaceti S expuetur S? puet S! 16 hinc scripsi: hunc S hoc Heim 17 dentes 5 ictus uidentes S (21) colluat scripsi:

os collutum)

colligat S

23 fuli 5

cfr NH

(conlui

dentes)

Marc.

(c. lacte

2 12 21 ...

26 etindedentes S? etindentes S!

p. 199 10 ut S cfr e.g. 234, 4 et saepius bigumen S 17-19 (pos)ca - ore litteris minutioribus exaratum 18 teneat S? tenet S! 24 suppleui dice S 25 salata S cfr Ann. p. 200 suppleui leui

ex coniectura

e NH,

MPI,

in scripsi: ui(dentibus)

Ps. Theod.

S

4 melli et

S

8 supp-

Prisc.

14 lapilla S cfr p. 199, 13

ANNOTATIONES

AD

SERMONEM

LATINVM

ATTINENTES

p. 197 26 gargaridiet: (cfr TLL 6, 1694, 15 sqq.): sc. is qui patitur (sic passim, u. Oennerfors, Stud. philol. p. 53, ann. 8.)

27 NH 24, 41; MPI 1, 13, 4. 28 sq. NH 24, 42; ΜΡΙ 1, 13, 5; Marc. med. 12, 39. 29 sq. MPI

30 pampina: acc. masc.)

1, 12, 2.

TLL Gloss.

10:1,

184, 20

III 300,

«neutr.

72. 427,

61

nom. ... nom.

sg. (pampin)-um pl. Arnob.

(nisi latet

ad Greg.

20 p.

429, 13...» — eius rubi: Saepe nomen (res), quod (quae) praecepti (praescriptionis) caput est, ut eferatur, per pronomen (seu pron. cum subst.) uice eius fungens

repetitur, e.g.

186,

12 lasar, solues

eum;

191,

6 lucerna

206

Alf Oennerfors

noua, .. imples eam; 195, 16 mulier .., lactem eius; 199, 21 herba squiamum, radix eius decocta; ib. 26 herba solata, ... eius baccas.

io-

p. 198 1 NH

24, 152; MPI

1, 13, 6.

3 paciatur: sc. is qui patitur, cfr. ad 197, 26. 4 licet ... uellis: licet cum coni. = licet cum inf. TLL 7, 1361, 31 sqq. (inde a Naeuio et Plauto); H-Sz 605. De uellis, uellit, uellint, vellibat, vellibant

uulgaris sermonis formis cfr Sommer p. 534 (CIL V et VID; Svennung, Unters. p. 454, ann 3; Diehl, Inscr. Chr. III p. 614; Antidot. Glasgow. ed. Sigerist (1923) p. 141,

mulas

Senonenses

17; Vielliard p. 174, quae etiam

citat (Beszard

Vitensis

hist.

persecutionis

Afr.

tractamus, apparet, u. C. Halm,

prouinciae

(saec.

V

ex.),

1879, p. 90; Loefstedt, Philol. Kommentar p. 207 de Peregr. Aeth. ubi plus e Vict. Vit. exemplorum;

et For-

1927, p. 37). - De velle uerbo in peri-

phrasi, quae hoc Sangallensis loco, quem Victoris

Fredegarum

Berolini

10, 7, al,

adde: Liechtenhan, Anthimi obseru.

cibo-

rum, ed. 1967, p. 2, 5 cum interpretatione p. 34. 6 ex eo aceto: i.e. eius aceti potionem;

cfr gen. part. libere adhibitum,

ut

e.g. rafani cocti in cibo datur infra 201, 11, inde expuetur infra 12. - in os: cfr lac (196, 9) et uas (193, 26; 195, 10, al.) formas pro abl. sg. usitatas. 6-9 cfr «Erani» 83, 1985, 242; hic de manus nomine generis masc. - Noua

luna - exputo: uersus septenarius trochaicus ratione accentus, non numeri, compositus, cfr D. Norberg, Introd. à létude de la versification latine

médiévale (Stockholm expuo

legerunt,

mone

uulgari

Class. Review»,

1958), p. 114 sqq. Skutsch et Heim putres uermes

sed inutiliter quidem, frequens

nam

fuit, cfr Miháescu

N.S. XXIX

anaptyxis (1978).

(1979), 97; supra

(epenthesis) in ser-

8 147; Oennerfors,

«The

192, 21 ceraticula - cra-; de

ex(s)putandi uerbo TLL 5, 1910, 1 sqq. (Orib, Alex. Trall.). 9 Cfr. NH 28, 182; ΜΡΙ 1, 13, 11.

10 idest: u. TLL 7, 467, 82 sqq. («sententia explicatur») de id est cum acc. et nomin. abs. 10 sq. oculi ... guttulam: talis confusio casuum (hic nom. et acc. 'praescripti) in nostro textu saepius occurrit, cfr e.g. infra 22 contritos - fusi. 12 expuetur: sc. id quod decoctum est, u. Oennerfors, «Stud. philol.» (1963) p. 159 sq. 13-17 cfr. «Erani» uol. cit., p. 242 sq.; supra p. 5 («Konstruktionsloser

Akk. oder Nom.»). 14 putredi; cfr e.g. caligene (= -iginem) 193, 6; septema 201 in marg. inferiore; cfr Loefstedt, Langob. 64 sq. - 15 sq. ad te (me) adtingere - trans. attingere («surripiendi causa, hostiliter» TLL 2, 1143, 74 sqq, ubi attingere ad

pro locutione geographica solum affertur, 1145, 5 sqq. - 16 ne caput meum: ne - ne - quidem, H-Sz 447 sq. - Hinc nomen: - deinde nomen tuum).

17 sqq. Cfr. Marc. med. 12, 48. molarum: - «mola de dentibus tam hominum

quam

TLL

8,

bestiarum, qui aliter molares, genuini, maxillares appellantur»

1336,

10 sqq.

(Ps.

Soran,

Itala,

Anthol.

Lat.

ed.

Riese

1 205,

3.

De Physica q.u. Plinii Sangallensi Theod.

207

Prisc, Chiron, u. Ahlquist, Studien zur spátlat. Mulomed.

Chironis

(1909) 123 sq.; Junel, In Cassium Felicem studia (1936) p. 18, ann. 1). 18 de ... uenit: de hac asyndeti sententiarum formatione u. H-Sz 670. 20 pausat sc. dolor, sic iam 186, 29; pausare i.q. 'desinere' et in Phys. Bamb.

(9, 3) et in e (2, 22,

11) et apud Caelium

Aur. Chironem,

al, occur-

rit; cfr Svennung, Unters. p. 548. -utraque: sc. parte.

21 Marc. med. med.

ed.

12, 38; cfr NH

Howald

- Sigerist

28, 182; MPI p. 251,

1, 13, 11; 6 1, 36, 52; Plac.

col. dextra,

61

sqq.

(caprae

lactem

mulgeat). Mulgere 3: ae coniug.: u. TLL 8, 1566, 63 sqq.; Marc. med. 23, 61 caprae ... mulguntur; Orib, al. 22 cimisces

= cimices, cfr Svennung,

Wortstud.

p. 134, ubi cissura

sura (ap. Grammaticos), piscis - picis Jórimann

= scis-

p. 68, 22 affert. Cfr Plin.

nat. 30, 24 e malua cimices infunduntur auribus.

26 dentifricia: Cfr. Loefstedt, Synt. J. Grub,

Das

lat. Traumbuch

1? (1942) p. 27 sqq, praecipue 48 sqq;

im Codex

Ups.

664

(diss. Coloniensis

1984),

p. 274 et 283. 27 lege: de «quo» uasa. 27/28 atramentarium TLL 2, 1091, 39 sqq. e duobus fontibus profert, Vulg. Ezech. 9, 2; 3; 11 et Hier. in Ezech. 3.9. 30 lemtiscis = lentisci; de m falso pro n ante d, t scripto Sommer p. 237 (damdum, sentemtiam, piemtisimo, al.). p. 199 1 NH 28, 179; MPI 1, 13, 11; Q 39, 4. 3 sq. Cfr. Marc.

med.

11, 3. - lentisci fasciculum -

resinae lentisci f. Plin.

nat. 24, 43 (medicum) usum lacte caprarum, quas lentisco pascebat, «die er mit Bláttern des Mastixbaumes füttern liess» Kónig et Hopp, sed TLL

hic lentisco pro resina -i interpretatur, 7, 1159, 76 sqq, ubi de lentisco: |. nomen arboris; 2. de ipsa arbore; 3. de resina, quae ex inciso cortice -i arboris manat (ib. 1160, 29 sqq.); Cels. decocta -us; Marc. med. 11, 3. 4 partis: de -is acc. casus plur. terminatione - -es in sermone Latino pos-

teriorum

temporum

u. Loefstedt,

Langobard.

40, sq. etiam

infra 202, 9;

13; 204, 12; 230, 26; 236, 15; 245, 8, al.; cfr -is nom. plur. terminationem (Loefstedt ib. 39 sqq.) infra 229, 20; adiect. 233, 20. 5 sq. Cfr NH 24, 42. - Exsolidare Thesauro L.L. ignotum est, sed cfr. 5,

1084, 75 sqq. 'de uaria ui' sc. cum ex- compositorum; 'von Grund aus', völlig’ Georges 1 2500 (emori enecare al.); gingiuas constringere Q 36, 13; ad -as confirmandas Marc. med. 12, 27; -as siccat et adstringit ib. 13, 7 lenius: sc. id quod componitur, cfr ad 198, 12. 9 sq. Cfr. Marc. med. 12, 33. - gumini - -e, u. supra p. 196; cfr. TLL 4, 1379, 65 sqq.; cummi Pallad, Marc. med, Isid, al.; Rose ad Theod. Prisc. Ind. p. 505. - quam: synesis generis (nomen herbae obuersatum est), H-Sz 439 sqq. - agusto: Sommer p. 110, iam ante a. 79 p. Chr. Pompeis titulo confirmatum;

11 Cfr NH

Miháescu

30, 23; ΜΡΙ

8 132. - bitumen

inponatur: cfr. Marc. med.

1, 13, 8; Marc. med.

12, 3.

12, 31. De -us pro -os in acc.

208

Alf Oennerfors

plur. cfr Loefstedt, Langobard. nosus 236,

86 sqq.: infra cauliculus 200, 21; Ad tormi-

11; bulbus 245, 23; submeiolus

247, 4, al.

12 Confusio, ut uidetur, duarum structurarum, i. e. 'cochleae incisae lapillus' et ‘lapillus, qui in cochlea incisa inuenitur; cfr supra 185, 30 lapillus de cochlea incisa qui inuenitur. 13 (lapillus) infusus: infundendi uerbum solidas res pro obiectis saepe habet (i. q. imponere);

TLL

7, 1515, 59 sqq, sed fusius Sundelin (in TLL ne-

glectus) p. 76 sqq.; adde e.g. Plin. nat. 30, 24 (supra ad 198, 22); Marc. med. 16, 44; 23, 79. Et cfr fusi supra 198, 22/23. 14 sane: i.q. sed, H-Sz 493; cfr Phys. Bamb. Ind. 15 sine ferro (legere, sim.) u. Rothschuh p. 31, adde: e.g. NH

16, 19; 19,

58; 20, 106; 23, 35; 24, 12; 103; 149; 171; 176; 25, 14 (bis); 26, 25; Marc. med. circ. 15ies; infra 207, 26; 213, 21; 218, 8; 223, 22. 23 sq. Cfr NH 25, 170.

24 sq. ΜΡΙ 1, 13, 4; cfr. NH 24, 41; Cass. Fel. 32, p. 65, 12.

25 solata: (Miháescu inuenerim, Wortstud.

Haud ignoro uim assimilationis uocalium, in primis e, i>a 8 116; Sommer p. 112 sqq.), sed exemplum o » a nusquam cum hoc loco ad formam salata participia q.s. (in)salata (Svennung, p. 90; 118; Miháescu 8 299) scriptorem egisse suspicor, quae

originem uocum nostrorum temporum q.s. salade, Salat, sallad (Suec.), insalata; salad fuisse constat. De solata herba Ps. Apul. p. 135, 1 sqq.; herbae

solatae bacas commanducet (ad dentium dolorem) ibid. p. 136, 1 sq. 26 27 23 cfr

rusea: pro russea, cfr. supra p. 196 («consonans simplex pro duplici»). Submasticare deest in lexico Georgesii; sed u. Ps. Theod. Prisc. p. 277, submasticet. - Procussis in manum = Percussis (sc. dentibus) manu, 200, 1 percussa manu, et compara Cass. Fel. 32, p. 66, 6 ad dentes ex

percussu

agitantes.

- De

saepissime pbseruamus,

pro(-)

= per(-)

u. Oennerfors,

quod

in "Physica

Stud. philol.

Sangallensi'

(1963) p. 38, ann. 33;

40 ann. 43. De in cum abl. pro puro abl. instr. in Latinitate posteriore u. H-Sz p. 126 sq.; cfr. e.g. Itala num. 22, 23 percussit ... in uirga; Vulg. Iud. 15, 15 interfecit in ea mille uiros; Luc. 22, 49 si percutimus ... in gladio. 28 sq. ad (instr) saetam

praecidere etiam infra 249,

13.

29 sentire absol. i. e. 'effectum alcs rei’ uel ‘curam sentire’ etiam 241, 13.

30 quod: u. H-Sz 573 sq. quod

= 'was das betrifft, dass’, ‘wenn’. - gros-

sum: sc. malum, TLL 6, 2337, 51 sqq. «subst. grossum, -i, sc. pomum (ficus); Colum. 12, 44, 8 tempus, quo ... grossa uariaque sint acina aliter quam TLL («non matura» ibid. 45 sqq.) interpretatur W. Richter (ed. «Tusculum»

1983),

«die

Zeit

..., in der die Beeren

... schon

voll und

gefärbt

sind»; ib. 12, 47, 3 grossa sc. mala: «halbgar». p. 200 1 sq. cfr Garg. Mart. 40 (p. 178, 1 sqq.) Pirorum stypticam credidit; Gloss. med. ed. Heiberg p. 58,

naturam Dioscorides 10 Pirorum naturam

stipticam esse ait Yppocrates; Marc. med. 20, 25 sq. de piris, malis, palmis, al., in medicamentis;

recentibus

.. admota

uulneribus

.. perducere

De Physica q.u. Plinii Sangallensi uulnus

ad cicatricem,

sc. pira,

209 Garg.

l. cit. - percussa

(n. pl)

manu

in

dentibus si intumuerint: i.q. si eae partes dentium, quae manu percussae sunt -- conmastica: sc. malum illud cum granulis et piris cum ficis. 2 oris Ξ ori (dat. commodi)

3 sq. Cfr Marc. med. 12, 51. 4 Lycio, sec. TLL 8, 607, 55 non nisi ap. Marcellum.

6 pummica (cfr supra p. 196, «geminatio consonantium») Svennung, Wortstud. p. 114; 'Phys. Bamb.' 20, 8.

= punica,

6/7 cogere: TLL 3, 1522, 82 sqq.: «res molles, liquidas, lentas, quarum

u. par-

tes in unum corpus tamquam coalescunt». 7 ligato: sc. araneum uiuum. Conferendum est hoc praeceptum cum magico Marcelli ad dolorem uuae med. 14, 68: Araneam ... prendes et nomen eius dices, cui medendum erit ... Tum ipsam araneam in chartam uirginem lino ligabis et collo laborantis suspendes die Iouis, sed dum prendes

araneam uel phylacterium alligas, ter in terram spues; phylacterium (fy-) et Marc. med. 8, 27 et 14, 30; 21, 8. 8 NH

28, 258; 259; MPI

1, M, I; © 1, 42, 6; Ps. Theod.

Prisc. p. 278, 20 sq.

8 sq. in argento - eramento: deest in NH, MPI, Ps. Theod., ©. 9 aeramentum: TLL

1, 1053, 31 sqq.: l. i.q. aes (complura exempla e

litte-

ris posterioribus). Plur. 33, 94 ('Kupferspáàne NH König et Winkler). 2. instrumenta,

ornamenta,

uasa aerea (CIL, Colum,

Plin. nat.).

10 sq. NH 28, 259; MPI 1, 14, 1; Q 41, 1. 10 cadent: uerisimile pro cadunt; cfr e.g. Recueil Niedermann p. 44 et 68 de cadere 2: ae coniugationis (Ital. cadére, Francogall. choir, Hisp. caer, al.)

11 sq. NH

32, 137; MPI

1, 14, 2; Q 41, 2; O 1, 42, 2 sed ubique delphini

pro uulpis!). 13 tanguntur: structura h.l. fort. inuersio quasi quaedam passiua illius actiuae

est, de qua Svennung, Unters. p. 228 (si ipso dente gingiuae tangantur Plin.). 14 dicitur: synesis numeri.

14/15

... insolitus

den Zähnen tium

(«das

dentium

knirscht» Knirschen

stridor insaniae

Scheller-Friboes); der

Zähne»

signa

Marc.

sunt

med.

Kollesch-Nickel).

est dictio Ibi erit fletus et stridor dentium

(«wenn

einer

mit

12, 44 stridor denE Vulgata

notissima

(Eu. Matth. 8, 12; 13, 42).

17 sq.: i.q. tere pedem conbustum in cinerem. 19 folia decocta pro sing. fem. abl. - singulari numero

collectiuo, ut dici-

mus - accipiendum uid., ut infra u. 23 et 244, 2 murte folia ... aspersa sanant (intrans.) testiculi.

20 morte - murtae, i.e. arbores murti, ut uid.; sed de annexu quodam her-

bae (b)rusci cum myrtis nihil repperi, nisi quod Dioscurides 4, 144 de 'rusculo aculeato' narrat.

22 Cfr. Scrib. Larg. 61; Marc. med. 11, 26. 24 malegranatae:

de mala sg. fem.

TLL

8, 208, 27 sqq. (de fructu Itala,

Chiron, Orib., al.); Svennung, Unters. 117 sq.; formae compositae in 'Phys. Sang.':

246, 7.

malecorium

195, 5; malegranatae

gen. sg. etiam

231, 2/3; 238, 4;

210

Alf Oennerfors

oooz

SIGLA CODICVM

cod. Bamb. med. 1 s. IX cod. Bamb. Med. 2 s. IX cod. Sangallensis 751 s. IX

codd. Florentini et Pragensis (EFP) s. XIV/XV, cfr. Oennerfors. Stud. Philol. p. 41 sqq.

COMPENDIA

SCRIPTVRAE

H-Sz

Hofmann et Szantyr, u. Conspectum librorum

MPL NH

Medicina q.u. Plinii Plinii maioris Naturalis historia

TLL

Thesaurus Linguae Latinae

CONSPECTVS

LIBRORVM

QVI

ABBREVIATI

AFFERVNTVR

Heim, R., Incantamenta magica Graeca Latina, Jahrbuch gie 19, Supplementband, Leipzig 1893. (- Heim).

Hofmann

et Szantyr

f. class. Philolo-

J.B. et A., Lateinische Syntax und Stilistik, München

1965.

Loefstedt, E., Syntactica. 1^2, Lund

1942, 1933.

Loefstedt, B., Studien über die Sprache der langobardischen Gesetze, Uppsala 1961

(= Loefstedt, Langobard.).

Mihäescu, H., La langue latine dans le sud-est de l'Europe, Bucaresti/Paris 1978.

Norberg, D., Syntaktische Forschungen auf dem Gebiete des Spätlateins und des frühen Mittellateins, Uppsala 1943 (- Norberg, Synt. Forsch.). Oennerfors,

A., /n Medicinam

Plinii studia philologica,

Lund

1963

(= Oen-

nerfors, Stud(ia) philol(ogica). Rothschuh, K.E., /atromagie. Begriff, Merkmale, Motive, Systematik, Opladen 1978 (Rheinisch-Westfälische Akademie der Wissenschaften, Geisteswissenschaften, Vortráge G 225). Sundelin, T., Ad Theodori Prisciani Euporista Adnotationes, Uppsala

(Comm. acad.) 1934. Svennung, J., Untersuchungen zu Palladius und zur lateinischen Fach- und Volkssprache, Uppsala/Leipzig 1935. Svennung, J., Wortstudien zu den spätlateinischen Oribasiusrezensionen, Uppsala 1933. Vielliard, Jeanne, Le latin des diplómes royaux et chartes privées de l'époque mérovingienne, Paris 1927.

Plinii Nat.

hist. aliquot locis per interpretationes,

Hopp, Winkler, «Tusculum» affertur.

quas

fecerunt

Kónig,

Klaus-Dietrich Fischer

AN EDITION AND TRANSLATION OF THE PSEUDO-HIPPOCRATIC EPISTULA DE VIRGINIBUS !

In 1943 - almost sixty years ago -, Henry E. Sigerist published an ob-

viously incomplete text of roughly gynecological subject-matter from a ms. in the Bibliothéque municipale of Vendóme under the title Fragmentum de

matrice ?. He was at that time, understandably, unaware of any collateral transmission of this text. In the course of the years, four more mss. with this little treatise have been identified, and it may be expected that as our knowledge

come

and

to light?.

control

of medieval

Scholars

mss.

familiar with

grows,

additional

the transmission

witnesses

will

of ancient

and

! An article entitled Die pseudohippokratische Epistula de uirginibus. Bemerkungen zu ihrer Textüberlieferung und zu ihrem Vocabular has appeared in «Les Études Classiques» 70, 2002, 101-

122, in which the transmission and content of the Epistula are discussed from a and where full bibliographical references are provided for those items alluded to the author's name. Once more, I record with gratitude and appreciation the help different levels, by David Langslow, Manchester. Monica Green has generously her profound knowledge of the field of medieval gynaecology and criticized (and

different angle below only with given, on many shared with me thus improved)

a number of points in this paper, as well as passing on information both published and unpub-

lished; I thank her sincerely. 2 Henry E. Sigerist, Early mediaeval medical texts in manuscripts of Vendóme, in «Bulletin of

the History of Medicine» 14, 1943, 68-113, at p. 101. 3 Monica Green acquainted me with this entry in a catalogue (unpublished) from the Library of Christ Church in Canterbury, dating from between 1284 and 1331: 495. Genecie, Cleopatrie ad theodatam, ii. In hoc uol. cont.: Liber Aristarchii et Iusti medicorum tractans de uirginibus. Spera Pitagore de uita et morte.

Spera Apulei Platonici de eodem. Liber febrium. Liber de curacionibus ydropicorum. Gesta Alexandri Magni.

Epistola eiusdem ad Aristotelem. Fabule Ysopice. It may be assumed that the Liber Aristarchii et Iusti medicorum tractans de uirginibus is identi-

cal with our Epistula; Iustus is known from the Vicenza ms., where his colleague is not Aristarchus but Eristratus, which I corrected in Erasistratus, in view of the link with Vindician's Gynaecia.

212

Klaus-Dietrich Fischer

medieval gynecological texts will know that the decisive step forward, as far as our knowledge and understanding of the Epistula de uirginibus is concerned, was made by Monica H. Green *, when she discovered a hitherto

unidentified

tween

witness

in

a Vicenza

the 9th cent. Berlin Phillipps

ms.

and

recognized

the

link

be-

1790, the oldest and longest version

known today, and Sigerist's Fragmentum de matrice ^. This connection had been

missed by a number

medical

of specialists working

texts in the middle

ages, namely

Beccaria,

on the transmission Wickersheimer,

of

Baad-

er 5, and Pearl Kibre, because the incipits differ considerably, and the connection only becomes evident when one goes beyond. Since many small medical treatises circulating in the early middle ages are represented by just one or perhaps two mss., five is quite a respectable

number,

reflecting

the considerable

interest

the Epistula

met

with. This hinges on the fact that the Epistula de uirginibus deals with

a problem that is crucial for any human society - female fertility, which is the decisive factor for human reproduction. The more children there are, the greater the number of work

warriors

hands, perhaps also of

there will be, and the better the chances

a community

will

have to survive and to acquire power and wealth. (The reasons why this seemingly timeless assumption has been invalidated over the last fifty years need not concern us here.) So the Epistula’s focus is on female fertility, the prognostication of reproductive outcome (i.e. the number of children) and female health, each of which is seen as depending on the girls age at menarche. As a glance at the badly preserved text or rather,

three versions

of the text, makes

clear, these fore-

casts have their foundation in popular belief, but the pathological conditions and their etiology, as far as we can understand the text, are not products of mere fantasy, they derive from experience and sometimes tie in with serious medical literature. The content of the Epistula and its popularity from the beginning to the end of the middle ages should warrant the attention of specialists not only in womens studies but in social and medical history generally, while philologists, both Latinists and Romance scholars, will discover some interesting and occasionally puzzling new material.

5 Monica Helen Green, The transmission of ancient theories of female physiology and disease through the early Middle Ages, Ph.D. thesis Princeton, 1985. The fragment in Vendóme 175 is discussed on p. 162-163. 5 Cf. Medieval Gynecological Texts: A Handlist, published as an appendix to Monica H. Green, Womens Healthcare in the Medieval West. Texts and Contexts, Aldershot 2001 (Variorum

Collected Studies Series), p. 14f. 6 Gerhard Baader, Der Berliner Codex Phillipp. 1790, ein frühmittelalterliches medizinisches Kompendium, in «Medizinhistorisches Journal» 1, 1966, 150-155.

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula...

213

TRANSMISSION

The text of Ps.Hippocrates' Epistula de uirginibus is transmitted by the

following mss. 7: P

Berlin, Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz,

Phillipp.

1790,

s. IX

(first half), fol. 32"-33" M H

Montecassino, Biblioteca della Badia, Cassinensis 69, s. IX**, p. 4a-4b British Library, London, Harleianus 4977 ?, s. XII'^, fol. 120"

S

Bibliothéque

municipale

de Vendóme,

Sigeristii

cod.

Vindocinensis

175, s. XI (late?), fol. 44"-45'

V

Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, 287, s. XIII (first half), fol. 141*1427

The text is in general in such a bad state that it seems impossible to construct

a critical text in the normal

sense,

a text that would

aspire

to

come as close as possible to what the author or redactor wrote. Instead, three separate versions will be edited. To facilitate comparison, the same section numbers are used even if the sequence in a particular version happens to be different (this applies to Version C, represented by H and V). Furthermore, this will make it easier to follow the evolution of a text in use over the span of at least half a millennium. Fortunately the establishment of groups of manuscripts presents no problem. P is the oldest witness with the longest text, marked by a proper

Explicit epistola, and is the only representative of the first group. The second group, closer in time to P, offers

a more complete text for sections 5-

7, but lacks 14-19: the scribe of S gave up in the middle of a word (perhaps in desperation), while the Montecassino ms. M unfortunately has lost the following leaf which presumably contained the continuation of

7 Descriptions of P, M, S, and

H may be found in Augusto Beccaria, / codici di medicina del

periodo presalernitano. Secoli IX, X e XI, Roma 1956 (Storia e Letteratura. 53) and (S only) Ernest Wickersheimer, Les manuscrits latins de médecine du haut moyen áge dans les bibliothèques de

France, Paris 1966. I am grateful to the libraries concerned for permission to publish the Epistula. 8 Pearl Kibre, Hippocrates Latinus. Repertorium of Hippocratic writings in the Latin Middle Ages, revised ed., New York 1985, p. 158a, gives the shelfmark 165, which is wrong; it relates to the no. in Valentin Rose's catalogue, Die Meermann-Handschriften des Sir Thomas Phillipps (Verzeichnis der lateinischen Handschriften der Kgl. Bibliothek zu Berlin. 1 = Die Handschriften-Verzeichnisse der Kgl. Bibliothek zu Berlin. 12), Berlin 1893.

9 Dr. Justin Clegg, British information: «... This volume, mentis', is referred to as being in fact suggests a slightly later

Library, London, kindly supplied, in October 2001, the following which is described in our catalogue as 'Eresii Liber de Medicafrom the eleventh century. However, the palaeographical evidence date, such as the early twelfth century, and also points to a conti-

nental origin, such as northern France...».

10 Henry E. Sigerist, Early mediaeval medical texts in manuscripts of Vendóme, in «Bulletin of the History of Medicine» 14, 1943, 68-113, at pp. 101-102; fig. 5 shows fol. 45r.

214

Klaus-Dietrich Fischer

the treatise. It is of course impossible to ascertain whether M would have continued, on the lost folio, to the very end of the Epistula, i.e. section

19

in P.

Nevertheless, a text that can be read and understood is perhaps easier to construct

for these

two

witnesses

(M

and

S) than

for P or the third

group. This third and final group is represented by manuscripts H and V; both break off early (H in section 12, V in 11). The three versions will be referred to as A, B, and C (A = P, B = MS,

C = HV). This roughly reflects

the chronology of the mss. and may well correspond to the likely changes and modifications introduced at later times. Each version will be provided with its own apparatus criticus. In the commentary, however, all versions will be treated together. Spelling: Classical -ae- is represented by ae, e, and e in the oldest mss.

P and M; S has a mixture

of e and

e; H uses e once,

and V has e

throughout. I have indicated departures from the spelling of classical ae in the mss. PMS and tacitly restored ae in HV. Similarly, -ci-, where it stands for classical -ti-, is always printed as -ti-. The punctuation of the mss. is, as a rule, not reproduced, neither is their use of capital letters. Other changes from the reading of the mss. are documented in the apparatus criticus.

A glance at the apparatus suffices to show that S and V (or the exemplars they reproduce) interfered with the transmitted wording in order to restore sense or Latin morphology and syntax according to the rules in force in those times. Our text of versions B and C will therefore adhere more closely to what is found in M and H, respectively. All mss. clearly show that they derive from an archetype displaying Vulgar Latin (or Late Latin) morphology and syntax. For two reasons, the tradition has not al-

ways been respected: first, because I assume that the original form of the pseudo-Hippocratic Letter on Virgins was originally closer to standard Classical Latin, and secondly, to make the way I construe and interpret the Latin text more immediately obvious without obliging readers not familiar with Late and Vulgar Latin to refer constantly to the apparatus or the commentary, though I am acutely aware that Vulgar Latin specialists may well have preferred closer adherence to the readings of the mss.

VERSION À

1.

Incipit epistola yppocratis de uirginibus dicentis 2. uirgine ut sit casta sicut calix usque ad annos X, quousque menstrua sua proueniat ei.

3.

Adtamen cui si[c] tempore , XXX anno menstrua perit et uiuit usque ad summa aetate. cum doloribus multis et partum unum ferit.

4.

Cui XImo anno uenerit, usque ad annos LX menstrua Duos partos suculat et inde apud ipso morietur.

sua ordine suo habet.

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula... 5.

Cui XII"9 anno

uenerit, usque ad summa

215

aetate sine ullo dolore

uiuit et

tenebit usque ad XXXIIII annos menstrua sua [tenit].

«...» Et superueniunt illi in suffragine gambarum

uenas nigras uerticillatas.

In tertio partu morietur. Cui XIIII anno

uenerit, similiter menstrua sua usque ad summam

etate ten-

it. «...» Tplenaria de menstrua sua seditt Si per negligentiam [suam] per suffocationem sua menstrua perdiderit et matrice se clauserit et de loco mutauerit, si apparuerit uelut «aqua», aqua uernantia

peruaporatur

et per pissaria

perennis

reuocat,

quia

multigeneres

dolores ammittit quando in loco suo non est.

Etiam de ipsa matrice surgunt tres uenolas qui tenunt stomacum et ipse stomacus abet alias uenas II qui uadunt ad corde et alias qui submutant in cerebrum. Ipsae faciunt offocationes et inflammationes in pectore et multas alias insidias in capite producunt. 11.

Propterea adtrait neruos uel «est», propterea uacillicat «et» summa uertice[s] caput, aures multis coloribus «et» caligine labia adque pedes calescunt.

uenas; quia stomacus domicilius corporis nauigat et colera crescit et flegma et dolet tinniunt, multa genera ignis toculis uerot uexantur. Nares uero commouit summa uel

12.

Huic autem ulcerata est matrix. Constringunt omnes uenas tconstringunt uel usque cautet maxillae tconpiescuntt.

13.

Huic autem si polypodiae tquet fici in nares creantur [et] quia ipsa materia uenenorum ipsorum educit se ad tympanum stomachi et fiant omnes

uel

neruora

umores tin redactat uulnere matricem claudunt et post hoc tapostomatici tempust humor polypodiae reuertuntur in uenas quae pulmonalis uocantur qui degestionem in police habet et tenet cerebrum; uexantur oculi et consensu oriuntur «...». 14.

Omnis membri in calore formicitantur usque coniunctionibus pectoris, quia et umores adiungantur, hoc est sanguis et menstrua, «et» superueniat colera. Propterea pondus in corpore descendunt usque et solit matrix ipsa foris uersus cadere.

15.

Et uix ualeat sessus maioris uel minores, hoc est urinam proicere, proinde

acciderit dolor ad stomachum et stomachus trait ipsam dolorem in capite. Et exinde procedit omni corpus, ut nulla dilectatio eis sit loquendo, ut et ipsi dentes toti in dolore mergantur et sicut amens generum prodigia significa[n]t

Nascitur dolor

[dolor] in renibus

et in uissica;

[et] in sopori-

bus uero multas insidiantur insidias. 16.

Sed totum ex hoc pissaria et operationem clistere [uel] utere debit. {Trahit

216

Klaus-Dietrich ut polipo deffecit illit et cludunt Haec

17.

autem

sunt intrinsecus

ficis ex colera.

defecit.

aut fleoma manantur. foras habent. 18.

Si autem

matrix

uel tuitiot

qui urina

Fischer

ministrant.

terist uiscera.

renium

dolorem.

fici.

albister.

Polypodiae rubi qui sanguinem

ab annis tfeminium

reuocata

intrinsecus

reiciunt.

reiciunt, degestionem

ad sanitatem.

tam de matrice uul-

nerum- quam de humo. quam de humorem. polipodie se iterum se captiuata.f exinde dolor in capite redierit et sudor tam calida quam frigida consurgerat, facilem se ex maleficio excitauerint «quod» periculum fert. Illae [et] tiriaca et filonium utentur et uarias potionis. titemque ex flecma. pro-

miscus sanguinem hact oportit utere, reuocans ei ad sanitatem. 19.

Nam si intrinsecus fit, grauissimis talia commoue«n»t omnes humores. Malum est, seuirum periculum est. Si femina ratione de superdicta causa fuerit «...», hoc officationis pectoris maiores et fel milinum significat; non oportit

constringere, quia «in» defectione magis potionem accipiat. thaect bonum est. sed inde stomacom in defectum habet quod cybus non conficit, «et» ex flecma infrigdatur, proinde esca non recepit. Malum tarde ministratur. Subponit ulcera, matrix [claudit] modo

claudit, modo aperit.

Explicit epistola

APPARATUS CRITICUS, VERSION A (P) 1.

dicentis] dicente P

2.

casta] stagna MHV

stagnum S

lacunam indicaui | anno] annos P | doloribus] doloris P suculat] sucollat P lacunam statui lacunam statuit Grensemann P | partu] parte P

| suffragia P correxi | uerticillatas] uertice latas

lacunam statui | seditt] an redit? si per] super P | sua] suam

P | se] si P | si] se P | lacunam

suppl. exempli gratia Grensemann

| multigeneres]

indicaui; «aqua»

multis genere P | quando

scripsi quia P

10.

ipsae] ipsius P | offocationes et inflammationes] offocationibus et inflammationibus P (fortasse inflationes secundum MSHV scribendum) | producunt]

produntunt P

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula... 11.

217

est addidi | quia] quas PS correxi sec. M | corporis] corpore P | uacillicat ] uacilecat P | tinniunt] tynnitus P | ignis scripsi signa P | uexantur] uexatur P

12.

huic] haec P | neruora] neruosa P | maxillae] -le P | lacunam indicaui

13.

huic] haec P | polypodiae!] polipodie P | uenenorum temptaui uenenum P

|

se] sed P | polypodiae?] polipodie P | quae] que P | in uenas] iuuenas P

|

uexantur] uexatum P 14.

quia et temptaui qui habet P | hoc est scripsi oc et P | post usque fortasse nomen partis corporis excidit

15. 16.

| lacunam statui

sessus] sexus P | sicut amens] sicuta- mens- P | et seclusi clistere] adsistere P | [uel] utere debit] uelut redebitur P | et cludunt] exclu-

dant P 17.

polypodiae] polipodie P

18.

fert. Illae et] fertilem. ex P | filonium] fol- P | uarias temptaui uadit ut P

19.

lacunam statui | inde scripsi unde P | infrigdatur temptaui frigaturum P ministratur] an menstruatur scribendum?

VERSION

B

(The text is based on M, the older ms., which shows definite signs of Romance usage, while the text represented by S obviously was tidied up by somebody with aspirations to good Latin, sometime between the 9th c. and the time when S was copied.) 1.

Initium sumamus a

uirginitate. 2. Virginitas est gratia ut sit stagna sicut ca-

lix usque ad annos X, [que ei] usque menstrua ei superuenerit. 3.

Adtamen

si decimo anno

uiuit usque

ad summam

menstrua ei uenerit, XX anno ei menstrua perit et

aetatem

cum

dolores multos

et partum

primum

feret tantum.

4.

Cui XI anno uenerit, usque ad annos XXX menstruam II partus suculat et in secundo fetu rnorietur.

5.

Si XII anno uenerit, usque ad annos XL menstruam sua habet et tris partus pariet sine periculo et dolores maximos patietur et intumiscunt illi tibiae et pedes cum grauis fuerit.

6.

per ordinem

habet.

Si XIII anno ei uenerit, usque ad annos L menstrua sua fruniscet et plures partus feret. Sed crescunt eis uenas in coxas uel tibias et fiunt uerticulosas et nigras; quod si crepuerint, periculum ferent.

|

Klaus-Dietrich Fischer

218 Cui XIIII anno uenerit, usque in summam

aetatem ei menstrua minima

non

fit tnon si aliquid feceritt et plures partus pariet et multum sana est et ante partum dolores non habet, quia per legitimos annos ei euenerit menstrua, qui plenarii de menstrua sua debent esse. Si per neglegentiam

menstruam

suam

perdiderit aut per suffocationem

et

mater se cluserit et de loco mutauerit, si apparuerit uelut aqua uerninca

peruaporatur

et per pessaria

perennis

reuocat«ur»,

quia

multigeneres

dolores admittit quando in loco suo non est. Etiam de ipsam matricem surgunt tris uenas, qui tenent stomachus.

Habet

alias uenas II qui uadunt ad cor et alias «quae» ascendunt in cerebrum. Ipsae facient offocationes capite producunt. 11.

et inflationes

in

pectore

et multas

insidias

in

Propterea adtrahet neruora uel uenas; quia stomachus domicilius huius corporis

«est»,

propterea

uacillicat

«et»

nauigat,

commouit

cholera,

crescit

flegma et dolet summa uertice caput, aures tinnient, multis generibus ignis oculi uel multis coloribus «et» caligine uexantur Nares uero commouet summa uel labia, plantas pedis et palmas manus calescunt. 12.

His

signis

cognosces

ulceratam

esse

matricem.

Constringunt

omnes

uenas

uel neruos tusque cautet «in» maxillis compuscunt et lingua arida et uelut arinosa, mamillae tumentes. «...» 13.

Haec autem tsignat polipodiae quae fiunt in naribus creantur, [et] quia ipsa mater ipsum uenenum per tympanum reducit ad stomachum, effluunt omnes

humores

«..»

in [re]reiecto

uulnere

claudit

matricem.

Et

post

ali-

quod tempus humor polypodiae reuertitur in uenulas quae pulmonales uocantur, quae digestionem in pollice habent et tenent cerebrum et uexant oculos ...

APPARATUS CRITICUS, VERSION B (MS)

2.

uirginitas] uirginitate M

-tis S | stagna]

stagnum S

| calix] calex M

| X]

.X.

dece M | que ei usque] cui si S adtamen] attamen

S | menstrua ei] eis menstruam

anno] annis S | menstrua] menstruam

eis M

| XX MS

XXX

rel. |

MS | perit] peret M paret S | dolores

multos] dolore multo S suculat] succollat MS | fetu] feto M anno] annis S | fruniscet] fronescit trad., correxi | menstrua sua] menstruam S | tris] tres S | periculo] -os M | maximos] -mus M | intumiscunt] intumes-

cunt S

| tibiae] tibia M | grauis] graues MS | fuerit] fuerint S

anno] om. S | crescunt] crescit M | eis] ei S | uenas] benas

M uene S | cox-

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula...

219

as uel tibias] coxis uel tibiis S | uerticulosas] uirtuclosas M uerticulose S | nigras] negras M nigre S | crepuerint] -rit M

anno] annis S | menstrua] -am M | partus] -os M | habet] habent M | legitimos annos] legitimus annus M | ei] eis M | qui] que S | plenarii scripsi plenaria MS | debent] debet MS menstruam suam] menstrua sua M | de loco mutauerit PHV dolo (dolor S) commutauerit

MS

| si HV

se MS

| uelut] uel M

| lacunam statui | uerninca]

uerninga S | peruaporatur] perbaporatur M | multigeneres] multos (multas M) generis MS | dolores] doloris M dolo dolores S | quando scripsi quia MS etiam] ergo S | ipsam matricem] matrice ipsa S | tris uenas qui] tres uene quae S | habet] habuit M abeunt S | alias uenas] alie uene S | cor] cordem M | alias?) alie S

10.

ipsae] ipsas MS | facient] facies MS (faciunt PHV) | offocationes] offuc- M | producunt om. S

11.

propterea! om. S | adtrahet] attrahet S | neruora] nerbora M neruos S | quia] quas SP | uacillicat scripsi uigilicat M uigilat S uacilecat P uacillat V | commouit cholera] commouet colera S | dolet] subdolet MS | uertice caput temptaui uirgicies (sequuntur aliqua macula obducta) M (qui hic folio sequenti exscisso abrumpitur) uirgo capitis S | ignis scripsi signis S ! uel] uero S | ] atque V fortasse melius | pedis] pedes S

13.

polypodiae temptaui polipocie S | naribus panum] tim- S | effluunt temptaui et fiunt quae?] qui S | police S | habent et tenent] uexat ocul S, qui in media hac uoce deficit relicto

ci. Grensemann renibus S | tymS | polipodie S | pulmonalis S | habet et tenet S | uexant oculos] amplissimo spatio a litteris uacuo

VERSION C, 1-7

Because H and V

differ greatly at the beginning,

sections

1-7 are edited sepa-

rately, in the order in which they are transmitted.

VERSION C, 1-7 (H)

1.

Incipit epistola Emogratis que ex Graecis auctoribus est. De tempora mulierum. Bonum

[s]in latinum certatus

est in uirginitate sua quod sit stagna ut calix usque ad annos X uel

quousque

menstrua sua perueniat ei.

Cum XII anno menstrua sua uenerit, usque ad summam aetatem lore uiuit et tenebit menstrua sua usque ad annos XXXIII.

sine do-

Klaus-Dietrich Fischer

220 Et solet ei in suffraginem gambarum

uenas nigras uerticillatas nasci et

in tertia uel in quarta passione perit. Cui in annis XVII

menstrua

sua uenerit,

usque

ad summam

aetatem

men-

strua sua tenebit. Cui

tempus

menstruae

suae

ad annos

XXX

peruenerit,

usque

ad summam

aetatem cum multis doloris uexabitur et partum unam(/) habet. Cui ab XI annis menstrua peruenerit, usque ad annos LX menstrua sua per ordinem habet et duos partus suculat «et» ex ipsis mortua est.

APPARATUS CRITICUS, VERSION C, 1-7 (H)

Emogratis] Democriti suspicor uel] ut H | lacunam indicaui anno scripsi annis

H

| uiuit] uenit H

ei] ea H | uerticillatas] uertigellatis H ab scripsi ad succulat H

H

| habet]

habes

H

| duos

partus]

duas

partes

H

| suculat]

VERSION C, 1-7 (V)

Epistula genecie Iusti et Eristrati medicorum de uirgine uel tempore mulierum, dicentium: 2.

Bonum

est

uirgini

ut sit stagna

quasi

calix

usque

ad

annos

X

uel

usque

menstrua sua ueniant ei. 5a.

Cui X°Vo anno menstrua uenerint, usque ad summam Cui XVII? anno sua habebit.

menstrua

uenerint,

usque

ad

aetatem uiuet.

summam

Cui menstrua sua ad annos XXX peruenerint, usque multis doloribus uexabitur et partum unum habebit.

aetatem

ad summam

menstrua

aetatem

Quae uero tenuerit menstrua usque ad annos XXXIII. Solent ei in suffragine uenae nigrae uertilatae nasci, et in tertia uel ΠῚ passione perit. Cui XI° anno menstrua uenerint, usque ad alios XI annos menstrua habebit et duos partus suciat et ex ipsis morietur.

per

ordinem

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula...

221

APPARATUS CRITICUS, VERSION C, 1-7 (V)

4.

suciat scripsi sociat V (an sucllat, id est sucullat latet?)

VERSION C, 8-12

Quae per neglegentiam prae suffocationem menstrua sua perdiderit et matrix se clauserit aut de loco suo mutauerit et si apparuerit uelut , aquae

uernantiae peruaporatione et pissaria perennis neres dolores admittit si in loco suo non est.

Tamen

reuocabitur,

quia

multige-

de ipsa matrice surgunt uenas III, qui tenent stomachum,

et ipse

stomachus habet alias uenas II qui ad cor uadunt et alias II qui petunt cerebrum. 10.

Ipsae faciunt offocationem capite producunt.

11.

«..» propterea uacillicat, colera et flegma crescit, dolet caput, aures tinniunt, et multa genera tsigna oculorumt et multis coloribus et caligine uexantur. Nares mouent uel labia, pedes plantae palmae digiti calescunt.

12.

Si autem

ulcerata

et inflationem

est matrix,

pectoris

constringunt

omnia

et multas

neruora

insidias

et uenae

in

usque

ad maxillas. Lingua arida ut arena, mamillas intumescunt et omnia membra

in labore sunt posita sicut subtus infertum est. APPARATUS CRITICUS, VERSION C, 8-12 (HV)

8.

quae]

qui H

| prae

suffocationem]

pre [macula]

ionem H

(litterae circiter 6

macula obductae) om. V | uelut] quasi V | aquae uernantiae scripsi aqua uernantia HV | peruaporatione scripsi per uaporationis H uaporationes V | perennis] sepius faciendo V | multigeneres dolores] multis generis doloris H multos dolores V | admittit] facit V

tamen] nam V | de] in V om. H | ipsa] ipse H | surgunt] sunt V | qui!] que V | tenent] tenet H | et om. H | qui?] que V | ad cor uadunt] uadunt ad cor V | qui?] que V | petunt cerebrum] cerebrum petunt V 10.

ipsae] ipsi H | multas] -tis V | in capite producunt] i. c. perducunt H perducunt in capite V

11.

lacunam indicaui | uacillicat scripsi uacillat V ualiciat H ! tinniunt] tinnitus H | multa genera om. V | signa oculorum om. V | et?] atque V | caligine]

-nem

H

| uexantur]

oculi

uexantur

V

| mouent

uel

labia]

mouent V uomitus et labia H | plantae palmae] planti palmis H | digiti V, qui in hac uoce deficit digitis H 12.

arena] arenas H | subtus] subt' H (fortasse subter significatur)

et

labia

digiti] et

222

Klaus-Dietrich Fischer

VERSION



1.

Here begins Hippocrates Letter on Virgins, who says: 2. A virgin should be chaste like the chalice up to the age of ten, until her menstruation begins.

3.

But if .., her menstruation ceases in her 30th year, and she lives to a very old age, with many pains, and gives birth once.

4.

1 menstruation begins in her 11th year, she has regular menstruation up to sixty years of age. She suckles offspring twice and will then die in her second childbed.

5.

If menstruation begins in her 12th year, she lives to a very old age and will keep her menstruation up to 34 years.

6.

«If menstruation begins in her 13th year .., she ... > and black crooked veins arise in her lower legs. She will die in her third childbed.

7.

If menstruation begins in her 14th year, she likewise keeps her menses until a very old age. «...»

8.

If she loses her menstruation through negligence because of (uterine) suffocation, and the womb closes up and moves from its place, if (menses?) appeare like «water», she is made to receive steam from alder water, and

through pessaries (the womb) is brought back for good, because rise to pains of many kinds when it is not in its proper place. 9.

10.

it gives

Moreover, three little veins arise straight from the womb which go to the stomach, and the stomach in its turn has another two veins which go to the heart and others which wander to the brain. These veins cause attacks of suffocation and inflammation

in the chest and

bring forth many other attacks in the head. 11.

For this reason (the womb) pulls the nerves or veins to itself, because the stomach is the bodys chief seat, for this reason (the woman's) movements are

unsteady and staggering, the bile is on the increase and the phlegm, and her head aches at the crown, her ears ring, her eyes are tormented with many kinds of fiery and colourful appearances and with blackouts. However, she is able to move her nostrils or the tops of her lips, and her feet become hot. 12.

In such

a woman,

the womb

is ulcerated.

All veins

or nerves are tense

...

and her jaws ... 13.

If she develops polyps and fig-like excrescences in the nose, because the very substance of these poisons moves to the diaphragm, and all humours are in (turmoil?). The wound closes the womb, and after this ... the humour of the polyp reverts to the vessels which are called the vessels of the lungs,

which have their outlet in the thumb and travel to the brain; and the eyes are afflicted and through sympathy ... arise.

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula... 14.

All parts of the body tingle in heat right up to the connections of the chest, because the humours also come in, that is blood and the menses, and bile comes on top. Because of the weight they go ever down, and often the womb

15.

223

itself falls outwards.

And she hardly manages

to do the toilet, large or small, that is to pass wa-

ter, as soon as pain grips her stomach and the stomach draws this very pain to the head. And from there it spreads to the whole body, so that she

has no pleasure in talking, so that even her teeth are completely submerged by pain, and like a deranged person she utters strange things of «all» kinds. Pain arises in her kidneys and in her bladder; in her sleep, she has to suffer many attacks. 16.

She must make use of pessaries and enemas. ... close the womb or the conduit which conveys urine. These are inside ...

17.

... from bile ... pain in the kidneys ... discharge inside, or release phlegm. Red polyps which discharge blood have an outlet to the outside.

18.

But if ... then the pain returns to the head and both hot and cold sweat ... can easily free themselves from the bad condition which is dangerous. These

(patients)

should

use

the theriac,

and

the

antidote

called

after the

physician Philo, and various potions ... bringing them back to health. 19.

Because if this happens inside the body, these things stir up all humours in the most dangerous way. It is an ill, a serious condition. If a woman for the reason mentioned above ..., this will point to major attacks of suffocation in the chest and black bile; constriction is not indicated, because in her weak state she should rather receive a (cathartic?) potion. ... is good. But her stomach is in prostration because it does not digest food and is cooled down by phlegm as soon as it gets no food. The condition is brought under control only slowly. She develops ulcerations, her womb is sometimes shut, sometimes open.

Here ends the Letter.

VERSION

B

(Differences between versions A and B are shown in bold.)

1.

Let us begin with virginity. 2. Virginity is a grace so that (the virgin) should be holy like the chalice up to the age of ten, until her menstruation occurs. But if her menstruation occurs in her tenth year, it ceases in her twentieth year, and she lives to a very old age, with many pains, and gives birth only once. If menstruation begins in her 11th year, she has regular menstruation up to thirty years of age. She suckles offspring

childbed.

twice and will die in her second

224

Klaus-Dietrich Fischer If menstruation begins in her 12th year, she menstruates to the age of forty and will give birth three times without being in danger, and she will have very great pains, and her lower legs and feet become swollen when she is pregnant. If menstruation begins in her 13th year, she enjoys her menstruation to the age of fifty and will give birth several times. But in these (women) veins grow in their thighs or lower legs and become

crooked and black; if they split open, they will bring danger. If menstruation begins in her 14th year, she does not have minimal menstruation to a very high age ... and will give birth several times, and she is very healthy and has no pain before giving birth, because her menstruation occurred during the correct number of years, which have to be complete for her menstruation. If she loses her menstruation

through

negligence or because

of (uter-

ine) suffocation, and the womb closes up and moves from its place, if (the menses?) appear like «water», she is made to receive steam from alder water, and through pessaries (the womb) is brought back for good, because it gives rise to pains of many kinds when it is not in

its proper place. Moreover, stomach,

straight and

from

the womb

it (= the womb)

has

three

veins arise which

another

two

veins

which

go to the go to the

heart and others go up to the brain. 10.

These

veins

cause

attacks

of suffocation

and

distention

in

the

chest

and bring forth many attacks in the head. 11.

For this reason (the womb) pulls the nerves or veins to itself; because the stomach is the body's chief seat, for this reason (the woman's) movements are unsteady and staggering, the bile is on the increase and the phlegm, and her head hurts right on top, her ears ring, her eyes are tormented with many kinds of fiery and colourful appearances and with blackouts. However, she is able to move her nostrils or the tops of her lips, the soles of her feet and the palms of her hands

12.

From

are hot. these

signs

you

will recognise

that the womb

veins or nerves are tense ... and rot in her jaws ... and dry and 13.

like sand,

her breasts

is ulcerated.

her tongue

All

is

swollen.

If she develops those polyps that grow inside the nose, because the womb itself draws this poison via the diaphragm to the stomach, all humours flow out ... the wound closes the womb. And after some time the humour of the polyp reverts to the little vessels called the vessels of the lungs which have their outlet in the thumb and travel to the brain and afflict the eyes ...

An Edition and Translation of the pseudo-Hippocratic Epistula... VERSION

C,

225

1-7

Text according to H Here begins Emogrates’ Letter which he strove to convert from Greek authors into Latin. On the time of women. It is appropriate in her virginity that (the virgin) should be holy like the chalice up to the age of ten or until her menstruation occurs. If menstruation begins in her 12th year, she lives to a very old age and will keep her menstruation up to 33 years.

6.

And

frequently black crooked

veins arise in her lower legs, and she dies in

her third or fourth illness. 7.

If menstruation

begins in her

17th year, she will keep

her menses

until a

very old age. If the time of menstruation will go on to her 30th year, she will be tormented with many pains to a very old age and will give birth once. If menstruation begins from her 11th year, she has regular menstruation up to sixty years of age and suckle offspring will twice and dies from it. Text according to V 1.

Gynecological Letter of the physicians Iustus and Erasistratus on the virgin or the time of women, who say: It is good for a virgin that she be holy like the chalice up to the age of ten or until her menstruation occurs.

5a.

If menstruation begins in her 15th year, she will live to a very old age. If menstruation

begins in her

17th year,

she will keep

her menses

until a

very old age. If the time of menstruation goes on to her 30th year, she will be tormented with many pains to a very old age and will give birth once. Sb.

This girl will keep her menstruation up to 33 years. Frequently black crooked veins arise in her lower legs, and she dies in her third or fourth illness. If menstruation begins in her 11th year, she will have regular menstruation for another eleven years of age and suckles offspring twice and will die from them.

226

Klaus-Dietrich Fischer

VERSION

8.

C,

8-12

If she loses her menstruation through negligence because of (uterine) suffocation, and

the womb

closes up or moves

from

its place, if (the menses?)

appear like «water», (the womb) will be brought back for good through steaming with alder water and pessaries, because it gives rise to pains of many kinds when it is not in its proper place. 9.

10.

But straight from the womb three veins arise which go to the stomach, and the stomach in its turn has another two veins which go to the heart and another two which travel to the brain. These

veins

cause

attacks

of suffocation

and

distention

in the

chest

and

bring forth many attacks in the head. 11.

«..» For this reason (the woman)

moves unsteadily, bile and phlegm are on

the increase, her head aches, her ears ring, her eyes are tormented with many kinds of fiery and colourful appearances and with blackouts. They move their nostrils or their lips; their feet, soles, palms and fingers become

hot. 12.

But if the womb is ulcerated, all the nerves and veins up to the jaws are tense. The tongue is dry like sand, the breasts become swollen and all parts of the body are in suffering, because it (the body?) is blocked down below.

SEZIONE

III

Gabriele Marasco

TRADIZIONE CLASSICA E MEDICINA MEDIEVALE: IL PROLOGO DEI PANTEGNI DI COSTANTINO L'AFRICANO Tra le figure piü importanti per lo sviluppo delle scienze nel Medioevo

risalta Costantino l'Africano: nativo di Cartagine

e fiorito nella seconda

metà dell'XI secolo a Montecassino, dove fu monaco, egli si distinse per l'ampio lavoro di traduttore in latino di opere mediche dal greco e dall'arabo. Le vicende personali di Costantino, i suoi viaggi in numerosi paesi dell'Oriente, il suo arrivo in Italia ed i suoi rapporti con sovrani e vescovi dell’Italia meridionale sono stati oggetto di una tradizione biografica in gran parte improntata all'esotismo e all'agiografia, ma che comunque te-

stimonia il fascino e la grande fortuna del personaggio !. La sua importanza fu comunque notevolissima, poiché non solo egli tradusse in latino opere della medicina greca non accessibili per difficoltà di lingua alla

maggior parte dei medici del tempo, ma anche fu il primo a far conoscere in Occidente i progressi della scienza araba; in particolare, grazie ai rapporti personali con il vescovo di Salerno Alfano e alla fortuna delle sue traduzioni, Costantino ebbe un'influenza fondamentale sullo sviluppo della scuola medica salernitana ?.

! Cfr. in particolare B. Ben Yahia, s.v. Constantin l'Africain, in: Encyclopédie de l'Islam, II, Leyde- Paris 19652, 60-1; H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, Roma 1986, I, 127-29; II, 684-85; V. von Falkenhausen,

s.v. Costantino Africano,

in: Dizionario Biografico degli Italiani,

XXX, Roma 1984, 320-21 con ampia bibliografia. Ringrazio gli amici Ivan Garofalo, Andreas Kramer e Francesco Roberg per i suggerimenti bibliografici che mi hanno offerto; la responsabilità di quanto qui sostenuto, nonché di eventuali errori od omissioni, resta naturalmente mia. 2 Cfr. soprattutto K. Sudhoff, Constantin, der erste Vermittler muslimischer Wissenschaft ins Abendland und die beiden Salernitaner Früscholastiker Maurus und Urso, als Exponenten dieser Vermittlung, «Archeion» 14, 1932, 359-69; O. Kristeller, The School of Salerno. Its Development and Contribution in the History of Learning, «Bull. Hist. Med.»

17, 1945, 151-60 (= Id., Studies in

Renaissance Thought and Letters, Roma 1969, 508-12); Ben Yahia, Constantin l'Africain et l'école de Salerne, «Cahiers de Tunisie» 3, 1955, 49-59; I. Schneider, Die Schule von Salerno als Erbin der antiken Medizin und ihre Bedeutung für das Mittelalter, «Philologus» 115, 1971, 282-83; G. Baader, Die Schule von Salerno, «Medizinhistorisches Journal» 13, 1978, 133-36; G. Cavallo, La trasmis-

sione scritta della cultura greca antica in Calabria e in Sicilia tra i secoli X-XV, «Scrittura e civiltà» 4, 1980, 181-82; A. De Martino, Costantino Africano, dans: La Scuola Medica salernitana: storia,

230

Gabriele Marasco

La sua opera e tuttavia ben lontana dall'essere conosciuta e studiata in maniera compiuta: non solo, infatti, per quasi nessuno dei suoi scritti disponiamo

di un'edizione

critica soddisfacente,

basata anche

sul confronto

con l'originale arabo, ma anche in diversi casi questo originale non & stato neppure identificato, mentre vi sono dubbi sull'autenticità di alcuni scritti trasmessi sotto il suo nome

ed altri, di cui si conoscono

solo i

titoli attra-

verso la tradizione biografica, non sono stati ancora scoperti *. Ciò nono-

stante, quel che resta dell'opera di Costantino vale ad attestarne la grande importanza e pone numerosi problemi, relativi soprattutto ai motivi ed ai fini della sua opera di traduttore, alla scelta degli originali, al grado d'indipendenza rispetto ad essi e al metodo seguito nel lavoro di traduzione e d'adattamento *; ma più importante ancora mi sembra definire quale sia

stato latteggiamento

di Costantino

nei confronti

del ruolo stesso

della

scienza medica, della sua etica e del metodo da seguire nell'apprendimen-

to della terapeutica e come esso abbia influito sullo sviluppo della medicina occidentale, saldando l'eredità della tradizione classica alle esigenze di un mondo nuovo e ben diverso. Su questo piano,

mi sembra

che

indicazioni

importanti

possano

essere

offerte dal Prologo dell'opera piü importante di Costantino, i Pantegni 5. Si tratta della traduzione latina del Kitab-al-malaki (Liber regalis) di ‘Ali ibn

immagini, manoscritti dall'XI al XIII secolo, a cura di M. Pasca, Napoli 1987, 50; V. Nutton, Medicine in Medieval Western Europe 1000-1500. Salerno and the Impact of Translation, in: L.I. Conrad et al. (eds.), The Western Medical Tradition 800 BC to AD 1800, Cambridge 1998, 142-43. Inoltre, circa l'influenza delle opere di Costantino sulla scuola medica di Parigi, cfr. E. Seidler, Die Heilkunde des ausgehenden Mittelalters in Paris, «Sudhoffs Archiv», Beihefte 8, Wiesbaden 1967, 44-5.

3 In proposito cfr. soprattutto von Falkenhausen, art. cit., 322-24, con ampia bibliografia; inoltre, in particolare, H. Schipperges, Die Assimilation der arabischen Medizin durch das lateinische Mittelalter, «Sudhoffs Archiv für Geschichte der Medizin», Beiheft 3, Wiesbaden

1964, 26

sgg.; Bloch, op. cit., I, 130-34. Per una lista delle più importanti traduzioni di Costantino dall'arabo cfr. anche D. Jacquart, The influence of Arabic medicine in the medieval West, in: R. Rashed- R. Morelon (eds.), Encyclopedia of the History of Arabic Sciences, vol. 3. Technology, Alchemy and Life Sciences, London-New York 1996, 981. Le numerose edizioni particolari di opere di Costantino,

spesso basate su nuove scoperte di manoscritti, con testi piü ampi di quelli in precedenza conosciuti, rendono generalmente inutile e spesso fuorviante il rinvio all'edizione complessiva dei suoi scritti (Constantini Africani, Opera, I-II, Basileae 1536-1539).

4 In proposito si veda la mia relazione Constantin l'Africain, l'abbaye de Mont-Cassin et le developpement de la médecine en Occident, presentata al Convegno Internazionale: Peut-on igno-

rer l'apport de la culture arabe à la construction de la culture européenne? (Nantes, 14-15 décembre 2000), di prossima pubblicazione.

5 Si veda l'edizione del primo libro di quest'opera, con traduzione italiana e note, di M. T. Malato e U. de Martini, Costantino l'Africano, L'arte universale della medicina (Pantegni), Parte I Libro I, Roma

1961, alla quale mi riferisco nel seguito anche per la numerazione delle pagine.

Sulla fortuna dell'opera cfr. soprattutto M. Jordan, The fortune of Constantines AA.VV., Constantine the African and 'Ali ibn al-'Abbas al-Magusi. The Pantegni and ed. by Ch. Burnett and D. Jacquart, Leiden-New York-Köln 1994, 286 sgg. e sulla si veda il catalogo dei manoscritti e delle edizioni già nel Rinascimento (ibid., 316

Pantegni, in: Related Texts, sua diffusione sgg.).

Tradizione classica

e medicina medievale: il prologo dei Pantegni...

231

'Abbas al-Magusi, medico persiano del X secolo, una delle opere piü famose della medicina araba. Costantino ne tradusse la parte teorica in dieci libri, mentre della parte pratica, anch'essa in dieci libri, egli sembra aver

tradotto solo alcuni libri o parti di esse, affidando il completamento

del

lavoro al suo allievo Giovanni Afflacio 5. Lincipit

dei

Pantegni,

testimoniato

in un

solo

manoscritto,

considera

l'opera traduzione di quella di Rhazes, medico arabo anch'egli assai noto, predecessore di al-Magusi e una delle sue fonti principali. Quest'attribuzione errata, dovuta con ogni evidenza ad un'ipotesi del copista ?, chiarisce le confusioni provocate dalla condotta di Costantino, che anche qui,

come nella maggior parte dei suoi scritti, tace del tutto la sua fonte araba, arrogandosi la paternità dell'opera ed affermando d'essersi basato sull'uso

diretto delle fonti greche e sull'esperienza personale. La dedica di Costantino é indirizzata a Desiderio, che fu abate di Montecassino dal

1058 al 1086, per poi divenire papa con il nome

di Vittore

III *. Ad essa segue, nel mss. A (Vat. Lat. 2457), una seconda parte, più ampia,

in cui Costantino spiega d'aver voluto dedicare l'opera a Desiderio

per tre motivi: innanzi tutto perché, avendo saputo che egli era impegnatissimo

nello studio

«delle parti

suddette»

della filosofia,

non

ha voluto

che gli mancasse proprio quella che è la parte più degna appunto della filosofia?, poi perché ogni cosa diventa più piacevole se condivisa con gli amici, infine per poter ottenere le correzioni ed i suggerimenti dell'abate. Nei mss.

B (Vat. Lat. 2455) e C (Vat. Lat. 2456) questa seconda parte della

dedica ricorre solo piü avanti,

dopo

il Cap.

I, che costituisce

il Prologo

dell'opera, e tale collocazione è con ogni evidenza quella originale '?, come dimostra chiaramente l'accenno alle «parti suddette della filosofia», che si riferisce, come vedremo,

a quanto detto all'inizio appunto

del Prologo.

E

comunque essenziale notare come Costantino insistesse sul concetto, del resto antico ed affermato, secondo cui la medicina era non un mestiere od una tecnica, ma un'attività liberale, strettamente collegata con la filoso-

fia ed anzi parte fondamentale (pars pocior) di quest'ultima. Questo concetto é chiaramente espresso e motivato all'inizio del Prolo-

$ Cfr. in particolare Malato - de Martini, op. cit., 7 sgg.; von Falkenhausen, art. cit., 32. Sull'originale arabo e sui suoi rapporti con la traduzione di Costantino cfr. soprattutto AA. VV, Constantine the African, cit., passim.

7 Cfr. Malato - de Martini, op. cit., 37 e n. 1. 8 Sull'importante ruolo culturale che Desiderio svolse a Montecassino cfr. ad es. H. Bloch, Monte Cassino Teachers and Library in the High Middle Ages, in: La scuola nell'Occidente latino nell'alto Medioevo, ‘Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo', XIX, Spoleto

1972, II, 582-99; P. Riché, Le scuole e l'insegnamento nell'Occidente cristiano dalla fine del V secolo alla metà dell'XI secolo, (trad. it.)) Roma 1984, 162-63; Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, I. 9 Constantin. Pantegni, 37: Ut cum supra dictis philosophie partibus inhiantem vos insudare noverimus, hac eiusdem parte ut pote pociore noluerimus vos carere. 10 Cfr. Malato - de Martini, op. cit., 37, n. 4.

232

Gabriele Marasco

go. Qui infatti Costantino afferma sono tre: la logica, l'etica e la fisica. queste parti appartenga la medicina, in una sola di esse: poiché tuttavia é

che le parti principali delle scienze Molti tuttavia non sanno a quale di dal momento che essa non si risolve necessario che il medico sia raziona-

le, che conosca i fatti della natura e che tratti i problemi morali, & evidente che la medicina è partecipe di tutte e tre queste parti della scienza ed è

sottoposta a ciascuna per motivi diversi !!. Nell'originale di al-Magusi, com'è noto dalla traduzione più fedele compiuta da Stefano d'Antiochia nel 1127 e pubblicata sotto il titolo di Regalis dispositio a Venezia nel 1492 e a Lione nel 1523, compare pure un breve elogio dell'importanza della medicina,

ma

estremamente

sintetico e privo dei riferimenti alla filosofia che

caratterizzano il Prologo di Costantino '?. Laccostamento

della

medicina

alla filosofia,

che

Costantino

considera

evidentemente la vera scienza, nella sua tripartizione appunto in logica, etica e fisica, si ricollega alla tradizione classica, poiché già i medici del mondo greco e latino avevano insistito costantemente sui fondamenti filosofici della loro scienza, per trarne motivo di prestigio 15. Tuttavia, nel Medioevo la posizione della medicina era assai meno definita: si tendeva in genere ad accostarla alle quattro discipline del quadrivio !* e ad esempio un poeta dell'età carolingia, presentando queste ultime in un suo

componimento,

dedicava

alla medicina

un'ottava

strofa ^, con-

fermando il suo rilievo ma anche la sua esclusione dal novero delle arti liberali. Costantino sembra reagire appunto a queste opinioni, ricollegando in maniera risoluta ed esclusiva la medicina alla filosofia, rifiutando, anzi,

d'inserirla in una sola delle parti in cui quest'ultima veniva suddivisa e considerandola partecipe di tutte; proprio per questa compartecipazione

con tutte le branche della filosofia la medicina assume dunque quel ruolo centrale per cui Costantino la può definire come abbiamo visto, rivolgendosi a Desiderio, pars potior della filosofia. Pure importante mi sembra il fatto che Costantino sostenga nettamente la divisione tripartita della filosofia in logica, etica e fisica. Questa divisio-

ne era infatti nota già nell'antichità, ma era stata oggetto di notevoli dissensi !° ed anche nel Medioevo molti pensatori avevano proposto schemi

1!

Constantin.

Pantegni,

I, Prol., 39: Sed cum

oporteat medicum

esse rationabilem,

et rerum

naturalium, et moralium tractatorem, constat quia in omnes incidit, diversis cogitationibus omnibus subici. 12 Cfr. Malato - de Martini, op. cit., 21. 13 Cfr. ad es. Marasco, / medici di corte nell'impero romano: prosopografia e ruolo culturale,

«Prometheus» 24, 1998, 244 sgg. con bibliografia. 14 Cfr. ad es. G. Baader, Die Anfänge der medizinischen Ausbildung im Abendland bis 1100, in: La scuola nell'Occidente latino... cit., II, 679 sgg.; Riché, op. cit., 286. 15 Monumenta Germaniae Historica, Poetae latini aevi carolingi, I, rec. E. Duemmler, Berolini 1881, 410-11.

16 Cfr. in particolare H. Marrou, Les arts libéraux dans l'Antiquité classique, in: Arts libéraux

Tradizione classica

e medicina medievale: il prologo dei Pantegni...

233

differenti, aggiungendo altre parti e attribuendo soprattutto notevole importanza alla teologia, considerata come una parte a sé stante della filosofia ". La scelta

di Costantino

può

essere

anche

dovuta

a motivi

di fede,

che gli imponevano uno schema tripartito in virtü della sua aderenza con la Trinità, e ció puö trovar conforto nell'analogo riferimento, nella dedica a Desiderio,

ai

tre

motivi

che

lavrebbbero

indotto

a indirizzare

la sua

opera allabate. Ma mi sembra anche logico ritenere che la tripartizione accettata da Costantino rispondesse soprattutto a motivi pratici, poiché permetteva di considerare la medicina compartecipe di tutte le branche della filosofia, escludendo quelle parti, come appunto la teologia, per le quali il rapporto con l'arte medica poteva apparire ben piü problematico. Quanto alla tradizione a cui si ricollega Costantino, mi sembra importante notare che la tripartizione della filosofia in fisica, logica ed etica era stata sostenuta particolarmente da Isidoro di Siviglia, il quale, in maniera del tutto analoga a Costantino,

considerava

la filosofia la vera sum-

ma di tutte le scienze 18, Isidoro d'altra parte, spiegando perché la medicina non facesse parte delle arti fatto che, mentre queste ultime cerne tutti, tanto che il medico ro concludeva che pertanto la

liberali, affermava che ció era dovuto al riguardano aspetti particolari, essa li condeve conoscere tutte la altre arti !?. Isidomedicina dev'essere definita una «seconda

filosofia», poiché entrambe le discipline riguardano l'uomo nella sua interezza: la filosofia cura l'anima, la medicina

il corpo 2°. Le analogie con i

concetti espressi da Costantino mi sembrano notevoli, tanto da suggerire l'ipotesi che quest'ultimo si sia ispirato proprio a Isidoro per arricchire il Prologo con considerazioni sull'importanza della medicina e sul suo legame con la filosofia. Dopo aver cosi sostenuto la nobiltà della scienza medica, Costantino

motiva comunque

la sua iniziativa di offrire un'opera complessiva con le

et philosophie au Moyen Age. Actes du 4e Congrès International de Philosophie médiévale (Montreal 1967), Paris-Montreal 1969, 5-29. 17 Cfr. ad es. J. Marietan, Le probléme de la classification des sciences d'Aristote à saint Thomas, Paris 1901; C.E. Lutz, Remigius' Ideas on the Classification of the Seven Liberal Arts, «Traditio» 21,

1956, 65 sgg.; B. Bischoff, Eine verschollene Einteilung der Wissenschaften, «Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age» 25, 1958, 5-20 (= Id., Mittelalterliche Studien. Ausgewählte

Aufsätze zu Schriftkunde und Literaturgeschichte, I, Stuttgart 1967, 273-88); M.C. Diaz y Diaz, Les arts libéraux d'apres les écrivains espagnols et insulaires aux VIIe et VIII* siècles, in: Arts libéraux... cit., 37-47; M. T. Gibson, The Arts in the Eleventh Century, ibid., 121-27; Riché, op. cit., 273-74. 18 Isid. differ. I1 39, 149 (Patrologia Latina LXXXIII 93): Porro sapientiam veteres philo-

sophiam vocaverunt, id est omnium rerum humanarum atque divinarum scientiam. Huius philosophiae partes tres esse dixerunt, id est, physicam, logicam, ethicam. Isidoro (differ. II 39, 154, Patrologia Latina LXXXIII 94) comprendeva la conoscenza della fede e delle Scritture nel campo dell'etica. 19 Isidor. Etym. IV 13, 1: Quaeritur a quibusdam quare inter ceteras liberales disciplinas Medicinae ars non contineatur. Propterea, quia illae singulares continent causas, ista vero omnium... 20 Isidor. Etym. IV 13, 1: Hinc est quod Medicina secunda Philosophia dicitur. Utraque enim disciplina totum hominem sibi vindicat. Non sicut per illam anima, ita per hanc corpus curatur.

234

Gabriele Marasco

condizioni della letteratura medica allora disponibile: infatti, leggendo le opere degli autori latini, si

è accorto che essi, benché numerosi,

non ba-

stano alle esigenze di quanti vogliono studiare la medicina. Pertanto, egli si è rivolto ai più grandi autori antichi e moderni, in particolare ad Ippocrate e Galeno e, fra i più recenti, ad Alessandro di Tralle, Paolo d'Egina ed Oribasio ?!. Egli considera naturalmente Ippocrate la maggiore autorità, ma dice di non essersi limitato a lui perché é un po' troppo oscuro ed ha scoraggiato molti dallo studio della medicina. Galeno invece & troppo prolisso, tanto da annoiare molti lettori; perció di centosessanta opere da lui scritte se ne leggono ormai appena sedici, di cui Costantino offre l'elenco.

Altri difetti, in particolare l'ignoranza delle cose naturali, sono riscontrabili nelle opere di Paolo, Alessandro ed Oribasio. Di quest'ultimo Costantino cita un trattato dedicato al figlio Onestus, un altro in otto libri ad un altro figlio, Statius e un'opera in settanta libri di cui non nomina il destinatario. Costantino si attribuisce infine il merito della disposizione e della scelta della materia e dice d'aver spesso riportato affermazioni di Ippocra-

te e di Galeno, ma anche di aver molte altre volte respinto medicine che non si adattano al suo tempo; egli non ha voluto cosi sottrarsi all'autorità

di simili fonti, ma solo tener conto delle particolarità delle regioni opera 22. Nonostante queste affermazioni di notevole indipendenza nell'uso to delle fonti greche, l'errore parziale sul nome del figlio d'Oribasio catario della Synopsis ad Eustathium 33, ed ancor più l'ignoranza del

in cui diretdedidesti-

natario dell'opera più importante in settanta libri, le Collectiones medicae,

indirizzate all'imperatore Giuliano, e l'errore sul dedicatario del terzo trattato di Oribasio, il sofista Eunapio ?^, dimostrano chiaramente che Costan-

tino non ha conoscenza diretta di Oribasio, ma ha ripreso le citazioni ed i giudizi sugli autori greci dall'originale di al-Magusi; ció & del resto confer-

mato dal confronto con il testo di quest'ultimo nella traduzione di Stefano d'Antiochia, in cui ricorrono le medesime critiche ad Ippocrate, Galeno, Paolo ed Oribasio e a numerosi autori arabi. Costantino ha omesso gli ac-

cenni a questi ultimi ed ha aggiunto quello ad Alessandro di Tralle e l'elenco delle opere conservate di Galeno 25. Ciò nonostante, le affermazioni di Costantino circa i motivi ispiratori della sua opera di traduttore restano di notevole interesse.

In primo luogo, infatti, l'analisi dei manoscritti dimostra che le opere

21 Constant. Pantegni, I, Prol., 39: Unde ego Constantinus tantam huius artis utilitatem perpendens,

latinorumque

volumina

percurrens,

cum

licet multa essent non

tamen

introducendis

etiam sufficere viderem, recurri ad nostros veteres sive modernos... 22 Constantin. Pantegni,

I, Prol., 40: Auctoritatem tamen non fugimus cum precepta sequamur,

sed situs regionum consideramus. 23 Corpus Medicorum Graecorum, V1 3, 1-313; cf. PRLE I Eustathius 4. 24 Corpus Medicorum Graecorum, VI 3, 317-498. 25 Cfr. Malato - de Martini, op. cit., 17-25, con la traduzione italiana della versione di Stefano.

Tradizione classica

e medicina medievale: il prologo dei Pantegni...

235

mediche greche erano ancora abbastanza note e diffuse nell'Italia meridionale 25; tuttavia, se la loro conoscenza

fra i dotti restava notevole,

la loro

utilità pratica era assai ridotta, poiché il forte declino della conoscenza della lingua greca anche fra i medici 2” ne rendeva problematico l'uso. Questa situazione é chiaramente all'origine dell'iniziativa di Costantino, che si rivolge non ai dotti, ma soprattutto ai principianti, desiderosi d'apprendere l'arte, per mettere a loro disposizione un'opera in lingua latina completa, ma anche di agevole comprensione, quale la letteratura corrente non offriva. Proprio in questa prospettiva si comprendono, a mio avviso,

l'accusa d'oscurità rivolta ad Ippocrate e quella di prolissità a Galeno, entrambe motivate, come abbiamo visto, con il senso di scoraggiamento e di fastidio che questi autori potevano provocare soprattutto in chi cominciava ad apprendere l'arte. Il ricorso alle opere arabe é comprensibile, a mio avviso, proprio in questa prospettiva: i medici arabi offrivano infatti un

comodo ed agile compendio dei piü importanti risultati della scienza greca, con tanto di citazioni e di commento dei passi piü importanti delle fonti classiche, ma anche con aggiornamenti e correzioni, alla luce dei risultati pià recenti della scienza. D'altra parte, l'importanza dell'opera di Costantino puó essere compresa proprio se teniamo presenti le condizioni della letteratura medica latina del tempo, di cui egli stesso sottolinea linadeguatezza per la preparazione

del medico. In effetti, la maggior parte della letteratura allora diffusa era costituita da aride

raccolte

di ricette e di medicine,

fonti per l'uso pratico più immediato,

compilate

da diverse

mentre i testi classici venivano co-

piati e conservati, soprattutto nelle biblioteche dei monasteri, solo per motivi d'erudizione e di rispetto, ma avevano poi ben poco spazio nell'educa-

zione e nella prassi medica ?*. Le opere tradotte da Costantino dall'arabo trattavano invece ampiamente anche gli aspetti teorici della medicina, le sue basi gnoseologiche, i suoi presupposti filosofici, gli aspetti generali del

rapporto con la concezione dell'uomo e della natura. In tal modo, la loro diffusione contribuiva a diffondere la speculazione ed a rafforzare la con-

cezione della medicina come arte liberale, legata soprattutto alla filosofia ?, ed in ció consisteva l'apporto piü prezioso che esse diedero allo sviluppo delle scienze mediche. In questa prospettiva, assumono particolare valore il classicismo di Costantino ed il suo richiamo agli autori della tradizione greca, soprattutto

26 Cfr. A. Beccaria, / codici di medicina del periodo presalernitano, Roma 1956; Cavallo, art. cit., 180 sgg.; 1. Irigoin, Les plus anciens manuscrits grecs de médecine de l'Italie méridionale: origi-

ne et influence, in: Dalla medicina greca alla medicina salernitana: percorsi e tramiti. Atti del Convegno Internazionale (25/27 giugno 1995), Salerno 1999, 15 sgg.

27 Cfr. Irigoin, art. cit., 16. 28 Cfr. soprattutto Baader, Die Anfänge der medizinischen Ausbildung... cit., 68 sgg. e le osservazioni di C. Maccagni (ibid., 725-27).

29 Cfr. in particolare Jacquart, The Influence of Arabic Medicine... cit., 965.

236

Gabriele Marasco

ad Ippocrate

e a Galeno.

Del resto, nonostante

le critiche all'oscurità del

primo e alla prolissità del secondo, Costantino tradusse tre opere di Ippocrate, gli Aforismi, il Pronostico e le Malattie acute, tutte accompagnate dai commenti di Galeno; queste traduzioni furono poi trascritte nell’Articella, un manuale di medicina del XII secolo, che fu essenziale per lo sviluppo

della scuola salernitana 59, Da Galeno inoltre Costantino tradusse i Tegni, opera anch'essa riprodotta nell’Articella ?!, ed i Megategni 33. Costantino fu dunque un anello importante nella tradizione classicista circa l'autorità indiscussa di Ippocrate e di Galeno, considerato suo continuatore

e commentatore ??, che

caratterizzò

la medicina

europea

ancora

nei secoli successivi ?*; la sua opera contribuì notevolmente a rafforzare e a diffondere la tendenza allo studio e all'analisi dei classici, che si esprimeva soprattutto nella compilazione di estesi commenti e che caratterizzó

lo studio, l'insegnamento e la pratica della medicina occidentale fino al XIX secolo, allorché gli sviluppi delle scienze sperimentali imposero anche alla medicina un diverso indirizzo 55. In effetti, l'asserzione nel Prologo dei Pantegni circa la libertà con cui l'autore avrebbe non solo inserito personalmente affermazioni di Ippocrate e di Galeno, ma anche respinto non di rado la loro autorità, per inserire terapie e ricette ben diverse, giustificate dal trascorrere del tempo e dalle condizioni delle regioni in cui egli operava, rischia di essere

fuorviante.

Loriginalità

di

Costantino

è,

in

realtà,

assai

scarsa,

tanto che fin dai suoi tempi egli é stato accusato di essere un puro plagiario ?5; l'analisi della sua opera in rapporto con gli originali arabi, laddove & stato possibile compierla, dimostra in effetti che il suo ruolo si li-

30 Cfr. in particolare O. Kristeller, Bartholomaeus, Musandinus and Maurus of Salerno and Other Early Commentators of the «Articella», with a Tentative List of Texts and Manuscripts, «Italia e umanistica»

19, 1976, 66-7; von Falkenhausen, art. cit., 323; G. Baader, Die Tradition des Corpus

Hippocraticum im europdischen Mittelalter, in: Die hippokratischen Epidemien, Theorie-Praxis-Tradition. Verhandlungen des Ve Colloque International Hippocratique, Berlin 10.-15.9.1984, hrsg. v. G. Baader- R. Winau, Stuttgart 1989, 416.

31 Cfr. Kristeller, art. cit., 59-60; von Falkenhausen, art. cit., 323. 32 Cfr. L.R. Lind, A New Fragment of Constantinus Africanus' «Compendium Megatechne Galeni», in: Classical Studies presented to B.E.

Perry, Urbana-Chicago-London

1969,

103-13; von

Falkenhausen, loc. cit. 33 Su questa tradizione nell'antichità cfr. soprattutto O. Temkin, Hippocrates in a World of Pagans and Christians, Baltimore and London 1991, 39 sgg.; J. Jouanna, Hippocrate, Paris 1992, 502 sgg.

34 Cfr. ad es. V. Nutton, Hippocrates in the Renaissance, in: Die hippokratischen Epidemien... cit., 420-39. 35 Su ció cfr. ancora la mia relazione: Constantin l'Africain... (cit. supra, nota 4), con documentazione.

36 Su Afrikanus dizinische 16, 1929,

questo giudizio estremamente negativo cfr. soprattutto R. Creutz, Der Arzt Constantinus von Montecassino. Sein Leben, sein Werk und seine Bedeutung für die mittelalterliche meWissenschaft, «Studien und Mitteilungen zur Geschichte des Benediktinerordens», N.F. 24-39; H. Schipperges, Die frühen Übersetzer der arabischen Medizin in chronologischer Si-

cht, «Sudhoffs Archiv» 39, 1955, 62-69; Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, I, 104-5.

Tradizione classica

e medicina medievale: il prologo dei Pantegni...

237

mitava ad un lavoro non solo di traduzione, ma anche di parafrasi, d'abbreviazione e di compilazione ?", basato comunque esclusivamente sull'erudizione libresca. Latteggiamento di Costantino dinanzi ai classici e il metodo che egli

considera necessario per la preparazione del medico mi sembrano del resto ulteriormente chiariti dal Cap. 2 del primo libro dei Pantegni, che in un certo senso completa il Prologo, offrendo consigli preliminari al medi-

co non solo sul piano etico e deontologico, ma anche su quello metodologico. Il capitolo é intitolato: Auctoritas

puli. Esso

riprende

per la massima

Ypocratis quales debeant esse disci-

parte il Giuramento

d’Ippocrate,

in

particolare per quel che riguarda i doveri del discepolo verso il maestro, il divieto di prescrivere farmaci letali e di praticare l'aborto, le raccomandazioni circa la continenza sessuale e la discrezione. La ripresa del testo ippocratico s'iscrive dunque in un'ampia tradizione, ben nota nella tarda an-

tichità e nel Medioevo, che considerava Ippocrate iniziatore e maestro della medicina anche e soprattutto sul piano etico, precursore di un atteggia-

mento sostanzialmente affine alla morale e alla prassi che il medico cristiano doveva seguire 35, concezione di cui è testimonianza esplicita soprattutto la versione cristiana del Giuramento, attestata in manoscritti me-

dievali 55. Alla parafrasi del testo ippocratico, Costantino aggiunge poi prescrizio-

ni indirizzate allo stesso maestro, al quale raccomanda

d'accertarsi preli-

minarmente

dall'arte gli inde-

che

gli allievi siano degni

e d’allontanare

gni ^; inoltre, egli raccomanda di non curare per denaro e di non preoccuparsi più dei ricchi e dei nobili che dei poveri *. Queste affermazioni, per quanto

naturalmente

accentuate da Costantino per la loro corrispon-

denza con l'etica cristiana e con il ruolo che il cristianesimo attribuiva al medico 4, non fanno comunque che sviluppare concetti ben attestati in altre opere del Corpus Hippocraticum. Mentre infatti la polemica contro i cattivi medici ed i ciarlatani che screditano la medicina e l'invito implicito

ad escluderli

dall'arte ricorrono in diversi scritti ippocratici ?, anche la

37 Cfr ad es. von Falkenhausen, art. cit., 321; Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, I, 105.

38 Su ció cfr. soprattutto Temkin, op. cit., 126 sgg. 39 Corpus Medicorum Graecorum, I 1, 5-6; cfr. Temkin, op. cit., 183 sgg. 40 Constantin. Pantegni, I 2, 41: Quemcumque vero magister erudiendum susceperit, videat ut discipulus secundum se sit dignus. Dignosque post modum et ipse doceat, ... et indignos ab hac

scientia repellere satagat. 41 Constantin. loc. cit.: Laboret autem circa infirmi recuperandam sanitatem, neque hoc faciat propter pecunie spem, neque divites plus consideret quam pauperes, neque nobiles plusquam ignobiles. 42 Cfr. in particolare, per la moderazione che l'etica cristiana imponeva agli onorari e per l'assistenza ai poveri, Temkin, op. cit., 217 sgg. 43 Cfr. in proposito Marasco, Terapia e difesa dell'arte medica in alcuni scritti del «Corpus Hip-

pocraticum», in: Aspetti della terapia nel «Corpus Hippocraticum». Atti del IXe Colloque International Hippocratique (Pisa, 25-29 settembre 1996), Firenze 1999, 163 sgg.

238

Gabriele Marasco

raccomandazione di curare gratuitamente e di non fare distinzioni fra malati di diversi ceti trovava ampio riscontro nei testi ippocratici, in cui veniva prescritto al medico di evitare l'avidità ^ e di prodigarsi soprattutto per curare i poveri e gli stranieri 9. Se questi concetti corrispondevano dunque assai bene alla tradizione dell'ippocratismo cristiano, l’affermazione che conclude il capitolo non trova invece riscontro né nei testi ippocratici né nel Giuramento cristianizzato. Costantino raccomanda infatti al medico: Assiduitatem amet, studii in curanda sanitate corporis, neque lectionis eum tedeat, ut si quando libros amittat ipsum adiuvet memoria. Neque quoslibet dedignetur visitare infir-

mos, ut semper in experimentis sit valentior. Sit pius, humilis, mansuetus, amabilis, divino expetens auxilio adiuvari ^6.

Le raccomandazioni circa le qualità umane l'invocazione

conclusiva

dellaiuto

concezione cristiana, secondo

divino

del medico ed, ancor più,

si ricollegano

ovviamente

alla

cui Dio era l'unico vero artefice della guari-

gione ed il medico nient'altro che il tramite per eliminare la malattia. Resta invece peculiare l'affermazione di Costantino circa l'importanza essen-

ziale per il medico della continua lettura, sia pure contemperata dalla frequenza delle visite ai malati, che lo renderanno sempre piü abile nella pratica (in experimentis). Questa preoccupazione riguardo alle letture, considerate fondamento essenziale dell'arte, è anzi talmente forte che Costantino raccomanda addirittura d'apprendere a memoria i testi medici, in

modo d'essere in grado di ricordarli anche in caso di mancanza dei libri. Limportanza del ricorso alla memoria nell'apprendimento e nella pratica della medicina nel Medioevo & del resto confermata dalla diffusione dei poemi mnemotecnici, che servivano a facilitare il ricordo soprattutto della

terminologia medica *'. L'affermazione di Costantino si ricollegava pertanto ad una prassi diffusa. Nella concezione di Costantino, dunque, la preparazione del medico era basata essenzialmente sulla lettura e sull'apprendimento anche mnemonico dei testi classici, che costituivano non solo la base della sua educazione, ma anche il fondamento della prassi medica e dovevano quindi sempre esser tenuti presenti. Ció comportava un atteggiamento in cui il testo, anche di autori lontani nel tempo come Ipppocrate e Galeno, non

44 Si vedano in particolare le affermazion in Hippocr. Praec. 4, Littré IX, 254-56 (= CMG, Il, 31); epist. 11, Littré IX, 326-28; 16, Littré IX, 344 (= W.D. Smith, Hippocrates. Pseudepigraphic Writings, Leiden 1990, 58-60 e 70) e quelle nel Testamento d'Ippocrate (K. Deichgrüber, Medicus

gratiosus. Untersuchungen zu einem griechischen Arztbild, «Abhandl. d. Akad. der Wiss. und der Liter.», Mainz

1970, 3, 97 e 100),

45 Hippocr. Praec. 6, Littré IX, 258 (= CMG I 1, 32). In proposito cfr. soprattutto la mia relazione: Les salaires des médecins en Gréce et à Rome, in Actes du Dixieme Colloque International Hippocratique (Nice, 6-9 ottobre 1999), Nice 2002, II, 769-86. 46 Constantin. Pantegni, I 2, 41. 47 Cfr. ad es. Riché, op. cit., 289.

Tradizione classica e medicina medievale: il prologo dei Pantegni...

239

costituiva un classico da venerare e conservare, bensì un'opera viva e sempre attuale, da apprendere, da commentare, da applicare e, al piü, da adattare alle condizioni presenti ed a qualche sviluppo più recente, in par-

ticolare della farmacologia *5. Proprio questo atteggiamento resta a mio avviso fondamentale per comprendere sia la genesi dell’ampia opera di traduttore di Costantino, sia la fortuna che essa ebbe e l'influenza che esercitò sulla medicina successiva, nella quale i testi tradotti da Costantino non

solo fecero conoscere

la scienza araba,

ma andarono

rapidamente

a sostituirsi anche agli originali greci nell'uso pratico dei medici, ormai completamente

orientati verso una cultura in cui il latino venne ad assu-

mere per molti secoli un ruolo centrale come lingua delle scienze.

48 Cfr. in particolare le osservazioni che lo stesso Costantino (Pantegni,

I, Prol., 40) sviluppa

sui progressi della farmacologia dei suoi tempi rispetto alle prescrizioni di Ippocrate e di Galeno.

Alberto Alonso Guardo

LA TRADUCCIÓN CASTELLANA DE LOS NOMBRES DE ENFERMEDADES EN LA OBRA DE BERNARDO DE GORDONIO: TRACTATUS DE CRISI ET DE DIEBUS CRETICIS ! 1.

INTRODUCCIÓN

Esta obra del médico Bernardo de Gordonio (s. XIII-XIV), escrita originariamente en latín, fue traducida en época temprana a varias lenguas ?, entre ellas el castellano. Así nos la encontramos tanto en versión manuscrita como impresa. El presente trabajo es un estudio de esta traducción castellana y, más en concreto, del léxico empleado en ella para traducir

las enfermedades. A través de este estudio pretendemos poner de relieve dos cuestiones: por un lado, los problemas metodológicos que puede entranar una comparación de esta clase y, por otra parte, los recursos em-

pleados para la traducción de este tipo de léxico. Por mor de la brevedad, no nos extenderemos aquí con la narración de la vida y obra de Bernardo de Gordonio?. Ünicamente sefialaremos que nos hallamos dentro de la Medicina escolástica en el ámbito de la Escuela

de Medicina de Montpellier *. En un trabajo anterior? ya abordamos las características generales de la traducción castellana y los problemas que nos podía plantear. Aquí recogeremos

brevemente algunas de las conclusiones a las que llegamos en

esa ocasión y que bien pueden

tudio $, si bien aplicadas

servir de base para abordar el presente es-

a un campo determinado del léxico.

! Este trabajo ha sido realizado dentro del proyecto de la D.G.I.C. Y T. n? BFF2001-1666.

2 Por ejemplo, en la obra del estudioso Luke. E. Demaitre dedicada a la vida de Bernardo de Gordonio y que lleva por título Doctor Bernard de Gordon: Professor and Practitioner (Toronto 1980, p. 190), podemos comprobar que existen traducciones manuscritas al francés y al hebreo. De los testimonios castellanos hablaremos más adelante en este trabajo. 3 Remitimos al estudio, citado anteriormente, de L.E. Demaitre. 4 Sobre la Escuela de Medicina de Montpellier durante la Edad Media, puede consultarse la siguiente obra: L. Dulieu, La médicine à Montpellier, vol. I, Le Moyen Age, Avignon 1975.

5 Se trata de la conferencia inédita «Traducción de textos médicos: el Tractatus de crisi et de diebus creticis», pronunciada en las XV Jornadas de Filología Clásica de Castilla y León (20-24 de

noviembre de 2000). 6 Asímismo, nos ha sido de gran utilidad los siguientes trabajos: M” Teresa Herrera, «Ano-

242

Alberto Alonso Guardo

Un primer Estamos

factor a tener en cuenta es el propio carácter de la obra.

ante una

obra científico-técnica, por oposición

a un texto litera-

rio, y ello condiciona la traducción y transmisión de la misma, ya que su finalidad no es deleitar al lector, sino hacer accesibles unos conocimientos. Este aspecto es el responsable, por ejemplo, de que se incluyan glosas o explicaciones de ciertos términos que a juicio del traductor podrían re-

sultar difíciles de entender. Por lo que respecta a los problemas de método, el primer escollo nos lo plantea

el desconocimiento

la traducción: traducción

de varios datos de gran

importancia

el texto original empleado y su traductor.

anónima.

No

sabemos

quién

fue

su

traductor,

sobre

Se trata de una con

todos

los

datos que ello implica: época, ambiente, origen, formación, etc. Tampoco conocemos el original? que tuvo ante sí para traducir, con los problemas

metodológicos que ello entrafia, pues una omisión en la traducción puede ser debida a una laguna en el texto de origen y no a la intención del traductor.

Lo mismo

ocurre con algunas

adiciones y lecturas divergentes.

Es

posible que una traducción que se nos presenta como errónea o, simplemente,

en nuestra

compa-

ración, corresponda a una lectura propia del original latino que pleado el traductor y que nosotros ignoramos.

ha em-

En

diferente, segün el texto latino que empleamos

definitiva,

desconocemos

las circunstancias

de

la traducción

y el

método seguido para su realización. Ignoramos si se empleó un ünico manuscrito o varios;

si es obra

de un ünico

traductor o de varios;

no sabe-

mos si la traducción fue realizada a partir de un ejemplar latino o hubo una lengua intermedia, etc. Dado que no existe ningün estudio sobre la traducción castellana del De crisi ni sobre su tradición posterior, tal vez pueda dar una idea sobre los problemas que se pueden plantear la comparación con la obra más difundida de Bernardo de Gordonio, la Practica dicta Lilium medicine. En nuestra opinión la historia de la traducción del De crisi está muy unida a la del Lilium. Esta ültima se convirtió en un texto muy famoso, por lo que se tradujo en época temprana y es muy posible que con él se tradujera también el De crisi. Así es como nos lo encontramos en un manuscrito del s. XV realizado en la Universidad de Salamanca, al que nos referiremos más adelante, y también en las ediciones renacentistas suelen aparecer estas dos obras, además

de otras de Bernardo de Gordonio.

malías en las traducciones medievales. El Compendio de la salud humana», «Helmantica» vol. XLV, nüms.

139-141, Enero-Diciembre 1995, 313-353 y M*. Teresa Herrera (dir.), Diccionario Es-

parlol de Textos Médicos Antiguos, (2 vols.), Madrid 1996 (= DETEMA). Dentro del «Corpus textual» (cf. vol. I, p. XVII) empleado para la confección de este diccionario se emplea una de las

ediciones castellanas del De crisi: la realizada en Sevilla, 1495. 7 Siempre que en este artículo hablamos del «original latino» nos referimos al ejemplar latino que empleó el traductor para su trabajo. En ningün caso aludimos con estos término al texto latino, que, por así decir, salió de la pluma de Bernardo de Gordonio.

La traducción castellana de los nombres de enfermedades en la obra...

243

Entre aquellos que han estudiado la traducción castellana del Lilium, hay algunos que apuntan al catalán como lengua intermedia entre el texto

latino y su versión castellana ®. Otros piensan que los traductores fueron dos estudiosos, posiblemente de origen aragonés, a juzgar por algunos ras-

gos de la traducción ?. Si bien estos datos corresponden al Lilium, tal vez puedan ser aplicables al De crisi, en la medida que parecen haber corrido una suerte pareja y haber marchado de la mano a lo largo de la tradición. Por el momento carecemos de datos para afirmar este extremo, pero con

todo lo expuesto queremos dejar patente las dificultades que pueden plantearse a la hora de realizar una estudio léxico como el que aquí nos ocupa.

2.

TESTIMONIOS

EMPLEADOS

A) Texto latino

Para llevar a cabo el presente estudio hemos utilizado la edición crítica

del texto latino !°. Dado que no poseemos el original latino a partir del cual se realizó la traducción castellana consideramos que la edición crítica

con el aparato crítico es el mejor testimonio del que podemos disponer. B) Texto castellano

Por lo que respecta a la traducción castellana, no existe ninguna edición crítica ni ningün estudio que pueda orientarnos sobre sus características y

transmisión. Estos son los testimonios que transmiten el texto castellano !!: B.1. Testimonios

manuscritos:

Salamanca, Biblioteca Universitaria de Salamanca, ms. 1743 12 Es el ünico manuscrito del que hemos tenido noticia. Escrito en el s. XV, dicho códice transmite un texto truncado,

pues

faltan los dos primeros

folios (la nume-

ración que aparece en el catálogo [1r-62v] es posterior a la pérdida de estos folios). En consecuencia, no podemos leer el prólogo y un fragmento del primer capftulo de la primera parte.

8 Cf. Philobiblon. http://sunsite.berkeley.edu/PhiloBiblon/BETA/1536.html (consultado el 8/6/ 2001) 9 Cf. Bernardo de Gordonio, Lilio de medicina, B. Dutton - M*. N. Sánchez (eds.), Madrid 1993, p. 29. 10 Alberto Alonso Guardo, Los pronósticos médicos en la medicina medieval: El "Tractatus de

crisi et de diebus creticis’ de Bernardo de Gordonio, Valladolid 2003. 11 Como hemos apuntado anteriormente, todos estos testimonios, tanto el manuscrito como las ediciones, también contienen el Lilium de Bernardo de Gordonio.

12 Cf. G. de Beaujouan, Manuscrits médicaux du Moyen Áge conservés en Espagne, «Mélanges de la Casa

de Velázquez»

8, 1972,

161-221,

p. 178 y Manuscrits

l'université de Salamanque et de ses «colegios mayores», Burdeos

scientifiques médiévaux

1962, pp. 36, 60, 70-71 y 198.

de

244

Alberto Alonso

Guardo

B.2. Testimonios impresos:

Sevilla 1495 !? Bernardo de Gordonio, Las pronósticas en Lilio de medicina, Sevilla 1495 14. Toledo 1513 Bernardo de Gordonio, Las Pronosticas en Lilio de medicina, Toledo 1513, ff. 211v-244v.

Madrid

1697

Bernardo

Madrid En

como

de Gordonio, Libro de los Pronosticos en Obras de Bernardo de Gordonio,

1697, pp. 313-363. cuanto

a la relación entre los testimonios

ya hemos

castellanos,

no contamos,

indicado, con una edición crítica del texto castellano ni

con un estudio de su transmisión que nos permita llegar a unas conclusio-

nes firmes y definitivas. Un estudio exhaustivo de la traducción castellana sería una

tarea larga, no obstante,

tras realizar un breve

análisis de cier-

tos pasajes, éstas son la conclusiones a las que hemos llegado: a) Relaciones de la versión latina con la versión castellana.

Existen una serie de rasgos propios y característicos de la traducción, que se encuentran en todos los testimonios que la transmiten y que, en cambio,

no

se hallan

en los testimonios

latinos ?. Podemos

afirmar,

por

tanto, que la traducción no deriva de forma directa de ninguno de los manuscritos ni ediciones que hemos manejado para la elaboración de la edi-

ción crítica del texto latino. No obstante, no podemos descartar completamente

la posibilidad

de que

los rasgos

propios

de la traducción

hayan

sido introducidos precisamente en el proceso mismo de la traducción, por lo que no tendríamos que buscar un original latino que comparta las peculariedades que se hallan en la traducción. Esta personalidad tan marcada de la versión castellana no excluye que dentro de la misma hayan tenido lugar a lo largo de su tradición distintos contactos o contaminaciones con la versión latina e, incluso, con otros

testimonios castellanos para completar o corregir ciertos pasajes o lecturas. Más adelante veremos algün caso. b) Relaciones de los testimonios castellanos entre sí 1. Las ediciones Tras estudiar algunos pasajes y el comienzo del tratado podemos afirmar

que

cada

edición

deriva

directamente

de la anterior.

Por

tanto,

la

13 Más datos sobre esta edición aparecen en Bernardo de Gordonio, Lilio de medicina, B. Dutton - M*. N. Sánchez (eds.)..., pp. 25 y ss. 14 E] ejemplar de la Biblioteca Nacional de Madrid que hemos consultado carece de numera-

ción en las páginas. 15 Por ejemplo, la anécdota de los pigmeos (Il, 7, 30-32). En el texto latino aparece una pequefia alusión a dos pigmeos, que, al parecer, vió el propio Bernardo de Gordonio. En las traducciones, este mismo pasaje aparece expandido relatándose más detalles sobre este pueblo y la región que habitan. Esta digresión aparece en todos los testimonios castellanos y en ninguno de los latinos.

La traducción castellana de los nombres de enfermedades en la obra...

245

edición de Toledo copia a la de Sevilla, y la edición de Madrid a la de Toledo. Desde el punto de vista gráfico y expresivo las ediciones de Sevilla y de

Toledo son muy similares entre sí (aunque existen algunas diferencias). La de Madrid muestra mayores diferencias frente a ambas, ya que presenta una adaptación a la grafía y expresión de su época. Algo lógico teniendo en cuenta la distancia temporal que separa las dos primeras ediciones de la ültima. Por otro lado, la edición de Toledo corrige algunos lugares de la edición anterior empleando un ejemplar latino y la conjetura. La de Madrid asume dichas correcciones y realiza, por lo que hemos podido comprobar,

alguna correción, pero de una forma más superficial que la anterior. El resto de los cambios de la edición madrilefia atafien a la graffa y a la forma de expresión.

Veamos algunos ejemplos: En el prólogo ! la versión latina presenta varias veces el término virtus sin más precisiones (Pról. mino

como:

'virtud

animal;

14.15.19). La edición de Sevilla traduce este térla de Toledo

traduce

simplemente

'virtud',

lo

mismo que la de Madrid. En este caso da la impresión de que la edición de Toledo va siguiendo los dos textos, el castellano de Sevilla y el texto latino, y que corrige cuando detecta una incongruencia entre ambos. No pensamos que este haya sido el método empleado de manera sistemática y general.

Nos inclinamos más a pensar que recurre sobre todo al texto latino en los casos en que el texto castellano le plantea problemas y no siempre. En el siguiente caso (Pról. 5-7), aunque

la edición de Toledo no se hace

eco de la referencia bíblica !" que aparece en el texto latino, da la impresión de que la modificación que realiza estuvo ocasionada por el cotejo con el texto latino, aunque, como sefialamos, no lo traduzca: ...si autem aliquid boni fuerit, illud a me non fuit sed ab Illo sumitur hic ros qui siccam rupem fundere iussit aquas. Sevilla: 'E sy alguna cosa fuere y buena, esso digo yo que non viene de mi, mas viene del rocio de otro, anssy como dize el sabio' Toledo: 'E si alguna cosa fuere y buena, esso digo yo que no viene de mi, mas viene de aquel al qual el rocio de toda sabiduria se atribuye. Assi como dize el sabio' Madrid: '... y si alguna cosa fuere buena, esso digo yo que no viene de mi, mas viene de aquel al qual el rocio de toda la sabiduria se atribuye, como dize el sabio

En este ejemplo se pueden observar varios rasgos de los sefialados:

1) Todas ellas omiten la referencia bíblica (hic ros...), lo cual nos presenta a la versión castellana con unas características propias. l6 En estos ejemplos del prólogo no damos la lectura del manuscrito, pues le falta el principio del tratado. 1? Cf. Ps 113, 8.

246

Alberto Alonso

Guardo

2) La edición de Madrid recoge la lectura de la edición de Toledo. 3) La forma de expresión (‘anssy [Ed. Madrid: assi] como dize el sabio) es más

cercana

entre la edición de Toledo

y la de Sevilla. La de Ma-

drid emplea otra forma.

2. E] manuscrito castellano frente a las ediciones La versión manuscrita y la impresa del texto castellano no dependen la una de la otra. Ambas derivan de un antepasado comün donde se encon-

trarían todos los rasgos que caracterizan a la traducción castellana frente al texto latino. El manuscrito

(fechado en el s. XV sin más precisión) no deriva de la

edición de Sevilla (1495). Aparte del estrecho margen

temporal,

existen al-

gunas lecturas que descartan esta posibilidad como en I 1, 73-74: ..nisi quod materia terciane continue est in venis cum sanguine. Est igitur terciana continua de materia colerica intra venas conclusa, per totum tamen expansa. Manuscrito:

‘...salvo que la materia de la terciana continua es dentro en las venas con la sangre. E asi sepas que la terciana continua es de materia colerica dentro en las venas encerrada con la sangre. E enpero por todo el cuerpo es esparzida’. Sevilla: ‘...salvo que la materia de la terciana continua es de materia colerica dentro

en las venas encerrada con la sangre e por todo el cuerpo esparzida...' Toledo: Li

.. salvo que la materia de la tercina (sic) continua es de materia colerica den-

tro en las venas encerrada con la sangre y por todo el cuerpo esparzida...' Madrid: ‘...salvo que la materia de la terciana continua es de materia colerica encerrada dentro de las venas con la sangre y por todo el cuerpo esparcida...'

En este ejemplo las ediciones tienen un salto «de igual a igual» que no se encuentra en el manuscrito, lo que es un indicio de que éste no procede de aquéllas.

Existen también una serie de rasgos del manuscrito que no están presentes en las ediciones, lo cual nos indican que estás no proceden del manuscrito.

En

primer

lugar, desconocemos

primeros folios del manuscrito,

la fecha en que

se perdieron

los dos

pero de ser en una fecha temprana, ello

descartaría el parentesco a menos que esta parte se supliera por parte de

La traducción castellana de los nombres de enfermedades en la obra...

247

las ediciones mediante otro testimonio. Por otro lado, el manuscrito presenta en la primera parte del tratado una división en capítulos distinta de

la que presentan las ediciones castellanas, las cuales siguen otro tipo de distribución. Además de todo esto, el análisis de ciertos pasajes demuestra que el manuscrito no sirvió de base a las ediciones. Veamos un ejemplo: En IV 3, 88-89 hay una receta que comienza así: R. camphore et om-

nium sandalorum et aque rosarum... En las distintas traducciones encontramos lo siguiente: Ms. 1743: ‘...toma canfora e de todos tres sandalos e agua rosada...' Sevilla: ‘...R. canfora e omnium sandalorum e agua rosada...' Toledo: '...R. canfora y cominum sandalorum y agua rosada...' Madrid: ‘...R. canfora y cominum sandalorum y agua rosada...'

1) Si no

existen

contaminaciones

o utilización

de

para traducir, esta lectura evidencia que las ediciones

varios

testimonios

no dependen

del

manuscrito. 2) Este ejemplo confirma de nuevo que una edición copia a la anterior. La edición de Toledo conjetura la lectura 'cominum' en lugar de 'omnium', y la de Madrid recoge esta corrección. c) Comparación

con el Lilium

Nuestros datos no parecen entrar en contradición con los expuestos sobre esta misma cuestión a propósito del Lilium en el estudio de Brian Du-

tton

y Μ᾽. Nieves Sánchez !?. Aquí se expone que, segün el doctor Ama-

suno, la versión

del Lilio contenida

en el manuscrito

de Salamanca

«se

trata de una versión sumamente distinta e inferior a la que se publica por primera vez en 1495». Nosotros hemos comprobado que es una versión distinta, aunque nuestro estudio no ha sido lo suficientemente profundo

como para poder afirmar que sea inferior A propósito de la edición de Toledo comentan los autores: «El mayor interés del Lilio de 1513 es su intento de corregir algunos de los errores de la versión de 1495. (...) A pesar

de corregir algunos errores, resulta inferior por cometer otros que no existen en el princeps. No obstante, su consulta nos ha sido muy ütil en la preparación de nuestra edición, no sólo para rectificar obvios errores de imprenta

sino también

para aclarar lacunae

y otros problemas

textuales

de la edición sevillana de 1495». Sí que hemos comprobado plantean,

aunque,

como

este afán por corregir los errores que se le

en el caso de omnium

sandalorum,

no dé con

la

solución correcta. Dado que nuestro estudio de la misma no ha sido minucioso,

tampoco

podemos

afirmar de una

que la edición de Toledo sea inferior. 18 B. Dutton - M*. Nieves Sánchez, op. cit., pp. 29-31.

forma definitiva en este caso

248

Alberto Alonso Guardo

Por todo

lo expuesto,

para

el presente

base el texto castellano de la edición

estudio

hemos

de Sevilla, ya que

tomado

presenta

como el texto

íntegro y su fecha de composición no es muy lejana de la del manuscrito.

Original latino v Traducción

Texto latino '? (£?)

Pd

PA

Fu‘ Manuscrito & ^

ἝΩ

7 -

Pal

pi

A

Sevilla

JU

Texto latino (