Le parole della cura. Medicina e filosofia 9788860309280

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Le parole della cura. Medicina e filosofia
 9788860309280

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Citation preview

Umberto Curi

Le parole della cura Medicina e filosofia

~

Raffaello CortinaEditore

www.raffaellocortina.it

Copertina Studio CReE ISBN 978-88-6030-928-0

© 2017 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4

Prima edizione: 2017

Stampato da Press Grafica SRL, Gravellona Toce (VB) per conto di Raffaello Cortina Editore

Ristampe

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INDICE

Introduzione l.

11

Medicina

19

Tra mito e storia

19

n sangue della Medusa

20

La nascita di Asclepio

27

Medico e medicina

30

La medicina ippocratica

33

Le basi dell'arte medica

38

La qualità dei luoghi

42

n paradosso della medicina

47

2. Tetapia

3.

53

All'ascolto

53

Prendersi cura e curare

55

La medicina come professione

57

La cura dell'anima

59

Memoria e catarsi

64

L'"altra" medicina

67

Paziente?

70

Farmaco

75

Un rimedio che awelena

75

n Giorno dell'Espiazione

77

Pharmakos

79

Una piaga infetta

84

Guarire intossicando

89

Medicina, retorica e musica

95

La scrittura come farmaco

97

7

INDICE

"Quelle terribili ultime parole"

101 104

Il dono della speranza

108

Natura e tecnica

4. Chirurgia

113

Alle origini del lavoro della mano

113

Uno scambio fatale

117

Le mani e l'intelletto

119

Medicina e chirurgia

124

Ygyeia

126

Physis e techne

130

Il destino della chirurgia

133

Riferimenti bibliografici

137

8

Di fatto, oggi, questo è l'errore che fanno gli uomini, ossia che alcuni cercano di es­ sere medici della saggezza o della salute, ma separatamente l'una dall'altra.

PLATONE, Carmide, 157 b

Avvertenza

Tranne che nei casi espressamente indicati, le traduzioni delle opere greche e latine sono dell'autore.

INTRODUZIONE1

In un commento apparso nel numero dell'l l aprile 201 5 ,2 Rich­ ard Horton, direttore della rivista The Lancet (la più nota e diffu­ sa rivista di scienze biomediche a livello internazionale) , lanciava un allarme destinato a suscitare clamore nella comunità scientifi­ ca dei medici. "Gran parte della letteratura medica pubblicata è sbagliata" - questo l'assunto principale della denuncia proposta senza mezzi termini dall'autore. Riferendosi ai risultati emersi in occasione di un simposio sull'attendibilità della ricerca scientifi­ ca in ambito medico, svoltosi a Londra qualche settimana prima, Horton ne sintetizzava le conclusioni con una dichiarazione tanto perentoria quanto allarmante: "Qualcosa è andato fondamental­ mente male in una fra le più grandi creazioni umane" , al punto da poter affermare che "più della metà dei saggi scientifici di argo­ mento medico potrebbe essere semplicemente falsa" . Studi incoe­ renti, analisi non valide, conflitti di interesse, oltre all'ossessione di perseguire delle tendenze dubbie, inducono a ritenere che la scienza abbia imboccato una strada buia. Nell'articolo venivano accennate le cause di una così sbalor­ ditiva, e preoccupante, distorsione degli studi in questo settore. Nessuno è realmente incentivato ad agire con correttezza, per­ ché i ricercatori sono piuttosto incoraggiati a essere produttivi e l. Stefano Martini è autore di alcuni imporranti contributi su lppocrate e la me­ dicina antica, citati nel prosieguo del presente lavoro, e soprattutto del monumen­ tale lavoro Il senso dell'udito nel "Corpus Aristotelicum", Peter Lang, lnternational Academic Publishers, Bern 201 1. A lui sono debitore per aver rivisto ed emendato nel suo insieme il testo, oltre che per alcuni preziosi suggerimenti puntuali. 2_ R. Honon, "Offline: What is medicine's 5 sigma?", in The Lancet, 385, p. 1380.

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INTRODUZIONE

innovativi, anziché a raggiungere risultati veri. La competizione prevale sulla collaborazione. L'interesse a ottenere finanziamenti ha la meglio sul rispetto dei protocolli di indagine. Horton con­ cludeva la sua amara analisi con una considerazione tutt'altro che esaltante: " La buona notizia è che la scienza [medica] sta comin­ ciando a prendere molto seriamente alcune fra le sue mancanze. La cattiva notizia è che nessuno è pronto a fare il primo passo per ripulire il sistema " . Per quanto autorevole, l'opinione espressa con tanta durez­ za dall'autore britannico potrebbe apparire come espressione di un'isolata - e sproporzionata-: preoccupazione di un troppo se­ vero "addetto ai lavori " , il cui giudizio non sia peraltro condiviso dalla stragrande maggioranza dei membri della comunità scienti­ fica. Non è così. Basti riferirsi alla non meno inquietante valuta­ zione proposta, alcuni anni prima, da Marcia Angeli, medico ed editore, l'unica donna che sia stata per molto tempo a capo del New England Journal o/Medicine, vale a dire la più antica rivista di medicina del mondo, tuttora annoverata fra le più prestigiose. Ebbene, secondo l'autrice statunitense, "non è più possibile cre­ dere alla gran parte della ricerca clinica che viene pubblicata, o fare affidamento sul giudizio dei medici di fiducia o su linee gui­ da mediche autorevoli. Non gioisco di questa conclusione, che ho raggiunto lentamente e con riluttanza dopo i miei due decenni co­ me direttore della rivista " . 3 Il quadro a cui si è finora accennato era già stato delineato in maniera estremamente puntuale e documentata in un saggio comparso nell'agosto del 200 5 , a opera diJohn P.A. Ioannidis.4 Fin dalla dichiarazione di esordio, è chiaro quale sia la tesi pro­ posta dall'autore, ampiamente argomentata mediante una trat­ tazione analitica corredata da un ricco apparato di dati quanti­ tativi: "La maggior parte dei risultati delle ricerche pubblicate è falsa " . Più in particolare, è meno verosimile che il risultato di una ricerca sia vero quando sono scarsi gli studi in quel setto­ re, quando la mole dei dati proveniente da altri studi sullo stes3. M. Angeli, "Drug companies and doctors: A story of corruption" , in The New York Review o/Books, 56, 15 gennaio 2009. 4. ].P.A. Ioannidis, "Why most published research findings are false" , in PL05 Medicine, 30 agosto 2005, disponibile all'indirizzo: http://journals.plos.org/plosme· dicine/article?id= l 0.13 71/journal. pmed.0020 124.

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INTRODUZIONE

so tema è insufficiente, quando la preselezione dei contributi da pubblicare non è abbastanza severa. Ioannidis aggiunge altresì a questi indicatori, già in se stessi probanti, un'ulteriore conside­ razione: "La probabilità che una ricerca approdi a risultati falsi aumenta quando vi sono grandi finanziamenti, o comunque co­ spicui interessi economici in gioco " . Se ne può concludere che alcune "simulazioni possono dimostrare che, per la maggior par­ te degli studi, è più verosimile che le affermazioni di una ricerca siano false, piuttosto che vere" .5 La controversia nata intorno alla dubbia attendibilità dei risulta­ ti raggiunti mediante le ricerche in campo biomedico era destinata a riaccendersi alcuni anni più tardi, assumendo la forma di un inter­ rogativo riguardante lo statuto stesso della medicina. Procedendo ancora a ritroso, si può osservare che le premesse erano state poste in un libro comparso originariamente nel 1999 /'nel quale un noto storico della scienza medica aveva affermato categoricamente che la medicina non era in grado di corrispondere alle aspettative del­ la società odierna, e che sarebbe stato dunque necessario che essa si disponesse a ridefinire i suoi limiti, proprio nel momento in cui essa aveva raggiunto capacità tecnologiche senza precedenti. Conducendo alle sue conseguenze estreme il ragionamento di Porter, altri avevano sostenuto che il processo di democratizza­ zione della conoscenza, favorito da Internet e dai social media, avrebbe inevitabilmente condotto alla fine delle professioni, così come oggi le conosciamo, inclusa quella medica. Mentre infatti le professioni sequestrano le loro conoscenze specialistiche per finalità di guadagno personale, questa forma di protezionismo sarà distrutta dalle tecnologie dell'informazione e da un vasto accesso alle conoscenze specialistiche.7 Di qui l'auspicio, formu5. Era inevitabile che l'articolo-denuncia di Ioannidis dovesse suscitare un am· pio dibattito, per lo più mediante interventi fortemente critici e non meno vigorose repliche da parte dello stesso Autore. Una documentazione completa della discus­ sione è reperibile all'indirizzo web citato alla nota precedente. Si vedano soprattut­ to il contributo di H. Marcovitch, "Editors, publishers, impact factors, and reprint income", in PLOS Medicine, 7( 10): e1000355, 2010, e l'editoriale " Increased respon­ sibility and transparency in an era of increased visibility" , in PLOS Medicine, 7 ( 10): e1000364, 26 ottobre 2010. 6. R. Porter, The Greatest Bene/it to Mankind. A Medica! History o/ Humanity /rom Antiquity to the Present, Harper Collins, London 1999. 7. R. Susskind, D. Susskind, The Future o/ the Pro/essions, Oxford University Press, Oxford 2015. Si veda anche l'ampio dibattito svoltosi all'inizio del millen-

13

INTRODUZIONE

lato dall' Academy of Medicai Sciences, di pervenire a un " nuovo contratto sociale o patto fra medicina e società ",8 principalmente motivato dalla convinzione che " spingere l'innovazione medica senza una valutazione approfondita della recettività della società a tali avanzamenti impedirebbe di realizzare pienamente il loro potenziale" . 9 D'altra parte, il riconoscimento del carattere aleatorio di molti risultati acquisiti dalle ricerche in campo biomedico, e più in gene­ rale l'esigenza di una ridefinizione dello statuto e dei compiti del­ la scienza medica, soprattutto per quanto riguarda i suoi rapporti con la società e le sue rapide trasformazioni, non sono acquisizioni recenti. Sia pure in termini convenzionali, si può assumere quale punto di riferimento l"' Indirizzo presidenziale" , pronunciato da Sir Lionel Whitby, Regius Professar of Physic presso l'Università di Cambridge, in occasione del Congresso internazionale di Pato­ logia clinica, svoltosi a Londra il 1 6 luglio del 1 9 5 1 . 10 "N oi sappiamo " , afferma lo studioso britannico,"" che nei cam­ pi della fisiologia e della patologia, mediante un approccio scien­ tifico, è possibile stabilire con esattezza un fatto. Ma l'esperienza ci dimostra subito che il fatto isolato può essere interpretato in maniere largamente differenti, non solo per la molteplicità delle variabili in gioco, ma anche per l'estrema complessità dei sistemi che costituiscono l'organismo umano" .11 All'ampiezza quantitati­ va e alla variabilità dei fattori costituenti l'oggetto dell'indagine si deve altresì aggiungere un altro aspetto fondamentale, spesso ignorato o sottovalutato, vale a dire la "fallibilità dell'osservatore" . nio, innescato da un articolo di T.A. Brennan, "Charter on medicai professionalism: Putting the charter into practice " , in Annals o/Interna! Medicine, 138, 10, 20 mag­ gio 2003, p. 85 1 . 8 . Academy of Medicai Sciences, Exploring a new social contract /or medica! evi­ dence, London 2015. Una prospettiva simile era già stata delineata alcuni anni prima da]. Lubchenco, "Entering the century of the environment: A new social contract for science", in Science, 279, 5350, 23 gennaio 1998, pp. 491-497. 9. ]. Tooke, "The science (and art) of medicine", in The Lancet, 387, S6-S7, 25 febbraio 2016. Sullo stesso tema erano già intervenuti D. Ofri, "The practice of med­ icine: Neither science nor art", in The Lancet, 367, 95 13, pp. 807-808 e K. Malterud, "The art and science of clinica! knowledge: Evidence beyond measures and num­ bers", in The Lancet, 358, 9279, pp. 397-400. 10. L. Whitby, "The science and art of medicine" , in The Lancet, 258, 6674, 28 luglio 1 95 1 , pp. 1 3 1 - 1 33. 1 1 . Ibidem, p. 1 3 1 .

14

INTRODUZIONE

Da tutto ciò, e da un'attenta disamina delle modalità concrete di svolgimento della pratica clinica, Whitby deduce una conclusione estremamente esplicita: "L'errore è tutto intorno a noi e si insinua in ogni occasione. Ogni metodo è imperfetto" .12 Ancor più esplicitamente, si può sostenere che "la medicina non potrà mai diventare una scienza esatta, fino a che tutte le va­ riabili non siano state definite e fino a che non sia stato elimina­ to l'elemento personale, anche riducendo il paziente a una forma standard" . J J Anziché assecondare una visione acritica della medi-· cina, si tratterebbe piuttosto di tenere ben presente il monito di Oliver Wendell Holmes, allorché sosteneva che "la scienza non è che la topografia dell 'ignoranza " . Senza dimenticare, in termini generali, la sentenza di Thomas Huxley, secondo il quale "la scien­ za non è altro che buon senso allenato e organizzato" .14 Insomma, ogni pretesa di esattezza e infallibilità deve essere accantonata, quando si tratti di riflettere senza pregiudizi sulle potenzialità e i limiti della medicina. Sebbene, nel corso della storia, la tendenza ad attribuire alla medicina un carattere compiutamente scientifico sia frequente­ mente ricomparsa, si può considerare ormai acquisita, almeno nella comunità scientifica, la tesi dell'irriducibilità della medici­ na alle cosiddette hard sciences, quali la matematica o la fisica, o alla nuova generazione delle scienze novecentesche, dall'infor­ matica alla telematica. Almeno fino a quando il fulcro principale dell'indagine medica resterà la clinica, vale a dire un 'attività com­ plessa, comunque non riconducibile a un procedimento stan­ dardizzato su base matematica, sarà inevitabile che la medicina conservi una fondamentale ambivalenza, nella tensione fra una base rigorosa, sostanzialmente coincidente con i risultati resi di­ sponibili dal progresso delle conoscenze propriamente scientifi­ che in campi come la fisica, la chimica e la biologia, e lo sviluppo di un'attività irrimediabilmente condizionata da una pluralità di variabili soggettive. La conclusione, ancorché provvisoria e puramente enunciativa, desumibile dagli spunti in precedenza menzionati è a questo pun12. Ibidem. 1 3 . Ibidem. 14. Ibidem, p. 132. 15

INTRODUZIONE --- ----

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to intuitiva: " La medicina non è una scienza, è una pratica basata su scienze e che opera in un mondo di valo ri. È, in altri termini, una tecnica [ . . . ] dotata di un suo proprio sapere, cono scitivo e va­ lutativo , e che differisce dalle altre tecniche perché il suo ogget­ to è un soggetto : l'uomo " . 1' D'altra parte, a un esame più attento , la stessa definizione ora riportata risulta valida soltanto in prima approssimazione, poiché include il riferimento ad alcuni concetti - "medicina" , "tecnica" , "pratica" , "scienza" , "sapere" - ciascu­ no dei quali esige di essere accuratamente chiarito anzitutto dal punto di vista etimologico e lessicale, e quindi anche sotto il pro­ filo strettamente concettuale. Di qui la scelta di porre al centro della riflessione svolta nelle pagine che seguono le parole della cura, vale a dire alcuni termini chiave, capaci di delineare nel loro insieme l'ambito , la natura, gli strumenti e le finalità di quella che convenzionalmente viene de­ finita la scienza medica. Non un semplice " dizionario " , e neppu­ re un regesto completo di terminologia tecnica. Ma' piuttosto una ricognizione, deliberatamente parziale e non esaustiva, di alcuni fra i problemi fondamentali a essa sottesi. Nella descrizione di questo perco rso , si risalirà più volte, e non solo occasionalmente, alle origini storico-concettuali della medici­ na, affondando spesso anche nel repertorio mitologico , letterario e filosofico del mondo classico . Con la convinzione che, a differenza di ciò che si potrebbe superficialmente pensare, la storia della me­ dicina non può essere paragonata "a una raccolta di francobolli " o a un album contenente l'illustrazione delle invenzioni più celebri, comunque prive di interesse per gli sviluppi futuri della discipli­ na. 16 Al contrario , un primo passo significativo nella direzione del 15. G. Cosmacini, Il mestiere di medico. Storia di una professione, Raffaello Cor­ tina, Milano 2000, p. XI; i corsivi sono miei. 16. "Il ruolo dello storico consiste nell'interpretare, non solamente nel documen· tare. Se uno scienziato o un medico fanno un'affermazione, il dovere dello storico non è quello di riportare quella affermazione, ma di chiedersi se essa era vera. Gli storici non dovrebbero occuparsi soltanto dei progressi tecnici della medicina. Essi dovrebbero essere interessati alle condizioni economiche e politiche che danno for· ma agli avanzamenti (e alle battute di arresto) di un'epoca, senza trascurare i pensieri e i sentimenti degli stessi protagonisti - scienziati, medici, infermiere, pazienti. [ . . . ] La storia della medicina dovrebbe garantire un 'contrappeso umanistico alle prete­ se di progressi irresistibili"' (R. Horton, "Offline: The moribund body of medicai history", in The Lancet, 384, 9940, 26 luglio 2014, p. 292).

16

INTRODUZIONE

superamento di una concezione riduttivamente positivistica della medicina può essere compiuto da un lato valorizzandone il per­ co rso storico , i successi e le sconfitte, le conquiste e i fallimenti, le promesse mantenute e le inadempienze, e dall'altro lato misuran­ dosi senza censure o rimozioni con le grandi questioni soggiacenti alle "parole" che ne definiscono il campo .

17

l MEDICINA

TRA MITO E STORIA

Il mito che racconta l'origine della medicina è descritto da Apollodo ro , la cui versione rinvia ad altre fonti antiche. 1 Protago­ nista della vicenda è Asclepio , nato dalla relazione di Apollo con Coronide, figlia di Flegia, re della Tessaglia. La giovane donna, in attesa di un figlio frutto dell'unione col dio , contravvenendo alle raccomandazioni del padre, aveva scelto di rifiutare il matrimonio con Apollo, perché innamorata di Ischi, fratello di Caneo. Avver­ tito da un co rvo del rifiuto di Coronide, Febo maledice l'uccello e lo trasforma da bianco in nero , per poi uccidere la donna. Men­ tre il corpo di lei brucia, il dio sottrae il bambino alle fiamme e lo conduce presso il centauro Chirone che lo alleva e gli insegna la medicina e l'arte della caccia. È da notare che la narrazione del­ le modalità della nascita di Asclepio , strappato dal grembo della madre morente, accomuna colui che sarà considerato il dio della medicina ad altre figure caratterizzate dal motivo della "nascita nella morte " , prima fra tutte Dioniso , la cui madre Semele viene incenerita dal fulmine di Zeus al settimo mese di gravidanz a, men­ tre il piccolo è salvato per intervento diretto del nume olimpico .2 Secondo una variante del mito (attribuita da Pausania agli abi­ tanti di Epidauro ) , Flegia sarebbe giunto a Epidauro per racco ­ gliere in segreto informazioni sull a ricchezza del paese e la forza l. Vedi Apollodoro, I miti greci, a cura di P. Scarpi, tr. it. di M.G. Ciani, Monda­ dori, Milano 1 996, III, 10, 253 . 2 . Vedi K . Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, tr. it. Adelphi, Milano 1992; W. F. Otto, Dioniso. Mito e culto, tr. it. il melangolo, Genova 1990.

19

LE PAROLE DELLA CURA

dell'esercito, col proposito di saccheggiarlo, giovandosi delle virtù militari dei migliori guerrieri greci al suo servizio. Nel viaggio, il re tessalo è accompagnato dalla figlia, già incinta di Apollo. Sor­ presa dalle doglie, Coronide dà alla luce un figlio, che viene subi­ to esposto sul monte Tizione, che sarebbe poi diventato famoso per le virtù medicinali delle sue piante. Mentre il neonato sta per essere raccolto da un pastore di passaggio sul monte, compare lo stesso Apollo, circonfuso di luce abbagliante, e porta con sé il pic­ colo Asclepio. In entrambe le versioni, ritorna il tema di una "doppia nasci­ ta" - la prima connessa col parto di Coronide, la seconda conse­ guente all'intervento di Apollo - quale sigillo originario di una identità che si preciserà sempre più esplicitamente nel segno del­ la duplicità.3 Tutto ciò è confermato dallo sviluppo del racconto. Affidato alle cure di Chirone, anch'egli di natura doppia, come ibrido di uomo e cavallo, raggiunta la maturità Asclepio riceve da Atena il sangue che era sgorgato dalla testa mozzata della Medusa, quando Perseo l'aveva decapitata. Unica mortale fra le tre Gorgoni, la Me­ dusa è essa stessa una potentissima icona della duplicità. Umana e animale, maschile e femminile, giovane e vecchia, bella e brut­ ta, benigna e malefica, la Gorgone è al centro di una vicenda sulla quale è impresso il segno inconfondibile dell'ambivalenza. IL SANGUE DELLA MEDUSA

Nel mondo greco, l'immagine della Medusa compare origina­ riamente nel corso del VII secolo a.C., in piena età orientalizzante, quando nell'arte geometrica ellenica irrompono le forti suggestio­ ni provenienti dall'arte orientale, sia in forma di leggende, "elleniz­ zate" e adattate al già cospicuo repertorio autoctono, sia in forma di raffigurazioni mostruose e inquietanti. D'altra parte, pur non 3. " Si può notare che [ . . . ] Asklepios non è la sorgente autonoma dell'arte medi­ ca, secondo la sua mitologia; non tanto perché è figlio di Apollon, quanto perché egli stesso l'ha appresa da Cheiron. La linea, infatti, parte da Cheiron, come nel caso di altre arti eroiche [ . . . ] di modo che la discendenza di Asklepios ne è solo una grossa diramazione" (A. Brelich, Gli eroi greci, Adelphi, Milano 2010, p. 101). Questa li­ nea è peraltro già individuata da Omero, quando attribuisce a Patroclo la capacità di curare Euripilo ferito, avendo appreso da Achille - il quale a sua volta l'avrebbe appresa da Chirone - l'arte medica (lliade, 1 1, 828 sgg.).

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MEDICINA

corrispondendo esattamente ad alcun modello preesistente, e do ­ vendo perciò essere considerato come un' "invenzione greca" , il gorgoneion è stato indubbiamente creato sulla base di una forma egiziana o siriaca. Tracce di una tradizione iconografica ricondu­ cibile a Medusa, di gran lunga anteriore al VII secolo , si ritrova­ no infatti diffuse nell'antica Europa e nel Vicino Oriente già nel paleolitico superiore, e ricompaiono poi nel periodo neolitico at­ traverso alcune figure femminili accompagnate da serpenti e uc­ celli. Si ritiene che le immagini di Arianna - donna-serpente, dea e sacerdotessa, accomunata a Coronide per la "nascita nella mor­ te" - , rinvenute nel Palazzo di Cnosso , ricalchino modelli ancora più antichi, databili intorno al 1 600 a.C., recanti la raffigurazione di una divinità femminile circondata da serpenti. In questi arche­ tipi, Medusa è il simbolo della sapienza muliebre, dei cicli naturali della nascita, morte e rinascita, della creatività universale, e insie­ me dell'incessante trasformazione. Da notare che immagini simili a quelle della Medusa greca ar­ caica, comunque provviste delle medesime caratteristiche, ricor­ rono in contesti culturali e geografici fra loro molto diversi, oltre che distanti nello spazio e nel tempo . Solo per citare alcuni esem­ pi, a parte quelli relativi alla divinità egiziana Bes e a Humbaba, antagonista mesopotamico di Gilgamd , basti pensare al volto che campeggia al centro del calendario di pietra azteco , nel quale è raffigurato il dio Tonatiuh ovvero, secondo quanto si è sostenuto in tempi recenti, Xochipilli-Piltzintecuhtli. Ritratto frontalmen­ te, con grandi occhi sbarrati, il naso largo , la bo cca aperta in un ghigno e la lingua grossa che penzola fuori da una fila di denti di­ grignati, questo volto ricapitola in sé buona parte degli elemen­ ti iconografici presenti nella rappresentazione tradizionale della Gorgone arcaica. Per restare nell 'America Centrale, numerose al­ tre figure condividono i tratti del viso posto al centro del calenda­ rio azteco , come la dea Coatlicue, Xolotl, la " stella della sera " , o il dio della pioggia Tlaloc, appartenente alla cultura preazteca della zona di Teotihuacan. Per esempio , il volto di Tlaloc, o anche quel­ lo di Cocijo , divinità della pioggia della regio ne di Oaxaca, si pre­ sentano frontalmente, con gli occhi sbarrati, una bocca spalancata piena di denti aguzzi, talora sporgenti, e la lingua protesa. Tutte caratteristiche tipiche della Gorgone arcaica, presenti pure in fi­ gure della regione degli Olmechi e nella zona di Chavin nell'alto 21

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Perù, ma rintracciabili anche in Giappone, in Indonesia, in Nuo ­ va Zelanda e in Nuova Guinea. Nei modelli greci arcaici, Medusa compare sempre con un si­ gnificato ambivalente - inizio e fine, protettrice e potenza malefica, essere umano e insieme anche animale, al confine fra il mondo dei vivi e quello dei morti, e dunque anche mediatrice fra il dominio dei viventi e l'oltretomba. Ambiguo è, anzitutto , il rapporto che la lega a Atena, della quale per certi aspetti essa può essere conside­ rata il "doppio " o , alternativamente, la "faccia nascosta " . Quan­ do , a conclusione dell'impresa di Perseo (il cui buon esito sarebbe stato impossibile senza l'aiuto determinante di Atena), la dea fissa sull'egida la testa decapitata di Medusa, si ricompone un'unità fra due personaggi collegati da molti legami visibili e sotterranei. Da notare, a conferma di questo vincolo , che le più antiche immagi­ ni di Atena assomigliano in maniera impressionante alla divinità femminile-serpente-sacerdotessa di Creta, considerata la proge­ nitrice di Medusa, e che in tutte le diverse varianti iconografiche Atena è sempre associata a figure di serpenti, che compaiono co ­ stantemente anche nelle raffigurazioni della Gorgone. Particolarmente evidente nelle immagini del VII e del VI seco­ lo , dove per esempio il volto femminile appare spesso incorniciato dalla barba, e dove i tratti dichiaratamente muliebri sono contrad­ detti da una lingua che assume talvolta la forma del fallo , il tratto distintivo dell' ambivalenza permane anche quando l'immagine si ingentilisce, pur se viene diversamente rappresentata, in qualche caso attraverso riferimenti puramente simbolici. Si può anzi fin d'ora sottolineare che, nella spiccata variabilità dei dettagli, e in un'evoluzione che conduce fra l'altro al rovesciamento "estetico " fra l'aspetto mostruoso e quello seducente, ciò che resta inaltera­ to è l'intrinseca ambiguità del volto della Gorgone. "Doppia " , nel suo indissolubile rapporto con Atena, culminante con quella sorta di "fisica" identificazione, data dall'annessione della testa mozzata di Medusa all'egida della dea, essa è duplice anche e soprattutto in se stessa, come simultanea e ineliminabile compresenza di ca­ ratteristiche opposte. Quando l'immagine di Medusa assume una forma compiuta nel mondo greco , fra l'VIII e il VII secolo , l'iconografia si definisce lungo due direzioni fondamentali : da un lato come iconografia "narrati­ va" , che visualizza il contenuto dei miti nei quali compare la Go r22

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gane; dall'altro lato , in contrasto con la tendenza prevalente alla rappresentazione di una figura intera, come iconografia simbolica, la quale estrapola dall'immagine intera la sola testa mozzata, assun­ ta come sintesi del potere di pietrificazione attribuito alla Forcide. Nel primo caso , l'elemento che viene maggiormente sottolineato , e che ricorre costantemente, è l'aspetto composito delle Gorgoni (ali e volto terrificante), attestato soprattutto su vasi del protogeo ­ metrico ateniese, secondo un'iconografia che sarà ripresa anche dalla decorazione templare (acroteri, metope, ma anche frontoni) . Nella variante simbolica, gli aspetti terrificanti del volto (occhi sbarrati, bocca aperta nel ghigno , lingua pendula, talora in fo r­ ma fallica) vengono ulteriormente estremizzati, mentre la testa è spesso usata nella decorazione templare per ribadire il significato , che essa aveva assunto , di protezione del tempio contro i possibili nemici. A ciò si aggiunga che il gorgoneion compare anche come episema dello scudo di Atena, oltre che come decorazione dell'e­ gida di Zeus e della stessa Atena. Anche nella tradizione figurativa, come già si è accennato es­ sere accaduto in quella mitologica, interviene ben presto un'im­ portante novità, che modifica lo stereotipo originario, sebbene non muti la funzione attribuita all'immagine di Medusa. Già co n Fidia, infatti, si assiste a una raffigurazione della Gorgone con le sembianze di una donna con un volto bello e seducente, anziché con le sembianze ripugnanti con le quali essa è presente nel VII e nel VI secolo. Sia pure indirettamente, l'iconografia rinascimenta­ le e barocca, nella quale viene raffigurato il contrasto fra il volto "bello " della Gorgone e l'o rnamento repellente (la chioma angui­ fo rme) che la adorna, conferma la persistenza di una intrinseca ambivalenza nella rappresentazione di questa enigmatica figura. Dopo Fidia, Medusa "bella" è ampiamente utilizzata a fianco, o in sostituzione, di quella terrificante per tutta l'età ellenistica e romana, mentre si moltiplicano e si diversificano ulteriormente i contesti nei quali ricorre il gorgoneion, ormai stabilmente investito di una finalità apotropaica, sia in ambienti pubblici, sia nelle abita­ zioni private, dove assolve al compito di fornire il benvenuto all'o ­ spite, garantendogli altresì protezione. Di particolare importanza, da questo punto di vista, è il portico del fo ro severiano di Leptis Magna, nel quale il volto di Medusa compare un centinaio di vol­ te, nella regolare alternanza fra il volto bello e quello terrificante, 23

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mentre resta invariata la funzione di salvaguardia del tempio e di coloro che si trovano in prossimità del luogo sacro.4 Il riferimento alla variante "bella" di Medusa, testimoniata da una lunga e ininterrotta tradizione, il cui inizio viene fatto coinci­ dere con una raffigurazione vascolare proveniente dalla Cirenai­ ca, datata into rno al 475 a.C.,5 e poi proseguita con alcuni "pezzi" esemplari (dalla Medusa Rondanini6 fino alla Medusa Ludovisi, di età ellenistica), risulta della massima importanza per un'ade­ guata comprensione dell'enigma connesso allo sguardo di questo inquietante personaggio mitologico . Anzitutto , l'iconografia rinascimentale e barocca, nella quale viene raffigurato il contrasto fra il volto "bello " della Gorgone e l'ornamento repellente (la chioma anguiforme) che la adorna/ conferma la persistenza di una intrinseca ambivalenza nella rap­ presentazione di questa enigmatica figura. Non si tratta, d'altra parte, di una novità introdotta dall'arte moderna, visto che già la "Medusa Rondanini" , secondo le parole di Goethe, esprimendo "il dissidio fra la vita e la morte, fra il dolo re e il piacere, esercita un fascino inesplicabile su di noi, come nessun'altra figura ambigua è in grado di fare" .8 In secondo luogo, combinando le fonti lette­ rarie e quelle figurative,9 risulta evidente che il potere a essa con4. Sono grato a Francesca Ghedini, storica dell'Arte antica presso l'Università di Padova, per le preziose indicazioni fornitemi in relazione alla tradizione icono­ grafica di Medusa. 5. Difatti, mentre l'attribuzione a Fidia di una Medusa dal bel volto è tuttora controversa, sembra non sussistano dubbi sull'interpretazione da fornire dell'idria nella quale compare la figura, in rosso, di Perseo, colto di profilo, che regge il capo mozzato di Medusa, anch'esso di profilo. Si noti non solo che la testa non è ritrat­ ta frontalmente, come accade sempre nel caso della Gorgone mostruosa, ma che è anche priva di tutti i caratteri che abitualmente si ritrovano nelle rappresentazioni arcaiche. Pressoché coeva a questo dipinto vascolare è una coppa attribuita a Poli­ gnoto che ritrae Perseo intento a decapitare una Medusa dormiente dal bellissimo aspetto. Secondo A.B. Cook (Zeus. A Study in A ncicnt Rcligion, vol. III, Cambridge University Press, Cambridge 1940, pp. 88 sgg.), è questo l'esempio più antico della "Medusa bella". 6. Si tratta di una testa in marmo pario di grandezza naturale, primo esempio recante due ali attaccate alla testa, ritenuta essere una copia romana di un originale greco databile all'incirca al 330 a.C. (ibidem). 7. Fra i molti esempi, si vedano soprattutto le tele di Leonardo, di Caravaggio ( 1591 - 1592) e di Rubens (1617-1618). 8. J.W. Goethe, Viaggio in Italia, tr. it. Mondadori, Milano 1985, p. 167. 9. L'immagine della Medusa bella è considerata da numerosi studiosi come una sorta di " illustrazione" della dodicesima delle Pitiche di Pindaro. Si tratta, come è

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cordemente attribuito non dipende dalle sembianze con le quali è raffigurata, nel senso che persiste anche quando si attua un vero e proprio rovesciamento nelle caratteristiche "estetiche" del volto, nel passaggio dall'aspetto terrificante a quello bello. 1 0 Riferendosi a un periodo storico molto distante da quello in cui compare originariamente l'immagine della Gorgone, è possibile trovare un'importante conferma dell'assunto ora enunciato. Assu­ mendo la Medusa come icona chiave del Romanticismo, si è cerca­ to di dimostrare che essa compendia in sé le caratteristiche salienti di un movimento che pone al centro l'irresistibile attrazione per l'orrido e l'abominevole e l'inclinazione verso un modo morbo­ so di concepire l'amore. 1 1 Viceversa, se si esaminano alcuni fra gli autori più rappresentativi dell'età romantica - da Goethe a Shel­ ley , da Pater a Swinburne , è possibile raggiungere conclusioni per certi aspetti opposte. In particolare, commentando il dipinto di Medusa attribuito a Leonardo, sia Shelley sia Pater sostengo­ no che la suggestione di questa immagine non dipende univoca­ mente da un volto ripugnante, quanto piuttosto dalla tensione fra aspetti contrastanti, dalla "tempestosa seduzione del terrore " ,12 o dal "fascino della corruzione" .13 Tutto ciò dimostra che la Medusa -

noto, di un'ode composta in onore di Mida, re di Agrigento, il quale aveva vinto una competizione di flauto attorno al 490 a.C. La particolarità che avrebbe reso illustre questa prestazione è data dal fatto che, secondo la tradizione, Mida avrebbe rotto il flauto durante la gara, ma sarebbe tuttavia riuscito comunque a proseguire senza lo strumento, giovandosi dell'aiuto di Atena. Di passaggio, Pindaro si riferisce all'impre­ sa di Perseo, menzionando la "testa della bellissima Medusa" (vedi S.R. Wilk, Medusa. Solving the Mystery o/the Gorgon, Oxford University Press, Oxford 2000, pp. 4 1 -42). 10. Già Giovanni di Antiochia aveva attribuito il potere di pietrificare proprio di Medusa non alla ripugnanza, ma al contrario alla bellezza del suo volto, sostenendo che: "La Gorgone era una cortigiana bellissima, il cui fascino era talmente sbalor­ ditivo da trasformare in pietra chiunque volgesse su di lei lo sguardo" (Fragmento Historicorum Graecorum, IV, 539, fr. l, 8). 1 1. Come sostiene, in un'opera ormai divenuta classica, M. Praz, "La bellezza medu­ sea", in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze 1948. 12. Shelley tende a esprimere l'intrinseca duplicità del volto della Gorgone me­ diante un ossimoro molto efficace: " 'Tis the tempestuous loveliness o/ te"or; l For from the serpents gleams a brazen giare l Kindled by that inextricable errar, l Which makes a thrilling vapour of the air l Become a [ . . . ] and ever-shifting mirror l 0/al/ the beauty and the te"or there" (P.B. Shelley, "On the Medusa of Leonardo da Vin­ ci, in the Fiorentine Gallery", in Posthumous Poems o/Percy Bysshe Shelley, a cura di M.W. Shelley, John and Henry L. Hunt, London 1824, pp. 139- 140; corsivi miei). 1 3 . Sempre in riferimento al dipinto di Leonardo, Pater sottolinea che "ciò che può essere chiamato il fascino della corruzione penetra in ogni tocco la sua bellezza

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può certamente essere considerata il simbolo del movimento ro ­ mantico , ma non già perché essa esprima semplicemente il gusto dell'o rrido e del tenebroso , bensì perché in essa convergono - in nessun modo pacificamente risolti - aspetti contraddittori, pola­ rità non ricomponibili. Insomma, se a quanto si è fin qui osservato si aggiunge il fatto che il Romanticismo tratta la leggenda dello specchio di Perseo come il simbolo evidente dell'equivalenza fra l'eroe e la sua vitti­ ma, si può concludere che "la Medusa romantica è non solo essa stessa un Doppelgiinger, ma è una figura ricorrente di quell'altro tema romantico pervasivo, che è appunto il tema dello specchio " .14 Il compimento della tendenza romantica può essere individuato in una poesia moderna di Daryl Hine, 1' nella quale compare un possibile amante della Gorgone, un evento altrettanto impensabile della salvazione di Satana, anch'esso immaginato nell'Ottocento : "Ella [Medusa] appare dormiente, come se stesse sognando fore­ ste pietrificate, driadi monumentali, fiori di pietra, ali di pietra, o il compagno che ella non incontrerà mai, il quale guarderà i suoi occhi e vivrà" .16 La poesia di Hine si riferisce al momento che precede immedia­ tamente il punto in cui Perseo uccide la mostruosa creatura figlia di Fo rci e Ceto . Essa ci dice che "l'artista conosceva soltanto un modo per raccontarci questa antica storia, mentre ora noi possia­ mo vedere quanto tutto po trebbe essere equivoco [ . . . ]. Nel poema di Hine, tutta la vita è arte, sia quella sognata in immagini di pietra, sia quella scolpita nell'oro, e se un eroe metallico può trionfare su straordinariamente rifinita" (W. Pater, The Renaissance, Macmillan, London 1900, p. 106). Nello stesso testo, Pater awicina la figura della Gorgone a quella della Gio­ conda, sostenendo che l'enigmatica donna ritratta da Leonardo "come il vampiro è morta molte volte, e ha imparato i segreti del sepolcro" . Ciò che accomunerebbe i due personaggi è il fatto che "queste donne emanano un odore di morte e di nobiltà al tempo stesso" (ibzdem, p. 125). In entrambe, inoltre, si può rawisare il nesso fra "eternai death " e "unending lzfe", espresso nella lotta fra "le forze oscure, animali, ctonie", rappresentate dai serpenti, e "la pietra fredda e liscia della testa apollinea" (ibidem, pp. 203-204). 14.].]. McGann, "The beauty of the Medusa: A study in romantic literary iconol­ ogy", in Studies in Romanticism, Il, 1972, pp. 23. 15. D. Hine, Minutes, Atheneum, New York 1968, p. 45. 16. " [ . ] As if dreaming of petrified forests, l Monumental dryads, stone leaves, stone limbs, l Or of the mate that she willnever meet l Who willlook into her eyes and live" (ibzdem) . . .

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una Medusa della quale egli realizza la morte, ella può sognarsi immortale nel mondo pietrificato in cui sarà regina per sempre" .17 In altre parole, in tutto l'arco della tradizione letteraria e figu­ rativa o ccidentale - da Ovidio fino a Goethe, Shelley e Hine, da Fidia a Leonardo e Klimt -18 la caratteristica principale del volto della Gorgone non è né l'aspetto mostruoso , né quello seducente, ma il potere che esso possiede, e che appare in una certa misura indipendente da connotati meramente estetici. A ciò si aggiun ­ ga che, sia pure in fo rme diverse, la raffigurazione di Medusa ci restituisce un 'immagine essenzialmente ambigua, mai "sempli­ cemente" bella o brutta, ma sempre insieme l'una cosa e l'altra. Si può anz i rilevare che l'apparizione di Medusa dal "bel volto " non soltanto non cancella, e neppure riduce, il potere di quell'im­ magine, ma al contrario lo estende e lo generalizza, conferendo a essa una funzione apotropaica largamente utilizzata nel mondo greco e latino per quasi un millennio . Ciò significa che, al di là di ogni ragionevole dubbio , non è l'aspetto genericamente "mo­ struoso " , nel senso di qualcosa che suscita terro re per la sua ri­ pugnanz a, il vero principio di individuazione della Gorgone, ma qualcosa di diverso e più pregnante, tale da restare inalterato , nonostante le continue metamorfosi che sconvolgono la morphe originaria di Medusa. LA NASCITA DI ASCLEPIO

Strappato da Apollo al rogo , sul quale brucia invece la ma­ dre Coronide, colpevole di aver preferito quale marito lschi al 17. ].] . McGann, "The beauty of the Medusa . . . ", cit., p. 25. 18. E la Pallade Atena di Gustav Klimt, olio su tela del 1898, ora all'Historisches Museum der Stadt di Vienna, nella quale una figura di Medusa, assai simile a quel· la inserita nella metopa del tempio C di Selinunte, campeggia al centro dell'egida di Atena. Ma come già aveva rilevato uno dei primi e più prestigiosi critici dell'ar· te della Secessione (L. Havesi, Acht Jahre Sezession. Kritik-Polemik-Chronik, Mà'n 1897-]uni 1905, Wien 1906), l'ispiratore della Gorgone di Klimt è il "grande mistico di Bruxelles", vale a dire Fernand Khnopff, il quale aveva esposto alla mostra della Secessione una maschera in gesso (Hypnos), assai simile alla Medusa Rondanini (e, dunque, alla variante "bella" ) , a cui era stato attribuito "l'effetto di una moderna Medusa". Del 1895, inoltre, è anche Il sangue di Medusa dello stesso autore belga, nel quale il volto della Gorgone appare liscio e sereno, molto vicino alla tradizione del volto bello della figlia di Forci. Sull'argomento, vedi M. G. Messina, "L'egida di Atena", in S. Sabarsky (a cura di), Gustav Klimt, Artificio, Firenze 199 1 , pp. 45-54.

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dio nato a Delo , il piccolo Asclepio viene consegnato al centau­ ro Chirone, affinché da lui apprenda l'arte medica unitamente a quella della caccia. Fattosi adulto , Asclepio perfeziona l' arte al punto che non solo riesce a salvare colo ro che sono ammalati, ma diventa anche capace di resuscitare i morti. 19 Da Atena egli ha infatti ricevuto il sangue sgorgato dalla testa mozzata della Gorgone, dotato di proprietà ambivalenti. Quello provenien­ te dalle vene di sinistra, potentissimo veleno , può servire a far morire gli uomini; quello che sgorga dalle vene di destra può re­ suscitarli. Identico, come solo possono esserlo due go cce dello stesso liquido , quel sangue mostra tutta la sua potenza nella du­ plicità dei modi con i quali si rappo rta alla morte: scongiuran­ dola o procurandola. Affidato alle cure di un personaggio doppio , metà uomo e me­ tà cavallo , Asclepio apprende i segreti di un'arte - quella medi­ ca- intrinsecamente ambivalente, perché capace insieme di sal­ vare la vita e di procurare la morte. Il potere a lui conferito è a sua volta conseguenza di un dono doppio , proveniente da quel condensato di duplicità che è la Medusa: giovane-vecchia, bella­ brutta, uomo -donna, umana-bestiale, mortale-immortale. Di qui la funzione sempre e comunque ambivalente della stessa techne medica, la quale, co me peraltro qualunque altra techne, non può giovare senza insieme anche nuocere, come il pharmakon di cui essa si serve, un veleno che cura, un rimedio che intossica, un anti­

doto che uccide. Temendo che gli uomini possano imparare da Asclepio l' ar­ te di curarsi, Zeus interviene fulminandolo , e quindi suscitan­ do l'ira di Apollo . Nell'impossibilità di vendicarsi direttamente col nume olimpico , il dio delle arti e della musica scarica la sua collera sterminando i Ciclopi, i quali avevano fo rgiato il fulmine usato da Zeus. La catena delle colpe e delle sanzioni (atti segna­ ti anch'essi dalla duplicità degli effetti, come azioni immanca­ bilmente seguite da re-azioni) si co mpleta co n la pena inflitta a Apollo : egli dovrà trascorrere un anno intero20 al servizio di un 1 9. Racconta Igino (Fabulae, 49) che, fra gli altri, Asclepio avrebbe resuscitato Ippolito, figliastro di Fedra, e Glauco, figlio di Minosse. 20. Come sottolinea Karl Kerényi, in realtà "la penitenza durò un 'grande anno', vale a dire otto anni, periodo che da noi si chiamava ennaeteris, ciclo di nove anni. Solo dopo tale periodo, [Apollo] tornò definitivamente a Delfi, come 'puro', Phoi-

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uomo mortale, assecondandone docilmente la volontà.21 Gene­ rato con una " doppia nascita" , frutto di un'origine nella quale la vita scaturisce dalla morte, allevato da un personaggio per metà uomo e per metà animale, collegato per una pluralità di legami a Dioniso, dio della contraddizione, Asclepio riceve in dono il sangue sgorgato dalle vene della testa mozzata di una icona della duplicità, la Gorgone Medusa. Inoltre, il sangue stesso ottenu­ to in dono è ambivalente: quello sgorgato dalle vene di sinistra è un veleno letale, capace di far morire gli uomini, mentre quel­ lo proveniente dalle vene di destra è in grado di salvarli, al pun­ to da riuscire anche a resuscitare i morti. La personalità stessa del dio della medicina e gli " strumenti" da lui impiegati nell'e­ sercizio dell'arte che si ispirerà al suo insegnamento compaio­ no dunque originariamente connotati in forme irriducibilmente ambivalenti. Nato nella morte, cresciuto in un contesto connotato dalla du­ plicità, collegato a figure irriducibilmente ambivalenti, destinata­ rio di un dono doppio, quale è il sangue sgorgato dalla testa di una figura giovane-vecchia, bella-brutta, umana-animale, benigna-ne­ fasta quale è Medusa, il protomedico Asclepio agisce con il potere di giovare agli uomini, al punto da riuscire a riportarli dalla morte alla vita, ma può al tempo stesso - servendosi in entrambi i casi di una goccia di sangue - condurli dalla vita alla morte. L'identità peculiare della medicina, il suo stesso statuto episte­ mologico, è già scritta nella personalità di colui che la tradizione accredita quale "primo inventore" dell'arte medica. Potentissima arte - tanto quanto potente è chi l'ha costituita, fondandola sul sangue della Gorgone - ma arte intrinsecamente e irreparabil­ mente duplice. Nel transito dal mito alla storia, dai racconti che ne descrivono la genealogia alle testimonianze scritte che docu­ mentano il lavoro dei primi medici ippocratici, la medicina con­ serva, e per certi aspetti perfino esaspera, l'ambivalenza che ne è all'origine. E che è in larga misura già scritta nei termini con i quali l'arte viene definita.

bos, con una corona e un ramo del sacro lauro della valle di Tempe" (K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, tr. it. il Saggiatore, Milano 1963, p. 122). 2 1 . Una storia simile a quella riguardante il servizio di Apollo presso Admeto in Tessaglia veniva raccontata anche sul conto di Ermes (Homeri Hymni, 19, 32).

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L'origine del termine "medicina" è controversa. La derivazio­ ne latina da medeor allude a un significato originario di "provve­ dere" , "prendersi cura " , " rimediare" - verbi dai quali si sarebbe poi sviluppato il significato tecnico di "curare " . Più interessante l'etimologia greca, secondo la quale il termine apparterrebbe a una famiglia di verbi che indicano le attività del "darsi pensiero" , "prendersi cura " , intese come espressioni di un atteggiamento ge­ nerale del " custodire" o "proteggere" . Così, in Omero, medon è il custode, il signore, e medea sono le cure o i pensieri che occupano la mente del "protettore". Nella forma media del verbo - vale a dire come medomai -21 è presente un significato che in un certo modo chiarisce le modalità attraverso le quali si esercita la protezione: il ponderare, il medita­ re, il prendere in considerazione. Insomma, alla radice dei termini "medico" e "medicina" ritroviamo un'attitudine che non coincide immediatamente con un'azione, con un intervento su qualcuno, ma che piuttosto allude a una disposizione interiore, caratterizza­ ta da uno stato d'animo di interesse per l'altro. Medico è dunque colui che istituisce una relazione, connotata dalla sollecitudine per la condizione altrui. La medicina è perciò un'attività relazionale, nella quale sono coinvolti almeno due soggetti. Restando sul piano terminologico, un'indicazione non insigni­ ficante può essere desunta da un passo della commedia Rudens di Plauto. Come ha osservato Giorgio Cosmacini, infatti, il dialogo fra due personaggi può fornire qualche informazione sulla condi­ zione del medico nella Roma repubblicana. " Sei medico? " "No, 22. La bibliografia relativa alla storia della medicina è particolarmente ricca. Fra i testi più importanti in lingua italiana, si vedano: G. Cosmacini, L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Laterza, Roma-Bari 201 1 ; G. Corbellini, Storia e teorie della salute e della malattia, Carocci, Roma 201 1 ; G. Armocida, B. Zanobio, Storia della medicina, Masson, Milano 1997; L. Sterpellone, I grandi della medicina. Le scoperte che hanno cambiato la qualità della vita, Donzelli, Roma 2004; M. Con· forti, G. Corbellini, V.A. Gazzaniga, Dalla cura alla scienza. Malattia, salute e società nel mondo occidentale, EncycloMedia Publishers, Milano 201 1 ; J .·C. Sournia, Storia della medicina, t r. it. Dedalo, Bari 1994; W. Osler, L'evoluzione della medicina mo­ derna, tr. i t. Sampognaro & Pupi, Siracusa 201 1 ; L. Premuda, Storia della medicina, CEDAM, Padova 1975 (ristampa anastatica dell'edizione del 1960). 23. Un significato analogo ha anche il verbo iaomai (''curare", "sanare"), da cui iatros, "colui che cura", e iatrike techne, "arte medica".

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non sono medico, ho una lettera in più . " " Sei dunque mendìco? " (vv. 1 3 04 - 1306). Tra mendicus e medicus c'era il divario di una sola lettera, ma nella vita sociale del tempo non c'era una grande dif­ ferenza tra i due. n medico era un uomo la cui unica risorsa con­ sisteva nell'aver cura di altri uomini, ricevendone in cambio un obolo di riconoscenza. L'episodio plautino consente semmai di sottolineare un punto, sul quale si ritornerà anche più avanti, riguardante il rapporto del medico col denaro e, più in generale, il disinteresse economico di colui che esercita l'arte medica. Ciò che peculiarmente caratteriz­ za il discendente del greco Asclepio, come del latino Esculapio, è il prendersi cura di altri, lo stare in pensiero, senza che ciò impli­ chi alcuna contropartita, senza che la "protezione" elargita trovi un corrispettivo in denaro o in altre forme. Fino al punto da far ritenere che fra un medico e un mendico vi sia solo un'impercet­ tibile lettera di differenza. Procedendo cronologicamente oltre Plauto, si può ricordare che Isidoro di Siviglia (560-63 6 d.C . ) , nella parte propriamente medica dell'opera enciclopedica intitolata Etymologiae o Origines, fa risalire l'etimologia di medicina a modus, cioè alla "giusta misu­ ra " che deve guidare chi la professa. "Per questo" , scrive Isidoro, "la medicina è chiamata seconda filosofia, poiché entrambe le di­ scipline sono complementari all'uomo" .24 In tal senso si può riba­ dire ciò che aveva già detto Claudio (Galeno) , medico dell'impe­ ratore Marco Aurelio e dei suoi figli, vissuto a Roma e a Pergamo fra il 130 e il 200 d.C.: "Il migliore dei medici sia anche filosofo " . I l medico deve infatti conoscere non solo il metodo logico, ma anche la teoria degli elementi costitutivi dei corpi. Senza questo controllo delle coordinate fondamentali della filosofia, il medico scade dalla condizione di iatreus a quella di pharmakeus, spac­ ciatore di farmaci. " Se ai medici è necessaria la filosofia per l'ap­ prendimento iniziale e per il successivo esercizio, è chiaro che chi è un vero medico è sempre anche filosofo. "25 Da questa tenden24. lsidoro di Siviglia, Etymologiae, libro IV, 13 .4. 25. C. Galeno, "Il miglior medico è anche filosofo", tr. it. in Opere scelte, a cura di I. Garofalo, M. Vegetti, UTET, Torino 1978, p. 101. Su ciò si veda la recente mono­ grafia di V. Boudon-Milliot, Galeno di Pergamo. Un medico greco a Roma, tr. it. Ca­ rocci, Roma 2016; vedi anche M. Vegetti, "Galeno", in Treccani. Enciclopedia online, disponibile all'indirizzo: http://www. treccani.it/enciclopedialgaleno/.

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ziale identificazione scaturisce anche la possibilità di individuare un criterio che consenta di distinguere il vero medico da colui che è semplicemente uno "spacciatore di farmaci " . Senza la filosofia, infatti, non è possibile esercitare bene l'arte medica, mentre è più facile lasciarsi risucchiare dalla logica del guadagno. D'altra parte, la stretta connessione - fino al limite dell 'iden­ tità - tra medicina e filosofia è affermata anche dal medico ebreo Mosè Maimonide, secondo il quale il termine stesso medeor da cui discende la medicina deriverebbe da medietas, vale a dire da quel­ la virtù del "giusto mezzo" posta da Aristotele a fondamento della sua etica. Il medico, in altre parole, come il filosofo, esercitereb­ be un'arte consistente nel rifuggire gli estremi, puntando sempre alla medietà: " La medicina maimonidea è una teoria dell'armonia e una pratica della moderazione che guida il buon medico lungo la strada maestra e mediana e che lo tiene lontano dagli opposti estremi, ambedue pericolosi, dell'interventismo farmacologico­ chirurgico e dell'astensionismo terapeutico '?' È noto che la medicina professata da Galeno, ma per molti aspetti anche la disciplina alla quale viene conferito nel corso dei secoli un carattere sempre più dichiaratamente scientifico,27 di­ scende in larga misura dalle enunciazioni rintracciabili nel Corpus Hippocraticum, vale a dire in quell'insieme di scritti la cui stesu­ ra si può verosimilmente ricondurre al periodo che va dal 430 al 370 a.C. Come è stato sottolineato anche recentemente, "poche altre figure storiche sono citate dai medici con tanta approva­ zione quanto la figura di lppocrate, considerato unanimemente il padre della medicina " .28 Questo riconoscimento non riguarda solo l'antichità classica, quando lppocrate conquista un'autore­ volezza pressoché indiscussa già subito dopo la sua morte, ma si riscontra anche nel Rinascimento, allorché la sua opera viene ri­ scoperta come alternativa al filone dominante dell 'aristotelismo. Fino al XIX e al xx secolo, visto che il nome di lppocrate viene 26. Su tutto ciò si vedano i fondamentali contributi di G. Cosmacini (oltre a quelli già citati): Prima lezione di medicina, Laterza, Roma-Bari 2009; Elogio della materia. Per una storia ideologica della medicina, Edra, Milano 2016. 27. Si vedano al proposito le penetranti osservazioni di G. Cosmacini, La medi­ cina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base, Raffaello Cortina, Mi­ lano 2008. 28. P. van der Eijk, "Hippocrates: The protean father of medicine", in The Lan­ cet, 359, 9325, 29 giugno 2002, p. 2285.

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invocato per avvalorare quasi ogni visione o pratica nel campo della medicina. Che egli sia apprezzato soprattutto come raccoglitore di case studies, o come diligente compilatore di dettagli diagnostici; che egli venga valorizzato per il suo approccio empirico e pratico, ov­ vero per la sua fede nel potere della natura, resta il fatto assodato che "Ippocrate è una figura ambivalente, che rappresenta insieme una tradizione venerabile e un progresso rivoluzionario, la rivolta contro il sistema e al tempo stesso la salvaguardia di un'imposta­ zione nella quale le idee e la pratica della medicina riflettono la dinamica dell'ordine sociale" .29 Pur senza ignorare - e, anzi, sottolineando con forza - l'ambi­ valenza costitutiva del contributo da lui offerto, è innegabile che lppocrate deve essere considerato un riferimento obbligato e im­ prescindibile per qualsiasi ragionamento relativo allo statuto e alle finalità della medicina. Non un semplice documento storico, né un antenato a cui tributare rispetto e ammirazione, o al quale riser­ vare una nicchia fra le polverose testimonianze di un tempo irre­ vocabilmente passato. Ma piuttosto un interlocutore privilegiato, col quale è necessario misurarsi, quando si intenda approfondire la ricerca sulle possibilità e i limiti dell'arte medica. LA MEDICINA IPPOCRATICA

A Ippocrate (Cos, circa 460 - Larissa, 377 a.C.) si è soliti riferi­ re convenzionalmente un complesso di testi - redatti fra il 430 e il 3 70 a.C. - i quali appartengono a loro volta a un insieme ancora più magmatico e difficilmente decifrabile di scritti tramandati con la denominazione di Corpus Hippocraticum. Senza entrare nel merito della complessa vicenda che va sotto il nome di "questione ippo­ cratica " , per i nostri scopi può essere sufficiente riferirsi a quel nu­ cleo di pensiero scientifico e di dottrina medica altamente origina­ le, relativamente compatto seppur differenziato, che si costituisce nell'ambito della scuola di Cos negli ultimi trent'anni del v secolo. 30 29. Ibidem; vedi anche "Memoria! to Hippocrates", in Tbe Lancet, 206, 5327, 3 ottobre 1925, pp. 720-722. 30. Le opere "classiche" sul pensiero e la scuola di lppocrate sono quelle di]. Schumacher, Anttke Medizin, de Gruyter, Berlin 1963; W.H. Heidel, Hippocratic Med­ icine. Its Spiri! and Method, Columbia University Press, New York 194 1 ; M. Pohlenz, 33

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Nelle ricerche della scuola ippocratica è possibile cogliere " al lavoro " uno stile di indagine non riducibile alla precarietà di una pratica puramente empirica, come tale destituita di validità epi­ stemologica. Il dichiarato impegno metodologico della riflessio­ ne ippocratica, l'orgogliosa consapevolezza delle peculiarità del­ la techne medica contro le approssimazioni della fisiologia della scuola di Cnido, storica competitrice della medicina ippocrati­ ca, mostrano infatti come essa intendesse sostituire nella validi­ tà teorica e nell'efficacia pratica la sapienza antica basata sulla tradizione o sulla speculazione naturalistica. Queste caratteristi­ che emergono già con evidenza nell'opera forse più impegnativa dell'intero Corpus Hippocraticum, e cioè Antica Medicina, il cui esordio sottolinea la polemica della scuola di Cos nei confronti della physiologia italica. " Quanti si sono accinti a parlare o a scrivere di medicina, fon­ dando il proprio discorso su un postulato, il caldo o il freddo o l'umido o il secco o quale altro abbiano scelto, troppo semplifi­ cando la causa originaria delle malattie e della morte degli uomini, a tutti i casi attribuendo la medesima causa, poiché si basano su uno o due postulati, costoro sono palesemente in errore su molte cose e perfino nelle loro affermazioni. " 3 1 Hippokrates und die Begriindung der wissenscha/tlichen Medizin, de Gruyter, Berlin 1938; contributi impananti offrono anche i commenti ad alcune edizioni di opere ippocratiche, soprattutto quelli di A.]. Festugière, Hippocrate. L'ancienne médecine, Klincksieck, Paris 1948 e di W.H.S. Jones, Philosophy and Medicine in Ancient Gree­ ce, Johns Hopkins University, Baltimore (MD) 1946. Per quanto riguarda infine la bi­ bliografia italiana, in un panorama complessivamente povero di contributi, spiccano i numerosi studi di M. Vegetti, al quale si devono i lavori più approfonditi e convin­ centi sulla medicina ippocratica e, più in generale, sul rappono fra scienza e filosofia nella Grecia classica; si vedano fra gli altri, "Technai e filosofia nel peri technes pseu­ do-ippocratico" , in Atti dell'Accademia delle scienze, Torino 1 964, p. 98; "Introdu­ zione", in lppocrate, Opere, UTET, Torino 1965, pp. 9-83; "Le scienze della natura e dell'uomo nel V secolo", in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. I, Garzanti, Milano 1 970, pp. 122-172; Il coltello e lo stilo, il Saggiatore, Milano 1979. Un quadro molto ricco è altresì descritto negli ottimi lavori di S. Manini, Bistu­ n; fuoco e parola. Gli strumenti dell'arte medica ippocratica, Pellegrini, Cosenza 2007; "Ippocrate e l'ane medica antica" , disponibile all'indirizzo: http://www.icit.it/wp­ content/uploads/2015/07/2008_lppocrate.pdf; "I molti modi dell'argomentare del medico", in F. Grigenti, F. Zanin (a cura di), Logos ed episteme. Finestre di dialogo tra filosofia e scienze, Mimesis, Milano-Udine 201 1 , pp. 237-287; si veda anche A. Jori, Medicina e medici nella Grecia antica, il Mulino, Bologna 1993. 3 1 . lppocrate, Antica medicina, tr. i t. a cura di M. Vegetti, in Opere, UTET, Tori­ no 1965, p. 159. Molto impanante su questi temi è poi il saggio di V. Di Benedet34

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Ai fautori delle dottrine ioniche e italiche, lppocrate rimpro­ vera cioè di semplificare arbitrariamente la causa delle malattie, attribuendo a tutti i casi diversi la medesima origine. Seguendo tale procedimento, essi non soltanto cadono in contraddizioni, ma soprattutto si ingannano sul conto di un'arte di fatto esistente. La medicina, infatti, mediante lo sviluppo dell'indagine e l'accu­ mularsi delle scoperte, è progredita al punto da essere in grado di sottrarre al caso tutto ciò che riguarda la cura dei malati e di pro­ cedere combinando sempre ragione ed esperienza.32 Perciò, a dif­ ferenza delle " cose inesperibili e inesplicabili", come per esempio "le cose celesti o sotterranee" , per le quali non esiste "alcun pun­ to di riferimento grazie al quale raggiungere la certezza", per la medicina non è necessario servirsi di alcun postulato (hypothesis) . Da molto tempo ormai essa dispone, infatti, di tutti gli elementi, "grazie ai quali in lungo corso di tempo sono state fatte molte ed egregie scoperte, e il resto nel futuro sarà scoperto, se qualcuno [ . . . ] porterà avanti la ricerca" . 3 3 Dunque, non solo la medicina esiste, e non solo è provvista di rigorosa razionalità, come dimostrano i progressi che essa ha fat­ to registrare nel suo sviluppo storico e la distanza che la separa da una pratica governata dalla tyche, il caso. Essa costituisce addirit­ tura il modello di ogni altra indagine razionale della natura. lppo­ crate si dichiara infatti sicuro che " una scienza in qualche modo certa della natura non possa derivare da nient'altro se non dalla medicina, e che sarà possibile acquisirla solo quando la medicina stessa sarà tutta quanta esplorata con metodo corretto" .34 La rivendicazione del carattere rigorosamente razionale della techne medica si sviluppa così su un duplice piano. Da un lato, lp­ pocrate polemizza aspramente con la fisiologia italica per il ruolo da essa attribuito ai postulati nella dimostrazione scientifica, limi­ tando la legittimità del riferimento alle hypothesis ai soli casi in cui non si abbia a che fare con le cose "inesperibili e inesplicabili " . to, "Tendenza e probabilità nell'antica medicina greca" , in Critica storica, 5 , 1966, pp. 3 5 1 -368. 32. "Se la medicina non esistesse affatto e nel suo ambito nulla si fosse indagato e scoperto, [ _ _ _ ] tutti, a proposito di essa, sarebbero parimenti sprovveduti di esperienza e di scienza, e dal caso sarebbe governato tutto quanto riguarda i malati" (lp­ pocrate, Antica medicina, cit., p. 160)_ 3 3 . Ibidem, P- 161. 34. Ibidem, P- 1 85 .

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Dall'altro lato, egli enuncia positivamente i requisiti della techne medica mostrando come essa "lavori" in condizioni date. La de­ scrizione del procedimento a cui si attiene il medico nell'esame del malato e nella formulazione della prognosi è rimasta giustamente famosa: " Nelle malattie acute oècorre condurre l'indagine in que­ sto modo: in primo luogo osservare il viso del malato se è simile a quello dei sani, ma soprattutto se è simile a se stesso in condizioni normali, che questo sarebbe il caso migliore, tanto più grave inve­ ce quanto più è dissimile [ . . ] . Se dunque all'inizio della malattia il viso si presenta in tal modo e non è ancora possibile formulare congetture sulla base degli altri sintomi, occorre chiedere al ma­ lato se ha trascorso notti insonni, se ha avuto evacuazioni molto liquide, o se avverte i morsi della fame [ . ] . Se egli non conferma nessuno di essi, e se non si riprende nel tempo previsto, sappi che questo è sintomo mortale" .}5 Gli elementi che emergono dalla meticolosa ricognizione de­ scritta da Ippocrate tendono a configurare un procedimento che verrà gradualmente consolidandosi e arricchendosi nel successivo sviluppo storico della medicina. L'accento è posto infatti sull'os­ servazione come base di partenza dell'analisi, sul ruolo del parti­ colare come " sintomo " e sulla funzione euristica riconosciuta al tekmeiron, e cioè alla " congettura" . Grande importanza è ricono­ sciuta all'anamnesis, intesa come metodo di ricostruzione della storia passata, in funzione di una corretta comprensione del dato di osservazione (diagnosis) , e in vista della formulazione della pre­ visione sull'andamento futuro della malattia (prognosis) . Poiché l'affidamento alle hypotheseis non consente di tro­ vare "alcun punto di riferimento grazie al quale raggiungere la certezza" ,}6 occorre abbandonare il riduzionismo implicito nella fisiologia italica analizzando in forme nuove il dato dell'osserva­ zione. È da notare che, alludendo alla necessità di riferirsi in via privilegiata all'osservazione, Ippocrate si libera da riferimenti vin­ colanti alla tradizione filosofica a lui coeva o precedente. Per il me.

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35. Ippocrate, Prognostico, tr. it. in Opere, cit., pp. 238-239. Sullo statuto episte­ mologico della medicina e sulla valutazione del cosiddetto "occhio clinico", cui an­ che Ippocrate sembra accennare, si vedano i due volumi di AA. VV., Epistemologia, metodologia clinica e storia della scienza medica, con un'introduzione di D. Antiseri, Arti Grafiche Cossidente, Roma 1978. 36. lppocrate, Antica medicina, cit., p. 161.

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dico di Cos, l'osservazione implica il riferimento all'hekaston, vale a dire al particolare, al questo qui, a questo determinato paziente, a questo sintomo, a questa specifica patologia. Questo particola­ re, questo hekaston, è assunto come semeion , come segno, indizio che consente il risalire ad altro per via inferenziale.37 Una " corretta considerazione delle indagini mediche" , atten­ ta a registrare meticolosamente tutti i sintomi rilevabili mediante l'osservazione, consente non solo di interpretare razionalmente la molteplicità dei particolari che costituiscono la situazione presen­ te, ma permette soprattutto di formulare previsioni sugli sviluppi futuri della malattia. La prognosi viene così ad assumere, all'in­ terno del discorso ippocratico, un significato che va al di là del ri­ ferimento esclusivo alla pratica medica e configura piuttosto uno dei tratti più caratterizzanti dell'impresa scientifica in quanto tale: "Per il medico è cosa ottima praticare la previsione: prevedendo infatti e predicendo, al fianco del malato, la sua condizione presen­ te e passata e futura, e descrivendo analiticamente quanto i soffe­ renti stessi hanno tralasciato, egli conquisterà maggior fiducia di poter conoscere la situazione dei malati, sicché essi oseranno affi37. Per chiarire ulteriormente il significato del termine hekaston, e il ruolo che es­ so svolge nella medicina ippocratica, può essere utile riferirsi a ciò che scrive in pro­ posito Aristotele: "L'esperienza [empeirùz] è conoscenza [gnosis] dei particolari [ton kath hekaston] , mentre l'arte [techne] è conoscenza degli universali [ton katholou] ; ora, tutte le azioni e l e produzioni riguardano il particolare: infatti il medico non gua­ risce [hyghiazer] l'uomo se non per accidente, ma guarisce Callia o Socrate o qualche altro individuo che porta un nome come questi, al quale, appunto accade di essere uomo. Dunque, se uno possiede la teoria senza l'esperienza e conosce l'universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l'individuo particolare" (Aristotele, Metafisica, I, l, 981 a 15-24, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2004, p. 34). "È evidente infatti che il medico non prende in esame la salute in assoluto, ma quella dell'uomo, e an­ cora di più, forse, quella di quest'uomo qui, infatti cura [iatreuet] i singoli individui [kath hekaston] " (Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1097 a l l- 1 3 , a cura di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 17). Commentando questi passi, scrive P. Ricoeur: "Mentre la scienza, secondo Ari­ stotele, verte sul generale, la techne verte sul particolare e questo vale in special modo per la situazione nella quale l'arte medica interviene: la sofferenza umana. [ . . . ] Considero precetto primo della saggezza pratica, esercitata sul piano medico, il riconoscimento del carattere singolare della situazione di cura, e innanzitutto di quella del paziente stesso. Questa singolarità implica il carattere non sostituibile di una persona con un'altra [ . . ]; la diversità delle persone umane fa sì che non sia la specie a essere curata, ma ogni volta un esemplare unico del genere umano" (P. Ricoeur, Il giudizio medico, a cura di D. Jervolino, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 29, 3 1 , 35). .

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darglisi. E potrà progettare un'eccellente terapia se avrà previsto i futuri sviluppi a partire dai mali presenti" .38 Nell'interpretazione delle peculiarità del modello delineato da lppocrate, è possibile spingersi anche oltre, ritrovando in esso una prima, sebbene non compiutamente formalizzata, definizione di un vero e proprio paradigma scientifico, alternativo rispetto ai due schemi dominanti. Il procedimento che consiste nel muovere dai "particolari" - da quelli che il medico di Cos chiama semeia, e cioè segni - per raggiungere successivamente una congettura (tekmerion)/9 da assoggettare poi alla verifica fattuale, contamina deliberatamente i modi dell'induzione e della deduzione, accre­ ditando una sorta di tertium genus, descrivibile nei termini di un paradigma indizia rio, basato sull'abduzione. lppocrate potrebbe così essere considerato l'iniziatore di un modello logico-episte­ mologico di tipo semeiotico o indiziario, che ricomparirà ciclica­ mente nella tradizione culturale dell'Occidente, per essere infine canonizzato attraverso la figura di Sherlock Holmes.40 LE BASI DELL'ARTE MEDICA

" Ma non troverai misura alcuna, né numero, né peso, la quale valga come punto di riferimento per un'esatta conoscenza, se non la sensazione del corpo. Perciò il compito è di acquisire una scien­ za così esatta che permetta di sbagliare poco qua e là: e io molto loderei quel medico che poco sbagliasse; ma la certezza raramente è dato vedere. "41 Muovendo dal riconoscimento dell'impossibilità di " cogliere la verità assoluta " , relativamente al mondo dell' espe3 8. Ippocrate, Prognostico, cit., p. 237. "La prognosi era essenzialmente per Ip­ pocrate la proiezione nel futuro del sistema di anamnesi, eziologia e diagnosi. Con essa, l'idea di previsione entrava nella scienza per diventarne una funzione essenziale [ . . . ] . Quando Ippocrate scriveva: 'Descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro: questo il compito', egli non definiva soltanto il problema della medicina, ma appunto indicava per sempre il compito di qualsiasi scienza" (M. Ve­ getti, "Le scienze della natura . . . " , cit., p. 151). 39. "Alcmeone [ . . . ] così parlò [ . . . ] : 'Delle cose invisibili, delle mortali, gli dèi hanno visione immediata; a noi uomini invece spetta il congetturare [tekmairesthat] '" (Diogene Laerzio, Vite deifilosofi, tr. it. Laterza, Bari 1978, vol. II, p. 348). 40. Secondo la suggestiva proposta avanzata alcuni decenni fa da C. Ginzburg, "Spie: Radici di un paradigma indiziario ", in A. G. Gargani (a cura di), Crisi della ragione, Einaudi, Torino 1979. 4 1 . Ippocrate, Antica medicina, cit., p. 170. 38

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rienza sensibile, lppocrate pone a fondamento e misura dell'arte medica la convinzione dell'inesistenza di punti di riferimento per una "esatta conoscenza " . L'assunzione di limiti invalicabili per una scienza che si proponga di rendere ragione della realtà empirica, il carattere inevitabilmente approssimato e incompleto delle cono­ scenze raggiungibili per questa via conducono il medico di Cos a porre l'impossibilità della certezza non come un difetto, ma piut­ tosto come condizione della validità del sapere medico. Nell'indagine ippocratica, l'assenza di un " metodo" , o più in generale di una "misura" (metron) , non può essere considerata una limitazione delle arti empiriche, rispetto a forme di conoscenza ca­ paci di oltrepassare l'ambito dell'esperienza, ma identifica, piut­ tosto, e circoscrive, il dominio di ciò che è scientificamente con­ trollabile. Come i piloti delle navi, infatti, anche i medici possono sbagliare, ma non già perché a essi sfugga una "vera sàpienza" che altri, con altri "metodi " , siano in grado di raggiungere, quan­ to perché "la certezza assoluta raramente è dato vedere" . "Ai più dei medici tocca la stessa sorte [ . ] che ai cattivi piloti. Anch'es­ si, infatti, quando sbagliano governando con mare calmo, passa­ no inosservati, ma quando li coglie una grande tempesta e vento contrario, chiaramente allora a tutti si rivela che hanno perduto la nave per ignoranza ed errore. "42 L'inattingibilità della certezza si costituisce in tal modo come principio di individuazione di un'arte che si assume "il compi­ to di descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro" ,43 e che perciò tende allo scopo di "giovare o non essere di danno" . Per realizzare queste finalità, è necessario "porre mente alla scienza nel suo insieme" , compiendo correttamente le azio­ ni giuste e corrette, "e quante richiedono rapidità, rapidamente, quante proprietà, propriamente, quante devono essere indolori, portarle a termine nel modo più indolore possibile; e così ogni co­ sa di tal genere deve essere adempiuta mirando al meglio " .44 Ciò significa che non è sufficiente limitarsi a descrivere correttamen­ te ciò di cui soffrono i malati, perché anche chi non fosse medico potrebbe conseguire questo risultato "se si informasse bene presso .

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42. /bidem, p. 1 7 1 . 4 3 . "Leghein ta proghenomena, ghinoskein ta pareonta, proleghein ta esomena" (lppocrate, Epidemie, tr. it. in Opere, cit., p. 328). 44. lppocrate, Il regime nelle malattie acute, tr. it. in Opere, cit., pp. 266-267. 39

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ciascun malato su ciò che egli ha sofferto". 45 È necessario invece poter raccogliere anche altre conoscenze, rispetto a quelle riferite dal malato stesso, e soprattutto "alcune anche importanti riguar­ do all'interpretazione dei sintomi " .4 6 Il richiamo a integrare la mera " descrizione" delle sofferen­ ze del malato - accessibile anche a chi non sia esperto dell'arte medica - con l'interpretazione dei sintomi, possibile solo a chi si conduca secondo i principi dell'arte, è anch'esso conseguenza di quello che si potrebbe definire l'immanentismo epistemologico di lppocrate, vale a dire la persuasione che sussistano, e siano indivi­ duabili, "strutture naturali" e " cause razionali " di tutte le malattie, e che perciò si debba sempre cercare di risalire, via interpretazio­ ne, dai sintomi alle cause che li hanno provocati. Ciò vale anche e soprattutto allorché il medico si imbatta in quella malattia che gli uomini, "per inesperienza e stupore " , ritennero in qualche modo opera divina, e cioè il cosiddetto male sacro. "Maghi e purificatori, ciarlatani e impostori [ . . ] presero il di­ vino a riparo e pretesto della propria sprovvedutezza [ . . . ] e af­ finché la propria totale ignoranza non fosse manifesta, asseriro­ no che questo male era sacro. " In realtà, la malattia di cui si tratta "per nulla [ . . ] è più divina delle altre malattie o più sacra, ma ha struttura naturale e cause razionali"; il carattere divino che a essa taluni riconoscono è prova " della difficoltà che essi hanno a com­ prenderla, mentre poi risulta negato per la facilità del metodo te­ rapeutico col quale curano. "47 Contro questa inclinazione a mascherare la propria inesperien­ za (apeiria), mediante il ricorso a cause extranaturali o divine, la polemica ippocratica si estende dalla concezione tradizionale del "male sacro" fino ad altre infermità comunemente attribuite all'in­ fluenza di fattori divini. Presso gli Sciti, per esempio, l'impotenza cui è soggetta gran parte degli uomini in età adulta è considerata frutto di una qualche offesa nei confronti della divinità. In realtà, come ogni altra malattia, anche questa "ha una struttura naturale sua propria e nessuna accade fuori della natura" .48 .

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45. Ibidem, p. 269. 46. lbidem. 47. Ippocrate, Male sacro, tr. it. in Opere, cit., pp. 298-299; corsivi miei. 48. "Ouden aneu physios ghinetai" (Ippocrate, Le arie, le acque, i luoghi, tr. i t. in Opere, cit., p. 224). La spiegazione congetturale della causa della malattia fornita da 40

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Descrizione analitica dei sintomi e loro "giusta e corretta" in­ terpretazione costituiscono poi le condizioni per assolvere pie­ namente il compito affidato al medico dall'arte, la quale, come si è visto, non si limita a " descrivere il passato" e a " comprendere il presente" ma tende anche a "prevedere il futuro " . n fondamento ' di tale previsione è infatti individuato da Ippocrate nella cono­ scenza approfondita - anche se mai "esatta" - dello stato in cui si trova il malato; solo colui che sappia " correttamente compie­ re le proprie valutazioni e le proprie calcolate � revisioni" potrà "ottenere successo nella gran parte dei casi" .49 E perciò necessa­ rio che chi si dispone a prevedere quali malati guariranno e quali periranno possieda non soltanto una " approfondita conoscenza di tutti i sintomi " , ma sia anche in grado di "valutarli commisu­ randone l'efficacia reciproca " .50 Solo in questo modo, ferma re­ stando l'impossibilità di raggiungere la " certezza assoluta" , "chi conduca la sua ricerca e la sua riflessione secondo questi canoni, prevederà in gran parte i futuri fenomeni che conseguiranno ai mutamenti" .51 Rifiuto delle ipotesi, sia come principi sia come presupposti dell 'indagine; assunzione dell'anamnesi come strumento di ri­ costruzione di storie particolari; forte sottolineatura del valore del particolare interpretato come indizio; stretta connessione di empeiria ed episteme, di esperienza e scienza, concepiti come mo­ menti reciprocamente integrantisi; centralità della categoria della prognosi, intesa come previsione formulata a partire dall'osserva­ zione di un presente carico della storia passata - sono questi gli aspetti principali di uno stile di indagine che caratterizza l'origine storica della techne medica. Ippocrate, pur nel suo ingenuo e per certi aspetti primitivo naturalismo, testimonia tuttavia lo sforzo di individuare l'origine dell'impotenza nelle consuetudini di vita e nelle particolari condizioni ambientali della popolazione scita: "A causa del cavalca­ re sono colpiti da gonfiore alle articolazioni, perché lasciano sempre pendere i piedi giù dai cavalli: poi, quelli che si aggravano diventano zoppi e si piagano alle anche. E si curano loro stessi in questo modo. Quando comincia la malattia, recidono le vene dietro gli orecchi. E dopo che sia fluito il sangue, li coglie il sonno per la debolezza e si addormentano. Più tardi si risvegliano, alcuni guariti, altri no. A me dunque pare che proprio in questa cura si distrugga il seme. Vi sono infatti presso l'orecchio vene che, a tagliarle, si rende sterile chi ha subito l'incisione" (ibidem). 49. Ippocrate, Prognostico, cit., p. 255. 50. Ibidem. 5 1 . Ippocrate, Le arie , cit., p. 2 1 4. . . .

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Ma forse ancor più importante, rispetto ai pur non trascurabi­ li dettagli tecnici, è la definizione ippocratica della iatrike techne, la valorizzazione delle sue potenzialità, e insieme la ricognizione dei suoi limiti. Emerge qui un'ambivalenza di fondo, che accom­ pagna e sottende il modo di concepire la medicina, e che imprime su di essa il marchio di un'ineliminabile duplicità. Da un lato, in­ fatti, l'autore del Corpus si dimostra ben consapevole dei confini insuperabili che impediscono alla medicina di essere annoverata fra le epistemai in senso proprio. D'altra parte, a questo esplicito riconoscimento fa riscontro l'orgogliosa rivendicazione del carat­ tere non meramente casuale del procedere del medico, la netta dif­ ferenza rispetto a una pratica ispirata unicamente all'esperienza. Anche storicamente, attraverso il percorso indicato dal suo fon­ datore, la medicina prende corpo in questo metaxy, in questo spa­ zio intermedio fra l'irraggiungibile "certezza assoluta " della mate­ matica e l'esercizio meramente empirico di chi proceda apo tyches, semplicemente "a caso " . Partecipando in qualche misura dell'uno e dell'altro procedimento, trovandosi dunque al confine fra il ri­ gore dell'episteme e la casualità della tyche, fin dalle sue origini la medicina ricomprende in sé questa fondamentale duplicità. Co­ me il suo mitico fondatore, come il pedagogo che lo aveva alle­ vato, come il sangue della Medusa da lui ricevuto in dono, come il potere connesso con l'utilizzazione di quel liquido, la medicina reca in sé - nel suo statuto, nella sua vocazione, nel suo concreto esercizio - le tracce incancellabili di una costitutiva ambivalenza. LA QUALITÀ DEI LUOGHI

"Quando si arriva in una città di cui non si ha esperienza, si de­ ve fare attenzione alla sua posizione, a come è orientata rispetto ai venti e al sorgere del sole. L'orientamento a settentrione o a mez­ zogiorno, a levante o a occidente comportano influssi diversi. L'e­ same dovrà essere il più possibile preciso, ed estendersi alla qua­ lità delle acque. "52 Di conseguenza, è necessario indagare a fondo intorno a tutto ciò che è connesso con il luogo specifico, nel quale ci si trovi a operare, analizzando la situazione riguardo alle acque, alla terra e al regime di vita a cui si attengono gli abitanti di quella 52. lppocrate, Le arie . . , cit., p. 200. .

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regione. Agendo in questo modo, si sarà in grado di "riconoscere le malattie endemiche e di individuare la natura di quelle comuni. E così non ci si troverà in difficoltà nella cura delle malattie e non si commetteranno errori: difficoltà ed errori sono più probabili quando si valutano i singoli casi senza una previa conoscenza dei dati di cui si è detto " .53 Per formulare previsioni corrette sulla salute degli abitanti, e compiere le scelte terapeutiche appropriate, il medico itinerant�4 dovrà dunque esaminare con attenzione una pluralità di fattori ambientali diversi - l'orientamento e l'esposizione della città, il cli­ ma, il regime delle acque, la situazione dei venti - ai quali occorre aggiungere una diversa tipologia di fattori, i quali esibiscono un carattere più propriamente culturale, in quanto collegati soprat­ tutto al modo di vita degli abitanti.55 L'assunto che è alla base di questa ricognizione, finalizzata a porre il medico nelle condizioni di possedere un"' ottima valuta­ zione dei singoli casi " , tale da consentirgli di "ottenere la guari­ gione" e di conquistare " successi non piccoli nell'arte medica" ,56 è che sussista una correlazione descrivibile in termini perfettamente razionali fra lo stato di salute di ogni singolo individuo e tutto ciò che attiene al luogo nel quale egli vive. li termine che compare co­ me "medio" fra l'univocità delle condizioni ambientali e sociali, da una parte, e la molteplicità delle manifestazioni patologiche, dall'altra parte, è la "costituzione" (physis) anatomo-fisiologica di ciascun individuo, e più specificamente le forme o " classi" (eide) di questa costituzione.57 Non si tratta di una mera coincidenza, né solo di corrisponden­ ze fortuite, ma di una sorta di isomorfismo strutturale, dal quale è possibile far discendere alcune conseguenze di ordine generale, il cui rilievo oltrepassa il singolo caso clinico. Difatti, "dove si hanno 53 . Ibidem. 54. Grande medico e chirurgo itinerante (periodeuta) fu Democede di Crotone (VI sec. a.C.); il suo esempio fu poi seguito anche dallo stesso Ippocrate. 55. "Quanto al modo di vita degli abitanti [ten diaitian ton anthropon] si deve vedere cosa preferiscono: se bevono molto, mangiano spesso e sono pigri, oppure se fanno molti esercizi fisici, amano la fatica, mangiano molto e bevono poco" (ibidem) . 56. Ibidem, pp. 200-201 . 57. Vedi M . Vegetti, "Introduzione", cit., pp. 191- 192. Lo stesso Vegetti sotto­ linea che questa tesi "non è del tutto nuova nella medicina e nel pensiero antico", e cita, a sostegno di tale affermazione, Erodoto (Le Storie, 1, 142 e n, 77) oltre ad alcu­ ni accenni in Alcmeone e Filistione (p. 192). 43

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mutamenti di stagione frequenti e diversi l'uno dall'altro, trove­ rai che anche l'aspetto [ta eidea] , i caratteri [ta ethea] e le nature [tas physias] sono differenziati al massimo " .58 Arie, acque, luoghi - la physis nel suo insieme - esercitano un'influenza decisiva nel­ la determinazione delle differenze riscontrabili fra individui che vivono in luoghi diversi. Tutto ciò consente di concludere che " in generale, l'aspetto e i costumi degli uomini sono conformi alla na­ tura del territorio" . 59 D'altra parte, la tesi sostenuta dall'autore ippocratico non si li­ mita a formulare indicazioni riguardanti la tipologia in senso lato "igienico-sanitaria" delle varie località. Sia pure indirettamente, le indicazioni fornite si ricollegano, infatti, alle analisi e alle valuta­ zioni comparative elaborate da quanti avevano in passato intrapre­ so la fondazione di nuove poleis, dopo avere attentamente consi­ derato i fattori ambientali nella prospettiva della futura prosperità dei centri urbani ai quali dar vita. In particolare, "la creazione delle colonie era divenuta, con il passare dei secoli, un'esperienza sempre più complessa e sofisticata, tale da sollecitare l'interesse e perfino l'attivo coinvolgimento di alcuni fra gli intellettuali più rappresentativi del mondo greco. Si pensi [ ] alla fondazione di Turii: iniziativa cui presero parte filosofi come Protagora e archi­ tetti-urbanisti quali Ippodamo di Mileto " .60 In altre parole, la correlazione stabilita nel trattatello ippocra­ tico fra le caratteristiche ambientali, climatiche e culturali dei di­ versi luoghi, da un lato, e la natura, i costumi e lo stato di salute degli abitanti, dall'altro, esprimeva una convinzione ampiamente diffusa e condivisa anche al di fuori dell 'ambito della ricerca pro­ priamente medica, secondo la quale la spazialità non solo non è meramente neutrale ma, al contrario, è sempre qualitativamente e funzionalmente differenziata. Lo si assuma in forma determini­ stica (come è effettivamente accaduto, soprattutto nella tradizio­ ne culturale successiva a Ippocrate, e in particolare fra Sette- e Ottocento), ovvero venga inteso senza postulare una rigida cor­ rispondenza fra dati lato sensu ambientali e aspetti pertinenti alla .

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58. lppocrate, Le arie , cit., p. 228. 59. Ibidem. 60. Come sottolinea, in un ottimo saggio sul trattato ippocratico, A. Jori, "L'acqua di lppocrate. Physis e ordine politico in Arie acque luoghi", in O. Longo, P. Scarpi (a cura di), Letture d'acqua, vol. 3: Homo Edens, CLEUP, Padova 1994, p. 175. . . .

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costituzione antropologica e culturale degli individui, resta il fat­ to che lo spazio appare originariamente connotato secondo signi­ ficati che largamente trascendono la pura e semplice oggettività fisico-geometrica. Il luogo, in conseguenza della sua morfologia e delle sue carat­ teristiche strutturali, non è mero " ricettacolo" inerte di ciò che in esso staticamente si colloca, ma possiede piuttosto specifiche qua­ lità differenziali, le quali influenzano in maniera determinante le condizioni delle forme di vita, umana, animale o vegetale. Ove in­ tervengano modificazioni rilevanti nella configurazione dei diversi luoghi, in seguito a eventi naturali o per effetto di manomissioni artificiali, è lecito attendersi che esse si riflettano anche nello stato e nei comportamenti delle specie viventi. L'ambiente, insomma, non è semplicemente un " dato " , ma agisce invece come fattore decisivo per la vita dei singoli individui e delle comunità. Tutto ciò trova un'ulteriore e significativa conferma già nella seconda parte del De aeribus, là dove l'autore illustra le differen­ ze esistenti fra l'Europa e l'Asia, presentate rispettivamente come mondo della libertà e della democrazia, e come terra di una ser­ vile subordinazione a un monarca. Ebbene, la persistenza e la ri­ correnza di sistemi politici democratici in Europa deriverebbero dalla straordinaria diversificazione dell'indole degli abitanti eu­ ropei, intesa a sua volta come effetto dell'estrema variabilità dei processi meteorologici che interessano la regione.61 La diversità implicherebbe, infatti, tensione e dunque anche - sia pure virtual­ mente - quel conflitto che, secondo l'autore ippocratico, costitui­ sce il principio di individuazione della democrazia, quale sistema caratterizzato dalla costante mediazione fra interessi distinti e so­ vente antagonistici. Per converso, la maggiore omogeneità climatica, orografica e ambientale delle regioni asiatiche dovrebbe essere considerata all'origine del minor tasso di differenziazione fra gli abitanti di quei luoghi, e dunque anche della prevalenza di sistemi politici, quali quelli dispotici, che presuppongono abitanti più facilmente 61. "Io considero gli abitanti dell'Europa più ardimentosi di quelli dell'Asia. La costante uniformità implica indolenza, mentre il mutamento implica sforzi, per il corpo e per l'anima; dalla tranquillità e dall'indolenza riceve impulso la viltà, dalla fatica e dai travagli nascono gli atti di valore. Per questo dunque gli abitanti dell'Eu· ropa sono più combattivi" (lppocrate, Le arie , cit., p. 226). . . .

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inclini ad accettare condizioni di subordinazione politica. 62 In ter­ mini generali, si può dunque concludere che "le istituzioni politi­ che influiscono sul valore in misura non trascurabile" .63 Qualunque credito si voglia accordare a spiegazioni come quella ora richiamata/>