Ada Negri. «Parole e ritmo sgorgan per incanto». Atti del Convegno internazionale di studi (Lodi, 14-15 dicembre 2005) 9788842715054

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Ada Negri. «Parole e ritmo sgorgan per incanto». Atti del Convegno internazionale di studi (Lodi, 14-15 dicembre 2005)
 9788842715054

Table of contents :
SOMMARIO
GIORGIO BARONI INTRODUZIONE
LAURA DE MATTÉ PREMOLI SALUTO
WANDA DE NUNZIO-SCHILARDI SULLE ORME DI FOSCOLO… VIVERE SOLTANTO DI POESIA
GIUSEPPE CREMASCOLI
SUGLI EPISTOLARI DI ADA NEGRI
BARBARA STAGNITTI LA CETRA DI ADA NEGRI TRA LIRISMO
VERDIANO E MUSICALITÀ SAFFICA
VICENTE GONZALEZ MARTÍN
TECNICHE DELLA NARRATIVA BREVE DI ADA NEGRI
PIETRO FRASSICA
PICNIC IN PINETA
PAOLA BAIONI
« MARA, SORELLA : PERDONAMI ». LA SOFFERENZA D’AMORE NEL LIBRO DI MARA
GIULIA DELL’AQUILA
TRA DOSTOEVSKIJ E LANDOLFI : STORIA DI UNA TACITURNA DI ADA NEGRI
FRANCESCA STRAZZI
« E IL SOLE IL COR T’ACCENDE »
ELISA GAMBARO
L’ESPERIMENTO VERSOLIBERISTA DI SENZA RITMO
PIETRO ZOVATTO
LA ‘RELIGIOSITÀ’ NELLA POESIA DI ADA NEGRI
ANNA BELLIO « MATERNITÀ !… / SARAI LA SALVEZZA DEL MONDO »
PATRIZIA ZAMBON « IO VEDO NEL TEMPO UNA BAMBINA » : LA PAROLA MEMORIALE DI ADA NEGRI IN STELLA MATTUTINA
CRISTINA TAGLIAFERRI
ADA NEGRI IN RIVISTA
GIORGIO BARONI
« NOSTALGIA D’UN CANTO / LARGO, FELICE »
CRISTINA BENUSSI
IL ROMANZO DI ADA NEGRI : « STELLA MATTUTINA »
GIUSEPPE STRAZZI POESIA AD
ADA NEGRI

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BIBLIOTECA DELLA « RIVISTA DI LETTERATURA ITALIANA» COLLANA DIRETTA DA GIORGIO BARONI * .

ADA NEGRI. «PAROLE E RITMO SGORGAN PER INCANTO» AT T I D E L C O N V E G N O I N T E RNAZIONALE DI STUDI L O D I ,  -  D I C EMBRE   A C U R A D I G I O R GIO BARONI

MMVII GIARDINI EDITORI E STAMPATORI IN PISA

SOMMARIO GIORGIO BARONI, Introduzione LAURA DE MATTÉ PREMOLI, Saluto WANDA DE NUNZIO-SCHILARDI, Sulle orme di Foscolo… vivere soltanto di poesia GIUSEPPE CREMASCOLI, Sugli epistolari di Ada Negri BARBARA STAGNITTI, La cetra di Ada Negri tra lirismo verdiano e musicalità saffica VICENTE GONZALEZ MARTÍN, Tecniche della narrativa breve di Ada Negri PIETRO FRASSICA, Picnic in pineta PAOLA BAIONI, « Mara, sorella : perdonami ». La sofferenza d’amore nel Libro di Mara GIULIA DELL’AQUILA, Tra Dostoevskij e Landolfi : Storia di una taciturna di Ada Negri FRANCESCA STRAZZI, « E il sole il cor t’accende » ELISA GAMBARO, L’esperimento versoliberista di Senza Ritmo PIETRO ZOVATTO, La ‘religiosità’ nella poesia di Ada Negri ANNA BELLIO, « Maternità!… / sarai la salvezza del mondo » PATRIZIA ZAMBON, « Io vedo nel tempo una bambina » : la parola memoriale di Ada Negri in Stella mattutina CRISTINA TAGLIAFERRI, Ada Negri in rivista GIORGIO BARONI, « Nostalgia d’un canto / largo, felice » CRISTINA BENUSSI, Il romanzo di Ada Negri : « Stella mattutina » GIUSEPPE STRAZZI, Poesia. Ad Ada Negri

                 

GIORGIO BARONI INTRODUZIONE

U

N congresso internazionale di studi a sessant’anni dalla morte è un’ottima occasione per ripensare complessivamente l’opera letteraria di uno scrittore; ed è quanto si sono proposti gli studiosi che, partecipando al convegno Ada Negri. «parole e ritmo sgorgan per incanto» celebratosi a Lodi il  e il  novembre , hanno esaminato le poesie e le prose della scrittrice lodigiana riuscendo a mettere in luce i tratti distintivi della sua opera e della sua personalità. Ne emerge il ritratto di un personaggio singolare: una donna della fine dell’Ottocento che riesce a superare difficoltà e diffidenze e, partendo da una condizione sociale ed economica non certo fortunata, si afferma come autrice, senza dimenticare mai i problemi della propria gente; scomoda sempre, prima per il suo impegno sociale, poi per la religiosità, che acquisisce nei suoi scritti uno spazio man mano sempre più rilevante. Gli studi qui riuniti propongono finalmente un superamento di schemi interpretativi troppo dipendenti dal contingente per cui Ada Negri è stata in principio frettolosamente schedata come «giovane vergine rossa», salvo apparire ad altri una sorta di intellettuale organico del regime fascista ed essere comunque poco apprezzata da chi cerca nella scrittura femminile un’esplicita adesione alla lotta femminista. Ricondotta l’attività di valutazione e di critica della produzione negriana alla specificità letteraria, anche l’immagine umana della scrittrice è emersa più nitida: le contraddizioni ‘politiche’ di cui si è detto scompaiono o trovano ragione e senso in un itinerario spirituale che, partendo da problemi e aspetti necessariamente legati alla formazione e al tempo, si addentra gradualmente alla ricerca di verità più profonde, di risposte più globali, di un’espressione artistica più completa. La rivalutazione delle prose già avvenuta in questi anni si può così considerare l’anticipazione di una rilettura di tutta opera della Negri, pure delle lettere, ma in primis della produzione lirica. uesta è stata probabilmente lasciata in disparte anche per la difficoltà di accettare, in uno scorcio di secolo caratterizzato dalle avanguardie, una voce che, superati alcuni primi abbozzi e tentativi, ha trovato una propria classicità. Inevitabilmente moderata essa tende un po’ alla volta a privilegiare gli endecasillabi sciolti, lontani da tortuosità ed ‘effetti speciali’, anzi lineari per costruzione diretta, benché non privi di espressioni di un parlare colto e disponibile ad attingere alla tradizione. A distanza di più di mezzo secolo, alla luce dell’esperienza postmoderna e di nuove modalità di riuso letterario, non suscita più scandalo la lingua poetica della Negri, come appare maturo e consapevole il suo atteggiamento verso i problemi della vita. uanto alla dolorosa ricerca «del Dio nascosto» che è l’oggetto principale della sua poesia degli ultimi anni, essa appare, a Novecento ormai concluso, una delle chiavi di lettura di questo secolo per altri versi affascinato da filosofie materialiste, da sogni luciferini e pratiche di vita edoniste e violente. Nella poesia della Negri gli esiti religiosi appaiono poi le risposte a domande che accompagnano tutta la sua vita: dalle istanze di giustizia sociale a quelle di ordine, dalla ricerca e offerta di amore alla continua richiesta di senso che si evolve alla fine in preghiera. Al convegno Giuseppe Strazzi ha letto una propria poesia dedicata ad Ada Negri: compare in questi atti in chiusura di volume.

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LAURA DE MATTÉ PREMOLI SALUTO

A

I presenti tutti il saluto più cordiale a nome dell’Associazione “Poesia, la Vita” che opera da anni per la salvaguardia delle tradizioni del Lodigiano e soprattutto per diffondere la conoscenza e stimolare gli studi e le ricerche su l’opera e la figura di Ada Negri. Dopo aver costituito l’Archivio Ada Negri, l’Associazione ne cura la valorizzazione facendosi carico di custodire, conservare, catalogare e provvedere alla fruizione da parte del pubblico di oltre cinquemilacinquecento documenti fra lettere, cartoline, biglietti, telegrammi, bozze di articoli, atti pubblici e materiale fotografico, affidati all’Associazione dal prof. Gianguido Scalfi, nipote della poetessa, già rettore dell’Università Bocconi: un corpus che attesta la grandezza umana e culturale della scrittrice. Ada Negri ebbe infatti contatti epistolari con gli intellettuali più noti dell’epoca, impegnati nell’attività poetica, nella critica letteraria e nel giornalismo, fra cui Giovanni Papini, Marino Moretti, Eugenio Montale, Giuseppe Antonio Borgese; nelle sue lettere si trova eco di vicende o esperienze culturali che lasciarono segni indelebili nella storia del ’. Coltivò amicizie ed ebbe profonda intesa con personalità di spicco di altri settori della cultura e dell’arte, come mostrano le lettere a lei inviate da Eleonora Duse e Giò Ponti, ed ebbe fitti rapporti privati e ufficiali fino alla penisola scandinava e alle terre d’oltreoceano. Ed ora vorrei ringraziare vivamente gli enti sostenitori e i collaboratori che hanno contribuito alla realizzazione di questo Convegno Internazionale di studi, promosso nel ° anniversario della scomparsa della poetessa. La nostra gratitudine va all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed in particolare ai professori Giorgio Baroni e Anna Bellio, coordinatori scientifici del Convegno, agli altri prestigiosi studiosi provenienti da diversi Atenei italiani e stranieri non solo europei, dando così risalto alla fortuna internazionale dell’opera negriana; grazie ai giovani ricercatori , la cui presenza palesa come siano ripresi con nuovo vigore gli studi su Ada Negri.

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WANDA DE NUNZIO-SCHILARDI SULLE ORME DI FOSCOLO… VIVERE SOLTANTO DI POESIA Ho passato le mie mani sulla corteccia del tronco : ho ricordato i Sepolcri ; ho sentito che è possibile vivere soltanto di poesia ; e che la poesia è la sola forza sulla quale il tempo nulla può. 

È

LA conclusione di una breve prosa inclusa in Di giorno in giorno, raccolta di bozzetti, di frammenti, di elzeviri apparsi sulla terza pagina del Corriere della Sera dal  al  ; raccolti in volume nel  richiamano l’altro libro di prose poetiche Le Strade (), dove era forte il senso d’allucinazione, di sogno euforico per le strade di Capri. ui Ada Negri rinuncia alla centralità della trama delle raccolte di novelle e si orienta viceversa verso la singola scena, il ricordo, l’episodio, la descrizione di una strada, di una piazza, di una chiesa, di un paesaggio, di piccoli eventi riscattati dalla loro insignificanza con i colori della fantasia. Pagine lievi, che vogliono descrivere più che raccontare, prose d’arte che tendono a conformarsi all’estetica del frammento e allo spazio delle tre colonne del giornale. Sono prose che attestano maturazione di forme e affinamento di temi, arte diversa rispetto alle prime raccolte : qui siamo di fronte ad una prosa ritmica, musicale, melodica, che consente alla Negri di accostarsi alla natura, personificandola, e identificarsi con essa. L’io e la memoria si impongono come contemplazione affettuosa, come nostalgia, come richiamo ad un passato personale e collettivo. Anche in questa raccolta, come in molta parte della sua produzione, la sua arte oscilla tra soggettivo ed oggettivo, tra autobiografismo e narrazione. I paesaggi umbri e quelli lombardi richiamano brandelli di ricordi, di emozioni, di sogni, di sofferenze tenuti insieme da Fili di incantesimo, come titola la prima sezione della raccolta. Sono prose nervose, vive, spiragli sopra un mondo che ha qualcosa di nuovo, non ancora rivelato; sensazioni che un critico severo come Serra riconosce descritte con tocchi di vera poesia.  Ma la critica è quasi unanime nell’attribuire a queste prose vero valore artistico. La Negri, pur nella variazione delle forme, non cessa mai di guardarsi, di leggersi, di ricordarsi, di interrogarsi, soprattutto per un bisogno irrefrenabile di cercarsi nel profondo della propria coscienza, ma anche in quella dell’altro, e non solamente in quella femminile, – anche se scrive soprattutto di donne, riconoscendo nelle loro vicende, nelle loro storie i segni di un cammino comune in cui riflettersi – ma nell’umanità intera e nella circostante natura. La poesia della Negri compie sovente questo salto di qualità, realizzando la comunione con l’altro, con l’uomo e la donna nella loro essenza e universalità, con la terra, con la storia, insomma con la vita, che si espande alla ricerca di Dio, soprattutto negli ultimi anni della sua parabola esistenziale e artistica. La Negri non si chiude nella cerchia dell’io loquace, né esclusivamente in un soggettivismo insistente, come pure è stato scritto. uella sorta di dichiarazione di poetica affidata nel  a Memorie e versi : « la mia arte doveva fatalmente sgorgare da me, dal mio cuore, dalle mie viscere, dalla mia semplice ma schietta umanità ; o non avrebbe più avuto ragione di esistere »,  va storicizzata perché non può essere assunta tout court come paradigma della sua scrittura, di tutta la sua scrittura, perché nella sua arte più matura autobiografismo e lirismo, certamente costanti della sua arte, si atteggiano in modo diverso, in un tentativo doloroso, ma pervicacemente perseguito, di superare il proprio io, quello straziato sensualismo dell’io, per richiamare un giudizio severo di Luigi Russo che le rimproverava « una egotistica   

ADA NEGRI, Orme del Foscolo, Di giorno in giorno, Prose, Milano, Mondadori, , p. . RENATO SERRA, Le lettere, Roma, La Voce Editrice, , p. . ADA NEGRI, Memorie e versi, « Nuova Italia », luglio .



WANDA DE NUNZIO-SCHILARDI

cura di idealizzare ad ogni costo se stessa ».  Ma la Negri raggiunge l’arte attraverso la vita, la sua vita, meglio attraverso la negazione di essa. La sua infelicità, lo aveva capito il Borgese tra i primi,  si definisce nella negazione, nel desiderio folle di non essere quella che è, di scrivere il libro che non ha ancora scritto, di raggiungere la parola poetica « lasciar di te, dopo la lunga doglia del vivere, qui in terra, una parola » scrive in Vespertina ().  Il libro che la Negri avrebbe voluto scrivere, quello che persegue per tutta la vita, sempre differito, il libro supremo la cui « officina lei colloca nella propria testa »  forse avrebbe superato l’autobiografismo e forse avrebbe fatto cadere le riserve dell’ universo maschile della critica, Croce prima di tutti, – ma già Pirandello in un articolo apparso sulla « Critica » del gennaio  aveva stroncato duramente l’opera della poetessa  – che le rimproverava di aver voluto fare della sua prima arte una missione e di aver caricato l’arte sua matura del suo io privato così incombente, così bisognoso di pianto, di amore e di pace.  ueste riserve gravarono come un macigno sulla fortuna della Negri, contribuendo a tener lontani dalle sue opere lettori critici ed editori, nonostante la sua grande notorietà in vita, considerata una delle protagoniste indiscusse del panorama letterario dell’epoca, al punto da risultare la più votata tra le dieci più illustri donne viventi, in un sondaggio proposto dall’« Almanacco della donna italiana ».  Dopo la sua morte il silenzio fu quasi assoluto (fatti salvi i due volumi mondadoriani Poesie del  e Prose ). Il suo lirismo, la sua esasperata autoreferenzialità, sospetta in epoca di impegno e di realismo, il suo coinvolgimento pieno col Fascismo non la aiutarono certo, negli anni della ricostruzione dell’Italia democratica, a mantenere quella centralità nel mondo delle lettere che ebbe in vita. Solo dopo il ’, in occasione del centenario della nascita, ma anche per un diverso clima culturale di apertura verso i fenomeni della letteratura di consumo e della letteratura femminile, si è registrato un rinnovato interesse per Ada Negri, – ma anche per Matilde Serao, Grazia Deledda, Contessa Lara – con una maggiore attenzione alla prosa rispetto alla poesia, considerata, per consenso quasi unanime, la più riuscita artisticamente, più sorvegliata rispetto all’effusione della lirica. Ma si è trattato di un’attenzione critica discontinua e quasi tutta interna alla letteratura femminile.  Manca un’organica lettura dell’ opera della scrittrice che dia conto dell’intero percorso artistico – le monografie del Comes  e di Pea  sono entrambe del  – e ricomponga la dicotomia che sembra attraversare la sua opera e la sua vita. Ci auguriamo che questo convegno possa segnare una tappa significativa in questa direzione. La scrittrice scopre precocemente di essere diversa, di possedere la voce della rivolta e della protesta sociale. Ce lo racconta in Stella mattutina (),  più che romanzo, una biografia, un racconto di sé bambina dai  ai  anni, una memoria poetica, dalla prosa nitida, scolpita, 

Ada Negri, I Narratori, Milano-Messina, Principato, . GIULIO A. BORGESE, La Vita e il Libro, Bologna, Zanichelli, . ADA NEGRI, Vespertina, Poesie, Milano, Mondadori, .  ANNA FOLLI, Penne leggere. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo, Milano, Guerini e Associati, , p. . Ma della stessa studiosa cfr. Lettura di Ada Negri, in Svelamento, a cura di Annarita Buttafuoco e Marina Zancan, Milano, Feltrinelli, .  LUIGI PIRANDELLO, Sulle “tempeste” di Ada Negri, « La Critica »,  gennaio .  BENEDETTO CROCE, Ada Negri, in La letteratura della Nuova Italia, Bari, Laterza, , pp. - ; IDEM, L’ultima Ada Negri, in La letteratura della Nuova Italia, Bari, Laterza, , pp. -.  PATRIZIA GUIDA, Letteratura femminile del Ventennio fascista, Lecce, Pensa Multimedia, , pp. -.  Significativa eccezione l’elegante lettura di ANNA BELLIO, Parole del secolo andato, Pisa, Giardini editori e stampatori, . Ma della vasta bibliografia sulla letteratura femminile almeno cfr. : ANNA NOZZOLI, Tabù e coscienza, Firenze, La Nuova Italia,  ; La parabola della donna, Bari, Adriatica,  ; VANNA ZACCARO, Sharazàd si racconta. Temi e figure nella letteratura femminile del Novecento, Bari, Palomar, .  SALVATORE COMES, Ada Negri da un tempo all’altro, Milano, Mondadori, .  MAURO PEA, Ada Negri, Milano, Mondadori, .  ADA NEGRI, Stella mattutina, in Prose, Milano, Mondadori, .  

SULLE ORME DI FOSCOLO... VIVERE SOLTANTO IN POESIA



essenziale, a cui ha consegnato la sua anima di quegli anni e il nascere in lei dei sentimenti che la faranno donna e poetessa : sentimento di rivolta e sentimento della natura e quando cadrà il primo rimarrà costante il secondo e accanto a questo il sentimento doloroso della vita e l’accettazione di essa nell’intreccio di sofferenza e di gioia. Ada Negri irruppe sulla scena letteraria italiana con violenza, la poesia delle prime due raccolte, Fatalità () e Tempeste (),  è vibrante di passione sociale e di empito giovanile, di simpatia per gli umili, gli oppressi, gli sfruttati. La non immemore figlia dell’operaia scrive versi percorsi di rabbia e di odio di classe, carichi di umana pietà per i diseredati della sorte e ottiene un largo successo. Arte squisitamente lirica e ingenuamente rozza, canta l’umanità dolente che la nuova Italia aveva visto nascere e crescere ; la « giovane vergine rossa », come la definì la retorica del tempo, grida il suo diritto alla vita, la sua rivolta contro la fatalità. Rifiuta quella sorte che il quasi contemporaneo De Roberto riconosce come ineluttabile – la Sorte è il titolo della prima raccolta di novelle di Federico De Roberto (). Le poesie della Negri, è stato scritto, stanno a metà tra il comizio e il romanzo d’appendice,  ma la Negri fece letteratura della vita, quasi per un imperativo morale, oltre che per dar voce ad un suo intimo bisogno, sostenuto da reminescenze del Carducci di Giambi ed Epodi e dalla lettura dei Canti di Walt Witman, ma anche della poesia di Rapisardi, di Stecchetti, di Boito e in genere della Scapigliatura lombarda. Il tempo a disposizione non ci consente di richiamare, seppure per grandi linee, la problematica individuazione dei suoi modelli. La Folli offre qualche interessante traccia di intertestualità.  Fatalità vide la luce nel , l’anno di fondazione del Partito socialista e si crearono consonanze e confusione. Il testo fu condannato all’Indice della Santa congregazione per ‘spirito turbolento’ e la poetessa fu iscritta, diciamo così d’ufficio, al partito dei lavoratori. Ma il suo è un socialismo umanitario ed utopico, non politico ed ideologico. Frequentò Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Luigi Masino, non accettò mai un programma politico fondato sulla lotta di classe e sul trionfo del proletariato e anche nei confronti del movimento femminile ebbe un atteggiamento cauto, se non contraddittorio, in quanto fu sempre rispettosa dei valori codificati, seppure all’interno di un progetto blandamente emancipazionista, che non manca di registrare l’oppressione, la violenza, l’inganno perpetrati dall’uomo a danno della donna, rimanendo di fatto estranea alla problematica progressista, sociale, liberista di cui avrebbe potuto farsi portavoce. Il mito proletario degli esordi delle prime raccolte si andrà stemperando negli anni, in un processo di imborghesimento che compromette la fede socialista, per ridefinirsi in rievocazione nostalgica della vita di provincia, vista in contrapposizione con la vita disumanizzante della città. In questa dimensione nostalgica si trasfigurano, come bene perduto, la miseria degli anni dell’infanzia e della giovinezza. Nella poesia di queste prime raccolte non c’è iatus tra vita e arte, il problema dell’arte se lo pose più tardi, quando ormai raggiunto il successo comincia a riflettere sulla sua arte e a cercare strade diverse. Subito dopo la pubblicazione della prima raccolta, come attesta l’epistolario col Patrizi, è consapevole di dover sottomettere la sua pagina ad un lavoro di decantazione, di riflessione. Scrive infatti all’amico, in una lettera del dicembre  : certamente ho bisogno di un anno ancora, un anno di calma, di osservazione libera e limpida della natura e della vita ; perché le idee che ora mi stanno maturando nella testa trovino uno sfogo sublime. 

Ad una fase, diciamo così rapsodica, seguì una fase riflessa, letteraria nella quale risente della poesia di Pascoli, ma soprattutto di quella di D’Annunzio. I temi sociali ritorneranno nelle successive raccolte, ma la sua ispirazione da Tempeste in poi si avvia ad organizzarsi intorno ad   

ADA NEGRI, Poesie, cit. ELISABETTA RASY, Ritratti di signora, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, .  ANNA FOLLI, Penne Leggere, cit., passim. Ivi, p. .



WANDA DE NUNZIO-SCHILARDI

un altro nucleo tematico, il sentimento panico-vitalistico delle cose e della propria natura di donna. Ha inizio la ricerca di sé come artista, attraverso un percorso sofferto, ma consapevole, della necessità di un’arte più intima, lontana dalla concitazione sociale di fine secolo ; la sua vita interiore si fa più densa, problematica e cambiano i toni della sua poesia che diventa confessione, ricerca dei sommovimenti del cuore, non esente tuttavia da estetismo e da insistita teatralità. Con un ammorbidimento dei toni, le diverse raccolte di liriche, da Maternità () al Libro di Mara () – « delirante poema d’amore », il « libro più audace della Negri », tra i più importanti della letteratura femminile, come è stato definito – tracciano questo cammino interiore della poetessa che si disvela al passante, si racconta al lettore, in « un monologo di lacerante intensità »,  con un angosciato senso della dicotomia tra se stessa e l’altro da sé. Con Stella Mattutina (), la Negri dà prova di un’arte cresciuta, di una prosa nitida scolpita, non prosa narrativa vera e propria, ma racconto d’arte di asciutto nitore. Un bel libro, per qualche critico, il suo capolavoro.  L’esperienza della prosa agì da freno all’impeto della poesia che andò via via diventando sempre più essenziale ed asciutta. Le opere che seguiranno, da Finestre alte () a Erbe sul sagrato (), moduleranno i temi costanti della sua arte : l’amore per la natura e la ricerca di sé ; amore e morte sono i suoi sentimenti dominanti. Scopre ora la profondità di Leopardi per una sottile interpretazione dell’esistenza e « per la ricerca della parola scarnificata ». Leopardi significò per lei antiretorica, legittimità del suo desiderio di conoscersi, rigore e pudore dell’espressione : la migliore lezione che trasse dal Leopardi, secondo Pancrazi, è quella di un dolore più casto e di un più intimo e pacato poetare.  Vive gli anni di guerra e fino alla morte nella più profonda sofferenza, anni in cui cerca l’artista che non è stata, il libro che non ha scritto. Intanto compone altre liriche, raccolte poi in Fons amoris che uscirà postumo.  Ma la vita precipita, la morte interrompe la sua scrittura. Si è richiamato quanto sia stato dominante nella sua arte l’universo femminile, specie nelle raccolte di novelle, quasi tutte con protagoniste donne, colte nel loro destino di solitudine, umili scorci di vite femminili sole a combattere : malgrado la famiglia, sole : malgrado l’amore, sole : per propria colpa o per colpa degli uomini e del destino, sole.. Le vidi, queste donne, le conobbi, le studiai le riprodussi. 

Ci torna alla memoria la prefazione al Romanzo della fanciulla di Matilde Serao dove si legge : la varia fortuna mi ha fatto passare per più anni di seguito attraverso un meraviglioso poliorama di fanciulle… l’ho visto vivere, crescere, ramificarsi… Tutte quelle fanciulle mi sono passate accanto. 

Le prose d’arte impressionistiche e descrittive ampliano il mondo poetico della Negri. Con un raccontare piano, quasi dimesso, nel loro andamento cronachistico, colgono momenti di vita ed aspetti di cose osservati con estrema attenzione nel loro svolgersi o nelle sensazioni che essi richiamano ; si tratta di un’arte di maggiore equilibrio, tecnicamente più sicura ed esperta, non esente tuttavia da un più di maniera e di atteggiato. Di giorno in giorno, che vide la luce nel ,  accolta con grande favore dalla critica, attesta questo momento dell’arte di Ada Negri, che ha imparato a raccontare piano, quasi sottovoce. Un’opera che, nell’apparente disorganicità, ha al suo interno un preciso ordine compositivo. In una lettera inviata a Piero Nardi per ringraziarlo del suo articolo apparso su « Pegaso »,  la Negri scriveva :        

GIULIO A. BORGESE, La Vita e il libro, cit. GIOVANNI TITTA ROSA, La poesia di Ada Negri, « Nuova Antologia », novembre-dicembre . PIETRO PANCRAZI, Le nuove poesie di Ada Negri, in Scrittori d’oggi, Bari, Laterza, . ADA NEGRI, Fons Amoris, Milano, Mondadori, . ADA NEGRI, Prefazione a Le Solitarie. Novelle, Milano, Treves, . MATILDE SERAO, Il romanzo della fanciulla, a cura di F. Bruni, Napoli, Liguori, . ADA NEGRI, Prose, cit. PIERO NARDI, Di Giorno in Giorno di Ada Negri, « Pegaso », V, .

SULLE ORME DI FOSCOLO... VIVERE SOLTANTO IN POESIA



tutte le pagine del mio libro parlano dei diritti dello spirito ed esprimono nella loro umiltà patimento d’anima che si conosce in transito tra parvenze così belle. 

Ada Negri è ancora al centro della sua ispirazione, con la sua anima inquieta, sempre più scontenta della realtà, assetata di ideali e tuttavia capace di descrivere le cose intorno a sé, con pacatezza e insieme con vigore : interroga la luna, evoca memorie, richiama luoghi, sensazioni, emozioni in una alternanza di desideri, di speranze e insieme con immediata coscienza della loro vanità ; così un giorno di aprile, un pesco in fiore, il fiorire di una rosa, il sagrato di una chiesa si trasformano in immagini di sobria poeticità in un gioco tra passato e presente, tra negazione e accettazione della vita in un’attesa di felicità che risorge di « giorno in giorno ». L’anelito alla libertà campestre si caratterizza come allucinazione, fili di incantesimo che ravvivano la fantasia ; le stelle, gli alberi, gli uccelli, la pietra la terra vengono richiamate sulla pagina con immagini che si arricchiscono di molteplici aspetti. Il secondo gruppo di prose ed il terzo ci conducono rispettivamente ad Assisi e a Pavia. Prime ore, San Damiano, Messa in San Rufino, sono titoli di prose che richiamano il misticismo di San Francesco e di Santa Chiara e mettono in campo i diritti dello spirito, lo stesso che sembra aver creato a Pavia, non meno che ad Assisi, natura architettura uomini. Casa in Pavia, Gente di fiume, Angoli, Bambina in piazza del Carmine, per richiamare alcuni titoli, sono segni del paesaggio lombardo che si raccoglie in malinconica poesia, come se i Fili di incantesimo mettano capo a rifugi ideali, guardati, descritti, rivissuti in una luce di sogno euforico, incantato e triste. Si tratta di un libro organico di intima coerenza ed intima saldezza, pagine evocative che riassumono gli elementi artistici della sua poesia : umanità, realtà, incantesimo, natura. La Negri è qui una malinconica creatura errante che incontra la luna e si aspetta che le sveli il mistero della vita e della morte, gli umili acquistano grandezza e gli alberi, le roggie, la gente di fiume, le piccole cose acquistano profondità. È stato evocato non impropriamente il nome di Gozzano per certi aspetti dell’arte della Negri.  Orme del Foscolo è una prosa breve, esile sinanco, che tuttavia può essere letta come traccia dell’intero percorso artistico e personale di Ada Negri, per il richiamo alla natura, qui un Pioppo, alla sua Lodi, alla sua terra lombarda, ad un suo autore, Ugo Foscolo, poeta purissimo, cui la legava una empatia etico-esistenziale. Si avvia di mattina a quella che fu la casa del Foscolo in Pavia e subito viene colta da un profondo turbamento, i fili della memoria le richiamano le due nude stanze della sua infanzia, dove tra adolescenza e giovinezza troppo sofferse con Iacopo Ortis e Teresa, imprecando contro la vita mediocre, accompagnata nel suo percorso quotidiano da casa a scuola dai versi dei Sonetti e dei Sepolcri. Ora però, lungo le vie che la portano alla casa del poeta, si va ripetendo un verso tra i più aerei, quello che chiude nelle Grazie la visione della danzatrice, mosso come un movimento musicale « il vel fuggente biancheggiar tra’ mirti ».  L’incomposto pianto di Ortis, l’invocato titanismo della giovane Negri hanno lasciato il passo alla poesia rasserenatrice delle Grazie. Raggiunge in via Ugo Foscolo – prima Via Borgo Oleario – il palazzetto che non si distingue dagli altri, se non per la lapide. Chiede al portiere di visitare la casa, ma le è impedito. Un iniziale rammarico ; tuttavia immediatamente pensa che più nulla in quelle sale debba restare del Foscolo, più nulla di visibile ; invece aleggia forte la sua presenza invisibile e se ne lascia attraversare. Immagina il poeta « intabbarato, col cappello sugli occhi, coi bassettoni rossicci irti tra bavero e cappello [salire] cruccioso e rapido le scale ».  

 SALVATORE COMES, Ada Negri, cit., p. . SALTAVORE COMES, Ada Negri, cit., passim. UGO FOSCOLO, Le Grazie. Inno secondo, v. , in IDEM, Poesie e prose d’arte, a cura di E. Bottasso, vol. I, Torino,  ADA NEGRI, Orme del Foscolo, cit., p. . UTET, , p. . 



WANDA DE NUNZIO-SCHILARDI

Gran freddo in quell’inverno a Pavia – il soggiorno pavese del Foscolo durò dal novembre  a giugno  – e la nebbia tenebrosa si addensa sulle sue finestre e si rovescia sull’anima sua. L’immagine di Foscolo uomo, professore poeta comincia a delinearsi sulla pagina, per lampi, per forza di immaginazione e tuttavia la Negri non trascura il dato biografico, il sostegno dell’epistolario per richiamare alla memoria dei lettori la pervicace volontà del Foscolo di proseguire nelle lezioni, (nonostante la decisione del Vicerè di sopprimere la sua cattedra), il successo della sua prolusione, i consensi e le critiche. Non fu lieto il soggiorno di Foscolo a Pavia, pochissimi amici, molti nemici : nella casa di Borgo oleario convive col professor Montevecchio che gli è quasi fratello e tra i più fedeli degli amici. Al Brunetti il Foscolo aveva scritto : Senza danari, senza amici a Pavia […] questo focolare di Pallade, è per me un paese di tristezza e di impazienza, e assai volte di letargia. Solitudine, solitudine, senza pace. 

Il  giugno Foscolo tiene l’ultima lezione, parte da Pavia verso la metà del mese, ha  anni e sente la propria gioventù come un bene finito e lontano. Si rifugia prima nei pressi di Como, poi a Milano, quindi qua e là, reggendo « coi denti una vita sempre più tormentosa ». L’oasi di Bellosguardo con l’amore per la uirina e la raggiante nascita delle Grazie splende sola fra il disordine delle irrequietudini e delle guerriglie. Pochi anni ancora e verrà il volontario esilio in Inghilterra : alla fine, la morte immatura. Ada Negri conclude così il rapido profilo di Ugo Foscolo. Un profilo secco essenziale scarno. La scrittrice può ora dare spazio all’immaginazione, riallacciare quei fili di incantesimo che legano i destini degli uomini e questi alle cose. Il giardino-ortaglia che intravede da un cancello chiuso diventa « la specchiera magica sul cui fondo verdastro si compongono per lei i giorni di Ugo Foscolo in Pavia ».  Ritorna qui l’immagine dello specchio, ossessivamente presente nell’arte della Negri – Specchiera è tra l’altro il titolo di una prosa della raccolta Oltre – uno specchio in cui riflettere l’immagine di sé e potersi riconoscere. Specchiarsi nel poeta che in quel giardino – altra immagine topica nell’arte della Negri e basterà richiamare il giardino di Dinin di Stella mattutina – forse ha scoperto nel cuore, bell’e composto, già perfetto, qualcuno dei frammenti lirici, dolci e soavi palpitazioni che comporranno il mosaico delle Grazie. Ada Negri costruisce un’immagine del poeta speculare alla propria : vagabondo lungo gli argini del Ticino, parla concitato alle rapide acque, alle file di pioppi riflessi dalla base alla cima nella trasparenza delle lanche.. su e giù… per le ciottolose viuzze che nel silenzio risuonavano dei suoi passi, nei giorni di sole e di vento andava sino alla piazzetta di San Gervasio. Là sostava il poeta delle Grazie… 

Intanto la leggenda sovviene alla Negri per tessere intorno al Foscolo un alone di familiari risonanze e ricondurre metaforicamente a quell’uomo silenzioso e crucciato, poeta grande, l’origine della vita : nel mezzo della piazzetta era un olmo, che venne poi chiamato l’olmo del Foscolo… negli ultimi anni della sua centenaria vita il tronco di quell’albero si era talmente svuotato e incavato che le mamme lo mostravano ai bambini come il nascondiglio dove erano andate a prenderli il giorno della nascita.

Natura, vita, poesia in un intreccio inestricabile come il tronco di un pioppo. E su quella corteccia la poetessa ha passato le mani, ha ricordato i Sepolcri, l’irruente cavalcata notturna degli endecasillabi, come aveva scritto in Stella mattutina, e ha sentito che è possibile « vivere soltanto di poesia e che la poesia è la sola forza sulla quale il tempo nulla può ».  Ma se la propria parola poetica è inadeguata a « fare in essa vero il sogno e sogno il vero » (Vespertina), soccorre la poesia dei grandi a dare senso e sigillo alla vita dell’uomo.  

Ivi, p. . Ibidem.

 

Ivi, p. . Ibidem.

GIUSEPPE CREMASCOLI SUGLI EPISTOLARI DI ADA NEGRI

F

RA le novità dell’epoca in cui viviamo va annoverata anche la scomparsa, o almeno il forte declino, di un genere letterario che in altri tempi segnò la storia della cultura e della mentalità. Mi riferisco agli epistolari,  e non tanto a quelli redatti in forma di trattato o emessi dalle varie cancellerie lungo il corso dei secoli, ma ai carteggi fra due persone ben individuate, che affidano alla lettera il compito di trasmettere, in testi elaborati con impegno e cura, sentimenti, convinzioni, dati esistenziali, nella certezza che questa forma di comunicazione sia un’esperienza positiva e un arricchimento di humanitas. Con impianto di discorso necessariamente schematico e convinti che le angustie del tempo consentiranno di procedere, in questa sede, solo per cenni, si tenta ora di delineare il quadro – o, meglio, di dare un’idea – del ricchissimo epistolario di Ada Negri, nel quale la scrittrice riversò l’anima, documentando, così, non solo complessi e significativi aspetti della sua vicenda umana, ma anche dell’opera stessa, che è « essenzialmente autobiografica », come ha scritto Gianguido Scalfi, il nipote della poetessa.  L’epistolario della Negri è in gran parte inedito, e qui si dà notizia quasi solo del lavoro sinora compiuto per pubblicarlo e renderlo noto. L’attenzione degli studiosi si è applicata con risultati di speciale rilievo, ai carteggi con Federico Binaghi e con Amalia Moretti Foggia Della Rovere, dandone l’edizione, in due volumi, a cura, rispettivamente, di Mauro Pea e di Daniele Rota. Il primo dei due epistolari è di straordinaria ampiezza, avendo alla base oltre . scritti inviati dalla Negri dal  al  al giornalista e poeta conosciuto ai tempi della pubblicazione di Stella Mattutina,  di circa trent’anni più giovane, ma in grado di essere, per lei, sostegno e guida nelle traversie dello spirito. Il volume curato dal Pea riferisce i passi più significativi del carteggio, ricostruendo, con essi, le linee portanti del rapporto di raffinata amicizia che legò i due personaggi. Lo stile della Negri è spesso concitato e commosso, con ricorso assai frequente all’espressione di pensieri e di sentimenti in forma interrogativa. Ciò avviene affrontando i grandi temi che da sempre bussano alle porte di ogni anima, come quando scrive al Binaghi : « Sapeste di quante passioni, di quante scorie noi dobbiamo liberarci prima di trovare Dio e di poterlo esprimere !… E chi ci riesce compiutamente ? ».  Siamo nel  e la scrittrice è a un certo punto del suo itinerarium mentis – o cordis – in Deum, vissuto con una sorta di sofferenza tipica della sua condizione psichica e che si rifletteva anche nella fatica dell’esperienza letteraria e della creazione poetica. Lei stessa scriverà al proposito : « Io ho bisogno di tormentarmi per raggiungere la perfezione. Ma è raggiungibile la perfezione ? ».  In questa corrispondenza l’attenzione ai grandi temi della vita dello spirito si incrocia, dunque, con dati relativi a problemi quotidiani e concreti, tra cui la dura fatica di elaborare la prosa e il verso, per avvicinarsi il più possibile alla perfezione. Tutto ciò conduceva la Negri a momenti di stanchezza estrema, da lei stessa descritti, come nella missiva del  maggio  : « Duro ore ed ore a mutare, a limare, a correggere, e mi esaspero sulle pagine ».  Pochi mesi  Cfr. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di Adriana Chemello, Milano, Guerini studio, , pp. XI-.  GIANGUIDO SCALFI, Prefazione a MAURO PEA, Due anime. Testimonianze religiose e letterarie del carteggio inedito Ada Negri-Federico Binaghi, Edizioni Besana Brianza, , p.  : « Per un’opera come quella di Ada Negri, essenzialmente autobiografica, espressione costante della propria anima, il contributo di Mauro Pea non può non costituire, d’ora in poi, un fondamento essenziale per chi voglia approfondire la comprensione della poetessa ».   MAURO PEA, Due anime, cit., p. . Ivi, p. .   Ivi, p. . Ivi, p. .

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prima aveva confidato all’amico : « Oggi ho finito di limare una lirica – breve, tre lasse – che m’è costata quasi una settimana di patimento gioioso ».  uesto impegno durerà sino agli ultimi anni di vita così da imprimersi nelle forme stesse del sentire e del pensare, se nel  la poetessa scriverà : « Sono ridotta al punto che penso in endecasillabi ».  Col Binaghi la Negri si confida anche in termini di grande violenza espressiva per lamentarsi di una stroncatura stampata da un periodico romano contro di lei. La lettera è del ’ e vi si legge : « L.G.P. mi sputa addosso con una stroncatura globale, viscida e schifosa. Ma può essere permesso scrivere simili porcherie ? C’è stroncatura e stroncatura… ».  Altrettanto intensa la sofferenza di cui si coglie la eco nel carteggio del , nella rievocazione di quanto era avvenuto ai « Littorali dell’arte e della cultura » a San Remo. Dopo aver scritto al Binaghi : « Sotto la presidenza della Ballario e di un poeta ermetico (Uselli) venne condotta una vera guerra, velenosa e vile, contro di me, in pro dei poeti ermetici »,  la Negri tenta di far credere di essersi in qualche modo rasserenata, smentendosi però immediatamente : « Ho già smaltito tutto il veleno… Ma che dico, smaltito ? Ne sono ancora intossicata fino al midollo ».  Col Binaghi la poetessa si confida su tante altre vicende della vita, con abbandono totale. Toccante è quanto scrive nel , in margine al racconto di Sorelle, che ha per titolo : « uando Ilaria danzò sotto la luna » :  « uesta mia pagina è una specie di catarsi del mio cuore, rispetto a mia figlia : perché ora non soffro più… Mia figlia mi ama, ma ella è diversissima da me. Sempre più me ne convinco e sempre più cammino verso la solitudine ».  Diversi, ma sempre interessanti, i tratti caratteristici del carteggio fra Ada Negri e Amalia Moretti Foggia Della Rovere,  laureata in scienze naturali a Padova nel  e, tre anni dopo, in medicina a Bologna, e collaboratrice del Corriere della sera con gli pseudonimi di Petronilla e Dott. Amal. L’amicizia fra i due personaggi fu intensissima e di lunga durata, nonostante le grandi differenze fra loro quanto a formazione culturale, sensibilità e visione del mondo.  Il carteggio, pur non costituito da molti testi, si estende per un notevole arco di anni, dato che si va dal  settembre  al  ottobre . In termini molto duri la poetessa informa l’amica delle difficoltà in cui ormai si trovava nella condizione coniugale, scrivendo, alla fine del  : « uesta vita ignobile, a tu per tu con un uomo che anche ieri mi dava, a freddo, della donna perduta, mi sconvolge la ragione ».  Nell’epistolario è pure documentata la ferma volontà della Negri di respingere le proposte di riconciliazione a lei fatte soprattutto dalla famiglia del coniuge, dopo la separazione.  Era grande la confidenza fra le due amiche, come risulta anche dal fatto di esprimere dei pensieri che sorgevano spontaneamente ma a cui si capiva che era bene rinunziare. Così si legge nella lettera in cui la Negri, dopo aver espresso soddisfazione per i riconoscimenti e gli 

  Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. .  Ivi, p. . Ivi, p. .  Cfr. Prose di Ada Negri, a cura di Bianca Scalfi e Egidio Bianchetti, in Tutte le opere di Ada Negri. Poesie, Prose, Milano, Mondadori,  (I classici contemporanei italiani). Il racconto uando Ilaria danzò sotto la luna, dalla raccolte Sorelle, si legge alle pp. -.  MAURO PEA, Due anime, cit., p. .  Ada Negri ad Amalia Moretti Foggia Della Rovere, presentazione, trascrizione, note di D. Rota, Oggiono (Lc), Cattaneo Paolo Grafiche, , p. .  Rispetto al temperamento emotivo, poetico, profondamente religioso della Negri, La Moretti Foggia Della Rovere aveva un vivo senso della concretezza delle cose, senza alcun impegno nei confronti della Trascendenza, aggrappata a un agnosticismo che la accompagnò sino alla fine. Un minimo cenno a persone e temi del mondo cristiano si ha in questo passo di una lettera del , scritta in risposta alla missiva della Negri da Assisi : « Il tuo genio poetico troverà ancora vasto campo nell’ambiente così mistico di Chiara e Francesco. Oh quel convento nel quale si vede la Santa dormire in pace il sonno eterno ! » (cfr. nota precedente, p. ).  Ada Negri ad Amalia Moretti Foggia Della Rovere, cit., p. .  Ivi, p.  : « Mia cognata da Valle Mossa mi scrisse l’altro giorno, velatamente, in modo da farmi comprendere che la famiglia desidererebbe una riunione fra noi due. Ho risposto in modo così chiaro e netto che, credo, non tenterà più. So che sono e sarò sempre più sola. Pazienza. Mi avvezzerò. È ben necessario avere la forza di prendere un partito ». 

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onori ricevuti a Zurigo,  aggiunge come post scriptum : « Mi piacerebbe molto, che in un modo o nell’altro si facesse sapere a mio marito le accoglienze che ho qui. Ma forse questo è un sentimento cattivo e vano e che non vale la pena di ascoltare ».  Altre notizie riguardano propositi non attuati. Sappiamo così del testamento inviato da Zurigo nel , in cui Ada Negri esprime la ferma volontà di essere sepolta a Motta Visconti.  In quel tempo la poetessa stava lavorando al quinto volume di poesia, Esilio, che avrebbe visto la luce nel .  Nella lettera del  novembre dell’anno precedente è espresso invece l’intento di scegliere, per il volume, il titolo Il Cilicio, con questa annotazione : « Cilicio l’arte, e cilicio la vita : tutto per me, da quando ho incominciato a nascere è stato doloroso e spasmodico ».  Consapevole di questa tendenza dalla poetessa a cadere nella tristezza sino ai limiti della depressione, l’amica cerca di consolarla, soprattutto in situazioni di particolari difficoltà. Si è già fatto cenno alle vicende dei Littorali sanremesi del ’, che procurarono tanta amarezza ad Ada Negri.  Facendo cenno alla vicenda la Moretti Foggia scrive : « Serena dunque cara Ada – e ricorda le parole di Rizzini : sei tanto in alto e tanto alta che – anche se qualche ranocchia gracidasse – il rumore non dovrebbe giungere fino alle tue orecchie ».  In due punti dell’epistolario lo stile della Moretti Foggia vibra di speciale emozione. Siamo nel luglio del’ e si profilano le persecuzioni razziali. Ecco il commento : « Non ti so dire, Ada, quanto questo iniziarsi di lotta antisemitica mi addolori, mi indigni, mi esacerbi, mi avveleni il sangue ».  Fortissima è l’indignazione anche contro « colui che dirige la Clinica di Pavia – Bottega, bottega e bottega, ove – d’intensa con un certo chirurgo – non si bada di far aprimenti ed asportare organi pur di guadagnare la grassa percentuale ».  Si tratta, dunque, di un epistolario utile soprattutto per conoscere vicende e sentimenti dei due personaggi, legati da forte amicizia ma molto diversi per formazione culturale e tipo di professione. A questi due volumi dedicati agli epistolari di Ada Negri, si affiancano saggi di ricerca su gruppi di lettere di cui si dà l’edizione o su carteggi ancora inediti e dal contenuto appena delineato. Va da sé che la miniera da cui attingere per dare inizio a queste ricerche è, in primis, il prezioso materiale, ora accolto e organizzato in CD-rom, affidato dal Prof. Gianguido Scalfi, nipote della poetessa, al Comune di Lodi e all’Associazione « Poesia, la vita ».  Per dati che orientino in queste ricerche, qui si rinvia anzitutto a due saggi di Domenico Mondrone, che hanno alla base un centinaio di lettere inviate da Ada Negri a P. Giulio Barsotti, dal maggio del  al  gennaio , pochi giorni prima della morte.  Il Barsotti fu una figura importantissima negli anni del tramonto della poetessa, che trovò in lui un sostegno straordinario per lo spirito, oppresso dall’angoscia per i dolori e le tragedie da cui l’umanità sembrava dover esser distrutta. La poetessa sembra soccombere nello strazio : « Sono stanca, abbattuta, spoglia di speranza. Lo so, non si deve. Compatiscimi. Sono una povera donna ».  La fede cristiana, già da anni ritrovata in pienezza,  le aveva ispirato la splendida prosa de  Ivi, p.  : « uasi con spavento misuro, adesso, il magnetismo creato dal mio nome. Perché ?… Non ho scritto  Ivi, p. . ancora nulla che raggiunga la vera alta vetta dell’Arte. Allora, perché ? Non so. Ma è così ».  Ivi, p.  : « Cara Amalia non spaventarti se ti mando il testamento : per ora ti assicuro che non ho alcuna intenzione di morire ; ma bisognava bene che io dettassi queste volontà, soprattutto l’ultima, quella del funerale, del seppellimento a Motta Visconti ».  ADA NEGRI, Poesie, in Tutte le opere di Ada Negri, cit. : Esilio, pp. -.  Ada Negri ad Amalia Moretti Foggia Della Rovere, cit., p. .  Cfr. sopra p. , note  e  e contesto.  Ada Negri ad Amalia Moretti Foggia Della Rovere, p. .   Ivi, p. . Ivi, p. .  Per qualche notizia cfr. Ada Negri e il suo tempo, Lodi, Museo civico, Sala dei notai,  maggio- giugno  : Catalogo, a cura di Giuseppe Cremascoli, Lodi, La grafica, .  DOMENICO MONDRONE, Gli ultimi anni di Ada Negri visti dal suo carteggio inedito, « La Civiltà Cattolica », , , I, pp. - ; IDEM, Il calvario di Ada Negri seguendo il suo carteggio inedito, ivi, pp. -. I due saggi sono ripubblicati in IDEM, Scrittori al traguardo, vol. IV, Roma, Edizioni « La Civiltà Cattolica » , pp. -. Nello stesso volume, alle pp. -, si legge, sempre del Mondrone, il saggio Il senso del di là negli ultimi canti di Ada Negri.  DOMENICO MONDRONE, Scrittori al traguardo…, cit., p.  : la lettera reca la data del --.  Basti leggere questa testimonianza da MAURO PEA, Due anime, cit., p.  : « Castelcampo, domenica,  luglio ’.

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« Il crocifisso rotto », che apparirà nella raccolta stampata postuma con il titolo Oltre e ove si legge una confessione di straordinaria umanità e di accettazione di ogni mistero. Di fronte al simbolo tipico della sofferenza di Cristo, la Negri scrive : « Contemplo in esso la crudeltà di un martirio e la carità di un perdono che dureranno fin quando duri il mondo ».  In una lettera del primo settembre del ’, con reminiscenza di questa pagina, scriverà al Barsotti : « Guardo il mio povero Crocifisso rotto e vedo le membra del Cristo spezzate e dilaniate dalla ferocia degli uomini sin che durerà il mondo. Addio ».  Sempre in tema di epistolari di Ada Negri, non è un mistero che spunta ogni tanto il desiderio di sapere se esista e dove sia custodito un carteggio inedito fra la poetessa e Benito Mussolini. Nel gruppetto di lettere pubblicate in appendice al volume di Salvatore Comes, Ada Negri da un tempo all’altro,  vi sono dei cenni che sembrano dar forza a queste curiosità ed attese. Nel gennaio del ’ A. Negri ringrazia Mussolini con queste parole : « Non attendevo la Vostra risposta : mi è giunta come un bene grande e improvviso. La chiudo fra le preziose carte che conservo di Voi, in un’apposita cartella ».  Va da sé che ogni lettore è subito preso dal desiderio di sapere dove sarà ora questa cartella. Nella lettera a cui la Negri si riferiva nel passo appena citato, Mussolini scriveva : « Se capitate a Roma, vi rivedrò volentieri, in ricordo anche dei vecchi tempi milanesi.  La Negri stessa quando nel  subì una stroncatura – che definì velenosa – da parte di un giornale dichiaratamente fascista,  ne riferì al Duce, rievocando con queste parole gli amichevoli incontri di Milano : « permettetemi di scriverVi questa volta con lo stesso abbandono con cui potevo un giorno parlarVi nel « Covo » di via Paolo da Cannobio o nella sede di via Lovanio (allora) del « Popolo d’Italia ».  Di una reciproca confidenza e stima fra i due personaggi ci sono altre testimonianze nelle lettere pubblicate dal Comes. In una missiva non datata ma probabilmente dell’estate , Mussolini scrive alla Negri : « Vi lascio in custodia un Diario, dove si parla di Lei e di me »,  e il velato cenno è a Margherita Sarfatti. Vi sono anche testimonianze di momenti critici e di sconforto, nei quali Mussolini si confida con la Negri in termini concitati e sofferti, come nella brevissima lettera del giugno  : « Cara Signora, voi mi scrivete ? Per dirmi la vostra fede ? C’è ancora qualcuno che non mi ha tradito ? Che non mi tradisce ? Che non mi tradirà ? uasi non ci credo. Grazie, cara Amica ».  All’amicizia con Mussolini la Negri fece ricorso, nel , per venire in aiuto a Nella Giacomelli, maestra elementare nata a Lodi e fervente socialista, proposta per il confino e per la quale erano in vista gravi misure di sicurezza. Con telegramma scritto di suo pugno e spedito il  agosto, Mussolini rassicurò la Negri che la persona da lei raccomandata sarebbe stata posta in libertà il giorno stesso o il seguente.  Da questo gruppo di lettere risulta con evidenza che il vincolo di amicizia nato tra i due personaggi al tempo degli incontri ai circoli socialisti di Milano, restò immutato, in un contesto che va però sottolineato, quello cioè dell’impegno a non affrontare disquisizioni ideologiche o giudizi su precise scelte politiche. Sulla base di questa fedeltà all’amicizia, intesa come valore primario, la poetessa tenne un rapporto epistolare anche con l’antifascista milanese Enrico Gonzales.  Per questo nell’agosto del ’, a commento dell’emarginazione decretata uesta mattina, nella cappella del castello mi sono confessata e comunicata. Voi sapete che da tempo, pur credendo, pregando, assistendo alle Messe… io mi tenevo lontano dalla Comunione. Ora il mio spirito è in pace ».  Prose di Ada Negri, cit., p. .  DOMENICO MONDRONE, Scrittori al traguardo, p.  : la lettera è del primo settembre .  SALVATORE COMES, Ada Negri da un tempo all’altro, Milano, Mondadori, , p. .   Ivi, p. . Ivi, p. .  Ivi, p.  : « …un giornale che si chiama « Il regime fascista » di Cremona pubblica, l’undici corrente, la stroncatura velenosa della mia opera completa » : la lettera è del  marzo .    Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. .  Ivi, p.  : « La vostra raccomandata Nella Giacomelli sarà posta in libertà prossimamente oggi aut domani stop Mi est grato ricordarmi a voi coi sentimenti antica devota amicizia. Mussolini ».  uesta è l’opinione espressa da ANGELA GORINI SANTOLI, Invito alla lettura di Ada Negri, Milano, Mursia, ,

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per lei dai vertici del Corriere della sera, scriverà : « Ricevo quotidianamente lettere insultanti. Che cosa ho fatto ? Politica, no ».  Di grande interesse è senza dubbio anche il carteggio tra la Negri ed Ettore Patrizi, del quale diede qualche notizia nel  Mauro Pea, pubblicando, della poetessa, anche testi inediti che si trovavano nel plico di queste lettere.  Un recente volumetto di Cesare Repossi dà notizie sulla corrispondenza fra la Negri e Cesare Angelini,  grande ammiratore della poetessa alla quale scriveva, poco dopo la pubblicazione di Vespertina : « Che dono, che dono è mai Vespertina ! Finalmente torniamo a rivedere il volto vero della divina Poesia ».  ualche anno prima la Negri si era confidata con lui a proposito di Fatalità per affermare che quelle poesie erano frutto di spontanea ispirazione e che « nessun partito politico se ne impadronì ».  Per altre notizie su epistolari di Ada Negri, si rimanda al saggio di Luigi Cremascoli, in cui si leggono soprattutto lettere all’avv. Giovanni Baroni, direttore della Biblioteca civica.  Citiamo questo passo, da una di esse : « SalutandoVi rivedo la vecchia Lodi della mia adolescenza, e mi sento oppressa dalla tristezza delle cose che non tornano più ».  Un recente saggio di Domenico Flavio Ronzoni studia e pubblica quello che giustamente è definito « un carteggio inedito su una grande amicizia », cioè l’epistolario fra la nostra poetessa ed Ernesto Teodoro Moneta, il patriota e giornalista politico insignito del premio Nobel per la pace nel .  Per notizie su carteggi di piccola consistenza della Negri ai quali si sono interessati gli studiosi, cito un breve saggio di Liliana Dini su lettere inviate dalla poetessa al nonno, Dante Dini, giornalista e scrittore di testi soprattutto per l’infanzia.  Leonardo Verga curò nel  l’edizione di cinque lettere inviate dalla Negri, da Motta Visconti, alla Signora Zoraide Cicardi, conosciuta a Lodi, in casa di comuni amici, gli Zanoncelli.  In una di esse la poetessa si confida con la destinataria a proposito di una vicenda d’amore, presto però finita : « Sogno dolcissimo della mia prima giovinezza, addio. Oh, Zoraide !… ualche volta chino il capo fra le mani e singhiozzo come una bambina ».  In anni abbastanza recenti Maria Grazia Bajoni ha pubblicato delle lettere di Ada Negri, fra le quali anche alcune al padre suo, Giuseppe Bruno Bajoni, attendente del tenente cappellano Giulio Barsotti.  Passando al vastissimo campo dell’inedito, basti ricordare che, secondo Mauro Pea, « l’eventuale raccolta dell’epistolario negriano completo (o quasi) uguaglierebbe il numero dei suoi volumi di carattere letterario ».  Come si è detto, molto di questo materiale è custodito nelove, a p. , si legge : « Non è azzardato pensare che Ada Negri, alla quale erano stati attribuiti straordinari ma altrettanto meritati riconoscimenti durante il ventennio fascista sino alla nomina in seno all’Accademia, sia stata coinvolta nella rovina dell’Italia a causa dell’amicizia che ella mantenne con Mussolini, amico con Turati, Majno, Gonzales e altri socialisti, dal tempo in cui, nominata per chiara fama professoressa all’Istituto Gaetana Agnesi, si era trasferita da Motta Visconti a Milano ».  MAURO PEA, Due anime, cit., p. .  MAURO PEA, Lettere e poesie inedite di Ada Negri, « Archivio Storico Lodigiano », ser. II, , , p.  : « Mi preme, per ora, dar notizia ai lettori di alcune poesie inedite della prima Ada Negri, trovate nel plico delle sue missive ad Ettore Patrizi ».  CARLO REPOSSI, Cesare Angelini e Ada Negri. Incontri nella « rossa Pavia », Pavia, Unitre, , p. . Per la corrispondenza epistolare fra i due personaggi cfr. anche Trenta lettere di Cesare Angelini, Pavia, Almo Collegio Borromeo,  : alle pp. - si leggono – ampiamente annotate – otto lettere dell’Angelini alla poetessa.   CARLO REPOSSI, Cesare Angelini e Ada Negri, cit., p. . Ivi, p. .  LUIGI CREMASCOLI, Lettere di Ada Negri nella Biblioteca Laudense, « Archivio Storico Lodigiano », ser. II, ,   Ivi, p. . gennaio, pp. - e ivi, , , pp. -.  DOMENICO FLAVIO RONZONI, Un carteggio inedito su una grande amicizia. Ada Negri ed Ernesto Teodoro Moneta, « Archivio Storico Lodigiano », , , pp. -.  LINA DINI, Lettere inedite di Ada Negri, « Aevum. Rassegna di scienze storiche-linguistiche-filologiche », , settembre-dicembre , pp. -.  LEONARDO VERGA, Lettere di Ada Negri maestra a Motta Visconti, « Aevum. Rassegna di scienze storiche-linguisti Ivi, p.  : la lettera è del  aprile . che-filologiche », , gennaio-aprile , pp. -.  MARIA GRAZIA BAJONI, Una corrispondenza inedita di Ada Negri, « Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere. Rendiconti. Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche, , I, , pp. -. EADEM, Due lettere inedite di Ada Negri, « Testo. Studi di Teoria e Storia della Letteratura e della Critica », n. s. , , pp. -.  MAURO PEA, Due anime, cit., p. .

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GIUSEPPE CREMASCOLI

l’archivio Ada Negri, nella nostra città, ed è stato consultato, per le tesi, da tre laureate, i cui nomi mi piace qui ricordare : Baggio Cristina, Giardini Laura, Pastorino Nadia.  Personalmente sono interessato al carteggio tra Ada Negri e Paolo Arcari, che, quanto ai testi inviati a quest’ultimo, è custodito nella biblioteca civica della città di Tirano.  Vi sono dati interessanti riguardo all’attività letteraria dei due personaggi e da parte della Negri, come sempre, impeto di sentimenti e cenni a faticosi itinerari dello spirito. Leggiamo, ad esempio, in una missiva del  : « Sono sempre inquieta, in cerca d’un bene che ancora non ho potuto afferrare. Ma qual è questo bene ? »  Mi sembra esatto vedere in questo interrogativo il segno più alto della grande storia di un’anima, narrata negli epistolari di Ada Negri.  CRISTINA BAGGIO, Ricezione italiana ed europea di Ada Negri, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. - ; L. GIARDINI, Vita e scrittura nell’opera e nell’epistolario di Ada Negri, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. - ; NADIA PASTORINO, Il carteggio Ada Negri – Umberto Fracchia (-), Università degli Studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. -.  Esprimo il mio fervido grazie alla Dott.ssa Laura De Matté Premoli, Presidente dell’Associazione « Poesia. La Vita », che ha ottenuto dalla Direzione della Biblioteca civica di Tirano le fotocopie di questa corrispondenza.  La lettera reca la segnatura I/W  ed è indicata come documento n. .

BARBARA STAGNITTI LA CETRA DI ADA NEGRI TRA LIRISMO VERDIANO E MUSICALITÀ SAFFICA

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La tragedia lombarda delle terre grasse ai signori e mefitiche ai paria è sul tuo viso tutto maschera e lampi : nella voce Tua l’Adda ritorna co’ suoi divini argenti e il gorgoglio d’ira bollente alle pile del Ponte di Lodi : Tu canti all’Italia il facile canto possente del fiume che viene dal Nord : scintillano le tue rime ed i tuoi ritmi dell’elettrica presa di Tresenda : ardi sempre fanciulla : erri sempre zingara : fissi sempre medusa l’astro da rendere tuo. E sei madre : ed hai pianto : e sorridi : e più speri : e la tua viscera bella intona alto il suo canto. 

ON questi versi Paolo Buzzi rende omaggio ad Ada Negri nella decima sinfonia del Poema dei quarantanni, pubblicato nel  « sotto l’egida dell’antica gloriosa bandiera di “Poesia” »,  ma già nel , anno dell’uscita in volume di Aeroplani, alla poetessa lodigiana, « libera anima in libero canto », dedicava la sezione Piccoli Poemi rustici di verità,  comprendente I mercanti di cavalli, Le falci, I tabernacoli delle lucertole, Sera d’uragano, Il canto della filandiera (tematicamente affine alle liriche negriane Popolana e Madre operaia),  Le campane, I funghi dell’anima, Getti d’acqua sulle montagne, Il battesimo, Zingari, Arcobaleni, Mormorio di foglie, Notte di luna e La bella nuda dello stagno (due componimenti che, per il motivo panico e sensuale di chiara ascendenza dannunziana, rimandano a La sera fiesolana e a Stabat nuda Aestas).  Ai due omaggi poetici si affianca la riflessione critica di Buzzi, compendiata con perspicacia e vigore di sintesi, in una serie di articoli pubblicati tra il  e il  su quotidiani e periodici nazionali quali « Gli Avvenimenti », la « Rivista d’Italia », « I Nemici d’Italia », « La Vita internazionale », la « Gazzetta del popolo » e il « Giornale di Genova ». Se Fatalità,  primo volume in versi della Negri, è un « poema psichico » frutto d’« intuito e 

. 

PAOLO BUZZI, Ada Negri, in IDEM, Poema dei quarantanni, Milano, Edizioni Futuriste di « Poesia », , pp. -

P[AOLO] B[UZZI], prefazione a IDEM, Poema dei quarantanni, cit., p. []. PAOLO BUZZI, Piccoli Poemi rustici di verità, in IDEM, Aeroplani. Canti alati, Milano, Edizioni di « Poesia », , pp. []-.  ADA NEGRI, Fatalità, Milano, Treves, , pp. -, -.  GABRIELE D’ANNUNZIO, Alcyone, a cura di Federico Roncoroni, Milano, Arnoldo Mondadori,  (« Oscar poe ADA NEGRI, Fatalità, cit. sia »), pp. -, -. 

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BARBARA STAGNITTI

di sensibilità ultrapersonali »  e non di programmi estetici, Tempeste  « accentuano la sinfonia psichica di note dolorosamente violente ».  Senza ritmo, unica lirica citata dal recensore (indicata nel  da Gian Pietro Lucini tra i primi esempi di versoliberismo),  « vale il volume », tracciando « un solco espressivo » che i « liberisti futuri non dimenticheranno » :  Passa pel chiuso salotto il brivido cupo dell’ombra : i tasti animati singhiozzano sotto le dita tue bianche, o Nice : e tu sei vestita di bianco come un fantasma. – Suona. – […] È Beethoven. – uand’egli creava la solenne armonia, tu non vivevi, Nice, io non vivevo : ma ciò che l’artista crea tutto il mondo lo beve, lo fa sua carne e suo sangue : ed ora, più di qualunque parola, questa musica dice ciò che tu senti, ciò che io sento. – Suona. […] Narran gli accordi gravi che mentre tu passi lasciando nel mondo l’amore, io vivrò disamata. O Nice, ancora vent’anni, ancora trent’anni dovrò trascinare nel mondo, sola !… Poi che amore ti chiama vivi, e lascia ch’io, non rimpianta, muoia !… 

Chiara e persuasiva sarà, in sede teorica, la risposta all’Inchiesta Internazionale sul verso libero promossa dalla rivista milanese « Poesia » : « quando il poeta è veramente poeta, cioè creatore, crea da sè la veste ritmica del suo pensiero ».  Senza ritmo sembra dunque anticipare quell’anelito di sperimentazione e di rinnovamento tecnico del verso poetico che l’autrice realizzerà compiutamente solo nel  con Il libro di Mara,  la cui ‘modernità’ segna una linea di confine rispetto all’opera precedente, da Fatalità a Esilio, ancorata alle forme chiuse della tradizione : un che « di verdiano è nel passionalismo lirico di Ada Negri. / La gonfia melodiosa cantata zampilla su dal  PAOLO BUZZI, Ada Negri, « Rivista d’Italia », a. XXI, vol. II, , Milano, , p. . Nelle note successive sarà adottata la sigla AN. L’articolo, aggiornato, servirà all’autore per la conferenza su Ada Negri che terrà al Collegio Boerchio di Pavia il  maggio .   ADA NEGRI, Tempeste, Milano, Treves, . PAOLO BUZZI, AN, p. .  G[IAN] P[IETRO] LUCINI, risposta all’Inchiesta Internazionale di “Poesia” sul Verso Libero, « Poesia », II, ---, Milano, -, pp. [-]. Dopo aver ricordato le proprie sperimentazioni metriche, avviate a partire dal , l’autore riconosce quali tappe significative del verso libero italiano : i Semiritmi () di Luigi Capuana, Ultima passeggiata () di Alberto Sormani, Senza ritmo di Ada Negri in Tempeste (), « una dolcissima sinfonia armonica di parole e di pensieri » e i Dialoghi d’Esteta () di Romolo uaglino. Poi in Enquête Internationale sur le Vers libre et Manifeste du Futurisme, par F[ilippo] T[ommaso] Marinetti, Milano, Éditions de « Poesia », , pp. -.  PAOLO BUZZI, AN, p. .  ADA NEGRI, Senza ritmo, in EADEM, Tempeste, Milano, Treves, , pp. -. Lirica dedicata « A Nice Turri. / Clair de Lune / di BEETHOVEN ».  ADA NEGRI, risposta all’Inchiesta Internazionale di “Poesia” sul Verso Libero, « Poesia », II, --, Milano, , p. []. Poi in Enquête Internationale sur le Vers libre et Manifeste du Futurisme, cit., p. .  ADA NEGRI, Il libro di Mara, Milano, Treves, .

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commosso cuore per la commozione dei cuori. Ma il giuoco delle note è quasi rudimentale ».  Allo stesso aggettivo « verdiano », Buzzi ricorrerà in altri passi critici per definire e sottolineare la « melodiosità un po’ primitiva »  delle liriche negriane tradizionali. In una « linea sempre ascendente » si colloca Maternità.  La donna, pur continuamente adunghiata dal dolore, fa « del suo pathos elemento di sempre più chiara […] rivelazione estetica ».  Ma è Dal profondo  l’opera che segna « il culmine per intensità di concentramento, chiarezza d’autoascolto e forza d’espressione. / L’angoscia psico-fisica ha raggiunto la vetta del Calvario. ui sono veramente le strofe scritte col sangue », quasi una « sindone rosso-stampata ».  Giudizio analogo sarà espresso in una lettera alla Negri del  maggio , a proposito di Nostra Signora degli abissi,  libro « scritto con l’inchiostro del sangue : sconto col sangue mio … ».  Nella raccolta del  « svampano gli ardori » di « anime multiformi » che la scena ha immortalato – Cordelia, Desdemona, Lady Macbeth – insieme a quelli della sposa di Cristo che conforta i morenti, « consunta di fede e di pietà ».  Le strofe finali della lirica che chiude e intitola il volume, alla quale rimanda La scesa nel gorgo profondo  di Buzzi, semplici nella tessitura, ma dall’espressione suggestiva, conservano l’impeto dei versi dell’adolescenza.  Esilio  è ancora « una rinnovazione », non metrica, « quantunque gli scorci dei versi e i timbri delle rime appaiano atteggiati a più marcati sensi d’indipendenza ». La poetessa attinge dall’autobiografia quotidiana « tesori di sentimento e di melodia » offrendo una « confessione ininterrotta ». Gli effetti descrittivi sono raggiunti con disinvolta bravura. La natura è « sentita e resa con stupori panici » :  Un sogno risvegliò l’adolescente. Oh, dolce !… Uno sfogliarsi di corolle sulla sua bocca e sul suo cuore, folle per la delizia d’essere vivente. E balzò a terra, bianca in quel divino languir dell’ombra e delle stelle, – quando nell’aria che pare èsiti tremando non è più notte e non è ancor mattino. 

PAOLO BUZZI, AN, p. []. PAOLO BUZZI, recensione ad ADA NEGRI, Il libro di Mara, « Rivista d’Italia », a. XXII, vol. II, , Milano, , p. []. Si vedano anche : IDEM, Il Mistero di Persefone, « Giornale di Genova », , Genova, , p.  (l’autore riconosce in alcune rime « dell’Epopea intima » di Maternità una « musicalità quasi verdiana ») ; IDEM, Visita ad Ada Negri, « Gazzetta del popolo », LXXXIV, , Torino, , p.  (« Io trovo sempre, in quell’arte, quella specie di largo fermento d’ordine, vorrei dire verdiano che ne ha sempre costituito la malìa essenziale »).   ADA NEGRI, Maternità, Milano, Treves, . PAOLO BUZZI, AN, p. .   ADA NEGRI, Dal profondo, Milano, Treves, . PAOLO BUZZI, AN, p. .  PAOLO BUZZI, Nostra Signora degli abissi, Milano, Edizioni “La Prora”,  (« Scrittori italiani scelti »).  PAOLO BUZZI, lettera ad Ada Negri, Milano,  maggio  (Archivio Ada Negri, Lodi).  PAOLO BUZZI, AN, p. .  PAOLO BUZZI, La scesa nel gorgo profondo, in IDEM, Poema dei quarantanni, cit., p.  : « Tutti gli scafandri di rame / e le lanterne d’elettro / e gli zaini e l’armi degli spettri / e i polsi d’anima e di sangue / datemi / ch’io mi faccio il palombaro di me stesso, / ch’io m’avventuro giù / nell’abisso spaventevole ch’io rinchiudo. / E dite, o pietosi che state sulla riva / a vedermi sparire nel profondo, / dite la preghiera dei morti ! Ch’io riemerga è un sogno. / Nessuna più buia notte / d’acqua e d’aria nell’andare, / nessun gelo / di cimitero d’inverno sotto la neve, / nessuna ebbrezza / d’alcova o di taverna (fui soldato) / mi prese ai sensi / d’occhi di gola e di respiro, / quanto a questo penetrare il mio vortice sanguinoso ».  ADA NEGRI, Dal profondo, in EADEM, Dal profondo, cit., pp. - : « Nè mi chiedete il nome mio : sui ciottoli / della strada mi cadde, ed a raccoglierlo / io non mi volsi : il nome io l’ho nel viso, / e nell’ardor del mio selvaggio riso. / Camminerò con voi, presa nell’impeto / della corrente rapinosa, in gaudio : / canterò per la vostra anima oscura / il ditirambo della forza pura. / E se materia sull’artier si vendica, / canterò che la morte è necessaria : / l’opera all’uomo e l’uomo all’opra sia / come l’anima al corpo. – E così sia. – / Basti alla nostra sete un sorso d’acqua, / ed alla fame un pane, e al sangue un palpito / di giovinezza ; e dai possenti amori / balzino razze di dominatori. / E il Sol su noi, dentro di noi, magnifico / dator di grazia, che pei Puri sfolgori : / e se gioja ne investa dal profondo, piccolo sia pel mio peana il mondo ».   ADA NEGRI, Esilio, Milano, Treves, . PAOLO BUZZI, AN, p. . 

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BARBARA STAGNITTI A piedi ignudi sul balcon, soave e ardente, a sè chiamò l’alba virginea : l’assaporò fino all’estrema linea del cielo, ove il sol nasce al suon dell’ave. 

Sul piano metrico, Alba rivela, anche ad un parolibero, quanto l’endecasillabo possa essere trattato con quella « scioltezza libertaria » in grado di consentire « oltre al giro melodico, la dispersione acustica infinita della sinfonia » e come la rima possa risolversi nella « trovata degna dell’Arte ».  Nel , con Il libro di Mara,  giudicato dal critico milanese il « capolavoro » poetico della Negri, l’autrice dà prova della sua « battaglia del verso libero », riuscendo a « sfondare la muraglia dei metri chiusi » e a liberarsi dalle influenze dei « clichés antenati ».  Chiarezza di « rapporti sensitivi », originalità d’immagini e « sapor musicale » sono le qualità peculiari dell’opera che unisce allo « splendore della vittoria tecnica » quello della concezione lirica : c’è « tutta la forza di un temperamento sanguigno e nervoso in opposizione alla vita. Ma le asprezze veriste, ma le esasperazioni sensuali […] appaiono meravigliosamente rifratte e sollevate dalla loro stessa onda poetica capace, a tratti, di suscitare il brivido astrale, unica ragione della poesia. / […] Il senso di umanità raggiunge il brivido della tragedia, come il senso di natura raggiunge lo stupore panico ».  Vi sono dei « salmi » nel Libro di Mara che giungono all’anima « con una malia prensile : salgono, pronunziati, con una dolcezza davidica di suono ».  Si pensi al commiato : Pace,  tre liriche « d’una perfetta linearità di disegno » e insieme di una forza « atta a far rievocare il misterioso mondo diamantino dei frammenti di Saffo ».  Il  maggio , in occasione di una conferenza su Ada Negri tenuta al Collegio Boerchio di Pavia, Buzzi parlerà di « opera di passione, dai distici che hanno l’aroma dei salmi e, in pari tempo, la musicalità della cetra di Saffo. Rivelazione di gioia e di strazio : sopratutto, di bellezza e di splendore di stile ».  Ispirati da un soggiorno a Capri, nel  escono I canti dell’Isola,  « pieni di sole, d’azzurro e di profumo di rose orientali ». Libro « veramente magico » e « polifonico – nella sua melodiosità infinita – come una conchiglia ».  È invece del  Vespertina,  raccolta nella quale l’endecasillabo ritorna ai suoi « prodigi antichi, affrontando perfino i cementi e gli asfalti della città 

 ADA NEGRI, Alba, in EADEM, Esilio, cit., pp. []-. PAOLO BUZZI, AN, p. . ADA NEGRI, Il libro di Mara, cit.  PAOLO BUZZI, recensione ad ADA NEGRI, Il libro di Mara, cit., p. [] ; IDEM, lettera ad Ada Negri, Milano,  luglio  (Archivio Ada Negri, Lodi). Si vedano anche : PRINCIPE DI MILANO [PAOLO BUZZI], Poesia della Patria, « I Nemici d’Italia », I, , Milano, , p.  ; PAOLO BUZZI, Il Mistero di Persefone, cit., p.  (« Non insensibile, anzi sensibilissima alle malie del verso libero, nel Libro di Mara essa aveva saputo darcene dei saggi sorprendenti di senso armonistico e di audacia espressiva »).   PAOLO BUZZI, recensione ad ADA NEGRI, Il libro di Mara, cit., p. . Ibidem.  ADA NEGRI, Pace, in EADEM, Il libro di Mara, cit., pp. []-. Il commiato comprende le liriche Il dono, Voto e Domani : « Domani è aprile, e tu verrai per condurmi / incontro all’ultima primavera. / Donde verrai, come verrai, non so ; ma / senza soffrire potrò rivederti. / Soave sarà nella tua la mia mano, soave / il mio passo al tuo fianco. / Occhi d’infanzia i nostri, a specchio inno- / cente del novo miracolo verde. / Andremo per orti e frutteti, a capo sco- / perto nel sole, senza far male ai santi / germogli. / In punta di piedi, per tèma si stacchin dai / rami le rosee farfalle dei pèschi, / e trepidi e senza respiro, per non turbar / pur con l’aria i fiori dell’ultimo sogno. / E di quello che fu della carne, nulla verrà / ricordato. / E di quello che fu del dolore, nulla verrà / ricordato. / E quel che è della vita eterna farà pieno / di canti il silenzio. / Non io tua, non tu mio : dello spazio : ra- / dendo la terra con ali invisibili, / sempre più lievi nell’aria, sempre più im- / mersi nel cielo, / fino a quando la notte ci assuma ai suoi / vasti sepolcri di stelle » (pp. -).  PAOLO BUZZI, recensione ad ADA NEGRI, Il libro di Mara, cit., p. .  PAOLO BUZZI, conferenza su Ada Negri, Pavia,  maggio  (Archivio Ada Negri, Lodi). Nelle note successive sarà adottata la sigla CF.  ADA NEGRI, I canti dell’Isola, Milano, A[rnoldo] Mondadori, . « Alla memoria del mio buon / fratello Cesare Sarfatti questo / libro è dedicato ». Nella raccolta negriana di tutte le Poesie, [Milano], Arnoldo Mondadori, , la dedica  PAOLO BUZZI, CF. sarà rivolta « ALLE CARE OMBRE / DI / CESARE E ROBERTO SARFATTI ».  ADA NEGRI, Vespertina, [Milano], A[rnoldo] Mondadori, . 

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tentacolare ».  Non è più la « travolgente forza, quasi d’afflato politico, che caratterizzò i suoi primi volumi » o il « concentrato panico, pieno […] di volute cerebralità d’un ordine appartenente alla ricerca pittorico-musicale dei Canti dell’Isola e del Libro di Mara. ui siamo davvero nel campo delle cose eterne dette con parole eterne : il campo augusto di Leopardi e di Bellini ».  Tra I canti dell’Isola, dedicati alla memoria di Cesare Sarfatti, e Vespertina, « c’è la stessa distanza che corre tra il mezzogiorno e la sera ». Nell’accecante luce caprese l’autrice trovò « l’ardore di un mezzogiorno fisico e spirituale », così anche le poesie che l’isola le ispirò conservano il colore dell’estate. Il libro rappresenta però una parentesi nell’opera della Negri la cui « ora è stata sempre quella della sera ». Il suo vespro è morale : simboleggia « l’ora della quiete » e della riflessione sulla strada percorsa, la strada del giorno e quella della vita.  Nel segno della continuità si inserisce Il dono,  opera di « purificazione » e di « interpretazione » che accentua la capacità di risalire « dal fatto autobiografico al fatto universale, di vedere cioè nel caso del singolo l’ombra del caso eterno » : i versi sono investiti di un significato reale, personale e nel contempo universale e simbolico. Vale quanto affermare che « questo non è un libro di versi, ma di poesia. E anche la poesia, come la vita, è un dono ».  Liriche « bellissime », pur nella sagoma tradizionale dell’endecasillabo, le definì Buzzi sul « Giornale di Genova » e « grande, pur nella andatura apparentemente similare, la varietà delle armonie ».  Vi è nella lirica negriana tutta la chiarezza dello stile lombardo, « la passione schietta, quella specie d’onesta vivacità nel sentire e nel rendere che è patrimonio etnico e squisito del paesaggio incorniciato fra i laghi, l’Adda, il Ticino ed il Po ». Ma soprattutto eticamente l’opera « costituisce un vero dono, un apporto alle anime ». Il ricordo di Delia Notari, compianta nel primo anniversario della morte, vive in questa poesia che ha « il valore morale di una lampada accesa sopra una grande tomba ».  Da Alessandria d’Egitto, il  febbraio , Buzzi scriveva : Tanto io che Maria siamo stati felici di ricevere il Dono. Dono azzurro come il Mediterraneo attraverso il quale è arrivato. C’è, sul Mediterraneo, una nave-fantasma ; solitaria, viaggia lentamente, trasportando qualche mistica comitiva : clarisse, missionarie, ospitaliere, romite, che vanno verso qualche loro Mecca ideale, umana o divina … L’abbiamo incontrata anche noi, nel nostro viaggio : anzi fu la sola nave che incontrammo : si chiama “Delia”. Cosa strana : ma è così. Ora il Poema di Delia ci sembra ancora più fatidico, più suggestivo. Sembra, un po’, anche la musica che mancava a quella misteriosa apparizione vagante per l’alto mare, sotto la mezzaluna d’argento, araldica di questi cieli. Grazie, grazie ! Ho trovato le arcane bellezze, sensitive e melodiche, del genio di Ada Negri. 

A firma di Buzzi si devono inoltre contributi critici alla scrittura negriana in prosa. Con Le Solitarie,  recensite nel  sul settimanale milanese « Gli Avvenimenti », l’autrice, « musicale e pittoresca del suo stesso naturismo lombardo », si è prodigata in « pagine di vita mirabilmente sobrie », in profili di donne « formidabili per l’intuito e per la conoscenza insieme ».  La prefazione-dedica a Margherita Sarfatti, « di sè sola, è un gioiello » :  Giornate d’un maraviglioso settembre, al “Soldo”. Verde conca di frescura, erbe e fiori di Pratobello, salenti fino alle ginocchia. […] Odor zuccherino di uve, canti di vendemmiatrici, campane dei vespri festivi, che riempivano i cieli della loro grave dolcezza […]. 

 PAOLO BUZZI, CF. PAOLO BUZZI, Visita ad Ada Negri, cit., p. . NICOLA MOSCARDELLI, recensione ad ADA NEGRI, Il dono, « L’Italia che scrive », XIX, , Roma, , p. .  ADA NEGRI, Il dono, Milano, A[rnoldo] Mondadori, .  NICOLA MOSCARDELLI, recensione ad ADA NEGRI, Il dono, cit., p. .  PAOLO BUZZI, Il “Dono” di Ada Negri, « Giornale di Genova », , Genova, , p. .  Ibidem. Dedicata « A / DELIA NOTARI », l’opera comprende le sezioni poetiche : Il dono ; Giardini ; Giorni di Castelcampo ; Mater ; Delia (Preghiera per l’agonia ; Preghiera per la morte ; Neve ; Il manto bianco ; La voce ; Le farfalle azzurre ; La grazia ; Le stelle ; Il velo e il volto ; Serenità ; L’eco) e Cielo di sera.  PAOLO BUZZI, lettera ad Ada Negri, Alessandria d’Egitto,  febbraio  (Archivio Ada Negri, Lodi).  ADA NEGRI, Le Solitarie, Milano, Treves, .  PAOLO BUZZI, recensione ad ADA NEGRI, Le solitarie, « Gli Avvenimenti », III, , Milano, , p. [].  Ivi, p. []. 



BARBARA STAGNITTI

O tu […] mi conducevi per mano nei regni della tua pace : così che io pure credetti – per un momento – alla tregua di Dio fra il mio cuore e la mia vita !… Lavoravamo insieme, mostrandoci a vicenda le pagine liriche ancor tutte calde della prima impronta del pensiero. Per cambiare, un giorno, ripescammo e rileggemmo un mio grigio, torbido manoscritto di prose. Non lo amavo : lo volevo distruggere. Ma tu mi dicesti : Perchè ?… Grigie fin che vuoi, queste novelle. Ma sono una parte viva di te. – Eccole, raccolte in volume. Novelle ?… No. Tutte, – o quasi –, umili scorci di vite femminili sole a combattere : malgrado la famiglia, sole : malgrado l’amore, sole : per propria colpa o per colpa degli uomini e del destino, sole. 

Raccolta di storie d’amore, anche e soprattutto dove l’amore manca. Vi sono donne, tra Le Solitarie, che soffrono per il loro essere deboli o vittime, come Cristiana e Franceschetta ;  figure desolate come quella dell’impiegata trentenne Maria Chiara  e di Raimonda, « orribilmente » sfregiata in viso (« si sentiva isolata. Fra il suo fluido e il fluido altrui s’interponeva un divieto. uel divieto la disonorava come una condanna »),  disegnate con un tocco « in certi punti non indegno dell’arte del Maupassant ».  Buzzi parla di prosa « tersa », « sensitiva », « elettrica » e di « sublime semplicità ».  Né mancano donne desiderose di amare e di essere amate : Anin, figlia di uno spazzino e di una sarta, non « desiderata, non amata », eppure anima serena e paziente, « non già arida e muta », nutre in sé « un umile, ma irresistibile bisogno di amare » ;  Maria Ben « non aveva vissuto se non per l’amore »,  mentre Veronetta Longhena, protagonista della prosa Il denaro, riesce a trovare la felicità piena nel grande amore, passionale e condiviso : la « veemenza con la quale s’eran gettati l’un verso l’altra non li aveva delusi : ognuno dei due, nell’impeto, s’era scavata nell’altro la propria impronta ».  Con il romanzo Stella mattutina,  artisticamente superiore, la Negri tenta, con « felice lirismo »,  la strada di quel genere autobiografico che, nel primo ventennio del Novecento, aveva raggiunto validi risultati con Lemmonio Boreo di Ardengo Soffici, Il mio Carso di Scipio Slataper, Un uomo finito di Giovanni Papini e Ragazzo di Piero Jahier. Nato da uno sguardo retrospettivo, l’autrice « tesse il canto sintetico d’una vita umana : della vita ch’ella meglio può conoscere : la sua ».  Libera da « architetture predisposte » e in uno stile « squisitamente parlato », ritrova ad ogni passo se stessa, descrivendosi « senza infingimenti e senza esitazioni ».  Figure e fatti della sua adolescenza si succedono « discrete e precise, recando con sè il profumo delle cose patite ».  Nella conferenza pavese del , Buzzi parlerà di Stella mattutina come del « dolcissimo Poema-Romanzo autobiografico : dove […] Dinin appare in tutte le sue maraviglie di incubazione psicologica […] e l’anima della terra lombarda è resa con […] virtuosità istintiva ».  Libro « sovratutto lombardo » lo aveva definito, nel , sulla rassegna quindicinale « La Vita internazionale »  per le suggestive impressioni del paesaggio e degli scorci lodigiani : Via delle 

ADA [NEGRI], A Margherita Sarfatti, in EADEM, Le Solitarie, cit., pp. [V-VI]. Cfr. ADA NEGRI, Il crimine e L’altra vita, in EADEM, Le Solitarie, cit., pp. []-, []-. Cfr. ADA NEGRI, L’incontro, in EADEM, Le Solitarie, cit., pp. []-.  ADA NEGRI, Nella nebbia, in EADEM, Le Solitarie, cit., pp. , .  MARGHERITA G[RASSINI] SARFATTI, Un libro d’amore : “Le Solitarie” di Ada Negri, « Il Popolo d’Italia », IV, , Milano, , p. [].  PAOLO BUZZI, recensione ad ADA NEGRI, Le solitarie, cit., p. [].  ADA NEGRI, Una serva, in EADEM, Le Solitarie, cit., pp. [], .  ADA NEGRI, L’assoluto, in EADEM, Le Solitarie, cit., p. .  ADA NEGRI, Il denaro, in EADEM, Le Solitarie, cit., p. .  ADA NEGRI, Stella mattutina, Roma-Milano, A[rnoldo] Mondadori, .  ALBERTO VIVIANI, Ada Negri, « Il Libro italiano », IV, , Roma, , p. .  PAOLO BUZZI, Cronaca di Poesia, « La Vita internazionale », XXIV, , Milano, , p. .  CESARE GIULIO VIOLA, I più bei libri della quindicina, « Novella », III, , Milano, , p.  ; PAOLO BUZZI, Cronaca di Poesia, cit., p. .  C[ARLO] L[INATI], recensione ad ADA NEGRI, Stella mattutina, « Il Convegno », II, , Milano, , p. .   PAOLO BUZZI, CF. PAOLO BUZZI, Cronaca di Poesia, cit., p. .  

LA CETRA DI ADA NEGRI TRA LIRISMO VERDIANO E MUSICALITÀ SAFFICA



Orfane, « piena di conventi, e di tacite case private », sembra una strada « pregante in solitudine », con un piccolo marciapiede da un lato, dall’altro una muraglia bassa a difesa di ampi giardini.  Via Tresseni, « scorciatoia di bosco » e Santa Maria del Sole con il suo aspetto di « gelida serenità d’un corridoio di convento ». Altre strade portano nomi storici come Gaffurio, Fissiraga, Porta Reale : « e non v’è sagoma di pietra o chioma d’orto spiovente da un muro o singolarità di luci e d’ombre che non sia già […] vita nella vita ».  Attraversata da radi passanti la piazzetta dinnanzi all’ospedale : « case chiuse, persiane chiuse, erba fra le pietre, gialliccia, bruciata dal sole. ualche panca, sulla quale sedere e sognare ».  Ecco poi la Chiesa di San Francesco, « rifugio » dell’autrice adolescente (« s’inchina, porta alla fronte le dita intinte nell’acqua benedetta, siede ad un banco, in un angolo »),  Piazza del Duomo, « con i leoni di pietra a guardia della cattedrale, protetta dal campanile un po’ tozzo », Piazza Broletto e le numerose chiese, « quante !… / Per riposare : per sognare : per pregare ».  Una nota accolta sul « Giornale di Genova » viene riservata al volume Sorelle,  edito da Arnoldo Mondadori nel  : in quelle pagine, « veri lembi di natura e di vita, vi è tutta l’arte, vorrei dire un’altra volta, verdiana della grande melodiosa Poetessa Lombarda ».  Un’arte che il critico milanese, con nitore e finezza interpretativa, così aveva sintetizzato, il  agosto , sulla « Rivista d’Italia » : Chi ha domandato mai alla Poesia una marca di fabbrica ? Pensiero e musica. Sensibilità. Valore umano e in certo qual modo divino. Soffio di tragedia. Respiro di natura e di cuore. Baleno d’infinito. Astralità. Rappresentazione della propria anima e dell’universo che nell’anima si riflette […]. Con Ada Negri siamo davanti al fenomeno nudo e crudo della Poesia nel suo significato soggettivo e collettivo insieme. Cadono i pregiudizi delle scuole e le necessità delle categorie. La Poesia è al suo primo vero atto etico ed estetico. L’attualità psico-sociale è rivelata con la veemenza dell’affetto e con la semplicità dell’immaginazione nativa […]. Non tutti i Poeti cantano il loro canto. Ada Negri canta proprio il suo.  

ADA NEGRI, Stella mattutina, cit., p. [].  Ivi, pp. -. Ivi, p. .  Ivi, p. . Nella lirica Piazza di San Francesco in Lodi, la poetessa scriverà : « Torno a quei dí, rivivo il sogno antico / nella piazza deserta. È pur quell’erba / fra pietra e pietra ; e quel silenzio, intorno ; / e a destra e a manca, quelle strette vie / piene di sole, ov’io spiavo, dalle / chiuse pusterle – e un lampo era negli occhi – / maraviglie di chiostri e di giardini. / Dal vano delle due bifore ancora / sorride il cielo con pupille azzurre / sulla facciata del mio San Francesco : / sguardo di bimbo in tormentato volto / di vegliardo che tutto a me perdona. / S’entro nel tempio, presso la cappella / dei Fissiraga rivedrò la panca / dov’io conobbi i rapimenti primi / della preghiera ; e tra la pinta selva / delle colonne cercherò la mia / Madonna, quella che adorai, che mia / soltanto fu, che nel ricordo augusta / sempre mantenni, come là sul plinto : / chiusa in un manto d’ermellino, bianca / Imperatrice al divin Figlio serva »  ADA NEGRI, Stella mattutina, cit., pp. -. (ADA NEGRI, Vespertina, cit., pp. -).  ADA NEGRI, Sorelle. Ritratti di donne, [Milano], A[rnoldo] Mondadori, .  PAOLO BUZZI, Giro in giardino, « Giornale di Genova », , Genova, , p. .  PAOLO BUZZI, AN, p. []. 

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VICENTE GONZALEZ MARTÍN TECNICHE DELLA NARRATIVA BREVE DI ADA NEGRI

A

DA NEGRI svolge la sua attività letteraria principalmente nella prima metà del XX secolo, periodo convulso non solo per la vita quotidiana, ma anche per gli sviluppi letterari, che vanno dal superominismo dannunziano, degli inizi del secolo, fino al neorealismo successivo agli anni ’. È un’arcata di tempo dove gli intellettuali europei saranno a volte coinvolti in progetti comuni tendendo verso un europeismo cosmopolita, mentre in altre occasioni si vuole arrivare all’universalità alla quale aspira ogni scrittore attraverso la rimozione, incentrando l’attenzione nella propria terra quando non nella propria psiche. La produzione letteraria di Ada Negri inizia con le prime raccolte in Fatalità () – la sua prima poesia, La Monaca, è del  – mentre la sua prima produzione di narrativa breve sono i  racconti pubblicati con il titolo di Le solitarie nel , a cui seguirono i racconti di Finestre alte (), Le strade (), Sorelle (), e Di giorno in giorno (). In questo periodo la narrativa italiana è immersa nella ricerca di un nuovo stile mediante il tentativo di rinnovamento dei contenuti, e nonostante l’incertezza esistente tra la poetica del racconto, del frammento, del saggio, della prosa d’arte, è certo che nella narrativa di questi anni si comincia a consolidare in Italia, polemizzando con le tendenze de « La Voce » e la « Ronda », una linea realista, in gran parte influenzata dalle tendenze letterarie del XIX secolo, un interesse per una problematica che pensa non tanto all’individuale quanto alla relazione dell’individuo col sociale ; un interesse, in definitiva, per i problemi umani. La maggior parte degli scrittori che lavorano nella narrativa in questo arco di tempo che va dal  al  – basti pensare a opere di narrativa come L’ultima traccia ) e L’altare del passato () de Gozzano ; Il Re bello () de Pallazzeschi ; Le Belle () di Borgese ; La dolce calamità ovvero la donna di nessuno () di Antonio Baldini o I racconti della ghiandaia () di Corrado Govoni, ecc., insieme a romanzi come Gli indifferenti () di Moravia ; Gente in Aspromonte () di Corrado Alvaro ; Fontamara () di Silone, ecc. – hanno un denominatore comune che possiamo definire come ‘un periodo di crisi’ che comprende aspetti sociali, culturali, politici ed economici, ma le risposte letterarie e, conseguentemente, le soluzioni tecniche che porsero a quel comune denominatore, furono individuali e differenti. In questa panoramica effervescente di grandi opere e di grandi scrittori, l’individualità di ognuno di loro, a mio parere, viene segnata in grande misura dalle soluzioni tecniche che adotteranno in ognuno dei generi che coltivano. Per quanto riguarda la mia comunicazione, ho scelto lo studio delle Tecniche della narrativa breve di Ada Negri per diversi motivi. In primo luogo, perché nonostante la bibliografia critica su Ada Negri sia ampia e varia, ritengo che non si sia dedicata tutta l’attenzione che meritava la sua narrativa breve e meno ancora si sono fatte delle ricerche sulle tecniche narrative che impiega nell’elaborazione dei suoi racconti e novelle. Ad ogni modo, con la mia comunicazione intendo solo apportare un punto di vista nuovo di un filologo non italiano sul modo di fare narrativa di una scrittrice così personale e trascurata negli ultimi tempi dagli editori e critici com’ è Ada Negri. Di questo oblio si rende già conto Miguel di Unamuno : Ni Carducci, ni Fogazzaro, ni Verga, ni Grazia Deledda, ni Ada Negri, ni Pascoli, ni Giacosa, ni Arturo Graf (sic) – y sólo cito los que Bagot cita – han tenido entre nosotros el público que se merecen y el que tienen escritores de mucha menos valía.   Prólogo alla versione italiana di Italianos de hoy di Richard Bagot, Obras Completas, t. VII, Afrodisio Aguado, Madrid, -, p. .



VICENTE GONZALEZ MARTÍN

Il punto di partenza di ogni scrittore è l’attitudine che prende davanti al materiale che ha nella mente e che, nello stesso tempo, ci vuole comunicare. Perciò dovrà scegliere un linguaggio determinato e una struttura adeguata per trasmettere i significati che ci vuole mostrare. Alla scelta di quella va inesorabilmente unita la selezione che il romanziere fa della tecnica o insieme di tecniche appropriate per la sua trasmissione. Tuttavia, ed essendo questo un fatto evidente, forse a causa dell’ambiguità del concetto di tecnica narrativa, sia dovuto al fatto che i critici hanno preferito ignorare le risorse formali, sono la prima e ineluttabile necessità letteraria che il romanziere deve porsi, è vero che in Italia non abbondano i saggi dedicati allo studio delle tecniche narrative. Già il filosofo e critico spagnolo José Ortega y Gasset, nel suo libro Ideas sobre la novela, mise in rilievo l’importanza degli aspetti formali del romanzo. Per lui, l’azione o l’argomento o ciò che « succede » non è l’aspetto fondamentale del mondo romanzesco se nonché « la obra de arte vive más de su forma que de su material y debe la gracia esencial que de ella emana a su estructura, a su organismo... La obra de arte lo es merced a la estructura formal que impone a la materia o al asunto ». La narrativa breve di Ada Negri si presta straordinariamente ad un’analisi di questo tipo, perché l’insieme dei suoi racconti e romanzi brevi e prose diverse formano un corpus molto importante in quantità e in estensione spaziale, poiché abbracciano un arco di tempo che va, come abbiamo già segnalato, dal  al , che comprende la parte più importante della vita letteraria della nostra scrittrice. Nell’Introduzione alla raccolta di racconti intitolata Le solitarie, scritta nel maggio , Ada Negri manifesta la sua preferenza per la poesia e un certo disprezzo per le prose : Lavoravamo insieme (con Margherita Sarfatti) mostrandoci a vicenda le pagine liriche ancor tutte calde della prima impronta del pensiero. Per cambiare, un giorno, ripescammo e rileggemmo un mio grigio, torbido manoscritto di prose. Non lo amavo : lo volevo distruggere. Ma tu mi dicesti : – Perché ?... Grige fino che vuoi, queste novelle. Ma sono una parte viva di te. 

Eppure dopo nella pratica la nostra scrittrice dedicò una parte importante della sua produzione letteraria alle prose. E adesso passiamo a vedere come Ada Negri utilizza nella pratica della sua narrativa breve determinate tecniche che servono ad individuare la sua scrittura e anche ad avvicinarla al modo di fare della miglior narrativa contemporanea. È compito essenziale dell’analisi di un testo narrativo, selezionare il punto di vista che lo scrittore ha utilizzato per scrivere la sua storia ; cioè stabilire il luogo strategico del narratore che, come si sa, può essere, e normalmente lo è, diverso da quello dell’autore. La facoltà di scegliere una determinata prospettiva mediante la quale i personaggi e gli eventi della storia, Ada Negri la esercita nella sua narrativa breve mediante tre focalizzazioni, come vedremo.  L’uso del narratore onnisciente è quello tipico della narrativa tradizionale e naturalistica e si caratterizza dal fatto che il narratore conosce la storia meglio degli stessi protagonisti degli avvenimenti ed è capace anche di anticipare avvenimenti. uesto tipo di narratore si presenta come una specie di dio che sa tutto, perché è sempre presente. Utilizza la terza persona e racconta situazioni e avvenimenti ai quali lui apparentemente non partecipa. Di questo tipo sono prevalentemente i racconti con protagoniste femminili Le solitarie del , anche se nelle altre raccolte se ne trovano molti di questo tipo. Così in Le solitarie trovammo : Il posto dei vecchi, Nella nebbia, Una serva, La promessa, L’incontro, Storia di una taciturna, Mater admirabilis... e anche la novella Il denaro che chiude l’opera. Nel libro di racconti : Sorelle del  continua usando questo punto di vista, sebbene alternando sempre più frequentemente 

ADA NEGRI, Le solitarie. Novelle, ª edizione, Verona, Mondadori, , Introduzione. Vedi PAULINO MATAS GIL, Aspectos técnicos de la novela italiana contemporánea, Amarú Ediciones, Salamanca, , p.  sgg. 

TECNICHE DELLA NARRATIVA BREVE DI ADA NEGRI



con altri, per esempio in Musica, orologi e felicità, Niobe, La cicatrice, uando Ilaria danzò sotto la luna, Cinematografo, ecc. In questi racconti il narratore si identifica quasi con una voce esteriore che colloca i fatti e descrive gli avvenimenti da una distanza calcolata dalla quale si apprezza tutto il tragitto e tutto l’iter vitale dei personaggi e da dove arrivano gli echi più remoti di qualunque palpito vitale, compresi quelli che non appaiono nella narrazione. Così, per esempio, ne La cicatrice : Marzia raccolse le sue poche robe , il suo poco denaro, e partì. Dev’essersi rifugiata assai lontano, perché Pietra nulla più seppe di lei. Deve aver trovato, chi sa dove, qualcuno il quale se l’è presa con sé, per compassione ; e anche per la malia della cicatrice che racconta tante cose, e sul volto stanco mette un misterioso segno di giovinezza che non si cancella più. 

Il narratore, sebbene mostri di conoscere tutta la storia, sceglie le parti di questa che gli convengono o gli sembrano i più adeguati ed efficaci per la comprensione dei fatti ed i personaggi sono presentati mediante i loro tratti esteriori : Nel suo tempo, anche Marietta era lavandaia in Borgo Basso. La madre, vedova e in povertà, già la mandava, a dodici anni, alla Torretta a lavare per l’ospedale. Più tardi la collocò a servizio presso una famiglia ; ma alla figliola non piacque. Troppo orgogliosa per servire : preferì tornare al trespolo sul fiume. Fattasi grande e forte, un fusto di pioppo, s’innamorò di Paride...Si sposarono : ebbero figli : lavorarono. 

Il narratore conosce perfino i suoi gusti ed i suoi pensieri più intimi : « Più che dalla compassione, il buon cavaliere fu vinto da un senso inconscio di rispetto per quella forza femminile foggiata, piegata a strumento di lavoro » (Il posto dei vecchi, p. ). Tuttavia in questo tipo di descrizione onnisciente la narratrice Ada Negri non sfugge, in alcuni racconti, l’avvicinarsi e perfino lasciarsi coinvolgere nell’azione o nei fatti per poi allontanarsi, impiegando un io narrante più adatto ad altri momenti. Così per esempio in Un rimorso, dove il narratore comincia parlando in prima persona : « In una città straniera, sotto il denso frascame odoroso del chiosco d’un giardino d’albergo...io ebbi da una donna una confessione terribile », per passare subito a narrare la storia di una donna di cui , ci dirà, « ho voluto scordare il nome » e che è descritta per tratti esterni : « Veniva dal sud », « era sola », « certo era inferma di nervi », « povera di seno e di fianchi, parca di gesti e di parole ». La continuazione della storia si mette in bocca del personaggio ma Ada Negri ha la necessità di riaffermare l’obiettività del suo narratore onnisciente, che apparentemente racconta solo quello che si è confermato esser verità, fermando il discorso del personaggio donna con descrizioni dell’ambiente dove si sta realizzando la confessione : « L’one step continuava, nella galleria vetrata, il suo ritmo balzellante e voluttuoso... ». Alla fine la narratrice vuole confermare che la sua implicazione nella storia si è realizzata soltanto in quella parte voluta dal personaggio e in un tempo limitato : Ci ritirammo ; quattro giorni dopo ella parti ; ed io non ne seppi nulla. Se la rivedo nella memoria, penso che mai la morte comporrà in pace con più benefiche mani un più tormentato cuore

Per Ada Negri, come abbiamo visto, è molto naturale impiegare la tecnica del narratore onniscente, perché è la più consolidata nella tradizione letteraria italiana, però sente continuamente la necessità di attenuare o, meglio, giustificare questa onniscienza con dati o fatti che il lettore sa che gli sono vicini e per questo resta al suo narratore elementi della sua biografia personale, soprattutto, nei racconti in cui le donne sono protagonisti, pensieri e sentimenti propri che le permettono accostarsi ai personaggi con una vera empatia. In questa struttura del narratore onnisciente Ada Negri elabora il discorso attraverso diversi espedienti linguistici – che approfondiremo, se avremo sufficiente tempo. Da una parte appare, come è abituale, la descrizione onnisciente in cui si narra in terza  

ADA NEGRI, Sorelle, Verona, Mondadori, , p. . ADA NEGRI, Di giorno in giorno, Verona, Mondadori, , pp. -.

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VICENTE GONZALEZ MARTÍN

persona e d’altra parte il monologo interiore diretto, espresso in forma logica o caotica dallo stesso personaggio ; il monologo interiore indiretto, raccontato dal narratore e talvolta il soliloquio, nel quale il personaggio si oggettivizza. Sebbene, come abbiamo visto, la messa a fuoco onnisciente è molto abbondante nei racconti di Negri, anche il punto di vista interno del narratore mediante il quale questi si mette nella pelle di un personaggio principale o secondario, ha un frequente uso. Così lo possiamo notare, per esempio, nel racconto de Le solitarie intitolato Clara Walser. Appare un narratore equisciente che trasmette solo quello che sa di un determinato personaggio, che in questo caso accompagna l’artista Clara Walser per un percorso fisico e spirituale e che parla in prima persona : « Entrammo per la gran porta del Landes Museum... », « Passammo di volo davanti ad un salottino che avrei voluto meglio osservare... », « Io lo dissi a Clara Walser, uscite che fummo dall’esposizione ». Con questo passaggio, già in alcuni racconti del  e abituale nelle raccolte posteriori, Ada Negri anticipa quel cambio fondamentale che si produrrà nella narrativa italiana e che consiste nella sostituzione progressiva della terza persona con la prima. uesta riduzione al punto di vista del personaggio si rinforza con l’impiego dell’io narrante e nello stesso tempo rende più fattibile e credibile l’analisi dei personaggi. Ada Negri, come esemplifica questo racconto, utilizza la prima persona per raccontare una storia come personaggio. Egli racconta quello a cui ha assistito come testimone oculare, diventando protagonista e osservatore della storia. Narra quello che ha visto con i propri occhi ed arricchisce la narrazione con quello che immagina la propria fantasia attraverso il monologo interiore diretto. La nostra autrice è cosciente dei vantaggi impliciti dell’uso della prima persona, dato che è facile vedere e comprendere i vantaggi che presuppone per lo scrittore introdurre nell’opera un rappresentante che dipenda da lui, un narratore che racconti la sua storia, però lo è anche il fatto che esista il pericolo che questo cammino interno nel quale siamo penetrati ci si chiuda e che, dunque, il personaggio non sia capace di trasmettere o non sappia tutto quello che conosce di se stesso e si lasci accecare dalla sua stessa soggettività e ci sottragga fatti rilevanti alla conoscenza completa della storia, come possiamo intuire alla fine del racconto citato : Non sapevo nulla di lei ; eppure sapevo tutto. Per lo spazio breve e infinito di qualche ora, un’anima mi si era denudata dinanzi, lasciando in ombra il suo dolore per non mostrarmi che la sua vittoria.

Le tecniche della focalizzazione equiscente che parla in prima persona sono rintracciabili in molti racconti, come per esempio nei seguenti : Gelosia, L’Assoluto, La Cacciatora, Zia Plautilla, Maurilia e i parenti, La polenta, Michelangelo e la Tencin, Sora Ro, La Barila, Ramo di pesco in fiore (e praticamente tutte le prose di Di giorno in giorno del  e le prose-racconti de Le strade del . Una volta segnalate le possibili variazioni del punto di vista, passeremo all’analisi del tempo narrativo che, a mio avviso, è quello che condiziona il significato dei tempi grammaticali e che determina una delle caratteristiche della narrativa, che innalza a oggetto della narrazione gli stessi processi operativi. Se utilizziamo la tipologia del tempo narrativo proposta da G. Genette,  ci troviamo con quattro tipi : narrazione anteriore, ulteriore, simultanea e intercalata. La maggior parte dei racconti e prose di Ada Negri corrisponde alla tipologia della narrazione anteriore e alcuni a quella simultanea. La Negri e il suo narratore onnisciente preferiscono usare i tempi del passato per descrivere i fatti, come nella narrativa classica italiana ed europea. Userà l’imperfetto indicativo normalmente per descrivere i personaggi nei loro aspetti fisici e psichici, per la rievocazione e per indicare un’azione che dura o si ripete nel tempo. uesto 

Figures III, Paris, Seuil, , pp. -.

TECNICHE DELLA NARRATIVA BREVE DI ADA NEGRI



permette al narratore di mantenere una prudente distanza dagli eventi e dai personaggi per cui la descrizione sarà depurata dall’eccessiva obiettività causata dal passare del tempo. Vediamo alcuni esempi : a) Descrizione del paesaggio : Gente vestita a festa passava e ripassava presso le balaustre a spranghe di ferro : essi non videro alcuno, respirarono solitudine e spazio. La brezza del largo temperava l’afa pomeridiana, entrava, carezzevole, nei capelli e nei pori... Pianure verdi, grasse e morbide di pascoli di là dal fiume apparivano in trasparenza...  b) Descrizione dei personaggi : Giuliano Amori, figlio di contadini, buon apprendista sarto e assiduo frequentatore d’un espertissimo orologiaio, suo vicino di casa, che gli voleva bene e lo metteva a parte dei più gelosi segreti del mestiere, cantava, anche, in duomo, da tenore, la domenica e le feste comandate. Non sapeva stare senza far nulla : gli bastavano cinque o sei ore di sonno...  c) Rievocazione : A trent’anni suonati, Maria Chiara non ricordava d’aver veduto suo padre e sua madre più giovani e diversi. Il babbo adoperava, adesso, assai meno il trincetto, il cuoio e lo spago : null’altro...  d) Azione durativa e iterativa : Il bel signore che le sedeva accanto e le cingeva la vita – il suo amante – l’accarezzava, tuttavia, con mani che sapevan di lavanda e d’ireos ; e il suo respiro ricordava il fumo della sigaretta. Ma lo conosceva, poi ?... 

È anche molto frequente che Ada Negri impieghi per l’azione iterativa l’accumulazioni di gerundi : Spolverando mobili, rivedendo i conti della domestica, rammendando le maglie e le mutande..., leggendo fra un punto e l’altro un libro di passione... 

Usa anche il passato remoto con moltissima frequenza nella narrazione propriamente detta degli eventi, fissando così il punto esatto in cui si sviluppa la storia. Ada Negri manifesta molte volte nei suoi racconti un interesse straordinario nel fissare con il passato remoto la fine completa di una attività, di un pensiero e anche di una vita : Il tempo passò, il tramonto calò. Partirono i muratori in silenzio, partirono cigolando i carri degli spedizioneri con le balle di stoffa, le macchine s’allentarono, poi tacquero. 

Il trapassato appare nella narrazione di Ada Negri abbastanza frequentemente per esprimere un passato concluso con un accento di durata L’uso del presente si ritrova preferibilmente nei racconti in cui si adotta il punto di vista di un personaggio, si utilizza il discorso diretto o nella narrazione simultanea. Tuttavia, anche in questo tipo di narrazione, c’è una specie di tensione da parte del narratore che, immerso nel presente, tende a ricorrere al passato come ad un appoggio, come ad un segno di sicurezza e di veridicità della storia. Si ha la sensazione che il personaggio non si senta credibile nel presente e abbia bisogno di vedersi nella prospettiva del passato per verificare se stesso : -Entra !...Spicciati, ché il maltempo ti porta via !...Non si va più a teatro ; si gioca a tombola. Che fai lì ?... Io non me ne davo per intesa, come fossi sorda. 

Sarebbe molto interessante studiare nei dettagli le strutture del linguaggio dei racconti di Ada Negri, però è un compito che travalica di molto i limiti adesso disponibili Senza dubbio questo bisogna farlo ma lo rimandiamo ad un’altra occasione.    

 Il denaro, in EADEM, Le Solitarie, cit., pp. -. Musica, orologi e felicità, in EADEM, Sorelle, cit., p. .  L’incontro, in EADEM, Le solitarie, cit., p. . L’appuntamento, in EADEM, Le solitarie, cit., p. .  Ivi, p. . Il crimine, in EADEM, Le solitarie, cit., p. . uando io tenni il broncio al sole, in EADEM, Le strade, cit., p. .

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PIETRO FRASSICA PICNIC IN PINETA

F

RA i risultati certi della recente ripresa di studi dedicati ad Ada Negri c’è da segnalare l’acquisizione di una recensione – a dire il vero, poco generosa – che Pirandello dedicò il  gennaio   a Tempeste, la seconda raccolta di poesie pubblicata dalla Negri nel dicembre del . Finiti gli studi in Germania, Pirandello nel  si stabilisce a Roma. Nella nuova capitale dannunziana e umbertina collabora a riviste, compone versi, scrive racconti, saggi e recensioni, cerca insomma di farsi strada nell’establishment letterario. Le necessità provocate dal dissesto finanziario del padre, lo costringeranno a partire dal  a intensificare ulteriormente l’attività letteraria per farne una fonte di guadagno. uando nel  apparve Tempeste, il giovane scrittore siciliano aveva già al suo attivo diverse raccolte poetiche pubblicate presso piccoli editori (Mal giocondo,  ; Pasqua di Gea, ), novelle (Amori senza amore, ), il poemetto Pier Gudrò (), e le Elegie renane, . Un giovane promettente e in ascesa, e tuttavia ancora in ombra. L’esordio come romanziere sarebbe avvenuto nel  con L’esclusa, cui tre anni dopo sarebbe seguito Il fu Mattia Pascal (), romanzo che decretò il successo dello scrittore. Indossata la livrea del giustiziere Pirandello esordisce in questa forma : 

La giovane poetessa lombarda ha, se non altro, l’invidiabile fortuna di sentir discussa, di questi giorni, la propria opera, che taluni vorrebbero innalzare fino ai cieli della Gloria, altri rovesciar nell’abisso della piú sciatta volgarità. Han torto questi e quelli, e il torto deriva principalmente dalla fama che si volle costituire, o meglio, dalla parte che si volle far rappresentare all’autrice fin dalla pubblicazione del suo primo libro di versi : Fatalità. Non s’improvvisa, ahimé, da un giorno all’altro una fama duratura, e chi riesce ad attirare a sé in un dato momento l’attenzione e la simpatia della moltitudine, mostra di non conoscere l’anima e gli umori di questa, se intende rifare il colpo ripresentandosi a lei con l’istessa veste e sembiante di prima. Un dato momento non si rinnova ; bisogna dunque ingegnarsi di rinnovare invece l’opera propria. La Negri non l’ha fatto, non solo, ma non ha saputo nemmeno guardarsi abbastanza, o almeno quanto era sperabile, dal cadere in quegli errori che la critica tanto largamente prima le perdonò, quanto aspramente ora le rimprovera.

Ancor prima di giungere ad una valutazione critica del volume, Pirandello per una buona metà della recensione, dà all’autrice altre bacchettate, muovendole accuse personali. Con tono paternalistico, rincara poi la dose dei rimproveri :  uel che prima si giudicò novità or si giudica luogo comune ; quel che prima parve estro ora par posa ; poiché veramente la signorina Negri s’è assunta la parte che le si volle assegnare caricando macchinalmente il suo ingegno come la sveglia stridula dell’oriuolo, che a suo credere deve segnar l’ora dell’ultimo riscatto. […] la poverina, costretta dalla parte che deve rappresentare a offrirsi in fieri atteggiamenti di poetessa ribelle, di sacerdotessa socialista.

Con insistenza ricorrono espressoni come : « La signorina Negri s’è assunta la parte che le si volle assegnare », « E la poverina, costretta dalla parte che deve rappresentare ». È come se la tensione alla scrittura, che da sempre ha consentito alla Negri di conferire alla materia che  LUIGI PIRANDELLO, Sulle «Tempeste» di Ada Negri, « La Critica »,  gennaio  ; ora in LUIGI PIRANDELLO, Saggi, poesie, scritti vari, a cura di Manlio Lo Vecchio-Musti, Milano, Mondadori, , pp. -.   Ivi, p. . Ivi, p. .



PIETRO FRASSICA

tratta un sigillo di ben individuata personalità, si fosse improvvisamenete dissolta per lasciare il posto a una sorta di vuoto, aperto ai suggerimenti altrui, nella propensione a rappresentare una ‘parte’, come nella condizione che assilla i personaggi, cui il drammaturgo darà vita nel corso degli anni. Si pensi, ad esempio, alla protagonista di Come tu mi vuoi, quando disperata l’Ignota griderà : « in me non c’è piú nulla, piú nulla di mio : fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi ! ». uello che sorprende, poiché va al di là della valutazione stessa della poesia di Tempeste, è la precisione con cui giudizi ed espressioni polemiche scritte a caldo e collocate da Pirandello senza molti complimenti nella sua recensione, si sono perpetuate nel tempo. Tali giudizi insieme con le voci dissonanti di altri letterati di quegli anni – passando anche per Benedetto Croce – diverranno un punto di riferimento per una buona parte della critica del Novecento la quale, appoggiandosi a questa comoda etichetta, ha dato vita a un altro malinteso letterario, uno dei tanti, cristallizzatisi poi nel tempo. Sul percorso della critica ‘al negativo’ rivolta all’opera di Ada Negri si è ampiamente soffermata Anna Folli in un suo saggio  molto articolato. Valga per tutti l’esempio raccolto in una recentissima pagina – sia pure una pagina di routine, per un volume di storia della letteratura  – dedicata alla scrittrice da Remo Ceserani, nella quale si ritrovano tracce, persino nella forma lessicale, di quel giudizio formulato da Pirandello nel lontano  : Già il suo esordio poetico, avvenuto nel  con la raccolta poetica Fatalità, che attirò l’attenzione dell’establishment letterario e fece molto rumore (una voce di donna, una voce poetica vigorosa e ribelle, di una maestrina originaria di Lodi, insegnante a Motta Visconti, che parlava della sua infanzia povera e dolorosa e agitava temi umanitari), ebbe una risonanza superiore alle intrinseche qualità e originalità del libretto. Costretta a impersonare, per tutta la vita, la figura della poetessa e della scrittrice ispirata ed energica, la Negri riuscí, con una indubbia capacità artigianale, a scrivere poesie, novelle, libri di memoria e di denuncia, con un buon successo di pubblico.

Maestra, sí, ma lontana dal paternalismo educativo rivolto alle masse alfabetizzate da scrittori come De Amicis, Fogazzaro, Deledda ed altri, che scatenavano bufere di lacrime, corroborate dalle fantasie collettive di colpa e di punizione, di trionfo del bene, di sacrifici fino alla morte, o di vendetta e perdono. Diversamente da questi scrittori, che facevano esattamente l’opposto di quello che Gramsci auspicava da una letteratura popolare, la Negri con i suoi scritti e le sue prose, costruiti su dati di memoria personale, cercava di rispondere sia alle proprie esigenze di scrittrice sempre alla ricerca di vie espressive autenticamente congeniali, sia a possibili attese socio-culturali di un pubblico, ancora non ben definito, ma potenzilamente in attesa di forti sollecitazioni non solo estetiche ma anche ideologiche. uando, dopo una lunga tirata etico-morale, finalmente Pirandello affronta la lettura dei testi, le critiche degenerano nell’insulto :  […] arriva a gridare, come a pagina  del leggiadro volumetto : Giú cravatte e gioielli !… e domanda una zappa, un erpice, un rastrello, perché dice, vuol mettersi a lavorare nei campi : Cosí, discinta, con le braccia nude,/Le vesti rialzate a la cintura ! cose che farebbero ridere i polli, se lo sdegno per l’irriverenza non fosse piú forte e non spingesse piuttosto a levar la voce e a dirle : «Ma vada là, lei ! Che vuol zappare ! Zappa già troppo in versi. Si stia quieta, e non insulti con simili chitarronate chi zappa davvero, chi davvero butta sangue e si cuoce il cervello al sole cosí da non aver piú un pensiero né per l’oggi né per il domani !»

Le accuse mosse a Tempeste e l’insofferenza manifestata da Pirandello verso l’autrice, lasciano a dir poco perplessi. All’origine del suo risentimento personale nei confronti del successo ottenuto dalla poetessa c’erano anche i temi trattati, in particolare il socialismo. Com’è noto, la letteratura di contestazione è cosa rara e soprattutto non è un tema da fin de siècle. E poi non 

ANNA FOLLI, Penne leggère, Milano, Guerrini e Associati, , pp. -. REMO CESERANI, Letteraura e cultura di fine secolo e del primo Novecento, in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, VIII, parte II, Edizione speciale per il Sole  ORE, Milano, , pp. -.  LUIGI PIRANDELLO, Sulle «Tempeste» di Ada Negri, cit., p. . 

PICNIC IN PINETA



era materia per donne. Inoltre, il Partito dei lavoratori italiani, che prenderà il nome di Partito Socialista, fondato nel , dopo soli due anni verrà sciolto e dichiarato illegale. Ed anche se in quegli stessi anni erano esplosi nella sua Sicilia i Fasci dei lavoratori, Pirandello – di famiglia alto borghese, che certo non vedeva di buon occhio simili rivolgimenti sociali – mantiene una certa distanza dalle tematiche socio-politiche, frutto anche di quell’antico disagio postrisorgimentale che controbilanciava una certa commiserazione filantropica con il timore dei rischi sociali rappresentati dal proletariato. Educato alla scuola del verismo siciliano, popolato di eroine diseredate in cerca di una modesta occupazione, cui era appena consentito un confidarsi dimesso e forse, in una certa misura, sensibile anche alla disimpegnata letteratura di donne che scrivono per altre donne (si pensi al romanzo rosa di fine secolo), la materia sociale in una donna – e perdipiú dichiaratamente socialista – al giovane Pirandello doveva apparire quanto meno inaccettabile :  Due battute d’inno, evviva, evviva ; ed ecco il socialismo della signorina Negri. Ma che ne sa lei, che ne intende di socialismo ? Sul serio ? Son tutte frasi fatte, luoghi comuni gonfiati da un’enfasi appena degna d’un parlatore da comizii pubblici. Ah, non certo la lettura dei libri algebrici di Carlo Marx può ispirar sul serio un poeta ! Nego poi che lo possano le delittose scempiaggini dei tanti spostati ciarlatani di professione, e oggi naturalmente socialisti.

Pur prescindendo da osservazioni come quelle di Lukács intorno al concetto di arte come rispecchiamento del reale nel suo divenire, che non molti anni dopo avrebbero rivoluzionato i criteri dell’estetica ; con le sue osservazioni Pirandello mostra di coltivare una prospettiva idealistica e piuttosto antiquata di arte (« poetessa è dunque la Negri, e non comune. Artista no. Dell’arte ella non ha nemmeno il culto, né la devozione ; ella improvvisa »). Una nuova inventività – come quella della Negri – che s’incentra anche su vicende del presente, è valorizzabile anche al di là di una, per cosí dire, riuscita formale e compiuta dell’opera, consentendo l’accettazione anche di misure imperfette, quando costituiscano un’alternativa decisa ai canoni correnti, quando spazio orizzonte respiro siano portatori, per cosí dire, di raffiche di esistenza. I modi di fare poesia innovativa sono svariati e non soltanto affidabili a trovate sperimentalistiche ; ed è questa capacità di assumere la cultura non come rivisitazione scolastica, o come pura deroga formalistica, ma come fatto intrinseco alla propria formazione e sensibilità per i fatti sociali, quello su cui s’incentra la poesia di Ada Negri. Poesia di errori, forse anche, ma capace di offrire i primi sicuri « dati di corrispondenza della letteratura al socialismo che si va accomodando ».  I testi della Negri sono anche emblemi di un tardo Ottocento inquieto, di una stagione che cercava nuovi temi, nuove forme, nuovi disegni, che non si accontenta piú dei vecchi circuiti della scrittura per dipanarsi. Ed è in questa modernità culturale che viene messa in questione la nozione stessa di poesia, la sua utilità, la sua possibilità di riuscire a qualcosa di sostanziale per la vita ; con il dubbio che, se essa non è tale, non serva a niente, non sia altro che lamentosa o decorativa letteratura. Sono dunque varie le ragioni che impediscono di accettare in toto il giudizio critico di Pirandello, la cui obiettività sembra soccombere sotto un atteggiamento costante di insofferenza, anche perché il tono eccessivamente irritato e vestito di supponenza sembra scaturire piú spesso da riserve personali, che da oggettive motivazioni critiche. Si capisce che per Pirandello non deve essere stato facile assistere all’ascesa improvvisa di questa giovane poetessa, piú giovane di lui di tre anni, lontanissima dal proprio universo, alla quale era toccato un successo, frutto solo – a suo avviso – di una montatura editoriale e giornalistica. Né si può dimenticare che egli stesso in quegli anni coltivava la speranza di potere esprimere in versi – una poesia che si dipanava tra Carducci e Arturo Graf – la parte migliore del suo talento letterario. Solo in seguito – grazie anche ai consigli di Luigi Capuana – Pirandello, presa coscienza dei suoi limiti, abbandonerà la sua modesta esperienza poetica per dedicarsi essenzialmente alla narrativa e al teatro.  

Ibidem. RUGGERO JACOBBI, L’avventura del Novecento, a cura di Anna Dolfi, Milano, Garzanti, , p. .



PIETRO FRASSICA

L’affermazione clamorosa di una giovane poetessa già al suo secondo, attesissimo, volume – perdipiú pubblicato presso Treves, uno dei piú prestigiosi editori – lo coglie in un momento di grande incertezza, ferendo ulteriormente le sue ambizioni :  uesto libro, lanciato, come oggi si dice, da uno degli editori piú accontati d’Italia, anzi dal piú accontato, e pervenuto () in breve lasso di tempo alla settima edizione, troppe lodi riscosse e troppi fanatismi accese, perché ora la Negri non debba scontar gli effetti di quegli eccessi.

Convinto – come si è già detto – che il successo di pubblico ottenuto dalla scrittrice poteva essere spiegato solo attraverso manovre editoriali, Pirandello non sembra tenere conto del fatto che la Negri sapeva farsi leggere da un certo pubblico, che era riuscita a conquistarsi. Il che in un paese la cui storia letteraria ha spesso ignorato il libro popolare, nel genere romanzo come in qualsiasi altro genere, non è certo cosa da poco. Se da una parte la crescente attività degli scrittori si rivela un buon affare per la giovanissima industria editoriale, che sollecita una stretta collaborazione fra produzione letteraria e realtà imprenditoriale, una simile congiunzione tra creazione artistica e prodotto letterario di consumo sembra dire poco a Pirandello. È vero che egli interpreta a suo modo le proposte del progresso che incalza, ma è altrettanto vero che in questo fenomeno individua subito uno dei mali dell’editoria – sfortunatamente ingigantitosi negli anni – costituito dalla cosiddetta ‘marca’ la quale, come quella di qualsiasi prodotto, fissa uno scrittore in un genere, consentendogli solo in alcuni casi di sconfinare al di fuori dell’area protetta in cui si muove. Profetico, come talvolta gli accade (« Un dato momento non si rinnova ; bisogna dunque ingegnarsi di rinnovare invece l’opera propria »), Pirandello intuisce, auspicando tuttavia il suo contrario, qualcosa che oggi è pratica consueta nel mondo editoriale. All’esordiente viene subito imposta la museruola della ‘marca’ : se non ha successo può tentare altre vie, avventurarsi in altri percorsi ; se invece viene baciato dalla fortuna, rimane chiuso nel suo recinto a produrre altre uova d’oro. L’imprudenza commessa da Pirandello sta purtroppo nell’avere attribuito alla giovane poetessa troppe colpe, anche quelle dettate dalla tattica dei consumi in piena affermazione. Non dimentichiamo infatti che in un’epoca che non conosceva né radio né televisione, romanzi d’appendice, giornali e riviste (numerose quelle che si rivolgevano al pubblico femminile) erano gli unici massmedia praticabili, almeno da parte del pubblico. Avvenuta la metamorfosi delle tipografie in case editrici che prenderanno il nome di Sonzogno, Treves, Hoepli, Salani, Barbera, Le Monnier, Vallardi, è il momento in cui la vendita dei libri popolari e a dispense fa la fortuna di alcuni editori. Agli occhi di Pirandello il successo della Negri non poteva quindi essere collocato neppure sulla scia di quella che è detta letteratura di consumo, che tendeva a porsi come prodotto per il piú grande numero possibile di lettori, alla luce dello stretto legame tra realtà e fiction che via via andava rafforzandosi. Ai suoi occhi la Negri sembrava la colpevole di un sacrilegio, dal momento che abbassava a prodotto di consumo il genere letterario piú alto e nobile, quello della poesia. Da qui il sarcasmo impotente astioso di chi è senz’ali nei confronti di chi è capace di volare. La cosa non sorprende. Ogni qualvolta, infatti, lo scrittore viene colto da accessi di collera il tono si alza : i lettori degli epistolari pirandelliani sanno quanto questa pratica sia frequente, soprattutto nelle lettere scritte ai familiari e all’attrice Marta Abba. Alla fine della recensione Pirandello, da perfetto gentiluomo, offre nelle ultime righe una conclusione edulcorata :  Vorrei terminar questo articolo benevolmente per la Negri ; ma dopo le considerazioni fatte, severe ma giuste secondo il mio modo di vedere e la grande stima ch’io ho dell’ingegno di lei, sento che non mi riuscirebbe facile. Rimando pertanto il lettore ai migliori e veramente belli componimenti del volume : Piccola mano ; È ammalato ; Canto notturno ; All’Asilo materno, e al finale stupendo della poesia I grandi. 

LUIGI PIRANDELLO, Sulle «Tempeste» di Ada Negri, pp. -.



Ivi, pp. -.

PICNIC IN PINETA



Non seguiremo a questo punto il corso di questo rapporto tra due protagonisti della storia letteraria del primo Novecento, presi ciascuno in quei primi decenni del secolo dalla rispettiva vicenda personale e artistica. Ma per incontrare un nuovo incrocio tra il drammaturgo ormai celebre e la poetessa in parabola discendente, bisogna fare un salto di oltre trent’anni e situarsi in un locus amoenus qual è quello del parco delle Terme di Salice, magica fontana dell’amore, che diventa luogo di un incontro virtuale che dà a questo rapporto tra Pirandello e Ada Negri una conclusione a lieto fine. C’è una lettera inviata allo scrittore il  settembre  (quasi  anni dopo l’incidente di Tempeste), nella quale Marta Abba – ospite del Grand Hotel Salice Terme, dove si è ritirata per studiare i nuovi copioni in vista dell’imminente stagione teatrale – fa riferimento ad una novella di Ada Negri apparsa proprio quel giorno sul Corriere della sera :  C’è molta tranquillità e un parco magnifico, sul “Corriere” d’oggi una novella di Ada Negri decantava appunto questo parco e questa dolce tranquillità. Spero dunque di lavorare molto qui e nello stesso tempo di riposare, anche.

Si tratta della novella Rondine, nella quale la scrittrice, oltre a fare riferimento al parco, descrive la lunga passeggiata con l’amica Rosina Storchio verso « l’estroso » torrente Stàffora, indugiando con affettuosa competenza sulle cose della natura, vegetali e animali : ma senza lirismi, né false allegorie :  […] Cosí dico a Rosina Storchio, passeggiando con lei nel parco delle Terme. Tra file di quercioli giovani, nel mattino sereno, siamo dirette verso la Stàffora. Sappiamo benissimo che della Stàffora, estroso torrente, ora non v’è che il ghiaretto : con, forse, qualche filo d’acqua, qualche pozzarella qua e là. […] solfeggia in sordina, raccogliendo mente, malve e steli d’erba medica. Le piace l’erba medica ; la trova piú bella dei fiori, nel suo verde intenso.

Sicura del proprio mondo, la sua voce dimessa ma cristallina offre anche in questa novella indicazioni topografiche molto precise. Chi ha letto prose e poesie di Ada Negri sa quanto spazio abbiano trovato nelle sue pagine le descrizioni di parchi, pinete, boschi e giardini segreti da esplorare. Tra questi meandri selvosi la scrittrice può decidere di sostare a lungo, per seguire quell’itinerario espressivo privilegiato che è proprio il disegno deciso e allo stesso tempo mosso del paesaggio (la campagna lombarda, l’Appennino umbro, le prealpi di Cadenabbia, parchi, pinete, città). uattro giorni dopo, Pirandello risponde da Berlino :  Dunque, sei a Salice, e il posto è bello, anzi incantevole …Mi pento di non aver letto la descrizione del parco fatta dalla Negri sul “Corriere”, a cui Tu mi richiami. E quel numero del “Corriere”, non lo trovo piú ! Ma me lo descriverai Tu, il parco, e sarà molto meglio ; cosí Ti vedrò e saprò dove venire a cercarti col pensiero per stare con Te…ua sto cosí male !

Ecco che il parco di Salice – per interposta persona, cioé Marta – diventa un’occasione d’incontro (quasi un virtuale picnic !). Da questi riferimenti emerge chiaramente che la Negri, oltre ad essere seguita e apprezzata da Marta, era tra i due argomento di conversazione. Lo si intuisce dal tono delle loro parole. Non avendo letto la novella della Negri, Pirandello vorrebbe che fosse Marta stessa a descrivergli il parco di Salice ; da parte sua lo scrittore in una lettera inviata all’attrice l’estate precedente ( luglio, ) descrive, quasi ad offrire un modello imitabile, la pineta di Nettuno :  Ti scrivo da Nettuno, dove ho trovato in quest’Albergo “Neptunia” una bella camera con una finestra 

MARTA ABBA, Caro Maestro, a cura di Pietro Frassica, Milano, Mursia, , p. . ADA NEGRI, Rondine, in EADEM, Prose, a cura di Bianca Scalfi e Egidio Bianchetti, Milano, Mondadori, , pp. -.  LUIGI PIRANDELLO, Lettere a Marta Abba, a cura di Benito Ortolani, Milano, Mondadori, p. .  Ivi, pp. -. 



PIETRO FRASSICA

che guarda nella magnifica villa dei Principi Borghese, dalla famosa pineta, e una grande terrazzo al mare, col Porto d’Anzio a destra e, lontano lontano, a sinistra, dove si chiude l’immenso arco dell’orizzonte, l’antico castello d’Asturia. C’è una gran pace : il silenzio corroso da questa sega assidua delle cicale e trapunto dal cinguettìo d’uccellini qua nella Pineta.

Boschi e pinete diventano una sorta di mediazione non solo fra lo scrittore e la sua attrice del cuore, ma per riflesso anche con la stessa Negri. Ad allontanare ulteriori possibili ombre, retaggio di quella lontana recensione, tre anni dopo questo incrocio boschereccio è lo stesso Pirandello a ricordare la Negri in una lettera inviata alla Abba da Roma. uesta volta però le ire dello scrittore saranno riversate tutte su un’altra scrittrice dell’epoca : Per due giorni […] sono stato preso dai lavori dell’Accademia alla Farnesina, puoi figurarti con quale e quanta noja. Libero oggi, dovrò tornare domani alle  per una prima serata che tratterà dell’assegnazione di L. . ; e non Ti dico la ressa dei postulanti, a cominciare da quell’odiosissima Sibilla Aleramo, che si crede in diritto d’aver il premio anche lei per il solo fatto che l’anno scorso l’ha avuto Ada Negri. È stata tanta la petulanza che a un certo punto ho perduto la pazienza e l’ho mandata a farsi benedire, insieme col mio collega Arturo Farinelli che la protegge. ( marzo )

Com’è noto si tratta del premio “Mussolini” conferito alla scrittrice nel . Nell’itinerario di Ada Negri scrittrice, dall’inizio fino alla maturità, polemiche, stroncature, giudizi discordi, critiche e difficoltà personali imperversano ; la turbano ma non la smuovono, perché, sembra, ha altro cui pensare. Corre per la sua strada con risolutezza, con uno scopo fermo. Il suo pensiero centrale è scrivere e, non appena è sola, traccia mentalmente la via che conduce al racconto e alla poesia ; si esercita su vari registri, adotta diversi modelli di scrittura, accelera l’avvento del verso libero,  di cui le verrà attribuita la primogenitura assoluta (si pensi al sorprendente Senza ritmo) ; cerca se stessa mentre milita nel partito socialista e attraversa la tormentata crisi morale del suo tempo. Tutto, in lei, tende all’immediatezza. La sua voce carica di vitalità traccia una tacita linea chiara, incisa, alitante. In essa va cercata la sua poesia, sempre in sintonia con il suo destino personale e di tutta un’epoca, che rimette nella mani della scrittura l’intera questione della vita. Ecco le doti indispensabili della sua arte, che ancora oggi appare assai originale per quel tanto di vibrante, secco e vivido che la percuote e che le permette di andare oltre i canoni della letteratura corrente. Scriverà alla fine della Cacciatora :  Leggevo il mio nome sul frontespizio d’un volumetto di versi, nelle librerie della grande città ; e nelle colonne dei giornali, fra punti esclamativi e punti interogativi. uella era la fama : e mi pareva bella, allora. Non ne sapevo ancor misurare la conseguenza piú tremenda : la perdita di quanto in me era gioiosamente spontaneo, e della libertà.

Se si volesse definire in una formula il registro esistenziale di questa scrittrice, si potrebbe dire che piú che « costretta a impersonare, per tutta la vita, la figura della poetessa e della scrittrice ispirata ed energica », come talvolta ha voluto definirla una certa critica a partire da Pirandello, Ada Negri impersonò a proprie spese con dignità pari all’amarezza, la parte della scrittrice che vede costantemente messe in dubbio le proprie qualità. E forse proprio il gusto amaro del disincanto, anziché spegnere, ha alimentato una spinta tenace verso l’avvenire, in cui non perse mai la fiducia.  RUGGERO JACOBBI, L’avventura del Novecento, p.  : « Comunque Gabriele [D’Annunzio] non metterà fuori a stampa le prime laudi in versi liberi se non nel , sulla “Nuova Antologia”. Ma nel frattempo ci sono stati, in area milanese, due casi isolati e importanti : il bellissimo Senza ritmo di Ada Negri poi incluso nella raccolta Tempeste () e L’ultima passeggiata di Vittorio Dormani nel , sempre sulla “Cronaca d’arte” ».  ADA NEGRI, La Cacciatora, in EADEM, Sorelle, Mondadori, Milano, , pp. -.

PAOLA BAIONI « MARA, SORELLA : PERDONAMI ». LA SOFFERENZA D’AMORE NEL LIBRO DI MAR A

Q

UESTO libro di Ada Negri è dedicato al proprio alter ego : Mara, sorella. Non stupisce, quindi, che sia scritto, prevalentemente, in seconda persona (« tu ed il tuo / Uomo », p. ). La prima cosa che colpisce nel testo è la dedica : « Mara, sorella : perdonami ». Il nome ‘Mara’ è di derivazione biblica e significa ‘amara’ ;  la ‘sorella’ è il proprio alter ego ; la richiesta di perdono è formulata nel momento in cui lei si congeda dalla vita terrena, ed è quindi ovvio avvertire un certo senso di inadempienza e chiedere venia. A fornire una spiegazione a tutto ciò è Ada Negri stessa in alcune lettere inviate a Dante Dini (-, giornalista e scrittore), pubblicate dalla nipote, Liliana Dini,  e in alcune poesie del libro : Il dono, Voto, Domani, inserite nella sezione Pace, termine, di per sé, eloquente. L’amareggiata (Mara) chiede in dono al cielo la pace (« Per tutti i pianti ch’io piansi, grazia dei martiri, senso di pace, discendi in me ») ;  fa voto di poetare (« La mia voce non entri nei cuori che coi limpidi accenti di Dio, / or che in pace il tuo spirito è in me. […] Ogni pensiero sia opra ed ogni germe sia frutto ed ogni pianto sia canto, / or che in pace il tuo spirito è in me »)  e, spogliatasi di tutto ciò che concerne ‘la carne’, può immergersi nelle ‘cose del cielo’ (« E di quello che fu della carne, nulla verrà ricordato. / E di quello che fu del dolore, nulla verrà ricordato. / E quel che è della vita eterna farà pieno di canti il silenzio. / Non io tua, non tu mio : dello spazio : radendo la terra con ali invisibili, / sempre più lievi nell’aria, sempre più immersi nel cielo, / fino a quando la notte ci assuma ai suoi vasti sepolcri di stelle »).  Scrivendo a Dante Dini, il  luglio , la Negri chiede di essere assolta ; ciò getta un fascio di luce sul significato della dedica : « Caro Dini / vi ho fatto spedire Il libro di Mara. Voi che l’avete conosciuta, assolvetela ».  Nella seconda lettera, datata  agosto , la poetessa laudense fa accenno al voto : « Ricordate la mattina di Marzo al Monumentale, sotto la burrasca di neve ?… Ora il voto è sciolto. Mara può morire ». Il voto a cui si riferisce è quello di poetare : Mara ha promesso questo e ha portato a compimento il suo impegno : ora può morire, in pace, soddisfatta, da un certo punto di vista, per aver realizzato il suo proposito e perché, finalmente, può raggiungere colui che ha tanto amato. Nel medesimo scritto, l’autrice dice che il « “libro” lo ha scritto lui ». Chi è questo ‘lui’ ? Potrebbe essere il suo amato, Dio, oppure entrambi : in virtù del Battesimo, infatti, Dio è in ogni uomo. Nella terza missiva, datata  settembre , si percepisce un certo senso religioso con cui viene espresso il dramma del trapasso : « Vi son dolori che diventano la nostra religione e nomi che diventano la nostra preghiera ».  La Negri, con questa frase, si riferiva alla morte della madre (avvenuta nel , lo stesso anno in cui è pubblicato Il libro di Mara), ma credo di non sbagliarmi (del medesimo parere è Liliana Dini)  nel pensare che in lei si fosse rinnovato il dolore per la scomparsa del suo amato.  Mara, in ebraico mārāh (amara), primo accampamento degli Israeliti dopo la traversata del Mar Rosso chiamato con questo nome perché vi si trovavano solo acque amare (cfr. Esodo, ,  : « Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo erano state chiamate Mara » ; Numeri ,  : « Partirono da Pi-Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara »).  LILIANA DINI, Lettere inedite di Ada Negri, Milano, « Aevum », settembre-dicembre , pp. -.  ADA NEGRI, Il dono, in Il libro di Mara, Milano, Mondadori, , p. .   Ivi, Voto, pp. -. Ivi, Domani, pp. -.  LILIANA DINI, Lettere inedite di Ada Negri, cit., p. .    Ibidem. Ibidem. Ivi, p. .



PAOLA BAIONI

La poetessa vive un’esperienza d’amore travolgente. Nella poesia Il ricordo si percepisce la grandezza del rapporto che si era instaurato tra i due : Egli ti amò. Non avesti altro bene. Umìliati e rendine grazie. […] non scordare il tuo amore […] Ti sia presente in ogni minuto della vita che ti rimane, / donna che non vedesti il cielo se non per lo spiraglio di quell’amore. […] Rammenta come egli seppe da te crearti più bella e più giovine, […] e vestirti e nutrirti d’amore […] E come egli seppe anche farti soffrire nel corpo e nell’anima, / e come tu amasti e godesti il dolore che ti venne da lui : / e che una volta un suo morso t’aperse nel labbro una piccola piaga, / e tu guarir non volevi di quella dolcissima stimmate. 

uesto commovente ricordo mi rammenta Francesca che risponde a Dante : « Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria ».  Il dolore qui è più che una preghiera, è visto addirittura come fonte di godimento. Lei vorrebbe che anche la piaga diventasse una stigmate (che acquistasse, quindi, una valenza divina) perché, pur dolorosissima, è un anello che la lega al suo uomo. Anche nella poesia Mano la sofferenza diventa una specie di godimento : « E il selvaggio profumo e il calor della mano t’illanguidivano in una torbida sofferenza di godimento ».  Che l’amore tra loro sia stata cosa veramente grande si è capito sin dalle prime liriche del libro, e, nel Passante si individua una situazione di (quasi) immanenza : e non hai membro e non lembo di carne e non atomo d’anima che non rechi un segno di amore. / Che tu vivesti soltanto per amare colui che ti amava, – e il resto non importa, – / e che neppur se volessi potresti strappare da te questa veste intessuta di amore, / tua come il sangue dentro le vene, come il midollo dentro le vertebre. 

In Ode canicolare si scorge un concetto di amore praticamente ancestrale : « Ci amammo / come tu fossi l’uomo / primo, io la donna / prima, nell’alba del mondo »,  e in Apparizione la Negri ricorda addirittura il Petrarca, con un’inversione di ruoli : anziché essere il poeta che canta la donna, è la donna a cantare : « Mai fino allora ella aveva veduto l’uomo ed il sole risplendere a paro » ;  la poetessa vede nel suo amato una sorta di Trasumanazione, titolo di una poesia, che, concettualmente riprende il dantesco « Trasumanar significar per verba / non si poria ».  Non si dà pace lei, non può consolarsi del fatto che da lui non sia nato « al suo grembo un bambino […] Ti bacerebbe su quella bocca, ti respirerebbe in quel fresco respiro […] Se tu fecondato l’avessi, calmo sarebbe il suo viscere sacro ».  La comunione tra i due è così profonda che lei si sente crocifissa, ma non vuole scendere dalla croce, vuole rimanervi inchiodata per non sciogliere il legame, persino ama il lignum crucis e non lo cederebbe neppure per un letto di fiori : Confitta è alla croce e non la darebbe per un letto di bianchi giacinti : / un chiodo nel palmo destro, uno nel palmo sinistro, uno nei piedi avvinti. / Il primo è l’amore che a te la condusse senz’altra forza che per amarti, / l’altro è il dolore che in vita la serba senz’altra voce che per chiamarti, / il terzo è il ricordo di tutti gl’istanti sbocciati per voi nei giardini del sole […] sol la sua croce ella ama, sol la sua croce vuole. / uando la sete le spacca le labbra, beve alle tue labbra il gran sorso che sazia : / quando la morte le diaccerà il cuore, morrà in te, nel segno della tua grazia. 

In questa poesia La crocifissa, che è la terza del libro, si trovano due parole chiave per la lettura dell’intera silloge, una sorta di endiadi : ‘amore’ e ‘dolore’, che, nella lirica, non a caso, costituiscono una rima interna, quasi come se la Negri volesse ulteriormente sottolineare l’inscin

ADA NEGRI, Il ricordo, in EADEM, Il libro di Mara, cit., pp. -. DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, , Inferno, V, -, Firenze, Le Lettere, .   ADA NEGRI, La mano, in EADEM, Il libro di Mara, cit., p. . Ivi, Il passante, p. .   Ivi, Ode canicolare, p. . Ivi, Apparizione, p. .  DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit., , Paradiso, I, -.   ADA NEGRI, Il figlio, in EADEM, Il libro di Mara, cit., pp. -. Ivi, La crocifissa, pp. -. 

«MARA, SORELLA: PERDONAMI». LA SOFFERENZA D ’ AMORE NEL LIBRO DI MARA  dibilità dei due termini, così crocifissi con lei e conficcati nell’intimo dai chiodi che creano piaghe qui, forse, potrebbero essere chiamate stigmate, dato che da questo dolore non guarirà mai. Negli ultimi quattro versi si nota un’apertura a una speranza trascendente (già incontrata nell’umile rendimento di grazie per il dono dell’amore – cfr. Il ricordo, pp. -) : il bere il sorso che sazia e il morire nel segno della grazia. Di nuovo, in questa occasione, ci si domanda se la Negri si riferisca al suo amato o a Dio, o forse a entrambi, come è stato visto sopra quando faceva riferimento a un ‘lui’ indicandolo come l’autore del libro. uesta ambiguità (amato/ Dio) si ritrova pure in Vuoto : Oggi ti cerco e non ti trovo, non sei né in me né presso di me. / Né so qual colpa io abbia commessa, perché tu mi punisca nella luce della tua presenza. / O signore, se tu m’abbandoni, che vuoi che avvenga della tua creatura ?.. / La mendica che stende la mano trova pur sempre la mano soave nel porgerle aiuto. / Oh, di lei più nuda e più cieca, io che brancolo al buio dopo averti perduto, o signore. / Andrò sino al cancello dell’orto, forse ti sei nascosto dietro il gruppo dei tre pinastri. / Andrò sino in fondo alla strada, forse mi attendi al limite dei campi. / Andrò sino alla riva del mare, forse la tua voce mi chiamerà dalle acque. / Andrò sino agli abissi dei cieli, forse dentro una tomba stellare la tua stretta mi riavvinghierà. 

Lo shock violento della separazione (per la morte di lui, colpito dalla spagnola, una terribile epidemia diffusasi con la guerra) e la sofferenza (da noi, forse, solo vagamente intuibile) accostano la donna laudense a un’esperienza religiosa : Il libro di Mara, quindi, segna l’inizio di una poesia ‘nuova’, più volta al trascendente, che lei ha sempre cercato, magari a modo suo. Certamente una grande testimonianza di questa ricerca divina si trova in Dono (« O dono di morte, confessa io sono e comunicata : l’anima è pronta per partire con te senza ritorno »)  e in Accettazione. La poetessa non impreca di fronte alla prova che la consuma, ma accetta con umiltà, quasi si prostra, in adorazione in fiduciosa attesa di rivedere il suo uomo e di potergli stare vicino in eterno : Accetto la cosa tremenda, per seguire la tua volontà. / uando mai, nel tempo felice, io ti disobbedìi, signore ?… / Accetto, poiché l’hai voluto, d’essere cieca delle tue pupille, / sorda della tua voce, mutilata nelle tue membra, / e non bestemmio e non urlo e m’inginocchio con il viso a terra. […] Arerò il campo in tua vece […] mieterò […] siederò […] calma attendendo il fiorire nell’aria del canto dell’ave, / per dirti : Amico, finito è il giorno, compiuto il travaglio, l’ora di Dio suona : / concedimi, concedimi /riudir la voce, rivedere il volto, sorriderti accanto in eterno. 

uesta poesia fa tornare alla memoria le parole che Dante mette sulle labbra di Francesca nel canto V dell’Inferno : « Amor, ch’a nullo amato amar perdona ».  Numerose sono le occasioni in cui la Negri, piegata dal dolore, fa di esso una preghiera, consapevolmente o meno. Del resto l’amore è più grande e più forte di ogni cosa e situazione (anche avversa), quindi chi lo conosce non può che corrispondere amando, a sua volta. È un imperativo umano, ma, in primis divino : Dio ha creato l’uomo per amore e per amare. L’assenza dell’amato sembra proprio insopportabile per lei e lo si percepisce da questi versi : Uccidimi. / Sarei morta di te, sarei morta di gioia […] Tu invece sei morto. […] Come puoi ora uccidermi ?… Ché più a lungo io non posso curvarmi a questa condanna dei giorni. / Torna una volta, col grande tuo corpo in ànsito in vampa sul mio prostrato pallore. / Afferrami come facevi quand’io non era che amore tremante dinanzi al tuo amore. / Annientami dentro di te, che mi sien tolti i sensi, che mi si rompa il cuore. 

La poetessa immagina che ci sia un muro a dividerla da colui che ama : Alto è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga nell’infinito. / Lo accende il sole come un rogo enorme, lo imbianca la luna come un sepolcro. / Di giorno, di notte, pesante,    

 Ivi, Il vuoto, pp. -. Ivi, Il dono, p. . Ivi, Accettazione, pp. -. Cfr. pure Ascensione, pp. -. DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit., , Inferno, V, . ADA NEGRI, Grido, in EADEM, Il libro di Mara, cit., pp. -.



PAOLA BAIONI

inflessibile, sento il tuo passo di là dal muro. / So che sei lì, e mi cerchi e mi vuoi, pallido del pallore marmoreo che avevi l’ultima volta ch’io ti vidi. / So che sei lì ; ma porta non trovo da schiudere, breccia non posso scavare. / Parallela al tuo passo io cammino, senz’altro udire, senz’altro seguire che questo solo richiamo : / sperando incontrarti alla fine, guardarti beata nel viso, svenirti beata sul cuore. / Ma il termine sempre è più lungi, e in me non v’ha fibra che non sia stanca ; / ed il tuo passo di là dal muro si scande a martello sul battito delle mie arterie. 

Un’altra bellissima immagine di unione/divisione dei due innamorati si trova in Incantesimo : Vanno per sorde viuzze tagliate a metà dalla luna / i due amanti felici di amarsi, certi d’essere uniti in eterno : / fianco contro fianco, spalla contro spalla, e pur li separa l’aria impalpabile : / cuore contro cuore, amore contro amore, e pur li separa la Vitamorte : / vicinissimi, / lontanissimi. […] E vanno, e non sanno che un d’essi, il più forte, preso è già nella tela di ragno che ha per ragno la morte. 

La Negri, descrivendo la situazione dei due amanti che passeggiano per strade tagliate a metà dalla luna e separati dall’aria impalpabile, prepara abilmente il terreno per esprimere con un unico termine, « Vitamorte », quel concetto di ‘vita-morte-vita’ racchiuso in una circolarità in cui la fine e l’inizio coincidono. Il concetto è pure squisitamente teologico, e il lessema, scritto, forse non a caso, con la lettera maiuscola, è indicativo del fatto che la vita terrena sfocia nella morte, la quale, per i cristiani, è la pienezza della vita, quella eterna, nel mistero. In Anniversario la poetessa esprime il dolore per l’assenza che si rinnova in toto (e di più nei giorni grandi) e la punge, come un punteruolo, nelle ossa, nel profondo, tanto che si sente condannata a vegliare il suo strazio in lei : Non chiamarmi, non dirmi nulla, / non tentare di farmi sorridere. / Oggi io sono come la belva / che si rintana per morire. […] altro non chiedo / che di perdere la conoscenza. / Ma non m’è dato. uel volto, / quel riso l’ho sempre davanti. / Giorno e notte il ricordo m’è uncino / confitto nella carne viva. / Forse morire io non potrò / mai : condannata in eterno / a vegliare il mio strazio in me. 

Il tempo che la separa dall’amato sembra non finire mai. Egli ritorna nei sogni e particolarmente toccante è il Dialogo tra i due che culmina in una richiesta implorante, da parte di lei, di essere baciata e in una risposta insieme sferzante e rassicurante, che la lascia ferita, senz’altro, ma che si apre verso una speranza che è già certezza : - Di qui non posso avanzare, non son venuto che per vederti. / – Ma dammi un bacio, ma vedi che ho sete, che muoio di sete della tua bocca !… / – Non ho più labbra se pur le scorgi, nell’aria m’anniento se mano mi tocca. / – Ma nel tuo nulla perché non m’inghiotti ?… Ma non hai dunque un po’ di pietà ?… / – Ancor patire, ancor pregare, ancóra attendere : l’ora verrà. 

Il colloquio con il suo uomo, comunque, continua oltre la morte : « uando ti avrò raggiunto sulla sponda del fiume di luce, / e tu mi chiederai che ho fatto tant’anni senza di te, / io ti risponderò : Ho continuato il colloquio. […] E lungo i prati di viole che fioriscono solo pei morti / continueremo il colloquio ».  Suoi interlocutori sono pure la luna e la notte, definita divina. La poetessa guarda il cielo e lo interroga : Notte, divina notte, / dimmi ove è nascosto il mio amore : / ch’era mio e le mie braccia / non bastarono a custodirlo, / ch’era mio ed io ero sua / e adesso non ho più nulla / e non sono più di nessuno. / Conducimi passo per passo / lungo le vie della luna / fin ch’io lo tocchi senza vederlo, / fin ch’io lo stringa senza baciarlo, / poi che non ha più bocca : / e in esso affondi, siccome / dentro la fossa una morta, / e sia silenzio. 

Ada Negri, nonostante le avversità, non si è mai lasciata schiacciare dai pesi che la opprimevano, non si è mai piegata alla durezza della vita, ma ha sempre combattuto. È curioso notare come la poetessa non chiami mai una volta l’uomo che ama con il suo   

Ivi, Il muro, pp. -. Ivi, Anniversario, pp. -. Ivi, Colloquio, pp. -.

  

Ivi, Incantesimo, pp. -. Ivi, Dialogo, p. . Ivi, Notturno della luna, pp. -.

«MARA, SORELLA: PERDONAMI». LA SOFFERENZA D ’ AMORE NEL LIBRO DI MARA  nome proprio. Cosa che fa anche con lei stessa : ricorre al tu (riferito a Mara) e solo in rarissime occasioni dice ‘io’. L’interpretazione può essere duplice : troppo doloroso richiamare i nomi propri, oppure vuole comprendere nel suo dolore e nel cammino espiatorio gli uomini e le donne che condividono la medesima dolorosa esperienza. La Negri, insomma, con questo libro di quasi cent’anni fa, tocca uno degli archetipi dell’animo umano e questo contribuisce a rendere attuale e viva la sua poesia, purtroppo, ahimè, un po’ dimenticata. L’amore che conosce la ferita della morte, la sofferenza, il ricordo (incancellabile), mi hanno richiamato alla memoria Milo De Angelis, poeta contemporaneo che ha perso la moglie (giovanissima) da meno di due anni, e alla quale ha dedicato il libro Tema dell’addio,  vincitore del Premio Viareggio . Scrive De Angelis : « siamo scesi / nel bacio, abbiamo attraversato il groviglio, siamo scesi / nel tempo silenzioso, nella carne raggiunta, / nel tempo, nel tempo : invasione corale / della luce […] vela / che ci porta congiunti […] Ma non ha regole, mai, / la via del dolore » (p. ) ; « nella chiarezza / dei corpi siamo stati, ed era / quell’intimo che in sé trabocca, quel respiro […] come nel minimo toccarsi c’è l’intero » (p. ) ; « “Torneranno vivi gli amori tenebrosi / che in mezzo agli anni lasciarono / una spina, torneranno, torneranno luminosi” » (p. ). Non è di un amore e di un dolore consimili che parla la Negri ? Purtroppo, davvero, « non ha regole, mai, / la via del dolore », ma omnia vincit Amor : anche la morte. 

MILO DE ANGELIS, Tema dell’addio, Milano, Mondadori, ‘Lo Specchio’, .

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GIULIA DELL’AQUILA TRA DOSTOEVSKIJ E LANDOLFI : STORIA DI UNA TACITURNA DI ADA NEGRI

I

L titolo del mio contributo non muove solo dalla curiosità per la scrittura di Ada Negri ma anche dalla passione per un racconto di Fëdor M. Dostoevskij intitolato La mite, che in molti non hanno esitato a definire un « piccolo capolavoro della letteratura russa »,  pur nella sua misura ridotta rispetto ad altre e più note opere dello scrittore.  La perfezione di questo testo ha suggestionato più di un lettore : tra i tanti, anche celebri, sarà il caso di ricordare Tommaso Landolfi che nel  pubblica Tre racconti, tra i quali una sorta di ‘riscrittura’ della Mite, intitolata La muta, in cui pur nella personale soluzione narrativa è possibile individuare alcuni espliciti richiami al testo dostoevskiano, contaminato da altre opere care allo scrittore laziale e arricchito della componente surreale e quasi ‘nordica’ che più lo connota. Tra il , data di pubblicazione della Mite, e il , data di pubblicazione della Muta, mi è sembrato, tuttavia, di poter scorgere un’altra testimonianza dell’attenzione prestata a questo racconto dello scrittore russo,  precisamente nella novella di Ada Negri intitolata Storia di una taciturna, inclusa nella raccolta Le solitarie pubblicata nel . Un’attenzione, forse, indotta non solo dalla spontanea ammirazione della scrittrice per temi/personaggi/stile di Dostoevskij,  ma anche dalla lettura di Giovanni Episcopo, un romanzo di Gabriele D’Annunzio  che con il monologo pronunciato dal marito della giovane suicida pietroburghese rivela un rapporto di derivazione diretta, come, a partire da Luigi Capuana, in più hanno notato.  I quattro scritti, mi sembra, pur nella distanza cronologica e spaziale che li separa e nella diversità di trame e stili che li caratterizza, risultano articolati intorno al medesimo tema del ‘silenzio’, inteso come confronto/scontro tra uomo e donna, come conflitto sul potere attraverso rapporti di comunicazione verbale e non verbale.  Un tema, quello del silenzio, che attraversa lunghissimi tempi (non solo nello specifico della remissività femminile), con personaggi dal ruolo anche esemplare e pronunce altamente significative : la paziente Griselda boccacciana (Dec., X, ) sopporta le numerose prove cui la sottopone il marchese di Saluzzo, venendosi a offrire quale immagine di virtù muliebre ; la ‘donna di palazzo’ tratteggiata nel Cortigiano da Baldassar Castiglione, nella sua « tenerezza molle e delicata » deve esibire un grado di capacità conversativa che è soprattutto nei termini del « saper ascoltare e rispondere, più che essere soggetto dell’enunciazione ».  Strategicamente funzionale alla migliore sopravvivenza, in pieno Settecento il silenzio diventa addirittura un’arte nella teorizzazione dell’abate Dinouart,  e si 

GIOVANNA SPENDEL, Introduzione, in FËDOR M. DOSTOEVSKIJ, La mite, Milano, Mondadori, , p. IX. Sul ‘racconto fantastico’ La mite cfr. BRUNO BASILE, La finestra socchiusa. Ricerche tematiche su Dostoevskij, Kafka, Moravia e Pavese, Bologna, Patron Editore, , in particolare il primo capitolo dal titolo La finestra e l’icona, pp. -.  Cfr. ANNA FOLLI, Penne leggère. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo. Scritture femminili italiane fra Otto e Novecento, Milano, Guerini e associati,  ; in particolare il capitolo La grande parola. Lettura di Ada Negri, alle pp. -.  La lirica Redenzione (in Tempeste, Milano, Treves, ) per dichiarazione stessa della Negri sarebbe stata « ispirata dalle più splendide pagine del romanzo di Dostoevskij : Le crime et le châtiment », come si legge in una lettera della scrittrice lodigiana all’ingegnere Ettore Patrizi.  GABRIELE D’ANNUNZIO, Giovanni Episcopo, Napoli, Luigi Pierro Editore, .  Cfr. SERGIA ADAMO, Dostoevskij in Italia. Il dibattito sulle riviste -, Pasian di Prato, Campanotto Editore, .  Interessanti considerazioni sul tema del ‘silenzio’ in relazione al racconto dostoevskiano si trovano nella Postfazione di Marina Mizzau in FËDOR M. DOSTOEVSKIJ, La mite, Milano, Bompiani, .  AMEDEO UONDAM, Introduzione, in BALDASSAR CASTIGLIONE, Il Libro del Cortegiano, Milano, Garzanti, , p. XXI.  L’art de se taire, principalement en matière de religion dell’abate Dinouart (Parigi, ) si legge nella traduzione italiana a cura di Chiara Bietoletti, L’arte di tacere, Palermo, Sellerio, . 

GIULIA DELL ’ AQUILA fa mezzo diretto per procurarsi la felicità nei Ricordi a mia figlia () che il cinquantenne Pietro Verri scrive per la neonata Maria Teresa. ui la preoccupazione per il futuro della bambina sfocia in una serie di consigli comportamentali pratici che partono dal riconoscimento della diversità dei ruoli, dei compiti, e delle responsabilità dei due sessi, e definiscono un galateo in cui anche nella prassi comunicativa le parole d’ordine sono ‘misura’ e ‘riservatezza’, in una scena che richiede ancora, per ragioni di cautela, il deuteragonismo femminile,  per molto altro tempo incarnato dalle eroine cui, pur nel silenzio, è affidata l’istanza eversiva. I quattro testi da me indicati in apertura, La mite di Dostoevskij, Giovanni Episcopo di D’Annunzio, la Storia di una taciturna della Negri, e La muta di Landolfi, con modalità, sviluppi ed esiti differenti, si sostanziano del tema del silenzio come significativa assenza di comunicazione e si arricchiscono dello struggente processo di autoanalisi che tale dimensione a-comunicativa alimenta attraverso il canale sotterraneo del senso di colpevolezza. Le poche interazioni verbali tra i personaggi delle quattro storie divengono la cifra più chiara dell’isolamento cui la vita li obbliga : nel primo caso per ostinata strategia, nel secondo e nel terzo caso per debolezza caratteriale, nel quarto caso per una condizione naturale e irremovibile. Pur da origini così diverse, deriva un identico senso di colpa che tenta nella confessione finale (che sia monologo, racconto commosso e concitato o confessione/sacramento) una possibile soluzione liberatoria. Al fine di far risaltare meglio le contiguità tematiche tra i quattro testi sarà il caso di accennare alle vicende narrate. Nel racconto di Dostoevskij, la cui lunga e complessa genesi risente dell’eco di alcune vicende della cronaca contemporanea pietroburghese, si narra la storia di una giovane donna (senza nome e per tutto il testo chiamata mediante perifrasi, pronomi, o mediante l’aggettivo che dà il titolo all’opera) che, in strettezze economiche, si decide a sposare il titolare del banco di pegni cui spesso si reca, un ex ufficiale che ha subìto un grave affronto sottraendosi a un duello ritenuto inutile, e che cova in sé un inappagato desiderio di affetto anche a scopo di risarcimento. La mite, intravista nel matrimonio l’ipotesi più prossima di stabilità, si ritrova invece a convivere con un uomo che deliberatamente si offre quale ‘enigma’, e che instaura una comunicazione per opposti : « esibisce gli aspetti più negativi di sé (aridità, meschinità, avarizia, viltà) affinché lei inferisca gli aspetti positivi, quelli che corrispondono all’immagine che egli ha, o che vorrebbe avere, di se stesso ».  I silenzi che il protagonista/ narratore oppone agli entusiasmi della giovane donna, smorzano gradualmente la congenita letizia di questa : è già nel capitolo primo del testo che la mite (in russo ‘к рòт кд я’, che vuol dire letteralmente ‘mansueta’) passa da una naturale disposizione caratteriale ad una meditata prassi comportamentale, divenendo ‘taciturna’ (in russo ‘молчдливдя’, parola chiave nella successiva definizione dei rispettivi protagonisti prima del romanzo di D’Annunzio e poi della novella della Negri). L’epilogo è decisamente tragico. Nel secondo capitolo matura la catastrofe definitiva e la mite, superata anche la peripezia di una grave infermità, ripugnata dal tardivo affetto del marito e dalla sua ormai smorzata spontaneità, sceglie la morte, gettandosi dalla finestra dell’abitazione con l’ultimo oggetto sacro tra le mani, l’icona dei genitori. Il suo suicidio, che pure è interpretabile, secondo la dottrina freudiana, come lo spostamento di un desiderio di morte prima diretto verso un’altra persona, deve essere letto come vendetta lucida e razionale : il personaggio riesce ad essere vincente pur nel suo soccombere, dal momento che, da quell’istante, l’induzione al suicidio grava pesantemente sulla coscienza del protagonista/narratore. Dostoevskij, dunque, da « grande conoscitore del genere epico » qual è, riscopre lo schema della novella classica, non rinunciando ad un ingrediente personale : rappresenta un solo avvenimento ‘inconsueto’, ma sviluppa parallelamente la complessa storia psicologica di due personaggi, e descrive per intero la traiettoria esistenziale di entrambi.  

  

PIETRO VERRI, A mia figlia, a cura di Gavino Manca, Palermo, Sellerio, . MARINA MIZZAU, Introduzione, in FËDOR M. DOSTOEVSKIJ, La mite, cit., pp. -. LEONID GROSSMAN, Introduzione, in FËDOR M. DOSTOEVSKIJ, La mite, Milano, Bompiani, , p. . Tale In-

TRA DOSTOEVSKIJ E LANDOLFI: STORIA DI UNA TACITURNA DI ADA NEGRI



L’‘apparente’ remissività dell’eroina, la tragicità dell’epilogo, la ‘claustrofobicità’ delle ambientazioni domestiche,  il tema della confessione liberatoria e il ductus discontinuo della narrazione – oltre che la dimensione quasi ‘insonorizzata’ della vicenda –, tutti gli ingredienti, dunque, più caratteristici di questo racconto russo riaffiorano qualche anno dopo nel romanzo dannunziano Giovanni Episcopo, in cui il protagonista, dinanzi al cadavere del figlioletto, racconta all’autore la propria storia dagli anni prematrimoniali fino a quell’agghiacciante circostanza. In questo caso è la protagonista femminile – la fascinosa Ginevra che diverrà moglie di Giovanni Episcopo – a interpretare il ruolo del carnefice, in una successione di vicende che riecheggiano esplicitamente alla storia della mite : Ginevra comincia ad ‘incrudelire’ già durante la prima notte di nozze con Giovanni, sogghignando dell’inesperienza di questi e umiliandolo col silenzio. Sin da principio il loro matrimonio è costellato delle numerose infedeltà della donna, per nulla impietosita dalle esplicite suppliche di Giovanni, disposto anche ad una « muta sottomissione », ad una « muta adorazione », pur di salvare il legame. Ritorna il tema dell’importanza del danaro : ridottosi gradualmente a larva umana, Giovanni viene licenziato e perde la sua autonomia anche sul piano economico, replicando il destino del suocero ugualmente in balia della moglie. Coevo all’Innocente, con il quale mostra alcune analogie tematiche e formali (l’infedeltà coniugale, la presenza di una vittima infantile e perciò innocente intorno a cui si coagula lo svolgimento della storia, lo stile della confessione), Giovanni Episcopo è, dunque, opera assai vicina al modello dostoevskiano sebbene l’esiguità del numero dei personaggi che caratterizza decisamente il testo russo ceda il posto ad una più folta schiera di presenze, come del resto prevede la forma ‘romanzo’. Sin dall’incipit il narratore evidenzia il tratto caratteriale del protagonista che più avrà significato nella storia : Giovanni dichiara subito che quando era « tra gli uomini » era « taciturno » e che addirittura era « taciturno anche dopo che avev[a] bevuto ».  L’unica trasgressione a questa regola del silenzio avviene in compagnia del figlioletto, il solo interlocutore cercato. Un ostinato ed alienante silenzio impera anche nella casa in cui si svolge la vicenda di Caterina, la protagonista della Storia di una taciturna della Negri : la donna, pur connotata sin dall’infanzia da una prevedibile remissività, come la mite e come Giovanni Episcopo affida ad un inaspettato colpo di scena il suo riscatto. Alle sue rassicuranti virtù ha guardato l’uomo che l’ha sposata, « un impiegato di prefettura » :  se nell’immaginario della protagonista il marito replica la figura paterna, per l’insensibilità, per il silenzioso disprezzo con cui regola quotidianamente il rapporto coniugale, e per i modi da ‘padrone’, nella memoria del lettore quel personaggio può richiamare il marito della mite, dai connotati caratteriali e comportamentali assai vicini. Ritorna, anche nel testo della Negri, il tema dell’infedeltà, vista come unico spiraglio di vita nell’orizzonte borghese di sopravvivenza : se la mite giungerà solo a simulare il tradimento, la protagonista della novella della Negri (come già Giovanni Episcopo, costretto a vivere in una casa che la moglie ha reso un « lupanare » ) dovrà sopportare pazientemente ripetute infedeltà da parte del marito, fino all’imprevisto fatale (la crisi cardiaca che stronca questi dopo un incontro segreto con la domestica), facilitato nel suo compimento dal silenzio di Caterina che tace piuttosto che chiamare aiuto. Oltre ai richiamati ingredienti nell’impasto narrativo (suicidio/omicidio/omissione di soccorso, cioè i tre eventi drammatici intorno ai quali matura l’inestinguibile disagio/senso di colpa ; la figuretta « sottile, bionda, un po’ più alta della media » della mite/la sagoma molliccia di Giovanni Episcopo, succube della lussuriosa Ginevra/la banale e spenta figura di Caterina, « né brutta né bella, né alta né bassa, né grassa né magra »,  una delle tante solitarie della galleria femminile negriana) anche i modi troduzione è tratta da LEONID GROSSMAN, Dostoevskij artista, traduzione e introduzione di Alberto Pescetto, Milano, Bompiani, .  BRUNO BASILE, La finestra socchiusa. Ricerche tematiche in Dostoevskij, Kafka, Moravia e Pavese, cit., pp. -.  GABRIELE D’ANNUNZIO, Giovanni Episcopo, cit., p. .  ADA NEGRI, Storia di una taciturna, in Le solitarie, Roma-Milano, Mondadori, , pp. -.  GABRIELE D’ANNUNZIO, Giovanni Episcopo, cit., p. .  ADA NEGRI, Storia di una taciturna, cit., p. .

GIULIA DELL ’ AQUILA della narrazione si prestano ad un riscontro comparativo. Mentre il racconto dostoevskiano e il romanzo dannunziano scorrono in prima persona (il primo con l’andamento rapido tipico del monologo in tutta la sua drammaticità, il secondo con tutto l’impegno del protagonista di corrispondere alle aspettative dell’autore, attento osservatore e studioso di caratteri umani, come dichiarato nella dedica a Matilde Serao ) e alle frequenti analessi affidano il recupero della linearità della vicenda, la novella della Negri si avvale della più distaccata narrazione in terza persona, secondo un posato ordine sequenziale di esposizione dei fatti, come si avvale della consueta aggettivazione letteraria, del rigoroso controllo sintattico, cioè di molte delle caratteristiche che hanno determinato la controversa fortuna di questa autrice. L’unica accelerazione, nel ritmo lento della diegesi, si ha nelle ultime pagine, quando il narratore cede la parola alla protagonista Caterina, che in una quasi convulsa confessione/monologo racconta al parroco, suo padre spirituale, il proprio crimine : l’omissione di soccorso verso il marito agonizzante, cioè una sofisticata e forse insperata vendetta, praticata attraverso il mezzo meno prevedibile, il silenzio cui il marito l’ha costretta per anni. L’epilogo scelto dalla Negri – unico caso tra i quattro esaminati – si orienta innanzitutto verso il riscatto sociale della donna : rientrata nel paese degli anni infantili Caterina riempie la sua giornata di assistenza agli infermi, agli anziani e ai bambini bisognosi, sebbene non si appaghi di quella penitenza. Il senso di dannazione che non dà pace al marito della mite come non darà pace a Giovanni Episcopo e poi all’assassino della muta, non riguarda Caterina che nell’« ego te absolvo » pronunciato dal prete al termine della confessione sembra acquietare il suo senso di colpa. Il modello narrativo circolare, con ritorno al punto di partenza, riappare nel racconto di Landolfi : il delirante monologo di un condannato a morte, che nella cella ripercorre la parabola del proprio gesto omicida contro una fanciulla di quindici anni muta dalla nascita (della quale, come per la mite, non sappiamo il nome e che, come la mite esibisce una « bellezza terribile, inconsapevole »), occupa le dense pagine della narrazione, come si è detto, in esplicito richiamo alla citata eroina ‘mite’, alle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij (di cui Landolfi ha fornito una traduzione in italiano), ma anche nella scia suggestiva dell’Ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo. Per Dostoevskij, D’Annunzio e Landolfi, il più fermo punto di partenza sembra essere stata la necessità di destare l’attenzione del lettore con un incipit che, anche audacemente, procuri un vivo interesse per i personaggi e per l’azione, un escamotage mai tenuto in considerazione dalla Negri non solo nella Storia di una taciturna ma in tutte le Confessioni, sezione interna quasi a sé delle Solitarie, in cui pur narrando, sotto forma appunto di confessione, alcune vicende femminili problematiche e articolate, la scrittrice evita deliberatamente che l’andamento narrativo più concitato possa intaccare l’esemplarità delle protagoniste. Alcuni dei tratti caratteristici del racconto dello scrittore russo (discorso narrativo serrato, numero minimo di personaggi, unità di azione, incisività di argomento) riaffiorano anche nella Muta, a distanza di circa un secolo, sebbene nella speciale formula espressiva che ha autorizzato da parte di Gianfranco Contini la definizione di Landolfi quale « ottocentista in ritardo ». Nel racconto landolfiano, qui il terzo che risente dell’archetipo dostoevskiano, la narrazione torna a scorrere in prima persona e riprende il rapido andamento che tipizza il monologo in tutta la sua drammaticità. Tale rapidità, nelle narrazioni di Dostoevskij, di D’annunzio e di Landolfi, è data anche dallo stile dialogico, secondo la definizione di Bachtin, pur all’interno di una dimensione monologica  (nel caso di Giovanni Episcopo la narrazione pur essendo rivolta espressamente all’autore, come si evince da alcune allocuzioni, sconfina per buoni tratti nel soliloquio per la vaghezza dei connotati e per il silenzio assoluto dell’autore stesso) : l’altro è continuamente dentro la parola dell’io narrante, che è costituita dalle frequenti anticipazioni della parola altrui. Anzi si direbbe che sia nel caso della confessione dostoevskiana sia nel caso di quella 

 

GABRIELE D’ANNUNZIO, Giovanni Episcopo, cit., Prefazione “A Matilde Serao”, p. VII. MICHAIL M. BACHTIN, Dostoevskij (), trad. it., Torino, Einaudi, .

TRA DOSTOEVSKIJ E LANDOLFI: STORIA DI UNA TACITURNA DI ADA NEGRI



dannunziana e poi di quella landolfiana – diversamente da quanto avviene nella più tradizionale o « grigia »  novella della Negri – ci sia verità e falsità ad un tempo. Ciò che ha suggerito Leone Ginzburg a proposito dei monologhi dello scrittore russo, cioè che « all’abiezione si accompagna di continuo la coscienza dell’abiezione », fino all’autodenigrazione come « piacere vizioso, che non libera mai interamente dai rimorsi », può valere anche per i testi degli altri due scrittori qui richiamati ma di certo non vale per la narrazione della Negri. La ricognizione delle analogie e delle differenze tra i quattro testi ha necessariamente dovuto condensare nel breve giro di poche pagine una serie di parametri di valutazione. L’importanza del tema del delitto, della colpa e della pena nel pensiero e nell’opera di Dostoevskij sembra ricadere, dunque, su quanti hanno guardato a lui in tempi successivi : mi sembra che anche nel testo di D’Annunzio, in quello della Negri e in quello di Landolfi, come già in quello di Dostoevskij, il sistema eteronomo abbia poca rilevanza : « ciò che conta è il processo imperscrutabile di auto-condanna, di espiazione e di redenzione che avviene nella coscienza del colpevole »,  secondo modalità evidentemente distinte e nella fedele traduzione di poetiche altrettanto differenti. 

Così espressamente la definisce la Negri stessa nella Dedica “A Margherita Sarfatti”, in Le solitarie, cit. MARIO A. CATTANEO, Suggestioni penalistiche in testi letterari, Milano, Guida,  ; in particolare il capitolo VII, Dostoevskij, la coscienza e la pena, p. . 

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FRANCESCA STRAZZI « E IL SOLE IL COR T’ACCENDE » *

A

SESSANT’ANNI dalla morte scoprire Ada Negri significa cercare lei e la sua anima attraverso la poesia e la prosa lasciataci dall’illustre letterata e trovarsi a camminare per le piazze di Lodi con il sole che indiamanta le vette degli alberi.  Le liriche della scrittrice lodigiana sono intessute di fili di luci ed ombre che si accompagnano al tema del sole. Esso si presenta come leit motive delle raccolte della maturità, da Vespertina a Fons Amoris.  Infatti, secondo Ada Ruschioni,  esso s’inserisce all’interno del binomio cielo-terra, centrale in tutta la produzione negriana. Nelle liriche della Negri le continue allusioni al sole, presentate anche attraverso le varianti del termine, quali ad esempio alba, raggio e crepuscolo, denotano la volontà dell’autrice di presentare l’astro del giorno quale stilema di vita per la terra e di guida verso la suprema luce del cielo, ovvero Dio. Tra le liriche di apertura della raccolta del  vi è Deserto dove sono evidenti gli influssi del pessimismo leopardiano : « meglio forse era non esser nata »  scrive la poetessa. Ma a una visione sconsolata della vita e dell’amore, che non dura nel mondo più che una nube nell’atmosfera, si apre il conforto del ricordo, di quel sole che entrando nella stanza riempie il suo cuore che ritorna giovane, di cielo e terra insieme. E se di sole T’entrava un raggio dal balcone aperto, eri quel raggio, fra la terra e il cielo.

L’astro celeste, accanto a una caratterizzazione di tipo concreto, ovvero inteso come elemento naturale e fonte di vita per animali e piante, assume un significato metafisico soprattutto negli ultimi lavori della Negri. Esso si presenta come anelito d’infinito, brama di ricongiungersi con l’Essere Primo : Penetrata di Te come del sole. 

Scrive nella poesia Pensiero d’autunno posta a emblematica conclusione della raccolta e preludio della successiva del . Il sole è tra i motivi centrali dell’opera della Negri, la quale trascende il dato fisico rendendo l’astro celeste stilema dell’intimità del proprio sentire e del suo rapportarsi al mondo. La voce della poetessa si fa canto e attraverso il sole diventa preghiera. A conferma di come l’opera della scrittrice prenda spunto dalla sua vita è emblematica la scelta del titolo Vespertina,  ovvero la luce fioca del tramonto. Il lavoro fu stampato , dopo che dal ’ al ’, la Negri era stata colpita da una grave malattia che l’aveva a lungo debilitata. Credendosi ormai alla fine, aveva espresso nelle liriche il rammarico per la vita che volge al termine. L’ansia della morte non le suggerisce versi angosciosi, ma una natura ancora bella anche se al suo crepuscolo, non ricca di frutti, ma inondata da una luce che scalda il cuore.  * Da ADA NEGRI, Sole d’ottobre.  Parafrasi da ADA NEGRI, Mattina sognata, in EADEM, Di giorno in giorno, Milano, Mondadori,  (prima edizione ), p. .  Vespertina (), Il dono () e Fons Amoris (-).  ADA RUSCHIONI, Terra e cielo nella poetica di Ada Negri, in EADEM, Dalla Deledda a Pavese, Milano, Vita e Pensiero, , da p.  a p. .  ADA NEGRI, Deserto in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, Milano, Mondadori, , p. .   Ibidem. Ivi, p. .  ADA NEGRI, Vespertina, Milano, Mondadori, .  Dalla raccolta Vespertina alcuni titoli rimandano a tale idea di sole o giorno volto alla fine (si riportano solamente



FRANCESCA STRAZZI

Il tramonto del sole e il vespero della vita non si chiudono in una disperata rassegnazione, ma nell’anelito verso il Cristo, una nuova fonte di chiarore capace di abbagliare. Con Vespertina inizia il periodo di piena maturità della poetessa, non più la vergine rossa come troppo spesso è stata definita, ma beata Beatrix che indirizza la sua vita e la propria arte verso un sole dai bagliori divini. « Vespertina, dunque, riflette e canta l’ora più dolce e soave del vespro, l’ora dei ricordi e delle nostalgie […], che la ravvivata fede religiosa e l’arte matura della poetessa rendono sereno in vista di certezze e conquiste ultraterrene ».  Al tema del sole si ricollega quello dell’amore. uest’ultimo arde nel cuore dei giovani e non ha ancora raggiunto le vette più alte della fede, ma rimane ancorato a una passionalità più carnale e terrena. A tale proposito scrive la Negri : Sole di marzo, prepotente come l’amore che arde in giovinette vene : io nelle vene oggi non ho che sole, e l’età mia più bella a me ritorna. 

Il tempo ha conquistato il canto della poetessa, non più donna alla fine della vita, ma fanciulla con il petto traboccante d’amore che si appresta a seguire « l’alterno gioco del sole e dell’ombra ».  Già nella « fugace adolescenza »  un pensiero la tormenta : e se dopo la notte non risorgesse per lei più il sole ? L’ansia della morte vince la meraviglia della ragazza che osserva il mondo. La paura per quella donna che arriva in silenzio non si traduce in un canto di disperazione, ma si leva la voce della scrittrice carica di nuova linfa, illuminata dalla luce della fede. Seppure la fine della vita sia certa « come certo è il sole »  essa giungerà per la Negri accompagnata, forse, dal volteggiare di uccelli in cielo o attraverso le strette vie della sua Lodi « piene di sole ».  La poetica negriana enfatizza il motivo del sole che illumina sia le strade di città che la campagna. Il fulgente astro riempie di riflessi dorati il creato e la poetessa desidera ardentemente sentirsi parte di questa natura traboccante di vita e di amore. Una necessità panica che nella scrittrice si traduce in liriche dedicate ai fiori e alle piante.  Una nuova carnalità invade l’animo della Negri : il sentirsi parte della natura la porta a sperare di diventare lei stessa terra, stendersi in quest’ultima sino a diventare frutto che germoglia. Nelle liriche di Vespertina inizia a preannunciarsi l’ansia evangelica che caratterizzerà i lavori successivi dell’autrice. I versi di Presagio suggellano tale concezione negriana del suo essere nella natura. Essa sente il corpo rifiorire al tepore del sole di febbraio, ritornano i boccioli che si trasformeranno in fiore anche per lei. E l’ansia hai della zolla che si risveglia e riconosce il sole. Timido è il sole di febbraio, e nudo come un povero. 

Anche in questa lirica si risveglia nell’animo della Negri « l’inquieto mal di giovinezza ».  L’ansia della primavera della vita che per lei più non torna, eppure ne gode e all’affacciarsi timido del sole di aprile si sente lieta come la foglia che sorride al sole « che la richiama ».  quelle in cui è presente la parola sole) : Presagio, Canzoni d’inverno, Il sangue, Le mani malate, Alla morte, Campane e Pensiero d’autunno.  MAURO PEA, Ada Negri, Milano, Mondadori, , p. .  ADA NEGRI, Giorno di marzo, in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, cit., p. .   ADA NEGRI, Il sole sul muro, ivi, p. . Ibidem.   ADA NEGRI, Alla morte, ivi, cit., p. . ADA NEGRI, Piazza di San Francesco in Lodi, ivi, p. .  Tra le poesie della Negri dedicate alla natura nella raccolta Vespertina si possono citare : Le violette, Il viale degli olmi, Il prato, Il fiore sul tetto, Rami di pesco, I fiori della via, I pini, La rosa gialla, Il pioppo, Il calicanto e Le gemme del glicine.  ADA NEGRI, Presagio, in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, cit., p. .   ADA NEGRI, Le violette, ivi, p. . ADA NEGRI, Pensiero d’aprile, ivi, p. .

«E IL SOLE IL COR T’ACCENDE»



La Negri segue il ciclo delle stagioni, il susseguirsi di inverni ed estati non è scevro da dolori sulla terra. Eppure una speranza esiste per lei ed è il canto, la ricerca dell’« indistruttibile parola »  che non le dia la fama agognata nella giovinezza, ma che sia espressione vera e sincera del suo lavoro. In questo consiste, per la Negri, la vera gloria e su tale strada intende proseguire con umiltà e fede, in perenne lode del sole che splende per tutta l’umanità. La lirica della scrittrice si sta allontanando da velleità contingenti ; i suoi canti non sono prole delle foreste,  ma espressione di una natura illuminata da bagliori di grazia che trova nel Verbo incarnato una nuova fonte d’ispirazione. Esempio di tali sentimenti è la Preghiera all’alba, dove il sole che ogni giorno risorge per le creature allude all’azione salvifica e purificatrice del Cristo che ha concesso all’umanità una nuova esistenza. In nuce comincia a presagirsi il tema della vita come dono che accompagnerà la raccolta del ’. Intanto la scrittrice sottolinea il ruolo centrale che ha il sole nell’esistenza perché foriero di nutrimento per ogni creatura. Nell’incipit della lirica riecheggiano i versi di San Francesco nel Cantico delle Creature : sia lodato Dio per il fratello Sole che è raggiante e porta in sé l’immagine dell’Altissimo. Allo stesso modo la Negri elogia in tutta la sua produzione il sole perché immagine vivente del Cristo e perché nutrimento per la natura, elemento presente in tutta la sua produzione poetica. Saluta all’alba il ritornante sole come il più grande bene a te concesso, o creatura : del sentirti in vita ringrazia il giorno. 

Il sole assurge a immagine di Cristo e di fatti sono molti i componimenti collegati al binomio luce-salvezza. Inoltre ad esso è sempre legato il tema del sangue. uesto diviene emblema della morte in croce del figlio di Dio e allo stesso tempo richiama il rosseggiare del tramonto. Due poesie sono particolarmente legate a tale motivo : Il sangue e Le mani malate. Nella prima si descrive la nipotina della Negri, Donata, (alla quale è dedicata la raccolta Vespertina) che tenta di tergere con un fazzoletto il sangue dipinto sul costato di Cristo in un quadro e che, invece, sembra rosseggiare più intensamente ai raggi del tramonto : Intanto Indugiava sul quadro il sole estremo. uand’ecco […] Con un suo fazzolettino, teso il braccio e il capo, tentare, invano, cancellare quei grumi di sangue ; e più tergeva, e più tenaci rosseggiavano a fior delle ferite.

Il sole nella lirica successiva invece rappresenta il risveglio del sangue nelle vene di mani stanche. La Negri non abbandona il suo rimpianto nei confronti della giovinezza e delle passioni, infatti i raggi si posano sulle dita come le labbra di un amante. Il sole è la sola speranza che rimanga alle vetuste dita, esattamente come Dio all’uomo nel crepuscolo della vita. L’astro celeste assume in questa lirica, ancora una volta, un profondo significato allegorico a sinonimo della sincerità e autenticità del canto della scrittrice. Ormai stanca sente la sua vita avvizzirsi e perdere vigore come vecchie mani, ma Le scalda il sole, le accarezza, penetra nelle torbide vene e sveglia il sangue. […] O sole, non hanno, ora, che te : non le tradire.    

 ADA NEGRI, Gloria, ivi, p. . Cfr. GABRIELE D’ANNUNZIO, Le stirpi canore. ADA NEGRI, Preghiera dell’aba, in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, cit., p. .  ADA NEGRI, Il sangue, ivi, p. -. ADA NEGRI, Le mani malate, ivi, p. .



FRANCESCA STRAZZI

L’invocazione al sole perché non tradisca delle vecchie mani, ritorna nei versi successivi, proprio a sottolineare come esso, immagine vivente di Cristo, non abbandona l’uomo che con fede gli si affida. L’anelito verso il sublime astro suggella la certezza, nell’animo della Negri, di avere finalmente trovato l’indistruttibile parola perpetrata del senso panico che le suggerisce la natura attraverso il sole che metafisicamente si carica di valore cristiano. Perciò è concorde la critica nell’indicare l’immagine di Suor Leopoldina come fulcro della raccolta. Essa instancabilmente, dall’alba al tramonto, si dedica agli orfani. uesta sposa di Cristo ha imparato a vivere secondo i dettami della fede e per tale motivo la vecchiaia non accompagna la sua esistenza. Ancora una volta ritorna il tema del sole unito a quello della giovinezza, come nella lirica Il pioppo, immagine agreste della vita che ritorna a scorrere abbagliata della luce del sole. Ma un mattino, il sole rompe l’algore : scioglie in molle pianto sugli stecchiti rami il vel di ghiaccio : torna la linfa e il verde : giovinezza ritorna. 

La raccolta si conclude con una poesia dai chiari echi leopardiani  nella quale il sole è legato alla morte della natura. La fine della vita non diventa motivo di sofferenza, ma certezza di una rinascita, quando l’uomo sarà riaccolto nel grembo del Padre, come foglia che staccatasi dall’albero si ricongiunge con la madre terra. Pensiero d’autunno, l’ultima lirica della raccolta del , mostra tale cammino di grazia compiuto dalla poetessa. Non stupisce la dedica di Vespertina ai nipoti Donata e Gianguido che non hanno ancora sperimentato l’ansia di quella giovinezza che è centrale nel lavoro negriniano. Allo stesso tempo la conclusione dell’opera è affidata a versi nei quali la morte appare come tranquillo riposo. La Negri ha conquistato una fede sincera e forte, crede nella luce eterna e ha trovato nel canto di gloria a Dio « l’indistruttibile parola » tanto agognata. La simbologia arborea serve a sublimare quanto di autentico ci sia sulla terra, del resto « la natura è come lei : femmina di sensibilità diffusa nell’epidermide, voluttuosa, dormigliona e carnale che si lascia accarezzare dai raggi del sole ».  Ugualmente il tema del ricordo si collega a quello delle foglie, come spiega nella lirica Il viale degli olmi : « foglie e memorie, insieme ; e forse è questa/ la più serena via della tua vita ».  Pensiero d’autunno si presenta nel panorama della produzione della scrittrice lodigiana a suggello della sua esperienza di vita e di arte e introduce a una nuova dimensione mistico-religiosa che caratterizzerà i suoi successivi lavori. La lirica esplicita, inoltre, quanto era intuibile nelle poesie precedenti : il binomio sole-Dio che si evince soprattutto dal verso finale : Fammi uguale, Signore, a quelle foglie moribonde che vedo oggi nel sole tremar dell’olmo sul più alto ramo. Tremano, sì, ma non di pena : è tanto limpido il sole, e dolce il distaccarsi dal ramo per congiungersi alla terra. […]. Fa ch’io mi stacchi dal più alto ramo di mia vita, così, senza lamento, penetrata di Te come del sole.  

ADA NEGRI, Il pioppo, ivi, p. . GIOVANNI TITTA ROSA, La poesia di Ada Negri, « Nuova Antologia »,  dicembre , p. . Secondo lo studioso la poesia della Negri si ricollega a quella di Leopardi non tanto per lo sviluppo di temi e motivi, ma nella forma e nello stile.  ARTURO MANNINO, Ada Negri nella letteratura contemporanea, Roma, Casa del Libro, , p. .  ADA NEGRI, Il viale degli olmi, in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, cit., p. .  ADA NEGRI, Pensiero d’autunno, ivi, p. . 

«E IL SOLE IL COR T’ACCENDE»



Nella raccolta del , Il dono,  la poetessa non abbandona temi e motivi della produzione precedente, anche se siamo lontani dalla passionalità delle prime raccolte. uesto lavoro si presenta a compimento di quanto scritto in Vespertina. Il motivo del sole e della giovinezza vi appaiono ancora strettamente legati come mostrano le liriche : Sole d’ottobre e I vecchi. Nella prima delle due composizioni sono evidenti gli echi leopardiani nell’invito che la Negri rivolge al lettore perché goda della vita e di quanto gli è concesso. Come le foglie (ritorna il tema del rapporto uomo-memoria-natura-Dio) esultano al tepore del sole autunnale perché non sanno che per loro si appresta la morte ; così la poetessa impara a scoprire l’aspetto positivo in ogni situazione. Non teme la fine, ma la considera parte di un progetto superiore. In una sorta di trasfigurazione mistica, anche lei non è più corpo, non più travaglio, ma solo luce, « trasparente luce/ d’ottobre ».  Il sole invernale ha un suo fascino perché ormai la poetessa ha compreso l’immutabile legge divina e anche l’autunno, come l’età matura non dà frutti, ma sa di riposo, in quanto la scrittrice ha raggiunto la certezza che tutto il creato « dalla terra fa cosa di cielo ».  Nella sua poesia si giunge a un superamento della concezione romantica della natura matrigna. La ricerca della Negri si orienta verso la consapevolezza cristiana che si fonda sui cardini dell’amore e dell’armonia. Per tale motivo afferma nella lirica Sole d’ottobre : uest’armonia dell’anima col punto del tempo e con l’amor che il tempo guida. 

Irradiata dal sole d’ottobre anche la sua lirica incanta per la purezza e la capacità di trasmettere sentimenti in modo semplice e spontaneo. Parallela a questa lirica per temi e motivi è : Amore di terra, dove si crea una simbiosi tra la scrittrice e la terra. Essa agogna a un ricongiungimento con il creato, quindi un incontro tra terra e cielo segnato dalla luce del sole. Canta la Negri : Buttarmi, stesa, sulla scura terra d’un solco che dal vomere scoperto sia questa mane, al sol d’ottobre. […] Segnato è il giorno in cui la fiamma, accesa in me da Dio, diverrà cielo ; e il corpo che quella luce in sé contenne, terra. 

Il bisogno di un rapporto fisico con la terra le suggerisce tali versi, ai quali si accompagna anche la certezza della luce di Cristo. Il rapporto carnale con la terra rimanda a una sorta di mistica rinascita dopo la morte. L’interesse per una simbologia terrestre ha radici nel mito. Gea, infatti, la madre terra nell’Antica Grecia, era considerata la genitrice di tutte le divinità olimpiche. Ad essa, nella poesia della Negri, si collega il sole, luce che s’irradia da Dio, senza il quale il mondo sarebbe privo di frutti. A una mitologia cosmogonica, dunque, la scrittrice accosta i fondamenti del credo cristiano che dalla Bibbia fino a oggi trasfigurano l’immagine divina con quella solare. In questa raccolta è presente l’umanità della scrittrice, perché in certi momenti l’assalgono i dubbi e i rimpianti per la vita che volge al termine. Lei si trova ad essere albero che non dà più frutti, come i vecchi, dell’omonima poesia che, pur crogiolandosi al sole di marzo, rimpiangono i loro vent’anni. Un’altra lirica lega il tema dell’età fiorita a quello del sole. L’epitaffio di una ragazza, morta a trent’anni dopo aver partorito una bambina. Il rimpianto per la luce che non vedrà più e per i colori della natura le fa nascere la domanda : Le spighe del frumento ondeggiano ancora nel sole ? Tutto il sole era mio, quand’ero viva : di sole i miei capelli, il mio riso, il canto del giovine cuore.  

ADA NEGRI, Il dono, Milano, Mondadori, . Il titolo allude al dono più grande che Dio ha dato all’uomo : la vita.  ADA NEGRI, Sole d’ottobre, in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, cit., p. .    Ibidem. Ibidem. ADA NEGRI, Amor di terra, ivi, p. .  ADA NEGRI, Epitaffio, ivi, p. .



FRANCESCA STRAZZI

Il canto vela il rimpianto del « sole antico »,  ovvero quello della giovinezza, perché il cuore della poetessa non si è ancora innalzato pienamente alla luce della grazia. Ma a tali nostalgie fanno subito eco versi di tripudio e letizia nei quali il sole assume significati simbolici. Ciò accade nella lirica Trasfigurazione dove il sole diventa emblema di purezza. Avviene una metamorfosi dell’anima attraverso la luce. La poetessa accosta il dato contingente dell’alba che tinge d’oro la natura a quella del suo cuore che si trasforma in riverbero dell’amore di Dio : ed ecco, il sole d’ogni scoria ti monda e ti fa pura entro la vampa donde a me ritorni trasfigurata. 

Uno dei cardini della poetica negriana è quello di accostare sensazioni e stati d’animo a raffigurazioni desunte dal mondo naturale. Nella raccolta Il dono il binomio sole-luce raggiunge risultati d’intenso lirismo perché il creato diviene la manifestazione della potenza divina. I frutti e fiori, nei versi della scrittrice lodigiana, assumono il significato di rinascita e bellezza se attraversati dai raggi solari. I colori nei campi s’impreziosiscono di un oro intenso, mentre gli alberi assumono dei riflessi ramati. È l’autunno la stagione dominante nel lavoro del  e ha tra i suoi frutti le pannocchie e i kaki. Le prime « splendono […] al sol d’autunno,/ tutte certezza »  portando all’uomo la sicurezza del sostentamento. Le immagini di vita contadina, quali la polenta che le madri preparano ai figli recano l’impronta carducciana per la spontaneità e grazia nella descrizione. Ugualmente la Negri invita il lettore a partecipare alla raccolta delle spighe, perché ad esse si associa l’immagine della festa del Corpus Domini. Tale accostamento tra il corpo di Cristo e il pane ricavato dal grano rimanda all’eucaristia. Le pannocchie maturate alla luce, infatti, alludono a un nutrimento più importante : quello divino. Tra i frutti autunnali ci sono anche i kaki che il « sole/ di San Martino […] attraversa d’una/ liquida luce, in trasparenza ».  Ugualmente la poetessa spera che la grazia entri nella sua anima come il sole attraverso i kaki. La stagione che precede l’inverno, ancora una volta diventa centrale nella lirica della Negri per indicare il periodo ultimo della vita, il « dorato autunno »,  non più tramonto come nella raccolta precedente, ma emblema di una maggiore consapevolezza nell’animo della poetessa di essere giunta a un’età serena ; quando si attende Dio in pace con sé e con il mondo. Capaci di donare gioia anche quando la terra sembra impoverirsi perché il sole non emana più caldi raggi. L’autrice si appresta al ricongiungimento con il Padre Celeste che concede pace e perdono a ogni creatura. È lontana l’ansia di giovinezza (che l’aveva accompagnata nella raccolta precedente) e della quale rimane solo un vago eco nella lirica I vecchi. Se potessimo colorare i versi della Negri nella raccolta del ’, essi sarebbero dorati, perché questo è il tono predominante di ogni componimento ed è la sfumatura che assumono il cielo e gli alberi in autunno. Dal giallo al rosso i rimandi sono sempre a Cristo, alla sua luce e al sangue versato per la salvezza degli uomini. Il sole e la natura si fanno portatori di messaggi cristiani. Le istanze spirituali che accompagnano questa raccolta, però, non sono prive di riferimenti contingenti come le strade della « rossa Pavia »  dove lei cammina lungo « muretti/ caldi di sole »,  attraversando « orti da fiaba »  e vie che si snodano al sole del meriggio come in un nastro.  Allo stesso modo della natura nel periodo estivo anche la poesia della Negri è « tutta febbre di sole »,  quale elemento vivo che risana e dà forza all’animo della poetessa. Tale sincerità di sentimenti si esprime nel binomio sole-cuore. Molto spesso e soprattutto nella raccolta Il dono, i due termini vengono accostati nel tentativo di fornire al lettore indica    

ADA NEGRI, Luce, ivi, p. . ADA NEGRI, Le pannocchie, ivi, p. . Ibidem. Ibidem. ADA NEGRI, Strada remota, ivi, p. .



ADA NEGRI, Trasfigurazione, ivi, p. . ADA NEGRI, I globi d’oro, ivi, p. .  ADA NEGRI, I giardini nascosti, ivi, p.   Ibidem.  ADA NEGRI, Pioggia d’autunno, ivi, p. . 

«E IL SOLE IL COR T’ACCENDE»

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zioni circa la forza delle sue passioni. Ma quello che nei primi lavori si presentava come slancio ferino, se così si può dire, nelle opere della maturità diventa meno lascivo, felicità prima a cui ci si abbandona. Il canto si trasfigura in un perenne inno all’amore, dove il sole cristiano completa la purezza dei cuori. È nell’Atto d’amore che il significato mistico-simbolico della raccolta assume la sua vera essenza. La lirica si presenta come somma di tutto il cammino artistico e di fede della scrittrice. Il suo canto diventa espressione dell’amore per Cristo e di Cristo, nell’invocazione che il suo cuore oda Lui solo. Tra espressioni evangeliche e forme di sentito lirismo s’inserisce anche il sole, quale nutrimento e luce delle creature. Ancora una volta è presente l’influsso della poetica francescana nella quale si esplicita con maggiore evidenza il messaggio d’amore tipico della tradizione neotestamentaria. Ed io credetti fosse per l’uomo, o l’opera, o la patria terrena, o i nati dal mio saldo ceppo, o i fiori, le piante, i frutti che dal sole hanno sostanza, nutrimento e luce ; ma fu amore di Te, che in ogni cosa e creatura sei presente. 

L’elemento naturale dei fiori, piante e frutti continua ad essere centrale nel lavoro della scrittrice, perché ogni essere del creato sprigiona i riflessi dell’amore di Dio. Con tale fiducia e passione la Negri lavora alla sua ultima raccolta Fons Amoris. Il titolo richiama l’ultima lirica dell’opera precedente. Infatti la poetessa ha trovato quale sia il dono più grande concesso dal Padre ai suoi figli e ha imparato cosa significa affidarsi all’inesauribile luce di Cristo con fiducia e amore. Specchiarsi alle « fonti del sole »  equivale ad essere in grado di cogliere la luce del Creatore anche nei momenti più intimi e quotidiani dell’esistenza, come l’osservare un fringuello « nella piccola gabbia appesa al sole »  o ancora « il piccolo bucato appeso al sole ».  uesta raccolta nonostante sia fortemente ispirata da messaggi religiosi, presenta echi contingenti e materiali della realtà come le farfalle « volteggianti al sole » o ancora i frutti dal « sapor di sole ».  Immagini desunte dalla raccolta precedente, come le pannocchie e le spighe tornano a corollario di alcune liriche di Fons Amoris ad emblema di frutti che emanano la luce di Cristo. « La perfetta chiostra »  di chicchi del granturco è « accesa del color del sole ».  Dalla descrizione degli orti inondati di luce, la poetessa passa a descrivere il suo stato d’animo, tra regina e vagabonda mentre attraversa i campi di grano, biondi di sole. La terra è simile a un podere coltivano con spighe dove rifulge la luce del sole, ovvero quella del « Dio delle messi ».  Le immagini bibliche popolano la raccolta e sanciscono la maturità poetica dell’autrice. Infatti la vita terrena non è che il preludio a quella celeste. Le spighe bagnate di sole dopo la mietitura non periscono, ma rinascono sempre a nuova vita. I richiami alla passione e morte di Cristo sono evidenti nell’inizio della lirica Visione agreste, dove la Negri canta : Giaccion ne’ campi oggi mietuti, sole nel rosso vespro, in bei mannelli a croce, le spighe. Dolce è quel morir, preludio di vita nova. 

Ma se il paesaggio campestre richiama più intensi significati cristiani, è sempre il sole a fornire fonte d’ispirazione per inneggiare a Dio. All’astro celeste si ricollega il tema del sangue, inteso come quello del Figlio versato sulla croce per la salvezza del mondo. Nella lirica sono presenti     

ADA NEGRI, Atto d’amore, ivi, p. . ADA NEGRI, Canzone, ivi, p. . ADA NEGRI, Incantesimo, ivi, p. . ADA NEGRI, Granturco, ivi, p. . Ibidem.



ADA NEGRI, Cielo di sera, ivi, p. . ADA NEGRI, Lacrime, ivi, p. .  ADA NEGRI, Frutti e fiori, ivi, p. .  Ibidem.  ADA NEGRI, Visione agreste, ivi, p. . 

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FRANCESCA STRAZZI

tutti questi momenti che preannunciano la Pasqua del Signore. La luce solare permette alla poetessa di sentirsi viva come la natura che la circonda e allo stesso tempo, le fa godere la gioia infinita che viene dalla luce del Padre. Vino e pane, gli elementi della comunione, derivano dal sole perché grano e uva per crescere e maturare ne hanno bisogno, allo stesso modo la Negri in questa raccolta rinuncia a entrare con il corpo nella natura, come albero o terra, ma si abbandona ai bagliori del meriggio : Troppo mi piacque abbandonarmi al sole. 

Il bisogno panico della scrittrice di essere parte della natura, non si acquieta con gli anni, anzi rinviene somiglianze tra il suo volto e il pugno di terra raccolto in un campo, infatti « cangia com’esso sotto il vento e il sole ».  uest’ultimo verso cui anela la poetessa e il suo canto è segno della potenza di Dio. Ed è la Sua luce che l’uomo tenta di conquistare, perciò una delle liriche di apertura della raccolta s’intitola Luce, proprio ad indicare il bisogno, espresso « in termini di vago spiritualismo naturalistico »,  di sentirsi parte del creato irrorato dal bagliore celeste. Vissi nel sole, da quando Iddio che lo creò gl’impose : « Risplendi e regna. » Arsi, incorrotto spirito, nel sole. Fui luce e calore, innanzi d’incarnarmi nel corpo che domani spento sarà. Troppo mi dài tormento, sangue che rechi in te dì gran memoria del sole antico. 

Il tormento è dato dal non sentirsi in armonia, come dirà Ungaretti, nell’aver pregustato la pienezza del sole antico e non essere capace di sciogliere le catene mortali verso la gloria di quel raggio d’infinito calore e purezza. Il cammino della scrittrice attraverso varie fasi della sua lirica sta avviandosi verso la meta agognata della gioia perenne. Il travagliato cammino è giunto al suo Eden. Una Commedia moderna, non Dante, ma una donna ha raggiunto il Paradiso, guidata solo dalla luce del sole nella campagna e per le vie. Il misticismo negriano degli ultimi lavori non ha nulla di dogmatico, non è espressione cattedratica di studio e fatica, ma è la sofferta e insieme lieta scoperta di Cristo nella vita quotidiana. Il suo canto di terra e cielo si fa preghiera, titolo per altro della seconda parte della raccolta Fons Amoris. La Negri ha conquistato la sua luce e la gloria nel mondo, la dolcezza dell’« ultimo raggio »  che è il simbolo delle illuminazioni dentro l’oscuro travaglio del mestiere di uomini.    

 ADA NEGRI, Notte, dolce notte, ivi, p. . ADA NEGRI, Pugno di terra, ivi, p. . ADA RUSCHIONI, Cielo e terra nella poetica di Ada Negri, cit., p. . ADA NEGRI, Luce, in EADEM, I canti dell’isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris, cit., p. . ADA NEGRI, Pietre e fiori, ivi, p. .

ELISA GAMBARO L’ESPERIMENTO VERSOLIBERISTA DI SENZA RITMO

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ON c’è nessun dubbio che, dal punto di vista metrico, le sillogi poetiche della Negri anteriori al Libro di Mara si collochino tutte saldamente all’interno del sistema versificatorio tardo ottocentesco, senza nulla concedere ad istanze di sperimentalismo formale. Scorrendo i primi libri negriani è anzi difficile immaginare esempi di una più serena e imperturbabile applicazione delle norme tradite di regolarità strofica, versale e ritmica : l’isosillabismo è sempre scrupolosamente rispettato, così come non subisce trasgressioni di sorta l’impalcatura degli schemi strofici. Le scelte che informano gli assetti prosodici delle liriche della Negri appaiono, semmai, opposte : la poetessa tende a restringere la gamma delle opzioni metriche a pochi schemi dalla morfologia elementare. Sarebbe d’altra parte sbagliato leggere in questa semplificazione degli schemi prosodici un riflesso di un’attitudine militante nella battaglia ottocentesca per una letteratura democratica. Estranea ad ogni esplicita volontà polemica nei confronti della tradizione letteraria, l’autrice di Fatalità è lontana dagli intenti innovativi e dalla consapevolezza culturale di poeti della « nuova Italia » come Cavallotti o Guerrini, che in diversa maniera declinano un comune denominatore di protesta politica e opzioni realistiche attraverso il deciso rifiuto di languori parnassiani e preziosismi formali. Va del resto ricordato che mentre questi scrittori, tutti provvisti di buona cultura classica, si muovono con scioltezza entro un preciso orizzonte letterario di riferimento, proponendosi come eredi sperimentali del patrimonio del classicismo risorgimentale, la nostra giovane poetessa scrive il suo primo libro da autodidatta, in condizioni di assoluta marginalità rispetto al mondo delle belle lettere.  Il fatto è che nella Negri un obbiettivo stato di esclusione, sociale e culturale, e la conseguente estraneità all’influenza vischiosa della tradizione poetica, si ribaltano in motivi di forza, consentendo alla poetessa di entrare in sintonia con il suo pubblico elettivo. Si tratta di un pubblico in massima parte composto da ceti di scolarizzazione recente, e come l’autrice avido di esperienze estetiche, ma ignaro di appartenenze di scuola o consorterie letterarie. È soprattutto a questo tipo di destinatari che la poetessa si rivolge, con la piena fiducia di essere ascoltata ; ai restanti lettori, pure lucidamente contemplati nel proprio orizzonte d’attesa, la vergine rossa riserva invece le note di più pungente polemica e baldanzosa invettiva. Tale progetto mostra i suoi caratteri di maggiore coerenza proprio sul piano metrico, laddove le scelte negriane paiono guidate da esigenze molto sentite di icasticità e vigore declamatorio : spesso orientati all’allocuzione e all’apostrofe, i versi ‘mordaci’ e ‘bollenti’ della poetessa di Lodi sono preferibilmente inseriti in strutture strofiche agili e fortemente scandite come la quartina a rime alterne o incrociate. Ad avvalorarsene sarà un effetto globale di spiccata cantabilità e facilità ritmica, che disegna un orizzonte d’attesa assai più largo di quello solitamente rappresentato dai cultori della lirica d’arte. Allo stesso tempo, la presenza ininterrotta di patterns strofici immediatamente riconoscibili finisce per corroborare una percezione istituzionale del testo lirico : se nei componimenti negriani gli indici formali di poeticità sono sempre esasperatamente esibiti, ciò non è certo a scopo ironico o allusivo, ma vale semmai a  « Io vivevo sola e selvaggia ; e non leggevo giornali ; fuor dell’Illustrazione Italiana diretta da R. Barbiera ; e per il suo tramite pubblicai il libro da Treves ». Lettera di Ada Negri a Cesare Angelini del  marzo  in ANNA FOLLI, Penne leggere, Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo. Scritture femminili italiane tra Otto e Novecento, Milano, Guerini e Associati, , p. . Sul bagaglio culturale negriano si veda anche PATRIZIA ZAMBON, Leggere per scrivere. La formazione autodidattica delle scrittrici tra Otto e Novecento : Neera, Ada Negri, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo, ora in IDEM, Letteratura e stampa nel secondo Ottocento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, , pp. -.

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rinsaldare la convinzione del lettore meno colto di trovarsi di fronte ad un prodotto letterario di indiscussa serietà, dotato di tutti i requisiti atti a sancirne l’inoppugnabile appartenenza alla sfera del poetico. In questo quadro accentuatamente istituzionale, e del tutto alieno da suggestioni avanguardistiche, la presenza isolata di un testo in metrica libera come Senza ritmo suona quasi come un paradosso. Posta quasi in chiusura di Tempeste, la poesia consta di sette strofe di ampiezza diseguale, che alternano senza alcuna regolarità apparente misure brevi o brevissime come i bisillabi, settenari, ottonari, novenari, endecasillabi e versi lunghi di matrice esametrica. Viene meno anche ogni funzione strutturante delle rime, la cui occorrenza è del resto sporadica e non riconducibile ad alcun criterio specifico ; più rilevata appare semmai la trama delle assonanze, ma sono soprattutto le tecniche d’iterazione, sulla scorta dell’esempio whitmaniano,  a disegnare un pattern ritmico coeso. Sebbene i paradigmi mensurali che informano la versificazione siano tutti contemplati entro il repertorio istituzionale dei metri traditi, non ci sono dubbi che l’impianto costruttivo della poesia sia improntato ad un’inequivocabile pratica versoliberista. L’audacia della scelta negriana, nell’Italia del , non è davvero di poco conto : benché le prime timide attestazioni di una scrittura poetica metricamente eccentrica risalgano al , e i dibattiti teorici sul tema a poco dopo, storicamente « il sintagma letterale verso libero penetra da noi piuttosto tardi, intorno al  ».  Non a caso, Senza ritmo attirò l’attenzione vigile di un osservatore particolarmente sensibile ai fenomeni di libertà metrica come Lucini. Nell’ambito della sua ampia e articolata risposta all’Inchiesta promossa da Marinetti sul verso libero, il poeta milanese non mancò infatti di citare la poesia di Tempeste come un antecedente di rilievo nel quadro dei processi di liberazione prosodica : uando, infatti, nel  uscivano i Semiritmi di Luigi Capuana, a cui ben volentieri accordo la priorità, io avevo già composto, in parte, ciò che a quel tempo chiamavo “armonie sinfoniche” […] Se il ricordo non mi inganna, poco dopo, Ada Negri nell’altro volume di versi Tempeste, tentò una volta sola col Senza Ritmo una dolcissima sinfonia armonica di parole e di pensieri, con un risultato così perspicuo, che, né prima, né dopo, la sua poesia baldanzosa e selvaggia ottenne mai più. 

È necessario tenere presente, tuttavia, che l’intervento di Lucini, in gran parte teso a contestare la supposta primogenitura dannunziana  nell’affrancamento da criteri isosillabici, si colloca in una prospettiva poetica squisitamente avanguardistica, ed è mosso da un notevole afflato polemico. Nulla di tutto questo tocca invece la nostra poetessa, che è molto lontana dall’esibire una compiuta consapevolezza teorica del problema. Valga a questo proposito la risposta della Negri all’inchiesta marinettiana, dove stranamente non compare alcun accenno a Senza Ritmo, che pure costituiva un precedente atto ad essere impugnato nell’ambito della polemica sulle prime attestazioni italiane del nuovo modello me Fu Ettore Patrizi ad introdurre la Negri alla conoscenza del poeta americano ; dal carteggio fra i due sappiamo che la poetessa ricevette in dono le liriche di Whitman il  giugno , e che immediatamente riferì al donatore le proprie tumultuose impressioni di lettura : « Subito, bisogna che le scriva subito ; sono tanto felice di avere Walt Withman, tanto felice che lei non può credere […] Mi è passato un brivido nelle ossa leggendo […] uesta non è poesia, questa è vita ». Sui rapporti fra la lirica negriana e la poesia di Whitman si veda ANNA FOLLI, op. cit., p.  sgg.  PAOLO GIOVANNETTI, Metrica del verso libero italiano. -, Milano, Marcos y Marcos, . p. , che non manca di citare anche il testo della Negri. Sull’esemplarità storica dell’esperimento negriano concorda anche ALBERTO BERTONI, in Dai simbolisti al Novecento. Le origini del verso libero italiano, Bologna, Il Mulino, , pp. -.  GIAN PIETRO LUCINI, Riposta all’Inchiesta internazionale sul verso libero, « Poesia », a. II, n. ---, ottobre-novembre-dicembre-gennaio -, ora anche in IDEM, Per una poetica del simbolismo, a cura di Glauco Viazzi, Napoli, Guida, , p. , da cui si cita.  Tale era del resto la percezione collettiva verso il , quando agli occhi della maggior parte del pubblico i primi tre libri delle Laudi si configuravano come i primi tentativi di superare i metri traditi.

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trico. Certo, si può supporre che la vergine rossa non ardisse sfidare la conclamata egemonia dannunziana sul campo, e che insieme fosse attenta a non scalfire la propria immagine di poetessa popolare, cara al vasto pubblico piccolo borghese, con pronunciamenti troppo apertamente critici verso le forme dell’istituzionalità lirica ; tuttavia, l’enunciazione del consueto mito della parola creatrice non riesce a mascherare un certo imbarazzo nell’affrontare la questione in termini più articolati : uanto all’inchiesta sul verso libero, non ho le idee ben chiare, forse. Mi pare che quando il poeta è veramente poeta, cioè creatore, crea da sé la veste ritmica del suo pensiero. Nulla è più dolce e più spontaneo e più « nature » di certi versi liberi di Francis Jammes. Ave, Poeta ! 

Va del resto ribadito che la serena noncuranza dimostrata dalla nostra autrice nei confronti di intenti sperimentali di tipo avanguardistico non limita affatto i motivi di interesse del componimento : se alle radici del ricorso al verso libero possiamo senz’altro escludere il peso di suggestioni improntate ad un’eterodossia iconoclasta, pure le dinamiche testuali che presiedono a Senza Ritmo attingono comunque ad uno spessore di originalità problematica. A questi fattori non è estranea l’attitudine negriana a calibrare in modo inedito fermenti innovativi ed istanze socioletterarie diffuse, ricorrendo a strategie di rappresentazione atte a veicolare scelte coraggiose in modo partecipabile : risiede soprattutto qui l’abilità della nostra poetessa ad intercettare e soddisfare le attese di un pubblico composito. In questa prospettiva, l’articolato paratesto che precede il corpo della lirica si rivela particolarmente ricco di indicazioni di lettura, a partire ovviamente dal titolo. Fin da subito, il destinatario elettivo è esplicitamente invitato alla sospensione momentanea dei suoi abituali criteri fruitivi. Allo stesso tempo, una così netta caratterizzazione metapoetica – peraltro iperbolica : naturalmente, la poesia non è affatto « senza ritmo » – ottiene l’effetto di tranquillizzare quell’ampia fascia di pubblico che nutre aspettative più convenzionali nei confronti dell’esperienza lirica, e che s’immagina restia a concedere legittimità a soluzioni di arbitrio prosodico. A stimolare la partecipazione empatica di chi legge collabora anche l’esplicita istanza dedicatoria. Come recita l’epigrafe, la lirica è offerta a Nice Turri, un’amica della poetessa, giovane moglie del padrone della filanda di Motta Visconti e affetta da tubercolosi terminale. Secondo la testimonianza dell’autrice, benché « prossima alla morte e sapendo di esserlo » la ragazza si dilettava a suonare il pianoforte con esiti, pare, notevolissimi, almeno stando alla testimonianza che la stessa Negri ne diede alcuni anni più tardi.  La dedica vuole così orientare il lettore sui contenuti altamente patetici del testo, che vengono avvalorati dall’indicazione di corrispondenza fra il primo destinatario della poesia e il personaggio ritratto con accenti sì lacrimevoli. L’appello alla commozione risulta tanto più efficace quanto più la Negri indulge a connotare la figura protagonista attraverso il sistematico ricorso a tutti i clichés che l’immaginario tardoromantico e preraffaellita, in Italia rivisitato dalle pervasive iconografie dannun ADA NEGRI, Risposta all’Inchiesta internazionale sul verso libero, « Poesia », a. II, n. --, aprile-maggio-giugno , pp. -. ueste le due domande, costruite per ottenere risposte articolate e favorire un ampio dibattito fra poeti e scrittori intervistati : . « uali sono le vostre idee intorno alle più recenti riforme ritmiche e metriche introdotte nella nostra letteratura poetica ? » . « uali sono le vostre idee pro o contro il così detto “verso libero” in Italia, derivato dal “vers libre” francese che Gustave Khan ha creato in Francia ? ». La breve risposta negriana segue immediatamente l’altrettanto elusivo intervento di D’Annunzio ; le ragioni della reticenza dei due autori sono tuttavia opposte : mentre la Negri lascia candidamente trasparire la sua scarsa attenzione al problema, il silenzio dello scaltrito poeta Vate sembra la tipica mossa cautelativa di chi non vuole sbilanciarsi troppo su uno dei fronti della polemica.  « Ella aveva, da fanciulla, ottenuto il primo premio di pianoforte al Conservatorio di Milano ; e suonava come nessuno io udii suonare dopo di lei » ADA NEGRI, Memorie e versi, « Nuova Antologia », quarta serie, luglio-agosto , p. . Un accenno alla figura di Nice compare anche in un articolo di due anni prima, dove la Negri presenta l’attività dell’Asilo Mariuccia : « L’inizio singolarmente passionale di quest’Opera d’amore mi ricorda le prime battute d’una sonata di Beethoven – Clair de lune – che vari anni or sono suonava a me giovinetta una squisita musicista, morta qualche tempo dopo di mal sottile. Vedo ancora la donna al pianoforte, bella d’una bellezza già minata dal male, e resa quasi tragica dal presentimento della fine ». ADA NEGRI, L’Asilo Mariuccia, « Corriere della Sera »,  ottobre .

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ziane, attribuiva alla purezza femminile ; significativamente, vi sono incluse le fantasie e le ossessioni mortuarie che si accompagnavano ad una simile rappresentazione : Passa pel chiuso salotto il brivido cupo dell’ombra : i tasti animati singhiozzano sotto le tue dita bianche, o Nice : e tu sei vestita di bianco come un fantasma. – Suona. – O pallida, o pallida, io so che ben presto morrai che quando la tosse t’affanna ritiri dal labbro la tela macchiata di rosa.

Diafano pallore, « abito bianco »,  elezione spirituale che si manifesta nella capacità di produrre, suonando, divine armonie ; a ciò si aggiunga l’insistenza su una fisicità minata da una malattia percepita a partire dai suoi effetti di consunzione corporea, e dunque carica di un simbolismo smaterializzante – la pittura dei lineamenti eterei della protagonista induce del resto una similitudine eloquente : Nice è « come un fantasma ». Ce n’è davvero a sufficienza per disegnare un panorama completo delle inquietudini che percorrono la percezione tardottocentesca del corpo della donna, facendo leva sia sulle trasfigurazioni erotiche del pubblico maschile sia sulle tendenze immedesimative delle lettrici, verosimilmente propense a reazioni di rispecchiamento idealizzato. Non a caso, la stessa poetessa ebbe a dire che proprio la figura di Nice le aveva ispirato la composizione di Autopsia,  ovvero la lirica di Fatalità dove la rappresentazione dell’enigma della sessualità femminile attinge a cadenze più scandalosamente perturbanti, nonché più apertamente compromesse con un repertorio figurale di ascendenza funebre. Ma la Negri non si limita a sollecitare i turbamenti del proprio lettore attraverso strategie compositive di indole iconografica. L’apparato paratestuale di Senza Ritmo reca anche la dicitura « “Claire de lune”, di Beethoven » : il destinatario è così esplicitamente invitato a sillabare i languidi versi della nostra poetessa sulle note suadenti delle celebri armonie beethoveniane. Va ricordato che la Negri sperimenta un procedimento simile anche in altre liriche, ma su un modello pittorico. In Maternità, La vecchia porta è ispirata ad un quadro del pittore belga Albert Baertsoen, mentre L’erede, in Tempeste, rimanda all’omonimo dipinto di Teofilo Patini, una tela all’epoca molto celebre che divenne in breve manifesto della nuova pittura di impegno veristico sociale.  Nel rivitalizzare l’uso antichissimo del parallelismo fra la poesia e le altre arti, la Negri aggiorna una pratica retorica risalente alla classicità adattandola al sistema letterario borghese, e così mutandone radicalmente la funzione profonda : ad essere chiamato in causa non è più un esercizio di raffinata mimesi poetica, quanto piuttosto la lucida consapevolezza dei processi di lettura del destinatario elettivo. La citazione di un dipinto invita infatti esplicitamente il lettore a visualizzare la scena descritta, agevolandone la risposta estetica e sollecitandone le pulsioni di immedesimazione. Se l’obbiettivo è facilitare i procedimenti ricettivi del pubblico, non è poi così importante che il quadro citato in epigrafe sia noto o meno a chi legge : nel primo caso l’effetto immediato sarà certo la gratificazione in seguito al ricono Sui forti valori simbolici di cui è emblema l’abito femminile di colore candido nella società italiana tra Otto e Novecento si veda MICHELA DE GIORGIO, Colori di virtù, in Le italiane dall’Unità ad oggi. Modelli culturali e comportamenti sociali, Bari, Laterza, , p.  sgg.  ADA NEGRI, Memorie e versi, cit., p. .  Il quadro fu esposto per la prima volta a Milano nel , ma la Negri dovette probabilmente vederlo alla Triennale di Milano, dove era presente nel . Cfr P. BETTINI, L’arte proletaria alla Esposizione artistica triennale di Milano, « Critica sociale », a. IV, , p. . Di fatto, a seguito della pubblicazione della lirica negriana, la popolarità della tela di Pattini risultò enormemente accresciuta : L’erede divenne in breve tempo l’opera più nota dell’artista, moltiplicando i luoghi e il tempo di esposizione. Basti pensare che l’ultima presenza della tela all’interno di una mostra data al , più di venticinque anni dopo la sua prima apparizione.

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scimento dell’opera, ma anche in assenza di un referente preciso il lettore è comunque spinto a figurarsi la scena in termini pittorici ; è naturale poi che sorga in lui la curiosità di conoscere il dipinto citato per confrontarlo alle proprie proiezioni immaginative. Anche in Senza ritmo il richiamo ad un prodotto culturale mediamente noto è anzitutto volto a facilitare le strategie di lettura : in questo caso l’effetto di gratificazione derivante dall’agevole riconoscibilità della citazione colta avvalora l’evenienza di una risposta positiva da parte del lettore borghese. Rispetto a quanto avveniva nelle liriche di ispirazione pittorica, tuttavia, qui la natura stessa del linguaggio musicale permette all’autrice di costruire il proprio testo su un duplice piano di finzione : se il destinatario dovrà, leggendo, mentalmente rammemorare o comunque figurarsi le sublimi cadenze della sonata di Beethoven, lo stesso lettore è anche in prima istanza messo di fronte ad una rappresentazione che inscena in modo esplicito l’esecuzione diretta del brano. Il ricorso alla tecnica versoliberista si giustifica così a partire da una scoperta intenzionalità mimetica, per cui l’imprevedibile fluire dei segmenti prosodici vuole concretamente alludere al libero dispiegarsi delle note musicali : una simile, trasparente legittimazione di una scrittura metricamente eterodossa attinge così ad istanze fonosimboliche di immediata percepibilità sonora. Attraverso questo procedimento, la nostra poetessa finisce per capitalizzare due risultati di rilievo : da una parte, la Negri può fregiarsi dell’etichetta, a lei così cara, di poetessa ‘sincera’, in grado di dare vita ad una parola lirica materiata di un sentimento autenticamente effuso e visceralmente commosso ; d’altro lato, l’accorta disseminazione di circostanziate indicazioni fruitive finisce per circoscrivere, e di fatto depotenziare, ogni possibile accusa di lesa letterarietà.

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PIETRO ZOVATTO LA ‘RELIGIOSITÀ’ NELLA POESIA DI ADA NEGRI

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L tema della religiosità nella poesia di Ada Negri (Lodi -Milano ) è stato finora appena sfiorato dalla critica letteraria, che generalmente ha cercato nella poetessa lodigiana di evidenziare altre tematiche, come il persistente psicologismo che regge il suo dettato poetico, per cui narra in continuazione se stessa ; oppure il suo socialismo giovanile quale conseguenza naturale della condizione sociale, dal momento che proveniva da una famiglia poverissima, e solo per i molti sacrifici e rinunzie della madre tessitrice e pulitrice, riuscì a diventare maestra, titolo di un certo prestigio per l’ultimo scorcio del XIX secolo. Al termine della seconda metà dell’Ottocento, da quando dal liberalismo di destra si passava a quello di sinistra, aumenta la sensibilità sociale mentre il proletariato si organizza nel partito socialista. Oppure dalla critica si evidenziarono soprattutto le influenze pascoliane e soprattutto quelle dannunziane, tanto che queste – soprattutto le seconde – furono considerate ‘macchie perturbatrici’ sulla sua personalità poetica, che subiva l’intrusione di ‘grandi maestri’ (Attilio Momigliano). E si è arrivati persino ad accusarla di compiacenze di estetismo che s’innamora di se stesso, o di mirare al perfezionismo elegiaco di componimenti poetici del resto ineccepibili sotto il profilo formale (Benedetto Croce).  Certo è che Ada Negri ha percorso un itinerario di poetica vario nella sua espressione e soprattutto notevolmente articolato nei suoi contenuti, che vanno dalla sensualità alla spiritualità (come nella prima opera che la impose alla critica : Fatalità, ), rivelandosi subito come una promessa e un talento da sviluppare per la cultura italiana. Tra essi si trovano come temi ricorrenti l’amore, il desiderio di vita, la vibrazione della natura, ma anche frammenti sparsi in particolare la morte e un senso diffuso dell’eterno onnipresente che rimandano ad una categoria di riferimento trascendente.  A lungo si diffonde sulla religiosità della Negri l’italianista dell’editrice ‘Civiltà Cattolica’, Domenico Mondrone, sottolineando il senso dell’aldilà perennemente presente persino nelle prime opere, come Fatalità (), fino ad arrivare al canto del cigno finale con le Preghiere che chiudono la silloge finale Fons amoris. Egli si documenta oltre che sull’opera poetica sugli articoli di carattere religioso, approfondendo tale tematica più di quanto non avesse fatto lo Schilirò nel suo Itinerario spirituale di Ada Negri (). Ma accanto all’insistenza di motivi delle prime opere poetiche e anche narrative (come Le solitarie –  – o Stella mattutina –  –) fanno capolino anche squarci della sua giovinezza. Sotto forma di racconti o invenzioni o  Della Negri parlano quasi tutte le letterature concernenti la cultura del primo o di tutto il Novecento, da C. Angelini a G. Prezzolini, da B. Croce a L. Russo, da M. Mignosi ad A. Momigliano. Monografie o saggi impegnati su di lei si trovano con ADA RUSCIONI, Terra, cielo e luce nella poetica di Ada Negri, in Poesia e metafisica della luce, Milano, Vita e Pensiero,  ; GAETANO SARDIELLO, Antico e nuovo nella poesia di Ada Negri, Napoli, La Toga,  ; MARIA STICCO, Prose di Ada Negri, Milano, Vita e Pensiero,  ; MARIA SIGNORILE, Ada Negri, Torino, Paravia, , ricco di informazioni e di precisione, la Negri stessa ne rivide le bozze. In particolare sensibili all’aspetto religioso : FRANCESCO FLORA, LUCIANO NICASTRO, Storia della letteratura italiana, III, Milano, Mondadori,  : Carattere di Ada Negri e A. Panzini, pp. - ; ma soprattutto VINCENZO SCHILIRÒ, L’Itinerario spirituale di Ada Negri, Milano, I.P.L.,  (con testimonianze personali) ; e DOMENICO MONDRONE, Il senso dell’al di là nei canti di Ada Negri, IV, Roma, Ed. ‘La Civiltà Cattolica’, , pp. - e IDEM, Gli ultimi anni di Ada Negri visti dal suo carteggio inedito, ivi, pp. -. Per i testi poetici della Negri : Poesie di Ada Negri, Mondadori, Milano , qui si usa questa ed., e a cura di Silvio Raffo : Ada Negri. Poesie, Milano, Mondadori,  con introduzione a pp. V-XIII e utile Cronologia, pp. XV-XIX e Bibliografia essenziale, di e su di lei, pp. XXI-XXV. Per la narrativa si veda ADA NEGRI, Prose, a cura di Bianca Scalfi e Egidio Bianchetti, Milano, Mondadori, .  Punto messo in evidenza da due artt. cit. del Mondrone di Scrittori al traguardo, IV, sopra citato (n. ). uesto libro, recepito come esaltazione del socialismo e per qualche stilettata anticlericale, fu posto all’Indice (--).

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novelle apparentemente estranee alla sua vita, si dimostrano, al contrario, aspetti rivelatori della sua esperienza biografica. uesto suaffermato autobiografismo non si colora mai di compiacenze che ricadono negativamente su se stesse in un cerchio chiuso, ma si dipanano con la trasparenza della verità nel suo realismo e nelle sequenze di disgrazie familiari. « Io vedo la piccola bambina » – Ada Negri, cioè Ninin, scrive P. Pancrazi – « e la mamma portinaia d’un palazzo signorile, intenta a pulire le scale », o la mamma che va a lavorare in fabbrica, mentre suo fratello malnutrito e tisico muore in ospedale solo, senza l’affetto di un familiare. La mamma – che la allevò « come una regina » per darle una professione dignitosa – era al lavoro e Ada impegnata a studiare. Manca anche la nonna e lei giovinetta la vede che « incrocia le mani sul petto, e con esse prega… » ancora assorta nel discreto silenzio della morte, senza più sferruzzare con il filo della lana.  Da questa situazione familiare e letteraria non poteva nascere che un socialismo considerato non una organizzazione compatta del proletariato in lotta fino all’ultimo sangue con la borghesia, alla scuola del Capitale di Marx, ma piuttosto un umanesimo spiritualistico che rifuggiva dall’odio degli animi della lotta di classe per la dittatura del proletariato al potere.  In lei non si rinviene una ideologia di una certa organicità su questo punto proprio quando l’ideologa russa Anna Kuliscioff spandeva a larghe mani il verbo marxista e con questa scrittrice operante in Italia ella era in corrispondenza epistolare, ma si tratta solo di brevi parentesi non determinanti, segni di un atteggiamento sensibile alla giustizia sociale e di pietà per i perdenti. Dalle poesie della raccolta Tempeste () si possono raccogliere diversi altri spunti in questa direzione, per es. per le prostitute notturne (Sulla via da Tempeste) : Il corpo, così bianco sotto il nero vestito, è terra senza spirito. Tutto, fuor che la cieca fame è in lei distrutto: niuna miseria è più cinica e ignava di quella forma che non ha pensiero. Chi mai la coscienza le divelse ?… Che lungo dramma la gettò sul vuoto lastrico, a notte, in caccia d’un ignoto ?… Un’occulta pietà trema e s’effonde su su dei cieli per le volte eccelse. 

« La pietà » sembra alleviare « la cieca fame » d’una sventurata che la penuria di tutto – anche del pane quotidiano – spinge a oscurare la coscienza fino a precipitare nell’abiezione per diventare oggetto erotico di un “ignoto” nella notte piena di insidie. Per la Negri, tuttavia, « la Vergine sorride anche alla strada » (Casa in Liguria da Erba sul sagrato, ). In altre circostanze nella poesia Gli ultimi saranno i primi della raccolta Tempeste si rappresenta una universale palingenesi civile con tutte le classi sociali redente, o autoredentesi, poiché « Chi ne l’ombra visse / luce domani avrà » riecheggiando le Beatitudini evangeliche : Schiuderà il cieco le pupille al giorno : Chi fu solo, chi pianse e maledisse Domani esulterà !... In alto, in alto i miseri, gli schiavi ; in alto, in alto gli umili, i reietti : L’ora sacrata è là.  Cit. da PIETRO PANCRAZI, Scrittori d’oggi, Bari, Laterza, , p. . Il Pancrazi rileva « il tono di accettazione rassegnata e silenziosa » come la sua religiosità schiva e quasi naturale nata dalle cose stesse, francescanamente contemplate, si potrebbe aggiungere.  VINCENZO SCHILIRÒ, Il socialismo di Ada Negri, in IDEM, L’Itinerario spirituale, cit., pp. -.  ADA NEGRI, Poesie, cit., p. .

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Sorgi in nome di Dio, popol d’ignavi, fa del nome di Dio, scudo a’ tuoi petti, Vinci, perdona e va ! 

Non c’e dubbio che « la maestrina socialista », inneggiata dai giornali dell’omonimo partito che nell’ultimo scorcio del XIX sec. era già ben organizzato e capace di contrastare validamente quello liberale egemone, dimostra una notevole propensione al socialismo, ma con forti venature decisamente cristiane. E se un riferimento storico si può fare, essa certamente sentiva l’eco della Rerum Novarum () di Leone XIII e anche del giovane Luigi Sturzo che nel primissimo scorcio del XX sec. () da Caltagirone lanciava il grido ai cattolici « liberi e forti » per adunarli in una compagine di partito cristianamente ispirato, aconfessionale, democratico e fondato sul popolo. Soprattutto sottolineava la necessità di avere uno statuto di partito libero da presupposti temporalistici per la questione romana, così com’era stato fino allora con l’Opera dei Congressi di Paganuzzi, e optava per un partito non clericale, ma che s’ispirasse tramite una mediazione culturale adeguata ai principi cristiani. Da parte di Ada Negri si sfuggivano quasi istintivamente i raggruppamenti organizzati in partito, sia socialista che cattolico, nella sua condizione di poeta si esprime più opportunamente un umanesimo lirico d’innata ispirazione cristiana. Suggestiva è anche la scena nella poesia Fanciullo (da Tempeste) che rimanda al dramma del fratello morto di tisi (dedicata a Sofia Bisi). Giovinetto che in fabbrica « scalzo, in blusa stracciata e collo ignudo / … genio infantil perduto in un inferno, / correa fra casse e sbarre audacemente, / e ogni cinghia parea che l’afferrasse / qual spira di serpente », nel mentre « cantava » e « muore di tisi… finisce all’ospedale ».  Nella Negri non scatta la molla della ribellione, ma della umana solidarietà che si esprime nella pietà coniugata alla poesia di carattere socialmente impegnato. Il componimento che supera per l’affermarsi della esigenza sociale ogni altro è quello già citato Gli ultimi saranno i primi (da Tempeste), versetto evangelico che rimanda ancora al discorso delle Beatitudini, in cui si rivela ormai una osmosi inscindibile tra riscatto degli « ultimi », degli « schiavi », dei « miseri » operato in nome di Dio, che da quel monte rovescia le categorie sociali : […] ebbro di libertade, ebbro di sole, tra gli ulivi movendo a le raggianti porte de l’avvenir !…

In questo profilo si è ben lontani da uno « spirito antireligioso » o di atteggiamento anticlericale, come dal ridurre la figura di Gesù di Nazareth a un « Cristo socialista », in lei quel movimento propendeva in maniera inequivocabile verso “un socialismo cristiano” che portasse la redenzione materiale del benessere unitamente al perdono e al progresso morale delle classi meno abbienti. Per Ada Negri il riscatto doveva realizzarsi nella persona assunta nella sua globalità. La sua posizione si distanziava dal verbo marxista nelle espressioni massimaliste che in Ita

Ivi, p. . Numerose sono le poesie di contenuto sociale : Sgombero forzato, pp. - ; L’incendio della miniera, pp. - ; La “figlia dell’aria”, pp. - ; Disoccupata, pp. - ; Sciopero, pp. - ; Fine di sciopero, p.  ; Ego sum, pp. - ; Fraternità, p. . Si v. pure la Presentazione lineare, ma centrata, di Arnoldo Mondadori nella prima ed., , delle Poesie di Ada Negri, che « ha cantato i poveri, gli umili, gli oppressi, i peccatori, anche ».  Anche Ada Negri si sente « libera e forte » se nella poesia Ego sum (da Tempeste) (ADA NEGRI, Poesie, cit., p. ) scrive con orgoglio : « esser nudo, ed esser uno / davanti a la feroce / ignoranza dei tempi e de le genti, / a lo scherno dei vili, / a lo spietato insulto dei potenti / … o scellerata : “Io sono” ».  ADA NEGRI, Poesie, cit., pp. -. Il dramma di tanti poveri era costituito dalla tisi, che seminava le sue vittime  Ivi, pp. -. non solo tra le classi più povere.

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lia trovavano udienza nel proletariato delle grandi città – come Milano, Torino – da poco industrializzate. Era ben lontana da una adesione ideologica condivisa. Già Pietro Pancrazi rilevava giustamente in Scrittori d’oggi () che « la maestrina socialista cantava le sue strofe, a cuor pieno. Erano poche idee, di quelle che allora un semplice poteva credere socialiste… Vita di poveri, di vagabondi, di diseredati, resa dalla Negri in contrasti facili e evidenti sino al bozzetto ».  Non si trattava ancora, tuttavia, della Negri autentica, quella genuina che si ritrova nelle vibrazioni profonde del sentimento intimo e personale trasformato in arte. Allora questo passaggio al superiore – che passa « dalla soffitta al primo piano » (Pancrazi), e dalla classe povera, proletaria si affaccia alla borghesia – non era del tutto compiuto. Solo in seguito ci consente di registrare le tematiche più intime e umane per Ada Negri, come l’amore, la maternità, la sofferenza, l’ebbrezza del vivere, le delusioni delle speranze giovanili, il problema-mistero della morte – mai da nessuno rilevato per quanto mi consta – e soprattutto un incontro e confronto con l’enigma metafisico del rapporto diretto dell’uomo con Dio, anche questo circonfuso d’eterno. Di poverissima origine, da sempre la lotta per la sopravvivenza l’aveva abituata alla riflessione sull’esistenza, così come in gioventù aveva affrontato il contrasto della vita sociale del proletariato emarginato con l’ardore delle antitesi, ma rimanendo piuttosto sulla lirica d’una superficialità talora sonora e rombante del verso carducciano. Ora inizia con Maternità (), Dal profondo (), Esilio () a scavare in profondità dentro di sé, divenendo progressivamente più pensosa sulle tematiche ineludibili che assillano l’esistenza di ogni mortale, concernente il senso da dare alla vita. uesta seconda fase della poesia di Ada Negri notevolmente più complessa e ricca di motivazioni umane, non manca, tuttavia, la ricerca di un certo estetismo e di qualche accento enfatico che disturba ma non guasta talvolta la genuinità del suo sentimento e il suo dettato poetico. Il desiderio di attingere la perfezione formale può talvolta lasciare aperta l’ipotesi di un certo desiderio del compiacimento. È soprattutto ne Il libro di Mara ()  uscito all’indomani della tragedia universale, per vinti e vincitori, della prima guerra mondiale, che ella s’impegna con ogni energia per liberarsi definitivamente dall’estetismo dannunziano, pregio e macchia letteraria del secolo, per raggiungere in completezza artistica il suo genuino io profondo. In questa sofferta conquista psicologica e insieme morale evidenzia a piene mani la sua dimensione religiosa, il suo confronto-scontro-supplica, con il divino. In questa fase si ritrova pienamente sincera e totalmente denudata nell’anima rimasta sola davanti a Dio ugualmente solo. Già in Maternità () aveva avuto fremiti di sacro di alto valore religioso uniti al sentimento travolgente della maternità che moltiplica l’essere in altri esseri nella sintesi di fecondità di umanità e grazia. E si sente così donna completa e matura. Rivolgendosi al « fanciul » (nella Ninnananna di Natale), cioè il suo figlioletto ideale, che prepara alla « ninna-nanna », riconosce « la storia di Gesù, bimbo », « il Cristo del sangue mio », creando una profonda simbiosi identificativa : È ver che nacque in una stalla, ed ebbe per cuna un po’ di paglia, e andò povero e solo per noi nel mondo […] E redimerci volle, ed un feroce odio il confisse in croce  

PIETRO PANCRAZI, Scrittori d’oggi, serie prima, Bari, Laterza, , p. . Già A. Frattini sottolineava l’insidia dell’‘ordine estetico’ della prima Negri, e F. Flora l’insidia socialista che « quando fiammeggia, non mai brucia ma soltanto illumina », anche se « il paesaggio delle periferie » costituisce il nuovo orizzonte nella letteratura italiana del tempo, rispettivamente ALBERTO FRATTINI, Ada Negri, Modernissima, Milano  e Poeti italiani del XX secolo, a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, Brescia, La Scuola, , pp. - ; e FRANCESCO FLORA, LUCIANO NICASTRO, Storia della letteratura italiana, III, Milano, Mondadori, , pp. -.  ADA NEGRI, Poesie, cit., p. . 

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Sarà questo « fanciul » « bimbo » che « stroncato » « il vecchio mondo crollerà » « ed il Vangelo allor sarà sovrana / legge a la vita umana ». Anche la Pasqua, l’altra festività fondamentale del ciclo liturgico cristiano, diventa per lei occasione per promuovere con timbro di amoroso accoramento un inno alla fraternità solidale tra gli uomini, siano essi intellettuali o militari, contadini od operai. Il componimento Pasqua di Risurrezione (da Maternità) diventa significativo nel suo fervoroso imperativo dell’amor hominis, amore del prossimo, proiettandolo in un assoluto categorico di valore universo : Amatevi fra voi, pei dolci e belli sogni ch’oggi fioriscon su la terra, uomini de la penna e de la guerra, uomini de le vanghe e dei martelli. Schiudete i cuori : in essi irrompa intera di questo dì l’eterna giovinezza. Io passo e canto che la vita è bellezza, passa e canta con me la primavera. 

Anche il motivo naturalistico di « canta con me la primavera » qui come altrove con « la sera », « i tramonti » e un erbario variegato e multiforme di colori, difficilmente si può interpretare come una ragione di fondo sufficiente a giustificare una poetica della identificazione con la natura della Negri, quasicchè il panismo, o peggio panteismo, sia stato uno o il movente ricorrente del suo poetare. È più plausibile comprenderlo come accessorio ornamentale all’idea centrale espressa dall’imperativo « Amatevi tra voi » di questa poesia pasquale. Siffatta eticità ispiratrice che rimanda sicuramente alla fonte evangelica, di cui rappresenta il compendio di « tutta la legge e i profeti », costituisce « il nuovo comandamento » messo in risalto a più riprese dal vangelo giovanneo. Esemplari sotto questo profilo possono essere considerate la poesia Piazza San Francesco di Lodi (nella raccolta Maternità) « ove dorme il mistero » qui diventa solo uno sfondo naturalistico « i venti e le stelle » della strofa : « Gravi note de l’organo, salenti / agli archi de le volte longobarde, / su l’alte mura tremolar di tarde / stelle e fluir di venti !… ». In questa prospettiva il socialismo giovanile di Ada Negri si commisura ogni volta con il verbo cristiano, anzi diviene così connaturale alla essenza di quest’ultimo nella sua poetica da rovesciare i due termini di socialismo cristiano. Da socialismo cristiano giovanile si trasforma in cristianesimo socialista o meglio ancora in cristianesimo sociale, in cui l’ispirazione predominante resta il nucleo sacro della solidarietà fattasi amore operoso con una motivazione teologale. Dalla religiosità passava alla religione e dalla religione alla fede vissuta nella ‘caritas’. uando esce la silloge Il libro di Mara () l’escavazione interiore sembra raggiungere vertici prima mai raggiunti, poiché piegata dal dolore la sua robusta personalità morale, constata diverse ferite inferte dalla sorte alla sua esistenza. Sono la morte di una figlioletta di appena un mese, la scomparsa d’un fratello e la morte della madre a cui aveva dedicato numerose poesie della sua vita precedente. Prevalgono a tutto tondo le tematiche della morte e la nostalgia della fanciullezza, l’amore frantumato e gli affetti umani vulnerati e il ricorso all’« eterno » come a un « fresco di polla », al dolore acerbo affrontato con fermezza morale, tanto da prolungare oltre la morte la fede nella speranza cristiana, con un credo che non accetta incertezze o divagazioni mondane. A Dio si rivolge in Voto (dalla raccolta Il libro di Mara) e lo considera un costruttore presente e attivo di pace, consapevole ormai della influenza culturale che aveva assunto la sua poesia. Si rivolge coerentemente al divino per essere una mediatrice genuina, oggi si direbbe profetica : « La mia voce non entri nei cuori che coi limpidi accenti di Dio / or che in pace il tuo spirito è in me », ripetuto, nella seconda parte, come se fosse un ritornello di sequenza liturgica.  E questa conformazione identificativa con « l’anima dell’infinito » si accentua nella poesia Domani, che rimanda ad una prospettiva escatologica, anche se parte dal motivo naturale dell’alternarsi 

Ivi, p. .



Ivi, p. .

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delle stagioni, la Primavera. « Soave sarà nella tua mano la mia mano, soave il mio passo al tuo / fianco / […] Non io tua, non tu mio : dello spazio : radendo la terra con ali invisibili / sempre più lievi nell’aria, sempre più immersi nel cielo ».  È l’ultima poesia che reca un frammento di panismo misto all’esigenza trascendente di carattere religioso, commistione tra natura e sacro che sarà superata, ma mai del tutto, nelle raccolte Il dono () e soprattutto in Fons amoris () uscita postuma, l’anno dopo la sua morte. Tra Il libro di Mara, Il dono e Fons amoris si può collocare la silloge poetica I Canti dell’isola (), oltre altre opere in cui si rinviene ancora qualche emergenza di sacro controbilanciato o soverchiato dalla natura. A Capri, ove si era ritirata per un anno, la natura con i suoi fiori e la sua vegetazione sembra predominare trionfante, con l’antitesi di contrappunto, che richiama la morte. Così nella poesia Sangue mentre ella raccoglie i papaveri « Fra l’erba dàn sangue i papaveri » mille altri rinascono : « Chi l’ha ferita di coltello, chi l’ha ferita d’amore ». È ancora preminente l’antagonismo morte-vita in Fiori, soavi fiori : « uando fra quelle braccia morire mi parve – e la vita fu ».  Già ne Il dono () l’affacciarsi della trascendenza assume i contorni netti e chiari d’una adesione intellettuale nel suo componimento poetico che non ammette ambiguità di interpretazione. Va doverosamente rilevato che è nella silloge Vespertina () che la Negri si presenta ormai con l’animo rasserenato, perdendo gli impeti di ribellioni precedenti, quando in Preghiera dell’alba scrive : « … il dolor vecchio e nuovo / riprendi a lato, pallidi compagni / che forti, e dolci della sapïenza / che sol viene dal pianto ; e va con Dio / per la tua strada ». Un passaggio significativo a questo proposito (da Il dono) si può raccogliere nella lirica Rimorso,  nella sua chiusura : « Ma forse / ancora è tempo di donarti, o dono / di Dio. Fin ch’io respiri ancora è tempo ». E in Alba già si individuano gli elementi emergenti, ma palpitanti d’una metamorfosi spirituale completa, dopo il passaggio obbligatorio attraverso il ‘rimorso’ che aveva operato una necessaria purificazione interiore nel suo animo : … Si rannodan fili di pensiero interrotto : a fior dell’anima torna la pena che un clemente oblio m’avea tolta nel sonno : tutto torna come fu ieri, come pur sarà domani. Io, sempre. Io sola. Io, che non posso mutare, perché Dio così m’ha fatta nella sua volontà. […] (… Tu che sai tutto la mia stanchezza sai) : fa ch’io l’accetti come una prova : fa ch’io la trascorra dimentica di me, viva soltanto alla pietà per altri, unica forza che mi difenda da me stessa ; e in pace io lo chiuda con Te, come se l’ultimo della mia vita fosse, e la sua notte più non attenda il ritornar del sole. 

Sempre nella medesima raccolta Il dono non sa resistere al fascino della religiosità popolare – I due rosari – nel richiamo alla Madonna di Lourdes (« la piccola medaglia della Madonna di Lourdes ») che nella seconda metà dell’Ottocento diventa per tanti ammalati un viaggio della speranza per eludere la morsa della sofferenza. Oppure alla pia pratica devota di pregare per i defunti – la sorella – : « O tu, sorella, che / più nulla soffri, o assunta in luce, o eterna / in Dio, prega per tutti, / prega per me ».  Gli uccelli a loro volta annunciano « ogni alba, con le frecce delle rondini, / la campanella  

Ivi, p. . Ivi, p. -.

 

Ivi, p. . Ivi, p. .



Ivi, p. .

LA ‘ RELIGIOSITÀ ’ NELLA POESIA DI ADA NEGRI  della messa prima » (Chiesa di Vigo Lomaso). Nella poesia Litanie la comprensione di questo pio esercizio, che recitavano le famiglie cristiane alla sera, dopo cena, in raccolta attorno al focolare, assume i toni di un lirismo intimo e pieno di calore familiare, quando padre madre e figli : Ma piano essi accompagnano il tuo cantare ; e la voce tua sorge su l’altre a zampillo, fontana di fede. Voce da Dio venuta, voce che a Dio ritorna, più non s’alza che a laude di Cristo e dei santi in cielo. 

uasi in chiusura la raccolta Il dono offre due poesie Preghiera per l’agonia, Preghiera per la morte. Nella prima « Ti supplico, Signore, per colei / che sta morendo senza ch’io possa / essere accanto. […] La materia / è dura a sprigionar l’anima ; ed io / nulla posso per lei, fuor che pregarti, / o Padre nostro ». Nella seconda ricordando il nome della defunta Delia : « Or ti chiediamo : ove andò Delia, / Delia-respiro, Delia-anima, Delia / spirito ardente che alla propria fiamma / noi riscaldava ?… ».  La poesia Il Giglio assume l’aspetto di un offertorio finale e riparatore per le dissipatezze della sua vita con il motivo della morte : « uando chiamarmi / vorrà il Signore, io che strappai le rose / di tante siepi, che mi punsi a tanti / pruni e raccolsi tante spighe ai campi, / offrirgli non potrò se non quel giglio ».  Oppure con l’insistenza della morte che in lei viene sempre connessa all’eterno o a Dio esplicitamente richiamato (come nella poesia Amor di terra : « Segnato è il giorno in cui la fiamma, accesa / in me da Dio, diverrà cielo ; e il corpo / che quella luce in sé contenne, terra ».  Consapevole che l’« itinerarium animae in Deum » costituisce un percorso ampio e pieno d’insidie, ella sembra muoversi dalla concezione antropologica paolina dell’antagonismo tra la dialettica antitetica di sensi e di spirito, tra sensualità e desiderio di purezza, tra corpo e anima. In cammino, sempre nella raccolta Il dono, riporta questa lotta interiore, quale combattimento dilacerante dello spirito per ritrovare conferma nel punto di riferimento nella spiaggia dell’orizzonte di fede trascendente della tradizione cristiana, con l’adesione del cuore. […] Ma, ohimè, sì duro è il corpo a snaturarsi dalla troppa fonda ricordanza dei sensi : e sì ribelle l’ultimo sogno a scomparir dal cuore. Eppur, lo sai, viver bisogna, s’anche vita non sia più vita ; ed al comando obbedisci ; e in silenzio armi di fede l’anima per andar sino a quel punto che Dio non dice, ma che a tutti è fisso. 

A questo punto di riferimento cronologico nel suo cammino ella si veste di meno commistione di natura, sia pur ornamentale, sembra piuttosto preferire il denudato e puro rapporto religioso a Dio nella seraficità e nel candore francescano. In Ada Negri la metamorfosi verso il divino ha compiuto il suo percorso e ha raggiunto Dio con l’adesione intima dell’intelletto riscaldato dal fervore del cuore da riformare, dando come esito maturo un sentimento globale umano di opzione fondamentale a Dio. L’Onnipotente viene invocato in tutti gli eventi qualificanti l’esistenza umana come il mistero del dolore, l’enigma della morte che pongono nell’anima un sigillo di silenzio invalicabile come « l’eterno », poiché : « t’offre la morte un manto di sovrana / tutto candido raso costellato / di gemme ; e tu non puoi / ribellarti a portarlo ». Di fronte a questo supremo epilogo umano altro non resta che accettarlo « con serena e casta / umiltà, mentre su un rosario intrecci / le dita in pace » (Il manto bianco, da Il dono),  così scriveva in morte di Delia.   

Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. .

 

Ivi, rispettivamente pp. - e .  Ivi, p. . Ivi, pp. -.

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L’opera a cui prestò maggiore riflessione artistica e una più approfondita cura per conferire fondamento al formarsi del suo ‘fenomeno’ poetico che s’era imposto all’attenzione dell’Italia, è certamente la Fons amoris (), uscita postuma, ad un anno dalla morte, quando la società italiana stava superando le ferite del drammatico disastroso secondo conflitto mondiale. Proprio nel Natale del  mentre riceveva lettere da tante sventurate mamme italiane con i figli in guerra morti, feriti, nei campi di concentramento o dispersi e lei non sapeva come rispondere e consolare, si trova « sola fra solitudini di campi / bianchi di neve è la capanna santa : … / tutta la terra è una preghiera e un pianto »  sia in chi stava per vincere che in coloro che ormai erano destinati alla disfatta (Natale di guerra, da Fons amoris). E ancora la sua preghiera diventa implorazione : « Signore, in nome / di questi primi fiori / d’aprile, che innocenti aprono gli occhi / fra odor di sangue, eco di stragi, pianto / di popoli, perdona / perdona a noi, Signore » (L’albicocco da Fons amoris)  perché anche lei si sentiva coinvolta in una specie di colpa collettiva. Certamente la sua ammirazione per il primo Mussolini socialista degli anni Venti era stata evidente, anche se le sue preferenze erano andate al socialista Turati, moderato, democratico, responsabilmente riformista senza impeti di nazionalismo imperialistico, come si rivelerà ben presto il fascismo. Del resto nei riguardi del Duce le sue intime convinzioni sono riportate da Vincenzo Schilirò, secondo il quale il coinvolgimento italiano nella guerra mise in evidenza il bolscevismo russo, tirannia che sostituiva « il deprecato czarismo », e scoperse anche per la Negri certe « falsità del socialismo italiano », da cui il nazionalismo massimalista mussoliniano derivava. Fu allora che Ada Negri prese lucida consapevolezza che « il mio dramma – mi disse una volta l’amica (confidandosi con Vincenzo Schilirò) – fu il dramma di tanti, cominciando da Mussolini ».  Anche se la Negri si tenne sempre equidistante dalla mistica fascista militante, il suo nucleo di pensiero iniziale di socialismo intriso di cristianesimo, del cui contenuto teologico andava sempre più arricchendo la sua anima, ritorna nell’ultima grande apparizione poetica Fons amoris nella implorazione a Dio padre, che ormai supera ogni forma di religiosità popolare per approdare ai vertici dell’esperienza cristiana : Padre, se mai questa preghiera giunga : Padre, se mai questa preghiera giunga al tuo silenzio, accoglila, ché tutta la mia vita perduta in essa piange : e s’io degna non son, per la grandezza del bene che invoco fammi degna, Padre. uando morta sarò, non darmi pace né riposo giammai ne le stellate lontananze dei cieli. Sulla terra resti l’anima mia. Resti fra gli uomini curvi alla zolla, grevi di peccato : con essi vegli, in essi operi, ed essi della tua grazia sia tramite e luce. 

Si arriva in questo modo senza tante strategie letterarie o estetismi d’origine dannunziana al cuore stesso del cristianesimo, al Dio padre e compassionevole nella redenzione del Figlio e alla solidarietà tra tutti gli uomini con il messaggio poetico della Negri che continua a vivere  Ivi, p. . Nell’anno d’uscita di queste poesie –  – l’Italia sentiva una forte esigenza di eticità e di riforma morale. uesta silloge, testamento spirituale della Negri, s’inserisce in questa esigenza e l’esprime al meglio. Nelle scuole ancora si leggevano le sue poesie.  ADA NEGRI, Poesie cit., p. .  VINCENZO SCHILIRÒ, L’itinerario spirituale di Ada Negri, cit., p.  e XVIII ; e ADA NEGRI, Poesie, cit., p. XVIII. Alla sua morte -- e subito dopo la liberazione ( aprile) la stampa quasi in generale fece silenzio su di lei. Forse aveva contribuito a questo anche l’aver avuto un seggio nella Accademia d’Italia ().  Ivi, p. . Liberarsi dall’accessorio devozionale, che prima del Concilio Vaticano II poteva ingombrare l’essenza del mistero cristiano, per approdare allo splendore di Dio padre costituisce una maturazione e una conquista spirituale non comune.

LA ‘ RELIGIOSITÀ ’ NELLA POESIA DI ADA NEGRI  – sfidando l’oblio universale della morte – tra tutti gli uomini piegati dalla fatica del lavoro – « curvi alla zolla » – e sotto il profilo morale « grevi di peccati ». Anche lei con « la sua luce » prolunga la sua presenza di « luce » ai diseredati e alle più umili classi sociali. L’Appendice a Fons amoris rivive in maniera drammatica e in prima persona tutta la tragedia dramma della seconda guerra mondiale con la trepida partecipazione della donna che fa sue le sofferenze di tante madri. uesta particolare tensione appare nelle poesie Croce rossa, Pifferata del Natale tragico, Soldato d’Italia. Non si possono tralasciare personaggi particolarmente toccanti come quello in Mater con il figlio morto in guerra : « Tu porti il tuo dolore con la calma augusta / delle sovrane che reggono il peso della corona. // Non piangi, non urli : componi in te stessa il tuo figlio / come in una culla di carne, coperto di veli ».  In questa nutrita Appendice le preghiere ormai mostrano una Ada Negri che si muove all’interno di un cristianesimo ricco di contenuti ascetici e mistici, ormai pervaso dall’intensità essenziale del messaggio cristiano, vissuto ai vertici d’una esperienza che si può considerare ormai appartenente alla fase mistica, come nella elevazione orante di Preghiera vespertina : Io ti prego, Signore, con le voci degli uccelli nascosti entro la selva […] ; e tutte formano una sola, che invoca : “Dio Dio Dio” perdutamente, e ignoro se letizia più dica, o se speranza, o se dolore che a Te si raccomanda, a Te, tremando confessor d’ogni male, Dio Dio Dio. 

E lei – la Negri continua nella Preghiera vespertina – ormai stanca e delusa dalla vita, e anche rimasta isolata senza più la critica che la sosteneva e sotto l’incubo della guerra, i bombardamenti di Milano e di Parma, avverte l’estenuazione del suo essere come mortale nella prossimità del suo tempo che stava per scadere : « Nulla io sono, Signore, e tu sei tutto ». Risvegliando, nel contempo, l’antitesi d’essere immortale, come quando stila una poesia sul Cipresso di Castel Toblino, che diventa emblema d’immortalità : « Sei / senza dolore e senza morte, come / queste montagne indifferenti, e questo / lago che indura in verde opaco vetro, / e il torrione, nido / di falchi e di silenzio, / del tuo castello ». E anche nell’altro componimento poetico Insonnia, rivive nel sonno che tarda a venire con tutti i suoi morti in una specie di immortalità rovesciata, in cui fa risuscitare i morti nell’archivio della memoria che non conosce oblio : « Ad uno ad uno : i miei morti risorgono dentro di me. / Più belli che in vita, più grandi, con riso d’amore ».  Rivolgendosi in un soliloquio intimistico in Anima mia con uno sguardo sintetico riassuntivo di tutta la sua vita lei resta solo « splendente come torcia accesa » (Vita ch’io vissi) e si sente : così smarrita, un filo d’erba, un’ombra di nube, un nulla, accostarti al Signore, e dirgli : “Padre, eccomi a Te” ? Nel tempo senza misura nella luce che ignora alba e tramonto ma splende al rogo d’un meriggio eterno. 

uesto viaggio nelle montagne della trascendenza della Negri tratto dalle sue poesie andrebbe opportunamente allargato con i suoi articoli, i suoi libri – in particolare Stella mattutina () – e soprattutto la sua corrispondenza. In « Le Missioni illustrate » dei Saveriani uscì un suo articolo su S. Teresa di Lisieux patrona dei missionari (). Della santa carmelitana lesse la  

Ivi, pp. -. Ivi, per le due poesie sopra riportate, rispettivamente pp.  e .

 

Ivi, pp. -. Ivi, p. .



PIETRO ZOVATTO

Storia di un’anima, Consigli e ricordi, Le lettere, Le poesie e Novissima verba. Era questa santa una delle sue predilette assieme a S. Caterina da Siena, a S. Francesca Cabrini su cui desiderava scrivere una monografia con l’editrice Morcelliana di Brescia.  Anche gli altri due campioni della mistica ortodossa spagnola, S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce, rientravano nella cerchia della sua predilezione. Su S. Teresina del Bambin Gesù rifletté a lungo prima di stendere l’articolo menzionato in relazione con il padre saveriano Giulio Barsotti di Parma. Per vicinanza ideale di vita interiore coltivata nella solitudine che molto amava, tanto che desiderava ritirarsi in un convento (come fece per un mese), ella scopre le affinità elettive spirituali, che assumevano un significato autobiografico preciso. Ciò che Ada Negri scrive della Santa può essere considerata la confessione di un credo privato e pubblico personalmente condiviso : “Se i miei desideri verrano esauditi – scrive S. Teresa del Bambin Gesù – il mio cielo passerà sulla terra fino alla fine del mondo. Voglio passare il mio cielo a far del bene sulla terra”. “Lascierò sulla terra una pioggia di rose”. “Bisognerà che Dio faccia nel cielo la mia volontà, dato che io sulla terra non ho fatto che la sua”. È il grido sublime. “Sì, ho trovato il mio posto in seno alla Chiesa. Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore ; e così sarò tutto” […] Sola col proprio amore e senza altro appoggio che la Croce – scrive Ada Negri – impose all’anima di dilatarsi fino a non aver più limite : le impose di credere quando una densa muraglia d’ombra si drizzava fra essa e l’aldilà… ella riviveva spesso, intensamente, la tragica sublimità del proprio conflitto interiore. 

uesto ‘autoritratto’ involontario ritrovato nella personalità di Santa Teresina del Bambin Gesù si inoltra all’interno della personalità della Negri. Aveva un carattere tenero e forte che sapeva trarre, soprattutto nella giovinezza, le gioie o i pieni abbandoni dell’attimo fuggente, ben presto trasformato in peso della vita per le sventure familiari e infine anche per la guerra – la prima e soprattutto la seconda – che visse come un dramma personale. Nel suo spirito dimostrava un forte senso del proprio sentire virile, fino a nuocersi e a rendere difficili i rapporti con lei, tanto da doverla avvicinare con tatto e cautela (« rivive in me l’altera / quercia selvaggia che non crolla al vento » in A Te, mamma da Tempeste). uesta spigolosità d’una personalità robusta andò via col tempo diminuendo fino a trasformarsi interiormente coadiuvata dalle amicizie di ecclesiastici illuminati. La presenza di larghe seminagioni evangeliche nelle poesie e negli scritti è ben testimoniata da una lettera scritta all’amico Vincenzo Schilirò, che su lei ha lasciato un primo abbozzo di Itinerario spirituale di Ada Negri : Anime incontratesi con me per il tramite dei miei versi o delle mie prose, nel desiderio di trovar Dio. uante ! Da anni vivo in mezzo a questa continua vibrazione d’anima in ansia di purificarsi, combattuta fra le passioni terrene e l’anelito verso la rinunzia e il cielo. Pochissimi sono i critici che hanno capito questo. E pure questo è il segreto per il quale la mia poesia vive. 

Sarebbe improprio porsi dal punto di vista di un apostolato intellettuale della poetessa che si ponesse come precipua finalità l’edificazione del prossimo, certo è che ella man mano che si avvicinava alla essenzialità cristiana sentiva la responsabilità di un dono arcano e misterioso – quale è la poesia – e lo sentiva come una missione sociale da offrire gratuitamente e disinteressatamente a quanti la conoscevano. Si è parlato da ammiratori e critici del « carattere missionario della sua opera » perché, soprattutto durante la guerra, numerose erano le mamme con i figli al fronte che si rivolgevano a lei per sentire un grido di condivisione per « nutrirsi dell’altrui dolore ». Rispondeva con la speranza soprannaturale come un padre dello spirito :  A madre Cabrini dedicò una poesia – Madre Cabrini (ADA NEGRI, Poesie, cit., p. ) perché colpita da quella forte personalità sospinta in missione dal « vento della carità / con l’amorosa furia della parola di Dio ». Sulla Cabrini si v. pure un profilo : ADA NEGRI, Prose, cit., pp. - : Casa di madre Cabrini.  ADA NEGRI, S. Teresa di Lisieux patrona delle missioni, « Missioni illustrate », , , pp. - e anche Le prose, cit., pp.  VINCENZO SCHILIRÒ, L’itinerario spirituale di Ada Negri, cit., p. . - : Santa Teresa di Lisieux.

LA ‘ RELIGIOSITÀ ’ NELLA POESIA DI ADA NEGRI  « Bisogna pregare, nient’altro che pregare ». E soprattutto in Fons amoris, ma anche nelle opere poetiche precedenti la Negri esprimeva in tante poesie autentiche ‘preghiere’, come se fossero salmi davidici sussurrati in soliloqui nella sofferenza vissuta, gemendo con il pianto di tutti davanti a Dio rimasto unico valido referente. La Negri conclude in siffatta maniera un arco esistenziale che, iniziato in maniera ascensionale, lasciato lo squallore di povertà infantile, trovò dapprima la via del riscatto sociale e subito quello dell’affermazione culturale : « Del tuo bel sangue / nutriva ogni atto dell’acerba vita / e della gola, liberato in canto, / le sgorgava echeggiando a monte e a valle » (Vita ch’io vissi, Appendice a Fons amoris). La sua liricità pur cantando gli umili, i diseredati, i poveri, le prostitute, le donne sottomesse e tradite dai mariti,  gli ammalati, la guerra funesta, si mantiene sempre ad alto livello. Nell’ultima poesia di Fons amoris (Padre, se mai questa preghiera giunga) conclude il suo canto con un desiderio struggente di amore universale tra tutti i popoli consapevoli, finalmente, della solidarietà fraterna che li unisce nella loro origine : Giorno verrà, dal pianto dei millenni, che amor vinca sull’odio, amor sol regni nelle case degli uomini. Non può non fiorire quell’alba : in ogni goccia del sangue ond’è la terra intrisa e lorda sta la virtù che la prepara, all’ombra dolente del travaglio d’ogni stirpe.

Sotto il profilo religioso emerge la progressione di un itinerario religioso del suo lento ma evidente procedere e maturare spirituale, che raccoglie certo le suggestioni d’una religiosità popolareggiante di base, che per sua natura si presta alla disponibilità immediata dell’intreccio poetico, perché radicata nell’« homo naturaliter christianus ». Ella, tuttavia, in seguito con una acerba lezione di vita superò questo tipo di devota attitudine spontanea e connaturale delle umili classi del popolo per approdare allo splendore di verità della sostanza del messaggio cristiano. Scoprì via via il volto di Dio padre, buono e accogliente – che rappresenta il cuore della rivelazione in Cristo – pur nella « notte misericorde » delle prove tra cui la sudditanza femminile alle intemperanze di un maschilismo prevaricatore (Le solitarie, ). Intravvide, senza possedere una cultura religiosa superiore – le intuizioni fondanti la fede – come la permanente posizione dell’uomo di trovarsi in una continua situazione passiva e attiva di redenzione nella fragilità del quotidiano. Soprattutto scoperse l’inconsistenza della condizione umana con « un calmo senso religioso » (F. Flora) e una viva esigenza della trascendenza di fronte a un Dio che « è tutto » e nella cui onnipotenza creatrice la sua creatura ritrova, gridando, se stessa, pur essendo « un filo d’aria », « un nulla ». Ada Negri, superata ogni tentazione di estetismo duro a morire, lasciò, tuttavia, delle liriche formalmente perfette nel loro dettato poetico. E in particolare, liberandosi da influenze, che potevano apparire troppo estranee ingerenze di grandi maestri, riuscì a liberarsi dal dannunzianesimo, anche se in lei riemerge talvolta qualche sussulto carducciano e molta ‘levitas’ pascoliana. Al termine della sua sofferta parabola poetica, innalzò la sua « torcia accesa », « la fraterna fiamma », esprimendo il senso della sua presenza, moderna e anticipatrice (un suo femminismo particolare e il senso del sociale), sul panorama della cultura nella prima metà del XIX sec. Rivelandosi come una personalità poetica vigorosa di raffinata sapienza nell’ambito della tradizione religiosa, che ricongiunge la creatura, spiritualmente matura al dono, al suo creatore, il terreno all’eterno, mantenendo ad alto livello la vocazione artistica di un compiuto umanesimo cristiano, come poche altre donne nella storia della letteratura del Novecento.  Si veda Le solitarie, Milano, Treves,  : Storia di una taciturna, si usa l’ed. ADA NEGRI, Le prose, cit., pp. -, da dove emerge la sua bontà (pur avendo peccato di omissione nei riguardi del marito morente dopo l’ennesimo tradimento) quando dice al parroco confessore (p. ) : « Espio come posso. Ma è così dolce curare i malati, assistere i moribondi, insegnare ai bambini !… Nutrirsi dell’altrui dolore, per confortarlo, è gioia, è felicità ».

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L

A nascita di una piccolina riempie la casa e il cuore suo. Cara Ada Negri – e io non ebbi voce per rispondere alle care sue parole. Oggi è giornata santa e trovo coraggio per questa parola d’amore che vi mando. Dunque : amare e benedire la vita. Sempre sua. Eleonora Duse » ;  la lettera fu inviata probabilmente il  dicembre , anno in cui, nell’ottobre, nacque Donata, la nipote della poetessa. La citazione entra nel vivo dell’argomento e testimonia l’affettuosa simpatia che unì le due donne ; una stima legata all’impegnativo ruolo dell’attrice, che richiedeva di immedesimarsi di continuo nelle tante figure umane interpretate sulla scena. Ruolo assai affascinante per la poetessa di Lodi che nella lirica Io, nella raccolta Dal profondo, si rappresenta, tra altri ritratti che evocano le sue molteplici anime, così : I brividi dell’odio e dell’amore finsi per mille pubblici, su palchi di legno : ed ogni folla che s’accalchi suscita in me l’alto ricordo in cuore. Flessi a ogni gioco la mia grazia varia, vita morte follia da me fu espressa : Cordelia pia, Desdemona sommessa, Lady Macbeth sinistra e sanguinaria. La mia bocca mutevole in un’ora ebbe note di gioia e d’innocenza, e lo stupor del sonno e la scienza del male, e l’urlo tragico che implora. A me ogni sera rinnovò l’incanto d’esser diversa, di scordare il mio sogno per altri sogni, il pianto mio per l’aspra voluttà d’un altro pianto. 

Di tale immedesimazione era capace sui mutevoli scenari della vita reale ; si sentiva, per questo dono d’umanità, vicina all’artista teatrale, nella quale pure si era identificata con trasporto, dopo aver saputo che aveva sofferto, provato angustie e difficoltà.  Infine la missiva svela che entrambe le donne d’arte si riconoscono nel coraggio di amare e in esso trovano la loro autentica definizione. « Dunque : amare e benedire la vita », parole d’incitamento prima di tutto per chi le scrive ; quando Ada Negri le riceve si è già data, più d’una volta, tale sprone, riassunto in quel suo imperativo : « Lèvati, e cammina », che intitola una sezione di Esilio e la poesia che la introduce. Sempre la scelta della Negri, donna o poetessa, è per la vita ; essa è da accogliere al suo nascere, da aiutare nel suo compiersi, da salvaguardare nelle difficoltà e sostenere nella sofferenza fino all’atto estremo della morte. Tutto ciò è possibile in virtù di un’unica forza che  La lettera è riportata in Poesia ed arte per il Giubileo , a cura dell’Associazione « Poesia, la Vita », Lodi, La Fenice Grafica, , p. . Manca, in alto, vicino al mese, l’ indicazione dell’anno.  Io, in Poesie di Ada Negri, Milano, Mondadori, , p. . Di seguito indicato come Negri.  « E così io fui… ecco, io fui uguale ad una di quelle giovani attrici nate in un baraccone di saltimbanchi ; cresciute sulle tavole dei palcoscenici di quart’ordine, ignare di uno studio regolare, fine, classico di dizione e di gesto : ma che un giorno, dovendo rappresentare un carattere, un tipo che si incarni con le qualità essenziali del loro temperamento, trovano per incanto il gesto e l’accento che convince, la sfumatura che innamora, la passione che travolge, l‘espressione della verità fatta di nulla e di tutto », « Nuova antologia », Roma, CXVIII, , p. .

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ANNA BELLIO

è l’amore e infatti, rivolgendosi, in un momento difficile della sua vita, A un suicida, la poetessa scrive : Stolto !… ed eccoti lì, come uno straccio. […] Sei vuoto, ora. Sei diaccio. […] Non più bocca hai per la voce, né mano per carezza, e cuor per fede. Ah, sol per questo, vivere era bello, sia pur soffrendo !… piangere o godere, abbrividir di strazio o di piacere, che importa pur di esistere, o fratello ?… Io non voglio il tuo sonno. Io d’una cosa sola ho il ribrezzo : della morte. – Il resto è gioco, anche il dolor più orrendo, questo dolor che tutta m’ha pesta e corrosa : e più esso m’ affanna, e più vibranti fiamme attizzo al mio fuoco d’energia : e poi che andar bisogna, e tu la via mi sbarri, ti scavalco, – e passo avanti.

Ella intende, dunque, vivere. Nei versi di Immortale si dichiara attratta da ciò che è nobile e intenso ; celebra, nel contempo, la poesia che, in quanto potenziamento di sensibilità, è incremento di vita e quindi non potrà estinguersi : Io voglio, io voglio vivere […] per tutto ciò che nasce, per tutto ciò che spera, che fra le nubi e l’alme solleva una bandiera, che ride a un ideal, che su la terra come foco d’incendio splende, che pugna e che trionfa, si spegne e si raccende, fato, mi vo’ immortal ! 

Personalità dalle tinte forti, la giovane di Lodi ha un colore preferito : il rosso del sangue. Ed esso è liquido, è elemento che scorre, vivo dunque e per lo più sentito palpitare, cantato pulsante d’amore, ribellione, dolore, passione. Nel suo svolgersi metaforico, il linguaggio poetico gli accosta la fiamma e il fuoco, nel procedere metonimico il cuore e le vene. Simbolo della vita come della morte, della violenza che è sottesa a entrambe, è nella presenza di contrasti che l’immagine del sangue fa, della Negri poetessa, un’eroina al limite del tragico, vocata a due missioni che avverte in conflitto : la poesia e la femminilità. Entrambe urgono e al sangue si riconducono. Così si legge in Marchio in fronte, nella raccolta Fatalità : Una zingara snella in vesti rosse mi toccò in fronte con un dito, e rise. Un tremito mi scosse. Ella disse : « Tu porti un marchio in fronte, inciso in forma di bizzarra croce. Tu porti un marchio in fronte. Degli anni tuoi nel fortunoso giro sempre l’avrai con te – poi che l’impresse il morso d’un vampiro. 

NEGRI, A un suicida, p. .



Ivi, Immortale, p. .

«MATERNITÀ!.../SARAI LA SALVEZZA DEL MONDO»



Ei della vita tua la miglior parte avido succhia, e il fuoco di tue vene ; e quel vampiro è l’Arte.

In Rosa appassita, dalla stessa raccolta, la poetessa simboleggia, in una rosa ripiegata sul gambo, « la nausea de la vita » per esuberanza d’amore, « l’ebbrezza della morte » per sfinimento e si pone quasi in concorrenza con il fiore per desiderio di donna : Ed un desio mi nasce : essere morsa al cuore, esser baciata in bocca, provar gioie ed ambasce la follia del trionfo, la follia del dolore […] O triste fior sfogliato consunto di dolcezza, o fior mite e soave, senti : non vo’ morire prima d’avere amato. 

Si noti : la violenza del morso è collegata all’arte come all’amore d’un uomo ; quest’ultimo ha però, rispetto alla prima, risorse limitate ; come quindi la Negri accoglierà un possibile innamorato ? Leggo da Vieni ai campi… : Vieni ai campi con me !… […] Vieni con me nei boschi, o mio poeta, ma non dirmi d’amor !…

La « luce », la « festa », gli « incanti » della natura attraggono la giovane Ada, che esclama « che amor possente e che possente amplesso / della terra col sol !… », infine, rivolta al misero ammiratore : Tu dar non mi potrai quel bacio eterno.…fatto di debolezza e gelosia, di fosche nubi e di rose d’inverno, di febbre e di timor, dell’infinito innanzi all’armonia, dì, che vale il tuo amor ? Io voglio, io voglio i campi sterminati ove fremono germi e sboccian fiori ; come snella puledra in mezzo ai prati, io voglio, io voglio andar ; dell’iride vogl’io tutti i colori, tutti i gorghi del mar !… Strappar le fronde e calpestar gli steli, goder l’eccelsa libertà montana, sul vergin picco che si slancia ai cieli batter felice il piè ; e assopirmi nel sol, come sultana nelle braccia d’un re !… 

In queste giovanili prove poetiche, ha dunque la meglio la poesia sulla femminilità ; la poetessa  

Ivi, Marchio in fronte, p. . Ivi, Vieni ai campi, pp. -.



Ivi, Rosa appassita, pp. -.

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ANNA BELLIO

comunque, volitiva e sensuale, aspira a vivere “natura” nella natura e si abbandona, infine, all’amplesso, non già con il giovane corteggiatore, bensì con il sole ; questo solo la fa sentire una « sultana ». Anche in Non posso aveva respinto lo sguardo innamorato che « par che tutto mi sugga il cor pulsante ».  A ben leggere oltre la lettera delle intenzioni così impetuosamente dichiarate, ci si avvede che i « germi che fremono », i « fiori che sbocciano », quello « strappar le fronde e calpestar gli steli » e il conclusivo abbandonarsi al sole dopo il battito felice del piede sul « vergin » picco sono una trasfigurazione poetica, in chiave di intenso panismo, del corteggiamento e dell’aspirazione della donna all’amore umano e alla procreazione. Poesia e femminilità hanno trovato la via per conciliarsi. Come rinnegare, del resto, quell’Istinto materno che le fa scrivere, nella raccolta di tre anni successiva : Non un bimbo da me !…l’appassionata mia giovinezza si dilegua sola : e d’un trepido olezzo di viola profuma l’erba non ancor falciata. O baci de la culla !… o immensurata gioia che d’ogni lutto il cor consola, o prima soavissima parola a una boccuccia d’angelo insegnata !… Io questa invoco dignità feconda che dal mister de l’anima sprigiona larga d’affetto inestinguibil onda : questa rosa divina al sol fiorita, questo schianto di viscere che dona tutta la vita nostra a un’altra vita.

Sorvolando sul senso metaforico dell’« erba non falciata », in apertura, e della « rosa fiorita », in chiusura, della quale si dovrebbe poi ricordare l’occorrenza nella poesia sopra citata, mi soffermo sul verso che avvia il secondo tempo del sonetto, a inizio della prima terzina : « lo questa invoco dignità feconda ». La confessione è inequivocabile e la soluzione del conflitto tra le due missioni, una di poeta e l’altra di donna e quindi mamma è compiuta. Se si torna alle immagini provvisoriamente sacrificate, si ha una conferma, tra le tante, del panismo come elemento costante nella poesia negriana che, modulata in continue variazioni sui temi della vita, dell’amore, della nascita, della morte, della lotta, dell’ingiustizia, della solitudine, del tempo, di Dio, alle manifestazioni viventi della natura fa continuo riferimento. Accade pure nella poesia della maternità, la quale, dalle prime sillogi all’ultima, si dipana su una trama che lega passione, amore per il partner, dolcezza di mamma e tenerezza di figlia, solidarietà con l’universo delle mamme e sentimento della natura, fino a risolversi, tali sentimenti, materno, filiale e naturale, in amore per Dio. I versi dedicati specificamente alla maternità sono un momento in cui tutto, nell’ispirazione della Negri, si tiene e si comprende, giustificandosi, il senso della vita, nella solenne celebrazione del mondo umano e naturale creati a immagine e somiglianza di Dio, riversatosi in essi per « magia d’amore ». In ogni nascita umana si rinnova dunque il gesto d’amore divino : alla magia della creazione si sostituisce, è chiaro, la realtà della generazione che l’umanità condivide con la feconda natura vegetale, rappresentata con insistenza in una variata gamma di metafore, per dir così, fecondatrici. Donna e terra si somigliano ; si legge in Contadina : « Bestia opulenta e morbida, che ridi / a me col riso de’ bei denti bianchi, / tu somigli alla terra ; ed i tuoi fianchi / dan figli come il solco dà la spica ».  In Maternità, lirica della omonima raccolta la poetessa ribadisce il miracolo d’amore che tanto le sta a cuore, e che è anche al centro della sua poesia sociale, implorando : « Gettate in pace il seme nei solchi del campo comune / mentre le forti mogli sorridon, cantando, a le cune : / nel sole e ne la gioia mietete la spica matura, / grazie rendendo in pace a l’inclita madre, Natura ».  

Ivi, Non posso, p. . Ivi, Contadina, p. .

 

Ivi, Istinto materno, p. . Ivi, Maternità, p. .

«MATERNITÀ!.../SARAI LA SALVEZZA DEL MONDO»



È evidente : madre per eccellenza è la « Natura », non per niente personificata. Celebrata in altre due poesie, Terra in Tempeste e Madre terra in Maternità, essa svela, nella prima, il panismo carico di sensualità della Negri, che celebra la gioia della fecondazione e della nascita. La poetessa descrive la festa della terra, quasi tripudio orgiastico di energie rinnovatrici, durante l’estate ; dà prove di fervida vivacità lessicale e metaforica, al tempo stesso aulica e innovatrice, ripiena di emozioni palpitanti affidate a un’aggettivazione ricca, lussuriosa, esuberante di colore, calore e simbologia, testimone di quelle tinte forti ricordate all’inizio dell’intervento : sangue, dunque, fuoco, morso, violenza. Scrive : Dammi una zappa, un erpice o un rastrello ; a me non cale che l’estate avvampi : sotto il bacio del sol vivido e bello vo’ lavorar ne’ campi. così discinta, con le braccia nude, le vesti rialzate a la cintura ! […] Giù cravatte e gioielli !…al foco il vano busto ove il petto sta qual fior di serra !… Chiediam la luce e il solco, e l’aer sano : alla terra !…alla terra !… ual pienezza di vita entro la bruna zolla che s’apre de la vanga al morso, e insetti e semi e caldi amori aduna !… Come in eterno corso van le linfe gioiose, risucchiate con eterno desio dalla radice, dai tronchi e da le foglie al vento alate, qual latte di nutrice !… È il baccanal del verde e del frumento, del buon frumento da le spighe d’oro maturanti in silenzio a cento a cento nel sol di messidoro : […] tutto, con franca voluttà superba, si bacia al sol fiammante. Alla terra !…alla terra !…Laceriamo il seno e i fianchi de la madre antica : il tesoro dei frutti a lei strappiamo e la gonfia spica.

A distanza di circa dieci anni, in Madre terra il rapporto della poetessa con la materia vibra di una spiritualità nel segno del divino. La generosa madre è gravida dello spirito soprannaturale e gli uomini : Chini sovra il mio cuore dal ritmo innumerevole, sapranno la verità che Iddio, sul basso inganno degli uomini, e l’errore, pose. – E dal mio possente seno gonfio di germi e di dolore zampillerà per quelle bocche in fiore la magica sorgente 

Ivi, Terra, pp. -.



ANNA BELLIO di vita : polla d’acque fresche come nel biblico mattino, quando, vergin di forze, ad un divino cenno la vita nacque ». 

Appare qui placata la concitazione dei versi precedenti ; la poesia svolge il tema, tradizionale, del conflitto tra natura e città, ma la Negri lo convoglia entro il mito della grande madre privilegiando la forza di quest’ultimo appellativo ; lo riserva alla figurazione della terra benevolente, che abbraccia le creature chine sopra il suo cuore, bisognose di verità tradita fra l’egoismo, gli intrighi, l’artificio della vita associata cittadina. Anche uasimodo porrà il suo uomo sul cuore della terra come su un cuore di madre che aiuta a sopportare l’affanno della vita. Così in Dialogo, dove la poetessa immagina il colloquio drammatico tra nascituro e madre : il primo teme dolore, menzogna e violenza, la seconda promette amore, verità, e luce ; non nega la croce, ma lei, che così completa la sua missione, aiuterà a portarla : « O figliuolo, temprando io ti vado la spada e la maglia : di atleti ha bisogno la santa battaglia : tu forse cadrai, ma non solo : ché al fosco tuo cor la mia voce dirà le parole d’un’unica fede : saprò, lacerando la veste ed il piede, portare con te la tua croce. » « O madre, nel sogno, fra queste penombre fiorite di sante corolle, per sempre abbandona colui che non volle venire a le vostre tempeste… » « O figlio, al solenne richiamo nessuno è ribelle. Se amore t’adduce, fiorisci al tuo sole, t’avventa a la luce, vivi, ardi, sorridimi : io t’amo ». 

La conclusiva esortazione alla vita e la seguente dichiarazione d’amore non ammettono ulteriori repliche ; il che non meraviglia se si pensa che spesso, nella Negri, l’amare è proclamato come un efficace comandamento risolutivo delle tensioni, né si dimentichi con quanta insistenza lo esalta all’origine di ogni forma di vita, anzi con la vita stessa lo identifica e in esso e per esso si smorzano i toni tragici sottesi anche a tante poesie della maternità. Non c’è quasi raccolta che non contenga poesie ispirate dalla figura della propria madre o dedicate alla funzione di madre, da Fatalità a Fons amoris. In Fatalità l’autrice canta sia il proprio istinto materno sia la nostalgia della tenerezza filiale. Il repertorio di immagini cui attinge è quello della personale esperienza di giovane maestra. Lontana dalla casa d’origine, alle prese con la fatica quotidiana di riscatto da un mondo di povertà e umiliazioni, ella si rivede in un Birichino di strada ed ecco che subito vorrebbe : « scender nella via / e stringerlo sul cuore », comportamento che è preludio all’effusione degli affetti materni che accompagnano la naturale maturazione muliebre. Più espliciti, in questo senso, i versi di Sinite parvulos, nei quali si offre madre all’orfano : Se nel crocicchio d’una via deserta o in mezzo al mondo gaio e spensierato incontrate un bambino abbandonato, pallido il viso e la pupilla incerta, 

Ivi, Madre terra, p. .



Ivi, Dialogo, pp. -.

«MATERNITÀ!.../SARAI LA SALVEZZA DEL MONDO»



che d’una madre il bacio ed il consiglio abbia perduto, e pianga su una bara la memoria più santa e la più cara, oh, portatelo a me !… Sarà mio figlio.

In Nenia materna e in Pur vi rivedo ancor narra la nostalgia della propria infanzia ; sono poesie che parlano del sentimento materno, generoso di sacrificio, esempio, lavoro, silenzio, approdo sicuro e fidato, insostituibile esperienza d’amore. uando una grave malattia colpì la madre, la poetessa compose la lirica Pietà : « Io t’invoco, o Signore, / che nel buio mi guardi. […] fa che d’amor, di gioie / fa che di tutto priva / io sia, tranne di lagrime… / Ma che mia madre viva. / Pietà ! ».  L’inestimabile valore della presenza materna è ribadito nella dedica della raccolta Tempeste che si avvia con la lirica A te, mamma : Io sono forte, è vero, io son la quercia che non crolla al vento ; e una legge d’amor rinnovatrice d’uomini e cose ne’ miei canti freme, eterna come il seme, come il bacio del sol fecondatrice. … benedicimi, o madre. È per te sola che combatto, che spero e che resisto. uando, col sangue misto, il pianto mi fa strozza ne la gola. […] ti guardo, o madre. – E così fiera e grande m’appari, ne l’eretta e statuaria fronte di solitaria cinta di bianche ciocche venerande ; così pura mi sembri, ne la calma intemerata de’ tuoi anni estremi, tu che i mali supremi provasti un giorno, e l’agonie de l’alma ; tanta luce ti splende ne le chiare pupille e tanta dignità nel viso, nel gesto e nel sorriso, ch’io mi sento per te rinnovellare : carne de la tua carne io ridivento, forza de la tua forza, o santa, o vera : rivive in me l’altera quercia selvaggia che non crolla al vento. 

L’immagine della mamma si racchiude nei tratti emblematici della fronte, degli occhi, dei gesti di nobile calma per slabbrarsi, infine, nella materialità della carne genitrice, entro la quale e per la quale nasce, tra madre e figlia, un’appartenenza inscindibile e un’eredità genetica, spirituale e morale definita « santa ». In Maternità il canto si dispiega su un vissuto decisamente autobiografico : la Negri in attesa, lei con la sua bambina, la morte in agguato. Le quattro poesie all’inizio della prima sezione : Maternità, Germina, L’estasi, Dialogo, si ripiegano sul mistero della nascita (« Io sembro inerte. E pure / son come zolla al sole. / S’aprono in me viole / oscure », Germina), sul prodigio della vita che chiama (« piccola voce nova e terribile / che dice a l’infinita / tenerezza materna : « Eccomi, 

Ivi, Sinite parvulos, p. .



Ivi, Pietà, p. .



Ivi, A te, mamma, pp. -.



ANNA BELLIO

o vita !… », L’estasi), sul destino che attende il bimbo a venire (« Nel pallido Ignoto vagavo felice…/ perché tu mi vuoi nel tuo mondo ?…// È triste il tuo mondo. Dai morti / lo seppi, che ad esso non tornano più », Dialogo). La Negri, nel ruolo di madre benedicente la vita, non solo sente forte e disponibile il suo fisico, ma si pone in atteggiamento di religiosa accoglienza (« Porto io forse un messaggio / d’amore ?… // […] / Sono io forse strumento / di Dio ?… », Germina) e non può non ricordare « la bruna figlia di Nazareth », che, in ascolto della « sacra voce », congiunge « le mani umili in croce » (L’estasi) per diventare la mamma del Signore. uando scrive Maternità la scrittrice ha vissuto l’esperienza del concepimento, della gravidanza e della nascita di una figlia ; ha sofferto, già madre, per una difficile e pericolosa malattia ; trepidando per la sua bambina, ha sentito, in agguato, le incomprensioni con l’amato coniuge ; le è inoltre morta una seconda figlia neonata. Nascono dal dolore, dalla preoccupazione e dalla responsabilità di madre le bellissime : Ritorno a Motta Visconti, La culla, Un ricordo, Destino, Il calvario della madre : Non più per te, non più per te vivrai ; ma pel figlio, pel figlio in mille forme di perdono e d’amor rinascerai. Ave. 

Su questi versi del Calvario della madre, che riprendono rime di Ritorno a Motta Visconti (« Vivrai per questa bianca creatura / che uscì da la tua carne dolorosa »), si chiude la sezione che apre la raccolta e si avvia la seconda, breve, intitolata Dolcezze perché la piccola Bianca, figlia della poetessa la investe di dolci emozioni per le quali merita vincere dubbi o delusioni della vita e amarezze familiari. L’andamento delle poesie è regolato dalla presenza di Bianca che ne detta anche il tono fortemente autobiografico, raccolto, a tratti, su pensosi timori. Il canto si scioglie in contemplazione di un mistero grandioso, che si ha paura di interrompere, si teme che l’incanto svanisca (L’acquazzone, Canta a’ miei piedi, Ricordati, Piccola casa). I componimenti sono brevi, i versi interrotti, spesso, da esclamazioni, sospensioni, interrogativi, trasfigurazioni per meglio rendere l’altalenare dei sentimenti, il susseguirsi di tempi, luoghi, sogni, tremori. La maternità mette le ali all’ispirazione della Negri tanto che in queste poesie prevalgono immagini naturali ariose, lievi, di farfalle, di voli, di cieli, di uccelli, di corse. In Cantilena, ritraendosi con l’agile figura della figlia, la poetessa smussa i tratti del suo panismo e della sua accesa sensualità in linee di colori e aromi suggeriti più che caricati ; la passeggiata nelle selve, entro le quali s’inoltra insieme alla bambina, ha un’ evidente funzione iniziatica per la piccola, che viene guidata ad ascoltare le voci della natura, a scoprire familiarità con elementi del mondo vegetale o animale, a immaginare possibilità inaudite di metamorfosi liberatorie. Tra i versi di Dolcezze si legge la trepidazione della donna che, colma di gioia per essere mamma, sente purtroppo svanire la felicità dell’amore con il coniuge (Il ritorno di Bianca, L’ombra). La rottura con il marito significa e significherà dolente solitudine. Nel Ritorno di Bianca delicatamente, in punta di penna, è detto che l’armonia familiare è ormai nelle mani della piccola figlia : Ella verrà. – Noi ci guardiamo in viso pallidi, col tremor che dà la gioia quando trabocca ; e il tuo labbro ha un sorriso di gaiezza così trepida e buona, che a l’aperte tue braccia io vengo, amico, con l’anima che tutta s’abbandona. Ella verrà.- La casa è trasformata, pel giunger de la piccola regina, come da un tocco magico di fata. 

Ivi, Il calvario della madre, p. .



Ivi, Il ritorno di Bianca, p. .

«MATERNITÀ!.../SARAI LA SALVEZZA DEL MONDO»



In Ombra è prudente non illuminare lo spettro che oscura, per un attimo, le anime dei due genitori taciti accanto alla bimba, che è la loro « dolcezza » : Sediamo, tacendo sul queto balcone che guarda il giardino : io cucio, e tu fingi di leggere, ti gioca la bimba vicino. Rintoccan da lungi le piane campane de l’Ave Maria. Un’ombra ci scende su l’anima : non sai, non sappiamo che sia ; così, come un’ombra di nube o d’ala, che rapida passa. Non dico la cosa terribile, né pur con la voce più bassa : lo so, temerario è tentare la morte, sia pur con un detto. -Silenzio.- Tu stringi con braccia di ferro la bimba al tuo petto. 

Poiché all’amore Ada Negri era dedita anima e corpo, l’avvilimento per le incomprensioni con il marito fu profondo, la delusione per il sentimento e la passione offesi bruciante, l’impossibilità di mentire e di accettare qualsiasi compromesso causa di decisioni tormentate. Di certo la presenza di Bianca non poteva supplire, né sanare l’intesa dileguatasi tra i coniugi e Ada era donna che non intendeva mortificare il ruolo di moglie, né quello di amante, né quello di madre che, del resto, dell’amore le appariva il naturale completamento e l’occasione perché la passione potesse dare frutti e così realizzarsi il pieno fondersi di un essere nell’altro. L’amore materno non doveva vivere, quindi, in conflitto con quello per l’amato, trattandosi di una sua emanazione. Illuminante, al riguardo, una commovente, quanto mai sincera e innamorata lirica del Libro di Mara, si tratta del Figlio : La donna che or vive nascosta come bestia ferita nel covo […] mai consolarsi potrà che da te non sia nato al suo grembo un bambino, un bambino che t’assomgli, che sia tuo, che sia te, carne e spirito, forza e bellezza. Ti bacerebbe su quella bocca, ti respirerebbe in quel fresco respiro, creata e creatrice, amante e madre in ardore inesausto di dono. Se tu fecondato l’avessi, calmo sarebbe il suo viscere sacro. […] Serva felice ti fu, serva ancor ti sarebbe adorando il tuo figlio. 

In questi versi, moderni per ritmo, densi di affetti che sarebbe riduttivo dire moderni, perché eterni e universali, si chiarisce come la Negri abbia inteso e vissuto la maternità, come si augurava che le donne potessero viverla. Infatti, se è dolorosa la condizione di orfanezza che lei canta in altre poesie, altrettanto infelice è, a suo sentire, la condizione della donna senza un nato, che sia segno d’amore. Le rime del Figlio molto aggiungono, in questo senso, a quelle di Istinto materno della prima raccolta giovanile. Si è oltre l’istinto, sublimato proprio in virtù di quel « prodigio d’amor » che fa vivere in ciascuno di noi i nostri avi e i nostri amati per poterli ancora amare : 

Ivi, Ombra, p. .



Ivi, Il figlio, p. .



ANNA BELLIO E se mi guardo entro lo specchio, e in esso mi smarrisco, non me, ma te ravviso, o mamma. Tua questa marmorea fronte piena di tempo, e immersa in una luce ch’è già ormai d’altra terra e d’altro cielo. 

All’urgenza autobiografica dell’ispirazione giovanile si sostituisce, con il trascorrere degli anni, una progressiva attenuazione della visceralità con la quale la Negri affronta l’argomento. Già in Vespertina tacciono anche i versi dedicati a Bianca, la figlia ; sono sostituiti da quelli per gli amati nipoti Donata e Gian Guido. Nel Dono, infine, la sezione Mater incarna la sublimità dell’amore materno in tre figure femminili : la donna che ha partorito frotte di figli, la giovane morta di parto, la donna dedita agli altri con amor materno. Perfino la figlia Bianca sveste la sua realtà biografica per inserirsi nella catena della stirpe della omonima poesia e sollevarsi insieme alla madre, alla nonna, alle molte genitrici della famiglia, a emblema della catena dell’esistenza che passa attraverso un corpo di donna : l’esistere breve di ciascuna ha senso solo nel filo che lo collega a chi è già stato e a chi sarà, per giungere, come un fiume « con l’onde sue sempre le stesse », fino al mare. Il mare è l’immagine di Dio che, in Fons amoris, come dice il titolo, realizza in sé, alla perfezione, l’esaltante missione d’amore cantata dalla Negri nella sua duplice vocazione, ricordata all’inizio, di poesia e di femminilità. Nell’ultima raccolta la poetessa si sente, sempre più, vicina alle bellezze del creato e agli elementi della natura che eleva in commovente preghiera, lasciandosi deliberatamente alle spalle la sua vicenda terrena per perdersi sulle strade di una diversa giovinezza : Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo all’essere. Sei tu, ma un’altra sei : senza fronda né fior, senza il lucente riso che avevi al tempo che non torna, senza quel canto. Un’altra sei, più bella. Ami, e non pensi essere amata : ad ogni fiore che sboccia o frutto che rosseggia o pargolo che nasce, al Dio dei campi e delle stirpi rendi grazie in cuore. Anno per anno, entro di te, mutasti volto e sostanza. Ogni dolor più salda ti rese : ad ogni traccia del passaggio dei giorni, una tua linfa occulta e verde opponesti a riparo. Or guardi al Lume che non inganna : nel suo specchio miri la durabile vita. E sei rimasta come un’età che non ha nome : umana fra le umane miserie, e pur vivente di Dio soltanto e solo in Lui felice. 

Anche il suo amore di madre appare trasformato e sublimato in ricerca di Dio, amore infinito che tutto in sé raduna, come si legge in questi versi di Luce : io voglio tornare a lui, ridiventar favilla della sua vampa, raggio della sua luce _ e, perduta in armonie di luce, cantar la gioia dell’amor che allaccia la terra al cielo, l’universo a Dio.



Ivi, La ciocca bianca, p. .



Ivi, Mia giovinezza, p. .



Ivi, Luce, p. .

«MATERNITÀ!.../SARAI LA SALVEZZA DEL MONDO»



In Mi sei lontano, a volte, la Negri si rivolge al Signore come una « bimba » che cerca il padre perché la tenga « per mano ». Non sono poche le preghiere di Fons amoris, nelle quali effonde tutta la tenerezza del sentimento materno, paterno e filiale insieme. Nell’amore per il Padre ella rivive la nostalgia e il privilegio dell’infanzia e, nel cantare tanto fidente abbandono di bambina, recupera il bene dell’amore genitoriale celebrato nelle tante immagini della maternità che le appariva, nel suo traboccante dono d’amore divino, la sola possibile « salvezza » del mondo : « tu sola / sul mesto femineo destino / fiorito d’amore e di pianto / imprimi il suggello divino / […] tu sola / sarai la salvezza del mondo ».  

Ivi, Tu sola, pp. -.

PATRIZIA ZAMBON « IO VEDO NEL TEMPO UNA BAMBINA » : LA PAROLA MEMORIALE DI ADA NEGRI IN STELLA MATTUTINA

A

RR IVATA a metà di questo suo, annotativo e lirico, breve libro di memorie, al quale un curioso luogo comune circolante tra i lettori di Ada Negri che si esprimono sul Web annette addirittura il compito di aver dato (o mantenuto) notorietà e successo alla scrittrice, che ebbe comunque larga eco di apprezzamento nei lettori anche professionali coevi, e in quelli della critica e della storiografia successiva, giunta a metà di Stella mattutina, Ada Negri annota : « Racconta bene, con pause e chiaroscuri d’inconscia sapienza, scolpendo le figure del suo ricordo con pochi tratti essenziali, illuminando di sorpresa certe scene con vivissime luci istantanee, frescando alla brava quadri d’insieme : guidata da un istinto d’arte che ignora di possedere, e morirà ignorato con lei » (p. ).  Sta parlando della madre, della quale a questo punto del testo assume, rinarrandole beninteso, le storie, interrompendo – ma l’impressione critica è in realtà piuttosto : rimpinguando con esse lo scorrere del proprio frammentato tessuto narrativo. uando scrive Stella mattutina, che sottoscrive lei stessa con la data Milano, luglio-dicembre , Ada Negri ha cinquant’anni. Ben lungi dall’essere, come vorrebbe l’equivoco citato, sulla soglia di un esordio, nemmeno, come è ben noto, sulla soglia di un esordio nel successo, ha al contrario alle spalle tutti i suoi libri di maggiore notorietà, Fatalità, Tempeste, Maternità, Dal profondo, Esilio, accolto, come ha documentato Anna Folli, da duecentocinquanta recensioni, Il libro di Mara. E sa già, distesamente e bene, di doversi confrontare con una fama alta e che tuttavia sente problematica ; lo ha scritto senza reticenze a Laura Cantoni, da Zurigo, nel gennaio  : « Tu mi chiedi perché il Pascoli non fu buono (come ti scrissi) con me – si legge in una delle lettere mandate alla moglie di Angiolo Orvieto, all’ambiente cordiale e prestigioso dei signori del « Marzocco », quindi, presso il quale alto era stato l’ascolto dato alle difficoltà di Pascoli  –. Si tratta di molti anni or sono ; e il perché è stampato in un libro di Ugo Ojetti, mio buon amico : Alla scoperta dei letterati. In una pagina di questo libro l’Ojetti riferisce un lagno amarissimo di Giovanni Pascoli contro l’enorme diffusione dei miei primi volumi di versi [...]. Fra lui e me non passò che questo lagno carico di disistima per la mia povera opera poetica. Egli certamente aveva ragione. Ma che potevo fare io ? Tacere, ingoiare e continuare a scrivere come sentivo e potevo. Naturalmente non ho mai cercato di conoscerlo ; né gli ho mai mandato nulla di mio, come invece ho fatto con Gabriele d’Annunzio. Io porterò fino alla morte la dissonanza fra la smisurata popolarità che circonda la mia poesia e il suo reale e riconosciuto valore artistico : la porterò come una ferita che non si rimargina... ».  Ha già pub

ui come negli altri luoghi cito dall’edizione : ADA NEGRI, Stella mattutina, Milano, Mondadori, . Rimando al fondamentale lavoro di GIANNI OLIVA, I nobili spiriti. Pascoli, D’Annunzio e le riviste dell’estetismo fiorentino [], Venezia, Marsilio, .  Le lettere di Ada Negri a Laura, Angiolo, Adolfo Orvieto, sono conservate a Firenze, nel Fondo Orvieto dell’Archivio contemporaneo « A. Bonsanti » del Gabinetto G. P. Vieusseux ; traggo la citazione dalle pp. - del libro di ANNA FOLLI, Penne leggère. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo. Scritture femminili italiane fra Otto e Novecento, Milano, Guerini e Associati, , al quale sono debitrice di significati e letture di ben più specifico rilievo. uanto al tema della difficile accettazione da parte dei poeti tardoottocenteschi e oltre della larga fortuna di pubblico conseguita dalla poesia di Negri, si v. anche la dibattuta recensione scritta da Pirandello su Tempeste per « La Critica » del gennaio , e le considerazioni che su essa svolge in questa sede l’intervento di Pietro Frassica. 



PATRIZIA ZAMBON

blicato, , anche il volume compiutamente narrativo di Le solitarie, ritrovandosi con le sue, alcune assai belle, prime novelle in un crocevia di indubbio interesse nel vasto reticolo di temi e figure della scrittura femminile tra i due secoli, dedicata con determinazione a raccontare storie femminili, a volte gioiosamente demistificanti, di sorrisa acuta levità, ma più spesso, al contrario, drammatiche : dolorosamente dirompenti, ma anche, e forse più di frequente, di tragica ma piana quotidianità, nelle quali si accampa una sensibilità, si realizzano una capacità di attenzione e di analisi dell’inespresso, un racconto di vite disattese, conculcate, anche violentemente ferite, una volontà di dare centralità narrativa alla condizione femminile, che danno, all’interno di una stagione culturale condivisa, specifica significatività ai testi d’autrice. Lo rifarà due anni dopo, , con Finestre alte – lo sta già facendo, in realtà, dato che i testi del secondo volume di novelle stanno, come l’uso, sparsamente uscendo per le collocazioni sulla stampa periodica per le quali vengono redatti. Nel frammezzo, nel ’, Ada Negri scrive, dichiarando di farlo nel tempo concentrato di una manciata di mesi, la prosa strana, composita e faticosa, autobiografica di Stella mattutina. E incrocia, e insieme – e soprattutto – lavora e definisce anche in questo un genere precipuo della letteratura d’autrice lungo il corso dell’intero Novecento. Dalla Aleramo di Una donna (), alla Speraz di Ricordi della mia infanzia in Dalmazia (), fino alla Zuccari di Una giovinezza del secolo XIX (), o a Cosima (quasi Grazia) di Deledda () e alla coeva Storia di Angiolo e Laura della già richiamata Laura Cantoni (compiuto nel ), per restare in qualche modo in paraggi negriani ; ma anche ben più avanti nella grande stagione della narrativa veramente ‘contemporanea’, il Lessico famigliare di Natalia Ginzburg (), La penombra che abbiamo attraversato di Lalla Romano (), Ritratto in piedi di Gianna Manzini (), Le quattro ragazze Wieselberger di Fausta Cialente (), per citare, diciamo così, le emergenze in un genere che parecchi altri titoli può ancora annoverare, e che giunge ad avere una sua compiutezza e un suo rilievo anche più avanti, nella generazione oggi attiva delle scrittrici in ruolo (Clara Sereni, Il gioco dei regni,  ; Francesca Duranti, La bambina,  e Piazza mia bella piazza,  ; Lucilla De Fabii, Ricordi in un quaderno,  ; Lia Levi, Una bambina e basta, , eccetera) :  il racconto di sé – e della propria storia famigliare – come luogo di una passione narrativa che è fatta assieme di passione memoriale, di valenza di testimonianza, di ricerca delle radici là dove la storia individuale e più la specificità della personalità si è resa visibile, forse si è formata, certamente ha affrontato la prova delle relazioni pubbliche e si è forgiata, e si è confrontata con la socialità, con la storia della comunità, con la Storia grande degli eventi, ha salde voci nella linea d’autrice della letteratura italiana novecentesca, tanto continuate e rilevanti da suggerire il sospetto che ne sia quasi il ‘genere’ precipuo ; dedicato, anche, in più e più casi, con singolare coerenza al tempo giovane della formazione.   Sul tema complessivo della narrativa di memoria nel secondo Novecento pone riferimenti di rilievo la voce redatta da GIORGIO PULLINI, Memoria (Narrativa di) nel secondo Novecento nel Dizionario critico della Letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, Torino, UTET, , III, pp. -.  Di particolare interesse in questa prospettiva risulta la circolarità di relazioni professionali (e personali) che si documentano negli archivi e nei testi delle scrittrici primonovecentesche. Nell’archivio di Ada Negri, che a Lodi ha la sua sede, figurano Matilde Serao, Anna Franchi, Grazia Deledda, Flavia Steno, Teresa Ubertis, Carola Prosperi, Margherita Sarfatti (con una continuità tutta particolare, Sarfatti, che si colloca – anche – altrove rispetto al fatto letterario) ; più avanti Rina Maria Pierazzi, Milly Dandolo, Alba de Cespedes, Gianna Manzini. E altre sparse, occasionali, ma nette tracce capita di cogliere di questo significativo intrecciarsi di interessi, ricerca di figurazioni, corrispondenze letterarie, tra Negri e le altre autrici del periodo citato, a ribadire una volta di più il rilievo consapevole della loro presenza : si v., ad es., le due lettere di Ada Negri, del  e , presenti – e ben conservate – nell’archivio di Anna Zuccari/Neera (edite da Antonia Arslan nel saggio che introduce il volume La Cacciatora e altri racconti, cit. oltre) ; o la lettera-prefazione stesa da Ada Negri per introdurre, e sostenere (« Mia piccola sorella Maria », p. ), il volume di Maria Messina, Le briciole del destino, Milano, Treves, , mentre A Margherita Sarfatti lei stessa aveva intitolato l’anno prima la lettera-prefazione del suo Le solitarie, Milano, Treves,  ; tracce dei rapporti di Negri con Sibilla Aleramo sono nel volume Sibilla Aleramo e il suo tempo, a cura di Bruna Conti e Alba Morino, Milano, Feltrinelli, , che pubblica anche cinque lettere della nostra scrittrice, di quelli con Amalia Guglielminetti sono nel volume delle Lettere d’amore di Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, a cura di Spartaco Asciamprener, Milano, Garzanti,  ; e poi : Sofia Bisi Albini presenta la Negri esordiente sul « Corriere della Sera » già nel dicembre  ; Clarice Tartufari

LA PAROLA MEMORIALE DI ADA NEGRI IN STELLA MATTUTINA



È in essa, direi, la – assai trasparente peraltro, ma non univoca, attenta anche al senso altro e sovrastante dello spazio del cielo  – scelta metaforica del titolo di Stella mattutina. Che è però, pur non prescindendo certo dal quadro di riferimento di storia letteraria appena richiamato, e nemmeno peraltro dalle modalità di storia interna dell’opera negriana, un libro particolare. È un libro composito, questo si è già detto, nello svolgimento narrativo ma anche in senso stilistico. Sul piano compositivo perché, costruito quale prosa di memoria, non è in grado di reggerne fino in fondo l’andamento, e lo sospende, lo modifica in realtà, circa a metà del testo, per inserirvi, non appena l’artificio della pagina gliene dà il destro, con il fragile aggancio di un richiamo al gusto e all’abilità di narratrice della madre (ma anche con una assai meno fragile ragione di contiguità con il proprio mondo narrativo, con le storie piene e rotonde delle sue novelle), due storie autonome, la Storia di donna Augusta, che occupa le pp. -, e la Storia di donna Teodosia, da p.  a p.  : la prima particolarmente, storia di totale indipendenza stilistica e assai ambigua suggestione narrativa (qualcosa che richiama il sapore nero e intensamente drammatico delle tragedie romantiche alle quali si rifà, ma riscritte in un linguaggio modernissimo, succoso e insieme carico di passato, una sorta di riscrittura delle storie da melodramma nelle quali si è perduta l’innocenza, si è svelata la caduta vera dell’eroina, vittima non innocente della distorsione dei suoi significati). Lo è sul piano stilistico, e questo è certo elemento di maggior valore per questo testo. Stella mattutina è il testo di maggior estensione scritto da Ada Negri nell’ambito di quella tipologia di scrittura che comunemente noi rubrichiamo con la definizione di « autobiografismo [frammentismo] lirico » ; intendendo nella formula, com’è nelle ricche valenze che il genere incontra ed elabora nella narrativa italiana del primo Novecento, una modalità narrativa che si disarticola, in pagine non necessariamente incoese (si pensi per questo ai tempi lunghi di quella sorta di libro-simbolo che è Il mio carso slataperiano, nel ’ ‘vecchio’ ormai di quasi un decennio ), anzi di indubbie possibilità svolgenti e conseguenti (quando non è piuttosto una sorta di movimento « in dissolvenza » a reggerne gli sviluppi e la progressione), nelle quali però la trama sostiene comunque una densità d’espressione, di concentrazione immaginativa, di figurazione breve, spesso scorciata, a volte davvero, come è l’uso, nettamente sincopata, che assorbe movenze e forme volonterosamente antiprosastiche, non liriche, non di canto, certo, ma come con l’eco della preziosità sospesa, ricercata, narrativamente recisa della pagina di alta lavorazione letteraria. Ma certo non è più la stagione dell’esercitazione di stile, delle « prose poetiche » che avevano ambientato sul finire, o poco al di qua del crinale del secolo, nelle loro suggestioni vagamente simbolistiche, la baudelairiana, o mallarmeana lezione dei poèmes en prose, producendo la prosa allusiva e rarefatta, a volte francamente metaforica o perfino aneddotica, breve sempre, delle « prose poetiche » della Deledda, ad esempio, di Lucini, Corazzini, o della Zuccari che Marinetti ristampava nei fascicoli di « Poesia ». E peraltro, ben più in là, si stava ormai compiendo la stessa stagione rondista della prosa d’arte. Ada Negri ha una storia da raccontare, la sua, e lo spazio reciso dello stile ne segnala semmai il valore, e la densità – umana e artistica, umana più necessariamente che artistica – che a esso sottende. scrive un intervento su La poesia di Ada Negri, « Nuova Antologia », XLVI, ,  ; delle ragioni di dialogo con una scrittrice attenta e riflessiva come Laura Cantoni ha scritto Laura Giardini nel volume Sulle orme di Ada Negri edito a cura dell’Associazione «Poesia, la Vita» nel  ; eccetera, eccetera.  L’immagine in realtà ha anche valenza d’emblema : nella pagina conclusiva nella quale il percorso dell’infanzia e della giovinezza trova il suo senso nella notte che si avvia al giorno nuovo, ferma in una campagna larga e silenziosa che ancora raccolta nella notte presente/ode però l’annuncio dell’alba, Ada – giovane, ma ormai donna – si alza dal sonno a guardare : « All’orizzonte, sola, la stella mattutina, intenta come uno sguardo » (p. ).  E poi Un uomo finito di Papini, Ragazzo di Jahier, il Moscardino e gli altri volumi della ‘trilogia’ di Enrico Pea (Il Volto Santo, Il servitore del Diavolo, anche Magoometto), Cuore adolescente di Giani Stuparich, eccetera : sulle valenze specifiche del genere autobiografico nella letteratura d’autore primonovecentesca si vedano gli interventi di PAOLO BRIGANTI, I trentenni alla prova : l’autobiografia dei vociani, « uaderni di Retorica e Poetica », II, ,  ; La cerchia infuocata. Per una tipologia dell’autobiografia letteraria italiana del Novecento, « Annali d’Italianistica », IV, , .

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« Io vedo – nel tempo – una bambina. Scarna, dritta, agile » (p. ), apre il testo. Scriverà qualche anno dopo, non tanti in realtà, un lustro appena, riprendendo il motivo del ‘suo’ giardino « del Tempo » per una bella prosa di Le strade () chiamata La còccola di ginepro : « Ero io, quella bambina. [...] E la bambina quasi adolescente, che si pungeva apposta le mani alle spine dell’agrifoglio, per sentir com’è fatto il dolore : che sminuzzava fino a ridurli in polvere i fiori dell’amor perfetto, per vedere dov’è nascosto l’amore : che mordicchiava le còccole del ginepro senza sapere che le rassomigliavano, e credeva che l’intera esistenza si potesse trascorrere contemplando il cammino del sole, quella bambina dove sarà ?... / Morta non è, se io son viva »,  con questa chiusa potente, che lascia aperto il suo interrogativo e insieme lo risolve nel cerchio misterioso della vita umana, allude alla sua pienezza, ed al suo limite. Aggiunge invece subito in Stella mattutina : « Ma non posso dire come sia, veramente, il suo volto : perché nell’abitazione della bambina non v’è che un piccolo specchio di chi sa quant’anni, sparso di chiazze nere e verdognole ; e la bambina non pensa mai a mettervi gli occhi ; e non potrà, più tardi, aver memoria del proprio viso di allora » (p. ). La voce che scrive si connota quindi sull’« io », « io vedo... », ma la sua storia sarà narrata in terza persona, con l’assunzione a protagonista di se stessa suggerita dentro l’acqua di quello specchio, piccolo e sparso di chiazze nere e verdognole,  filtro quanto mai riconoscibile (anche un tantino convenzionale, e comunque metafora molto ripresa nelle pagine di Negri) dello schermo appannato del tempo, ma anche della difficoltà di comprendere, senza deformare, una realtà intrinsecamente “altra”, tanto rilevante che « non potrà, più tardi, aver memoria del proprio viso d’allora ». Ma non avviene davvero così nella scrittura di Ada Negri ; dei significati e delle forme della bambina la donna scrittrice è (quasi sempre) saldamente consapevole (si pensi, per utilizzare quel mezzo di spiegazione che è la conoscenza per contrasto, a che cos’è invece la domanda di sapere che regge l’incontro tra l’adulto scrittore e il se stesso bambino nei testi sabiani di Il piccolo Berto,  ), e a reggere questa ricerca del proprio viso di allora c’è piuttosto una definibile volontà di comprensione e testimonianza, il bisogno di far rivivere una identità di centrale valore per la donna che è nella contemporaneità, che rammemora e racconta il tempo diverso dell’infanzia, la vita diversa della povertà, della sottomissione sociale, e insieme la stagione irrecuperabile delle presenze d’amore – pieno, insostituibile, quello della madre – dalle quali, con schianto, la vita adulta ci recide. Non sono molti in realtà i temi del libro ; la memoria non si pone come compiutamente analitica, appassionata nel recuperare figure, immagini, dettagli d’antan, quella sorta di senso del passato che sorregge, ad es., la scrittura neeriana di Una giovinezza del secolo XIX, ed è fatto anche di un interesse minuto e preciso per il sapore di tempo, lontananza, tradizione che appartiene a ciò che è stato, alla civiltà vecchiotta e in fondo amata dell’Ottocento, che la modernità impetuosa e difficile ha poi travolto e modificato. Non c’è generalmente la patina nostalgica del tempo nelle memorie di Negri, non c’è neanche nella definizione dei luoghi ; poco è descritta Lodi, della quale non si formula nemmeno il nome (« L’abitazione della bambina è la portineria d’un palazzo padronale, in una piccola via d’una piccola città lombarda », p. ) ; e quando è chiamata compiutamente in causa, perché lo è naturalmente, questo è fatto con una  Si v. in ADA NEGRI, La Cacciatora e altri racconti, a cura di Antonia Arslan e Anna Folli, Milano, Scheiwiller, , antologia alla quale si rimanda per il valore che ha nella lettura critica delle curatrici il tema dell’identità e dell’individualità della scrittrice (cit. da pp. -).  Aveva scritto nel  avendo a tema/a pretesto una fotografia di Maria Messina (e facendo transitare – significativamente per noi – l’annotazione coloristica dall’immagine alla pagina letteraria) : « Misteriose profondità [...] io leggo anche ne’ tuoi occhi guardanti a me dal ritratto, – piccola sorella lontana ch’io non ho mai vista e della quale non udrò forse mai la corporal voce – e che pure mi dici tutto di te, nelle sommesse pagine ove l’anima insoddisfatta e torbida assume spesso la verdastra densità degli insondabili fiumi » : si v. la prefazione che introduce il libro di MARIA MESSINA, Le briciole del destino, Milano, Treves, , p. .  In realtà, penso specificamente alle liriche Berto e a Congedo ; altre mi paiono le valenze degli altri testi che compongono questa sezione in Il Canzoniere (dove, in Tre poesie alla mia balia. , vale invece : « uel fanciullo io sono / che a lei spontaneo soccorreva ; immagine / di me, d’uno di me perduto... » : cito da UMBERTO SABA, Tutte le poesie, a cura di Arrigo Stara, Milano, Mondadori, , p. , vv. -).

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funzione narrativa precisa e un senso saldo dello spazio naturale ed umano della città : il ponte lungo e « di solidità secolare » che contrasta la piena dell’Adda il giorno in cui – « terribile » – il fiume straripa (cfr. p.  sgg.) ; via delle Orfane « pregante in solitudine, antica e povera, tutta sassi, con un sottile marciapiede da un sol lato... » (p. ) ; la facciata trecentesca della chiesa di San Francesco « raccolta in nuda austerità » : il luogo questo, con il cimitero nel quale « dormono i suoi vecchi zii, la nonna... », che si espande distesamente a contenere, anzi proprio per la sua intrinseca verticalità : a significare, il « cerchio spirituale » che « chiude » Ada (pp. -). La scrittura di Stella mattutina è sostenuta da una sintassi di forte valenza attualizzante ; l’uso continuo del presente – ‘storico’ probabilmente, ma di tale estensione e vigore da essere mantenuto intero per tutto il racconto, la forza incisiva della frase breve, cui si è già accennato, la costruzione quasi esclusivamente paratattica, che dà un certo tono di sentenziosità a non pochi passaggi e affermazioni, tutta la costruzione stilistica, insomma, tende a contrastare un senso evocativo, lontano e nostalgico del tempo ; o meglio, a cercare un’altra sonorità, molto più moderna, compiutamente novecentesca, nella scrittura d’evocazione, proponendo una scrittura memoriale che risulti in qualche modo in presa diretta ; non perché inconsapevole dello schermo del tempo, né perché convinta di una persistenza di esso – nettamente è di un’altra stagione della propria vita che la scrittrice sta dicendo, ma al contrario semmai perché quella stagione appare dotata di una sua identità individuale, che sussiste in sé e non – non solo – come proiezione dal presente, e in sé merita conoscenza e attenzione : almeno fino a quando non si sarà potuta risolvere (ma ce la fece mai la Negri ?) la domanda che formulava distesa nella Còccola di ginepro : « ... quella bambina dove sarà ? Morta non è, se io son viva ». Non sono molti, dicevamo, i temi del libro. La centralità tematica, contenutistica, stilistica della voce protagonista costituisce il dato di riconoscimento, e il senso della trama. Ma pure in questa nostra esposizione possiamo orchestrarli attorno ad alcune figure : quelle primarie nell’esperienza del mondo, nella relazione con le quali – identificativa o repulsiva, e più problematicamente entrambe, come noto – si articola la vicenda : la madre, la nonna, il fratello. Ma su queste torneremo. Le figure secondarie, la signora del palazzo che proibisce di accostarsi ai gigli bianchi appena sbocciati, « bellezza » nel giardino del tempo, lo zio che raccoglie e mantiene Nani, meschino e sconfitto nella casa laida che si svuota, sono nel tema della povertà, che è articolazione del grande tema negriano dell’ingiustizia sociale, di una – concreta, ben riconoscibile – realtà storica che divide le persone in classi, come strumento di sopraffazione e iniquità (« Sedici anni d’officina – pensa Ada ragazza, quando la madre si ferisce in fabbrica –. La vita di un’operaia – di quell’operaia – a chi deve importare ? [...] E se si ferisce sul lavoro [...] le si paga la giornata nuda e cruda, purché l’assenza non duri troppo ; e se diventa incapace di lavorare, si rivolga alla carità pubblica, o ad un ricovero di mendicità. / La derubano. uello che dà è scandalosamente più grande di quello che riceve. [...] Processata, andrebbe, la fabbrica ; e condannata. Paga il tuo debito, ladra ! », p. ). La figura di Daria, Daria con Nani, fa transitare verso l’altro forte tema del libro, che è quello dell’identità femminile, la donna in relazione con l’alterità maschile (amore e passione, duplicità e sesso), e la donna individuo eretta di fronte alla determinazione autonoma del proprio corpo, che si forgia nella biologia e prescinde dalla volontà (celebri, ma non bellissime, le pagine dedicate all’evento del menarca ; solo presentito attraverso la figura di Daria, e nello spazio doloroso del sogno, il tema della maternità). Temi ai quali, pur da un polo tanto diverso, la pienezza dell’età di contro alla giovinezza inquieta, una sorta di bonaria atavica accettazione di contro alla mobilità nervosa della sensibilità, rimanda anche il linguaggio carnale, robustamente naturale, popolaresco, della governante Tereson. Più defilati, mi pare, ma comunque autorevoli, i personaggi – maschili, questi – che introducono alla conoscenza intellettuale, tutta letteraria questa : il signor Antonio « che anche lui non può vivere senza libri » (p. ), il professore d’italiano, l’unico nella detestata scuola normale, dove, ritiene la giovane donna, nulla le danno, « invece le vanno insaccando nella

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memoria un’infinità di cose inutili che la raspan di dentro : cifre, somme, divisioni, frazioni : regole grammaticali : storie di gente morta da secoli » (p. ), l’unico, dicevo, « che sia da lei considerato “maestro” », perché guida, e compagno nell’« amore » alla poesia (particolarmente bella in quest’ambito la pagina che evoca l’Iliade, « la bellezza di Elena, sola femmina nel mondo fra gli uomini e la morte », p. ). Ma è assai ambivalente la relazione con la parola / la funzione letteraria ; fuori dai ruoli culti del possessore/prestatore di libri, e del docente in titolo, altri personaggi, femminili, in realtà trasmettono – precoce, coinvolgente, saldamente frammista al tempo esistenziale – la passione narrativa, e financo il ritmo vitale della parola letteraria : la madre, che « per divertir la nonna e per la propria gioia », legge alla sera, mentre la bambina ascolta non vista dal letto protetto nella finzione del sonno, i romanzi d’appendice d’un giornale quotidiano (p. ) ; la madre che racconta da adulta nei giorni lunghi della permanenza in ospedale richiesti dalla polmonite di cui si è ammalata, e alla quale Ada presta la definizione narrativa, propria, sulla quale abbiamo aperto ; e Orsola, amica di Vittoria, « la tessitrice guercia che sa tante filastrocche quanti fili ha sul telaio » (p. ). E c’è poi il ruolo delle cose : le fronde l’erba e i fiori del giardino dove il tempo storico si sospende e vale solo quello interiore, dove l’esperienza d’identità si realizza nella relazione con l’identità/diversità del mondo naturale ; e gli oggetti impregnati delle vicende umane cui sono appartenuti, come i vestiti che sono stati di Giuditta Grisi, che il racconto, o la affascinata volontà di gioco può far rivivere.  Su tutti, infatti, c’è Dinin, attesa alla fatica di vivere, di comprendere, d’essere (« “Sono io, son qui” » pensa Ada alla fine davanti al cielo che comincia ad albeggiare, « riconoscendosi nello spazio come in uno specchio », p. ). E non è un processo facile. Ada Negri individua una fatica sociale, importante motivata riconoscibile, e in essa la dignità pugnace della crescita individuale. C’è il senso di indignato orgoglio che si genera nel constatare una divisione in classi sociali delle persone, la richiesta fatta ad alcuni di aprire – vecchi e bambini – con fatica e mani nude il pesante portone che altri attraversa in carrozza ; c’è la riflessione politicamente piena che il lavoro della fabbrica è organizzato tutto per il vantaggio del capitale e disconosce e opprime le donne che vi operano. È il tema della madre, questo. Taciuta tutta intera la figura parentale del padre, del quale – morto quando Dinin ha solo un anno, nulla sappiamo, se non che è appartenuto alla vita della madre (« il marito di sua madre » è l’espressione che lo indica) e che è sepolto nel cimitero grande di Milano, la genealogia tutta femminile di Dinin è nella nonna di estrema vecchiezza, umiliata fragilità (« Molto vecchia è la nonna. / Fa sempre la calza, movendo di continuo le labbra su parole senza suono, che son preghiere. [...] Ha una suprema indifferenza per ogni cosa. Curva, minuta, claudicante fin dai primi anni della fanciullezza, con un viso di calme linee chiuso in una cuffiettina nera allacciata sotto il mento [...] Così avanzata nell’età, e tarda nei movimenti, vien tuttora compatita, dai padroni, nella portineria... » ), e, con forza, nell’operaia Vittoria, nella madre. La madre, che lavora in fabbrica, che non soccombe al bisogno e lo fronteggia con le forze che ha, che tace il dolore che non può assumere (dolorosamente irrisolto rimane il dramma del figlio maschio, allontanato da casa, per questo sbandato e inquieto, e mai più risarcibile), è la coprotagonista del libro di Dinin, la presenza forte, coraggiosa, allegra, la figura in relazione con la quale definirsi, e agire. Erano tutte figure del dolore, le madri, nelle autobiografie d’autrice primo Novecento alle quali ci si è qui più volte rifatti (Aleramo,  Si veda, ad es., a p.  : « Due cassettoni, un tavolino, qualche sedia ; e una tenda a righe grige e blu, dietro la quale, contro una parete, in mancanza dell’armadio, vengono appesi gli abiti. / uella tenda è il sipario. / La bambina lo solleva quando vuole. Le flosce vesti pendenti (vesti di pulita povertà) si riempiono, quando vuole, di ossa e di carne : spuntano da esse mani e teste : voci ne escono : un moto illusorio le anima. Giuditta Grisi canta. Il pubblico immaginario applaude ».  Cit. da pp. -. Ma le righe veramente indelebili sulla nonna sono quelle nelle quali la vecchina si muove per l’ultima volta nella piccola portineria, dalla quale deve uscire per sempre per avviarsi all’ultimo tempo della sua vita, perché si è chiusa la sua lunga stagione di lavoro : fatica, dovere, forza giovane della vita : « – T’ee finii, Peppina... T’ee finii, Peppina » : cfr. p. .

LA PAROLA MEMORIALE DI ADA NEGRI IN STELLA MATTUTINA

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Deledda, anche Zuccari) : la madre di Stella mattutina, invece, genera il percorso della figlia per rassicurazione, non per opposizione ; per integrazione, anche : « Vuole studiar da maestra [...] perché non intende logorarsi in un opificio come la madre, o divenir serva di signori in gioventù e portinaia in vecchiezza, come la nonna » (p. ) : è la madre, infatti, a sostenerne la possibilità ; è la madre che la lancia nel mondo, separandola da sé quando è ora che la zolla si schiuda (in conclusione, a p. , quando Dinin parte verso la campagna : « – E tu, mamma, tutta sola ? / – Io ? Non ci pensare. Va, benedetta »). Individua Negri anche una altrettanto incisiva, ma più difficile, affidata a soglie di più problematica definizione, fatica di riflessione, raccontata in un linguaggio a volte molto determinato nell’enunciazione, altre volte tangenziale, apparentemente occupato d’altro, metaforico com’è nel linguaggio non razionale dell’esperienza interiore, che agisce dentro le forme del silenzio. Aveva scritto più addietro nel racconto e nell’età : « La madre è l’unica creatura che possa entrare nella sua realtà senza turbarla » (p. ). La percezione del proprio io è il luogo specifico di Dinin e della scrittura di Ada : « Non è felice se non quando, lontana dalla gente che per necessità deve frequentare, può riprendere intera la coscienza di sé, immedesimandosi nel giro perfetto delle ore solari, nel graduale dilatarsi, intensificarsi e decrescere della luce », scrive ad es. a p. , mentre parla dell’« indipendenza » della quale può godere quando non è costretta dalla scuola (« per essa, in fondo, ore perdute »). Ma gli esempi possibili sono numerosissimi, attraversano tutto il tempo della narrazione, e hanno assai spesso a che fare con distesi squarci di descrizione paesaggistica, secondo un riconoscimento della continuità tra persona e natura, dell’effusione e delle recettività del sentimento, dell’identità che non è ripiegamento, ma appunto riconoscimento, e in esso assieme assunzione e lavorìo di pensiero : le giornate della neve, ad es., quando il bianco il silenzio l’immobilità definiscono un’esperienza amata (« Ella pensa d’essere rimasta sola nel mondo. Non più padroni, non più scuola, più nulla : nemmeno la madre. Le si dilata l’anima... », p. ) ; o quelle di primavera quando « il giardino le fa un incanto » : « appena sbucata fuori dal portico, dimentica quello che ha da fare, per ascoltar, rapita, gli alberi che parlano » (p. ) ; o quando – all’arrivo dell’estate (sta per annotare come le sia caro ascoltare « nella cara solitudine della propria giornata, il tempo fluire », p. ) – « del giardino diventa assoluta padrona [...]. Le mancano da un giorno all’altro le compagne di gioco ; ma non se ne addolora per nulla. / Ha il suo regno » (p. ) ; e così via. Di quella solitudine, di quella concentrazione ancora la voce che narra è convinta, è lì che le due identità, le due stagioni di vita si incontrano. La scrittura è al fondo lo spazio nel quale riconoscere, svolgere e fissare le modalità di espressione, e di definizione di questa individualità che fa di sé il tema della propria narrazione (anche con la esplicita necessità che tendano alla chiarità le cose oscure, se per ben tre volte il racconto riproduce l’estesa e dettagliata narrazione di tre sogni di Dinin, nei quali l’angoscia della perdita e della crescita si racconta nelle deformate forme oniriche), e pone questo libro dentro il percorso forte della scrittura di Ada Negri, lungamente attesa al riconoscimento dell’Altra nella quale vive si rivela e tace la donna che il ruolo pubblico disattende, malamente oscura, o sottende : « l’Altra : la Vera : che nessuno vedrà nel viso [...] : inviolabile, inviolata ».  Nel percorso della prosa memoriale, abbiamo aperto su questo, è il volto della donna ad essere al centro. La stupefatta meraviglia per ciò che la persona era, la consapevolezza che di persona compiuta, e diversa e altra e ovviamente inestricabilmente propria, assunta e riconosciuta, si è trattato.  La volontà descrittiva, la competenza testimoniale, la ricerca inter Cfr. pp. - : « La sente, a volte, rivelarsi e sovrapporsi alla persona circoscritta respirante camminante, con la potenza d’un getto di lava ».  « Nella sua carne acerba, nel suo attento spirito si venne foggiando, a suo tempo, una donna che fu successivamente altre donne, uguali e diverse fra loro » spiega la voce analitica di La còccola di ginepro (aggiungendo anche, dopo la pausa sospensiva di un punto e virgola : « e l’ultima non è sicura di rimaner l’ultima » : cfr. ed. cit., p. ). È anche questo un tema che ha significative rispondenze in quell’ambito primonovecentesco d’autrice che si è più volte richiamato : si v. ad es. (ma il motivo vi appare assai più di maniera) in L’insonne di AMALIA GUGLIELMINETTI, Milano, Treves, , le poesie L’elegia, L’anima duplice, Domande, i tre testi della sezione Il desiderio di morire, eccetera : « Io in

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pretativa, la sensibilità evocativa, l’architettura della trama, tutte le componenti assunte da questa scrittura autobiografica sottostanno all’esigenza di riconoscere l’individualità di Dinin e il tempo unico della sua adolescenza, quando quella individualità è esistita, irripetibile e « fermentante » : una ricercata autobiografia ‘di formazione’, commossa dell’impegno e della fatica che a quell’antica bambina è costato saper vivere, riconoscente del suo coraggio di zolla raccolta, « zolla nella notte »  si definisce nell’ultima pagina – con questa antica metafora, insieme terrestre e concreta, che accosta al denso valore della terra e del lavoro che danno il pane, e liricamente negriana, se è già stata usata nella poesia di Maternità a indicare una fecondità di generazione – mentre la notte si apre ormai verso il giorno nuovo, dentro la quale ha potuto vivere, e preparare la spaccatura della zolla, la persona Ada.  me, non vista, porto un’altra diversa me stessa... » ; « Nel mio cuor son raccolti infiniti cuori di donne, / la mia anima insonne ha non numerevoli volti... » (cit. dall’ed. , p. , p. ).  Aveva già usato – significativamente con altra luminosità di valore – l’immagine della zolla in un testo di Maternità : Germina, dove, nella realizzazione della funzione materna, altra era la significatività della metafora : « Io sembro inerte. E pure / son come zolla al sole. / S’aprono in me viole / oscure // di sogni, ardenti flore / d’un incantato maggio. [...] // ma tu, che da me bevi / la forza essenziale, / ed il bene ed il male / ricevi, // rompi, potente seme, / la zolla inturgidita. / Benedirem la vita / insieme » (cit. da ADA NEGRI, Poesie, Milano, Mondadori, , pp. -, vv. -, -).  Ho tenuto conto nello stendere questo intervento anche di alcuni miei precedenti lavori sull’opera di Ada Negri. Al tema della scuola, dell’apprendimento, delle letture in Stella mattutina mi è già occorso di dedicare il saggio Leggere per scrivere. La formazione autodidattica delle scrittrici tra Otto e Novecento : Neera, Ada Negri, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo, nel volume Letteratura e stampa nel secondo Ottocento, Alessandria, Edizioni dell’Orso,  ; al rilievo della professionalità documentata dall’archivio negriano l’intervento Ada Negri, scrittrice, nella giornata di studi Incontro con Ada Negri tenutasi all’Archivio Storico Civico di Lodi il  ottobre  (Atti in Sulle orme di Ada Negri, a cura dell’Associazione « Poesia, la Vita », Lodi, ) ; una lettura tematica di alcune novelle di Ada Negri nella relazione con il ‘sistema’ novellistico del periodo ho svolto nell’antologia/studio Novelle d’autrice tra Otto e Novecento, Roma, Bulzoni, .

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CRISTINA TAGLIAFERRI ADA NEGRI IN RIVISTA

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GNI opera di Ada Negri, alla sua prima uscita, fu subito discussa dalla stampa, quasi con accanimento, producendo talvolta conclusioni opposte e contraddittorie, ma sempre attestanti la massima considerazione.  Più di quanto generalmente accadesse, ogni suo nuovo libro invitò la critica ad una revisione delle opere precedenti : segno certo che nella scrittrice fu sempre vivo un processo di sviluppo. Nonostante gli immediati riconoscimenti delle sue qualità poetiche, indubbiamente influirono su certi giudizi negativi le riserve avanzate da Benedetto Croce nella rivista « La Critica ».  Partendo dalla sua concezione fondamentale dell’arte come intuizione, la quale, in quanto atto teorico, si oppone a qualsiasi pratica, egli trova nell’opera giovanile della poetessa due gravi difetti : il proposito di fare dell’arte una missione e la mancanza di elaborazione artistica.  In un secondo momento Croce riprende l’argomento e osserva come la seconda lacuna già rilevata nelle prime poesie della Negri non fosse stata eliminata neppure in quelle successive. Inoltre, egli rimprovera all’autrice di « togliere modi e atteggiamenti dal D’Annunzio, dall’americano Withman e da altri scrittori contemporanei ».  Infine, in accordo col suo sistema filosofico, le muove l’accusa di rimanere abitualmente chiusa nel suo « io privato », mentre il poeta deve ritrovarsi « solo con l’io universale ». In modo un po’ artificioso e schematico, la critica ha poi voluto scorgere nella vita e nell’arte di Ada Negri tre momenti. Circa la prima produzione poetica, molti hanno ravvisato in essa i difetti più tipici dell’autrice : un socialismo troppo sentimentale, gli impulsi alla recitazione, un linguaggio povero e torbido. A questa fase seguirebbe, dopo alcuni anni, con distinzione netta, quello che potrebbe chiamarsi il periodo del Libro di Mara () e dei Canti dell’Isola (), nel quale si è riconosciuta all’unisono – con un coro di consensi ed elogi – una chiara elevazione spirituale e artistica. Infine, è sempre stato interpretato come un momento a sé – ammirato per la ricerca della purezza ed essenzialità espressiva – quello dell’‘ultima’ Negri, con Vespertina () e Il dono (). Seguendo il ritmo delle sue opere, la critica si spostò dalla poesia alla prosa senza mutare angolatura ; la prosa risentì meno dell’aggressività dalla quale talvolta la poesia è stata colpita, perché Ada Negri vi giunse più tardi. La sua accoglienza fu così generalmente favorevole, senza accenti esplosivi né polemici. È pur vero che la ricezione della Negri non si esaurisce in un continuo e inconcludente ondeggiamento tra esaltazioni più o meno giustificate e superficiali contestazioni : se è vero che entrambe non sono mai mancate, studiosi competenti e obiettivi hanno cercato, in modo imparziale, di individuare e illustrare gli aspetti positivi e quelli negativi, distinguendo nell’opera della poetessa l’arte vera da ciò che non lo è. Nella prima metà del Novecento, l’autrice fu oggetto di considerazione critica da parte di numerose riviste.  Fra quelle che ne parlarono maggiormente e con una certa continuità, van Per il reperimento del materiale tratto dalle riviste letterarie, si è ricorsi in gran parte all’Indice delle Riviste italiane del Novecento, elaborato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sotto la direzione del Prof. Giorgio Baroni, e visibile al sito Internet www.unicatt.it/iride.  Ci si riferisce ai saggi polemici di Benedetto Croce, apparsi inizialmente su « La Critica », IV, , Bari, , pp. ; poi su « La Critica », XXXIII, , Bari, , pp. -. Essi furono in seguito pubblicati in due riprese nel secondo e nel sesto volume de La letteratura della Nuova Italia (questi comparirono – nella prima edizione – rispettivamente nel biennio - e nel biennio -).  BENEDETTO CROCE, Ada Negri, in IDEM, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici, II, Bari, Laterza, , p. .  IDEM, L’ultima Negri, in IDEM, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici, VI, Bari, Laterza, , p. .  Oltre al già citato Catalogo Italiano dei Periodici del Novecento, si veda la bibliografia riportata in ANGELA GORINI SANTOLI, Invito alla lettura di Ada Negri, Milano, Mursia, , pp. -.

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no senza dubbio segnalate la « Nuova Antologia », la « Rassegna italiana » e la « Fiera letteraria ». Attraverso il loro contributo è possibile ripercorrere alcuni momenti della fortuna di Ada Negri, la quale – dopo un periodo di relativo silenzio da parte della stampa periodica – s’impose definitivamente al giudizio del pubblico e della critica a partire dal Libro di Mara (). ADA NEGRI NELLA « NUOVA ANTOLOGIA »  L’opera della Negri trovò sin dall’inizio larga accoglienza nella « Nuova Antologia ». In parte, ciò si deve al fatto che la poetessa fu una fedele collaboratrice della rivista, dal  al , con versi, novelle e note autobiografiche di singolare valore.  Firmata da illustri letterati, storici, scienziati, personalità del socialismo e della destra cattolica, la « Nuova Antologia » salutò il nuovo secolo preceduta da una consolidata fama di rivista seria ed informata, rivolta ad un pubblico di alto livello. Fra le numerose materie trattate, la parte letteraria, a cui è soprattutto legato il nome del redattore Giovanni Cena – romanziere, critico sottile e poeta –, rappresentò probabilmente una delle attrattive maggiori, sia per le opere pubblicate per la prima volta, sia per la scelta degli autori, molti dei quali, allora giovanissimi, divennero nomi celebri. La ricezione di Ada Negri si caratterizza, in questa testata, per una critica non superficiale, attenta a evidenziare i pregi e i difetti della scrittrice con obiettività e rigore. A differenza di molti giudizi affrettati che si leggono in altre e pure autorevoli riviste dell’epoca, gli interventi espressi nella « Nuova Antologia » sono caratterizzati da una maggiore ricchezza argomentativa.  Ne sono prova, ad esempio, le illuminanti recensioni di Alfredo Gargiulo, Pio Rajna, Emilio Bodrero, Giovanni Titta Rosa, Michele Scherillo, i cui interventi hanno spesso la fisionomia di un saggio piuttosto che i tratti di una semplice segnalazione bibliografica. Il più noto è forse quello di Scherillo, che giudica il Libro di Mara Un magnifico, affascinante, delirante poema d’amore [...] tutto fremiti e vibrazioni d’una passione intensamente vissuta, persistente, eternata nell’arte. É un libro d’una sincerità formidabile. Segna una tappa nella storia della nostra letteratura femminile. 

Lo stesso critico annovera Stella mattutina () « fra i più vigorosi che vanti l’Italia dell’ultimo cinquantennio ».  Dopo avere commentato, in una sommaria esposizione, le opere dell’autrice, Scherillo conclude definendola un’artista « schiettamente originale e personale », lontana dal ricalcare le orme altrui, « superbamente e audacemente sincera ».  Un’ammirazione condivisa, vent’anni dopo, da Titta Rosa, il quale rileva nella medesima opera la raggiunta maturità stilistica della Negri, giudicando Stella mattutina « il suo libro di prosa più bello, e forse il suo capolavoro ».  Da quel momento, rileva lo studioso, la sua arte si è alternata su due temi fondamentali : il sentimento panico e l’amore per la natura. Gli otto libri usciti a partire da Finestre alte () fino a Erba sul sagrato () modulano con varietà di paesaggio e di motivi interiori quei due temi. Titta Rosa individua in modo conciso gli aspetti migliori dei Canti dell’isola e di Vespertina, per evidenziare poi le affinità dell’ultima Negri col Leopardi. Distinguendo inoltre fra novelle e ritratti da una parte e prose dall’altra, il recensore  Nata a Firenze nel  come « Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti », dal  al  il titolo cambia in « Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti ». Dal  la rivista è pubblicata definitivamente come « Nuova Antologia. Rivista di lettere, scienze ed arti ».  Si veda ad esempio ADA NEGRI, Memorie e versi, « Nuova Antologia », , Roma, .  Sulla rivista compaiono i seguenti articoli : ORSOLA NEMI, Maternità, , Roma, , pp. - ; CLARICE TARTUFARI, La poesia di Ada Negri, , Roma, , pp. - ; EMILIO BODRERO, Il libro di Mara, , Roma, , pp. - ; G. E. CALAPAJ, “Stella mattutina” di Ada Negri, , Roma, , pp. - ; IDEM, Finestre alte, , Roma, , pp.- ; PIO RAJNA, Emilia Peruzzi e Ada Negri, , Roma, , pp. - ; MICHELE SCHERILLO, Ada Negri, , Roma, , pp. - ; ALFREDO GARGIULO, Ada Negri (a proposito del Premio Mussolini), , Roma, , pp. - ; ARNALDO BOCELLI, Il dono, , Roma, , pp. - ; GIOVANNI TITTA ROSA, La poesia di Ada Negri, , Roma, , pp. - ; ARNALDO BOCELLI, Ada Negri, , Roma, , pp. - ; LUIGI UGOLINI, “Informazioni riservate” su Ada Negri, , Roma, , pp. -.   MICHELE SCHERILLO, art. cit., p. . Ivi, p. .   Ivi, p. . GIOVANNI TITTA ROSA, art. cit., p. .

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osserva come i primi non aggiungano molto alla fisionomia essenziale dell’autrice, mentre le seconde ne rivelano nuove e interessanti qualità narrative. A dispetto di questi e altri giudizi positivi, colpisce che a un mese dalla morte di Ada Negri si riportino i duri rilievi mossi da Alfredo Bocelli.  Il critico individua nella poetessa un atteggiamento comune a tutto il suo itinerario artistico, che lui definisce « egotismo esemplare ». Esso consisterebbe non solo nello specchiarsi, in modo narcisistico, nelle passioni e nei dolori fonte della sua ispirazione, ma anche nell’ampliare compiaciuta certi momenti o motivi della propria autobiografia, assumendoli a modello di stati d’animo di intere categorie di persone o ceti sociali, più spesso dell’intera femminilità : il che, afferma Bocelli, è un narcisismo ancora più sottile e raffinato. L’umanitarismo della Negri, sarebbe a suo dire d’origine estetizzante ; la sua apparente umiltà, venata d’orgoglio. A questo atteggiamento non è estraneo, secondo il recensore, il mito del superuomo, tanto più che Ada Negri è stata influenzata soprattutto dalla poesia dannunziana. Ne consegue che spesso la poetessa risulti l’« attrice » del proprio dolore e della propria sincerità. Ciò la renderebbe incline all’eloquenza, in una poesia dove la descrizione prevale sulla rappresentazione, e il voluto simbolismo contrasta con il realismo delle immagini e con la loro vivacità impressionistica. A torto, Bocelli giunge persino a negare il carattere lirico della sua poesia, concludendo che la Negri migliore vada cercata nella prosa a partire da Stella mattutina. ADA NEGRI NELLA « RASSEGNA ITALIANA »  Un adeguato riconoscimento delle qualità di Ada Negri viene dall’altrettanto autorevole « Rassegna italiana politica, letteraria e artistica », anche se, rispetto alla « Nuova Antologia », i contributi pubblicati in questa rivista sono molto più sintetici, dal momento che compaiono come brevi recensioni nella rubrica “Notizie bibliografiche”.  Va però riconosciuto l’impegno del periodico nel seguire puntualmente, all’uscita di ogni nuovo volume, l’itinerario dell’autrice, ammirandone la sempre più evidente maturità creativa. Tuttavia, a volte prevale l’attenzione per l’aspetto umano e biografico, a svantaggio di analisi più squisitamente letterarie. I giudizi espressi da Giacobbe Olindo, Salvatore Rosati, Luigi Tonelli, Crescenzo Fornari e Antonio Bruers, attestano una progressiva presa di coscienza del valore di Ada Negri, sia come donna, coraggiosa e profondamente sincera, sia come artista dal temperamento essenzialmente lirico. Dal Libro di Mara in poi si riconoscono i segni di un notevole progresso letterario, in direzione di una vera e propria catarsi spirituale – con l’attenuarsi dei dolori sofferti e delle passioni terrene – e verso un più chiaro affinamento dello stile. Talvolta si rimprovera alla Negri di cedere alle mode letterarie del momento, con evidenti riferimenti a D’Annunzio, quando sembra civettare col suo dolore mediante l’adozione di parole colorite e altisonanti. La più compiuta riflessione sull’attività letteraria dell’autrice si deve a Luigi Tonelli,  il quale – mediante una lettura diacronica – coglie la vera peculiarità di Ada Negri nella mutevolezza e nel dinamismo dell’arte e della vita. Ripercorrendo le tappe della sua trasformazione spirituale, il critico apprezza nelle prime prove liriche la poesia schietta e sincera, nonostante il linguaggio un po’ rude e grossolanamente eloquente. Oltre ai temi sociali, Tonelli riconosce 

ALFREDO BOCELLI, art. cit. « La Rassegna Italiana politica, letteraria e artistica » (Roma, -), mensile fondato e diretto da Tomaso Sillani. La rivista sospese le pubblicazioni nel giugno  e le riprese nel gennaio . Fondato nel  per partecipare alla vita italiana con originalità e con funzioni caratteristiche d’intervento nelle discussioni internazionali, il periodico merita di essere considerato anche per la sua parte propriamente letteraria e culturale, curata e sviluppata sin dalla sua nascita con la collaborazione di illustri scrittori e nell’ottica di un programma ben definito. La rivista si assunse, fra gli altri, il compito di studiare i problemi dell’espansione economica e politica nel mondo, dedicandovi una parte distinta del testo che porta il titolo di Rassegna del Mediterraneo e dell’espansione italiana.  L’unica eccezione è data dal saggio di LUIGI TONELLI, Ada Negri, , Roma, , pp. -. L’articolo non  LUIGI TONELLI, art. cit. compare, infatti, nella rubrica “Notizie bibliografiche”. 

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in esse altri motivi, cantati con la medesima passione : l’ambizione personale, l’orgogliosa affermazione del proprio genio, la brama di vivere. Non solo poesia “proletaria” dunque, come molti la definirono, ma anche lirica squisitamente femminile. Con Maternità la ribelle di ieri si placa nelle gioie, nelle attese, nelle trepidazioni che il concepimento e la crescita di un figlio comportano. Esaurito il tema della maternità, come programma umanitario ed esperienza personale, la Negri cerca di guardare più a fondo in se stessa. Già in Dal profondo e in Esilio, è percepibile la volontà di evitare i colpi di scena e i finali d’effetto, di ricercare un’espressione più precisa e di inventare nuove forme liriche. La catarsi spirituale di Ada Negri, è annunciata dal Libro di Mara ma trova il suo compimento nell’atmosfera limpida e pura dei Canti dell’Isola, elogiati – sin dal loro primo apparire – anche dal Romagnoli.  Così, quattro sono le immagini che ci si presentano sotto il nome di Ada Negri, accomunate dalle caratteristiche psicologiche dell’energia e della sensualità : la vergine rossa e selvaggia, la madre ch’è insieme una donna delusa e nostalgica, la pietosa e spietata indagatrice dei segreti spirituali muliebri, la donna inebriata, amareggiata, avvelenata e finalmente sublimata dall’amore. 

Analogamente, lo stile della poetessa attraversa quattro fasi fondamentali : nella prima è torbido, impreciso, non privo di eloquente volgarità ; nella seconda eletto e raccolto, ma infiorato d’artificio e preziosismo ; nella terza – fase prosastica –, nudo, scabro, a volte troppo crudo, ma in Stella mattutina morbido, fluido, luminosamente semplice ; nell’ultima, armonioso d’un’armonia, che spezza tutti gli schemi metrici e retorici per esprimere la melodia intima del poeta ; imaginoso d’imagini, che si sforzano d’evitare tutte le parole e frasi convenzionali per esprimere virgineamente le impressioni, proprie dell’artista.

ADA NEGRI NELLA « FIERA LETTERARIA » E NELL’« ITALIA LETTERARIA »  Assai diversa è la lettura proposta dalla « Fiera letteraria », piuttosto laconica e, a volte, anche beffarda, nei confronti di Ada Negri. La rivista, fondata a Milano nel  da Umberto Fracchia, si trasferì quattro anni più tardi a Roma, mutando il titolo in « Italia letteraria ». Rivolta a un pubblico medio e piccolo-borghese, acculturato ma non propriamente letterato, essa nasce come chiara contrapposizione fra il “tempio” in cui il letterato amava rinchiudersi e la “fiera”, luogo d’incontro dove è ammesso ogni linguaggio stilistico. L’eclettismo elevato a sistema e la pura esposizione campionaria dei prodotti caratterizzano di fatto il periodico. In questa sorta di vetrina di scrittori, assumono scarso rilievo sia l’opera che la figura di Ada Negri, lontana, probabilmente, dai gusti del pubblico italiano e dalla implicita predilezione della rivista per gli scrittori della « Ronda ». Fra posti d’onore a rotazione continua, la « Fiera letteraria » riproduce in prima pagina i commenti di Cesare Angelini a Le Strade e di Gino Saviotti a Sorelle.  Se Angelini ammira la prosa assai vicina al canto per lo stato d’animo e l’intensità di lirismo, riconoscendo all’autrice un’innegabile maturità letteraria, Saviotti le rimprovera di piegarsi al volere dei critici adattando di volta in volta la sua arte ai giudizi for « Cercate pure finché volete i precedenti, le fonti, i presupposti dell’arte di Ada Negri, ma il fondamentale ed essenziale unico presupposto rimane sempre il suo mirabile istinto [...] Aboliti i moduli comuni Ada Negri compagina le parole secondo il profondo ritmo del cuore, sincrono a quello che fa volare il vento, ascendere le linfe, palpitare le stelle. Che è liberissimo, capriccioso, e insieme infinitamente preciso » (ETTORE ROMAGNOLI, La maga dell’Isola Azzurra,  LUIGI TONELLI, art. cit., p. . « L’Ambrosiano », , Milano, , p. ).  Ibidem. Oltre all’articolo di Tonelli compaiono nella rivista : GIACOBBE OLINDO, Il libro di Mara, , Roma, , pp. - ; IDEM, Stella mattutina, , Roma, , pp. - ; IDEM, Finestre alte, , Roma, , p.  ; CRESCENZO FORNARI, I Canti dell’isola, , Roma, , pp. - ; GIACOBBE OLINDO, Le Strade, , Roma, , p.  ; SALVATORE ROSATI, Vespertina, , Roma, , pp. - ; ANTONIO BRUERS, Sorelle, , Roma, , p.  ; SALVATORE ROSATI, Di giorno in giorno, , Roma, , pp. - ; IDEM, Il dono, , Roma, , pp. -.  « La Fiera letteraria. Giornale settimanale di lettere, scienze ed arti » (Milano-Roma, -) ; « L’Italia letteraria. Giornale settimanale di scienze, lettere ed arti » (Roma, -).  CESARE ANGELINI, «Le Strade» di Ada Negri, « La Fiera letteraria », , Milano, , pp. - ; GINO SAVIOTTI, Sorelle, , Roma, , pp. -.

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mulati, con esplicito riferimento alle accuse crociane. In conclusione si auspica che la Negri, ironicamente definita « docile e dolce creatura », giunga presto al suo vero capolavoro. Oltre a questi due articoli di fondo, sino alla fine degli anni Venti, si susseguono alcune segnalazioni bibliografiche nella rubrica “Cambusa” o si dà notizia dei libri tradotti all’estero.  Singolare è invece il tentativo della rivista di costruire intorno alla persona di Ada Negri un’aura di misteriosa solitudine, enfatizzando alcuni aspetti e sorvolando su altri, così da sminuirne il reale spessore, umano e letterario. Ne è un esempio l’articolo firmato da Adolfo Franci, in cui si riporta un colloquio con la poetessa, dove le particolarità fisiche e i tratti del carattere attraggono più di quanto la Negri dice : Vestita di nero, una leggerissima sciarpa scura al collo che bene incornicia, con i folti capelli grigi, quella sua faccia un po’ aspra nei contorni, addolcita dagli occhi mobilissimi, Ada Negri mi parla di sé e degli altri [...] Fa un gesto con la mano quasi – con quello – volesse accompagnare il canto che, dentro, la consola. E il volto le s’illumina in un sorriso. 

Con una punta di ironia si sottolinea come l’autrice non ami parlare della critica, che troppo spesso si allontana, a suo parere, da quanto uno scrittore intende realmente dire ; l’addolora il fatto che la critica, parlando di lei, si rifaccia dai suoi primi libri, scriva la storia della sua opera passata. Ed ella, invece, non vorrebbe sentirsi ricordare, a ogni piè sospinto, la lunga – e non facile – strada percorsa. Di fronte a ciascun libro ella si sente l’anima di una novizia : le sembra di aver sempre tante cose da dire ! 

Ancora più canzonatorio è un dialogo immaginario pubblicato nel , in cui s’indugia sul desiderio della poetessa di andarsene da Milano, in cerca di riposo e di quiete, insistendo sul motivo dei ricordi e della gioventù perduta. Suscita riso la povera Ada Negri, quando promette di portare a termine, prima o poi, una novella lunga che tiene sul tavolino, dato che – dice – « vivo sempre qui chiusa in casa, senza farmi mai vedere da nessuno e senz’altro conforto che il lavoro ».  Di tutt’altro tono sono invece, negli anni Trenta, le serie recensioni dell’« Italia letteraria », anche se il valore dell’autrice non sembra emergere appieno : nonostante si renda merito all’‘ultima’ Negri, non si perde occasione per elencare le lacune e i difetti più tipici della produzione passata. Ugo Marescalchi, commentando il tema della morte in Vespertina,  sottolinea come nelle opere precedenti la forma artistica della Negri si rivelasse sempre impari al contenuto, cioè, « si sente la sincerità della sofferenza umana e se ne prova simpatia, ma l’espressione di quella sofferenza la si trova esteticamente fallita ».  Augusto Premoli, nel valutare Vespertina, Il dono e Stella mattutina come le prove migliori, riconosce come la poetessa perda finalmente i tratti negativi che più la contraddistinsero : l’incapacità di costruzione e cucitura di un’opera, il linguaggio povero e torbido, l’artificio dei mezzi.  Contraddittorio e incoerente è, infine, il giudizio di Aldo Capasso, che dopo avere messo in discussione ogni aspetto della raccolta di prose Di giorno in giorno, la definisce un « libro di valore altissimo ».  Rimane il fatto che Ada Negri – per usare le parole di Vittore Branca – « dominò il pubblico italiano fra due secoli e come nessun altro poeta fu sulle labbra dei lavoratori e degli studenti, esaltata così dai rapisardiani come dai futuristi, a cominciare da Marinetti ».  Si ricordino anche i lusinghieri giudizi di Francesco Flora, Attilio Momigliano, Giuseppe Antonio Borgese, Vincenzo Fraticelli e molti altri ancora.  A ciò va aggiunto lo straordinario interesse 

Si vedano i seguenti numeri : , ,  del  ; , , ,  del .  ADOLFO FRANCI, Colloqui...con Ada Negri, « La Fiera letteraria », , Milano, , p. . Ibidem.  FAMULUS, Ada Negri, « La Fiera letteraria », , Roma, , p. .   UGO MARESCALCHI, «Vespertina» di Ada Negri, « L’Italia letteraria », , Roma, , p. . Ibidem.  AUGUSTO PREMOLI, L’ultima Negri, « L’Italia letteraria », , Roma, , p. .  ALDO CAPASSO, Da Ada Negri a Marise Ferro, « L’Italia letteraria », , Roma, , p. .  Citazione di Vittore Branca riportata in ANGELA GORINI SANTOLI, op. cit., p. .  FRANCESCO FLORA, Dal romanticismo al futurismo, Milano, Mondadori, , p.  ; FRANCESCO FLORA, LUCIANO NICASTRO, Carattere di Ada Negri e di Alfredo Panzini, in Storia della letteratura italiana, a cura di Francesco Flora, III, Mi

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che l’autrice destò all’estero, soprattutto sulla cultura spagnola del Sud America e in Russia. Un’ammirazione riassumibile nell’elogio di Edouard Schneider, che definì Ada Negri « La plus riche poètesse de l’Italie, qui compte parmi les deux ou trois premières du notre temps ». Nonostante tutto, la Negri non si è mai curata troppo né delle censure né delle lodi, ed ha continuato ad essere sé stessa, traducendo nell’arte i suoi sentimenti e la sua umanità con immediatezza ed efficacia. lano, Mondadori, , pp. - ; ATTILIO MOMIGLIANO, Impressioni d’un lettore contemporaneo, Milano, Mondadori, , pp. - ; GIUSEPPE ANTONIO BORGESE, Ada Negri : Dal Profondo, in IDEM, La vita e il libro, Torino, Bocca, , pp. - ; VINCENZO L. FRATICELLI, Incontri con Ada Negri, Napoli, Conte,  ; IDEM, Poesia di Ada Negri, « Politica nuova », , Napoli, , pp. - ; IDEM, Erba sul sagrato, « Autori e scrittori », aprile, Roma, .  Da EDOUARD SCHNEIDER, Ada Negri, saggio introduttivo alla versione francese di Stella mattutina, Parigi, Stock, . Il saggio fu pubblicato, lo stesso anno, anche sulla « Revue de Paris ».

GIORGIO BARONI « NOSTALGIA D’UN CANTO / LARGO, FELICE »

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I quella straordinaria capacità che ebbe Ada Negri di trasformare in versi le proprie esaltazioni e sofferenze, una testimonianza matura e affascinante è la produzione in versi degli ultimi dieci anni. Non di radicale innovazione si può parlare, ché già prima e particolarmente in Vespertina si registrano toni e temi non dissimili. Ma certo un illimpidimento lirico speciale si nota sin dall’apertura della silloge Il dono e dalla lettura quindi della prima composizione che reca lo stesso titolo : Il dono eccelso che di giorno in giorno e d’anno in anno da te attesi, o vita (e per esso, lo sai, mi fu dolcezza anche il pianto), non venne : ancor non venne. Ad ogni alba che spunta io dico : « È oggi » : ad ogni giorno che tramonta io dico : « Sarà domani. » Scorre intanto il fiume del mio sangue vermiglio alla sua foce : e forse il dono che puoi darmi, il solo che valga, o vita, è questo sangue : questo fluir segreto nelle vene, e battere dei polsi, e luce aver dagli occhi ; e amarti unicamente perché sei la vita.

Nella vita, si sa, si fanno pure dei bilanci e i più importanti non sono certo quelli economici ; anche la poetessa sul filo dei suoi sessantacinque ne traccia uno. Pensa dunque di non aver visto ciò che più desiderava e non dice che cosa sia. La sensazione di una vita che ormai sfugge e la costatazione di non aver centrato il bersaglio potrebbero essere anche disperanti ; ma la maturità che suggerisce certi bilanci dona pure la saggezza per interpretare i dati correttamente : la vita vale in quanto tale, ha senso proprio dentro di sé. E il dono più importante è la vita stessa. Per apprezzare a fondo questa composizione è opportuno soffermarsi sulle tecniche espressive usate dalla Negri : chiaramente la lirica è di immediata comprensibilità anche senza approfondimenti. Anzi – e qui sta l’abilità dell’autrice – certi dettagli che ora vedremo sono costruiti in modo da non creare alcun salto nella lettura, ma di arricchire sottilmente di senso quanto si legge. È questo il caso del crescendo nell’attesa dei primi versi : prospettiva che è inizialmente scandita sui giorni e poi sugli anni, per raggiungere quasi la dimensione di un’intera vita ; la provvisoria conclusione dell’attesa è ripetuta due volte (« non venne : ancor non venne ») come dianzi giorno e anno. Dopo questo primo periodo in cui una sorta d’immaginario obiettivo lavora per allontanamento (dallo zoom sul giorno fino alla vita), a partire dal quinto verso si ha una sorta di ingrandimento che si fissa sul giorno e lo dilata indicandone le parti ; e infine sposta l’aspettativa sul nuovo giorno. La parola « scorre » che apre il periodo successivo viene immediatamente collegata a un’idea di tempo ; date le premesse, l’apparire del fiume fa per un momento pensare allo spazio, ma è subito chiaro che si tratta di una metafora della vita, espressa qui non come entità cui rivolgersi, ma come atto dell’umano esistere. Lo sdoppiamento della vita potenza/atto si snoda nei versi seguenti : la Vita dona la vita. uesta è estrinsecata dal sangue (il « sangue vermiglio »  Tutte le citazioni di poesie di Ada Negri sono tratte dalla raccolta Poesie di Ada Negri, Milano, Arnoldo Mondadori, , p..

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GIORGIO BARONI

dell’ottavo verso, « questo sangue » del decimo, « questo / fluir segreto nelle vene, e battere / dei polsi », subito seguenti) o dalla luce degli occhi. A un riesame complessivo di tutta la lirica le parole più importanti risultano vita, giorno, dono, ciascuna ripetuta tre volte ; ma finalmente è vita quella che le riassume poiché di singoli giorni è composta e il dono, « il solo che valga », è ancora « questo sangue », cioè la vita. Un’ulteriore considerazione sullo sdoppiamento di vita porta alla conclusione che la Vita è emanazione della divinità che dona all’uomo una scintilla di sé che sola gli permette di vivere. Con questa poesia si collega la seguente che ne è la naturale conseguenza : RIMORSO Vita, dono di Dio : che ho dunque fatto di te ? Che folle e vana attesa è dunque la mia, se ti posseggo, anima e senso, corpo e pensiero, unico bene ? In nome di qual sogno t’offersi, per qual fede a perderti fui pronta, a chi passai la tua fiaccola ardente ? Sol per questo data mi fosti ; e adesso è tardi, o vita. uando misera e sola innanzi al Padre sarò, che gli dirò, qual luce in terra avrò lasciata, a gloria sua ? Ma forse ancora è tempo di donarti, o dono di Dio. Fin ch’io respiri, ancora è tempo.

Si apre anche questa lirica con l’idea del dono. E parte dall’acquisizione della precedente poesia che la vita è il dono e che ogni altra attesa è « folle e vana ». Il bilancio (non per nulla la lirica s’intitola Rimorso e contiene per due volte nei primi due versi la parola dunque) diviene quindi esame di coscienza, nel quale si pesano passate scelte, distinguendo ancora fra vanità e luce. Così non qualsiasi impegno appare valido ; anzi, alcuni slanci dettati da effimera e malriposta fede vengono ridimensionati : conducono infatti non a realizzare la vita, ma a perderla. Appare invece chiaro il compito ricevuto : trasmettere la « fiaccola ardente », lasciare « luce in terra » a gloria di Dio, donare la propria vita per questo. E al timore di non aver fatto abbastanza, al dubbio disperante (« adesso è tardi, o vita ») arriva la risposta misericordiosa e rassicurante : « Fin ch’io respiri, ancora è tempo ». Alla base della composizione si intravede un’attenta meditazione ; ma la poesia scaturisce ugualmente per lo slancio sentimentale della poetessa. Il tema della riflessione è il « dono di Dio ». La domanda che segue (« che ho dunque fatto / di te ? ») è al centro dell’autoanalisi. Anche qui la poetessa si rivolge alla Vita, ripetutamente appellata « dono di Dio » ; può rivolgersi ad essa perché è emanazione di Dio e partecipa della divinità ; vengono in mente quindi le parole di Gesù : « Sono la via, la verità e la vita » ;  dunque rivolgersi alla Vita potrebbe equivalere a parlare con la seconda persona della Trinità ; un’ipotesi del genere può trovar conforto nell’esplicita citazione del Padre nel nono verso, mentre la « tua fiaccola ardente », quanto meno come simbologia, richiama lo Spirito Santo. Funzione essenziale durante l’itinerario terreno è dunque il « passare / la fiaccola ardente », chiara immagine, (come la « luce » di verso dieci) del contributo richiesto al cristiano per l’avvento del Regno e per la gloria di Dio Padre, esplicitamente citata nell’undecimo verso. Dopo una vita largamente spesa a favore di chi aveva bisogno e di un impegno poetico e letterario, attento a donare prima di tutto amore e conforto, Ada Negri sente ugualmente 

Ivi, p. .



Vangelo sec. Giovanni, , .

«NOSTALGIA D ’ UN CANTO / LARGO, FELICE»  il rimorso di non aver fatto abbastanza, forse per essersi persa dietro qualche meta terrena o errata, qualche « sogno » o « fede » imperfetti. La chiusa è tuttavia consolante e impegnativa : la scoperta di avere ancora tempo – in due versi due volte si trova la frase « ancora è tempo » – apre alla speranza, ma toglie qualunque alibi : l’impegno dura « fin ch’io respiri ». Fra la prima affermazione « ancora è tempo » e la seconda c’è una differenza : un « forse » che nella prima c’è e nella seconda manca ; secondo un tipico itinerario di fede, che si affaccia alla mente con difficoltà e dubbi, ma, se accolta, subito si fortifica. L’attrazione verso la divinità è elemento fondamentale nella raccolta Il dono, l’ultima congedata personalmente dall’autrice. Non di rado qui la poesia diviene preghiera. Altre volte è meditazione sull’umana sorte e sul mistero. Così è per Dopo,  la penultima composizione della raccolta : Anima mia, soffio leggero, pallido lume oscillante : che farai, nell’ora che l’estrema agonia t’avrà disciolta dal corpo inerte ? Esiterai, smarrita, forse, innanzi di prendere il tuo volo : invisibil fra i vivi, poi salente di spazio in spazio oltre le nubi, poi fra turbinare e inabissar di mondi cercherai la tua via, senza trovarla. Innumeri respiri a te d’intorno aliteranno, d’anime già accolte nell’infinito ; e tu da esse invano un segno invocherai che ti riveli un segno, un solo ! – quelle de’ tuoi morti. Non troverai l’anime de’ tuoi morti, né d’alcuno che amasti, o di cui abbia veduto il viso ; ed esse e l’altre e l’altre, tacitamente volitanti a torme fra miriadi di stelle, non vedranno te, non vedranno : smemorate ormai del mondo, assolte delle tristi colpe lontane, immerse in Dio, beate in Lui. Ma tu, nuova al trapasso, ancor dolente del dolore di morte, e non del tutto purificata del ricordo umano, errando andrai per quei deserti, in cerca del Dio nascosto. Fino a quando ? Prega, spirito in pena : soffri ! Oh, nulla forse che un punto, il tuo soffrire ; ma nel tempo di Dio varrà per secoli e millenni. Un punto – e col perdono avrai la Luce. Anima perdonata, in quell’eterna Luce rinascerai nel tuo Signore : tu sarai Lui, ed Egli sarà te.

Appoggiandosi a teorie antiche e nuove che interpretano l’idea di Purgatorio o di altra forma di ripulitura ultraterrena dalle scorie della vita, Ada Negri prova a immaginare il proprio itinerario post mortem e ne parla ponendosi delle domande e cercando delle risposte. Le definizioni (« soffio leggero, pallido / lume oscillante ») che accompagnano l’appellativo « anima mia », nel sostantivo richiamano la tradizione biblica e letteraria, mentre gli aggettivi sottolineano la situazione indefinita dell’anima, non ancora completamente realizzata. Poi, 

Ivi, p. .



GIORGIO BARONI

nella domanda, il riferimento all’ « ora » non riguarda esattamente quella della morte per cui sempre si prega, ma l’attimo seguente, quando già il distacco è avvenuto (è reso infatti con un futuro anteriore). Interessante la dolcezza con cui questo viene espresso : l’anima risulta « disciolta / dal corpo inerte », nulla di violento dunque, soltanto la liberazione da un vincolo, sia pure a prezzo di sofferenza. Segue poi la descrizione dell’avventura di quest’anima « nuova al trapasso », « smarrita » ; Ada Negri non si aspetta l’accoglienza di spiriti guida, né il conforto di parenti o amati o almeno di con-sorti ; il nuovo dramma dell’anima « ancor dolente / del dolore della morte, e non del tutto / purificata del ricordo umano » si consuma in solitudine, nell’impossibilità di comunicare ai vivi e di ricevere aiuto dagli « innumeri respiri […] d’anime già accolte / nell’infinito ; […] smemorate ormai / del mondo, assolte delle tristi colpe / lontane, immerse in Dio, beate in Lui ». Per l’anima « oscillante », incerta sull’itinerario da intraprendere (« esiterai […] innanzi di prendere il tuo volo » ; « poi […] cercherai la tua via ») è il momento di una nuova ricerca non priva di difficoltà : « errando andrai per quei deserti, in cerca / del Dio nascosto ». uanto terreno appare questo dramma, della ricerca di un Dio che si cela ; e gli strumenti appaiono quelli di sempre : la preghiera e l’espiazione. Nell’attesa ancora temporale dell’anima è la sofferenza che crea l’intersezione con la dimensione eterna di Dio : « Oh, nulla forse / che un punto, il tuo soffrire ; ma nel tempo / di Dio varrà per secoli e millenni. / Un punto – e col perdono avrai la Luce ». Basta dunque un “punto” di sofferenza per ottenere il perdono di Dio ; e il « lume oscillante » ottiene la Luce. Col perdono avviene la nuova nascita, la vera nascita, quella che avviene in Dio, secondo la più schietta tradizione cristiana ; quello che Dante esprime con il verbo “indiarsi” la Negri rende con un verso che appare quasi una formula matrimoniale : « tu sari Lui, ed Egli sarà te ». Sul tema del Dio nascosto, caro anche a Pietro Zovatto, torna ripetutamente la poetessa anche nelle liriche successive, quelle poi riunite in Fons amoris. Così in Nulla, Signore, io sono  si riscontrano gli interrogativi inquietanti che assalgono ogni uomo nei momenti di ricerca delle ragioni profonde del vivere : « Che vuoi da me ? ual dono / chiedi alla mia miseria […] ? ». E di conseguenza emerge il lamento di chi invoca senza avere una risposta : « Ma tu giammai / ti scopri. Ed è nel tuo pensiero occulto / ch’io più ti cerco e imploro : è in quest’angoscia / di sapere da Te ciò che m’ascondi / ch’io forza attingo per amarti – e il mio / tormento ». Nella lirica seguente, La tua voce,  nuovamente emerge la richiesta che la preghiera non rimanga monologo : « Io voglio / ascoltar la tua voce. La tua voce / vera, Signore, prima della morte ». E si riscontra il tentativo di darsi delle risposte, trovando Dio, in ogni aspetto del creato, a cominciare dal sole, emblema di divinità al punto per gli antichi di confondere la creatura con il Creatore ; ma questo non basta all’uomo e nemmeno alla poetessa che in toni accorati tenta le corde dell’affetto, rivolgendosi al Padre in quanto tale : « Ma se tu mi parlassi come un padre / alla sua figlia, e mi dicessi : “Figlia, / io ti perdono” ! – Una sol volta, un solo / istante, udirti : annichilirmi al suono / tremendo e dolce : e non poter far altro, / o mio Dio, che morire, per udirti / sempre ». Con la mente sempre più pervasa dal desiderio di Dio, la Negri torna a temi più terreni, consueti nel suo primo tempo poetico, ma tesa verso il momento della verità e pronta a cogliere i segni naturali della celebrazione del creato e del suo Fattore. Così in Nostalgia  la sua mente ritorna ai campi della giovinezza : Ho nostalgia d’un canto largo, felice, di fanciulle in coro che ritornin dai campi, alla stagione dei fieni. E salga il canto oltre le file delle robinie ai fianchi della strada, oltre le rase praterie, la curva 

 Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p.  ; si riconoscono in questa lirica alcuni spunti che hanno ispirato il testo poetico di Giuseppe Strazzi che conclude il presente volume. 

«NOSTALGIA D ’ UN CANTO / LARGO, FELICE»



del fiume, i pioppi de l’opposta riva, e sia canto d’amore ; e con l’aroma dei fieni empia di sé la mia stanchezza come un annunzio di gioiosa morte.

Inevitabile cogliere in questo canto (tre volte si ripete tale parola) una consonanza con quello che sgorga « per incanto » nei versi della poetessa : ampio e circostanziato è il panorama descritto, così che par quasi di vedere il variopinto coro delle fanciulle che tornano liete dalle fatiche dei campi, piene di giovanile ardore, inebriate dal profumo del fieno e desiderose d’amore. Nell’animo della poetessa tutto questo ha una lucida consapevolezza, e la nostalgia « d’un canto / largo, felice » si traduce nell’attesa più grande, liberatoria del peso della vecchiaia e foriera di un incontro cui si prepara da tempo, qui rappresentato da uno scandito, ripetuto « oltre » verso cui sale il canto.

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CRISTINA BENUSSI IL ROMANZO DI ADA NEGRI : « STELLA MATTUTINA »

A

DA NEGRI con Stella mattutina si pone nel solco di una storia del romanzo italiano toutcourt, al di là della differenza di “genere”. uando lo scrisse, nel , da più parti s’invocava un ritorno a questa forma letteraria, sgretolatasi nel corso dell’età giolittiana. Giuseppe Antonio Borgese avvertiva, proprio in quello stesso anno, che era giunto il Tempo di edificare, ed identificava in Federigo Tozzi il primo ricostruttore del dopoguerra, mentre lui stesso stava per dare alle stampe il suo Rubè. Com’è noto, con la crisi dei fondamenti del sapere, dall’ultimo decennio dell’Ottocento scrittori e poeti avevano cominciato a riflettere sulla loro funzione di guida, che non era più solidale con i valori espressi dalla cultura dei nuovi ceti egemoni. D’Annunzio, Pirandello, Svevo crearono protagonisti incapaci di trasmettere al proprio lettore visioni del mondo positive, obiettivi morali, fedi religiose. « Inetto » si definiva quel personaggio antiborghese che si sentiva vivere senza capire in nome di che cosa, perché il relativismo più spinto era il suo punto di vista gnoseologico. Negli anni della « Voce », rivista affollata da intellettuali che volevano costituire una trasversale « classe dei colti », molti, pur impegnati in battaglie idelogico-politiche di peso, quando affrontavano la scrittura letteraria finivano per ripiegarsi su se stessi, guardando alla propria personale esperienza. Nasceva un romanzo di tipo autobiografico,  dove ciascuno cercava di individuare un proprio ruolo in una società che stava rapidamente mutando, in un’economia che da agraria cercava di trasformarsi in industriale, dentro una compagine civile che sfornava in continuazione nuovi soggetti, professionali e politici. Slataper scriveva Il mio Carso (), dove salvava come valori l’amore verso il lavoro, nonché il senso del dovere verso i fratelli, anche quelli appartenenti ad altre culture, come la slava, portatrice di nuovi ideali ; Ardengo Soffici con Lemmonio Boreo () rilanciava quelle virtù appartenenti del mondo contadino, come lo spirito evangelico di fratellanza che gli rendeva odioso il socialismo, giudicato aggressivo e violento ; celebrava l’attaccamento al lavoro, che favoriva l’amore per la propria terra, nonché la nostalgia per una famiglia di stampo patriarcale, che le esigenze della logica industriale stavano scompaginando ; Giovanni Papini confessava nel suo Uomo finito () di essere alla ricerca di qualcosa che lo sapesse riportare a un senso plebeo di realismo, di sobrietà e di concretezza ; Giovanni Boine nel Peccato () sembrava intraprendere la via di un maledettismo, ma cauto, intimidito com’era dalle conseguenze di azioni troppo dissacranti ; Piero Jahier scriveva le Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi () contro la burocratizzazione della vita e dell’arte in una società che stava diventando di massa. Anche lui, come si evince dal suo diario postbellico Con me e con gli alpini (), guardava con nostalgia ai valori d’un passato che sapeva tuttavia irrecuperabile. La guerra, quella che quasi tutti avevano voluto  e che fu poi da molti condannata, aveva cambiato mentalità ed abitudini secolari, portando, tra l’altro, anche le donne a varcare i cancelli delle fabbriche per sostituirsi agli uomini impegnati al fronte. Tornare alla condizione precedente era ormai impossibile e Ada Negri lo sapeva benissimo. Così, mentre Borgese e Tozzi riprendevano il filo di un discorso in cui il protagonista trovava nuove ragioni per trovarsi in crisi, altri cominciarono ad invertire la direzione di ricerca : all’« inetto » si sostituivano figure che esprimevano nuove sensibilità. Svevo cercava di recuperare un racconto che sapesse  Mi permetto di rimandare al mio Resistenza e dinamica del canone letterario nell’età giolittiana : il romanzo vociano, in I canoni letterari. Storia e dinamica, Trieste, Lint, , pp. -.  Sul tema la bibliografia è sterminata, ma qui forse basta rimandare a MARIO ISNENGHI, GIORGIO ROCHAT, La grande guerra /, Firenze, La Nuova Italia, .

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CRISTINA BENUSSI

portare a qualche conclusione, tanto che con la Coscienza di Zeno, iniziata per l’appunto nel , mostrava l’assurdo della vita, da accettare comunque per quella che era, né bella né brutta, ma « originale » ; Bacchelli, con altri, fondava « La Ronda », rivista d’ordine, che si proponeva di recuperare almeno le forme di un prosa ottocentesca. Ada Negri scrisse il suo romanzo riprendendo proprio quell’autobiografismo canonizzato dalla « Voce », ma mutandolo di segno. Anche Sibilla Aleramo aveva raccontato di sé in Una donna, tanti anni prima, nel , anticipando in questo senso i vociani ; ma si trattava di un periodo storico in cui la richiesta d’autonomia economica e morale faceva seguito alla prova fallimentare del matrimonio e alla nascita di un figlio, lasciato poi al marito, pegno della sua scelta libera. Non che la guerra poi abbia rivoluzionato a tal punto la mentalità da consentire ad una donna di non dipendere da altri che da sé, ma ha certamente posto, nelle coscienze più vigili, il dubbio che verso quella meta si potesse cercare di andare da sole. Il diario, l’epistolario, la memoria, il racconto della vita reale, che avevano a lungo caratterizzato la scrittura femminile,  cominciano ora a fare i conti con simbologie nuove, nate dal desiderio di costruire un percorso di vita esemplare. Realtà e fictio, nel nostro caso, s’intrecciano per dar forma ad un nuovo possibile modello, attraverso la ricerca di un’identità che non sia quella stereotipata della donna vittima, né l’altra, altrettanto falsante, della femme fatale. Anche in questo senso, Stella mattutina è un vero e proprio Bildungsroman che infatti avrebbe dovuto intitolarsi L’età misteriosa,  a significare forse la forza simbolica di una giovinezza anagrafica, capace di spingere la protagonista a fare coraggiose scelte di vita. L’incipit è di quelli che non si dimenticano, tanto è evidente lo sforzo di rappresentare un sé osservato dall’esterno e fuori dai luoghi comuni : « Io vedo – nel tempo – una bambina. Scarna, diritta, agile. Ma non posso dire come sia, veramente, il suo volto ».  La presenza delle macchie del tempo sull’unico specchio di casa fa assumere a questo dato oggettivo un valore simbolico, perché viene evitata l’inutile descrizione di occhi naso bocca capelli, invitando il lettore a seguire il narratore alla scoperta interiore di sé. Dunque si tratta di una bambina, chiamata Dinin, che non si accontenta di guardare se stessa, ma che vuole ricostruire un passato in vista di un futuro, seppur gravido d’incognite. Per di più si tratta di una creatura che vive in dignitosa miseria, figlia com’è di una madre operaia, rimasta vedova, e nipote di una portinaia che un tempo era governante di fiducia di Giuditta Grisi, una soprano-lirico divenuta contessa per matrimonio. Fin dall’inizio dunque si presentano come possibili opzioni due modelli di femminilità, quella di una donna che sacrifica la propria vita per la famiglia, la madre, e quella dell’artista, dal fascino inquietante, qui destinata a soccombere di malattia, e dunque immediatamente scartata. È con questi possibili archetipi che la giovane deve confrontarsi, per costruirsi evidentemente una terza via. Nel suo caso però, fin dalla prima infanzia, è assente il padre, e dunque in un certo senso la protagonista ha un compito più facile, perché libera dalla Legge della società patriarcale. La figura maschile a lei più vicina è quella di un fratello, che la madre, non potendolo mantenere, ha affidato agli zii : dunque è sì un maschio, ma non ha più chance di lei. In questo senso, considerando lo sforzo d’affermazione sociale che Dinin deve fare, il romanzo di Ada Negri va in direzione contraria rispetto a quelli poi accreditati come esemplari del tempo : per esempio Con gli occhi chiusi, di Tozzi, mette in scena un protagonista, figlio di un proprietario terriero, vittima della avidità delle donne, dell’amante del padre-padrone e della sua ragazza, una subordinata che lo tradisce e che infine lui ha il coraggio di lasciare, ma dopo aver perso tutto. Come in molti altri testi successivi, e basti pensare a Moravia degli Indifferenti, la figura maschile nel romanzo novecentesco è in crisi per quanto riguarda la possibilità di dominare la realtà, se vuole farlo attraverso i valori del passato. Più duttile al cinismo di una logica di so

Cfr. MARINA ZANCAN, Il doppio itinerario della scrittura, Torino, Einaudi, , p. . Il titolo orecchiava troppo quello di KARIN MIKAELIS, L’età pericolosa e dunque fu cambiato.  ADA NEGRI, Stella mattutina, Milano, La Vita Felice, , p. . La prefazione è di Gianguido Scalfi, la postfazione di Anna Folli. È riprodotta l’edizione contenuta nel volume di Opere () di Arnoldo Mondadori Editore. D’ora in poi la pagina di riferimento verrà inserita tra parentesi nel testo. 

IL ROMANZO DI ADA NEGRI: «STELLA MATTUTINA»



praffazione è la sorella Carla, prototipo di donna che la penna moraviana descrive spesso come eccessivamente legata ai beni materiali. Anche Stella mattutina non concede grandi possibilità di crescita al fratello che, infatti, naufraga nel mare burrascoso della vita, affidando piuttosto alla donna il compito di recuperare alcuni valori perdutisi nel corso dei profondi mutamenti storico-sociali, a cominciare da quella cultura, solida e umanamente propositiva, che la ricerca letteraria più avanzata respingeva come attardata. La crescita della protagonista Dinin, che, come il piccolo Slataper nel Mio Carso, comincia la sua iniziazione alla vita attraverso l’esercizio fisico del corpo, avviene proprio attraverso il duplice binario dell’emancipazione scolastica e sociale : « vuole essere la prima, deve esser la prima, perché è povera » (p. ). La sua educazione letteraria inizia con romanzi d’intrattenimento, Rocambole di Ponson du Terrail, Senza famiglia di Malot, I misteri di Parigi di Sue, I tre moschettieri di Dumas padre, fino a scoprire, tredicenne, Zola, scrittore per lei determinante : questa massa dell’opera, così compatta e sanguinante d’umanità, graverà su di lei con tutto il suo peso. Ella sarà malata d’una penosa malattia dell’anima, che la renderà dissimile dalle ragazze della sua età. Distratta, a volte prostrata, presenterà a’ suoi maestri componimenti pieni d’inquietudini e di squilibrio, tralucenti d’immagini e di reminiscenze torbide e confuse. (p. )

Dinin riprende in mano da una parte una letteratura di tipo consolatorio, e dall’altra una cultura, quella del naturalismo, che sembrava essere stata superata da altre filosofie della modernità, mentre invece stava acquattata nell’ombra, come sapeva bene anche lo Svevo maturo. Sulla giovane la durezza descrittiva d’alcuni testi zoliani ha un effetto inquietante, vanificato però da una forza di volontà che non permette sbandamenti : « Vuol studiar da maestra, unicamente perché non intende logorarsi in un opificio come la madre, o divenir serva di signori in gioventù e portinaia in vecchiezza, come la nonna » (pp. -). L’accenno ad una malattia nervosa che la rende diversa dalle altre, così frequente nelle eroine del naturalismo, sembra porsi a confronto con quelle che rendevano alcuni personaggi letterari degli inetti. Lei, slataperianamente, la supera e si rafforza. Il modello matrilineare è respinto esplicitamente, in nome di un principio etico che ha imparato anche dalla letteratura e che le signore ricche non capiscono. Punta alla bellezza, AdaDinin, che ama i fiori, ma non li può cogliere perché la sua padrona non vuole che li tocchi : Vi è fra lei e la signora qualcosa d’inconciliabile, che più cresce con il crescere degli anni : inimicizia senza remissione, fra lei e tutti coloro i quali han bisogno di qualcuno che apra loro il cancello quando tornano a casa in carrozza, e non vogliono esser derubati dei fiori che rallegrano gli occhi di tutti. (p. )

Credo che Stella mattutina possa esser considerarsi un esempio di ricostruzione, che cerca di rapportare la vicenda autobiografica, volta in terza persona, ad una problematica ben più generale. Già nell’ultimo scorcio dell’Ottocento Neera, con Teresa, e Beatrice Speraz, nascosta dietro lo pseudonimo maschile Bruno Sperani, con La fabbrica, avevano mostrato la durezza della vita delle operaie. Nel dopoguerra, in anni di rivolgimenti sociali tali da far poi optare le classi dirigenti per la dura restaurazione fascista, la voce di Ada Negri si levava non tanto per contribuire ad alleviare la fatica di una vita in fabbrica, quanto per cercare un nuovo ruolo alla donna che non voleva più essere né Penelope né Elena, ma un soggetto sociale autonomo, bisognoso, per questo, di un lavoro adeguato. Critica verso i modi d’insegnamento d’allora, è fautrice di un’educazione che tenga conto anche dei problemi di vita (« In iscuola dovrebbero pur spiegarle il mistero della sua presenza nel mondo. Invece le vanno insaccando nella memoria un’infinità di cose inutili, che la raspan di dentro », p. ). Proprio dall’esperienza, infatti, oltre che dalla letteratura, ha potuto aver « l’intuizione ancor confusa di qualcosa d’ingiusto di cui ella non ha colpa, di cui nessuno ha colpa, fuor che la povertà » (p. ). E dunque guarda con affetto intenso quel suo fratello obbligato dalla povertà a essere separato dalla madre : « E ogni volta che lo vede cerca di sorridergli, d’essergli molto dolce ; e lo chiama Nani, per abbreviargli il troppo lungo nome ; e si lascia, così per celia, abbrancare per le spalle da



CRISTINA BENUSSI

quelle mani che son viluppi di nervi ; ma prova una pena, una pena… » (ivi). Infatti, Nani non avrà una vita felice, mentre Dinin si avvia a delle scelte importanti, determinate anche dalla constatazione della durezza della vita della madre, sottoposta a visite umilianti all’uscita dalla fabbrica, per paura che porti via qualcosa. Ma se la donna che l’ha generata insegna alla figlia che, nonostante tutto, bisogna sopportare e tacere, quest’ultima invece elabora un sistema di difese che dovrebbe salvaguardarla dal rifare la stessa scelta. Mentre affonda sempre di più nel grembo splendente della poesia, che le dà gioia, rinuncia alla maternità e con essa ad un ruolo che la cultura coeva dava per scontato. Naturalmente senza sentirsi vittima, quasi cedesse ad una vocazione altrettanto naturale : Non ama i bambini. Non s’è mai accorta di loro. Da piccola, non si trastullò mai con le bambole : più grandicella, non si prese mai fra le braccia un infante, con la spontanea passione delle adolescenti, in cui già vibra l’istinto della maternità. Il mistero del bambino le è indifferente : non sente il bisogno di approfondirlo. (p. )

È una posizione molto coraggiosa, perché capace di prefigurare una nuova figura di donna, che si pone in maniera autonoma rispetto alle attese della collettività, dalla quale ovviamente pretende riconoscimento e rispetto pieno. Il romanzo a dire il vero è molto più complesso e ricco di temi, che meriterebbero ulteriori approfondimenti. Ci sono inserzioni di racconti nel racconto, osservazioni sull’eros maturo della madre che rinuncia a risposarsi preferendo stare con la figlia, analisi raffinate sugli effetti sublimanti dell’espressione artistica, confronto tra letteratura e vita, e un rigoroso resoconto del proprio rapporto con la natura, avvertita secondo modalità assolutamente femminili, corporee come gli odori e i colori di cui la protagonista s’imbeve. Com’è stato spesso ripetuto, il sapere femminile, piuttosto che l’intelletto, l’astrazione teorica, predilige ascoltare i suggerimenti di una sensibilità legata al corpo, che dà la vita, che nutre e che, dopo la nascita, per il maschio resta il luogo della felicità cui vuole tornare ; per risarcirsi dallo strappo dalla madre l’uomo tende a stabilire un rapporto di dominio, come si è visto, con quel sesso che, garantendogli la disponibilità del posto delle origini, può rinnovare il modello primario di ogni felicità. Ciò non vale per la donna, che in quel luogo non può tornare, ma che lo ricorda nel segno di una ricomposizione armonica con l’altro da sé nell’unitarietà del sentimento d’amore, inteso anche come pietas. Non è ‘naturale’ allora farsi dura con gli altri, ma necessario : « La scuola, nella sua più elementare materialità : raddrizzar aste, far distinguere l’a dall’o, correggere compiti, frenare i vivaci, punire i riottosi, non essere mai se stessa ; ma la tiranna di se stessa, per imporsi alla ragazzaglia » (p. ). In questa nuova consapevolezza trova spazio il progetto più ardito, quello di un’autonomia totale, che comporta anche lo strappo dalle radici, l’uscita definitiva dalla casa della nonna, dal momento che il lavoro può venirle offerto lontano dal paese : La fiera specie della sua povertà le è stata fino ad oggi difesa mirabile : ben diversa sarà per lei la povertà di domani. Dovrà indurirsi contro di sé : si prepara ad averne il coraggio. Spianteranno la casa, si porteranno via tutto : il letto matrimoniale con le materassa sottilili sottili, i due cassettoni corrosi dal tarlo […] tanti e tanti compiti di scuola ; e, in strane ore quasi irreali, anche dei versi. E le cose più care : i ricordi di Giuditta Grisi : ai quali s’è aggiunta una cassettina di legno di noce, che la nonna teneva gelosamente nascosta, ed è venuta a loro in eredità […] armille, fibbie da teatro, pendagli d’ottone e di gemme false ; e fra tutto quel falso una miniatura d’uomo incravattato alla moda del mille ottocento trenta… (pp. -)

È il nonno, la cui immagine l’anziana progenitrice conservava nel suo personale tesoro, la figura di riferimento. Si sente che il nodo più teso da sciogliere è tuttavia un altro, la separazione dalla madre, che vuol continuare a vivere la sua vita, seppur povera, e che convince Dinin a partire senza di lei, perché è giusto che sia così : « Lasciarsi, seppure per poco, sarà duro ; ma

IL ROMANZO DI ADA NEGRI: «STELLA MATTUTINA»



tutto va bene quel ch’ella dice, tutto è limpido, pratico, poggiato sulle più oneste basi della vita » (p. ). Onestà, dunque, come invocava Boine (Amori con l’onestà è stato il titolo di uno dei suoi famosi articoli anticrociani), e amore per il passato, certo, senza per questo rifiutarsi al futuro, cui la giovane maestra che scrive versi va incontro a testa alta. Un monologo di grande effetto emotivo prepara la scena di un altro colloquio, quello con il fratello, che viene introdotto dopo che la donna ha mostrato il proprio lato inquietante, che nessuno vede, neanche la madre, e che è il dono della poesia, capace di trasfigurare la realtà : L’Altra : la Vera : che nessuno vedrà nel viso, nemmeno la mamma : inviolabile, inviolata : senza principio, senza fine : ricca d’inestinguibile calore al pari delle correnti sotterranee. Disgrazie, umiliazioni d’ogni sorta possono accadere alla pallida, povera Dinin ; ma l’Altra, la Vera, è al disopra di tutto e di tutti, è la regina in incognito, che nulla può ledere. La sente, a volte, rivelarsi e sovrapporsi alla persona circoscritta respirante e camminante, con la potenza d’un getto di lava : e ciò accade generalmente quand’ella, vagabondando sola, segue, lungo oscure straducole urbane, il suono degli organetti. Pèrdono allora le viuzze la loro sudicia tristezza per tramutarsi, d’incanto, in vaste e superbe piazze, formicolanti di gente. (pp. -)

Mi pare che Ada stia svelando qualcosa d’importante, attribuendo alla giovane una sensibilità che le permette di vedere ciò che gli altri non vedono. C’è, se non un richiamo diretto al fanciullino di Pascoli, almeno un’inclinazione a scoprire aspetti inediti di un mondo che può essere trasfigurato, ma dalla cui solidità non si può prescindere. Se ci poniamo in questa prospettiva, allora assume una certa importanza il colloquio successivo con Nani, che la sorprende in casa, mentre sta bruciando sul focolare vecchi quaderni e brutte copie di compiti, e contemporaneamente mondando legumi per la minestra. La vecchia Dinin, che ha imparato la lezione della vita, lascia il posto a quella nuova, che l’affronta, e che non dimentica la dimensione corporea dell’esistere, il cibo, veicolo di vita per sé e gli altri. Non assomiglia al protagonista tozziano, che, incapace ad assumere un ruolo padronale, si lascia portar via frutta e bestiame dagli assalariati. Non la inteneriscono dunque le lamentele del fratello sull’ingiusta sorte toccatagli, l’allontanamento dalla madre, poi il fallimento del matrimonio e la disoccupazione, perché lei sa che la « nostra forza dobbiamo averla in noi, Nani. Perché accusare gli altri ? » (p. ). Il fatto è che il fratello cela una fisionomia che il lettore conosce bene : Nani lascerà Daria : andrà peregrinando per città e paesi : muterà impieghi : muterà mestieri. Tempo, lavoro, proponimenti, affetti, tutto gli si sbriciolerà fra le mani. Tenace soltanto nell’unica sua passione, il libro ; e nelle sue debolezze : il ballo, il vino, la sterile discussione a grossa voce, a grosse parole […]. Non abbastanza dotato di qualità geniali per divenire un artista : non abbastanza opaco di mente per rimaner fra le rotaie del meschino impiego a novanta lire al mese [...]. A disagio, dovunque. Inappagato, sempre. Senza un nemico, perché troppo innocuo nella sua disarmata vacuità : senza un amico, perché i deboli non hanno amici. Inetto a vivere ; ma pauroso della morte. (pp. -)

Sembra il ritratto dell’intellettuale primonovecentesco, il saltimbanco palazzeschiano, il povero poeta crepuscolare, il dimesso impiegato jahieriano, insomma, come dice chiaramente Ada, un « inetto », che ha bisogno « di abbandonarsi, d’essere accarezzato, vigilato da mani e da occhi di donna devota ; ma non lo vorrà confessare mai » (ivi). Morirà solo, alcolizzato, in ospedale. Restano la madre addolorata e la sorella, che ha imparato dalla vita una cosa, che per sapere davvero come lui era dovrà « anch’essa morire » (p. ). È l’esito estremo di una delle poetiche del decadentismo, di un dannunzianesimo persistente che cercava il vero sotto le apparenze e che additava la morte quale soglia dietro la quale il buio del senso prende luce. Dinin, che non ha mai perso la sua pietas profonda, finisce tuttavia per rispettare il mistero della morte, perché sente di appartenere ad un’altra cultura, che non dimentica la concretezza del suo progetto, anche se « nessun concorso per un posto comunale in campagna le è stato segnalato finora ; ed ella non si crede in diritto di passar l’inverno in casa a ufo » (pp. -). Potrebbe insegnare,



CRISTINA BENUSSI

nell’attesa, in un collegio di suore, in un mondo di donne con la severa direttrice Colomba, la robusta cuoca Celeste, l’abile ricamatrice e disegnatrice Lucia. Sa che per lei sarà duro resistere in quell’ambiente chiuso, quasi una prigione dove non si può restare soli con se stessi neppure un’ora della giornata. Ma è disposta al sacrificio in nome di quell’« Altra » che ben conosciamo, la sua forza creatrice. Eppure si è accorta che molte antiche compagne si sono sposate o stanno per farlo, che qualche allieva ride dei suoi abiti stinti, e che forse la sua sicurezza potrebbe prima o poi incrinarsi. E proprio qui si rivela l’abilità della scrittrice che lascia il lettore nel dubbio che quei ripensamenti siano veri o solo il frutto di un incubo dovuto ad un accesso di febbre : mentre le donne che ha incontrato nella vita o nei racconti affollano i suoi pensieri, e le mostrano altri modi di stare al mondo, l’aspirante maestra vorrebbe ritrovare la sua valigia, e uscire dalla palude dentro cui si è inavvertitamente avviata. Così, quando si sveglia urlando per l’angoscia, sa che, prima d’ogni altra cosa, intende guarire. L’ultima scena si sposta a Pandino, una rozza borgata della Bassa, dove vive una zia e dove la giovane pensa di andare a recuperare le forze. Come farà più tardi Margaret Mitchell in Via col vento, la protagonista di Ada Negri troverà nuova forza dal contatto con la terra. Assolutamente diversa dalla spregiudicata Rossella, Dinin, che s’inoltra negli odori e nei colori di una regione ben più misera della Georgia, comincia in questo modo a riprendersi : uell’odor di campagna, quella quiete di vita rustica l’assopiscono in un torpore di benessere, che è, però, soltanto del corpo. L’animo è ancor con la mamma : triste la sera, lontano da lei […]. La sua cultura non le serve a nulla ; nemmeno a farsi comprendere da quella gente della sua stirpe, che vive in comunanza con la terra senza averne la purità [..]. Soffre del linguaggio rozzo, dei gesti volgari, del tanfo di carne sudata […]. Da poco è assopita, quando un richiamo la fa sobbalzare, stridendole negli orecchi. È il canto del gallo. (p. )

Ada-Dinin non ha mai parlato di tensioni verso una spiritualità religiosa, ma è certo che il richiamo evangelico è forte, se è da questo canto, indizio di un nuovo giorno, che comincia la sua rinascita. Non ha tradito nessuno lei, tanto è vero che al posto del rimorso avverte dentro di sé un vigore nuovo, che la porta a sentire i ritmi del lavoro e a solidarizzare con chi non sogna, ma si alza e lavora. Ed è in questo stato d’animo che nella prealba vede qualcosa : « All’orizzonte, sola, la stalla mattutina, intenta come uno sguardo » (p. ). Anche la Stella mattutina è un epiteto sacro della Donna per eccellenza, che qui assurge a simbolo laico di nuova vita. Il romanzo di Dinin giunge ad una conclusione che sarebbe piaciuta a molti scrittori del tempo : Bacchelli nella sua trilogia del Mulino del Po, Silone nel suo Pane e vino e nel Seme sotto la neve ; Alvaro nella sua Gente in Aspromonte, e così via, appartengono a quel manipolo di autori che riprendono a parlare di problemi concreti, legati anche alla loro terra. A mio avviso, il neorealismo che esplode nel secondo dopoguerra ha qui le sue radici profonde che affondano anche nell’humus della scrittura femminile : Cialente, Manzini, Masino, de Céspedes, Morante, Banti, Ortese, Bellonci, e tante altre, pongono, come Ada Negri, temi importanti : senso della giustizia, sociale ed umana, attaccamento al lavoro quotidiano, capacità di guardare agli altri come a membri di una stessa collettività, scelta di una cultura che non solo distrugge certezze, ma che sa anche ricostituire il senso del vivere : che è, prima di ogni altra cosa, l’attitudine a non recidere mai del tutto i legami con la propria realtà concreta di creatura in sintonia con i ritmi biologici e valori legati al luogo dove vive : « La terra. Che dà il pane. Eccola lì. La possiede cogli occhi. Può discendere, toccarla, abbracciarla, scomparirvi. Una cosa sola con essa, vivente e fermentante » (p. ). Solo da questa consapevolezza si possono allora alzare gli occhi al cielo e liberare le proprie pulsioni alla creatività artistica : « Così, anni prima, ella udì in un’alba di primavera parlare il Giardino del Tempo ; e ne comprese il linguaggio ; e, vedendo i cirri del mattino camminare per l’aria dandosi la mano, s’accorse che il cielo era in lei, come lei nel cielo. Sensazione d’eternità, che ora si ripete » (ivi). Proprio seguendo questo filo che lega terra e cielo, il « suo respiro sale dalle umide profondità della terra per dilatarsi fino a quella stella ch’è rimasta ul-

IL ROMANZO DI ADA NEGRI: «STELLA MATTUTINA»



tima incontro al giorno » (p. ). Non è un messaggio banalmente ottimistico, né fuorviante rispetto a visioni del mondo più critiche del presente, se ancor oggi sono quelli di un universo femminile i valori che, seppur non ancora vincenti, vengono riproposti come importanti per superare crisi di estensione mondiale : attenzione ai più miseri e non il loro sfruttamento, accettazione del sacrificio per il bene collettivo, etica di un lavoro che produca frutto. Il successo attuale di scritture che vengono da paesi extra occidentali, e a volte ex coloniali, mostra che il punto di vista da cui parlare della violenza e dell’ingiustizia, si è spostato. Non voglio caricare Ada Negri di meriti probabilmente spropositati, ma riconoscere il suo contributo a mantenere in vita la speranza in un cambiamento, a partire dal ruolo sociale della donna e della funzione della sua scrittura. Vuole essere concreta, legata al mondo reale, finalizzata ad obiettivi precisi, dunque necessaria, e in questo senso laico quasi sacra : « “Sono io, son qui” ella pensa, riconoscendosi nello spazio come in uno specchio. Lavorare ? Per essere degna di vivere ? Benissimo. Finora ho covato, raccolta : zolla nella notte. La sveglia brutale dei galli fa a strappi il silenzio, ferisce il raccoglimento ; ma è anch’essa necessaria ; e, perché necessaria, sacra » (p. ).

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GIUSEPPE STRAZZI POESIA AD ADA NEGRI I tuoi occhi ancora guardano la memoria delle ore finite a scandire il buio dell’anima mentre cercano il tempo dell’eterno. Sei passata tra i filari e i pioppeti ascoltando il lamento flebile della nascita di un’altra alba. Hai camminato sulla tua terra cantando tra il sole e le stelle una nenia di speranza sulle povere zolle scalfite da mani segnate di miseria. Ada, donna del luminoso incanto profuso nell’aria mattutina quando al canto d’uccelli ponevi in coro la tua voce. Ora, rimane nel rigoglioso giardino il tuo rosario di gioie e di pene snocciolato per amore del Signore padrone di tutto il tempo.

COMPOSTO, IN CARATTERE BE M B O B O O K M O N O T Y P E , IMPRESSO E RILEGATO I N I TA L I A DA L L A ACCADEMIA EDITORIAL E ® , P I S A · R O M A

* Febbraio  (cz/FG)

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BIBLIOTECA DELLA « RIVISTA DI LETTERATURA ITALIANA» COLLANA DIRETTA DA GIORGIO BARONI * . ANGELA IDA VILLA, Sergio Corazzini. Opere. Poesie e prose, , pp. . . PIERANTONIO FRARE, Per istraforo di perspettiva. Studi sul Cannocchiale aristotelico e sulla poesia del Seicento, , pp. . . ANDREA RONDINI, Cose da pazzi. Cesare Lombroso e la letteratura, , pp. . . ANTONIA MAZZA, Fortuna critica e successo di Pier Paolo Pasolini, , pp. . . MARIA GABRIELLA RICCOBONO, Dai suoni al simbolo. Memoria poetica, relazioni analogiche, fonosimbolismo in Giovanni Verga dalle opere ultra-romantiche a quelle veriste, , pp. . . Letteratura e riviste, a cura di Giorgio Baroni, , pp. . . ANNA BELLIO, Parole del secolo andato. Bigiaretti, uasimodo e altro Novecento, , pp. ,  tavole a colori f.t. . PIETRO FRASSICA, Varianti e invarianti dell’evocazione. Saggi sulla narrativa contemporanea, , pp. . . BORTOLO MARTINELLI, «Forse s’avess’io l’ale». Leopardi e la condizione dell’uomo, , pp. . . GIULIA DELL’AQUILA, Studi di onomastica letteraria. Angelico Aprosio, Niccolò Amenta, Giuseppe Parini, Giorgio Bassani, Elsa Morante, , pp. . . WANDA DE NUNZIO SCHILARDI, «La Settimana» di Matilde Serao, , pp. , con illustrazioni b/n. . ENRICA MEZZETTA, Il teatro futurista. In teoria, , pp. , con illustrazioni b/n. . FEDERICA MILLEFIORINI, Tra avanguardia e Accademia. La pubblicistica futurista nei primi anni Trenta, , pp. . . Ada Negri. «Parole e ritmo sgorgan per incanto», Atti del Convegno internazionale di studi, Lodi, - dicembre , a cura di Giorgio Baroni, , pp. .