La «mirabile» natura. Magia e scienza in Giovan Battista Della Porta (1615-2015). Atti del Convegno internazionale (Napoli, 13-17 ottobre 2015) 9788862278508, 8862278500

Giovan Battista Della Porta, una delle personalità più intriganti del tardo Rinascimento, beneficiò presso i contemporan

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La «mirabile» natura. Magia e scienza in Giovan Battista Della Porta (1615-2015). Atti del Convegno internazionale (Napoli, 13-17 ottobre 2015)
 9788862278508, 8862278500

Table of contents :
SOMMARIO
PRESENTAZIONE Marco Santoro
CRONACA DEL CONVEGNO Alfonso Ricca
MARTEDÌ 13 OTTOBRE 2015 SALA DEI BARONI MASCHIO ANGIOINO · NAPOLI
MERCOLEDÌ 14 OTTOBRE 2015 SALA POLIFUNZIONALE ISTITUTO SS. TRINITÀ · VICO EQUENSE
GIOVEDÌ 15 OTTOBRE 2015 VILLA DELLA PORTA · VICO EQUENSE
VENERDÌ 16 OTTOBRE 2015 CASTELLO GIUSSO · VICO EQUENSE
SABATO 17 OTTOBRE 2015SALA POLIFUZIONALEISTITUTO SS. TRINITÀ · VICO EQUENSE
ABSTRACTS
PROFILI DEGLI AUTORI
APPENDICE ICONOGRAFICA
INDICE DEI NOMI
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IST I T U T O NA Z I ONA L E D I S T U D I SUL RI NA SC I MENT O M E R I D I O N A L E att i · 7.

LA “ M I R AB I L E ” NATU R A magia e s ci e nza in giovan battis ta de l la porta (1 6 1 5 -2 0 1 5) att i d e l con v e gn o i n t e r na z i ona l e napol i · vi co e qu e n se, 13 - 17 ottob r e 2 0 15 a cu r a d i ma rco s a n toro

PIS A · ROMA FABRIZ IO SERRA E DITO RE MMXVI

IST I T U T O NA Z I ONA L E D I S T U D I SUL RI NA SC I MENT O M E R I D I O N A L E att i · 7. co l la na d i retta da ma rco s a n toro

LA “ M I R AB I L E ” NATU R A magia e s ci e nza in giovan battis ta de l la porta (1 6 1 5 -2 0 1 5) att i d e l con ve gn o i n t e r na z i ona l e napol i · v i co e qu e n se, 13- 17 ottob r e 2 0 15 a cu r a d i ma rco s a n toro

PIS A · ROMA FABRIZ IO SERRA E DITO RE MMXVI

Il Convegno è stato realizzato anche con il contributo della Direzione generale Biblioteche e Istituti Culturali.

A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included offprints,etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2016 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] * Stampato in Italia · Printed in Italy isbn 978-88-6227-85 0-8 e-isbn 978-88-6227-85 1-5

SOMMARIO Marco Santoro, Presentazione 9 Cronaca del Convegno, a cura di Alfonso Ricca 13 martedì 13 ottobre · sala dei baroni · maschio angioino napoli Saluti delle Autorità 19 Marco Santoro, Introduzione al Convegno 27 Avvertenza 33 Giovanni Muto, La vita politica e sociale della capitale vicereale al tempo di Giovan Battista Della Porta 35 Maurizio Torrini, La fortuna storiografica di Della Porta 47 mercoledì 14 ottobre · sala polifunzionale. istituto ss. trinità vico equense Bruno Basile, “Riflessi dell’anima”. La fisiognomica prima e dopo Della Porta 57 Miguel Ángel González Manjarrés, Anotaciones críticas de Giovan Battista Della Porta a la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles 71 Alfonso Paolella, L’autore delle illustrazioni delle Fisiognomiche di Della Porta e la ritrattistica. Esperienze filologiche 81 Marco Santoro, Filippo Finella e la fisionomia “naturale” 95 Éva Vígh, Moralità e segni fisiognomici nel Della fisonomia dell’huomo di Giovan Battista Della Porta 111 Anna Cerbo, Giovan Battista Della Porta e il Delli fondamenti dello stato di Scipione Di Castro 125 Raffaella De Vivo, Tecnica e scienza nelle opere di Giovan Battista Della Porta 137 Antoni Malet, Della Porta, Kepler, and the changing notion of optical image c. 1600 147 Annibale Mottana, Della Porta e le gemme : da meraviglie naturali a materia adulterabile e migliorabile 159  

giovedì 15 ottobre · villa della porta · vico equense Donald Beecher, Giovan Battista Della Porta’s The sister from the commedia erudita to jacobean city comedy 169 Françoise Decroisette, Le tracce dello spettatore nei prologhi comici di Giovan Battista Della Porta 179 Paola Trivero, L’Ulisse : tradizione letteraria e canone tragico 189  

venerdì 16 ottobre · castello giusso · vico equense Armando Maggi, Magia e demonologia nelle opere di Della Porta 201 Paolo Piccari, L’arte della memoria in Giovan Battista Della Porta 209 Oreste Trabucco, Nel cantiere della Magia 219 Michaela Valente, Della Porta inquisito, censurato e proibito 233

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sommario

Donato Verardi, Giovan Battista Della Porta. Il dibattito italiano sull’occulto naturale e l’astrologia (sec. xv-xvi) 241 Marco Guardo, Federico Cesi e La vita di Giovanni Battista Porta Linceo 251 Salvatore Ferraro, Tipografi itineranti a Vico Equense (1584-1599) nell’età di Giovan Battista Della Porta e Paolo Regio 261 sabato 17 ottobre · sala polifunzionale. istituto ss. trinità vico equense Gianni Antonio Palumbo, La Villa dellaportiana tra esperienza e tradizione letteraria 271 Luigia Laserra, «Non cede l’arte a la natura il vanto / ne l’artificio del giardin» : l’innesto quale sintesi ideale fra Natura e Arte nelle pagine della Villa 279 Anna Giannetti, Le Villae di Giovan Battista Della Porta e la tradizione della villa napoletana 287 Luana Rizzo, Il recupero delle fonti classiche della retorica di Aristotele e di Cicerone nella De humana physiognomonia di Giovan Battista Della Porta 297 Eugenio Refini, « Io vorrei trasformarmi in libri » : note sul carteggio dellaportiano 307 Vincenzo Trombetta, Giovan Battista Della Porta nell’editoria napoletana dell’Ottocento 315  







Abstracts 325 Profili degli autori 337 Appendice iconografica 343 Indice dei nomi, a cura di Giovanna Maria Pia Vincelli 353

PRESENTAZIONE Marco Santoro

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a martedì 13 ottobre a sabato 17 ottobre 2015 si è tenuto, prima a Napoli e poi a Vico Equense, il Convegno internazionale « La “mirabile” natura : magia e scienza in Giovan Battista Della Porta (1615-2015) ». Cinque intense giornate di lavoro programmate in virtù dell’istanza, avvertita dal Consiglio direttivo dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento meridionale, del quale mi onoro di essere Presidente, e lodevolmente quanto prontamente condivisa dall’amministrazione comunale di Vico Equense, di apportare ulteriori contributi alla comprensione della personalità, degli interessi, degli approdi letterari e scientifici di Giovan Battista Della Porta, in occasione del quattrocentesimo anniversario della sua scomparsa. Al di là di cicli seminariali, conferenze, presentazioni di libri, visite guidate in relazione al ricco patrimonio artistico documentario meridionale, realizzazioni di pubblicazioni, ecc., l’Istituto ha costantemente attribuito una spiccata importanza a convegni e giornate di studio, considerati occasioni di confronto e di approfondimento fondamentali, posti a disposizione della comunità scientifica nazionale e internazionale. Non a caso l’Istituto si è fatto promotore negli ultimi anni di cinque convegni (sullo stesso Della Porta, 1 sulle carte aragonesi, 2 su Petrarca e Napoli, 3 sul Valla 4 e sul ruolo della donna nel Rinascimento meridionale 5) che, approdati puntualmente alla pubblicazione degli Atti, hanno recato un contributo non secondario alla focalizzazione degli argomenti trattati. 6 Il Convegno, i cui Atti vedono ora la luce, si è articolato, come detto, in cinque giornate : martedì 13 ottobre prima a Napoli e poi a Vico Equense (con l’inaugurazione di una mostra di edizioni dellaportiane particolarmente pregiate) e nei giorni seguenti in diverse sedi vicane. Alle otto sessioni previste hanno partecipato trenta relatori : Bruno Basile (Università di Bologna), Donald Beecher (Carleton University, Ottawa), Giordano Berti (Istituto Graf ), Anna Cerbo (Università di Napoli “L’Orientale”), Raffaella De Vivo (isis, Quarto-Napoli), Françoise Decroisette (Université Paris 8), Germana Ernst (Università di “Roma Tre”), Salvatore Ferraro (Accademia Pontaniana, Napoli), Anna Giannetti (Seconda Università di Napoli), Miguel Ángel González Manjarrés (Universidad de Valladolid),  





















1   L’edizione nazionale del teatro e l’opera di G. B. Della Porta, Atti del Convegno, Salerno, 23 maggio 2002, a cura di Milena Montanile, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2004. 2   Le carte aragonesi. Atti del Convegno. Ravello, 3-4 ottobre 2002, a cura di Marco Santoro, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2004. 3   Petrarca e Napoli, Atti del convegno, Napoli, 8-11 dicembre 2004, a cura di Michele Cataudella, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2006. 4   Valla e Napoli. Il dibattito filologico in età umanistica, Atti del convegno internazionale, Ravello, Villa Rufolo, 2223 settembre 2005, a cura di Marco Santoro, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2007. 5   La donna nel Rinascimento meridionale. Atti del convegno internazionale, Roma, 11-13 novembre 2009, a cura di Marco Santoro, Pisa-Roma, Serra, 2010. 6   Sarà appena il caso di aggiungere che l’Istituto si è fatto anche copromotore di altri convegni. Fra i più recenti occorrerà ricordare almeno I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, Atti del convegno internazionale, Roma, 15-17 novembre 2004-Bologna, 18-19 novembre 2004, a cura di Marco Santoro e Maria Gioia Tavoni, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2005, Testo e immagine nell’editoria del Settecento, Atti del Convegno internazionale, Roma, 2628 febbraio 2007, a cura di Marco Santoro e Valentina Sestini, Pisa-Roma, Serra, 2008 e Mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento, Atti del Convegno internazionale, Roma, 14-16 marzo 2012, a cura di Marco Santoro e Samanta Segatori, Pisa-Roma, Serra, 2013.

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Marco Guardo (Accademia dei Lincei, Roma), Luigia Laserra (Liceo Scientifico “E. Fermi” – Bari), Armando Maggi (University of Chicago), Antoni Malet (Universitat Pompeu Fabra, Barcelona), Annibale Mottana (Università di “Roma Tre”), Giovanni Muto (Università di Napoli “Federico II”), Gianni Antonio Palumbo (Università di Foggia), Alfonso Paolella (Scuola Europea di Varese), Paolo Piccari (Università di Siena), Eugenio Refini ( Johns Hopkins University, Baltimore), Luana Rizzo (Università del Salento), Marco Santoro (Presidente insrm), Maurizio Torrini (Università di Napoli “Federico II”), Oreste Trabucco (Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”), Paola Trivero (Università di Torino), Vincenzo Trombetta (Università di Salerno), Michaela Valente (Università del Molise), Donato Verardi (Université Paris-Est Créteil), Pier Luigi Vercesi (Direttore di « Sette-Corriere della Sera »), Éva Vígh (University of Szeged). Eminenti studiosi italiani e stranieri, quindi, ma anche giovani quanto valenti ricercatori. A tutti, nonché ai Presidenti delle sedute, Irene Fosi, Germana Ernst, Domenico Defilippis, Francesco Senatore, Leonardo Di Mauro, Concetta Bianca, va un caloroso ringraziamento. Tutte le relazioni sono raccolte in questi Atti, secondo la successione delle otto sessioni di lavoro, con la sola eccezione degli interventi di coloro che hanno partecipato alla tavola rotonda della seconda parte della seduta pomeridiana del 16 ottobre che, essendo impostati su interessanti e vivaci considerazioni a braccio e sul conseguente confronto di posizioni, confronto vivificato da molteplici domande e osservazioni anche da parte del pubblico, non è stato possibile riportare in modo sintetico e schematico. Superfluo indugiare in questa pagina sui contenuti dei singoli saggi oppure sui filoni ermeneutici sapientemente investigati dai Colleghi ed Amici intervenuti : non sarà ostico recepire di primo acchito queste informazioni da un canto dai sunti, per quanto concerne le specifiche tematiche affrontate, dall’altro dall’articolazione stessa delle sedute, non a caso fedelmente riproposta nella successione dei saggi. Quanto allo spessore culturale, metodologico e documentario delle relazioni, ciascun lettore potrà agevolmente prenderne atto. Piace soltanto in questa sede da un canto porre in evidenza tre sintetiche considerazioni e, dall’altro, ribadire una serie di doverosi quanto sentiti e non formali ringraziamenti. La prima considerazione concerne la viva soddisfazione per la solidarietà scientifica e culturale espressa nei confronti della nostra iniziativa sotto diversi fronti e aspetti. Va infatti doverosamente enfatizzato che la proposta da noi elaborata di un convegno internazionale così impegnativo ha beneficiato rapidamente e con piena convinzione dell’appoggio organizzativo e del sostegno economico da parte del Comune di Vico Equense, senza i quali sarebbe stato davvero arduo sperare di realizzare un evento scientifico di spessore e di validità anche organizzativa come quello del quale si sta parlando. Va altresì debitamente posto in rilievo che, oltre a quello del Comune di Napoli, per altro confortato da una preziosa collaborazione, concretizzatasi in efficaci procedure di divulgazione del convegno e soprattutto nella concessione dell’ospitalità nella prestigiosa “Sala dei Baroni” di Castel Nuovo, numerosi sono stati i patrocini concessi da qualificati enti e istituti culturali sia campani che di altre aree italiane e finanche straniere. E nel rinnovare loro un doveroso ringraziamento, per altro già espresso in occasione della mia Introduzione al convegno nella giornata inaugurale, mi piace ricordarli anche in questa pagina : Regione Campania e Città metropolitana di Napoli, le prestigiose accademie dell’Arcadia e dei Lincei di Roma e della napoletana Pontaniana, l’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, l’Istituto italiano per gli studi filosofici, la Società napoletana di Storia Patria, entrambi di Napoli, le università straniere di Budapest, l’Universitat Pompeu Fabra di Barcelona, la Carleton University e l’Université Paris 8, le Università di Firenze, di Foggia, di Macerata  







presentazione

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e di Salerno, e quelle napoletane “Suor Orsola Benincasa”, “Federico II”, sun (Seconda Università di Napoli), “Parthenope”, la Fondazione Premio Napoli, l’Associazione degli Italianisti e l’Associazione Internazionale di Studi di Lingua e Letteratura Italiana. Ma il confortante apprezzamento per l’iniziativa è stato viepiù testimoniato dai messaggi augurali pervenuti (da quello del Presidente della Repubblica a quello del Direttore generale delle biblioteche e istituti culturali, da quelli dei Rettori delle Università “Federico II”, Gaetano Manfredi, Macerata, Luigi Lacchè, Foggia, Maurizio Ricci, a quelli del Presidente dell’Accademia dell’Arcadia, Rosanna Pettinelli, del Presidente della Società Napoletana di Storia Patria, Renata De Lorenzo, e del Direttore dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Marco Bertozzi, da quello del Segretario dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiani, Bianca Maria Da Rif, a quello del Presidente dell’Associazione degli italianisti, Guido Baldassarri) e dai saluti portati da autorità, colleghi e studiosi (da quello dell’Assessore alla cultura e al turismo del Comune di Napoli, Gaetano Daniele, a quello del Sindaco di Vico Equense, Benedetto Migliaccio, da quello del Rettore del “Suor Orsola Benincasa”, Lucio d’Alessandro, rappresentato da Paola Villani, a quello del Presidente dell’Accademia Pontaniana, Fulvio Tessitore, che ha portato anche i saluti del Presidente dell’Accademia dei Lincei, a quello del Presidente dell’Istituto italiano per gli Studi Filosofici, rappresentato da Arturo Martorelli). La seconda considerazione concerne la non consueta organicità delle relazioni che, al di là della loro validità scientifica individuale, si sono magistralmente inserite, quali tasselli artistici di grande resa ed effetto, nel mosaico complessivo dell’iniziativa, tracciando un itinerario ermeneutico sulla figura e l’opera del Della Porta indubitabilmente di non comune profondità e di spiccato pregio documentario. E quanto detto va certamente attribuito agli autorevoli relatori ma anche a coloro che hanno sapientemente organizzato le varie giornate : desidero pertanto ringraziare, per il loro prezioso apporto, non solo le Colleghe del Consiglio direttivo dell’Istituto, Renata d’Agostino, Cettina Lenza, Milena Montanile, Carmen Reale e Paola Zito, ma anche gli altri eminenti componenti il Comitato scientifico del Convegno, Concetta Bianca, Marcello Ciccuto, Domenico Defilippis, Leonardo Di Mauro, Irene Fosi e Francesco Senatore. Ed eccoci alla terza considerazione. Tutti sappiamo che il merito fondamentale di un convegno è quello di aggregare studiosi di rango che possano recare il loro contributo in sintonia con quelli degli altri, così da offrire un panorama innovativo dell’interpretazione e dell’approfondimento di un personaggio, di un evento o di una questione. Tale merito spesso, troppo spesso, è compromesso dai ritardi con i quali gli interventi critici vedono la luce : talvolta anche a distanza di anni. Ebbene, si può dire con soddisfazione che questi Atti costituiscono una lodevole eccezione, giacché vedono la luce a meno di un anno dall’evento. Ciò è stato possibile per la disponibilità di tutti i relatori che hanno consegnato i testi in tempi brevi, ma anche per il puntuale lavoro della casa editrice, in primis della dottoressa Rita Gianfelice, nonché di Alfonso Ricca e di Maria Pia Vincelli, che hanno curato rispettivamente la Cronaca del convegno e l’Indice dei nomi. A tutti un riconoscente ringraziamento. Ma è il momento di chiudere questa pagina, affiancando a quelli già espressi precedentemente altri sentiti ringraziamenti. Va in primo luogo ricordato che eminenti esponenti del mondo politico e culturale hanno accolto il nostro invito a fare parte del “Comitato d’onore” : a S. E. Mons. Francesco Alfano (Arcivescovo di Sorrento – Castellammare di Stabia), Luigi de Magistris (Sindaco di Napoli), Benedetto Migliaccio (Sindaco di Vico Equense), Gaetano Daniele (Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli), Giuseppe Aiello (Assessore al Turismo e spettacolo, Cultura, Sport, Attività produttive,  





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Trasporti, Agricoltura, Politiche giovanili di Vico Equense), Marco Bertozzi (Direttore dell’Istituto di Studi Rinascimentali), Renata De Lorenzo (Presidente della Società Napoletana di Storia Patria), Gerardo Marotta (Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Rosanna Pettinelli (Custode Generale dell’Accademia dell’Arcadia), Alberto Quadrio Curzio (Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei) e Fulvio Tessitore (Presidente dell’Accademia Pontaniana) va quindi la nostra gratitudine. E con sincera riconoscenza non si potranno poi non ricordare Beniamino Migliaccio, Beniamino Russo, Pier Paolo de Gennaro e Alfonso Paolella per avere collaborato ai fini dell’allestimento della mostra bibliografica inaugurata il 13 ottobre a Vico Equense e sapientemente curata da Paola Zito ; Lalla Esposito, che ha accolto la nostra richiesta di leggere brani dellaportiani e paratesti di edizioni dellaportiane ; Pietro Di Lorenzo, che in virtù della sua competenza in materia, ha suggerito i brani musicali di accompagnamento alla lettura dei testi ; Alba Coppola che, in memoria del carissimo amico e collega nonché nostro precedente Presidente, Michele Cataudella, ha destinato una somma volta a coprire le spese di alcune delle borse di studio che abbiamo bandito per agevolare la presenza al convegno di giovani ricercatori ; la Scuola Alberghiera San Giorgio, alla quale si devono i servizi di ristoro della giornata napoletana inaugurale affidati a giovane personale specializzato ; Rosaria Savarese e Alessandra De Martino nonché Angela Pennetta e Rosa Perrotta, rispettivamente dei comuni di Vico Equense e di Napoli, per la loro fondamentale assistenza organizzativa ; Alfonso Ricca, che con professionalità e competenza ha seguito le fasi organizzative più delicate di tutta l’iniziativa, assistito nel corso del convegno da Marina Capuano, Silvia Ottaiano e Maria Pia Vincelli. Non è inopportuno chiudere la presentazione degli esiti di un’iniziativa così ambiziosa e importante come il convegno su Della Porta con un auspicio, che intende ricollegarsi in qualche modo a quanto sollecitato dal Sindaco di Vico Equense nel suo saluto. La stagione rinascimentale ha acquisito spessore e importanza particolari nell’area meridionale della nostra penisola ed è quindi più che lecito, direi imperativo raccoglierne l’eredità culturale e promuoverne la divulgazione e l’assimilazione, non certo per provinciali campanilismi ma per beneficiare di una “lezione” tuttora preziosa. Per limitarci a Napoli e alla Campania non si potranno non ricordare, accanto a quella di Giovan Battista Della Porta, incisive presenze quali quelle, per ricorrere a poche ma significative esemplificazioni, di Vittoria Colonna e il circolo ischitano, Giulio Iasolino, Torquato Tasso, Giordano Bruno. Non v’è chi non colga una sorta di circuito reale di ramificazioni culturali che attendono di essere recepite e approfondite con maggiore convinzione e puntualità. Ecco, quindi, che l’augurio è quello che importanti centri cittadini campani, e si pensi a Vico Equense, Ischia, Sorrento, Nola, possano individuare sistematiche procedure e forme collaborative per promuovere un recupero organico della tradizione rinascimentale territoriale : noi dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, in perfetta sintonia con le nostre istanze e i nostri obiettivi istituzionali, siamo pronti a offrire il nostro pieno e convinto apporto, anche in termini di coordinamento e di pianificazione.  













CRONACA DEL CONVEGNO Alfonso Ricca Martedì 13 ottobre

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l Convegno internazionale La “mirabile” natura. Magia e scienza in Giovan Battista Della Porta (1615-2015) si è aperto nella Sala dei Baroni all’interno del Castel Nuovo (Maschio Angioino) di Napoli, alla presenza di numerose autorità politiche e accademiche e di un folto pubblico di uditori (professori universitari, nazionali e internazionali, docenti delle scuole e intellettuali, numerosi studenti). Dopo i saluti del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dei Rettori delle Università “Federico II”, Gaetano Manfredi, “Suor Orsola Benincasa”, Lucio d’Alessandro, Macerata, Luigi Lacchè, Foggia, Maurizio Ricci, del Direttore generale delle biblioteche e istituti culturali, Rossana Rummo, dell’Assessore alla cultura e al turismo del Comune di Napoli, Gaetano Daniele, del Sindaco di Vico Equense, Benedetto Migliaccio, del Presidente dell’Accademia Pontaniana, Fulvio Tessitore, che ha portato anche i saluti del Presidente dell’Accademia dei Licei, del Presidente dell’Istituto italiano per gli Studi Filosofici, rappresentato da Arturo Martorelli, del Presidente dell’Accademia dell’Arcadia, Rosanna Pettinelli, del Presidente della Società Napoletana di Storia Patria, Renata De Lorenzo, del Direttore dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Marco Bertozzi, del Segretario dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiani, Bianca Maria Da Rif, del Presidente dell’Associazione degli italianisti, Guido Baldassarri, si sono aperti i lavori, presieduti da Irene Fosi (Università di Chieti “G. d’Annunzio”), con l’Introduzione al convegno di Marco Santoro. Nella seconda parte della mattinata si sono avute le relazioni di Giovanni Muto (Università di Napoli “Federico II”), La vita politica e sociale della capitale vicereale al tempo di Giovan Battista Della Porta, e di Maurizio Torrini (Università di Napoli “Federico II”), La fortuna storiografica di Della Porta. Nel pomeriggio i convegnisti si sono spostati a Vico Equense dove, presso l’Istituto della SS. Trinità, è stata inaugurata la mostra La “mirabile” natura in tipografia. Testi e immagini. A tale evento erano presenti le autorità di Vico Equense, nonché un pubblico molto nutrito e interessato. Mercoledì 14 ottobre I lavori della seduta antimeridiana, tenutasi a Vico Equense presso la sala Polifunzionale della SS. Trinità, si sono aperti, sotto la presidenza di Marcello Ciccuto (Università di Pisa), con i saluti del Sindaco di Vico Equense, Benedetto Migliaccio, dell’Assessore al Turismo e spettacolo, Cultura, Sport, Attività produttive, Trasporti, Agricoltura, Politiche giovanili, Giuseppe Aiello, del Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, Marco Santoro. A seguire le relazioni di Bruno Basile (Università di Bologna), “Riflessi dell’anima”. La fisiognomica prima e dopo Della Porta, di Miguel Ángel González Manjarrés (Universidad de Valladolid), Anotaciones críticas de Giovan Battista Della Porta a la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles, di Alfonso Paolella (Scuola Europea di Varese), L’autore delle illustrazioni delle Fisiognomiche di Della Porta e la ritrattistica. Esperienze filologiche, di Marco Santoro (Presidente insrm), Filippo Finella e la fisionomia “naturale” e di Èva Vígh (University of Szeged), Moralità e segni fisiognomici nel Della fisonomia dell’huomo di Gio-

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cronaca del convegno

van Battista Della Porta. Nella prima parte della seduta pomeridiana, sotto la presidenza di Germana Ernst (Università di “Roma Tre”), sono intervenuti Anna Cerbo (Università di Napoli “L’Orientale”), Giovan Battista Della Porta e il Delli fondamenti dello stato di Scipione Di Castro, e Raffaella De Vivo (isis, Quarto-Napoli), Tecnica e scienza nelle opere di Giovan Battista Della Porta. Nella seconda parte della seduta è stata la volta di Antoni Malet (Universitat Pompeu Fabra, Barcelona), Della Porta, Kepler and the changing notion of optical image c. 1600, e di Annibale Mottana (Università di “Roma Tre”), Della Porta e le gemme : da meraviglie naturali a materia adulterabile e migliorabile. La giornata si è quindi conclusa con una visita guidata al centro storico di Vico Equense.  

Giovedì 15 ottobre L’intera mattinata è stata dedicata alla visita guidata agli scavi di Pompei. La seduta pomeridiana si è quindi svolta presso Villa Della Porta, a Vico Equense, sotto la presidenza di Domenico Defilippis (Università di Foggia). Qui si sono tenute le relazioni di Donald Beecher (Carleton University, Ottawa), Giovan Battista Della Porta’s The sister from the commedia erudita to jacobean city comedy, di Françoise Decroisette (Université Paris 8), Le tracce dello spettatore nei prologhi comici di Giovan Battista Della Porta, e di Paola Trivero (Univeristà di Torino), L’Ulisse : tradizione letteraria e canone tragico. La seduta pomeridiana si è quindi conclusa con la lettura di brani dellaportiani a opera dell’attrice Lalla Esposito.  

Venerdì 16 ottobre L’intera giornata di lavori si è svolta presso Castello Giusso a Vico Equense. Nella seduta antimeridiana, sotto la presidenza di Francesco Senatore (Università di Napoli “Federico II”), ha relazionato, nella prima parte della mattinata, Armando Maggi (University of Chicago), Magia e demonologia nelle opere di Della Porta ; nella seconda parte della mattinata si sono ascoltati gli interventi di Paolo Piccari (Università di Siena), L’arte della memoria in Giovan Battista Della Porta, di Oreste Trabucco (Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”), Nel cantiere della Magia, e di Michaela Valente (Università del Molise), Della Porta inquisito, censurato e proibito. La seduta pomeridiana, presieduta da Leonardo Di Mauro (Università di Napoli “Federico II”), nella sua prima parte ha visto gli interventi di Donato Verardi (Université Paris-Est Créteil), Giovan Battista Della Porta. Il dibattito italiano sull’occulto naturale e l’astrologia (sec. xv-xvi), di Marco Guardo (Accademia dei Lincei, Roma), Federico Cesi e La vita di Giovanni Battista Porta Linceo e di Salvatore Ferraro (Accademia Pontaniana, Napoli), Tipografi itineranti a Vico Equense (1584-1599) nell’età di Giovan Battista Della Porta e Paolo Regio. Nella seconda parte dei lavori pomeridiani si è quindi tenuta la tavola rotonda, moderata da Marco Santoro, dal titolo Magia ieri e oggi, a cui hanno partecipato Giordano Berti, Germana Ernst, Armando Maggi e Pier Luigi Vercesi. Dopo gli interventi dei relatori, numerose sono state le domande di un pubblico molto interessato.  

Sabato 17 ottobre La conclusione dei lavori si è svolta, sempre a Vico Equense, presso la sala Polifunzionale della SS. Trinità, sotto la presidenza di Concetta Bianca (Università di Firenze). Nella prima parte della mattinata sono intervenuti Gianni Antonio Palumbo (Università di Foggia), La Villa dellaportiana tra esperienza e tradizione letteraria, Luigia Laserra (Liceo Scientifico “E. Fermi” – Bari), «Non cede l’arte a la natura il vanto / ne l’artificio del giardin» : l’innesto quale sintesi ideale fra Natura e Arte nelle pagine della Villa e Anna Giannetti (Seconda Università di Napoli), Le Villae di Giovan Battista Della Porta e la tradizione della  

cronaca del convegno

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villa napoletana, e quindi, nella seconda parte, hanno fatto seguito le relazioni di Luana Rizzo (Università del Salento), Il recupero delle fonti classiche della retorica di Aristotele e di Cicerone nella De humana physiognomonia di Giovan Battista Della Porta, di Eugenio Refini ( Johns Hopkins University, Baltimore), « Io vorrei trasformarmi in libri » : note sul carteggio dellaportiano, e di Vincenzo Trombetta (Università di Salerno), Giovan Battista Della Porta nell’editoria napoletana dell’Ottocento. Marco Santoro ha quindi chiuso i lavori, sintetizzando alcuni degli approdi più interessanti delle giornate di lavoro e sottolineando la non comune organicità delle relazioni. Gli Atti del Convegno, a giudizio del Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, certamente recheranno un vistoso contributo ed una più approfondita conoscenza dell’opera e della personalità di Giovan Battista Della Porta.  





MARTEDÌ 13 OTTOBRE 2015 SALA DEI BARONI MASCHIO ANGIOINO · NAPOLI

SALUTI

Saluto Del Presidente Della Repubblica Sergio Mattarella Telegramma al Professore Marco Santoro, Presidente Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale Via de Blasiis, 11 - 80138 Napoli Il convegno che l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale dedica a Giovan Battista Della Porta nel quarto centenario della scomparsa offre un’importante occasione di riflessione sulla personalità di una figura altamente rappresentativa nel panorama della cultura tardorinascimentale italiana ed europea. Autore poliedrico e versatile, la sua vasta e complessa opera si pone all’intersezione di molteplici interessi e prospettive d’indagine, sorretta da un impulso a esplorare, con peculiare intensità, l’ampio spettro di temi e motivi delle correnti filosofiche e culturali del suo tempo. Questo tratto, caratterizzante un percorso intellettuale aperto a una vivace circolazione di idee e suggestioni provenienti da discipline e tradizioni diverse, ha consentito a Della Porta di svolgere un ruolo significativo nel processo di transizione ai nuovi paradigmi conoscitivi che hanno improntato la nascita della moderna scienza sperimentale. Nel formulare un sentito augurio per la migliore riuscita dei lavori congressuali, rivolgo a Lei, gentile Presidente, agli illustri relatori e a tutti i presenti il mio cordiale e partecipe saluto. Sergio Mattarella Saluto del Direttore generale delle Biblioteche e Istituti culturali. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Rossana Rummo Caro Professore, non potendo intervenire personalmente all’iniziativa La “mirabile” natura. Magia e scienza in Giovan Battista Della Porta (1615-2015), a causa di concomitanti ed improcrastinabili impegni istituzionali fissati a Roma, desidero inviare a Lei e a tutti i convenuti i migliori auguri di buon lavoro. L’occasione convegnistica ed espositiva promossa dall’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale costituisce una concreta occasione di approfondimento di una delle poliedriche personalità formatasi nel variegato movimento del naturalismo napoletano, anche a fronte delle vaste tematiche di trattazione inserite nel programma, nonché del significativo patrimonio bibliografico selezionato per l’occasione. L’appuntamento non solo rappresenta un momento per confermare l’importanza della promozione della ricerca in una dimensione sempre più internazionale ed interdisciplinare, ma anche un ulteriore e qualificato esempio dell’offerta culturale presente sul territorio.

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Con l’occasione, saluto tutti i presenti ed invio gli auguri per il migliore esito dell’incontro e per l’apertura di ancora nuovi spunti di riflessione su una personalità che nel corso della sua esistenza ha saputo contemperare, con grandi riflessi nella storia culturale italiana, interessi di filosofia, alchimia, letteratura e scienza. Rossana Rummo Saluto del Sindaco di Vico Equense Benedetto Migliaccio La Città di Vico Equense, su iniziativa dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, ha voluto celebrare la figura di Giovan Battista Della Porta a quattrocento anni dalla morte ; fu poliedrico studioso ed illustre cittadino che ancora oggi consegna motivi di approfondimento e spunti di riflessione nei più disparati campi del sapere. Auspicio del Sindaco e di tutta l’Amministrazione è che iniziative di rivalutazione del patrimonio culturale possano ripetersi a breve, creando circuiti virtuosi tra Città, Università e Studiosi e veicolando nel mondo la positiva immagine dei nostri Luoghi come centri di Sapere e Cultura, oltre che di Paesaggi e Sapori. Il Convegno ha inizio alla Sala dei Baroni in Castel Nuovo, e vede ospiti della nostra Città illustri studiosi internazionali, riannodando quei profondi legami tra Vico Equense, gli studi ed il sapere già ampiamente evocati in occasione dei Convegni su “Paolo Regio” e su “Gaetano Filangieri e l’Illuminismo europeo”. Il Convegno su “La Mirabile Natura – Magia e scienza in Giovan Battista Della Porta” fornisce anche l’occasione di esporre negli ambienti prospicienti la Sala delle Colonne di SS. Trinità una straordinaria riunione dei Libri di Giovan Battista Della Porta. Le cinque/ secentine in Mostra – capolavori editoriali gentilmente prestati per l’occasione perché posseduti da cittadini vicani o legati al territorio ed alla cultura della nostra Città – offrono ai visitatori l’ampio spettro delle attività di Della Porta, ed avvicinano giovani e cittadini comuni ai misteri di quella fioritura di sapere e stamperie che nel tardo cinquecento ebbe luogo a Vico Equense. Lo studio di Fatti, Città e Persone del Rinascimento Meridionale apre infatti uno squarcio su una straordinaria congiuntura che fece registrare, oltre alla crescita economica e demografica della città, una felice stagione nelle arti, nella letteratura e nella stessa trattatistica. Il pensiero vola poi imperioso da Vico Equense ad Ischia (legata a Vittoria Colonna e Giulio Iasolino), da lì a Sorrento (Torquato Tasso) ed ancora a Nola (Giordano Bruno) ; nasce quindi una domanda : perché non creare e legare in circuito Città ed eventi che facciano con cadenza più frequente rimbalzare al mondo “in positivo” l’orgoglio della cultura meridionale ed i nostri luoghi ? Sarei oltremodo lieto di trovare riscontro, oltre che negli studiosi, nei Sindaci delle Città e nel Sindaco Metropolitano che, sono certo, potranno convenire che l’apertura di un circuito culturale sul periodo rinascimentale non possa che avere ricadute positive sull’economia e sull’immagine dei nostri centri. Le adesioni prestigiose incontrate dall’operato dell’Istituto presieduto dal Prof. Marco Santoro mi spingono quindi a sostenere l’idea ed il nucleo di un progetto di circuito, che consenta di trovarci sempre più spesso a parlare in campo internazionale della  







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Cultura napoletana. Per questo vorrei considerare il Convegno di Vico Equense un tassello del formidabile quadro d’insieme composto dalle nostre attrattive, del passato ed attuali. Un vivo ringraziamento a nome mio e della Città a tutti coloro che hanno voluto, costruito e consentito quest’ importante occasione. Benedetto Migliaccio Saluto del Presidente dell’Accademia Pontaniana di Napoli Fulvio Tessitore Signore e Signori, sono molto lieto di rappresentare qui l’Accademia Nazionale dei Lincei e il suo Presidente, prof. Alberto Quadrio Curzio, che mi ha chiesto di farlo,rammaricandosi della costretta assenza. Egualmente rappresento qui l’Accademia Pontaniana, della quale mi onoro di essere, attualmente, presidente. Le ragioni del mio compiacimento sono molteplici, sia di carattere, come dire, oggettivo che soggettivo. Vi accennerò brevemente. Dell’Accademia dei Lincei Giambattista Della Porta fu uno dei primi Soci. Fu nominato l’8 luglio del 1610, anticipando di alcuni mesi Galileo Galilei, che lo divenne nell’ aprile del 1611. Aderire ai Lincei significava, credere e accettare i principi dell’istituzione: «libertà dell’ingegno, amore della verità, vere fonti della scienza umana non dialettica, ma reale». Ossia aver consapevolezza dei valori e significati del sapere nella sua significazione moderna, della scienza moderna. L’Accademia Pontaniana è la più antica d’Italia e quindi dell’Europa, costituita come fu, nel 1442 o, al più tardi 1443, con l’ingresso in Napoli di Alfonso V il Magnanimo di Aragona, in piena età rinascimentale, della cui cultura la Pontaniana, allora e poi, interpretò subito il carattere forse determinante, quello che mi piace esprimere con una espressione di valenza contemporanea, la interazione tra i saperi positivi, la fondazione dell’individualità personale juxta propria pricipia. Infatti Soci della Pontaniana sono stati e sono scienziati di tutti gli ambiti del sapere, quello delle Naturwissenschaften e quello delle Geisteswissensxhaften. Non a caso, fin dall’ultima costituzione, quella che data dal 1808, i Soci delle v Categorie accademiche, si incontrano ancora mensilmente in seduta comune, dove si discutono i problemi dei vari campi della ricerca scientifica. La quale, come disse nel 1810, W. von Humboldt, non è mai conclusa, né mai deve essere ritenuta tale, perché è in perenne cammino. Il che, poco più di cento anni dopo, un altro grande tedesco, Max Weber, consacrò dicendo che la scienza e gli scienziati devo avere la convinzione che il loro destino è di essere superati e che di ciò essi devono compiacersi. A questi motivi “oggettivi”, mi si lasci aggiungere l’accenno a quelli “soggettivi”. Conosco il prof. Marco Santoro da quando era studente ed io collega del Padre suo in Facoltà di Lettere e Filosofia napoletana, il caro, indimenticabile Mario, che fu docente nel Liceo dove sono stato studente. Come si vede un’amicizia antica, che tocca corde sensibili per gli autentici uomini di studio. La seconda ragione è che da più di cinquant’anni sono cittadino estivo di Vico Equense, la ridente e colta cittadina della Penisola Sorrentina, nella quale il Della Porta si ritiene nato. In Vico Equense credo di poter dire ho trascorso i periodi, tra i più intensi e sereni, dei miei studi. Dal balcone di casa mia vedo in lontananza

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la località vicana dove è localizzata una villa attribuita a residenza del Della Porta. Ma c’è dell’altro. A Vico Equense, con l’indicazione (non so quanto veritiera) “apud Josephum Cacchium”, fu edita nel mdlxxxvi, una delle opere più significative del Della Porta, De Humana Physionomonia. Orbene, quando anni fa, nel 1996 il titolare della famosa e gloriosa “libreria Antiquaria Casella”, ritrovò un raro e prezioso esemplare di tale opera, mi chiese di stenderne una presentazione. Cercai di resistere non essendo competente in materia e conoscendo l’opera solo per dovere professionale e gusto di lettore instancabile. Ma dovetti arrendermi all’insistenza dell’amico. Cedetti, ma non tradii la mia incompetenza. Così, dopo rapida esposizione di qualche tratto dell’opera, decisi di visitare i resti della “villa di Della Porta” e detti una descrizione confrontandola con una ben più elegante che, nel 1905, ne dette, in alcune pagine del libro Napoli, figure e paesi, il grande poeta di Napoli Salvatore Di Giacomo. Sulla guida di lui, senza impancarmi nel difficile discorso sull’autenticità della rivendicata nascita vicana del De Porta (se l’avessi negato avrei dovuto abbandonare Vico, cosa che per nulla al mondo intendo fare, disposto a sopportare ogni persecuzione), trovai una soluzione al vessato problema, che mi par degna di nota. Ricordando le opere botaniche e bucoliche del Della Porta, il Pomario, la Vigna, l’Oliveto e la Ghiandifera, conclusi che la verzura rigogliosa della selva ancora tanto densa, ridente segreta, che ancora circonda la “villa”, essendo riuscita a resistere agli sciagurati interventi di uomini, che ricordano gli «ottentotti alle porte di Napoli», esecrati nel 1756 da Genovesi, che villeggiava nella vicana frazione di Massaquano, ospite di Bartolomeo Intieri, non può che indurre alla umile resa vergognosa anche il visitatore più scettico. Solo lì, nello splendore dolce e non aspro della natura sorrentina, Della Porta poteva concepire, con ocularità acuta e sensibile, le sue opere bucoliche. Per tutte queste ragioni, sono lieto, ripeto, di essere qui e di augurare al convegno ogni successo e fortuna. Fulvio Tessitore Saluto del Presidente della Società di Storia Patria di Napoli Renata De Lorenzo Gentili Convegnisti, a causa di altri impegni non mi è possibile intervenire, ma la Società Napoletana di Storia Patria è lieta di dare il patrocinio all’importante convegno su La “Mirabile natura”. Magia e Scienza in Giovan Battista Della Porta (1615-2015), organizzato dall’ Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale. Tale iniziativa risponde all’impegno per un più intenso e proficuo rapporto tra gli Istituti di cultura napoletani e del Mezzogiorno per una riflessione comune su personaggi e momenti della nostra storia che ne evidenzino la continua capacità di attrattiva nazionale e internazionale. Con gli auguri di buon lavoro Renata De Lorenzo

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Saluto del Segretario dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiani Bianca Maria Da Rif È per me una grande emozione portare i saluti dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiani ai partecipanti di questo convegno che, come palesa il titolo così affascinante e seducente, si propone di entrare nella magia e nei segreti della natura svelati dalle scoperte di Giovan Battista Della Porta. Rammaricandomi vivamente di non poter essere con voi, invio ora i saluti, sia in termini personali, quale Segretaria dell’Associazione, sia come portavoce del Presidente emerito Carlo Ossola e dei Presidenti Gilberto Pizzamiglio e Fabio Finotti, ai tanti illustri studiosi italiani e stranieri oggi qui riuniti per rileggere la complessa personalità di questo innovatore studioso seicentesco, conosciuto in tutta Europa, augurando a tutti buon lavoro. Bianca Maria Da Rif

INTRODUZIONE AL CONVEGNO Marco Santoro

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ono lieto e, aggiungo, onorato di avviare i lavori di queste cinque dense giornate di studio volte a commemorare una delle personalità più intriganti del tardo Rinascimento, che significativamente beneficiò presso i contemporanei di notevole fama in Italia e all’estero. Ne sono eloquente testimonianza le numerose edizioni delle sue opere, tradotte in vari paesi europei, nonché i frequenti riferimenti ai suoi scritti presenti nella produzione di autorevoli secentisti, e si pensi almeno all’Anatomia della malinconia di Robert Burton oppure al De magnete di William Gilbert o ancora al Beeckman o a Cartesio. Nella sua Prefazione agli Atti del convegno internazionale organizzato dal Suor Orsola Benincasa nel 1986 a Vico Equense e pubblicati nel 1990 da Guida, Eugenio Garin sottolineava :  

Purtroppo a una notorietà e a un’eco eccezionali fra i contemporanei, a un’influenza a volte sottile e nascosta nei tempi successivi, anche lontani, non ha corrisposto, in anni a noi più vicini, una pari messe di studi critici e di analisi storiche 1  

D’altro canto già Giuseppe Gabrieli nel 1932 in riferimento allo scienziato campano aveva adottata la laconica ma calzante formula : « tuttora più famoso che noto », a sintetizzare appunto il ridotto impegno ermeneutico dedicato a Giovan Battista, sproporzionato alla sua celebrità, i cui frutti forse più incisivi grosso modo fino agli anni Ottanta del secolo scorso sono maturati oltre che per merito del Gabrieli, grazie a Francesco Fiorentino, Gioacchino Paparelli, Eugenio Garin e Giovanni Aquilecchia. Non è questa la sede né l’occasione per cercare di interpretare le ragioni di un’attenzione critica alquanto tiepida nei confronti del Nostro ; 2 va viceversa posto in risalto che meritoriamente nel 1986 con decreto del Presidente della Repubblica fu istituita la Commissione, presieduta da Raffaele Sirri, dell’Edizione nazionale delle opere di Della Porta 3 che nel medesimo anno organizzò il già citato convegno partenopeo : il nuovo corso degli studi dellaportiani poteva dirsi avviato. Nel 1996, per i tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli, cominciano a vedere la luce le pubblicazioni dell’Edizione Nazionale. Raffaele Sirri cura l’Ars reminiscendi nel  





   





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  Eugenio Garin, Prefazione, in *Giovan Battista Della Porta nel’Europa del suo tempo, Napoli, Guida, 1990, p. 7.   Qualche interessante “attenzione” nel corso del secolo xix nei confronti del Della Porta certo non manca, come per altro anche l’intervento di Trombetta qui pubblicato attesta. Eppure, non si può non riconoscere che si trattò comunque di “attenzione” di spessore e orizzonti critici non particolarmente incisivi. Ma, a riguardo, si veda il puntuale intervento di Maurizio Torrini qui pubblicato. 3   Nel gennaio 2010 presso l’Accademia nazionale dei Lincei fu presentata l’edizione nazionale, con interventi di Michele Ciliberto, Raffaele Sirri, Giorgio Stabile e Cesare Vasoli. Coordinava Tullio Gregory. All’epoca, questa la situazione segnalata nell’invito riportato in http ://www.lincei.it/files/convegni/710_invito.pdf (consultazione del 10 ottobre 2015) : Volumi pubblicati : Ars reminiscendi, a cura di Raffaele Sirri ; Coelestis physiognomonia, a cura di Alfonso Paolella ; De manuum physiognomonia, a cura di Oreste Trabucco ; Pneumatica, a cura di Oreste Trabucco ; Elementa curvilinea, a cura di Veronica Gavagna – Carlotta Leone ; De aeris transmutationibus, a cura di Alfonso Paolella. Teatro, 4 tomi, a cura di Raffaele Sirri ; Claudii Ptolemaei magnae constructionis liber primus, a cura di Raffaella De Vivo. In corso di stampa : Villae, 1° tomo, a cura di Francesco Tateo ; De munitione, a cura di Raffaella De Vivo. Di prossima pubblicazione : Humana Physiognomonia, a cura di Alfonso Paolella ; Taumatologia, a cura di Raffaele Sirri ; Della Calamita, a cura di Maria Luisa Doglio. In preparazione : Magia naturalis, a cura di Gianvito Resta ; De furtivis literarum notis, a cura di Laura Balbiani ; De refractione, a cura di Riccardo Bellè ; Villae, 2° tomo, a cura di Francesco Tateo. 2





































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1996, fra il 2000 e il 2003 il volume delle tragedie e i tre volumi delle commedie e, nel 2013, la Taumatologia e criptologia. Le Villae sono editate per le cure di Luigia Laserra e Gianni Antonio Palumbo fra il 2010 e il 2013 in tre tomi ; ad Alfonso Paolella vengono affidate la Coelestis Physiognomonia, apparsa nel 1996, la De aeris trasmutationibus (2000) e la De humana fisiognomonia nonché la relativa traduzione, che sono pubblicate rispettivamente nel 2011 e nel 2013. Oreste Trabucco, dal canto suo, si impegna nella curatela sia dei De ea naturalis physiognomoniae … libri duo, nel 2003, che dei Pneumaticorum libri tres, nel 2008 ; e la Raffaella De Vivo in quella del Claudii Ptolomaei … liber primus nel 2000 e in quella dei De munitione libri tres nel 2010. Infine nel 2005 vengono editi gli Elementorum curvilineorum libri tres affidati a Veronica Gavagna e a Carlotta Leone. Tredici opere del vicano, quindi, che in ogni caso sono state congruamente affiancate da altre edizioni, per così dire “esterne”. Non poche le pubblicazioni di opere teatrali in forma integrale o ridotta, e si pensi ad esempio a quelle di Sirri dal 1978 in poi per l’Orientale e dal 1976 al 1990 per De Simone. Aquilecchia nel 1990 cura la Metoposcopia ; per i tipi della D’Anna di Firenze vedono la luce nel 1998 i quattro libri De i miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti ; Giunti Demetra pubblica nel 2008 la Magia naturale. Nel 1988 Cicognani cura La fisonomia dell’uomo per Guanda, e nel 1990 ecco l’edizione di Cento Amici del Libro con commento e cinque litografie di Fabrizio Clerici ; nel 1999 Massimo Centini cura La fisonomia per la Aragno di Torino e nel 2007 vede la luce un’altra edizione, questa volta per i tipi della D’Anna. La cristologia esce a Roma nel 1982 a cura della Gabriella Belloni. E qui mi fermo, evitando di ricordare non solo pubblicazioni di altre opere dellaportiane ma anche le non poche ristampe anastatiche e le edizioni apparse fuori d’Italia. Va debitamente tenuto presente che, accanto alla proliferazione di edizioni dellaportiane, spesso corredate da studi approfonditi, e accanto a qualche documentata monografia, dagli ultimi anni Novanta del secolo scorso si infittiscono anche i contributi sulle riviste specializzate. Anche qui, basterà qualche esempio limitato ai periodici di italianistica : Monica Brindicci, 4, Eugenio Refini 5 e Gérard Vittori 6 si occupano del teatro, Oreste Trabucco, 7 Bruno Basile, 8 Éva Vígh 9 e Miguel Ángel Gonzáles Manjarrés 10 si concentrano sulla fisiognomica, Arielle Saiber esamina il trattato Elementorum curvileneorum, 11 e la Luigia Laserra analizza la Villa. 12 Una nuova stagione sembra aprirsi a partire dal 2010, anno in cui presso l’Accademia nazionale dei Lincei si presenta l’edizione nazionale, con interventi di Michele Ciliberto,  





























4   Monica Brindicci, La scena e la città. Il teatro napoletano nell’interpretazione di Franco Carmelo Greco : da Giovan Battista Della Porta ad Andrea Perrucci, « Aprosiana », 8 (2000), pp. 97-110. 5   Eugenio Refini, Un frammento autografo dell’“Ulisse” di Giovan Battista Della Porta, « Giornale storico della letteratura italiana », 2007, 605, pp. 43-70 ; cfr. anche Id., Prologhi figurati. Appunti sull’uso della prosopopea nel prologo teatrale del Cinquecento, « Italianistica », 2006, 3, pp. 61-86. 6   Gérard Vittori, L’animal et son simulacre : l’ours et sa fonction dramatique dans “La Chiappinaria” de Giovan Battista Della Porta, « Italies », 10 (2006), pp. 57-72. 7   Oreste Trabucco, Il ‘corpus’ fisiognomico dellaportiano tra censura e autocensura, « Rinascimento », 43 (2003), pp. 569-599. Del medesimo autore si veda anche Riscrittura, censura, autocensura : itinerari redazionali di Giovan Battista della Porta, « Giornale critico della filosofia italiana », 22 (2002), pp. 41-57. 8   Bruno Basile, Della Porta, Bartoli e la fisionomia del genio, « Filologia e critica », 2004, 1, pp. 145-151. 9   Éva Vígh, “La fisonomia dell’uomo” : un poema del primo Settecento napoletano, « Seicento e Settecento », 4 (2009), pp. 155-167. 10   Miguel Ángel González Manjarrés, Presencia de Huarte de San Juan en ‘La fisiognomia humana’ de Giovanni Battista della Porta, « Schede umanistiche », 22 (2008), pp. 179-222. 11   Arielle Saiber, Flexilinear Language. Giambattista Della Porta’s Elementorum curvilineorum libri tres, « Annali d’italianistica », 23 (2005), pp. 89-104. 12   Luigia Laserra, La ‘Villa’ di G. B. Della Porta tra utopia, magia, tradizione e sperimentalismo, « La Parola del testo », 2001, 1, pp. 151-176.  





















































introduzione al convegno

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Raffaele Sirri, Giorgio Stabile e Cesare Vasoli, sotto il coordinamento di Tullio Gregory. Nel medesimo anno sul primo numero di « Humanistica » vede la luce la puntuale rassegna bibliografica dellaportiana di Antonella Orlandi. 13 Nel corso di questi ultimi cinque anni davvero numerosi e qualificati gli interventi ermeneutici che possiamo registrare : da quelli di Donato Verardi 14 a quelli di Angela Albanese 15 a quelli di Anna Rita Rati. 16 V’è per altro da annotare la sezione dedicata al vicano nel primo fascicolo 2015 di « Bruniana & Campanelliana », con saggi di Louise George Clubb, Saverio Ricci, Oreste Trabucco e Donato Verardi, 17 nonché, naturalmente, i diversi interventi editi in miscellanee per lo più inerenti il teatro cinque/seicentesco oppure questioni legate alla censura e alla magia. 18 L’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale non è stato estraneo al rilancio degli studi dellaportiani. Va innanzitutto ricordato che, allorché il Comune di Vico nel 1985 decise di costituire un Comitato di ricerca filosofico-scientifica al fine di promuovere iniziative culturali legate al territorio e, in tale ottica, decise di avviare il progetto del convegno dellaportiano, tenutosi poi, come detto, nel 1986, fu chiesto a Mario Santoro, Presidente dell’Istituto, di fare parte del suddetto Comitato. D’altro canto non occorre ricordare che uno degli studiosi dellaportiani all’epoca più attivi era Raffaele Sirri, impegnato alacremente nell’Istituto. Soprattutto a partire dal 2002, comunque, il coinvolgimento del nostro Istituto alla nuova stagione delle ricerche dellaportiane assume maggiore concretezza e visibilità. Nel  





















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  Antonella Orlandi, Rassegna dellaportiana, « Humanistica », 2010, 1, pp. 145-148.   Donato Verardi, “Segni, linee e mani planetarie”. La “Chirofisonomia” di Giovan Battista Della Porta, « Esperienze letterarie », xxxvi (2011), 4, pp. 51-59. 15   Angela Albanese, Un trattato cinquecentesco sulla memoria : ‘L’arte del ricordare’ di G. B. Della Porta, « Giornale storico della letteratura italiana », 2011, 621, pp. 86-108. 16   Anna Rita Rati, La cifra del “patetico” nelle Commedie di G.B. Della Porta, « Studi italiani », 2014, 1, pp. 33-70. 17   Ecco il dettaglio : Saverio Ricci, Giambattista Della Porta : mago, Linceo, teatrante, p. 110 ; Louise George Clubb, Not By Word Alone : Beyond the Language of Dalla Porta’s Theater, pp. 111-121 ; Saverio Ricci, Della Porta ‘civile’ : dignità dell’uomo, edificazione, società dell’onore, pp. 123-134 ; Oreste Trabucco, Appunti di filologia dellaportiana, pp. 135-142 ; Donato Verardi, Giovan Battista Della Porta e le « immagini astrologiche », pp. 143-152 18   A integrazione delle varie indicazioni bibliografiche finora fornite, si potranno ricordare : Louise George Clubb, Giambattista Della Porta, Dramatist, Princeton, Princeton University Press, 1965 ; Luisa Muraro, Giambattista Della Porta mago e scienziato, Milano, Feltrinelli, 1978 ; Gabriella Belloni, Conoscenza magica e ricerca scientifica in G. B. Della Porta, in Giovan Battista Della Porta, Criptologia, Roma, Centro internazionale di studi umanistici, 1982, pp. 45-101 ; Hélène Védrine, Della Porta e Bruno. Natura e magia, « Giornale critico della filosofia italiana », 65 (1986), pp. 297-309 ; Michaela Valente, Della Porta e l’Inquisizione, « Bruniana & Campanelliana », v (1999), pp. 415-435 ; Paola Zambelli, L’ambigua natura della magia : filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Venezia, Marsilio, 1996, Ead., Continuità nella definizione della magia naturale da Ficino a della Porta, in *Geografia dei saperi. Scritti in memoria di Dino Pastine, a cura di Domenico Ferraro e Gianna Gigliotti, Firenze, Le Lettere, 2000 ; Laura Balbiani, La « Magia Naturalis » di Giovan Battista della Porta. Lingua, cultura e scienza in Europa all’inizio dell’età moderna, Berna, Lang, 2001 ; Il volto e gli affetti. Fisiognomica ed espressione nelle arti del Rinascimento. Atti del convegno di studi. Torino, 28-29 novembre 2001, a cura di Alessandro Pontremoli, Firenze, Olschki, 2003 ; Paolo Piccari, Giovan Battista della Porta. Il filosofo, il retore, lo scienziato, Milano, Franco Angeli, 2007 ; Gianni Antonio Palumbo, La magia naturale di Giambattista della Porta, in *La magia e le arti nel Mezzogiorno, a cura di Raffaele Cavalluzzi, Bari, Graphis, 2009, pp. 100-112 ; Giovan Battista della Porta, Taumatologia e criptologia, a cura di Raffaele Sirri, Napoli-Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013; Éva Vígh, « Il costume che appare nella faccia ». Fisiognomica e letteratura italiana, Roma, Aracne, 2014. E ancora : Giorgio Fulco, Per il “Museo” dei fratelli della Porta, in *Rinascimento meridionale e altri studi in onore di Mario Santoro, a cura di Maria Cristina Cafisse et al., Napoli, Società editrice napoletana, 1987, pp. 105-175, nonché Nicola Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500, « Studi storici », i (1959-60), pp. 677-715. Utili collegamenti in Milena Sabato, Il sapere che brucia. Libri, censure e rapporti Stato-Chiesa nel Regno di Napoli fra ’500 e ’600. Galatina (Le), Congedo, 2009 e in Enrica Stendardo, Ferrante Imperato. Collezionismo e studio della natura a Napoli tra Cinque e Seicento. Napoli, Accademia Pontaniana, 2010. Infine : Raffaella Zaccaria, Giuseppe Romei, Della Porta Giovambattista, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1989, 37° vol., e Saverio Ricci, Della Porta Giovan Battista, in Contributo italiano alla storia del pensiero della Treccani, consultabile a http ://www.treccani.it/enciclopedia/dellaporta-giovan battista_%28Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero :_Filosofia%29/ .  

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maggio di quell’anno, infatti viene organizzata a Salerno dall’Istituto e dal Dipartimento di Letteratura, Arte, Spettacolo dell’Università di Salerno una giornata di studi su Giovan Battista, alla quale partecipano Alberto Granese, Alfonso Paolella, Raffaele Sirri, Francesco Tateo, Maurizio Torrini, Paola Trivero e il sottoscritto. Gli interventi vedono la luce nella collana « Atti » del nostro Istituto nel 2004 per le cure di Milena Montanile. 19 Sulla scia della mia relazione salernitana e soprattutto in seguito sia alle sue consolidate competenze sia al rinnovato interesse per i corredi paratestuali promosso del gruppo prin 2003 da me coordinato, Antonella Orlandi avvia una puntuale ricognizione delle edizioni italiane e straniere dellaportiane, approdata alla realizzazione, purtroppo postuma, dell’importante contributo edito nel 2013. 20 Con questa pubblicazione, a distanza di oltre ottanta anni dalla bibliografia di Giuseppe Gabrieli, 21 finalmente si può disporre di un quadro molto meno lacunoso delle stampe dellaportiane apparse in Italia e all’estero fra la seconda metà del xvi secolo e il secolo xvii. Nel 2010 viene fondata la nuova rivista annuale « Rinascimento meridionale », “voce” scientifica del nostro Istituto. Già sul primo numero figura un saggio dellaportiano a firma di Donato Verardi e nel giro di quattro anni ben quattro sono i contributi che vengono accolti, a conferma della costante attenzione dedicata allo scienziato vicano. 22 Ed eccoci al 2015, anno nel quale mi piace ricordare che è stato pubblicato su « Esperienze letterarie » un contributo di Gianni Antonio Palumbo 23 e si è organizzata recentemente un’interessante iniziativa per celebrare Della Porta a quattrocento anni dalla morte a Piano di Sorrento. 24 Un luogo non casuale, certo, considerata l’area di nascita di Giovan Battista ; anche in tale circostanza il nostro Istituto ha cercato di recare il proprio contributo, non limitandosi a concedere (ovviamente ben volentieri) il proprio patrocinio. 25 In definitiva, non può che risultare naturale, oserei dire prevedibile, che il Consiglio direttivo, in sintonia con i compiti e gli interessi scientifici dell’Istituto e con il prezioso appoggio degli altri componenti il Comitato scientifico (che mi piace ricordare e ringraziare e cioè : Concetta Bianca, Marcello Ciccuto, Domenico Defilippis, Leonardo Di Mauro, Irene Fosi e Francesco Senatore), dicevo non può che risultare naturale che il nostro Istituto abbia da tempo programmato l’impegnativo convegno internazionale che si apre oggi. Non sarà certo sfuggito che alcuni degli amici e colleghi invitati a recare il proprio prezioso contributo in questi giorni sono stati ricordati nelle mie parole : superfluo precisare che i riferimenti ai loro nomi non sono certo riconducibili a piaggeria o a pur legittimo dovere di ospitalità. La loro presenza, infatti, come d’altronde quella di tutti gli altri relatori che ascolteremo in queste giornate, è dovuta proprio all’attenzione, alla scaltrita e persuasiva attenzione con la quale tutti gli invitati hanno affrontato le complesse e sug 































19   L’edizione nazionale del teatro e l’opera di G. B. Della Porta, Atti del Convegno, Salerno, 23 maggio 2002, a cura di Milena Montanile, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionale, 2004. 20   Antonella Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, Roma-Pisa, Serra, 2013. 21   Giuseppe Gabrieli, Giambattista Della Porta : notizia bibliografica dei suoi mss. e libris, edizioni, ecc., con documenti inediti, Roma, Bardi, 1932. 22   Donato Verardi, Magia e simbolismo celeste nella “Coelestis physiognomia” di G. B. Della Porta, « Rinascimento meridionale », 2010, 1, pp. 117-135 ; Luana Rizzo, La concezione dei ‘signa rerum’ nel pensiero di Matteo Tafuri e di Giovan Battista Della Porta, « Rinascimento meridionale », 2011, 2, pp. 171-187 ; Donato Verardi, La “Phytognomonica” di G. B. Della Porta e il simbolismo celeste, « Rinascimento meridionale », 2011, 2, pp. 189-201 ; Id., Ateismo e Magia nell’età della Controriforma. Note di demonologia dellaportiana, « Rinascimento meridionale », 2014, 5, pp. 117-128. 23   Gianni Antonio Palumbo, La magia dello sguardo in Giovan Battista della Porta, « Esperienze letterarie », xl (2015), 2, pp. 45-52. 24   Giovan Battista Della Porta nel iv centenario della morte (1535-1615). Atti del convegno, Piano di Sorrento, 27 febbraio 2015, a cura di Alfonso Paolella, Roma, Scienze e lettere, 2015. 25  Cfr. Marco Santoro, Prefazione, in Giovan Battista Della Porta nel iv centenario della morte (1535-1615), cit., pp. 1-4.  



























introduzione al convegno

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gestive tematiche oggetto dell’odierna iniziativa. Una presenza, quindi, indiscutibilmente autorevole, che altrettanto indubitabilmente segnerà queste cinque giornate come uno dei momenti più qualificati nell’ambito degli studi legati al Della Porta. E nel rivolgere ai relatori, ai partecipanti alla tavola rotonda e ai presidenti delle sedute un caloroso ringraziamento per essere qui con noi, apro il doveroso quanto grato capitolo dei ringraziamenti, non senza premettere che questo convegno internazionale ha beneficiato e beneficia della efficace collaborazione dei comuni di Napoli e di Vico Equense, alle cui cure vanno accreditati i meriti delle complesse procedure logistiche e organizzative. Grazie davvero signor Sindaco di Napoli e signor Sindaco di Vico e grazie Assessori per avere appoggiato, con grande sensibilità culturale, la nostra proposta e un grazie ai funzionari e al personale dei due Comuni per il loro professionale apporto. E vanno ricordate almeno per Vico le dottoresse Savarese e De Martino e per Napoli le dottoresse Pennetta e Perrotta. Io credo che queste giornate possano tangibilmente dimostrare quanto l’investimento, non solo economico, delle amministrazioni locali per rivendicare e riproporre artefici e protagonisti della propria storia culturale, e aggiungerei socio-politica, possa godere di ricaduta assai eloquente non solo in termini di immagine ma anche e soprattutto per rafforzare un legittimo senso di fierezza in ciascuno di noi per essere attori in un territorio riconoscibile non solo per nefasti episodi e costumi malavitosi, ma anche per prove e manifestazioni di grande civiltà e di maturità sociale e culturale. Posto nel dovuto rilievo che questo evento si avvale del consenso culturale di una prestigioso Comitato d’onore, che ricordo con gratitudine : Monsignor Francesco Alfano, Luigi de Magistris, Benedetto Migliaccio, Gaetano Daniele, Giuseppe Aiello, Marco Bertozzi, Renata De Lorenzo, Gerardo Marotta, Rosanna Pettinelli, Alberto Quadrio Curzio e Fulvio Tessitore, si condividerà che è doveroso rammentare anche che il Convegno di avvale di numerosi autorevoli patrocini, che elenco : della Regione Campania e della Città metropolitana di Napoli, di tre prestigiose accademie (dell’Arcadia e dei Lincei di Roma e della napoletana Pontaniana), dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, dell’Istituto italiano per gli studi filosofici, della Società napoletana di Storia Patria, entrambi di Napoli, delle università straniere di Budapest, dell’ Universitat Pompeu Fabra di Barcelona, della Carleton University e dell’Université Paris 8, delle Università di Firenze, di Foggia, di Macerata e di Salerno, e di quelle napoletane “Suor Orsola Benincasa”, “Federico II”, sun (Seconda Università di Napoli), “Parthenope”, della Fondazione Premio Napoli, dell’Associazione degli Italianisti e dell’Associazione Internazionale di Studi di Lingua e Letteratura Italiana : a tutti questi enti va espressa gratitudine, come va espressa agli amici che hanno aperto la giornata odierna con il loro saluto ora di persona ora inviandone il testo, a conferma di encomiabile sensibilità culturale. Chiara e confortante solidarietà culturale quindi, che mi spinge ad aprire una parentesi, con un’annotazione molto concisa quanto dolente. Non è mai stata una politica culturale condivisibile quella orientata alla competizione e alla rivalità fra strutture culturali soprattutto fra quelle impegnate su analoghi fronti di interesse. Oggi più che nel passato, in conseguenza delle sempre più ridotte risorse non solo economiche ma anche umane, atteggiamenti di tal genere possono essere definiti senza ombra di dubbio esecrabili, nonché preoccupante sintomo di ottiche provinciali e miopi. Non è un caso se noi dell’Istituto per questa come per tutte le altre iniziative abbiamo cercato e cerchiamo costantemente di coinvolgere strutture ed enti (non solo napoletani o meridionali) con i quali possono e devono essere impostate e alimentate procedure di stretta e proficua collaborazione e sinergia (e basti pensare agli enti patrocinanti poc’anzi menzionati). Eppure, ancora nei tempi più recenti si sono organizzate e si stanno organizzando iniziative legate a diversi  





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aspetti del Rinascimento meridionale che stoltamente non mirano a chiamare a raccolta per i loro obiettivi tutti coloro che per precise vocazioni istituzionali sono attivi sui medesimi scenari scientifici. Temo che con tali atteggiamenti non si possa andare lontano. Ma, avviandoci alla conclusione, sarà bene proseguire con altri meritevoli riconoscimenti. Un ringraziamento particolare ritengo vada tributato sia all’avvocato Beniamino Russo e all’architetto Pier Paolo de Gennaro per avere con affettuosa prodigalità reso disponibili i propri “tesori” bibliografici dellaportiani cinque/seicenteschi ai fini dell’allestimento della mostra che si aprirà nel pomeriggio a Vico sia ad Alfonso Paolella per avere a sua volta posto a disposizione della suddetta mostra volumi moderni meno preziosi ma non per questo meno significativi. È noto il raffinato e suggestivo uso della parola e del canto di Lalla Esposito, che ha accolto la nostra richiesta di leggere brani dellaportiani e paratesti di edizioni dellaportiane : a lei e al prof. Pietro Di Lorenzo, che in virtù della sua competenza in materia, ha suggerito i brani musicali per così dire di corredo alla lettura dei testi, un grazie convinto. Un commosso ringraziamento va alla professoressa Alba Coppola che, in memoria del carissimo amico e collega nonché nostro precedente Presidente, Michele Cataudella, ha destinato una somma volta a coprire le spese di alcune delle borse di studio che abbiamo bandito per agevolare la presenza in questi giorni di giovani ricercatori. Un grato saluto non si può non rivolgere a voi tutti qui presenti, la cui nutrita e qualificata partecipazione è segno tangibile e confortante dell’interesse che possono sollecitare e calamitare iniziative come il Convegno che si apre oggi. Infine, dopo il dovuto apprezzamento per la cortese disponibilità della Scuola Alberghiera San Giorgio, alla quale si devono i servizi di ristoro odierni affidati a giovane personale specializzato, un caloroso ringraziamento va ad Alfonso Ricca, che con professionalità e competenza ha seguito le fasi organizzative più delicate di tutta l’iniziativa, assistito a partire da oggi da tre valide fanciulle, ugualmente motivate : Marina Capuano, Silvia Ottaiano e Maria Pia Vincelli. Grazie ancora e buon lavoro a tutti.  



AVVERTENZA Numerosissimi sono i rinvii nelle varie relazioni alle pubblicazioni dell’edizione nazionale dell’opera di Giovan Battista Della Porta pubblicate dalle Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli. Si è pertanto deciso di ricorrere ai seguente acronimi :  

Aeris De aeris transmutationibus, a cura di Alfonso Paolella, 2000. Ars  Ars reminiscendi. Aggiunta L’arte del ricordare tradotta da Dorandino Falcone da Gioia, a cura di Raffaele Sirri, 1996. Claudii Ptolemaei magnae constructionis liber primus cum Theonis Alexandrini commentariis, a Clau  cura di Raffaella De Vivo, 2000. Coel  Coelestis physiognomia ; e in appendice Della celeste fisonomia, a cura di Alfonso Paolella, 1996. Ele Elementorum curvilineorum libri tres, a cura di Veronica Gavagna e Carlotta Leone, 2005. FisII Della fisionomia dell’uomo libri sei, a cura di Alfonso Paolella, 2013. Hum De humana physiognomonia libri sex, a cura di Alfonso Paolella, 2011. Mun De munitione libri tres, a cura di Raffaella De Vivo, 2010. Natur De ea naturalis physiognomoniae parte quae ad manuum lineas spectat libri duo e in appendice Chirofisonomia, a cura di Oreste Trabucco, 2003. Pneu Pneumaticorum libri tres e in appendice I tre libri de’ Spiritali, cioè D’inalzar acque per forza dell’aria ; a cura di Oreste Trabucco, 2008. TeatI Teatro. Tragedie, a cura di Raffaele Sirri, 2000. TeatII Teatro. Commedie, a cura di Raffaele Sirri, 2002. TeatIII Teatro. Commedie, a cura di Raffaele Sirri, 2002. TeatIV Teatro. Commedie, a cura di Raffaele Sirri, 2003. Tau Taumatologia e Criptologia, a cura di Raffaele Sirri, 2013. VillaeI Villae libri xii. Tomo 1. Libri 1-4, a cura di Luigia Laserra e Gianni Antonio Palumbo, 2010. VillaeII Villae libri xii Tomo 2. Libri 5-6, a cura di Luigia Laserra, 2011. VillaeIII Villae libri xii Tomo 3. Libri 7-8-9, a cura di Gianni Antonio Palumbo, 2013.  



LA VITA POLITICA E SOCIALE DELLA CAPITALE VICEREALE AL TEMPO DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA Giovanni Muto

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’arco temporale lungo il quale scorre la vita di Giovan Battista Della Porta si dispie ga su ben ottanta anni che coprono fasi e congiunture assai diverse tra loro. Il Della Porta nasce tra l’ottobre e il novembre 1535, dunque nelle settimane che precedono e/o accompagnano l’arrivo a Napoli dell’imperatore Carlo V. L’antica città capitale riceveva il suo sovrano quasi trent’anni dopo la visita di Ferdinando il Cattolico nel 1506. L’entrata di Carlo il 23 novembre 1535 fu un evento che si conserverà a lungo nella memoria cittadina ; in quei pochi mesi la città celebrò il sovrano con cavalcate, tornei, ricevimenti, cortei, balli, giochi di varia natura, tutti ricordati nelle cronache e nei componimenti letterari. La cosmopolita corte imperiale seguì Carlo a Napoli e per molti consiglieri fiamminghi, castigliani, borgognoni fu l’occasione per conoscere una grande capitale mediterranea tanto diversa – nelle dimensioni e nelle pratiche sociali – dalle loro città. Da Napoli, infine, si gestirono tutti gli affari politici di quei mesi : l’incorporazione di Milano alla corona spagnola alla morte di Francesco Maria Sforza avvenuta il 2 novembre 1535, il matrimonio tra Margherita d’Austria e Alessandro de Medici celebrato il 29 febbraio del 1536, le ordinanze dell’11 marzo sull’istruzione religiosa degli indios del Nuovo Mondo, i rapporti con la Chiesa di Roma e con il papa Paolo III. La vita di Della Porta si concluse invece nel febbraio 1615, quando tanto nella corte spagnola che in quella viceregnale napoletana si registrava un cambio politico altrettanto significativo, ovvero la fine della privanza del duca di Lerma alla cui fazione era legato il viceré di Napoli D. Pedro Fernandez de Castro VII conte di Lemos che, tra il 1610 e il 1616, aveva portato avanti nel regno una politica di riforme amministrative e fiscali di grande rilevanza. 1 L’esperienza umana e scientifica di Giovan Battista della Porta attraversa la storia cinquecentesca del regno, dal lungo viceregno di Don Pedro de Toledo – tra il 1532 e il 1553 – fino a quello del conte di Lemos e la sua scomparsa si colloca e coincide con una congiuntura politica e sociale di grande intensità e vivacità della storia culturale napoletana. Per lungo tempo la storiografia ha letto gli anni del viceregno del Toledo come il tempo della definitiva sconfitta della nobiltà napoletana. In realtà, ciò che veniva ridimensionato era il potere pervasivo delle grandi famiglie titolate nella gestione politica del territorio e nello stesso apparato del governo centrale. 2 Tuttavia, se quelle esprimevano il segmento certamente forte dell’aristocrazia meridionale, attraverso il controllo giurisdizionale sulle comunità infeudate, esse però non rappresentavano l’intero mondo nobiliare. Un secondo segmento di questo universo – il patriziato urbano ascritto ai seggi della capitale e delle altre città del regno – andava emergendo con una sua precisa identità distintiva ; esso aveva accettato di collaborare con la corona fin dal terzo decennio del Cinquecento ; o,  









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  Giovanni Muto, Le finanze pubbliche napoletane tra riforme e restaurazione (1520-1634), Napoli, esi, 1980.   Raffaele Ajello, Una società anomala. Il programma e la sconfitta della nobiltà napoletana in due memoriali cinquecenteschi, Napoli, esi, 1966. 2

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meglio ancora, la corona aveva optato i patrizi di seggio come interlocutori privilegiati. 3 Occorre, in verità, essere più precisi. Le grandi famiglie della nobiltà feudale meridionale, un gruppo non superiore ad una ventina di grandi lignaggi (come ad esempio i Carafa, i Caracciolo, i Pignatelli, i Sanseverino, i d’Avalos, gli Acquaviva, i di Capua) erano ascritte anch’esse ai seggi della città di Napoli. Ma non erano questi i patrizi con cui la corona aveva scelto di dialogare quanto piuttosto quelli delle famiglie di minor rango (come i Loffredo, i Muscettola, gli Albertino, i Gazzella, i Pignone, i Villano), i cui asset patrimoniali erano decisamente inferiori a quelli delle grandi famiglie feudali. Per quanto l’aristocrazia napoletana tendesse a dare di sé una immagine compatta, in realtà gli antagonismi tra questi due gruppi del mondo nobiliare non mancavano, specie nelle circostanze politicamente più significative. L’elemento distintivo tra questi due gruppi è dato però dal fatto che molti esponenti di queste famiglie patrizie di secondo rango avevano seguito studi di diritto giungendo ad addottorarsi e a collocarsi in quella fascia di togati che tanta fortuna ebbe nella vita politica e sociale del regno. Nella riorganizzazione del governo regio che ebbe luogo nel corso della prima metà del Cinquecento, attorno e dentro al Consiglio Collaterale si svolse un confronto durissimo. Il Collaterale, nella sua forma di Consiglio di Stato, fu il luogo istituzionale nel quale si consumò la contrapposizione tra l’antica nobiltà di spada ed i ceti emergenti della nuova nobiltà di toga ; in particolare, il nucleo centrale di questo consiglio – la cancelleria ed i suoi reggenti – fu lo spazio dove maturarono e furono portati avanti i disegni della politica vicereale in linea, più o meno concordata, con le indicazioni che provenivano dalla corte di Madrid. La cancelleria del Collaterale, fino alla metà del Cinquecento, fu composta in larga parte proprio da elementi provenienti dal patriziato urbano di Napoli che non erano espressione delle grandi famiglie della nobiltà titolata ; tutte figure che, a lato dell’identità aristocratica, avevano scelto e praticato l’esercizio della toga e che, pertanto, erano al tempo stesso nobili e togati. Solo successivamente, a partire dagli anni sessanta del Cinquecento, l’equilibrio politico del regno assumerà una diversa configurazione, privilegiando cioè i togati di estrazione non aristocratica, avvocati, lettori dello studio, ufficiali e burocrati che emargineranno progressivamente i patrizi di seggio fino a proporsi come forti interlocutori della corona spagnola. Questo nuovo gruppo non solo si insedierà stabilmente nella cancelleria del Collaterale e nello spazio delle altre magistrature centrali ma nel giro di due o tre generazioni, attraverso alleanze matrimoniali e concessioni dei sovrani spagnoli, si convertirà nella nuova nobiltà di toga. Il patriziato urbano della capitale prenderà atto di questo ribaltamento dei rapporti di forza e, pur non essendo del tutto assente dalla scena politica, si rinserrò negli spazi dell’amministrazione municipale ; nel controllo del reggimento urbano i patrizi dei seggi napoletani troveranno nella parte popolare e nel suo rappresentante, l’eletto popolare, un alleato assai infido spesso assai incline ad attenersi più alle indicazioni del viceré che a perorare la causa della comune patria napoletana. Ma cerchiamo ora di leggere concretamente quale fosse l’immagine di città che Della Porta percepiva nella seconda metà del Cinquecento, quella che giuristi e compilatori delle guide cittadine chiamavano il distretto cittadino, termine che stava ad indicare la città murata ma anche tutta l’area esterna alla città e sulla quale si estendevano i poteri e la giurisdizione della città. 4 Nella Nuova Descrittione di Enrico Bacco, 5 edita agli inizi del Seicento, quest’a 











3   Giovanni Muto, Tensioni ed aspettative nella società napoletana nei primi decenni del Cinquecento, in Atti del Congresso internazionale “El tratado de Tordesillas y su época”, Salamanca, 1995, pp. 1793-1804. 4   Giovanni Muto, Urban Structures and Population, in *A companion to early modern Naples, a cura di Tommaso Astarita, Leiden-Boston, Brill, 2013, pp. 35-61. 5   Enrico Bacco, Nuova Descrittione del Regno di Napoli ..., Napoli, nell’edizione per Secondino Roncagliolo, 1629, p. 10 sgg.

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rea esterna veniva definita impropriamente come contado ; l’espressione non rimanda ovviamente al modello territoriale di contado come venne svolgendosi nelle città dell’area centro-nord della penisola, ma veniva usata dal medesimo autore come sinonimo di luoghi convicini e comprendeva due distinte aree : a) i sette borghi (Santa Maria di Loreto, San Antonio, i Vergini, Stella, Gesù e Maria, Santa Maria del Monte, Chiaia), lo spazio cioè immediatamente a ridosso delle mura e destinato in breve tempo a saldarsi al tessuto urbano ; b) una seconda area che si stendeva ad est e ad ovest della linea di costa : da un lato Pizzo Falcone, il Chiatamone, Fuori Grotta, Mergellina fino a Posillipo ; dall’altro lato Poggioreale, il Guasto e le Paludi. Più lontano dal distretto cittadino vi erano poi i casali, un numero che nel tempo variò tra 38 e 42 comunità e nuclei abitati, distanti dalla città capitale fino a dieci e più chilometri, territori su quali la città di Napoli stendeva il suo controllo. La città era difesa da una cerchia di mura ampliate nel 1483 da Ferrante d’Aragona ma i cui lavori procedettero lentamente e ancora a fine Quattrocento non potevano dirsi conclusi. Un primo intervento di pura manutenzione ma a carico dei cittadini napoletani fu fatto nel maggio 1506. Un intervento assai più radicale fu operato dal viceré Pedro de Toledo che nel 1537 avviò nuovi lavori di ampliamento. Il circuito delle mura misurava cinque miglia o poco più. Le mura si sviluppavano lungo la linea costiera e all’altezza del Carmine giravano a sinistra risalendo per Porta Nolana e successivamente per Porta Capuana fino a S. Giovanni a Carbonara. Qui, all’incrocio dell’attuale via Foria, giravano ancora a sinistra per Porta S. Gennaro e avanti fino alla Porta di S. Maria di Costantinopoli, dove ora è collocato il Museo Archeologico. Le mura proseguivano fino a Porta Reale e all’altezza di Porta Medina, dove oggi è la piazza Montesanto, cominciavano a salire inerpicandosi lungo la collina e perdendosi nella collina che conduceva al Castel S. Elmo ; di fatto esse non si congiungevano alla fortezza, ristrutturata in quegli stessi anni, ma ciò non poneva alcun problema poiché dirupi e fossi si ergevano come una difesa naturale e, in ogni caso, il castello di S. Elmo con le sue batterie di cannoni era assolutamente in grado di difendere il sottostante spazio. Le mura meridionali giungevano fino al Castelnuovo e alla cinta che si ergeva a difesa del Palazzo Reale, dell’arsenale e del porto. Di fronte a questo complesso stava la collina tufacea di Pizzofalcone che si alzava a difesa tanto del palazzo reale che dell’area di Castel dell’Ovo. Su questo versante un tratto di mura – rafforzato da un bastione collocato a S. Lucia – correva a protezione di Pizzofalcone, ancorché questo con la sua altezza difendesse naturalmente l’area retrostante e, di fatto, lo spazio compreso tra Pizzofalcone e Castelnuovo poteva considerarsi una vera cittadella militare assolutamente inespugnabile. Il percorso delle mura girava dunque attorno al Chiatamone e correva lungo la costa di Chiaia per ancora mezzo chilometro fino a ricongiungersi a Porta Romana. Lungo questo percorso si possono individuare almeno otto grandi porte : tre erano collocate sul versante est (Porta del Mercato, Porta Nolana e Porta Capuana), quattro distribuite verso nord (Porta S. Gennaro, Porta S. Maria di Costantinopoli, Porta Reale e Porta Medina), una ad ovest, Porta Romana. Molte fonti segnalano anche il nome di altre porte – Port’Alba, Porta di S. Pietro Martire, Porta della Piscaria, Porta di S. Andrea, Porta del Molo piccolo, Porta del Molo grande, Porta dei Zoccolari, Porta della Marina del vino, Porta del Caputo, Porta del Mercato, Porta del Carmine, Porta della Zabatteria, Porta dei Bottari, Porta dei Tornieri, Porta di Chiaia, Porta dell’olio, Porta della calce, Porta Olivares, Porta delle Mandre, Porta di S. Maria a Parete – alcune delle quali erano antecedenti al xvi secolo ; con l’urbanizzazione massiccia degli spazi a ridosso delle mura, in dispregio a tutte le norme che imponevano una distanza minima di 200 “canne” dalle stesse, è possibile che alcune di queste divenissero dei passaggi aperti ma controllati. 6 Lungo il  

















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  Franco Strazzullo, Edilizia e urbanistica a Napoli dal ’500 al ’700, Napoli, Berisio, 1968, p. 71. Su tale aspetto

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percorso delle mura erano collocate 31 torri terrestri e 5 torri marittime molte delle quali avevano posti di guardia ; esse, più che al controllo del nemico esterno dovevano vigilare i movimenti della massa popolare. Il territorio cittadino poteva essere letto in base a suddivisioni di natura diversa. Sotto il profilo strettamente amministrativo esso era diviso in ottine che fino ai primi anni quaranta del Cinquecento furono 27, cui si aggiunsero due nuove per effetto della ristrutturazione urbanistica del viceré Toledo. Queste ventinove ottine furono ripartite in nove quartieri, i quali furono portati a dieci nel 1640 per passare poi a quindici nel 1667, a dieci nel 1676 e, infine, a quattordici nel 1683. In ogni caso, sarà bene sottolineare che l’unità amministrativa di base rimase sempre l’ottina e non il quartiere ; le numerazioni dei fuochi (di fatto una sorta di censimento demografico svolto a fini fiscali) o la distribuzione del pane a cartella (specie durante le carestie) facevano infatti riferimento sempre alle ottine e non ai quartieri. Il controllo sul territorio dell’ottina era assicurato da un capitano, scelto dal viceré da una lista di sei nomi redatta dall’assemblea dei cittadini capofamiglia residenti in quell’ottina. I 29 capitani delle ottine collaboravano direttamente con l’eletto popolare ed erano coadiuvati dai capodieci, probabilmente da essi stessi nominati : in sostanza, il territorio di ogni ottina era diviso in dieci aree ciascuna delle quali era sorvegliata da un capodieci, una figura non istituzionale ma segnalata spesso dalle fonti ; in questo modo si realizzava, in una città che agli inizi del Seicento aveva una popolazione non inferiore ai 210.000 abitanti, un pervasivo controllo territoriale conseguito attraverso un’osservazione capillare che si giovava certamente dello scambio di informazioni tra controllore (capitano dell’ottina e suoi capodieci) e controllato (i cittadini che per ingraziarsi il proprio capitano fornivano notizie). Sul territorio urbano insisteva poi una seconda divisione che faceva riferimento ai Seggi cittadini (Capuana, Nido, Montagna, Porto e Portauova) che accoglievano le antiche famiglie del patriziato cittadino e del cui ruolo politico si è detto nelle pagine precedenti. Come espressione delle élites aristocratiche essi mantennero sempre un peso politico rilevante, specie dopo il 1642 quando il Parlamento generale del regno, che aveva una cadenza biennale, non venne più convocato e, al suo posto, furono i seggi a deliberare sulla concessione dei donativi (quello ordinario di 1.200.000 ducati, oltre quelli straordinari). I seggi non amministravano direttamente il proprio territorio ma attraverso il Tribunale di San Lorenzo, ovvero per mezzo dell’amministrazione municipale. Al vertice del reggimento cittadino vi era infatti una giunta composta dagli eletti, uno per ciascun seggio aristocratico più un solo eletto per tutta l’area popolare. Non vi era dunque un consiglio cittadino al cui interno sedevano le grandi famiglie aristocratiche, pure presente in molte altre città del regno, e la gestione era dunque assai centralizzata. Per concorrere all’amministrazione cittadina, cioè alla carica di eletto e alla titolarietà degli uffici che assicuravano prestigio e remunerazione economica, bisognava che i nobili fossero ascritti ad uno dei cinque seggi ; quando alla metà del Cinquecento queste strutture di fatto chiusero con poche eccezioni il loro accesso, molte famiglie di indubbia origine aristocratica restarono fuori e, di fatto, non poterono partecipare alle istituzioni del governo municipale. 7 Questo esecutivo del governo cittadino era assistito da una macchina amministrativa molto articolata, una rete di uffici individuali e collegiali : consultori, avvocati, procuratori, segretari, razionali, credenzieri, conservatori, provveditori, tesorieri, ingegnieri, tavolari,  













Leonardo Di Mauro, Le mura inutili. L’aggressione dei napoletani alle mura, in *Le città e le mura, a cura di Cesare De Seta e Jacques Le Goff, Bari-Roma, Laterza, 1989, pp. 256-258. 7   Giovanni Muto, Gestione politica e controllo sociale nella Napoli spagnola, in *Le città capitali, a cura di Cesare De Seta, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 67-94 e 258-261.

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medici, portieri. Accanto a loro, e in posizione sovraelevata, agivano alcune strutture collegiali, le deputazioni, che avevano compiti molto specifici. Alcune erano dette ‘ordinarie’, avevano una identità che si mantenne costante nel tempo con compiti di amministrazione attiva e, in qualche caso, svolgevano anche limitate funzioni giurisdizionali (come, ad esempio il Tribunale della fortificazione, acqua e mattonata) ; altre invece erano create temporaneamente (ma spesso si mantennero attive per decenni) per la risoluzione di emergenze di varia natura. 8 Un apparato amministrativo così grande e complesso si manteneva su un consenso che era il frutto non solo di una calibrata ripartizione dei carichi di governo fra i vari gruppi sociali cittadini, ma anche dei benefici, materiali ed immateriali che esso era in grado di distribuire tra quanti partecipavano ai giochi di potere. È interessante notare che i viceré spagnoli mantennero quasi sempre un atteggiamento di formale distanza dall’amministrazione cittadina. Non mancarono, tuttavia, interventi forti che incisero sui meccanismi del governo urbano della capitale. Il primo si verificò nel 1548 quando il viceré D. Pedro de Toledo impose una nuova procedura per l’elezione dell’eletto popolare che, fino a quel momento, veniva sorteggiato tra i sei candidati che avessero ottenuto più voti dai 58 procuratori delle ottine ; a partire da quell’anno fu invece il viceré a scegliere l’eletto del popolo da una lista dei sei più votati dai procuratori. Un secondo intervento viceregio si verificò nel 1561 quando fu istituito una nuova figura, il grassiere, di esclusiva nomina regia che affiancava gli eletti cittadini nel compito amministrativo più rilevante, quello cioè di provvedere all’approvvigionamento dei cereali di cui necessitava la città. Sotto il profilo logistico i seggi erano delle logge non straordinariamente ampie (una grande sala con annessi piccoli vani, preceduti da un porticato) dove si radunavano le famiglie aristocratiche residenti in quell’area. Una terza divisione del territorio urbano era data dalle circoscrizioni parrocchiali, le cui strutture, oltre a vigilare sui comportamenti religiosi dei fedeli, stendevano occhi e orecchie su quanto accadeva nelle strade e nelle piazze e riferivano con accuratezza alla curia arcivescovile e spesso anche al nunzio, che pure aveva le sue fonti dirette d’informazione. Alla metà del Cinquecento la rete parrocchiale si articolava su 19 parrocchie, di cui 4 erano denominate ‘maggiori’ ; la distribuzione della popolazione tra di esse risultava non equilibrata con parrocchie che risultavano amministrare un numero assai elevato di fedeli ed altre che ne avevano in carico meno della metà. 9 L’aumento della popolazione e l’espansione della città verso i borghi e i luoghi circonvicini alla città imposero l’urgenza di una riorganizzazione delle circoscrizioni parrocchiali, che entrò in vigore il 13 febbraio 1597. Vennero conservate le 4 parrocchie maggiori, quelle minori furono accorpate nel numero di 10 e se ne crearono altre 23 nuove, oltre le tre parrocchie per i residenti forestieri : S. Giovanni dei Fiorentini, S. Giorgio dei Genovesi e S. Pietro e Paolo dei Greci ; successivamente nelle aree dei borghi furono create altre tre parrocchie. 10 A questa presenza ecclesiastica già così pervasiva, occorre aggiungere quella non meno penetrante degli ordini regolari. Il Bacco segnala nell’edizione del 1629 11 ben 117 monasteri, di cui 95 maschili con 5354 monaci e 22 femminili con 2725 monache ; una popolazione monastica – 8079 unità – che, unita al clero regolare, non aveva paragoni in termini assoluti con quella di altre città italiane ma che, a quella data, rappresentava all’incirca il 3% di tutta la popolazione della capitale napoletana, una percentuale tuttavia più bassa di quella di  



















8   Bartolomeo Capasso, Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella seziona antica o prima serie dell’Archivio Municipale di Napoli (1387-1806), Napoli, R. Tipografia Francesco Giannini e figli, 1899, pp. 141-152. 9   Franco Strazzullo, Edilizia, cit., pp. 137-153. 10 11   Ivi, p. 163.   E. Bacco, Nuova Descrittione, cit., p. 77.

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Roma, Milano e tante altre città italiane. 12 La penetrante presenza dell’organizzazione ecclesiastica a Napoli veniva in qualche modo temperata da una vivace rete di confraternite laicali legate al mondo delle arti e delle libere professioni, spesso allocate con una propria cappella all’interno di una chiesa ; le arti più importanti avevano poi una propria chiesa dove esse si riunivano per deliberare sulle riforme degli statuti e su tutto quanto toccava alla vita corporativa, nonché per assegnare ogni anno un numero piuttosto elevato di doti di maritaggio a giovani donne figlie degli iscritti alle corporazioni. Di importanza ancora maggiore era la presenza di strutture assistenziali, anch’esse ispirate da una devozione religiosa ma gestite da laici del ceto civile : 11 conservatori per donne, 10 per orfane e donne vergini, 1 per anziani, 12 ospedali e ‘luoghi pii’ di varia natura. Una caratteristica peculiare del mondo religioso napoletano era infine la presenza di mastrie, ovvero da associazioni laicali autonome dalla curia che gestivano numerose chiese per le quali sceglievano esse stesse i sacerdoti che officiavano i sacramenti, nonchè diaconi, chierici e sacrestani per tutto quanto occorreva per la gestione di queste ; confraternite e mastrie si autogestivano autonomamente e facevano fronte molto efficacemente alle richieste della curia arcivescovile di controllare la loro gestione economica. Questo è dunque il contesto politico e sociale nel quale matura l’esperienza di Della Porta che certamente prende nota di quanto accade nella città capitale e misura con cautela le modalità con cui relazionarsi alla congiuntura politica e culturale attraversata dalla città capitale. Nella congiuntura politica dagli anni trenta agli anni sessanta del Cinquecento, la famiglia Della Porta non appare coinvolta in episodi di particolare rilievo politico, salvo che nel 1551 quando Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, venne accusato di lesa maestà e costretto a fuggire fuori dal regno per sottrarsi ad una sicura condanna alla pena capitale. In questa occasione, Nardo Antonio, padre di Giovan Battista, avrebbe perso l’ufficio di “scrivano di mandamento” perché sospettato di parteggiare per il Sanseverino. In realtà, queste vicende politiche toccarono solo marginalmente i Della Porta il cui patrimonio, in particolare quelli dei due fratelli Giovan Vincenzo e Giovan Battista, non furono affatto sottoposti a speciali misure conservative, né fu loro contestato alcun capo d’imputazione. I guai a Giambattista vennero invece – come del resto è noto – dal Santo Uffizio romano tra il 1577 e il 1579 e poi ancora tra il 1592 e il 1600 ma il nostro riuscì sempre a mantenere un profilo basso, giovandosi anche di buone amicizie e di alte protezioni curiali, come quella del cardinal Luigi d’Este. Anche il fratello Giovan Vincenzo sarebbe stato titolare di un ufficio di “scrivano di mandamento”, mentre lo zio materno, fratello della madre, Adriano Spatafora, il più affermato collezionista antiquario napoletano, sarebbe stato “conservatore dei Quinternioni” della Camera della Sommaria nel 1536 ; un Pietro Paolo Della Porta compare come esaminatore delle cause del Sacro Regio Consiglio nel 1618 ma niente assicura della parentela con i nostri. Una famiglia, dunque, che non appare impegnata in incarichi di particolare prestigio e lo stesso ufficio di scrivano di mandamento non garantisce né potere né una alta remunerazione economica. Certamente però, i Della Porta mantennero nel corso del tempo uno stile di vita altamente dignitoso ed una posizione economicamente agiata, frutto evidente di oculati investimenti fatti dalle precedenti generazioni e testimoniati da proprietà immobiliari solide e da rendite finanziarie sul debito pubblico cittadino. 13 A  











12   Karl Julius Beloch, Storia della popolazione d’Italia, Berlin-Leipzig, 1937-1961, nella tr. it. di Marco Nardi, introduzione di Lorenzo Del Panta e Eugenio Sonnino, Firenze, Le Lettere, 1994, p. 54. 13   Giorgio Fulco, Per il «Museo» dei fratelli Della Porta, in *Rinascimento meridionale e altri studi in onore di Mario Santoro, a cura di Maria Cristina Cafisse, Francesco D’Episcopo, Vincenzo Dolla, Tonia Fiorino, Lucia Miele, Napoli, sen, 1987. Estratto pp. 3-73, p. 27.

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completare l’identità familiare resta il dubbio sulla nobiltà dei Della Porta riproposta in più momenti : questione aperta ma che non trova conforto nelle residue fonti manoscritte e neppure in quelle a stampa ; la letteratura coeva – da Mazzella 14 a Beltrano a Bacco – che segnala tanto le famiglie ascritte ai seggi, nonché quelle ‘estinte’, non registra il lignaggio. Naturalmente, niente esclude che una più estesa indagine sui casati dei seggi patrizi della penisola sorrentina possa restituire indizi più affidabili. Anche nell’ipotesi di una loro appartenenza all’area del ‘popolo civile’ – quel ceto medio che nelle sue molteplici forme è fortemente radicato nella capitale partenopea – è singolare tuttavia che essi non lascino traccia alcuna come attori o comprimari di eventi particolarmente significativi, dalla rivolta del 1585 alle ambascerie spedite a corte, assenti tanto nell’organigramma delle cariche municipali che in quelle del governo dei banchi dei luoghi pii o degli ospedali o dei conservatori cittadini. Questo profilo politicamente basso della famiglia Della Porta sembra quasi che venga perseguito dai suoi componenti con caparbietà e non senza risultati : tanto nelle cronache cittadine che nella storiografia coeva i loro nomi sono del tutto assenti ; in buona sostanza, appare del tutto verosimile l’ipotesi di una pacifica convivenza con l’apparato del governo vicereale napoletano. Questa collocazione non impedirà ai due fratelli di mantenere contatti con diversi intellettuali della capitale, alcuni dei quali, come Colantonio Stigliola, Ferrante Imperato e Giulio Cesare Cortese, erano a diverso titolo collocati ed operativi sulla scena pubblica cittadina. Tuttavia, gli ambienti della cultura politica a cui questi ed altri nomi di parte popolare rimandavano (Ferrante Imperato e Giovan Antonio Summonte) sembrano comunque restare formalmente estranei a Giambattista Della Porta ; insensibile del resto anche alle sollecitazioni di altro segno, come quelle di Giovan Antonio Palazzo, Vincenzo Gramigna, Giovan Francesco de Ponte, Giulio Antonio Brancalasso, autori che si muovono sullo sfondo della cultura politica napoletana nel primo decennio del xvii secolo. 15 Insomma, senza voler pensare ad esercizi di dissimulazione più o meno oneste, è come se i due fratelli operassero una scissione tra pratiche della cultura scientifico-letteraria e scelte di campo politico. Ma le reti di relazioni di Giovan Battista possono essere comprese meglio attraverso il suo “doppio”, il fratello Giovan Vincenzo – messo a fuoco in un saggio importante di Giorgio Fulco – personaggio dagli interessi diversi ma complementari con il più famoso fratello e dotato probabilmente di un maggior tasso di sociabilità, come provano le sue corrispondenze. In una lettera di Bonifacio Vannozzi a Giovan Vincenzo degli anni ottanta, il primo allude alla casa dei Della Porta come « un pubblico ricettacolo de’virtuosi, et un vero Pancratio di letterati, et alla barba de Magnati, si veggiono d’ordinario, più cocchi, et più Cavalli gualdruppati alla porta di V.S. che ne gli Atrij spaciosi di coloro che hanno alzato gl’Idoli a Mammona ». 16 Un ambiente che più di una accademia segnala un cenacolo di cultura scientifica e collezionismo antiquario, frequentato da nobili, come Matteo di Capua o Ettore Pignatelli, e da togati, come evidenzia la testimonianza riportata da Giorgio Fulco, sempre per casa Della Porta : « li reggenti – racconta il Longo – venivano a casa sua e particolarmente il Reggente Marthos, veniva tre o quattro volte la settimana ». 17 Forse, informazioni e dati di qualche utilità potrebbero giungere anche dai  























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  Scipione Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli, G. B. Cappello, 1586.   Resta tuttavia da sciogliere il mistero di un testo manoscritto, ovvero di una copia ms. conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli che nell’inventario se segnala come trascritta da G. B. Della Porta. Trattasi del Principe di Scipione di Castro, testo che fu edito come prima parte del Tesoro Politico nel 1589. G. Fulco, Per il «Museo», cit., nota 73, p. 61. 16 17   Ivi, p. 35.   Ibidem. 15

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collegamenti che il nostro autore intratteneva fuori dell’ambiente napoletano. Ripercorrendo il suo itinerario biografico, è difficile immaginare che i suoi rapporti con il cardinale Flavio Orsini nel 1578 e poi con il cardinale Luigi d’Este, con il quale viaggiò a Venezia nel 1580 e a Ferrara nel 1581, non abbiano lasciato tracce documentarie ; altrettanto può dirsi dei rapporti che nel 1593 intrattenne con Ettore Pignatelli duca di Monteleone, con Matteo di Capua principe di Conca o con Vincenzo Luigi Carafa principe di Stigliano. Troppo spesso si è insistito sulla singolarità della figura di Giovan Battista e ancor più sul profilo di una personalità che con difficoltà si apriva al dialogo e al confronto con gli altri ; a creare questa immagine possono aver contribuito le vicende dell’ultimo decennio di vita ed in particolare i suoi rapporti complicati con la costituenda colonia lincea napoletana. Ma un conto sono i problemi relativi ad una sociabilità accademica che l’uomo Della Porta aveva difficoltà a gestire, altro è invece la dimensione intellettuale nella quale lo scienziato misura affinità e differenze con proposte diverse dalla sua. Ma è possible immaginare che il De humana physiognomonia non abbia tratto elementi di confronto non solo dalla tradizione classica ma anche dall’attenzione che a metà Cinquecento si registrava verso il mondo animale ? Anche senza pensare all’illustrazione zoologica di Pierre Belon o di Guillaume Rondelet, non potevano essergli sfuggiti i ricchi materiali iconografici di Ippolito Salviani, stampati tra il 1557-1558, la Historia animalium di Conrad Gesner edita nel 1558 e non poteva non essere a conoscenza degli studi che andava conducendo Simone Porzio, tornato a Napoli da Pisa nel 1552, sul De Piscibus. 18 A Napoli questa sensibilità verso il mondo animale si manifesta in una produzione di testi rivolti, ad esempio, verso il mondo equestre ma con una piega rivolta non tanto al profilo strettamente scientifico quanto a quello di un “sapere utile e dilettevole”. Nel 1550 viene edito nella capitale il volume Gli ordini del cavalcare di Federico Grisone, patrizio napoletano, un testo che privilegia fortemente l’esperienza pratica ed adotta tuttavia un linguaggio strettamente tecnico ; il discorso si sviluppa tra ciò che bisogna conoscere sui cavalli, cominciando dalle differenti razze, l’addestramento dell’animale, ispirato ad una disciplina unitaria che suggerisce un controllo del cavallo perseguito con le maniere forti ; il morso, le briglie, lo sperone, la bacchetta e persino la voce diventano strumenti da adoperare senza parsimonia verso il cavallo che di per sé è ostile alla disciplina. Due anni dopo venne edito il volume Il sapere utile e dilettevole di Costantino Castriota, un altro nobile dedito alla letteratura cavalleresca che, sulla scia del Grisone, sottolinea l’esigenza di una pedagogia equestre rivolta tanto al cavallo che al cavaliere. Altrettanto decisivo nel fissare l’immagine cavalleresca della nobiltà napoletana fu il volume di Giovanbattista Ferraro, Delle razze. Disciplina del Cavalcare …, edito a Napoli nel 1560. Nei quattro tomi dell’opera vengono illustrati la natura dei cavalli, gli incroci, i mantelli, l’addestramento in maneggio, gli alimenti, le malattie degli animali e i loro rimedi ; viene in tal modo configurandosi una scienza veterinaria dalle basi assai più solide degli antichi rimedi della tradizione medievale. È interessante notare che il confronto tra questi autori cominciava ad essere piuttosto vivace, specie in ordine al modo con cui doveva essere addestrato il cavallo. A fronte degli autori precedenti che sostenevano un approccio piuttosto duro verso l’animale, vi erano coloro che preferivano metodi più soft. Un esempio di questo tipo è dato dal libro La gloria del cavallo di Pasquale Caracciolo stampato a Napoli nel 1566. L’autore, anch’egli un patrizio napoletano, disegna un percorso pedagogico che sviluppa il tema dell’ammae 













18   Si veda il saggio di Franco Minonzio, Diffrazioni pliniane prima di Belon (1553) : descrizione e classificazione di pesci in Giovio, Francesco Massari e Simone Porzio, in *Scienza antica in età moderna. Teoria e immagini, a cura di Vanna Maraglino, Bari, Cacucci, 2012, p. 417 sgg. Minonzio ricorda che in un passo della Magia Naturalis Della Porta scrive che nella sua gioventù aveva risolto un dubbio ittiologico ricorrendo al Porzio. Ivi, p. 435.  

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stramento dell’animale con un approccio più coinvolgente e che eviti per quanto possibile l’uso della forza. In parallelo, però, il discorso pedagogico si indirizza anche ai giovani cavalieri che come ceto sociale privilegiato devono acquisire il controllo dei comportamenti e, tra questi, anche l’arte di dominare le situazioni di ribellione o di resistenza al comando, esattamente come quelle che si presentano a volte nelle reazioni del cavallo ; è del tutto evidente che l’avvertimento dell’autore ha un sapore metaforico, nel senso che viene proposta un’analogia cavallo-popolo : saper dominare il comportamento bizzarro e selvaggio dell’animale abilita l’uomo al controllo del popolo, considerato un animale sociale da tenere a freno. Nel 1602 viene edito un testo di pregevole fattura : Cavallo frenato, di Pirro Antonio Ferraro, cavallerizzo maggiore di Filippo II nel regno napoletano e figlio di Giovanbattista. Le prime due parti di quest’opera riprendono e sviluppano i temi del testo paterno ; più ricca di nuovi spunti è invece la parte relativa all’organizzazione della cavallerizza, che in qualche modo può definirsi l’unità produttiva dell’azienda equestre. Mi piace sottolineare come tutti questi testi siano accompagnati da una ricca iconografia sugli animali che tende a rafforzare l’efficacia del discorso e costituisce certamente un’esperienza visuale decisiva per la riflessione dellaportiana. Anche gli sviluppi dell’arte medica devono essere stati a conoscenza del Della Porta. Non va certo sottovalutata la presenza a Napoli di Filippo Ingrassia che tiene lezioni nello studio napoletano tra il 1544 e il 1554. Qui si succederanno nelle stesse funzioni di lettori di medicina Paolo Tucca, Giovanni Antonio Bozzavotra, Giovan Antonio Pisano. Molti accentuano i profili pratici della disciplina e l’esperienza terapeutica : il bolognese Leonardo Fioravanti, Donato Antonio Altomare, Marino Spinelli. 19 Anche gli studi di naturalistici e botanici registrano nuovi impulsi e attirano cultori attenti ; decisiva in questo campo sembra essere stata la presenza a Napoli di Giovan Vincenzo Pinelli nato e vissuto a Napoli fino al 1558 quando si trasferì a Padova. 20 Anche in questo campo, è difficile immaginare che Giovan Battista Della Porta non conoscesse le opere di Otto Brunfels e Leonhart Fuchs edite tra il 1530 e il 1542. A Napoli, inoltre, gli interessi botanici e naturalistici avevano trovato un riferimento sicuro in Bartolomeo Maranta, amico e corrispondente di Ulisse Aldrovandi e poi in Giovan Vincenzo Pinelli, autore anche di un Novum Herbariun edito a Venezia nel 1571. La figura del Pinelli – nato a Napoli nel 1535 da una famiglia di origini genovesi e attivo in città fino al 1558 – è a metà Cinquecento il punto di aggregazione più forte del circolo dei naturalisti napoletani, specie perché sarà il primo a costruire un orto botanico privato. Sul modello pinelliano si sviluppò l’esperienza di Ferrante Imperato nella cui figura si salda anche una straordinaria carriera di impegni pubblici come rappresentante del seggio del Popolo nella città capitale. 21 La bottega di speziale a S. Chiara, e la sua stessa casa con il giardino pensile, furono il centro di incontri e di scambi, anche per la fortuna e la fama che ebbe il suo “museo” – rappresentato in un celebre disegno della Historia naturale, edita a Napoli nel 1599 – ed ascritto di norma al genere delle wunderkammer. 22 Negli anni finali della sua vita il Della Porta fu coinvolto nelle vicende tanto della co 



















19   Maria Conforti, Girolamo Seriprando e Donato Antonio Altomare : note sulla medicina a Napoli a metà Cinquecento, in *Pomeriggi rinascimentali, a cura di Marco Santoro, Pisa-Roma, Serra, 2008, p. 13. 20   Su Giovan Vincenzo Pinelli v. Angela Nuovo, Filosofia e scienze nelle biblioteche del Cinquecento: una prospettiva pinelliana, in *Biblioteche filosofiche private in età moderna e contemporanea, a cura di Francesca Maria Crasta, Firenze, Le Lettere, 2010, pp. 66-79. Il Pinelli conservava nella sua biblioteca nove edizioni di Della Porta. 21  La biografia di Ferrante è ripercorsa in un lavoro recente di Enrica Stendardo, Ferrante Imperato. Collezionismo e studio della natura a Napoli tra Cinque e Seicento, Napoli, Quaderni dell’Accademia Pontaniana, 2001. 22   Lorraine Daston, Katharine Park, Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, Roma, Carocci, 2000; Adalgisa Lugli, Naturalia et Mirabilia: il collezionismo enciclopedico delle Wunderkammern d’Europa, Milano, Mazzotta, 1983.  

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lonia lincea napoletana che in quelle dell’Accademia degli Oziosi. Quanto alla prima il carteggio linceo curato da Giuseppe Gabrieli testimonia le difficoltà e le ambiguità dell’adesione del Della Porta. In ogni caso, ciò che fu determinante sulle vicende accademiche della colonia lincea napoletana fu il disegno politico del viceré D. Pedro Fernandez de Castro – VII conte di Lemos e viceré a Napoli tra il 1610 e il 1616 – di coinvolgere le élites culturali napoletane in una diversa struttura accademica strettamente legata alla corte vicereale : l’Accademia degli Oziosi costituita nella città capitale il 3 maggio 1611. Per comprendere il senso dell’operazione occorre però distinguere tra coloro che furono chiamati nell’accademia negli anni del Lemos, ovvero fino al 1616, e quelli che saranno accolti successivamente, dopo cioè la partenza del viceré. La cifra culturale di questa operazione è tutta nel tentativo di controllare i percorsi culturali cittadini, indicando un modello accademico fortemente formalizzato, i cui contenuti dovevano svolgersi in ambiti definiti che non incrociassero temi e problemi di natura religiosa o politica. Questa indicazione è sottolineata con forza in una delle regole dell’Accademia a proposito delle lezioni da farsi nelle adunanze « vietando che non si debba leggere alcuna materia di Teologia o della Sacra Scrittura, delle quali per riverenza dobbiamo astenerci ; e medesimamente niuna delle cose appartenenti al pubblico governo, i quali si deve lasciare alla cura dei Principi che ne reggono ». 23 In questo senso, dunque, la fondazione degli Oziosi è – sia pure su un piano diverso – del tutto in linea con la riforma dell’Università napoletana attuata dallo stesso Lemos nel 1614 sul modello dello studium di Salamanca, proponendosi entrambe queste operazioni di ricostituire un equilibrio politico in grado di assicurare le esigenze del controllo vicereale sulle aspirazioni di visibilità tanto dei gruppi aristocratici napoletani che di figure dell’apparato ministeriale. La produzione degli accademici oziosi, chiusa in un circuito sostanzialmente letterario, favoriva la subalternità, o quanto meno scoraggiava la possibilità di percorrere vie diverse in autonomia ; l’accademia non si negò a funzionare come canale di organizzazione di eventi pubblici : funerali della famiglia reale, feste sacre e quant’altro si rivolgesse ad esaltare in forme di sostanziale propaganda il potere politico. In questa prospettiva, la figura del letterato può essere letta come « un ibrido socio-professionale alla ricerca di stabili contatti che si muoveva tra esercizio umanistico ed abilità a procacciarsi titoli, uffici, cariche amministrative o politiche ». 24 Questo progetto di ricomposizione culturale ispirato ad una quiete pacificatrice avrebbe penalizzato, di fatto quelle aree che esprimevano identità diverse da quella degli Oziosi. Da un lato la concorrente Accademia dei Sileni, 25 costituita nella prima metà del 1612 per iniziativa di un gruppo di aristocratici ed attiva, sia pure sotto tono fino al 1617 ; dall’altro gli stessi lincei napoletani che si muovono con difficoltà, come testimonia il carteggio interno di quegli anni. Nell’aprile del 1613 il Cesi scrive al viceré conte di Lemos raccomandandogli gli « studiosi Lincei, alcuni de’ quali si trovano costì in Napoli, desiderano e sono hora per prenderci casa, per poter in essa attender a suoi studi e virtuose fatiche con ogni quiete » ; 26 molto abilmente  



























   

23   B. N. Napoli, Branc. V.D.14, cc. 127r-134r, Regole dell’Academia degli otiosi. Cito da Girolamo De Miranda, Una quiete operosa. Forme e pratiche dell’Accademia napoletana degli Oziosi, 1611-1645, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, 2000 che le ripropone in appendice, p. 337. Sugli Oziosi napoletani rimando a Vittor Ivo Comparato, Società civile e società letteraria nel primo Seicento : l’Accademia degli Oziosi, « Quaderni Storici », 23 (1973), pp. 359-388. 24   Lorenza Gianfrancesco, Accademie, scienze e celebrazioni a Napoli nel primo Seicento, « Symbolon », v (2010), p. 178. 25   G. De Miranda, Una quiete operosa, cit., p. 97. 26   La lettera, già edita nel 1938, è ora nell’edizione curata da Giuseppe Gabrieli, Il carteggio Linceo, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1996, pp. 341-342.  









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il Cesi, a modo di rassicurazione, accostava la « quiete » operosa dei lincei napoletani alla « non pigra quies » che sormontava l’impresa scelta dagli Oziosi napoletani. Il ruolo di Della Porta in queste vicende lincee non appare sempre lineare ed il carteggio curato dal Gabrieli evidenzia i dubbi ed una adesione non del tutto convinta, se non qualche forma di distanziamento ; di tutto ciò possono essere prove eloquenti la mancata donazione o vendita della sua biblioteca, l’incapacità di favorire o di attivarsi concretamente per una sede stabile per la colonia lincea napoletana, il coinvolgimento del nipote nel consesso accademico, personaggio culturalmente assai modesto. Anche questi ultimi passaggi della sua vita non sono contraddittori della figura di Giovan Battista Della Porta e ne sottolineano una volta di più la personalità problematica che merita ancora oggi di essere indagata negli aspetti meno conosciuti della sua complessa biografia.  









LA FORTUNA STORIOGRAFICA DI DELLA PORTA Maurizio Torrini

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un dato ricorrente per chi fa storia, e non solo della filosofia e della scienza, quello di trarre da un particolare, da un dettaglio, la spia o il sintomo di un più complesso e universale significato, ancor prima che Aby Warburg additasse in questo atteggiamento la possibilità di cogliere addirittura Dio, o se altri preferisce, il diavolo. E a questo vezzo, o privilegio, non intendo sottrarmi in quest’occasione. Chi apra la grande, in ogni senso, e paludata Storia della filosofia che sotto la guida di Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano per l’editore Laterza metteva insieme sul finire del secolo scorso il meglio della storiografia filosofica italiana, invano vi cercherebbe, nelle 800 pagine in ottavo grande del volume Dal Quattrocento al Seicento, il nome del Nostro. Insistendo, lo troverebbe un’unica volta ricordato da Maurizio Mamiani all’avvio del volume quarto, Il Settecento, parlando della “Struttura dell’universo : particelle, forze e spiriti”, quando a proposito della “crisi dell’aristotelismo” si leggeva che la « rivalutazione della magia naturale si incrociava con una tradizione più pratica, diretta a ottenere effetti meravigliosi mediante congegni fisico-meccanici o illusioni ottiche, come nel caso del napoletano Giovanni Battista Della Porta, che pubblicò nel 1558 una fortunata opera di magia naturale ». 1 Fine. Pure trent’anni prima quell’autore lì negletto era stato al centro della discussione del 1° convegno internazionale di ricognizione delle fonti per la storia della scienza, tenuto nella pisana Domus Galilaeana. Sulla relazione, Natural History, di Marie Boas si ruppe l’atmosfera un po’ notarile che sembrava permeare quell’incontro : Della Porta, a detta della studiosa americana, non aveva solo assemblato una serie di stravaganti fenomeni, per così dire, naturali, ma aveva cercato di mostrare come potessero realmente verificarsi, sottoponendoli a un controllo che adombrava quello sperimentale. 2 La Boas compendiava lì quanto aveva scritto in un suo fortunato saggio, tradotto poi anche in Italia, Il rinascimento scientifico (1450-1630). 3 Per Vasco Ronchi, venerando e pugnace studioso di ottica e storico della medesima, Della Porta non era una persona seria, non aveva fatto personalmente le esperienze che descriveva, le quali comunque erano ancora meno serie del suo presunto autore, la loro retrocessione da operazioni magiche a naturali era solo uno stratagemma per sfuggire alle accuse di magia. 4 Sull’intervento di Ronchi si scatenò la discussione che superò le pagine impiegate dalla Boas nella sua relazione e che vide gli interventi anche  















1   Maurizio Mamiani, La struttura dell’universo : particelle, forze e spiriti, in *Storia della filosofia, a cura di Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, vol. ix, Il Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 3. 2   Marie Boas Hall, Natural History, in *Atti del primo Convegno internazionale di ricognizione delle fonti per la storia della scienza italiana : i secoli xiv-xvi, a cura di Carlo Maccagni, Firenze, Barbèra, 1967, p. 222. 3   Marie Boas hall, Il Rinascimento scientifico 1450-1630, Milano, Feltrinelli, 1973 [l’edizione originale inglese era del 1962], pp. 158-160. 4   Atti del primo Convegno internazionale di ricognizione delle fonti …, cit., p. 234. Ronchi si era già occupato di Della Porta nella « Revue d’histoire des sciences », vii (1954), 1, pp. 34-39 con il saggio Du De refractione au De telescopio. Inutile, scriveva, cercarci le tappe del progresso scientifico dell’ottica moderna : il De telescopio è solo un ammasso di idee senza collegamento, di ragionamenti assurdi e inconcludenti. E d’altra parte scrivere un libro serio era un compito superiore alle sue forze. Il saggio era ripresentato da Ronchi nel 1962 come introduzione a Giovan Battista Della Porta, De telescopio, con introduzione di Vasco Ronchi e Maria Amalia Naldoni, Firenze, Olschki, 1962.  









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aspri di Carlo Maccagni, Mario Gliozzi, Paolo Rossi, Luigi Firpo, Eugenio Garin. Toccava a questi, che avrebbe poi tenuta la conclusiva relazione di sintesi, ricordare che non possono applicarsi ai secoli da noi studiati i parametri contemporanei : ciò che a un lettore di tempi diversi suona assurda superstizione, riletto nel suo contesto ritrova un proprio valore. E viceversa, pagine che, prese per sé, possono apparire singolarmente attuali, nacquero in origine indissolubilmente saldate a pratiche magiche, in cui si conservano relitti straordinariamente arcaici. […] Un taglio netto fra serietà e ciarlataneria, fra scienza e superstizione, non solo sarebbe antistorico : è impossibile. Tentarlo significa precludersi ogni comprensione, non solo della cultura di quei secoli, ma anche della genesi della scienza moderna. 5  





I due episodi, i dettagli – anche Vasco Ronchi dichiarava di voler partire da un dettaglio per risalire a una questione fondamentale 6 – e per i quali non varrebbe invocare neppure il trascorrere del tempo, evocano evidentemente due modi d’intendere l’ufficio dello storico, anche quando questo si applichi a una sola disciplina, sia essa la filosofia o la scienza, o qualsivoglia altra. Il cui compito rimane pur sempre e innanzitutto quello di capire. Compito difficile che richiederebbe non più una storia verticale, cronologica e gerarchica, nella quale la tentazione genetica del progresso dell’intero percorso o di una o più discipline diviene irresistibile, ma piuttosto esigerebbe una storia orizzontale, che evidenzi non solo la complementarietà (che non è solo del ’500 e del ’600) dei campi disciplinari, in seguito resi autonomi e talora lontani, ma che riesca a far emergere l’intreccio di errori e di verità nuove, la rinascita dell’antico e il retaggio del presente, di effimere mode e di durature presenze, quale sta spesso al fondo oscuro di ciò che vorremmo e qualche volta crediamo di vedere chiaro. Condotto innanzi al tribunale della filosofia perenne o della nostra scienza, Della Porta non poteva che esser condannato alla noncuranza, all’esclusione. E così era stato fin dall’inizio della storiografia filosofica, quando cioè l’oggetto della trattazione diveniva il soggetto della medesima, mettendo finalmente in ordine parentele e affinità, collocazioni e posizioni. Come 250 anni dopo, il Nostro era rimasto fuori dalla grande Historia critica del Brucker, 7 gli erano state riservate appena 7 righe in nota al paragrafo x (Philosophia occulta Agrippae) del iv capitolo : De restauratoribus philosophiae pythagoreo-platonicocabbalisticae. Tutt’altra storia rispetto alla considerazione dell’abate Matteo Barbieri che nell’ultimo quarto del medesimo secolo lo considerava, non solo sufficiente da solo « a formare l’elogio delle nostre contrade ed a mostrar ai stranieri quali fecondi ingegni sa produrre il suolo nostro », ma addirittura in grado di « penetrare », col « suo acume », « nella più sublime geometria, nella fisica e nella filosofia tutta ». 8 Mossosi da questo giudizio, non stupisce che il Barbieri si sentisse autorizzato a dedicargli ben 12 pagine delle sue Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli contro, tanto per dare le proporzioni, le due pagine dedicate a Telesio, le cinque a Campanella, le sei a Bruno, la smilza paginetta offerta a Vico. Per Barbieri, il cui libro (1778) può davvero considerarsi l’estremo limite della straordinaria fortuna del nostro, Della Porta è davvero all’origine di tutto il sapere : nella Magia naturale « diede uno sbozzo di tutte le parti della fisica sperimentale », 9 dall’agricoltura all’economia, la metallografia, la chimica, la medicina, la statica, l’ottica, la fisiologia dell’occhio, il telescopio. Anche laddove, come nel De aeris transmutationibus,  































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  Atti del primo Convegno internazionale di ricognizione delle fonti …, cit., p. 238.   Ivi, p. 233 : « Je commence par un détail, et puis j’espere ne pas oublier d’arriver à la question fondamentale ». 7   Jacob Brucker, Historia critica philosophiae a mundi incunabulis ad nostram usque aetatem deducta, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. Breitkopf, t. iv, 1743, p. i, p. 408. 8   Matteo Barbieri, Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli, Napoli, presso Vincenzio 9 Mazzola-Vocola, 1778, p. 99.   Ibidem. 6







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le sue indagini sull’origine dei venti non approdarono all’esito di trovarne una soddisfacente teoria, l’abate Barbieri ci consola osservando che « questa stessa teoria a noi oggi manca ancora ». 10 Ma non c’è da scoraggiarsi, perché d’altra parte la sua teoria delle maree e le « posteriori osservazioni » resero « il gran Neutone l’esatto misuratore delle forze del sole e della luna a muovere il mare ». 11 Ma anche nell’ottica « cominciò prima a maneggiare quei prismi per esaminare la refrazione dei raggi, i quali poi tra le mani del savio inglese produssero una scienza ». 12 Non insisto : nella confortante visione dell’illuministico abate, « Porta corresse Herone, e Porta vien corretto dai moderni ; tale appunto è la sorte dell’umane cose ». 13 Un secolo dopo è tutt’altra musica. « Di correr dietro ai sogni, alle larve » lo accuserà nel 1872 Giuseppe Campori, nel presentare una memoria sui suoi rapporti col cardinale Luigi d’Este : « le fallacie dell’alchimia e dell’astronomia, la smania di accattarsi riputazione coll’annunciare meraviglie senza fondamento, distolsero il Della Porta dalla retta via a cui la molta dottrina lo indirizzava, e lo indussero, anziché a combattere con gli errori volgari, a confermarli e ad aggiungerne in buon dato, non meno grossolani e incredibili di quelli che già esistevano ». 14 Così Francesco Fiorentino, che al nostro dedicò non poche pagine, ma soprattutto uno dei suoi ritratti, come suggerì di chiamarli Gentile, della Rinascenza, poteva, nel 1880, annunziare che « a pochi uomini è toccato di aver tanta fama viventi, quanta ne ottenne Giovambattista Della Porta napoletano ; ma di nessuno forse i posteri si sono dimenticati così presto come di lui ». 15 Perché una volta affermato che la « sua gloria durò fintanto che alla curiosità pe’ secreti non tenne dietro l’amore per le dimostrazioni piane della scienza », essa « durò quindi poco, perché di lui fu contemporaneo il Galilei ». 16 Ciononostante il Fiorentino se lo ritrovava ai primordi, ai margini, nei dintorni magari, di quella scienza. Così avveniva per il canocchiale, « nelle cui vicende il giudizio di Galileo poté non essere del tutto scevro da una certa gelosia », 17 commentava Fiorentino, ricordando, da grande storico qual’era, la classifica stilata da Giovanni Faber e premessa al Saggiatore : primo il Porta, secondo il germano, terzo Galileo. Ma così avveniva pure per l’idea della manipolazione artificiosa della natura, quando « Francesco Bacone […] non fa se non che ripigliare l’impresa del filosofo napoletano ». 18 Così per l’Accademia dei Lincei, così per l’« ardore della ricerca » che lo avvicina e, anzi, lo fa maestro dell’Aldrovandi. 19 E ancora è Della Porta che, rivendicando « alla scienza l’effettuazione di alcune opere portentose, aiutava la causa dell’umanità e metteva un freno alla superstiziosa persecuzione di delitti immaginari ». 20 Nelle Villae – ce lo dice ancora il Fiorentino – « oltre alle utili notizie intorno all’agricoltura di quei tempi », si deve invitare i filologi a « far capitale » delle « origini di alcune voci dialettali per indicare o piante, o erbe, o frutti ». 21 Nel De refractione si sforza di « congiungere alle ricerche naturali le dottrine matematiche », un tentativo che per il Fiorentino « rinverga col metodo galileiano e che dimostra l’ingegno perspicace del Porta, che sa camminare col tempo ». 22 Con i tre libri degli Spiritali si poneva per primo sul cam 















































































































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11   Ivi, p. 103.   Ivi, p. 105. 13   Ivi, p. 108.   Ibidem. 14   Giuseppe Campori, Gio. Battista Della Porta e il cardinale Luigi D’Este : notizie e documenti, « Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi », vol. vi, 1872, p. 3. Il Fiorentino nel Bernardino Telesio (v. più avanti) non si accorse di questa pubblicazione e darà in appendice le lettere al cardinale. 15   Francesco Fiorentino, Studi e ritratti della Rinascenza, Bari, Laterza, 1911, p. 235, ma il testo era apparso sulla « Nuova antologia » nel maggio del 1880. 16 17   Ivi, pp. 235-236.   Ivi, p. 261. 18 19   Ivi, p. 242.   Ivi, p. 245. 20 21   Ivi, pp. 259-260.   Ivi, p. 266. 22   Ivi, p. 267. 12











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mino che avrebbe condotto alla scoperta dell’elasticità del vapore e via via, precorrendo o scoprendo, dalle maree alla camera oscura. Già in precedenza, nel 1874, nel suo Bernardino Telesio il Fiorentino aveva affrontato il caso di Della Porta, considerato un punto intermedio tra il pensiero di Bruno e il « passaggio » alla filosofia di Tommaso Campanella, per « avere la dottrina del Porta preceduto e determinato » quella dello stilese. 23 Meno prudente, di sei anni più tardi, il Fiorentino appariva lì affascinato dai « semi di gran novità » contenuti in quel « romanzo » – la definizione era di Guglielmo Libri – rappresentato dalla seconda Magia. Tra cui – e il Fiorentino vi dedicava qualche attenta riga – la « trasformazione delle specie », raccomandandone l’attenzione a « qualche darwiniano, che si occupi di allevamenti e accomodamenti, e che volesse ritessere la storia di questa dottrina ; non parendomi che in quest’ultima divinazione del Porta, a quel che io mi sappia, altri abbia fin qui fatta menzione ». 24 Partito dall’assunto di svelare una ‘fama usurpata’, il Fiorentino finiva per farne un precursore nei più svariati campi di ciò che chiamano, e lui stesso chiamava, scienza moderna. Una situazione imbarazzante, di cui lo stesso storico si dev’essere reso conto e da cui cerca scampo in tenui considerazioni psico-antropologiche proiettate su un ancor più tenue sfondo storico-sociologico. « Una vita spesa nelle ricerche di ogni maniera, un volere tenace – scriveva infatti – un ingegno acuto, erano in lui accoppiati alle tendenze volgari della sua età », per concludere che « la fantasia prepotente rintuzzò l’acume dell’osservare che era in lui penetrantissimo : l’amore del meraviglioso gli fece bene spesso perder d’occhio i rapporti reali delle cose […] C’era insomma in lui del naturalista e del mistico, strana mistura, che si spiega però con la qualità del secolo, e del popolo in mezzo a cui visse ». 25 Il ritratto del Fiorentino rimase, e per certi aspetti rimane, l’estremo tentativo della storiografia filosofica di inserire Della Porta in un compiuto quadro del Rinascimento italiano. Da quel momento il collega linceo di Galileo, che, anzi, come socio anziano lo aveva cooptato nell’Accademia, l’interlocutore di Keplero, il frequentatore dei circoli colti veneti, nei quali aveva tratto amicizia e stima con il Sarpi e che questi, come tanti, era corso a visitare nella casa-museo napoletana, viene espulso dal piano nobile della cultura italiana. Il maestro che giovani in vista di un grande futuro andavano in pellegrinaggio a trovare a Napoli, come il Cesi, si vedrà accomunato a compilatori di ricette, a veri e propri ciarlatani, a personaggi improbabili come Alessio Piemontese, retrocesso lui, il cui ritratto adornava lo studio di Nicolas Peiresc e che questi aveva accomunato, ancora a pochi anni della sua scomparsa, a Paolo Gualdo, al Sarpi, a Girolamo Aleandro il giovane, a Antonio Persio, tra le personalità da riverire e visitare nella penisola, retrocesso, si diceva, tra le comparse di un nebuloso panorama. Ancora nel 1951, compreso in un’antologia dal titolo singolare Gli occultisti – in compagnia di Agrippa e Cardano – Giulio Alliney considerava « scientificamente nullo » il proposito di Della Porta : l’« opera sua è una stanca ripetizione di luoghi comuni ». Non gli rimane – scriveva – che una « semplice curiosità ». Mosso dalla considerazione che alla « scienza spetta il merito di aver sfollato la terra e il cielo dalle infinite legioni di spiriti », l’Alliney giudicava « grande » l’equivoco di conciliare « la magia con la scienza moderna », attribuendo al Nostro un’ambizione, seppur deprecabile, che avrebbe portato la consapevolezza di un sapere, quello della nuova scienza, che gli fu ignoto ed estraneo. 26  





































































23   Francesco Fiorentino, Bernardino Telesio, ossia studi storici su l’idea della natura nel risorgimento italiano, Firenze, Le Monnier, 1874, vol. ii, p. 111. 24 25   Ivi, pp. 114-115.   Ivi, p. 293. 26   Gli occultisti, a cura di Giulio Alliney, Milano, Garzanti, 1951, p. 26. Preoccupato di sottolineare l’estraneità

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Inetto a rappresentare uno stadio qualunque in qualsivoglia forma, ma pur operante, nel circolo di un pensiero perenne, su Della Porta cala il silenzio. Nel secolo appena trascorso non si riuscì a trovargli posto neppure tra i popolari ‘profili’ del Formiggini, mentre un programmato o promesso volumetto dei Curiosi della natura, affidato alle cure di Aldo Mieli, non vide la luce. 27 Sì che il benemerito Giuseppe Gabrieli poteva reclamare per Della Porta « piena e degna luce » in uno dei suoi ritratti dei lincei. Filosofo « nel senso antico più vasto più vero », lo proclamava, che aveva riempito di sé tra Cinque e Seicento « il campo letterario e scientifico ». 28 In realtà quel suo ritratto, comparso nel 1927 sul gentiliano “Giornale critico della filosofia italiana”, ripieno di umana simpatia – « una delle più simpatiche figura di dotti italiani di quell’età, di ogni età » 29 – lo era meno di contenuti specifici, finendo per paragonarlo a un « filone d’acqua che, aprendosi la via faticosamente attraverso strati e sedimenti secolari, ne trasporta detriti d’ogni genere, e poi scorre all’aperto con onda torbida sì ma ricca d’elementi vitali, fecondatori ». 30 Eppure è proprio in qualche modo a partire da studi dedicati a aspetti non centrali dell’opera del nostro, o che almeno lui avrebbe considerato tali, a partire da considerazioni sui rapporti tra l’apparizione delle sue opere e le reazioni ecclesiastiche, a iniziare dalla collocazione della sua figura in un settore speciale della storia delle idee, giovane e pionieristico, come era da noi la storia della scienza, che Della Porta ha ricevuto, a partire dagli anni ’60 del secolo trascorso, quella nuova luce che ne ha riproposto il problema del ruolo nella storia italiana e europea tra ’500 e ’600. Non è necessario fare nomi a tutti noti : Louise George Clubb, Giovanni Aquilecchia, Raffaele Sirri, Nicola Badaloni, Eugenio Garin. Lo storico ha tutto il diritto, ma anche il dovere, di chiedersi « come supporre che ‘collaborassero’ nella stessa accademia personalità e posizioni così diverse », 31 come Della Porta e Galileo. E infatti non collaborarono : solo per Cesi, non per caso, tra l’occhiale « inalzato » da Galileo all’« uso celeste » e le speculazioni e gli effetti maravigliosi promessi dal Della Porta correva il legame che « quello che all’hora parve favoloso, molto più mirabile poi […] si è succeduto », riassorbendo all’interno dell’Accademia lo scarto epistemologico che l’invenzione del telescopio aveva causato. Scriveva Eugenio Garin, vent’anni fa, in un saggio magistrale, rispondendo alla domanda sulla collaborazione di Galileo e Della Porta nell’Accademia lincea, che « per capirne senso e compiti conviene innanzitutto cercare di cogliere la coesistenza delle divergenze, facendone emergere il valore ». 32 E come è stato per l’Accademia dei Lincei, l’abbandono della pretesa di farne l’improbabile incubatore della nuova scienza, che ne aveva amputato ogni significato, riducendola a quella di provvisoria finestra romana di Galileo, dandole invece, storiograficamente parlando, nuova  























































di Della Porta alla nuova scienza, l’Alliney incorreva nel curioso anacronismo di contrapporre l’Accademia dei Lincei, di cui il Napoletano fu « tra i fondatori », a « quella galileiana del Cimento » (ivi, p. 27). 27   Promossa da Giovanni Cau (che apriva la serie dei “Curiosi della natura” con il profilo di Antonio Pacinotti. La storia della dinamo) presso l’editore milanese Agnelli, la collana si proponeva sul finire degli anni Venti del secolo trascorso di rievocare quelle figure di scienziati ‘ribelli’ alle tendenze della scienza contemporanea, basata sopra un’arida oggettività e dotati invece di una curiosità in grado di spingerli « verso soluzioni più ampie, più vive, più sanamente audaci e forti ». Dopo il Pacinotti erano usciti tra gli altri lo Spallanzani di Giuseppe Montalenti, il Cocchi di Andrea Corsini. Come detto, l’annunciato Della Porta non è mai uscito. 28   Giuseppe Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo. Da documenti per gran parte inediti, ora in Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1989, p. 635. 29 30   Ivi, p. 662.   Ibidem. 31   Eugenio Garin, Fra Cinquecento e Seicento. Scienze nuove, metodi nuovi, nuove accademie, in *Federico Cesi. Convegno celebrativo del iv centenario della nascita, Acquasparta, 7-8 ottobre 1985 (Atti dei convegni lincei, 78), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1986, pp. 31-32, e poi in Umanisti, artisti, scienziati. Studi sul Rinascimento 32   Ibidem. italiano, Roma, Editori Riuniti, 1989, pp. 231-232.  











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linfa, promuovendone studi innovativi, facendone emergere nuove figure e nuovi temi, così ci permettiamo di auspicare avvenga, e in parte già avviene, per Della Porta. 33 Il quale andrà restituito alla sua propria dimensione, si chiami barocco, si chiami manierismo, lo si collochi tra la magia o con la scienza, con il rinascimento o con la rivoluzione scientifica, e con quella confrontato e lì compreso. Guai a rimettersi sulla strada di nobilitarlo, distinguendo scienza e magia, pagine da attribuire alle « tendenze volgari della sua età » e pagine che sanno « camminare col tempo », come aveva distinto il Fiorentino. Guai a cercarvi anticipazioni di un sapere e di un approccio alla realtà, dovendo dimenticare o sorvolare su tutte le pagine, e sono tante, che quell’anticipazione e quell’approccio si negano, dove l’attrazione lunare non si esercita solo sulle acque, ma nutre gamberi e ostriche, mentre deperisce gli animali dotati di corna falciate o dove il magnete non esercita attrazione solo sul ferro, ma consente al marito o alla moglie di scoprire l’infedeltà del coniuge. Né più praticabile, mi pare, il tentativo di creare una tradizione meridionale, o meglio napoletana, che oltrepassando la rivoluzione scientifica avrebbe consentito di saldare il naturalismo rinascimentale di Della Porta addirittura a Vico, calpestando ogni cesura, cancellando il faticoso e originale emergere di una nuova concezione della realtà. Non è dunque, come non lo era stato in passato, da qui che può venire una più appropriata collocazione e soprattutto una più adeguata comprensione dell’opera di Della Porta e della sua personalità. Né deve farci spavento affermare che Della Porta non è moderno – per quello che quest’oscuro aggettivo significa nel campo della storia – e che la sua opera non fonda, né affonda alle radici della modernità. Per certi aspetti non fu neppure un contemporaneo : si pensi al copernicanesimo. Della Porta ne accompagna cronologicamente tutta l’estensione, dalla nascita alle discussioni europee, ai contrasti, fino all’affermazione galileiana e al cambiamento che questa produsse. Di tutto questo non c’è in lui traccia : se le sue non poche pagine fossero l’unico documento cartaceo tramandatoci, noi non sapremmo nulla di Copernico, di Tycho, di Galileo. O sapremmo solo che Galileo era una tale « lettore di Padova », secondo la sua definizione, a cui contendeva la primogenitura di un curioso ritrovato, uno dei suoi tanti. Quello della rivoluzione scientifica – ma uso con cautela questo termine, visto che ora ci stanno insegnando che non è esistita – è un mondo al quale rimane estraneo, ma ciò non toglie che lo storico della scienza non debba considerarlo. Si pensi solo al De aeris transmutationibus, l’ultima opera da lui pubblicata nel 1610, dedicata al Cesi, e da questi promossa e ristampata ancora nel 1614, ed ora disponibile nell’edizione nazionale degli scritti. 34 Tema classico di storia naturale sulla scia delle Meteore aristoteliche, ma che, se fosse messo a confronto con le Meteore cartesiane degli Essais, lo spazio di tempo trascorso – appena più di vent’anni – ci apparirebbe più lungo dei secoli che separano Della Porta da Aristotele. Ma si tratta di un paragone improponibile e fuorviante : tra i due testi non c’è un dopo che sconfessi e che falsifichi il prima, non corre nessuna connessione o scansione temporale, sono due oggetti che appartengono a piani distinti e non comunicanti, che hanno scopi e finalità differenti. Metterli in sequenza o a confronto, se può giovare sul piano didattico, non aiuta su quello storico : sarebbe come confrontare le cerbottane degli indios con i cannoni degli spagnoli e cercare in quelle le anticipazioni, gli adombramenti di questi, per concludere finalmente dell’indubbia superiorità dei cannoni. Senza tener conto che le cerbottane erano state costruite per paralizzare piccoli animali e i cannoni  























33  Si v. ad esempio quanto proficui sviluppi promette il rapporto Cesi-Della Porta evocato ora da Paolo Galluzzi, “Libertà di filosofare in naturalibus” : i mondi paralleli di Cesi e Galileo, Roma, Scienze e Lettere, 2014. 34   A cura di Alfonso Paolella, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000 (Edizione nazionale delle opere di Giovan Battista Della Porta, 14).  

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per abbattere le fortezze. O non gioverà piuttosto mettere quel testo accanto a altri di Della Porta, come quello dedicato alla traduzione del I libro della Syntaxis di Tolomeo, anch’esso ora disponibile per le cure di Raffaella De Vivo, 35 come agli Elementa curvilineorum curati da Veronica Gavagna, 36 come il De refractione, cui sta attendendo Riccardo Bellé, e cercare di capire che cosa il grande napoletano si proponesse, quasi a volgere della sua lunga vita, con una serie di opere ‘normali’ rispetto ai suoi interessi prevalenti e che, come ben sappiamo, restano ben vivi fino all’ultimo, a quale pubblico intendesse rivolgersi sotto le insegne lincee, un pubblico che non poteva, né voleva essere quello del Saggiatore di Galileo, ma neppure quello delle sue magie. In conclusione proseguire nell’opera paziente e faticosa indicata da quegli studi sopra ricordati degli anni Sessanta e che il convegno di Vico Equense del 1986 volle o tentò di mettere in atto. 37 Della Porta con i problemi di Della Porta. Diffidando di mode revisioniste che, deprimendo il significato della rivoluzione scientifica, vogliono darci a credere che la scienza sarebbe nata non puntando al cielo il telescopio o nella Géométrie di Cartesio, ma tra i ‘crocodilli’, gli unicorni, i vitelli a due teste e gli agnelli a otto gambe (che, sia detto tra parentesi, Della Porta non possedeva) dei musei delle meraviglie o nei geroglifici del padre Kircher, fenomeni che riverberebbero di gloria effimera le magie del nostro Della Porta. Si provveda piuttosto, come si va facendo, e come auspicava Eugenio Garin cinquant’anni fa, a un’edizione completa e criticamente affidabile delle sue opere. Solo così si riuscirà a entrare in quello straordinario laboratorio che fu la sua officina, in quel mirabile rincorrersi di temi e di spunti, stazione d’arrivo dove si fondevano tensioni teoriche e ritrovati meccanici, suggestioni di un antico passato e sollecitazioni di viva attualità, testimonianza estrema della crisi irreversibile di un sapere che non anticipava, né precorreva nulla perché tutto voleva conservare e accrescere. Come aveva scritto Montaigne, gli occhi erano più gradi del ventre.  





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36   Clau.   Ele.   Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, a cura di Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1990.

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MERCOLEDÌ 14 OTTOBRE 2015 SALA POLIFUNZIONALE ISTITUTO SS. TRINITÀ · VICO EQUENSE

“RIFLESSI DELL’ANIMA”. LA FISIOGNOMICA PRIMA E DOPO DELLA PORTA Bruno Basile

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el 1883 Richard Förster pubblicò a Lipsia due volumi di Scriptores physiognomonici graeci et latini che riproponevano, in veste rigorosa, opere legate ai nomi di Aristotele, Polemone, Adamanzio, Apuleio e a una scienza che il filologo dimostrò consolidata nel Medioevo islamico di Rhazes (Rāzī). La presenza di questi autori nel capolavoro di Giovan Battista Della Porta (De humana physiognomonia, Della fisionomia dell’uomo, 1586-1610) 1 – e poco importa che il suo Aristotele sia divenuto per noi Pseudo Aristotele e Apuleio un Anonimo latino – induce a chiederci quale tipo di disciplina individuassero. Un sapere antichissimo, coincidente con la semeiotica medica volta ad identificare, da indici esterni del corpo, processi fisiologici, cercando poi, nell’indagine del volto, di attingere a rilievi caratteriali. La ragione di questa esegesi che trasforma i tratti somatici in una mimica dell’anima è colta da un passo dell’Anonimo latino :  



[...] come l’animo dà forma al corpo per sympatheia, così a sua volta l’animo si conforma alle qualità del corpo, proprio come il liquido contenuto in un vaso prende forma dal vaso o come il soffio d’aria immesso in una zampogna o in un flauto o in una tromba, perché, anche se l’aria è sempre la stessa, tuttavia risona in maniera differente nella tromba, nella zampogna, nel flauto. 2  

Tale indagine, che supera la possibile diagnosi patologica 3 per identificare i comportamenti umani non acquisiti (per Aristotele la fisiognomica non permette di riconoscere in una persona un « medico » o un « suonatore di cetra »), aveva creato, già in epoca medievale, opere scientifiche capaci di sondare i limiti e i pregi della techne. Arabe, come si è detto (Rāzī il suo Tractatus ad regem Almansorem, legato all’esoterico Secretum secretorum attribuito ad Aristotele), 4 ma anche occidentali disposte a suggerire scrutini di caratteri e  











1   L’edizione apparve per i tipi di Teubner ; sulla fisiognomica araba, vd., Tawfiq Fahid, Firāsa, in The Ehcyclopaedia of Islam, Leiden-London, Brill & Luzac, 1965, ii, pp. 916-17. Sulla storia della disciplina, cfr. Paolo Getrevi, Le scritture del volto. Fisiognomica e modelli culturali dal Medioevo a oggi, Milano, F. Angeli, 1991 ; Patrizia Magli, Il volto e l’anima. Fisiognomica e passioni, Milano, Bompiani, 1995 ; Lucia Rodler, Il corpo specchio dell’anima. Teoria e storia della fisiognomica, Milano, B. Mondadori, 2003 ; Flavio Caroli, Anime e volti. L’arte dalla psicologia alla psicoanalisi, Milano, Electa, 2014 ; Hans Belting, Facce. Una storia del volto, Roma, Carocci, 2014. La più remota origine è babilonese : *Texte zur babilonischen Physiognomik, a cura di Fritz R. Kraus, Osnabrück, Biblio Verlag, 1967. Per la storia del testo dellaportiano, vd. Hum. 2   Pseudo Aristotele, Fisiognomica. Anonimo Latino, Il trattato di fisiognomica, a cura di Giampiera Raina, Milano, Rizzoli, 1993, p. 127, da cui riprendiamo la traduzione. Cfr. Maurizio Bettini, Le orecchie di Hermes. Studi di antropologia e di letterature classiche, Torino, Einaudi, 2000, pp. 315-56. Per la componente « pneumatica » del passo, vd. Marielene Putscher, Pneuma, Spiritus, Geist. Vorstellungen von Lebensantrieb in ihren geschichtlichen Wandlungen, Wiesbaden, Steiner, 1973 ; David B. Claus, Toward the Soul. An Inquiry into the Meaning of Psyche before Plato, New Haven-London, Yale Univ. Press, 1981 ; George R. Boys-Stones, Post-Hellenistic Philosophy. A Study of its Development from the Stoics to Origen, Oxford-New York, Oxford Univ. Press, 2001, pp. 62-63. Riprese neoplatoniche del tema delle stratigrafie corporee come guaina dell’anima sono nella mistica araba medievale : cfr. Louis Massignon, La Passion de Husayn ibn Mansûr Hallâj, rist., Paris, Gallimard, 1975, iii, pp. 22 sgg. 3   Nel 2014 un ricercatore di Oxford, Christoffer Nellåker ha messo a punto un Software capace di rivelare le malattie usando immagini di 1363 volti per 90 patologie : vd. Alex Saragosa, Quando le malattie si vedono in foto, « Il Venerdì di Repubblica », 25 luglio 2014. 4   Per le vicende del testo, cfr. Abū Bakr Muhammad Ibn Zakariyā Ar-Rāzī, Al-Mansūrī fiṭ’-ṭibb […], ed. critica del volgarizzamento laurenziano (Plut., lxxiii, ms 43), a cura di Mahmud Salem Elsheik, Roma, Aracne, 2015.  



























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passioni con terapeutiche di emendazione morale. E se il filosofo Ruggero Bacone si fece interprete di Aristotele e delle sue fonti greche, studiosi attivi in Italia (Michele Scoto, Aldobrandino da Siena e Pietro d’Abano) diffusero diagnosi fisiognomiche non come valutazione preventiva dell’umanità che ci circonda, ma vera « electio boni » e « vitatio mali ». 5 In epoca rinascimentale, quando si volle una rivisitazione critica della scienza classica, questa disciplina « de praedictione morum » riprese vigore come dialettica cognitiva dei rapporti tra anima e corpo, tema di numerose indagini filosofiche già consolidate nel Cinquecento trattatistico (Michele Savonarola, Speculum physiognomiae, 1450 ca. e Juan Luis Vives, De anima et vita, 1538). 6 Ma tematiche nuove emergono nella ricerca che ha in Della Porta un punto d’arrivo di completezza enciclopedica. Gli scienziati cercano di connettere la disciplina con il sostrato della terapia umorale galenica, anch’essa capace d’individuare « temperamenti » nella psiche umana, e con altre semeiotiche divinatorie come la chiromanzia e la metoposcopia, mantiche dei segni della mano e delle rughe della fronte di origine – presunta – ad un tempo naturale e celeste. E trovano alleati, inattesi, negli artisti coevi alla ricerca ansiosa di regole espressive per i corpi da rappresentare (l’arte dell’epoca era mimetica, non concettuale). Non si dimentichi il celebre appello di Leonardo da Vinci : « Fai le figure in tal atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo, altrimenti la tua arte non sarà laudabile ». 7 È molto probabile che Della Porta conoscesse quanto fatto dalla scuola medica bolognese all’epoca di Alessandro Achillini, autore, nel 1504, di un De chiromantie principiis et physiognomie, e legato a quel Bartolomeo della Rocca detto « Cocles » che, nello stesso anno, pubblicò una Chyromantie ac physiognomie anastasis. Testi perfezionati, in chiave divinatoria, nel 1550, dalla Metoposcopia di Girolamo Cardano, un docente felsineo colpito dall’Index librorum prohibitorum del 1554, e più tardi dalle costituzioni di Sisto V, emesse, nel 1592, « contro coloro che esercitano l’arte dell’astrologia giudiziaria e qualunque altra sorte di divinazione, sortilegi, strigarìe e incanti ». 8 Certo, invece, un rapporto tra Della Porta e la cultura artistica napoletana che, nel 1504, con il De sculptura di Pomponio Gaurico (citato nel De humana physiognomonia), aveva dato  





































La fisiognomica è in l. ii, capp. 26-58. Sul Secretum secretorum, vd. *Pseudo Aristotle, the Secret of Secrets. Sources and Influences, a cura di William F. Ryan e Charles B. Schmitt, London, Warburg Institute, 1982. Per l’uso arabo di valutare gli schiavi con la fisiognomica, vd. Antonella Ghersetti, Ibn Butlan. Il trattato onnicomprensivo sull’acquisto e l’esame degli schiavi, Catanzaro, Abramo, 2001. 5   Ruggero Bacone, Opera, Oxford, Oxford Univ. Press, 1920 (vol. v, Secretum secretorum cum notulis, ed. Robert Steele) ; Michele Scoto, Liber phisionomiae, Venetiis, J. de Fivizano, 1477 ; Aldobrandino da Siena, Le régime du corps, a cura di Louis Landouzy e René Pépin, Paris, Champion, 1911 ; Pietro d’Abano, Liber compilationis Physiognomiae, Patavii, Typ. P. Maufer, 1474. Cfr. Jole Agrimi, Ingeniosa scientia nature. Studi di fisiognomica medievale, Firenze, sismel-Ed. del Galluzzo, 2002. 6   Solo il testo di Vives ha un’edizione moderna : Johannis Ludovici Vivis, De anima et vita, a cura di Mario Sancipriano, Padova, Gregoriana, 1974. Sul contesto, cfr. Ulrich Reisser, Physiognomik und Ausdrucktheorie der Renaissance, München, Scaneg, 1997 e Sandro Nannini, L’anima e il corpo. Una introduzione storica alla filosofia della mente, Roma-Bari, Laterza, 2002. 7   Leonardo Da Vinci, Trattato della pittura, in Scritti, a cura di Jacopo Recupero, Ariccia-Roma, Rusconi, 2002, p. 135. 8  Cfr. Paola Zambelli, ‘Aut diabolus aut Achillinus’. Fisionomia, astrologia, demonologia in un aristotelico, « Rinascimento », xxix (1978), pp. 59-66, e per « Cocles », Ezio Raimondi, Codro e l’Umanesimo a Bologna, rist., Bologna, il Mulino, 1987. Su Cardano, vd. Alfonso Ingegno, Saggio sulla filosofia di Cardano, Firenze, La Nuova Italia, 1980 e Anthony Grafton, Il signore del tempo. I mondi e le opere di un astrologo del Rinascimento, tr. it. di Luca Falaschi, Roma-Bari, Laterza, 2002. Sulla Metoposcopia, utile Angus G. Clarke, Metoposcopy. An Art to Find the Mind’s Construction in the Forehead, in *Astrology, Science and Society. Historical Essays, a cura di Patrick Curry, Bury St. Edmonds, Suffolk, Boydell Press, 1987, pp. 171-95. In questo contesto anche il nostro Della Porta, Metoposcopia, rist. anast. cod. Add. 22687, Napoli, Ist. Suor Orsola Benincasa, 1990. Cfr. Giovanni Aquilecchia, Nuove schede d’Italianistica, Roma, Salerno Ed., 1994, pp. 240-313.  















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spazio alle morfologie significanti del volto umano, utilizzando, per i tratti riconducibili ad archètipi del mondo animale, Aristotele ed Adamanzio. D’altronde nel 1551 il fratello di Gaurico, Luca, pubblicò una versione di quei classici, con un’appendice In physiognomia pleraque axiomata et chyromantiae apotelesmata che trovò uno stampatore proprio a Bologna. 9 Pochissimi vennero a sapere delle cautelose riserve di Leonardo in proposito, certo inagibili a chi non frequentasse il milieu dell’artista :  



Della fallace fisonomia e chiromanzia non m’estenderò, perché in esse non è varietà ; e questo si manifesta perché tali chimere non hanno fondamenti scientifici. Vero è che i segni del volto mostrano in parte la natura degli uomini, loro vizi e complessioni [...]. Ma della mano tu troverai grandissimi eserciti esser morti in una medesima ora di coltello che nessun segno della mano è simile l’uno all’altro, e così in un naufragio. 10  



Riserve nate da severi cicli di esperienze anatomiche leonardesche per quel libro intitolato « de figura umana » e da iterati disegni (talora caricaturali) atti a fermare nei volti espressioni di affetti in cui si è voluto vedere un compendio illustrativo per una « fisonomia » perduta. Quanto per Leonardo è, al più, approssimativo, diviene invece scienza in Della Porta che, inquieto verso la chiromanzia, cerca nella fisiognomica non una prassi divinatoria medievale, ma l’arte di conoscere dai tratti del corpo « l’inclinazione » e i « costumi » degli esseri animati, in perfetta linea con quanto auspicato da pensatori illustri coevi (dal Michele di Montaigne degli Essais, 1588 al Francesco Bacone del De dignitate et augmentis scientiarum, 1623). 11 Nelle varie stesure del trattato, Della Porta non rinuncia allo sfondo della medicina umorale dedotto da Galeno (Quod animi mores corporis temperamenta sequantur) che detta nel nome del sangue, della pituita e della bile – gialla e nera – uno schema variabile su cui s’innesta la componente genetica della fisionomia. Ma è un preludio scontato, anche nel rapporto con gl’influssi celesti sul corpo umano (poi discussi nel De coelesti physiognomonia del 1603) e corrivo nell’esame dell’ingenium, legato alla malinconia, con toni sfuocati rispetto a trattatisti precedenti e seriori. Pensiamo a Huarte de San Juan, Examen de ingenios para la sciencia, 1575, a Timothie Bright, A Treatise of Melancholy, 1586 a Robert Burton, The Anathomy of Melancholy, 1621, capolavori che relegano nell’ombra certe note dellaportiane sui « segni » e « mirabili effetti » dell’umore malinconico. 12  



























9   Pomponio Gaurico, De sculptura, testo latino, traduzione e note a cura di Paolo Cutolo. Saggi di Francesco Divenuto, Francesco Negri Arnoldi, Pasquale Sabbatino, Napoli, esi, 1999 e I Gaurico e il Rinascimento meridionale. Atti del Convegno di studi (Montecorvino Rovella, 10-12 aprile 1988) a cura di Alberto Granese, Sebastiano Martelli, Enrico Spinelli, Salerno, Univ. degli Studi, 1992. Per il cap. iv del trattato, cfr. Liliane Defradas, Les sources de ‘De physiognomonica’ de Pomponius Gauricus, « Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance », xxxii (1970), pp. 7-39. 10   Trattato della pittura, cit., n. 288 (in Scritti, pp. 134-35). Vd. Ernst H. Gombrich, L’eredità di Apelle. Studi sull’arte del Rinascimento, tr. it. di Maria Luisa Bassi, Torino, Einaudi, 1986 (cap. Le teste grottesche) e spec. Flavio Caroli, Storia della fisiognomica da Leonardo a Freud, Milano, Leonardo Arte, 1998, pp. 15-25 e Id., Leonardo. Studi fisiognomici, Milano, Electa, 2015. Perduto, purtroppo, il Liber de phisionomia di M. Ficino : cfr. Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, rist., Torino, Einaudi, 1978, ii, p. 377, essenziale per la cultura toscana. 11   Perché disciplina trascurata da Aristotele e frutto di tradizioni popolari : vd. Roger A. Pack, Aristotle’s Chiromantic Principle and its Influence, « Transactions and Proceedings of the American Philological Society », cviii (1978), pp. 121-30 e Nicola Oresme, Manuali di chiromanzia, a cura di Stefano Rapisarda e Rosa M. Piccione, Roma, Carocci, 2005. Cfr. Natur. 12   Su questa tradizione cfr. Raimond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, Saturno e la melanconia. Studio di storia della filosofia naturale religione ed arte, tr. it. di Renzo Federici, Torino, Einaudi, 1983 ; Jean Starobinsky, L’inchiostro della malinconia, Torino, Einaudi, 2014. Note di pregio in Gian Piero Moretti, Il genio, Bologna, il Mulino, 1998 e Laurinda S. Dixon, The Dark Side of Genius. The Melancholic Persona in Art (ca. 1500-1700), University Park, Pennsylvania Univ. Press, 2013. Almeno uno dei trattatisti era sicuramente noto a Della Porta : Miguel Ángel González Manjarrés, Presencia de Huarte de San Juan en la fisiognomía humana de G. B. Della Porta, « Schede umanistiche », xxii (2008), pp. 179-222.  



















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Altra cosa, oltre il libro d’esordio del Della Porta, è invece la compatta serie dei cinque seguenti De humana physiognonomia che trattano la semeiotica del corpo rapportato a « parti e costumi di vari animali, per le quali si possono congetturare i costumi degli uomini ». Testo audace nelle morfologie discusse, solo in parte ricondotte ad alvei di ortodossia nella sesta e ultima sezione del trattato, dove « rimedi », e « natural virtù d’erbe » correggono, in previsione di scontate censure religiose, il determinismo e l’innatismo dei destini caratteriali svelati dalla scienza. Della Porta trae vigore analitico dalle tre regole stabilite da Aristotele : suddivisione del ceppo razziale, anatomia comparata (pensare ad un animale e, supponendo che l’uomo abbia tratti fisici affini a quello, dedurne un carattere simile), tipologia di tratti mimici, legando ad essi una disposizione d’animo. 13 Non molto spazio è dato alla campionatura delle razze e all’enigma mimico (subito integrato, nel 1606 dall’Arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio). 14 Benché non porti traccia delle popolazioni delle Indie e di altre terre « nuper detectae », il testo regge nella dialettica aristotelica tra caldo, freddo, umido e secco quali elementi discriminanti di una morfologia dei popoli, recepta opinio dall’epoca di Ippocrate (De aere, aquis, locis) all’età illuministica. Pochi ricordano che vi fece ricorso Immanuel Kant nel saggio Determinazione del concetto di razza umana, così come, nell’Antropologia pragmatica – dove Della Porta è citato – si accettano i temi della caratterologia e della semantica gestuale. 15 L’originalità della portiana è tutta nel sillogismo fisiognomico, trasformato dal referente aristotelico in un assioma per il suo manuale di segni corporei :  

























A trovar questi segni proprii, primo è da considerare un genere d’animali nel quale universale ci sia quella passione ; appresso poi è bisogno di considerar l’altre generazioni d’animali, che non in universale ma in particolare abbino quella passione. Finalmente, che tutti quelli animali che abbino quel segno, abbino quel costume ; e chi non ha quel segno, non abbi quel costume ; così quello sarà proprio segno. Per esempio : per sapere quale sia il vero segno della fortezza, andrò considerando per tutte le generazioni degli animali, e vedrò che nel genere de’ Leoni generalmente sono tutti forti e gagliardi. Appresso considerarò gli altri animali che medesimamente son forti, come Cavalli e Tori e gli uomini [...]. All’ultimo considerarò se quel segno sia in tutti i Leoni generalmente e che gli altri animali che l’hanno siano ancor forti [...]. Questo sarà aver l’estremità grandi [...]. 16  









La sorpresa destata da queste analogie zoomorfe – sottolineate da celebri illustrazioni del trattato – deve essere correlata alla scienza classica rinascimentale (l’Historia animalium di 13   La bibliografia – sterminata – sulle “regole” fisiognomiche è raccolta in Aristotele, Fisiognomica, a cura di Maria F. Ferrini, Milano, Bompiani, 2007 e nel lavoro specialistico di Claudia Schmölders, Das Vorurteil im Liebe. Eine Einführung in die Physiognomik, Berlin, Akademie Verlag, 1995, a cui si può aggiungere, dimenticato dalla critica, Julio Caro Baroja, Historia de la Fisiognómica : el rostro y el carácter, Madrid, Istmo, 1988. Per le cautelose ristrutturazioni del testo di Della Porta, cfr. Oreste Trabucco, Il corpus fisiognomico dellaportiano tra censura e autocensura, « Rinascimento », xliii (2003), pp. 569-99. Più recenti riflessioni in Dorella Cianci, Corpi di parole, Pisa, ets, 2014. 14  Cfr. Éva Vigh, Visione fisiognomica ne ‘L’Arte de’ cenni’ di Giovanni Bonifacio, « Lettere italiane », lxv (2013), pp. 563-79 (la riscoperta del testo si deve a Benedetto Croce, Varietà di storia letteraria e civile, Bari, Laterza, 1931, i, pp. 273-75). 15   Immanuel Kant, Scritti politici, a cura di Norberto Bobbio, Luigi Firpo, Vittorio Mathieu, Torino, Utet, 1993, pp. 177-92 e Critica della ragion pratica e altri scritti morali, a cura di Pietro Chiodi, Torino, Utet, 2006, Antropologia pragmatica, pp. 711 sgg. Per le fonti greche, cfr. George.E. R. Lloyd, The Hot and the Cold, the Dry and the Wet in Greek Philosophy, « Journal of Hellenic Studies », lxxxiv (1968), pp. 92-106 e, naturalmente, Hippocrate, Airs, eaux, lieux, éd. Jacques Jouanna, Paris, Les Belles Lettres, 1996. 16   Giovan Battista Della Porta, Della fisonomia dell’uomo, a cura di Mario Cicognani, Parma, Guanda, 1988, p. 109 (l.I, cap. xxxi). Cfr. Patrizia Magli, Il volto e l’anima, cit., pp. 122-27 e la vasta bibl. raccolta in Katherine MacDonald, Humanistic Self-Rapresentation in G. B. Della Porta ‘Della fisionomia dell’uomo’. Antecedents and Innovation, « Sixteenth-Century Journal », xxxvi (2005), pp. 397-414 e Paolo Piccari, Giovan Battista Della Porta. Il filosofo, il retore, lo scienziato, Milano, F. Angeli, 2007.  

















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Konrad von Gesner è edita negli anni 1551-58) che aveva percepito la costanza comportamentale di varie specie animali. Tutte capaci di esibire un’unica qualità – il leone il coraggio, la volpe l’astuzia, il cervo la timidezza, il bue la pigrizia, il lupo l’audacia ... – divenuta tratto esemplificativo delle molteplici attitudini dell’animo umano, solo più composito nella grande catena dell’essere. 17 Forme semplici atte a registrare, in modo diretto, quel sistema di passioni istintuali e innate che attivano, secondo l’assioma aristotelico, l’indagine fisiognomica :  



[...] nel caso degli animali i conoscitori di ciascuna specie riescono all’aspetto esteriore a capire l’indole degli animali : così fanno i cavallerizzi coi cavalli e i cacciatori coi cani. E se questo è vero (ed è sempre vero) ha ragione d’essere la fisiognomica. 18  



Proprio seguendo tale norma Della Porta, senza troppo curarsi di certe finissime raccomandazioni aristoteliche (esiste l’ambiguità del segno – « il coraggioso e l’impudente hanno le medesime caratteristiche » – e la sua possibile simulazione), delinea veri parametri anatomici. La suddivisione del corpo in quattro parti – testa, collo, tronco, braccia, gambe – connesse a tassonomie qualitative – durezza e mollezza, colori chiari e oscuri, rilievi ossei aggettanti e sfuggenti, mimiche contratte ed effusive – offre la maschera del vissuto. Un modello antropologico per la memoria che ha un riflesso, in quegli anni (1589-1600), nelle realizzazioni teatrali di Della Porta, ben oltre i modelli della commedia dell’arte. 19 Ma questa sceneggiatura aristotelica ha una dimensione sperimentale assente sia nella tradizione classica, sia nella percezione diagnostica araba (firāsa). 20 Della Porta verifica ogni segno corporeo – umano e animale – con un dossier di esempi antichi e moderni, accumulando schede diagnostiche in modo da offrire certezza a ipotesi portate a una media di razionalità. Ed è una prassi tipicamente rinascimentale. Come Machiavelli varò la scienza della politica deducendone le leggi da circostanze del passato ripetutesi nel presente, così Della Porta con « freschi esempi » iterati trasforma ogni diagnosi in un romanzo erudito che prelude al dogma. Il naso adunco, correlato al rostro dei predatori alati, è indice di gagliardia :  













Coloro che hanno il naso adunco […] si giudicano magnanimi, perché si rassomigliano all’aquila, come dice Aristotele nella Fisonomia [...]. Neottolemo fu di naso adunco, come lo descrive Darete frigio ; Servio Galba fu di naso adunco, come si dice da Svetonio ; et è scritto da lui assai liberale. Platone scrive nell’Eutifrone che Melito Pitteo, il quale non si portò vilmente nell’accusazione sua, fu di naso aquilino e gibboso. Di naso prominente fu Giorgio Scanderbergo ed egregiamente adunco, il cui volto mostrava effigie di un grande Eroe […]. Sforza il grande ebbe il naso nel mezzo elevato, e fu, secondo riferisce Giovio, forte e magnanimo. Maometto secondo Re de’ Turchi fu di  



17   Vd. lo studio, esaustivo, di Jurgis Baltrušaitis, Aberrazioni. Saggio sulla leggenda delle forme, tr. it. di Rita Bassan Levi, Milano, Adelphi, 1983, pp. 11-54 (cap. Fisiognomia animale). 18   Pseudo Aristotele, Fisiognomica. Anonimo Latino, Il trattato di fisiognomica, cit., p. 59 (805a 15). Cfr. Marie H. Marganne, De la physiognomie dans l’Antiquité gréco-romaine, in Philippe Dubois, Yves Winkin, Rhétoriques du corps, Bruxelles, Off. de Publicité, 1988, pp. 13-24 e spec. Maria M. Sassi, La scienza dell’uomo nella Grecia antica, Torino, Bollati Boringhieri, 1988 con ricca bibl. fisiognomica. 19   Note sul tema in Luisa Muraro, Giambattista della Porta mago e scienziato, Milano, Feltrinelli, 1978 e spec. Luise G. Clubb, Giovan Battista Della Porta Dramatist, Princeton, Princeton Univ. Press, 1965. Più recenti postille in Laura Donadio, Una chiave interpretativa del teatro di G. B. Della Porta, Napoli, Ist. Univ. Orientale, 1993. 20  Fondamentale Yousuf Murad, La physiognomie arabe et le ‘Kitab al-firāsa’ de Fakr al-Din al-Rāzī, Paris, Geutner, 1939. Questo Rāzī, teologo, non è da confondere col medico caro a Della Porta : vd. Georges C. Anawati, Fakr al-Din al- Rāzī, in *The Encyclopaedia of Islam, cit. ii, pp. 751-55. Per il contesto arabo, indispensabile *Seeing the Face, Seeing Soul. Polemon’s Physiognomy from Classical Antiquity to Medieval Islam, a cura di Simon Swain, Oxford, Oxford Univ. Press, 2007. Tramite per la diffusione di queste indagini in Italia, fu il mondo accademico arabizzante : vd. Nancy G. Siraisi, Medicine and the Italian Universities, 1250-1600, Leiden-Boston-Köln, Brill, 2001.  



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naso adunco e rilevante […]. Giovanni Assumbeio, cognominato Ussucassano, fu di naso grifo, di occhi grandi, allegro e piacevole volto ; liberale e clemente […]. 21  



In realtà la minuzia del catalogo, non esaustiva e lesa da possibili eccezioni (ma un positivismo empirico accettò questa procedura fino all’età di Lombroso, come vedremo), verifica solo una recepta opinio, dotta e popolare sul significato delle forme somatiche. E la correlazione animale suscita più il tema analogico della simpatia – presente nella Magia naturalis dellaportiana – che il referto da anatomia comparata. Le somiglianze visive di comportamento non sono sempre conciliabili per la diversa funzione assunta nelle specie animali dagli organi e tegumenti evocati : naso e rostro, mano e zampe, pelo e vello, denti e zanne, per non parlare della mimica corporea legata a diversi sistemi di codice semiotico. Eppure il cànone di riferimento centrato sui corporis loca significanti – occhi, ciglia, labbra, incarnato cutaneo, « vortici » dei capelli – colpì come sintassi indiziaria, 22 la scienza. Nel 1637 Francesco Stelluti, accademico dei Lincei, pubblicò a Roma Della fisionomia di tutto il corpo umano del Sig. G.B. Della Porta ora brevemente in tavole sinottiche ridotta, inizio di una fortuna europea del testo, discusso in Italia da intellettuali di rango (da Agostino Mascardi a Daniello Bartoli), e anche da artisti. È acclarato il ruolo della Fisionomia dell’uomo su pittori – e caricaturisti – da Annibale Carracci a Pieter Paul Rubens. 23 Né manca un’eco clamorosa in Francia, dove l’opera fu tradotta a Rouen nel 1650, ristampata nel 1665, e sempre presente nei dibattiti di età cartesiana sui rapporti tra res cogitans e res extensa, perfettamente esemplificabili nella dinamica tra corpo e passioni, con correlate indagini sulla genesi animale degli istinti. Non mancarono, comunque, dure riserve sulla liceità stessa di accedere a un carattere tràmite i dati esterni somatici ; Baruch Spinoza, nell’Ethica (postuma, 1677) scrisse seccamente :  













Nessuno sa in qual modo e con quali mezzi la mente muova il corpo, né quanti gradi di movimento possa attribuire al corpo e con quanta velocità lo possa muovere. Dal che segue che quando gli uomini dicono che questa o quell’azione del corpo trae origine dalla mente che governa il corpo non sanno quel che dicono e non fanno altro che confessare d’ignorare con parole speciose e senza meravigliarsene la vera causa di quelle azioni. 24  

Nondimeno altra è la linea esegetica dominante, sancita dalla fama internazionale di Cartesio per il trattato Les passions de l’âme (1649) e dei seguaci, primo fra tutti Marin Cureau de la Chambre con Les caractères des passions (1659) che riattivò anche più antiche ipotesi formulate da Nicolas Coeffetau, nel Tableau des passions humaines, de leur cause et de leur effect (1620). La celebre riduzione cartesiana dei moti interni affettivi a sole sei componenti – meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza –, attirò la ricerca degli scienziati, pronti a collegare quelle pulsioni a una maschera mimica coinvolgente il corpo tutto, dai « moti degli occhi e del volto » ai « mutamenti di colore » fino ai « tremiti » e al « languore »,  







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  G. B. Della Porta, Della fisonomia dell’uomo, cit, pp. 163-64 (lib. ii, cap. vii).   Sul rapporto tra traccia indiziaria e metodo scientifico, è utile Carlo Ginzburg, Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino, Einaudi, 1988. 23  Cfr. Ada Alessandrini, Francesco Stelluti e l’Accademia dei Lincei, in *Stelluti linceo da Fabriano, Fabriano, Città e Comune di Fabriano, 1986, pp. 114-128. Sulla fisiognomica nel Seicento, vd. Girolamo Aleandro, Girolamo Rocco, Marcello Giovannetti, Esercizi fisiognomici, a cura di Lucia Rodler, Palermo, Sellerio, 1996, e, della stessa, I silenzi mimici del volto. Studi sulla tradizione fisiognomica italiana tra Cinque e Seicento, Pisa, Pacini, 1991. Sugli artisti vd. Georg Simmel, Il volto e il ritratto, tr. it. di Lucio Perucchi, Bologna, il Mulino, 1985, e Norbert Bormann, Kunst und Physiognomik. Menschendeutung und Menschendarstellung im Abendlande, Köln, Du Mont, 1984. Sulle origini dello sfruttamento del tema analogico della « simpatia » tra corpi animati, cfr. Laura Balbiani, La ‘Magia naturalis’ di G. B. Della Porta. Lingua cultura e scienza all’inizio dell’età moderna, Bern, Lang, 2001. 24   Baruch Spinoza, Opere, a cura di Filippo Mignini, Milano, Mondadori, 2008, p. 566 (Ethica, iii, prop. ii, scolio ; trad. del curatore). 22







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passando per « il riso, le lacrime, i gemiti e i sospiri ». Fu Charles Le Brun, philosophe e artista dell’età aurea di Luigi XIV che, tentando una fisiognomica generale, un nuovo Della Porta cartesiano, riuscì nella Conference sur l’expréssion général et particulière (1698) a proporre un sistema cognitivo delle emozioni umane, visualizzandole in una sintesi di disegni e postille interagenti, incentrata sul volto umano. Costituì il suo repertorio somatico – affine ad un moderno identikit poliziesco : faccia e profilo – inserendolo in un reticolo di coordinate geometriche che, da una figura di base, il disegno della Tranquillità (vero dégré zero fisiognomico) declina, per fluida morfologia dinamica, tutte le espressioni possibili affidate dai nervi e dal mutevole colorito sanguigno al volto umano. Il centro anatomico coordinante delle espressioni è localizzato nella cartesiana « ghiandola pineale ». 26 La misurazione analitica di Le Brun, già praticata da Leonardo e Dürer 27 – ma qui è vero esprit de géométrie –, sostituisce le storie esemplari, erudite, ma soggettive, di Della Porta. Lo schema scientifico – le tabulae auspicate da Stelluti – diviene un alfabeto di quarantuno maschere – decisamente strana l’analogia con quelle del teatro Nô giapponese – ancor oggi verificabili dalla scienza antropologica e rese visive dalle attuazioni didattiche dei famosi dipinti, vere « teste di carattere », di Le Brun. La possibile ambiguità dei segni temuta da Aristotele – ma « frontis nulla fides » era un assioma del buonsenso latino – cede al cospetto di una fenomenologia istintuale poi unanimemente accettata in epoca settecentesca, dalla Human Physiognomy Explained di James Pearson, 1747, a The Analisis of Beauty di William Hogarth, il celebre pittore, del 1743. 28 Difficile dimenticare come Le Brun, perfezionando Della Porta, decodifichi per primo, nella dialettica espressiva sopracciglia-bocca, la spia del passaggio sul volto delle « passioni », da quelle moderate e « generose » agli accessi « violenti » e « biasimevoli » :  



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[…] bisogna sottolineare che vi sono due modi in cui si alzano le sopracciglia. Uno in cui il sopracciglio si alza nel mezzo, e questa elevazione esprime movimenti gradevoli. C’è da osservare che quando il sopracciglio si alza nel mezzo, la bocca si eleva negli angoli, e con la tristezza si alza nel mezzo. Ma quando il sopracciglio si abbassa nel mezzo questo movimento denota un dolore corporeo, e allora fa un effetto contrario, perché la bocca si abbassa negli angoli. Nel riso tutte le parti si corrispondono, perché le sopracciglia che si abbassano verso il mezzo della fronte fanno sì che il naso, la bocca e gli occhi seguano lo stesso movimento. Nel pianto, i movimenti sono composti e contrari perché il sopracciglio si abbasserà dalla parte del naso e degli occhi, e la bocca si alzerà dalla stessa parte. 29  

25   Le discussioni sul tema sono ricostruite da Jean-Didier Vincent, Biologia delle passioni, tr. it. di Fiamma Bianca Bandinelli Baranelli, Torino, Einaudi, 1988 ; Remo Bodei, Geometria delle passioni, Milano, Feltrinelli, 1991 ; Silvia Contarini, Il mito della “macchina sensibile”. Teoria delle passioni da Cartesio a Alfieri, Pisa, Pacini, 1997 e Piergiorgio Strata, La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Roma, Carocci, 2014 ; Patricia Churchland, L’io come cervello, tr. it. di Gianbruno Gerriero, Milano, Cortina, 2014. Le citazioni dal Traité des passions (art. 112) derivano da René Descartes, Œuvres et Lettres, éd. André Bridoux, Paris, Gallimard, 1952, p. 747. 26   Su questo presunto organo di raccordo tra res cogitans e res extensa nacquero infinite polemiche. Vd. – ab uno disce omnes – George Berkeley, Opere filosofiche, a cura di Silvia Parigi, Torino, Utet, 2007, pp. 409-18 : pagine feroci, edite sul « Guardian » nell’aprile 1713. 27  Cfr. Albrecht Dürer, Vier Bücher von menschlicher Proportion. Quattro libri sulle proporzioni umane, a cura di Giuditta Moly Feo, Bologna, Bononia Univ. Press, 2007, con vasta bibl. 28  Cfr. Werner Hofmann, La caricatura da Leonardo a Picasso, a cura di Giovanni Gurisatti, Vicenza, Colla Ed., 2006 ; ulteriori postille in Der exzentrische Blick. Gespräch über Physiognomik, a cura di Claudia Schmölders, Berlin, Akademie, 1986. La cit. latina è da Giovenale, Sat., ii, 18. 29   Charles Le Brun, Le figure delle passioni. Conferenze sull’espressione fisionomica, a cura di Maurizio Giuffredi, Milano, Cortina, 1992, p. 22. Cfr. Patrizia Magli, Il sopracciglio è lo specchio dell’anima, « Kos », xxix (1987), pp. 29-45 e, per più documentati ragguagli, Jean-Jacques Courtine, Claudine Haroche, Storia del viso. Esprimere e tacere le emozioni, dal xvi all’inizio del xix secolo, tr. it. di Gianfranco Marrone, Palermo, Sellerio, 1992 e anche Paul Ekman, I volti della menzogna, tr. it. di Gabriele Noferi, Firenze, Giunti, 1989. Sul modesto valore delle realizzazioni artistiche di Le Brun, vd. la nota ironica di Renselaer W. Lee, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, rist., Milano, se, 2011, p. 56 (« gelidamente regolari, artisticamente nulle » : ma la frase è di Lessing). Per certe riprese  























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Questa mimica trova in Le Brun anche una formula geometrica che coinvolge – dunque Aristotele e Della Porta sono impliciti – l’enigma della stessa facies animale. Tracciando un triangolo il cui « vertice si trova all’angolo esterno dell’occhio » e coinvolge il naso, quando la punta angolare più acuta si colloca verso la fronte è segno d’intelligenza, come « si vede negli elefanti, nei cammelli e nelle scimmie », se invece « cade sul naso » ciò denota la stupidità e « l’imbecillità » come negli « asini e nelle pecore ». 30 Siamo chiaramente prossimi all’idea di quella misura del prognatismo facciale destinata ad affermarsi nelle ricerche antropologiche settecentesche : non dimentichiamo che la vulgata del testo di Le Brun (redatto forse nel 1667) è affidata alle stampe solo nel 1727, e certi suoi discepoli – Jean-Jacques Lequeu, Louis Simonneau il Giovane – ci portano quasi alla fine del secolo dei Lumi. Il punto di arrivo è negli studi del medico olandese Petrus Camper, fisiologo della mimica espressiva, capace di connetterla – nei momenti di euforia e disforia psichici – ai fluidi muscolari cartesiani di tensione e rilassamento (Deux discours sur la manière dont les différents passions se peignent sur le visage, 1774). Ma soprattutto analista dei tracciati fisiognomici, ricorrendo per le misurazioni di angoli facciali – dunque Le Brun faceva scuola – a telai di fili d’incredibile complessità, cercando formule per i suoi tracciati estesi – conosce Della Porta – all’universo animale, con privilegio storico concesso all’anatomia delle scimmie, almeno dal 1699 correlata (per certe specie) all’uomo. 31 Questa anatomia comparata, seguita con passione dal giovane Goethe, fornì dati sconcertanti alla cultura europea nella Dissertation physique sur les différences réelles que presentent les traits du visage des hommes de différents pays et de différents âges edita a Parigi nel 1791. L’epirico angolo facciale di Le Brun è quantificato – impeccabilmente – con oscillazioni comprese tra i 42° della scimmia antropomorfa e i 100° (idealizzati) dell’Apollo Pizio dell’arte greca, passando per i 58° di un orango, e i 70° di un negro o un calmucco opposti agli 80°-90° di un europeo. È in sostanza un calcolo coincidente con i dati del coevo De generis humani varietate et natura edito a Gottinga nel 1776 di Johann Friedrich Blumenbach, dov’è specificata una discussa classificazione razziale (caucasica, mongolica, malese, etiope, amerinda). 32 La sezione sulla tipologia umana del trattato dellaportiano trovava così, ritornando attuale, un acclaramento matematico. Eppure la fama internazionale, per indubbie capacità di fascinazione letteraria, la ottenne Johann Kaspar Lavater, che a Lipsia nel 1775 (l’anno successivo ai Discours di Camper) iniziò a pubblicare, fino al 1778, i celebri Physiognomische Fragmente, in cui lo stesso Goethe (lodato da Carus ed Herder) vide realizzate tutte le potenzialità della disciplina, poi confermata dalla versione francese dell’opera che seguì (1781-1803), quasi completandola, la Dissertation del medico olandese. Rispetto a Camper, c’è in Lavater una logica d’inda 



























ottocentesche (Daniel Humbert de Superville), cfr. Anna Ottani Cavina, I paesaggi della ragione, Torino, Einaudi, 1994, pp. 75 sgg. 30   Ch. Le Brun, Le figure delle passioni, cit., p. 99. Su questo e altri punti del testo, vd. il consuntivo di Jennifer Montagu, The Expression of the Passions : the Origin and Influence of Charles Le Brun ‘Conference sur l’expression générale et particulière’, New Haven-London, Yale Univ. Press, 1984. 31   Si allude a Edward Tyson, Orang-outang sive homo silvestris […], London, T. Bennet & D. Brown, 1699. Sull’opera vd. James A. Boon, Anthropology and Degeneration : Birds, Words and Orangutans, in *Degeneration. The Dark Side of Progress, a cura di Edward Chamberlin e Sander L. Gilman, New York, Columbia Univ. Press, 1985, pp. 24-45, spec. p. 26. Più vasto quadro in Margaret T. Hodgen, Early Anthropology in the Sixteenth and Seventeenth Century, Philadelphia, Univ. of Pennsylvania Press, 1971. 32   Su Camper, oltre il cit. Baltrušaitis (e, per gli entusiasmi suscitati, Johann W. Goethe, Metamorfosi degli animali, tr. it. di Bruno Maffi, Milano, se, 1986, p. 57 sgg.), cfr. Robert P. W. Wisser, The Zoological Work of Petrus Camper (1722-1789), Amsterdam, Rodopi, 1985 e Stephen J. Gould, L’angolo facciale di Camper, in Bravo Brontosauro, tr. it. di Libero Sosio, Milano, Feltrinelli, 1992, pp. 228-239.  



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gine più complessa. Si recupera la storia dell’arte con l’interpretazione della ritrattistica psicologica dall’età di Raffaello a Hogarth, e un disegno, non certo a schemi geometrici, ottenuto con la pratica delle silhouettes ritagliate e affrontate da modelli riprodotti con un sorprendente artigianato segnaletico. Così preciso da essere apprezzato come sintassi cognitiva nell’approdo pedagogico L’Art de connaître les hommes par la physiognomie, del 1805. Il vademecum, nella curatela di Jacques Louis Moreau de la Sarthe, per i colti fisionomi dell’età di Nodier, Hugo, Balzac. 33 In Lavater, notando restauro di matrice dellaportiana, ricompare la totalità fisiognomica, non misurata solo sulle espressioni del volto umano :  



Quando io parlo di fisiognomica come scienza, io comprendo sotto i termini della fisionomia tutti i segni esteriori che si rendono percepibili nell’uomo. Ogni tratto, ogni profilo, ogni modificazione attiva o passiva, ogni attitudine o posizione del corpo umano ; in somma tutto quanto può servire a far conoscere immediatamente l’uomo, sia attivo, sia passivo, e a rivelarlo com’è. 34  



Lo scienziato si distacca dalla linea esegetica Le Brun-Camper, definita, per le passioni descritte, « patognomonica » del volto. Indaga un archetipo fisiologico che descrive un carattere legato alle strutture profonde del corpo : ossa, muscoli, massa, colore, cranio, naso, mento, labbra. Crea una semeiotica neo-dellaportiana priva della fisiologia umorale, e ancora affascinata dal mito del « genio ». Risolto così : « se mi pongo di fronte le immagini di venti uomini di genio, quale tratto o quali tratti, appaiono per lo più comuni a tutti ? ». Si può, ad esempio, individuare « un significativo tratto di somiglianza nella conformazione della fronte », e poi indagare altre spie, correlando silhouettes e calchi statuarî :  























Dopo aver eseguito queste osservazioni sperimentali sulle immagini, torno a rivolgermi direttamente all’osservazione degli uomini, e mi accorgo subito che ve ne sono molti, dotati di grande intelligenza, che non recano i necessari contrassegni dell’intelletto. D’altra parte, posso constatare che più o meno tutti coloro che recano quei tratti sono uomini dotati di grande intelligenza. Ne deduco quindi che quei tratti anche se non sono gli unici tratti esprimenti l’intelletto, sono tuttavia un contrassegno molto comune e abbastanza attendibile. 35  

Ponendo visi contro visi e contorni contro contorni dei corpi, Lavater azzarda ipotesi psicosomatiche, tavole evolutive del profilo di un bambino dai sei mesi all’età adulta (oggi confermati dalla scienza computerizzata : fatto mirabile). Ma la rigidità anatomica, che non tiene conto dell’habitat sociale e della sua incidenza, per storie alimentari, sulla tipologia somatica, cade in un determinismo rigidissimo, rinfacciato allo studioso da una celebre postilla di Georg Christoph Lichtenberg : « Se la fisiognomica diventerà un giorno quello che si aspetta Lavater, s’impiccheranno i bambini prima che abbiano compiuto imprese che meritano la forca ». E ancora, con più laconismo beffardo : « Ma cosa ha a che fare la solidità della carne con quella del carattere ? ». 36 E in effetti Lavater con la sua gram 

















33   Su Lavater, vd. Elena Agazzi, Manfred Beller, Evidenza e ambiguità nella fisiognomica umana. Studi sul xviii e xix Secolo. Atti del Congresso “La ricerca del carattere nella fisionomia. Ipotesi scientifiche tra Illuminismo e Romanticismo” (Bergamo 20-23 nov. 1996), Viareggio, Baroni, 2000 e la bibl. accolta in Rüdiger Camper, Manfred Schneider, Geschichten der Physiognomonik. Text, Bild, Wissen, Freiburg im Bresgau, Rombach, 1996. Vd. anche Peter Sloterdijk, Sfere. i. Bolle. Macrosferologia, tr. it. di Gianluca Bonaiuti, Milano, Cortina Ed., 2014, pp. 127-181. 34   Gaspard Lavater, L’art de connaître les hommes par la physiognomie, Paris, Chez L. Prudhomme, 18062, i, p. 172 (Introduction, v). Nostra la traduzione. 35   Johann C. Lavater, Georg C. Lichtenberg, Lo specchio dell’anima. Pro e contro la fisiognomica. Un dibattito settecentesco, a cura di Giovanni Gurisatti, Padova, Il Poligrafo, 1991, p. 91. Sulla voga europea di simili procedure, cfr. Ilse Graham, Lavater’s Essays on Physiognomy. A Study in the History of Ideas, Bern, Lang, 1979 ; The Faces of Physiognomy. Interdisciplinary Approaches to J. C. Lavater, edited by Ellis Shookman, Columbia, Camden House, 1993. Solo divulgativo J. C. Lavater, Della fisiognomica, a cura di Umberto Eco, Milano, Tea, 1993. 36   Georg C. Lichtenberg, Osservazioni e pensieri, a cura di Nello Saito, Torino, Einaudi, 1975, p. 114 (sez. Fisionomia e antifisionomia, n. 496) e p. 115 (n. 502).  

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matica di forme umane sfuggenti o prominenti (timidezza e coraggio), e tegumenti sottili o spessi (abulìa e sessualità) dischiude solo la caratterologia percorsa dal suo sodale Karl Gustav Carus – Symbolik der menschlichen Gestalt, 1852 – e approdata alle discusse tipologie di Ludwig Klages – Zur Ausdrucklehre und Karachterkunde, 1926 – registrate solo dagli storici della più empirica psicologia. 37 Nondimeno proprio la certezza scientifica garantita da concordanze di prove indiziarie (capaci al più d’ipotizzare una semantica corporea intuitiva, eidetica come scrivono i filosofi ), sembra trovare uno spiraglio di verificabilità galileiana, auspicata fin dall’epoca illuministica di Pierre-George Cabanis nei Rapports du physique e du moral de l’homme. La svolta, clamorosa, è legata alle prime ricerche (1796-98) di Franz Joseph Gall. Una vicenda complessa di scritture sperimentali destinata ad approdare – con l’aiuto di Johann Kaspar Spurzheim – ad un capolavoro del 1822, Sur les functions du cerveau et sur celles des ses parties. Come nel caso di Camper, la testa umana ridiviene l’esclusivo oggetto di studio, non per questioni craniometriche, ma per l’insieme delle protuberanze (le bosses, frontali e occipitali) ciascuna delle quali sarebbe la testimonianza di funzioni operative del cervello. La loro localizzazione portò lo scienziato alla ricerca osteologica di depressioni e prominenze – fisiologia, si noti, già presente in Della Porta – viste però come luoghi deputati alla « forza dell’anima ». 38 Un’expertise anatomica puntigliosa venne così esercitata sulla calotta cranica umana – con esclusione delle ossa facciali care a Della Porta e Lavater – ritenuta superficie topografica indicante parti del cervello connesse ad attività intellettuali promosse da fluidi nervosi. La fisiognomica si mutava così in cranioscopìa esperita tràmite calchi anatomici ; Gall ne raccolse e classificò circa quattrocento alla ricerca di « caratteri innati » e anche, almeno in un auspicio stilato nel 1798, al segreto sfuggente del « genio » :  



















Perché nessuno ci ha tramandato i crani di Omero, Ovidio, Virgilio, Cicerone, Ippocrate, Boerhaave, Alessandro, Federico, Giuseppe II, Caterina, Voltaire, Rousseau, Locke, Bacone e altri ? Quale ornamento per il meraviglioso tempio delle Muse. 39  



La scienza di Gall – la frenologia – è una disciplina complessa : un annuncio, di positivismo (Auguste Comte fu il primo a sottolinearlo) capace però di localizzare i centri dell’attività esistenziale umana nelle circonvoluzioni cerebrali, tentando di « anatomizzare l’anima nel cervello », come sottolineò Herbert Spencer nei Principles of Psychology del 1855. Ma questo processo cognitivo – ancor oggi perseguito dalle neuroscienze – è davvero già registrato, in atto, nella morfologia del cranio come lo è, in potenza, nella cartografia cerebrale ? Gall lo sostenne, dischiudendo la ricerca all’innatismo dei poteri psichici. Un innatismo, si noti, già connaturato alla fisiognomica classica, ma posto in relazione dal nostro scienziato con il sensus inditus della morale. Un codice acquisito tràmite l’educazione e tale da chiarire – e correggere – il celeberrimo assioma di Lavater (« sii ciò che sei e diventa ciò che puoi »). L’uomo, insomma, per Gall  











37   Elena Agazzi, Medicina e indagine sul corpo tra la ‘Fisiognomica’ di Lavater e la ‘Mimica’ di Engel, in *Körpersprache und Sprachkörper […]. Semiotische Inferenze in der deutschen Literatur, a cura di Claudia Monti, InnsbruckSturflüge, Österreischer Skule Verlag, 1996, pp. 29-44 ; Richard T. Gray, Physiognomik im Spannungsfeld zwischen Humanismus und Rassismus : J. C. Lavater und C. G. Carus, « Archiv für Kulturgeschichte », lxxxi (1999), pp. 313-37. 38  Cfr. Georges Lanteri-Laura, Histoire de la phrénologie. L’homme et son cerveau selon Franz J. Gall, Paris, Puf 1970 e spec. Giovanni P. Lombardo, Marco Duichin, Frenologia, fisiognomica e psicologia delle differenze individuali in Franz J. Gall, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, con vasta bibl. 39   Franz J. Gall, L’organo dell’anima. Fisiologia cerebrale e disciplina dei comportamenti, a cura di Claudio Pogliano, Venezia, Marsilio, 1985, p. 49 (cit. dal Prodromus alle ricerche dello scienziato edito in rivista – « Neue Deutsche Merkur » – nel 1798). Già a quell’epoca Gall aveva iniziato le sue raccolte craniologiche : vd. Erwin H. Ackermann, Henri Valois, F. J. Gall et sa collection, Paris, Éd. du Museum, 1956.  













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È dotato di sentimento morale […]. Così armato […] può combattere le proprie inclinazioni : queste in verità offrono sempre attrattive e inducono in tentazione, ma non sono tali che non possano esser vinte e soggiogate da altre più forti e contrapposte. Avete l’inclinazione alla voluttà ; ma i buoni costumi, l’amore coniugale, la decenza sociale, la religione, ecc. vi preservano e vi fanno resistere alla voluttà. 40  





Sembra di leggere il correctorium etico dei vizi ostentati dal volto apprezzato – e voluto – da Della Porta ; ma il pubblico della scienza ufficiale fece cadere il côté (non certo positivistico) di una rivendicata libertà morale. Gli antepose, invece, la topografia dei 38 punti deputati, nel cranio, agli istinti (10), alle facoltà morali (12), alle fenomenologie percettive (14) e riflessive (2), distribuiti con un divario tra lobi frontali, connessi alle « funzioni superiori », calvaria ricettiva delle scelte etiche e sezione inferiore occipitale deputata a passioni e sensualità. Sezioni che hanno attirato feroci polemiche sulla ricerca di Gall, troppo penalizzata come « craniomanzia ». 41 Le aree cerebrali esistono, confermate e completate dall’Idea of Anathomy of the Brain, 1811, di Charles Bell, ed esiste un riscontro anatomico innegabile sull’ispessimento osseo volto a proteggere certe zone cerebrali. Ma protezione non significa eccellenza di quell’area cerebrale in un carattere umano, così come altre ipetrofìe e lacune ossee non hanno mai verificato attività dello spirito o di quella « memoria » inquisita da Gall e, a suo dire, rivelata da « occhi sporgenti ». L’essere « dello spirito » non è certo in un qualsiasi « osso » scrisse beffardamente Hegel nella sua Fenomenologia dello Spirito (1807), liquidando, con sufficienza, la questione : « con il cranio non si uccide, non si ruba, non si scrivono versi ». 42 Tuttavia l’interesse craniometrico di Gall fu certamente il trait d’union tra il positivismo frenologico e quello di Cesare Lombroso, che doveva richiamare in causa, dopo tanti silenzi e allusioni sfuggenti, Della Porta. Esistevano – e sono stati censiti – numerosi manuali che preludono, con precise illazioni fisiognomiche, alle tipologie sancite dal lombrosiano Genio e follia (del 1864). Testi di forte valenza psichiatrica, spesso compromessi con le prassi diagnostiche del cefalografo e del miografo, già in uso nello studio degli « alienati » dalla Francia di Paul Broca all’Italia di Biagio Miraglia (il suo Trattato di frenologia applicata è del 1853, e oggetto di studi recenti). 43 È comunque Lombroso che, con L’uomo delinquente (1876), giunse a una sintesi in cui emerge, rinnovata su basi statistiche, la vecchia fisiognomica, depurata da inverificabili riscatti etici di tradizione (da Della Porta a Gall). Il moderno scienziato ne rinnova i fasti  









































40   Ivi, p. 43 (Lettera aperta sul programma organologico del 1798). Si è citato il passo per correggere la ricerca di P. Magli, Il volto e l’anima, cit., p. 359 che parla di « morale » con un « fondamento » solo « organico » dei frenologi, ignorando la dialettica cerebrale ipotizzata dal ricercatore. 41   L’esatto numero dei punti è errato negli storici che ignorano il contributo (anonimo), Organologia o saggio di una nuova dottrina intorno alla struttura e alle passioni del cervello, Bologna, Tip. Dall’Olmo, 1835 : una copia è conservata nella Biblioteca felsinea dell’Archiginnasio, segn. 10. zz. iii. 21, op. 3. Ulteriori ragguagli nel classico Arthur E. Walker, The Development of the Concept of Cerebral Localisation in the Nineteenth Century, « Bulletin of the History of Medicine », xxxi (1957), pp. 99-121. 42   Georg W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di Vincenzo Cicero, Milano, Rusconi, 1995, pp.457 e 459. Gli tenne dietro, con vero humour, Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e come rappresentazione, a cura di Ada Vigliani, Introduzione di Gianni Vàttimo, Milano, Mondadori, 1989, p. 17, rimarcando la nullità della fisiognomica, dato che proprio Hegel – genio indiscusso – era, a vedersi, un « birraio ». Cfr. Bruno Basile, Della Porta, Bartoli e la fisionomia del genio, « Filologia e Critica », xxix (2004), 1, pp. 145-51. 43   Ad esempio Théophile Thoré, Dictionnaire de phrénologie et de physionomie, Paris, Libr. Usuelle, 1836 ; Alexandre David, Le petit docteur Gall, ou l’art de connaître les hommes, Paris, Passaud, 1852 ; Alexandre Isabeau, Lavater et Gall. Physiognomonie et phrénologie rendues intelligibles par tout le monde, Paris, Garnier, 1862. Bibliografia su Miraglia di Giuseppe Arnocida, in *Diz. Biogr. degli It., lxxiv, 2010, pp. 780-84. Ancora apprezzabile Giuseppe Antonini, I precursori di Lombroso, Torino, Bocca, 1900 ; vasta bibl. in *Nevrosi e genialità, a cura di Johannes Cremerius, Torino, Bollati Boringhieri, 1975.  































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nella diagnosi delle « devianze » somatiche significanti, confermata però da anomalie comportamentali, tipiche di delinquenti, pazzi o geni. Anomalie che è possibile documentare con l’uso della fotografia e ricorrendo a complesse statistiche. Non dimentichiamo : il Museo lombrosiano di Torino è innanzitutto una raccolta – ancor oggi sorprendente – di migliaia di volti e corpi fotografati con connesse schede craniometriche (volume cerebrale, diametri frontali, apofisi nasali, anomalie di ogni sorta : celebre l’expertise condotta sul bandito Villella). 44 Certo i quattrocento crani di Gall sembrano poca cosa rispetto alla fisiognomica di 6.608 delinquenti scrutati da Lombroso con l’ausilio del Traité des dégénérescences di Bénédict Augustin Morel (1857) e dell’anatomia comparata dell’evoluzionismo darwiniano. Ma i risultati, anche conoscendo The Origin of Species, 1859 e The Descent of Man, 1879, rimangono per Lombroso scarsi, generici : il « tipo criminale » è « segnalato da orecchie ad ansa, fronte bassa, plagiocefalia, mandibola voluminosa, asimmetria facciale, peluria sul fronte [...] ». E poi ricorre – implicita in Della Porta, Camper, Carus, Blumenbach … – l’analogia razziale, che suona per noi, oggi, razzista :  





















[...] in sette dei miei esaminati la pelle aveva un colorito più scuro del normale, in uno affatto bronzino. Uno stupratore siciliano, una brigantessa napoletana, due assassini lucchesi, per l’obliquità dell’orbita, per la rotondità del cranio, quadrature del fronte, per la sporgenza e distanza degli zigomi, per la mandibola quadra e allungata ed ingrossata e pel colore giallastro del derma, presentavano una esatta riproduzione del tipo mongolo […] ; qualcuno come Cartouche […], per lo sfuggire della fronte, per la piccolezza del cranio, pel naso sporgente, si avvicinavano al tipo scimmiesco. 45  



Nel testo emerge il tema della « regressione » ferina del delinquente ricondotto alla morfologia di razze ritenute inferiori (nera e mongolica). E davvero poco muta nel caso della follia e del genio, quasi intercambiabili per Lombroso, visto che l’uomo creativo pagherebbe la sua forza intellettuale con nevrosi e malattie fisiche. 46 Lo scienziato si confessa adepto entusiasta di teorie dellaportiane sul cranio « sfuggente » o « ellittico » dei reprobi, e non esita a caldeggiare un ritorno ad Aristotele, unendo persino il noto scrittore della Fisiognomica col medievale autore del Secretum secretorum. La scienza procede così, inverosimilmente, à rebours :  















Anche Aristotele trovava indizio di lussuria il color bianco, l’abbondanza di peli, i capelli ritti e crespi e neri, le tempie ricoperte di peli, le palpebre rigonfie ; al cinedo dà gli occhi smorti, il collo torto a destra e il camminare incerto. La testa piccola è segno di insensato ; la fronte piccola di indisciplina. Anche il colorito livido, giallo è per Aristotele indizio cattivo, e scrivendo ad Alessandro, l’avverte di guardarsi da chi tal colore porti, perché molto inclinati ai vizi e alla lussuria, e l’avverte parimenti di guardarsi da coloro che hanno le tempie gonfie e le guancie piene perché molto proclivi all’iracondia. 47  





44  Cfr. Giorgio Colombo, La scienza infelice. Il Museo di antropologia criminale di Lombroso, Torino, Bollati Boringhieri, 1975 (a p. 63 la prova degli studi su Gall) ; Silvano Turzio, Renzo Villa, Alessandro Voli, Locus solus. Lombroso e la fotografia, Milano, B. Mondadori, 2005 ; Maria Teresa Milicia, Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso, Roma, Salerno Ed., 2014. 45   Cesare Lombroso, L’uomo delinquente, Quinta edizione, 1897. Presentazione di Armando Torno, Milano, Bompiani, 2014, pp. 326-27. La cit. precedente – sul criminale con « orecchie ad ansa » – è a p. 163. « Cartouche » è il soprannome del bandito parigino Louis-Dominique Bourguignon (1693-1721), divenuto eroe della letteratura popolare. I più utili correttivi a questo passo sono Frank H. Hankins, La race dans la civilisation, Paris, Payot, 1935 e Maurice Olender, Razza e destino, tr. it. di Daniele Barbieri, Milano, Bompiani, 2014. 46  Vd. Renzo Villa, Il deviante e i suoi segni. Lombroso e la nascita dell’antropologia criminale in Italia, Milano, F. Angeli, 1985, da correlare a Cesare Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di Dario Frigessi, Ferruccio Giancanelli, Luisa Margoni, Torino, Bollati Boringhieri, 1995. Indispensabile, di Dario Frigessi, Cesare Lombroso, Torino, Einaudi, 2003. 47   C. Lombroso, L’uomo delinquente, cit., p. 346 (lo scienziato si servì, per la cit., di Giovanni Ingegneri, Fisionomia naturale, Milano, G. Bordoni, 1607). Cfr. Mary Gibson, Born to Crime. Cesare Lombroso and the Italian Origins of Biological Criminology, Westport (Conn.), Praeger, 2004 ; *Cesare Lombroso cento anni dopo, a cura di Silvano Montaldo e Paolo Tappero, Torino, utet, 2009.  













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La citazione rivela i limiti dell’epistemologia lombrosiana, nella sua pervicace volontà di cercare « una varietà infelice d’uomo » nel delinquente, nel malato, nel genio. Non tanto nella ricerca di certe auctoritates classiche nobilitanti, ma nella convinzione, fallace – già presente nella fisiognomica di Della Porta a Gall – che la scienza sia una raccolta di dati messi in bella copia il cui numero è di per sé garante del vero. Il ricercatore, invece, deve interrogare la natura come « giudice » non come « scolaro » (lo scrisse Kant nella Critica della ragion pura), essere interprete di una serie di regolarità percepite in cui anche l’eccezione sia compresa da una teoria organica. Lombroso non capì che la statistica offre tendenze, casistiche fenomeniche e non leggi, in ogni caso variabili nei contesti storici dell’antropologia. 48 Chi oggi darebbe credito al tatuaggio o al gergo quali tratti distintivi di un criminale, come scrive il nostro scienziato che sembra vivere, in proposito, nella società descritta, nel 1862, da Hugo nei Misérables ? A questa défaillance se ne aggiunse una più grave. Lo studioso, darwinista professo, non seppe percepire in tempo il valore del saggio The Expression of Emotions in Man and Animals del maestro inglese, edito nel 1872, che mutava tutti i parametri della fisiognomica classica, recepita da Darwin attraverso il biologo Charles Bell (Anathomy and Philosophy of Expression, 1806) e violentemente contestata. 49 Darwin conosce i dati di fondo della disciplina, ma ne revisiona, innanzitutto, con documentazione anatomica e fotografica, alcuni presupposti troppo scontati. La gestualità è esclusa dal trattato, perché legata ad abitudini culturali e non istintive, e la stessa frenologia è relegata quale mera ipotesi sulla causa della semiotica espressiva, incapace di offrire delle regole verificabili. Questa mimica dell’anima è ritenuta da Darwin categoria universale, comune agli uomini e agli animali, i primati in particolare. Aristotele e Della Porta, dunque, qualcosa di fondamentale lo avevano intuito nei loro trattati, che lo scienziato inglese definisce, peraltro, di « scarso o nessun aiuto ». 50 L’espressione, indipendente dalle strutture ossee soggiacenti dei volti, è attivata da tre principî, ancor oggi accettati dagli antropologi moderni. 51 Per Darwin esiste innanzitutto un movente interno, legato ad « abitudini associate utili » che « alleviano o soddisfano particolari sensazioni ». Poi un « principio dell’antitesi » (riuso di movimenti « altamente espressivi » nel caso di stimoli diversi), e infine un perdurante « eccesso di energia nervosa », nell’uomo che si trasmette « in alcune direzioni definite ». La conclusione, laconica, è che  

















































qualunque sia la qualità di verità che la cosiddetta scienza fisiognomica possa contenere, essa sembra dipendere […] dal fatto che persone diverse usano frequentemente muscoli facciali diversi a seconda della loro disposizione mentale, per cui questi muscoli possono svilupparsi più del normale ; e di conseguenza le rughe e i solchi che si formano sul loro volto a causa della contrazione abituale  

48  Cfr. Alfredo Niceforo, La fisionomia nell’arte e nella scienza. Descrizione-interpretazione-statistica, Firenze, Sansoni, 1952 e il più moderno Evandro Agazzi, Scientific Objectivity and its Context, New York, Springer, 2014. 49   Il capolavoro fu tradotto in italiano : L’espressione dei sentimenti nell’uomo e negli animali, a cura di Giovanni Canestrini, Torino, Unione Tip. Ed., 1878. Vd. ora l’ed. critica a cura di Paul Ekman, Torino, Bollati Borighieri, 1999, con un « saggio sulle illustrazioni » di Philip Rodiger, ragguardevole per la bibl. Ottima guida al darwinismo Giulio, Barsanti, Una lunga pazienza cieca. Storia dell’evoluzionismo, Torino, Einaudi, 2005. 50   Vd. nell’ed cit. di Paul Ekman il saggio L’espressione delle emozioni è universale ?, pp. 394-415 e Silvan Tomkins, Affect, Imagery, Consciousness, New York, Springer, 1963. Per un più vasto contesto culturale, vd. il lavoro monumentale di Stephen J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, tr. it. di Giorgio Arduino et alii, Torino, Codice Ed., 2003. 51   Non entriamo, in questa sede, nella querelle, accesa da studiosi del Novecento (Margaret Mead, Gregory Bateson, Ray Birwistell), di un’origine sociale di tutti gli aspetti dell’emotività esteriorizzata : vd. George Goddenthal, Processing Facial Affect, in *Handbook of Research on Face Processing, a cura di Adrew Young e Hadyn D. Ellis, Amsterdam, Holland Press, 1989, pp. 107-61 ; Peter Goldie, The Emotions. A Philosophical Exploration, Oxford, Oxford Univ. Press, 2000. Mirabile David Efron, Gesture, Race, Culture, The Hague-Paris, Mouton, 1972.  











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diventano più profondi e vistosi. La libera espressione attraverso segni esteriori delle emozioni li intensifica. D’altro canto, la repressione, finch’è possibile, di tutti i segni esteriori attenua le nostre emozioni. 52  

La dinamica nervosa e muscolare di uomini ed animali sostituisce così gli apparati ossei, la cute e i capelli dell’antica ricerca ; per Darwin sono di valore « neutro » o collegabili, al più, a patologie mediche. La statica fisiognomica di Della Porta, Lavater e seguaci riceve così un colpo mortale, neppure degno del « forse » cauteloso di Leonardo. La storia della disciplina si arena così tra cultori attardati (spiccano in Italia Enrico Ferri e Paolo Mantegazza) e manuali sempre più sbiaditi ed inutili. Nessuno di essi sembra nemmeno essersi accorto che Kant, prima di Darwin, nel 1798, studiando Della Porta e seguendo le complesse derive craniologiche di Camper, aveva scritto che « un bitorzolo sul naso indichi un motteggiatore, e che la forma particolare del volto del cinese, che ha la mascella inferiore un po’ più sfuggente della superiore sia indice di cocciutaggine, o il fatto che gli Americani abbiano la fronte coperta di capelli fino alla tempia sia un indice della loro povertà di spirito, sono congetture che consentono soltanto una interpretazione malcerta ». 53 Un’esegesi che, seguendo il mito dell’Innerlichkeit dell’uomo, ha avuto nondimeno riprese moderne (da Karl Bühler ad Hans Blumenberg), senza che la « fausse science » rivelasse ancora, nel Novecento, il suo vero statuto paradossale. Affine a quello della grafologia – oggetto, si noti, di un libro di Lombroso nel 1895 – capace, certo, anch’essa di stabilire tipologie segniche oggettive, ma inadatta a cogliere i tratti di un carattere. Se ne accorse, a sue spese, Ludwig Klages, ultimo fisionomo classico, 54 e filologo, assai discusso, del ductus espressivo della mano.  





















52   Ch. Darwin, L’espressione dei sentimenti, cit., p. 390 (ed. Ekman cit.). Passo ricordato anche da P., Getrevi, Le scritture del volto, cit., p. 165. 53   I. Kant, Critica della ragion pratica e altri scritti morali, cit., p. 721 (Antropologia pragmatica, part. ii). Vd. anche, per ricostruire il contesto, Maurizio Giuffredi, Fisiognomica, arte e psicologia tra Otto e Novecento. In Appendice, Saggio di Fisiognomica di Rudolph Töpffer, Bologna, clueb, 2001, spec. per l’ottima bibl. 54  Cfr. Karl Bühler, Teoria dell’espressione. Il sistema alla luce della storia, tr. it. di Lucio Pusci, Roma, Armando, 1978 ; Hans Blumenberg, La leggibilità del mondo, tr. it. di Bruno Argenton, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 195-208 ; Ludwig Klages, La scrittura e il carattere. Principi ed elementi di grafologia, tr. it. di Gemma Sartori, Milano, Mursia, 1982 ; Id., Perizie grafologiche su casi illustri, a cura di Giampietro Moretti, Milano, Adelphi, 1994. Ha afferrato stupendamente il paradosso fisiognomico un romanziere del Novecento, esprimendo così il dolore di una donna innamorata e respinta : « Lo sai cosa significa essere brutta per tutta la vita e sentire dentro di sé che si è bella ? » : Ernst Hemingway, Per chi suona la campana, tr. it. di Maria Napolitano Martone, Milano, Mondadori, 2013, cap. x, p. 104. Anticipato (c’era da dubitarne ?) da Hegel, Fenomenologia, cit., p. 455 con questa sententia : « la forma dell’uva e il gusto del vino sono liberi l’una rispetto all’altra ».  









   











ANOTACIONES CRÍTICAS DE GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA A LA FISIOGNOMÍA DE PSEUDO ARISTÓTELES Miguel Ángel González Manjarrés Introducción

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l humanismo filológico había dejado honda huella en científicos y naturalistas del final del Renacimiento. Aunque sus trabajos textuales no solían ser sistemáticos, en sus obras reservaban cierto lugar a la crítica para conocer la tradición escrita y contrastarla con la realidad, lo que al tiempo les confería apariencia erudita y prestigio intelectual. En tal sentido, también Giovan Battista della Porta aprovechó sus conocimientos de latín y griego para introducir en sus obras comentarios críticos a algunos textos antiguos. Aunque hay ejemplos de ello en buena parte de sus trabajos, en De humana physiognomonia (1586) se recurre a la crítica de forma especialmente frecuente. Es esta obra el primer y más completo tratado fisiognómico de un proyecto que habría de completarse luego con la Phytognomonica (1588) y la Coelestis phisiognomonia (1603). 1 Como es habitual en su método de trabajo, también Della Porta confecciona la Fisiognomía humana a modo de summa de toda la tradición precedente, desde la Antigüedad hasta sus días. Tal afán totalizador convierte la obra en un monumento erudito de recolección de fuentes y en una «operazione di montaggio in unum corpus di fragmenta». 2 La originalidad dellaportiana radicaría en el ensamblaje de todo ese material previo, pues en la obra hay en realidad poca aportación propia. 3 Los testimonios de otros autores se reproducen a menudo sin juicio alguno, como pura información, 4 pero otras veces se comentan, se censuran y se corrigen. Tal ocurre sobre todo con los textos griegos de fisiognomía antigua y, más en especial, con la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles. 5 En este trabajo se comentan precisamente algunas notas filológicas de Della Porta a dicho texto, como un « case study » que pueda ayudar a entender mejor su manejo de las fuentes y su pericia filológica.  













1   Oreste Trabucco, Il Corpus fisionomico dellaportiano tra censura e autocensura, « Rinascimento », 43 (2003), (pp. 569-599), p. 585. 2   Luigia Laserra, Disiecta membra colligere : chirurgia testuale della Villa tra membratim e insitio, en *Giambattista Della Porta in edizione nazionale, a cura di Raffaele Sirri, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2007, p. 77. 3   Casi todo es material libresco, incluidas las explicaciones fisiológicas y los ejemplos literarios e históricos que ilustran las equivalencias fisiognómicas. Se subraya el asunto, por ejemplo, en Katherine MacDonald, Humanistic self-representation in Giovan Battista della Porta’s Della fisonomia dell’uomo : Antecedents and innovation, « Sixteenth Century Journal », 36 (2005), 1, pp. 397-414. 4   Habitual en las obras fisiognómicas del xvi : Martin Porter, Windows of the Soul : Physiognomy in European Culture, c. 1500-1800, Oxford, Oxford University Press, 2005. 5   Según Loveday-Forster (1), la obra dellaportiana «has also proved very useful» para la fijación del texto griego. Otro tanto indica Maria Fernanda Ferrini, « Animi a corporis motibus non sunt impassibiles ». I Physiognomonica del Corpus Aristotelicum nel De Humana Physiognomonia di Giovan Battista Della Porta, « Rivista di Cultura Classica e Medioevale », 54 (2012), 2, (pp. 333-361), pp. 358-360. Las referencias completas de las ediciones y traducciones de Pseudo Aristóteles se ofrecen en las Siglae del final.  























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miguel ángel gonzález manjarrés Peripecia editorial del Pseudo Aristóteles

Los Fusiognwmonikav, de finales del siglo iv o comienzos del iii a.C., se atribuyeron siempre a Aristóteles, si bien ya en el Renacimiento empezó a ponerse en duda su autoría. 6 El texto aparece dividido en seis capítulos, pero suele considerarse que tal disposición encubriría dos obras distintas, quizá de autores diferentes. El tratado, breve y preciso, 7 se difundió de forma notable en el mundo antiguo y constituyó el fundamento de la siguiente obra fisiognómica de importancia : la Fisiognomía de Polemón de Laodicea (ca. 135 d.C.), solo transmitida en versión árabe. 8 Este texto fue en el siglo iv objeto de un epítome atribuido a Adamancio, que a su vez estuvo en la base de un nuevo texto bizantino sobre el que más tarde se compondría el Pseudo Polemón, atribuido en el Renacimiento (y así siempre en Della Porta) al Polemón originario. 9 En el siglo ix Hunayn ibn Ishaq tradujo ya al árabe el Pseudo Aristóteles, 10 si bien su expansión en el Occidente medieval llegaría con la versión latina (1258-1266) de Bartolomeo de Messina, que fue la forma como se leyó mayoritariamente hasta al menos el final del Renacimiento. Según Förster, 11 se conservan 62 manuscritos que transmiten el texto, a la vez que desde la princeps de Venecia 1472 fue objeto de numeras ediciones impresas, algunas con correcciones interesantes, como puede apreciarse por ejemplo en el comentario de Agostino Nifo 12 de Venecia 1523. El texto griego de Pseudo Aristóteles, por su parte, vio la luz ya en los Opera omnia de Aldo Manuzio de Venecia 1495-1498. Pese a que se convierte casi en vulgata, recibió enmiendas en ediciones posteriores, como la giuntina de Niccolò Leonico Tomeo de 1527 o, sobre todo, la reedición aldina de Giovan Battista Camozzi (Camutius) de 1551-1553 o las basilenses de Simon Grynäus (Grinaeus) aparecidas en la imprenta de Isingrin en 1531, 1539 y 1550, con sucesivas mejoras textuales. La versión de Bartolomeo, asimismo, se corrigió y adaptó a un latín más humanístico en dos ocasiones. La primera adaptación está en los Opera omnia latinos que Grynäus edita en la imprenta basilense de Oporinus en 1538. Este texto latino, atribuido a un incertus auctor, es el que reproduce Bekker en el volumen cuarto de su edición de Aristóteles. La segunda aparece en los Opera latinos que edita Giovan Battista Bagolino en la imprenta giuntina en 1550-1552, que sigue de cerca la versión de Nifo. Pero también en el siglo xvi  















6   Así Della Porta en dos ocasiones : si idem Animalium historiae et Physiognomoniae sit author (N 62) ; hunc librum Aristoteli adscriptum putant (N 174). Förster (1, xix-xx) y Vogt (192), no obstante, aseguran que fue Francisco Sánchez el primero en hacerlo. Cfr. Miguel Ángel González Manjarrés, El comentario de Francisco Sánchez a la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles, en *Humanismo, diáspora e ciência. Séculos xvi e xvii, ed. António Andrade, Júlio Costa, Porto, Universidad de Aveiro-Biblioteca Municipal do Porto, 2013, pp. 271-284. Las ediciones dellaportianas del De humana physiognomonia se citan abreviadas y su referencia completa está también en las Siglae del final. 7   Un buen estudio puede verse en George Boys-Stones, Physiognomy and Ancient Psychological Theory, en *Seeing the Face, Seeing the Soul. Polemon’s Physiognomy from Classic Antiquity to Medieval Islam, ed. Simon Swain, Oxford, Oxford University Press, pp. 55-75. 8   Simon Swain, Polemon’s Physiognomy, in *Seeing the Face..., cit., pp. 125-201. 9   Las ediciones de Adamancio y Pseudo Polemón están en Förster (1, 95-431). Una edición más reciente de Adamancio puede verse en Ian Repath, The Physiognomy of Adamantius the Sophist, in *Seeing the Face ..., cit., pp. 487-547. Por lo demás, Pseudo Aristóteles, Polemón y Loxo son la base del llamado Anónimo Latino, también del siglo iv : Jacques André, Anonyme latin, Traité de physiognomonie, Paris, Les Belles Lettres, 1981. 10   Y, al parecer, es Della Porta el primero que da noticia de ello en Occidente : a propósito de una anotación crítica ofrece en traducción latina la lectura árabe a partir de un códice quem nobis Patriarcha Antiochiae Romae videndi copiam fecit (N 203). 11   La edición crítica está en Förster (1, 5-91), aunque ya antes había ofrecido un primer texto con el estudio de su tradición : Richard Förster, De translatione latina Physiognomonicorum quae feruntur Aristotelis, Kiliae, Schmidt 12 & Klaunig, 1884.   Ennio de Bellis, Bibliografia di Agostino Nifo, Firenze, Olschki, 2005.  









anotaciones críticas de della porta a la fisiognomía de aristóteles 73 hubo otras dos traducciones propias, aunque de escasa difusión : la que publicó el médico español Andrés Laguna en París 1535 según el texto griego de la edición aldina, y la del médico y teólogo alemán Jodocus Willich, que apareció en Wittenberg en 1538 también sobre el texto de Aldo, aunque con interesantes conjeturas. 13 Por su parte, el médico y naturalista suizo Conrad Gessner 14 propuso numerosas correcciones y conjeturas para el texto de Pseudo Aristóteles a lo largo de su célebre enciclopedia sobre animales (cuatro volúmenes entre 1551 y 1558 y un quinto en 1587). No obstante, la edición griega del siglo xvi más completa y de mayor calidad filológica sería la de Friedrich Sylburg, en cuyo volumen sexto, aparecido en Frankfurt en 1587 (un año después, por tanto, que la obra de Della Porta), se incluía la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles, a la que añadió una serie de notas críticas muy valoradas por los editores posteriores.  





Metodología crítica Todas las anotaciones críticas de Della Porta a Pseudo Aristóteles están ya en la edición princeps, publicada en cuatro libros en Vico Equense 1586, aunque terminada hacia 1583. 15 En la edición latina ampliada a seis libros (Nápoles 1599-1601, con reproducción casi exacta en 1602), así como en la versión italiana de Nápoles 1610, apenas se detectan cambios y, los que hay, se deben a variantes gráficas y a leves modificaciones gramaticales. Aun así, en los ejemplos expuestos se incluyen dichas variantes cuando resultan significativas, para lo que se han cotejado las tres ediciones referidas, además de la reciente edición crítica de Paolella (Hum y FisII). El texto se compara con algunas ediciones griegas y latinas de Pseudo Aristóteles que probablemente consultara Della Porta. Para conocer la pervivencia de sus propuestas, se remite a veces a ediciones y traducciones modernas del texto. El estudio de estas anotaciones se estructura de la siguiente manera. Se hace primero un breve análisis de las que serían notas de traducción. Se pasa luego al estudio de las conjeturas y lecturas propias sobre el texto griego, algunas aceptadas hoy día y otras no. Por último, se hace un breve repaso de las anotaciones que se presentan como conjeturas propias, pero que posiblemente Della Porta tomara, sin citarlas, de otras fuentes.  

Notas de traducción e interpretación En este apartado es el filósofo Agostino Nifo la diana frecuente de las críticas dellaportianas : mala interpretación del griego y esfuerzo baldío por dar coherencia doctrinal a propuestas equivocadas. Por ejemplo, al describir los rasgos del hombre amable, se dice que es de rostro noble y no apresurado. Della Porta escribe faciem festinam, celerem (N 184) para traducir el griego ejpisperchv~ (Arist. Phgn. 808a7) (notado mal en todas las ediciones : ejpiperchv~ V 85 ; ejpipeihv~ N, I 107), pero censura que Nifo (7ra) optara satis incuriose por subdolam y que quisiera explicarlo por causas naturales. En otra ocasión (N 121) critica a Nifo por malinterpretar el pasaje (Ps. Arist. Phgn. 810b31-33) correspondiente a la parte superior de la espalda enhiesta (metaphrenum erectum) : en lugar de ello, Nifo (12va-b) trae supinum et concavum y, en vez de hacerlo corresponder con tipos gloriosi et insipientes, lo asigna a molles et dementes. Della Porta concluye con aspereza : O indignam tanto philosopho interpretationem et declarationem !  











13   Miguel Ángel González Manjarrés, Jodocus Willich, Oratio in laudem physiognomoniae : estudio, edición, traducción, anotación, « Ágora » 13 (2011), pp. 203-264. 14   Laurent Pinon, Conrad Gessner and the Historical Depth of Renaissance Natural History, en *Historia. Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, ed. Gianna Pomata, Nancy G. Siraisi, Cambridge (ma)-Londres, mit 15 Press, 2005, pp. 241-267.   Alfonso Paolella, Introduzione, en Hum, pp. xi-xii.  





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Hay casos, no obstante, en que ocurre lo contrario : Della Porta, sin decirlo, parece basarse en Nifo para proponer una interpretación diferente. Así se aprecia, por ejemplo, al tratar de la espalda velluda : el texto griego dice ajnaidei`~ (Ps. Arist. Phgn. 812b22), ‘insolentes’ o ‘desvergonzados’, pero Della Porta propone una enmienda basada en la realidad : ya que el signo va referido a las bestias, sería mejor entender asperi, puesto que bellae potius asperae et immites sunt quam inverecundae (N 388). Inverecundus es el término que aparece en Bartolomeo (Förster 1,79), pero en Nifo (18rb) se leía ya la propuesta dellaportiana : Qui dorsum valde pilosum habent, asperi, referuntur ad feras. Las traducciones modernas, no obstante, mantienen el significado propio del término griego. Pero también es aquí blanco de las críticas dellaportianas Bartolomeo della Rocca, apodado Cocles, que había publicado su Chiromantie ac physionomie anastasis en Bolonia 1504. 16 Baste citar un ejemplo significativo : al enumerar los rasgos del cobarde, se dice que tiene las pantorrillas levantadas por arriba, lo que Della Porta (N 241) pone con la expresión surae sursum ductae, que traduce el griego gastroknhmivai (Ps. Arist. Phgn. 812b22) (gastroknumiva N) y que Cocles, siguiendo la versión de Bartolomeo (Förster 1,29), interpreta como la parte elevada del vientre (quae sunt sub umbilico sursum tracta). 17 Della Porta concluye taxativo : quid sibi dicat ignorat. Pero la versión de Della Porta sigue en realidad a Nifo (6ra), que ya escribía lo mismo y había dado la pista para que hicieran lo propio otros intérpretes como Willich (C6r : surae sursum versus retractae) o Bagolino (73va : surae sursum contractae). Aun cuando en ocasiones Della Porta plantea casos que contradicen el texto original y nadie ha tenido en cuenta, hay otros en que corrige las ediciones previas con acierto justificado. Cuando, por ejemplo, se ofrecen los rasgos del afeminado, se incluye un gonuvkrotoi (Ps. Arist. Phgn. 808a13) que todos los traductores (Bartolomeo [Förster 1,34], Willich [C7v] y las ediciones de Grinäus [633] y Bagolino [73vb]) genu flexibilem interpretantur, ego vero genu rumorem faciens incedendo (N 243). Esa versión, la de entrechocar las rodillas al andar, es la que hoy día se recoge en todas las traducciones modernas de Pseudo Aristóteles.  



















Lecturas propias Un mejor análisis del acumen filológico dellaportiano puede realizarse cuando hay lecturas que varían el texto griego receptus – la edición aldina con las correcciones sucesivas de Leonico, Grynäus y Camozzi – y que nadie antes había sugerido. Algunas de esas conjeturas no tuvieron éxito editorial, pero otras se han reconocido y algunas incluso aceptado. Veamos unos ejemplos. La cara carnosa se atribuye a tipos cobardes por analogía con asnos y ciervos. Pero Della Porta (N 89) ve aquí una contradicción, ya que esos animales tienen en realidad la cara huesuda. Y corrobora su sospecha, entre otras fuentes, con el texto de Pseudo Polemón, que reproduce el mismo pasaje y dice – en palabras de Della Porta – valde ossosa facies. 18 De ahí la conjetura final : ob id corrigendus textus et pro sarkovdh (sarkwvdh V 93) reponendum o[stinoi. Della Porta no parece que leyera el texto griego de Pseudo Polemón, que traía ojstw`dh, 19 en el que se basa Förster (1,62) (seguido por Loveday-Forster y Swain) para  





16   Raffaela Zaccaria, Bartolomeo della Rocca, detto Cocles, in *Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 37, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1989, pp. 302-306. 17   Cocles, Chiromantie ac physionomie anastasis, Bononiae, s. n., 1504, f. dd6rb. 18   La traducción latina de Niccolò Petreio traía qui valde ossosam faciem habuerint : cfr. Polemonis Atheniensis naturae signorum interpretationis, Venetiis, ex officina Gryphii, 1552, f. 178. 19   Así ya en la princeps griega (Polevmono~ fusiognwmonikw`n ejgceirivdiou~, Romae, s. n., 1545, p. 91), y sin variantes manuscritas : Förster 1,429.  



anotaciones críticas de della porta a la fisiognomía de aristóteles 75 justificar idéntica conjetura, pero sin mencionar a Della Porta. Los demás editores y traductores modernos mantienen el sarkwvdh originario (Ps. Arist. Phgn. 811b7), sin atender a la otra propuesta ni comentar la aparente incongruencia de sentido. En el Renacimiento, asimismo, nadie se apercibió de ello, ni siquiera Conrad Gessner (1,7 y 1,365), objeto del reproche dellaportiano. 20 Otro ejemplo interesante se lee en la descripción del tipo soñoliento : el texto de Pseudo Aristóteles trae de forma unánime, para definir su aspecto, el término gupwvdei~ (Ps. Arist. Phgn. 808b7), algo así como ‘semejante a los buitres’. Della Porta (primero en N 85 y luego con más detalle en N 255) aprecia aquí un sinsentido : ¿por qué el soñoliento habría de tener el aspecto de un buitre ? Su propuesta, que basa en Pseudo Polemón (Förster, 1,428), es entender uJpnwvdei~ (así en V 256 ; uJpniovdei~ N ; ijhnovden~ I 313), es decir, somniculosus. La versión de Bartolomeo (Förster 1,39) no traía nada, como tampoco Willich (D1v) o la edición de Grynäus (634), pero Bagolino (74ra) lo interpreta por curvipedes, como antes había hecho Nifo (8ra). Sylburg, en su comentario crítico (143), propone como Della Porta la lectura uJpnwvdei~ basándose igualmente en Pseudo Polemón : ¿es una coincidencia, como ocurre en otros ejemplos, o es en realidad un uso tácito de Della Porta ? La conjetura, en todo caso, se acepta en Förster (1,38), que esta vez se la atribuye expresamente a Della Porta. Pero otros editores optan por soluciones diferentes : la mayoría (Hett, Raina, Martínez Manzano, Ferrini, Swain) prefiere la lectura originaria, mientras que Loveday-Forster aceptan el término ojgkwvdei~, ‘voluminoso’, que había propuesto ya Rose. 21 Vogt (390-391), por su parte, considera que se trata de un añadido espurio y que debería eliminarse del texto, lo que explicaría que la versión de Bartolomeo no lo hubiera recogido. Pero atribuye Vogt la conjetura a Förster, sin mencionar a Della Porta, su autor originario. Della Porta se limita en ocasiones a la detección de corruptelas a partir del texto latino, sin proponer ninguna lectura griega. Cuando Pseudo Aristóteles dice que los de muslos huesudos y rellenos son débiles como las mujeres, Della Porta considera que ese osseas et carnosas coxas (N 142) no puede ser una expresión correcta, porque los muslos de las mujeres no son huesudos. Basándose en Adamancio y Pseudo Polemón (Förster 1,358), afirma que debería hablarse de coxae inarticulatae et molles. 22 El texto griego original, que Della Porta no cita, trae ojstwvdei~ (Ps. Arist. Phgn. 810a37), que es lo que leen todas las ediciones renacentistas y prácticamente todas las modernas, sin apercibirse de la contradicción en el sentido de la frase. Solo Sabine Vogt (421) propone la conjetura sarkwvdei~, que coincide en el sentido con la de Della Porta, aunque nada dice de él. Pero las enmiendas de Della Porta a veces se ven recogidas de forma unánime en la tradición del texto pseudoaristotélico. En la descripción de la frente del hombre valiente encuentra Della Porta (N 63) una corruptela : en el texto griego que maneja se lee mevtwpon ... ijscuvon (así en la edición aldina [397r], que repiten Leonico [278v] y Camozzi [836], aunque Grynäus [564] trae el más correcto ijscivon, ‘cadera’ ; el griego de Della Porta de nuevo es erróneo : ijscnovn V 58 ; ijcurovn N ; ijcnovn I 78), lo que lleva a las ediciones latinas del siglo xvi a traducir por gena (Grynäus 635) y nates (Nifo [5va] y Bagolino [73va]). Della Porta propone, entonces, una corrección paleográfica : se trataría de un error de u por n, de forma que el término correcto sería ijscnovn (ijocgovn V 58 ; ijknovs N ; ijcnovn I 78) y la expresión  





































20   La mención nominal está en V 92, pues en la edición en seis libros sustituye el nombre por el indefinido quidam, como hace siempre. Quizá haya detrás un intento de disimular una fuente habitual o una manera de omitir el nombre de un célebre protestante. En todo caso, se le vuelve a nombrar otra vez en I 113. 21   Valentin Rose, Aristoteles Pseudoepigraphicus, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1863, p. 703. 22   Adamancio, en versión de Jano Cornario, dice surae ... tenerae vero et inarticulatae (Adamantii sophistae Physiognomonicon, Basileae, per Robertum Winter, 1544, p. 47) ; el Pseudo Polemón latino de Petreio (Polemonis ..., cit., pp. 170-171) trae tibiae ... molles vero et male articulatae.  

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significaría macra frons. La lectura se recoge en todos los editores modernos (Ps. Arist. Phgn. 807b3), que nada dicen al respecto ni mencionan a Della Porta. En cualquier caso, Bartolomeo debió de manejar ya un códice griego con el término correcto, pues traduce igualmente macra, lo que quizá diera a Della Porta indicios para la conjetura. 23  

Lecturas basadas en otros autores La consulta de ediciones griegas y versiones latinas posibilitó a Della Porta la detección de corruptelas y la propuesta de soluciones. Por ejemplo, cuando describe la frente minus plana (N 62), el texto griego de Pseudo Aristóteles (Ps. Arist. Phgn. 811b32) se lo atribuye a tipos ajnaivsqhtoi (‘estólidos’) y los compara con los perros. Della Porta no encuentra sentido a la frase, pues los perros no son precisamente stolidi, como traduce Gessner (1,185) (doctus quidam N), a quien censura otra vez por no haberse dado cuenta de ello. Al final de su nota, Della Porta añade que prefiere aquí la vetus translatio y, sin dar otra lectura griega, desestima el original ajnaivsqhtoi (así en V 56, pero ajnaivshtoi N ; ajnevsqhtoi I 76) y propone el latino sagaces. Las adaptaciones de Bartolomeo (la versión original traía insensibiles : Förster 1,71) le habrían dado la pista, pues tanto la edición de Grynäus (638) como la de Bagolino (76va) dicen lo mismo : qui autem minus planam habent, sagaces, referuntur ad canes. No obstante, idéntica corrección estaba ya – una vez más – en Agostino Nifo (15va), de quien la habrían tomado los otros y quizá el propio Della Porta. La conjetura latina la puso en griego Förster (1,70), que lee aquí aijsqhtikoiv, como aceptan luego otros editores modernos (Raina, Martínez Manzano, Vogt, Ferrini), mientras que Loveday-Forster preferían eujaivsqhtoi. Otro caso se observa cuando Pseudo Aristóteles describe los rasgos de la cara diminuta, que atribuye a gatos y monos. Pero las ediciones griegas (Aldo [401], Leonico [283], Grynäus [567], Camozzi [845]) traen un extraño mikra; nw`ta en vez del esperado mikra; provswpa. Della Porta (N 88) aprecia una corruptela, que justifica con otros pasajes de la propia obra (al pusilánime, por ejemplo, se le atribuía ya una cara pequeña : Ps. Arist. Phgn. 808a30) y los testimonios paralelos de Adamancio y Pseudo Polemón (Förster 1,379). Y no desaprovecha la ocasión para sus acostumbradas censuras a Nifo (14vb) y Gessner (1,347) (de nuevo quidam doctus N), que nada habían advertido del problema. Pero Della Porta, aunque no da el término griego, bien podría haber detectado la corruptela en la versión latina de Willich (B3v), donde se dice mikrav non nw`ta sed provswpa subrrogabis, lo que luego se incluye como nota marginal en la tercera edición basilense del texto griego (Grynäus2 544), a la que a su vez remite Sylburg (323a). Incluso la versión latina de Bartolomeo (Förster 1,69) solucionaba el asunto omitiendo el término conflictivo y dejando un simple qui valde parvam habent. Förster (1,68), en cualquier caso, acepta la conjetura y menciona las dos fuentes griegas, pero se olvida de Willich y Della Porta. Todos los editores modernos admiten la corrección, aunque no comentan la inconsecuencia original. El autor que está detrás de no pocas conjeturas dellaportianas es Conrad Gessner : aunque expresamente lo cita solo para censurarlo, hace pasar por propias, siempre a la callada, numerosas propuestas filológicas del suizo que, por tanto, consideraría correctas. Baste citar, ya para concluir, un par de ejemplos. Al describir los dedos compactos, Pseudo Aristóteles se los atribuye a hombres cobardes y los compara con las codornices de zonas pantanosas. Pero Della Porta advierte (N 150) que el griego o[rtuga~ (‘codornices’) (Ps. Arist. Phgn. 810a3), que trae de forma unánime la tradición y reproducen todas las ver 









23   Bartolomeo C5r. En efecto, el códice griego en que se basó Bartolomeo debió de ser un texto emparentado con el arquetipo del que provendrían todos los códices griegos conservados : Förster 1,li-lii ; Vogt 218.  



anotaciones críticas de della porta a la fisiognomía de aristóteles 77 siones latinas desde Bartolomeo (Förster 1,55), es una corruptela y que, a cambio, debería leerse o[rniqa~ (‘aves’), puesto que las codornices no son aves palustres. Pero la propuesta estaba ya en Gessner (2,345), de donde la toma Della Porta casi con las mismas palabras :  

Della Porta

Gessner

Graecus textus mendosus est, nam non o[rtuga~ legendum, sed (nam V 175) ortix avis palustris non est, sed o[rniqa~ reponendum. Sunt enim aves palustres multae digitis pedum angustius iunctis, quasi membranosae, et timidae sunt.

Sed ortyx avis palustris non est, legendum coniicio o[rniqa~ non o[rtuga~. Sunt enim aves palustres multae digitis pedum angustius iunctis et timidae.

Förster (1,54) acepta la conjetura y remite solo a Gessner, sin mencionar a Della Porta. Le siguen, entre otros, Loveday-Forster, Vogt, Ferrini o Swain, mientras que Hett, Raina o Martínez Manzano leen ‘codornices’. Por último, al hablar del color de los ojos, hay un tipo que en las ediciones griegas se dice oijnopoiv (‘color de vino’), que denotarían estolidez y se referirían a las cabras. El texto griego, según Della Porta (N 174), estaría corrupto y habría que leer aijgwpoiv, pues ya Aristóteles llamaba así a los ojos claros y semejantes a los de las cabras (HA 1.10.492a3-4 ; GA 5.1.799a33-34), lo que de nuevo le hace sospechar de la condición apócrifa de la Fisiognomía. La conjetura, en cualquier caso, se leía igual en Gessner (1,276), que justificaba con las mismas citas de Aristóteles y otra más de Ludovico Ricchieri (Celius Rodiginus) reproducida como propia en Della Porta : aegopos oculos subglaucos intelligerem et caprinos. 24 La conjetura, una vez más, se acepta en Förster (1,76), que alude en el aparato crítico a Gessner y Della Porta. La recogen en sus textos, entre otros, Loveday-Forster (aunque con reservas), Raina, Martínez Manzano, Ferrini o Swain, mientras que optan por ‘ojos vinosos’ Hett o Vogt.  





Conclusiones Della Porta adopta una actitud filológica ante la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles que le permite solucionar pasajes conflictivos y, al tiempo, dar a su obra calidad erudita. No consulta manuscritos ni hace cotejos sistemáticos, sino que se limita a comentar los lugares que cree corruptos o problemáticos. Pero el análisis de esas anotaciones puede dar idea de su capacidad filológica y, como dice Silvia Rizzo en referencia a los humanistas, permite que se les restituyan «congetture che nei nostri apparati vanno sotto il nome di studiosi moderni». 25 Della Porta lleva a cabo un trabajo filológico destacable en De humana physiognomonia. No solo se muestra fino y sofisticado conocedor de las lenguas clásicas, sino que tiende a fundamentar sus conjeturas con argumentos sólidos (crítica interna y externa, conocimiento empírico de la realidad, recursos paleográficos, lingüísticos y léxicos, etc.). Para ello se vale de diferentes ediciones griegas y versiones latinas. El texto griego que habría manejado sería la edición aldina con las correcciones incorporadas por Camozzi (y posible cotejo de las de Grynäus). En latín parece haber consultado la traducción original de Bartolomeo y las adaptaciones humanísticas de Grynäus y, en especial, de Bagolino. A ellos habría que sumar el texto de Nifo y posiblemente la traducción de Willich.  

24   Ludovici Caeli Rodigini Lectionum antiquarum libri xxx, Basileae, Hier. Frobenium et Nicol. Episcopium, 1542, 13,8,477. 25   Silvia Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1973, p. 173.

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De todas sus consultas Della Porta obtiene pistas para proponer traducciones distintas o lecturas propias, no sin censurar a quienes no habían advertido las corruptelas o habían ofrecido soluciones diversas. Pero también aprovecha los hallazgos ajenos y, sin decirlo, los incrusta en su obra con diferentes modos de adaptación : si censura tanto a Nifo y a Gessner, usa numerosas lecturas de ambos sin mencionarlos y, por tanto, haciéndolas pasar por propias. Aunque cabe detectar cierto grado de «riuso», 26 que envuelve los préstamos en zona de sombra, a veces se reproducen fragmentos literales que desvelarían una suerte casi de plagio. 27 Sea como fuere, el análisis de sus anotaciones textuales muestra otra perspectiva quizá menos estudiada del científico napolitano : la de quien, amparado en el dominio de las lenguas clásicas, se siente aún con competencia para proponer arreglos textuales e incluirlos en una obra que pretendía conferir naturaleza racional a la fisiognomía y divulgarla en forma de summa completa. El estudio filológico de Della Porta, en fin, puede revelar datos muy interesantes para conocer mejor su modo de trabajar, su comprensión y uso de los textos clásicos y otras fuentes posteriores y, en definitiva, su categoría intelectual.  







26

  Paolo Cherchi, Polimatia di riuso. Mezzo secolo di plagio (1539-1589), Roma, Bulzoni, 1998.   Se asiste, una vez más, a ese difícil equilibrio entre copia, robo e imitación que caracterizó la literatura de la época : cfr. Luciana Borsetto, Il furto di Prometeo. Imitazione, scrittura, riscrittura nel Rinascimento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1990. 27



anotaciones críticas de della porta a la fisiognomía de aristóteles 79 SIGLAE Della Porta V : Io. Baptistae Portae Neapolitani De humana physiognomonia libri iiii, Vici Aequensis, apud Iosephum Cacchium, 1586. N : Io. Baptistae Portae Neapolitani De humana physiognomonia libri vi, Neapoli, apud Tarquinium Longum, 1602. I : Della fisonomia dell’huomo del Sig. Gio. Battista della Porta napolitano libri sei, Napoli, appresso Gio. Giacomo Carlino e Costantino Vitale, 1610.  





Ediciones griegas Aldo : Aristotelis opera Graece, Venetiis, in domo Aldi, 1495-1498. Leonico : A ristotelis opera omnia, Florentiae, per haeredes Philippi Iuntae, 1527. Grynäus : Aristotelis summi semper viri ... opera, Basileae, per Io. Beb. et Mich. Isingrinum, 1539. Grynäus 2 : Aristotelis summi semper philosophi ... opera, Basileae, per Io. Beb. et Mich. Isingrinum, 1550. Camozzi : Aristotelis De historia animalium et reliqui huic disciplinae agnatos libros continens tomus iii , Venetiae, Aldi filii, 1553. Sylburg : Aristotelis varia opuscula, vol. 7, Francofurdi, apud Andreae Wecheli heredes, 1587.  











Traducciones latinas, comentarios, anotaciones Bartolomeo : Liber Aristotelis de physiognomia, Lipsigi, per Baccalaureum Vuolffgangum Monacensem, 1517. Nifo : Parva naturalia Augustini Niphi medices philosophi Suessani, Venetiis, mandato et expensis heredum ... domini Octaviani Scoti, 1523. Grynäus : Aristotelis Stagiritae ... opera quae quidem extant omnia, Basileae, Oporinus, 1538. Willich : Physiognomonica Aristotelis Latina facta a Iodoco Vuillichio Reselliano, Vitebergae, in officina Nicolai Schirlentz, 1538. Gessner : Conradi Gesneri medici Tigurini Historiae animalium liber i De quadrupedibus viviparis, Tiguri, apud Christophorum Froschoverum, 1551 ; Historiae animalium liber ii De quadrupedibus oviparis, Tiguri, excudebat O. Forschoverus, 1554. Bagolino : Aristotelis Stagiritae extra ordinem naturalium varii librii, vol. 7, Venetiis, apud Iuntas, 1553.  













Ediciones y traducciones modernas Bekker : Aristoteles Graece, a cura di I. Bekker, vol. 2, Berlin, G. Reimer, 1831. Förster : R. Förster, Scriptores physiognomonici Graeci et Latini, 2 vols., Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1893. Loveday-Forster : Aristoteles, Physiognomonica, trad. ingl. T. Loveday, E. S. Forster, Oxford, Clarendon Press, 1913. Hett : Aristotle, Minor Works, trad. ingl. W. S. Hett, Cambridge (Ma.)-London, Harvard University Press, 2000 (= 1936). Raina : Pseudo Aristotele, Fisiognomica. Anonimo latino, Il trattato di fisiognomica, trad. it. G. Raina, Milano, Rizzoli, 1993. Martínez Manzano : Pseudo Aristóteles, Fisiognomía, trad. esp. T. Martínez Manzano, Madrid, Gredos, 1999. Vogt : Aristoteles, Physiognomonica, trad. alem. S. Vogt, Berlin, Akademie, 1999. Ferrini : Aristotele, Fisiognomica. Testo Greco a fronte, trad. it. M. F. Ferrini, Milano, Bompiani, 2007. Swain : S. Swain, «Appendix. Ps.-Aristotle, Physiognomy», en *Seeing the Face, Seeing the Soul. Polemon’s Physiognomy from Classic Antiquity to Medieval Islam, ed. S. Swain, Oxford, Oxford University Press, 2007, pp. 637-661.  

















L’AUTORE DELLE ILLUSTRAZIONI DELLE FISIOGNOMICHE DI DELLA PORTA E LA RITRATTISTICA. ESPERIENZE FILOLOGICHE Alfonso Paolella

I

l gran numero di edizioni latine e italiane della Humana Physiognomonia di G. B. Della Porta offrono un osservatorio privilegiato, se non unico, sul panorama dell’industria editoriale italiana ed europea del xvi e xvii secolo soprattutto per quanto concerne la circolazione dei rami e la lavorazione dei tipografi. In un saggio 1 del 2007 già auspicavo di effettuare un esame sinottico complessivo per verificare quali immagini fossero trasmigrate nelle diverse opere del nostro autore e lo stesso voto era formulato anche nella Introduzione alla mia edizione della Humana Physiognomonia (Hum., p. xxvii). L’importanza che il Della Porta attribuisce alle illustrazioni, nell’ambito di un preciso e maturo codice retorico che regola il rapporto testo/immagine, viene elaborata in sede teorica nel 1583 dall’Ars reminiscendi. 2 Prova della progressiva maturazione di questo convincimento, è una lettera che Teodosio Panizza, medico personale del card. Luigi D’Este, il 21 gennaio 1580, scrive al suo padrone e lo informa che il Nostro sta lavorando « intorno al libro di Fisionomia », ancora manoscritto, e che « ha trovato un pittore che lo serve in colorire sul libro le sorte de gli occhi ». 3 In seguito lo stesso Della Porta, nel riferirsi al manoscritto, ormai finito, in una missiva del 14 maggio 1583 al medesimo cardinale, precisa che è corredato di « alcune tavole di scienze ». 4 Il 7 febbraio 1615, tre giorni dopo il suo decesso, il notaio Luzio Capozzuto 5 nel redigere l’inventario dei beni del defunto, annota, tra gli altri oggetti, « novi intagli sopra rama (35) ; novantuno altri intagli sop(r)a rama p(er) stampare libri che sono in tutto 101 » : 6 a conti fatti, 100.  



























   

1   Alfonso Paolella, Appunti di filologia dellaportiana, in *Giambattista della Porta in Edizione Nazionale, Atti del convegno di studi a cura di Raffaele Sirri, Napoli, Istituto italiano per gli Studi Filosofici, 2007, (pp. 161-178), p. 170. 2  « L’ufficio della immaginativa […] si è di formare […] a guisa d’un pittore eccellente, un ritratto delle cose materiali e di disegnar co ‘l suo pennello nella memoria […] accioché, venendoci poi voluntà di ricordarci di quello, per mezzo dell’intelletto, che tosto alla memoria ricorre, e qui quella ideale pittura contempla, ci ricordiamo delle cose che noi vogliamo, appunto come se ci fossero davanti agli occhi » (Ars p. 57, 8-16). Anche i gesti, gli abiti, i colori devono rinviare ai mores delle persone o dei personaggi facilitando il processo di memorizzazione. 3  « ha trovato un pittore […], il qual libro vuol fare trascrivere d’una bellissima mano, perché facilmente lei possi leggerlo ». Giuseppe Campori, Gio. Battista Della Porta e il Cardinale Luigi d’Este, « Atti e memorie della Regia deputazione di storia patria per le provincie Modena e Parma », vi (1872), (pp. 165-190), p. 170. 4   Il Della Porta così scrive al card. D’Este : « Il libro della Fisionomia è complito, e ci vuol più tempo ad aver qui licenza per stamparlo che non ci ha voluto a comporlo. Ho fatto alcune tavole di scienze che piacevano a V. S. Ill. molto, se comandarà, gli ne manderò alcune ». Il volume esce tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre del 1586. Ivi, pp. 187 e 190. 5   All’evento erano presenti la figlia Cinzia, il genero Filesio Di Costanzo, i nipoti Leandro ed Eugenio, ma anche Giovanni De Rosa. Cfr. Giorgio Fulco, Per il “Museo” dei fratelli Della Porta, in *Rinascimento meridionale e altri studi in onore di Mario Santoro, a cura di Maria Cristina Cafisse ... et al., Napoli, Sen, 1987, poi in La « meravigliosa » passione. Studi sul Barocco tra letteratura ed arte, Roma, Salerno editrice, 2001, p. 289. Il De Rosa, giurisperito in utroque iure e grande estimatore di Giambattista, fu anche editore nel 1601 a Oberursel dell’edizione latina della Humana e, inoltre, prestanome sia per la traduzione della stessa Humana (ed. Longo, 1598) che della Magia Naturalis (ed. Scarano, 1611), opere ambedue sospette all’Inquisizione. 6   Nella prima stanza, tra altri oggetti, « Dicesette teste di marmo poste dentro li nichi de diverse imagine,  























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Non ci è concesso investigare il contenuto iconico dei rami, né a quali opere appartenessero. Forse appartengono all’edizione italiana della Fisionomia dello Scarano perché si trovano presso la « cascia di noce co(n) diversi libri sciolti de fisonomia dedicati all’Ill(ustrissi)mo et Ecc(ellentissim)o S(igno)r Vicere di Nap(oli) ». 7 Naturalmente altre opere non possono essere escluse, ma le matrici potrebbero essere anche le note « Tavole di fisionomia » (o « Tavole di scienze » ?) oggetto di trattativa tra il Della Porta e il Cesi, alcuni anni prima, per porre le premesse della erigenda colonia lincea napoletana. 8 La raffinata calligrafia e l’eleganza dei rami della princeps vicana sono esemplari. 9 Nelle edizioni successive, ad istruzione dei tipografi, alcune illustrazioni sono annotate con numeri arabi o romani per indicare la loro successione nel testo. Non è possibile rintracciare con assoluta certezza l’incisore e/o il disegnatore di questi bellissimi rami, ma affiorano troppi indizi che suffragano la figura di « Geronimo de Nouo siculo » come disegnatore e incisore. Nel seguente prospetto, si riassume la situazione delle edizioni italiane e latine fino alla fine del sec. xvii.  























et si(gnante)r una de Alexandro Magno, una altra de Cesare augusto, et un’altra de Cicerone » (2) ; un ritratto del nostro autore (9) ; « sissanta sette midaglie de pionbo ; (19) Una cascia di noce co(n) diversi libri sciolti de fisonomia dedicati all’Ill(ustrissi)mo et Ecc(ellentissim)o S(igno)r Vicere di Nap(oli) ( 29) ; novi intagli sopra rama (35) ; novantuno altri intagli sop(r)a rama p(er) stampare libri che sono in tutto 101 (36) ». Giorgio Fulco, Per il “Museo” … cit., pp. 289-90. Sia i rami che le statue e le medaglie ritrovate nella casa dell’estinto, denunciano la passione per il collezionismo dei fratelli della Porta, Giovan Vincenzo e Giovan Battista, oggetto del citato studio del compianto G. Fulco. Il viceré di Napoli è Pedro Fernández de Castro (1610-1616) cui è dedicata l’edizione dello Scarano del 1610. Sotto la sua reggenza diventò rinomata l’Accademia degli Oziosi, fondata il 3 maggio 1611, da Giambattista Manso. A questa aderirono fra gli altri il Della Porta, Giambattista Marino, Giambattista Basile e Giulio Cesare Capaccio. 7   Giorgio Fulco, Per il “Museo” ..., cit., p. 290. 8   Lettera di Cesi a Stelluti, Roma, aprile 1613 in Giuseppe Gabrieli, Il Carteggio Linceo, Roma, Accademia Naz. dei Lincei, 1996, p. 350. 9   Giuseppe Cacchi (1535 ?-1593 ?) inizia l’attività di tipografo con alcuni soci all’Aquila prima di trasferirsi a Napoli intorno al 1567. Pur continuando ad agire all’Aquila, a Napoli e a Vico Equense, il suo lavoro di stampatore, ritenuto già prestigioso, cessa all’Aquila nel 1581. A Vico esercita, primo stampatore di questa città, presso la sede vescovile favorito dal vescovo Paolo Regio, anche lui sensibile all’importanza della stampa. Grazie al Cacchi, il vescovo potrà pubblicare numerose opere devote. Anche se con qualche dubbio, fu definito tipografo itinerante, fenomeno questo abbastanza diffuso (anche Giovanni Giacomo Carlino va a impiantare una tipografia presso Carlo Gesualdo, principe di Venosa e lavora per brevi periodi a Vico Equense e a Cosenza ; Costantino Vitale nel 1617 presso l’arcivescovo di Trani, Diego Alvarez, ecc. ; cfr. Elena Scrima, Mobilità e iniziativa imprenditoriale. Esempi di società editoriali tra xvi e xvii secolo, « Paratesto », vol. 10, 2013, pp. 111-120 ; Domenico Ciccarello, Mobilità dei tipografi e committenza di aristocratici e religiosi nel xvii secolo, « Paratesto », pp. 121-148) ; sembra che trasportasse addirittura i torchi tra Vico Equense e Napoli. Cfr. Pietro Manzi, La tipografia napoletana nel ’500 : annali di Giuseppe Cacchi, Giovanni Battista Cappelli e tipografi minori : (1566-1600), Firenze, Olschki, 1974, pp. 9-20. Al momento della pubblicazione della Humana ha al suo attivo circa 140 opere. Nel 1570 aveva pubblicato, insieme ad altre opere di Telesio, anche il De rerum natura successivamente proibito ; altri fastidi, per motivi politici, gli erano derivati dalla pubblicazione dei Commentari agli Usus feudorum di Andrea d’Isernia e dalla pubblicazione della Vita Ignatii Loyolae del Ribadeneira del 1572, anch’essa censurata. Nel 1572 subisce un processo da parte dell’Inquisizione per aver pubblicato False Indulgentiae de li grani. Viene scomunicato e rischia anche la condanna come eretico dall’arcivescovo Mario Carafa. Il nuovo arcivescovo di Napoli, Paolo Burali D’Arezzo, però, gli toglie la scomunica, ma dovrà pronunciare una pubblica abiura e per un biennio non potrà stampare. Il suo silenzio dura dal 1578 al 1580. Tuttavia la fama del Cacchi legata all’accuratezza e alla perfezione della stampa, una certa benevolenza del vescovo Regio, i consolidati rapporti familiari con la città di Vico inducono il Della Porta a pubblicare in questa città. Il Cacchi, dopo aver subito alcune disavventure anche negli anni ’80, sembra allinearsi alle convenienze commerciali della stampa napoletana alle direttive tridentine. Negli anni successivi rinuncia consapevolmente a partecipare al dibattito teologico pubblicando, in particolare, libri devozionali. Cfr. Carlo De Frede, La stampa a Napoli nel Cinquecento e la diffusione delle idee riformate, in *La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno, Roma, 17-21 ottobre 1989, a cura di Marco Santoro, vol. ii, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 769-770 e anche Alfonso Ricca, Cacchi Giuseppe, in Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti in Italia tra Quattrocento e Seicento, coordinato da Marco Santoro, a cura di Rosa Marisa Borraccini ... et al., vol. i, pp. 203-4, Pisa-Roma, Serra, 2013.  









































l ’ autore delle illustrazioni delle fisiognomiche di della porta edizioni latine 1583, [manoscritto perduto]. 1586, lib. 4, Josephum Cacchium, Vici Aequensi, in folio. 1593, lib. 4, Guilielmum Antonium, impensis Petri Fischeri, Hanoviae, in 8º.  ? [manoscritto in 6 libri perduto]. 1599/1601 lib. 6, Tarquinium Longum, Neapoli, in folio. 1601, lib. 4, Cornelii Sutorii, sumptibus Ione Rosae, Ursellis, in 8º. 1602, lib. 6, Tarquinium Longum, sumptibus Pauli Venturini,1 Neapoli, in folio. 1618, lib. 4, Nicolaum Hoffmannum, impensis haeredum Jacobi Fischeri, Francofurti, in 8°. 1650, lib. 4, sumptibus Ioannis Berthelin, Rothomagi, in 8°.

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edizioni italiane 1588, [manoscritto in 4 libri distrutto nel 1860]. 1598, lib. 4, Tarquinio Longo, Napoli, in folio. ? [manoscritto in 6 libri conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli]. 1610, lib. 6, Carlino & Vitale, per Salvatore Scarano, Napoli, in folio. 1613, lib. 6, Pietro Paolo Tozzi, Pasquati, Padova, in 4º. 1615, lib. 6, Pietro Paolo Tozzi (dedica datata 1613) Vicenza (senza immagini), in 4º. 1623, lib. 6, Pietro Paolo Tozzi, Padova, Pasquato, in 4°. 1625, lib. 6, Pietro Paolo Tozzi, Vicenza, in 4°. 1627, lib. 6, Pietro Paolo Tozzi, Padova, ristampa dell’ed. precedente, in 4º. 1644, lib. 6, Christoforo Tomasini Venezia, in 4º. 1652 lib. 6, Eredi di G.B. Combi, Venezia, in 8°. 1668, lib. 6, Nicolò Pezzana, Venezia, in 4º.

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I frontespizi Il frontespizio decorato deve essere, per Della Porta, una sorta di riassunto visivo dove in un sol colpo d’occhio in una vistosa composizione si deve percepire il contenuto dell’opera. Al titolo è riservato poco spazio diventando in qualche modo secondario. Nella disamina dell’edizione vicana sul lato sinistro si leggono le diverse tipologie di volti avvolti in manieristici cartigli e/o volute e, parallelamente, sul lato destro i relativi animali associati per comportamento. Nel pedice il viso della persona e dell’animale si fonde in una sola immagine. Il medaglione ovale raffigura l’autore a 50 anni circa. I frontespizi subiscono mutamento soltanto nel cartiglio del frontone : l’edizione vicana (Fig. 1) riferisce : Io(annis) Baptistae Portae / Neapolitani / De Humana Physiognomonia / Libri iiii / Ad Aloysium Card(inalem) Estensem. Nell’edizione Longo (Fig. 2) si legge : Io(annis) Baptistae Portae Neapolitani / De Humana Physiognomonia / Li(bri) vi / In Quibus Docetur Quo(modo) Animi Propentes / Naturalibus Remediis Compesci Po/ssint. Nell’edizione Scarano (Fig. 3) il frontespizio è riservato al viceré Pedro de Castro, Conte di Lemos, mentre il ritratto dell’autore è relegato sul verso della pagina dove si legge semplicemente : Giovan Battista / Della Porta / Napolitano. Inoltre, sui frontespizi l’annotazione « Geronimo de Nouo siculo f(ecit) » si legge solo nelle edizioni del Longo e dello Scarano (Figg. 2-3) e manca nella princeps del Cacchi (Fig. 1). L’attività di questo incisore è attestata dal 1600 al 1610. 11 Il frontespizio, fatta eccezione per i cartigli, è assolutamente identico nelle tre edizioni ed è impossibile, con gli strumenti dell’epoca, eseguire una copia così perfetta. A meno che l’incisore non abbia rivendicato fraudolentemente la proprietà intellettuale di tutta la composizione, e questo non è impossibile, esiste però una serie numerosa e coerente di indizi che confermano essere  













10   Paolo Venturini, libraio, aveva fatto pubblicare presso lo Stigliola a Porta Regale anche due opere del Tasso : I discorsi del poema heroico e il Dialogo delle Imprese, ambedue, forse, nel 1594. 11   Pietro Zani, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti dell’abate d. Pietro Zani fidentino, parte i, vol. 14, Parma, tip. Ducale, 1823, p. 94.  

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lui l’autore non solo del frontespizio della princeps, ma anche delle matrici di tutte le illustrazioni. Intanto il « f(ecit) » indica che in lui si identifichi sia il disegnatore che l’incisore del frontespizio. Inoltre, nelle diverse edizioni, nessuna altra immagine è firmata, e se il Geronimo sigla il frontespizio, è ragionevole che sia anche l’incisore delle altre illustrazioni non diversamente rivendicate. In seguito verranno forniti ulteriori indizi. Pertanto l’attività del Geronimo, già raffinato incisore, va retrodatata al 1586. E, a testimonianza della sua bravura, uno stesso Geronimo de Novo siculo (difficile pensare ad una omonimia nello stesso settore) si trova a Roma, nel 1598, come cartografo a incidere una topografia di Ferrara. 12 Resta il mistero sul motivo della mancata rivendicazione dell’immagine sul frontespizio della princeps. Trascuratezza ? Gli fu proibito dall’autore ? E perché l’autore, conservando le matrici, come vedremo in seguito, avrebbe tollerato poi la sua firma nelle edizioni successive con ben due stampatori diversi ? Più plausibilmente, l’incisore nel 1586 non aveva raggiunto una fama tale da rivendicare l’opera, fama arrivata solo in seguito. Le edizioni tedesche di Hanau e Oberursel, (Fig. 4) tipograficamente meno eleganti, riportano, invece, il ritratto dell’autore cinquantenne di profilo e senza cornice.  











Le immagini Nell’introduzione alla Humana Physiognomonia (pp. xxix-xxxii) elaborai una tabella sinottica delle immagini nelle diverse edizioni utilizzando, secondo le convenzioni editoriali dell’Edizione nazionale, solo le opere pubblicate in vita. Dall’analisi della collocazione e trasmigrazione delle incisioni si può notare che già nell’edizione Fischer (Hanau, 1593), la prima successiva alla princeps, le immagini presentano differenze di realizzazione tali da dedurre dover essere stati elaborati/copiati da un’altra mano. Riportiamo, per motivi di spazio, una sola immagine : la figura maschile. Da un’attenta indagine sinottica si possono individuare, tra le edizioni latine ed italiane, tre famiglie : la « napoletana », in folio, che riproduce le immagini della princeps del Cacchi, (Fig. 5) le diverse edizioni di T. Longo e di Carlino & Vitale ; 13 la « tedesca », in 8°, che ha il suo capostipite nell’edizione Fischer del 1593 (Fig. 6) e accoglie nella famiglia le edizioni di Oberursel (in verità, una ristampa della Fischer, 1593), di Francoforte (1618) e di Rouen del 1650 ; la terza famiglia, « veneta », in 4°, con edizioni stampate tra Vicenza, Padova e Venezia, è rappresentata dalle edizioni italiane del Tozzi, (Fig. 7) Tomasini e Pezzana. 14 Le illustrazioni dell’edizione « eredi Combi », in 8°, (Fig. 8), anch’essa « veneziana » del 1652, sono assolutamente diverse e vengono rivisitate in uno stile più moderno, ovvero con interpretazioni barocche. Ogni « famiglia » viene stampata nello stesso formato (in folio, in 8° e in 4°) particolare tecnico importante perché favorisce la trasmigrazione delle incisioni senza alcun problema di reimpostazione tipografica. La traduzione italiana del Longo del 1598, in 4 libri, dichiara nel frontespizio di aggiungere altri rami. Tuttavia in molte pagine si leggono didascalie prive di immagini 15 venendo meno alla promessa. Le matrici non erano ancora pronte o l’autore contava di aggiungere  







   



























12   Stefano Bifolco, Fabrizio Ronca, L’Italia e i suoi territori : cartografia rara italiana : 16. secolo : catalogo ragionato delle carte a stampa, Roma, Antiquarius, 2014, p. 386. 13   Sull’attività di questi tipografi cfr. Pietro Manzi, La tipografia napoletana nel ’500 : annali di Giovanni Giacomo Carlino e di Tarquinio Longo : (1593-1620), Firenze, Olschki, 1975. 14   Non vengono prese in considerazione l’edizione del Tozzi del 1615 e l’edizione di Vitale Mascardi, Roma, 1637 prive di immagini. L’edizione romana, inoltre, non ripropone il testo, ma solo tavole sinottiche elaborate da Francesco Stelluti, accademico linceo e amico del Della Porta. 15   A pp. 48-49, 52-53. 58-59, 60-61, 63, da 69 a 172, 177-179, 204-5 e da 218 alla fine. Inoltre le pp. 37-38 e 39-40 sono erroneamente numerate e le p. 43-44 omesse nella numerazione.  









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i rami nella futura edizione latina del 1602 in sei libri ? Il volume riceve comunque l’imprimatur dal vicario dell’arcivescovo, Vittorino Manso. Le immagini mancanti in questa edizione si trovano effettivamente nella successiva edizione latina, purtroppo tipograficamente trasandata e sciatta, 16 ed, essendo tutte della stessa mano della princeps, confermano il lavoro del Geronimo come incisore. Le edizioni « tedesche » vengono prodotte in un’area abbastanza circoscritta della Germania e in un arco di tempo di 25 anni. L’edizione di Rouen esce a ben trenta anni dall’ultima edizione tedesca. È facile pensare che le matrici abbiano potuto circolare con tutta comodità. Quella di Francoforte, degli eredi del Fischer (1618), trasferiti in quella città per motivi, forse, commerciali, essendo la città diventata un grosso nodo di traffici, presenta le stesse illustrazioni delle precedenti anche se collocate in pagine diverse per motivi di architettura tipografica. 17 In una lettera del 21 febbraio 1614, inviata dall’erudito tedesco Marcus Welser al Faber, socio dell’Accademia dei Lincei, che si era preoccupato di far pubblicare i trattati del Nostro in Germania, si legge : « che le opere totalmente nove si accetteranno, ma non le vecchie per averne gli librai ancora molte copie invendute, et se bene il s.r. Porta dice di haverle migliorate assai, questo non basta a persuader gli stampatori che dannifichino se stessi di proposito, smaccando in tal modo le p.i. [precedenti] editioni non ancora smaltite ». 18 Questo potrebbe essere stato il motivo della circolazione in Germania solo dell’edizione in 4 libri. Anche nelle successive edizioni della Coelestis Physiognomonia (ed. latina del Sottile del 1603 19 e quella italiana di Scoriggio del 1614) l’autore utilizza molte matrici dell’edizione vicana della Humana. 20 Le successive edizioni italiane del Tozzi (1616, 1622, 1623, 1627) e del Tomasini (1644) sono in 4° e le immagini dell’Humana sono composte da altra mano. In sintesi, per l’edizione latina dell’Humana si possono individuare due rami della tradizione : quella napoletana, che ha come capostipite la princeps con le illustrazioni quasi  























16   In maniera più dettagliata così riferivo nell’Introduzione alla mia edizione della Humana a p. xx : « l’edizione del 1602 ebbe numerosi esemplari : il volume conservato alla Biblioteca “Marciana” di Venezia dovrebbe essere uno dei primi esemplari stampati, perché la successione dei numeri delle pagine del primo libro è corretta. Successivamente T. Longo, lo stampatore, venuto in possesso di ben 4 rami, decide di inserirli tra le pagine 32 e 33 smembrando anche il testo della pagina 33 che costituisce la fine del cap. xv. Tuttavia, durante la composizione tipografica, si rende conto che l’impaginazione non potrà più essere né coerente, né corretta, e, pur inserendo le immagini, lascia la pagina 33, ivi compreso il numero della pagina, esattamente come era stata stampata in precedenza. Cosciente che il lavoro presenta qualche incrinatura, all’ultima pagina, nel descrivere la fascicolazione del volume, avverte : « Omnes sunt duerni praeter E, unde ante E, post D, solitarium E addes, quod Typographi incuria omissum erat ». Infine, pur restando il campo della scrittura identico, le pagine hanno un formato diverso : l’edizione del 1599 (NL) misura cm. 28,50 × 19,20 ; quella del 1602 (NL1), cm. 30 × 20. Nonostante l’allargamento della pagina il campo di scrittura è rimasto inalterato e anche gli spazi non hanno subito modifiche al punto che alcune illustrazioni sono state ritagliate (p. 245, 267, NL) o hanno addirittura invaso la scrittura sottostante (p. 212, 269, NL1). » A p. 71 si legge solo la didascalia, « Peculiari figura caninas aures in quibus cum humanis potissimus convenireat, praeposuimus » senza immagine. 17   Sull’importanza del commercio librario a Francoforte e sui rapporti librari italo-tedeschi cfr. Heinz Finger, Editoria italiana - editoria tedesca nel ’500, in *La stampa in Italia nel Cinquecento, cit., pp. 697-732 ; e, inoltre, Carlo De Frede, La stampa a Napoli nel Cinquecento …, cit., pp. 753-776. 18   Roma, Biblioteca Corsiniana, Archivio della Pia Casa degli Orfani di S. Maria in Aquiro, Fondo Faber, vol. 419, f. 163. (cito dalla mia edizione : pp. xxiii-xxiv). 19   Non considero l’edizione latina di Strasburgo dello Zetzener del 1606 che rimase non illustrata forse per la difficoltà di far pervenire i rami all’editore o, più probabilmente, perché l’editore non trovò economicamente conveniente far incidere i rami in proprio come fece, per la Humana, il Fischer nel 1593. 20   Marte e Saturno (ed. lat. 1603, p. 42 ; ed. it. 1614, p. 26) ; Giove e Mercurio (ed. lat. 1603, pp. 28, 69 ; ed. it. 1614, p. 20) ; Fauno e Venere (ed. lat. 1603, p. 60) ; Sole e Luna (ed. lat. 1603, pp. 53, 78 ; ed. it. 1614, p. 34) ; Satiro, becco e testa umana (ed. lat. 1603, p. 148 ; ed. it. 1614, p. 99) ; Duca Valentino e Tamerlano (ed. lat. 1603, p. 10 ; ed. it. 1614, p. 9) ; Corpo eretto a braccia aperte (ed. it. 1614, p. 6) ; Pico della Mirandola (ed. lat. 1603, p. 75) ; L’uomo de’ pessimi costumi (ed. lat. 1603, p. 182 ; ed. it. 1614, p. 123) ; Figura di androgino con nèi (ed. lat. 1603, p. 164 ; ed. it. 1614, p. 111).  

























































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certamente di Geronimo de Novo ; quella tedesca, che ha come capostipite l’edizione Fischer e con un ignoto incisore. Per le edizioni italiane della stessa opera si individuano tre rami della tradizione : quella napoletana, che ripropone le illustrazioni delle equivalenti edizioni latine ; quella veneziana, in cui sono ricopiate da altra mano le immagini napoletane ; infine quella eredi Combi con immagini diverse dagli altri due rami della tradizione. In conclusione il formato del capostipite di ogni « famiglia » ha condizionato sia la dimensione delle immagini che la loro collocazione nel volume. Da tale quadro filologico si pone una prima questione : a chi appartenevano le matrici dei rami e come circolavano ? Per la famiglia « napoletana » le matrici certamente erano conservate dal Della Porta che controllava il loro uso presso i diversi tipografi e dovrebbero essere quegli stessi rami incisi da Geronimo de Novo che vengono conservati e registrati, accanto ai fogli sciolti dell’edizione Scarano, all’indomani della sua morte. Lo stesso comportamento vale per gli editori (Fischer e Tozzi) che producono in proprio le matrici e restano di loro proprietà conservandone il monopolio per la riutilizzazione nelle diverse rispettive edizioni. Questi editori, non potendo entrare facilmente in possesso delle matrici, fanno copiare da propri incisori le illustrazioni originali. Si dovrà pertanto concludere che l’autore ha dovuto fare di necessità, virtù : del resto, a lui importa il contenuto anche se con inevitabili difformità. D’altra parte avrebbe potuto spedire le matrici sia a Venezia che in Germania, ma tale soluzione era rischiosa e per l’eventuale perdita del materiale e per la difficoltà di un loro ritorno. Ho escluso da questa analisi la Chirofisonomia che presenta immagini delle mani e delle zampe solo affini alle edizioni dell’Humana e, comunque, non essendo stata pubblicata in vita, le illustrazioni non hanno potuto essere controllate dall’autore.  





















Le fonti Abbiamo già accennato all’importanza che il Della Porta attribuisce alle illustrazioni, inserendosi in un ormai collaudato codice retorico. 21 Nella Prefazione all’edizione italiana l’autore afferma : « È propria ancor questa arte de’ poeti e di pittori i quali, introducendo ne i loro poemi e pitture persone di varii costumi e descrivendo le fattezze, ce le diano convenevoli » (FisII, 4, 114-117) e, trattando di Alessandro Magno, afferma che egli voleva che nei suoi ritratti fosse riprodotta la sua immagine « accioché nelle statue, tavole e ne’ panni si vedesse nel volto quel spirito bellicoso, quel smisurato desiderio di stupendi onori » (FisII, Proem, 102-103). Sembra che il Nostro intuisca che anche una lieve deformazione nella rappresentazione della linea somatica possa far emergere virtù o vizi della persona raffigurata adattando il carattere al corpo, in una sorta di « petitio principii », come del resto era in uso già nella ritrattistica del periodo ellenistico. A conferma di tale opinione si può addurre il caso della dedica al card. Luigi d’Este dove, allo scopo di comporre il panegirico del personaggio, evidenzia, anche con l’immagine riprodotta in quasi tutte le edizioni, solo quelle virtù fisiche e morali che risultano gradite al destinatario, e, nella princeps, nel delineare la figura dell’eroe, in realtà tesse le lodi del prelato, che morirà nello stesso anno. (Hum., pp. 536-7 n.) I trattati scientifici hanno necessità di proporre un allestimento iconografico chiaro e didascalico che sia testimonianza viva e visiva del testo scritto e che fornisca una sorta di commento nonché una « prova » da affidare alla memoria. Nel nostro caso il Geronimo,  



















21   Anche Leonardo aveva scritto nel Trattato della Pittura, n. 290 : « Farai le figure in tale atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo ; altrimenti la tua arte non sarà laudabile ».  







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per ottenere un effetto più realistico, lavora con calcografie incise su lastra di rame con il bulino. Questa tecnica permette, come si nota già dal frontespizio, di ottenere tratti più sottili e molto complessi con effetto chiaroscurale difficile, se non impossibile, da ottenere con la tecnica xilografica. Le illustrazioni evidenziano, nello schema-tipo del ragionamento sillogistico, il valore della premessa « minore » fissandosi come « exemplum » visivo. Esse propongono una funzione pratico-divulgativa evidenziata, in particolare nelle edizioni italiane, in didascalie dettagliate soprattutto per le immagini riprodotte dal « vivo » perché « reali ». Alcune illustrazioni sono ripetute diverse volte perché appaiono iconograficamente polivalenti. Pertanto, per quanto concerne le edizioni latine, si delinea questo quadro : nella princeps, su un numero complessivo di 85 immagini, solo 33 risultano diverse. Le restanti 52 vengono riutilizzate in altri contesti, comunque compatibili, addirittura 5, 6 o 7 volte come « Socrate e il cervo », « Fronte stretta e porcina » o la « Fronte quadrata e leonina ». L’edizione in 6 libri del Longo (1602) si arricchisce con 115 immagini complessive tutte, come abbiamo già detto, della stessa mano di cui alcune ripetute. Di queste, 11 riproducono animali dal vivo (leone, volpe, leopardo, camaleonte, scimmia, struzzo, rinoceronte, corvo, toro, pesce occhiata, icneumone). Solo per il leopardo, il leone e l’icneumone viene indicato il luogo : Napoli, anche se in siti diversi. Gli altri animali si trovano nello stesso luogo del museo di Ferrante Imperato come sembra alludere nella didascalia ? 22 Se così fosse, si dovrà aggiungere un nuovo tassello alla raccolta della Wunderkammer di Ferrante Imperato, in cui accanto ai naturalia e agli artificialia, si potevano osservare altri animali viventi oltre a quelli già noti, come l’icneumone e la tartaruga, coniugando la meraviglia e l’analogia. Le figure umane sono o di personaggi mitologici (Giove, Mercurio, Marte, Venere, ecc.) o di personaggi storici antichi e contemporanei o immagini convenzionali create ad hoc, ma comunque riconducibili ad una tipologia di persone che si osservano anche nel quotidiano. Le fonti sono reperibili in immagini incise su monete o medaglie, (FisII, p. 521) o in immagini di statue provenienti da collezioni private come quella dello zio materno Adriano Spatafora, (FisII, p. 103) responsabile dal 1536 degli Archivi di Napoli, cui appartiene il Satiro e Venere (o ninfa ?) e la testa dell’imperatore Vitellio, mentre il fratello Giovan Vincenzo è proprietario delle teste (o erme ?) di Platone, Caligola e Nerone, Messalina e Faustina. Nel museo dell’amico Ferrante Imperato 23 a Palazzo Gravina, dove abita, appartiene quell’icneumone vivo cui abbiamo appena accennato. Altre due rappresentazioni grafiche provengono dal palazzo dei D’Aquino 24 e dei Farnese (Hum., p. 492) a Roma. Alcune raffigurazioni di personaggi antichi o contemporanei provengono dai ritratti degli Elogia 25 di Paolo Giovio, come nel caso del Tamerlano, di Cesare Borgia (Figg. 9-10) e di Pico della Mirandola (Figg. 11-12). Tutte le figure mitologiche sono rappresentate secondo la tradizionale iconografia :  















































22   Con gran fatica abbiam mandato a tòrre da Fiorenza il ritratto del leopardo ; né avendolo a sodisfazione, l’abbiam fatto ritrar dal vivo qui in Napoli, condottovi l’anno 1584, acciò si vedesse le sue parti rassomigliate a quelle della donna. (FisII, p. 88). Ecco vi apportiamo l’imagine ritratta dal vivo dello icneumone, che ancor si conserva vivo nel suo Museo da Ferrante Imperato, nostro diligentissimo conservator di animali ove si veggono le picciolissime pupille. (FisII, p. 315). 23   Ecco vi apportiamo l’imagine ritratta dal vivo dello icneumone, che ancor si conserva vivo nel suo Museo da Ferrante Imperato, nostro diligentissimo conservator di animali ove si veggono le picciolissime pupille. (FisII, p. 313). 24   Vedesi qui l’imagine di Adone e del cane cacciatore, ritratti dalla statua antica di marmo in Roma, nel palaggio di Monsignor d’Aquino. (Ivi, p. 246). Nel testo latino non è indicato il luogo. Si tratta, forse, del card. Ladislao D’Aquino (1546-1621) il cui sepolcro si trova in S. Maria sopra Minerva. Roma. 25   Pauli Iovii … Elogia virorum bellica virtute illustrium septem libris iam olim Authore comprehensa et nunc ex eiusdem musaeo ad vicum expressis imaginibus exornata, Petri Pernae, Typographi, Basileae, 1575.  

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Marte con l’elmo, Mercurio con il cappello alato, il satiro con la ninfa, Ercole con la pelle del leone, ecc. Esaminiamo, per motivi di spazio, solo due tavole : la prima (Fig. 13) rappresenta Saturno e Marte ; la seconda (Fig. 16) rappresenta Giove e Mercurio. Queste due illustrazioni compaiono solo a partire dalla edizione latina della Coelestis Physiognomonia del 1603 per indicare i pianeti e trasmigrano nell’edizione italiana del 1610 della Fisonomia nella parte che richiama gli argomenti della Coelestis, 26 ma le fonti, statue e medaglie di bronzo, sono indicate solo nelle didascalie dell’edizione italiana del 1610. Poiché le illustrazioni sono della stessa mano delle precedenti e le date sono compatibili con l’attività del Geronimo a Roma e a Napoli, si aggiunge un altro tassello importante all’identificazione dell’incisore. La raffigurazione di Marte con la spada è piuttosto rara, come la nudità ; più spesso il dio è raffigurato con la lancia e rivestito di corazza come nel sesterzio di Vespasiano (Fig. 14). L’elmo, invece, appartiene all’iconografia topica del dio. Impressionante la somiglianza con la statua di bronzo di Marte gradivo di Bartolomeo Ammannati (Fig. 15). 27 Il corpo di Saturno, rappresentato generalmente come vecchio, è individuato solo dalla barba, mentre l’immagine di Giove fulgurator o tonans è molto diffusa nelle statue (Fig. 17) e nelle monete d’oro augustee 28 così come quella di Mercurio col caduceo e il cappello alato (Fig. 18). Le immagini di personaggi storici si ispirano o copiano il modello ellenistico che riesce a realizzare i tratti fisiognomici veri o presunti del personaggio anche se, come nel caso di Alessandro Magno (Fig. 19), viene rappresentato nella sua veste pubblica ispirandosi a una copia del ritratto di Lisippo (Fig. 20). È noto che Lisippo prese spunto da un difetto fisico che obbligava Alessandro a tener la testa reclinata verso una spalla, 29 come raffigurato nel testo dellaportiano, per trarne un atteggiamento del volto e dell’occhio verso l’alto al fine di esprimere una specie di rapimento in un muto colloquio con la divinità. 30 Fu creata in tal modo una tipologia del sovrano « ispirato », che ebbe un’enorme influenza sulla ritrattistica dei sovrani o dei condottieri anche oltre l’età ellenistica. Della Porta però non è di questo parere perché accoglie la tesi di Alberto Magno secondo la quale « la somma virtù di questi occhi rivolti in su è la pazzia. » (FisII, p. 321). La ritrattistica rinascimentale ripropone, quindi, per molti versi, quella ellenistica che privilegiava la caratterizzazione ideale e caratteriale, in particolare, del sovrano come immagine pubblica di ascendenza divina e/o consacrata dalla divinità. Un’altra tipologia riguarda la categoria dei filosofi e degli imperatori che sono veri e propri ritratti fisiognomici, aggiungendo alla raffigurazione dei tratti somatici della persona rappresentata, anche la ricerca dell’espressione psicologica.  























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 Cap. xix. Come da’ segni delle sembianze delle stelle si possono congetturare i costumi de gli uomini. (FisII, pp. 68-74).   (1559, Galleria degli Uffizi). È possibile che Della Porta abbia conosciuto l’Ammannati a Roma. L’Ammannati fu a in questa città anche nel 1575 e nel 1576 quando strinse amicizia con il padre generale dei gesuiti, Everardo Mercuriano, e con padre A. Possevino, suo segretario. È noto che il Della Porta intratteneva buoni rapporti con i gesuiti grazie anche a Marco Dobelio, professore di arabo nel Collegio Romano, che dedica al Nostro una poesia inserita nell’edizione del De aeris del 1603. 28   Augusto, scampato alla caduta di un fulmine nella campagna dei Cantabri in Spagna nel 22 a.C., dedica un tempio sul Campidoglio a Juppiter tonans (Suet. 29, 1) e per il quale fa coniare anche monete con l’effigie di Giove in piedi con i fulmini nella mano destra. (Corpus nummorum romanorum, 4. Augusto : prospetto dei ritratti per l’identificazione delle zecche orientali : monete d’oro e d’argento, Firenze, Alberto Banti & Luigi Simonetti, 1974, p. 147). 29   Plutarchi, Alexandri vita, in Plutarco, Vitae parallelae, ed. Claes Lindskog-Konrat Ziegler, Leipzig, Teubner, 1957-73, vol. 7, cap. 4. 30   Alexandri Magni iconem apponimus ut ex marmoreis statuis et aereis argenteisve numismatibus excerpsimus in quo oculos sursum vergentes contemplaberis. (Hum., p. 320). Alexander Magnus forma supra homines augustiore, cervice celsa, laetis oculis, illustribus, malis ad gratiam rubescentibus, reliquis corporis lineamentis non sine maiestate quadam decorus. (Hum., p. 438). 27





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A questa fenomenologia appartiene il ritratto di Socrate che « racconta » gli elementi caratteriali della sua persona (Fig. 21). Secondo la tradizione Socrate è lussurioso per il naso camuso e la bocca concava. 31 Questo risultato sarà acquisito soltanto nel ritratto di « ricostruzione », attribuibile a Lisippo, cioè probabilmente all’ultimo trentennio del iv sec. 32 E la « prova » è l’immagine conservata dal fratello Giovan Vincenzo 33 riprodotta ben 5 volte e che imita molto da vicino quella ora conservata ai Musei Vaticani (Fig. 22). Gli imperatori rappresentati sono Cesare, Tiberio, Caligola, Nerone, Galba, Vitellio e Domiziano. E anche in questo caso proponiamo per motivi di spazio solo i due ritratti di Cesare e di Caligola (Fig. 23) ambedue riportati in denarii forse appartenuti a Giovan Vincenzo (Fig. 24). Per quanto concerne le immagini convenzionali inventate, sembra che l’immagine dell’uomo lussurioso sia ispirata alle teste grottesche di Leonardo da Vinci. 34 Queste immagini sono di grande rilievo ed interesse e provano la tesi che il Della Porta era ben consapevole che una spontanea e rapida registrazione dei caratteri di un viso, di una smorfia o di un particolare anatomico e, comunque, la deformazione di uno o più tratti somatici, soprattutto nella dimensione più impressionante e grottesca, marcano gli elementi più vistosi del vizio, in questi casi, del lussurioso dissoluto e depravato, (Fig. 25) dell’invidioso (o invidiosa ?) (Fig. 27) e del malvagio e delinquente (Fig. 28). Infine il rinvenimento, nel tepidarium delle Terme di Caracalla a Roma nel 1546 di un Ercole che si appoggia sul bastone avvolto dalla pelle del leone di Nemea, marmo del iii sec a.C. e copia dell’originale in bronzo di Lisippo del secolo precedente, ebbe una eco eccezionale (Fig. 30). Il Della Porta probabilmente avrà visto questa opera, come l’Adone del palazzo dei d’Aquino, durante il suo soggiorno romano nel 1574. L’immagine, emblematica, appare a partire solo dal 1602 per illustrare il carattere dell’uomo forte « dove in una si possono contemplare tutti li segni della fortezza. » (FisII, p. 503. Didascalia) (Fig. 29). Altro enigma : chi avrebbe potuto riprodurre le due opere ? Le due raffigurazioni potrebbero essere state commissionate dal Nostro allo stesso incisore Geronimo, la cui presenza a Roma, come abbiamo detto, è attestata nel 1598. E le date sono del tutto compatibili. Arriviamo così alla quasi certezza che l’incisore delle edizioni « napoletane » della Humana sia proprio Geronimo de Novo siculo. Si può pertanto dedurre che l’incisore, Geronimo de Novo siculo, su commissione del Nostro, esegua, complessivamente, disegni di soggetti che si trovano, in qualche modo a Napoli : animali tratti dal « vivo » ; statue, monete o medaglie del fratello o dello zio ; statue provenienti da Roma e compatibili con la presenza dell’autore e dell’incisore in quella città.  











































Conclusione In conclusione, attraverso questa ricognizione a campionatura, si può dire che esiste una stretta, reciproca relazione tra testo e immagine, addirittura una sorta di « testualizza 

31   Accettando il confronto che Socrate stesso fece tra sé e un Sileno, si ottiene, esteriormente caratterizzato, il tipo « silenico » con il naso simo senza fissarne i tratti fisici reali, né l’introspezione psicologica. Xenophontis, Symposium, ed. Edgar Cardew Marchant, Xenophontis opera omnia, vol. 2, 2nd ed. Oxford, Clarendon, 1921 (repr. 1971), 4, 19, 3-5. 32   Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. Herbert Strainge Long, Oxford, Oxford U. P., voll. 2, ii, 1964, 43. 33   Abbiamo ancora depinto il naso simo di Socrate col naso del cervo, da paragonarsi a quello ; la cui effigie abbiamo depinta dal museo del mio fratello, dalla sua statua di marmo. FisII, p. 160. 34   Pietro C. Marani, Le “teste grottesche” di Leonardo tra anatomia, scienza fisiognomica e arte, in La Ca’ Granda : vita ospedaliera e informazioni culturali, Milano, Ospedale Maggiore Policlinico, 2007, pp. 13-17.  







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zione » dei volti e del corpo intero della figura umana, anzi le immagini raffiguranti il volto sono prevalenti su quelle della persona. La raffinata ed elegante rappresentazione dei personaggi, voluta da Della Porta, propone una leggibilità del corpo secondo schemi fisiognomici collaudati dalla tradizione, dove i connotati facciali e corporei assumono significati stabili entro un preciso codice che risale alla Fisiognomica dello Pseudoaristotele. Le corrispondenze e le tipologie di caratteri rigidamente descritte subiscono un processo di semiotizzazione, che propone una tassonomia precisa, ma pseudoscientifica. Si tratta del tentativo di ridurre il « segno » a « sintomo » in una forma di conoscenza analogica, in continuità con la tradizione della logica medievale, come metodo privilegiato soprattutto per le somiglianze con gli animali. È vero che nel ritratto fisiognomico, per ricostruire l’identità della persona, l’artista deve « cogliere » l’espressione tra « mimesi » e « finzione » artistica, ma si deve tener conto anche della coppia oppositiva della Physiognomica pseudoaristotelica : pathos, ovvero, emotività temporanea, che Della Porta chiama segno debole (o « comune ») che non ha alcuna forza probatoria ed ethos, ovvero, tratto caratteriale permanente chiamato dal Nostro : segno « proprio », forte, probante su cui si fonda il suo sillogismo fisiognomico. Naturalmente solo il segno forte acquisisce il valore di « sintomo », nel senso ippocratico del termine, se è associato ad una qualità o a una funzione fisica. L’intelligenza esecutiva di un unico attento disegnatore e incisore, che ormai, con ragionevole certezza, si può identificare con la mano di Geronimo de Novo, è rappresentata dalla coerenza, compattezza e congruenza del tratto figurativo nella realizzazione dei rami e del frontespizio e di tutte le altre illustrazioni napoletane. Nella descrizione di un personaggio, la funzione del ritratto è di fissare in maniera più chiara e radicale nella memoria i tratti pertinenti del carattere. Il sapere fisiognomico non si riverbera solo sulla rappresentazione di tipi umani e della loro emotività nella ritrattistica rinascimentale, ma forma un codice preciso anche nella produzione artistica dei secoli successivi. Il testo della Fisiognomonia da un lato è la consacrazione di una tradizione millenaria di topoi consolidati sui caratteri umani, dall’altro il punto di riferimento, una sorta di manuale, che suggestiona i lavori di numerosi pittori successivi, in particolare, ritrattisti. Molte sono le intertestualità (e il ricorso alla tradizione fisiognomica è costante) che affiorano anche nella produzione artistica di un Le Brun come nella pittura caravaggesca e in particolare nella pittura italiana dei secoli xvii e xviii dove il fare artistico si propone soprattutto di riportare visivamente le emozioni e i caratteri, anche se talvolta idealizzati, dei personaggi in una tensione continua tra topos ed innovazione.  





































Molte sono le intertestualità (e il ricorso alla tradizione fisiognomica è costante) che affiorano anche nella produzione artistica di un Le Brun come nella pittura caravaggesca e in particolare nella pittura italiana dei secoli XVII e XVIII dove il fare artistico si propone soprattutto di riportare visivamente le emozioni e i caratteri, anche se talvolta idealizzati, dei personaggi in una tensione continua tra topos ed innovazione. l ’ autore delle illustrazioni delle fisiognomiche di della porta 91

FIG. 1.1.Ed. FIG . 2.2.Ed. . 3. Ed. Scarano. Ed.4.Fischer e Sutor. Fig. Ed.Cacchi. Cacchi. Fig. Ed.Longo. Longo. FIGFig. 3. Ed. Scarano. FIG. 4. Fig. Ed. Fischer e Sutor.

FIG. 5. Ed. Cacchi.

FIG. 6. Ed. Fischer.

FIG. 7. Ed. Tozzi.

FIG. 8. Ed. eredi Combi.

. 5.Cacchi. Ed. Cacchi. FIG. F . 6.Fischer. Ed. Fischer. FIG. F . 7.Tozzi. Ed. Tozzi.FIG. F . 8.eredi Ed. eredi Combi. FIG. F 5.IGEd. 6.IGEd. 7.IGEd. 8.IGEd. Combi. Fig. 5. Ed. Cacchi. Fig. 6. Ed. Fischer. Fig. 7. Ed. Tozzi. Fig. 8. Ed. eredi Combi.

FIG. 9. Tamerlano e Borgia

FIG. 10. Tamerlano e Cesare Borgia

. 9. Tamerlano e Borgia IG.Tamerlano 10.(PTamerlano Cesare Borgia (Hum., p. 324). FIG. F AULI JOVII ,eElogia…, pp. 103 e 201). F Fig. IG. F 9.IGTamerlano e Borgia 10. Cesare Borgia 9. p. Tamerlano 10.e Tamerlano , Fig. Elogia…, pp. e103 ee Cesare 201). Borgia (Hum., 324). e Borgia (PAULI (Hum., p. 324). (P AULI J OVIIJ,OVII Elogia…, pp. 103 201). (Hum., p. 324). (Pauli Jovii, Elogia…, pp. 103 e 201).

FIG. 11. Pico Mirandolano (FisII, p. 472). FIG. 12. PAULI JOVII, Elogia…, p. 76. Fig. 11. Pico Mirandolano (FisII, p. 472). Fig. 12. Pauli Jovii, Elogia…, p. 76. IG.Pico 11. Pico Mirandolano (FisII, p. 472). FIG. 12. FIG.P12. PAULI , Elogia…, FIG. F 11. Mirandolano (FisII, p. 472). AULI JOVIIJ,OVII Elogia…, p. 76.p. 76.

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FIG. 12. PAULI JOVII, Elogia…, p. 76. alfonso paolella

FIG. 11. Pico Mirandolano (FisII, p. 472).

FIG. 11. Pico Mirandolano (FisII, p. 472).

FIG. 12. PAULI JOVII, Elogia…, p. 76.

FIG. 13. Saturno e Marte. FIG. 14. Mars Gradivus sul verso FIG. 15. B. Ammannati. Fig. 13.p.Saturno 14. Mars Gradivus suldel verso (FisII, 69). e Marte. di un Fig. sesterzio di Vespasiano 71 d.C.Fig. 15. B. Ammannati. FIG(FisII, . 13. Saturno FIG . 14. Mars Gradivus sul verso FIG. 15. B. Ammannati. p. 69). e Marte. di un sesterzio di Vespasiano (FisII, p. 69). di un sesterzio del 71 d.C. deldi 71 Vespasiano d.C.

Fig. 16. Giove e Mercurio. Fig. 17. Giove tonante. Fig. 18. Mercurio. FIG. 16. Giove e Mercurio. FIG. 17. Giove tonante. FIG. 18. Mercurio. (FisII, p. 71). FIG. p. 16.71). Giove e Mercurio. FIG. 17. Giove tonante. FIG. 18. Mercurio. (FisII, (FisII, p. 71).

Fig. 19. Alessandro Magno (FisII, p. 320). Fig. 20. Alessandro Magno, Musei Capitolin Fig. 19.Fig. Alessandro Magno (FisII, p. (FisII, 320). p. 320). Fig. 20. Alessandro Magno, 19. Alessandro Magno Fig. 20. Alessandro Magno, Musei Cap Musei Capitolini.

FIG. 21. Socratis oculos (Hum., p. 305). FIG. 21. Socratis oculos (Hum., p. 305). Fig. 21. Socratis oculos (Hum., p. 305).

FIG. 23. Cesare e Caligola (Hum., p. 111).

FIG. 22. Testa di Socrate, Musei Vaticani. FIG. 22. Testa di Socrate, Musei Vaticani. Fig. 22. Testa di Socrate, Musei Vaticani.

FIG. 24. Denarii di Cesare e Caligola.

FIG. 21. Socratis oculos (Hum., p. 305).

FIG. 22. Testa di Socrate, Musei Vaticani.

l ’ autore delle illustrazioni delle fisiognomiche di della porta

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FIG. 21. Socratis oculos (Hum., p. 305). FIG. 22. Testa di Socrate, Musei Vaticani. FIG. 21. Socratis oculos (Hum., p. 305). FIG. 22. Testa di Socrate, Musei Vaticani.

FIG. 23. Cesare e Caligola (Hum., p. 111). F ig. 23. Cesare e Caligola (Hum., p. 111).

FIG. 24. Denarii di Cesare e Caligola. Fig. 24. Denarii di Cesare e Caligola.

FIG. 23. Cesare e Caligola (Hum., p. 111). FIG. 24. Denarii di Cesare e Caligola. FIG. 23. Cesare e Caligola (Hum., p. 111). FIG. 24. Denarii di Cesare e Caligola.

FIG. 25. Lussurioso

FIG. 26. Studio di testa senile,

FIG. 27. Invidioso

FIG. 28. Uomo di pessimi

p. 522). Castle, Royal LibraryF12490. (FisII, p. 541). costumi Fig. Lussurioso Fig. 26. Studio Studio testasenile, senile, Fig. 27.Invidioso Invidioso Uomo di(FisII, p. 552). .(FisII, 25.25. Lussurioso FWindsor IG. 26. diditesta IG . 27. FIGFig. . 28. 28. Uomo di pessimi FIG (FisII, p. 522). Castle, RoyalRoyal Library p. (FisII, p. 552).FIG. 28. Uomo di pess . 25. Lussurioso FLibrary IG.12490. 26. Studio(FisII, di testa senile, Fcostumi IG. pessimi 27. Invidioso FIG (FisII, p. 522). Windsor Windsor Castle, (FisII, p. 541). 541). costumi (FisII, p. 522). Windsor Castle, Royal Library 12490. (FisII, p. 541). costumi (FisII, p. 552) 12490. (FisII, p. 552).

Fig.Fig. 29. Ercole (FisII, p. 503). FIG. 30.FErcole Museo archeologico di Napoli. di Napoli. 29. Ercole (FisII, p. 503). IG. 30.Farnese, Ercole Farnese, Museo archeologico Fig. 29. Ercole (FisII, p. 503). FIG. 30. Ercole Farnese, Museo archeologico di Napoli.

Fig. 29. Ercole (FisII, p. 503).

Fig. 30. Ercole Farnese, Museo archeologico di Napoli.

FILIPPO FINELLA E LA FISIONOMIA “NATURALE” Marco Santoro FILIPPO FINELLA, Napolitano ; Filosofo, & Astrologo celebérrimo, hà dato alla luce. De Metroposcopia, seu de Methoposcopia naturali liber Tertius. Antuerpiae, ex Offic. Plant. 1648. in 8°. Ejufdem lib. primus & fecund. 1648, ibid. De naturali Phisonomia Planetaria. Neap. 1648. Và unito col Speculum Astronomicum. Et anco Stampó, Delle Virtù occulte delle Vipere per le 28. mansioni delli segni del Zodiaco. Nap. per Egidio Longo 1634. In fol. De Duobus conceptionìs, & respirationis figuris & de connexione inter eas, & figuram coelestem. Antuerp. ex offic. Plant. 1550 [sic ! ma 1650]. in 4°. Diede anco alle Stampe : una Tragedia, intit. La Çesonia. In Nap. per Scipione Bonìno 1617. in 8° E la Penelopea Tragicomedia. In Nap. per Gio. Domenico Roncagliolo 1616. in 8°.  





C

osì Niccolò Toppi nella celebre Biblioteca napoletana edita a Napoli nel 1678 “scheda” Filippo Finella. 1 Una “nota” biobibliografica non particolarmente ricca e articolata, certamente più sintetica di altre, quali ad esempio quella sul “nostro” Della Porta e ancor più quella sul Marino, eppure meno stringata della maggioranza di quelle che sostanziano l’interessante e significativo repertorio toppiano, fra i primi a tentare di raccogliere informazioni e notizie, per rifarci al frontespizio, relative agli “huomini illustri in lettere di Napoli, e del Regno […] dalle loro origini per tutto l’anno 1678”. Da questo profilo possiamo enucleare alcuni dati precisi, filtrati, ovviamente, sui parametri dell’epoca : 1. Il Finella è napoletano. 2. Si tratta di un intellettuale di competenze e interessi filosofici e astrologici. 3. È autore di non pochi contributi scientifici ma anche di opere creative. Possiamo aggiungere che, sempre in virtù della scheda del Toppi, si può prendere atto che le sue pubblicazioni videro la luce fra il 1616 e il 1650 (palese refuso il 1550), ad opera di artieri partenopei, quali Egidio Longo, Scipione Bonino e Gian Domenico Roncagliolo, ma anche della famosa officina dei Plantin di Anversa. Col passare degli anni è possibile catturare in saggi e protorepertori sintetici accenni alle sue opere, per lo più vere e proprie telegrafiche citazioni di titoli, che in ogni caso consentono di integrare il “catalogo” finelliano. Si pensi ad esempio all’Allacci, che ricorda la Cesonia, Trag., La Giudea destrutta da Vespasiano, Trag., Penelopea, Tragic., La vendetta di Giove contra i giganti, Intermed. e la Cintia, F. Past., 2 o a Nicola Francesco Haym, che scheda l’edizione del Longo del 1634 delle Virtù occulte delle vipere, 3 o a Francesco Saverio Quadrio, che fa riferimento oltre che alla Penelopea anche alla Cintia 4 oppure a Napoli  









1

  Niccolò Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli, Appresso Antonio Bulifon, 1678, pp. 85-86.  Cfr. Leone Allacci, Drammaturgia di Leone Allacci divisa in sette Indici, Roma, Per il Mascardi, 1666, p. 383. Si rinvia anche all’edizione settecentesca Leone Allacci, Drammaturgia, Venezia, Giambattista Pasquali, 1755, dove a pagina 192 si ricorda la Cintia. Favola pastorale, edita da Domenico Maccarano nel 1626. 3   Nicola Francesco Haym, Biblioteca italiana, Milano, Appresso Giuseppe Galeazzi, 1773, Tomo ii, p. 586 4   Francesco Saverio Quadrio, Indice universale della storia, e ragione d’ogni poesia, Milano, Nella stamperia di Antonio Agnelli, e ad istanza de’ suoi fratelli Federico e Gianbatista, 1752, p. 241. Qui si ricorda : “Penelopea, Tragiccommedia pastorale di Filippo Finella, in Napoli per Gio. Domenico Roncagliolo, 1622, in -8°, Atti v in versi. La Cintia, altra favola boschereccia del Medesimo, in Napoli per Domenico Maccarano, 1626, in -8°, Atti v in versi”. 2



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marco santoro

Signorelli, che cita la Cesonia. In effetti le prime interessanti integrazioni e modifiche del profilo toppiano si possono riscontrare all’inizio del secolo scorso. Giuseppe Antonini nel suo contributo I precursori di Cesare Lombroso 6 del 1900 pone in risalto gli studi di Finella sulla fisiognomica : 5







Il Finella Filippo dedicò allo stesso papa Urbano VIII la sua Fisonomia naturale (Napoli 1629). È notevole [aggiunge Antonini] la tendenza speciale del Finella a dare un carattere pratico dell’applicazione del diritto penale alla scienza fisionomica e la prudente riservatezza che s’impone nei giudizi, insistendo sulla necessità che diversi caratteri abbiano a concorrere per stabilire il diagnostico : “... se, per es., si avrà i capelli di chi è da me stato giudicato per reo, non devi per questo segno determinare liberamente, senza far prima giudizio degli altri membri, perché è necessario avere altri membri che concorrano a dichiarare la natura di quelli capelli che giudicati avevi ; come se per caso eran rossi significavano empietà, crudeltà, malefici, devi perciò guardare il naso, la fronte, gli occhi e altri corrispondenti e poi deliberare” 7  





Detto che il Maylender, nel trattare l’Accademia degli Incauti di Napoli, richiama alla memoria anche il suo nominativo, precisandone il soprannome (l’Inutile), 8 ma la notizia è agevolmente desumibile dalle Gratie concesse da Gioue à i cupi abissi e da La vendetta di Gioue contro Giganti, entrambe edizioni di Domenico Maccarano del 1625, un interessante contributo vede la luce nel 1929 nel prestigioso annuale « Gutenberg Jahrbuch » a firma di Maurits Sabbe. 9 Nel riportare in esordio il profilo del Toppi, si è visto come il biografo attribuisca alcune edizioni di opere finelliane alla celebre stamperia plantiniana : in particolare i tre libri della De Metroposcopia e il De Duobus conceptionìs, & respirationis figuris, i primi in °8 del 1648 e il secondo in °4 del 1650. Della Metroposcopia esiste anche un’edizione del 1650, stampata insieme a De duodecim coelestibus signis, con i seguenti dati bibliografici : Antuerpia, ex Officina Plantiuiana [ !], apud Baldassarem Morenum [ !], 1650. Ma, stando ai frontespizi delle pubblicazioni, anche altre dovrebbero essere le opere impresse ad Anversa nella celebre officina plantiniana, gestita in quegli anni dagli eredi di Balthazar Moretus. Ricorriamo all’opac nostrano SBN e registriamo, oltre alla Metroposcopia stampata insieme al De duodecim coelestibus signis :  

















1. Primo libro de neui, In Antuerpie, 1632 2. Libri tres neuorum, Antuerpiae, ex offucina [ !] Plantiniana, apud Balthassarem Moretum [1632] 3. De duocecim coelestibus signis, Antuerpia, ex Officina Plantiuiana, apud Baldassarem Morenum [ !], 1650 4. De reuolutionibus annorum, Antuerpiae, ex officina Plantiuiana [ !], apud Badassarem Morenum [ !], 1650  







In sostanza, quindi, stando ai dati autoreferenziali delle pubblicazioni, sembrerebbe che ben sette dovettero essere le edizioni di opere finelliane uscite dai torchi della tipografia olandese :  

1. Primo libro de neui, In Antuerpie, 1632 2. Libri tres neuorum, Antuerpiae, ex offucina [ !] Plantiniana, apud Balthassarem Moretum [1632] 3. De duocecim coelestibus signis, Antuerpia, ex Officina Plantiuiana [ !], apud Baldassarem Morenum [ !], 1650 4. De Metroposcopia, Antverpiae, ex officina Plantiuiana [ !], apud Baldassarem Morenum [ !], 1648  









5

  Pietro Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, Napoli, Flauto, 1886, tomo v, p. 353.   Giuseppe Antonini, I precursori di C. Lombroso, Torino, Fratelli Bocca, 1900. 7   Ivi, p. 94. 8   Michele Maylender, Storia delle accademie d’Italia, Bologna, Cappelli, 1929, v. 3, p. 196. 9   Maurits Sabbe, Falsche Moretusdrucke, « Gutenberg Jahrbuch », iv (1929), pp. 193-214. 6





filippo finella e la fisionomia “ naturale ”

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5. De reuolutionibus annorum, Antuerpiae, ex officina Plantiuiana [ !], apud Baldassarem Morenum [ !], 1650 6. De duobus conceptionìs, & respirationis figuris, Antuerpia, ex Officina Plantiuiana [ !], apud Baldassarem Morenum [ !], 1650 7. Metroposcopia - De duodecim coelestibus signis, Antuerpia, ex Officina Plantiuiana [ !], apud Baldassarem Morenum [ !], 1650  











Ma, per quanto possano essere non del tutto inusuali i refusi tipografici, finanche nei frontespizi, e per quanto si possano avvalorare procedure e prassi di scambi commerciali, committenze editoriali, ecc. fra Italia e altri paesi europei (e mi pare, per inciso, che la recente ricerca Prin sulla mobilità dei mestieri del libro abbia vistosamente documentato la complessità e la variabilità dei meccanismi produttivi e distributivi del libro nei primi secoli della stampa 10), non possono sfuggire in primo luogo i marchiani errori di stampa, per di più sui più classici dei biglietti da visita delle officine tipografiche, quali appunto i frontespizi, errori che sarebbero stati a carico di una delle più qualificate officine del tempo, in secondo luogo il corpus tematico delle pubblicazioni, organico e disposto sul piano di scienze e tematiche particolarmente soggette ai controlli censori della chiesa cattolica. Ampiamente comprensibile, quindi, che il Sabbe, nel citato contributo del 1929, richiamasse l’attenzione sull’attribuzione delle sette edizioni suindicate. Posto che l’intera storia della prestigiosa stamperia plantiniana è costellata da una proliferazione di falsi, attribuiti ai loro torchi, con conseguenze sia all’epoca per la loro attività sia in seguito per la ricostruzione del loro catalogo da parte degli studiosi, e sottolineato altresì che una buona parte di falsi si sostanziava di libri scientifici o pseudoscientifici, per lo più proscritti dall’Index librorum prohibitorum, o comunque passibili di interventi e controlli censori, Sabbe affrontava il ‘caso Finella’, dimostrando sulla base non solo degli errori poco fa menzionati nei frontespizi ma anche in virtù dell’esame dei caratteri, dell’impostazione della pagine, della natura e della tecnica delle illustrazioni quanto la Metroposcopia astronomica e i Libri tres nervorum, ecc. fossero senza alcun dubbio estranei alla produzione dell’officina olandese e proponendo quale loro effettivo produttore Giacomo Gaffaro. Ecco quindi che fa capolino sulla scena del nostro discorso un personaggio sul quale si tornerà fra poco : Giacomo Gaffaro. Un nuovo corposo e inaspettato impulso all’approfondimento della figura e dell’attività del Finella prende corpo fra il 1937 e il 1946 per merito di Gino Testi, 11 autore di varie pubblicazioni di chimica e fra le altre del fortunato Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria, e soprattutto di Antonio Esposito Vitolo, 12 particolarmente attivo nelle ricerche sugli speziali toscani. I due studiosi nel 1937 col saggio L’estrazione dei sali e l’astrologia farmaceutica in Filippo Finelli riportano alla memoria lo scienziato napoletano, del quale nel passato, come si è visto, poco o per nulla ci si era interessati. Al centro della loro ricerca è il trattato Soliloquium salium, stampato a Napoli da Giacomo Gaffaro nel 1649 (Figura 1)  







10   A riguardo cfr. almeno Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti in Italia tra Quattrocento e Seicento. Coordinato da Marco Santoro. A cura di Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe Lipari, Carmela Reale, Marco Santoro, Giancarlo Volpato, Pisa-Roma, Serra, 2013 e Mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento. Atti del Convegno internazionale. Roma, 14-16 marzo 2012, a cura di Marco Santoro e Samanta Segatori, Pisa-Roma, Serra, 2013. 11   Gino Testi, Storia della chimica con particolare riguardo all’opera degli italiani, Roma, Mediterranea, 1940, pp. 76 e 83 sgg. 12   Antonio Esposito Vitolo, Filippo Finelli e il riconoscimento della natura animale del corallo, « Rivista di storia delle scienze mediche e naturali », v-vi (1942), pp. 103-112 ; Id., L’astrologia medico-farmaceutica in Filippo Finelli., « Atti e memorie dell’Accademia di storia dell’arte sanitaria », s. 2, xii (1946), suppl., pp. 56-61 ; Id., Le piante medicinali citate da Filippo Finelli nel Soliloquium Salium Empyricum, in « Rivista italiana di essenze, profumi, piante officinali, olii vegetali, saponi », iii (1946), pp. 77-81.  















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e definito dai due chimici « opera rarissima [che] non è ricordata, o lo è solo il titolo, dai maggiori storici della Chimica ». 13  





Figura 1.

La disamina dei due, al di là delle precisazioni biografiche e bibliografiche che contiene, mira a rivendicare la genialità e il contributo speculativo del napoletano che, partendo dalla lezione del Paracelso, come tanti suoi coetanei, e possiamo ricordare il veronese Tommaso Zefiriele Bovio, il medico bolognese Leonardo Fioravanti, il calvinista Angelo Sala o lo stesso Della Porta, in effetti precorse il noto farmacista tedesco Otto Tachenius nella preparazione dei sali per calcinazione e lisciviazione, ma anche altri chimici e farmacisti, come ad esempio Giovanni Schroder. Il Soliloquium, scrivono i due studiosi, può essere considerato « sia un trattato di tecnica farmaceutica […] sia un trattato di farmacologia e terapia » 14 dove per altro il Finella, a differenza dei naturalisti e medici coevi, « non ha mai una parola che tenda a fare sapere ai lettori di essere un capo scuola od un riformatore. Forse per questo fatto il suo nome non è mai citato dagli autori contemporanei o posteriori ». 15 Nel 1942 Esposito Vitolo torna a interessarsi del Soliloquium e dell’apporto scientifico originale del Finella. Nel saggio edito sulla « Rivista di storia delle scienze mediche e naturali », 16 Esposito Vitolo, in virtù dell’esame della pubblicazione del Gaffaro del 1649, riba 

















13   Gino Testi, Antonio Esposito, L’estrazione dei sali e l’astrologia farmaceutica in Filippo Finelli, in Lavori di Storia della medicina compilati nell’anno accademico 1936-37 xv, Roma, Istituto di storia della medicina, 1936-1937, p. 5 14 15   Ibidem.   Ivi, p. 16. 16   A. Esposito Vitolo, Filippo Finelli e il riconoscimento della natura animale del corallo, cit.

filippo finella e la fisionomia “ naturale ” 99 dendo il proprio dissenso nei confronti dell’Hoefer, che aveva considerato il Finella nulla più che un oscuro alchimista, gli riconosce il merito di avere fra i primissimi individuato la natura animale del corallo, laddove ancora nel Settecento si continuava a teorizzarne la natura vegetale. Da sottolineare che il Vitolo, a conclusione del suo intervento, riporta alcune notizie sulle edizioni delle opere finelliane. Recuperando le informazioni dal Dizionario storico continente quanto vi ha di piu notabile nella storia sacra, profana, antica e moderna d’Italia di Giangiuseppe Origlia edito a Napoli nel 1756-57 e da Paolo Mantegazza, 17 egli ricorda la Cesonia, i due trattati De metroposcopia e De duocecim coelestibus signis e integra il catalogo di Filippo con le seguenti opere : De duobus conceptionis et respirationis figuris, il De methoposcopia astronomica, il De revolutionibus annorum, « Anversa, 1650, in 8°, pp. 54 » 18 e lo Speculum astronomicum tripartitum (Napoli, 1649). Di quest’ultima opera egli si occupa in un altro articolo del 1946, dove, sottolineata l’attenzione nei vari secoli per l’astrologia, riconosce al Finella un notevole spessore scientifico principalmente in rapporto alla consapevolezza del legame fra pianeti e parti del corpo, sia pure precisando prudentemente : « Abbiamo ritenuto sufficiente esporre quanto sopra, soprattutto in relazione al desiderio di far conoscere questo ignorato ricercatore, di cui indubbio comunque fu il contributo alle conoscenze scientifiche del suo tempo, anche se errate, al lume delle moderne teorie, possono apparire alcune interpretazioni ». 19 Nel medesimo 1946 vede la luce il terzo studio dell’Esposito Vitolo incentrato su un nuovo e schematico esame del Soliloquium salium. 20 Occorrerà attendere undici anni per potere registrare un nuovo intervento sul Finella. Ne è autore Vincenzo Bianchi, medico dell’Istituto di Farmacologia e Terapia Sperimentale dell’Università di Pavia. 21 Si tratta di un articolo dai contenuti evidenti già dal titolo (Contributo a una migliore conoscenza della vita e delle opere dell’alchimista, astrologo e commediografo Filippo Finella), strutturato in due parti : nella prima si tende a ripercorrere le vicende bio-bibliografiche salienti del napoletano, nella seconda si appronta un’Appendice delle sue opere a stampa note al Bianchi. Sorvolando su alcune ingenuità bibliografiche 22 e su alcune sorprendenti affermazioni (la più eclatante potrebbe essere quella che concerne l’assenza di pubblicazioni finelliane nella Biblioteca Nazionale di Napoli, laddove già in virtù dei sedimentati cataloghi a schede manoscritte della prima metà del ‘900 è agevole prendere atto di non poche “presenze” all’interno della prestigiosa biblioteca), l’aspetto forse più interessante e nuovo dell’articolo del Bianchi, enucleabile, come detto, già dal titolo, si concentra sull’avere richiamato l’attenzione sull’articolata e policroma personalità culturale del napoletano, non a caso e non del tutto impropriamente accostata dal Bianchi a quella di non pochi scrittori partenopei del tempo, in primis a quella del Della Porta. Ma cerchiamo di desumere dai pochi studi finora menzionati qualche schematica notizia, onde cominciare a disegnare alcune tappe biografiche del Nostro e a compilare, per così dire, un “provvisorio” catalogo delle sue opere e delle relative edizioni. Nato a Napoli probabilmente nel 1584, stando a quanto riportato in un suo ritratto riprodotto in alcune edizioni di suoi scritti, 23 legato alla scuola del Paracelso, provvisto di  



























17

  Paolo Mantegazza, Fisiologia del dolore, Firenze, Felice Paggi, 1880.   A. Esposito Vitolo, Filippo Finelli e il riconoscimento della natura animale del corallo, cit., p. 111. 19   A. Esposito Vitolo, L’astrologia medico-farmaceutica in Filippo Finelli, cit., p. 60. 20   A. Esposito Vitolo, Le piante medicinali citate da Filippo Finelli nel Soliloquium Salium Empyricum, cit. 21   Vincenzo Bianchi, Contributo a una migliore conoscenza della vita e delle opere dell’alchimista, astrologo e commediografo Filippo Finella. Nota preliminare, « Minerva farmaceutica », vi (1957), 4, pp. 1-7. 22   Per esempio non sa del Toppi o di altri contributi e sembra “scoprire” alcune edizioni, in realtà già citate prima di lui da altri. 23   Infatti nel ritratto, datato 1632, è scritto che egli ha 48 anni. 18





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« attento spirito indagatore », come scrive il Bianchi, che gli consentì di recare contributi innovativi in campo chimico, farmaceutico, ecc., accademico “Incauto”, fu autore di opere scientifiche ma anche di opere teatrali. Queste ultime le diede alle stampe fra il 1617 e il 1627, cioè fra i 33 e i 43 anni.  



Le edizioni a stampa delle opere di Filippo Finella [scrive il Bianchi], per quanto a me finora risulta, dovrebbero essere almeno ventuno : alcune delle quali, le ultime, stampate tutte ad Anversa tra il 1648 e il 1650, il che può fare pensare ad un soggiorno del Finella colà in quegli anni 24  



Per quanto concerne Anversa, già si sono ricordate le legittime riserve del Sabbe, e sorprende che il Bianchi sembra non esserne a conoscenza. Per l’integrazione dell’elenco delle edizioni finelliane, effettivamente lo scandaglio e il controllo del Bianchi in diversi fondi librari e su non pochi cataloghi di biblioteche ne consentono un ampliamento, sia pure meno corposo di quanto intenda evidenziare il medico pavese. Posto che i controlli dichiarati dal Bianchi sono stati effettuati presso 10 biblioteche, 25 questo l’elenco delle 20 edizioni descritte nel saggio :  



1. La Cesonia, Napoli, Bonino, 1615 [1617, Toppi]. In Vitolo e Toppi 2. Penelopea, Napoli, 1624 [1626, Toppi]. In Toppi 3. La vendetta di Giove contro i Giganti, Napoli, Maccarano, 1625. In Croce 4. Gratie concesse da Giove ai cupi abissi, Napoli, 1625 5. Cintia, Napoli, 1626 6. La Giudea distrutta, Napoli, 1627 7. Fisionomia naturale, divisa in due parti, nella quale si contiene la geometria delle membra humane, Napoli, Maccarano, 1629 8. Libri tres nevorum, Antverpiae, Plantin, s.d. [ma 1632 o 1633]. Funck 9. Delle tavole astronomiche, della luna perpetua per anni 19, Napoli, Beltrano, 1634 10. Delle vertù [sic !] occulte delle vipere per le 28 mansioni delli seguaci del Zodiaco, con le tavole astronomiche, Napoli, Longo, 1634 11. De metroposcopia seu methoposcopia naturali, Antverpiae, Plantin, 1648 12. Ophtalmia phisiognomonica [quest’opera, finora non rintracciata, è ciata dallo stesso Finella in appendice al “De planetaria naturali phisionomia” nella richiesta dell’imprimatur. Tale richiesta porta la data del 1648] 13. De quatuor signis quae apparent in unguibus manium, Neapoli, Gaffari, 1649. Sabattini 14. Soliloquium salium empyricum, Neapoli, Jacopo Gaffari, 1649. Vitolo 15. Speculum astronomicum tripartitum … Neapoli, Jac. Gaffari, 1649 16. De planetaria naturali phisonomia, Neapoli, Jac. Gaffari, 1649 17. De revolutionibus annorum, Antverpiae, 1650. Vitolo 18. De duodecim segnis coelestibus in 360 gradibus divisis cum eorum inclinationibus, Antverpiae, Plantin, 1650. Toppi, Riccardi, Mantegazza, Vitolo 19. De methoposcopia astronomica, Antverpiae, Plantin, 1650. Toppi, Graesse, Riccardi 20. De duabus conceptionibus et respirationis figuris et de connexione inter eas et figuram celestem, Antverpiae, Plantin, 1650  

Ricordato che in un saggio esemplare del 1986 Giovanni Aquilecchia in relazione alla letteratura metoposcopica tra Cinque e Seicento menziona tre edizioni di Filippo, i Libri tres nevorum, il De metroposcopia seu methoposcopia naturali e il De methoposcopia astronomica, attribuendone, si potrebbe dire, sorprendentemente, la paternità tipografica all’officina 24

  V. Bianchi, Contributo a una migliore conoscenza della vita e delle opere …, cit., p. 2.  Biblioteca Universitaria di Pavia ; British Museum [ora British Library] ; Biblioteca Statale di Cremona ; Bibliotèque nationale di Parigi ; Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ; Biblioteca Vaticana ; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ; Biblioteca della Collegiata di Broni ; Biblioteca Universitaria di Napoli ; Biblioteca Palatina di Modena. 25



















filippo finella e la fisionomia “ naturale ” 101 plantiniana, nel 1997 sul volume 48° del noto Dizionario Biografico degli Italiani viene inserita la voce “Finella Filippo”, a cura di Antonella Pagano, dove con puntualità vengono riassunte tutte le informazioni e vengono schematizzati tutti i dati all’epoca disponibili. Si ricorda l’appartenenza all’Accademia degli Incauti con il soprannome di « Inutile », la sua iniziale produzione drammaturgica, concretizzatasi nella pubblicazione di 6 opere fra il 1617 e il 1627 (e qui non si fa cenno ad un’edizione della Cesonia del 1615, segnalata dal Bianchi), si sottolineano i successivi molteplici interessi “scientifici”, approdati a stampe di diffusione e successo non marginali, evidenziando per altro, col richiamo al contributo del Sabbe, i dati bibliografici molto probabilmente contraffatti per le edizioni plantiniane, da riconoscere invece quali approdi dell’officina del Gaffaro. Questa in sintesi la situazione degli studi sullo scrittore/scienziato napoletano. Non molto, a dire il vero. Qualcosa in più può rivelarci l’esame delle pubblicazioni, consentendo alcune conferme ma anche qualche integrazione. Innanzitutto, stando al controllo sul nostro Opac nazionale, sbn, sembrerebbe (e il condizionale è ovviamente d’obbligo) che effettivamente le opere finelliane date alle stampe siano state (in ordine cronologico) :  





1. La Cesonia, edizione del 1615 e del 1617, la prima senza note tipografiche la seconda con : In Napoli, per Scipione Bonino, 1617 2. Penelopea tragicommedia pastorale, In Napoli, per Gio. Dom. Roncagliolo, 1624 3. Gratie concesse da Gioue à i cupi abissi. Intermedii di Filippo Finella, Academico incauto detto lo inutile, in Napoli, per Domenico Maccarano, 1625 4. La vendetta di Gioue contro Giganti. Intermedii di Filippo fanella, Accademico Incauto detto l’Inutile, In Napoli, per Domenico Maccarano, 1625 5. Cintia fauola boscareccia, In Napoli, per Domenico Maccarano, 1626 6. Fisonomia naturale, diuisa in due parti. Nella quale si contiene la geometria delle membra humane, con vn breuissimo discorso delli segni, ch’appariscono nell’vgne delle mani, Napoli, Domenico Maccarano, 1629 7. Incendio del Vesuvio [sotto il nome del Lanelfi], Napoli, Ottavio Beltrano, 1632 8. Primo libro dei neui, in Antuerpie, 1632 9. Libri tres neuorum, Antuerpiae, ex offucina Plantiniana, apud Balthassarem Moretum, [1632, data della dedica e del ritratto] 10. Delle vertù occulte delle vipere per le 28 mansioni delli segni dello zodiac. Con le tauole astronomiche per sapere a che hora se leua il sole, & che tempo sia mezo giorno … Con le tauole perpetue in che segno, gradi, & minuti se ritroua la luna … Divisa in due libri, in Napoli, nella regia stamperia di Egidio Longo, 1634 [Delle tauole astronomiche della luna, perpetue per anni 19. Libro secondo, In Napoli, appresso Ottavio Beltrano, 1634. Fa parte di Delle vertù occulte] 11. De metroposcopia, seu methoposcopia naturali, Antuerpiae, ex officina Plantiuiana, apud Balthasarem Morenum, 1648 [per SBN i.e. Napoli, Gioacomo Gaffaro] 12. De planetaria naturali phisonomia, Neapoli, typis Jacobi Gaffari, 1649 13. De quatuor signis, quae apparent in vunguibus manuum, Neap., typis Iacobi Gaffari, 1649 14. Soliloquium salium, Neap., typis Iacobi Gaffari, 1649 15. Speculum astronomicum tripartitum, medicis necessarium, agriclturae & nauigationi valdé proficuum, Neapoli, typis Iacobi Gaffari, 1649 16. De duabus conceptionis, et respirationis figuris, et de connexione inter eas, & figuram coelestem, Antuerpiae, ex officina Plantiuiana, apud Baldassarem Morenum, 1650 [per SBN i.e. Napoli, Gioacomo Gaffaro] 17. De duodecim coelestibus signis ; in 360 gradibus diuisis cu neorum inclinationibus, & naturis, Antuerpia, ex officina plantiuiana, apud Baldassarem Morenum, 1650 18. De methoposcopia astronomica. De duodecim signis coelestibus, Antuerpia, ex officina Plantiuiana, apud Baldassarem Morenum, 1650 [per SBN i.e. Napoli, Gioacomo Gaffaro] 19. De reuolutionibus annorum, Antuerpiae, ex officina Plantiuiana, apud Baldassarem Morenum, 1650 [per SBN i.e. Napoli, Gioacomo Gaffaro]  



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Laddove da sbn risulterebbero presenti presso la Biblioteca Nazionale di Napoli 11 edizioni, in effetti un controllo locale consente di aggiungerne altre due (evidenziate in neretto), nonché quella dell’Incendio del Vesuvio, edita per i tipi di Ottavio Beltrano a Napoli nel 1632 sotto il nome di Lanelfi. Inoltre, preso la Biblioteca Vaticana è presente La Givdea distrvtta da Vespasiano et Tito, Napoli, D. Maccarano, 1627. In definitiva, quindi, dovrebbero essere venti le pubblicazioni contenenti opere del Finella. Senza abusare della vostra pazienza vorrei utilizzare ancora qualche minuto per cercare di inquadrare in maniera meno approssimativa la personalità intellettuale e la presenza culturale del Nostro nella Napoli dell’epoca. Mi limiterei qui a prendere in considerazione tre coordinate, tre elementi :  

1. Cronologia e tipologia delle sue pubblicazioni quale possibile testimonianza dell’evoluzione dei suoi interessi 2. Collegamenti e rapporti desumibili dalle sue pubblicazioni 3. Relazioni col contesto tipografico/editoriale

Si tratta di tre coordinate che possono essere legittimate e alimentate da indagini e riflessioni sia di carattere paratestuale che di taglio bibliologico. Se è vero che la coesistenza di interessi legati al teatro e alla letteratura da un canto e, dall’altro, alle scienze astrologiche, fisiognomiche, ecc. potrebbe richiamare alla mente altri intellettuali del tempo, in primis il Della Porta, è anche vero che soprattutto in relazione a quest’ultimo emerge una netta e non casuale differenza di evoluzione e “tempi” di inclinazioni culturali. Infatti, laddove tutte le opere creative del Finella si concentrano nel primo periodo della sua vita, fra il 1615 e il 1627, e dal 1629 fino al 1650 egli pubblica solo opere “scientifiche”, in Della Porta, fatte salve ovviamente altre considerevoli differenze e situazioni specifiche, gli scritti creativi si alternano con quelli scientifici, a riprova del differente compito e messaggio loro attribuiti. Si può aggiungere che l’itinerario di Filippo sembra segnato da fasi alquanto precise, che, per quanto collegate e certo non accidentali, denotano suggestioni e sollecitazioni distinte : prima opere teatrali, poi studi su interpretazioni di segni, indizi e tratti desumibili dal corpo umano (dai nei alle rughe, dalle unghie alla fisionomia) ; infine, con una anticipazione nel 1634, decisa attenzione ai fenomeni astronomici. E veniamo alla seconda coordinata. Che Filippo fosse accademico Incauto col soprannome di Inutile è notizia che recuperiamo già dai frontespizi delle Gratie concesse da Gioue à i cupi abissi e da La vendetta di Guiue contro Giganti, edite entrambe a Napoli da Domenico Maccarano nel 1625. Ma altre interessanti notizie è possibile raccogliere ora da frontespizi ora da dediche ora da altri corredi. Per esempio, il possibile anno di nascita può essere ricavato dal suo ritratto presente nell’edizione del Soliloquium (Figura 2), stampato a Napoli dal Gaffaro nel 1649. Nella medesima edizione è presente la dedica (Figura 3) a Pompeo Colonna, personaggio di un certo interesse non solo in relazione alle sue incursioni sul fronte letterario, ma anche perché proprio nel 1649, data della dedica, esattamente nell’aprile 1649 (e la dedica, si badi, è del maggio), era stato scarcerato dopo alcuni anni di prigionia provocata da posizioni considerate antispagnole. Un dedicatario, dunque, importante, ma anche in qualche modo “scomodo”.  



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Figura 2.

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Figura 3.

Nel medesimo 1649 Finella fa stampare dal Gaffaro lo Speculum astronomicum tripartitum, che dedica ad Alessandro Troilo, il quale poco prima, nel 1646, come si desume dalla pubblicazione bolognese di Giovan Battista Ferroni, era stato nominato a Ravenna Abate Generale dei Canonici Regolari Lateranensi. Nel 1648 i tre libri del trattato De metroposcopia, seu methoposcopia naturali, in barba alle raccomandazioni e alle perplessità su procedure di tal genere espresse già nel Cinquecento da Giovanni Fratta, 26 ma, possiamo aggiungere, in perfetta sintonia con numerose altre stampe, e sarà appena il caso di ricordare per attenerci al ’600 quelle de Le imagini de gli dei di Vincenzo Cartari oppure della Bologna perlustrata di Antonio di Paolo Masini, vengono dedicati ciascuno a tre diverse persone : il primo al barone Bernardino Bonanno, il secondo a Don Francisco Turriani de Tasso, forse l’estensore di un documento al quale fa riferimento Enrico Nuzzo a proposito del Cantelmo, e il terzo a Giuseppe Caracciolo, primo Principe di Atena, morto nel 1656. Il dedicatario del De duabus conceptonis et respirationis figuris è Odo de Cordemoy, signore di Francalmont (Figure 4 e 5).  



26  Cfr. Marco Santoro, Contro l’abuso delle dediche. “Della Dedicatione de’ libri” di Giovanni Fratta, « Paratesto », 1 (2004), pp. 99-120 ; Id., Uso e abuso delle dediche. A proposito del “Della dedicatione de’ libri” di Giovanni Fratta, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2006.  





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Figura 4.

Figura 5.

Anche per le opere creative della sua prima stagione letteraria Filippo si preoccupa di individuare dei dedicatari. Ad esempio La Cesonia è dedicata a Francesco Tappia de Leva, conte di Guastamerola e La vendetta di Gioue contro Giganti (Figura 6) ad Alessandro Ruffinelli (Figura 7).



Figura 6.

Figura 7.

Le dediche forse più “prestigiose” sono quelle legate alle opere specificatamente fisiognomiche : nel 1629, infatti, Finella dedica la Fisonomia naturale al papa Urbano VIII sia per la  

filippo finella e la fisionomia “ naturale ” 105 prima parte nell’ ottobre 1625 che per la seconda nel marzo 1629, mentre il dedicatario del De planetaria naturali phisonomia, pubblicata dal Gaffaro nel 1649 (Figura 8) è Don Iñigo Vélez de Guevara, 8º conte d’Oñate e 3º conte di Villamediana, viceré del Regno dal marzo 1648 al novembre 1653 (Figura 9).



Figura 8.

Figura 9.

Considerati i ben noti passaggi della prassi delle dediche, dalla scelta del dedicatario fino all’accettazione e all’effettivo riconoscimento/premio del gradimento, e considerato altresì che tutte le dediche sono a nome del Finella e il tono delle stesse (per quanto alquanto standardizzato e sostanzialmente frutto della maturazione di una sorta di genere letterario), non è arduo dedurre un rapporto di sodalizi, o quanto meno di conoscenze con personaggi dell’epoca di un certo spessore prevalentemente “politico”. Ed eccoci alla terza coordinata concernente gli stampatori delle opere finelliane. Essi risultano essere sei : Scipione Bonino, Giovan Domenico Roncagliolo, Domenico Maccarano (4 edizioni), Ottavio Beltrano (due pubblicazioni), Egidio Longo e Giacomo Gaffaro (cinque pubblicazioni, alle quali andrebbero aggiunte tutte quelle “plantiniane”, cioè altre cinque). Emergono con chiarezza due costanti, una di carattere tematico e una di carattere cronologico. La prima è relativa al fatto che tutti i contributi scientifici sono editi da Gaffaro, fatta eccezione per la Fisionomia naturale, edita dal Maccarano nel 1629, e per il trattato sulle vipere, pubblicato dal Longo. La seconda consiste nel fatto che tutta la prima produzione letteraria è affidata a tre diverse officine, fra le quali non figura quella di Gaffaro. Ma chi sono questi stampatori ? Come si qualifica la loro produzione ? Le due precedenti costanti come si configurano, a quali ragioni rispondono ? A riguardo può essere utile evidenziare almeno tre punti. Tutti i sei stampatori sono fra i più attivi e tipograficamente qualificati nella Napoli della prima metà del secolo, e non a caso sono inclusi fra i 48 che ricorda il Giustiniani (per inciso all’epoca oltre 160 erano gli artieri presenti sul territorio). Si può anzi affermare che in effetti insieme al  







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Carlino, al Gargano, allo Scoriggio e al Vitale, son questi i tipografi che monopolizzano il quadro produttivo della prima metà del secolo. Per quanto concerne il secondo punto, si possono riscontrare sintonie e anomalie fra tipologia delle opere del Finella e consuetudini e strategie produttive dei tipografi che le stampano. Ecco solo qualche assaggio. Due le edizioni di Beltrano, in perfetta corrispondenza con il suo catalogo : infatti si tratta di due opere drammaturgiche in volgare e l’attività di Ottavio, stampatore del Basile e del Cortese, è quasi costantemente orientata in questa direzione. Per Maccarano, che imprime anche Tasso, Stigliola, Cortese, ecc., e per Roncagliolo, stampatore di non pochi lavori di Basile, Capaccio e soprattutto di quasi tutte quelle di Orazio Comite (il cui teatro, per inciso, è stato accostato da Stella Castellaneta a quello del Finella 27), dicevo per Maccarano e Roncagliolo si potrebbero rilevare analoghe, anche se leggermente differenti, sintonie. Per Bonino e per Longo, invece, la presenza delle opere finelliane nel loro catalogo è meno organica. Essi infatti stampano per lo più opere in latino : il primo prevalentemente di carattere religioso, il secondo di ambito giuridico (d’altra parte è anche stampatore regio, che imprime numerose “decisiones”, sentenze del tribunale di Napoli, ecc.). Quanto al terzo punto, esso riguarda Giacomo Gaffaro, “produttore” di circa centocinquanta edizioni, quasi sempre in virtù di autonome iniziative imprenditoriali, ma non raramente, e questo lo caratterizza, in società ora con Domenico Bove in veste di tipografo, ora con Domenico Montanaro in veste però di editore. Come si è sottolineato, al Gaffaro si devono le stampe non solo di cinque edizioni ufficialmente sottoscritte, ma anche di altre cinque recanti note tipografiche “plantiniane”. Dunque, possiamo ben considerare Gaffaro l’editore del Finella, che prende in cura le sue opere nel triennio 1648-1650, con anticipazione nel 1632 per la pubblicazione del trattato sui nei. Produttore di edizioni per lo più di diritto (tra le altre, opere di D’Afflitto, di Andrea d’Isernia, ecc.) e di religione, prevalentemente in latino, Gaffaro stampa anche lavori di Domenico Gravina, solerte difensore dell’ortodossia cattolica, e trattati di vari argomenti scientifici e teologici. Non sorprende, quindi, che la preoccupazione di evitare di figurare sui frontespizi di opere di argomenti rischiosamente ai confini fra ortodossia ed eterodossia, quali l’astrologia o le arti divinatorie, potesse suggerire cautela e il ricorso a collaudate manipolazione tipografiche, per altro già sperimentate dal Gaffaro per altri autori, come ricorda il Sabbe. Detto che gran parte della produzione di Giacomo è in latino (il doppio delle pubblicazioni rispetto a quelle in volgare) e che stampa molte opere di diritto e di religione, andranno solo sottolineate nuovamente le sue collaborazioni con Domenico Montanaro, in veste di editore, e con Domenico Bove, in veste di tipografo. Nel suo catalogo, fra gli altri, Gravina, D’Afflitto, Summonte, Tommaso Costo, Accetto : insomma un artiere di non secondario livello nella Napoli secentesca. Sul rapporto Gaffaro/Finella, sulle ipotesi delle motivazioni che possono avere indotto l’uno e l’altro a editare con falsi dati tipografici, per inciso non si dimentichi che il Finella “camuffa”, per così dire, anche la sua pubblicazione sul Vesuvio, sotto il nome Lanelfi, e tale decisione potrebbe non sorprende, considerato il taglio del suo discorso non del tutto assimilabile a quello di gran parte delle numerosissime opere apparse all’indomani dell’eruzione del 1631, dicevo su queste e altre questioni non posso che rinviare ad un altro contributo, che spero possa vedere la luce non troppo tardi. Desidero solo chiudere con alcune sintetiche annotazione sulla Fisonomia naturale, diuisa in due parti pubblicata a Napoli da Domenico Maccarano nel 1629, limitandomi a segnalare alcune peculiarità “comunicative” dell’edizione.  







27   Stella Castellaneta, Tradizione, eterodossia, militanza nel teatro di Filippo Finella e Orazio Comite, in Partenope in scena. Studi sul teatro meridionale tra Seicento e Ottocento, a cura di Grazia Distaso, Bari, Cacucci, 2007

filippo finella e la fisionomia “ naturale ” 107 Va innanzitutto ribadito che venti anni dopo la pubblicazione della Fisonomia, vede la luce la De planetaria naturali phisonomia, edita dal Gaffaro, nel cui “imprimatur” (Figura 10) si legge che :  

Filippo Finella Napolitano desidera mandare alle Stampe alcune delle sue Opere, & frà l’altre sono. La Fisonolia Planetaria, l’Ophthalmia Physiognomica, lo Specolo Astronomico, li quattro segni ch’appariscono nell’vgne delle mani, & il Soliloquio Spargirico latini, e volgari, per tanto supplica à V. E. del suo Regio imprimato, & il tutto l’hauerà a gratia […].

Figura 10.

Con la citazione, quindi, anche di una Ophthalmia, della quale non ci è giunta alcuna copia, posto che sia stata stampata.



Figura 11.

Figura 12.

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La Fisonomia è in due parti (Figure 11 e 12) e nella prima Finella dichiara apertamente le fonti e i punti di riferimento del suo trattato : Aristotele, Polemone, Adamanzio, Antonio Pellegrini, autore del trattato I segni de la natura ne l’huomo, stampato dalla ditta Giovanni Farri & fratelli, Giabir : ibn Hayyan, autore del De la geomantia […] Con vna breuissima chiromantica phisionomia, data alla luce nel 1552 a Venezia da Bartolomeo Cesano, Geronimo Cardano, il medico Guglielmo Grataroli, condannato nel 1551 dal tribunale ecclesiastico di Bergamo e rifugiatosi quindi prima a Strasburgo e poi a Basilea, e infine il nostro Della Porta. Non cita altri che pure di fisiognomica si erano interessati, anche in tempi recenti, quale ad esempio, sorprendentemente, Giovanni Ingegneri, la cui Fisionomia naturale aveva beneficiato di un certo successo. Pubblicata a Venezia dai fratelli Zoppini nel 1585, era stata riedita varie volte a Viterbo ma anche a Napoli dal Carlino e dal Roncagliolo. Come già detto, entrambe le parti sono dedicate al papa Urbano VIII, ma la prima porta come datazione 21 ottobre 1625, la seconda invece 1 marzo 1629 (tempi allungati per il cosiddetto “gradimento” da parte del pontefice ?). Per quanto concerne la trattazione, come puntualmente indicato nella Tavola, essa è articolata in 31 capitoli, secondo una schema che rimarrà sostanzialmente invariato, ma non identico, nella traduzione latina del 1649. La seconda parte è impreziosita anche da un’antiporta (Figura 13) ed entrambe riportano alla fine un “Avertimento”, in corsivo nella prima parte e in tondo nella seconda (Figura 14), nel quale si insiste :  







Si averte, à tutti quelli, che questa scienza intendono di essercitare à non volere per alcuni pochi segni, che nll’huomo veggono tosto fare il giuditio, ne il pronostico, & scoprire di quelli la natura ; ma con ogni accuratezza, & mirare, & osseruare più d’vn membro […] & perciò torando al primo ragionamento dico, che quando si hauranno gli tostimonij vniformi di più membri, potrassi determinare con ogni sicurtà, & vaticinare ò del bene, ò del male, che seco racchiude quell’huomo di cui si fece il giuditio […].  



Figura 13.

Figura 14.

Versatile poligrafo, Filippo Finella è stato definito ora “geniale studioso” (Antonio Esposito Vitolo), ora “insigne astrologo” (Giovanna Baroncelli), ora “divulgatore di scienze occulte” (Éva Vígh), ora “divulgatore di astrologia, alchimia, chiromanzia e fisiognomica” (Antonella Pagano). Certo, benché non dovette godere di fama e stima paragonabili

filippo finella e la fisionomia “ naturale ” 109 a quelle conquistate dal Della Porta, non fu personaggio “minimo” e immerso in grigio anonimato. Non sfornito di conoscenze, in qualche misura partecipe di un circuito culturale e politico di piano non trascurabile, Filippo seppe confortare le sue aspirazioni culturali con progressivi approfondimenti e con non trascurabili integrazioni dei propri orizzonti scientifici, così da potere coltivare la sua inclinazione ad essere partecipe della “repubblica” delle lettere e delle scienze in modo sempre più legittimo. Anche per la sua cauta ma non arrendevole posizione nei confronti di certe disposizioni della chiesa, Finella, in sintonia con le opinioni e gli orientamenti del Della Porta ma anche di altri intellettuali coevi, può essere considerato testimonianza esemplare di quella autonomia e vivacità di pensiero di una parte del milieu culturale meridionale e in specie napoletano che, se si vuole, costituirà “alimento” fondamentale per un’altra stagione esaltante per Napoli : l’illuminismo.  

MORALITÀ E SEGNI FISIOGNOMICI NEL DELLA FISONOMIA DELL’HUOMO DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA Éva Vígh

G

iovan Battista Della Porta, nell’ambito della sua attività dedicata alle scienze e alla magia, si occupava in modo approfondito anche di questioni fisiognomiche in vari suoi trattati, 1 tentando anche di trovare il posto dell’eccellente « fisonomia […] nata da principii naturali » fra le « molte scienze divinatrici […] vane, false e perniciose ». 2 Della Porta, infatti, non inserisce la fisiognomica fra le arti mantiche, « scienze concepute di vanità, formate da capricci, con fondamenti in aria », 3 ma le attribuisce fondamenti di verità scientifica che si appoggiano su principi naturali. Nel proemio del suo Della fisonomia dell’huomo, il trattato più sistematico e di maggior fortuna europea, tra il ’500 e il ’600, fra tutte le opere fisiognomiche pubblicate allora, accentua i nessi tra forme del corpo e caratteri dell’anima. Egli si concentra sui benefici che si possono trarre dalla fisiognomica nei rapporti sociali e negli altri campi d’impiego della fisiognomica fra cui le arti figurative, la letteratura e la medicina. Grazie al rapporto intrinseco fra corpo e anima, secondo i dettami della fisiognomica, si svela il carattere di una persona esaminando la forma, le proporzioni, i movimenti, il colorito del corpo, nonché la voce e il comportamento. 4 È il comportamento, appunto, che con i suoi diversi modi segnala l’interferenza, anzi l’interazione fra fisiognomica e filosofia morale. L’analisi dei punti di convergenza fra filosofia morale e fisiognomica da parte di Della Porta s’inserisce perfettamente nella tradizione filosofica del Rinascimento considerando il fatto che i trattati di fisiognomica hanno sempre delineato, oltre agli affetti, anche le moralità degli individui esaminati, così come i libri di filosofia morale, basati sugli affetti e sui modi comportamentali, hanno preso in considerazione i segni della percezione fisiognomica. In quanto il ’500 e il ’600 erano i grandi secoli della retorica e della filosofia morale, coordinate entro cui la fisiognomica aveva sempre trovato la sua ragione d’essere, non è difficile trovare trattati di retorica o d’etica che abbiano pertinenza con la fisiognomica. Per sottolineare il rapporto singolare fra fisiognomica e filosofia morale, potremmo riportare vari esempi anche dai manuali di fisiognomica, in cui i cenni caratteriali adoperano il lessico proprio della filosofia morale. Il corpo come simbolo morale, attraverso i suoi segni con la sua tacita e sonora comunicazione, pur simulando e dissimulando, trasmette ad uno sguardo attento tutta una serie di informazioni decodificabili  



















1   La fisiognomica costituisce un campo alquanto esteso nell’oeuvre dellaportiana. I suoi trattati di fisiognomica sono : De humana physiognomonia, Vico Equense, Giuseppe Cacchi, 1586 ; Phytognomonica, Neapoli, Apud H. Salvianum, 1588 ; (sotto lo pseudonimo di Giovanni de Rosa) Della fisonomia dell’uomo, Napoli, Tarquinio Longo, 1598 ; Coelestis physiognomonia, Neapoli, Io. Baptistae Subtilis, 1603 ; Della celeste fisonomia, Napoli, Lazzaro Scoriggio, 1614 ; Della chirofisionomia overo di quella parte della humana fisionomia che si appartiene alla mano, Napoli, Antonio Bulifon, 1677 (pubblicato postumo). 2 3   FisII, p. 7.   Ivi, p. 10. 4  « L’indagine fisiognomica si basa sui movimenti, sugli atteggiamenti, sul colorito, sui tratti del volto, sui capelli, sulla levigatezza della pelle, sulla voce, sulla carne, sulle diverse parti e sulla forma del corpo nel suo insieme ». Aristotele, Fisiognomica, a cura di Maria Fernanda Ferrini, Milano, Bompiani, 2007, 806a, pp. 28-34.  















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con la scienza della fisiognomica. Grazie ai particolari metodi offerti sia dai manuali di fisiognomica che dalle opere etiche e di etichetta, si può imparare, infatti, come adeguare i modi di dire, di fare, di vestire, come moderare i gesti, lo sguardo, la modulazione della voce conformati alle aspettative etiche e sociali. 5 Della Porta nel Proemio del Della fisonomia dell’huomo dimostra a più riprese la chiara intenzione di presentare, documentare ed utilizzare i segni fisiognomici al servizio della formazione morale dell’uomo. Nel proemio dell’edizione del 1610, egli esprime in modo esplicito il valore pedagogico-morale della fisiognomica, dicendo che ognuno deve far sì che « procuri per l’avvenire che non imbratti la bellezza del corpo con la bruttezza de’ costumi, così veggendo il corpo brutto, procuri con ogni suo sforzo e diligenza che con le virtù medichi e risarcisca i buoni segni del corpo ». 6 La funzione etica risulta ancora più esplicita se consideriamo il fatto che un intero libro, il quinto viene dedicato a questioni morali. Questa parte della Fisonomia attesta l’utilità dei segni fisiognomici nell’institutio morale e nei rapporti sociali :  









tutto quello che abbiamo trattato nelli altri libri di ciascuna parte del corpo umano, tutti i segni che dimostrano un uomo che sia inclinato a qualche vizio o virtù morale raccorremo in uno, che dimostrino un’huomo che sia inclinato a qualche vitio, o virtù morale, accio sia lecito a ciascuno di conietturare, qual sia inclinato ad esser’ ingiusto, lascivo, magnanimo, o ingegnoso. 7  

Seguendo l’intento proposto, Della Porta delinea tutta una serie di ritratti morali ricavati dall’aspetto fisico e dai segni descritti nei libri precedenti della sua Fisonomia. Il quinto libro s’incentra su temi morali, vizi e virtù, per agevolare la scelta nei rapporti interpersonali di chi vuole evitare gli intoppi della vita civile e, nel contempo, intende allacciare utili rapporti sociali. La fisiognomica, infatti, « dimostra all’improvviso dall’aspetto del volto, senza altra esperienza, come celeste oracolo, e divina arte, o qual si voglia altro velocissimo modo d’indovinare, quai scelerati scacciare, e quai honorati abbracciar devi ». 8 In tal modo egli, fedelmente al suo metodo di lavoro, si richiama a grandi filosofi, come Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca o Lattanzio e tanti altri per dimostrare la validità della visione fisiognomica in queste importanti autorità della filosofia morale. Il nostro autore espone la tematica morale in 43 capitoli, 9 dedicando ciascuno di essi alla descrizione di una figura dotata di una virtù o dedita ad un vizio. Sin dal proemio al quinto libro si vede chiaramente che per Della Porta l’etica è una scienza pratica che consente all’uomo di gestire il proprio comportamento nei confronti degli altri praticando il giusto mezzo tramite la moderazione tra gli estremi viziosi. L’impostazione morale prevalentemente aristotelica è agevolata anche dal fatto che il primo trattato fisiognomico che ci è pervenuto, la Fisiognomica dello Pseudo-Aristotele, largamente utilizzata dallo stesso Della Porta, ribadisce a più riprese l’ideale della medietà in rapporto con i segni fisiognomici. Nelle sue descrizioni, analisi, trascrizioni, citazioni, o parafrasi e commenti, pur servendosi dei massimi filosofi ed esperti della fisiognomica, Della Porta risulta essere un convinto aristotelico. Senza l’esigenza della completezza, conviene dare un’occhiata all’occorrenza degli autori che sono basilari. Non sorprende se Aristotele/Filosofo figura 558 volte nelle pagine della sua Fisonomia, numero assai elevato che viene sfiorato solo  







5   Per il rapporto tra filosofia morale e fisiognomica rinvio a due capitoli del mio libro : « I costumi seguono i segni… ». Caratteri morali e forme del corpo nella Fisonomia di Giovan Battista Della Porta ed Eloquenza muta e sonora fra Cinque e Seicento, in Éva Vígh, « Il costume che appare nella faccia » : Fisiognomica e letteratura italiana, Roma, Aracne, 6   FisII, p. 4. 2014, con special riguardo a pp. 236-239 ; pp. 269-306. 7 8   Ivi, p. 479.   Ivi, p. 2. 9   Per un’analisi semiotica della tipologia dei mores rinvio a Patrizia Magli, Il volto e l’anima. Fisiognomica e passioni, Milano, Bompiani, 1995, pp. 187-190.  





   





moralità e segni fisiognomici nel della fisonomia dell ’ huomo 113 da autori aristotelici della fisiognomica antica : Polemone (542) e Adamanzio (512), spesso menzionati insieme perché Adamanzio parafrasava il testo di Polemone, giunto alla posterità in forma corrotta. 10 Non dobbiamo dimenticare del resto che la frequente citazione di Adamanzio è dovuta al fatto che egli (come constata Della Porta) « trascrisse da Aristotele ottimamente » 11 le osservazioni e le descrizioni dei tipi umani e animali. Della Porta conosce bene anche i fisionomi moderni a loro volta aristotelici : oltre a Pomponio Gaurico (2), Bartolomeo della Rocca (Coclès) (2) e Michelangelo Biondo (1), egli cita anche i commentatori moderni di Aristotele fra cui Agostino Nifo (16) benché il suo giudizio sul filosofo di Sessa sia prevalentemente negativo. I riferimenti ad Aristotele abbracciano vari libri aristotelici (o creduti tali all’epoca) : in primo luogo la Fisiognomica stessa, il Secretum secretorum e, ovviamente, l’Etica nicomachea. Gli altri testi tenuti in gran conto sono i libri dedicati agli animali : la Storia degli animali, la Generazione degli animali e Le parti degli animali, poi i Problemi, la Retorica, la Analyctica Priora, il Sonno e la veglia, il Sul senso e sui sensibili, il Libro dei colori, il De anima, il Della memoria e della reminiscenza. Benché il sapere enciclopedico e l’eccletticismo dell’autore partenopeo siano fondamentali se vogliamo comprendere la sua vasta cultura e tutta la sua ideologia, non possiamo prescindere dall’impostazione morale prevalentemente aristotelica nella descrizione dei vizi, delle virtù e dei comportamenti offerta nel suo trattato. Il libro v della Fisonomia, infatti, sembra una versione ragionata in veste fisiognomica del libro iv dell’Etica nicomachea, per non parlare delle altre opere aristoteliche o pseudoaristoteliche succitate e ricorrenti in tutta la concezione etica dellaportiana. Della Porta, nel delineare con meticolosa attenzione i tipi e prototipi delle varie moralità, mette a confronto le sue fonti ma, soprattutto nelle sue argomentazioni morali, preferisce Aristotele e gli aristotelici, antichi e moderni. Egli, come c’informa lui stesso, ebbe modo di fare un confronto tra le varie versioni della Fisiognomica aristotelica. Descrivendo ad esempio il carattere di chi ha la barba acuta dice che « nel testo arabico di Aristotele, che mi fe’ veder il Patriarca di Antiochia in Roma, diceva così : la barba acuta è di animoso e forte, ecc… ». 12 Ciò dimostra il suo costante interesse ed impegno filologico nella compilazione della sua Fisonomia. Della Porta è aristotelico anche nei metodi applicati alla congettura fisiognomica. Nella Fisonomia adopera prevalentemente i tre modi individuati dal testo aristotelico : il metodo zoologico partiva dal presupposto che l’uomo con un corpo simile a quello di un dato animale avesse anche un carattere simile. Coloro che invece di fare un confronto tra animali e uomini si basavano per l’indagine sugli esseri umani, applicavano lo strumento etnografico che riguarda la descrizione somatiche e caratteriali dei singoli popoli. Il terzo modo della congettura fisiognomica, quello etologico o semiotico, parte dalle espressioni di determinati stati d’animo e comportamenti : sono i segni visibili nel corpo che vengono associati a una condizione mentale o caratteriale. Il metodo etologico si basa su associazioni fra segni evidenti del corpo e segni nascosti dell’anima. 13 È forse superfluo dire quanta importanza ha la mesotes aristotelica, esposta chiaramente nell’Etica nicomachea, anche dal punto di vista della congettura fisiognomica. Fra le tante enunciazioni che ribadiscono il ruolo della medietà ne riporto una molto sintetica dalla Fisiognomica aristotelica : « bisogna cercare la via di mezzo, tipica di chi possiede buone qualità ». 14 La mesotes etica nella congettura fisiognomica è in stretto rapporto con la proporzione delle membra e delle forme del corpo.  





































10   Alcuni altri autori citati a proposito della fisiognomica (fra parentesi ci sono le occorrenze nel Della Fisonomia dell’huomo) : Ippocrate (54), Platone (63), Cicerone (17), Seneca (7), Galeno (138), Avicenna (32), Rasis (Rhazes) (56), Alberto Magno (238), Michele Scoto (23), Pietro d’Abano – con il soprannome di Conciliatore – (107). 11 12   FisII, p. 128.   Ivi, p. 220. 13 14   Per i più frequenti metodi d’indagine cfr. Aristotele, Fisiognomica, cit., 805a.   Ivi, 810b 36.  

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Oltre all’ideale di armonia e proporzione, quella della kalokagathia è considerata una legge fondamentale della congettura fisiognomica anche in Della Porta : la giusta proporzione delle parti del corpo, infatti, rispecchia l’armonia e la bontà dell’animo. Il testo della Fisiognomica aristotelica è coerente quando dichiara che « gli individui che mancano di proporzione sono cattivi : […] E se questi sono cattivi, gli individui ben proporzionati saranno giusti e coraggiosi ». 15 Questa teoria influisce praticamente su tutti i trattati di fisiognomica antichi e medievali, e Della Porta pure la accetta anche quando, volendo descrivere i vari tipi in modo conciso, inserisce spesso fra i tratti distintivi un unico aggettivo decisivo : brutto o bello.  











È un assioma vecchio et approvato da tutti quelli che fan professione di Fisonomia, che la convenevol disposizione delle parti del corpo dimostra ancora una convenevol disposizione di costumi ; e si suol dire proverbialmente che chi è mostro nel corpo è ancor mostro nell’anima. […] Percioché (come abbiamo spesse volte detto) la natura ha fabricato il corpo conforme a gli effetti dell’animo. 16   



A questo punto conviene stabilire il metodo applicato dal nostro autore nello scegliere i caratteri rappresentati per coppie oppositive (per es. ingegnoso/di grosso ingegno ; audace/timido ; prudente/imprudente) o, seguendo lo schema aristotelico, quando riporta conseguentemente i segni di una virtù e quelli dei suoi estremi viziosi : la figura del magnanimo viene così contrapposta a quella del gonfio e del pusillanime, e così via. Egli descrive quei tipi morali di cui anche Aristotele parla in modo sintetico nel libro ii, e dettagliatamente nel libro iv dell’Etica nicomachea. Aristotele, infatti, descrive tra l’altro il coraggioso (e il vile e il temerario), il temperato (l’insensibile e l’intemperante), il liberale (l’avaro e il prodigo), il magnanimo (il vanitoso e il pusillanime), il mansueto (l’irascibile e l’indolente), caratteri descritti anche da Della Porta. Egli segue più o meno fedelmente anche l’ordine dell’analisi aristotelica delle virtù e dei vizi, aggiungendo alcuni tipi (per es. il giocatore d’azzardo) dalla Fisiognomica pseudoaristotelica o da altri testi. Ciò dimostra anche il metodo di lavoro di Della Porta quando completa i testi o ne ritaglia qualcosa seguendo fondamentalmente una linea prestabilita e aggiunge le proprie osservazioni e, soprattutto, l’opinione di altri fisionomi obbligatoriamente presenti nella Fisonomia. Vi è invece un’apparente contraddizione inerente all’origine delle virtù etiche in Aristotele e quelle intese da Della Porta. Le virtù etiche, come precisa lo Stagirita, derivano dall’abitudine a compiere atti virtuosi, originariamente sotto la guida di altri, poi consapevolmente e per scelta deliberata degli stessi individui. Della Porta, invece, sottolinea la forza dei temperamenti dovuti alla natura e responsabili degli atti virtuosi o viziosi. Se Aristotele parla della disposizione a compiere atti virtuosi, il nostro autore fisionomo parla della predisposizione naturale per una virtù etica (o per i suoi eccessi). Il punto in cui si trovano accordo Aristotele e l’aristotelico partenopeo riguarda, da una parte, la forza attribuita alla pedagogia, e dall’altra, la convinzione per cui la virtù etica rimane una disposizione che consiste nel giusto mezzo rispetto ad un eccesso ed a un difetto. La descrizione dei tipi morali della Fisonomia d’altronde non segue servilmente nessuna fonte : ne infilza una dopo l’altra, stabilendone la credibilità o il prestigio alla luce delle esperienze millenarie. Il nostro autore confronta i giudizi, li commenta, ricorrendo a volte anche a citazioni letterarie prevalentemente da opere classiche, 17 senza rinunciare a polemiche basate sulle proprie esperienze del mondo naturale. La competenza e la  









15

16   Ivi, 814a.   FisII, p. 464.   I suoi autori preferiti sono Catullo, Euripide, Omero, Orazio, Giovenale, Lucrezio, Marziale, Ovidio, Plauto, Sofocle, Stazio e Virgilio. 17

moralità e segni fisiognomici nel della fisonomia dell ’ huomo 115 capacità combinatoria servono soprattutto quando i fisionomi antichi non tracciano la figura di una certa virtù o vizio : in questo caso, Della Porta doveva dedurre e raccogliere i segni da diverse fonti non necessariamente fisiognomiche o ricorrere ai segni analizzati nei capitoli precedenti. Delineate le avvertenze da tener presenti analizzando i caratteri morali della Fisonomia, ora diamo un’occhiata ad alcune figure morali descritte con la varietà dei segni fisiognomici. 18 Il ragionamento di Della Porta sui tipi morali segue un percorso assai ricco di tipi virtuosi e peccaminosi delineando i tratti distintivi dei loro sottotipi o le specie che illuminano la varietà delle anime e soprattutto la complessità della loro indagine. Volendo dare un saggio delle descrizioni, nella scelta mi ha motivato l’intento di presentare il metodo con cui il Della Porta espone una virtù con i due estremi viziosi facendo spesso anche il filologo. Egli, infatti, confronta le fonti, le analizza, spiega, commenta e completa in modo naturale. Riferendosi per esempio ad Aristotele a proposito dei tipi del “cittadino e selvaggio”, Della Porta ricorre a qualche precisazione « perché egli poco l’esplica, et il testo è corrotto, basti solo ch’egli l’abbi accennato, e noi l’esporremo più chiaro ». 19 Prendiamo l’esempio dello sdegno, che in Della Porta è la virtù del misericordioso e dello sdegnoso, perché « lo Sdegno non è altro che un dolore del bene che viene ad alcuno per qualche via, che non lo merita. Il medesimo è una malinconia di vedere alcuno afflitto da alcun male, che nol merita. […] pare che il temperamento sia : misericordioso ». 20 I tratti sono descritti in modo alquanto sconnesso :  



















Belli. […] Ingegnosi et astuti. Aggiongiamo noi : le ciglia distese diritte. Gli occhi ridenti, umidi. La fronte lunga distesa di qua e di là sino alle tempie. […] Le ciglia compresse, e la fronte dimessa, austera. Sdegnosi : La voce grave nel principio, nel fine acuta. Overo acuta e gagliarda. I denti mescolati : larghi, stretti, rari, spessi. 21   







Sono invece più dettagliatamente analizzati i segni dell’estremo vizioso : l’invidia, presentata in modo esemplare. Della Porta prima di tutto, come sempre, definisce l’invidioso dal punto di vista morale (« L’Invidioso è quello che s’attrista quando alcuno vede che abbi bene, o che ne sia degno o indegno »), poi si riferisce alla sua fonte (Polemone) e, sempre sulla scia degli antichi autori, fa il confronto zoomorfo aggiungendo la propria opinione di naturalista :  







il Riccio terrestre è stimato fra gli animali invidioso da Eliano, perché subito che è preso, sparge tutto il suo corpo d’urina, […] Così ancora della Tarantola, Lince, Rospo, e d’altri disse l’antichità ; ma a me paiono cose da vecchiarelle ; che eglino più tosto da paura spinti quando si sentono presi buttano quell’urine. Ma il Cane veramente pare che sia invidioso. 22  





I tratti distintivi dell’invidioso dimostrano chiaramente l’adesione di Della Porta agli scrittori morali e alla tradizione letteraria classica ed a lui contemporanea. E infatti Orazio, Ovidio, Petrarca, Dante, Sannazzaro, Alciato, e tanti altri autori, offrono veri e propri segni fisiognomici nell’illustrare l’invidia. Tutti vanno d’accordo che l’invidioso è magro, asciutto, brutto, ha una figura di color livido e pallido, lo sguardo storto e sbieco, dall’aspetto sempre triste. Leggiamo i tratti con cui il Della Porta lo descrive :  

Quelli che averà le parti sinistre più grandi delle destre. Le ciglia cadono sopra le guancie. Aggiun18   L’argomentazione sui tipi ora analizzati prevalentemente è la riformulazione di un capitolo del mio libro : Éva Vígh, « Il costume che appare nella faccia », cit., pp. 235-268. 19 20   FisII, p. 90.   Ivi, p. 543. 21 22   Ibidem.   Ivi, p. 542.  





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giamo noi : la faccia piana. L’orecchie lunghe e strette. Le guancie delicate ; over grosse, distanti dagli occhi. Il color della faccia quasi livido. La bocca cava. I denti lunghi, acuti, radi, forti. La voce dolce. La loquela acuta e debole. Il dorso molto curvo. Le spalle ristrette al petto, et il corpo dirotto. Le braccia che non giongano alle ginocchia, ma sforzino il capo che incontri le mani. Gli occhi cavi, piccioli ; o pallidi, che van su. 23   







La figura dell’Invidioso (G. B. Della Porta, Della Fisonomia dell’huomo, 1610)

La mancanza dell’armonia, della giusta proporzione e anche il colorito della faccia, il livido, e non solo l’etimo, denotano il livore, la passione di rancore per il bene altrui. Nella pittura europea la raffigurazione dell’Invidia, con special riguardo all’ambito dei sette vizi capitali, accentua la forza e l’importanza delle osservazioni fisiognomiche per pittori ed artisti cui fa appello anche Della Porta nel Proemio già citato. 24 Fra le tante raffigurazioni, precedenti o coeve all’opera dellaportiana, a mio avviso hanno un carattere appunto “fisiognomico” l’Invidia di Giotto e di Jacob de Backer che, a distanza di tre secoli, rappresentano perfettamente nei colori e nei particolari somatici il volto di questo vizio.  



Giotto, Invidia (Cappella degli Scrovegni, Padova)

Jacob de Backer, Invidia (Museo Capodimonte, Napoli)

23

  Ibidem.   Cfr. « È propria ancor questa arte de poeti e di pittori i quali, introducendo ne i loro poemi e pitture persone di varii costumi e descrivendo le fattezze, ce le diano convenevoli, come veggiamo aver fatto Omero, Virgilio, Ovidio, Plauto, Terenzio nelle commedie et Euripide e Sofocle nelle tragedie, o che medesimamente gli antichi artefici aver usato nelle medaglie di bronzo e nelle statue di marmo » (FisII, p. 4). 24





moralità e segni fisiognomici nel della fisonomia dell ’ huomo

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Un sottotipo dell’invidioso risulta essere quello dell’empio ovvero malevolo, catalogato da Della Porta subito dopo aver descritto l’invidioso. L’empio e il malevolo si rallegra « che alcuno facci male, o che degno over indegno ne sia ». I tratti fisiognomici dell’invidioso e dell’empio in gran parte coincidono : « Le ciglia […] pelose. […] I denti lunghi, acuti, radi, forti. Gli occhi cavi, piccioli. […] Overo che van su, pallidi. […] Le braccia brevi, che non giongano alle ginocchia ; ma nel mangiare sforzino il capo d’incontrare le mani ». Della Porta accenna anche al loro movimento « che caminano con veloci e brevi passi ». 25 Tipi e sottotipi in tal modo si accentuano e si completano, dimostrando l’interazione fra carattere morale e forma del corpo. Della figura del “Malizioso Bestiale” Della Porta parla dopo aver finito di analizzare le virtù e i vizi lasciando per ultimo « quel vizio che avanza ogni vizio, anzi è sentina di ogni vizio, chiamato ferino o bestiale ». 26 Ovviamente, anche questo vizio si presenta in coppia oppositiva con quella virtù « che è tesoro di ogni virtù e che è sovra di noi, e la chiamano eroica. Io la chiamarei : Carità ». 27 Della Porta riporta alcuni esempi terrificanti in cui l’uomo è peggiore delle bestie anche perché « le bestie non hanno l’elezione da poter fuggir il vizio ». 28 Si riprende la distinzione fra animali domestici e selvaggi, differenziazione già fatta nel libro I fra l’individuo cittadino e selvaggio. Della Porta non si riferisce qui all’ambito geoculturale in cui vengono allevati i « cittadini » e i « selvaggi », e non intende occuparsi neppure della formazione dell’individuo secondo le norme della civilitas. Se per Della Porta, seguendo gli antichi fisionomi anche in questo approccio, il confronto fra l’uomo e il mondo animale funzionava sin dai primi capitoli del suo libro, il paragone zoomorfo doveva avere un valore intrinseco anche nella descrizione dei segni del tipo bestiale. Il raffronto fra i segni degli animali domestici e quelli selvaggi può essere messo in rapporto anche nella comparazione fra uomini « cittadini » e « selvaggi ». Considerando gli animali  





















































i costumi de’ selvaggi son aspri, inumani, senza amicizia,  iracondi, crudeli, furibondi, solitarii, colerici e melancolici, feroci, implacabili, insidiosi, fraudolenti, cattivi, precipitosi, veloci, contro ogni giustizia. Per il contrario i domestici sono piacevoli, mansueti, buoni, tardi nell’oprare, molli, delicati, amici del consorzio, giusti e temperati.

La conclusione è scontata : « veggendo negli uomini i detti segni, e potrai giudicar quelli selvaggi,  incolti, melancolici ; questi miti et umani, dolci e socievoli ». 29 Il discorso del primo libro della Fisonomia, che accentua l’importanza del confronto zoomorfo, viene ampliato nel libro quinto con riferimenti ancora più espliciti relativi all’uomo, constatando ancora una volta che « i costumi seguono i segni ». 30 Vediamo quali sono i segni del ‘Malizioso Bestiale’ da evitare nei rapporti sociali, la cui figura estremamente viziosa è scandita in quattro sottotipi nominati da Della Porta « malizioso bestiale », « ferino », « di pessimi costumi » e « nefando ». La distinzione a prima vista sembra solo tautologica, ma in realtà le quattro figure bestiali si completano. Il Malizioso bestiale in tutti i suoi dettagli desta ripugnanza, ed è difficile stabilire se l’illustrazione dell’edizione del 1610 o i segni raccolti da Della Porta sono più suggestivi :  

































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  Ivi, pp. 542-543.   Ivi, p. 548.

  Ivi, p. 548.   Ivi, p. 91.

  Ivi, p. 553.   Ivi, p. 549.

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Malizioso bestiale (G. B. Della Porta, Della Fisonomia dell’huomo, 1610) I capelli duri. […] Il capo duro et aguzzo. […] L’orecchie molto grandi e languide. Il collo e la parte di dietro ritonda. I talloni aguzzi. La fronte dura et aspra ; Gli occhi oscuri, piccoli, secchi, cavi, che scorrono, e di fermo sguardo. Le guancie strette e lunghe. La barba lunga ; ma io stimo che voglia dir piccola, riferendola alle Serpi. Ch’hanno la bocca lunga, aperta, che quasi la faccia divida per mezzo. Curvo. Ventruto, di muscoli grossi. L’estremità de’ piedi e delle mani lunghe, grasse e dure. […] Di color pallido, che par sempre che si svegli dal sonno o dall’imbriachezza. La voce di balato di pecora, brutta e feroce. 31   





Questo malizioso bestiale è paragonato agli orsi, ritenuti « bestiali et astuti, crudeli, perfidi e fraudolenti, et avanzano di ferità ogni bestia ».32 Sarebbe un discorso troppo lungo dedicarci in questa sede alla ricca simbologia dell’orso, ai tempi di Della Porta ormai “decaduto”, 33 ma il nostro autore, anche come perito naturalista, conosceva la tradizione della zoologia antica (Aristotele, Plinio) in cui l’orso pur feroce, nelle sue movenze e nei ’comportamenti’ ricorda spesso l’uomo e non necessariamente in senso negativo. I segni dei sottotipi del bestiale malizioso non sono per niente ripetitivi. La descrizione del ferino è molto sintetica, quella dell’uomo di pessimi costumi invece, dopo una breve sintesi (« Il naso traverso alla faccia. La faccia brutta e piccola, gialla e senza barba. Il parlar debile. Le spalle magre et acute »), 34 è alquanto dettagliata con special riguardo agli occhi.  











Uomo di pessimi costumi (G. B. Della Porta, Della Fisonomia dell’huomo, 1610) 31

32   Ibidem.   Ivi, p. 594.  Cfr. Michel Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Torino, Einaudi, 2008 (Edizione originale : L’Ours. 34   FisII, p. 552. Histoire d’un roi déchu, Paris, Seuil, 2007). 33



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L’individuo di pessimi costumi nell’immagine, oltre alla bruttezza, che è segnale della malvagità, dimostra in tutti i dettagli la deviazione dal giusto mezzo : collo e dorso piegati, spalle rivolte al petto, piedi gobbi, ventre prominente, ecc., sono segni raccolti da Della Porta anche nella descrizione dei vari sottotipi dell’uomo cattivo. 35 Nel caso del nefando, invece, egli pone l’accento sulla descrizione degli occhi, dimostrando così i segni evidenti della scelleratezza : « i cerchi delle pupille diseguali » 36 non promettono niente di buono siccome denotano la mancanza di armonia. I pittori avevano a loro disposizione tutta una serie di segni caratteriali per rappresentare la malvagità e i pessimi costumi. Uno degli esempi più conosciuti ed invero più impressionanti è la Salita al Calvario di Hieronymus Bosch. Nel quadro, il pittore inserisce una dozzina di figure con un aspetto mostruoso e terrificante in base alla convinzione, fisiognomicamente dimostrata, che alla bruttezza esteriore e ai segni sproporzionati corrisponda la malvagità dell’animo.  











Hieronymus Bosch, Salita al Calvario (Museo di Gand)

La bestialità di fronte all’umanità prende il sopravvento, e la deformità completata con i gesti, le mimiche facciali ed i colori oscuri contrappone magistralmente le cattive passioni alla Passione di Cristo. Una figura pittoricamente convincente è anche quella del lussurioso nella cui descrizione, pur ritenuto un sottotipo del “distemperato”, Della Porta è molto prolisso presumibilmente anche per l’abbondanza delle sue fonti in proposito :  

35

  Cfr. Libro v : Della figura dell’uomo cattivo, cap. iii, pp. 483-487.  

36

  Ivi, p. 553.

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Lussurioso (G. B. Della Porta, Della Fisonomia dell’huomo, 1610) Di color bianco. Peloso. Di capelli dritti, grossi e neri. Le tempie pelose di peli dritti. Ma Polemone dice : peloso nelle labra. L’occhio grasso e stolido. […] gambe sottili e nervose, che par della generazion delle passere. Le gambe irsute. Il ventre e gli occhi grassi. Ha la barba rivolta al naso, e la circonferenza di quel luogo concava, che giace tra ’l naso e la barba […] Aggiungiamo noi : i capelli rari, over calvi. […] Il ventre et il petto peloso. […] Occhi splendenti, over con i cerchi de’ quali quel di sotto è verde, quel di sopra nero ; over secchi o aspri, con i cerchi di varii colori, che rappresentano l’arco celeste ; over oscuri, che si volgono intorno ; o grandi che si movono ; o che van su ; overo rosseggianti e grandi, che van su ; o rivolti alla sinistra. 37  

















Essendo molto frequente nella pittura il tema biblico di Susanna e i vecchioni, non è difficile trovare quadri in cui possiamo facilmente individuare sui volti dei vecchi alcune delle caratteristiche descritte da Della Porta : la pelle chiara, gli occhi splendenti, le tempie pelose, le gambe nervose, i capelli rari o, addirittura, la calvizie. Quest’ultimo segno del resto contraddistingue il lussurioso nella gran parte dei trattati di fisiognomica, e anche il nostro autore elenca, nel capitolo dedicato ai capelli rari, tutta una serie di famosi personaggi della storia e della cultura che erano calvi, quindi portati all’immoderata libidine. La sua fonte più accreditata è lo Stagirita : « Aristotele dice ne’ Problemi che tutti i calvi sono […] lussoriosi ; perché, i capelli cascano per immoderata libidine ». 38  











Jacopo Tintoretto (Kunsthistorisches Museum, Vienna) 37

  Ivi, pp. 522-523.



Artemisia Gentileschi (Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden) 38

  Ivi, p. 393.

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Dopo tanti tipi negativi e a volte ripugnanti, in conclusione dobbiamo dare un’occhiata alla figura dell’ingegnoso, che è una virtù intellettuale alla quale Della Porta, oltre alla figura contraria contraddistinta dal grosso ingegno, aggiunge vari sottotipi in rapporto con le specie dell’intelletto. Egli offre una galleria fisiognomica del tipo docile, costante, pensieroso, sensitivio, insensato, rozzo, indocile, ignorante, sciocco e senza giudizio, con l’immancabile raffronto zoomorfo : asino, porco, orso, uccelli, scimmia, possono costituire un confronto ideale. Le immagini zoomorfe, inserite nella maggior parte delle edizioni, appartengono alle illustrazioni più conosciute della fisiognomica dellaportiana : gli esempi zoomorfi del porco e dell’asino, infatti, sono molto convincenti. La fronte rotonda e gibbosa dell’asino dà segno di stolidità, e il porco è riportato come esempio di ignoranza. 39  







Uomo ignorante e il porco Uomo stolto e l’asino (G. B. Della Porta, Della Fisonomia dell’huomo, 1610)

La figura dell’ingegnoso invece è contraddistinta dalla mediocrità dei tratti distintivi, da cui risulta che, in linguaggio fisiognomico, l’ingegnoso è una figura esemplare della virtù. Vediamone alcuni segni raccolti da Della Porta dal Secretum secretorum pseudoaristotelico :  

Hanno le carni molli, umide, e mediocri tra l’aspro et il liscio. Né molto lungo né molto breve. Di color bianco che inchina al vermiglio. D’aspetto piacevole. I capelli piani, mediocri. D’occhi grandi, che inchinano alla rotondità. Il capo mediocre, con la dovuta grandezza del collo. Uguale e ben disposto. Le cui spalle inchinano un poco. Le gambe, le ginocchia con poca carne. La voce chiara, mezzana tra la grave e la sottile. Di lunghe mani, e di lunghi diti che inchinano alla sottilezza. Di poco pianto, riso e beffe. Il cui volto è mescolato d’allegrezza e giocondità. 40  

Anche le altre fonti – la Fisiognomica aristotelica, Polemone ed Adamanzio – accentuano la mesotes nelle qualità e nelle proporzioni :  

I peli né molto duri né molto neri. Gli occhi caropi, umidi. Di moderata grandezza. E tutto il corpo dritto [...]. Ma noi aggiungeremo a questi : li capelli mezzani tra li molli e li duri. La faccia mediocre, grassetta, over mezzana tra la carnosa e magra. Il color bianco vermiglio in liscio corpo. La voce mezzana tra la gagliarda e debole. Le mani delicate e molli. Le coscie mediocremente carnose. Gli occhi oscuri, umidi, di giusta grandezza. 41  



Per chiudere il percorso dedicato ai caratteri morali e alle forme del corpo nella Fisonomia dellaportiana, ho scelto questa virtù anche perché fra i tratti distintivi dell’ingegnoso l’au39   Per la descrizione del porco, animale ignorante cfr. ivi, pp. 120, 135. Per la stoltezza dell’asino cfr. pp. 124, 180, 40 319, 142.   Ivi, p. 490. 41   Ivi, pp. 490-491. Ho segnalato in corsivo i termini che accentuano la mesotes aristotelica.

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éva vígh

tore inserisce anche la propria descrizione, per dirla con Della Porta, « non per iattanzia, ma acciò che si veggia la mia imperfezione ». 42 Le immagini di Della Porta, provenienti per lo più dai frontespizi di edizioni secentesche, sono ritratti a mezzo busto che rappresentano il nostro autore con un realismo alquanto affidabile : un uomo medio, ben curato, visibilmente distinto e sobrio, con tratti medi senza eccessi, vestito con cura secondo il suo status sociale.  











Magie naturalis – 1589

De humana physiognomonia – 1586

Della celeste fisonomia – 1614

Della celeste fisonomia – 1627

I segni riportati nella Fisonomia descrivono anche quelle parti del corpo che le immagini e i ritratti a mezzo busto non potevano farci vedere :  

[ho] la fronte distesa in lungo. I capelli né duri né negri, né dritti, né crespi. L’orecchie ben scolpite. La faccia magra, mediocre. Le ciglia grandi, rare e misurate. Gli occhi caropi, alti, grandi, splendenti. Il collo e le spalle delicate e ben sciolte. Le coscie e le gambe non carnose. Il ventre mediocre. La carne colorita. La statura dritta, né alta né bassa. I talloni gagliardi. Le gionture delle mani e de’ piedi forti e ben sciolte. Le dita molli, lunghe, con giusta distanza fra loro. La voce mezzana tra la gagliarda e dimessa. 43   

42

  Ibidem.

43

  Ibidem.

moralità e segni fisiognomici nel della fisonomia dell ’ huomo

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La sua figura, in base ai tratti fornitici, corrisponde in tutti i dettagli fisiognomici al giusto mezzo. Le qualità tipo « capelli né duri né negri… », la « faccia e il ventre mediocri », le parti del corpo « ben sciolte » e « con la giusta distanza fra loro », la statura « né alta, né bassa », nonché « la voce mezzana » accentuano anche in questo caso la legge fondamentale della mesotes nella concezione dei mores. La propria immagine può essere interpretata anche come un’auto-rappresentazione del resto alquanto frequente nel periodo in questione, 44 ma l’autore voleva soprattutto documentare la validità delle sue raffigurazioni con il proprio esempio. Questa descrizione fisiognomica può completare il ritratto ideale del Della Porta, collocato in una galleria poetica di famosi personaggi composta da Giambattista Marino. Ne La Galeria mariniana, infatti, in un ritratto rimato, viene immortalato l’intelletto dello scienzato che illumina le tenebre del mondo e l’ignoranza dimostrando la notorietà di Della Porta fra i suoi contemporanei. La sua figura ingegnosa completa ingegnosamente la varietà delle figure descritte con i loro caratteri essenziali le quali non soltanto sottolineano in modo convincente la forza della congettura fisiognomica nella concezione filosofica del Classicismo, ma tramandano per lunghi secoli la fama di mago e di scienzato del loro autore.  

























44   Katherine MacDonald, Humanistic Self-Representation in Giovan Battista Della Porta’s Della Fisonomia dell’Uomo : Antecedens and Innovation, « The Sixteenth Century Journal », 36 (2005), 2, pp. 397-414.  





GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA E IL DELLI FONDAMENTI DELLO STATO DI SCIPIONE DI CASTRO Anna Cerbo 1.

R

iferimenti alla realtà storica del suo tempo non mancano nella ricca produzione teatrale di Giovan Battista Della Porta, anche se attraverso continue allusioni comiche e insistenti forme di caricatura. 1 Del resto in molte commedie Napoli è la scena in cui si svolge l’azione e ogni volta si presenta nei suoi molteplici aspetti di città piena di incanti, 2 meravigliosa, accattivante e al tempo stesso inquietante per tutto quello che vi accade. In particolare sotto l’iperbolico gioco letterario del Prologo della Cinzia di Della Porta e del Propologo del Candelaio di Giordano Bruno si nasconde una realtà umana e sociale negativa, quella di una città agitata e corrotta, che vive di miseria e di intrighi. 3 I riferimenti del teatro dellaportiano alla realtà sociale napoletana e alla situazione politica sono stati studiati da Raffaele Sirri e soprattutto da Louise George Clubb, Grazia Distaso e Bianca Concolino Mancini. 4 Insieme alla città di Napoli prende rilievo nel teatro di Della Porta il rapporto della medesima città con la Spagna. In molte commedie tra Napoli e la Spagna si manifestano rapporti di affinità, di familiarità e di complicità, spesso di intesa culturale ; 5 anche il personaggio dello spagnolo è presente con tutta la sua naturalezza accanto al personaggio napoletano, mentre gli stessi ispanismi si integrano e quasi si confondono nella parlata locale. 6 Se nella Trappolaria (1596) i personaggi testimoniano l’unione tra l’Italia e la Spa 







   



1   Sul teatro dellaportiano cfr. Raffaele Sirri, L’attività teatrale di Giovan Battista Della Porta, Napoli, Libreria De Simone, 1968 ; Id., Proposta di un recupero. Le tragedie di G. B. Della Porta, « Critica Letteraria », vi, n. 4, 1978, pp. 635644 ; Paola Gherardini, Problemi critici e metodologici per lo studio del teatro di Giovan Battista Della Porta, « Biblioteca Teatrale », i, 1971, pp. 137-159 ; Achille Mango, Tradizione e novità nel teatro di Giovan Battista Della Porta, in Atti del Convegno Giovan Battista Della Porta, Vico Equense-Castello Giusso, 29 settembre-3 ottobre 1986, a cura di Maurizio Torrini, Prefazione di Eugenio Garin, Napoli, Guida, 1990, pp. 469-479. 2  « Terra incantata » la chiama il pedante Narticoforo nella Fantesca, atto iv, scena ii (teatII). 3   Opportunamente Salvatore Nigro ricorda che « l’irrequietezza e il malumore popolare avevano già portato Napoli alla rivolta del 1585, culminata nel linciaggio dell’Eletto del popolo Gian Vincenzo Starace » : cfr. Il Regno di Napoli, in *Letteratura italiana. Storia e geografia. ii . L’età moderna, Torino, Einaudi, 1988, (pp. 1147-1192), p. 1154. La città vera è la Napoli cui fa riferimento Campanella nella Città del Sole (a cura di Adriano Seroni, Milano, 1982, pp. 50-51) ; è quella ritratta da Antonio Serra nel Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e argento dove non sono miniere con applicazione al Regno di Napoli (1613) dedicato al viceré Conte di Lemos. 4  Cfr. Raffaele Sirri, L’attività teatrale di G. B. Della Porta, Napoli, De Simone, 1968 ; Id., Il Georgio, tragedia di Giovan Battista Della Porta, a cura di Raffaele Sirri, Napoli, De Simone, 1976, Nota al testo, p. 152 ; Louise George Clubb, Ideologia e politica nel teatro dellaportiano, in Giambattista Della Porta Dramatist, Princeton, Princeton University Press, 1965, pp. 239-345 ; Grazia Distaso, Le tragedie di Giovan Battista Della Porta, in *Giambattista Della Porta in edizione nazionale, Atti del Convegno di Studi, a cura di Raffaele Sirri, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2007, pp. 127-147 ; Bianca Concolino Mancini, Napoli (tra)vestita da spagnola, in *Fra Italia e Spagna. Napoli crocevia di culture durante il vicereame, a cura di Pierre Civil, Antonio Gargano, Matteo Palumbo, Encarnación Sánchez García, Napoli, Liguori, 2011, pp. 281-291. In generale sul rapporto del popolo col potere cfr. Beatrice Alfonzetti, « Il traditor d’Oronte ». Consigliere e capitano : figure del tradimento, in *Ai confini dell’Umanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, a cura di Mauro de Nichilo, Grazia Distaso, Antonio Iurilli, Roma, Roma 5   Cfr. il Prologo della Trappolaria (in TeatII). nel Rinascimento, vol. i, 2003, pp. 19-38. 6   Per la presenza degli ispanismi nelle Commedie di Della Porta si legga Teresa Cirillo, Lo spagnolo nelle commedie di Della Porta, in *Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, cit., pp. 533-591. In generale sulla  







































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gna, scambiando facilmente la loro identità, nella più seriosa commedia dei Duoi fratelli rivali (pubblicata nel 1601) l’evocazione di un avvenimento storico del 1504 vuole segnare il legame del presente col passato, o meglio il confronto dell’antica con l’attuale condizione di Salerno, 7 e diventa un’occasione per lodare il vicereame spagnolo e per esortarlo a continuare il buon governo secondo il disegno divino. Nei Duoi fratelli rivali viene ad esprimersi un certo encomio nei confronti della potenza spagnola e a configurarsi una visione controriformista del potere. 8 L’ideologia e l’insegnamento politico di Della Porta prendono maggiore consistenza nella tragicommedia Il Georgio (1611), dove decisamente si condanna il re che abusa del potere e che osa mettersi al di sopra delle leggi : « e quel che piace a lui quello è la legge ». 9 Al re Sileno che prima implora e poi asserisce e sentenzia a modo suo, secondo una visione tirannica del potere :  













Dunque, il popol co ’l re concorrer deve ? E commun sia la sorte all’uno e all’altro ? E qual distinzion sarebbe mai tra ’l popolo e ’l suo regge, s’alla legge fusse l’un sottoposto come l’altro ? Né può condennar legge a chi co ’l cenno e può mutare e trasformar le leggi. [...] A’ suoi vassalli il re è una viva legge, e quel che piace a lui quello è la legge,  





il senatore interlocutore risponde con saggi consigli :  

vinci te stesso, e l’ira che ti bolle intorno ’l cor intiepidisci e molci, e soffri di fortuna il duro colpo : ché non convien a un re che gli altri regge esser d’un cuor sì tenero e sì pio. 10  



In verità nel Georgio è colpevole il re per aver abusato del potere, ed è colpevole anche il popolo come ribelle al potere del re. Il popolo chiede giustizia, ma essa potrà essere realizzata solo da un potere superiore, quello di Dio. San Giorgio è una figura profetica. Così, se L’Ulisse propone una visione negativamente cupa del potere, Il Georgio oppone un’esperienza politica a lieto fine, da interpretare come soluzione provvidenziale. Nell’Ulisse, del 1614, si insiste su un potere che, « sotto pretesto di ragion di stato », è sordo a qualsiasi pietà, 11 non rispetta né le leggi umane né quelle divine, trascinato solo dall’ « inessecrabil voglia » di tiranneggiare :  











O di regnare inessecrabil voglia, a che non sforzi i mortal petti nostri ?  

lingua teatrale dellaportiana si veda lo studio di Raffaele Sirri, L’artificio linguistico delle commedie di Della Porta, ivi, pp. 481-506. 7  Intorno alla situazione politica della città di Salerno nel Cinquecento cfr. Alfonso Silvestri, Vicende amministrative della città di Salerno nella seconda metà del sec. xvi, in *Scritti in memoria di Leopoldo Cassese, vol. i, Napoli, Libreria Scientifica, 1971. 8   Il raffronto fra La Trappolaria e Gli duoi fratelli rivali come momenti diversi della scrittura teatrale intorno alla politica del vicereame è stato elaborato da B. Concolino Mancini, Napoli (tra)vestita da spagnola, cit., pp. 284-291. 9   Il Georgio, atto i, scena ii, v. 319 (TeatI, p. 196). Un verso simile si legge nella Lucrezia di Paolo Regio (atto iv, scena ii, vv. 292-293 : « E dicono che quel che piace a i regi / è vera lege »). 10   Il Georgio, atto i, scena ii, vv. 308-319 e vv. 420-424 (in TeatI, pp. 196 e 200). 11   L’Ulisse, atto ii, scena iv, vv. 340-348 (ivi, pp. 378-379 ).  





della porta e il delli fondamenti dello stato di scipione di castro 127 Che per giungervi l’uom punto non prezza né le divine, né le umane leggi, la patria, il padre, il tutto, anzi men Dio. 12 Scoperto ho del regnar l’ingorda voglia, la quale è tal che rompe ordini e leggi, e fa che né a fratel né a padre o figlio, né a la religion né al proprio Dio rispetto s’abbi, pur che alfin si regni ; né si cura il morir [...]. 13  





In maniera ferma ed esplicita Il Georgio proclama la soggezione del potere alla legge, segnala il dovere dei sudditi e la responsabilità del governante sia verso il popolo sia verso il superiore potere di Dio. Il Georgio continua sulla linea della tragedia Lucrezia (1572) di Paolo Regio. Molto acutamente Louise George Clubb per prima ha considerato la tragedia Il Georgio e la commedia Gli duoi fratelli rivali « opere apertamente di carattere politico » poste « agli antipodi della metodologia di Della Porta ». 14 Nel Georgio, secondo la Clubb, ci sarebbe un messaggio politico che va oltre la « politica locale », e soprattutto un contenuto ideologico di natura controriformista fondato sulla riunificazione della Chiesa cattolica attraverso l’impero spagnolo : 15 una visione politica efficacemente incarnata dal pensiero politico e teologico di Tommaso Campanella. In generale, dietro il Georgio di Della Porta, dietro la Lucrezia di Paolo Regio, e dietro molte poesie e la Città del Sole di Tommaso Campanella c’è la consapevolezza di un potere oscuro e perverso che tende a configurarsi come tirannide e di una mortificante subordinazione dell’intellettuale (non solo del popolo) al potere. Se la Lucrezia e il Georgio rimandano alle anteriori riflessioni sulle passioni nel De principe del Pontano, richiamano soprattutto il trattato Della perfezione della vita politica scritto in quegli stessi anni da Paolo Paruta (1579) :  













   



[...] Il primo grado (di virtù) comincia a montar l’uomo quando, combattendo contra il vizio, lo supera e lo corregge con la ragione ; il secondo quando egli ha così ben regolato l’appetito che, passato quel primo movimento del senso, niente si oppone alla ragione ma volentieri segue ciò che da quella gli viene dimostrato ; il terzo è quando la ragione senza mai sentir cosa che non pur la contrasti, ma che neanche in alcun modo la perturbi, abbraccia sempre il dritto e l’onesto. 16  





Siffatto insegnamento sulla virtù morale, dominio delle passioni e scelta del bene, ricerca e conquista di perfezione, partecipazione del divino, coincide con quanto più tardi additerà lo stesso Regio nei Discorsi intorno le virtù morali e nella Sirenide, poema spirituale pubblicato nel 1603 e poi corretto e commentato per una nuova edizione (Manoscritto datato 1606 e conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli). Rispetto a Regio e a Campanella, che seguono una direzione più idealistica, o addirittura utopica, Giovan Battista Della Porta sembra muoversi in senso concreto e pragmatico, più vicino a Scipione di Castro che ad altri trattatisti contemporanei. 2. Nel trattato Delli fondamenti dello Stato et instrumenti del regnare Scipione Di Castro, 17 volendo parlare dell’arte di ben governare i popoli, e quindi del saper governare, nel primo  

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  L’Ulisse, atto i, scena v, vv. 667-671 (ivi, p. 361).   L’Ulisse, atto ii, scena iii, vv. 246-253 (ivi, p. 375). 14 15   L. G. Clubb, Ideologia e politica nel teatro dellaportiano, cit., p. 332.   Ivi, p. 332 sgg. 16   Paolo Paruta, Della perfezione della vita politica, Venezia, D. Nicolini, 1579. 17   Su Scipione Di Castro si vedano gli studi di Camillo Giardina, La vita e l’opera politica di Scipione Di Castro, Palermo, Boccone del Povero, 1931 ; Roberto Zapperi, Don Scipio di Castro. Storia di un impostore, Assisi-Roma, 13



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capitolo indica i « fondamenti » dello stato e gli « strumenti » convenienti al regnare. Il Di Castro, acuto osservatore della realtà politica, individua i pilastri dello stato e quindi le qualità essenziali del principe nel consiglio, nelle forze e nella reputazione, preoccupandosi di dare una definizione di ciascuna qualità e rinvenendo la base della reputazione nella « fama d’haver congiunto al giudicio et all’intelligenza propria un fedele e prudente consiglio esterno ». 18 Il consiglio è una dote razionale indispensabile, una proprietà che suggerisce al principe gli strumenti del ben governare. 19 La voce consiglio e l’espressione saper reggere o saper governare ricorrono con alta frequenza nella trattatistica politica fra Cinque e Seicento, soprattutto negli scritti di Tommaso Campanella : è esemplare il sonetto n. 17 dal titolo aforistico Non è re chi ha regno, ma chi sa reggere. 20 Si ripetono anche nella Lucrezia di Regio e nelle opere teatrali di Della Porta. Basterà citare, per esempio, da Gli duoi fratelli rivali :  





















Eufranone Signor viceré, chi non sa reggere e comandare a suoi affetti lasci di reggere e comandar gli altri ; né si dee prepor la natura alle leggi ; però non dovete far torto a me perché costoro sieno a voi congionti di sangue e di amore. 21  





Il consiglio viene distinto da Scipione Di Castro in « interno » ed « esterno » : l’uno matura nel petto del principe, nascendo dalla sua intelligenza e dal suo giudizio ; l’altro è quello che gli viene da coloro che collaborano con lui. Premesso che è eccellente l’uomo che sa auto-consigliarsi, mediocre invece colui che ha bisogno del consiglio del savio, necessariamente – per il Di Castro – il governante deve saper consigliare se stesso ; se non sa farlo, non può non andare in rovina. È per questo motivo che un altro trattatista meridionale, Scipione Ammirato, parla di un « libro segreto » che ciascun principe dovrebbe avere con sé (il libro delle faccende del proprio stato) e riporta l’esempio di Augusto. 22 Ma Scipione Di Castro non esclude la collaborazione di coloro che stanno attorno al governante : è necessario che egli sappia integrare al suo il consiglio altrui, tenendo quest’ultimo in una funzione subalterna e non primaria, sì che « l’aiuti a governare » ma non « gl’insegni a regnare ». Nel secondo capitolo di Delli fondamenti dello Stato et instrumenti del regnare Di Castro  





























Carucci, 1977 ; *La politica come retorica, a cura di Roberto Zapperi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1978 ; Nicola De Blasi, Alberto Varvaro, Napoli e l’Italia meridionale, in *Letteratura italiana. Storia e geografia, ii, 1. L’età moderna, Torino, Einaudi, 1988, (pp. 235-325), in particolare le pp. 324-325 ; Franco Barcia, La Spagna negli scrittori politici italiani del xvi e xvii secolo, in *Repubblica e virtù. Pensiero politico e Monarchia Cattolica fra xvi e xvii secolo, a cura di Chiara Continisio, Cesare Mozzarelli, Roma, Bulzoni, 1995, (pp. 179-206), pp. 181-183. Il Di Castro è pure autore degli Avvertimenti a M. A. Colonna quando andò viceré di Sicilia, pubblicati a cura di Armando Saitta nel 1950. 18   Delli fondamenti dello Stato et instrumenti del regnare, nell’Accademia Italiana di Colonia, terza impressione, 1598, cap. ii, p. 4. 19   Questi, per il Di Castro, sono gli « instrumenti del regnare » : « l’intelligenza da penetrare la natura de’ sudditi ; la prudenza di dar loro le leggi convenienti ; gl’ordini di fondar la militia ; l’arte d’amministrar la guerra ; l’industria da mantener la pace ; la diligenza da vegghiare gl’accidenti ; la forma di ampliare l’Imperio ; il giudicio di bilanciare li Stati ; la destrezza di temporeggiare con gl’inconvenienti ; la maturità di deliberare ; la celerità dell’esseguire ; la constantia nelle cose deliberate ; la fortezza nelle sinistre ; la moderatione nelle prospere ; la cognitione così certa delle cose divine, che la superstitione non lo faccia timido, la licentia non lo renda precipitoso ». 20   In modo affine recita l’aforisma 24 : « Bene e naturalmente domina solo la sapienza non sofistica, ma filosofica, non eremitica, ma civile ». Assai significativo è l’aforisma 58 : « La repubblica ha per anima la sapienza e la religione » (Aforismi politici, a cura di Luigi Firpo, Torino, Giappichelli, 1941). Per la contrapposizione campanelliana tra il vero re e il tiranno si rimanda al saggio di Germana Ernst, « Bene e naturalmente domina solo la sapienza ». Natura e politica nel pensiero di Campanella, in *Repubblica e virtù ..., cit., pp. 227-241. 21   G. B. Della Porta, Gli duoi fratelli rivali, atto v, scena 1 (TeatIII, p. 121). 22   Scipione Ammirato, Discorsi sopra Cornelio Tacito, i, 5, Firenze, Giunti, 1594 (e 1598) ; poi Brescia 1599 e Venezia 1599. Cito da un esemplare dell’edizione veneziana del 1599, pp. 12-17.  





























































della porta e il delli fondamenti dello stato di scipione di castro 129 si abbandona ad un’analisi-denuncia dei comportamenti, degli atteggiamenti, dei sentimenti e delle passioni dei consiglieri, delle loro emulazioni e delle loro discordie che inevitabilmente danneggiano il principe poco saggio e imprudente. La prosa è segnata da uno scavo psicologico che va in profondità, fino a rilevare i moventi istintivi che portano i consiglieri al disprezzo e all’odio del loro principe. Nel terzo capitolo (Donde nasce il consiglio proprio nel principe) Di Castro approfondisce ancora il concetto di consiglio interno del principe, che nasce dalla natura ed è poi nutrito dall’educazione e dall’esperienza. Il che significa che il consiglio è un dono della natura che può crescere e fruttificare con l’aiuto dell’educazione e col supporto dell’esperienza. Altrettanto precise sono le riflessioni sulla natura dell’educazione che si addice al principe (cap. iv) e sull’esperienza che viene definita « la guida dell’intelletto, la regola della volontà et l’anima della prudenza » (cap. v). 23 L’esperienza può essere di due modi : una « universale » e l’altra « particolare » ; l’esperienza che fa prudente il principe « sarà composta d’amendue le predette ». 24 Svelando e denunciando i meccanismi segreti e subdoli del potere, i vari inganni che si celano dietro i principati, Di Castro dà consigli pratici al principe circa le prime azioni del suo governare e sull’elezione dei ministri ; pone quale principio fondamentale del buon governante la capacità di sapere accettare solo i « consigli prudenti » e i « mezzi onesti », di esercitare la prudenza e la giustizia. La regola del governare è quella di anteporre l’onesto all’utile ; il contrario non è una regola, ma può essere un’eccezione :  





































[...] per ciò che se bene anco nelle attioni del Principe savio, et buono cede tal’hora l’onesto all’utile, ciò non avviene giamai per sua elettione, ma per la forza che gli fa il rispetto, & la mira, che necessariamente s’ha d’havere alla somma delle cose, & a tutto il corpo dello Stato. Il quale s’inferma talvolta di modo che l’astutia è medicina. Ma quando si veggono consigli astuti nel Principe non per rimedio a tempo, ma per cibo quotidiano, si può credere indubitatamente ch’egli a lungo andare sarà l’Architetto d’ogni suo male [...]. 25  

Confrontato con gli altri trattati – alcuni di astratta e prolissa teorizzazione etica più che politica, altri mere sillogi di norme e di avvertimenti derivati da opere storico-filosofiche – questo di Di Castro sembra avere maggiore concretezza, un’ impostazione pragmatica, un intento rivelatore di certi aspetti della prassi politica, al fine di ammonire e dare valore agli avvertimenti. Al contrario i volumi di Scipione Ammirato, di Giovanni Antonio Palazzo, di Giulio Cesare Capaccio contengono una precettistica etico-religiosa più che politica. A provarlo basterà la lettura del Discorso quarto, libro xvii, del trattato di Scipione Ammirato. Questo Discorso, dal titolo Di che i principi debbono haver cura per non offendere i loro sudditi, è una successione di consigli quasi biblici, sapienziali, seguiti da famosi esempi storici, secondo la consueta tecnica induttiva. 26 Le lunghe e ripetute riflessioni di Scipione Di Castro sul « consiglio interno ed esterno » del principe, in particolare sul rapporto del principe col consigliere, avranno senz’altro attirato l’attenzione di Della Porta impegnato a costruire la figura del « consigliero » nella Penelope e le figure del « secretario » e del « senatore » nel Georgio. Particolarmente interessanti sono, nel terzo capitolo di Delli fondamenti dello Stato, le osservazioni sui temperamenti umani, sul rapporto tra l’aspetto fisico dell’uomo e il ca 

















23   Delli fondamenti dello Stato ..., in Tesoro politico, cit., pp. 8-10. Si avvertono affinità tra le osservazioni del Di Castro e il richiamo all’utilità dell’esperienza col quale comincia il De maiestate di Iuliano Maio. Si riscontrano affinità anche con Della Porta, L’Ulisse, atto i, scena v, 677-678 : « L’esperienza sola è che gli manca, / ch’è de l’opere uman maestra e guida » (TeatI, p. 361). 24 25   Delli fondamenti dello Stato ..., cit., p. 9.   Ivi, cap. vii, p. 15. 26   Scipione Ammirato, Discorsi sopra Cornelio Tacito, xvii, 4. Cito da un esemplare dell’edizione veneziana del 1599, pp. 338-341.  





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rattere, ovvero le qualità etiche ed intellettuali, sul temperamento che dovrebbe essere proprio del principe :  

Delli temperamenti moderati, il più desiderabile nel Principe sarà il sanguigno, che habbia mediocre mistura di melanconico per temperare il souerchio moto del sangue ; perché sì fatto temperamento suol dare per l’ordinario signorile, & maestosa presentia : fa l’huomo di corpo sano, di vita lunga con l’inclinatione dell’animo al moderato, al giusto, al magnanimo, al clemente : se gl’imprimono facilmente le regole della dottrina, gli habiti della Virtù, i precetti della prudenza. Et è quel solo temperamento, che suol portar seco dalle fasce un certo attratiuo che con sì certa forza tira, & alletta gl’animi in gran maniera, dote singolare quando si ritroua nel Principe : già che questa sola è stata più volte sufficiente a rendere a molti glorioso, & felice tutto il corso della vita. 27  









e su quello che meno gli si addice :  

Il temperamento, che meno d’ogni altro deue desiderarsi nel Principe, è il flegmatico, perché l’huomo di cotale temperamento sarà sempre più atto a seruire, che a dominare : hauerà una incapacità molto contraria all’impressione delle dottrine. Una stupidezza nemica a gli amici della prudenza. Una tardità pericolosa alli momenti dell’occasione, & una certa vista dello intelletto, che lo terrà sempre adombrato, & pieno di sospetto : peste grande per il gouerno del pubblico. A simile temperamento manca la grandezza dell’animo, la generosità de i fini, il risentimento dell’offese, il lume del risoluere, lo spirito di esseguire, & in quelle poche risolutioni, & essecutioni che fa, suole hauer più luogo il caso, che l’elettione ; né gli giungono mai quegli anni, che lo cauino fuori della tutela del Consiglio esterno. 28  







Potrebbero essere state soprattutto queste considerazioni sul temperamento del principe, piuttosto originali nell’ambito della trattatistica politica, ad interessare l’autore del De humana physiognomonia (1586) che manoscrisse integralmente il trattato di Scipione Di Castro. 29 La capacità di controllare l’ira viene vista quale virtù indispensabile ad un vero re, e molti sono i moniti nella Lucrezia del Regio e nelle tragedie di Della Porta. Pure il Capaccio rileva come il principe irato sia brutto a vedersi, riproponendo il rapporto stretto tra il di dentro e il di fuori, individuato da Iacopo di Gaeta (Ragionamento chiamato l’Academico ...) e ribadito da Tommaso Campanella nei sonetti politici e « profetali ». 30  







3. Il trattato di Di Castro fu pubblicato per la prima volta nel Tesoro politico, nell’Accademia italiana di Colonia nel 1589 (terza impressione 1598). 31 Il manoscritto dell’Autore palermitano è conservato presso la Biblioteca Vaticana nel Codice Boncompagni D. 10. Del trattato di Scipione Di Castro la Biblioteca Nazionale di Napoli conserva una copia manoscritta da Giovan Battista Della Porta (ms. xx 87), col titolo Il principe, segnalata e descritta da Giorgio Fulco nel 2001. 32 Il ms. dellaportiano, cart. mm 272 x 200, si presenta con 24 carte numerate, ognuna con ampio margine a sinistra in inchiostro bruno, precedute da due carte di guardia (la c. 24 però è bianca ; sulla c. 1r in alto a sinistra è scritta la nota : « Questo manoscritto è di mano di Gio. Batt.a della Porta »). Il codice è arrivato alla Biblioteca Nazionale di Napoli nel novembre del 1906, di provenienza dal libraio e bibliofilo napoletano Gaspare Casella e porta come numero d’ingresso 388951. Il ms., di carta filigrana della seconda metà del  











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28   Delli fondamenti dello Stato …, cit., pp. 5-6.   Ivi, p. 6.   Manca solo l’ultimo pezzo (poche righe) della stampa di fine Cinquecento. 30   Sul pensiero politico e profetico di Campanella rinvio agli studi di Germana Ernst, in particolare al volume Il carcere il politico il profeta. Saggi su Tommaso Campanella, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2002. 31   Altre stampe : quella del 1601 ; quella del 1611 (Vicenza, per Giorgio Greco). 32  Cfr. Giorgio Fulco, La « Meravigliosa » passione. Studi sul Barocco tra letteratura e arte, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 296-297. 29









della porta e il delli fondamenti dello stato di scipione di castro 131 Cinquecento con un agnello e una croce, è stato restaurato e perciò presenta una legatura moderna. Dal confronto del manoscritto Il principe di mano di Della Porta col manoscritto Delli fondamenti dello stato dell’Autore e con i testi a stampa del 1589 e del 1598, risulta che i titoli dei capitoli non sempre concordano. Il titolo del primo capitolo nel Tesoro politico è Delli fondamenti dello stato et instrumenti del regnare ; nella copia manoscritta dall’Autore e nel manoscritto dellaportiano : Delli fondamenti dello stato, e delle parti essentiali, che formano il principe. Il titolo del secondo capitolo Il consiglio proprio esser sommamente necessario al principe è identico nella stampa e nei due manoscritti ; quello del terzo capitolo, identico nella stampa e nel ms. autografo (Donde nasce il consiglio proprio nel principe), presenta una lieve variante nella copia dellaportiana (Donde nasce il proprio consiglio nel principe). Varianti di questo genere, cioè inversioni e/o spostamenti di parole sono frequenti nel ms. dellaportiano. Nel trascrivere il titolo del quarto capitolo Della educatione (nel ms. autografo) e Dell’educatione (nella stampa 1598), Della Porta aggiunge « del principe » : Dell’educazione del Principe. Trascrive fedelmente i titoli del quinto capitolo (Dell’esperienza), 33 del sesto capitolo Delle prime attioni del principe e del settimo capitolo Dell’elettione de’ ministri (nel ms. autografo è attestato come ottavo capitolo, perché il settimo porta come titolo Del medesimo). L’ottavo capitolo nel ms. dellaportiano ha per titolo Sommario de’ quindici instrumenti del regnare, come nel ms. autografo (Sommario delli quindici strumenti del regnare) dove però è indicato come capitolo nono. Nella stampa si riscontra il titolo De gl’instrumenti del regnare. Segue la parte L’industria da (di in Della Porta) mantener la pace. Ci sono alcuni dati che provano che Della Porta avrebbe trascritto il testo dal ms. autografo o comunque da una copia alquanto fedele all’originale, e non dal testo a stampa di fine Cinquecento. Oltre alle affinità tra alcuni titoli – come abbiamo appena notato – ci sono pezzi che mancano nella stampa del 1589 (anche nelle ristampe del 1598 e del 1602) e sono presenti invece nel ms. autografo.  













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Ms. autografo di Scipione Di Castro La Religion simolata à lungo andare lo confonderà, perche quanto il uero habito di quella fa il Principe degno di ueneratione nelle menti degli huomini, tanto [...]. cap. vi, c. 14v [...] dico che si deue per questa causa tener gran conto di quella felicità o infelicità particolare, che suole accompagnar l’attioni di quell’huomo, che è destinato capo d’un essercito perche si uede nell’ordine delle cose naturali nascere alcuni huomini tanto infelici, che paiono ammogliati con la mala fortuna

La religione simulata à longo andare lo confonderà ; perche quãnto il vero fa il Principe degno di veneratione nelle menti 34 de gl’ uomini, tanto [...]. cap. vi, p. 11 Dico dunque, che si deue per questa causa tener gran conto di quella felicità, o infelicità particolare, che suol’ accompagnare l’attioni di quell’huomo tanto infelice, che pare ammogliato con la mala fortuna ; sotto i quali non pare che riesca giamai né Consi glio, né dissegno ueruno, che si faccia ; come sono stati due  





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Ms. dellaportiano

Stampa 1598

La religione simulata à lungo andare lo confonderà perche quando il vero habito di quella fa il principe di veneratione nelle menti degli huomini tanto [...]. cap. vi, c. 7v [...] dico che si deve per questa causa tener gran conto di questa felicità, o infelicità particolare, che suole accompagnare l’attioni di quello huomo che è destinato capo di un essercito, perche si vede nell’ordine delle cose naturali nascere alcuni huomini tanto infelici, che paiono ammogliati con la mala fortuna,

  Nell’autografo è scritto Della Esperientia.   Nelle edizioni datate 1601 e 1602 del Tesoro politico si legge nella mente.

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anna cerbo

sotto li quali non par che riesca giamai ne consiglio, ne disegno ueruno che si faccia, come sono stati due capitani in Italia, famosi per le disgratie loro : Bartolomeo D’Aluiano a’ tempi de nostri padri, a cui non successero altro che rotte, et rouine, dovunque egli come capo tentò la fortuna, et Pietro Strozzi a’ dì nostri huomo singolare per le molte singolari conditioni che si uidero nella sua persona, ma percosso perpetuamente [...]. cap. ix, c. 23r-23v  

Capitani in Italia famosi per le disgratie loro. Bartolomeo Daluiano a tempo de’ nostri Padri, & Pietro Strozzi, a di nostri huomo raro, per le molte singolari condittioni che si uiddero nella sua persona ; ma percosso perpetuamente [...]. cap. viii, p. 21  

sotto li quali non pare che riesca giamai ne consiglio, ne disegno alcuno, che si faccia, come sono stati duo capitani in Italia famosi per le disgratie loro, Bartolomeo Lliviano à tempo de nostri avi, à cui non successe altro che rotte, e ruine, dovunque egli come capo tentò la fortuna, e Pietro Strozzi, huomo à nostri di singolare per le molte conditioni, che si videro nella sua persona, ma percosso perpetuamente [...]. cap. viii, cc. 14v-15r

Confrontando il ms. autografo e il ms. dellaportiano si registrano in quest’ultimo molti casi di inversioni di parole (che non è il caso di annotare in questa sede) 35 e varianti grafiche e fono-morfologiche, soprattutto verbali :  



Ms. autografo di Scipione Di Castro l’arte d’amministrare la guerra i, 6r (rigo 11) la diligenza da ueggiare gli accidenti i, 6r (rigo 12) l’Imperio i, 6r (rigo 13) nol faccia i, 6r (rigo 18) nol renda i, 6r (rigo 18) deputati all’vffitio del consigliarlo ii, 7r (rigo 8) in dispregio ii, 8r (rigo 8) in consequentia ii, 8r (rigo 13) che habbia mediocre mistura di melancolico iii, 9v (righi 6-7) e molto suggietto iii, 10v (rigo 2) nuocono vi, 15r, (rigo 12) satisfare viii, 18v (rigo 2) bisognerebbe/fonderebbe (ripetuto) vengano (ripetuto) 35

Ms. di Giovan Battista Della Porta l’arte di ministrar la guerra i, 1r (righi 12-13) la diligentia di vegghiare gli accidenti i, 1r (rigo 14) l’impero i, 1r (rigo 15) non lo faccia i, 1r (rigo 21) no ’l renda i, 1r (rigo 21) deputati nell’ufficio di consigliarlo ii, 1v (rigo 14) in dispreggio ii, 2v (rigo 3) in conseguenza ii, 2v (rigo 7) che habbi mediocre mistura del melancholico iii, 3v (rigo 8) e molto sogetto iii, 4r (rigo 15) nocciono vi, 7v (rigo 22) sodisfare vii, 10v (rigo 3) bisognarebbe/fondarebbe (ripetuto) venghino (ripetuto)

  Pubblicherò prossimamente il manoscritto di Della Porta, con una Nota al testo più completa.

della porta e il delli fondamenti dello stato di scipione di castro 133 Insieme alle molteplici varianti interpuntive e grammaticali sono da segnalare le frequenti varianti semantico-lessicali di Della Porta e alcune manipolazioni, con soppressioni o aggiunte, per migliorare il testo. Tralasciando le prime che meritano una particolare attenzione all’interno del sistema interpuntivo dell’Autore con riferimento all’autografo del Georgio, riportiamo poche esemplificazioni delle altre :  

Ms. autografo di Scipione Di Castro sa riportarsi al consiglio del sauio ii, 7r (rigo 11) una stupidezza nemica alli auuisi della prudentia iii, 10r (righi 5-6) assiduo alle cure del gouerno iii, 10v (rigo 18) [...] ma quella felice disciplina dell’armi sue correggeua sempre (a guisa di stomacho ben gagliardo), qual si voglia disordine, che faceva il corpo di quello stato. ix, 22r (righi 5-8) [...] da che l’obligo che ha l’huomo con Dio stringe molto più d’ogn’altro legame, o naturale o legale o uolontario ix, 25r (righi 5-7) rifidato 36 in quest’obligo x, 25r (rigo 10) [...] taluolta è forza che mentre son fresche le contese delle parti, quello stato sia diuiso, et pieno di fattioni particolari [...] x, 25v (righi 5-7) disordina l’equalità della giustitia x, 27v (rigo 10)

Ms. di Giovan Battista Della Porta si riposa nel consiglio del savio ii, 1v (rigo 17) una stupidità nemica degli animi amici della prudenza iii, 4r (rigo 1) assiduo alle cose di governo iii, 4v (rigo 10) Ma quella felice disciplina delle armi sue corregeva sempre, a guisa d’instrumento ben gagliardo, qualsivoglia disordine di quello stato. viii, 13v (righi 11-13) [...] da che l’obligo, che si deve a Dio stringe più d’ogni altro favore, e ligame, o naturale o legale, o volontario ix, 16v (righi 3-5) confidato in questo obligo ix, 16v (rigo 8) [...] talvolta è forza, che mentre che sono fresche le contese delle parti, quello stato sia pieno di diuisioni, et pieno di fattioni particolari [...] ix, 17r (righi 1-3) disordina le qualità della giustitia ix, 18v (rigo 17).

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Infine, se è vero che nel ms. dellaportiano ci sono tagli ed espunzioni ragionate, si riscontrano pure salti di parole o di righe intere, e spesso sviste che corrompono il testo :  

Ms. autografo di Scipione Di Castro [...] porta l’ordine della natura, che uengano in breue ad hauerlo in dispregio. Il dispregio, in questo caso, è sempre accompagnato dall’odio ii, 8r (righi 7-9) il souerchio moto del sangue iii, 9v (rigo 7) [...] gia che questa sola è stata più uolte suffi-

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Ms. di Giovan Battista Della Porta [...] porta l’ordinario della natura, che vengano in breue haverlo in dispreggio, in questo caso è sempre accompagnato dall’odio ii, 2v (righi 2-4) il soverchio modo del sangue iii, 3v (rigo 9) [...] gia che questa sola è stata più uolte soffi-

  Nella stampa si legge affidato in quest’obligo.

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anna cerbo

ciente à rendere à molti glorioso, et felice tutto il corso della uita iii, 9v (rigo 17) [...] ò quando in quello penetra desiderio, et mouimento di nuoua religione. Le qualità, et attioni del Principe atte a causar disturbi, et mouimenti ne principij delle successioni procederanno dall’esser egli giudicato incapace della sua grandezza [...] vii, 17r-17v (rigo 18 e righi 1-4) Et perche bisogna che ’l uaso dia sempre del liquor che tiene, quando viii, 18v (righi 7-8)

ciente à molti glorioso e felice tutto il corso della uita iii, 3v (righi 19-20) [...] o quando in quello penetra movimento ne’ principij delle successioni procederanno dall’essere giudicati egli incapace della grandezza sua [...] vii, 9v (righi 9-10) E perche bisogna sempre che il vaso sappia del liquore, che tiene, quando vii, 10v (righi 9-11)

È difficile ipotizzare quando Della Porta avesse copiato il trattato politico di Scipione Di Castro, probabilmente prima della sua produzione teatrale e prima dello stesso trattato di fisiognomica. Ma potrebbe averlo fatto anche dopo. Giorgio Fulco considera probabile un incontro a Napoli di Della Porta con Scipione Di Castro negli anni Settanta (forse nel 1574), oppure a Roma presso il cardinale Luigi d’Este. 37 Certo è che Della Porta considerò interessante e utile il libro Delli fondamenti, tanto da farsene una copia : la sua ampia e lunga produzione teatrale fu animata da intenti politici ben precisi che emergono dalle riflessioni comuni presenti nelle tragedie e nel trattato (il principe e il suo temperamento, il segretario/consigliere, l’esperienza e l’educazione del governante, il rapporto del popolo col potere, le leggi e l’amministrazione della giustizia, la pace, ecc.). Allo scrittore di commedie e di tragedie non sfuggiva la realtà storico-politica del presente e del passato non molto lontano, con la convinzione che, rispetto alla trattatistica politica, il teatro potesse veicolare con maggiore immediatezza e con più ampia fruizione il messaggio politico. 38 Soprattutto Giovan Battista Della Porta sentì l’opera di Scipione Di Castro consonante con l’intento di controllare le proprie idee sull’arte del governare in un’epoca che credeva in un disegno provvidenziale, impegnata a discutere sui doveri reciproci dei governanti e dei sudditi. Sicuramente Di Castro aveva nascosto con disinvoltura, in una impalcatura cattolica, la dottrina del machiavellismo. 39 Forse Della Porta considerò il trattato Delli fondamenti particolarmente interessante per le osservazioni sugli umori e sui temperamenti che, se riguardavano in generale gli uomini, potevano essere utili soprattutto per i prìncipi, per differenziare il vero governante dal tiranno. L’impegno scientifico e le curiosità di Della Porta miravano a scoprire i segreti della natura. Le riflessioni sui temperamenti avrebbero potuto avere una funzione politica ed educativa anche all’interno degli intrecci comici e delle fabulae o rappresentazioni teatrali tragiche o tragicomiche. La scienza che metteva a nudo gli istinti animaleschi negli uomini, attraverso accostamenti tra il mondo umano e il mondo animale, era diventata un’arte per conoscere meglio l’uomo ma anche per comunicare in modo più immediato col popolo e aiutarlo a difendersi dai prìncipi machiavellisti, come pure dai  







37

  G. Fulco, La « Meravigliosa » passione, cit., p. 297.   Cfr. L. G. Clubb, Ideologia e politica, cit., pp. 423-438. 39  Al pari di Scipione Di Castro, anche Della Porta ebbe problemi con l’Inquisizione. Cfr. Giovanni Aquilecchia, G. B. Della Porta e l’Inquisizione, in Schede di Italianistica, Torino, Einaudi, 1976, scheda xi (pp. 219254) e Id., Ancora su G. B. della Porta e l’Inquisizione, in Schede di Italianistica, Torino, Einaudi, 1980, scheda xv (pp. 314-320). 38





della porta e il delli fondamenti dello stato di scipione di castro 135 falsi filosofi e dai falsi sapienti (in particolare i pedanti, attaccati anche nel teatro di Della Porta), nonché dagli ipocriti, simulatori di amore e di amicizia. Alla scienza della fisiognomica prestavano attenzione negli stessi anni anche Tommaso Campanella 40 e Paolo Regio. 41 Entrambi erano sensibili al legame della scienza naturale dell’uomo con quella degli animali, la fisiognomica, e al rapporto di quest’ultima con la filosofia morale, e ancor più con la metafisica e la teologia nel caso di Tommaso Campanella.  



40  Nella Scelta d’alcune poesie filosofiche Campanella identifica il tiranno col lupo con l’aquila o col leone, il sofista con la cornacchia e l’ipocrita con la volpe. Molto interessante è anche il sonetto campanelliano Della plebe, dove il Poeta di Stilo identifica la plebe con una « bestia varia e grossa » che sembra essere l’asino. 41   Ho ultimamente lavorato sul tema Il mondo degli animali nella Sirenide di Paolo Regio : allegoria e scienza della natura, « Bruniana & Campanelliana », xxi (2015), 2, pp. 395-410.  









TECNICA E SCIENZA NELLE OPERE DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA Raffaella De Vivo

I

l binomio scienza-tecnica è presente nelle opere di Giovan Battista Della Porta sin dalla pubblicazione della Magia naturalis in quattro libri nel 1558. 1 Ovviamente il termine scientia appartiene ad una categoria semantica e concettuale diversa rispetto a quello di scienza nell’accezione moderna, termine con cui si rinvia alla connessione tra riflessione filosofica ed esperienze scientifiche elaborate da Galilei e da Newton, che per la prima volta legarono in modo indissolubile le ipotesi teoriche al momento pratico dell’esperimento. Così il termine tecnica può trovare una duplice corrispondenza : con il vocabolo ars, termine generico che indica sommariamente un insieme di competenze in qualsiasi campo, senza designare una categoria particolare del fare o un sapere tecnico o specialistico, che ha anche applicazioni pratiche, ma non necessariamente legate alla manualità ; con il vocabolo peritia, equivalente a “sapere che si esplica nella pratica” ma anche ad “esperienza”, definendo gli aspetti, per dir così, applicati anche di alcune artes come la medicina o l’architettura. Di conseguenza anche il termine artifex non corrisponde solo a “tecnico”, designando piuttosto svariati mestieri e professioni. Insomma al sapere si affianca il saper fare. Un percorso dedicato alla tecnica e alla scienza nelle opere di Giovan Battista Della Porta parte dalla Praefatio ad lectores della citata edizione della Magia naturalis. 2 Il testo liminare è estremamente interessante. Spinto da un desiderio innato di ascoltare e di conoscere le abditae naturae res, Della Porta ha studiato le opere monumentali dei classici in maniera minuziosa : egli dichiara che ha riletto i testi e ha evidenziato, non appena trovato, anche solo un termine degno di attenzione. Alla lettura ed all’ascolto attivi ha fatto seguire l’esperienza della pratica in modo che niente restasse insondato, sulla scia della sentenza di Cicerone, riportata da Columella : « Coloro che desiderino veramente esplorare gli argomenti più utili al genere umano e trasmettere alla memoria le loro scoperte una volta esaminate, devono tentare tutto ». 3 Della Porta sottolinea il valore dell’esperienza : spesso i contenuti letti non corrispondevano alle esperienze e anche autori, notoriamente scientifici come Plinio, cadevano nell’errore ; così come il continuo rifarsi agli antichi da parte di scrittori, che non avevano visto e sperimentato ciò che narravano o descrivevano, creava all’infinito errori e bugie tanto da suscitare il riso alla sola lettura dei loro scritti. È palese come Della Porta tenda a svincolarsi dal principio dell’auctoritas, anche se in maniera lieve e con il sorriso sulle labbra, ironizzando sull’impossibilità non solo di realizzare quanto proposto ma addirittura di leggere tali opere. La finalità di Della Porta è quella di squarciare il velo che copre tutte le cose, raccolte nel grembo della prodigiosa natura, in modo che emergano alla luce, così da poter essere  





















1   Giovan Battista Della Porta, Magiae naturalis, sive De miraculis rerum naturalium libri iiii, Neapoli, apud Matthiam Cancer, 1558. 2 3   Ivi, pp. iv-vi.   Ibidem.

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raffaella de vivo

esplorate : non solo senza far affidamento alle affermazioni dell’autorità, ma anche andando al di là dell’involucro delle parole, utilizzando un vocabolario più piano e più rude, teso ad esprimere concetti semplici con circonlocuzioni e distinzioni. Ancora più interessante è il progetto di un’apertura del sapere a tutti, anche ai non esperti, senza svilire l’importanza di quanto svelato. La proposta dellaportiana è improntata ad una mediazione dei contenuti in modo che non siano troppo oscuri per l’investigante dotato di ingegno, né troppo palesi per i lettori più semplici e sprovveduti, la cosiddetta prophana turba, oppure facilmente esposti allo svilimento. L’invito finale ai lettori è quello di attingere a questo tesoro facendo ricorso agli esperimenti anche se possono apparire di poco conto oppure già noti. La lettura della Magia naturalis rivela come la stessa magia bianca, naturale o spirituale, sia definita una consummatio della filosofia naturale, che insegna le qualità delle cose nascoste, le proprietà e la cognizione di tutta la Natura. La magia altro non è che la stessa opera della natura e l’arte è sua serva e ministra. Della Porta chiarisce quest’ultima espressione con l’esempio dell’agricoltura : la natura è quella che produce le erbe e le biade, l’arte è quella che prepara i campi e semina. D’altra parte il mago è ministro della natura e non artefice. 4 Nel delineare la figura del professor, Della Porta enumera le conoscenze e le competenze di cui deve essere in possesso : esperto di filosofia naturale, tanto da indagare i principi e gli elementi delle cose, delle loro qualità mirabili e delle reciprocità esistenti tra esse ; non ignaro di medicina, disciplina che offre molti presidi ed insegna il mischiare, il temprare, il comporre e l’applicare ; esperto di botanica ; conoscitore delle discipline matematiche, di astrologia ed, infine, dell’ottica, con una particolare attenzione alle rappresentazioni visive sott’acqua e negli specchi. Il mago deve essere artefice per dono di natura e molto sapiente : infatti il sapiente, senza l’abilità, o l’artefice, senza conoscenza, non potranno altro che cercare di realizzare invano l’opera né otterranno quanto desiderato, essendo queste arti così congiunte. Della Porta chiede al mago-filosofo di esaminare, di conoscere le cause, di operare e di sperimentare perché la natura non mostra i suoi segreti agli ignoranti e agli oziosi. 5 Così nella sua opera Della Porta rende la sua magia uno studio operativo che è ancora lontano dal metodo scientifico moderno, ma che richiama l’importanza della ricerca e della divulgazione dei “secreti” della natura. Dopo aver esaminato gli elementi, le loro virtù, le qualità e le proprietà nascoste, sostenuto la presenza della simpatia e dell’antipatia universale delle cose, degli animali e delle piante con il linguaggio base della filosofia naturale, solo alla fine del i libro, nei capitoli xix, xx e xxi, viene intrapreso un discorso più vicino alla tecnica allorché si parla di mixturae e de simplicium praeparationibus. 6 Il ricercatore cede il passo al tecnico e all’alchimista-chimico : nella preparazione delle misture e dei composti a base di piante medicinali, si rinvia alla proporzionalità degli elementi che le compongono così come vengono richiamate l’importanza della posologia e del rapporto di ciascun elemento con la composizione stessa. Nel capitolo successivo, quello finale del i libro, viene affrontato il tema delle tecniche o diremmo oggi processo di fabbricazione delle preparazioni : maturatio, putrefatio, maceratio, elixatio, combustio, in calcem redactio, incineratio, distillatio, arefactio et iis consimiles. 7 Nella silloge divulgativa dei libri successivi Della Porta propone sempre una verifica di quanto analizza, trasformando la natura in un vero e proprio laboratorio, aprendo 

























4

  Ivi, pp. 1-2.   Ivi, pp. 30-31.

6

5 7

  Ivi, pp. 2-3.   Ivi, p. 34.

tecnica e scienza nelle opere di giovan battista della porta

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si talvolta anche a studi operativi con finalità tecnologiche : così nel ii libro, dopo aver dissertato sui secreti collegati a fiori e frutti (capp. i-viii), mostra il suo interesse per la composizione di ignaria, ossia fuochi artificiali prodotti in campo bellico, o di mixturae che ardano sott’acqua (capp. x-xi). Ma quello che attira ancora la nostra attenzione è il capitolo xiv dedicato ai mechanicis experimentis definiti con la litote non iniucundis per uomini di ingegno e di tecnica. Primo è il Draco volantis o cometae sidus. 8 Della Porta così descrive la struttura : quattro bastoncelli di canna sottile tagliati in proporzione tale che la lunghezza sia una volta e mezza la larghezza, con due diametri laterali, coperto di carta o di un panno sottile, con una funicella ed una coda, oggetto che si lancia da un monte alto o da una torre tenendo conto dei venti. Dello strumento Della Porta delinea la struttura del telaio, la presenza della trazione del cavo di ritenuta con le sue due componenti verso terra e verso la direzione opposta a quella del vento, la presenza della coda, il materiale con cui deve essere costruito. Potrà far sorridere, ma si tratta dell’aquilone di cui il nostro coglie le caratteristiche strutturali e il rapporto con la forza di portanza generata dal vento. 9 Interessanti sempre nello stesso capitolo anche gli esperimenti della candela che brucia sott’acqua e del vaso che, rivoltato, trattiene l’acqua calda che contiene : Della Porta non appare certo insensibile ai principi della fisica e, anche se li coglie solo empiricamente, propone questi esperimenti a tutti i lettori in modo che vengano riprodotti. Al magnete, che sarà protagonista del libro vii dell’edizione del 1589, viene dedicata solo una digressione all’interno del capitolo xxi, in cui la calamita viene, tra l’altro, utilizzata per sapere se una donna sia casta ponendola sotto il suo capo quando dorme. 10 Nel iii libro Della Porta giunge agli experimenta chymica che sono tanto richiesti per il guadagno che promettono. In realtà l’autore, nel Prooemium, sgombra il campo chiaramente da qualsivoglia equivoco : i metalli possono essere conosciuti, trasformati, tinti, sciolti, ma comunque non ci si deve sforzare in campi di cui non vi è conoscenza poiché in omnibus natura imitari non posse. Così non promette monti d’oro né la pietra filosofale, ma lo studio e gli esperimenti collegati ai metalli. 11 Prima di dedicarsi alla presentazione dei vari procedimenti, nel i capitolo Della Porta offre ampio spazio alla distillazione e alla descrizione dettagliata del processo di distillazione e di uno strumento fondamentale, quello che i chymistae chiamano distillarium o alembic. Apparecchiato un vaso di vetro concavo, gonfio a guisa di una palla, o piuttosto aguzzo come una pera, con un collo lungo e con un coperchio di vetro, una volta riscaldato si potrà osservare come il contenuto (res) si trasforma in vapori sottili che vanno verso l’alto riempiendo i luoghi vacui ; non appena essi toccheranno la superficie fredda e il tappo, la res si trasformerà in rugiada e percorrendo gli archi del coperchio diventerà acqua e attraverso un certo canale si raccoglierà in gocce in un contenitore posto al di sotto. 12 Della Porta si occupa poi dei vari processi (estrazione, sublimazione, calcinazione) e di altri recipienti da utilizzarsi, dei metalli (ferro, piombo, stagno, oro, argento), delle gemme, dei cristalli, del corallo e del vetro. Il linguaggio è semplice, chiaro ed immediato, la descrizione precisa ed appropriata ed abbastanza rigorosa. Anche qui se scienza non c’è nell’accezione moderna, vi è comunque un approccio scientifico volto all’esperienza verificabile e riproducibile in una sorta di laboratorio, un antesignano dell’esperimento chimico.  



















8

  Ivi, pp. 69-70.   Ivi, pp. 88-90.

10

9 11

  Ivi, pp. 110-111.

  Ibidem.   Ivi, p. 111.

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Più vicine al nostro tema sono gli experimenta catoptrica collegati alla Geometria perspectiva del iv libro. 13 Uno dei fenomeni più interessanti osservati da Della Porta è quello dell’iride o arcobaleno, che si può produrre in molti modi, più comodamente con il cristallo o con il quarzo iris, da mettersi ai raggi del sole in modo che l’ombra della parte superiore colpisca il piano in modo da mostrare i colori dell’arco celeste. Oppure mediante un prisma di vetro guardando verso l’interno dalla parte inferiore in modo da vedere i colori rosso, verde, giallo e azzurro (cap. iii). 14 Altro strumento notevole è lo specillum ossia l’occhiale di vetro solido con più facce e più angoli (cap. iv). 15 Nei capitoli successivi l’oggetto d’indagine è lo specchio : su come la combinazione di specchi piani può produrre varie illusioni ottiche (capp. v-xi) ; sugli effetti realizzati mediante specchi cilindrici e sferici (capp. xii-xiv) ; sulle proprietà degli specchi ustori di varia forma (cap. xv), su come produrre superfici di vetro e specchi (capp. xviii-xix). È emblematico osservare come l’analisi di Della Porta relativa agli specchi concavi sferici è una descrizione corretta, anche se embrionale, di ciò che si potrebbe sperimentare nel movimento di una persona di fronte ad uno specchio convesso in una stanza buia con la luce posta accanto al viso. 16 Nell’edizione della Magia naturalis in venti libri del 1589, Della Porta mostra sin dalla Praefatio ai lettori ancor più il suo interesse per la scienza e la tecnica : soddisfatto del successo editoriale e di pubblico della sua opera giovanile, composta all’età di quindici anni, ormai cinquantenne confessa che con tutto il suo animo e con tutto il suo ingegno ha rivisto i libri degli antichi per ritrovare cose secrete e nascoste in modo da raccontarle e sperimentarle e, durante i suoi viaggi in Italia, Francia, Spagna, ha visitato biblioteche e case di uomini dottissimi e di eccellentissimi artefici per sapere cose curiose ed esperienze di esse. 17 Pur riprendendo i temi della Praefatio ad lectores dell’edizione precedente, Della Porta sottolinea le caratteristiche del piano compositivo dell’opera, da articolarsi in una struttura più organica : l’opinione degli antichi e dei moderni, la propria esperienza, le invenzioni contemporanee. Essendo la magia naturalium scientiarum apex et consummata facultas, distingue le scienze in matematiche e naturali, ed inizia a trattare delle ultime, le naturali, in quanto più semplici e in esse di animali, piante e metalli per giungere poi alla presentazione ed analisi delle altre opere della natura, infine dei fenomeni più grandi in modo che l’industrius et gnarus rei possa far congettura delle altre cose, come scrive nel Prooemium del ii libro. 18 In questa edizione la trattazione di alcuni argomenti scientifici risulta essere presente per la prima volta come nel caso delle armi da guerra (libro xii), oppure notevolmente ampliata come avviene per il magnete (libro vii), la distillazione (libro x) e gli specchi (libro xvii). Nel vii libro ben 56 capitoli sono dedicati da Della Porta al magnetismo. Al di là dell’originalità delle riflessioni dello studioso, vicino nelle sue speculazioni a Paolo Sarpi – da lui definito il più ingegnoso e dotto uomo che avesse conosciuto nella sua vita, splendore ed ornamento non solo di Venezia ma di tutta Italia, e che probabilmente aveva discusso con lui sui Due trattati sopra la natura, e le qualità della calamita del gesuita Leonardo Garzoni – è degno di nota come Della Porta usi il metodo sperimentale per sostenere quanto afferma. 19  























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14   Ivi, p. 141.   Ivi, pp. 144-145. 16   Ivi, p. 145.   Ivi, pp. 149-150. 17   Giovan Battista Della Porta, Magiae naturalis libri xx. Ab ipso authore expurgati, superaucti, in quibus scientiarum naturalium divitiae, & delitiae demonstrantur, Neapoli, apud Horatium Salvianum, 1589, p. v. 18   Ivi, pp. 20-21. 19   Ivi, pp. 127-128. Cfr. David Wootton, The Invention of Science : A New History of the Scientific Revolution, London, Allen Lane, 2015 ; Leonardo Garzoni, Trattati della calamita, a cura di Monica Ugaglia. Milano, FrancoAngeli, 2005. 15





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Il punto d’avvio è certo vicino ad una visione vitalistica della natura : Della Porta ammette due specie di calamita, mas an femina, e considera la calamita composta di pietra e metallo, in cui quest’ultimo tende ad avere la meglio sulla pietra attirando, a tal scopo, ulteriore metallo all’esterno (cap. i). 20 Ma osserva ancora, scoprendo una caratteristica non nota, come una calamita, scaldata fino al colore rosso bianco, perde le proprietà magnetiche e diviene un corpo inerte, privo di forza attrattiva e di forza direttrice (cap. ii). 21 Un esempio del suo approccio al fenomeno può essere colto nell’individuazione dei due poli : si prenda un piccolo legno in forma di barchetta e ponendo al di sopra la calamita si metta a galleggiare sull’acqua : numquam quiescet cymba quin punctus lapidis directe Septentrioni opponatur et oppositus Austro. Ma per aver una migliore resa consiglia di porre in bilico la stessa ut in nautica pyxide (cap. iii). 22 Della Porta affronta in seguito il problema della riproduzione del magnetismo tagliando una calamita in due parti, nelle quali si riproduce il fenomeno che poi si ripete tornando a suddividere le parti ottenute (cap. iv), proprietà che vengono mantenute per quanto il magnete possa essere piccolo (cap. vi). 23 Osserva poi come i poli di una stessa specie si repellono e quelli contrari si attraggono (cap. viii). 24 Lo studioso incanta i lettori mostrando come si possano creare una catena di calamite, avvicinate l’una all’altra per i poli opposti, catena che potrà sembrare trattenuta da forza invisibile se appesa al solaio di una camera per una delle estremità (cap. xi) o ancora come si addensino barbe di limatura di ferro sui poli (cap. xii). 25 Suscita il sorriso pensare a un Della Porta che gioca con il magnetismo arrivando anche ad utilizzarlo per fare burle, spostando la limatura di magnete mischiata alla sabbia in modo da creare due piccoli monticelli, scherzo preparato per quelli troppo scrupolosi nella ricerca. O come, cercando di riprodurre la disposizione di un esercito in battaglia su un piano ricoperto di sabbia e limatura di ferro, possa giocare con il magnetismo individuando un campo magnetico e le linee di campo (cap. xvii). 26 Della Porta individua il campo magnetico usando la similitudine della candela che illumina una stanza che quanto più s’allontana, tanto più risplende debolmente : così la forza magnetica che emana dal polo attrae più fortemente a piccola distanza, tanto più debolmente quanto maggiore è tal distanza, così che quando molto si dilunga, svanisce e diventa nulla (cap. xv). 27 E per avere la misura di quella che diremmo intensità di una calamita, la sospende al di sotto di un piattello di una bilancia e quindi cerca di ottenere l’equilibrio grazie a dei pesi messi nell’altro piatto (cap. xix). 28 Nei capitoli successivi dichiara più chiaramente il concetto che un ago di ferro diventi calamita con l’essere ad essa strofinato, ferrum magnete contactum, ex ea contagione vim eandem suscipit ut fere idem fiat in trahendo, pellendo seque ad polum vertendo (cap. xxxiii). 29 E ancora Della Porta coglie le relazioni tra lastre di ferro, magnetizzazione, smagnetizzazione e calore (capp. xxxvi, lii). 30 Ammessa anche la lettura e l’utilizzazione dei trattati del Garzoni, è evidente che Della Porta mostra un approccio scientifico ai fenomeni magnetici ; e, pur essendo vero che non vi è un quadro teoretico di supporto, l’interesse emerge proprio nella sezione dedicata agli esperimenti : partendo dai dati empirici, nell’investigare lo studioso propone più di  

































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  G. B. Della Porta, Magiae naturalis libri xx, cit., p. 128.   Ivi, pp. 129-130. 24   Ivi, pp. 132-133. 26   Ivi, p. 136. 28 29   Ivi, pp. 136-137.   Ivi, pp. 141-142.

  Ivi, p. 129.   Ivi, pp. 130-132. 25   Ivi, p. 134. 27   Ivi, p. 135. 30   Ivi, pp. 142 ; 146.  

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una spiegazione al fenomeno e lo riproduce in termine estremamente semplici grazie anche al supporto di immagini. Nel libro xii la tecnica trionfa nella narrazione dei ragionamenti sul fuoco artificiale ossia il fuoco utilizzato dai condottieri nell’assediare ed espugnare le città così come nelle battaglie navali. Invenzione, dice Della Porta, utile e degna di ammirazione, la sola che sia capace di atterrire gli uomini in quanto strumento di distruzione. In questo i moderni hanno superato senza alcun ombra di dubbio gli antichi, come si evince dalla rassegna dei ritrovati più mirabili : dall’elaborata composizione di diverse polveri da sparo alle tubae (trombe) che vomitano fuoco ; dai fuochi inestinguibili che ardono anche sott’acqua alle mine che esplodendo aprono il mare, innalzano fiamme fino alle stelle e fanno inghiottire le navi dai gorghi provocati ; dalle pilae (palle) volanti che spaventano la cavalleria nemica fino ai fuochi perpetui. 31 Ad una prima lettura il tutto potrebbe apparire troppo spinto verso il desiderio dell’autore di suggestionare e affascinare, ma esaminando con attenzione il testo si evidenzia la capacità di Della Porta di selezionare argomenti fondati sulla realtà ma, comunque, prodigiosi negli effetti. Della Porta non fa altro che proporre temi su cui discutevano i suoi contemporanei, come si può evincere dalla lettura dei manuali di artiglieria a lui contemporanei : dalla Prattica manuale di artiglieria, opera di Luigi Collado al servizio della corona di Spagna come capitano dell’esercito in Italia, alla Corona e palma militare di artiglieria di Alessandro Capobianco, capo dei Bombardieri a Crema. 32 In particolare si possono cogliere numerose corrispondenze con l’opera del Collado : forte della sua esperienza, l’ingegnero di sua Maestà cattolica discetta di balistica, polvere da sparo, tecniche militari e di attacco, mine e fuochi d’artificio, arricchendo il testo di un imponente apparato iconografico esplicativo. Della Porta, come il Collado, si sofferma sui caratteri del fuoco greco ; sia l’uno che l’altro danno le composizioni delle polveri per l’artiglieria, definite dallo spagnolo « ricette » ; entrambi danno precisa indicazione di come costruire una tuba di legno, specificando misure e materiali e in quale maniera comporre una mistura esplosiva per esse, con precise quantità degli ingredienti da utilizzarsi : tre parti di polvere di artiglieria, una parte di pece greca e mezza di zolfo pestati grossolanamente e il tutto mescolato con l’aggiunta di olio di lino. Entrambi danno le stesse indicazioni per migliorare la mistura se risultasse con l’esperienza troppo violenta nell’ardere : aggiungere pece greca e zolfo. 33 Certamente il testo del Collado è più ricco e dettagliato nelle descrizioni, ma Della Porta è nella sua sinteticità estremamente organico e puntuale. Ancora più interessante è la descrizione della composizione delle mixturae in aquis ardentes : il procedimento dellaportiano è diverso da quello del Collado, mentre quello dello spagnolo viene proposto come ricetta alternativa : una mistura i cui componenti principali sono zolfo, pece greca, salnitro, vernice, quattro parti di polvere, trementina veneziana, olio di vernice liquida, nafta, olio di lino e acquavite raffinata da avvolgersi in panni di tela e da immergersi in pece, procedimento questo da ripetersi più volte con l’inserimento di una miccia. 34 Della Porta non poteva però dimenticare la sua grande passione : l’alchimia. Ed ecco  



































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  Ivi, pp. 207-208.   Luis Collado, Pratica manuale di artiglieria, Venetia, presso Pietro Dusinelli, 1586 ; Alessandro Capobianco, Corona e palma militare di arteglieria, Venetia, appresso Giovanni Antonio Rampazetto, 1598. 33   G. B. Della Porta, Magiae naturalis libri xx …, cit., pp. 208-211 ; cfr. L. Collado, Pratica manuale …, cit., pp. 269-270. 34   G. B. Della Porta, Magiae naturalis libri xx …, cit., pp. 212-213 ; cfr. L. Collado, Pratica manuale …, cit., pp. 276- 277. 32







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che l’ultimo capitolo, il xiii, è dedicato alla fiamma perpetua, simbolo alchemico ma anche curiosità diffusa a seguito di ritrovamenti di lampade perennemente ardenti, una delle quali trovata nel 1550 a Nisida nella tomba di un antico romano. Più che il “secreto”, sono di rilievo due principi espressi : il primo è quello dell’assenza del vuoto che è la radice delle operazioni più meravigliose ; il secondo, posto a chiusa del capitolo, indica i punti cardine dell’investigazione dellaportiana : « Principia audistis, scrutamini, operamini, periclitamini ». 35 Anche il relazione alla distillazione, argomento già toccato nell’edizione del 1558, nel x libro Della Porta ci offre attraverso il Prooemium una chiave interpretativa : giunto alla trattazione delle arti, ha deciso di iniziare con la distillazione, invenzione dei moderni, caratterizzata da cose mirabili. La lezione della distillazione è una lezione raccolta dalla natura delle cose. Infatti, è della natura produrre le cose e dotarle di virtù, è dell’arte nobilitare le cose prodotte arricchendole di molteplici virtù. Ecco il motivo per cui il lettore desideroso ed indagatore di cose mirabili deve accostarsi alla distillazione. 36 Dopo aver definito la distillazione, Della Porta passa ad enumerarne i tre tipi fondamentali : per ascensum, per descensum e per inclinationem. Il nostro interesse viene attirato dalla spiegazione del funzionamento del processo di distillazione attraverso una serie di similitudini tratte dal mondo della natura. 37 Dice ancora Della Porta che vaso e recipiente sono adattabili alle caratteristiche della sostanza da raffinare : così quelle che sono vaporosae et flatulentae richiedono recipienti larghi ed ampi e bocce larghe e basse, altrimenti fanno volare in mille pezzi i vasi sottili che li contengono con lo strepito di una bombarda, mentre le sostanze calde e sottili hanno bisogno di vasi dal collo lungo. L’operoso artifex apprenderà le tutte queste cose da quelle che la natura ci adombra : così potrà trarre gli strumenti dalle forme e dalla natura degli animali : all’orso e al leone, animali iracondi, dal corpo grosso e il collo corto corrisponde un gran vaso in cui le parti grasse si depositano ; al cervo, allo struzzo, al cammello e al pardo, dai corpi sinuosi e colli flessuosi, corrispondono vasi sottili dal collo lungo. 38 E prima di dedicarsi alla trattazione Della Porta sottolinea di aver appreso i principi dell’arte pluribus experiendo. Sulla scia dell’esperienza egli non solo dà diverse ricette per ricavare acque odorose, ma specifica per primo le differenze tra gli oli grassi e gli oli essenziali, illustra i metodi per separare questi ultimi dalle acque aromatiche distillate, descrive in maniera analitica gli strumenti utilizzati offrendone una rappresentazione. Degni di nota l’alambicco per produrre l’acquavite, il distillatore solare, il distillatore di acqua marina scaldato col calore solare e l’ingegnoso sistema per recuperare acqua dolce facendo condensare il vapore acqueo dell’atmosfera su un recipiente pieno di ghiaccio e salnitro impuro, utilizzando la procedura di refrigerazione. 39 Della Porta, peraltro, è consapevole che tali procedimenti richiedono ulteriori perfezionamenti tecnologici : « Diligens artifex alia addet, ut maiorem nanciscatur aquae copiam. Sat sis viam demonstrasse ». 40 Nell’ambito di questo percorso è necessario fare riferimento ai libri dedicati all’ottica, alla statica e alla pneumatica (libri xvii-xix). Nei rispettivi proemi, prima di descrivere i ritrovati tecnici, collegati agli studi di Archimede e di Erone, Della Porta insiste sull’ingegnosità dei certissimi experimenta che seguono le imaginariae animi conceptiones, in quanto le dimostrazioni matematiche vengono comprovate dall’esperienza degli occhi ; scrivendo sul grave e sul leggero, riflette su molte cose mirabili, degne di essere descritte e di speculazione, ad usus utiles, di cui è possibile servirsi con molta comodità, che, se ulte 









































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  G. B. Della Porta, Magiae naturalis libri xx …, cit., p. 218. 37 38   Ivi, pp. 179-180.   Ivi, p. 180.   Ibidem. 39 40   Ivi, pp. 182-183 ; 186-187 ; 292-293 ; 295.   Ivi, p. 295. 36







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riormente approfondite, possono condurre a cose numerose e nuove, ad utiliores usus, ed essere ancora più proficue ; infine, nel dedicarsi agli esperimenti di pneumatica, invita il magus, che cerca le cose utili all’uso dell’uomo e degne di meraviglia, ad insistere su di esse in cui rifulge, più che in altre, la grande Naturae maiestas. 41 Come exempla della sua perizia descrittiva ecco il poliphaton, lo specchio teatrale e gli specchi concavi ; i celebri artifici collegati agli organi idraulici, gli orologi idraulici, la fontana ad aria compressa che ha trovato realizzazione a Venezia innanzi al cardinal d’Este, per non parlare dell’archibugio pneumatico. 42 È evidente che, nella sezione scientifica della sua opera, Della Porta ancor più demagifica la natura in modo da porla al servizio dell’uomo attraverso l’utilizzazione della tecnica. Saper e saper fare si coniugano così proprio in alcune parti della Magia naturalis, la magna mater delle opere dellaportiane, da cui derivano importanti costole di argomento tecnicoscientifico ossia il De refractione, i Pneumaticorum libri tres, il De distillatione e il De munitione, monografie che dal 1601 al 1608 irrompono come vere e proprie novità editoriali. Se nel De refractione del 1593 permane ancora una concezione dell’ottica come un sapere derivato dalle scienze matematiche e dalla filosofia naturale, strumentale alle speculazioni geometriche e utile alla medicina, alla pittura e all’architettura, nei Pneumaticorum libri tres del 1601 emerge una visione del sapere specialistico agganciato alla tecnica, che parte dal raffronto con i classici, prosegue con lo studio dei principi e delle cause, culmina nella proposta di esperimenti. Nel Prooemium ad lectorem Della Porta, dopo aver fatto riferimento alle fonti antiche, ricorda di essersi avvicinato all’experiendo, in un primo momento, con l’aiuto di un amico di non volgare dottrina di cui utilizzava l’opera e la diligentia, e, venuto meno questo, di aver continuato nei suoi esperimenti, spinto dal desiderio di trovare nova et sublimia per l’utilità di uomini di ingegno. 43 Tra gli esiti la realizzazione di un sistema di condizionamento delle camere e il famoso organo idraulico funzionanti a Tivoli nella villa del Cardinal d’Este. 44 Nel Prooemium del De distillatione, Della Porta antepone a tutte le arti e a tutte le scienze l’ars distillationis, utile alla medicina, alla salute e alla bellezza dell’uomo : la distillazione è un’arte che permette di vivere a lungo, in salute e nelle comodità ; praticata da principi, re e uomini illustri ; sorella, nata dallo stesso parto, dell’alchimia, che la utilizza spesso e con segreti comuni. 45 Così nel trattato Della Porta, coniugando il sapere alla tecnica, sulla scia dell’osservazione ed imitazione della natura, descrive tecniche e ricette per ottenere acque distillate e oli, e, soprattutto, strumenti, come l’idra a sette teste, un alambicco che ottiene acquavite da un’unica distillazione, basato sul principio della colonna di distillazione utilizzato due secoli più tardi. Nel De munitione del 1608, Della Porta parte dalla decadenza del suo tempo dell’arte del costruire fortezze, ormai affidata ad inesperti costruttori e rudi soldati senza metodo, ordine e disciplina, ed offre un contributo in cui i saperi degli antichi si uniscono sinergicamente alle conoscenze sia teoriche sia pratiche dei contemporanei ; la finalità pratica è quella di rinnovare ed adeguare le fortificazioni militari tenendo conto delle innovazioni belliche legate all’invenzione e all’impiego della polvere da sparo e al pericolo dei Turchi. 46  























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  Ivi, pp. 259-260 ; 281 ; 287. 43   Ivi, pp. 261-264 ; 288-291.   Pneu, pp. 3-4. 44  Cfr. Oreste Trabucco, Giochi d’acqua e d’aria tra magia e meccanica. Ancora su Della Porta e Galileo, « Galilaeana », vi (2009), pp. 167-196. 45   Giovan Battista Della Porta, De distillatione, libri ix, Romae, Ex Typographia Reverendae Camerae Apo46   Mun, pp. 3-4. stolicae, 1608, pp. xv-xviii. 42











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Della Porta sulla scia dei classici, ma soprattutto con l’ausilio di studiosi ed esperti di architettura militare, delinea una nuova figura professionale con competenze specialistiche in cui il sapere si coniuga pienamente con il saper fare. Della Porta, con la sua opera di studioso, lettore, traduttore, commentatore dei principali testi della matematica greca e della tecnica romano-ellenistica e rinascimentale, sostituisce progressivamente alla figura del philosophus o del magus quella dello scienziato pre-galileiano o ancora quella figura professionale con competenze specialistiche di cui tanto si sentiva bisogno in un mondo che stava cambiando.

DELLA PORTA, KEPLER, AND THE CHANGING NOTION OF OPTICAL IMAGE C. 1600 Antoni Malet

A

mong the many and extraordinary achievements of Gianbattista Della Porta, his contributions to natural philosophy in general and optics in particular are perhaps the ones that receive today a more qualified assessment. Not much has been published about Della Porta’s optics, but the general tenor of scholars analyzing it is critical not to say plainly negative. 1 Before I enter into the technicalities of my paper I would like to clarify the context of 16th century optical knowledge and the nature of Della Porta’s contributions to it. Sixteenth-century optics developed out of two works. One was Euclid’s optics, which included a substantial mathematical study of image formation in concave and convex spherical mirrors, Euclidis Optica et Catoptrica (1557, edited by Jean Pena). 2 The other was the medieval optical tradition (also known as the medieval perspectivist tradition) ultimately originating in the Latin translation of the Arabic author Ibn Al Haytham (known as Alhacen in the Latin west), but most often read and studied in medieval and Renaissance universities through the version prepared by a Polish 13th-century friar, Witelo. 3 It has been long recognized that 16th-century optical knowledge was closely connected with a general interest in marvels and natural secrets. The frontispieces of the two 16th-century editions of Witelo’s treatise announce it as a gateway to famous marvels. Figure 1 reproduces the frontispiece to the first edition, from Nuremberg in 1535, showing the most enticing topics, the rainbow, mirror images, burning devices, and refraction, or the bending of light rays that make us see “broken” legs where legs are straight. 4  







1   Thomas Frangenberg, Perspectivist Aristotelianism : Three Case-Studies of Cinquecento Visual Theory, « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 54 (1991), pp. 137-158 ; Fakuro Saito, Perception and optics in the 16th century : some features of Della Porta’s theory of vision, « Circumscribere », 8 (2010), pp. 28-35 ; Vasco Ronchi, Du De Refractione au De Telescopio de G. B. Della Porta, « Revue d’Histoire des Sciences », 7 (1954), pp. 34-59 ; Daniel C. Lindberg, Optics in Sixteenth-Century Italy, in *Novità celesti e crisi del sapere. Atti del convegno internazionale di studi galileiani, a cura di Paolo Galluzzi, Firenze, Giunti Barbera, 1984, pp. 132-41 ; Sven Dupré, Visualization in Renaissance optics : The function of geometrical diagrams and pictures in the transmission of practical knowledge, in *Transmitting Knowledge : Words, Images, And Instruments in Early Modern Europe, a cura di Sachiko Kusukawa e Ian MacLean, Oxford, Oxford University Press, 2006, pp. 11-39. 2   Euclidis Optica et Catoptrica, Paris, ex officinal Dyonisii Duvallii, 1557. There circulated two printings of Euclid’s 1557 Optica in Latin, both from the same printer, Andreas Whechel, one including the Greek text, the other with the Latin translation only ; the title pages differed in that the former included the title in Greek characters too and included in the title the phrase “nunquam antehac Graece aedita”. I find clarifying the commentary in Paul Ver Eeke’s French translation, in Euclide, L’Optique et la Catoptrique, a cura di Paul Ver Eeke, Paris, Librairie scientifique Albert Blanchard, 1959. See also Albert Lejeune, Euclide et Ptolémée : Deux stades de l’optique géométrique grecque, Louvaine, Bibliotheque de l’Universite, Publications Universiteires, 1956 ; Daniel C. Lindberg, Theories of vision from Al-Kindi to Kepler, Chicago, University Chicago Press, 1981) ; Id., Laying the Foundations of Geometrical Optics, in Daniel C. Lindberg, Geoffrey Cantor, The Discourse of Light from the Middle Ages to the Enlightenment, Los Angeles, University of California, 1985, pp. 8-65. 3   Daniel C. Lindberg, The Science of Optics, in *Science in the Middle Ages, a cura di D. Lindberg (Chicago, Chicago University Press, 1978), pp. 338-368 ; Thomas Frangenberg, The Image and the Moving Eye : Jean Pelerin (Viator) to Guidobaldo del Monte, « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 49 (1986), pp. 150-171. 4   Vitellio, Opticae libri decem ; Vitellionis mathematici doctissimi [Peri optikēs], id est de natura, ratione, & proiectione radiorum uisus, luminum, colorum atq[ue] formarum, quam uulgo perspectiuam uocant, Norimberga, Johann Petreius, 1535.  













































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Figure 1. Frontispiece from Witello’s Peri optikes libri X (Nuremberg, 1535).

The frontispiece of the second, 1572 edition (see Figure 2) highlights the same topics, with two significant changes. 5 One is the explicit reference to Archimedes’s story of using burning mirrors to set warships on fire – a highly popular story in the 16th century, and one that stressed the useful dimension of mathematical knowledge in general and of optics in particular. It is another matter that mirrors like those might actually be made. Della Porta claimed he knew how to make them, as we shall see below. The second difference concerns the way to represent the mirror image. Here it is more explicitly highlighted an important feature of mirror images, namely, that they deceive us by making us think that we see objects and persons where they are not. The frontispiece also suggests that the mirror image is somehow “hanging in the air”. This idea was also popular in the optical literature, probably because it connected some optical effects to the production of ghostly apparitions. Optics, therefore, was praised both because it facilitated the production of marvelous effects and because it was a remedy against being too credulous and falling victim to deception. That much Jean Pena, a student of Pierre de la Ramée, put forward in the Preface  

5   Ibn al-Haitham, Opticae thesaurus. Alhazeni […] libri septem, […] Item Vitellionis […] libri x. Omnes instaurati, figuris illustrati & aucti, adiecti etiam in Alhazenum commentarijs, a Federico Risnero, Basilea, Eusebius e Nikolaus Episcopius, 1572.

della porta, kepler, and the changing notion of optical image c. 1600 149 of the first Greek edition of Euclid’s optics :  

He who has learned from optics to construct a mirror in which one sees one and the same thing one hundred times, … ; [and] he who understands how to place a mirror so that in it you see those things that happen in the houses of strangers ; … [and] he who knows that a mirror can be constructed from plane mirrors so that whoever looks into it will see his image flying ; … such a person [who knows all these things, and others] will not be easily surprised. Will he not distinguish forgery and imposture from true physical things ? 6  





   

As suggested in the foregoing words, the notion of mirror image was infused with equivocal meanings. If you think of spherical mirrors, images are deform representations of the originals. This is a prominent feature of pre-Keplerian optics, that images in optical devices primarily suggested the idea of deception. Needless to say, no theory of optical instruments as tools of objective investigation of Figure 2. Frontispiece from F. Risner’s edition of Winature is possible until this notion of tello’s Opticae libri decem (Basel, 1572). image as deception and trick is abandoned and its place occupied by another idea differently framed. This is Kepler’s crucial contribution to optics, one that he found reading Della Porta, as we shall show here. Della Porta has left us three major writings on optics. One is a long chapter within his bestseller, Magia naturalis (1558 and 1589). The second is the printed work, De refractione, which Della Porta published in 1593, shortly after the second enlarged edition of the Magia. Finally, shortly before his death, he wrote a monograph on the telescope. The monograph was left incomplete and in fact did not circulate until after 1940, when it was rediscovered among Della Porta’s papers. “De telescopio” was based in the printed book, De refractione. The two works are closely related on everything that matters, namely style, methodology, and purpose. They are very different from the chapter in Magia naturalis, to which we shall return presently. It is out of my purview to go into De refractione and “De telescopio”, but it is a significant feature deserving mention that they are both written in strongly geometrical style, as in imitation of medieval perspectivist treatises. They are both failed works, and yet in writing De refractione Della Porta was bold, was ambitious, and was working in the right direction. He was trying to study the refraction of light in glass and water in the same way as classic and medieval authors studied reflection of light in mirrors. Della Porta was 6   Jean Pena, ...de usu optices praefatio, in Euclides, Optica et Catoptrica, nunquam antehac Graece aedita, Paris, André Wechel, 1557, pp. [xvi-xvii].

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visionary enough to see that refraction was the key to understanding the workings of the eye, vision, and the effects of spectacles, besides other phenomena like the rainbow. He dealt with all these topics in his book, De refractione. His results are highly unsatisfactory. 7 As a matter of fact, he was illequiped for the difficult task that he had set to himself. He did not know the law of refraction, that is to say Figure 3. The “cathetus rule” for finding the refracted he did not know how much the rays image according to Della Porta’s De refractione (Naples, 1593), p. 16. The object I is immersed in water, the bend as they crossed the interface beeye A is over and above the water surface, fecd. The tween air and glass (or water). He did ray IB is refracted on B, at the interface between water not have a proper notion of optical and air, and reaches the eye by the ray BA. The onlo- image. The only thing he had was oker thinks (or “sees”) the object I along the line AB a rule to locate the image. The eye extended. According to the “cathetus rule”, the image located at A (see Figure 3) does not of I is located on L, the intersection of AB extended perceive the object located at I in its and the perpendicular from I to the interface. The rule proper place. Its simulachrum (this is was used in optics since Greek antiquity, without proDella Porta’s word) or likeness reachper explanation. es the eye A after bending at point B in the interface. 8 The onlooker believes the point I is located somewhere upon the line AB extended (because this is the line that gets into his eye), but where exactly ? According to Della Porta’s rule, the image of I is located where the line AB extended crosses the perpendicular from I to the surface (here marked as L). The perpendicular from the object to the refracting surface was called the cathetus in the optical literature and so this rule to locate the image was called the cathetuts rule. There was no physical or optical reason to ground the rule, except for the fact that it qualitatively accounts for the well known observation that objects under water appear bigger and closer to the surface that they really are. The cathetus rule was widely applied to mirrors in medieval optics, where again it was grounded on no physical argument. It was transferred by way of analogy to refractions, Porta being one among many who applied it to refractions. 9 When Della Porta tried to study complex phenomena, like refraction in the ocular humors and in lenses, he run into innumerable difficulties. He extricate himself from them by ad hoc assumptions and indefensible analogies with mirrors, the consequence being that inconsistencies abound and that most geometrical diagrams in De refractione and “De telescopio” only look like or have the appearance of true demonstrative mathematical diagrams. As a scholar has recently put it, referring to one of Della Porta’s diagrams, “the diagram is only there for rhetorical purposes”, that is to say, it is not a tool of demonstra 







7   This very brief summary is based on my reading of De refractione, which agrees in its essentials with the conclusions found in Ronchi (1954), Lindberg (1984), and Dupré (2006), referred to in n. 1 above. 8   Giovan Battista Della Porta, De refractione, Neapoli, ex officina Horatii Saluiani, apud Io. Iacobum Carlinum, & Antonium Pacem, 1593, p. 16 9   Charles M. Turbayne, Grosseteste and an Ancient Optical Principle, « Isis », 50 (1959), pp. 467-72 ; Richard Lorch, Pseudo-Euclid on the position of the image in reflection, in *The Light of Nature, edited by J. D. North, J. J. Roche, Dordrecht, M. Nijhoff, 1985, pp. 85-97.  





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tion. This is the reason why Della Porta’s optics has generally received negative reviews in the last decades. On the other hand, however, these views are at odds with the high praise Della Porta received from none other than Johannes Kepler, today acclaimed as the founder of modern optics. This notorious contradiction between Kepler’s praise and today’s evaluations is somehow explained by the fact that Kepler studied and praised not De refractione, but the optics in the Magia naturalis. The two works couldn’t be more different in character. All the books that make up the Magia, and the book on optics in particular, are about marvelous effects that can be produced in nature. The focus is not on argumentation and demonstrations (geometrical or otherwise), but in manipulation of artefacts and hands-on knowledge. Della Porta introduced his “magical” optics with these self-explanatory words :  

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Now … [I will show] some experiments concerning catoptrics, for these shine among geometric [things] for ingenuity, wonder, and usefulness. For … what could seem more wonderful than by reciprocal strokes of reflection images should appear outwardly, hanging in the air, and yet neither the visible object nor the glass seen ? That they [images] may seem not to be the repercussion of images on the glasses, but spirits (spectra) and illusions (praestigia) ? [what could seem more wonderful than] To see burning glasses not to burn only where the beams unite, but at a great distance to cast forth terrible fires and flames, which are most profitable in warlike expeditions, as in many other things. We read that Archimedes at Syracuse with burning glasses defeated the forces of the Romans. 11  





As is well known in 1611 Kepler published a ground-breaking tract on the theory of the telescope, Dioptrice. It contains many references to Della Porta in different parts of the book. They are detailed, thoughtful comments. Often Kepler offers critical comments about Della Porta’s claims, but the words are always respectful and appreciative of Della Porta’s work. I will return to them in a moment, but let me start by pointing out that Kepler first mentions Della Porta in the Dioptrice’s Preface, in a context that stresses the usefulness of optics in natural philosophy, magic, and “Porphyrian theology”, as well as in “shattering deceptions or illusions”. He sends the reader to Della Porta’s Magia naturalis to “see that Optics offers admirable, useful things for all facets of human life”. 12 In Dioptrice, Kepler took his time to forcefully criticize some of Della Porta’s claims. In particular he took issue with one of Della Porta’s most ambitious marvelous devices, a burning parabolical mirror “that may burn to an infinite distance”. That invention, said Della Porta,  

exceeds the inventions of all the Ancients, and of our Age also ; and I think the wit of man cannot go beyond it. This glass does not burn for ten, twenty, a hundred, or a thousand paces, or to a set distance, but at infinite distance. Nor does it kindle … where the rays meet, but the burning line proceeds from the center of the glass to any length, and it burns all it meets with in the way. 13  



Della Porta’s instructions for making the mirror are quite incomprehensible, and willingly so, since Porta thought it unworthy “to disclose [his secret] to the ignorant common people.” More generally, it was Della Porta’s belief that knowledge must be preserved for the noblest men, and hidden to unworthy people, who usually combine dull minds with poor social status :  

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 S. Dupré, Visualization in Renaissance optics …, cit. n. 1, p. 36.   Giovan Battista Della Porta, Magiae naturalis libri viginti, Frankfurt, Wechel, 1591, pp. 571-572. 12   Johannes Kepler, Dioptrice, Augsburg, David Franck, 1611 ; quoted here from Gesammelte Werke, 21 vol. to date, Munchen, C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1941, Max Caspar et al. (eds.) iv : (329-414), p. 341. 13   G. B. Della Porta, Magiae naturalis, cit., pp. 609-610. 11





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I was somewhat unwilling to suffer [this volume] appear to the public view of all men ... for there are many most excellent things fit for the worthiest nobles which, should ignorant men (who were never bred up in the sacred principles of philosophy) come to know, they [those excellent things] would grow contemptible, and be undervalued. As Plato said to Dionysius, they seem to make Philosophy ridiculous, who endeavour to sell her to prophane and illiterate men. 14  

Yet Kepler does not take issue with Della Porta’s instructions, but with Della Porta’s very claim that he can produce a “burning line”, like a thin straight line of fire, that can carry combustion all the way to an infinite distance. First, Kepler points out that combustion results from the crossing of rays, which concentrates most of them on a point, and the concentration takes place in a point, not in a line. If any ray acquires burning strength (vim comburendi), it must have acquired it as the result of many rays being collected into one. But, Kepler points out, it is impossible by a physical process to fuse many different reflected rays into one. 15 Kepler tries another explanation for Della Porta’s marvelous “burning at an infinite distance”. If at all possible, advances Kepler, that effect would result from a combination of one convex and one concave lenses. While the former would gather a great many rays almost into a point, then a lens of appropriate concavity may turn the convergent rays into quasi-parallel ones. The burning power would in this case not be located along a line – as Della Porta claimed – but at the end of a very long cone, one as long as wished. Kepler stresses, however, that such a cone will hardly produce the expected effect, given that a strong crossing of rays produces a strong burning, but a weak crossing produces a weak burning. Now, at the end of an extremely long cone, which will have a very small angle in its vertex, there would only be an extremely weak burning power. 16 Kepler’s elaborate response to Della Porta’s Chapter 17, Book 17 of the Magia naturalis suggests how thoughtfully he had read the natural magician’s work. Some further results in Kepler’s Dioptrice betray his interest in results similar to those that fill up the optical “book” of Della Porta’s Magia. Kepler solves the “problem” of kindling a fire with a biconvex lens, or with a plano-convex lens. Next he teaches how to read a letter in the dark just by the light of stars. Then he deals with the problem of sending light far away by means of a convex lens. 17 Della Porta deals with the very same problems in Chapter 10 of his optical Book 17 (Magia naturalis, p. 595-7). Needless to say, if the problems are the same, the approaches, methodologies, and styles are not. Della Porta’s are descriptive, empirical, and obscure, even cryptic at times. Kepler’s are mathematical, apodictic, and straightforward. Kepler’s Dioptrice is closer to a “scientific” treatise, in the Aristotelian sense of “science”, while Della Porta’s optics in his Magia naturalis is closer to the literature on secrets and wonders. Kepler’s Dioptrice and Della Porta’s “magical” optics have a common interest in a number of problems, which does much to explain Kepler’s interest for the unexpected, wonderful effects produced by some instruments that he introduces in the last propositions of his Dioptrice. Kepler warns the reader that he is now turning to instruments that fall under the category of “kruyis”. 18 The sense and meaning of the term, which we shall translate by “cryptical”, seem to be that the external appearance of the instruments now to be introduced belies or hides their optical properties. Kepler shows in the last pages of his work that by appropriately placing “hidden” lenses inside the telescopic tube, the telescope may have  







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15   Ivi, “Ad Lectores Praefatio”, p. [iii].  J. Kepler, Dioptrice, cit., p. 370. 17 18   Ivi, p. 397.   Ivi, pp. 369-370.   Ivi, p. 405.

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Figure 4. A camera obscura prepared por painting. From A. Kircher, Ars Magna Lucis et Umbrae (Rome, 1646), engraving between pp. 806 and 807.

unexpected optical properties. For instance, it may magnify much more than what corresponded to the visible length of the tube. I will not enter in this topic here, but it seems plausible to me that Kepler interest in “cryptical” instruments comes straight away from Della Porta’s Magia naturalis. Let me turn, finally, to Kepler’s arguably major contribution to optics, his explanation that the eye works as a camera obscura, which is also the place where his debt to Della Porta might arguably be greater. Della Porta devoted a chapter of Magia naturalis to the camera obscura, a perfectly darkened chamber in which a small hole has been practiced in the wall or window shutters (see Figure 4). When a white table or board or cloth is placed opposite the small opening, says Della Porta, you shall see “all that is done without in the sun, and those that walk in the streets, like to Antipodes, and what is right will be left, …”, and so on. 19 The camera obscura was not Della Porta’s invention, it was already popular when he published his account. However he was probably the first in suggesting that the quality of the representations upon the table or cloth was improved when a lens was fitted in the small opening. 20 Della Porta stressed the beauty and interest elicited by the vision of grand scenes in chambers provided with large screens :  





Now for a conclusion I will add that nothing can be more pleasant for great men, and scholars, and ingenious persons to behold, that in a dark chamber … one may see as clearly and perspicuously, as if they were before his eyes, huntings, banquets, armies of enemies, plays, and all things else that one desires. 21  

Then, without further explanation and as in passing he brings in the question of how vision is made :  

Hence it may appear to philosophers and opticians how vision is made ; … The likeness (idolum) [of whatever is outside the eye] is let in by the pupil, as by the opening on the window, and that portion of a sphere that is set in the middle of the eye [the crystalline humour or lens of the eye] stands  

19

  G. B. Della Porta, Magiae naturalis, cit., p. 587-588. 21   Ivi, p. 588.   Ivi, p. 589.

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antoni malet instead of the table. I know ingenious people will be much delighted in this. 22  

In Kepler’s theory of the eye, the retina – not the crystalline humour – plays the role of screen where the outside world is projected symmetrically inverted. This is clearly suggested in the well-known figure Descartes included in his La dioptrique (1637) to explain Kepler’s theory of the eye (Figure 5). In Figure 5, visible objects V, X, Y are symmetrically “painted” upon the retina on points R, S, T respectively. Notice the circle Y goes to point T, triangle V to R, etc. The image suggests also the role played by refraction as the pencils of rays coming from V, X, Y, and entering through the pupil (FF), go through the crystalline humor (L). The figure also illustrates a 17th-century experiment that became popular along with Kepler’s theory. Notice that the muscles and bodily membranes on the back of the eye have been removed to leave in place just the retina. Bull’s eyes, for their large size, were usually prepared in this way to be placed on an opening, like (ZZ) in Figure 5, communicating a darkened room with illuminated outside objects. In this arrangement the quasi transparent retina allows obFigure 5. The eye as a camera obscura as represented in serving the pictures projected upon the retina itself. The experiment Descartes’ La Dioptrique (Leyden, 1637), p. 61. confirms Kepler’s theory, but was designed and performed only after the theory became widely known. Kepler was convinced of the existence and role of “pictures” upon the retina thanks to his geometrical study of light refraction and of projections through small openings. 23 If we reread Della Porta’s words quoted above, about how the camera obscura shows a way for the images to get into the eye, apparently he had almost anticipated Kepler’s theory. But for the fact that in Kepler the retina (and not the crystalline humour) plays the  

22

  Ivi, p. 590.   Kepler’s theory of the eye is set forth in chapter 5 of his great optical treatise, Johannes Kepler, Ad Vitellionem paralipomena, quibus astronomiae pars optica traditur, Frankfurt, Claude Marne, 1604. For analysis of its main arguments, see Antoni Malet, Keplerian Illusions. Geometrical Pictures versus Optical Images in Kepler’s Visual Theory, « Studies in History and Philosophy of Science », 21 (1990), pp. 1-40. 23





della porta, kepler, and the changing notion of optical image c. 1600 role of screen, Della Porta’s words seem to convey the same theory – which is not true. I will explain now the deep changes Kepler introduced in Della Porta’s insight to turn it into a cogent piece of knowledge. First, Kepler applied himself to understand the basics of images in the camera obscura. When O represents a pointwise opening (a pinhole, in technical words) in a window, geometrical shapes in both sides of it get symmetrically inverted (see Figu­r e 6). Then he applied he same idea to more complex images (Figure 7). To reach this conclusion (which now seems quite obvious, but took centuries to get formulated), Kepler did a lot of good geometrical constructions. 24 Della Porta never advanced in this direction. Next, Kepler applied geometry intensively to simulate the effects of the crystalline humor, which he took to produce optical effects very similar to those produced by a spherical vial full of water placed just before the opening of a camera obscura. Finally, Kepler realized or discovered the insufficiency of the family of notions opticians used to refer to things not in themselves but as they appear to sight when

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Figure 6. From J. Kepler, Ad Vitellionem paralipomena (Frankfurt, 1604), p. 43.

Figure 7. From J. Kepler, Ad Vitellionem paralipomena (Frankfurt, 1604), engraving between pp. 28 and 29.

24   Simon Straker, Kepler, Tycho, and the “optical part of astronomy” : the genesis of Kepler’s theory of pinhole images, « Archive for History of Exact Sciences », 24 (1981), pp. 267-293 ; Id., The eye made “other” : Dürer, Kepler, and the mechanisation of light and vision, in *Science, Technology, and Culture in Historical Perspective, edited by Louis A. Knafla, Martin S. Staum, T. H. E. Travers, Calgary, University of Calgary, 1976, pp. 7-25. For the general problem of pinhole images before Kepler, see Daniel C. Lindberg, Studies in the history of medieval optics, London, Variorum Reprints, 1983.  









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they are perceived by light that is anyway inflected. Idola, simulachra, imago, species, praestigia, apparitiones, spectra were words almost exchangeable used to refer to a likeness, usually a deformed likeness, of things. Kepler realized that there is a fundamental epistemological difference between a projected image obtained with the help of a lens, like the one in Figure 4 (a lens is assumed to be in the opening), and the likeness that we perceive with our eyes directly on a mirror or under water. He expressed the difference in words. Projections by lenses he consistently called picturae. Any idolum, simulachrum, or image that we receive in our eyes directly from mirrors or lenses, he consistently called imago. Kepler devoted a series of propositions in his Ad Vitellionem paralipomena of 1604 to demonstrate the fundamental differences between imagines and picturae. Images are not always seen in the same place (all things remaining the same about the original object and the lens or mirror). The eyes look upon things that are very close with more difficulty that upon things distant. The sense of vision is drawn to the obvious but poorly attracted by faint images. Darkness is good for images, while stronger lights may make the image pass away. Armed with this considerations (which today may appear as belonging to the psicology of perception) Kepler emphasizes results like, In front of an aqueous ball [he was using always glass balls full of water instead of lenses] there is no place for the image of an object located behind the ball. … The image … adhere to the nearer surface of the ball. 25  

I should add that this observation runs against the traditional theory of the position of the image, but it is supported empirically. What Kepler is saying here is that a large family of optical problems deals with a notion of image that is too subjective, that depends too much of local transient factors – how much light falls on the mirror, lens, or ball full of water, how well or poorly illuminated a room is, whether there are bright objects around or not, and so on and so forth. Images (in reference to imago) are intrinsically transient – they are, says Kepler, ens rationis. On the other hand, picturae are real things. They materialize on paper. Even more importantly, Kepler knows that below every pictura there is a well-defined (‘objective’ would be today’s word) mathematical structure of light rays. There is a lot of difficult mathematics involved in this conclusion, which Kepler details in a series of propositions that follow his charaterization of images as ens rationis. 26 Picturae form because the light rays meet at a given distance after refraction through a lens. The location of the pictura entirely depends of the distance to the lens and its geometrical shape. I think Kepler used the word pictura deliberatedly, to signify a close connection between these particular kind of likeness and the productions of painters, who in this time were all well versed in mathematical perspective, and who pruced paintings that were the epitome of faithful representations of nature and human people. For the same reason he would call “pencils of rays” the set of rays that diverge from a point and then after refraction converge towards a single point, where they “paint” a faithful reproduction of the point emitting the rays. 27 Be that as it may, Kepler’s understanding of the role of refractions through lenses leads him to allocate an important role to the crystalline humour, which becomes the agent that ensures that the retina accurately recives the picturae of the external world. In fact Kepler criticized Della Porta’s suggestion that the crystalline humour acted as a screen because the light that falls upon it cannot but be refracted (this is the nature of light).  



25

 J. Kepler, Ad Vitellionem paralipomena, cit., p. 178.   I have studied in detail these propositions in A. Malet, Keplerian Illusions, cit. 27   Ibidem. 26

della porta, kepler, and the changing notion of optical image c. 1600 157 What happens with this refraction, what is it good for ? Perhaps more importantly, Kepler implicitly suggested (here his Neoplatonism is decisive) that once the pictura falls upon the retina, the mathematical structure of light underlying the picture played a major role in having the picture aprehended in an immediatist way by the spirits and from them to the soul. 28 I am now close to the end of my story, but before I conclude let me stress two features that connect Della Porta’s and Kepler’s descriptions of the working of the eye, and which Della Porta amazingly failed to recognize. One is (I mentioned this before) that Della Porta himself did stress that a lens fitted into the opening of a camera obscura much improved the quality of the images projected 29 – yet he failed to see that the crystalline humour was doing this service. Secondly, I would like to bring to your attention a passage in Magia naturalis in which Della Porta is tantalizingly close to the notion of picturae. In fact it might be the case that Kepler got inspiration from Della Porta’s these very words. For somebody ignorant of the art of painting (picturae ignarius) to be able to paint anything, or the portrait of a man, says Porta, he should draw upon the projection of a camera obscura on a white sheet. By using this projection as a pattern, he would only need to know how to colour it to get a neat picture :  







there about the opening let there be images (imagines) or men, of which you want to reproduce the images (imagines). […] Put a white paper against the opening, and you shall so long fit the men by the light … until the sun casts a perfect image (imago) upon the table. One that is skilled in painting should lay on colors where they are on the table, and shall describe the manner of the countenance, so the image being removed, the pictura (impressio) will remain on the table. 30  

It is obvious that Della Porta has recognized that images projected on paper may have a content of truth that is missing in other images, idola, simulachra or spectra. However, he failed to understand the nature of projected images in mathematical terms. Moreover he did not recognize how crucial the special nature of projected images was for their role as intermediaries in the act of vision. I would like to stress that Della Porta categorized the truth content in projected images in pictorial terms too, as Kepler did, by making explicit reference to projected images in terms of picturae. In more recent times, say from the 19th century up to know, one would characterize Kepler’s picturae with reference to objectivity, picturae being able to provide a highly objective depiction of the world. Yet, since this epistemological category was not available to 16th-century authors, they used instead references to the pictorial trade. To conclude. It has long been recognized how fruitful it was the late Paolo Rossi’s insight that a deep and meaningful connexion linked natural magic to the Baconian experimentalist program for the reform of natural philosophy – the reform that ushered in the early modern culture of experimental science. Della Porta’s Magia naturalis provides generally speaking a perfect example of that connexion. By looking closely at Kepler as reader of Della Porta I think the relevance of Della Porta’s contribution to optics appears under a new light. Magia naturalis was full of new ideas and new perspectives on old problems. Above all it predicated knowledge of optics based on new methods of investigation. It predicated utility and hands-on, manipulative knowledge of nature. The ways in which Kepler took up matters where Porta had left them shows the strict limitations of Porta’s contributions, but also more importantly the strenghts of his thought and the richness of his legacy. 28

  Ivi ; A. Malet, Kepler and the telescope, « Annals of Science », 60 (2003), pp. 107-136. 30   G. B. Della Porta, Magiae naturalis, cit., p. 588.   Ivi, pp. 588-589.

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DELLA PORTA E LE GEMME : DA MERAVIGLIE NATURALI A MATERIA ADULTERABILE E MIGLIORABILE  

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ra le personalità che, durante la seconda metà del Cinquecento, più hanno influito su un vasto e colto pubblico europeo sotto l’aspetto tecno-scientifico vi è Giovan Battista Della Porta. Egli godette di una vastissima popolarità in vita che si tramutò, però, in sostanziale indifferenza dopo la morte, quando risultò che il suo metodo di studio della natura, qualitativo, anche se egli proclamava che era confermato da verifiche sperimentali, era stato superato dall’incalzante “rivoluzione scientifica”, basata su esperimenti interpretati per via matematica. Dopo il Settecento, quindi, a “rivoluzione scientifica” ormai consolidata, Della Porta fu visto o come l’ultimo dei maghi medievali oppure come il massimo tra gli “scrittori di secreti” : coloro, cioè, che, con una scarsa percezione della complessità naturale e con metodi empirici rudimentali, fecero da tramite tra la concezione medievale di una natura di creazione divina che per essere interpellata richiede una qualche forma di “magia” e la Scienza moderna, in cui essa è intesa come un corpo unitario, vario e complesso, regolato da leggi difficili da decifrare, ma intuibili e verificabili. Della Porta scrisse prevalentemente in latino, a differenza alla maggior parte degli “scrittori di secreti”, perché scelse di rivolgersi a una classe superiore, colta, anche se imperfettamente preparata alla scienza, ma non disdegnò di tradurre in italiano alcuni suoi scritti. In questo intervento, intendo rivedere alcuni contributi da lui apportati allo sviluppo della Scienza : i suoi successi e insuccessi, le sue innovazioni e ingenuità. Analizzerò solo ciò che fa riferimento alla Gemmologia. Lo studio delle gemme, nel Cinquecento, s’identificava con quella parte della ben più vasta Scienza dei corpi solidi che li valuta in quanto oggetti da ostentare perché belli, mentre un’altra parte della stessa Scienza, la Minerurgia, ne studia le potenzialità applicative, cioè come estrarne i metalli. Questi due approcci erano talmente diversi che solo raramente li troviamo unificati in un solo uomo. Tra questi rari uomini ci fu Della Porta. Fece esperienze sia nel settore gemmologico sia in quello minerurgico, operando secondo la stessa procedura semplice e lineare : ricavava informazioni dalla letteratura antica e medievale (i “secreti”), faceva esperimenti a verifica delle nozioni così apprese e trascriveva nei suoi libri solo i risultati positivi, in modo che se ne potesse giovare il maggior numero di membri di una comunità più o meno colta che allora era in continua crescita. In questo suo procedere egli spesso esitò sul da farsi e talvolta sbagliò introducendo grossolani errori ; contribuì, comunque, allo sviluppo embrionale della Scienza. 1 Io lo considero così come lo interpretò William Eamon, che definisce il suo operato « il manifesto di una nuova metodologia scientifica : quella della scienza come venatio » (caccia), il cui programma è di ricercare i ‘segreti’ nei  















1   La Mineralogia come parte della « scienza », ossia di uno dei quattro « universi semantici » identificati dagli epistemologi, è un argomento talmente specialistico da essere appena sfiorato da Laura Balbiani, La ricezione della Magia naturalis di Giovan Battista della Porta. Cultura e scienza dall’Italia all’Europa, « Bruniana & Campanelliana », 5 (1999), pp. 289 e 295-296. L’autrice non menziona neppure i termini “gemma” e “gemmologia”.  











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libri degli antichi e sottoporli a esperimenti verificatori « registrando solo quelli che si rivelavano autentici ». 2 Le motivazioni del mio giudizio sono ricavate non dall’edizione giovanile dell’opera, da lui pubblicata a ventitré anni (1558), ma dalla versione rielaborata a oltre cinquant’anni (1589), nella sua piena maturità. 3 La prima edizione 4 ha un pregio : ci informa sulla cultura naturalistica che, prima del concilio tridentino, era impartita a un volonteroso giovane studioso. È, infatti, una raccolta di fatti e notizie eseguita da un ragazzo ben guidato dai suoi precettori. La seconda edizione 5 è la testimonianza del progresso culturale raggiunto dal suo autore, sia come mole di informazioni spicciole sia come rielaborazione tramite autonoma maturazione, che ha generato in lui idee innovative. È questa la stesura che riflette la personalità scientifica di Della Porta ed è in questa che le gemme hanno ampio spazio (l’intero libro vi : dieci pagine in folio, da p. 117 a p. 127), mentre nella prima stesura sono secondarie, anche se sono citati più nomi. Solo la seconda versione contiene un nucleo di informazioni tecno-scientifiche sulla contraffazione delle gemme (probabilmente l’unico reso pubblico durante tutto il Rinascimento) che posso vagliare compiutamente. Prenderò, però, in considerazione anche la traduzione italiana pubblicata nel 1611 da lui stesso, con per prestanome Giovanni De Rosa, 6 e quella postuma 7 stampata da Antonio Bulifon nel 1677, per un motivo che Bulifon mette in bene in chiaro : la traduzione del 1611 è più completa della stesura latina del 1589, poiché include aggiunte e modifiche testuali d’autore.  





















Il contenuto del libro vi della Magia Il titolo del libro vi recita « Gemmas adulterare nititur », che le due edizioni italiane secentesche traducono con « Insegna à far le gioie false ». Più esattamente, andrebbe tradotto con « Si sforza di falsificare le gemme ». Nel proemio, Della Porta afferma che, dopo aver descritto come si falsifichino i metalli nel libro v, farà ora lo stesso con le gemme, sia perché le metodologie da seguire sono sostanzialmente le medesime sia perché così avevano già fatto con successo gli antichi. Egli porta a testimone Plinio, secondo il quale non c’è altro tipo di frode al mondo che faccia arricchire più rapidamente. 8 Di suo aggiunge che può così avvenire che proprio coloro  













2   William Eamon, La Scienza e i Segreti della Natura. “I libri di segreti nella cultura medievale e moderna. Genova, ecig, 1994, pp. 299-300. 3   Per un’informazione completa delle diverse edizioni, si consulti la « ricchissima raccolta di dati, strutturata secondo rigorose procedure di archiviazione ». Cfr. Marco Santoro, Presentazione, in Antonella Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, Pisa-Roma, Serra, 2013 (« Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento meridionale », Studi, xii), p. 8. 4   Magiae naturalis, sive de miraculis rerum naturalium libri iiii. Io. Baptista Porta neapolitano auctore. Neapoli apud Matthiam Cancer m.d.lviii. L’esemplare di cui ho fatto uso è quello della Biblioteca Apostolica Vaticana (VAT. APO. Racc. Gen. Scienze iii 225) indicato da A. Orlandi, Le edizioni … cit., p. 33 come esemplare di riferimento. 5   Io. Bapt. Portae neapolitani magiae naturalis libri xx. Ab ipso authore expurgati, in quibus scientiarum naturalium diuitiae, et delitiae demonstrantur. Neapoli, Apud Horatium Saluianum. D. D. lxxxviiii (sic !). Mi sono avvalso del volume della Biblioteca Nazionale di Roma (RM, NAZ 55. 9. G. 11. 2) indicato come esemplare di riferimento da A. Orlandi, Le edizioni …, cit., p. 47. 6   Della magia naturale del sig. Gio. Battista Della Porta linceo napolitano libri xx. Tradotti di latino in volgare, con l’aggiunta d’infiniti altri secreti, e con la dichiarazione di molti, che prima non s’intendeuano. In Napoli, Appresso Gio. Iacomo Carlino, e Costantino Vitale. 1611. Mia edizione di riferimento è la copia della Biblioteca Nazionale di Roma (RM, NAZ 12. 2 M. 19) indicata da A. Orlandi, Le edizioni …, cit., p. 88. 7   Della Magia naturale del signor Gio : Battista Della Porta napolitano libri xx. Tradotti da Latino in volgare, e dall’istesso Autore accresciuti, sotto nome di Gio : De Rosa V.I.P. con l’aggiunta d’infiniti altri secreti, e con la dichiaratione di molti, che prima non s’intendevano. In Napoli, Appresso Antonio Bulifon. ci di dclxxii (sic !). Edizione di riferimento ne è la copia della Biblioteca Nazionale di Roma (RM, NAZ 6. 33 L. 27) indicata da A. Orlandi, Le edizioni …, cit., p. 112. 8   La citazione pliniana è : « neque enim est ulla fraus vitae lucrosior » (Naturalis Historia, 37.197). Plinio prosegue  





















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che dovrebbero insegnare a comportarsi bene diventino i migliori maestri di malaffare. Ciò non lo trattiene, però, dal continuare a descrivere le diverse tecniche di contraffazione correndo il rischio di diventare egli stesso un cattivo maestro ! Il proemio elenca i metodi che saranno descritti : doppiette, tinture, alterazioni ; continua accennando agli smalti, la cui preparazione avrebbe affinità tecniche ed esecutive in comune con le gemme false, per finire con le « bracteolae » (fogliette), ossia con le sottili lamelle metalliche poste nel castone dietro le gemme che, riflettendo la luce che passa attraverso esse, ne aumentano la brillantezza. Un cultore moderno di Mineralogia, leggendo il proemio, si accorge subito di alcune peculiarità rispetto alla Gemmologia del Cinquecento, 9 sia tecnico-scientifiche sia epistemologiche. Anzitutto, il voler spiegare minutamente come si facciano le contraffazioni rivela che all’epoca le gemme avevano un elevato valore sociale e, conseguentemente, un altrettanto elevato valore venale, tali da motivare ampiamente lo sforzo di falsificarle e di correre i rischi conseguenti alla scoperta della frode. In secondo luogo, Della Porta sembra voler evidenziare, col suo deprecarlo, che un falso ben fatto gratifica chi lo porta tanto quanto si sente gratificato chi porta una gemma autentica. Per chiarire quanto seguirà, quindi, è opportuno anticipare qui alcuni principi che sono a cardine della moderna Gemmologia, sia scientifica sia commerciale. Una gemma non è altro se non un frammento di minerale da ostentare, poiché è raro e bello per forma, dimensioni, aspetto e colore, tutti questi essendo caratteri esteriori che è lecito manipolare per renderli più evidenti. In questa definizione, non appare subito manifesto che nel termine “minerale” è implicito un carattere fondamentale ed esclusivo : l’origine naturale. Una gemma vera deve essere un prodotto di natura, eccezionale, che l’uomo può sì modificare allo scopo di accrescerne la bellezza, ma senza snaturarne la dote intrinseca e basilare : la naturalità. Ogni materiale che assomigli a una gemma senza averne qualcuno dei caratteri propri è detto, perciò, un “simulante”. Ora se ne distinguono di tre tipi : imitazioni, sintesi e falsi. 10 È “imitazione” una pietra naturale che, pur se non ne ha le stesse proprietà fisiche e chimiche, assomiglia talmente negli aspetti esteriori a una gemma da poterle essere facilmente sostituita e passare per tale all’occhio di un incompetente. Una “sintesi” è un prodotto artificiale e ha tutte le caratteristiche chimiche e fisiche della gemma che vuole sostituire fuorché una : l’origine naturale ; inoltre può essere replicata e manca, quindi, anche del requisito dell’eccezionalità. Infine, è un “falso” un materiale generalmente artificiale che, a un occhio distratto, ricalca le caratteristiche esteriori di una gemma, ma non ne ha né la composizione né la proprietà fisiche, perché è ottenuto tramite un procedimento che, in genere, è di basso costo. Il falso più comune è di vetro ed è proprio questo materiale quello che Della Porta ci propone per primo, perché è il più facile da realizzare. I Cap. i e ii illustrano come preparare i componenti del vetro : prima reagenti come soda e tartaro, che richiedono un processo elaborato, poi la silice, che ne rappresenta l’ingrediente principale e di supporto. La soda si prepara sciogliendo in acqua le ceneri  

























dichiarando che esistono autorevoli trattati che insegnano a dare la tinta al cristallo di rocca facendolo apparire smeraldo, ecc. Egli afferma, però, che non li indicherà affatto (« quos non equidem demonstrabo »). 9   Annibale Mottana, Italian gemology during the Renaissance : A step toward modern mineralogy, in *The origins of geology in Italy, a cura di Gian Battista Vai, W. Glen E. Caldwell, « Geological Society of America Special Paper », 411 (2006), pp. 1-21. 10   Michael O’Donoghue, Synthetic, imitation, and treated gemstones, London, Taylor & Francis, 1997.  









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dell’erba « kali » e il tartaro si ricava dalla gromma ; 12 quanto alla silice, suggerisce di scegliere ciottoli omogenei o di « crystallus » (quarzo, detto ‘cristallo di rocca’ quando incolore e bianco) o di « silex » (selce) e di macinarli a lungo. Tutti i reagenti devono, infatti, essere pestati fino a ottenere un « tenuissimum pulvisculum » ossia « polveri così sottili, che quasi non han tatto », perché solo allora la loro reazione sarà completa e si otterranno pasticche omogenee (« pastilli ») che, cotte, daranno globuli di un vetro altrettanto omogeneo. Il Cap. iii descrive come costruire la fornace, che non è altro se non un forno per ceramisti di ridotte dimensioni con aperture a diversi livelli, insistendo su una pulizia accuratissima affinché il vetro risulti limpido e privo di bolle o punti opachi. Il vetro omogeneo così ottenuto è incolore e dovrà essere colorato. Il Cap. iv insegna a preparare i pigmenti per tingere il globulo di vetro di un colore che lo farà assomigliare a una particolare gemma. Il primo è il giallo, nella sfumatura che egli chiama « croceum » (croco), 13 ottenuto sciogliendo nell’aceto limatura di ferro o chiodi arrugginiti arroventati. Segue la « zaphara » o záffera : un colorante azzurro cupo che era usato per decorare maioliche 14 e che le analisi moderne indicano trattarsi di blu di cobalto. Infine descrive come calcinare il rame (« aes ») : il colorante sarà pronto all’uso quando la sua crosta sarà nera. Nel Cap. v Della Porta può finalmente passare a tingere il vetro incolore, portato in un vano della fornace molto vicino alle condizioni di fusione, per ottenerne le gemme. Lo fa secondo una sequenza che è funzione non del pigmento usato, ma del modo in cui vetro e pigmenti sono fatti reagire tra loro. Si comincia sempre con lo zaffiro (« sapphirus »), la cui omogeneizzazione richiede il tempo più lungo, e lo si fa aggiungendo zaffera al crogiolo pieno di vetro, nell’ammontare di due dramme per libbra. 15 Intanto si può preparare l’acquamarina (« aqua marina »), che per lui è una specie di zaffiro, prodotta aggiungendo al vetro già contenente zaffera un po’ di polvere di rame calcinato, in una quantità che può essere varia, perché di questa gemma, secondo lui, ce n’è tanto di scura quanto di chiara. Per ottenere il colore dell’ametista (« amethystinus ») si mescola al vetro chiaro un po’ di manganese (« manganesi ») : 16 una dramma per ogni libbra. Il colore giallo del topazio (« topacij color ») si ottiene mescolando a una libbra di vetro un quarto d’oncia di croco, con un tantino di minio 17 affinché luccichi di più. Dal vetro fuso già di color topazio si produce il crisolito (« chrysolithus »), aggiungendo quel tanto di polvere di rame che serve  

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11   Si tratta della Salsola kali L., una pianta erbacea il cui habitat sono le coste marine o le dune salate mediterranee. Il nome italiano è salsola erba cali oppure, localmente, ríscolo. Le ceneri contengono un’elevata percentuale di carbonato di sodio, che ha funzione di fondente. 12   Tartrato acido di potassio, detto anche cremortartaro, che forma un’incrostazione sul fondo e sulle pareti delle botti (gromma). Deve essere depurato e seccato : asciutto è una polvere bianca, ma è deliquescente e assorbendo l’acqua assume l’aspetto di un olio giallo pallido. Ha funzione di fluidificante e, perciò, omogeneizza la massa in fusione. 13   È il giallo-aranciato tipico dello zafferano, Crocus sativus L., fiore comune nelle alture mediterranee. La traduzione di questo termine, chiarissimo in latino, è un esempio della difficoltà di intendere il testo napoletano del 1611 in cui è tradotto “gruoco”. Bulifon lo fa diventare “cruoco”. Sono termini entrambi introvabili in un vocabolario italiano moderno. 14   Era un residuo scoriaceo derivante dalla fusione del minerale di piombo per estrarne l’argento. Il pigmento era ottenuto arrostendo la scoria mescolata con sabbia silicea fino a calcinazione e poi polverizzando la massa. 15   La dramma (« dragma ») a Napoli era un’unità di peso per farmacisti (un decimo di un’oncia, che a sua volta era un dodicesimo di una libbra da 320,76 grammi). Il rapporto in peso tra zaffera e silice era, quindi, 5,346 : 320,76 (ossia 1,66%). 16   Il « manganese » era un “mezzo minerale” (ossido o idrossido di manganese) di colore ferrigno scuro proveniente dalla Germania, che era trovato anche in Toscana e nel Viterbese. Non fondeva, ma, mescolato con materiale vetrificabile, dava un bellissimo colore paonazzo. 17   Ossido di piombo, di colore rosso, che si forma naturalmente come crosta d’alterazione della galena oppure si ottiene artificialmente arrostendo la “cerussa” preparata secondo una reazione già nota ai Romani.  











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affinché il giallo acquisti una sfumatura verde. Per ultimo, si simula lo smeraldo (« smaragdus »), che si ottiene dal vetro preparato per l’acquamarina aggiungendo un po’ alla volta polvere di croco, in quantità sempre minori, ma ogni volta stagionando al fuoco per sei ore la massa vetrosa, in modo che possa omogenizzarsi, poiché le diverse aggiunte di colorante potrebbero crearvi ombre e nuvole. Infine - così recita la traduzione 1611 – « si cavino i catini della fornace, e rottoli, ne caverai le gioie falsificate ». Della Porta è pienamente consapevole che le gemme di vetro ottenute in questo modo – siano pure limpide, trasparenti, omogenee e di colore perfetto – sono pur sempre dei falsi e senza esitazione asserisce che la procedura che ha descritto rivela il “segreto” del modo con cui tutti, pur negandolo, fanno le gemme. Di fatto, non esiste nessun testo coevo che affronti l’argomento in modo altrettanto minuzioso. Aggiunge poi che vuole rivelare anche un modo che aveva deciso di tenere per sé e segreto, perché con esso si fanno con poca spesa e poca fatica gemme che non sono da meno di quelle fatte nel modo prima descritto : gemme, anzi, che sono più splendenti, più allegre e più durevoli senza offuscarsi col passare del tempo ; sono addirittura migliori di quelle antiche che si trovano a Pozzuoli tra i ruderi o nella sabbia del mare. Così, a metà del Cap. vi, Della Porta modifica bruscamente il suo registro stilistico, finora tecnico e un po’ monotono come un ricettario, e dichiara, con l’enfasi tipica di un alchimista che vuole e sta per rivelare il suo segreto a pochi eletti : « Arrige igitur aures, ac fido habe pectore ». 18 Fino a questo punto, la traduzione 1611 corrispondeva all’originale latino, ma da qui in poi se ne discosta vistosamente, cercando di interpretare in modo scientifico alcune affermazioni che, nell’originale, appaiono del tutto prive di senso. Il testo 1589, infatti, qui recita : « Crista galli capiatur, & intercisa galea, caput, & collum servato, confectam, sicut indicauimus 19 […] » ; la traduzione, invece, è « Piglisi del cristallo di rocca […] & harai la materia del cristallo ». Nessuna relazione tra i due scritti. Quello latino descrive la decapitazione di un gallo e continua divagando fino a un « Philosophorum lapidem inde habeas, igne flagrantissimum, & triplicitate superantem ». 20 Siamo in presenza di un’appariscente ricaduta nell’alchimia di più basso livello, tanto più che Della Porta aggiunge : “Chi ignora che cosa sia la pietra [filosofale], lo impari dai versi che trovammo in un antichissimo manoscritto” e li riporta. Poi conclude, con un vezzo retorico di sapore quasi classico : « Iam materiei consuluimus, nunc colori consulendum ; docebimusq[ue] ». 21 La traduzione omette tutto il brano e passa direttamente a descrivere come produrre il topazio, il crisolito, lo smeraldo e il giacinto. 22 È qui che riprende l’originale, ma rimane in totale discordanza di contenuto : la traduzione suggerisce, infatti, aggiunte di minio, di verderame e di « pietra hematite », laddove il testo latino indica di alimentare il gallo con diversi tipi di cibo per ottenere gemme diverse ! A conferma della profonda revisione attuata sta l’inserimento, nella traduzione 1611, di un Cap. 7 23 in cui, brevemente, si descrive « Altro modo di tingere le Pietre », meno costoso negli ingredienti (pietra focaia al posto di cristallo di rocca). Seguono due ricette ; per tingere il vetro color smeraldo si usino il minio e il verderame, per quello color giacinto si usi il minio con l’or 





































































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 « Apri dunque le orecchie, e abbi [ciò che dico] in un petto fedele ».  « Si prenda una cresta di gallo, e tagliatane la gola, si conservi testa e collo, preparata come indicammo […] ». 20  « Da ciò potresti avere la pietra filosofale, splendidissima per fuoco e superiore per triplicità ». 21   Finora ci siamo dati pensiero della materia, ora bisogna darsi cura del colore e lo insegneremo. Così traduco io, ma la traduzione del 1611 sintetizza la frase così : « Hor insegnaremo i colori ». 22   Termine inizialmente usato per indicare lo zircone rosso piuttosto chiaro, imitazione del rubino, e poi anche per lo zircone azzurro, imitazione dello zaffiro. 23   L’inserimento anomalo si rende evidente anche perché il numero del capitolo intercalare è in cifra araba e non romana. 19



















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pimento. E infine questo Cap. 7 intercalare termina con la frase : « I restanti colori potrai da te comporre secondo il modo sovra narrato ». Il Cap. vii della versione latina 1589 riprende come se lo stravagante Cap. vi non esistesse neppure e tratta le varie procedure con cui si può colorare il quarzo e altri minerali, non più polverizzandoli, ma in quanto tali, ossia come cristalli al loro stato naturale. Detto in termini moderni : si passa dal fare un falso in vetro all’abbellimento di un cristallo naturale, 25 usando un trattamento termico che inneschi un processo di diffusione di pigmenti vari a partire dalla superficie. Per colorare il quarzo « sine illius confractione, vel trituratione » 26 in modo che simuli giacinto o rubino, si devono prendere tutte insieme polveri di « stibium » (antimonio), « auripigmentus » (orpimento), « arsenicus » (arsenico), « sulphur » (zolfo) e « tutia » (tuzia 27) nelle proporzioni 6 : 4 : 3 : 3 : 2. Si mescolano accuratamente e si espone il miscuglio ottenuto al fuoco sul fondo di un ampio crogiolo assieme a cristalli di quarzo che siano ben coperti da questa mistura oppure pendano dal coperchio del crogiolo agganciati a un filo di ferro. Il riscaldamento deve avvenire a poco a poco e dovrà essere mantenuto costante al suo massimo per due ore, ma senza insufflare aria, perché la mistura non deve liquefarsi, ma solo sublimare : il risultato saranno cristalli di colore vivace e lucentissimi. Della Porta passa poi a un altro processo d’abbellimento : come scolorire uno zaffiro chiaro per renderlo simile a un diamante. Il principio che cita è che : « Haec gemma, & omnes ignis expositae suum colorem amittunt : nam ignis vis colorem evanescere facit ». 28 Il trattamento termico senza aggiunta di pigmenti estranei è una forma di abbellimento che la Gemmologia moderna non solo tollera, ma favorisce per ampliare il mercato delle gemme, mutandone il colore da smorto e anodino in vivace e più gradito. Il metodo di sbiancamento dello zaffiro celeste pallido che Della Porta propone consiste nel porre la gemma in un crogiolo di ceramica riempito di calce viva e scaldare il tutto lentamente e a lungo coprendolo di carbone, 29 per poi lasciarlo raffreddare spontaneamente e verificare se assomiglia o no a diamante. 30 Altre pietre, egli aggiunge, sono suscettibili di perdere il colore, in tempi diversi e a seconda della loro durezza : tra tutte, egli cita l’ametista. Qui egli segnala, inoltre, un altro modo allora corrente di falsificare le gemme : segare a metà la pietra preziosa scolorita, colorarla artificialmente nel mezzo e poi riunirla di nuovo con un mastice imprecisato, in modo che ne risulti una gemma unica ma di diverso colore : è l’attuale “doppietta”. Cita poi un altro tipo di gemma bicolore molto apprezzata per la sua rarità, ma che, di fatto, è il risultato di un artificio che egli non considera neppure particolarmente ingegnoso : se si vuole un’unica gemma che sia per metà rubino o zaffiro e per l’altra metà diamante, basta sottoporre l’intera pietra al trattamento di sbiancamento al fuoco, avendo però cura di coprire una delle due metà con  

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24   Solfuro di arsenico che si presenta in lamelle di un vivace colore giallo, molto velenoso, ma ben noto ai pittori e ai ceramisti medievali perché è il migliore simulante dell’oro. 25   Kurt Nassau, L’abbellimento artificiale delle gemme. Teoria e pratica, Sesto San Giovanni, Istituto gemmologico italiano, 1989, pp. 37-65 e pp. 259-284. 26   Senza romperlo né triturarlo. 27   Il termine indica un sublimato di colore giallo contenente prevalentemente zinco, molto velenoso, che si deposita nella parte superiore del forno in cui si fonde minerale di piombo (che nelle miniere alpine è spesso zincifero). 28  « Questa gemma, e tutte quelle che sono esposte al fuoco, perdono il loro colore ; infatti la forza del fuoco fa svanire il colore ». 29   Ciò equivale a proporre un riscaldamento in condizioni fortemente riducenti, di cui Della Porta non poteva – ovviamente – essere a conoscenza sotto l’aspetto teorico, ma di cui probabilmente aveva provato gli effetti. 30   L’ossido-riduzione dello zaffiro descritta da Della Porta è stata studiata da K. Nassau, L’abbellimento artificiale …, cit., p. 25 e pp. 52-54 : il ferro ferrico dello zaffiro si riduce a ferroso, mentre il titanio resta tetravalente.  







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la “creta”, ossia con uno strato ceramico isolante che le impedisca di scaldarsi e perdere il colore iniziale. Poi Della Porta torna alle gemme di vetro e divaga : con lo stagno calcinato si può sia scolorirle sia scurirle, oppure impartire loro diversi colori, come se fossero d’opale ; con il piombo se ne ottiene del colore del giacinto ; con il rame (previamente addizionato con argento sciolto nell’acido 31 e seccato) del colore dello smeraldo. E qui si ferma, sostenendo (secondo quello che, nella tradizione alchemica, è un tópos abituale dell’inventor) che, avendo egli aperta la via, 32 altri possono continuare a percorrerla. Non manca, però, di affermare che egli sa anche simulare il rubino 33 partendo da orpimento. La gemma risultante è il “carbonchio”, irraggiante un bellissimo color croco. La descrizione lascia intendere che il sublimato ottenuto scaldando l’orpimento costituisce un insieme di aghetti brillantissimi ma molto delicati, che per essere tenuti insieme devono essere immersi all’ultimo momento in un vetro trasparente liquefatto. Si ottiene così una gemma che è una vera gioia per gli occhi. 34 Ometto i Cap. viii e ix che trattano degli smalti, anche se questi erano importanti componenti dei gioielli medievali e rinascimentali. Ometto anche i Cap. x, xi e xii che trattano delle bracteolae o foliolae, le sottili laminette metalliche colorate da porre sul fondo del castone dietro le gemme. Si tratta di un’altra forma di contraffazione che fu molto diffusa nel Cinquecento e che è usata tuttora. L’ometto perché è più una pratica da gioielliere che da gemmologo. Arrivo, così, alla fine del libro vi. Qui Della Porta afferma, concisamente : « Haec sunt quae hoc tempore de gemmis experti sumus ». 35  





















Commenti e conclusioni Il successo editoriale è un sicuro indice della presa che un libro scientifico ha sullo sviluppo della cultura. Raramente un trattato di scientia “colta” viene ristampato e viceversa i libri contenenti notizie meravigliose e ricette tecnologiche utili sono copiati, rielaborati e riediti più volte. Nel 1555, ad esempio, comparve a Venezia un libro di semplici “secreti” di un Alessio Piemontese che fu poi rivendicato da Girolamo Ruscelli ;36 nel quinquennio successivo fu ristampato 17 volte, per arrivare a 70 edizioni alla fine del Cinquecento e a 104 alla fine del Seicento. Della Porta, nonostante il suo titolo accattivante di Magia naturalis, riuscì solo ad avvicinare, ma da lontano, il trionfo del libro di Alessio. La prima stesura, del 1558, ebbe 14 ristampe in latino e 15 traduzioni in italiano ; la sua rielaborazione ampliata, del 1589, ne ebbe 9 latine e solo 3 italiane. Un notevole grado di popolarità gli arrise, dunque, solo tra il pubblico “colto” europeo che leggeva il latino, mentre non  



31  « argentum valida dissolves aqua ». Non dice quale possa essere la « valida aqua » (tradotta nel 1611 con “acqua forte”). Probabilmente si trattava di acido nitrico impuro. 32  « sat eris nobis viam aperuisse, & investigasse ». 33  « carbunculos mentiri ». Queste due parole sono pregne di significati : il “carbonchio” (così nella traduzione 1611) è una gemma rossa analoga al rubino, già descritta da Plinio (N.H., 37.92-93) come traduzione del greco “anthrax” e indicata emettere luce nella notte come un carbone acceso. Il verbo « mentiri », usato da Della Porta solo in questo contesto, sta ad indicare una simulazione di tipo diverso da tutte le altre, per cui egli usa i termini « tingere » o “fingere ». 34  « quod nil oculis iucundius spectabitur ». La descrizione portiana si adatta bene a un simulante della “asteria”, che è la varietà stellata del corindone. Potrebbe, però, anche indicare quella varietà di “carbonchio” che Plinio chiama « sirtitis » (N.H., 37.94), che irraggia uno splendore come di piume. 35  « Queste son quelle cose, che habbiamo esperimentato delle gemme insino à questo tempo » (1611 p. 289). 36   De’ secreti del reuerendo donno Alessio Piemontese, prima parte, diuisa in sei libri, In Venetia : per Sigismondo Bordogna, 1555. A questo fece seguito il libro di Girolamo Ruscelli, Secreti nuoui di marauigliosa virtu’ del signor Ieronimo Ruscelli i quali continouando a quelli di donno Alessio, cognome finto del detto Ruscelli, contengono cose di rara esperienza, & di gran giouamento, In Venetia, appresso li heredi di m. Marchio Sessa, 1567.  









































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fu altrettanto in Italia, probabilmente perché il testo, anche dopo essere stato tradotto, risultava troppo “colto” per suscitare vasto interesse in una società economicamente in calo e in cui cresceva la repressione dalla Controriforma. Mancava, inoltre, nella Magia, qualsiasi riferimento ai poteri sanitari che si credeva fossero insiti nelle gemme e che ne consigliavano l’uso. I “segreti” gemmologici rivelati da Della Porta sono di tre tipi, tutti fraudolenti, anche se in misure diverse : 1. Come preparare il vetro incolore e come colorarlo ; 2. Come trattare a caldo gemme deboli di tinta e scolorirle fino a imitare il diamante ; 3. Come impregnare con patine colorate i cristalli di quarzo facendoli apparire gemme di buon colore. Quest’ultimo procedimento, benché sia molto diffuso, non è gradito all’attuale mercato gemmologico perché, se effettuato con moderni metodi avanzati, tramite diffusione interna dei centri di colore per effetto di un irraggiamento con radiazioni di alta energia, produce gemme splendide la cui adulterazione risulta molto difficile da scoprire perfino da parte del più esperto gemmologo. Il secondo è accettato, ma solo entro certi limiti, come forma di miglioramento intrinseco di una gemma naturale di poco valore che è diventa bella grazie alla termodiffusione, in condizioni sia ossidanti sia riducenti, di alcune delle componenti chimiche già presenti in essa. Il primo procedimento è antichissimo e chiaramente fraudolento, ma obsolescente in Gemmologia : al vetro conviene sostituire la sintesi, che è forse più costosa, ma è adeguata alla richiesta di un mercato privo di competenza. Il vetro è relegato alla bigiotteria, che è un mercato molto vasto, ma di scarso pregio. Della Porta, invece, scelse di privilegiare, nella sua rivelazione dei segreti, la preparazione delle gemme di vetro colorato, probabilmente sotto forma di sfere o gocce, perché non accenna mai al taglio, neppure per il diamante che era già frequente nel taglio “a rosa”. Egli esprime chiaramente il motivo del suo agire : tutti fanno così, anche chi lo nega. Questa giustificazione non fu sufficiente a contribuire alla diffusione del suo trattato, poiché i procedimenti esposti sono troppo complessi per un lettore comune. Forse il libro avrebbe avuto miglior accoglienza in Italia se si fosse dilungato sulle “fogliette”, di minor costo e di effetto più immediato sull’osservatore. Tuttavia, non migliore fu l’accoglienza che ebbe uno trattatello in proposito scritto da Benvenuto Cellini : 37 fu ristampato di rado e solo con molti tagli. All’estero, il trattato in latino fu accolto meglio e più volte riedito e tradotto. Ciò non dipese tanto dai suoi meriti intrinseci, quanto piuttosto dalla grande attenzione che, durante tutto il Cinquecento e buona parte del Seicento, suscitava ogni testo scientifico (e letterario) italiano in quanto rappresentante del Rinascimento, epoca d’oro della nostra cultura ormai avviata al declino. Con il “secolo dei lumi”, che tanta parte ebbe nella modernizzazione dello spirito scientifico europeo, Giovan Battista Della Porta sparì : egli non figura più tra i protagonisti all’origine dello sviluppo della Gemmologia scientifica ; infatti egli non è da considerarsi uno scienziato, ma un osservatore dei fenomeni naturali. Ecco perché non compare tra i precursori meticolosamente riportati in quello che è da considerarsi il repertorio di riferimento della Gemmologia mondiale. 38  









   







37   Due trattati : uno intorno alle otto principali parti dell’Oreficeria. L’altro in materia dell’Arte della Scultura ; dove si veggono infiniti segreti nel lavorare le Figure di Marmo, et nel gettarle in Bronzo : composto da M. Benvenuto Cellini scultore fiorentino, Fiorenza, per Valente Panizzij e Marco Peri, mdlxviii. 38   John Sinkankas, Gemology. An annotated Bibliography, Metuchen NJ & London, Scarecrow, 1993, vols. 2.  





GIOVEDÌ 15 OTTOBRE 2015 VILLA DELLA PORTA · VICO EQUENSE

GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA’S THE SISTER FROM THE COMMEDIA ERUDITA TO JACOBEAN CITY COMEDY Donald Beecher

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salient fact, worth noting in its own right, is that Giambattista Della Porta’s play about a brother sent to Istanbul to ransom his mother and sister from the Ottomans attracted the notice of two English playwrights of the early seventeenth century. It found a new lease on life most particularly through Thomas Middleton’s No Wit, No Help Like a Woman’s (ca. 1611), and through that play’s imitation by Aphra Behn in The Counterfeit Bridegroom ; or the Defeated Widow (1677). 1 Middleton’s play is the centre of our critical investigation because the second, a Latin translation by Samuel Brooke entitled Adelphe (1610), was an exercise for students at Cambridge – a version of the original so laundered and bowdlerized in the process that it alienates our interest. At best, it figures as a mere statistic in the annals of English theatre history, largely because, being based on La sorella, it represents one of the very few works derived directly from the Italian commedia erudita. The question of the Italian comedy in England has been thoroughly sifted critically and historically. To what degree did the London playwrights modify their practices or shape their theatre in the image of the theatrical achievements of the sixteenth-century Italians ? Answers have been inconclusive, largely because so very few plays were actually translated or appropriated in recognizable forms by the English playwrights. 2 The tally has been taken many times, and the Middleton-Della Porta connection has been prominent among them since 1908, when Joel Elias Spingarn first identified the source of Middleton’s subplot in No Wit. 3 Of this fact, three things must be said. First, of the many authors putatively available to the English writers, Della Porta was among the very few chosen, and his La sorella in particular. Ipso facto, the author and his play were known and appreciated there in some unquantifiable sense. Moreover, through adaptation his signature theatrical creation was preserved and mediated in a new language and national culture. In all this, his immortality as an artist might also have been assured among English theater-goers, had Middleton bothered to make the slightest acknowledgment. Typically of the period, however, he did not, and, as we all know, the issue of plagiarism is hardly worth pursuit, because thirty-three of Shakespeare’s narrative sources are also known, confirmed, and studied, and not one of them did The Bard acknowledge. Second, Middleton’s plot about the Twi 









1   The texts of the play used for this study are Giovan Battista Della Porta, The Sister, trans. with introduction and notes by Donald Beecher and Bruno Ferraro, Ottawa, Dovehouse, 2000, and Thomas Middleton, A Mad World, My Masters and other Plays [incl. No Wit, No Help Like a Woman’s], ed. Michael Taylor, Oxford, Oxford University Press, 1995, pp. 201-296. 2   I have particularly in mind the work of David Orr, Italian Renaissance Drama in England before 1625, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1972 ; Leo Salingar, Shakespeare and the Traditions of Comedy, Cambridge, Cambridge University Press, 1974, esp. pp. 175-242 ; and Louise George Clubb, Giambattista Della Porta Dramatist, Princeton, Princeton University Press, 1965, pp. 273-295. 3  *Critical Essays of the Seventeenth Century, ed. Joel Elias Spingarn, 2 vols., Oxford, Oxford University Press, 1908, vol. ii, p. 335.  



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light family, in all its factual details, remains pure Della Porta. Philip Twilight heads off to Belgium instead of Istanbul, as in the case of Attilio, with money enough to ransom his mother and sister. The order of the story, though compressed, is complete. Philip, too, will stop en route, this time in Antwerp, to fall in love, squander the ransom money in marrying the girl, and return home with her. There, he too will deceive his father by telling him that his undisclosed new bride is his lost sister, along with the unmitigated lie that his mother is dead. And yet, paradoxically, the story has become pure English, right down to the urban values of this prodigal son. Della Porta’s social ethos is altered beyond recognition. Third, just as one lark does not make the spring, so this nearly isolated example of an erudite comedy coming to England does not invite a symphonic inference about the Italianizing of the English stage. This appropriation of a plot will not constitute an integrated creative platform based on Italianate templates and erudite conventions. In fact, the more cogent account may suggest the opposite. Middleton clearly appreciated that Della Porta’s plot was experimental both in its movement from tragedy to comedy, and in the de facto incest between a brother and sister that brings all their romantic devotion to utter despair. He replays the entire structure, suggesting that he understood the play and chose it expressly for these novelties. Nevertheless, there was nothing like a duty to preserve the integrity of his source that prevented him from refitting Della Porta with an entirely English setting, psychological disposition, and historical milieu, thus turning the play into a piece of London City Comedy in the process. D. J. Gordon conducted a summary comparison of these two plays as long ago as 1941 in which he looked at adjustments to the circumstantial details, the London setting, the alterations to character, and the integration of the Della Porta material into a larger play design, insofar as the incest plot is now juxtaposed with an entirely separate story involving a rich widow looking for a new husband, using as marriage bait her vast inheritance consisting of forfeited estates gotten by her unscrupulous former husband. Gordon’s survey deals with the facts, from replacing the Ottomans with the Spaniards during the wars in the Low Countries down to the characterization of Philip Twilight, who, by comparison to Della Porta’s Attilio, is shallow and insensitive to a fault. 4 He is barely capable of expressing the tragic sentiments that should follow from the discovery of his wife’s true identity as his sister. Gordon’s work was attentive and need not be redone here. What remains for study are the contrasting ideas informing each play and the startlingly contrasting approaches to this common plot material. Critical appraisal is always subjective, but of the Della Porta play in its native garb, two features stand out : the genre, and the theme. They go together and they are experimental. Della Porta was thinking about a genre of play in relation to a story told to evoke a very particular dual cathartic experience in the spectator. Aristotle left us his seminal Poetics on how to write a tragedy as a play so carefully designed that it would confirm in the collective emotions of the spectators its intended tragic sense of the human condition. That is to say, spectator emotions are the polygraph test of the author’s success in telling a story that is tragic when that story successfully unites its audience in grief over the catastrophe. He prescribed a combined formula comprised of anxious concern for a potentially faulty yet sympathetic protagonist and a kind of fear in the realization that providence or fate is secretive yet willful and prepares events disastrous to human fortunes. Such emotions are a feature of the human condition and their properties are communal. A related aesthetic  



4   D. J. Gordon, Middleton’s No Wit, No Help Like a Woman’s and della Porta’s La sorella, « Review of English Studies », xvii (October, 1941), p. 411.  



giovan battista della porta ’ s the sister 171 question – one which Aristotle hinted at, and which Giraldi Cinzio brought under formal investigation – was whether such stories might also have happy endings. 5 There is no point in asking here why any author would want to do that by holding in abeyance some secret condition whereby all that seemed inevitable in bringing the protagonist(s) to grief and the audience to lamentation might be suddenly reversed. Through an arrangement of plot, it was at least possible, and Della Porta was among those toward the end of the sixteenth century determined to explore that reversal and thereby treat audiences to its melodramatic emotional effects. After all, we love stories of deliverance and escape from danger, stories that first entail a felt knowledge of the worst that might have happened. Such plays may be said to have a double structure of emotional excitement in providing a transformed environment which appeals to entirely contrasting emotions – first the rush of fear, and then the rush of happiness. Here is not the place to speculate upon how fictional stories palpably invest our emotions on an equivalent-to-reality basis, bringing us first to tears or the frozen grip of anxiety and then shock us with the chiaroscuro of an extreme hedonic antithesis. 6 Let us posit, simply, that Della Porta employed his genius toward theatrically actualizing that controversial new aesthetic program as the primary marker of his play. That structural vocabulary becomes part of its artistic capital, an aesthetic idea which might likewise have been translated by Middleton through Della Porta’s order of plotting into the values of contemporary mercantile London. But that did not happen, and that it did not tells us not only something about the ethos of London City Comedy, but creates a mirror in which to see the particularities and achievements of Della Porta’s play from a remote perspective. To place the matter in the clearest terms possible, Della Porta tells a remarkably good dramatized story, but in ways which are always close to his preoccupations as an academician. There was a two-way direction to his thinking : the careful creation of a social representation apt to arouse an emotional investment in the destinies of the foregrounded characters, their lives, relationships, errors, reactions, and escape ; and a meta-awareness of a work experimentally designed to actualize its aesthetic goals and ideas. It is as though the play is, in itself, an exemplum, an object designed for academic discussion, based on the considered aspects of playwriting in relation to traditions, conventions, and the orientation of spectator experience. That had always been a part of the erudite consciousness : that art is made in relation to its historical templates ; that dramatists are theorists ; and that plays are intertextual demonstrations of practice in relation to those theories. It all began late in the fifteenth century, as is well known, and continued throughout the sixteenth century as a dimension of the humanist mission in the crafting of plays. The effect was mannerist in its unfolding as each accomplishment answered questions that led to increasingly daring and more experimental questions. And yet, in all that innovative pursuit, there were the restrictions of an academic ethos – the play in relation to the historically grounded idea of the play. Those erudite ideas have been accused of preventing such works from reaching a full and realistic mimetic flowering, but that is hardly the point to be broached by following Della Porta into the English theatre. The point is that a pivotal academic principle is expressed in the preface to Don Francesco Blanco, who arranged for the first and « sumptuous » performance of Della Porta’s play. There, the  

















5   The question of tragicomedy and Cinzio’s tragedia di fin lieto is explored in detail by Thomas Herrick in *Tragicomedy : Its Origin and Development in Italy, France, and England, ed. Marvin Thomas Herrick, Urbana, University of Illinois Press, 1962. See, for example, Herrick’s quotation on the matter from Cinzio’s prologue to his Altile (1543), how « after trouble it is filled with gladness » (p. 67). 6  The Introduction, in G. B. Della Porta, The Sister, cit., p. 27.  





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would-be publisher makes known that the author was preoccupied by the principles of peripety and agnition that derive from a study of Sophocles’ Oedipus tyrannos – a play whose great authority is confirmed by the praise given to it by Aristotle. It is a model for tragedy and clearly a template for imitation. The author had been annoyed, moreover, that some attributed the success of The Sister only to the intrinsic interest of the story, and not to its reflection of Sophoclean structural principles embedded in his design. The sense of that lament is open to interpretation, but the dialectic between the felt responses to a representation and the intellectual intentions of the maker revealed through the made artifact are clearly at issue. The play is just as much about the affects of genre as it is about represented social experiences or truths (as though the two might be ultimately separated). Such a hint, taken at face value, directs itself most transparently toward those critical moments in the play constituting the reversals of fortune and the shocking realization of error through the recovery of lost identities. Della Porta, throughout the play, is orchestrating those moments, as all playwrights must, but at the same time he anticipates a doubling of these operations for the sake of extended experience. That is the mannerist component, with experience itself emanating from the controlled variations upon classical concepts of plotting rather than from the fantasies of situation derived from the quirks of human nature that drive creations through observation and invention. It is an old debate. But Della Porta, like the quasi-phenomenologist he could sometimes be as a scientific thinker, had questions about the margins and formal liminalities of art and approached his mimetic representations simultaneously as problem-solving instruments in the ordering of art. What can a play achieve as the idea of itself, wherein the hero is brought to near suicide over the management of his erotic love toward a girl now declared his sister, followed by the counter-discovery that she is the girl next door and always has been ? And yet in those stated formal operations of discovery and reversal we find the critical tests of human nature that also mark this play, stylized and emotionally charged. For ultimately, peripeteia and anagnorisis are formal terms for environmental changes calibrated to elicit responses deep in the virtual midbrains of the characters and the very real midbrains of the spectators. These are tricks, and yet not tricks, particularly if spectators repay the maker’s choices through the authenticity of their so-called cathartic responses. In this, authors play upon audiences, making communities out of their subliminal response systems in confirmation of their playwriting choices within entirely imaginary worlds. In that regard, The Sister is a scientific experiment. Della Porta’s study is in the transfer of universally perceived crises in the social environment. In relation to liked characters, that study measures the empathy of spectators, both in the theatre, and in the academy. This he achieves through a play design that aligns catastrophe with incest, which was very clearly a second academic talking point about the play. Incest had already been at the centre of academic discussion about the nature of tragedy following the presentation of Sperone Speroni’s Canace a half century earlier. The signature plot idea was Della Porta’s, yet not entirely without precedence, given this seminal work about the very real union between a brother and sister that leads to a very bad if not fully tragic end. 7 Della Porta  



7   This play by Sperone Speroni, written in 1542, became one of the most discussed works of the Italian Renaissance theatre. Speroni thought to make this Ovidian story into a bona fide tragedy through what he could make us feel for these true lovers, albeit brother and sister, brought together as a form of divine vengeance against their father. The academic pamphlet war went on for fifty years over the nature of tragic protagonists and whether Canace and Macareus could be included. The sticking point was their incestuous relationship, and whether such a putative horror to man and nature could ever provide the conditions for pity. For a full discussion, see the introduction by Elio Brancaforte to his edition of Sperone Speroni, Canace, Toronto, crrs, 2013. The question is also

giovan battista della porta ’ s the sister 173 wanted to give it another try, building up cathartic experience out of an incestuous mistake concerning which the lovers had no knowledge, but which nevertheless challenged spectators to come to terms with the meaning of this putative violation of nature – a violation calling for some form of retribution. It was a powerful and daring theme evoked through the programming of the play’s moments of reversal. This too was in the foreground of Della Porta’s idea of the play. All this is important to our understanding of La sorella, but equally important to our understanding of its destiny in England. Middleton replays the events of the play and generates social experience which calls for a kind of emotional attention. But the play’s overall effect would tell us that Della Porta’s aesthetic and structural (academic and experimental) ideas were far from his mind, and for reasons that reflect upon the strained relationship between English theatre and the humanist ideals. Della Porta, in his opening humanist reflections, provides hints about what that emotional attention should be like ; Middleton does not. Measuring that transformation is what we turn to next. The question then becomes, why adopt a plot for the English theatre that was designed to such erudite and academic ends ? Does such a question not suggest in a nutshell exactly why the erudite theatre had so little a hold upon the English imagination and so little traction with the translators ? And yet, Middleton recognized a story, innovative, daring, and speculative in its own right, brimming with news about incest and the fun of surprise escapes—enough for a bit of appropriation, but hardly enough to keep him true to its intellectual predilections. Middleton could make that plot as mundane, inconsequential, and quintessentially English in its manners and mores as he wished – and he did. For the sake of readers unfamiliar with the play (with apologies for summarizing a plot), here is the outline of that double catharsis in the Della Porta original. Attilio and his witty servant Trinca get as far as Venice. There Attilio falls in love, with all the Petrarchan trimmings. The girl holds out for marriage or nothing. She agrees to play Attilio’s sister, upon their return home, to satisfy his father that he had done what he could to restore their family. Now Pardo is her father, and he becomes uncomfortable with the cuddly relationship of his two children. So he decides to marry her off to a fanfaron soldier. Trinca comes to the rescue once again by proposing cross marriages among four friends acceptable to the father. It was a complex trick to deceive the old one : the couples spent their time with crossed partners by day, while reverting to their rightful spouses at night. Great comic theatre. But matters begin to close in when a merchant arrives with knowledge of the girl and the mother, and again Trinca buys time by pretending to speak in Turkish. But when Attilio’s mother appears in person, the trickster game is up, Trinca’s day is over, the girl’s identity is revealed by the one person who most assuredly knows, and Attilio is confronted by the suicidal grief of a frustrated love. The course of romance is halted, not by an obstructive parent, or physical separation, or indecision, or a rival, or enforced marriage, or abduction, but by incest – very real and incontrovertible incest with all of its thematic baggage and trauma. The tragic shock we are asked to feel is not the death of a grand leader and hero, but the end of love and desire. We may debate at length whether such an arrangement constitutes the full weight of the tragic, whether the innocence of their intentions morally pardons the fact, or whether the family is in its rights to treat this matter as a bad mistake that can be brushed away by forgetting and moving on. The tragedy resides rather in the fact that the bonds of love felt by the principals are stronger than  







discussed at length by Donald Beecher and Bruno Ferraro in their translation of Giovan Battista Della Porta, The Sister, Ottawa, Dovehouse, 1999. Quotations from the play are taken from this edition.

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the fear of the taboo, and that without his Cleria, Attilio will impose nothing less than exile or death upon himself. Only after the moment has been wrung for all its affective potential does Della Porta pull out the changeling plot, long held in abeyance, whereby we are to understand that the two girls in the lovers’ foursome had been exchanged as nursling infants, thus making the incestuous sister the neighbour’s daughter, and Attilio’s real sister the beloved of his best friend, Erotico. If you grasp little of this, it hardly matters. What counts is that our romance based sympathies are realized through this double reversal. The incest we were brought to believe in is an illusion. There is deliverance. The romance formula re-emerges, built up around the trials of true but tortured lovers, both Attilio and Erotico, carrying, as it has all along, the fuse so alien to, yet so close to tragedy. That empathic drive is our emotional investment in the union and marriage of lovers : the establishment of potential fertility for future generations ; and the reward of mutuality and devotion that accompanies erotic desire. It is not merely a reversal of fortune ; it is a juxtaposing of generic orders, of contrasting myths – the tragic sense of life and the mythos of spring, Thanatos and Eros. That was Della Porta’s novel idea : tragi-comedy through a bonding of lovers who, by hidden good fortune, escape the tragedy of their blood relationship. The play is a self-conscious study of genre and the morality of social facts. Those academic ideas, ipso facto, are carried over by dint of the plotting which Middleton replicated. Yet it would be easy to beggar the idea of Middleton’s play as an academic tragi-comedy, given the diminution of its hedonic effects. Philip Twilight, confronted by the de facto incest of his marriage to a girl who is also now pregnant, comes nowhere near the Aristotelian formula for tragedy. And if Middleton meant to throw that away, why would he adopt such a plot in the first place ? It is still a good story, even if it is reassigned to an English kid who hardly knows what has happened to him. Middleton had other goals in mind. He wanted to explore the effects upon a thematically challenging academic play when the fable is reframed in the values of London city life. Middleton was a realist and satirist, necessitating that his characters come from the repertory of living London eccentrics that make up the sparkle of the City. Such writers inevitably drew upon the Jonsonian themes of social folly, class bounderism, greed, mercantile ambition, affected and deceptive manners, and social wit foisted upon the unsuspecting in a talking world which was, itself, the environment in which survival was tested. Della Porta’s material, recast in a sub-plot, finds itself juxtaposed with the story of a crafty woman who cross-disguised herself in order to marry a rich widow. Now we have two stories in contrasting keys, interwoven, and putatively interrelated thematically. What can the incest plot achieve, now that it is tied to a mirror plot of feigned courtship motivated by revenge ? The Twilight tragedy must find meaning in the same world that leads to the holiday deception of the widow Goldenfleece, who marries a woman in disguise as the most desirable of her male suitors. It is all quite preposterous, no doubt as the English liked it, and successful too for a laugh, because the manners are both hyperbolical yet well-founded in social attitudes. These are the far-fetched antics of mercantile greed and the reduction of social values to material advantage and gain. We know this zany plot will work because Mrs. Low-water is so shrewd and assured. After all, the play’s title about a woman witty and helpful belongs essentially to her. With such a comedic drive in motion, what can be expected from Philip Twilight, callow and insensitive as he is, when he is brought face to face with marriage to his sister ? Middleton gives him no tragic potential at all. In fact, Philip has done very little talking for himself in the play, and when an honest confession to his mother is his only recourse, he must be prompted to it by  













giovan battista della porta ’ s the sister 175 Savourwit – his servant and trickster organizer, the counterpart to Della Porta’s Trinca. We may well ask what Middleton had in mind in bringing his audience to believe for a short moment in the reality of that incest without a character to frame it for us. What are we to think about ? What are we to wish for on behalf of the lovers as the crisis suddenly passes ? Rather than agonize in long soliloquies, as in Della Porta, Philip puts off his grief in order to head over to the wedding celebrations of Lady Goldenfleece, who, in no time at all, divulges the switching of the two girls at birth, thereby becoming the agent of the double peripeteia – only moments after the shocking revelation of incest. The window for tragic reflection is tellingly limited. Philip Twilight is released to his happiness without much suffering and perhaps even less learning. Audiences may even begrudge him such easy fortune after lying about his mother’s death and otherwise behaving in such unfeeling ways upon her return. Instead, the play becomes a study in thoughtless youth, family values, and an indulgent mother in the context of early seventeenth-century London – a play in the revealing and teaching of manners. In these terms, the Twilight family confronts its tragedy, disguises the traumatic, lightens the crisis, and seeks with haste through wise parental level-headedness to recover and reconsolidate the all-essential family unit. Della Porta’s Pardo was a stock, stingy, doddering father who merely wants to marry his daughter off as cheaply as possibly to a braggart soldier who will take her without a dowry. It remains fairly stock stuff. Oliver Twilight, by contrast, is a sensible man, reasonable, thoughtful, and sympathetic, naturally concerned over the crossed fortunes of his wife and two children. Philip is a spoiled adolescent who has some serious growing up to do. The mother, meanwhile, comes in for a partial claim to the play’s title, for she was self-possessed with maternal concern. Her purpose was the protection and reintegration of her family. She urged her son to treat the past as an unfortunate error, to bury it in pardon, and to move on. The recriminations to which she might have felt entitled she hushed up through forgiveness and hope in the future. We have come as far as we can. The story is the same in both plays. Della Porta has come to England, the genius of his work confirmed. English theatre historians are always interested in matters of influence and the on-going northward transmission of cultural property. Nevertheless, the English theatre had conventions of its own that tended to absorb and transform the schematic values, particularly of the Italian erudite theatre with its obligations to academic debate and recombinant plotting imbued with a memory of the ancients. Middleton lowered the mimetic scale to recreate La sorella within a city comedy taken up with laughter at the crass materialism, social deceptions, and talkative excesses of the English. The emotional extremes of a single plot have been absorbed by the juxtaposing of these two plot types as parts of a larger design concerned with manners and mores of contemporary locals. To that end, the social collectivity that constituted the familiar diversity of the English metropolis became the true protagonist of the play. 8 During this study there have been intimations of grander themes – illusions of Della Porta’s theatrical concerns still deeply embedded. But they are like the vision of Christ’s blood in the firmament for Dr. Faustus. The mind cannot hold on to them as the weight of Middleton’s satiric realism pulls down the vision to something far more banal. Incest is trivialized on the way to a half-hearted romance closure. A parallel plot full of city drifters, almanac readers, and legacy-hunting suitors replaces with a more fulsome presence  





8   A full development of this notion may be found in Gail Kern Paster, The Idea of the City in the Age of Shakespeare, Athens, University of Georgia Press, 1985, as well as in Theodore B. Leinwand, The City Staged : Jacobean Comedy, 1603-1613, Madison, University of Wisconsin Press, 1986, and in Susan Wells, Jacobean City Comedy and the Ideology of the City, « English Literary History », 48 (1981), pp. 37-60.  





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the conventional Italian parasite Gulone and the boasting captain Trasimaco. The masque of the revengers and the revelation of Mrs. Low-water amid grotesque laughter are so closely aligned with the sweet contentment of united lovers that what spectators may feel in confirmation of their experiences rather defies analysis. The triumph over greed combined with the escape into romance, as an aesthetic program, requires a new analytical vocabulary that calls upon the properties of the English social conscience. However it works, the play was an entirely successful formula, written in 1611, revised in 1638, and redeployed in a new play in 1677. It is a satiric comedy which makes difficult the profiling of its laughter. And while virtually nothing of the Della Porta story has been deleted, yet its intellectual essence has been transformed beyond recognition. That, in itself, is instructive. Della Porta had a great idea, and both playwrights were after its troubling potential within the social imitations of their imagined worlds. George Rowe understood the challenge posed by the play to include the social foundations of romance itself, insofar as the lovers themselves are « rather unattractive » and the son is a prodigal. 9 The debate then passes on to the emotional orchestration of romance as spectators and readers invest their well-wishing in the youths who promise to constitute the next reproductive and managerial generation. We enter the scoring game of he said, she said, the result of conducting our default theory-of-mind evaluations of the romance protagonists destined as potential mates. That is what romance makes us do, hardly an issue in Della Porta – although La sorella is all about lovers – something of an issue in Middleton, and hugely of interest in the plays of Shakespeare. (You cannot stop students in Shakespeare seminars from gossiping about characters regarding their potential as partners because the playwright allows us so much interiorizing information about them.) Some few readers may resist by clinging to the imperatives of the genre. But most are preoccupied in the first instance with the fine art of scoring the social credits and capital of each character on a binary scale of merits and demerits. In that regard, Middleton jettisoned the ethos of tragedy with a protagonist temperamentally incapable of performing the crisis, but as we score, in that process the playwright may also have left a protagonist unworthy of the comic deliverance he is granted. Philip Twilight is lost to tragedy, very largely, but he is a problem protagonist in a lackluster romance as well. That poses a truth of a different kind, of the anti-hero, of shallow adolescence, of immaturity lost in the cynicism of the mercantile metropolis. Middleton represents a pageant of city diversity driven by superficial desires and unexamined values. The Twilight boy is part of the pageant, but outside the play’s circle of tricksters and operators who make their own fortunes. In the final analysis, we may have to concede a well-established notion, that the city of London invariably becomes a character in every such play, shaping by its collective cultural configuration and embodiment of socio-economic mores the assumed values of its denizens. Our sense of the place as a milieu touches our interpretation of those who take their beings from its ambience. Where is there room for a conscience imbued by the curse of broken taboos in a world of ogling and angling for advantage, a vanity fair in which commerce and witty competition invade even the intimacy of the family ? It is a society of bounders and legacy hunters, chatty socialites, effeminate gentlemen, and stallions devoid of wit, not to mention the viragoes of the salon so brilliantly anatomized by Jonson in Epicoene. Even if this is a selective portrait rendered more hyperbolical with each recreation,  







9   George E. Rowe, Thomas Middleton and the New Comedy Tradition, Lincoln, University of Nebraska Press, 1979, p. 11.

giovan battista della porta ’ s the sister 177 a concentrated exclusion of interiority for the sake of eccentricity and satire, the milieu nevertheless rules the work and conventionalizes itself in our minds. This is the frame of reception that alters both the recasting and the reception of Della Porta’s plotting materials and their representations of human nature. How do we juxtapose erotic love and devotion with erotic opportunity as a bid for status and material advancement ? These two plots are either foils to each other, aliens in an ethos hostile to affective tragi-comedy, or an experimental appropriation and domestication of foreign materials. In this regard, the mystery is in the ethos of the receiving culture whereby stories maintained in their structural essence are nevertheless tipped and tilted in new directions. They are, in essence, the literary equivalents of those common threads of folk narrative which can be followed back for generations of raconteurs, but to which each new reciter represents a processing mind imbued with its own talents and cultural vocabulary in accordance with which the story is adjusted to fit new climes and places. Middleton wished to retell Della Porta’s story because he maintains its structural integrity, yet he revoices it, reframes it in brevity, and adjusts its setting and mores to his own times. That we understand. By knowing Della Porta, we may merely confound Middleton’s play as a betrayal of its originating intentions. After all, there is a Della Porta core inviting comparative inspection. But the English love economy was all about verbal wit and the play of language as the marker of social and sexual prowess. He who talks best, sassiest, or most creatively has first claims to reproductive rights through access to women. Moreover, when talk is the medium of conquest, the field levels out for the women who can, by these means, trick suitors and insinuate their way into material betterment. In this, Della Porta’s lovers are innocent bystanders. Middleton’s success in making this integration is a critical call. As many agree, beginning with David Holmes, Philip Twilight is unheroic, unthoughtful, unperceptive of others, and without any self-awareness concerning the repercussions of his actions, a boy « crude and unscrupulous » [...] « a complete moral idiot ». 10 Something there is here in the cross over from Naples to London that is difficult to quantify. We agree, I think, that little is to be learned merely in the factual contrasts separating the plays. From the English perspective, it is easy to assume the collective properties of Jacobean City Comedy, and just as easy to propose that Middleton’s affinity for those properties dictated his English colonization of alien materials. Thus, just as Della Porta was contractually imbued with the values of the erudite theatre, Middleton was likewise a product of his theatrical age. But that seems a bit too easy. As an academician, Della Porta was concerned, in a sense, with Affektenlehre through the targeting of the cathartic emotions. La sorella was a social representation, but mediated through a study in the formulae of story-telling whereby the anticipated effects of a genre are fully and experientially realized, whether in a pure form or in sequential contrasting forms. He said so in his dedication. However true or false in performance, the statement reveals at least the ancient critical values active in the back of Della Porta’s mind as he wrote. We might even say that the properties of tragedy were a form of meta-invigilation, however the brain manages these conditioning principles in the act of creation. Middleton’s play is otherwise conceived. By description, we may venture that it is lackadaisical tragicomedy, diluted by weak protagonists, bourgeois domesticity, and a parallel plot taken up with the satirizing of manners. And yet, just as Della Porta’s play has a meaningful social representation in its own right (despite his annoyance that it was all that his ignorant readers noticed) Middleton’s play, inversely, has an aesthetic and affective design of some kind.  





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  David M. Holmes, The Art of Thomas Middleton : A Critical Study, Oxford, Clarendon, 1970, p. 88.  

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Certainly it is not realized with the precision of Della Porta’s classical symmetry and design. Moreover, it is far too messy to score even in ethical terms and thus to experience in binary values. Who could write up a critique based on the Affektenlehre of No Wit, No Help Like a Woman’s ? Nevertheless, the story-telling sprawl of this play produces something by way of felt involvement, hovering between wanting to care about human destiny and detached amusement combined with satiric disapprobation. With Middleton, there is the translation of a plot and the translation of an ethos, deference to a good story, and a defiance of its schematic emotional appeal. Middleton is just being true to his times, and to the wordy puff paste of city comedy, but with a certifiable source, it is translation all the same. If such plays are relatively oblivious to the criteria of classical genres, how do we score such social worlds ? With that we are back to meaning and human nature, and I would say all the way back to the genome. We are scoring creatures and compulsive readers of other minds. Middleton gives us a running pageant of such minds to read, and out of it all comes something which still contains fragments of Della Porta’s invention. After all, the incest is still there, however mute, and the double reversal is maintained in the unravelling of events. Memory keeps an impression of our reading assessments and, at the end, we hold at least the emotional commitments which carried us along with interest and amusement. He has appealed to parts of our nature which turn unfolding social imitations into actualizing Gestalts, the completions of which carry a modicum of excitement, curiosity, and social computation. Della Porta gains second-hand fame by participating in that happening. We can see the ordering values of the Italian play the better for it. Seeing Middleton, meanwhile, in terms of a cathartic response to a world view is a much more challenging issue.  



LE TRACCE DELLO SPETTATORE NEI PROLOGHI COMICI DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA Françoise Decroisette

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egli ultimi decenni del Cinquecento, quando Giovan Battista Della Porta stende le sue opere teatrali, si è imposta in tutta Europa una drammaturgia che Siro Ferrone ha chiamato « drammaturgia di risposta », 1 la cui caratteristica essenziale e del tutto nuova è di anticipare, immaginare le reazioni ancora sconosciute di un pubblico allargato a chi fino allora non andava a teatro. Tale drammaturgia fa quindi sorgere una questione, ancora marginale a quell’epoca nelle riflessioni sul teatro, quella dello spettatore e della sua complessa percezione dello spettacolo. 2 Nella trattatistica, da una ottica prevalentemente indirizzata a fissare e a discutere le leggi e i modi della scrittura, si passa a interrogare i modi della rappresentazione scenica ; da una concezione del teatro centrata sul testo drammatico – cioè letteraria –, si arriva ad una concezione centrata su quello che oggi chiamiamo il testo scenico. Basta considerare il trattato redatto intorno al 1579-1587 dal corago ebreo mantovano Leone De Sommi, I quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, in cui due dialoghi sono indirizzati all’arte dell’attore, al gesto, all’espressione degli affetti, agli abiti, alla scenografia – oppure quello di Angelo Ingegneri, Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche (1598), che associa strettamente scrittura e rappresentazione. 3 Occorre rilevare anche che, nelle condanne del teatro – e nelle conseguenti difese scritte dai comici professionisti –, viene denunciata e/o leggittimata innanzitutto la fascinazione esercitata sullo spettatore dalla visione dei corpi viventi agenti in scena, e i rischi morali della presunta identificazione di chi guarda alla finzione scenica, quando realtà del palco e realtà della sala vengono confusi. Così nel 1578, l’arcivescovo di Bologna, Gabriello Paleotti, scrive a Carlo Borromeo a proposito di rappresentazioni di comici professionisti :  













Queste commedie, da pochi anni in qua introdotte, si vede che fanno effetti in tutto contrari alla causa per la quale anticamente furono introdotte le commedie, (cioè per notare i vizi ed aiutare i costumi), e queste piuttosto li corrompono. 4  

Un pò più tardi, nel 1621, Francesco del Monaco inveisce così contro gli spettatori :  

1   Siro Ferrone, Il metodo compositivo della commedia dell’arte, « Drammaturgia », edizione elettronica, drammaturgia.it, 15/11/ 2006. 2   Nella moderna teatrologia lo spettatore è considerato co-produttore o co-autore, insieme con lo scrittore del testo, il regista e gli attori, ed è il lui che si realizza tutto il senso dello spettacolo. Anne Ubersfeld, Lire le théâtre, ii, L’Ecole du spectateur, Paris, Belin Sup, 1996, p. 255. Marco de Marinis, Semiotica del teatro. L’analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982, pp. 187-190, e Id., Capire il teatro, Lineamenti di una nuova teatrologi, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 222-232. 3   Leone de’ Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, a cura di Ferruccio Marotti, Milano, Il Polifilo, 1968, Angelo Ingegneri, Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, Ferrara, Baldini, 1588. Sono i « primi registi del teatro moderno », secondo Claudio Bernardi, Carlo Susa, Storia essenziale del teatro, Milano, Vita e pensiero, 2005, p. 131. 4   Gabriello Paleotti, Scrittura fatta per suo ordine, nella quale si pongono in vista alcune ragioni contro agli spettacoli teatrali, 1578, citato in F. Taviani, La commedia dell’arte, cit., p. 39.  







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Peccano dunque gli spettatori delle commedie del nostro tempo per efficacia di collaborazione, perché appunto stanno a guardare volontariamente e senza necessità gli istrioni che fanno peccato mortale, e sorridono loro, li applaudiscono [...] e per lo più li sostengono con la propria autorità, col danaro o almeno colla presenza. 5  

e, anticipando la distinzione tra immagine pittorica e immagine scenica nei processi di rappresentazione del reale, egli denuncia la confusione tra finzione scenica e vita ; è il famoso passo che stabilisce una chiara opposizione tra scrittura e rappresentazione :  



Vuoi sapere che cosa abbia di più la scena per cui in essa diviene pessimo d’un tratto quel che poco prima era solo malefico ? Te lo dirò subito : i gesti, i volti, le voci [...] Tu vedi la sensibilità e il movimento delle membra e di tutto il corpo e dirai che son divini ; [...] lo stesso risulterà se confronterai la lettura e la scrittura con la scena. 6  







Affrontare il teatro di Della Porta a partire dallo spettatore, ha quindi senso. Resta da definire come. L’investigazione della percezione dello spettatore, diversamente dallo studio storicosociologico della ricezione e del pubblico, appare tuttora aleatoria malgrado le aperture interpretative fornite dalle scienze cognitive. Per Della Porta, tale investigazine rappresenta davvero una sfida. Contrariamente a quanto accade per altri autori per i quali abbondano le testimonianze e i documenti di vario genere relativi alle prime rappresentazioni delle opere teatrali, non sappiamo con esattezza quando e per chi le commedie del napoletano furono ideate e stese sulla carta : un problema che secondo Raffaele Sirri « non merita d’esser posto perché non esiste », 7 ma che, se si considera la questione a partire dalla ricezione, non può invece essere scansato. Le uniche allusioni a una presenza scenica reale sono nel paratesto editoriale, per lo più allografo. 8 Così la prefazione di Pompeo Barbarito alla Penelope, tragicommedia del 1591, allude a un pubblico di ascoltatori 9 « mossi a riso e maraviglia » ; la dedica della commedia L’Olimpia, pubblicata nel 1589 ma scritta sicuramente prima, accenna a una rappresentazione davanti al « Vicerè Conte di Miranda e [alla] maggior parte dei Signori e della Nobiltà di questo Regno », fatta da « giovani virtuosissimi », 10 quella de La trappolaria nell’edizione tarda del 1615 (la princeps è del 1597) testimonia di una rappresentazione in casa Pisano, durante il carnevale di quell’anno, nella sala dov’era stato rappresentato un anno prima – cioè 1614 – L’Alceo, favola elegiaco-pescatoria dell’Ongaro, con gli intermezzi del Cavalier Guarini ; 11 quella  



























   

5   Francesco Del Monaco, In actores et spectatores comoediarum nostri temporis paerenesis, Venetiis, Coletti, 1762 (Padova, L. Pasquali, 16211), cit. in F. Taviani, La commedia dell’arte, cit., p. 207. 6   Ivi, p. 218. 7   Raffaele Sirri, L’artificio linguistico delle commedie di Giovan Battista Della Porta, in *Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, Napoli, Guida, 1990, p. 481. 8   Marco Santoro, Appunti su alcune componenti paratestuali delle edizioni dellaportiane, in *L’edizione nazionale del teatro e l’opera di Giovan Battista della Porta, a cura di Milena Montanile, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2004, pp. 43-68. 9  « Inventava e osservava le regole antiche in un altra maniera da quel che hanno fatto tanti altri moderni », attento com’era a « spargere il ridicolo nella commedia non solo per mezzo di facezie e di motti...ma [facendo si che] la favola ...abbaia proprie le peripezie unite con l’agnizione, ché, raccontandosi, faccia maravigliar e muova riso a chi l’ascolta », La Penelope, in TeatI, p. 10. 10   Giovan Battista Della Porta, L’Olimpia, in TeatII, p. 4. Benedetto Croce, I teatri di Napoli, secolo xvxviii, Napoli, Pierro, 1891, riferisce a proposito di una recita de L’Olimpia : « Piacque moltissimo. Un poeta del tempo scrisse di questa recita : « Clausa jacebant humi circum Risusque Iocusque / Lugebant tristes Scoena decora Patrum. / Prodiit at postquam sublimis Olympia Portae / Stat, patet, et laetis additur alma Venus. / Spectatum admissi cives modo plaudite. Plautum /Reddidit in tandem blanda Talia suum », p. 70. 11   Giovan Battista Della Porta, La trappolaria, dedica al cardinale Serra, in TeatII, p. 218 :« Appunto fa l’anno che V. S. Illustriss. con somma benignità di ricever da mio padre si compiacque L’Alceo, qui nella gran Sala fatto  





















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premessa a la Sorella, nell’edizione napoletana del 1604, segnala anche una recita con « suntuoso apparato ». 12 Nonostante l’autore affermi nel prologo de La carbonaria (pubblicata nel 1601) di aver composto le sue opere solo come « scherzi dei suoi studi più gravi », e « che non ha bisogno delle lodi delle commedie », 13 da quanto citato si è dedotto che le commedie fossero pensate per essere rappresentate, a destinazione di attori amatori e di un’udienza aristocratica o accademica, 14 ciò che non esclude, come hanno mostrato Raffaele Sirri 15 e Paola Gherardini, 16 analizzando la lingua e la drammaturgia delle commedie, di ipotizzare che esse siano state pensate in funzione di una ricezione più « indiscriminata », e di stabilire una certa prossimità tra la scrittura comica di Della Porta e la nuova prassi teatrale dei comici dell’arte. 17 I testi sicuramente più adattati a testimoniare di una riflessione, anche minima, sullo spettatore, sono i prologhi, che, situati alle soglie del testo drammatico, a metà strada tra la scrittura e la scena, sono parte integrante del paratesto detto scenico, 18 benché più « ambigui ». 19 Storicamente i prologhi hanno una finalità doppia che suppone una idea dello spettatore, di cui si richiama, attraverso un uso variato della prosopopea, l’attenzione e il silenzio, al quale si danno informazioni sul’argomento, sui personaggi, sui luoghi ecc. (prologo di tipo plautino). Inoltre, secondo i casi e le epoche, vengono espresse le intenzioni dell’autore, e prevenute le eventuali critiche (tipo terenziano). Dopo la metà del ’500, in rappor 



































rappresentare all’illustriss. Sig. Enzo Bentivogli, con gl’intramezzi del signor Cavalier Guarini d’eterna memoria, l’uno e gli altri usciti da questa Stampa con le dichiarazioni e co’ Discorsi dell’Arsiccio. [...] E perciò dovendosi in questo carnevale nella medesima Sala recitar la presente Commedia, si come di salda protezione maggiormente io a bisogno, così più umilente al nome glorioso di V. S. Illustriss. vengo a dedicarla. [...]. Di Ferrara, 20 febbraio 1615 ». Gli intermezzi del Guarini erano stati inseriti nell’edizione de L’Alceo Ferrara, Baldini, 1614 (la princeps è : Venezia, Ziletti, 1582). 12   Id., La sorella, dedica a Francesco Blanco (in data del 12 aprile 1604), in TeatIII, p. 117 : « La diligenza che fu ancora usata da V.S. in procurare che si reciti la presente comedia intitolata La Sorella e in onorarla di sontuoso apparato ». 13   Id., La carbonaria, in TeatII, p. 452. Nel prologo de I duoi fratelli rivali, la frase diventa : « nè per ciò voi scemerete la fama dell’autore, laqual nasce da altri studii più gravi di questo, e le commedie fur da’ scherzi della sua fanciullezza », tomo iii, p. 14 ; Questa affermazione, certo di convenienza, è ripresa poi nella dedica de La sorella a Francesco Blanco :« avvenga ch’ei non vuole ch’or nella sua vecchiaia appaiano i scherzi della sua giovinezza », ivi, tomo iii, p. 117, poi ancora in quella de La tabernaria, nell’edizione postuma del 1616, dedica di Antonio Rossetti : « per sollevarsi alle volte dai più gravi componimenti si ritirava nei giorni più caldi e noiosi della estate in una sua amenissima villa, dove perchè egli non sapeva vivere nell’ozio, si tratteneva spiegando i suoi morali pensieri con rappresentare nei componimenti comici e tragici l’intricate attioni dell’umana vita con tanta facilità e felicità d’ingegno », tomo iv, p. 269. 14   Anche nel prologo de La Cintia, figura un’allusione a un « superbo apparato » al quale si aggiunge un’allusione finale agli attori che devono recitarla (« compagnia di nobilissimi cavalieri che vogliono recitar una commedia a queste bellissime gentildonne », ibid., tomo ii, pp. 345-346). 15   R. Sirri, La teatralità nelle commedie di Giovan Battista Della Porta, in *L’edizione nazionale del teatro ..., cit., pp. 69-82. 16   Paola Gherardini, Problemi critici e metodologici per lo studio del teatro di Giovan Battista della Porta, « Biblioteca teatrale », 1, 1971, pp. 137-160. 17   R. Sirri, La teatralità…, cit., p. 71. Per quanto riguarda il rapporto dell’autore napoletano con la commedia dell’arte, si vedano le riflessioni in materia di Raffaele Sirri, in L’attività teatrale di Giovan Battista Della Porta, Napoli, De Simone, 1968, e le consecutive interrogazioni di Achille Mango sul dilettantismo ovvero il professionismo di Della Porta, Tradizione e novità nel teatro di Della Porta, in *G. B. Della Porta nell’Europa, cit., p. 470. 18   Gérard Genette, Seuils, Paris, Seuil, 1987. 19  Cfr. Eugenio Refini, Prologhi figurati ; uso della prosopopea nel prologo teatrale del 500, « Italianistica », xxxv, 3 (2007), pp. 61-68, http ://www2.warwick.ac.uk/fac/arts/ren/about_us/centrestaff/researchfellows/eugeniorefini/refini_ italianistica_2006.pdf.  

















































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to stretto con la mutazione dovuta alla commedia zannesca, 20 l’aspetto programmaticodiscorsivo è predominante, i prologhi diventano come ha scritto Refini, un « preambolo estraneo all’azione », 21 e offrono all’autore uno spazio autonomo di espressione della propria poetica teatrale, spesso preparatoria alla trattatistica. 22 Per quanto riguarda Della Porta, il corpus dei prologhi si segnala dapprima per la sua non sistematicità. Solo sette sulle quattordici commedie arrivate fino a noi attraverso la pubblicazione, hanno un prologo, tra cui due sono variazioni su un unico prologo, giàcché quello de La carbonaria è ripreso con qualche variante lo stesso anno nell’edizione de I duoi fratelli rivali, e dette commedie sono stampate nell’arco di tempo 1589-1601. Fa eccezione La furiosa, commedia scritta forse nel 1604 e pubblicata nel 1609, con un lungo prologo dialogato, forma ancora non indagata dall’autore, nel quale disputano Momo, dio della Discordia e della Maldicenza, e la Verità. Questa cronologia apre ovviamente numerose interrogazioni, alle quali, in questo quadro, si può fare solo accenno. L’abbandono quasi totale del prologo deve intendersi solo al livello dell’edizione, per una specie di « noluntas auctoris » per dirla come Anna Scannapieco a proposito di Carlo Gozzi, 23 affermata come già detto nel Prologo della Carbonaria ? O sarà dovuto a un rifiuto volontario, di sapore programmatico, di quel micro-genere particolare, ormai diventato quasi del tutto estraneo al testo drammatico, e spesso retoricamente negato dal prologo stesso, con variazioni antifrastiche sulla ‘non recitazione del prologo’, che vanno dall’Istrione del prologo del Marescalco aretinesco, fino all’antiprologo del Candelaio di Giordano Bruno ? Per quanto riguarda l’uso dei vari tipi di prosopopea, i sei prologhi conosciuti costituiscono un corpus diversificato che testimonia dello sperimentalismo dellaportiano. Prima delle personificazioni di Momo e della Verità della Furiosa, troviamo altre due personificazioni di tipo allegorico, quella della Gelosia nel prologo de La fantesca (1589), e quella di Sebeto Fiume, in quello de La Cintia (1601), che dà occasione all’autore di sviluppare una lunga apologia della città di Napoli e della Campania. Gli altri tre (L’Olimpia, La trappolaria, e il doppione La carbonaria/ I duoi fratelli rivali) sono prologhi figurati di grado « zero », 24 cioè variazioni moderne sul personaggio-prologo antico, senza identità, vestito di toga bianca e coronato d’alloro, che rappresentava l’autore. Della Porta rende molto evasivo il legame tra prologo e commedia. Solo quello detto dalla Gelosia appare chiaramente collegato con l’intreccio, tutto aggirato sulla gelosia di una fantesca, e significativamente è l’unico prologo fornito di un Argomento disteso, per altro alquanto breve. 25 In quello della Trappolaria, il legame c’è ancora, ma più tenuo : la commedia è detta femmina e spagnuola, in riferimento probabilmente a due personaggi, padre e figlio, vissuti a Barcellona, che parlano spagnolo all’atto terzo. Gli altri sono davvero ‘pezzi da baule’, autosufficienti come lo saranno poi i prologhi delle Fatiche comiche del comico Domenico Bruni (1623) : 26 la miglior prova è il riutilizzo immediato del prolo 





























   

20   Franca Angelini, Vecchio e nuovo : i prologhi », in *Storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1986, vol. 6, « Teatro, musica, tradizione dei classici », pp. 82-83. 21   E. Refini, Prologhi figurati, cit., p. 62. 22   Luciano Allegri, Il prologo come prologo alla trattatistica, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, a cura di Guido Davico Bonino, Roberto Alonge, i, La nascita del teatro moderno, Torino, Einaudi, 2000, pp. 1183-1191. 23   Anna Scannapieco, Carlo Gozzi, la scena del libro, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 9-28. 24   E. Refini, Prologhi figurati, cit., p. 67. 25   La discussione sulla presenza dell’argomento all’interno del prologo era stata teatralizzata da Aretino nel primo prologo della Cortigiana (1525), dialogo tra L’Argomento e il Prologo, o meglio L’Istrione dell’Argomento e L’Istrione del Prologo, vedi Pietro Aretino, La cortigiana, a cura di Giuliano Innamorati, Torino, Einaudi, 1970. Aretino scrive poi nel 1534 un prologo dialogato tra un Forestiero e un Gentiluomo. 26   Domenico Bruni, Fatiche comiche, in Ferruccio Marotti, Giovanna Romei, La commedia dell’arte e la società barocca, ii, La professione del teatro, Roma, Bulzoni, 1994, p. xxx.  







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go della Carbonaria riversato, come già accennato, con qualche variante lessicale, inversioni, cancellature e aggiunte microscopiche, in quello de I duoi fratelli rivali. I modi discorsivi con i quali il Prologo entra in contatto orale con gli spettatori, sono quelli d’uso corrente nei prologhi rinascimentali, ma con introduzione progressiva di variazioni significative. Nei primi, troviamo il solito saluto iniziale agli spettatori, identificati con aggettivi superlativi (gentilissimi, onoratissimi, eccellenti), con insistenza sulla bellezza e gentilezza del pubblico femminile. Le donne vengono prevalentemente interpellate nel prologo della Fantesca, un po’ sul modello del prologo de Gli ingannati, ma non danno luogo a un prologo separato come nel caso de La Gelosia di Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca. 27 Nei prologhi de L’Olimpia, e de La trappolaria, c’è la solita richiesta di indulgenza, e la difesa anticipata dell’opera, appoggiate sulla metafora, dell’opera come femmina e verginella pudica. Questa metafora, che per altro si incontra generalmente nelle dediche o nelle prefazioni scritte dagli autori, in direzione di un lettore, acquista un’estensione particolare nell’Olimpia, con un cambiamento della relazione autore/opera che merita attenzione. Nelle dediche, l’autore si pretende generalmente genitore protettore legittimo di suo ‘parto’ contro le critiche a venire. Nel prologo dell’Olimpia, l’autore non è detto padre, ma « ruffiano » della propria opera, che lui prostituisce offrendola alla vista e non solo alla lettura : « l’abbiamo forzata a comparire » dice il prologo « fra gran cerchi di si grande teatro ». E la metafora si espande poi in altre metafore che assimilano spettacolo/prostituzione, e spettatore/guardone : « voi ponetevi gli occhiali, miratela dalle treccie insino ai piedi, o “sotto il grave della toga ricopre molte bellezze » o ancora « v’è buona roba sotto i panni ». 28 Non è poi chiaro se sia sempre l’autore che parla attraverso la bocca del prologo. Questo pare evidente per L’Olimpia, e anche per La fantesca, dove la Gelosia opera, per le donne presenti in sala, un deciframento o decodificazione di tipo semiotico delle sue fattezze e abiti, che rimanda lo spettatore all’iconologia corrente. Ne La trappolaria invece, il Prologo inizia con un « ecco che alla vostra presenza vi rappresenteremo la Trappolaria », dove sono confusi autore e attori. È formula certo non originale, che sembra ricalcare quella usata, tra altri, dal Lasca per La Gelosia, 29 ma qui la confusione è rafforzata poi dal’opposizione « noi sulla scena »/ « voi, nella sala », e dalla finzione di un battibecco tra attori e spettatori, tra scena e sala, che si conclude con : « ascoltate e non ci darete gran torto ». Nel 1601, con La Cintia, il personaggio-prologo (Sebeto come già detto), non appare più nè come portavoce dell’autore, nè come proiezione degli attori. Sparisce, nell’esclamazione di apertura che invita la sala al silenzio e all’ascolto, il classico cortese richiamo allo spettatore. Il prologo assume addirittura la parte di uno spettatore ingenuo, proiettato in scena, che scopre meravigliato l’apparato scenico insieme agli altri in sala (« vengo ad un si solenne spettacolo, e ad allegarmi con esso voi ») e si esprime ad alta voce a nome di tutti attraverso la teatralizzazione verbale delle sue reazioni emozionali di spettatore (« Oh che pompa ! oh che grandezza, o che superbo apparato è questo ch’oggi si rappresenta agli  























































27   Accademici Intronati di Siena, Gli ingannati, Siena, s.e., 1537 : « Io vi veggio fin qua nobilissime donne, meravigliare di vedermivi così dinanzi in quest’abito, in questo luogo, ed insieme di questo apparecchio come se noi avessemo a fare qualche commedia ». Per La Gelosia, Anton Francesco Grazzini, scrive un primo prologo diretto ‘Agli uomini’ (1551) che viene riscritto e accorciato nel 1582, affiancato a un nuovo prologo diretto ‘Alle 28 Dame’.   G. B. Della Porta, L’Olimpia, in TeatII, pp. 11-12. 29   Anton Francesco Grazzini, La Gelosia, Firenze, Giunti, 1551, prologo ‘agli Uomini’ : « Noi semo qui per recitarvi una commedia la quale se il nostro componitore avevesse interamente creduto dover venir innanzi a tanti nobilissimi spirti, a tanti begli ingegni, a tante onorate persone... ». Da notare che Lasca invoca Menandro, Plauto e Terenzio, e allude spesso agli spettatori parlando di ascoltatori.  











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occhi miei »). Il dialogo tra scena e sala, già suggerito nel prologo de La trappolaria, viene poi tanto sviluppato da riempire l’intero prologo, passando, con le stesse esclamazioni e interrogazioni reiterate, dalla contemplazione meravigliata della scena a quella della sala : « Ma, o felici occhi miei, quando vedeste mai in un ridotto tante illustrissime persone ? Quando tanta bellezza di donne ? ». E alla fine, quel prologo-spettatore dichiara ritirarsi in un cantuccio per ascoltare la commedia, come per ritrovare l’anonimato e l’oscurità della sala abbandonati per un breve tempo (« mi ritiro a più riposta parte per ascoltarla »). Sembrano già investigati in queste variazioni stilistiche i processi cognitivi di fruizione dello spettacolo da parte dallo spettatore. Chiarissimo in questo senso, il prologo de La fantesca, costruito, come già detto, sulla decifrazione minuta e rassicurante della immagine scenica della Gelosia. Lo stesso si può dire del prologo della Cintia, nel quale l’elogio di Napoli e della Campagna nasce dallo scoprimento iniziale del sontuoso apparato scenico. Addirittura centrate sulla percezione emozionale dello spettatore (non solo sulla sua presenza fisica), sono le notazioni che cercano di tradurre, nella loro immediatezza, gli affetti provocati negli spettatori da quanto scoprono in scena. Così, ad esempio, ne La trappolaria, si accenna all’aspettazione ansiosa della rappresentazione da parte degli spettatori, attraverso una richiesta di indulgenza per il ritardo con il quale l’autore offre loro la fruizione dell’opera. Ancora più significativa è l’esclamazione della Gelosia, nel prologo della Fantesca, che percepisce il turbamento delle spettatrici, e commenta :  

















Ma ohimè che in sentirmi nominare tutte queste mie nobilissime signore si sono sbigottite e conturbate e hanno annubilato il sereno di loro begli occhi, come avessero inteso qualche cosa orribile e paventosa.

È la notazione sul vivo di una possibile reazione donnesca, anticipata dall’autore, e il deciframento di cui si parlava ha vocazione a correggere una possibile lettura mentale, intellettuale, erronea dell’immagine percepita : « non sono quella che voi pensavate ». Notevole la teatralizzazione della sala e degli spettatori operata nel prologo della Carbonaria. Spariscono del tutto le formule d’uso, cortesi e superlative. Sin dalle prime parole, la sala viene interpellata con violenza dal prologo, nella sua indeterminatezza, già che essa esiste prima solo attraverso i rumori e i movimenti agitati e confusi, quasi animaleschi, di un pubblico invisibile, inafferrabile : « O là che rumore, o là, che strepito è questo » .... « Or grigna di qua or torce il muso » ... « altri empiono di strepiti e di gridi tutto il teatro ». Dai rumori nasce poi la visione di persone più precise, che il Prologo non definisce più coll’opposizione classica (uomo vs donna), ma attraverso l’appartenenza sociale/professionale, suggerendo in noi lettori l’immagine di un pubblico effettivamente indiscriminato : convivono « persone illustri », « popolaccio » – detto ‘vile’ (versione Carbonaria), poi ‘vilissimo’ (versione Duoi fratelli rivali) –, e critici « ignorantoni », interpellati come « leggisti senza legge e poeti senza versi », e qualificati di « vilissima generazione » (carb) – poi di « vilissima canaglia » (dfr) –, accusati di negare l’ascolto a chi s’intende davvero di teatro, cioè le « persone illustri », alle quali l’agitazione del popolaccio impedisce l’ascolto della commedia). Questa vivacissima messa in scena sarà forse stata suggerita a Della Porta da quella immaginata da Francesco Belo per El Pedante (1529), che comincia così : « Silenzio. Oh, spettatori, che cicalar è questo ! ... e voi altri lasciate, di grazia, el motteggiare e ‘l burlare altrui ». 30 Possiamo anche leggerla come un documento letterario sulla realtà varia degli teatri napoletani al tempo di Della Porta. Quello che più importa è che quel quadro,  

























































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  Francesco Belo, El pedante, Roma, Valerio Dorico e Luigi Bresciani, 1538.



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immaginario o reale che sia, dia sfogo, in un secondo tempo, alla « dichiarazione di arte componendi comoedias più compiuta dell’autore ». 31 Ora, questa dichiarazione, per lo più difensiva, notiamolo, prende certo in considerazione l’invenzione della favola, la condotta dell’intreccio, l’uso moderato della peripezia, e dell’agnizione, con chiaro uso del lessico aristotelico, 32 e richiamo ai grandi modelli della comica antichità, Menandro, Epicarmo, Plauto. Ma essa insiste anche sull’importanza della diffusione (e quindi della ricezione) delle opere. L’argomento ultimo che l’autore lancia contro gli ignorantoni, non è tanto quello della perfetta regolarità e originalità dell’ordinamento drammatico delle opere, è quello della loro celebrità e della conseguente immortalità guadagnata dallo scrittore, acquisita attraverso la stampa ; e anche quello della loro diffusione scenica, preesistente alla diffusione editoriale e libraia :  











si veggono stampare per tutte le stampe del mondo e tradurre in varie lingue ; e quanto più s’odono e si veggono più si considerano e più piaciono, e più son ristampate, come è accaduto alle altre sue sorelle che in pubblico e in privato comparse sono [...] Or gracchiate tanto che scoppiate, ché le vostre maldicenze non passano il limite delle vostre camere, ed i vostri sciriti muoiono innanzi la vostra morte 33  



Sotto il vanto di un autore che sarà forse stato colpito da critiche esagerate, questo complesso prologo è rivelatore di una reale coscienza della doppia valenza della scrittura teatrale, letteraria e scenica, quindi della funzione decisiva del pubblico nella costruzione del senso dell’opera. Questa coscienza è già in nuce nell’attenzione di Della Porta scienziato e semiologo ante litteram ai segni del corpo e dei gesti come fonte di comprensione dell’umano, e come possibile aiuto nella costruzione di una rappresentazione dell’uomo, sia essa pittorica o teatrale espressa nella Fisionomia dell’uomo e l’Arte del ricordare”. 34 Anche se apparentemente distaccato dagli altri nella cronologia, e nella forma, il prologo della Furiosa, ancora maggiormente programmatico, ma in modo del tutto diverso, conferma questa posizione. È particolarmente significativo l’abbinamento tra Momo e la Verità, non solo perché sarà poi sfruttato diversamente dall’autore-attore-capocomico Giovan Battista Andreini in un lungo prologo di difesa delle commedie moderne totalmente distaccato da un testo drammatico, 35 ma perché sembra sorgere logicamente a otto anni di distanza, dal prologo difensivo della Carbonaria, sia per l’impostazione drammati 



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  R. Sirri, La carbonaria, introduzione al testo, in TeatII, p. 443.   Giovan Battista Della Porta, La carbonaria, ivi, p. 452 : « Ignorantissimi, considerate la favola se sia nuova, piacevole e meravigliosa, con l’altre parti sue convenevoli – che questa è l’anima della commedia –, considerate la peripezia che è lo spirito dell’anima, che le dà moto e l’avviva ». Nella seconda versione, la massa compatta degli ignorantoni, si riduce a un singolare : « Ignorantissimo, considera prima la favola ... », l’unica variazione è l’inversione finale di « che è spirito dell’anima che l’avviva e le dà moto”, Id., I duoi fratelli rivali, ivi, tomo iii, p. 14. 33   La carbonaria, cit., TeatII, pp. 451-452. Ne I duoi fratelli rivali, la diffusione è più dettagliata : « vengono stampate per tutte le parti del mondo, e tradotte in latino, francese, spagnuolo ed altre varie lingue », e sopratutto è espressa con maggior violenza la dannazione al silenzio e all’oblio di questi autori ignoranti che lo criticano : « Or gracchiate tanto che crepiate, che il nome vostro non esce dal limitare delle vostre camere ; nè per ciò voi scemerete la fama dell’autore, la qual nasce da altri studii più gravi di questo e le commedie fur pur scherzi della sua fanciullezza. Or tacete, bocche di conche e di sepolcri di morti », ivi, tomo iii, p. 14. 34   Lina Bolzoni, « Retorica, teatro, iconologia nell’arte della memoria », in Giovan Battista della Porta nell’Europa, cit., p. 345 sgg. Vedi la corrispondenza frequente tra brani di dialogo e quanto espresso nei trattati, in P. Gherardini, Problemi critici e metodologici, cit., pp. 155-156 : « dalla vista si possono scorgere gli effetti dell’animo (Cintia, v, 4) ; mirami in faccia vera ambasciatrice dell’angoscie dell’anima (Carbonaria, i. 10) ; con muta favella il vostro sembiante racconta (Il Moro, iv, 2) ; ô come il cuore è differente dal volto (Fratelli rivali, iii, 7) ; come mi sento trasformato di volto, così mi sento trasformato nel cervello ; mi pare di essere diventato gentilhuomo e smenticato affatto dal villano (L’astrologo, iii, 4) ». 35   Giovan Battista Andreini, Opere teoriche, a cura di Rossella Palmieri, Firenze, Le Lettere, 2014, pp. 147-167. Il dialogo andreiniano è datato 1612. È bene ricordare qui che il prologo di Andreini era destinato alla recita, e fu certamente recitata in sede accademica. 32

















































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françoise decroisette

ca, sia per i contenuti. Della Porta dà qui una vita drammatica e scenica ai critici ignorantoni, dei quali Momo si fa il portavoce, drammatizzando lo scontro tra autore/spettatori/ critici che nella Carbonaria restava mimato solo verbalmente. Quali i punti di discordia sollevati da Momo ? Ancora una volta non il poema drammatico scritto, ma il poema rappresentativo. Viene sviluppata nell’esordio della prosopopeia, l’immagine finale del prologo della Cintia : Sebeto si era ritirato in un canto della scena per guardare lo spettacolo, Momo si presenta mentre esce da dietro le quinte, dove ha osservato, nascosto e ridacchiante, le prove dello spettacolo. Lo spettatore è quindi invitato a guardare dietro le quinte (non solo sotto i panni della commedia !), un po’ come faceva il corago Veridico nei Quattro dialoghi di Dei Sommi. Inoltre, le accuse principali di Momo contro il teatro non toccano la finzione drammatica, ma chiaramente la menzogna, l’illusione, scenica con la reiterazione denunciatrice del verbo ‘si fingono’. Mentono gli attori che giovani si fingono vecchi con una barba posticcia, o che, maschi, si fingono donne, o benché valorosi soldati, si fingono timorosi capitani : una menzogna certo inaccettabile, tanto più che è in perfetta opposizione colle teorie fisiognomiche dellaportiane negandone la validità, specie quando Momo lancia : « Talché ognuno mentisce il sesso, l’età, la perfezione, il nascimento e i costumi ». 36 La menzogna non è solo attoriale, è anche quella del pittore e dello scenografo che danno a vedere « casuccie di tavole vecchie e di tele rappezzate » con la pretesa di far « intendere » (ivi) agli spettatori che questo lordo scenario rappresenti Napoli. È così denunciata la falsità dello spettacolo, che lo spettatore non è sempre in grado di decodificare, lasciandosi così ingannare. Con ciò, nella vituperazione di Momo, lo spettatore viene condannato più degli attori, in quanto fruitore volontario dello spettacolo : « mi vergogno non tanto della loro vergogna che recitano, quanta della vostra pazzia che l’ascoltate » (ivi). Le accuse espresse da Momo concordano coi più radicali testi di condanna dello spettacolo di cui parlavo all’inizio : così i termini spregiativi coi quali lui designa gli attori, « una trotta di spensierati, per non dire mandra di buffoli, che vogliono recitare una commedia », echeggiano la pittura che Garzoni fa dei mimi, ciarlatani, e cattivi istrioni (distinti dai buoni comici, cioè i comici autori), nella contemporanea Piazza universale di tutte le Professioni del mondo. 37 Quale la risposta della Verità – e quindi di Della Porta 38 alla vituperazione di Momo ? È una risposta moderata, secondo la quale il teatro nella sua globalità è accettabile solo se lega, secondo la legge antica dell’utile dulci, il divertimento a una finalità educativa. La Verità si collega esplicitamente con la lettura platonica delle finalità positive della catarsi tanto tragica quanto comica, per il buon governo delle repubbliche. 39 Ma sembra anche ispirarsi a certe considerazioni di Carlo Borromeo espresse nel 1582 nel Dell’educazione cristiana dei figlioli, che sostiene la pratica del teatro proposta dai gesuiti, e incoraggia « i giovani [a imitare] e [rappresentare] qualche azione umana, come se fossero quelle istesse persone che altre volte veramente furono, o si presuppone che fossero operatori di quella azione », con un’unica restrizione : che « non vi vi siano narrazioni amatorie, ne altra cosa che possa effiminare gl’animi de i giovanetti ». 40  























































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  Giovan Battista Della Porta, La furiosa, in TeatIV, p. 103.   Tommaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, prima edizione Venezia, Somasco, 1585 ; edizione moderna in due volumi, a cura di Paolo Cherchi e Beatrice Collina, Torino, Einaudi, 1996; per i comici, distinti dai ciarlatani e dai mimi o buffoni, vedi Discorsi ciii, civ, e cxix. 38   Ivi, La Verità lancia a Momo : « se tu sei qui per beffeggiarli, io son qui per difenderli », p. 104. 39   Ivi, « Non sai tu che ‘l dottissimo Platone comanda che nelle ben istruite republiche si recitino le comedie e le tragedie » (ivi). 40   Citato in Claudio Bernardi, Censura e promozione del teatro nella controriforma, in *Storia del teatro moderno e contemporaneo, i, La nascita del teatro moderno, cit., p. 1037. 37













le tracce dello spettatore nei prologhi comici di della porta

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Allo stesso modo, la Verità afferma che « nelle comedie s’acquista la prontezza della fame, la sceltezza della lingua ne’ ragionamenti, gli atti, e i gesti del persuadere », e perciò che « col piacer che s’ha nella comedia non gli par grave però il piacere dell’eloquenza ». 41 L’utilità rivendicata da Della Porta è un’utilità legata ad un esercizio scenico del teatro, che interpreta la nozione di catarsi non in chiave morale come una purgazione delle passioni, bensì come esercitazione alla pratica oratoria indispensabile per chi deve condurre gli eserciti, affrontare le cause civili e criminali, convincere durante le ambasciate. La Verità entra quindi in perfetta sintonia con quanto l’autore aveva scritto nell’Arte del ricordare a proposito di quelli (pittori, poeti) che devono « figurare col pensiero », cioè immaginare, fingere azioni e storie, prendendo ispirazione nelle « persone che gagliardamente muovano le membra » cioè gli istrioni, 42 affermando una concezione non solo letteraria del teatro. Per quanto riguarda lo spettatore, anche se in teoria, secondo la Verità, l’utilità del teatro può servire tanto ai potenti (per non diventar tiranni) quanto ai miseri (per non cadere nella disperazione), il destinatario privilegiato delle sue opere resta confuso coi cavalieri evocati dalla Verità nell’ultima frase, che sono gli unici intellettualmente atti a distinguere il vero dal falso.  

















41



  Giovan Battista Della Porta, La furiosa, in TeatIV, p. 105.   Giovan Battista Della Porta, Ars reminiscendi, aggiunta L’arte del ricordare, tradotta da Dorandino Falcone da Gioia, a cura di Raffaele Sirri, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996, p. 79. 42

L’ULISSE : TRADIZIONE LETTERARIA E CANONE TRAGICO  

Paola Trivero La tragedia […] per li mesti successi e sanguinosi, orribil pare ; ma troppo ella sen va superba e altera per gli re, per gli eroi, per gli alti dei, e grave ancor per le sentenze gravi. (La Penelope, Prologo, vv. 25-29)  

P

ubblicata, vivente l’autore, un’unica volta nel 1614 per i tipi di Lazaro Scoriggio « ad instanza » di Salvatore Scarano, che la offre al principe Federico Cesi, L’Ulisse sigla il corpus tragico dellaportiano ed è l’unica tragedia nel senso più compiuto del termine essendo La Penelope (1591), per definizione dello stesso autore, una « tragicomedia » mentre Il Georgio (1611) pur etichettata con il lemma tragedia può annoverarsi altresì tra le cosiddette edificanti e pure tra quelle designate come a lieto fine. 1 Se con La Penelope Della Porta concentra il plot drammatico sul ritorno di Ulisse, e la conseguente strage dei pretendenti, attenendosi al dettato omerico, pur con le debite licenze proprie della prassi drammaturgica, con L’Ulisse concepisce e realizza una sorta di proseguimento e conclusione, per così dire, del poema : la morte di Ulisse. Argomento non di pura fantasia, ovviamente, quanto derivato dalla perduta Telegonia che Della Porta poteva conoscere tramite Ditti Cretese (Bellum Troianum, vi, 15) e, soprattutto, Apollodoro (Epit., vii, 36-37). E sarà da mettere in conto la lettura di Igino sia per il mito di Telegono (Fabulae, 127) che per la citazione (a. ii, sc. 3) dello strattagemma escogitato da Palamede per verificare l’effettività della pazzia di Ulisse, che simulava per non partecipare alla guerra di Troia (Fabulae, 95). 2 Sintetizzo rapidamente la trama, subito premettendo che, dalla indicazione delle « persone della tragedia », i personaggi risultano essere nove ma, in realtà, sono dieci poiché alla prima scena dell’atto terzo compare il Consigliero, figura rilevante non solamente per le dinamiche dell’intreccio (e si badi che viene in scena un’unica volta) ma per la funzione che riveste, con tutte le implicazioni del caso, all’interno del genere tragico cinque/secentesco. Atto i. L’esposizione dell’argomento è affidata, in apertura (sc. 1), a un dialogo tra Nettuno e l’« anima » di Anfinomo : il dio del mare annuncia la prossima morte di Ulisse, « per le man d’un incognito suo figlio » (vv. 1-25), e si impegna a favorirne la realizzazione. 3 Alla  





























1  In due lettere (datate 1° e 2 giugno 1612), indirizzate al principe Federico Cesi, Della Porta allude alla composizione dell’Ulisse. Per i passi in questione rimando alle considerazioni di Eugenio Refini, Un frammento autografo dell’“Ulisse” di Giovan Battista Della Porta, « gsli », cxxiv (2007), 605, pp. 49-50. Per i rapporti Della PortaCesi rimando a quanto documenta Marco Guardo nel presente volume. 2  Per le fonti dell’Ulisse, oltre alla Introduzione al testo a cura di Raffaele Sirri per l’edizione nazionale dellaportiana (TeatI, p. 331), rimando, per una approfondita documentazione e anche per la tradizione del soggetto delle « storie di Ulisse e Penelope », a E. Refini, Un frammento autografo, cit., pp. 51-52. Preciso che tutte le citazioni dell’Ulisse, della Penelope e del Georgio sono tratte dall’edizione curata da Sirri, per cui citerò solamente atti, scene e relativi versi. 3   Scelta oculata o casuale, questa di Anfinomo ? Certo è che Anfinomo si oppose all’uccisione di Telemaco e fu cortese con Ulisse, tanto che questi avrebbe voluto risparmiarlo ma Anfinomo non comprese (rimando a Odissea, xvi, vv. 400-405 ; xviii, vv. 119-150).  











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scena seconda Ulisse, sollecitato da Penelope, scopre la propria angoscia riconducibile a segreti presagi, a incogniti terrori, ai responsi infausti dell’offerta sacrificale e a un (immancabile) sogno premonitore. Allo scopo, Ulisse, sull’onda dell’Edipo sofocleo, ha inviato Eumeo a interpellare l’oracolo di Delfo. Ed Eumeo, ritornato, svela, dopo molte titubanze, l’arcano : Ulisse morrà per mano del figlio (sc. 4). 4 Ulisse ipotizzando un complotto di Telemaco, novello sposo di Nausicaa, complotto mirato a impossessarsi del regno (sc. 5), ordina al Capitano della guardia di arrestare il figlio (sc. 6). Atto ii. Ulisse, di fronte al doloroso disorientamento di Telemaco, rivela la ragione dell’arresto ed emette una condanna di morte (sc. 2). Viene Penelope sulla scena e accusa il latore del responso di tradimento ; per Penelope, Eumeo, esonerato da Telemaco dal governo degli armenti reali, ha ordito una vendetta (sc. 4). Atto iii. Con avvedute argomentazioni, il Consigliero riesce a far desistere Ulisse dal proposito estremo : la condanna a morte è commutata in esilio (sc. 1). Addio di Telemaco al padre, sempre convinto della colpevolezza del figlio (sc. 3). Patetico addio fra Penelope e Telemaco : tra le paradigmatiche esternazioni di disperazione, la madre include l’afflizione per le mancate funzioni di nonna (sc. 4). 5 Atto iv. Ulisse cede il comando a Penelope che assicura il marito della propria assoluta fedeltà in virtù di « quella istessa diligenza ed arte / che imparata ho da te sì lungo tempo » (sc. 1, vv. 40-41). Ma l’arte appresa spinge Penelope ad attuare la giustizia secondo i suoi parametri : rimasta sola sulla scena si abbandona a un soliloquio teso a proclamare un vindice disegno contro Eumeo (sc. 2). Eumeo rende nota, a Penelope e a Ulisse, l’ultima parte del responso sino ad allora taciuta : « […] oggi morrete per le mani / d’un figlio a voi inviato da la madre » (sc. 5, vv. 232-233). Repentino cambiamento di Ulisse che congettura un coinvolgimento della moglie nella congiura architettata da Telemaco e consequenziale ordine di incarcerare Penelope (sc. 5). Atto v. Preceduto dalla fama delle sue ardimentose gesta (da solo sbaraglia i soldati che tentano di bloccarlo), entra Teligono (preciso che Della Porta opta per la dizione Teligono, rispetto alla più vulgata Telegono) e subito alterca con Ulisse sino a colpirlo mortalmente. Richiesto da Ulisse, Teligono, con tono trionfante, spiega di essere venuto ad Itaca spinto dal desiderio di conoscere il padre Ulisse. E se Ulisse conclama di avere un unico figlio, Teligono lo smentisce : sua madre è Circe. Ulisse si manifesta causando la disperazione di Teligono (sc. 3). Seguono gli affranti compianti di Penelope (sc. 4), di Telemaco (sc. 5) e la morte di Ulisse (ibidem).  

























4   Eumeo, pur incalzato da Ulisse, tergiversa e solamente sotto minaccia (« farò con questa spada che tu ’l dica », v. 621) si decide a parlare : Io ve ’l dirò, ché mi forzate a dirlo. […] : sarà vostro figlio ch’uccideravvi, e questo ultimo fia giorno : morrai. E così disse, e tacque. (vv. 622-625) 5   Penelope descrive un quadretto di intimità famigliare : Or che sperava, figlio, della moglie sì cara vezzeggiar nel caro seno tuo figlio, e poi rapir da la sua bocca l’indistinte parole con i baci, e gir parvoleggiando per la sala, trapassar dolcemente e con gran gioia quel poco che avanzava de la vita, partì, nè spero più di rivederti. (vv. 483-490)  











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Da quanto sintetizzato emerge immediatamente un dato rilevante per l’atto quinto : la morte del protagonista è visualizzata e non affidata, secondo la prassi tradizionale, al racconto dell’evento per mezzo di un personaggio che riferisce quanto accaduto fuori scena. Vediamo, dunque, l’aderenza al canone e l’infrazione del canone, con debiti rimandi alla Penelope, al Georgio e ad altri testi. Se con la morte in scena Della Porta attua una scelta decisiva, non può non servirsi della narrazione, come già per altre situazioni della Penelope e del Georgio, quando (a. v, sc. 1) il personaggio del Soldato racconta la carneficina compiuta dal giovane straniero che, appena approdato ad Itaca, a un soldato « avventa un pugno […] su le tempie / che l’elmo l’acciacò, l’infranse il teschio / e da cavi schizzar ne fece gli occhi / e co ’l sangue il cervel fuor de le nari » (vv. 60-64). Ed è, questo, il primo dei ripetuti un po’ macabri particolari del massacro eseguito dal giovane sino ad arrossare il mare (« scorre il sangue nel mare, e si fa rosso », v. 92). Della Porta pratica la proverbiale descrizione e indugia sul dettaglio raccapricciante che tanta fortuna ottiene con la cosiddetta tragedia dell’orrore /dell’orrido, di secana ascendenza, e in auge nel secondo Cinquecento. Egualmente, conforme al canone è l’inserimento di un sogno premonitore foriero di sventura ; tuttavia per L’Ulisse non è tanto da valutarsi il sogno in sé quanto la modalità con cui è gestito. Ulisse (a. 1, sc. 2, vv. 332-349) confessa a Penelope il sogno e Penelope adempie le funzioni di un personaggio abitualmente ricorrente nelle tragedie dal Cinque al Settecento, ossia un/una confidente del/della protagonista, delegato/a a confutare l’attendibilità di un sogno :  













Or non v’è noto, o sposo amato e caro, quanto vani e fallaci sieno i sogni, che, qual tema o desio n’ingombra l’alma, tal, dormendo, n’appaion ne la mente ? 6    

Penelope, nella tragedia, funge da confidente perché il personaggio, figura quasi cardine per accogliere i segreti pensieri di un/una protagonista, non è contemplato nella tragedia. Della Porta omette il personaggio del/della confidente con il precipuo appellativo mentre, viceversa, include un altro personaggio tipico della tradizione tragica cinque/ secentesca : il Consigliero. Già nella Penelope vi è il Consigliero di Eurimaco che, nella lunga scena prima dell’atto secondo, invano tenta di dissuadere il suo signore dall’aspirare alla mano di Penelope. Le argomentazioni sono presentate secondo una ben orchestrata prassi che tocca inizialmente le più generali valenze dell’innamoramento, negativamente valutate, per poi apertamente affrontare il problema : il pericolo di un eventuale ritorno di Ulisse, di cui si esaltano e ripercorrono le eroiche gesta, e non ultime quelle sintomatiche della leggendaria astuzia, sino all’ulteriore minaccia rappresentata, nel caso Ulisse fosse morto, dalla presenza di Telemaco degno figlio di tanto padre. Consigliero non solo inascoltato bensì giudicato da Eurimaco « […] troppo importuno, e molto / più molesto di quel che ti conviene » (vv. 285-286), un Eurimaco che subito dopo, ma siamo in una tragicommedia, ricerca Melanto per levarsi la « noia » (v. 287) del Consigliero.  











6   vv. 356-359. Anche nella Penelope e nel Georgio i personaggi sono spaventati da un sogno. Per la Penelope il sogno è quello dell’Odissea (xix, vv. 535-553), ossia l’aquila che si avventa sulle oche, e premonitore della futura strage dei Proci, ma diversamente dal poema viene narrato da Penelope a Ericlea, corrispettiva dell’omerica Euriclea (cfr. La Penelope, a. i, sc. 4, vv. 763-787). Per il Georgio è Alcinoe, designata vittima del drago, a narrare il sogno alla madre Deiopea : il padre, ossia il re Sileno, destinava Alcinoe in sposa a « un fero serpe / con ali aperte e con adunchi denti » (a. ii, sc. 2, vv. 141-142). Come da copione la madre si affretta a ribaltare il sinistro presagio in rosea profezia, secondo un’interpretazione indirizzata a leggere proprio nel « fero serpe » il preannuncio delle prossime nozze della figlia, in quanto il serpe è l’emblema dell’Africa e il re Mammolino del Marocco è il futuro sposo.  









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Anche nel Georgio il personaggio del consigliere è presente con la denominazione di Secretario, e a lui si rivolge il re Sileno non potendo più consultarsi con i « consiglier di stato ». 7 Secretario facente le veci di Consigliere : un assioma palese dalle battute del personaggio nelle prime tre scene del primo atto. 8 E ritorno al Consigliero dell’Ulisse, dove la parlata del personaggio è orchestrata con regole appropriate alla carica assegnatagli e retoricamente ben gestite, a iniziare dalla captatio benevolentiae incipitaria, tesa ad esaltare la « prudenza » e il « valore » di Ulisse, sia come colui grazie al quale Troia fu distrutta e sia come celebrato sovrano : proprio tali virtù dovranno essere oscurate da « una lieve aura di sospetto e tema ? » (a. iii, sc. 1, v. 43). L’esortazione a non infierire trova il punto convincente nell’ipotesi di una plausibile sollevazione popolare, qualora si spargesse la notizia della condanna a morte di Telemaco ; pertanto il Consigliero, su richiesta di Ulisse, è per una soluzione mediana :  





























[…] fuor de le paterne rive d’Itaca in uno carcere si chiuda con buona guardia e con sicure spie ; (vv. 250-252). 9  



Ulisse apprezza l’operato del Consigliero e concorda sul pericolo di una rivolta. Insomma, Ulisse retrocede dalle primitive categoriche posizioni in nome della convenienza politica. Convenienza e componente politica che si attestano sui basilari principi della funzione del consigliere del principe ; della valutazione, da parte del principe, dei suggerimenti del consigliere ; del ponderare, da parte del consigliere e del principe, i contraccolpi del popolo. Va quasi da sé come tali posizioni mostrino l’influsso della trattatistica sull’argomento a partire dal Principe (i capitoli xxii e xxiii, per i rapporti tra principe e ministri) e, a seguire,  



7   Le motivazioni del rivolgersi al Secretario emergono, implicitamente, dalla dettagliatissima narrazione del sovrano, quando ripercorre l’antefatto relativo all’imminente sacrificio della figlia Alcinoe : alla richiesta del popolo d’abbandonare la città, per scampare alla funesta e ammorbante presenza del drago, il re si era opposto nel timore di perdere il trono ed aveva, previo un « concilio » con i « consiglier di stato » (a. i, sc. 1, vv. 153-155), emanato una sentenza consistente nell’offrire al drago, ogni giorno, due vittime umane, scelte per via di sorteggio senza distinzioni di sesso o di casta ; ed ora il caso ha designato la principessa. Per l’assunta deliberazione, va da sé che il sovrano non possa più consultarsi con i « consiglier di stato » e che, conseguentemente, si rivolga al Secretario. 8   Scena prima, il Secretario si impegna ad intervenire in Senato sfoderando le armi consone al suo ruolo : Anderò, parlerò, esporrò quante saprò ragioni, alle ragion le preci aggiungendo ad essempi, inganni e doli oprando quanto può l’ingegno e l’arte ; e sforzerommi d’avanzar me stesso. (vv. 276-280) Scena seconda, il Secretario accortamente, ma inutilmente, tenta con il Senatore di smontare il teorema della legge è uguale per tutti : non si può privare un re dell’unico erede ; ci si deve ricordare della provata clemenza e bontà del re ; nel passato il re ha concesso « a mille doppi » una grazia richiesta ; se il popolo sarà così crudele con il re, egli sarà inflessibile con chi sbaglierà ; se la principessa sarà salvata, essendo l’erede al trono, sarà debitrice, per la propria vita, di « mille vite ». Insomma : « Suolsi talora acconsentir un male / per schivar con un mal ben mille mali » (vv. 344-361). Scena terza, il Secreterio, sinora condiscendente al volere del suo signore, contraddice il suo signore, ribalta le ragioni esposte dal suo signore, riuscendo a frenarne le inopportune decisioni : il re dovrà sacrificare la figlia Alcinoe (« Aviso e pensier mio è ch’ella muoia », v. 487) ; si ingannerà Alcinoe (novella Ifigenia) fingendo di darla in sposa al re Mammolino. 9   Si noti che il Consigliero prima di enunciare la sua opinione ricorre, nuovamente, alla captatio benevolentiae : Consiglio a me cercate voi, che sete sovra gli uomini tutti, a cui si dee de la prudenza dar la gloria e ’l vanto, de la cui fama no è capace il mondo ? (vv. 245-248)  























































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dal Cortegiano di Castiglione, anche se il quesito posto da Ludovico Pio a Federico Fregoso (libro ii, capitolo xxiii) mi pare superato dall’Ulisse della tragedia poiché il nostro non comanda al Consigliero l’esecuzione del figlio quanto chiede un consiglio. 10 E, ancora e soprattutto, da tenere presente è il trattato di Scipione Di Castro, Delli fondamenti dello Stato, di cui si ha una copia manoscritta ad opera di Della Porta. 11 Della Porta aderisce, perciò, al canonico sistema dei personaggi di tante tragedie cinquecentesche che includono un consigliere, a partire dall’Orbecche di Giovan Battista Giraldi Cinzio (rappresentata nel 1541, edita nel 1543) e a seguire La Canace di Sperone Speroni (incompiuta, ma formalmente 1542), La Marianna di Lodovico Dolce (1565), L’Hadriana di Luigi Groto (1578), Re Torrismondo (1587) di Torquato Tasso, La Merope di Pomponio Torelli (1589), L’Acripanda di Antonio Decio (1591), La Semiramis di Muzio Manfredi (1593). Nell’elenco evidenzio che, ad eccezione dell’Acripanda, coeva della Penelope, e della Semiramis, successiva alla Penelope, tutte le altre tragedie citate sono anteriori alle dellaportiane. Si è visto che il Consigliero dell’Ulisse convince il suo signore, diversamente da altri suoi pari nelle tragedie sopra elencate. Si pensi all’Orbecche, dove il re Sulmone finge di seguire i suggerimenti del vecchio Malecche ma una volta rimasto solo afferma tutto l’opposto e agisce di conseguenza. Tuttavia per l’Orbecche si deve prendere atto della presenza di un altro consigliere ossia di Oronte, consigliere complesso che, per amore di Orbecche, ha tradito la fiducia del re. 12 E, l’ubbidienza incondizionata non manca nell’Ulisse. Il Capitano della Guardia incarna l’assoluta subordinazione del gregario, quando richiesto da Telemaco circa le motivazioni dell’arresto ordinato dal re così replica :  







Chi i segreti pensier del suo signore presume penetrar, saria ben folle. Né a noi convien trapor la lingua mai nei maneggi de’ re. Costretti siamo di fare e d’ubidir ciò che egli chiede. (a. ii, sc. 2, vv. 98-102)

Uno come il capitano non può entrare nei « maneggi del re ». I subalterni sono « costretti » a « ubidir ciò ch’egli chiede » (vv. 98-102). Si noti il valore negativo dei lemmi : « folle » (per via degli effetti fatali cui si andrebbe incontro), « maneggi » e « costretti ». Nuovamente nell’atto ii (sc. 4), all’imposizione di Ulisse di ordinare al « boia » di portargli il « capo » di Telemaco, « pria che nel meriggio il sol vi giunga » (vv. 495-496), il Capitano risponde, unicamente e testualmente : « Ubidisco, signor, m’accingo a l’opra » (v. 499). 13 E nella medesima scena rilevo due enunciati sintomatici del lessico del potere. Penelope vuol sapere perché Ulisse « sotto pretesto di ragion di stato / così precipitosamente » (vv. 343-344) voglia condannare il figlio. Quasi al termine del loro alterco, Ulisse invita Penelope a rientrare in casa, a calmarsi e lasciare « regnar chi di regnar sa l’arte » (v. 469). Ulisse, che « di regnar sa l’arte », paventa un complotto del figlio e giunge a ipotizzarne  

























































10   Sull’incidenza del Cortegiano, per la figura del Consigliero, cfr. Beatrice Alfonzetti, Dramma e storia. Da Trissino a Pellico, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 12-14. 11   Rimando, per codesta importante contingenza, allo studio di Anna Cerbo nel presente volume. 12  Per la presa di posizione di Sulmone rimando alla scena terza dell’atto terzo dell’Orbecche (in Teatro del Cinquecento. La tragedia, a cura di Renzo Cremante, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988, tomo i, vv. 1654-1668). 13   Viceversa, nella Cleopatra di Giraldi Cinzio il Capitano di Marco Antonio contesta l’atteggiamento del suo signore nei confronti di Cleopatra, giungendo a definirla « femminuccia » (rimando all’edizione a cura di Mary Morrison e Peggy Osborn, Exeter, University of Exeter, 1985, a. i, sc. 4, v. 615).  



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le dinamiche, nel soliloquio della quinta scena dell’atto primo : Telemaco, avendo « tolto per moglie Nausicaa », con l’aiuto dei Feaci (e di altre isole sparse nell’Egeo) mira ad impossessarsi del regno di Itaca non badando ai mezzi, non casualmente Ulisse immagina un esercito composto da « sbanditi, omicidi infami e sgherri » (vv. 635- 644). Dopo scontate imprecazioni contro il figlio, non mancando di esprimere il rammarico di avere invano sperato di trovare in Telemaco « difesa e scudo / de la cadente mia vecchiezza » (vv. 657658), Ulisse attacca la brama di potere (« O di regnare inessecrabil voglia, / a che non sforzi i mortal nostri petti ? », vv. 667-668) e ne soppesa le prerogative in un giovane come Telemaco. Ulisse asserisce di avere scoperto « del regnar l’ingorda voglia », « ingorda voglia » per la quale si infrangono le leggi, si violano i legami famigliari, si oltraggia la religione : insomma, smania senza freni e mai appagata (a. ii, sc. 3, vv. 246-258). Ulisse, prototipo del « monarca dispotico », è sicuro del tradimento, scorge inganni ovunque ed estende il suo erroneo convincimento a Penelope, sino a intimarne l’incarcerazione. 14 All’ottica dell’esercizio del potere è riconducibile la contrapposizione vita di corte/vita campestre, evidenziata da Eumeo. Il porre Eumeo solo sulla scena (a. 1, sc. 3) è finalizzato a introdurre alcune argomentazioni tipiche di certo pensiero cinque/secentesco : contestazione della corte, elogio della vita campestre. Nel lungo soliloquio (vv. 414-510), alle tranquillizzanti descrizioni delle salutari abitudini e pratiche rurali, si contrappongono gli sfarzosi e insidiosi costumi della vita cortigiana. Un’antitesi i cui scorci descrittivi sono mutuati sia dalla tradizione pastorale che da quella specificamente teatrale, in particolare quelli concernenti i rischiosi frangenti del vivere a palazzo. Per questi ultimi si pensi, a solo titolo esemplificativo, alla Merope di Torelli. Eumeo, quando decanta la dolcezza dei pasti frugali a confronto « de’ preziosi e delicati cibi / che si divoran ne le larghe tazze / d’argento e d’oro e smalti, ove si cela / d’aconiti e nappelli amaro succo » (vv. 462-464), può ricordare il consigliere Gabria là dove questi constata, a discapito del potente, la precarietà delle esteriori apparenze : « Mangia in oro, in argento, e tra le mense / L’aconito e ’l napello ascoso stassi ». 15 Resta da aggiungere che la narrazione di Eumeo ha poco da spartire con la storia di Eumeo del canto xiv dell’Odissea (vv. 380-495). Se nei quattro atti la caratterizzazione di Ulisse si attesta sui parametri topici della tragedia del potere, della tragedia della « ragion di stato » (esplicitamente menzionata da Penelope, a. ii, sc. 4, v. 343), per cui il protagonista agisce con l’unico obiettivo di salvaguardare il trono e cede alla soluzione del Consigliero per un puro tornaconto avulso da ogni implicazione emotiva, il quinto atto presenta una figurazione di Ulisse del tutto antitetica alla precedente. Scattata l’agnizione, alla lunga tirata di Teligono sintonizzata sulle coordinate, variamente cadenzate, del rimorso, del rimpianto, del rincrescimento e della supplica a scontare per mano del padre l’involontario parricidio (a. v, sc. 3, vv. 324-363), Ulisse ribatte ammettendo, e la ribadisce, l’ineluttabilità del destino. Ulisse decodifica – finalmente nelle giuste significazioni – il sogno e il responso delfico, lamenta d’avere incarcerata Penelope, riconosce i suoi errori (« Il caro figlio ho condannato a torto, / e a torto l’amatissima moglie », vv. 412-413) e chiede a Eumeo di condurgli Penelope e Telemaco, per implorare il loro perdono. E una Penelope del tutto differente dalla precedente, infiammata d’ira, si presenta sulla scena ; una Penelope che ha ripreso le inflessioni amorose del primo atto ora modulate sulla disperazione per la ormai certa dipartita del marito :  





























































14   Per la caratterizzazione di Ulisse « monarca dispotico » rimando a E. Refini, Un frammento autografo, cit., pp. 53-54. 15   Pomponio Torelli, La Merope, in *Teatro, Testi, commenti critici e apparati, a cura di Alessandro Bianchi, Vincenzo Guercio, Stefano Tomassini, Parma, Guanda, 2009, vol. ii (Opere di Pomponio Torelli), vv. 1810-1811.  



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Così, dunque, mi lasci infelice, orba, vedova, sconsolata e trista e sola, or negli estremi giorni de la vita (sc. 5, vv. 451-453). 16  

E dal « caro sposo », dal « diletto Ulisse » (v. 437) decolla una ininterrotta mozione degli affetti rafforzata dalla partecipazione del sopraggiunto Telemaco con cui Ulisse instaura una nobile gara indirizzata sull’autoaccusa e sulla immediata discolpa. Ciò che di più « trafigge » (v. 555) Ulisse è l’avere recato offesa al figlio ; Ulisse, realmente trafitto, parla di anima trafitta. Ulisse chiede perdono e Telemaco afferma di non essere stato « offeso » : mai il comando di Ulisse gli è riuscito « noioso e grave », l’unico peso era dato dall’essere ritenuto « d’empia morte degno » (vv. 576-578). Come si addice a una cerimonia degli addii, e di vera e propria cerimonia degli addii si tratta, Ulisse fa conoscere Teligono al « caro figliuol » e alla « cara moglie » e ci tiene a scagionarlo, sfumando di molto le circostanze dell’episodio : i soldati da difensori divengo « insolenti » ; nell’incontro con Ulisse Teligono è stato oltraggiato e si è difeso procurando l’« immedicabil piaga » (vv. 585-597), « piaga » avallata dalle « fiere stelle » (v. 600). Ulisse supplica di trasferire l’amore portatogli a Teligono e riconferma l’accidentalità della fatale azione (vv. 602-607). E Penelope, spirato Ulisse, immediatamente invoca l’aiuto dei « figli » : « […] o cari figli, / o figli, o del mio cor solo sostegno » (vv. 631-632). L’ultima battuta viene affidata a Telemaco che eleva sì un dovuto compianto ma, soprattutto, rimarca la precarietà del vivere umano :  



































































Ahi vano, ahi cieco mondo, ecco i tuoi frutti : quant’egli oprò, mentre fra noi si visse, e senno ed arte e forza in pace o in guerra, brev’ora invola e ’l tutto è poca terra. (vv. 637-640)  

Con la chiusa, Della Porta si allinea, dunque, con tanta ideologia volta, appunto, a rilevare la caducità dell’uomo e la labilità del potere : gli esempi non mancherebbero sia nella tradizione letteraria che in quella specificamente teatrale. E, per terminare, qualche osservazione sulle scelte operate da Della Porta per l’allestimento di un sistema teatrale, proprio nell’accezione che l’attributo teatrale comporta, per cui certi esiti, a mio avviso, testimoniano la volontà di dotare i personaggi di qualità per così dire attoriali con l’uso degli ’a parte’, non apertamente segnalati bensì ben intuibili. Penso all’incipit della scena prima dell’atto secondo, incentrato sul fraintendimento. Ulisse, non visto, vede Telemaco e decide di scrutarlo nascostamente allo scopo di scoprirne le intenzioni :  



Io vo’ qui dietro ascoso stare ed osservar suoi guardi, il naso, gli occhi e ’l variar del ciglio, ed ascoltar e contemplar le voci e i colori del volto : sogliono questi esser del cor non mai fallaci specchi. Or s’arrossisce, ed or pallido ha ’l volto,  

16   Sottolineo, per inciso, che il lamento della Merope torelliana sul capo decollato di Polifonte si chiude proprio con i lemmi « vedova, sconsolata » : « Poscia a dolerti, a lagrimar ti resta, / Vedova, sconsolata in negra veste » (P. Torelli, La Merope, cit., vv. 2665-2666).  









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paola trivero ed or veggio che ’l varia in mille modi ; ed or gli occhi inchina, or gli ha sospesi al cielo : segn’ è che machinando va le frodi. Mira che ardito e minaccievol capo, mira che torvo e che superbo ciglio ! Par che minacci col ciglio e più col core. Parla con note insidiose e ladre : che, se la lingua simulando parla, il nascosto del cor dimostra il gesto. (vv. 12-27)  







Scatta, di conseguenza, il gioco dei qui pro quo tra le frasi positive pronunciate da Telemaco e la decodificazione in negativo fattane da Ulisse, dando luogo a una scena attiva : due personaggi sono sul palco e parlano alternativamente e tutto ciò che pronuncia uno è soggetto al fraintendimento dell’altro. Esempio : Telemaco esprime la felicità di rivedere « ’l mio Re », Ulisse commenta : « Non dice padre » (v. 34), ipotizzando la scelta di un lemma foriero di complotto. Parimenti, e inizialmente, Ulisse vuole intuire gli intenti dell’ancora a lui ignoto Teligono :  















Mi fermerò per osservar suoi moti. Sta ardito e allegro, e va con gli occhi fermi come sicuro ei stesse in proprio albergo. (a.v, sc. 3, vv. 184-186)

Resta da sottolineare che per l’atteggiarsi di Ulisse con Telemaco e con Teligono ha agito il Della Porta studioso di fisiognomica. 17 E con degli ‘a parte’ si avvia la scena tra Ulisse e il Consigliero. Per le due battute del Consigliero evidenzio : la sollecitudine per il « rammarco e i preghi » (v. 1) della regina che lo inducono a parlare con il re ; la speranza di placare in parte l’ira del sovrano anche se dal volto ne comprende il « rigoroso sdegno » (v. 17) e, infine, il dubbio di non riuscire a dissuadere chi è « d’ogni eloquenza il mastro e il mostro » (v. 29). Ulisse, nelle sue due battute, confessa i contrastanti sentimenti dell’ira e dell’amor paterno ed è certo che il Consigliero sia stato inviato da Penelope. Un ulteriore tassello sulla redazione dei dialoghi : Della Porta, forse memore della propria esperienza di commediografo, inserisce, in una circostanza, uno squarcio di sentimentale comicità. All’atto v, sc. 3, Ulisse richiede a Teligono degli attestati di paternità e non considerando sufficienti le testimonianze narrate (vicissitudini di Ulisse dopo Troia, storia di Circe e Ulisse : il tutto appreso dalla madre) vuole altri segni e Teligono riferisce, sempre risalendo ai racconti materni :  























Disse che, quando stavano nel colmo de le delizie lor, ella lui Tristo chiamava ed egli replicava Ciccia. (vv. 301-303)

È qui doveroso, almeno, un richiamo alla Penelope per la quale Della Porta si presenta, nel Prologo, quasi come autore di un nuovo genere :  

Piace a’ migliori ed a’ più scelti ingegni che la comedia sia uno spettacul lieto per gli lieti e festevoli successi, […]. 17

  Per Della Porta, autore della Fisonomia dell’huomo, rimando nel presente volume alle pagine di Éva Vígh.

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La tragedia, a l’incontro, per li mesti successi e sanguinosi, orribil pare ; ma troppo ella sen va superba e altera per gli re, per gli eroi, per gli alti dei, e grave ancor per le sentenze gravi. L’autore di questa ha scelto il bello e ‘l buono de l’una e l’altra, e l’ha congionto in una tragicomedia […], ond’egli il primo fia (se non m’inganno), dopo l’Anfitrion di Plauto, ch’una sì fatta istoria vi propone. (vv. 19-37)  

Della Porta s’ingannava : egli aveva alle spalle la sperimentazione guariniana e l’operazione compiuta da Giovan Battista Giraldi Cinzio con l’Altile, tragicommedia composta nel 1543 e stampata nel 1583.  

VENERDÌ 16 OTTOBRE 2015 CASTELLO GIUSSO · VICO EQUENSE

MAGIA E DEMONOLOGIA NELLE OPERE DI DELLA PORTA Armando Maggi

D

ella Porta apre il proemio della Phytognomonica (1588) con una rinnovata ed entusiastica dedizione verso quelle realtà « quae naturae abdita et ditissima maiestate laterent ». 1 Ad un attento lettore dei capolavori di Della Porta non può sfuggire questo suo essenziale e costante stupore verso la natura che determina sia la sua ricerca scientifica sia la creazione letteraria in cui essa viene comunicata. I mosaici di citazioni delle pagine del Della Porta spesso non sono meri centoni ma processi di rivitalizzazione testuale, in un atto di selezione che ricorda il proemio del Villae nel quale il Nostro afferma che a un visitatore incolto la sua villa parrà « male ordinatam » e caotica, sebbene egli abbia attentamente operato una selezione « ex antiquis scriptoribus » dai quali ha ‘estirpato’ ciò che trovava utile e lo ha ‘trapiantato’ nella sua villa. 2 Nel suo intento di superare la lezione degli antichi, come ad esempio nello studio delle piante più minuscole, come afferma in una pagina seguente del proemio della Phytognomonica, Della Porta comprende che avanzare la comprensione scientifica significa tenere sempre a mente che « nec esse tam vilissimum in rerum natura in quo mirabile aliquod non refulgeat ». Questo fulgore che giace in tutte le cose anche più infime, e che non ha in Della Porta una connotazione neoplatonica, riflette una « benigna et indulgens natura » la quale, anche laddove sembra contraddire le proprie « perpetuas […] leges » come scrive nel capitolo 22 del sesto libro del Phytognomonica parlando di piante che vivono su altre piante, opera in realtà per svelare ulteriori « latentes divitias » che favoriscono la salute umana, e in questa cura per gli uomini risiede la luminosa « subtilitas » della natura. 3 Anche gli animali che sembrano dedicarsi ad atti contro natura hanno in realtà qualità che servono a combattere quelle pratiche innaturali (« infamem Venerem ») negli esseri umani, come Della Porta spiega appropriandosi di un passo dalle Storie naturali di Plinio (l. 8, cap. 81) in cui si cita Archelao secondo il quale la lepre ha gli organi sessuali sia maschili che femminili. È stata notata la vicinanza del concetto di magia esposto dal Della Porta nel primo capitolo delle due edizioni della Magia naturalis a quello di Pico nella Oratio, ma ottenuta attraverso Agrippa, soprattutto nella seguente citazione pressoché letterale, che riprendo da De’ miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti : « Dottissimamente disse Plotino che la magia era ministra della natura e il mago ministro e non artefice ». 4 Ciò che vorrei sottolineare in questo contesto non è tanto l’eco testuale ma la distanza tra le ideologie dei due autori. Come Pico, Della Porta parla di due tipi di magia, la prima dipendente dall’opera dei demoni, mentre la seconda, nelle parole di Pico, non è altro che la « natu 



















































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 Giovan Battista Della Porta, Proemium, in Phytognomonica, Rothomagi, Ioannis Berthelin, 1650, n.n.   VillaeI, pp. 1 e 3.   G. B. Della Porta, Phytognomonica, cit., pp. 445, 448 3 334. 4  Giovan Battista Della Porta, De’ miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti libri quattro, Venezia, Gio. Alberti, 1600, p. 2r ; Id., Magia naturalis, Antverpiae, ex officina Christophori Plantini, 1560, p. 1v. Cfr. Paola Zambelli, White Magic, Black Magic in the European Renaissance, Leiden-Boston, Brill, 2007, p. 30 ; Paolo Piccari, Giovan Battista Della Porta, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 54-58. 2 3





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ralis philosophiae absoluta consummatio ». 5 Della Porta cita la parola « demoni » ma al contrario di Pico non insiste sul carattere morale della scelta tra le due forme di magia, visto che la prima, secondo Pico, rende schiavi del potere del male e allontana da Dio mentre la seconda, Pico continua, « inter sparsas Dei beneficio et inter seminatas mundo virtutes, quasi de latebris evocans in lucem, non tam facit miranda quam facienti naturae sedula famulatur ». Ciò che la magia di Pico porta alla luce è la virtù che la bontà divina ha disseminato nel mondo creato, mentre in Della Porta non si parla né del principe del male né di una qualsiasi divina provvidenza ma piuttosto di una naturale, e « dilettevole » come si legge De’ miracoli e maravigliosi effetti, investigazione delle « proprietà della natura », ricche di « misteriosi secreti ». Il premio dell’investigazione della natura è in Della Porta l’investigazione stessa, quello stupore che la natura provoca in tutte le sue silenziose manifestazioni. Innato è nella natura una fondamentale connotazione ludica che il mago fa sua attraverso « inganni » per esempio prodotti dalle lampade, come scrive nel secondo libro, capitolo 25 del Miracoli e maravigliosi effetti (capitolo 17 nella Magia naturalis) che Della Porta riprende ed espande dagli antichi, il cui interesse ed onestà a riguardo di « questi secreti » Della Porta inizialmente aveva dubitato. Da Plinio Della Porta riprende le numerose allusioni ad Anassilao, il quale insegna che se « si piglia della sperma del cavallo e mettela in una lampada o in più che siano nuove, con gli stoppini ed accendendole si rappresentano le teste degli huomini in forma di capo di cavallo, l’istesso anchora dell’asino ». 6 Questo sobrio esperimento è al termine di una sanguinolenta sequenza di decapitazioni di cavalli ed asini la cui carne viene fatta bollire secondo dettami precisi, tutto con lo scopo di « fare parere che le persone habbino teste di cavalli o d’asini ». Della Porta, come ho alluso all’inizio di questo saggio, si è appropriato di un breve passo da Plinio nel quale non si allude all’illusione ottica del corpo umano con testa di cavallo, ma solo all’apparire dell’immagine della testa del cavallo se si usa il liquido che gocciola dagli organi genitali delle cavalle durante il coito (Storie naturali, 28.49). Della Porta usa quest’allusione in un capitolo che esamina uno dei temi più cari della sua ricerca, la contaminazione costante e ‘maravigliosa’ del creato (teste umane su corpi bestiali e viceversa), come anche si legge in pagine straordinarie della Phytognomonica su piante che danno vita ad animali o piante che si tramutano in altre piante. In Della Porta lo stesso esperimento di Anassilao acquista anche un tono teatrale, di esposizione pubblica ad effetto che non è malevola, se si ricorda il rancore con cui Della Porta si scaglia contro i falsi maghi sia nella seconda versione della Magia naturalis ed anche nella commedia L’astrologo, ma piuttosto ludica nel senso di portare alla luce ciò che la natura stessa ha concesso che avvenisse. Leggendo il capitolo 8 del libro 20 della Magia naturalis si comprende che la riserva di Della Porta è fondamentalmente di carattere etico, poiché alcuni dei trucchi usati da questi impostori si basano anch’essi sulle qualità proprie della natura, come nel far cadere fiori da un albero, cosa che sorprese molto Della Porta la prima volta che lo vide, o far sì che le donne si denudino quando gli uomini lo desiderino. 7 Lo stesso riferimento agli esperimenti di Anassilao era già presente in Agrippa in un contesto ermetico assolutamente estraneo a Della Porta. Il capitolo 49 del primo libro della Occulta philosophia è dedicato alla luce, colori, candele e lampade ed alle corrispon 











































5  Giovanni Pico della Mirandola, De hominis dignitate. Heptaplus. De ente et uno, a cura di Eugenio Garin, Firenze, Vallecchi, 1942, p. 152. 6  G. B. Della Porta, De’ miracoli et maravigliosi effetti dalla natura, cit., pp. 72v-73r ; Id., Magia naturalis, cit., p. 65v. 7  Giovan Battista Della Porta, Magiae naturalis libri viginti, Hanoviae, typis Wechelianis, 1619, pp. 618-619.  

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denze tra colori e gli astri, e il riferimento ad Anassilao è posto dopo una lunga introduzione sulla natura trinitaria della luce, e su come la « splendens intelligentia » degli esseri angelici si propaghi ai vari gradi della creazione. 8 Medesima allusione quindi inserita in due contesti intellettuali assai distinti. Lo stesso libro secondo della prima Magia naturalis contiene il controverso capitolo 26 sui sogni e l’unguento delle streghe, che nella traduzione italiana (libro 2, cap. 35) si riduce ad una breve allusione alle illusioni prodotte per « virtù di cose naturali » e non grazie alle « soperstitioni » che le streghe vi aggiungono e delle quali Della Porta non parlerà « per non fomentare la curiosità degli huomini e de gli empii ». 9 Non mi soffermo sulla questione delle streghe che è stata già esaminata in dettaglio da Germana Ernst, ma sul topos del demone nell’evoluzione dell’opera di Della Porta, uno stilema che risulta di centrale importanza. Si è sottolineato come nella prefazione alla seconda edizione della Magia Della Porta si difenda attaccando Jean Bodin e la sua Demonomanie des sorciers (1580). Nelle parole di Della Porta, Bodin lo taccia di « magum veneficum », definizione che nell’edizione italiana di Bulifon da noi consultata è semplicemente « mago », accusa contro la quale Della Porta si difende scrivendo che si è limitato ad attingere da non specificati « libris theologorum », che soltanto nella versione italiana si rivelano essere il Malleus maleficarum, sebbene Ernst ipotizzi che il riferimento alla ricetta dell’unguento venga dal De subtilitate di Cardano. 10 Il termine ‘demone’ in Della Porta è inizialmente ciò che potremmo definire come ‘residuo testuale’, cioè come fossile derivante dalla specifica fonte che il Nostro sta utilizzando. Si veda, come esempio tra i molti, il quarto capitolo del terzo libro del De humana physiognomonia libri sex, centrato sulle pupille. Una breve sezione è dedicata alle « papillarum inaequales orbes et nubes caerulea, viridis discolor tenebricosa eorum fronti super cilia insideat ». 11 Questo corto paragrafo è fatto soltanto di due frasi. La prima afferma che, secondo Polemone, una nube azzurra o verde sopra la fronte indica che il soggetto è vittima di ogni sorta di abuso da parte del demone (« a daemone omni generis nocumentis laedi »), mentre la seconda frase spiega che queste macchie mostrano « combustam bilem atram » che è strumento di ogni sorta di male. Tuttavia non si può non notare in Della Porta un’attenzione progressivamente maggiore verso il tema del demone, o si dovrebbe meglio dire del demonio. Passando dal 15991602 dell’edizione ampliata in latino al 1610, data della stampa della versione italiana in sei libri, il testo trasforma la prima frase nell’inizio di una lunga disamina sul ruolo nefando di ciò che prima viene tradotto come « genio » e quindi come « demone », ed usa la traduzione della seconda frase dal testo latino come conclusione. In altre parole, le due frasi diventano l’introduzione e conclusione di una notevole amplificazione testuale. Della Porta ora connette l’allusione alla misteriosa nube scura o azzurra o verde sulla fronte e tra le ciglia ripresa da Polemone ed Adamanzio, con inclusa l’allusione al demone, ad un passo dal De animalibus di Alberto Magno, tradotto pressoché letteralmente, che parla dell’ira divina che attende coloro che mostrano una nube negli occhi. 12 Si ricordi che la presenza  

























































8  Henrici Cor. Agrippae, De occulta philosophia, Lugduni, apud Godefridum, 1550, p. 100. L’allusione a Plinio è a p. 101. 9  G. B. Della Porta, De’ miracoli et maravigliosi effetti dalla natura, cit., p. 92r. Si veda Germana Ernst, Religione, ragione e natura, Milano, Franco Angeli, 1991, pp. 167-190. In particolare sulle fonti demonologiche, specialmente il Malleus maleficarum e il Formicarius, si vedano pp. 180-181. Su Paolo Grillando, p. 184. 10  G. B. Della Porta, Praefatio, in Magiae naturalis libri viginti, cit., n.n. ; Id., Prefazione, in Della magia naturale, Napoli, Bulifon, 1677, n.n. 11   Hum, p. 317. 12  Adamantii sophistae, Physiognomonicon, Basileae, per Robertum Vvinter, 1544, p. 18 ; Polemonis, De physio 



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di una nube sulla pupilla poteva esser letta come il marchio lasciato dal demonio sul suo discepolo, come si legge ad esempio nell’opera di Pierre de Lancre Tableau de l’inconstance des mauvais anges et demons. 13 Della Porta sottolinea che le avversità sostenute dall’essere umano in questione hanno luogo « in rebus domesticis » come scrive Alberto, perché con questa amplificazione testuale Della Porta desidera raggiungere due scopi, sottolineare la sua ortodossia teologica e al contempo difendere la sua propensione verso una spiegazione fisiologica. « Questo demone, che dice Polemone, che distruggerà la robba », commenta Della Porta, « mi pone in considerazione che questi uomini » che mostrano pupille diseguali e la nube sulla fronte « sieno di temperamento molto distemperato, che godano i demonii di abitarvi dentro ». 14 Della Porta sostiene che il demonio « permettendo Iddio », come ogni buon demonologo si cura di specificare in trattati coevi, è attratto dalle persone malinconiche ed anche dalle case « sporche, putride e malinconiche » perché ama « abitar fra quei umori neri », e quindi non sorprende che « purgando quegli umori putridi con medicine son guariti molte volte gli indemoniati », come nell’ottavo libro della Phytognomonica (cap. 6) ritiene che lo zaffiro aiuti ad abbassare la febbre, calmare il battito del polso ed espellere i « melancholicos terrores ». 15 Nel quinto libro, capitolo 28 della stessa Fisionomia dell’uomo, Della Porta ripete che la presenza della nube sulla fronte è segno di uomo « travagliato dal demonio o da qualche affanno ». 16 In un altro passo del sesto libro della stessa opera (cap. 4) che sembra ripreso da una famosa pagina del De praestigiis daemonum di Wier, Della Porta distingue tra varie forme di malinconici. Oltre a credere di essere animali o fatti di creta, per esempio, alcuni malinconici, scrive Della Porta, pensano « che siano indemoniati e che i loro inimici l’abbino affatturati ». 17 La possessione demonica come possibile illusione della malinconia stessa è assente dalla precedente De humana physiognomonia, che non fa alcun riferimento all’aspetto demonologico. 18 Un significativo cambio di tono si percepisce altresì nella parte iniziale della Coelestis physiognomoniae (1603), che dopo aver stabilito nel proemio il tema centrale, lo studio dell’aspetto anche detto « aria » di un essere umano, Della Porta inizia il suo lavoro con il sostegno dell’autorità di « sacrarum scriptorum », cioè testi cattolici, a parte un’allusione all’Epistola ad Anebonem di Porfirio, a cui Della Porta fa dire, e cito dalla versione italiana, che « i demonii, i cui animi sono iniqui, hanno i corpi ancora brutti ». 19 Quest’epistola sugli errori del vaticinio e la teurgia, sebbene centrata sul tema del demone, era citazione poco rischiosa, visto che Agostino stesso nel De civitate Dei (l. 10, cap. 11) esprime un’opinione nel complesso positiva del breve testo di Porfirio. Ma a Porfirio Della Porta abilmente fa seguire una serie di riferimenti alla bellezza di Cristo e all’impossibilità di farne un ritratto su tela, usando fonti che non erano sconosciute alla relativamente vasta letteratura cattolica dedicata alla Sacra Sindone, trasportata a Torino nel 1578 e di cui si ricordano la prima  





































































gnomonia liber, in Scriptores physiognomonici Graeci et Latini, vol. 1, a cura di Richard Förster, Leipzig, Teubner, 1893, pp. 108-110 ; Divi Alberti Magni, De animalibus libri vigintisex, Venezia, impensa heredum … Octaviani Scoti, 1519, p. 7r. 13  Pierre de Lancre, Tableau de l’inconstance des mauvais anges et demons, Parigi, Nicolas Buon, 1613, p. 192. 14   FisII, p. 316. 15 16   Ivi, p. 317 ; G. B. Della Porta, Phytognomonica, cit., pp. 532-533.   FisII, p. 536. 17   Ivi, pp. 565-566. Cfr. Iohann Wier, De praestigiis daemonum et incantationibus ac veneficiis, Basileae, per Ioannem Oporimum, 1564, libro 2, cap. 23, p. 194. Su questo tema, si veda Michaela Valente, Johann Wier, Firenze, 18 Olschki, 2003, pp. 205-206 e 275-282.   Hum, p. 549. 19   Coel, p. 11 ; FisII, p. 193. Cfr. Porphirius, Epistola ad Anebonem Aegyptium, in Iamblichi calcidensis, De misteriis, Oxonii, E Theatro Sheldoniano, 1678, n.n.  





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parte delle Dicerie sacre di Marino (1614) e i due panegirici di Tesauro Il commentario (1627) e La simpatia (1656). 20 L’evoluzione del concetto di demonio in Della Porta accompagna quindi il suo progressivo riflettere sulla propria fisionomia intellettuale. Della Porta aveva enfatizzato la sua disposizione, vera o presunta, a rispondere ai misteri della natura consultando la natura stessa, i suoi fenomeni, in dialogo con le testimonianze degli antichi che venivano ad arricchire le potenziali rivelazioni dell’orizzonte naturale. Per questo il lavoro finale del Nostro, la Taumatologia, rimasto a livello di abbozzo con soli pochi capitoli completati tra il 1606 e il 1615, e che doveva essere la summa di tutta la sua conoscenza e sperimentazione, è particolarmente problematico. La progettata Taumatologia, a nostro parere, ha reso un cattivo servizio a Della Porta, perché nella lettura delle pagine rimaste si è voluto vedere un completamento del vasto corpus di Della Porta, come se egli, dopo anni di segretezza, avesse infine rivelato la sua reale posizione su un tema così scottante. Quindi, come si è detto alle volte di Campanella, avremmo un Della Porta ufficiale e un Della Porta privato e discutibile. 21 Tuttavia, è Della Porta stesso a sottolineare nella lettera dedicatoria all’Imperatore Rodolfo che questa sua nuova opera deve chiamarsi « nuova per le novità delle materie, per la maggior parte non mai più intese né imaginate da altri » ed anche perché « apre la porta a nuove filosofie, a nuove speculazioni, a nuovi e più profondi misteri, stati gran tempo nascosti ne’ più occolti penetrali della natura ». 22 Non si può concordare con la visione di William Eamon, ad esempio, il cui importante ed esaustivo lavoro sui segreti della natura nel Rinascimento propone un’evoluzione nella posizione del Nostro a riguardo della demonologia. È vero, come Eamon sottolinea, che Della Porta sin dalla prima edizione della Magia naturalis distingue tra le due convenzionali forme di magia, ma nella Magia Della Porta non mostra alcun interesse nel ruolo dei demoni nella magia nera. 23 È altrettanto vero che nella Taumatologia e Criptologia Della Porta insiste sui rimedi naturali contro le influenze demoniache, ma questa sua posizione non è necessariamente contraria alla visione della chiesa cattolica, prima di tutto perché dedicando una tale enorme, e per lui totalmente insolita, attenzione al tema Della Porta ne esalta anche l’importanza, ma anche perché il discrimine tra pratiche spirituali e rimedi medici non era così nettamente separato nella demonologia ortodossa. Della Porta spiega che i demoni ingannano gli esseri umani con la loro maggiore conoscenza della natura, e questa affermazione è in sintonia con la visione della Chiesa. Inoltre, nella Bibbia stessa, come Della Porta stesso ricorda, si riscontrano casi di cure ‘naturali’ contro i demoni. Ad esempio, nella Criptologia (l. i, cap. 2) il Nostro fa menzione della storia dell’angelo Gabriele che aveva scacciato un demone da Sara usando il cuore di un pesce (Tobia 8 :3). 24 Girolamo Menghi, il può famoso esorcista del tempo, aveva già fatto riferimento a questo passo biblico nel suo famoso trattato Flagellum daemonum (1578), laddove, parlando della preparazione dell’indemoniato all’esorcismo, scrive che certe piante o cibi hanno la capacità di attenuare l’attacco demoniaco. 25  





















20   Studio questa letteratura in The Word’s Self-Portrait in Blood : The Shroud of Turin as Ecstatic Mirror in Emanuele Tesauro’s Baroque Sacred Panegyrics, « Journal of Religion », x (2005), pp. 582-608. 21   Si legga, ad esempio, la discutibile interpretazione del De siderali fato vitando di Campanella in Daniel Pickering Walker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, University Park, Pennsylvania State Universi22 ty Press, 2000, p. 228.   Tau, p. 1. 23  William Eamon, Science and the Secrets of Nature, Princeton, Princeton University Press, 1994, pp. 206-210. 24   Tau, p. 105. 25   Il trattato di Menghi è contenuto nel Thesaurus exorcismorum, Colonia, Lazari Zetneri, 1608. Il riferimento di Menghi alle qualità delle erbe ed odori è alle pagine 296-298. Studio la tematica dell’esorcismo nel Rinascimento in Satan’s Rhetoric, Chicago, The University of Chicago Press, 2001, pp. 96-136.  





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La Taumatologia non è, a nostro parere, una naturale evoluzione della ricerca di Della Porta. In realtà, il sapere che Della Porta definisce come ‘nuovo’ è già nei primi decenni del seicento una forma di archeologia intellettuale, un sapere del passato, e molti dei segreti non sono nuovi perché li ha già rivelati in precedenti volumi. Come mero esempio, nello stesso capitolo della Taumatologia su « i più ascosti rimedii della natura » si legge di un segreto che il demonio rivela ai suoi adepti attraverso « scongiuri e infami cerimonie » per cui « cavando gli occhi ad alcuni animali in pochi giorni se gli restituiscono migliori » e il loro « sangue sana le ferite della cornea degli occhi », che ritorna nel decimo capitolo della Criptologia ma che in realtà aveva già rivelato in gran dettaglio nel quinto libro (cap. 28) della Phytognomonica. 26 Mentre i primi quattro capitoli della Taumatologia sono per lo più liste di temi da svolgere, il quinto capito ha un carattere programmatico ed ideologico di grande portata. Se l’intera carriera intellettuale di Della Porta era stata dedicata all’investigazione dei « più ascosti rimedii della natura », ora ad un’età avanzata Della Porta propone la sua ricerca come una sfida contro la « fraude » dei demoni i quali, come dichiarano tutti i trattati demonologici del tempo, sebbene « dalla caduta dal cielo restor privi dei gratuiti doni, non per quella perdero i naturali, di conoscer le virtù de’ cieli, de’ metalli, pietre, piante e animali ; e queste manifestano all’uomo », per il quale questi segreti sarebbero « malagevoli a scoprirsi ». 27 Ciò che segue è una lunga diatriba contro le « diaboliche ceremonie, essecrande imprecazioni di parole incognite, ch’altro non sono che bestemmie e maledizzioni del Creatore » e dei sacramenti della sua santa Chiesa. Si potrebbe dire che già nella seconda edizione della Magia naturalis il Nostro aveva fatto una simile affermazione in realtà soltanto per giustificare il proprio lavoro scientifico contro le accuse di Bodin. Ma nel leggere le parti della Taumatologia (inclusa la Criptologia) che Della Porta si curò di scrivere, quelle alle quali diede la priorità, non si può non notare come la grande enfasi sulla demonologia sia accompagnata da un per lui nuovo interesse nel sapere ermetico e neoplatonico, che non era stato parte della sua ricerca. La numerologia e la demonologia sono di fatto le due sezioni portanti del trattato per come è rimasto. Nella « virtù de’ numeri » Della Porta intende esaltare i « divini misterii [...] accostandosi a platonici e pitagorici, ed a i più secreti teologi, cioè cabalisti ». 28 Come si può dare senso a una tale presa di posizione, considerando che in Italia il neoplatonismo ficiniano, come si evince dalla parabola dei trattati d’amore cinquecenteschi, era già concluso, sostituito dalla letteratura devozionale barocca ? Nel suo stadio conclusivo, a cavallo tra i due secoli, la trattatistica sull’amore aveva preso due forme distinte, la prima come centone, come Della magia d’amore di Guido Casoni (1592), tutto basato sul Syntaxeon di Pierre Gregoire e frammenti riciclati da Leone Ebreo per esempio, o La Galatea di Cervantes, che mostra significativi prestiti dai Dialoghi d’amore. La seconda modalità era una nuova forma di sincretismo al riverso, cioè il sapere cattolico controriformistico assorbiva i fondamenti del neoplatonismo e non viceversa, come si legge ad esempio nel discorso accademico L’huomo astratto di Tommaso Garzoni, pubblicato nel 1604, nei Dialoghi di Tasso, fino al Commento sopra il Convito di Platone di Luca Belli (1614). Sarà utile a questo riguardo gettare uno sguardo alla famosa commedia L’astrologo, nella quale Della Porta traccia la figura, al contempo risibile e disprezzabile, di un negromante/astrologo. 29 Albumazar è un « astrologo che trasforma gli uomini in altre persone » e « fa  























































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  Tau, pp.13 e 118-119. Cfr. G. B. Della Porta, Phytognomonica, cit., p. 398. 28   Tau, p. 11.   Ivi, pp. 14-15. 29   Su questa commedia si veda Louise George Clubb, Giambattista Della Porta Dramatist, Princeton, Princeton University Press, 1965, pp. 171-185. 27

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diventare li uomini bestie, asini e becchi, e le donne vacche e scrofe ». La trasformazione temporanea di un uomo in un altro è il fulcro di questa commedia di stampo plautino, e basterà ricordare la sezione finale della seconda Magia naturalis sugli effetti spettacolari prodotti dagli specchi, ma anche, come abbiamo già menzionato, le immagini di teste di cavallo dal liquido di una cavalla durante il coito. Si tratta qui di un palese uso disonesto di illusioni visive naturali, come Della Porta sempre insiste. Ma Albumazar s’intrattiene anche con « spiriti e intelligenze » ed in una scena spiega che in precedenza « stava parlando con una intelligenza mercuriale ». 31 Alla presenza degli esseri spirituali e delle menti angeliche si dedica anche la vasta sezione numerologica della Taumatologia, nella quale i nomi di Ficino e Pico acquistano una centralità estranea alle precedenti grandi opere di Della Porta. Pico è menzionato nel capitolo dedicato alla bellezza del viso, nel quarto libro (cap. 11) Della fisionomia dell’uomo, e nel quinto libro (cap. 6) sugli uomini pensierosi dello stesso trattato e nella Della celeste fisionomia per esaltare le qualità degli uomini « colerici », mentre Ficino è presente, certamente, nel secondo libro della seconda Magia naturalis (cap. 1) attraverso una citazione dal De vita coelitus comparanda (cap. 26) come fa notare Zambelli, ma anche due capitoli dopo (cap. 3) per sostenere che « dalla putrefazione della salvia ne nasce un uccello simile alla merola », tutto ripreso dal De triplici vita (libro 3, cap. 26). 32 Quello che vorremmo proporre alla riflessione del lettore è una possibile risposta a questa radicale trasformazione nella fisionomia intellettuale del Nostro. 33 È nella Taumatologia che Ficino viene utilizzato non per le sue osservazioni sulla natura ma per il suo neoplatonismo, in particolare per la sua profonda conoscenza della ‘potenza dei numeri’, come Della Porta scrive nel secondo libro della Taumatologia, insieme a Platone, Pico e Plotino, le cui « hypostases » Della Porta cita nel capitolo sulla potere del numero 3. 34 Della Porta non ha abbandonato i suoi interessi per la medicina e le scienze della natura e si cura di ripetere che le potenze insite nei numeri sono ‘naturali’, come ha sempre fatto nelle sue opere precedenti, ma la connotazione stessa di che cosa significhi ‘naturale’ è mutata. ‘Naturale’ è sia ciò che lo scienziato osserva nei fenomeni naturali sia l’ordine sacro del creato strutturato secondo interne coerenze numeriche riflesse nelle sacre scritture e nei « secretioribus pythagoricum dogmatibus ». 35 Di nuovo, lo spostamento ideologico si rivela spesso nei dettagli. Ad esempio, il secondo capitolo del secondo libro della Taumatologia affronta l’accordo tra teologia e il potere naturale dei numeri. Nella prima frase Della Porta introduce il potere del numero 5 riferendosi alla « herba pentaphyllion », riprendendo da Plinio (Storie naturali 25.62-63.109) la credenza che funzioni contro il veleno dei serpenti, e in questo riconosciamo il Della Porta della Phytognomonica, ma a questa osservazione aggiunge che questa pianta anche « demonia pellit », affermazione assente dal passo delle Storie naturali. 36 Questo uso ibrido delle fonti è una costante del nuovo Della Porta, se si terrà conto, come ulteriore esem 



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30  Giovan Battista Della Porta, L’astrologo, in Le commedie, vol. 2, a cura di Vincenzo Spampanato, Bari, Laterza, 1910-1911, atto ii, scena ii, p. 324 e atto i, scena iii, p. 314. 31   Ivi, atto i, scena iii, p. 312 e atto i, scena iv, p. 314. 32   FisII, pp.472 e 492 ; G. B. Della Porta, Della celeste fisionomia, cit., libro 2, cap. 40, pp. 244-245 ; G. B. Della Porta, Della magia naturale, cit., p. 46. Utilizzo la seguente edizione latina/inglese del testo ficiniano : Marsilio Ficino, Three Books on Life, a cura di Carol V. Kaske, John R. Clark, Binghamton, New York, Medieval & Renaissance Texts & Studies, 1989, p. 386. Cfr. P. Zambelli, White Magic, Black Magic in the European Renaissance, cit., p. 33. 33   Cfr. Gabriella Belloni, Conoscenza magica e ricerca scientifica in Giovan Battista Della Porta, in Giovan Battista Della Porta, Criptologia, a cura di Gabriella Belloni, Roma, Centro internazionale di studi umanistici, 1982, pp. 45-101. Per una visione d’insieme di questa tematica, si veda Donato Verardi, Ateismo e magia nell’età della Controriforma. Note di demonologia dellaportiana, « Rinascimento meridionale », v (2014), pp. 117-128. 34 35   Tau, l. ii, cap. 12, p. 48.   Ivi, l. ii, cap. 1, p. 25. 36   Ivi, l. ii, cap. 2, p. 27.  









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pio, dell’uso frequente che fa del Somnium Scipionis di Macrobio, in particolare nell’esame del numero 7, che era stato il tema del lungo trattato Il settenario dell’humana riduttione di Alessandro Farra (1571). Prima di parlare dei sette spiriti « qui assistunt trono Dei, haurientes a septiforme Dei nomine eas vires quas influunt in planetas », con un rinnovato ritorno all’astrologia, Della Porta trascrive un passo dal sesto capitolo di Macrobio che è un dettagliato esame medico, attribuito a Diocles Caristius, dello sviluppo dell’embrione nel ventre materno secondo un processo di sette giorni. 37 La nuova connotazione del demone, o meglio del demonio, viene quindi a sintetizzare la nuova, paradossale posizione di Della Porta, il quale nella sua summa conclusiva da una parte desidera smascherare la frode degli spiriti caduti che, come il disonesto mago della commedia L’astrologo, fanno passare per miracolo ciò che è naturale, dall’altro introduce una dimensione ermetica che appare inseparabile dall’accettazione della reale presenza e pericolo del demonio. Vorremmo proporre un’ipotesi conclusiva. Si rileggano le accuse di Bodin a Della Porta nella Demonomanie. L’accusa contro il Nostro non si limita alla questione dell’unguento delle streghe ma fa parte di un attacco più ampio. Il sarcastico Bodin contrappone la « l’impieté de ceste belle magie blanche », in particolare il suo uso delle immagini connesse agli influssi astrologici di cui si è fatto promotore un « sorcier neapolitain », alla « meilleure conscience » dei pitagorici ed accademici che intendevano adorare Dio. 38 Questo sapere degli antichi aveva quindi avuto un’origine teologicamente positiva. È impossibile non notare un’eco tra la ‘migliore coscienza’ dei pitagorici secondo Bodin e lo spirito che anima la Taumatologia, come se Della Porta si fosse infine appropriato dell’immagine e del sapere che i suoi detrattori gli avevano attribuito erroneamente e l’avesse assorbita al suo progetto scientifico, in tal modo amplificando l’area della sua ricerca dei misteri della natura, spingendosi laddove non aveva osato spingersi in passato. In questo quadro acquista un nuovo significato l’enfasi sulla presenza demoniaca nel creato, di cui onestamente Della Porta afferma di essersi accorto quando era già anziano. Ciò che potrebbe apparire come un tardo, anacronistico sincretismo si rivela essere quindi un nuovo impulso scientifico.  



















37   Tau, p. 55. Utilizzo la seguente edizione inglese : Macrobius, Commentary on the Dream of Scipio, a cura di William Harris Stahl, New York, Columbia University Press, 1990, p. 113. 38  Jean Bodin, De la demonomanie de sorciers, Parigi, chez Iacques du Puys, 1581, l. ii, cap. 1, p. 53v.  

L’ARTE DELLA MEMORIA IN GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA Paolo Piccari 1. Le fonti

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urante i secoli xv e xvi e fino ai primi decenni del xvii le opere di mnemotecnica ebbero una straordinaria diffusione in Europa per poi cadere nell’oblio con la diffusione del libro a stampa, che relegò l’ars memorativa al rango delle curiosità, rendendo superflua ogni forma di memoria artificiale. 1 Soltanto se si tiene conto del successo che la mnemotecnica ebbe nel Rinascimento, non destano stupore le aspre critiche ad essa rivolte da Cornelio Agrippa, Erasmo da Rotterdam, Michel de Montaigne e Wolfgang Ratke, che consideravano la memoria artificiale come un mostruoso sistema di immagini e formule, una precettistica rigida e prolissa, in grado di corrompere la memoria naturale e la cultura viva. Tuttavia, come osserva Paolo Rossi, è proprio questa precettistica che contribuisce al costituirsi della logica nova da Bacone a Leibniz. 2 Insomma, la trattatistica sulla memoria artificiale variamente utilizzata nell’ambito dell’arte retorica e delle tecniche di persuasione, nei molteplici tentativi di formulare un’enciclopedia del sapere o classificazione delle scienze, all’interno del magismo e della fisiognomica, si ritrova al crocevia di filoni di ricerca eterogenei, che vedono impegnati filosofi, retori, logici, medici e occultisti di vario rango e spessore : si spazia da temi e problemi di carattere retorico e logico all’utopia di una lingua perfetta fino a perdersi nella selva del sapere magico-occultistico. 3 Nonostante le critiche appena ricordate, l’idea di un’arte della memoria che possa svilupparsi meccanicamente si rafforza quando, tra la metà del xvi secolo e la metà del xvii, s’incontrano tre diverse tradizioni di arte della memoria : 1) quelle ispirate a Cicerone (De oratore), a Quintiliano (Institutio oratoria), allo pseudo-Cicerone (Rhetorica ad Herennium) ; 2) quelle derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele e dai relativi commentari di Alberto Magno, Tommaso e Averroè (cui si devono aggiungere il De bono di Alberto Magno e la Summa theologiae di Tommaso) ; 3) infine quelle riconducibili all’ars magna di Raimondo Lullo. Accanto alla mnemotecnica influenzata dall’ermetismo rinascimentale, come ben ha osservato Frances Yates, 4 troviamo il filone più importante della mnemotecnica cinquecentesca, quello derivante dalla trattazione scolastica della memoria, che ebbe nell’ordine domenicano il suo centro più fecondo. Entrambi domenicani, infatti, sono Johann Host von Romberch e Cosma Rosselli, rispettivamente autori del Congestorium artificiosae memoriae (1520) 5 e del Thesaurus artificiosae memoriae (1579) che, nell’ambito della tradi 

















1  Cfr. Frances A. Yates, The Art of Memory, London, Routledge & Kegan Paul, 1966 (trad. it. di Albano Biondi, L’arte della memoria, Torino, Einaudi, 1984, pp. 116-117), e Lina Bolzoni, Lo spettacolo della memoria, in Giulio Camillo, L’idea del theatro, a cura di Lina Bolzoni, Palermo, Sellerio, 1991, p. 17. 2  Cfr. Paolo Rossi, Clavis Universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna, il Mulino, 20003, pp. 25-31. 3   Sul rapporto tra i sistemi mnemotecnici e la ricerca della lingua perfetta si veda Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 19992, pp. 184-187. 4  Cfr. F. A. Yates, L’arte della memoria, cit., pp. 105-106. 5   Al 1562 risale il suo adattamento in italiano di Lodovico Dolce, il Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar la memoria.

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zione scolastica, possono essere considerati i testi di mnemotecnica più significativi del Cinquecento. Traspare evidente da questi trattati l’intento precettistico di fornire ai frati dell’ordine domenicano uno strumento utile ed efficace nell’esercizio dell’ars predicandi. La memoria artificiale posta al servizio dei predicatori si rivelava così un prezioso strumento per ricordare e predicare i sermoni. 6 La mnemotecnica di Romberch, che ben conosce le fonti classiche già ricordate (Rhetorica ad Herennium, De oratore, Institutio oratoria quintilianea), è fondata principalmente sulla lezione di Tommaso, come testimoniano le frequentissime citazioni dalla Summa e dal commentario al De memoria et reminiscentia. Romberch menziona anche il giurista Pietro da Ravenna, autore della Phoenix, sive artificiosa memoria (1491), e Francesco Petrarca, il quale è peraltro citato anche in altri trattati della memoria coevi quali, ad esempio, la Plutosofia (1592) del francescano Filippo Gesualdo e la Piazza universale (1578) del canonico lateranense Tommaso Garzoni, come pure nel capitolo x (De arte memorativa) del De vanitate scientiarum (1530) di Cornelio Agrippa. Perché il poeta aretino ebbe così grande rilievo nella trattatistica sulla memoria ? Forse egli scrisse un’Ars memorativa poi perduta, ma appare più verosimile che la sua autorità nel campo della mnemotecnica gli derivi dai Rerum memorandarum composti tra il 1343 ed il 1345. 7 Romberch prende in esame tre diversi sistemi di luoghi : il primo è costruito sul modello rappresentativo dell’universo con le sfere degli elementi, dei pianeti e delle stelle fisse, le sfere celesti e le sfere degli ordini angelici ; il secondo si basa sui segni zodiacali secondo le indicazioni fornite da Metrodoro di Scepsi, conosciute da Romberch attraverso il De oratore di Cicerone e l’Institutio di Quintiliano ; infine, il terzo e più consueto sistema consiste nella tecnica di fissare nella memoria luoghi reali in edifici reali. Analoga prospettiva sembra avere Rosselli, sebbene nel suo Thesaurus egli privilegi la memoria artificiale ispirata all’Inferno ed al Paradiso danteschi, concepiti come due sistemi di luoghi della memoria. Al centro dell’Inferno, in mezzo al fuoco ed al fumo, si trova Lucifero, al quale si giunge salendo quattro piani circolari concentrici : il primo ospita gli ipocriti, il secondo gli idolatri, il terzo gli ebrei infedeli e l’ultimo gli eretici. Tutt’intorno vi sono sette luoghi destinati ciascuno ai sette peccati mortali. Al centro del Paradiso, circondato da una muraglia tempestata di gemme preziose, sta il trono di Cristo, al di sotto del quale sono disposti i luoghi delle gerarchie celesti, degli apostoli, dei patriarchi, dei profeti, dei martiri, dei confessori, delle vergini, dei santi ebrei e quindi la « turba innumerabilis sanctorum ». Come Alberto e Tommaso, così anche Romberch e Rosselli intendono isolare le mnemotecniche dalle influenze magico-occultistiche dell’ars notoria 8 per collocarle su un piano prettamente razionalistico. 9 Nel solco tracciato da Romberch e Rosselli si colloca Della Porta con L’arte del ricordare (1566), edizione in lingua volgare, curata da Dorandino Falcone da Gioia, di un’inedita versione latina, che sarà pubblicata soltanto nel 1602. 10 Come Romberch e Rosselli, anche il filosofo napoletano si richiama soprattutto ad Aristotele e Cicerone, soprattutto allo pseudo-Cicerone della Rhetorica ad Herennium, ai quali s’affian 























6   Si veda in proposito Mary Carruthers, The Book of Memory. A Study of Memory in Medieval Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 1990. Cfr. anche P. Rossi, Clavis universalis …, cit., pp. 42-43, e F. A. Yates, L’arte 7  Cfr. F. A. Yates, L’arte della memoria, cit., pp. 93-94. della memoria, cit., pp. 76-96. 8  L’ars notoria è una mnemotecnica magica attribuita ad Apollonio di Tiana o talvolta a Salomone. Tommaso la condanna ripetutamente, definendola nella Summa theologiae (ii, ii, q, xcvi, a. 1) un’arte falsa e superstiziosa. Cfr. Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, ii, New York, MacMillan, 1923, pp. 279-289. 9  Cfr. F. A. Yates, L’arte della memoria, cit., p. 78, e P. Rossi, Clavis universalis …, cit., pp. 39-40. 10   Per un’introduzione alla vita e alle opere di Della Porta, mi permetto di rinviare a Paolo Piccari, Giovan Battista Della Porta. Il filosofo, il retore, lo scienziato, Milano, FrancoAngeli, 2007.

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ca Plinio il Vecchio, dalla cui Naturalis Historia attinge ampiamente : ciò vale tanto per la parte espositiva e storica quanto per quella precettiva. 11 Secondo Lina Bolzoni, con L’arte del ricordare Della Porta non si colloca nella tradizione della mnemotecnica rinascimentale, che si proponeva di fare della memoria uno strumento di conoscenza, una clavis universalis per rendere comprensibile la realtà, 12 ma sostanzialmente indifferente ai sofisticati modelli elaborati da Giulio Camillo e Giordano Bruno sembra deciso a ricondurre l’arte della memoria nel tranquillo alveo della tradizione retorica ciceroniana, senza che ciò gli impedisca di formulare notazioni innovative sulla lingua e sul linguaggio. 13  







2. Le immagini della memoria L’opera di Della Porta, dunque, è estranea a qualsivoglia suggestione magica, avendo un impianto eminentemente retorico, mentre largo spazio viene in essa concesso alla pittura, come, ad esempio, nel primo capitolo ove si illustra il meccanismo che determina la trasmissione delle immagini sensibili alla memoria. L’intelletto che poi rielabora le immagini della memoria assomiglia al pittore che restaura un affresco offeso dal tempo :  

L’ufficio della immaginativa, la qual ha la sua stanza nel capo, si è di formare per mezzo delle finestre sue, che sono gli occhi, l’orecchie e ‘l naso e l’altre simili, a guisa d’un pittore eccellente, un ritratto delle cose materiali e di disegnar co ‘l suo pennello nella memoria, che come una tavola ben acconcia le sta innanzi, accioché, venendoci poi voluntà di ricordarci di quello, per mezzo dell’intelletto, che tosto alla memoria ricorre, e qui quella ideale pittura contempla, ci ricordiamo delle cose che noi vogliamo, a punto come se ci fussero presenti sugli occhi. E come talor veggiamo che, o per difetto della tavola o pur di colui che disegnando non preparò né compartì bene i colori, viene dopo qualche tempo quella pittura a sconciarsi, se ella sarà talmente guasta che non vi appaiano punto i suoi pristini lineamenti, noi ci ritroviamo aver perso il ritratto di quella cosa insieme con la memoria. Ma se tanto ne resta in piè che il pittore con l’aiuto di quel poco, circonscrivendo le margini intorno e tirando da un capo all’altro la linea, ne può risarcire la pittura, ed il ritratto se ne reintegra, la memoria riprende vita. E questo è quello che chiamiamo il ricordarci. 14  

A giudizio del filosofo napoletano la « memoria non è altro che un’intiera pittura custodita in quella tavola animata che noi chiamiamo cerebro ; reminiscenza o ricordare, poi, è quello reintegrare delle parti che vi mancano con l’aiuto di quelle che vi restano in piedi ». 15 Giacché nell’arte della memoria è fondamentale l’utilizzazione delle immagini, Della Porta osserva che risulta assai difficile rammentare parole che non possono essere espresse in immagini :  









Noi chiamamo ricordar dal proprio sempre che ci ricorderemo parole c’hanno le loro immagini, e cominciaremo da queste che si son dette, per esser più facili : perché ciascuno, avendo a dipingere queste nella memoria, saprà meglio dipingere una tavola o pietra, che un perché o tanto, che non sa come siano fatti. Così l’ingegno di colui che si esserciterà, s’avvezzerà a poco a poco a ricordarsi. 16  



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 Cfr. Raffaele Sirri, Introduzione ad Ars, p. xvi.  Cfr. Lina Bolzoni, Retorica, teatro, iconologia nell’arte della memoria di Della Porta, in *Giovan Battista nell’Europa del suo tempo. Atti del Convegno, Vico Equense 29 settembre-3 ottobre 1986, a cura di Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1986, p. 348. 13   Si veda in proposito R. Sirri, Introduzione…, cit., pp. xvi-xvii, il quale osserva che « dove l’a. [Della Porta] affronta il tema della convenzionalità dei topoi retorici e, in sostanza, della lingua nel suo sistema ; dove pratica molteplici annessioni e mutazioni dalla coeva teorizzazione dell’arte pittorica in rapporto con le altre arti espressive : dove interpreta i valori espressivi dei geroglifici e viene alla formulazione di sistemi grafici e gestuali paralleli a quello alfabetico usuale, si coglie l’essenza di una nuova tematica connessa con l’arte della memoria ». 14 15   Ars, A’ lettori, p. 56.   Ibidem. 16   Ivi, x, p. 76. 12









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Al motivo dell’ut pictura poësis, che permea tutta l’opera, si affianca, come nota Lina Bolzoni, quello dell’ut pictura memoria, che sottolinea la somiglianza tra la prassi della pittura e quella della mnemotecnica. 17 Quest’ultima, che si pone come disposizione universale alla riproduzione artificiale dei meccanismi naturali, non interessa soltanto il mondo umano, ma anche quello delle altre specie animali. Della Porta, infatti, ricorda il cavallo di Dario per sottolineare l’efficacia mnemonica che deriva dall’associare una viva emozione ad un luogo :  



Né mi posso imagginare uomo così insensato e sciocco che, passando per un luogo, non venga tosto a ricordarsi, ancor ch’esso non voglia, di cosa che qui gli accadesse o facesse e che di molto piacere o dispiacere li fosse. Il cavallo di Dario, passando per quel luogo dove la sera innanzi avea della cavalla goduto, tostò si ricordo del fatto, ed annitrendo fu caggione che il suo cavaliero ne fosse, come vuol Trogo, della corona di Persia adorno. 18  

È questo il tema delle imagines agentes, cioè di quelle immagini extraordinarie in grado di colpire, di scuotere, di far emergere emozioni e ricordi, al quale Della Porta attribuisce uno speciale rilievo nel solco della tradizione classica. La forza delle imagines agentes risiede nella loro capacità di sovvertire la normalità della percezione, di rompere i consueti schemi spazio-temporali del senso comune, di suscitare vivaci emozioni : 19





[…] si quas res in vitas videmus parvas, usitatas, cottidianas, meminisse non solemus propterea quod nulla nova nec admirabili re commovetur animus : at si quid videmus aut audimus egrege turpe, inhonestum, inusitatum, magnum, incredibile, ridiculum, id diu meminisse consuevimus. […] Solis exortus, cursus, occasus nemo admiratur, propterea quia cottidie fiunt ; at eclipsis solis mirantur, quia raro occidunt, et solis eclipsis magis mirantur quam lunae, propterea quod hae crebiores sunt. Docet ergo se natura vulgari et usitata re non exsuscitari, novitate et insigni quodam negotio commoveri. Imitetur ars igitur naturam et, quod ea desiderat, id inveniat, quod ostendit, sequitur. 20  





Cicerone scrive nel De oratore che coloro i quali intendono esercitare la memoria devono fissare dei luoghi immaginari, raffigurarsi mentalmente le immagini delle cose da ricordare e collocarle in tali luoghi, cosicché l’ordine di questi ultimi rispecchi l’ordine delle cose e le immagini delle cose denotino le cose stesse : « Itaque iis, qui hanc partem ingenii excercerent, locos esse capiendos et ea, quae memoria tenere uellent, effigenda animo atque in iis locis collocanda ; sic fore, ut ordinem rerum locorum ordo conseruaret res autem ipsas rerum effigies notaret atque ut locis pro cera, simulacris pro litteris uteremur ». 21 La memoria quindi si fonda su un articolato sistema di luoghi e di immagini, ove i luoghi rappresentano spazi facilmente memorizzabili (le sale di un palazzo, i palchi di un teatro, il colonnato di un tempio) e le immagini assolvono la funzione di rappresentare gli oggetti da ricordare. Secondo Aristotele, affinché la memoria (mnhvmh) possa funzionare correttamente, è necessaria la presenza dell’immagine o fantasma (favntasma), che favorisce lo stabilirsi di relazioni molto strette non solo tra la memoria e l’immaginazione (favntasiva aijsqhtikhv),  









17  Cfr. L. Bolzoni, Retorica, teatro …, cit., p. 350. Nel trattare dello stretto legame tra la tecnica pittorica e la mnemotecnica Della Porta commette un plagio : infatti, come nota Bolzoni (Lina Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995, pp. 220-221) la parte dell’Ars (cap. vi del testo latino e cap. viii della traduzione volgare) dedicata alle immagini di memoria delle storie “composite” è copiata dal ii libro del De pictura di Leon Battista Alberti. 18   Ars, iii, p. 62. 19   Sono così chiamate nella Rhetorica ad Herennium (iii, xxii, 37) e nel ciceroniano De oratore (ii, 358). 20  [Cicero], Ad C. Herennium De ratione dicendi (Rhetorica ad Herennium), edited by Harry Caplan, iii, xxii, 35-36, London-Cambridge, Mass., William Heinemann-Harvard University Press, 1964, pp. 208-210. 21   Cicerone, De oratore, texte établi et traduit par Edmond Courbaud, Paris, Les Belles Lettres, 1966, p. 154.  

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ma anche tra la memoria e la sensazione. Lo Stagirita, inoltre, riteneva che il ricordo (ajnavmnhsi~) fosse facilitato dall’ordine e dalla regolarità. 22 Della Porta suggerisce di utilizzare come imagines agentes esclusivamente immagini di persone (meglio se di sesso femminile), conferendo così al suo sistema mnemonico le caratteristiche di una rappresentazione teatrale in cui sono presenti personaggi con diversi ruoli : « Noi porremo ne’ già detti luoghi alcune persone da noi più conosciute, non già qualunque ci capiterà per le mani o ci verrà in fantasia, ma faremo una scelta de più cari amici, di diece o venti donne bellissime, le quali abbiamo amate o reverite ». 23 La regola dettata dalla tradizione secondo cui le imagines agentes devono essere particolarmente efficaci dal punto di vista emotivo viene applicata dal filosofo campano senza alcuna pruderie. Ci ricorderemo, egli scrive, più facilmente degli amori tra la matrona e l’asino raccontati da Apuleio che delle leggendarie imprese compiute dagli antichi romani :  











Vediamo ancora che ci ricordiamo delle cose maravigliose, perché la maraviglia nasce dalla novità. […] Ci ricordiamo anco delle cose facilmente che ne muovono a giuoco o a riso. Perché il riso nasce dalla maraviglia, e le cose più tosto disoneste e brutte ci fanno ridere che le buone. Ci ricordiamo più della gentildonna e dell’asino che ne descrive Apuleio che dell’onorato atto di Regolo o di Muzio Scevola. Ci ricordiamo ancora delle cose che ne piacciono, e, ancora che non vogliamo, la memoria ce le rappresenta dinanzi, là dove delle cose che ne dispiacciono non solo non ce ne ricordiamo, ma le aborriamo anco co ‘l pensiero, e fuggiamo più che possiamo il ricordo di loro con la imaginativa. […] S’io voglio ricordarmi di innamorato, non fingerò la persona del luogo ben vestita ed acconcia sospirare e far simili altre cose convenienti ad un gentiluomo innamorato, ma la dipingerò qual descrive Ovidio Polifemo innamorato, con la falce radersi la barba, co ‘l rastro pettinarsi la testa, specchiarsi nell’acqua, con un strumento di musica strano sonare e cantare. Perché, essendo così ridicola la immagine, mi desterà con maggior agevolezza il ricordo nella memoria. Il simile potrai fare ancora nell’altre cose. 24  

Parimenti efficaci sono le immagini orribili e cruente e le opere dei grandi pittori, come pure le figure di persone che si distinguono per esemplare beltà o tratte da una teratologia fantastica :  

Le cose orribili e spaventevoli ci danno ancora causa di ricordo, perché l’orribilità del fatto ci tiene per qualche tempo l’animo percosso e sospeso ; e ci ricordiamo più di coloro che muoiono per forza di atrocissime giustizie che di coloro che muoiono di febri o d’altre malattie. Ci ricordiamo ancora delle cose varie fra loro e differenti : che se ne’ cibi e nella musica ci dà più diletto la varietà che l’abbondanza, nelle cose della pittura e della memoria sono non solo utili ma necessarie. Di una pittura di Michel Angelo o di Tiziano ci ricordiamo meglio che di quella d’un pittore comune, perché dove in queste si veggono ogni giorno cose solamente ordinarie, così in quelle si veggono diversi movimenti ed insolite attitudini. Se adunque ciò conosciamo, perché non dobbiamo noi seguir quello che la natura istessa ci mostra ? Ora, con ogni nostro pensiero al figurare, facciamo le imaginazioni nelle persone che gagliardamente muovano le membra, che imitino gli atti degli istrioni più del solito grandi, ornati di colori splendenti e vivi, di diversi siti, di bellezza e bruttezza incomparabili e di altri predicamenti che ne rappresentino all’animo una nuova, strana, maravigliosa, inusitata, piacevole e spaventevole pittura. 25  







3. I luoghi della memoria La topica di Aristotele ha una funzione di assoluto rilievo nella mnemotecnica dellaportiana, in quanto essa rappresenta l’elemento che unifica e raccorda poesia, pittura e memoria. A tale proposito, egli sottolinea la valenza fisica dei topoi aristotelici :  

22  Cfr. Aristotele, De memoria et reminiscentia, in Parva naturalia, edited and translated by William David Ross, Oxford, Clarendon Press, 1955. Cfr. in proposito P. Rossi, Clavis Universalis …, cit., pp. 32-33. 23 24 25   Ars, vii, p. 70.   Ivi, xi, pp. 78-79.   Ibidem.

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Dice Aristotele nel libro della Reminiscenza che l’animo nostro si move con molta agevolezza ne’ luoghi. E quantunque alcuni per li luoghi intendano e interpretino i luoghi topici, non di meno Temistio, eccellente peripatetico, intende di questi luoghi materiali. Ma che cosa potrà far mai che con più ordine un ricordo proceda, che assegnarlo ai luoghi che si seguano l’un l’altro ? Perché, dove non è ordine, ivi è confusione. E poiché si trovano tutte queste cose ne’ nostri luoghi, incominciamo a distinguerli e a raggionarne particularmente. 26  



La memoria si attiva pienamente, secondo Della Porta, quando si ripercorrono mentalmente nella loro dispositio i “luoghi” concepiti allo scopo di ricordare cose o avvenimenti secondo un preciso ordine. In un sistema mnemotecnico, infatti, è previsto sul piano espressivo un articolato complesso di loci mentalmente concepiti (le sale di un palazzo, le strade e le piazze di una città, gli ordini di palchi di un teatro, ecc.) cui sono associate immagini che rivestono la funzione di unità lessicali, mentre sul piano del contenuto le cose da ricordare (res memorandae) sono disposte secondo criteri logico-concettuali : « in tal senso un sistema mnemotecnico è un sistema semiotico ». 27 Nella Rhetorica ad Herennium troviamo elencati alcuni tra i luoghi che devono essere individuati e ordinatamente disposti : « Constat igitur artificiosa memoria et locis et imaginibus. Locos appellamus eos qui breviter, perfecte, insignite aut natura aut manu sunt absoluti, ut eos facile naturali memoria comprehendere et amplecti queamus : ut aedes, intercolumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt ». 28 Per ricordare lo svolgersi di una tragedia o di una commedia, occorre riassumere e fissare gli eventi più importanti in una serie d’immagini disposte secondo l’ordine del testo :  



















Se a me piace di ricordarmi della istoria degli re, quando furono cacciati di Roma, fingo nella prima imagine Tarquinio in abito reale, con una spada in mano, e ch’abbia una donna ignuda in seno nel secondo luogo, la quale fingerò che sia Lucrezia, che piangendo volga gli occhi al cielo in atto che dimostri cedere a forza alla voglia disonesta sua. Fingerò la terza persona parimente Lucrezia afflitta e dogliosa raggionare alla quarta persona vestita da Collatino, il quale sta attonito ad ascoltarla ; ed ella, cavatosi un pugnale di sotto la veste, se ne ferisca mortalmente il petto. La quinta persona, in imagine anco reale, con la corona toltali di testa e dal suo solio deposta, sarà medesimamente Tarquinio. E così nel medesimo modo sempre ci anderemo dipingendo la istoria tutta. 29  



L’accorgimento mnemonico proposto da Della Porta è un invito esemplare ad esercitarsi nella visualizzazione del testo narrativo, a trasporlo in immagini vive. Tale modo di fruizione del testo oltrepassa i confini dell’arte della memoria, tanto da essere presente anche in alcuni commenti all’Orlando furioso della fine del Cinquecento. 30 Il filosofo campano suggerisce l’edificazione di un vero e proprio teatro mentale, ove appaiono e si muovono i personaggi che necessitano allo svolgimento della rappresentazione. Affinché costoro agiscano, sarà opportuno animarli, dotandoli di espressività ed eleganza, di caratteri fisici, morali e psicologici tali da renderlo un carattere o, per meglio dire, un tipo :  



Queste persone si vogliono collocare in piè dritte nel luogo, con le spalle al muro e con le braccia pendenti, accioché possiamo noi poi accomodarle in quelle azzioni che ne sarà necessario. Or, locate che le avremo nel luogo, bisogna con gli occhi della mente contemplarle alquanto, come si vive fossero, e passeggiare loro molte volte vicino e toccarle con mano e chiamarle per dritto e 26

  Ivi, iii, p. 62.   U. Eco, La ricerca della lingua perfetta…, cit., p. 184. Si veda anche Id., I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 19993, pp. 59-61. 28  [Cicero], Ad C. Herennium De ratione dicendi …, cit., iii, xvi, 29, p. 208. 29 30   Ivi, viii, pp. 72-73.  Cfr. L. Bolzoni, Retorica, teatro …, cit., p. 352. 27

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per riverso tante volte che, ritrovandoci poi lontani dal luogo, ce ne ricordiamo come se presenti vi fossimo. 31  

Dunque, l’associazione tra immagine e ricordo si fonda sulla tipologia psicologica e morale dei diversi personaggi, di cui deve essere profondo conoscitore chiunque intende praticare l’arte della memoria. Del resto, tra il Cinque ed il Seicento i trattati di retorica e poetica contenevano una tipologia di caratteri, disposizioni, atteggiamenti e comportamenti cui ispirarsi nella creazione e nella definizione dei personaggi da impiegare come imagines agentes. Nei trattati di retorica, improntati alla massima aristotelica secondo cui l’oratore allo scopo di persuadere il proprio uditorio deve commuoverlo attraverso il pathos, 32 era possibile rintracciare le tecniche per rendere suggestive ed efficaci le immagini memorative. Ai trattati di poetica, invece, si poteva ricorrere per trarre, soprattutto dalle pagine dedicate alla commedia, qualche personaggio topico : il tartufo, l’ardente innamorato, il ciarlatano, eccetera : « un repertorio che il Della Porta, autore di commedie, dimostra di conoscere molto da vicino e di saper maneggiare, e variare, con notevole abilità ». 33 Se, dunque, le parole stanno per le cose naturali, le immagini che sono legate alla scrittura sono consegnate alla memoria tramite l’associazione con le lettere che costituiscono la singola parola. Per tale motivo, Della Porta menziona i geroglifici, segni di una scrittura pittografica, che hanno un’elevata funzione simbolica e sacrale e che sono immagini di memoria ideali per la loro intrinseca virtù di esprimere immediatamente una congerie di relazioni e suggestioni.  











4. Il ricordo delle parole Dopo aver trattato la memoria rerum, Della Porta affronta il tema della memoria verborum, il ricordo delle parole, parole che possono essere trasponibili in immagini, oppure non esserlo, secondo che sia lecito o meno realizzare un’immagine corrispondente al significato della parola. Sarà poi necessario stabilire come l’immagine debba essere associata ai personaggi presenti sul palcoscenico del teatro mentale, affinché tale associazione possa risultare credibile o, comunque, accettabile. 34 Perciò Della Porta suggerisce a coloro che si dedicano alla mnemotecnica di utilizzare i geroglifici :  



Abbiamo parlato delle imagini, che si prendono dalla scrittura della parola ; ora raggionaremo di quelle che si togliono dalla significazione, che è il secondo modo che abbiamo promesso di raggionare per ricordarci dal simile. A ciò fare torremo il modo dagli Egizi, i quali, non avendo lettere con che potessero scrivere i concetti degli animi loro, ed acciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, servendosi di imagini di quadrupedi, di uccelli, di pesci, di pietre, di erbe, e di simili cose invece delle lettere ; la qual cosa noi abbiamo giudicata molto utile per le nostre regole, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini invece delle lettere per poterle dipingere nella memoria. 35  





Altri significati potranno essere espressi mediante i gesti. Si tratta di procedimenti che ricorrono in diversi trattati di mnemotecnica, come, ad esempio, nei già citati Congestorium artificiosae memoriae di Romberch e Thesaurus artificiosae memoriae di Rosselli e nel De me31

  Ars, vii, pp. 70-71.   Nella retorica aristotelica il pathos è quell’insieme di passioni, sentimenti ed emozioni che con il discorso l’oratore è in grado di suscitare nell’uditorio, tenendo conto della loro età e della loro condizione sociale, culturale e politica. 33   L. Bolzoni, La stanza della memoria …, cit., p. 165. 34 35  Cfr. Ars, x, pp. 76-77.   Ivi, xix, p. 91. 32

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moria artificiosa (1595) di Johann Magirus detto Austriacus che, al pari di Bacone, collocava i gesti e i geroglifici nella più ampia categoria dei segni. 36 Nel caso di avverbi e congiunzioni che non si riferiscono a cose materiali come, ad esempio, perché, ovvero, che, è necessario ricavare le immagini dalla scrittura : cioè far corrispondere immagini adeguate alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un termine. Dunque, quando la parola non è traducibile in un’immagine, occorre trasformarla, secondo Della Porta, in modo tale che essa possa essere oggetto di visualizzazione. Egli pensa che ciò sia realizzabile, considerando la parola come insieme di lettere : « Ora trattiamo le spezie del simile, le quali sono molte, e le divideremo in due parti : l’una torremo dalla intenzione della parola, l’altra dalla scrittura, cioè considerando come ella sta. Cominciaremo da questa, che è bene assicurarci in quella ch’è più certa dell’altre ». 37 Le parole sono così soggette a qualsiasi tipo di manipolazione, secondo modalità che Della Porta dichiara di aver desunto dalle opere dei grammatici : aggiungere, togliere, trasporre, mutare, dividere le parole o le sillabe. Se desidero ricordarmi la congiunzione che, sarà sufficiente aggiungere una o all’inizio per avere oche ; in tal modo, la congiunzione che sarà rievocata dall’immagine delle oche. 38 Ma come potrò rammentare il procedimento che ho adottato ? Come riuscirò a legare indissolubilmente l’immagine alla parola ? Della Porta propone di contrassegnare l’immagine mnemonica con particolari indicatori che rievochino inequivocabilmente i procedimenti seguiti. Quindi, se, per esempio, ho aggiunto una lettera alla parola da ricordare, toglierò qualcosa all’immagine che ad essa ho associato, cosicché « l’immagine di memoria diventa […] un rebus, in cui la soluzione si ha per sottrazione ». 39 Sarà quindi sufficiente, secondo Della Porta, togliere la testa alle oche immaginate per ricordarci non il sostantivo oche, ma la congiunzione che :  































Ma perché, potria dir colui che ha da far essercizio di quest’arte, a che segno potrò conoscere io se nella figura vi è aggiunto, mancato, trasposto o altramente alterato ? Perciò che guardandovi mi sarà più difficile a ricordarmi di ciò che mi imaginai che della parola istessa. A questo noi ripareremo con una breve regola, che dobbiamo così figurarci la pittura come è la cosa istessa. Se io ho aggiunto alla dizzione, torrò alla figura, e se ho tolto vi aggiungerò o la mutarò in qualche parte, come per essempio se, volendo ricordarci di che, mi finsi due oche, per dimostrare che la lettera al capo della dizzione è soverchia, torremo il capo all’oche, e la fingeremo così, acciò che il mancamento delle teste alla pittura dinoti la testa della dizzione doversi torre. 40  



Un’altra strada che Della Porta indica è quella di disaggregare la parola in parti anch’esse visualizzabili, in base al metodo seguito dal calligrafo e segretario dell’Accademia dello Sdegno Giovan Battista Palatino nel “sonetto figurato”, che egli riporta e suggerisce come esercizio per i principianti. 41 Tale sonetto, curioso insieme di parole e di immagini, pur essendo stato concepito per un’opera sulle cifre, trova egualmente spazio, dignità e funzionalità in un trattato di mnemotecnica come quello dellaportiano : esso risulta organico ad un sistema segnico in cui la parola, destrutturata e “neutralizzata”, rivela la sua potenzialità iconografica. Le espressioni e il tono di Della Porta testimoniano una passione  



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 Cfr. F. A. Yates, L’arte della memoria, cit., p. 189. 38   Ars, xiii, p. 82.   Ibidem. 40   L. Bolzoni, La stanza della memoria …, cit., p. 100.   Ivi, xviii, p. 89. 41   Ivi, ix, p. 24. Cfr. Giovanni Battista Palatino, Libro nel quale s’insegna a scriver ogni sorte lettera, antica e moderna, di qualunque natione, Roma, per Valerio Dorico alla Chiavica de Santa Lucia, 1561, 2v-4r. Secondo Bolzoni (L. Bolzoni, La stanza della memoria …, cit., p. 100), « procedimenti come questi ci fanno capire quanto forte sia la percezione spazializzata della parola, che viene ridotta appunto a scrittura, a un insieme di oggetti collocati nello spazio della pagina ». 37

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per il nuovo, lo strano, il curioso, che trova il suo pieno soddisfacimento nell’istrionismo tipico del teatro cinquecentesco. 42 In conclusione, è lecito affermare che il sistema mnemotecnico proposto da Della Porta non si discosta dalla tradizione scolastica basata sull’autorità di Aristotele e Cicerone e resta sostanzialmente estraneo a qualsiasi suggestione magica. 43 Pur non rappresentando un’opera particolarmente originale nell’ambito della tradizione dell’ars memorativa, l’Arte del ricordare si rivela tuttavia preziosa per sciogliere l’intricato legame fra pittura, teatro e fisiognomica e per comprendere il gusto e la temperie culturale di quel tempo. 44  





42   A tale riguardo, meritano particolare attenzione le riflessioni di Bolzoni (L. Bolzoni, Retorica, teatro …, cit., p. 371) : « Siamo ora in grado di capire perché questo sonetto-rebus, questo impasto di scrittura e di disegno, sia migrato qui, da un trattato sulle cifre a un trattato di mnemotecnica : i suoi ingredienti nascono dalla manipolazione del messaggio e quindi ne facilitano la memorizzazione, abituano ad una ginnastica mentale in cui si rompe il nesso fra significante e significato imposto dal contesto, si isola la parola nello spazio, la si frantuma così da svilupparne le capacità iconiche ». 43   Non è un caso che Della Porta (Ars, v, p. 66) accusi Metrodoro di Scepsi di « vanagloria e pazzia, poiché, volendo manifestarci gli utili precetti della memoria, fé (come scrive Quintiliano) i suoi luoghi nelle dodici imagini dello Zodiaco, dove trecentosessanta luoghi vi elesse, ponendone uno per grado ». 44  Cfr. L. Bolzoni, Retorica, teatro ..., cit., p. 374 ; Ead., La stanza della memoria …, cit., p. 221 ; Maurizio Cambi, Nota sull’uso delle fonti ciceroniane e quintilianee nell’Ars reminiscendi di Giovan Battista Della Porta, in *Giovan Battista nel iv centenario della sua morte, Atti del Convegno, Piano di Sorrento 27 febbraio 2015, a cura di Alfonso Paolella, Roma, Scienze e Lettere, 1986, pp. 31-41.  















NEL CANTIERE DELLA MAGIA Oreste Trabucco

P

ur oggetto di considerazione in altri contesti, 1 mai, per quanto ci è noto, le Collectaneorum mathematicarum decades xi di Johann Valentin Andreae sono state schiettamente lette in relazione alla diffusione dell’opera di Giovan Battista Della Porta. Ed è tuttavia fruttifero far conto di questa fonte per più d’una ragione : evidentemente, per approfondire la conoscenza della ricezione che degli scritti di Della Porta si compie quand’egli è ancor vivente ; ma così è pure per la peculiare connotazione che ritiene questo ramo della fortuna coeva. Andreae è troppo noto e qui non è da dire che a lui si ascrive la genitura dei testi ispiratori del movimento rosacrociano ; 2 nella sede attuale valga solo rimarcare il fatto che Della Porta, come attesta appunto il teologo luterano autore di Christianopolis, sia sentito pienamente congenere ad ambienti pregni di istanze chiliastiche miste a contenuti magico-ermetici. Ciò che induce ancora una volta a riflettere sulla « ambigua natura della magia » dellaportiana. 3 E tanto più perché Della Porta è assunto come autore emblematico da chi, come Andreae, scienza persegue nello spirito palingenetico ed utopistico di cui Christianopolis è pervasa, ed è così assunto, entro le dette Decades, relativamente ad una costola dei propri opera omnia non immediatamente posta sotto il segno della magia naturalis, ma che dalla sua Magia manifestamente discende. Proemiando alla sezione intitolata alla Statica, Andreae così scrive :  





   









Altera soror statica sic Deus iussit qui mensuris, numeris, ponderibus omnia temperavit. Haec vere humanam audaciam iuvat, & terram ipsam, ut Archimedes ait, si locus alibi immotus daretur, emoveret. Scilicet quae mira alibi sunt, hic non sunt, & Naturae ipsi vis fit, Elementa coguntur, Animalibus iugum imponitur. Hanc plurimum coluit Archimedes, & hostibus feliciter opposuit. Nobis illustre Mauritianum opus. Hier. Cardanus & Gualterius Rivius. In tormentaria re Flurance Rivault. Denique in spiritalibus Hieron & Jo. Bapt. Porta plurimum profuerunt. 4  

Le Decades sono corredate di una cospicua appendice iconografica, centum & decem tabulis aeneis exhibitae ; in una delle tavole allegate si rinvengono riprodotti alcuni disegni di macchine idropneumatiche tratti fedelmente dagli Pneumaticorum libri tres di Della Porta (cfr. Figg. 1-3). La genesi di tale opera, giunta a stampa nel 1601 e presto volta in italiano nel 1606, 5 ha radici lontane, che affondano sin nella prima giovanile Magia del 1558. Qui il preludio della materia prima trasfusa nella Magia in venti libri, poi ampliata così da costituire opera autonoma. Vediamo che tragitto detta materia percorra dal 1558 al 1589 :  





1  Cfr. Marcus Popplow, Court Mathematicians, Rosicrucians, and Engineering Experts : The German Translation of Guidobaldo del Monte’s Mechanicorum liber by Daniel Mögling (1629), in *Guidobaldo del Monte (1545-1607). Theory and Practice of the Mathematical Disciplines from Urbino to Europe, ed. by A. Becchi, D. Bertoloni Meli, E. Gamba, Berlin, Max Planck Research Library for the History and Development of Knowledge, 2013, pp. 293-316. 2  Cfr. Johann Valentin Andreae 1586-1986. Die Manifeste der Rosenkreutzerbruderschaft, a cura di Carlos Gilly, Amsterdam, Bibliotheca Philosophica Hermetica, 1987 e, a cura dello stesso Gilly, Cimelia Rhodostaurotica. Die Rosenkreutzer im Spiegel der zwischen 1610 und 1660 enstandenen Handschriften und Drucke, Amsterdam, In de Pelikaan, 1995. 3   Si richiamano, chiaramente, i saggi fondamentali raccolti in Paola Zambelli, L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Milano, Il Saggiatore, 1991, passim. 4   Johann Valentin Andreae, Collectaneorum Mathematicorum decades xi. Centum & decem tabulis Aeneis exhibitae, Tubingae, Typis Iohan. Alexandri Cellii, 1614, p. n.n. : Statica. 5   Cfr. l’Introduzione a Pneu, pp. ix-xlvi.  



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Di alcuni isperimenti meccanici Sono certi isperimenti di sottilità d’ingegno, degni di non esser sprezzati, separati da ogni mestura, li quali pensiamo che saranno grati alli ingeniosi [...] Un vaso che rivoltato tenga l’acqua Il quale farai in questo modo : fa’ un vaso con il collo longhissimo, e quanto gli è più longo, è più mirabile, e faralo di vetro chiaro, acciò possa vedere salire l’acqua ; questo empielo d’acqua che bolla e quando sarà tutto ben caldo – e se ti pare mettegli del fuoco al fondo in fatto, acciò che non si raffreddi ; fa’ che con la bocca revoltata tocchi l’acqua e vedrai che tutta l’acqua, o quanta ne può tenere, la tira a sé. A questo modo gli investigatori delli secreti della natura dicano che con i raggi del sole si può attegnere l’acqua ne’ monti delle caverne là onde si fa poi la fontana. E di qua ne nascano artiizii non piccioli, nelle meccaniche spirituali, come tratta Girolamo [lat. Hieron], le quali lasciamolo a dire in un altro luoco, come fuore di questo proposito. Il simile anco è raccontato da Vitruvio nel nascimento delli venti, benché ora è venuta in uso famigliare. Così anco un vaso che spira vento. Si può fare in questo modo, facendo una palla a vento di rame, la qual sia tonda e vota, e nella pancia abbia un buco piccolissimo per il quale si mette l’acqua ; e se forse fosse difficile, adopra l’esperimento sopra detto, se accostandosi al fuoco si scalda e non avendo altro spiracolo, di quivi manda fuore un gran soffio, ma un poco umido e crasso. 6  







Di alcuni esperimenti spiritali […] Che un vase riverso tiri su l’acqua Così farai : abbi un vaso di vetro di lungo collo, e quanto sarà più lungo più sarà di meraviglia, che essendo trasparente, possi veder l’acqua quando sale su. Questo si riempia di acqua bugliente e come vedi che è ben riscaldato, overo accostando il fondo al fuoco subito, prima che si raffredda, poni la bocca giù dentro un vase di acqua, che subito se la tira e se l’assorbe. Così dicono gli investigatori de’ secreti della natura : il raggio del sole tira a sé l’acqua e bersela dalle concavità de’ monti alle cime, d’onde nascono le scaturiggini de’ fiumi ; né di qua nascono leggieri arteficii nelle machine spiritali, come dice Erone. Il simile si dice da Vittruvio nel nascimento de’ venti, ma ora sono divenuti in uso domestico. Così ancora : Un vase che butti vento Si può fare, se si farà una balla di rame o di altra materia che sia vacua dentro e rotonda, e che nel ventre abbia un punto strettissimo, per lo quale se l’infonda l’acqua ; e se forse sarà troppo difficile a porcela, serviti del primo secreto. Accostala al fuoco, così si riscalda, e come che non ha altro spiraglio, butterà da quel buco grandissimo vento, ma assai umido per i vapori grossi dell’acqua. 7  









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Qui l’errore del traduttore, indotto dalla peculiare grafia – Hieron [Erone] > Girolamo –, per una sorta di List der Vernunft, ci conduce al modello precipuo fruito dal giovane Della Porta nel succitato capitolo della Magia in quattro libri. E tale modello è il fortunatissimo De subtilitate di Girolamo Cardano, apparso a Norimberga per la prima volta nel 1550, che, fino al 1558, l’anno di stampa della prima Magia, può vantare nove tra edizioni ed emissioni. 8 La  

6   Per maggior agio di lettura si cita dalla versione italiana, qui, come nei seguenti testi volgari cinque e seicenteschi trascritti, con lievi ammodernamenti di grafia ed interpunzione : Giovan Battista Della Porta, De i miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti. Libri iiii ..., In Venetia, appresso Lodovico Avanzi, 1560, ff. 70r-72r. 7   Giovan Battista Della Porta, Della magia naturale ... Libri xx ..., Napoli, Appresso Gio. Giacomo Carlino e Costantino Vitale, 1611, p. 690. 8  Queste, nell’ordine : Norimbergae, apud Ioh. Petreium, iam primo impressum, 1550 ; Lugduni, apud Gulielmum Rovillium sub scuto Veneto, 1550, excudebat Philibertus Rolletius ; Parisiis, ex officina Michaelis Fezandat et Roberti Granjon, 1550 e 1551; Parisiis, apud Iacobum Dupuys, sub insigni Samaritanae in vico D. Ioannis Lateranensis, 1551 ; Lugduni, apud Gulielmum Rovillium sub scuto veneto, 1551 excudebat Philibertus Rolletius ; Lugduni, apud Guliel. Rovillium, 1554 ; Lugduni, apud Philiberti Rolletium, 1554 (altra emissione reca sul frontespizio la sottoscrizione di Guillaume Rouillé) ; Basileae, per Ludovicoum Lucium, 1554.  















nel cantiere della magia

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categoria cardaniana di subtilitas è quanto mai consona al Della Porta della Magia – subtilitatis experimenta sono qui i mechanica experimenta –, essendo così definita :  

Propositum nostri negocii in hoc opere est de subtilitate tractare. Est autem subtilitas ratio quaedam qua sensibilia a sensibus, intelligibilia ab intellectu, difficile comprehaenduntur. Ergo si singula quae subtilitate constant, magnum etiam per se exhibent negotium, suntque difficillima, quid rogo de ea tractatione dicendum erit, in qua omnis subtilitatis ratio explicanda est ? Idque solum apertum et facile videri potest, quod in unaquaque disciplina est obscurissimum. 9  



Ed è probabile che il Della Porta esordiente alle stampe, in cerca di legittimazione intellettuale, sia pure animato da spirito emulativo di fron- Fig. 1. J. V. Andreae, Collectaneorum mathematicarum te al celeberrimo Cardano ; è certo decades xi..., Tubingae, Typis Ioan. Alexandri Cellii, 1614, p. n.n. che, tempestivamente, la prima Magia dellaportiana è acquisita alle assai reputate stampe lionesi dell’editore-umanista, formatosi a Venezia presso i Giolito, Guillaume Rouillé, 10 il quale tra il 1550 ed il 1557 pubblica tre volte il De subtilitate, nel cui corpo gli Pnemautiká di Erone Alessandrino nutrono una parte cospicua del primo libro De principiis, materia, forma, vacuo, corporum repugnantia, motu naturali et loco. Dalla prima alla seconda Magia il capitolo Di alcuni isperimenti meccanici si allarga a comporre due interi libri. La materia idropneumatica mutuata da Erone mediante Cardano diviene costitutiva del libro xix, sotto il titolo Delli secreti dell’aria e dell’acqua, le cui premesse teoriche sono dichiarate nel xviii, Nel quale si tratta del grave e del leggiero :  





Desiderando di scrivere del grave e del leggiero, m’occorrono molte cose piene di maraviglia e degne di scriversi e di molta specolazione, delle quali ce ne potremo servire a molti usi con molta nostra comodità. E se alcuno andrà poi specolando più a dentro, potrà ritrovar molte cose nuove e degne, delle quali ce ne potremo servire a molti usi e assai utili a noi ; dopo questi ragionaremo de’ spiritali, che sono quasi della medesima qualità. 11  



Mirabilia e utiliores usus nel latino originale, i poli del delectare e del docere : la trama gene 

9   Si cita dall’edizione critica Girolamo Cardano, De subtilitate … Tomo i. Libri i-vii, a cura di Elio Nenci, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 53 ; su subtilitas e meccanica in Cardano, dello stesso Nenci : ‘Mechanica’ e ‘machinatio’ nel De subtilitate, in *Cardano e la tradizione dei saperi, a cura di Marialuisa Baldi, Guido Canziani, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 67-82 ; Jessica Wolfe, Humanism, Machinery, and Renaissance Literature, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, p. 11. 10   Lugduni, apud Gulielmum Rovillium, 1561 e 1569. Sul Rouillé cfr. almeno Natalie Zemon Davis, Publisher Guillaume Rouillé, businessman and humanist, in *Editing sixteenth-century texts, ed. by R. J. Schoeck, Toronto, University of Toronto Press, 1966, pp. 72-112. 11   G. B. Della Porta, Della magia naturale ... Libri xx, cit., p. 673.  





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Fig. 2. G. B. Della Porta, I tre libri de’ Spiritali, cioè d’inalzar acque per forza dell’aria..., in Napoli, appresso Gio. Giacomo Carlino, 1606, p. 31.

Fig. 3. G. B. Della Porta, I tre libri de’ Spiritali, cioè d’inalzar acque per forza dell’aria..., cit., p. 39.

rale della Magia affiorante in questo così come in molti altri luoghi testuali. 12 Ma ora non più i disiecta membra riuniti nel breve florilegio di isperimenti meccanici del 1558. Della Porta apre il libro xviii nel segno di Archimede, dimostrandosi avvezzo al De iis quae vehuntur in aqua – un testo che sappiamo letto e tesaurizzato a Napoli entro gli ambienti di cultura più progrediti, com’è da parte di Colantonio Stigliola, e nel suo De gli elementi mechanici del 1597 13 e nel dibattito cui partecipa a seguito del progetto vicereale di costruzione di un nuovo porto per la città di Napoli 14 – e venendo dunque ad esaminare un caso di  





12   Su cui Laura Balbiani, La Magia Naturalis di Giovan Battista Della Porta. Lingua, cultura e scienza in Europa all’inizio dell’età moderna, Bern, Lang, 1999, pp. 76-77, 176-178. 13  Cfr. Romano Gatto, La meccanica a Napoli ai tempi di Galileo. In appendice De gli Elementi Mechanici di Colantonio Stigliola riproduzione anastatica e le inedite Meccaniche mie di Davide Imperiali, Napoli, La città del sole, 1996. 14   Cfr. un tal passo, tratto da una delle scritture prodotte da Stigliola entro il detto dibattito : « Io Colantonio Stigliola Mathematico et Architetto [...] convinto dalla ragione et dalla osservazione delle fabriche antiche Romane et Grece fatte in alto mare, nel circuito della Città nostra, et assicurato et ridotto in certezza nella dottrina di Archimede data nel trattato suo delli insidenti nell’acqua et altri trattati dell’istesso autore, si è conchiuso per me che non vi sia modo né più facile né più degno, et perpetuo, alla fundazione del Molo novo, che il fatto con cascie stagne poste in mare, ormeggiate, carricate di fabrica et alzate di mano in mano con l’ordine artificioso da noi proposto et più volte nelle prove mostrato » ; il passo è trascritto e commentato in Massimo Rinaldi, L’audacia di Pythio. Filosofia, scienza e architettura in Colantonio Stigliola, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 66-67, cui si rimanda pure per la relativa bibliografia.  







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idrostatica (cfr. Fig. 4) da cui emerge chiara l’adesione alla concezione della gravitas in specie 15 – quanto questa rilevi nella costruzione di una nuova naturalis philosophia affrancata da Aristotele, non necessita qui di indugio : basti far menzione del galileiano Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua 16 – :  







Prima che veniamo a quelle cose che vogliamo insegnare, giudicamo che abbiamo a dir alcune cose come principii, senza la notizia delle quali non le potemo provare, né dimostare […] intendo dir prima questo assioma : niuno corpo esser grave nella sua specie, come l’acqua nell’elemento dell’acqua e l’aria nell’aria, così ancora che il vacuo è così abborrito dalla natura che più tosto accaderà che la machina del mondo si discomponga che patirlo la natura. E dalla repugnanza di questo vacuo venire tutte le mirabili cagioni delle cose maravigliose – il che forse dimostreremo in un libro particolare a questo effetto –, laonde la forza nel vacuo fa che contra l’ordine della natura che le cose leggieri cadano giù e le gravi ascendano, così è necessaria cosa che nel mondo non esser cosa senza corpo […] Fig. 4. G. B. Della Porta, Magiae naturalis libri xx..., Neapoli, Apud Horatium Salvianum, 1589, p. 282. Un corpo grave liquido, rinchiuso in un vase la cui bocca riverscia stia chiusa sotto l’acqua, ancorché più grave, della medesima specie non calar giù. 17  



Gravitas in specie archimedea oltre Aristotele e horror vacui consentaneo alla tradizione egemone – ma in una chiave che vedremo non priva di originalità – : Archimede ed Erone posti in endiadi, secondo un evidente eclettismo più ansioso di novità che proclive a ricezione appieno meditata. Ed infatti, dopo il capitolo primo – Che le cose gravi nella medesima specie non cadono giù, né le cose leggieri saleno su –, così si prosegue nei due seguenti : Come possiamo burlare i convitati nel bere ; Come possiamo altramente separar l’acqua dal vino, dove si annuncia, preludendo alla materia del libro successivo, schiettamente drenata da Erone : « Noi faremo il medesimo in altro modo, non con la leggierezza e la gravezza […] ma col sottile e denso [...] ». Il libro xix, infatti, si alimenta appieno degli Pnemautiká, ripresi anche nel corredo illustrativo esemplato sulla classica versione latina commandiniana, e tale proemio reca in fronte :  













15   Su cui, in relazione a Della Porta, cfr. R. Gatto, La meccanica a Napoli ai tempi di Galileo, cit., pp. 21-22 ; Oreste Trabucco, « L’opere stupende dell’arti più ingegnose ». La recezione degli Pneumatiká di Erone Alessandrino nella cultura italiana del Cinquecento, Firenze, Olschki, 2010, pp. 130-147 ; resta degno d’attenzione Nicola Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500, « Studi storici », i, 1959-60, pp. 677-715. 16   Sulla cui materia il rinvio può limitarsi a Cesare Maffioli, La ragione del vacuo. Why and how Galileo measure the resistance of vacuum, « Galilaeana », viii, 2011, pp. 73-104. 17   G. B. Della Porta, Della magia naturale ... Libri xx, cit., pp. 673-674.  















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Al trattato del grave e del leggiero seguono i segreti spiritali, perché par che abbiano le loro ragioni dalla matematica, e dall’aria e dall’acqua. Ed il mago naturale, che ha da investigare sempre cose utili e maravigliose all’umana generazione, fermisi qui e stia specolando solo queste cose ed investigando, perché in niuna cosa si vede più maravigliosamente risplendere la gran maestà della natura. Sono alcuni esperimenti dottissimi di Erone Alessandrino delli spiritali. Noi vi aggiungeremo molte cose nuove, per dar aggio a gli specolativi di ritrovar cose maggiori. 18  

E significativamente ha un siffatto primo capitolo : Se le statue materiali con alcuno artificio possano parlare ; c’est-à-dire : non solo gli Pnemautiká di Erone, ma pure i suoi Autómata, un dittico fortunatissimo nel Cinquecento affascinato dalla meraviglia promanante dalle macchine ingegnose. Di là dalla profondità – poca, invero – del contenuto, questa sezione della Magia – che è, riteniamo, emblematica del successo vastissimo e durevole che l’opera riscuote nella sua intierezza – interpreta istanze di grande e prestigiosa attualità, seconda, con movenze e brillanti e insinuanti, la coeva Horizontverschmelzung. Il connubio di Archimede ed Erone è infatti consustanziale alla più insigne scuola matematica che sia alle spalle di Galileo e che la parabola di Galileo interseca, la scuola che ha genitore Federico Commandino, cui si debbono, fra l’altro, le versioni latine del Perì tôn ýdati epistaménōn (1565) di Archimede e degli Pnemautiká (1575) di Erone. Allievi di Commandino sono Guidobaldo del Monte, che sappiamo interlocutore e promotore del giovane Galileo, fino ad ottenergli, grazie all’influenza del fratello cardinal Francesco, la lettura patavina di lunga durata, e Bernardino Baldi, anch’egli traduttore di Erone, degli Autómata – essi pure il maestro aveva in animo di volgere in lingua latina –, che escono a Venezia, nel medesimo 1589 in cui si pubblica la seconda Magia, con dedica al patrizio veneziano Giacomo Contarini, homme de lettres tra quanti componenti l’entourage di Gianvincenzo Pinelli, e fautore della meccanica di Guidobaldo per essere intrinseco alla scienza antica in pristinum nitorem restituenda anche grazie ai preziosi codici in suo possesso. 19 La Magia di Della Porta, a quest’altezza, con la sua struttura enciclopedica, è cornice à la page in cui adunare tutti i mirabilia naturae et artis, come sono gli automi idropneumatici della Villa a Tivoli, magnifico possesso di chi gli è mecenate quale il cardinale Luigi d’Este e per cui, appunto nel libro xix, egli dice di aver realizzato una fontana che butta acqua su per compressione :  









Noi lo facemmo far in Venezia questo vase di vetro con i suoi canaletti e quando saliva l’acqua in alto, se ne meravigliava il cardinale dignissimo di Este, veggendo che niuna cosa spingeva l’acqua a salir su. 20  

Il tempo veneziano speso da Della Porta al servizio del cardinale è pure scandito dalla frequentazione del detto Contarini, come sappiamo da una lettera che egli indirizza all’Este allo spirare del 1580 :  

[…] m’accorsi che l’opre del maestro non rispondevano alle parole, e ’l mio specchio parabolico sarebbe diventato una parabola da vero. Ricorsi al S.r Giacomo Contarini, il qual col maggior contento del mondo venne a vederlo, e subito tolto il modello e l’asse andammo all’arsenale et ai maggiori artiglieri non sol del loco, ma d’Italia, diede cargo di farlo. Io gli lo diedi ad intendere, e lui m’intese al muover de le labra […]. 21  

E dunque tanto più significato ha che Baldi, nel discorso premesso agli Autómata volti in 18

  Ivi, p. 687.   Su questo contesto di cultura si rinvia per brevità a O. Trabucco, « L’opere stupende dell’arti più ingegnose » …, 20 cit., pp. 23-105.   G. B. Della Porta, Della magia naturale ... Libri xx, cit., p. 695. 21   La lettera è pubblicata in Giuseppe Campori, Gio. Battista della Porta e il cardinale Luigi d’Este, « Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie Modenesi e Parmensi », vi, 1872, pp. 183-184. 19









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italiano e offerti al Contarini, Baldi tra gli autori più robusti di meccanica tra Cinque e Seicento, 22 intrecci le meraviglie degli automi ai miracula rerum naturalium :  



Fra le cose dunque che possono somministrare onesto e virtuoso piacere possono ragionevolmente riporsi queste machine di che noi parliamo ; e ciò tanto più, che dall’ingegno pendono tutti questi artificii e non dall’arti diaboliche e riprovate, come sono quelle degl’incantatori, che con l’aiuto de’ mali spiriti fanno travedere. Servesi dunque l’una de’ principii naturali, e l’altra de’ sopranaturali, ma diabolici, là onde rispondono così fra loro, come la magica e la magia naturale, l’una delle quali è discacciata da tutte le leggi e l’altra abbracciata e lodata sopra modo. Potrebbe nondimeno essere alcuno che rinfacciasse a quest’arte la fraude con la quale ricuopre gli artificii suoi e riponesse quegli che v’attendono nel numero de’ prestigiatori e di quelli, che fanno travedere altrui ma considerato il vero, sarebbe ingiusto, che ciò facesse, poi che non ogni inganno è illecito, né ogni ricoprimento del vero è biasimevole, percioché essendo buono il piacere onesto, quell’inganno che senza nocumento altrui può somministrarcelo, prende natura di buono. Così è degna di lode la fraude di quel medico che inganna l’infermo e l’ingiustizia di colui che non rende il deposito della spada all’uomo furioso. Per altre ragioni ancora meritano lode queste machine, cioè dall’eccitar l’animo di chi le vede alla contemplazione delle cause, onde nascono le meraviglie de gli effetti loro ; e questo è uno di quei piaceri, che suol venirci dalle cose nuove ; il quale, come dice il Filosofo, suol cessare tosto che l’intelletto ha discoperto, mediante la contemplazione, ciò che in loro si trova di mirabile. 23  







Ma lo stesso tema del vuoto, assunto nella Magia, investe un ampio e stratificato pubblico : filosofi, matematici, tecnici. 24 Tale tema è al centro dell’introduzione teorica degli Pnemautiká di Erone, e Commandino, che ha habitus filologico rigoroso, vi ascrive rilievo al punto da intervenire sulla sostanza testuale originale per conferire autonomia alla porzione di introduzione che rubrica sotto il titolo De vacuo – titolo che non è nel testo di Erone come tràdito. Scelta critica assai fortunata e avvertita dell’interesse coevo ; quando Bernardo Buontalenti è impegnato nella realizzazione dei giardini di Pratolino per Francesco I de’ Medici, si fa tradurre interamente in italiano gli Pnemautiká da Vannoccio Biringucci, ma chiede contemporaneamente di tradurre la sola parte introduttiva a Bernardo Davanzati, che la intende come discorso sulla natura del voto. Ancor più, Giovan Battista Aleotti, uno dei più reputati ingegneri italiani del tempo suo, al servizio degli Este di Ferrara, dà alle stampe nel 1589 una propria versione italiana degli Pnemautiká, che intitola eloquentemente – e ciò dice bene di quanto l’opera consuoni con la Magia dellaportiana – Gli artifitiosi et curiosi moti spiritali, ponendo l’introduzione sotto il titolo Del vacuo nel libro delli spiritali per intelligenza dell’opera, cui fa seguire una propria Aggiunta intorno al non poter essere alcun vacuo, né poter lo elemento dell’aria star compresso. Erone si fa assertore di una teoria della struttura della materia alternativa a quella di Aristotele – Davanzati dice infatti al Buontalenti, nella dedica del proprio volgarizzamento del maggio 1582 : « questo discorso della natura del voto del vostro Erone, che par fondato nella dottrina di Democrito e dell’Epicuro » 25 –, ma l’horror vacui, cui pure aderisce Della Porta  













22  Cfr. Bernardino Baldi (1553-1617) studioso rinascimentale : poesia, storia, linguistica, meccanica, architettura, a cura di Elio Nenci, Milano, Franco Angeli, 2005. 23   Bernardino Baldi, Discorso di chi traduce sopra le machine se moventi, in Di Herone Alessandrino De gli automati overo machine se moventi, Libri due, Tradotti dal Greco da Bernardino Baldi …, In Venetia, Appresso Girolamo Porro, 1589, f. 13r-v. 24  Cfr. Matteo Valleriani, From Condensation to Compression : How Renaissance Italian Engineers Approached Hero’s Pneumatics, in *Übersetzung und Transformation, hrsg. von Hartmut Böhme, Christoph Rapp, Wolfgang Rösler, Berlin-New York, de Gruyter, 2007, pp. 333-353 e Id., Ancient pneumatics transformed during the early Modern period, « Nuncius », xxix, 2014, pp. 127-173. 25   Della natura del voto di Erone Alessandrino. Volgarizzamento inedito di Bernardo Davanzati, a cura di Carlo Gargiolli, Ferdinando Martini, Firenze, Stamperia del Monitore, 1862, p. 10.  







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à sa façon, può ben restare attuale negli stessi ambienti da cui origina la grande fortuna cinquecentesca dell’autore alessandrino, pure ambienti del più avanzato sapere nei campi della matematica e della meccanica. Alessandro Giorgi, anch’egli allievo di Commandino, sulla scorta della versione latina del maestro, dà in luce una propria traduzione volgare nel 1592, così asseverando, fedele ad Aristotele, nell’introduzione anteposta al testo di Erone fatto volgare :  

Il moto ha molte specie, ma tre sono le considerate da’ mecanici, cioè l’attrazione, quello che si fa sospingendo, il terzo che è naturale, come delle cose grevi al centro e delle leggieri a l’alto ; il moto dell’attrazione e del sospingimento considerato dal mecanico è sempre con violenza, se bene il Cardano pare che tenga il contrario, affermando che avenga dalla propria forma de l’elemento, che abborisce la rarità o densità maggiore di quello che a lui può per natura convenire […] Ma come un corpo ceda e dia luogo a l’altro e come si faccia la condensazione e la rarefazione non per rispetto del vacuo, altamente insegnò Aristotile nel testo 63 e 84 del quarto libro della Fisica, dicendo perché alcuni corpi più rari per la compressione vengono discacciati fuori del corpo compresso, o vero rientrano nel corpo che si dilata, o pure perché la proprietà e natura della materia è tale che essendo in potenza, può ridursi a l’atto e ricevere maggiore e minore quantità senza che altro le si aggiunga di fuori. Con i quali fondamenti è facile di sciogliere tutte le ragioni appoggiate al senso per provare il vacuo. 26  



« E [...] dalla repugnanza di questo vacuo venire tutte le mirabili cagioni delle cose maravigliose – il che forse dimostreremo in un libro particolare a questo effetto », aveva dichiarato Della Porta al principio del xviii libro della Magia. È dichiarazione cui terrà fede, pubblicando, come s’è già detto, nel 1601 gli Pneumaticorum libri tres, ben presto seguiti da una versione volgare aumentata 27 del 1606. Opera che è gran parte esame critico degli Pnemautiká di Erone, fatto proprio auctor, ma pure sottoposto a vaglio e confutazione ; così Della Porta nel proemio :  









Ierone […] ritrovò molte machine. Ma, come io stimo, più tosto mecanico che matematico o filosofo, percioché a molti di quel suo modo non riuscì l’esperienza quando l’esperimentavano, non avendovi posto le ragioni e le loro misure. 28  

E dunque, secondo l’ordine della materia degli Pnemautiká, subito la questione dell’esistenza del vuoto : Opinione de gli antichi che ponevano il vacuo (i 1) ; Contro Erone del vacuo e che l’acqua ed il vino non patiscano compressione (i 6) ; fino a venire a confronto pieno con il Cardano del De subtilitate, fonte recepita sin dalla Magia del 1558, quindi diuturnamente rimeditata. Cardano aveva rigettato il vacuum intermixtum proposto da Erone, che, su quella base, aveva spiegato l’ascesa dell’acqua nei sifoni ; a tale teoria, negando l’esistenza del vuoto, aveva opposto la propria, secondo cui, l’aria, per natura soggetta a rarefazione, quando raggiunta la soglia oltre la quale verrebbe a smarrire la propria forma, si contraesse, così generando l’ascesa per attrazione dell’acqua contigua. 29 Della Porta oppugna la tesi di Cardano, ritenendo che « la cagion di tutte le mirabili operazioni della natura non è il vacuo né la tema del vacuo, non la rarefazzione, non l’assottigliamento, ma una più alta cagione, cioè la conservazione del proprio essere », giacché « è [...] nel mondo necessaria  















26   Spiritali di Herone Alessandrino Ridotti in lingua Volgare da Alessandro Giorgi da Urbino, In Urbino, Appresso Bartholomeo e Simone Ragusii fratelli, 1592, ff. 5r, 6r. 27 28   Sulla storia redazionale di quest’opera cfr. quanto supra, nota 5.   Pneu, p. 83. 29   Cfr. G. Cardano, De subtilitate … Tomo i . Libri i-vii, cit., p. 64 : « [...] aer ille rarior factus ob attractionem denuo cogitur, occupatque minorem locum quam prius, atque sic ne vacuum detur, aquam ad se trahit. Igitur aer ipse cogi potest ac seipsum subingredi, eademque ratione rarior evadere ; utque est terminus quidam in raritate, qui vacui rationem habet atque sic movet, ita densitatis alius, quem si quis praeterire nitatur, motum excitat, qui vocatur impulsus ».  







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l’unità e la contiguità, accioché i corpi inferiori si possano reggere e conservar da’ superiori, e che la virtù di sopra si trasmetta, che fraponendosi in mezo il vacuo, verrebbe a discontinuarsi ». 30 Della Porta chiude il capitolo dedicato a discutere la opinione di Cardano con queste parole : « È tanto l’amor continuo e scambievole nelle cose della natura che cede la gravità, per esser cosa più naturale il conservarsi che obedire alle qualità ». 31 Su tale fondamento ritorna la medesima figura (cfr. Fig. 5) del libro xviii della Magia posta ad illustrare l’equilibrio idrostatico – come da lui concepito –, ora riutilizzata discutendo un caso di dinamica dei fluidi :  













Si può ancora agevolmente misurare un’oncia di aria nella sua consistenza in quante parti di aria più sottile si può dissolvere. E se bene di questo ne abbiamo trattato nelle nostre Meteore, pur facendo qui a nostro proposito, non ci rincrescerà di ridirlo. Abbisi un vaso da distillare detto gruale […] descritto da noi nel libro Di distillare. E sia di vetro, acciò si vedano gli Fig. 5. G. B. Della Porta, I tre libri de’ Spiritali, cioè d’inalzar acque per forza dell’aria, cit., p. 76. effetti dell’aria e dell’acqua, e sia il vaso A. Questo abbi la bocca dentro un vaso B, piano, pieno di acqua ; il qual vaso sarà pieno di aria, grosso nella sua consistenza, più e meno secondo il luogo e la stagione. Poi accostarete un vaso pieno di fuoco al corpo del vaso A e l’aria, subito riscaldandosi, si andrà assottigliando ; e fatta più sottile, vuole più gran luogo ; e cercando uscir fuori, verrà fuori dell’acqua ; e si vedrà l’acqua bollire, che è segno che l’aria fugge […] rimovete il il vaso del fuoco dal ventre A ; e l’aria, rinfrescandosi, s’andrà ingrossando e vuol minor luogo ;  











30   Pneu, p. 96 : « Ma Cardano sorge contro le ragioni di questi antichi filosofi e le corregge, perché abbino parlato impropriamente, mentre dicevano che per ragion del vacuo, e per timore ; che dovevano più tosto dire per ragion della rarità. Che se l’acqua è tirata su contro la sua natura, che l’istessa natura ordinava quella rarità non per tema del vacuo, ma della rarità, che tirando su per ragion della continuità, e la continuità pende dalla ragion della rarità, e però l’acqua entra nel luogo vacuo, perché ha tema della sua rarefazzione, per non mutar l’essenza sua con quella dell’aria. Ma io sono d’altro parere, perché la cagion di tutte le mirabili operazioni della natura non è il vacuo né la tema del vacuo, non la rarefazzione, non l’assottigliamento, ma una più alta cagione, cioè la conservazione del proprio essere. È tutto l’intento della natura conservare l’eternità del suo essere nell’unità di se stessa, perché consistendo la perpetuità nella conservazione della sua essenza, e la conservazione si fa per la sua unità, e l’unità si fa dal legamento e dal toccarsi scambievolmente e dall’abbracciamento de i suoi estremi, e co ’l continuarsi l’una con l’altra ; tanto scambievolmente s’attaccano insieme che prima che si venghi alla loro separazione patisce più tosto ogni cosa più grave, che farà più tosto ogni gran meraviglia ed insolita cosa. Che cosa dunque è la separazione che il discioglimento e rarefazzione, e finalmente venire alla morte, e risolversi in nulla ? L’unità e l’essere si convertono insieme, e tutte le cose che sono una cosa sono. È dunque nel mondo necessaria l’unità e la contiguità, accioché i corpi inferiori si possano reggere e conservar da’ superiori, e che la virtù di sopra 31   Ivi, p. 97. si trasmetta, che fraponendosi in mezo il vacuo, verrebbe a discontinuarsi ».  











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oreste trabucco e non avendo come riempir il vano del vaso […] tirerà a sé l’acqua dal vaso ; e si vedrà salir l’acqua con gran furia e riempir tutto il vaso, lasciando vacua quella parte dove sta l’aria ridotta già nella sua natura di prima. 32  



Ciò da leggere in connessione a quanto detto in precedenza :  

Sì come abbiamo detto di sopra, la natura aborrisce così il vacuo che avverrà nel mondo più tosto ogni gran cosa, che darsi luogo al vacuo e quanto sia incompatibile alla natura. Mancando dunque l’acqua ne’ canali, perché subito verrebbe a restar vacuo nel canale, l’aria subentra subito e si abbraccia talmente con l’acqua che dandogli subito l’acqua di sotto, l’aria abbracciarà quell’acqua con tanta amicizia e volontà come se fusse l’istessa acqua, tanto aborrisce l’acqua e l’aria il suo distruggimento. Che sarebbe dunque altro l’introdursi fra loro il vacuo, se non distruggere l’essenza dell’acqua e dell’aria ? Per soccorrer dunque a così importante inconveFig. 6. G. B. Della Porta, De distillatione libri ix..., niente, non fu mai così grande simpatia Roma, Ex Typographia Rev. Camerae Apostolicae, ed amicizia tra le cose della natura, come 1608, p. 37. sarà questo abbracciamento e parentela che fa l’acqua con l’aria, supplendo l’una nel mancamento dell’altra. E vien l’aria a tirar dopo sé l’acqua, come se fusse con braccia di ferro e come se fusse l’istessa acqua, il che è molto necessario di considerazione in queste machine. 33  



Come si vede, Della Porta generalizza, alla luce dei propria principia, l’esperienza di Magia, xviii 1, disegnando una costellazione intertestuale che abbraccia il De distillatione e il De aeris transmutationibus, sue opere che egli discute parallelamente, sebbene non ancora approdate alle stampe. Il « vaso gruale » è quello di De distillatione (1608), i 19 (cfr. Fig. 6) ; la figura di Magia, xviii 1 e di Spiritali, iii 7 – il capitolo non è nel testo latino – ancora compare in De aeris transmutationibus (1610), i 16 (cfr. Fig. 7), dove la predetta esperienza si propaggina alla genesi dei venti :  







[…] quod aer a calore extenuatur et disiicitur, una eius pars in plures resolutas abit et calore vehementius imperante in ignis tenuitatem et succensionem exsolvitur ; ignis enim est suae tenuitatis meta, sed ubi calido inlabante, deseritur, liber in suam consistentiam redit conseditque, gaudet enim sua consistentia […]. Sciendum quod sol dum terram circumibit et verticalibus suis radiis eam verberat, calorem ingentem ex reflexione gignit, unde is aerem excalefaciendo, attenuat, hic in vastum locum se explicans, superna petit. Dextra sinistrave et circumquaque sic immani mole exauctus nec sui capax, proximum sibi aerem facessit disploditque. Hic displosus cum altero sibi propinquo colluctatur, hic victus comprimitur ceditque locum, proximus victoris occupat ; et ubi debilior exitus invitat et aliquid reperit vacui, se recipit, et id usque donec amplior factus, aer vehementius impellit. Hic mu 



32

  Ivi, pp. 144-145.

33

  Ivi, pp. 124-125.

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tuus impulsus et in alternas sedes transitus, hic labentis aeris fluor et insequentis semper cedentis, dum rapidus evehitur, ventus erit. 34  

Medesimo apparato ‘sperimentale’ adoperato nei casi scrutinati, avendo segnavia i principi di « conservazione del proprio essere » da parte degli enti, di « simpatia ed amicizia tra le cose della natura » – congiuntavi la negazione del vuoto. Ciò che sta dentro la struttura profonda della Magia dalla prima alla seconda forma, dove si celebra la sympathia rerum, costitutiva dell’ordine generale della natura :  









Dalle proprietà ancora occulte delli animali, delle piante e di tutte le spezie ne nasce una certa proprietà la quale i Greci chiamano simpatia ed antipatia ; la quale noi più facilmente parlando la chiamaremo consenso, o convenienzia, e disconvenienza, amicizia ed inimicizia […] la natura s’è delettata di questo gran spettacolo e non si trova cosa alcuna nell’ultimo della natura che non abbia qualche nascosta virtù quivi piena di ammirazione. 35  

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Dalle occulte proprietà ancora degli animali e delle piante e di tutte le spezie ne nasce un certo compatimento – per dir così – il quale i Greci chiamano simpatia ed antipatia ; noi più convenevolmente la chiamiamo consenso, o convenienza, o disconvenienza […] la natura si è dilettata di quello spettacolo, né ha voluto esser cosa nel mondo senza pari né trovarsi cosa nell’occulto seno della natura che non abbia quivi qualche nascosta virtù piena di ammirazione, o vero forse che da queste amicizie ed inimicizie l’uomo contemplandole ne può cavar molti secreti rimedii a sua necessità ed uso. 36  

È tuttavia da osservare che connettere negazione del vuoto e sympathia rerum può ancora intendersi entro il perimetro dell’aristotelismo coevo ; così, ad esempio, i Conimbricenses nel commento alla Physica del Philosophus : « Primo igitur et per se occurrit natura vacuo ob ipsum naturalem appetitum mutuae colligationis partium universi inter se ». 37 Epperò la relazione instaurata tra « conservazione del proprio essere » e « simpatia ed amicizia tra le cose della natura » induce a maggior riflessione. Senza voler inclinare a forzosa verticalizzazione – la similitudine più idonea appare quella della recensio aperta per contaminazione della Textkritik postlachmanniana – e auspicando nuove indagini, non sarà da sottovalutare la possibile influenza esercitata su Della Porta da Telesio. 38 Nel proprio trattato di pneumatica Della Porta coonesta il suo ‘sistema’ ancora appellandosi ad Archimede, riecheggiato ad verbum secondo la versione di Commandino :  





















34   Aeris, pp. 43, 45 ; sull’anemologia dellaportiana cfr. Arianna Borrelli, The weatherglass and its observers in the early seventeenth century, in *Philosophies of technology. Francis Bacon and his contemporaries, ed. by Claus Zittel, Gisela Engel, Romano Nanni, Nicole C. Karafyllis, Leiden, Brill, 2008, pp. 67-130. 35   G. B. Della Porta, De i miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti. Libri iiii, cit., f. 13r-v. 36   Id., Della magia naturale ... Libri xx, cit., p. 14. 37   Commentarii Collegi Conimbricensis Societatis Iesu. In octo libros Physicorum Aristotelis Stagiritae Secunda Pars, Lugduni, Sumptibus Horatii Cardon, Ex Typographia Hugonis Gazaei, 1602, p. 98, col. 90. 38   Su ciò restano attuali le osservazioni di N. Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500, cit. Ai luoghi escussi da Badaloni ci limitiamo qui ad aggiungere, ad esempio, questo, relativo all’origine dei venti, tratto dal De iis quae in aere fiunt, uno dei libelli già venuti a stampa nel 1570 a latere del De rerum natura iuxta propria principia, riattualizzato dall’edizione veneziana del 1590 per cura del Persio, nel corpo dei Varii de naturalibus rebus libelli : « Qui vero in ventos diffunduntur proprio forte motu sponteque sua in obliquum feruntur ; bene enim propria natura mobiles nec dum aeris nacti tenuitatem nec ad superiorem efferri possunt locum, nec efferri omnino appetunt. At vel nihil moveri appetentes, a se ipsis moveri tamen impellique videri possunt ; quoniam enim tenues sui natura in se ipsos spissari densarique, in alienam omnino agi substantiam summe odio habent summeque aversantur » (Bernardino Telesio, Varii de naturalibus rebus libelli, a cura di Luigi De Franco, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 49).  











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Fig. 7. G. B. Della Porta, De aeris transmutationibus libri iv..., Romae, Apud Bartholomaeum Zannettum, 1610, p. 28.

Fig. 8. G. Schott, Mechanica hydraulico-pneumatica..., Francofurti, Sumptu heredum Joannis Godefridi Schönwetteri, bibliopol. Francofurtens., Haerbipoli, Excudebat Henricus Pigrin typographus, 1657, antiporta.

Quod unaquaeque humidi pars premit ipsum humorem ad perpendiculum. 39

Unaquaeque autem pars eius premitur humido supra ipsam existente ad perpendiculum [...]. 40

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E qui oppone pure Archimede ad Aristotele (i 11) ; invoca quindi « l’inevitabil necessità della natura che non si può ingannar con niuno artificio » :  







Avendo noi dinanzi esposta l’inevitabil necessità della natura che non si può ingannar con niuno artificio, né ella cerca ingannar altri, e per essere il genio e ingegno mio solo inchinato alle cose difficilissime e quasi impossibili, non ho perdonato a spese né a fatiche mirabili per poter con un breve perpendicolo inalzar l’acqua a maggiore altezza. Finalmente avemo ritrovato modo, non detto ancora né accennato da gli antichi né imaginato pure, che avanza ogni umano intendimento, come la natura possa favorire al nostro desiderio. 41  

Ma ciò prelude ad affermare : « con l’aiuto del sifone possiamo inalzar l’acqua a qualsivoglia altezza » (ii 13), che è appunto violare il limite d’ascesa di un fluido in un sifone, 42 conculcando o ignorando quanto compatibile con gli apparati sperimentali che pure Della Porta dimostra di utilizzare e, soprattutto, vanificando, anzi degradando a solo artificio  







39

  Pneu, p. 19.   Archimedis De iis quae vehuntur in aqua libri duo. A Federico Commandino Urbinate in pristinum nitorem restituti, et 41   Pneu, p. 117. commentariis illustrati, Bononiae, Ex officina Alexandri Benacii, 1565, f. 1r. 42   Cfr. il classico Cornelis de Waard, L’expérience barometrique, Ses antecedents et ses explications. Étude historique, Thouars, Imprimerie Nouvelle, 1936, pp. 18-19 e Elio Nenci, Galileo and the Boboli fontanieri : the knowledge of the hydraulic pumps between philosophers and practitioners, « Galilaeana », v, 2008, pp. 63-87. 40







nel cantiere della magia

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retorico, quanto opposto ad Erone circa l’essere « più tosto mecanico che matematico o filosofo, percioché a molti di quel suo modo non riuscì l’esperienza quando l’esperimentavano, non avendovi posto le ragioni e le loro misure ». Se ne potrebbe concludere, secondo le acuminate osservazioni di Alex Keller, che « Della Porta was speculating on paper, spinning out hypotheses from a single unproved axiom, without reference to observation », o, ancora, che « his were table experiments, carried out with water on a scale at which the pressure of the atmosphere would make it impossible for any vacuum to form. There is evidence that little experiments of this kind had long been fashionable in circles attracted to dilettante science ». 43 Vogliamo tesaurizzare l’ultima affermazione di Fig. 9. G. Schott, Mechanica hydraulico-pneumatica..., Keller, ritenendo che il ‘limite’ dellacit., p. 35. portiano non stia nella inadeguatezza del suo outillage sperimentale ; pur lambendo Archimede ripetutamente, Della Porta ha in Erone il suo schietto auctor nella sfera di fenomeni che discutiamo, giacché sono le macchine che sprigionano meraviglia, tali da eludere « ragioni e […] misure », sono quegli « artifitiosi et curiosi moti spiritali » davvero conformi ai « miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti » che egli insegue ed esibisce lungo tutta la sua parabola intellettuale. Della Porta, è appena il caso di ribadire, sta al di qua del displuviale che segna Galileo nel Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua, ponendo Archimede a fronte di Aristotele per affermare che « dove s’hanno i decreti della natura, indifferentemente esposti a gli occhi dello intelletto di ciascheduno, l’autorità di questo e di quello perde ogni autorità nel persuadere, restando la podestà assoluta alla ragione » ; e al di qua delle tempestive conseguenze che, legando idraulica e pneumatica, il Discorso genera, avviando il dialogo epistolare tra Baliani e Galileo che è prologo di quanto verrà dal periodizzante esperimento torricelliano. Ma ciò, si badi, non rende Della Porta inattuale nel Seicento a lui postumo, non lo confina nei cantinati della cultura italiana ed europea. Anzi : le opere di Della Porta continuano ad esser lette ed utilizzate largamente, e la loro diffusione dice non poco sui moeurs intellectuelles di singole personalità e di interi ambienti ; specularmente, la ricezione evidenzia alcuni caratteri dominanti dell’opera recepita. Della Porta sarà autore prediletto e fittamente ripreso dagli esponenti della scienza gesuitica, che è appunto altro dalla scienza di Galileo, di Baliani, di Torricelli. Della Porta ricorrerà ad abundantiam nei libri sontuosi di Kircher e del suo allievo Schott, libri che, grazie al network costituito dai Collegi della Compagnia, attraversano l’Europa conquistando  





































43   Alex G. Keller, Pneumatics, Automata and the Vacuum in the Work of Giambattista Aleotti, « The British Journal for the History of Science », iii, 1967, p. 341.  



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un vasto pubblico di rango assai elevato, vantano prestigiosi finanziatori e sono appetiti da editori rinomati, e libri che hanno al centro « i fenomeni singolari [...] i reperti, le macchine e gli esperimenti più stupefacenti [...] [a] tutela della tradizione [...] praticata attraverso intelligenti aperture verso le posizioni nuove, disarmate dalle implicazioni teoriche più inquietanti », col fine di « isolare […] pratiche e […] conoscenze dalle visioni e dalle interpretazioni sistematiche alternative all’aristotelismo proposte dai protagonisti della Rivoluzione Scientifica ». 44 La pneumatica dellaportiana è messe nutriente per la Mechanica Hydraulico-Pneumatica di Schott, in 4° francofortese riccamente illustrato e recante una spettacolare antiporta (cfr. Fig. 8), spettacolare come le macchine del celebre Museo kircheriano del Collegio Romano da cui trae origine. Anche nella Mechanica HydraulicoPneumatica tornano riprodotte le figure degli Spiritali dellaportiani (cfr. Fig. 9 e Fig. 2), tanto più che tra gli scriptores hydraulicorum et pneumaticorum – e siamo ben oltre Galileo e Torricelli ! – sommo è incoronato Della Porta : « Tradit Porta Spiritalium principia, tradit machinamenta multa, utraque longis experimentis, nec sine expensis, confirmata. Huic ego primas inter omnes Spiritalium Scriptores dandas censeo ». 45 Questo caso, come quello di Andreae da cui siamo partiti, attesta quanto l’opera di Della Porta possa illuminare aspetti caratterizzanti i contesti di ricezione e, al contempo, ne rivela la trama più autentica.  



















44   Paolo Galluzzi, Prefazione a Gaspar Schott, La Technica curiosa, saggio introduttivo di Michael John Gorman e Nick Wilding, con uno studio linguistico e traduzioni annotate dal latino a cura di Maurizio Sonnino, Roma, Edizioni dell’Elefante, 2000, pp. xii-xiii. 45   Gaspar Schott, Mechanica hydraulico-pneumatica ..., Francofurti, Sumptu heredum Joannis Godefridi Schönwetteri, bibliopol. Francofurtens., Haerbipoli, Excudebat Henricus Pigrin typographus, 1657, p. 12 ; sul corso della scienza gesuitica cui appartegono Kircher e Schott cfr. Carlos Solís Santos, Athanasius Kircher e la repubblica delle lettere. Erudizione, magia e spettacolo, « Giornale critico della filosofia italiana », lxxxiv, 2005, pp. 93-152 e Maurizio Torrini, Da Galileo a Kircher : percorsi della scienza gesuitica, « Galilaeana », ii, 2005, pp. 3-17.  











DELLA PORTA INQUISITO, CENSURATO E PROIBITO Michaela Valente

N

ella seconda metà del Cinquecento la riflessione religiosa, scientifica, artistica e letteraria fu profondamente influenzata dalla consapevolezza degli autori di doversi confrontare con il controllo del Sant’Uffizio e dell’Indice, cui si affiancarono altre istituzioni censorie di Stato : 1 si diffusero così fenomeni di autocensura e molti dotti inseguirono ancor di più che in precedenza il patronage. 2 Giovan Battista Della Porta inquisito, censurato e proibito si presta quindi come caso di studio per valutare l’impatto dell’azione della Controriforma sulla cultura italiana. 3 Per primo Luigi Firpo si appassionò e mise in evidenza quei casi in cui l’autocensura rientrava nella pratica di ossequio al potere per riuscire a pubblicare : l’autocensura di Cardano e di Patrizi sono ormai note, com’è certo che furono le loro teorie (in particolare il platonismo) a sollecitare l’intervento romano. 4 Ben più difficile risulta studiare o    









1  Per un bilancio storiografico, si vedano Elena Bonora, L’archivio dell’Inquisizione e gli studi storici : primi bilanci e prospettive a dieci anni dall’apertura, « Rivista storica italiana », cxx (2008), pp. 968-1002 ; Maria Pia Donato, Les doutes de l’Inquisiteur. Philosophie naturelle, censure et théologie à l’époque moderne, « Annales hss », lxiv (2009), pp. 15-43 ; il mio Nuove ricerche e interpretazioni sul Sant’Uffizio a più di dieci anni dall’apertura dell’archivio, « Rivista di Storia della Chiesa in Italia », lvi (2012), pp. 569-592 e Giovanni Romeo, L’Inquisizione romana e l’Italia nella più recente storiografia, « Rivista Storica Italiana », cxxvi (2014), pp. 188-206. Cfr. Massimo Firpo, La presa di potere dell’Inquisizione romana, Roma-Bari, Laterza, 2014. 2   Church, Censorship, and Culture in Early Modern Italy, ed. by Gigliola Fragnito, Cambridge, Cambridge University Press, 2001 ; Gigliola Fragnito, Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 2005 ; Marco Santoro, L’Index librorum prohibitorum fra xvi e xviii secolo : osservazioni sulla prassi bibliografica degli inquisitori romani di ancien régime, in *Dal torchio alle fiamme. Inquisizione e censura : nuovi contributi dalla più antica Biblioteca Provinciale d’Italia, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Salerno, 5-6 novembre 2004). A cura di Vittoria Bonani, Salerno, Biblioteca provinciale, 2005, pp. 173-194 ; Vittorio Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, Brescia, Morcelliana, 2006 e Marco Cavarzere, La prassi della censura nell’Italia del Seicento tra repressione e mediazione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011. Cfr. Paula Findlen, Possessing Nature : Museums, Collecting, and Scientific Culture in Early Modern Italy, Berkeley, University of California Press, 1994 e Silvia De Renzi, Courts and conversions : Intellectual battles and natural knowledge in counterreformation Rome, « Studies in History and Philosophy of Science », 27 (1996) pp. 429-449. Si veda inoltre Maria Antonietta Visceglia, Burocrazia, mobilità sociale e patronage alla Corte di Roma tra Cinque e Seicento. Alcuni aspetti del recente dibattito storiografico e prospettive di ricerca, « Roma moderna e contemporanea », iii (1995), pp. 11-56. 3  Sulle vicende di Della Porta con il Sant’Uffizio, Giovanni Aquilecchia, Appunti su G.B. Della Porta e l’Inquisizione, « Studi secenteschi », ix, (1968), pp. 3-31 (ora in Schede di italianistica, Torino, Einaudi, 1976, pp. 219254) ; Id., Ancora su G.B. Della Porta e l’inquisizione. A proposito di una Postilla di G. Paparelli, « Studi secenteschi », xxi, (1980), pp. 109-114 (ora in Nuove schede di italianistica, pp. 314-320) e mi permetto di rinviare anche per la bibliografia al mio Della Porta e l’inquisizione. Nuovi documenti dell’ Archivio del Sant’Uffizio, « Bruniana & Campanelliana », v (1999), pp. 415-445 ; Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index, ed. by Ugo Baldini e Leen Spruit, i vol., Sixteenth-Century documents, t. 2, Roma, 2009, pp. 1507-1564 e a Neil Tarrant, Giambattista Della Porta and the Roman Inquisition. Censorship and the definition of Nature’s limits in Sixteenth-Century Italy, « The British Journal for the History of Science », 46 (2013), pp. 601-625. Si rimanda a Saverio Ricci, Della Porta, Giovan Battista, in *Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia, Roma, Treccani, 2012 ; Sergius Kodera, sub voce, The Stanford Encyclopedia of Philosophy, ed. by Edward N. Zalta, url = . 4   Francesco Patrizi, Nova de universis philosophia. Materiali per un’edizione emendata, a cura di Anna Laura Puliafito Bleuel, Firenze, Olschki, 1993. Sul caso di Francesco Giorgio, Cesare Vasoli, Nuovi documenti sulla condanna all’Indice e la censura delle opere di Francesco Giorgio Veneto, in *Censura ecclesiastica e cultura politica in Italia tra Cinquecento e Seicento, a cura di Cristina Stango, Firenze, Olschki, 2001, pp. 55-78. Si vedano inoltre Antonio  



































































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ricostruire la genesi e l’evoluzione del processo di tagli e ripensamenti inflitti alle proprie opere dagli autori al fine di ottenere l’imprimatur. 5 L’azione dell’Indice intendeva impedire che si diffondessero spiegazioni alternative a quelle ufficiali o che si mettesse in discussione il magistero della Chiesa, come testimonia la battaglia contro il volgare ; tutto doveva rientrare nell’orbita dell’ortodossia definita dalle autorità romane e molti intellettuali si piegarono almeno esteriormente alla ragion di Stato. 6 Ancor più tangibile fu l’effetto dell’azione repressiva quando ci si trovò a subire il procedimento inquisitoriale o anche soltanto ad avvertirne la minaccia sebbene i famosi processi di Bruno, Campanella e Galilei fossero ancora lontani. 7 La grave perdita documentaria della serie processuale del Sant’Uffizio ha compromesso l’analisi complessiva, tuttavia è possibile tentare prime considerazioni alla luce della ricostruzione di alcuni processi : attraverso il caso di Della Porta, si possono porre in luce sia gli effetti dell’azione inquisitoriale sulla riflessione scientifica e filosofica, che l’influenza delle reti di patronage e di protezione. 8 A lungo si è ritenuto che l’attenzione dell’inquisizione nei confronti di Della Porta scaturisse dalla prima edizione della Magia naturalis, pubblicata a Napoli nel 1558. 9 Ma non fu questa a dare avvio all’azione inquisitoriale di cui si ha notizia sin dalle prime biografie, ed è interessante notare come alcuni studiosi abbiano insistito sulla marginalità del processo nelle vicende biografiche dellaportiane. Nel 1880 lo storico della filosofia Francesco Fiorentino ipotizzò che all’origine del processo a Della Porta vi fosse la Démonomanie des sorciers di Jean Bodin, che, nella confutazione del De lamiis di Johann Wier, condannava aspramente lo scienziato napoletano per aver riportato la ricetta dell’unguento delle streghe. 10 Qualche anno dopo, Luigi Amabile, nel suo fondamentale studio sul Sant’Uffizio napoletano, pubblicava un documento risalente al 1580, documento che permetteva di supporre che l’’incontro’, come lo definì, di Della  















Rotondò, La censura ecclesiastica e la cultura, in *Storia d’Italia. I Documenti, v/2, Torino 1973, 1397-1492 : pp. 14541460 ; Paolo Simoncelli, Documenti interni alla Congregazione dell’Indice 1571-1590. Logica e ideologia dell’intervento censorio, « Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea », xxxv-xxxvi (1983-84), pp. 189215 e Francesco Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine aux 16e-17e siècles. Un essai d’interprétation, « Historia philosophica », 2005, 3, pp. 67-96. 5   Luigi Firpo, Filosofia italiana e Controriforma, « Rivista di Filosofia », xli (1950), pp. 150-173 e xlii (1951), pp. 30-47 ; Id., Correzioni d’autore coatte, «Studi e problemi di critica testuale», 1961, pp. 143-157. 6   Paolo Simoncelli, Evangelismo italiano del Cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1979, passim. Si vedano inoltre i lavori di Saverio Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, Roma, Salerno, 2008 ; Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, Viterbo, Sette Città, 2009 e Id., Censura ecclesiastica, filosofia, Controriforma, « Dimensioni e problemi della ricerca storica », 2012, 1, pp. 125-69. 7   Ugo Baldini, La chiesa cattolica e le scienze (secoli xvi-xviii), in *Le religioni e il mondo moderno, a cura di Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi, 1. Cristianesimo, Torino, Einaudi, 2008, pp. 109-137. 8   Jean Boutier, Brigitte Marin, Antonella Romano, Les milieux intellectuels italiens comme problème historique Une enquête collective, in *Naples, Rome, Florence : une histoire comparée des milieux intellectuels italiens, 17.-18. Siècles, sous la direction de Jean Boutier, Brigitte Marin et Antonella Romano, Rome, École française de Rome, 2005, pp. 1-31. 9   Giuseppe Gabrieli, Figure e scritti dei Lincei italiani, in Contributi alla storia dell’Accademia dei Lincei, Roma, Accademia dei Lincei, 1989, pp. 703-707. 10   Francesco Fiorentino, Della vita e delle opere di Giovan Battista De La Porta, « Nuova antologia », 1880, pp. 251284 ; Id., Del teatro di Giovan Battista De la Porta. Lettere al Prof. C. M. Tallarigo, « Giornale Napoletano », iii (1880), pp. 92-118, pp. 329-343 (ora in Id., Studi e ritratti della Rinascenza, a cura di Luisa Fiorentino, Bari, Laterza, 1911, pp. 235340) : pp. 233-293. Cfr. Jean-Michel Gardair, L’immagine di Della Porta in Francia, in * Giovan Battista della Porta nell’ Europa del suo tempo, a cura di Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1991, pp. 273-290 e Germana Ernst, I poteri delle streghe tra cause naturali e interventi diabolici. Spunti di un dibattito, in Ivi, pp. 167-193 (ora in Ead., Religione, ragione e natura. Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento, Milano, Angeli, 1991, pp. 167-190).  





































della porta inquisito, censurato e proibito

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Porta con il Sant’Uffizio potesse essersi verificato « alcuni anni prima del 1579 ». In questo modo, si escludeva del tutto l’incidenza della Démonomanie di Bodin, la cui prima edizione risale al 1580, quindi successiva al processo. Inoltre, a sostegno dell’ipotesi di datazione antecedente al 1580, concorre un elemento biografico : nel novembre 1579, Della Porta aveva accolto l’invito rivoltogli dal cardinale Luigi d’Este, una circostanza che corroborava l’ipotesi che il processo e l’incarceramento fossero precedenti. 12 Nel fitto intrecciarsi di ipotesi riguardo al processo di Della Porta, Pasquale Lopez, grazie a documentazione inedita di estrema importanza, ha contribuito a chiarire alcuni aspetti : l’intransigente ed infaticabile Scipione Rebiba, cardinale di Pisa, 13 il 21 giugno 1574 scrive al viceré di Napoli, Antonio Perrenot di Granvelle, per chiedere l’arresto di Della Porta, 14 dal momento che il suo nome era uscito fuori nel corso di un procedimento contro l’astrologo Vincenzo Vitale. Interessa porre in luce come Pietrantonio Vicedomini, vescovo di Sant’Angelo dei Lombardi, scrivendo a Rebiba l’8 febbraio 1575, però non si limitasse a indicare i nomi dei complici, ma suggerisse prudenza “altrimenti non si haveranno per lo favore di persone potenti et interessate”. 15 Dunque, il processo risalirebbe al 1574 e sarebbe stato aperto per dare seguito a una denuncia di complicità emersa nei costituti dell’astrologo Vitale. Insistenti voci e accuse di negromanzia diedero quindi origine al processo davanti al tribunale dell’Inquisizione. A fine settembre del 1577 Della Porta e Mario Cioffi erano detenuti a Napoli, pronti per essere trasferiti a Roma. Grazie alla documentazione completa, ora pubblicata da Baldini e Spruit, quello che emerge con maggior chiarezza della vicenda di Della Porta è, da una parte, la forte diffidenza nutrita dall’arcivescovo di Napoli, il teatino Paolo Burali, e dall’altra, la vaghezza delle accuse raccolte in altri procedimenti. A Roma il processo si svolse, tenendo conto delle precarie condizioni di salute del napoletano, che richiesero un trasferimento loco carceris nella casa del Cardinal Orsini nel gennaio 1578. 16 Della Porta fu quindi trattato con riguardo a Roma e il 16 ottobre si giunse alla discussione del caso con il voto dei consultori “tam sacrae theologiae quam iuris peritorum doctorum”, per concludere che l’imputato “torqueatur leviter et si nihil fassus fuerit dimittatur”. 17 Dinnanzi a Gregorio XIII, il 23 ottobre del 1578 i cardinali del Sant’Uffizio decisero di cambiare la sentenza – circostanza anomala – e concordarono nel chiudere il processo con la purgazione cano 



11



















11   Luigi Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, narrazione con molti documenti inediti, 2 voll., Città di Castello, Lapi, 1892 (rist. anast. : Soveria Mannelli, Rubbettino, 1987) : vol. i, pp. 326-328, vol. ii, documento 2, p. 8. Sull’inquisizione a Napoli, si veda Giovanni Romeo, Una città, due inquisizioni : l’anomalia del Sant’Ufficio a Napoli nel tardo ’500, « Rivista di storia e letteratura religiosa », xxiv (1988), pp. 42-67 ; Il fondo Sant’Ufficio dell’Archivio Storico Diocesano di Napoli. Inventario (1549-1647), a cura di Giovanni Romeo, « Campania Sacra », 2003 e ora Id., Inquisition and Church in Early Modern Naples, in *A Companion to Early Modern Naples, ed. by Tommaso Astarita, Leiden, Brill, 2013, pp. 235-256. 12   Il medico personale del cardinale, Teodosio Panizza, aveva sollecitato tale invito, Giuseppe Campori, Gio. Battista Della Porta e il Cardinale Luigi d’Este, « Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi », vi (1872), pp. 165-190. 13   Su Scipione Rebiba, si veda Paolo Portone, sub voce, in *Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da Adriano Prosperi, con la collaborazione di Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, i-iv, Pisa, 2010, iii, pp. 1303-1304. 14   Pasquale Lopez, Inquisizione, stampa e censura nel regno di Napoli tra ’500 e ’600, Napoli, Edizioni del Delfino, 1974, p. 154 e doc. 8, p. 276 e *Le lettere della Congregazione del Sant’Ufficio ai Tribunali di Fede di Napoli, 1563-1625, a cura di Pierroberto Scaramella, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2002, p. 25. Sul contesto storico napoletano di quegli anni, cfr. Romeo De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 1992², p. 210 sgg. e ora A Companion to Early Modern Naples…, cit. 15   Catholic church and modern science …, cit., p. 1516. 16   Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (d’ora in poi ACDF), SO, Decreta 1577-78, f. 46v. Si vedano inoltre Nicola Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica ed astrologica a Napoli nel 17   ACDF, SO, Decreta 1578, f. 77v. ’500, « Studi Storici », (1959/1960), pp. 677-715.  























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nica. Il 7 novembre fu lo stesso cardinale Giulio Antonio Santoro ad ascoltare i compurgatores con la definitiva conclusione della procedura il 19 novembre. Finito il processo, Della Porta si trasferì alla fine del 1579 alla corte di Luigi d’Este, con il quale rimase in contatto fino alla sua morte nel 1586 : in questo periodo tra Padova e Venezia, il napoletano venne così a contatto con un mondo culturale diverso da quello di formazione. Anche questo esito contraddistingue il caso di Della Porta da quello di altri. Benché processato, e quindi oggetto di sospetti e accuse, il nostro prosegue la sua attività vantando protezioni e persino sostenuto da autorevoli mecenati. Basti soltanto un confronto, dopo il processo, Cardano è allontanato dall’insegnamento. 19 Per una serie di ragioni, alcune scontate, altre più sottili, il Sant’Uffizio pone sempre in evidenza le accuse e le confessioni dei processati per chiarire i confini dell’ortodossia e per legittimare l’azione. Non si tratta soltanto di pedagogia del terrore : capi di imputazioni e accuse servono a definire il lecito e il prescritto. Per Della Porta non è così. In virtù di questo silenzio o – se si preferisce –, di questa mancata, palese condanna, si potrebbe ipotizzare che il procedimento scaturisca certamente dalla denuncia di pratiche di negromanzia, con l’obiettivo però di colpire una figura di rilievo ben inserita in un milieu di alto profilo. Inoltre, si deve tenere presente che la vicenda si svolge a Napoli, città ribelle all’inquisizione e la cornice politica e istituzionale influisce nettamente, cambiando la forza dei singoli attori. A riprova di quanto supponiamo, campeggia il fiorire nel corso dei secoli delle ipotesi sulle accuse e sulla genesi stessa del procedimento inquisitoriale. Una suggestiva rincorsa di congetture che non avviene quando le accuse sono certe e ribadite a gran voce. Nonostante il vaglio dei compurgatores, il rapporto di Della Porta con il Sant’Uffizio non si chiude, ma si passa il testimone alla Congregazione dell’Indice : a distanza di anni, la Magia naturalis è inserita per la prima volta in un Indice dei libri proibiti, in quello spagnolo del 1583, tra le opere da espurgare. 20 Sono passati trent’anni dalla prima edizione e il nostro ha subito un processo inquisitoriale, eventi che segnano – Della Porta giunge alla seconda edizione – ampliata da quattro a venti libri – nel 1589, dopo aver deciso di espurgare alcune parti (come quella dell’unguento delle streghe). L’evoluzione dell’opera risente di un insieme di fattori : la bolla sistina In Coeli e altre decisioni romane imprimono una svolta più che sul ripensamento di Della Porta sulla interpretazione dei coevi, dal momento che cambiano i parametri. 21 Nella premessa alla seconda edizione, il nostro si schermisce mostrandosi consapevole di suscitare invidie e di correre il rischio di essere frainteso se le sue opere fossero finite nelle mani di ignoranti. Per limitare il più possibile i danni, aveva deciso di velare « con qualche leggiero artificio, come trasponendo le parole, togliendone alcune, e massime in quelle cose che potevano portar danno e maleficio al prossimo ; ma non talmente oscurate, ch’un ingegnoso non le possa scoprire e servirsene, né tanto chiaramente, ch’ogni ignorante, e vil huomo le possa intendere ». 22 Dunque, un filtro di autocensura che va incon18

























18   ACDF, SO, Decreta 1578, f. 82v. Sulla purgazione canonica, si veda Silvia Bertolin, Purgatio canonica, in *Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., iii, p. 1282. 19   Rinvio al mio ”Correzioni d’autore” e censure dell’opera di Cardano, in *Cardano e la tradizione dei saperi, a cura di Marialuisa Baldi e Guido Canziani, Milano, FrancoAngeli, 2003, pp. 437-456. 20   Index des livres interdits, a cura di Jesus M. De Bujanda, vi, Index de l’Inquisition espagnole 1583-84, Genève, Droz, 1993, pp. 393-394 e p. 456. Si veda Index des livres interdits, ix, Genève, Droz, 1994, p. 765. 21  Cfr. Laura Balbiani, La Magia Naturalis di Giovan Battista Della Porta : lingua, cultura e scienza in Europa all’inizio dell’età moderna, Bern, Lang, 2001 ; Paola Zambelli, White Magic, Black Magic in the European Renaissance, Leiden, Brill, 2007, passim e Donato Verardi, Le radici medievali della demonologia di Giovan Battista Della Porta e di Giulio Cesare Vanini, « Bruniana & Campanelliana », xix (2013) pp. 249-258. 22   Giovan Battista Della Porta, Della magia naturale del signor Gio. Battista Della Porta napolitano. Libri 20. tradotti dal latino in volgare, e dall’istesso autore accresciuti, sotto nome di Gio. De Rosa V. I. P. con l’aggiunta d’infiniti altri secreti, e con la dichiaratione di molti, che prima non s’intendevano, In Napoli, appresso Antonio Bulifon, 1677, p. n.n.  







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tro alle aspettative delle Congregazioni romane e alla loro missione di salvare i semplici da verità pericolose. C’era però dell’altro, poiché Della Porta ritiene necessario rendere conto del suo giovanile interesse per la magia, attribuendolo a ingenuità e immaturità e rispondere così alle calunnie anche di Bodin, un eretico per il quale invoca misericordia, invitandolo a tornare nel grembo della Chiesa di Roma. 23 Rimaneggiamenti, tagli e autocensura, però, non allontanano i sospetti e così Della Porta, rivolgendosi direttamente ai cardinali della Congregazione dell’Indice, nel dicembre 1592, ribadisce di aver espurgato l’opera seguendo le indicazioni dell’Indice spagnolo e di averla poi sottoposta a preventiva approvazione. 24 Per dare prova tangibile della sua ortodossia, si dichiara altresì « prunto et apparecchiato di ubidirli et riformare il tutto secondo il loro piacere », qualora « in esso ultimo fusse trovata cosa Inavertita ». Una sorta di supplica e di professione di fede. Evidentemente l’autocensura e la disponibilità a intervenire se necessario non dissolvono il clima di sospetto e diffidenza : per sostenere la causa della Magia naturalis, si cambia quindi strategia, facendo arrivare autorevoli intercessioni direttamente alla Congregazione dell’Indice. Dietro l’indiscutibile importanza dell’opera dellaportiana, che convince a interessarsene illustri difensori, si intravede una fitta rete di relazioni sviluppate dallo scienziato napoletano che può contare estimatori persino tra i membri della Congregazione dell’Indice. L’8 maggio 1593 il cardinale Marcantonio Colonna indirizza al segretario della Congregazione dell’Indice, Paolo Pico, un memoriale del duca di Monteleone, accompagnandolo con una lettera in cui caldeggia la soluzione della questione dellaportiana, chiedendo di prestare attenzione « acciò non si facci torto a nessuno » e di tenerlo informato della vicenda in modo che potesse, a sua volta, informarne il duca. 25 Dunque, il duca di Monteleone, Ettore Pignatelli, si rivolge direttamente alla Congregazione per dare garanzia circa l’ortodossia dello scienziato. In qualità di amico di Della Porta ‘persona molto honorata et virtuosa’, Pignatelli, nella sua lettera, ne patrocina la causa, ponendo in evidenza come la prima edizione della Magia naturalis sia stata scritta, quando l’autore era molto giovane : « che voglia mirar al libro intitulato Magia naturale d’esso Gioambatto stampato nell’anno 1588, qual è differente da un altro, che stampò al 1558, che fu trent’anni prima essendo egli Giovanetto ». Nella seconda edizione Della Porta ha apportato notevoli modifiche e di questo lavoro, osserva scrupolosamente il duca, bisogna tener conto per non far torto all’autore e al suo percorso di evoluzione. Certo dell’ortodossia tanto da farsene garante, il duca si appella ai cardinali affinché accolgano il suo patrocinio, ribadendo la sua gratitudine. Questa volta sembrerebbe che i cardinali abbiano fatto proprio l’autorevole intervento, dal momento che nell’Indice sisto-clementino la Magia naturalis è inserita tra le opere da espurgare, ma solo per le edizioni pubblicate prima del 1587. 26 Nell’Index clementino del 1596, invece, non vi è traccia di alcun provvedimento nei riguardi delle opere del napoletano. Il buon esito della vicenda non deve però far sperare nella conquistata immunità di Della Porta poiché la difesa della seconda edizione della Magia naturalis si intreccia e si sovrappone al tentativo di pubblicare la Fisionomia a Venezia, tentativo prontamente bloccato dall’intervento inquisitoriale di Giulio Antonio Santoro, a sua volta solerte ad avvisa 



























23   Rimando al mio Bodin in Italia. La Démonomanie des sorciers e le vicende della sua traduzione, Firenze, cet, 1999, passim. 24   Catholic church and modern science …, cit., pp. 1557-1558. 25 26   ACDF, Index, Protocolli i, f. 548r.   Index des livres interdits …, ix, cit., p. 417.

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re l’arcivescovo di Napoli nel marzo 1592. 27 Il caso è stato attentamente ricostruito poi da Oreste Trabucco, cui rimando. 28 Successivamente, si avanza la richiesta di imprimatur per il De refractione, opera dedicata allo studio di una teoria delle lenti attraverso l’impiego dell’analisi matematica : prima di procedere, per sottoporre al vaglio l’opera, il Maestro di Sacro Palazzo, Bartolomeo de Miranda ne chiede una seconda copia. Tuttavia, la richiesta non può essere soddisfatta perché « la detta opera è lunga, et piena di figure matematiche, et l’auttore povero che non può fare tale spesa di farla copiare ». Così, nonostante la lacrimevole supplica, che sembra piuttosto un espediente per aggirare la censura, la Congregazione dell’Indice, nella riunione del 5 dicembre 1592, nega l’imprimatur. 29 Salva la Magia naturalis, proibite la Fisionomia e il De refractione ; i rapporti di Della Porta con le congregazioni cardinalizie non si chiudono qui : l’attenzione rimane sempre vigile. Nella riunione della Congregazione dell’Indice del 28 settembre 1596 si chiede che la Phisonomia di Della Porta sia inclusa tra le opere da espurgare. 30 Qualche tempo dopo sarebbe stato il Sant’Uffizio a riprendere la questione, tanto che il 17 ottobre 1596 si ordina che, da quel momento, Della Porta mandi al Maestro del Sacro Palazzo ogni opera che intende far pubblicare per una valutazione preventiva. 31 Allo stato attuale, è plausibile l’ipotesi che Sant’Uffizio e Indice intendessero controllare il personaggio, forse in virtù delle relazioni con protagonisti influenti della vita culturale napoletana e romana. Dalle carte poco emerge riguardo ai contenuti pericolosi delle sue opere, mentre in altri casi la disamina fu dettagliata e attenta. Parziale conferma si riscontra con l’espurgazione della Magia naturalis, 32 laddove l’autore delle espurgazioni, l’agostiniano Cherubino da Verona, teologo della Curia arcivescovile di Alfonso Gesualdo, individua il brano dell’unguento : vale la pena ricordare che si tratta dello stesso brano che Wier aveva ripreso da Della Porta e sul quale Bodin aveva concentrato le sue critiche osservazioni. 33 Negli anni seguenti Della Porta si dedicò a nuove opere scientifiche e a commedie, rimanendo sempre sotto lo sguardo vigile della censura. Da una parte consapevole dei problemi che avrebbe incontrato, ma dall’altra confortato da una licenza di stampa appena ottenuta, Della Porta si rivolge a un altro patrono, Federico Cesi, il 28 agosto 1609, per chiederne il sostegno per la Chiromantia e nel luglio del 1610 avanza la propria proposta di ammissione all’Accademia dei Lincei. 34 Dopo poco la Congregazione dell’Indice prende in considerazione la richiesta di pubblicare la Chiromantia, poi rigettata, il 10 settembre 1610, a causa del parere negativo del cardinale Luigi Capponi. 35  





























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  Si veda Pasquale Lopez, Inquisizione, stampa e censura …, cit., pp. 334-335.   Oreste Trabucco, Riscrittura, censura, autocensura : itinerari redazionali di Giovan Battista della Porta, « Giornale critico della filosofia italiana », 22 (2002), pp. 41-57 e Id., Il corpus fisiognomico dellaportiano tra censura e autocensura, in *I primi Lincei e il Sant’Ufficio. Questioni di scienze de di fede, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2005, pp. 235-272. 29  Nei Diari della Congregazione dell’Indice, si registra la richiesta di Della Porta. ACDF, Diari i, f. 61v. Si rimanda a Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, il Mulino, 1996, passim. 30   ACDF, Index, Diari iii, f. 26v. 31   ACDF, SO, Decreta 1596, f. 286v. Si veda Manuela Bragagnolo, Fisiognomica, astrologia e medicina al tempo di Della Porta. La fisionomia naturale di Giovanni Ingegneri (1606), di prossima pubblicazione. Ringrazio l’autrice per avermi fatto leggere il saggio prima della sua pubblicazione. 32   ACDF, Index, xxiii, f. 8v. 33   Il famoso brano dell’unguento, nel secondo libro della prima edizione della Magia naturalis, è ripreso da Wier, sin dalla prima edizione del De praestigiis daemonum : “solertissimus occultarum indagator Ioannes Baptista Porta Neapolitanus lib.2 Magiae naturalis …”, Johann Wier, De praestigiis daemonum, Basilea, ex officina oporiniana 34 1563, f. 219.   Giuseppe Gabrieli, Contributi alla storia …, cit., p. 646. 35   ACDF, Index, Diari ii, f. 21r e f. 22v. Si veda Oreste Trabucco, Lo sconosciuto autografo della “Chirofisonomia” di G. B. Della Porta, « Bruniana & Campanelliana », i (1995), pp. 273-295. 28













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La strenua resistenza di Della Porta, « l’acuto et indefesso ingegno », come lo definì Cesi, 36 si scontra con la dura pratica della censura preventiva per circa venti anni. Anche la Chiromantia rimane a lungo manoscritta, finché Sarnelli, nel 1677, si cimenta nell’impresa di pubblicarla, cambiandone il titolo in Chirofisonomia e premettendovi una biografia del napoletano. Negli stessi anni, sulla traduzione della Magia naturalis si concentra il confronto all’interno della Congregazione dell’Indice, ma la questione esula dal nostro discorso, ed attiene alla storia della fortuna secentesca dell’opera di Della Porta. 37 Tuttavia, si può porre in rilievo che i censori individuano luoghi precisi di dubbia ortodossia, dando una lettura più attenta di quanto avvenuto per l’espurgazione cinquecentesca. Per concludere, vorrei definire ’ambiguo’ il rapporto di Della Porta con le due Congregazioni, Inquisizione e Indice. Risulta evidente che il nostro abbia goduto di una certa indulgenza, sia durante il processo che negli anni successivi, ma forse si deve notare che il criterio dell’indulgenza e della relativa moderazione è indotto in noi quasi esclusivamente dal confronto con i ben noti casi coevi. Il processo, le censure e le limitazioni a pubblicare a cui Della Porta fu costretto non possono essere sottovalutate o ridimensionate in considerazione del periodo e del clima dei quali furono figlie. Il ricco carteggio dellaportiano offre un importante e persuasivo testimone di quello che eufemisticamente può essere definito disagio di fronte alle pratiche censorie ed inquisitoriali. Con Della Porta si evidenzia il doppio livello dell’azione censoria. Talvolta le Congregazioni preferiscono usare il grimaldello della persuasione piuttosto che l’arma della forza, ottenendo in questo modo la disponibilità di molti autori a espurgare le proprie opere. Al contempo, consentono all’aristocrazia il privilegio di leggere libri proibiti, creando così un’alleanza che impone i silenzi e promuove le esitazioni e gli opportunismi. Si consolidava un continuo, scivoloso equilibrio, che concorse a escludere la penisola dalla circolazione libera delle idee e dalla discussione europea… 38 Il passaggio carsico di idee e orientamenti culturali dal Rinascimento all’Illuminismo nella penisola si salvò con le maschere della dissimulazione, con il cemento della contiguità culturale tra dotti (censori e censurati), ma questo – ed è bene ricordarlo – riguardò soltanto i ceti privilegiati. Quanto profondamente abbia inciso sulla cultura e sulla società italiana, per non dire della politica, l’azione della Controriforma e del tribunale inquisitoriale forse dovrebbe essere valutato non sulle realtà atipiche come furono le città o i dotti (che rappresentarono sostanzialmente delle eccezioni), ma analizzando la continuità di credenze e persino dei giudizi morali ancora pertinacemente resistenti nella vasta e decisamente predominante provincia italiana. Pur senza conseguenze drammatiche, le vicende inquisitoriali e censorie lasciarono traccia profonda in Della Porta direttamente e indirettamente anche perché entrò in contatto con Giordano Bruno e con Tommaso Campanella : il duro trattamento che il Sant’Uffizio riservò loro impressionò molto il nostro. 39 In risposta, nei confronti dell’in 













36   Lettera di F. Cesi a Galilei, del 29 giugno 1613, cfr. Giuseppe Gabrieli, Contributi alla storia …, cit., p. 658. Si veda inoltre Sabina Brevaglieri, Science, Books and Censorship in the Academy of the Lincei. Johannes Faber as cultural mediator, in *Conflicting Duties. Science, Medicine and Religion in Rome (1550-1750), ed. by Maria Pia Donato and J. Kraye, London-Turin, Warburg Institute Colloquia, 15, 2009, pp. 109-133.  37   La discussione è testimoniata in ACDF, Index, Diari vii, f. 26 sgg. Le espurgazioni sono in ACDF, Index, Protocolli OO, ff. 305 sgg. 38   Gigliola Fragnito, La censura ecclesiastica in Italia : volgarizzamenti biblici e letteratura all’Indice. Bilancio degli studi e prospettive di ricerca, in *Reading and Censorship in Early Modern Europe, ed. by Maria José Vega, Julian Weiss and Cesc Esteve, Bellaterra, Universitat Autònoma de Barcelona, 2010, pp. 39-56. Sulla censura di opere giuridiche, si rimanda a Rodolfo Savelli, Censori e giuristi. Storie di libri, di idee e di costumi (secolo xvi -xvii), Milano, Giuffrè, 2011. 39  Cfr. Hélène Vedrine, Della Porta et Bruno : sur la nature et la magie, in *G. B. Della Porta nell’Europa del suo tempo …, cit., pp. 243-260. Sull’incontro di Della Porta con Campanella, si veda Luigi Firpo, Appunti campanelliani,  



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quisizione, con cautela e prudenza, Della Porta mise in atto una strategia di adattamento, non opponendosi mai risolutamente, preferendo piuttosto aggirare l’ostacolo ; in questo modo si mostrò consapevole delle debolezze del sistema da sfruttare a suo vantaggio. Talvolta riuscendovi anche.  

xxv. Storia di un furto, « Giornale critico della filosofia italiana », xxxv (1956), pp. 541-549 ; Id., Il processo di Giordano Bruno, a cura di Diego Quaglioni, Roma, Salerno Editrice, 1993 e Id., I processi di Tommaso Campanella, a cura di Eugenio Canone, Roma, Salerno Editrice, 1998.  





GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA. IL DIBATTITO ITALIANO SULL’OCCULTO NATURALE E L’ASTROLOGIA (SEC. XV-XVI) Donato Verardi

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el dibattito intorno all’astrologia in atto in Italia nei secoli xv e xvi, 1 sia che si sia avversari dichiarati di questa disciplina (come Giovanni Pico della Mirandola, 2 Girolamo Savonarola 3 e Gianfrancesco Pico 4), sia che si sia suoi cauti sostenitori (come il Ficino del De vita), sia che si sia suoi fervidi difensori (come Lucio Bellanti, 5 Gabriele Pirovano 6 e Giovanni Pontano 7), l’attrazione occulta che il magnete esercita sul ferro è sempre spiegata in relazione ad un’influenza celeste. I primi, inserendosi nella tradizione avicenniana, sono propensi a parlare di una influenza generale e comune del cielo (è il caso dei due Pico e di Savonarola) ; gli altri, invece, parlano di un’influenza astrologica, particolare. Se è vero che gli avversari dell’astrologia negano sempre, in questo fenomeno, un’influenza particolare del cielo, non è detto che tutti gli astrologi (si pensi a Giovanni Abioso da Bagnolo, 8 maestro di astrologia del fratello maggiore di Della Porta, Giovan Vincenzo 9) siano propensi a spiegare l’attrazione magnetica per il tramite di un influsso specifico  



















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 Cfr. Medieval and Renaissance astrology, Special Issue ed. by Donato Verardi, « Philosophical readings » vii (2015), 1.  Cfr. Giovanni Pico della Mirandola, Disputationes adversus astrologiam divinatricem, a cura di Eugenio Garin, Firenze, Vallecchi, 1946, pp. 384-400. 3  Cfr. Girolamo Savonarola, Opera singolare del reverendo padre F. Ieronimo Savonarola contra l’astrologia divinatrice, in corroborazione de le refutationi astrologice del S. Conte Giovanni Pico de la Mirandola, In Venetia, Nella Contrada di Santa Maria Formosa al segno de la Speranza, mdlvi, p. 22r. 4  Cfr. Giovanni Pico della Mirandola, De rerum praenotione, in Opera omnia, ii, Basilea, Henricus Petrus, 1572-1573, cap. V, p. 527. 5  Cfr. Lucio Bellanti, De astrologica veritate liber quaestionum, Basileae, mdliiii, p. 8. 6  Cfr. Gabriele Pirovano, Defensio astronomiae habita per clarissimum philosophum Gabrielem Pirovanum patritium mediolanesem, Mediolani, per Leonardum de Vegiis, apud Alexandrum Minutianum, 1507, Milano, Alexandro Minutio, 1507. La fonte principale di Pirovano è il Tractatus novus de astronomia di Raimondo Lullo, del quale egli riporta fedelmente non solo il passo relativo all’attrazione magnetica, ma anche numerosi altri loci. Sulla scorta della lezione del filosofo medievale (e in contrasto con Plotino e Ficino, da lui ritenuti degli avversari dell’astrologia e della cosmologia tolemaica), Pirovano introduce, – in antitesi alla lezione dei “platonici” – la nozione di « concordantia » tra gli astri e gli elementi naturali, nonché quella di « appetitus », ossia di desiderio. Rispondendo implicitamente ad un’obiezione di Giovanni Pico della Mirandola – secondo cui gli astrologi sosterrebbero che la forma sostanziale “fluisce” dal cielo –, egli – come fanno anche Bellanti e Pontano – sottolinea che i pianeti e i segni astrali portano dalla potenza all’atto le virtù insite negli enti terrestri. Questo è possibile per mezzo del moto celeste, che regge e muove il moto di tutte le cose inferiori. Inoltre, seguendo la dottrina di Alberto Magno, Pirovano precisa che, affinché le virtù o proprietà celesti provochino dei mutamenti nel mondo inferiore, è essenziale il « luogo ». Fondamentale è anche la dottrina dei raggi di Al-Kindi, del quale Pirovano utilizza il De radiis. Al-kindi è contrapposto dall’astrologo milanese a Ficino, annoverandolo tra i “veri platonici”. Bisogna precisare come la dottrina radiale del cielo di Al-kindi sia assente in Raimondo Lullo, mentre sia fondamentale, oltre che nell’opera di Pirovano, in quelle di Pontano e di Della Porta. 7  Cfr. Giovanni Pontano, De rebus coelestibus libri xiiii, Basileae, [Andreas Cratander], 1530, p. 249. 8   Giovanni Abioso, Dialogus in astrologiam defensionem cum vaticinio a diluvio usqua ad Christi annos 1702, Venezia, F. Lapicida, 1494, c. 6r. 9   Un’altra figura annoverata tra i maestri ed interlocutori dei fratelli Della Porta è Matteo Tafuri da Soleto, a  

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degli astri. Abioso, ad esempio, ricorre alla nozione avicenniana di “forma specifica”. 10 Sempre alla forma speciei ricorre il fisico napoletano, contemporaneo di Della Porta, Giovan Camillo Maffei. 11 Ma in che senso si può parlare di un’influenza astrale generale e di una astrologica, particolare ? La possibilità di individuare due forme di influenza celeste era stata prospettata nel Medioevo latino da Pietro d’Abano, autore assai noto nel dibattito medico-scientifico rinascimentale. Pietro, nella Differentia 71 del Conciliator, testo diffusissimo tra Quattro e Cinquecento, afferma che l’astro può influire sui corpi inferiori o per il tramite di un’impressione universale e comune attraverso il moto e la luce, o per quello di un’impressione particolare impressa senza il movimento o la luce, ma per una virtù astrale particolare causata dal luogo. È la seconda tipologia di azione quella che, secondo Pietro, spiega l’attrazione “occulta” che il magnete esercita sul ferro. Egli situa la virtù del magnete nel polo artico (della sfera celeste). 12 Come ha messo in evidenza Nicolas Weill-Parot, 13 l’idea dell’esistenza di una doppia influenza celeste, una universale e l’altra particolare, è presente anche in due commentari medievali inglesi alla Fisica di Aristotele, da lui recentemente studiati e nei quali l’attrazione magnetica è spiegata in relazione al pianeta Marte. 14 Uno dei riferimenti teorici impliciti, sia del Conciliator dell’Abanense, sia dei commentari inglesi alla Fisica, è con ogni probabilità la dottrina aristotelica dei luoghi naturali, riletta in chiave astrologica da Alberto Magno nel De natura locorum. 15 D’altro canto, l’auto 













quel tempo stimato esponente della cultura astrologica, operoso anche a Napoli. Come emerge da un Pronostico del 1571, che giace ancora manoscritto, Tafuri affianca all’autorità di Tolomeo quella di Ermete Trismegisto, i due pilastri – scrive – della sua astrologia. In questo testo, il Salentino dimostra una propensione per pratiche necromantiche e testi esoterici decisamente estranei alla sensibilità scientifica di Della Porta. Nonostante la presenza nei testi dellaportiani di alcuni elementi appartenenti alla tradizione emetica ed orfica, riconducibili con ogni probabilità anche al contributo di Tafuri nel dibattito culturale napoletano, l’astrologia di Della Porta si richiama allo sperimentalismo (visivo) della tradizione ottica arabo-latina di ispirazione al-kindiana e tolemaica, diffusa a Napoli anche grazie alle opere di astrologia di Giovanni Abioso da Bagnolo e di Giovanni Pontano. Del tutto estranea alla sensibilità di Della Porta è l’astrologia di Tafuri, coi suoi « angeli geniali » in grado di mostrare « li colori de le cose, li quali sono oggetto de la vista […] et operano spiritualmente per noi », Cfr. Pronostico del nascimento di Hemilio Del Tufo, Biblioteca della Badia di Cava dei Tirreni (1571), f. 40r. Tafuri è anche autore di un Commento agli Inni Orfici, Vaticano greco 2264, Biblioteca Apostolica Vaticana (ante 1537), del quale Luana Rizzo è in procinto di realizzare un’edizione critica. Riguardo al problema della visione dei colori, un approccio otticosperimentale assai distante da quello di Tafuri è rinvenibile in Abioso, cfr. Giovanni Abioso, Divinus tractatus terrestrium et celestium trutina artem exhibens, Tarvisii, 1498. Con accenti simili a quelli di Abioso, tale problematica sarebbe stata ripresa da Della Porta, soprattutto nel De refractione optices parte, libri novem, Napoli, Apud I. Carlinum et A. Pacem, 1593, pp. 189-230. 10   Il filosofo arabo Avicenna, nel tentativo di spiegare l’origine dell’operari delle qualità occulte non riconducibili al misto elementare delle qualità primarie, caldo, freddo, secco, umido, (come, appunto, l’attrazione del magnete) introduce la nozione di “forma specifica”, elaborata a partire da quella di forma totius di Galeno. Tale “forma specifica” altro non sarebbe, per Avicenna, che la stessa forma sostanziale. Secondo l’impostazione avicenniana, le qualità occulte sono comprensibili senza ipotizzare un’azione del cielo che si verifichi per una configurazione di pianeti in un momento e in un luogo preciso (come ritengono, invece, gli astrologi), ma, per il tramite di un’azione universale del cielo. Cfr. Avicenna, Liber Canonis de medicinis cordialibus et cantica ... a Gerardo Carmonensi ex arabico sermone in latinum conversa, Venetiis, 1555, Lib. i, Fen ii, Doc. ii, Sum. i, cap. 15, foll. 36v-37v. Su questa problematica cfr. Nicolas Weill-Parot, L’attraction magnétique entre influence astrale et astrologie au Moyen Âge (xiiie-xve siecle), « Philosophical readings ». Special Iussue on : Medieval and Renaissance astrology, cit., pp. 55-71 ; e, dello stesso autore, Les “images astrologiques”. Spéculation intellectuelles et pratiques magiques (xiie-xve siècle), Paris, Champion, 2002, pp. 500-531 ; La science et l’occulte dans la nature au Moyen Âge, in *L’Homme et la Science, Textes réunis par Jacques Jouanna, Michel Fartzoff et Béatrice Bakhouche, Paris, Les Belles Lettres, 2011, pp.523-531. 11  Cfr. Giovanni Camillo Maffei, Scala naturale, overo Fantasia dolcissima intorno alle cose occulte e desiderate della Filosofia, Venezia, Lucio Spineda, 1601, pp. 118-119. La prima edizione è del 1563. 12  Cfr. Pietro d’Abano, Conciliator, Venezia, s.t., 1504, diff. 71, propter 3, f. 108r-v. 13 14   Cfr. N. Weill-Parot, L’attraction magnétique …, cit., pp. 55-71.   Ibidem. 15   Phys., iv, 1, 208b 10. Lo Stagirita, parlando della tendenza che hanno i quattro elementi verso il « luogo  



















il dibattito italiano sull ’ occulto naturale e l ’ astrologia 243 rità di Alberto fisico ed astrologo gode, tra xiv e xvi secolo, di una fortuna considerevole. 16 La dottrina astrologica dei luoghi naturali, ad esempio, è recepita – in ambito italiano – da Bellanti, da Pirovano, da Pontano, 17 da Della Porta. 18 Della Porta dichiara esplicitamente nella Magia naturalis la sua adesione alla dottrina astrologica dei luoghi formulata dal maestro di Colonia. 19 Egli spiega l’attrazione magnetica in questo modo : il ferro, secondo Della Porta, si lascia “tirare” poiché la calamita è « molto superior a l’Orsa celeste, rispetto all’ordine, per modo che non lascia scendere a terra, e perché il moto circolare fugge la violenza, la qual cosa non la può conseguire se non con essere stipite del mondo, in modo tale che per nessuna parte, il moto del cielo declina ». 20 In un altro luogo della stessa opera, il filosofo torna su questo problema nell’ambito del discorso relativo alle “immagini astrologiche”. Nella pietra calamita – afferma Della Porta – spesso si trova incisa la figura della stella Cinosura [ossia della stella polare, la più luminosa dell’Orsa maggiore], che è in grado di attrarre il ferro verso l’alto e di rendere l’uomo partecipe della sua virtù : « Nella pietra calamita – scrive Della Porta – spesso vi si trovava intagliata la figura della stella Cinosura [ossia della stella polare], avvenga che questa pietra l’ama molto, per modo che toccando il ferro, la volta in verso a quella stella e fa l’uomo participevole della sua virtù, cioè saturnale ». 21 Si tratta di due passaggi, il secondo connesso con problematiche di magia astrale, che Della Porta non ripropone nella  























naturale », aveva fatto cenno ad una qualche virtù esercitata dal luogo proprio di ogni elemento su quest’ultimo. Alla dottrina aristotelica avrebbero fatto riferimento, in seguito, i commentatori neoplatonici come Siriano ; ed è a questa tradizione che, come ha messo in luce Bruno Nardi, si sarebbe richiamato Alberto Magno e che avrebbe avuto presente anche Pietro d’Abano. Cfr. Bruno Nardi, La dottrina d’Alberto Magno sulla « inchoatio formae », in Studi di Filosofia medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1960, pp. 69-101 : p. 72. Alberto Magno, De natura locorum, ii, cap. I, ed. Lione, 1651, vol. V, p. 280. 16  Cfr. Edward P. Mahoney, Alberto Magno e lo Studio patavino tra il xv e il xvi secolo, in *Alberto Magno e le scienze, a cura di James A. Weisheipl, tr. it. di A. Strumia, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1994 (pp. 575602) ; [orig. Albertus Magnus and the Sciences, Toronto, 1980] ; Graziella Federici Vescovini, L’influenza di Alberto Magno come metafisico, scienziato e astrologo sul pensiero di Angelo da Fossombrone e Biagio Pelacani, in “Arti” e filosofia nel secolo xiv. Studi sulla tradizione aristotelica e i “moderni”, Firenze, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, 1983, pp. 75-100 ; Luca Bianchi, Rusticus mendax : Marcantonio Zimara e la fortuna di Alberto Magno nel Rinascimento italiano, in Studi sull’aristotelismo del Rinascimento, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 209-223 ; Donato Verardi, L’influenza delle stelle in un trattato in volgare del Cinquecento. Dell’Origine de’ Monti di Cesare Rao, « Philosophical readings » iv (2012), 2, pp. 17 15-23.   G. Pontano, De rebus coelestibus, cit., p. 15 18  Cfr. Donato Verardi, Giovan Battista Della Porta e le « immagini astrologiche », « Bruniana & Campanelliana », xxi (2015), 1, pp. 143-154. 19  « Non sono prive le cose particolari di virtù, et grandissime, ma nelle operationi hanno gran potere e maggiori che non glie le porge la sua spetie, per il stato delle stelle, et per occulta proprietà, dice Alberto, ogni particolare che nasce sotto il stato del ascendente del cielo sopra l’Orizonte, che gli astrologi chiamano Horoscopus, e sotto l’influsso del cielo, ne piglia una convenevole proprietà, e meravigliosa nell’operare, e una efficacia grandissima, nel patire, non specifica e comune, ma propria e peculiare : la onde à particolari gli si attribuiscano varii effetti, e diverse inclinationi, dal vario, e diverso influsso del cielo », Giovan Battista Della Porta, Dei miracoli et meravigliosi effetti, Venetia, Alberti, 1600, p. 18r-v. E altrove : « Spesso accade, che coloro errano che sprezzano nel pigliare l’herbe, metalli, o altre cose simili, il sito del luogo, ma pigliano quelle cose che gli vengano alle mani senza consideratione alcuna se alcuno desidera consequire l’effetto integralmente, non è di poco giovamento il considerare lo stato del Cielo, e il luogo proprio. Imperoche si come i luoghi ha diverse temperie, così parimente può operare diversità nelle piante. Anzi che alle volte si causa tanta diversità nelle piante circa la loro virtù, che non solamente li principianti in questa scienza si ingannano, ma ancho nel cercare le loro virtù, li Medici che sono poco esercitati nella Filosofia s’avviluppano », Ivi, p. 27r-v. 20   E continua : « Così della parte della calamita toccato il ferro drizzandolo alla parte boreale, et se alcune parti nella pietra sono contrarie di sito, così il ferro quivi toccalo, et indirizzalo verso ostro. Ma bisogna essere avvertito. Percioché se con l’isperimento non conosci la vera linea dell’ostro all’Aquilone, quanto più si allontanarà da quella, tanto più penderà all’oriente, overo all’occidente. L’abbiamo anco vista muovere, nell’apparire, et nel calare del sole, laonde toccando il ferro la parte Boreale, se la metterai alla parte dell’ostro andrai verso ostro et così per l’opposito, di qua si scioglie il dubbio, se il ferro toccato dalla calamita si muove verso le parti della coda dell’orso celeste, o pur per quella parte che si muove tutta la machina del mondo ». Ivi, p. 81v. 21   Ivi, p. 147v.  

















































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seconda edizione dell’opera. Nella Magia naturalis del 1589, l’attrazione del magnete e del ferro viene spiegata ricorrendo al principio della “simpatia”, senza più alcun riferimento al potere della stella polare. Della Porta ha abbandonato, forse, la spiegazione astrologica dell’attrazione magnetica ? Nella prima Magia, riconducendo l’attrazione magnetica all’influsso della stella polare, il Napoletano si inserisce in una tradizione di pensiero abbastanza composita. Ad una dottrina molto simile avevano fatto riferimento il Conciliator di Pietro d’Abano (il quale, si è detto, situava la virtù del magnete nel polo artico della sfera celeste), il Tractatus novus de astronomia di Raimondo Lullo (che si richiamava espressamente alla complexio della stella polare), l’opuscolo ermetico De quindecim stellis, quindecim lapidibus, quindecim herbis et quindecim imaginibus e, nel Rinascimento, il De vita di Marsilio Ficino e il De astronomiae veritate di Pirovano. Anche Agrippa di Nettesheim, pur non sviluppando in maniera approfondita il problema del magnetismo, nel De occulta philosophia considera il magnete come la pietra dell’Orsa maggiore, richiamandosi ad essa in relazione a problematiche di magia astrale. 22 Il giovane Della Porta può ben conoscere questi testi. Il Conciliator di Pietro d’Abano, opera che ha numerose edizioni nel Rinascimento, 23 è recepito nell’enturage dei fratelli Della Porta anche grazie a Giovanni Abioso. 24 Il trattato di Pirovano, pubblicato per la prima volta nel 1507, è riedito insieme alle opere astrologiche di Lucio Bellanti nel 1554, ossia quattro anni prima della Magia naturalis libri iv. Il primo dei tre libri del De occulta philosophia sembrerebbe poi essere in molti punti il canovaccio sul quale Della Porta struttura la sua prima Magia. 25 Tuttavia, riguardo al magnetismo, anche a fronte di un confronto testuale, l’opera a cui Della Porta si riconnette nella prima Magia è il De vita coelitus comparanda di Ficino. Nel De vita, il filosofo di Figline nega che l’attrazione magnetica possa essere ricondotta ad un principio simpatetico, poiché, se così fosse, il ferro attirerebbe il ferro in misura maggiore rispetto alla calamita. Né – argomenta – si può ritenere che il magnete attiri il ferro in virtù di una superiorità della pietra rispetto al ferro. Nell’ordine dei corpi il metallo è superiore alla pietra. La ragione per cui il magnete attrae il ferro è, secondo Ficino, un’altra. Il magnete, pur essendo ordinato con il ferro nella serie che si ricollega all’Orsa maggiore, occupa nella proprietà di quest’ultima un grado superiore rispetto al ferro. In virtù di ciò il magnete attrae il metallo. 26 Nella prima Magia, Della Porta accetta questa soluzione del problema, mentre nella seconda se ne distanzia. Nella Magia naturalis del 1589, Della Porta sostiene che la calamita attrae il ferro poiché essa è composta in parte di pietra, in parte di ferro. Nella composizione del magnete la pietra è quantitativamente superiore al ferro. Quest’ultimo, mosso dal desiderio di conservarsi, attrae il ferro che è all’esterno. Ciò avviene perché il ferro che è all’interno cerca di compensare la predominanza della pietra nella composizione della calamita. L’attrazione non è quindi ascrivibile al potere della pietra, ma al ferro  











22  Cfr. Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, De occulta philosophia libri iii, critical edition by Vittoria Perrone Compagni, Leiden, Brill, 1992. 23   Cfr. http ://www.pietrodabano.net/progetto/bibliografiaTuretta.pdf 24  Cfr. Giovanni Abioso, Dialogus in astrologiam defensionem …, cit., nel quale la fonte del Conciliator di Pietro d’Abano è fondamentale. 25   Il problema di uno studio sistematico della fonte di Agrippa in Della Porta è stato posto da Laura Balbiani, La Magia Naturalis di Giovan Battista Della Porta. Lingua, cultura e scienza in Europa all’inizio dell’età moderna, Bern, Lang, 2001, p. 53. 26  Cfr. Marsilio Ficino, Three Books on Life. A Critical Edition and Translation, ed. and tr. by Carol V. Kaske and John R. Clark, NY, Binghamton, 1989, pp. 314-316.  

il dibattito italiano sull ’ occulto naturale e l ’ astrologia 245 27 contenuto nella composizione della calamita. Nel settimo libro della Phytognomonica (1588), edita solo un anno prima della Magia dell’89, il principio di attrazione e repulsione delle pietre come il magnete è spiegato attraverso la “simpatia”. Inoltre, il fenomeno magnetico viene collegato non più alla stella polare (come Della Porta aveva fatto nella prima Magia), ma al pianeta Marte. La “simpatia” che spiega l’attrazione del magnete col ferro è – come il Napoletano scrive in Phytognomonica – la “simpatia” plotiniana, che egli si impegna a verificare attraverso la sperimentazione diretta. 28 Questa concezione del ruolo della simpatia nell’attrazione magnetica, alquanto simile a quello assegnatole da William Gilbert, può farci comprendere la natura della polemica che Della Porta intesse con il grande teorico moderno del magnetismo, accusandolo perfino di plagio. Si tratta, a prescindere dalla paternità della dottrina in questione (la polemica di Della Porta avrebbe investito, infatti, ben altri punti dell’opera di Gilbert 29), di una posizione differente rispetto a quella di Ficino, il quale aveva negato che l’attrazione magnetica fosse spiegabile per mezzo della simpatia. D’altronde, il filosofo di Figline aveva messo in atto un vero e proprio ridimensionato del ruolo della simpatia universale di Plotino. Come ha sottolineato Weill-Parot, Ficino assegnava allo spiritus « le rôle de liant que le philosophe antique assignait a l’Âme du monde ». 30 Al contrario, il riferimento a Plotino è assai utile a Della Porta, il quale, nella Phytognomonica del 1588 e nella Magia naturalis del 1589, sostiene che è sempre il simile ad attrarre il simile. Pertanto, è il ferro ad attrarre il ferro, in virtù di un principio di somiglianza da lui accettato (ma ancora non pienamente sviluppato nella sua applicazione ai casi “particolari”) sin dalla prima Magia. Essendo Marte il pianeta del ferro (secondo una tradizione medica, astrologica ed alchemica assai consolidata a metà del XVI secolo 31), l’attrazione magnetica non può che dipendere da questo pianeta.  













27  « Il mio parere è che la calamita sia una mistura di pietra e ferro, e come si dicesse una pietra di ferro, e un ferro di pietra. Ma non vorrei che t’immaginassi che la pietra fusse tanto conversa in ferro, che habbi perduta la sua natura, ne il ferro esser tanto immerso nella pietra che non difendi l’essentia sua, anzi mentre il ferro cerca di superar la pietra, e la pietra il ferro, ne vien quel tirar del ferro. In quella massa vi è più di pietra che di ferro, e però aciocchè il ferro non venghi suppeditato, et agonizzato dalla pietra, desia congiungimento ed amicitia, acciò che quello che non può solo, possa con l’aiuto d’altri. Laonde, per servirsi di quella amica parentela, e per non perder la sua perfetione, tira a sé il ferro per forza, ma spontaneamente il ferro se conferisce », Giovan Battista Della Porta, Della magia naturale libri xx, Napoli, Bulifon, 1677, p. 235. 28  Cfr. Giovan Battista Della Porta, Phytognomonica […] Octo libris contenta, Rothomagi, Apud Ioannis Berthelin, 1650, p. 530. 29   Ad oggi l’attenzione maggiore a questa tematica è stata riservata da Luisa Muraro, Giambattista Della Porta mago e scienziato, Milano, Feltrinelli, 1978. 30   Nicolas Weill-Parot, Pouvoirs lointains de l’âme et des corps : éléments de réflexion sur l’action à distance entre philosophie et magie, entre Moyen Âge et Renaissance, « Lo Sguardo. Rivista di Filosofia », x (2012), 3, p. 93. 31  L’apparentamento tra Marte e il ferro, risalente ad una antica tradizione alchemico-astrologica, è perfettamente compatibile con l’idea di “simpatia” proposta da Della Porta in relazione all’attrazione magnetica, secondo la quale è il simile che attrae il simile. Se Marte – come vuole anche il De lapidibus dello pseudo-Orfeo citato in Phytognomonica – è il pianeta del ferro, si comprende come mai sia proprio esso, e non la stella polare, ad avere la capacità di attrarre verso l’alto il suo emulo terreno. (Cfr. Orpheus, De lapidibus, Hannardo Gamerio interprete, Leodii, Ex Officina Gualtieri Morberij, 1578, p. 15). D’altronde, anche il De aluminibus attribuito a Rāzī, testo che, come afferma Michela Pereira, è portatore di una visione dell’alchimia « che ritroveremo costantemente alla base della pratica alchemica occidentale fino a Paracelso e in larga misura anche oltre », assimila Marte alla natura del ferro. Cfr. Alchimia, a cura di Michela Pereira, Milano, Mondadori, 2006, p. 272 ; Rāzī, De aluminibus et salibus, in Alchimia, cit., pp. 295-296. Questa stessa assimilazione è presente, inoltre, nel De considerazione quintae essentie rerum omnium di Giovanni da Rupescissa, il primo a proporre la trasformazione alchemica dell’“acqua di vita”. Cfr. Alchimia, cit., p. 663. Un collegamento tra corpi celesti e alchimia è anche nel Trattato chemico di Giovanni Tritemio, cfr. Ivi, p. 772. Questo tema, connesso con quello della “quinta essenza”, è assai caro a Della Porta ed è approfondito, nel contesto napoletano, dal suo allievo Donato d’Eremita, autore di un Dell’elixir vitae e di un Antitodario. La spiegazione secondo la quale l’attrazione magnetica è da mettere in relazione a Marte, pianeta che possiede la capacità di attrarre verso l’alto il ferro, è rinvenibile, poi, in un classico della letteratura alchemica, il Paragranum di Paracelso (cfr. Ivi, p. 848.), nonché nel De rebus coelestibus di Giovanni Pontano.  















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Pertanto, facendo proprio questo assurto, Della Porta corregge se stesso (correggendo indirettamente anche Ficino). Egli si accorge, in una fase successiva della sua esperienza intellettuale, che : se (1) si accetta il principio di simpatia per cui il simile attrae il simile e, (2) si fa propria la dottrina per cui Marte è il pianeta del ferro, ne consegue che (a) il ferro è attratto dal ferro e che (b) tale attrazione è riconducibile al pianeta preposto al ferro, ossia Marte. Ma in cosa consiste la “simpatia” secondo Della Porta, e in che senso essa può dirsi – se può dirsi – universale ? L’idea che il Napoletano ha di questa nozione è assai complessa e non può essere ricondotta tout-court alla sola simpatia plotiniana, che egli comunque accetta. Nella Magia del 1589, Della Porta afferma che esiste : 1) una “simpatia” tra gli elementi terrestri (una “simpatia”, questa, che va semplicemente constatata) e, 2) una “simpatia”, ossia un’amicizia, tra i pianeti e i segni dello zodiaco. 32 Se la prima forma di simpatia è quella plotiniana, la seconda è l’affinità tra i pianeti e i segni prospettata dalla tradizione astrologica tolemaica. Essa prevede che i segni zodiacali possano essere in opposizione, in trigono o in quadratura e i pianeti e i segni interconnessi secondo relazioni di domicilio, trigono, esaltazione, territorio e altre. 33 Per descrivere il rapporto che intercorre tra gli astri e gli elementi, Della Porta utilizza anche una terza accezione del concetto di simpatia, assimilandola all’influxus. Secondo Della Porta, le proprietà naturali sono sempre “attualizzate” (ossia portate dalla portenza all’atto) per il tramite di un influxus celeste. 34 D’altro canto, nella prima e nella seconda edizione della Magia naturalis, Della Porta scrive che ogni fenomeno che noi vediamo agire nel mondo è sempre realizzato grazie all’azione degli aspetti del cielo. 35 Come egli sostiene nel corpus fisiognomico, in particolare in Phytognomonica, lo scienziato, confrontando attraverso lo strumento della similitudine gli “accidenti” delle cose terrestri (ossia il loro moto, il loro colore, la loro figura, etc.) con gli “accidenti” degli astri ad esse somiglianti, è in grado di individuare le cause celesti che, per il tramite dell’influxus, hanno prodotto le loro “peculiari proprietà” (ossia le virtù occulte). 36 Secondo Della Porta, l’indagine del filosofo naturale verte sempre intorno all’ens per accidens. Egli non si occupa, al contrario di quanto fa il metafisico, della definizione della sostanza delle cose. Su questo Della Porta è chiaro sin dalla prima Magia naturalis. Questa posizione presuppone l’idea che la filosofia naturale non risale in nessun caso dalla conoscenza di ciò che è accidentale, al quid. La sostanza 37 non è mai sensibile di per sé, ma solo per accidens. Secondo l’impostazione dei filosofi empirici, accettata anche da Della Porta, il filosofo naturale conosce solo i singolari, potendone descrivere le proprietà particolari. Il cielo è studiato da Della Porta nei suoi “accidenti”, ossia nella figura, nella grandezza, nel movimento, nel colore. Questo procedimento conoscitivo, che sottende una particolare teoria della visione atmosferica (esposta nel De refractione, 38 e che ha un suo precedente nella lezione di Abioso da Bagnolo, 39) è applicato da Della Porta anche al resto  





















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  G. B. Della Porta, Della magia naturale libri xx …, cit., p. 7.  Cfr. Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche (Tetrabiblos), a cura di Simonetta Feraboli, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 1985, pp. i, 15-20, pp. 61-77. 34  Cfr. G. B. Della Porta, Phytognomonica …, cit., p. 522. 35  Cfr. D. Verardi, Giovan Battista Della Porta ..., cit., pp. 143-154. 36  Cfr. G. B. Della Porta, Phytognomonica …, cit 37   Sull’idea di sostanza in Della Porta, intesa quale sostanza naturale e non come la sostanza dei metafisici, cfr. Donato Verardi, The occult in the Natural Magic of Giovan Battista Della Porta and the phenomena of tarantism, in *Magie, Tarantismus und Vampirismus. Eine interdisziplinäre Annäherung, Hrsg. Monica Genesin & Luana Rizzo, Hamburg, Verlag, 2013, (pp. 147-154). 38  Cfr. G. B. Della Porta, De refractione optices parte …, cit., pp. 189-230. 39  Cfr. G. Abioso, Divinus tractatus …, cit. 33

il dibattito italiano sull ’ occulto naturale e l ’ astrologia 247 40 del cosmo. È questa la sua « Fisiognomica del mondo ». Per mezzo della comparazione tra i due piani della realtà naturale, è possibile individuare la causa “effettiva” celeste a partire dall’analisi visiva degli “accidenti” dell’effetto terrestre. Ad esempio, dal fatto che una pianta somiglia nella forma e nel colore ad uno scorpione, noi possiamo capire che la “peculiare proprietà” di quella pianta è quella di curare il morso degli scorpioni. In questo modo è possibile riconoscere il principio di “simpatia” che intercorre tra la pianta e ciò che essa è in grado di curare. 41 Dallo studio fisiognomico della forma e del colore degli astri, invece, noi possiamo capire che sono essi a “provocare”, tramite l’influxus, la “peculiare proprietà” della pianta o della pietra con la quale condividono gli “accidenti”. Questa azione dell’astro sulla pianta o la pietra non è di tipo “formale”. L’astro non dona loro la forma, ma ne provoca semplicemente la formazione, l’attuazione. 42 La somiglianza tra un elemento e un altro è, pertanto, “diretta”, poiché presuppone una medesima qualità condivisa dai due enti. La somiglianza tra un elemento ed un astro è, invece, “indiretta”, “accidentale”, non riguardando mai la “sostanza”. Da qui la necessità di Della Porta di supporre l’esistenza di due differenti “simpatie” per i due livelli della realtà naturale, nonché di una terza (l’influxus) in grado di metterli in relazione. Se tra il cielo e la terra – regolati da principi simpatetici tra loro coordinati, ma distinti – può constatarsi una “simpatia”, essa è sempre riconducibile all’azione fisica (l’influxus) dell’astro sugli elementi. L’azione dell’astro provoca nelle cose terrestri (ad esempio in una pianta) una “virtù” ordinata alla maniera della “virtù” che a quell’astro è propria. Tale virtù celeste è sì occulta, cioè sconosciuta in relazione alla sua sostanzialità, ma è conoscibile in relazione agli accidenti dell’astro che la possiede, e, per consequens, alla “peculiare proprietà” che essa attualizza in quell’ente della natura col quale l’astro condivide gli accidenti. In altre parole, la “virtù celeste” è conoscibile in relazione agli effetti che il corpo celeste che la possiede provoca nell’ente terrestre ad esso preposto (ossia, somigliante). Secondo questa impostazione, tra gli astri e la terra c’è similitudo, non corrispondenza “sostanziale”. La distanza tra cielo e terra non è affatto “abolita”. Sostenere che il piano celeste e quello terrestre, somigliandosi, sono in rapporto di reciproca simpatia, non significa supporre che non ci sia differenza tra il cielo e il mondo sublunare. Il cosmo per Della Porta è evidentemente gerarchizzato, strutturato come nel Liber de causis « secondo gradi » discendenti. Il cielo è la causa (effettiva) ed opera sul mondo per il tramite di « raggi ». Ciò che noi constatiamo nel mondo sublunare è l’effetto dell’azione (astrologica) celeste. Pertanto, se come insegna una certa tradizione alchemico-astrologica e medica, Marte è il pianeta del ferro, e se a livello degli elementi è il ferro, e non la pietra, ad attrarre verso di sé il ferro (poiché secondo la dottrina della simpatia universale plotiniana è sempre il simile che attrae il simile), si comprende come mai – secondo Della Porta – il fenomeno del magnetismo sia da collegare a Marte (pianeta al quale l’elemento del ferro è sottoposto) e non alla stella polare (come lui stesso aveva fatto nella prima Magia richiamandosi implicitamente a Ficino). La somiglianza tra Marte e il ferro è indiretta, senza coinvolgere la « celeste natura » dell’astro e la « terrestre qualità » del metallo. 43 Se il ferro presente nella calamita attrae a  





















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 Cfr. Iole Agrimi, Ingeniosa scientia nature : studi sulla fisiognomica medievale, Firenze, sismel, 2002. 42  Cfr. G. B. Della Porta, Phytognomonica ..., cit., p. 32.  Cfr. Ivi, p. 18 e pp. 522-551. 43   Infatti Della Porta, in un passo della Magia naturalis libri xx, scrive : « Ogni certa materia è esposta alle cause superiori (come un vetro, o pietra speculare al volto) [...]. Si può vedere in terra il Sole e la Luna, ma secondo la terrestre qualità, e nel cielo le piante, le pietre e gli animali, ma secondo la celeste natura », G. B. Della Porta, Della magia naturale …, cit., p. 19. 41









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sé il ferro che è all’esterno, ciò è dovuto ad una loro identità di natura, ad una somiglianza “diretta” nella « terrestre qualità ». A questo primo livello, la “simpatia” plotiniana – evocata da Della Porta in Phytognomonica – è sufficiente a spiegare il fenomeno dell’attrazione magnetica. Il rapporto simpatetico che intercorre tra Marte e il ferro è, invece, di altra natura. A questo livello di comprensione del magnetismo subentra la spiegazione astrologica, che sottende l’idea di un cosmo gerarchico, strutturato sul principio secondo il quale la causa superiore (Marte) provoca la “virtù occulta” (l’attrazione simpatetica) di un elememento (il ferro che è nella calamita) con l’elemento a cui è simile (il ferro che è all’esterno). In questo senso, si può concludere che la simpatia plotiniana che, secondo Della Porta, regola il piano elementare, è portata dalla potenza all’atto dalla simpatia celeste (l’affinità planetaria) che opera effective tramite l’influxus. L’azione dell’influxus, che si verifica sempre in un momento e in un luogo determinato, è conoscibile nei suoi effetti. Attraverso lo studio fisiognomico degli accidenti delle stelle, strutturato sulle regole della prospettiva atmosferica, noi conosciamo gli effetti che esse producono per il tramite dell’influsso sul mondo sublunare. Come avrebbe precisato nella Coelestis physiognomonia, anche qui inserendosi nella tradizione astrologica tolemaica, la forma non proviene dagli astri, ma dal temperamento. 44 Quello che – come aveva sostenuto Pontano – solo parlando volgarmente definiamo influxus, 45 è in realtà ciò che permette che le virtù degli enti terrestri si attualizzino. Gli aspetti del cielo “provocano”, attraverso il movimento mediato dei cieli, le virtù insite nella materia, di modo che esse passino dalla potenza all’atto. 46 Nessun influsso magico fluisce dalle stelle. Gli astri agiscono sul piano materiale del mondo non formaliter, sed effective e l’obiezione di Pico, secondo il quale gli astrologi farebbero discendere dal cielo la forma sostanziale degli enti terreni, non ha ragion d’essere. 47 È questo che, in uno stile involuto e complesso, Della Porta afferma nella Coelestis physiognomonia. Sotto le mentite spoglie di un’opera antiastrologica si cela in realtà un testo che conferma una dottrina eminentemente astrologica. Non dagli astri discende la forma, ma dal temperamento. In questo testo, Marte non è più soltanto il pianeta del ferro, ma assume anche i connotati, anch’essi astrologici, del pianeta degli assassini, della violenza, della guerra. Tuttavia, come affermavano già Pirovano 48 e Bellanti 49 richiamandosi alle dottrine di Tommaso, non è Marte che fa essere dei violenti assassini.. Il cielo, come ribadisce anche Pontano, 50 per il tramite di Marte rende irascibili, semmai inclini alla libidine, ma sta all’uomo, col suo libero arbitrio, superare tali inclinazioni naturali. Alla luce di queste premesse, per Della Porta il cielo può esser studiato per il tramite della sua fisionomia, in quanto in esso è rappresentato l’effetto : ciò che il cielo provo 



















44   Su questo punto cfr. Donato Verardi, L’ambigua presenza di Giovanni Pico della Mirandola nella Coelestis physiognomonia di Giovan Battista Della Porta, in *Giovanni Pico della Mirandola e la “dignità” dell’uomo. Storia e fortuna di un discorso mai pronunciato. Atti del Convegno internazionale (Mirandola, Modena-Ferrara, 24-26 febbraio 2014, « Schifanoia », xlvi-xlvii (2014), pp. 113-120. 45  Cfr. Giovanni Pontano, La fortuna, a cura di Francesco Tateo, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2012, p. 329. 46  « Le indicazioni iniziali del cielo sono poste quasi in moto, e fanno progressivamente il loro corso dalla potenza all’atto. Come avviene nelle piante, che all’inizio mettono fuori quasi delle gemme, poi si vestono di fiori, quindi di frutti che a poco a poco maturano. E questo frutto è promesso sin dall’inizio, e sin dall’apertura delle gemme », Ivi, p. 339. 47   Questa precisazione alla critica pichiana è ribadita anche da Agostino Nifo, cfr. Agostino Nifo, Ad Sylvium Pandonium Boviani Episcopum Eutichi Augustini Niphi suessani ad Apotelesmata Ptolemaei eruditiones, p. ix. 48  Cfr. G. Pirovano, Defensio astronomiae …, cit., p. 225. 49  Cfr. L. Bellanti, De astrologica veritate …, cit., pp. 189-90. 50  Cfr. G. Pontano, De rebus coelestibus …, cit., p. 243.  







il dibattito italiano sull ’ occulto naturale e l ’ astrologia 249 ca, ciò che effective « fa » sul piano materiale del mondo sublunare. Nel cielo, pertanto, è raffigurato anche il principio della simpatia che regola il mondo della materia. Per il tramite della somiglianza tra simpatia terrestre e simpatia celeste, Della Porta prospetta una conoscenza del mondo e dell’uomo naturale per come lo si “vede”. Il ricorso alla similitudine non è – come ha ritenuto a torto Michel Foucault – il “giuoco” di una mentalità, quella del xvi secolo, non in grado di distinguere tra realtà ed immagine proiettata, 51 ma lo strumento attraverso cui giungere ad una comprensione razionale di una natura “mirabile”, che può essere “vista”. Una conoscenza delle cose naturali fondata su di una epistemologia ben precisa, ossia quella dell’astronomia-astrologia tolemaica e della tradizione ottica arabo-latina medievale, con una sua tradizione proseguita in Italia anche nei secoli xv e xvi e che, nel milieu culturale napoletano di fine Cinquecento, trova nella riflessione di Della Porta alcuni dei suoi esiti più interessanti e significativi.  





51  Cfr. Michel Foucault, Les mots et les choses. Une archéologie des sciences humanes, Paris, Gallimard, 1966, pp. 32-58.

FEDERICO CESI E LA VITA DI GIOVANNI BATTISTA PORTA LINCEO Marco Guardo 1. Percorsi di una biografia lincea

I

l primo incontro tra Federico Cesi e Giovan Battista Della Porta avviene nel 1604 a Napoli, dove il giovane fondatore dell’Accademia dei Lincei si è recato poi che la crescente ostilità paterna nei confronti della « Lyncealità » ne ha originato il momentaneo scioglimento. 1 Cesi non manca di informare il sodale Francesco Stelluti sul « viaggio Napolitano », rammentando non solo le « delitie, spassi piaceri et libertà » goduti nella città campana, ma anche l’« utile » tratto dai conversari con Della Porta e con il naturalista Ferrante Imperato, 2 definiti « de’ Lyncei amicissimi » e « miracoli di Natura », grazie ai quali ha imparato « grandemente » e ha ricevuto e continuerà a ricevere « bellissimi secreti ». 3 Della Porta promette ai Lincei piena collaborazione (« vobis me expono et dedo ») e augura il favore di Mercurio verso l’impresa accademica (« Mercurius coeptis faveat »). 4 Sei anni più tardi, nel 1610, Della Porta è ascritto all’Accademia, ricostituitasi da poco tempo. Successivamente egli è nominato Viceprincipe del Liceo napoletano, 5 istituzione con ogni probabilità destinata a rimanere priva di una sede propria : Cesi, infatti, non giunge ad acquistare un palazzo per la colonia di Napoli, verosimilmente a causa dell’esborso richiesto dalla compravendita, che inizialmente vede l’attempato Della Porta particolarmente attivo e solerte nel propiziare l’acquisto dell’immobile proposto a sede del sodalizio partenopeo. 6 Il carteggio accademico attesta la varietà degli argomenti nelle lettere di Della Porta a Cesi : 7 il sodale sollecita la licenza di alcune sue opere, chiede aiuto per la vendita dei suoi libri a Roma, tratta, anche grazie all’ausilio di rappresentazioni grafiche, di fenomeni ottici, rivendica con vigore l’invenzione del telescopio. 8 Suggerisce, infine, il nome di non pochi candidati da ascrivere all’Accademia : « principi e marchesi litterati », semplici « litterati », purché « exquisitissimi, che di filosofi e medici et huomini ordinarii ne son piene  





















































   















1   Sull’esordio travagliato del sodalizio si veda Cronache e statuti della prima Accademia dei Lincei. Gesta Lynceorum, « Ristretto » delle costituzioni, Praescriptiones Lynceae Academiae, a cura di Marco Guardo e Raniero Orioli, Roma, Scienze e Lettere, 2014. 2   Per un primo orientamento cfr. Cesare Preti, Imperato, Ferrante, in *Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, vol. 62, pp. 286-290. 3   Giuseppe Gabrieli, Il carteggio linceo, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1986, pp. 40-41, n. 15 (lettera del 17 luglio 1604). Il volume di Gabrieli ristampa gli scritti pubblicati, tra il 1938 e il 1942, nelle « Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche » dell’Accademia dei Lincei. 4   Ivi, p. 35, n. 14 (lettera del 25 giugno 1604). A riguardo del favore di Mercurio mette conto ricordare che il sodalizio cesiano fu fondato il 17 agosto 1603 confidando proprio nella benevola influenza di Mercurio : cfr. Cronache e statuti della prima Accademia dei Lincei …, cit., p. 56. 5  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 240, n. 131 (lettera di Cesi al sodale Giovanni Faber del 20 giugno 1612). Cfr. Giuseppe Olmi, La colonia lincea di Napoli, in *Galileo e Napoli, a cura di Fabrizio Lomonaco, Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1984, pp. 23-58. 6  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 214, n. 112, p. 215, n. 113, p. 226, n. 122, p. 231, n. 125 (lettere di Della Porta a Cesi rispettivamente del 30 marzo, 7 aprile, 31 maggio e 2 giugno 1612). 7  Cfr. Alfonso Paolella, La presenza di Giovan Battista della Porta nel carteggio linceo, « Bruniana & 8  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., pp. 1393-1394. Campanelliana », viii (2002), 2, pp. 509-521.  













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tutte le stalle di Napoli », « principi e cavaglieri riguardevoli » ; insiste, inoltre, sulla necessità che il sodalizio disponga di un proprio « libretto delle cerimonie » e che esse, onde non si riducano a un « gioco di putti », si facciano in un clima di fasto solenne, ben riassunto dal suggerimento che gli ascritti indossino vesti di seta, d’oro o di broccato. 9 D’altronde i Lincei, pur manifestando devozione e rispetto nei confronti di Della Porta, la cui « eminenza » sarà in seguito accostata a quella di Galileo Galilei, 10 non celano talora imbarazzo per la condotta del sodale. Cesi confessa infatti : « Il Porta mi fa quasi disperare col pensar tuttavia ad altri Principi grandi, et trattarne, et poco è mancato non abbia trattato ancora con l’istesso Viceré ». Altrove il fondatore dell’Accademia rileva che Della Porta « veramente è troppo prolifico », 11 alludendo alla copiosa produzione a stampa, sapientemente indagata da Antonella Orlandi, 12 e alla disinvoltura con la quale propone tanti candidati all’Accademia. Talora, infine, è il topos della senectus malum est a dare origine ad alcuni accenni, non sempre benevoli : il linceo Fabio Colonna, fedele all’adagio « la vecchiaia è il mal peggiore », rimarca a Galilei la testardaggine dell’anziano naturalista, ostinato a « non volersi medicare come doveria » ; 13 d’altra parte Cesi, scrivendo allo scienziato toscano, ammira « l’acuto et indefesso ingegno » di Della Porta, il quale « in così decrepita età non cessa di fatigare e speculare », ma nel contempo prega di compatire « alla sua età ottogenaria, inferma, che le cagiona che trasanda e non pensa molte cose ». 14 Dopo la morte del naturalista, il 4 febbraio 1615, ligio al dettato statutario contenuto nel Lynceographum, 15 Cesi stabilisce che l’Accademia si faccia carico di comporre l’orazione funebre e l’epitaffio. Il verbale di un’adunanza accademica del 1617 annota infatti : « ut Rykio mittatur materia pro orationibus funebribus Portae, Salviati et Welseri », 16 alludendo alla trasmissione al poeta-filologo fiammingo Iosse de Rycke (Iustus Riquius) 17 di appunti per la commemorazione funebre non solo di Della Porta, ma anche dei lincei Filippo Salviati e Marco Welser. 18 Riquius è noto alla cerchia lincea ormai da tre anni, giacché nel 1614 19 il cancelliere dell’Accademia Giovanni Faber lo aveva invitato a prendere servizio presso Cesi in qualità di segretario, definendo puntualmente le condizioni dell’impiego (l’alloggio nel palazzo romano di via Maschera d’oro, il vitto assicurato, un sottosegretario, un servitore a disposizione e, infine, l’uso della ricchissima biblioteca). 20  

















































   































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  Ivi, p. 214, n. 112, p. 215, n. 113, p. 225, n. 122.   Ivi, p. 944, n. 782 (lettera di Cesi a Bernardino Lucani del 24 settembre 1624). Su Galilei e l’Accademia cesiana cfr. Paolo Galluzzi, « Libertà di filosofare in naturalibus ». I mondi paralleli di Cesi e Galileo, Roma, Scienze e Lettere, 2014. 11  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 247, n. 137 (lettera a Stelluti del 5 luglio 1612) e p. 249, n. 138 (lettera a Faber del 7 luglio 1612). 12   Antonella Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, Pisa-Roma, Serra, 2013. 13  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 448, n. 344 (lettera del 29 luglio 1614). 14   Ivi, p. 367, n. 252 e p. 369, n. 255 (lettere del 29 giugno e 19 luglio 1613). 15   Lynceographum quo norma studiosae vitae Lynceorum philosophorum exponitur, a cura di Anna Nicolò, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2001, p. 112. 16   Giuseppe Gabrieli, Verbali delle adunanze e cronaca della prima Accademia lincea (1603-1630), in Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, voll. i-ii, vol. i, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1989, (pp. 497-550), p. 537. I Contributi …, cit., raccolgono gli scritti che Gabrieli dedicò allo studio dei primi Lincei. 17   Sul filologo fiammingo si veda Roberta Ferro, Accademia dei Lincei e Res publica litteraria : Justus Ryckius, Erycius Puteanus e Federico Borromeo, in *All’origine della scienza moderna: Federico Cesi e l’Accademia dei Lincei, a cura di Andrea Battistini, Gilberto De Angelis e Giuseppe Olmi, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 203-270. Sul binomio scienza-humanae litterae nell’ambito della prima Accademia si veda altresì Eraldo Bellini, Umanisti e Lincei. Letteratura e scienza a Roma nell’età di Galileo, Padova, Antenore, 1997. 18  Per un primo orientamento sui due lincei cfr. G. Gabrieli, Degl’interlocutori nei dialoghi galileiani e in particolare di Filippo Salviati Linceo, in Contributi …, cit., vol. i, pp. 959-986 e Id., Marco Welser Linceo Augustano, in Contributi …, cit., vol. ii, pp. 989-1009. 19  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 409, n. 299 (lettera di Faber a Riquius del 18 gennaio). 20  Cfr. Maria Teresa Biagetti, La biblioteca di Federico Cesi, Roma, Bulzoni, 2008. 10







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La scelta di Cesi di affidare all’umanista ultramontano la stesura della laudatio funebre dei Lincei si rivela fatale : Riquius, infatti, non mette mano a nessuna delle orazioni e procrastina il suo viaggio a Roma per un intero decennio, adducendo giustificazioni che reitera puntualmente (quali le difficoltà domestiche, le molteplici occupazioni, la salute malferma, sia quella dell’anziana madre sia la propria) e tuttavia non manca di promettere che le laudationes funebres saranno stese al suo prossimo giungere nell’Urbe. 21 Cesi, d’altra parte, è diviso da opposti sentimenti : infatti già nel 1615 afferma « Del Rikio non credo si debbia procurar altro, né darli altra briga, bisognarà voltiamo altrove il pensiero » e, nel 1617, confessa « habbiamo poca speranza del Richio », consapevole della difficoltà di avvalersene ; tuttavia, a seguito delle rassicurazioni di Riquius, che danno come imminente il viaggio a Roma, nel medesimo 1617 riferisce di attendere « con desiderio » notizie e ancora nel 1622 chiede se vi siano novità a riguardo (« An aliquid unquam de Rickio ? »). 22 Tutto ciò lascerebbe supporre che Cesi non ritenesse prioritaria l’attività editoriale connessa con gli elogi funebri dei Lincei. Si giunge così al 1624, quando Faber, scrivendo al fondatore dell’Accademia, sembra escludere che il filologo fiammingo possa a breve raggiungere Roma : « in quanto al Rykio non occorre fare più fondamento. Esso è hora canonico della Cathedrale nella patria sua in Gandavo ». 23 In quell’anno Riquius pubblica un volume di epitaffi, le Parcae (dedicato a Cesi), del quale aveva annunziato la stampa già sette anni prima : 24 il carme funerario (appena tre distici elegiaci) dedicato a Della Porta è destinato a rimanere l’unica composizione edita da Riquius in memoria del naturalista linceo. 25 Il 23 dicembre 1624 il poeta-filologo giunge finalmente a Roma e otto giorni dopo prende stanza nel palazzo romano di Cesi. 26 Il verbale dell’adunanza lincea che ne propone la candidatura all’Accademia riporta troppo ottimisticamente « scrive al presente le vite di cinque filosofi de’ nostri, quali darà in luce prima dell’ascrittione », 27 rinviando alle biografie non solo di Della Porta, ma anche di Antonio Persio, Filippo Salviati, Marco Welser e Virginio Cesarini. Durante l’Anno santo Riquius, frattanto nominato linceo, si limita a pubblicare i distici della Melissographia 28 e quelli dell’elegia delle Apes Dianiae, 29 scritti in onore del Barberini pontefice. Non va meglio l’anno successivo : nel 1626 il fondatore dell’Accademia consegna al sodale un corpus di note preparatorie alla stesura (in lingua latina) dell’orazione funebre dellaportiana.30 Appena un mese più tardi il carteggio linceo delinea un quadro che certo non sprona Riquius a onorare il suo impegno : egli, infatti, che solamente l’anno prima si era vantato di godere di un onorifico stipendio come nessun altro letterato a Roma, 31 è  



































   





















21  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 463, n. 362 (lettera a Enrico Gravio del 13 ottobre 1614), p. 572, n. 433 (lettera a Faber del 20 giugno 1616), pp. 594-595, n. 457 (lettera a Cesi del 13 marzo 1617), p. 603, n. 464 (lettera a Faber del 16 luglio 1617), p. 626, n. 487 (lettera a Faber del 24 gennaio 1618). 22   Ivi, p. 477, n. 376 (lettera a Faber del 7 gennaio), p. 602, n. 463 (lettera a Faber del 20 giugno), p. 616, n. 477 (lettera a Faber del 7 ottobre), p. 764, n. 625 (lettera a Faber del 21 marzo). 23 24   Ivi, p. 865, n. 733 (lettera del 13 aprile).   Ivi, p. 603, n. 464. 25   Iustus Riquius, Parcae […], Gandavi, E Typographeio Ioannis Kerchovii, 1624, p. 122. 26  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 975, n. 808 (lettera di Faber a Cesi). 27  G. Gabrieli, Verbali …, cit., p. 544. 28   Giuseppe Finocchiaro, Dall’Apiarium alla Melissographia. Una vicenda editoriale tra propaganda scientifica e strategia culturale, « Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », s. ix, xv (2004), pp. 767-779. 29  Cfr. Angela Gallottini, Marco Guardo, Le Apes Dianiae di Iustus Riquius. Poesia e antiquaria nella prima Accademia dei Lincei, « L’Ellisse », iii (2008), pp. 51-83. 30   Cfr. Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Manoscritto Archivio Linceo 4, cc. 314r-324r e 329r (vedi infra). 31  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 1018, n. 812 (lettera al vescovo di Gand Antonio Triest del 3 gennaio 1625).  







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costretto ora a supplicare una « qualche somma di dinari » per vestirsi, rilevando persino di dover impetrare sempre il companatico. Pur tuttavia « promette di lavorare diligentemente in Vitis nostrorum Lynceorum » ; 32 dal momento che la promessa non si adempie, Cesi lo sollecita a consegnare il testo delle Vite lincee, come attesta il verbale di una seduta accademica : « De vitis Lynceorum solicitandis a Rykio ». 33 Nei mesi successivi Riquius lascia Roma per trasferirsi a Bologna, dove, grazie ai buoni uffici del cardinale Scipione Cobelluzzi, ricopre la cattedra di eloquenza e di storia presso quell’Università. Da Bologna egli scrive a Cesi di aver intrapreso la stesura soltanto delle Vite di Persio e di Welser (« vitas […] adfectas habeo, non confectas ») ; tuttavia rassicura che il freddo del clima bolognese gioverà alla sua salute e ai suoi studi molto meglio della « turbulenta et negotiosa » Roma. 34 In verità neppure il mutamento climatico riesce ad assicurare la stesura definitiva delle biografie ; anzi, l’impegno diminuisce, tanto che Riquius, a seguito della morte del nipote di Welser, riferisce a Faber che dedicherà minor tempo all’elogio funebre del sodale tedesco, ritenendo lo scritto un atto di omaggio principalmente nei riguardi del congiunto. 35 Faber, allora, gli replica con fermezza, precisando che le orazioni funebri dei Lincei non sono scritte in grazia di questo o quel parente, ma dell’intero sodalizio accademico ; inoltre egli riporta la richiesta urgente di Cesi di consegnare le Vite, almeno tre. 36 Questo è l’ultimo sollecito : Riquius si spegne a Bologna nel 1628 senza affidare ai torchi una sola delle biografie lincee. L’anno seguente, tuttavia, vede la luce a Padova, grazie alle cure del ‘letterato stampatore’ Giovanni Tuilio, la Vita di Virginio Cesarini linceo. 37 Non è noto se il testo risponda alla volontà ultima dell’autore, tuttavia riesce comunque assai utile, giacché consente di definire la struttura dell’elogio funebre linceo. Il quale prevedeva, oltre alla stampa di un epitaffio, alcuni motivi topici, attestati negli appunti su Della Porta consegnati da Cesi a Riquius : la lode della stirpe, la religio e la munificenza del defunto, le veglie trascorse nello studio indefesso, la fama presso i più illustri maggiorenti, i dolori del corpo sopportati con rassegnazione, l’afflizione del pontefice all’annuncio della morte del sodale linceo.  









   

































2. I « capi infrascritti » : Giovan Battista Della Porta nel manoscritto Archivio Linceo iv  





Il manoscritto Archivio Linceo 4 riporta la biografia dal titolo Per la Vita di Giovanni Battista Porta linceo : il riferimento cronologico, 5 febbraio 1626, è apposto sul margine superiore sinistro della carta 314r unitamente al nome del destinatario dell’appunto, Riquius, al quale Cesi suggerisce di ‘vedere’ alcuni testi utili ai fini della composizione. Essi sono : « la nota del opre del Porta stampata dal Zannetti » ; 38 i « capi infrascritti », sui quali verte la seconda parte di questo contributo ; « l’epitafio del Valerio », ossia la succinta epigrafe prosastica del sodale Luca Valerio, priva di data, trascritta da un co 









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  Ivi, p. 1104, n. 904 (lettera di Faber a Cesi del 6 marzo 1626).  G. Gabrieli, Indice analitico e topografico dei materiali ancora esistenti (mss., documenti, monumenti, ecc.) per la storia della prima Accademia Lincea, in Contributi …, cit., vol. i, p. 616. 34  G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 1134, n. 933 (lettera del 16 ottobre 1626). 35   Ivi, p. 1141, n. 940 (lettera del 20 dicembre [1626]). 36   Ivi, p. 1148, n. 946 (lettera del 3 aprile 1627). 37   Iustus Riquius, De vita viri praestantissimi Virginii Caesarini Lyncei […], Patavii Antenoris, Typographeio Ioannis Thuilii, 1629. 38   Giovan Battista Della Porta, Elementorum curvilineorum libri tres […], Romae, Apud Bartholomaeum Zannettum, 1610, pp. 97-99. 33

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pista (c. 315r) e oggetto delle aggiunte di Cesi, vergate su una carta successiva (c. 329r) ; « l’epigrammi in sua lode nel libro De distillatione », 39 prezioso paratesto poetico costituito da sei componimenti in altrettante lingue (ebraica, greca, caldea, persiana, illirica, armena), tradotti in latino. L’assenza della data sulle carte che riportano i « capi infrascritti » non consente di accertare se essi coincidano con la « materia » citata nel verbale della seduta accademica del 1617. I « capi » contengono in primo luogo un’ampia cronaca storico-genealogica della famiglia Della Porta, inedita, 40 che si compone di quattro carte vergate da un copista (cc. 316r-319r). Il testo, in latino e in italiano, muove dalle guerre puniche per giungere alla guerra franco savoiarda del 1600-1601, illustrando i più insigni personaggi del casato. Seguono due carte (cc. 319v-320v, vergate dal medesimo copista), le quali, dopo un accenno al padre di Della Porta, Nardo Antonio, « huomo di molte ricchezze », « scrivano di mandamento » e famiglio dell’imperatore Carlo V, delineano la prima giovinezza di Giovan Battista, all’insegna sì degli studi, ma anche della cortigianeria : ne è prova il diletto tratto dalla musica, dal ballo, dalle cavalcate, dai tornei e, insomma, da ogni esercizio cavalleresco. Sappiamo inoltre l’inclinazione nei riguardi della poesia comica e la « facilità grandissima » nell’ordire e nello scrivere commedie. 41 Il testo verte in seguito sullo studio della Filosofia, dell’Astrologia e della Matematica, il vero cardine del sistema dellaportiano, fondato su « molte esperienze » e sul disvelamento di « molti secreti naturali ». La « gente ordinaria » non comprende la natura delle indagini del naturalista e lo dileggia, considerandolo un « mago » : donde la composizione del De magia, il cui titolo mira a burlarsi dei detrattori. 42 Successivamente l’appunto esalta l’universalità della fama di Della Porta, « stimato per persona sapiente da molti Principi di diverse parti del mondo » : tra essi il cardinale Luigi d’Este, 43 il duca Vincenzo I Gonzaga, 44 l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, il granduca di  



































































39   Giovan Battista Della Porta, De distillatione libri ix […], Romae, Ex Typographia Reverendae Camerae Apostolicae, 1608. Per i Varia Epigrammata cfr. A. Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, cit., p. 76. 40  Il testo delle cc. 314r-329r dell’Archivio Linceo iv sarà oggetto di un’edizione critica che lo scrivente pubblicherà nel 2017 nella rivista « L’Ellisse ». Le cc. 314r, 315r, 319v-324r e 329r furono edite da G. Gabrieli, Giovan Battista della Porta Linceo da documenti per gran parte inediti, in Contributi..., cit., vol. i, pp. 676-682. L’editore, tuttavia, rilevò che l’edizione presentava « molte mende tipografiche e qualche inesattezza » : G. Gabrieli, Giambattista della Porta. Notizia bibliografica dei suoi mss. e libri, edizioni, ecc., con documenti inediti, in Contributi ..., cit., vol. i, p. 690. 41   Bartolomeo Chioccarello, De illustribus scriptoribus […], Neapoli, Ex officina Vincentii Ursini, 1780, vol. i, p. 314 conferma la notevole predisposizione di Della Porta nei confronti della « Poësis Comica » (su Chioccarello si veda Anna Casella, Chioccarello, Bartolomeo, in *Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 25, 1981, pp. 4-8). Su Della Porta commediografo cfr. in primo luogo le prime, pionieristiche, indagini di Francesco Fiorentino, Giovan Battista de la Porta, in Studi e ritratti della Rinascenza, Bari, Gius. Laterza & figli, 1911, (pp. 235-340), pp. 294-340 e Louise George Clubb, Giambattista Della Porta Dramatist, Princeton, Princeton University Press, 1965. 42   Per la princeps della Magia naturalis (1558) cfr. A. Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, cit., pp. 31-33. 43   Per il rapporto epistolare tra Della Porta e il cardinale d’Este cfr. Giuseppe Campori, Gio. Battista della Porta e il cardinale Luigi d’Este, « Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le provincie modenesi e parmensi », vi (1872), pp. 165-190. 44   Vincenzo I Gonzaga soggiornò a Napoli nel 1603. La relazione del viaggio si conserva presso l’Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 388, cc. 419r-437r (per l’edizione del testo cfr. Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1503-1622, a cura di Attilio Antonelli, Napoli, Prismi Editrice Politecnica, 2015, pp. 452-457). Sull’argomento cfr. anche Italo Massimiliano Iasiello, Vincenzo I e il Regno di Napoli e Giuseppina Pontari, Giovanna Aita, Vincenzo Gonzaga e il viaggio a Napoli del 1603, in *Gonzaga. La Celeste galleria. L’esercizio del collezionismo, a cura di Raffaella Morselli, Milano, Skira, 2002, pp. 357-362 e pp. 363-370.  

















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Toscana Cosimo II. Alcuni di loro si intrattengono con il naturalista, colmandolo di « mille regali », 45 ansiosi di conoscere « alcuni secreti ». 46 Non manca, inoltre, il tema della « bonissima vita », condotta da Della Porta « contro l’opinione che di esso da principio haveva preso il mondo » : un accenno sapientemente velato ai difficili rapporti con la censura ecclesiastica. Ciò spiega l’accorto indugiare sulla religio, materiata non solo da « discipline e divotioni », « confessioni e communioni », ma anche da opere di misericordia, tutto all’ombra del Collegio dei Padri Gesuiti di Napoli, beneficato da Della Porta nel suo testamento. 47 L’ulteriore dato informativo riguarda la dimora dellaportiana, che accoglie senza soluzione di continuità una « radunanza di molti huomini insigni », mutandosi in una « continua Academia » : notizia confermata non soltanto da Cesi, ma dallo stesso Della Porta. 48 La chiusa dell’appunto, infine, riporta la trascrizione integrale (« de verbo ad verbum ») di una lettera di Rodolfo II a Della Porta, datata 20 giugno 1604, edita sia da Bartolomeo Chioccarello 49 sia da Pompeo Sarnelli, il quale ultimo sostiene di avere presso di sé il documento con tanto di sigillo imperiale. 50 Nell’epistola l’imperatore, che il carteggio accademico dipinge come « inclinantissimo alle cose Lynceae » e « desperato amatore [...] delle cose Lynceae », chiede al naturalista, omaggiato di una collana d’oro e di un ritratto del regnante, di svelargli l’«usus artis», con probabile riferimento alla pietra filosofale. 51 I successivi « capi infrascritti » sono costituiti da alcune carte vergate in italiano da Stelluti e da Cesi (cc. 320v-323v). L’analisi paleografica attesta rilevanti interventi del fondatore dell’Accademia, che talora corregge talora cassa talora aggiunge. 52 L’appunto di Cesi fu preceduto da una ‘scaletta’ (c. 324r), scritta in italiano e in latino, che annota succintamente gli argomenti da sviluppare, che risultano attestati nelle note biografiche dellaportiane. Il margine inferiore sinistro della suddetta carta riporta il nome di Faber, al quale Cesi chiede di arricchire il testo di dati informativi (« nomina ponat et notas singulis describat »). Le fonti a nostra disposizione non consentono di valutare la qualità di tale intervento, sinora trascurato dalla storiografia lincea. Gli appunti di Stelluti e di Cesi sono alquanto disorganici, configurandosi come una serie di proposizioni frammentarie che talora si susseguono in ordine sparso o si ripetono : per citare un solo esempio, il tema della dimora dellaportiana quale ricetto di illustri  









































































45   Lo stesso Della Porta attesta i « presenti […] fatti da Principi grandi », donati dal cardinale Luigi d’Este e da una « Maestà », che verosimilmente potrebbe essere Rodolfo II d’Asburgo. Cfr. G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., pp. 213-214, n. 112 : lo studioso ipotizza che la « Maestà » possa identificarsi anche con Filippo II, dedicatario della princeps della Magia naturalis. 46  B. Chioccarello, De illustribus scriptoribus […], cit., p. 314, conferma l’alta considerazione di Della Porta presso il cardinale Luigi d’Este, Cosimo II, Vincenzo I Gonzaga e Rodolfo II. Pompeo Sarnelli, Vita di Gio. Battista della Porta napolitano, in Giovan Battista Della Porta, Della chirofisonomia […], in Napoli, appresso Antonio Bulifon, 1677, p. [19], testimonia la stima dell’alto prelato del casato estense e dell’imperatore nei confronti del Nostro. 47   Camillo Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite in Napoli, « Archivio storico per le province napoletane », v (1880), 1, p. 140. 48   Una lettera del 14 maggio 1583 di Della Porta al cardinale Luigi d’Este attesta : « ho sempre piena la casa di genti » (cfr. G. Campori, Gio. Battista della Porta…, cit., p. 187) ; d’altra parte Cesi scrive a Galilei che Della Porta è ostaggio di « una continua audienza di moltitudine, che lo scervellano » (cfr. G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 370, n. 255). Sull’argomento vedi anche B. Chioccarello, De illustribus scriptoribus …, cit., p. 313, P. Sarnelli, Vita di Gio. Battista della Porta..., cit., p. [23], Lorenzo Crasso, Elogio d’huomini letterati, in Venetia, Per Combi, & La 49 Noù, 1667, p. 172  B. Chioccarello, De illustribus scriptoribus…, cit., p. 314. 50  P. Sarnelli, Vita di Gio. Battista della Porta …, cit., pp. [19-21]. 51   Cfr. G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 47, n. 18 (lettera del 19 dicembre 1604 inviata dal linceo olandese Ioannes van Heeck, Heckius, ai sodali). 52   Della tipologia degli interventi cesiani si darà conto nell’edizione critica di cui alla nota n. 40 del presente contributo.  





























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personaggi e quello della stima dei maggiorenti ricorrono più volte. Il testo, inoltre, se fornisce alcuni dati di grande rilievo, complica ulteriormente la vexata quaestio della data di nascita : 53 Stelluti, infatti, scrive che Della Porta pubblicò « in ristretto » la Magia naturalis all’età di diciassette anni, così che l’anno di nascita sarebbe il 1540 circa, mentre Cesi riporta che il naturalista si spense a quasi ottantaquattro anni, rinviando implicitamente a un differente anno di nascita, intorno al 1530. L’incipit degli appunti lincei informa su alcuni dettagli biografici poco o punto noti : il tentativo di trasferirsi a Ponza per dedicarsi totalmente allo studio delle scienze, fallito a causa degli « intrighi domestici », topos non infrequente nel carteggio dellaportiano, che rinvia a « liti » e a « fastidi di casa » ; 54 inoltre la capacità terapeutica, sperimentata non solo sugli altri, ma anche su se medesimo ; come quando, rimasto quasi cieco per un « discenso » agli occhi, egli guarisce grazie a un’acqua mirabile, così che si conferma « diligentissimo osservatore e prescrutatore de’ secreti naturali ». Segue l’accenno agli incontri con i grandi personaggi italiani e stranieri, 55 tra i quali figura, oltre ai medici Bartolomeo Maranta, Donato Antonio Altomare 56 e il naturalista Imperato, anche un alto dignitario alla corte di Filippo II, amante delle humanae litterae e profondo estimatore del Nostro : il poco noto Pietro Fasciardo (Pedro Fajardo), 57 che Della Porta conosce quando si reca alla corte spagnola per presentare al re sia il volume della Magia sia quello Delle ciffre. 58 Sappiamo, inoltre, che durante il soggiorno romano, ospite del cardinale Luigi d’Este, Della Porta « intervenne con Giovanni Battista Raimondi, ad istanza del cardinale de’ Medici, che fu poi il Gran Duca Ferdinando, sotto gli auspici di Papa Gregorio XIII, ne’ principi delle stampe orientali », propiziando la « traduttione de’ libri, arabi e chaldei » : anche il carteggio linceo conferma il grande interesse per le « carte arabiche » e la loro traduzione, 59 che emerge altresì dall’epistolario dellaportiano con Federico    



















   





































53  Sugli estremi cronologici della vita di Della Porta si veda Giovan Battista Della Porta, Criptologia. Edizione, nota biografica, traduzione, con lo studio Conoscenza magica e ricerca scientifica in G. B. Della Porta di Gabriella Belloni, Roma, Centro Internazionale di Studi Umanistici, 1982, (pp. 11-44), pp. 11-13. 54  G. Campori, Gio. Battista della Porta …, cit., p. 187. 55  L’appunto rileva che il prelato diplomatico Giovanni Goffredo d’Aschhausen, il cosiddetto Principe di Bamberga che soggiorna a Roma nel 1613 entrando in contatto con l’Accademia cesiana, si rammarica di non avere potuto incontrare Della Porta a causa dei molteplici impegni nell’Urbe. Si veda a riguardo G. Gabrieli, Verbali …, cit., p. 525. 56   Per un primo orientamento cfr. Fausto Nicolini, Altomare, Donato Antonio, in *Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, vol. 2, pp. 568-569 e Marco Nicola Miletti, Maranta, Roberto, in *Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2007, vol. 69, (pp. 436-439), pp. 438-439. 57   Su Pedro Fajardo, terzo marchese de los Vélez, cfr. Juan Hernández Franco, Raimundo A. Rodríguez Pérez, Memorial de la calidad y servicios de la casa de Fajardo, Marqueses de los Vélez : obra inédita del genealogista Salazar y Castro, Murcia, Real Academia Alfonso X El Sabio, 2008; Id., Bastardía, aristocracia y órdenes militares en la Castilla moderna : el linaje Fajardo, « Hispania », 69 (2009), pp. 331-362; Raimundo A. Rodríguez Pérez, El noble en la corte. Don Pedro Fajardo, III Marqués de los Vélez, in *Familias, jerarquización y movilidad social, a cura di Giovanni Levi, Raimundo A. Rodríguez Pérez, Murcia, Universidad de Murcia, 2010, pp. 311-326; Raimundo A. Rodríguez Pérez, Endogamia y ascenso social de la nobleza castellana : los Chacón-Fajardo en los albores de la edad moderna, « Historia social », 73 (2012), pp. 3-20; Juan Hernández Franco, Raimundo A. Rodríguez Pérez, El linaje se transforma en casas : de los Fajardo a los marqueses de los Vélez y de Espinardo, « Hispania », 74, 247 (2014), pp. 385-410. Sono grato a Raimundo A. Rodríguez Pérez per la generosa disponibilità. 58   Giovan Battista Della Porta, De furtivis literarum notis, vulgo de ziferis libri iiii , Neapoli, apud Ioannem Mariam Scotum, 1563. Cfr. A. Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, cit., pp. 35-37. 59   Sul linceo arabista Diego de Urrea Conca cfr. Fernando Rodríguez Mediano, Diego de Urrea en Italia, « AlQuantara », xxv (2004), 1, pp. 183-201. Cfr. anche Fernando Rodríguez Mediano, Mercedes García-Arenal, Diego de Urrea y algún traductor más : en torno a las versiones de los “Plomos”, « Al-Quantara », xxiii (2002), 2, pp. 499516. Sulle traduzioni dall’arabo si veda Tullio Gregory, Translatio linguarum. Traduzioni e storia della cultura, Firenze, Olschki, 2016, p. 30 sgg.  





























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Borromeo. Siamo qui in presenza del primo dato biografico connesso con il Lynceographum, le cui norme si riflettono compiutamente nella vita e negli studi del sodale : lo statuto, infatti, sostiene l’importanza delle « translationes » dall’arabo. 61 Infine i molti viaggi compiuti rinviano alla « peregrinatio studiosa » teorizzata dalle costituzioni accademiche : 62 l’appunto cita i soggiorni a Venezia, a Padova e in Lombardia. 63 Anche il tema delle poche ore concesse al sonno (« Era tanto dedito alli studii che pochissime hore consumava nel sonno ») e delle invenzioni rivelate a pubblico utile (« particolarmente attese alla cognitione delle cose naturali et alle matematiche, procurando sempre dar fuori nove inventioni e osservationi a pubblico utile ») è presente nelle costituzioni lincee ; 64 così pure il riferimento alla villa delle Gradelle a Vico Equense, che Cesi vide, 65 « poco da Napoli distante, posta in amenissimo sito », è specchio degli « agrestia oblectamenta » ammessi dal Lynceographum. 66 D’altra parte l’atteggiamento antiaccademico del naturalista (« poco amico delle scienze disputatorie, piacendoli più attendere alla verità della cosa che al contrasto delle parole. Onde mai disputò, mai procurò con attioni d’università, lettioni o simil opre [far] mostra della sua dottrina ») è coerente con il pensiero cesiano espresso nel discorso Del natural desiderio di sapere : « l’istessa laurea […] indiferentemente corona tutti quelli che finiscono il corso senza riguardo alcuno né dell’arrivare né del zoppicare o andar dritto ». 67 Segue il riferimento alle molteplici pubblicazioni dellaportiane, citate da più autori, in particolare tedeschi ; 68 né manca il prevedibile riferimento a Giovanni Keplero, il quale ascrive a Della Porta l’invenzione del telescopio. 69 D’altra parte a riguardo della gran messe dei volumi impressi l’appunto rileva che spesso stampatori e librai poco onesti gli « cavorno di mano sino ad opre imperfette e farraginose », così che esse uscirono « piene di scorretioni e alterationi ». Anche la polemica rivolta contro gli stampatori che antepongono il proprio guadagno alla bontà dell’edizione riflette l’accusa di Cesi, che bolla non pochi librai come « ignoranti » e « sfacciati di poco sapere ». 70 Il documento delinea inoltre il rapporto con i Lincei, a cominciare dal 1604, quando Cesi risiede qualche tempo a Napoli in incognito, 71 per proseguire con altri ricordi : la richiesta di Della Porta di essere nominato linceo, lo sprone costante rivolto dal naturalista ai sodali a proseguire gli studi intrapresi, « particolarmente della fisica et della matematica, scienze da pochi seguite », 72 l’impossibilità (per ragioni di salute) di accogliere l’invito di  

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  Si veda il contributo di Eugenio Refini nel presente volume. 62   Lynceographum ..., cit., p. 72.   Ivi, p. 96. 63   Per il soggiorno dellaportiano a Venezia si veda Giovan Battista Della Porta, Magiae naturalis libri xx […], Neapoli, Apud Horatium Salvianum, 1589, p. 127 e p. 279 e Aeris, l. ii, p. 92, l. iv, p. 187 (vedi anche G. Campori, Gio. Battista della Porta…, cit., pp. 174-175). Il soggiorno nella Gallia Cisalpina è citato in Villae, l. iii, p. 264. 64   Lynceographum …, cit., p. 67 e p. 71. 65  G. Gabrieli, Il carteggio linceo …, cit., p. 227, n. 123 (lettera di Della Porta a Cesi del 1° giugno 1612). 66   Lynceographum …, cit., p. 58 e p. 98. Sulla villa delle Gradelle cfr. Salvatore Di Giacomo, Una villa di Giambattista della Porta, « L’illustrazione italiana », xxvii (1900), 25 novembre, n. 47, pp. 357-358 e Fulvio Tessitore, Giambattista Della Porta a Vico Equense, Napoli, Casella, 1996 (la pubblicazione fu impressa dalla Libreria Casella in duecento esemplari fuori commercio). 67   Federico Cesi, Del natural desiderio di sapere […], in *Galileo e gli scienziati del Seicento, ii. Scienziati del Seicento, a cura di Maria Luisa Altieri Biagi, Bruno Basile, Milano-Napoli, Ricciardi, p. 47. 68  Cfr. Laura Balbiani, La ricezione della Magia naturalis di Giovan Battista Della Porta. Cultura e scienza dall’Italia all’Europa, « Bruniana & Campanelliana », v (1999), 2, pp. 277-303 e Oreste Trabucco, Il corpus fisiognomico dellaportiano tra censura e autocensura, in *Atti dei Convegni Lincei 215. I primi Lincei e il Sant’Uffizio : questioni di scienza e di fede (Roma, 12-13 giugno 2003), Roma, Bardi, 2005, p. 257. 69  Cfr. Marco Guardo, Galilei e il Tesoro messicano, « L’Ellisse », vi (2011), pp. 71-82. 70  F. Cesi, Del natural desidero di sapere …, cit., p. 57. 71   Cronache e statuti della prima Accademia dei Lincei …, cit., p. 109. 72   Cfr. F. Cesi, Del natural desidero di sapere …, cit., p. 49 : « Sono le più abbandonate e derelitte quelle stesse che 61



















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Cesi di raggiungerlo a Roma, la diligenza nel cercare una sede per il liceo napoletano, la medaglia fatta coniare dal fondatore dell’Accademia nel 1613 e consegnata a Della Porta da Stelluti ; 73 solo un accenno al nipote Filesio Costanzo Della Porta, nominato linceo appena diciottenne, forse più per compiacere lo zio che per meriti oggettivi. 74 L’appunto, infine, insiste sulla profonda religio, testimoniata dalla diuturna frequentazione di ecclesiastici, dal continuo esercizio di opere pie, dalla sopportazione cristiana del dolore fisico, dalla costruzione di un altare nella piccola chiesa presso la villa delle Gradelle, per il quale Della Porta « procurò et ottenne […] un’indulgenza plenaria» da Papa Paolo V, 75 afflitto alla morte del naturalista : chiaro, pertanto, il tentativo di Cesi di stornare dal sodale l’accusa di scarsa ortodossia e di legittimarne l’operato. In ultimo mette conto rilevare che il codice Archivio Linceo iv contiene, successivamente ai « capi infrascritti » sopra esaminati, un documento del 1635 (cc. 325r-328r) : 76 una lettera dello scrittore napoletano Giovanni Battista Longo, 77 il quale stende un breve profilo sul fratello di Giovan Battista, Giovanni Vincenzo. 78 Lo scritto, che non indica il nome del destinatario (verosimilmente Stelluti), riveste una notevole importanza poiché attesta la volontà dei Lincei superstiti di acquisire ulteriori dati informativi sulla famiglia di Della Porta venti anni dopo la morte del naturalista e cinque anni dopo quella di Cesi : evento, quest’ultimo, che determina il rapido scioglimento del suo sodalizio. Si può pertanto supporre che il progetto di affidare ai torchi la biografia dellaportiana non fosse tramontato. Inoltre la lettera racchiude due importanti note biografiche sul Nostro. La prima riguarda la scarsa cura editoriale del naturalista, 79 il quale « stampava subito » le proprie opere, mentre il fratello, pur dopo averle « corrette e riviste mille volte, le stracciava » : un quadro, dunque, assai differente da quello descritto nell’appunto di Cesi, secondo il quale Della Porta era vittima delle trame ordite da tipografi avidi e poco scrupolosi. La seconda concerne il celebre musicista fiammingo Filippo di Monte, 80 alloggiato in casa Della Porta    













   





















più possono sodisfar il desiderio nativo, quelle che più ci danno di cognitione e più ci apportano di perfettione e d’ornamento, dico la gran filosofia, le matematiche e le filologiche e poetiche eruditioni ». 73   Cfr. G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 347, n. 236 (lettera di Cesi a Stelluti della metà di aprile 1613). Un esemplare della medaglia, in bronzo, si conserva a Firenze presso il Museo Nazionale del Bargello : cfr. Fiorenza Vannel, Giuseppe Toderi, Medaglie italiane del Museo Nazionale del Bargello, Firenze, Polistampa, vol. ii, 2005, p. 134. Nel marzo del 1613 Cesi affidò ad alcuni « metallari » l’esecuzione della medaglia : cfr. G. Gabrieli, Verbali …, cit., p. 525. 74   Cesi scrive a Galilei che Filesio, « giovane di 18 anni di buon ingegno et ottima natura […] segue i vestiggi del’avo, et perciò egli se l’ha eletto e lo fa studiare ferventemente » : cfr. G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 209, n. 109 (lettera del 17 marzo 1612). 75   L’indulgenza è altresì attestata in G. Gabrieli, Il carteggio linceo, cit., p. 227, n. 123 e p. 232, n. 125. Nel 1613 Stelluti recò a Della Porta, unitamente alle medaglie e ad altri donativi, l’« Indulgenza del Principe di Bamberga », che verosimilmente potrebbe essere quella richiesta dal sodale partenopeo per l’altare della propria dimora : cfr. Ivi, p. 343, n. 236. 76   Lo scritto è edito in G. Gabrieli, Giovan Battista della Porta Linceo da documenti per gran parte inediti, cit., pp. 682-684. Il testo della lettera è altresì riportato nel manoscritto H. 169 dell’École de Médecine di Montpellier : si veda a riguardo Ada Alessandrini, Cimeli lincei a Montpellier, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1978, p. 87. 77  Su Longo cfr. Francescantonio Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, Napoli, Nella Stamperia Simoniana, 1781, vol. i, p. 632 e Pietro Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Napoli, Chiurazzi, 1874, pp. 286-287. 78  Cfr. Nicola Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500, « Studi storici », i (1960), 4, pp. 677-715. 79   Cfr. la lettera dedicatoria di Stelluti al cardinale Francesco Barberini in Giovan Battista Della Porta, Della fisonomia di tutto il corpo humano […], in Roma, per Vitale Mascardi, 1637 (si veda a riguardo A. Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, cit., pp. 100-102). Stelluti, che curò l’edizione dell’opera in tavole sinottiche, pone in luce i « molti mancamenti » e gli « errori notabilissimi » della princeps. 80   Sul musicista cfr. *The New Grove. Dictionary of Music and Musicians, London, Macmillan, 2001, vol. 17, pp. 16-21 e Cecilia Luzzi, Poesia e musica nei madrigali a cinque voci di Filippo di Monte (1580-1595), Firenze, Olschki, 2003.  



































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per diverso tempo : Giovanni Vincenzo e Giovan Battista – annota Longo – poiché « come Matematici possedevano interamente l’arte della Musica, non pottero mai ad arrivar ad intonare bene una nota nel cantare, che chi abonda d’ingegno malagevolmente si adatta all’oprare, che è cosa servile » : testimonianza che non si limita ad attestare le modestissime doti canore di entrambi i fratelli, 81 ma che da un lato cela l’antitesi topica tra musicus e cantor, dall’altro spinge a indagare ulteriormente la temperie culturale, e musicale, di Napoli ai tempi di Della Porta.  









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 P. Sarnelli, Vita di Gio. Battista della Porta ..., cit., p. [18], attesta che la voce di Della Porta era « essile ».  



TIPOGRAFI ITINERANTI A VICO EQUENSE (1584-1599) NELL’ETÀ DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA E PAOLO REGIO Salvatore Ferraro

I

l ricordo di Giovan Battista Della Porta (1535-1615), illustre personaggio del Rinascimento meridionale non è mai scomparso dalla memoria dei Vicani e qualche testimonianza è ancora presente nell’antico casale di Pacognano, precisamente nella chiesa parrocchiale dedicata alla natività di Maria Vergine, riedificata nel 1790. A sinistra dell’altare maggiore, sulla parete è situato un pregevole monumento in marmo del xvi sec. che rappresenta in miniatura la facciata di un tempio con la porticina custodita da due angeli. Due colonne laterali sostengono una trabeazione ; al di sopra lo stemma dei Della Porta contornato da due volute. Al di sotto del tempietto vi è la seguente iscrizione : NAR : ANT. POR. CAES. M. AMAND. SCR. POS., cioè « Nardo Antonio (della) Porta scrivano di mandamento (scriba a mandatis) della Cesarea Maestà pose ». Quindi tale tabernacolo fu donato dal padre di Della Porta per conservare l’olio santo degli infermi. Il padre esercitava l’incarico di cancelliere del Tribunale di Napoli, un posto delicato che gli consentiva di preparare le “minute” di lettere, di decreti e di ordinanze da spedire o da pubblicare e di riscuotere i relativi diritti. Inoltre a Pacognano i della Porta avevano una villa, che fu ereditata dai discendenti, i Di Costanzo, con i terreni circostanti. Salvatore Di Giacomo nel 1900 visitò la villa di Della Porta in via S. Bernardino, convinto che fosse quella di Giovanni Battista, e la descrisse in un celebre articolo. In realtà la vera villa di Della Porta è quella che ancora oggi si può notare di fronte alla chiesa parrocchiale e non quella che comunemente (ma erroneamente) gli viene attribuita. Ma la città di Vico Equense, grazie al suo vescovo Paolo Regio, ha legato il suo nome alla celebre opera stampata proprio nella sua terra dal tipografo Giuseppe Cacchi nel 1586 : si tratta del De humana physiognomonia libri tres, uno dei capolavori in senso assoluto dell’arte tipografica, sia per i suggestivi rami che dal confronto fra tratti umani ed animali evidenziano il carattere morale degli individui, sia per la struttura grafica della pagina che adegua architettonicamente testo e tavole. 1 L’opera fu completata nel 1586 per il ritardo dell’autorità ecclesiastica nel concedere il permesso di stampa. Non bisogna dimenticare che nello stesso anno Della Porta venne perseguitato a Napoli dal tribunale dell’Inquisizione. Tale opera, ristampata anastaticamente nel 1986 dall’ Istituto “Suor Orsola Benincasa”, in occasione dei 400 anni della pubblicazione, costituisce uno dei più famosi trattati di fisiognomonia, nel quale l’autore effettua uno studio dei diversi caratteri umani attraverso l’analisi dei tratti somatici di uomini ed animali, sviluppando una teoria sulla corrispondenza tra interiorità e forma esterna. L’opera è dedicata al cardinale Luigi d’Este, « quia tanta est oris tui dignitas, decus, maiestas, tanta est tui corporis partium mutua  













1   Benito Iezzi, Negli “archivi” di Vico Equense, in Salvatore Ferraro, Vico Equense tra passato e presente. Cultura e immagini di un paese della costiera sorrentina, Vico Equense, Cocurullo-Volpe, 1987, pp. 263-266.

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proportio, ordo, concinnitas, rata modulatio, ut singulares animi tui dotes, optimique mores vel aspectu solo liquido perlegantur, et solus sine aemulo clarus inter mortales praestes, nemo unquam audebit tuam naturam sperare ». Segue quindi un proemio di tre pagine. Alla fine dell’opera, che risulta di 272 pagine (erroneamente segnate 265), compare l’imprimatur, anzi, caso raro nell’editoria del Cinquecento, sono presenti ben due imprimatur : uno della Curia vescovile napoletana, l’altro della Curia di Vico Equense : Hon. de Porta Vic. Gener. Neapolis e Amb. Moscha Vic. Generalis Aequensis. Infine viene riportata l’indicazione / Cum Regio assensu, et privilegio :  







Reverendiss. Domine. 1) Vidi ; legi ; & diu consideraui Librum de Humana Phisignomonia ab illustri Domino Io : Bap. Porta Neap. editum, & compositum, & cum in eo nihil, nisi philosophice ; & ad mentem philosophorum tractetur, & nihil etiam fuerit in eo inventum, quod sacrosante Catholicae fidei, aut bonis moribus aduersetur, necquoque regulis sacrosanctae Tridentinae Synodi indicis ; ideo potest absq ; ulla difficultate imprimi. Neapoli die 18. Iunii. Imprimatur. Hon. de Porta Vic. Gener. Neapolis. M. Philocalus Pharaldus Car. uidit Idem Fol. 25  











2) Frater Paulus Teologus Illustri, & Reverendiss. Pauli Regij Episc. AEquensis vidit. Imprimatur.≤ Amb. Moscha Vic. generalis AEquensis. Cum Regio assensu, & priuilegio. VICI AEquensis Apud Iosephum Cacchium. A.D. M.D.LXXXVI.

Si può ritenere che il Regio ed il Della Porta abbiano voluto cautelarsi nei riguardi delle autorità religiose per aver trattato un argomento così particolare. Infatti alla fine della dedica è riportata questa interessante annotazione :  

Haec scientia coniecturalis est, nec semper optatum assequitur finem : cuius signa naturales tantum propensiones indicare possunt, non autem actiones nostrae liberae voluntatis, vel quae ex vitioso, vel studioso habitu dependent : nam in bonis, malisq ; actionibus, quae in nostra potestate sunt, virtus, & vitium consistunt, non autem in propensionibus, quae in nostra voluntate non sunt  





Il frontespizio è composito con grande incisione in rame contenente il titolo ed il ritratto dell’autore a mezzo busto di profilo ; altro titolo De hum. physiognomonia e note tipografiche composte tipograficamente si trovano al di sopra e al di sotto della detta incisione. Il ritratto ovale in clipeo dell’autore è inserito al centro di una elaborata cornice con teste di uomini e animali allusiva al contenuto dell’opera. A pagina 4 compare un bel ritratto calcografico a piena pagina del Cardinale Luigi d’Este con un distico :  



Inspicite Heroem, Magni haec Estensis imago Qui Dignus Vultu, Dignior est Animo

Nel testo vi sono ben 85 illustrazioni, alcune a piena pagina (30 x 22 cm circa), che raffigurano analogie tra uomini ed animali ; varie iniziali sono figurate e parlanti. Il De humana physiognomonia, pubblicato a Vico Equense dal notissimo tipografo aquilano Giuseppe Cacchi 2 grazie alla committenza del vescovo locale Paolo Regio, un dotto  

2   Sul Cacchi si veda : Alfredo Cioni, Cacchi, Giuseppe, in *DBI, vol. 15 (1972), pp. 747-748 ; Pietro Manzi, Annali di Giuseppe Cacchi, Giovanni Battista Cappelli e tipografi minori (1566-1600), Firenze, Olschki, 1974 ; Marco Santoro, Cacchi, Giuseppe, in *Dizionario dei tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento i : a-f, diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Milano, Bibliografica, 1997, pp. 223-227 ; Alfonso Ricca, Cacchi, Giuseppe, in  









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umanista del Cinquecento meridionale, non è da considerarsi la prima opera uscita dai torchi vicani. Nato a Napoli nel 1541, Paolo Regio aveva fatto studi letterari e giuridici, aveva pubblicato alcune opere letterarie e agiografiche e si era sposato. Morta ben presto la moglie, dalla quale aveva avuto anche un figlio Ferrante, abbracciò la vita sacerdotale e ben presto ebbe la cattedra di Vico Equense, che tenne per ventiquattro anni sino alla morte (1607). Quasi coetanei, il noto scienziato e mago Giovan Battista Della Porta (1535-1615) ed il raffinato umanista e vescovo Paolo Regio (1541-1607) vissero nello stesso periodo e frequentarono gli stessi luoghi (Vico Equense e Napoli), il primo per interessi economici, il secondo per motivi pastorali, nella seconda metà del Rinascimento meridionale e nel primo decennio del Seicento. Dopo l’esperienza napoletana (sino al 1583) ricca di interessi letterari e religiosi e manifestatasi con varie opere agiografiche (non dimentichiamo che fu per cinque anni presidente della locale Congregazione dell’Indice, per cui ebbe modo di conoscere molti scrittori, letterati, rimatori, agiografi...) Paolo Regio nel 1583 fu nominato vescovo di Vico Equense e, pur lontano dalla capitale del Regno, rimase sempre in contatto con gli intellettuali che vi operavano, senza interrompere i propri studi di prevalente orientamento agiografico ed etico. L’applicazione letteraria, per la serietà dell’impegno e la severità dell’impianto, lo avrebbe inesorabilmente distolto dai suoi uffici religiosi, se non avesse aperto una tipografia, annessa alla sede vescovile (attuale sede della Scuola Media di Vico Equense), nella quale chiamò a turno i più illustri tipografi che operavano a Napoli già da vari anni (Aulisio, Cacchi, Cappelli, Carlino, Pace e Salviani). La tipografia vicana, come ho acclarato nel corso di tanti anni di ricerca, fu attiva per circa 16 anni, dal 1584 al 1599, pur con qualche lacuna dal 1589 al 1591 e dal 1594 al 1596 nel complesso i torchi lavorarono per complessivi 11 anni. Dopo Napoli, la città più popolosa del Meridione e culla della cultura regnicola, la tipografia nel corso del Cinquecento si era diffusa gradatamente in centri della Campania. Dice Manzi che, « mentre la stampa veniva imbavagliata nella capitale, la situazione migliorava nelle province, quasi un vulcano che, occluso nel cratere, esplode nei fianchi del monte ». Dalle ricerche ancora in corso e sempre suscettibili di nuovi dati risulta che la stampa si diffuse, in ordine cronologico, ad Aversa (1520), Alife (1536), Salerno (1543), Campagna e Nusco (1545), Eboli e Sarno (1548) e Vico Equense (1584) ultimo centro, rigorosamente correlato all’episcopato di Paolo Regio (1583-1607), uomo colto e di nobili origini, che già aveva pubblicato a Napoli numerose opere letterarie ed agiografiche fin dal 1569 (all’età di 28 anni). La stampa è favorita a Napoli ed in Campania da numerose Istituzioni politiche e religiose, in particolar modo dalla Corte, dall’Università, dalle Curie vescovili, dalle magistrature municipali, dalle autorità giudiziarie, dai Conventi maschili e femminili, dalle Confraternite, dal clero e dai nobili, dai docenti e dai poeti, dai filosofi, dai rimatori e dai giuristi. Inevitabilmente, nel pieno Cinquecento, la Chiesa cerca di rafforzare la sua posizione e di contrastare le eresie serpeggianti e la Riforma luterana attraverso un’attenta e rigorosa censura delle opere prodotte ed un controllo dei vari luoghi di stampa e delle librerie. Nelle città minori della Campania è quasi sempre un vescovo a promuovere la diffusione  



Dizionario degli editori, tipografi, librari itineranti in Italia tra Quattrocento e Seicento, coordinato da Marco Santoro, a cura di Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe Lipari, Carmela Reale, Marco Santoro, Giancarlo Volpato, Pisa-Roma, Serra, 2013, pp. 203-204).

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della cultura religiosa ed a favorire la nascita di una tipografia, invitando vari tipografi “itineranti” a spostare nei vari luoghi le officine con le loro attrezzature per la produzione di libri agiografici (in edizione per lo più tascabile), letterari o scientifici. Senza la protezione di un’autorità religiosa, politica o nobiliare non era possibile durare a luogo in un posto ed ottenere utili sicuri. Già Giustiniani, 3 Fumagalli, 4 Doria ritenevano giustamente che la fondazione della tipografia a Vico Equense risaliva al 1584 e che, pertanto, l’edizione delle Prose di Pietro Bembo (1569) non esisteva che « nella fantasia di qualche sconsigliato bibliografo. Ad ogni modo manca a tutte le principali biblioteche italiane ». L’edizione del 1569 era registrata dal Manzi « sulla testimonianza di Parascandolo, Orcutt e altri », mentre Fumagalli 5 affermava :  









Et nous trouvons en-registré par Giustiniani Le prose del Bembo, mais il ne crois pas trop à la date, d’autant plus que Cacchi ne commenca à imprimer à Naples que l’annè suivant. Après cela on doit attendre jusqu’1585, date a la quelle nous trouvons, à ce que je crois,une première edition ,très rare, qui n’est pas signalée par les bibliographes : Capitoli, observantie et constitutioni della Città di Nusco.  

Stranamente il dotto bibliografo Benito Iezzi 6 dichiarava che, nel 1936, nella vendita all’asta dei beni del Castello Giusso (dove era conservata gran parte delle edizioni di Vico con altro pregevolissimo materiale librario), fu acquistato per 500 lire un esemplare delle “Prose” del Bembo, del quale però l’ufficiale liquidatore non registrò né data di stampa né luogo. Nulla vieta di affermare che si trattasse di una cinquecentina veneziana, ma egualmente nulla ripugna a credere che quella fosse l’edizione principe di Vico Equense.

Recenti ricerche escludono definitivamente la stampa di tale opera a Vico Equense, una cittadina della Penisola Sorrentina, che solo dopo la venuta (nel 1583) del dotto prelato, vide nascere l’arte della stampa in questo luogo. Negli intervalli dell’ufficio pastorale prese a rimeditare e ad approfondire l’opera prodotta a Napoli, riannodando ed accentuando significative amicizie contratte altrove e molto gli giovarono, nell’una come nell’altra direzione, i vincoli ideologici e pratici con l’utile signore di Vico, il marchese di Sanlucido Ferrante Carrafa, buon gladio e non cattivo stilo, con il quale aveva rifondato l’Accademia dei Sereni Ardenti (sul sepolcro di Regio, nella ex-cattedrale di Vico Equense, è riportato un distico elegiaco : « Inspice viventem Musis hic ille Serenus/ qui clarus fama clarior ingenio »). Dal 1583 sino alla morte (1606), instancabile fu la sua produzione in prosa ed in versi (assai noti i Cantici spirituali, che poi furono raccolti e stampati in Napoli dal Carlino nel 1602), ma ancora più intensa la sua operosità culturale e tipografica, facendo stampare nella modesta e tranquilla cittadina di Vico Equense, lontana dalle tensioni politiche e religiose, opere di noti autori, quali Ferrante Carrafa, Giovan Battista Della Porta, Gioacchino da Fiore, Camillo Pellegrino, Angelo Rocca, Luigi Tansillo, Scipione de’ Monti, Nunzio Tartaglia, Agostino de Cupiti, Fabio D’Anna, Vincenzo Aurino, Marco Lancella, Paolo Minerva, Giovanni Antonio Biblio, Pietro Salerno e Michele Zappullo, per non parlare di altri. Dell’esistenza della tipografia a Vico Equense spesso si è dubitato nel passato e qualcuno ha pensato anche che il dotto vescovo Regio facesse stampare le opere dai torchi  





3   Lorenzo Giustiniani, Saggio storico-critico sulla tipografia del Regno di Napoli, Napoli, Vincenzo Orsini, 1793, p. 157. 4   Giuseppe Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae. Dictionnaire géographique d’Italie pour servir à l’histoire de 5   Ivi, s.v. l’imprimerie dans ce pays, Firenze, Olschki, 1905. 6   B. Iezzi, Negli “archivi” di Vico …, cit., p. 263.

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napoletani, facendo apporre il nome di Vico Equense per nobilitare la sua modesta diocesi. Ma ormai le prove rintracciate sono inconfutabili e basta solamente esaminarle. 1) Le Lagrime di san Pietro di Luigi Tansillo rimasero inedite alla morte del poeta (1568) e bisognò attendere 17 anni, perché fossero pubblicate a Vico Equense (1585) a cura del capuano Giovan Battista Attendolo. In uno scambio epistolare con lui, Tommaso Costo, in data 25 giugno 1584, accetta l’invito di dare « un’occhiata al libro, prima che vada alla stampa » ed il 2 agosto successivo, avendo egli saputo « che questi stampatori (Cacchi e Cappello) se ne anderanno a Vico fra pochi dì », si rammarica di non poter rispettare l’impegno assunto. 7 2) In due lettere (pubblicate da Girolamo De Miranda 8) inviate rispettivamente a Elio Orsini da Napoli il 2 agosto 1585 e a Gianbattista Strozzi il 2 febbraio 1586, Tommaso Costo dichiara che « S’è finita di stampare la raccolta delle rime in lode della Castriota, ove m’è stato reso il giusto guiderdone delle fatiche da me durateci, perché essendosi stampata in Vico, quel Vescovo, che mi fa del nimico, ne ha tolto via tutti gli scritti miei, pensandomi di avermi fatto un gran dispetto ». 3) In un istrumento (locatio servitutis), rogato il 9 agosto 1585 dal notaio Mario Salsano, Porzia Triana, abruzzese, « vidua et mater », fitta a Vico Equense allo stampatore Giuseppe Cacchi, per la durata di sette anni, il figlio Marco Antonio come garzone nell’officina tipografica, impegnandosi il Cacchi a fornigli i vestiti, il letto e il vitto (vedi Luigi Parascandolo 9). 4) Dell’operosità tipografica (non certo continuativa, ma che si svolse dal 1584 al 1599) il dotto vescovo Paolo Regio fu ben consapevole ed orgoglioso, come si ricava da uno scambio epistolare con il celebre medico e filosofo Giulio Iasolino, il quale aveva redatto un’opera sui bagni di Ischia (De rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa...,1588). « Et desiderando di stamparla in questo Regno, dove ella nacque, et spronato anco dal Sig. Francesco Lombardo, nostro commune amico, mi è parso fare elettione della stampa, che è nella sua città di Vico Equense, sì per la presenza di V. S. Reuerendissima, che tanto cordialmente amo, et reverisco, conoscendola così ricca del tesoro delle dottrine, et peritissima di tutte le antiche, et moderne Historie ... Per questa cagione adunque ho voluto, che si mandi à stampare in cotesta Città, rendendomi sicuro, che non solo con la sua dottrina, ma con lo splendore della sua Christianissima, et essemplare vita, l’opera ne acquisterà fauore tale, che appresso tutti per lo avvenire, sarà (spero) in maggiore stima, et riputatione ... ». E Regio gli rispondeva tra l’altro : « La ringratio oltre, che habbia voluto stampare questo suo libro nella mia Città di Vico ; la quale per cotale impressione apparirà famosa nella gran piazza del Mondo, che è la fedelissima Italia, havendolo nella nostra Italiana lingua composto. E con tal fine, pregandole dal cielo il vero contento, me le offero di tutto cuore. Di Vico à XXX di Luglio. M. D. LXXXVIII ». Queste due lettere sono state riportate all’inizio dell’opera di Iasolino, che risulterà invece stampata « In Napoli Appresso Giuseppe Cacchi, M.D.LXXXVIII ». 5) È stato segnalato da Giovanni Lombardi 10 un documento che attesta il pagamento all’editore e tipografo Carlino di un’opera del frate domenicano Marco Lancella attraverso il banco privato dei Mari :  

































7

 Cfr. Tommaso Costo, Delle lettere …, Napoli, Costantino Vitale, 1604, pp. 291 e 301.   Girolamo De Miranda, Due lettere inedite di Tommaso Costo, « Esperienze letterarie », xvii (1992), 4, pp. 41-62. 9   Luigi Parascandolo, Monsignor Paolo Regio e il suo tempo, S. Agata sui Due Golfi, Tipolitografia della Monache Benedettine, 1986. 10   Giovanni Lombardi, Tra le pagine di San Biagio. L’economia della stampa in Napoli in età moderna, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000. 8





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A fra Marco Langella d. otto et per lui a Gio Giacomo Carlino stampatore et sono a completamento di d.30 quali have havuti da lui ciò, è d.10 di contanti e tutto il restante per il nostro banco et sono in parte di una opera sua quale li stampa à Vico d.8 (ASN, Banchi Antichi, gg. dei Mari,1597-98, d.8,7 gen. 1598). Si trattava dell’opera di Marco Lancella, Expositione dell’hinno ..., 1598.

6) Angelo Borzelli in suo contribuito del 1902 dedicato al « Fontanaro e Ingegniero de Acqua » Giovanni Antonio Nigrone, che aveva compiuto molti lavori in Napoli, nel Regno di Napoli, a Firenze e a Roma, ricorda che il suddetto fontanaro si era recato anche a Vico Equense per costruire sette fontane a Ferrante Carrafa, Marchese di Sanlucido e tre fontane a Monsignor Paolo Regio. In un manoscritto conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, riccamente illustrato, egli dichiara di essere « stato chiamato a fare una fontana a monsignor Paulo Regio vescovo di Vico : e questo in Vico del mese de luglio 1598 nel suo palazzo et porto con me il presente libro : mello cercò in preto et mentre io lavorava la fontana se ne copiò gran parte et lo fe stampare : ove che in detta stampa grandemente me se onoro ». 11  













In base alle ricerche effettuate attraverso vari libri (dal 1500 ad oggi), manoscritti e fonti archivistiche si è potuto accertare finora che a Vico Equense, per iniziativa del dotto vescovo Paolo Regio, furono stampate dal 1584 al 1599 cinquantadue opere (tra sicure e probabili). Per circa sedici anni in questa cittadina della Penisola Sorrentina svolsero la loro attività, più o meno alternandosi, cinque tipografi, già noti a Napoli, di cui alcuni in società : - Giuseppe Cacchi opera dal 1584 al 1593 (precisamente dal 1584 al 1588 e nel 1592) ; - Cacchi è in società con Gio. Battista Cappello nel 1585 ; - Giovanni Tommaso Aulisio è presente nel 1593 ; - Orazio Salviani è presente con una sola opera nel 1593 ; - Giovan Giacomo Carlino e Antonio Pace sono presenti alla fine del Cinquecento (1593, 1597, 1598 e 1599). Volendo precisare meglio, allo stato attuale delle ricerche effettuate in Italia, ma da estendersi anche in Europa e negli altri Stati, l’attività tipografica è operante a Vico Equense dal 1584 al 1599 : precisamente dal 1584 al 1588, dal 1592 al 1593 e dal 1597 al 1599. In realtà i tipografi operano solo per 10 anni : non risultano stampati libri nel triennio 1589-1591 e nel triennio 1594-1596. Tale situazione è dovuta forse alle restrizioni dell’attività censoria operante nel Regno di Napoli alla fine del Cinquecento o alla dispersione bibliografica. Non bisogna dimenticare che le cinquecentine vicane (a parte alcune opere di Della Porta, Pellegrino, Regio e Tansillo ...) sono molto rare, altre sono segnalate solo da vecchi repertori, altre ancora sono citate da manoscritti12. L’attività dei torchi risulta più intensa nel 1985 (15 opere).  













11  Cfr. Angelo Borzelli, Giovanni Antonio Nigrone “Fontanaro e Ingegniero de Acqua”, Napoli, Riccardo Marghieri, 1902. 12   Francesco Migliaccio, Libri stampati a Vico Equense (manoscritto privato che elencava le cinquecentine vicane, tra cui quelle possedute dal Conte Girolamo Giusso nel castello di Vico Equense). L’autore, nato a Napoli nel 1826 e ivi morto nel 1896, fu un “amante e ricercatore delle antiche patrie istituzioni” e si dedicò a ricercare documenti riguardanti vari paesi della Campania. A riguardo cfr. Salvatore Ferraro, L’Avv. Francesco Migliaccio (Napoli 1826-1896), uno storico dimenticato, in Antiquitates Summae, Studi e memorie in onore di Raffaele D’Avino, a cura di Angelo Di Mauro, Summana, 2007, pp. 84-90 ; Id., La vita e l’opera dell’avv. napoletano Francesco Migliaccio “amante e ricercatore delle antiche patrie istituzioni civili”, in La Raccolta Migliaccio dell’Università di Bari. Per una Storia delle associazioni delle arti e mestieri nel Regno di Napoli, a cura di Eugenia Vantaggiato, Bari Servizio Editoriale Universitario, 2008, pp. 231-240.  

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Opere del Regio risultano stampate nel 1584, nel 1586, nel 1587, nel 1588, nel 1593, nel 1597 e nel 1598 (per un totale di 16 opere su 52). Dal 1600 sino al 1607 l’attività tipografica si interrompe, forse per contrasti con i canonici della cattedrale, che imputavano al vescovo il dispendio per la stampa. Non bisogna dimenticare però che Paolo Regio si occupò con molto zelo della sua diocesi. Fece ripetutamente le visite pastorali (che si conservano nell’ Archivio della Curia di Sorrento), celebrò due sinodi nel 1583 e nel 1592, partecipò al sinodo provinciale celebrato a Sorrento dall’arciv. Giuseppe Donzelli nel 1584 (i relativi Atti furono stampati a Vico Equense nel 1585), istituì due Monti di Pietà (a Vico centro e a Massaquano) per proteggere dall’usura i bisognosi, fece costruire a sue spese il campanile, un coro ligneo, la sepoltura dei vescovi e la sua tomba con ritratto in marmo (che tuttora campeggia nella cappella di S. Anna) ed ampliò il giardino dell’episcopio. Gli ultimi anni della sua vita dovettero essere molto tristi, perché continue sono le sue lamentele in una delle sue ultime opere (i Cantici spirituali del 1602). Paolo Regio con la sua vasta cultura letteraria e religiosa godette di ampio prestigio a Napoli e nel Mezzogiorno : lo testimoniano le sue opere molto diffuse nei più vari ambienti, le dediche a papi e personaggi altolocati, i numerosi encomi a lui rivolti (in italiano e latino) inseriti in opere di vari autori, le ristampe di alcune sue opere agiografiche (fu ristampata spesso la sua Vita di San Francesco di Paola del 1578, così pure le Vite di S. Onofrio, di S. Patricia, di S. Potito e di S. Prisco). Il Regio però continuò a stampare le sue opere a Napoli sino al 1607, anno della sua morte, in particolare i Cantici spirituali (Napoli, Carlino, 1602) e la Sirenide (Napoli, Pace, 1603). Anzi sino alla fine continuò a rivedere questo testo poetico, scritto in ottave, aggiungendovi un ampio e dotto commento, che non ebbe il tempo di pubblicare. Solo ora, grazie alla attenta opera di trascrizione, il testo manoscritto (conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli) è stato pubblicato con una ampia introduzione e note da Anna Cerbo, con la mia collaborazione. Passata sotto silenzio per molti secoli la sua lunga ed intensa attività pastorale, letteraria e tipografica, svoltasi nella seconda metà del Cinquecento, solo negli ultimi tempi, dopo il Convegno Internazionale di Studi, svoltosi a Vico Equense nel novembre 2007, su “Paolo Regio (1541-1607) vescovo di Vico Equense nel Cinquecento europeo”, sono comparsi numerosi studi, che hanno messo in risalto la sua intensa opera agiografica ed il primato europeo della cristianità napoletana, i suoi Opuscoli morali, la sua vita tra potere e cultura, l’attività letteraria e tipografica, la strategia della persuasione nell’età della Controriforma, la ristampa di opere inedite 13 la sua vasta conoscenza di opere dottrinali, apologetiche, bibliche, filosofiche e teologiche. 14  

13   Cfr. Paolo Regio, Sirenide, edizione, introduzione e note di Anna Cerbo, Napoli, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” University Press, 2014. 14  Si inseriscono qui di seguito alcuni suggerimenti bibliografici. Cristiana Anna Addesso, “Nel giardin del’inclita Partenope (…) non potrà entrare il perfido angue”. “Le Vite de’ Sette Santi Protettori di Napoli” di Paolo Regio e il primato della cristianità napoletana, « Studi Rinascimentali », xi (2013), pp. 139-150 ; Luigi Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1987 ; Fernanda Ascarelli, Marco Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze, Olschki, 1989 ; Ermanno Bellucci, Giovanni Giacomo Carlino, in Civiltà del Seicento a Napoli, Electa, Napoli, 1984, p. 461 ; Angelo Borzelli, Giovanni Antonio Nigrone “Fontanaro e Ingegniero de Acqua”, Napoli, Riccardo Marghieri, 1902 ; Antonella Carlo, Paolo Regio, una vita tra potere e scrittura, « La Terra delle Sirene », xxvi (2007), pp. 29-38 ; Diego Ciccarelli, La circolazione libraria tra i Francescani di Sicilia, Palermo, Officina di Studi Medievali-Biblioteca Francescana di Palermo, 1990 ; Carlo De Frede, La stampa a Napoli nel Cinquecento e la diffusione delle idee riformate, in *La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno, Roma, 17-21 ottobre 1989, a cura di Marco Santoro, Roma, Bulzoni, 1992, vol. ii, pp. 753-775 ; Vincenzo Dolla, Scipione de Monti : lo “Scanderbego” e la celebrazione ‘Castriota’, in *Rinascimento meridionale e altri studi. Raccolta di studi pubblicata in  

























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onore di Mario Santoro, a cura di Maria Cristina Cafisse, Francesco D’Episcopo, Vincnezo Dolla, Tonia Fiorino, Lucia Miele, Napoli, sen, 1987, pp. 49-76 ; Domenico Falcigno, Un cultore delle Muse in veste episcopale. Paolo Regio degli Orseoli 1541-1606, Napoli, G. Lucino, 1927 ; Salvatore Ferraro, Auspice il vescovo Paolo Regio. Tipografi nel ’500, « Match-Point », Gennaio 1992 ; Id., Stampati a Vico Equense nel 1585. Ritrovati gli Statuti Comunali di Nusco, « Il Golfo », sabato 30 agosto 1997 ; Id., Le cinquecentine di Vico Equense durante l’episcopato di Paolo Regio (1583-1607), « Rassegna Storica Salernitana », xlii (2004), pp. 275-300 ; Id., La figura di S. Prisco nell’opera agiografica del vescovo Paolo Regio, in *Priscana. Raccolta delle conferenze per le giornate priscane 2000-2011, a cura di Mons. Carmine Citarella e Mons. 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SABATO 17 OTTOBRE 2015 SALA POLIFUZIONALE ISTITUTO SS. TRINITÀ · VICO EQUENSE

LA VILLA DELLAPORTIANA TRA ESPERIENZA E TRADIZIONE LETTERARIA Gianni Antonio Palumbo Constitui, lector optime, ut Socrates sui gymnasii vestibulo [...] scriptum praefixerat, ne illuc ingrederentur, qui secum circinum (quo geometrae in metiendis figuris utuntur) non attulissent, quo se ipsos metirentur intelligerent ; ita huic meae villae ianuis, procul, procul ite profani, invidi scilicet, obtrectatores et male feriati. 1  



A

ll ’ingresso della sua ubertosa Villa, Giovan Battista Della Porta, nel Proemio, faceva riecheggiare memoria del Ginnasio socratico, col suo monito autocognitivo, e, attraverso la citazione virgiliana di Aen., vi, 258, forse rimodellata sulla scorta di Calpurnio Siculo, evocava la sacralità dell’accesso al Tartaro da parte di Enea. Tale solennità era, seppur in ben altro contesto e sebbene venata di bonomia, utile a mantenere al di qua della soglia della Villa dellaportiana reale e di quella virtuale, ossia letteraria, lo sguardo invido. La malevolenza distruttrice degli invidentes, dei detrattori e, non in ultima istanza, degli ignavi e inoperosi avrebbe potuto disseccare, con gli sguardi di basilischi, gli uberrimi fructus e rendere rauco, potere del lupo avvistatore, lo scrittore altrimenti eloquente. Nel Proemio alla Villa, finemente edito dalla studiosa Luigia Laserra nell’ambito di un progetto che, sotto l’egida di Francesco Tateo, ha veduto già pubblicare i primi tre tomi della Villa, nell’attesa del quarto a cura di Mariantonia Adesso, Della Porta, secondo consuetudine, enunciava i suoi intenti programmatici e sciorinava il proprio scriptorium, non limitandosi all’usuale elenco di auctoritates, ma additando di ciascuna pregi e limiti, limiti cui la compilazione dellaportiana intendeva ovviare, per configurarsi quale « integram exactamque agricolationis historiam ». 2 Un intento di grande ambizione, finalizzato alla realizzazione – un po’ come era avvenuto per il De priscorum proprietate verborum di Giuniano Maio –, non semplicemente di una compilazione scientifico-tecnica, ad uso solo degli addetti ai lavori, ma di una vera e propria Realencyclopädie. Un virtuoso circuito cognitivo in cui esperienza e tradizione si compenetrino, raggiungendo un proficuo equilibrio. Ci spieghiamo così la massiccia presenza dell’Ateneo Naucratita del libro ii dei Deipnosofisti, fruito attraverso la traduzione dell’allievo del rabelaisiano Rondibilis (Guillaume Rondelet), Jacques Daléchamps, nel libro vii, Vinea, dal Della Porta consacrato alla viticoltura. E possiamo anche comprendere il costante ricorso alla citazione letteraria, poetica, alla fonte biblica, che impreziosisce l’ordito, divenendo quasi un pendant delle profumate corone floreali del nono libro. Di certo Della Porta si propone anche una funzione di intrattenimento ed è pienamente consapevole dell’impervietà della materia ; è pertanto naturale che ciò lo induca a voler creare delle pause lirico-narrative nell’ardua tessitura georgica. L’intento non è, tuttavia,  







1   Giovan Battista Della Porta, Autoris de sua Villa prooemium, in VillaeI, p. 1. « Come Socrate aveva collocato un’iscrizione davanti al vestibolo del suo ginnasio, che stabiliva il divieto di entrare per coloro che non portassero con sé un compasso (di cui gli studiosi di geometria si avvalgono per misurare le figure), con cui imparare a misurare sé stessi, ho deciso, esimio lettore, di scrivere sulle porte di questa mia villa : “procul, procul ite 2   Ivi, pp. 1-2. profani”, a intendere gli invidi sguardi, i detrattori, gli scansafatiche ».  





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esclusivamente quello digressivo : Della Porta si ripropone di allestire una sorta di summa critica delle conoscenze dell’epoca e non è pertanto casuale l’allusione, proprio alle soglie della Villa, al mito di Absirto, smembrato da Medea. Come ha ben evidenziato Luigia Laserra nel suo Disiecta membra colligere, 3 infatti, tale mito assurge a metafora del lavoro dellaportiano stesso. Aggiungiamo, inoltre, che l’attenzione anche all’aspetto letterario e ai poetica figmenta emergeva proprio nel finale del Proemio, quando, a mo’ di excusatio, l’autore dichiarava di aver azzardato alcune interpretationes delle favole dei poeti, poiché esse, non di rado, celano riferimenti a particolarità legate alla coltivazione o alle proprietà delle singole specie botaniche. 4 Lo scrittore di Vico Equense precisava, tra l’altro, che suo intendimento era il fatto che nessun informazione degna di essere conosciuta fosse omessa in questa sua agricolationis historia. Era piuttosto usuale, all’epoca, che i contemporanei, a meno che non fossero già universalmente riconosciuti come autorità, fossero passati sotto silenzio e si preferisse limitare l’elencazione delle fonti dello scriptorium ai classici latini e greci, talvolta anche tardoantichi. Un primo aspetto su cui immediatamente possiamo sgomberare il campo da dubbi è relativo alla modalità di consultazione dei testi greci. Nonostante Della Porta fosse stato traduttore – in modo piuttosto letterale, come ha evidenziato Raffaella De Vivo – dell’Almagesto 5 e fosse dunque in grado di leggere tali opere in lingua originale, egli, per ragioni di economicità, si avvaleva di versioni latine. Così Esiodo è letto per il tramite di Niccolò della Valle ; Ateneo attraverso il già citato Daléchamps ; il Plutarco degli Aitia con la mediazione del lucchese Giovan Pietro d’Avenza ; le Anacreontee, forse, nella veste latina di Henri Estienne ; i Geoponici per mezzo della traduzione di Johann Hagenbut ( Janus Cornarius). Ovviamente a ciò non si riscontrano riferimenti in seno al proemio, ma, nel corso della trattazione, non di rado i vari Jean Ruel, traduttore di Dioscoride, o Teodoro Gaza, riferimento per l’opera di Teofrasto da Ereso o per i Problemata aristotelici sono evocati dal Della Porta, per rimarcare, e talora anche criticare, le loro scelte interpretative. Analogamente procedeva anche l’Enareto sannazariano, Giuniano Maio, nel suo De priscorum proprietate verborum, tanto che, nella mia opera di ricostruzione della sua biblioteca di grammatico, 6 mi spingevo a definire tale sezione dello scriptorium « biblioteca mediana », livello costituito da « epitomi, versioni, lessici parziali consultati dal compilatore », i cui artefici non erano direttamente citati in quanto « anelli intermedi del reticolo cognitivo », « “mediatori” piuttosto che “produttori” di conoscenza ». 7 Per quanto invece attiene alle auctoritates, Della Porta non lesinava critiche all’organicità o all’impianto delle loro opere. A Esiodo riconosceva il primato nel canto della materia agraria, ma nella sua opera egli si era oggettivamente limitato alle segetes, aveva scritto de arboribus aut vitibus perparum e omesso tutto il restante versante di tale sterminato dominio. Anche la trattazione virgiliana, che aveva fatto risonare il carme ascreo nelle contrade romane, si era rivelata piuttosto selettiva. Una fonte a cui Della Porta attribuiva notevole autorevolezza era Columella, estremamente abile nel suo rivolgersi al ceto dei rentiers,  



































3   Luigia Laserra, Disiecta membra colligere : chirurgia testuale della Villa tra membratim e insitio, in *Giambattista Della Porta in edizione nazionale, a cura di Raffaele Sirri, Napoli, Istituto di Studi Filosofici, 2007, pp. 71-80. 4   G. B. Della Porta, Autoris de sua Villa prooemium ..., cit., p. 4 : « Poëtarum fabulas interpretati sumus, ut sub involucris latentes plantae cultus et vires innotescerent, ut nil nostris in his historiis nosci dignum possit desiderari ». 5  Cfr. Raffaella De Vivo, Giambattista Della Porta e la traduzione del primo libro dell’Almagesto di Tolomeo e del commento di Teone, in *Giambattista Della Porta in edizione nazionale ..., cit., pp. 81-100. 6 7   Gianni Antonio Palumbo, La biblioteca di un grammatico, Bari, Cacucci, 2012.   Ivi, pp. 16-17.  







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ma anche nel suo caso, se il suo scritto costituiva un faro per la sezione della viticoltura e l’orticoltura (ma anche de segetibus e arboribus), non risultava esaustivo in merito alle molteplici branche dell’agronomia. Diverso il tenore e l’ampiezza delle compilazioni botaniche di Teofrasto, secondo l’intellettuale campano imprescindibile punto di riferimento per chiunque volesse scrivere de historia e de causis plantarum. Proprio per questo – e in maniera ben più esauriente di Cassiano Basso – Della Porta desiderava ricomporre in capitoli organici le informazioni sulla storia di ciascuna specie botanica, da Teofrasto disseminate membratim nei suoi scritti. Anche nel caso del discepolo e successore di Aristotele, tuttavia, un limite era ravvisabile nel dato, facilmente constatabile, che le sue opere apparivano più adatte ai frequentatori delle philosophorum scholae che a qui agrum colere volunt. 8 Stessa carenza Della Porta riscontrava in Varrone, precisando che « philologis potius, quam rusticis librum conscripsit ». 9 Da questo vizio intellettualistico, il Nostro desiderava risultare decisamente esente. È per tale ragione che affermava di non voler essere considerato alla stregua di Nicandro da Colofone, che si era arrischiato a scrivere de re rustica, pur non essendosi mai allontanato dal contesto urbano. Al contrario del padre di Theriakà e Alexipharmaca, per non infiacchire nell’ozio, Della Porta soleva allontanarsi dal negotium cittadino e lenire la nostalgia degli amici di ogni giorno « plantis serendis, inserendis cicurandisque ». Non riteneva, d’altronde, disdicevole per un uomo di lettere, sulla scorta dell’esempio degli avi e di illustri personaggi storici (è rievocata alla nostra memoria l’immagine di Cincinnato), la pratica rurale. Quanto a Plinio e Palladio, Giovan Battista si dimostrava piuttosto propenso alla deminutio, nel momento in cui asseriva : « Plinius et Palladius non, nisi quae ex his exceperunt, habent ». 10 A tal proposito, un primo aspetto che ci interessa sottolineare è proprio l’atteggiamento ipercritico nei confronti dell’autore della Naturalis historia, complice la mediazione di Ermolao Barbaro il giovane, di cui Della Porta cita, a più riprese, i Corollaria in Dioscoridem. Questa attitudine non deve apparirci in contrasto con quanto afferma Francesco Tateo, quando evidenzia che il « modello complessivo di Della Porta » (sotto il profilo stilistico) « era certamente l’Historia di Plinio », che « ha d’altra parte lasciato negli studiosi di letteratura latina un’impressione di mediocrità sul piano stilistico ». 11 Numerosi esempi di tale attitudine dellaportiana sono riscontrabili nel libro ottavo, dedicato alla vite arbustiva, « quella particolare varietà che vivo innititur pedamento ». Arbustum è costantemente percorso dalla metafora nuziale, evidente sin dalla quarta linea del proemio, in cui si afferma che « ita vites arboribus maritantur, ut foeminae viris et arbores vitibus orbatae viduae dicuntur ». Il duplice richiamo ai Carmina (iv, 5, 30) e agli Epodi oraziani interveniva a completamento del quadro. Della Porta evidenziava, peraltro, come le viti, per natura avide di altezze, vengano “maritate” agli alberi, non tanto perché producano frutti, ma affinché ne producano di qualità migliore e che, qualora tali metaforiche nozze non si verifichino e le viti non si innalzino sugli alberi (efficace l’uso del verbo sublimor), strisciando sul suolo, produrrebbero acini di gran lunga peggiori e insipidi, con 









































8   G. B. Della Porta, Autoris de sua Villa prooemium ..., cit., p. 2 : « Theophrastus Eressius extra omnem ingenii aleam positus, ut singulari sua eloquentia divinum nomen sortitus sit, cuius doctrinam tanti Aristoteles fecit, ut suae academiae eum principem substituerit, absolutum opus tum de historia plantarum, tum de causis conscripsit, ex quo, tanquam e vasto mari subsecutae aetatis caeteri, ingenio et scientia praecellentes, quicquid de plantis scripserunt, hauserunt hauriendumque censent uno ore docti omnes ; et me iam a scribendo deterruisset, nisi viderem eius libros non tam idoneos esse iis, qui agrum colere volunt, quam qui scolas philosophorum ». 9 10   Ibidem.   Ibidem. 11   Francesco Tateo, Sul linguaggio scientifico di Giambattista Della Porta, in *Giambattista Della Porta in edizione nazionale..., cit., (pp. 47-60), p. 48.  







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ducendoli tra l’altro a maturazione in ritardo. Accanto al monito alle donne, a rischio di divenire viti humi repentes, sterili e deteriori, si introduceva anche un invito alla “social catena”, nel momento in cui si alludeva agli effetti benefici che intervengono per le piante che « prope satas quasdam habeant » e divengano pertanto « se mutuo adiuvantes ». 12 Nel capitolo secondo, a proposito della definizione di arbusto e dell’individuazione degli alberi più adatti al coniugium con la vite, Della Porta introduceva un passo mutuato dal libro xvii della Naturalis historia, in cui Plinio il Vecchio sosteneva il primato dell’olmo in tal direzione, con l’eccezione della varietà denominata ulmus attinia. Nel successivo capitolo, tuttavia, Della Porta prendeva posizione al riguardo, affermando l’utilità e l’opportunità di un uso arbustivo del pioppo e invece rilevando il carattere controproducente del connubio vite-olmo. Egli finiva così con il contrastare una lunga e ricca tradizione, che era stata mellificata anche dal padano Pietro de’ Crescenzi, che nei suoi Ruralium commodorum libri xii, nel capitolo dedicato all’olmo, aveva ribadito i favorevoli esiti del procedimento arbustivo con le viti : « Hec arbor optima est, ut vites supra eam ascendant ». 13 Questa vulgata aveva raggiunto la sua acme nel libro quattordicesimo delle ovidiane Metamorfosi, nella sezione relativa agli amori di Pomona e Vertumno. Narra il poeta di Sulmona che la divinità d’origine etrusca, che presiedeva ai mutamenti di stagione e alla maturazione dei frutti, accesasi di passione per la riluttante Pomona, un giorno si tramutasse in una vecchia « innìtens baculo » e « cultosque intravit in hortos », gli orti della bellissima dea. In quella circostanza, Vertumno avrebbe tratto spunto da un olmo magnifico, onusto d’uva rilucente, per intessere un elogio dell’amore coniugale, sottolineando al contempo che se la vite « non nupta foret, terrae adclinata iaceret ». 14 Dagli esempi mutuati dal mondo naturale alle parabole mitologiche, l’obiettivo era raggiunto e la ninfa restava incantata a rimirare la splendida figura del dio, al momento in cui aveva deposto le mentite spoglie. A quest’idea ricorrente della felicitas coniugii tra vite e olmo Della Porta oppone il dettato dell’esperienza dei sensi, il criterio autoptico, in un passo estremamente interessante, di cui fornisco la mia traduzione :  

































Secondo Plinio l’ombra dell’olmo è soave e reca nutrimento a tutto ciò che ombreggia. Eppure, a detta di Attico (n.d.a. Giulio Attico, scrittore de re rustica), anche questa tipologia di ombra è nociva ; Plinio non dubita che ciò avvenga, qualora se ne lascino spargere i rami, ma, se essi sono mantenuti stretti e raccolti, non ritiene che la loro ombra possa arrecar danno alle viti. Di certo, tuttavia, confessiamo di non essere in grado di spiegare facilmente per quale motivo abbia asserito questo, dal momento che risulta evidente a tutti i contadini ed è manifesto anche a noi, poiché ne facciamo esperienza quotidianamente, che l’ombra dell’olmo non è nutrice, ma matrigna. I grappoli d’uva che siano stati sottoposti all’ombra delle foglie d’olmo non pervengono mai a maturazione, nemmeno dopo la vendemmia. L’olmo ha foglie ramificate, compatte, appese a un peduncolo corto e resistente, abbondanti ; foglie che non si lasciano smuovere da alcun vento, incerte nella crescita. Ha radici molto lunghe, fitte, che vagano da una parte all’altra e sono capaci di ‘perforare’ macerie e muri, pullulando di compatti germogli sino al punto che l’olmo ricolma di radici il luogo in cui si trovi a crescere e lo inviluppa tanto da ostacolare l’aratro e da costringere tutto ciò che si trovi nelle sue vicinanze a deperire e inaridirsi, a causa dell’ingente nutrimento di cui l’olmo ha bisogno. In più circonda e strangola qualsiasi albero sia alla sua portata. Spessissimo ci è capitato di notare che una vite rinsecchiva senza alcun motivo apparente ; allora, dopo averla scalzata, abbiamo scoperto che essa era abbracciata, legata e letteralmente strozzata dalle radici di un olmo. Recise le radici  





12

  VillaeIII, p. 69.   Pietro de’ Crescenzi, Liber ruralium commodorum a Petro de Crescentiis, cive Bononiensi, ad honorem Dei omnipotentis et serenissimi regis Karoli compilatus, Lovanio, presso Giovanni di Westfalia, 1474, v, c. n5v, De ulmo. 14   Ovidio, Metamorfosi, xiv, vv. 654-666. 13

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con la scure, talvolta la pianta ha riacquistato vigore. Funesti e feroci possono essere definiti quegli abbracci di un uomo, da cui la sposa, oppressa, sia soffocata. Una moglie è fatta deperire, non fiorire dagli eccessi di gelosia.

Il lessico familiare era pertanto declinato dal Della Porta allo scopo di dissuadere dall’uso arbustivo dell’olmo, qualificato alla stregua di una noverca, che vampirescamente intercetta il nutrimento a danno della pianta che dovrebbe mutuo adiuvare, o di un marito parossisticamente geloso, che lede lo spazio vitale della sposa, con i suoi abbracci soffocanti. Dopo appena poche pagine, nel capitolo quarto, ecco una nuova annotazione al magistero pliniano, questa volta relativamente agli effetti dell’ombra del fico. Plinio riteneva che, quamvis sparsa, essa risultasse levis per le viti e per questo non disdegnava di suggerire di piantar alberi di fico nei vigneti. 15 Basandosi ancora una volta sul dettato dell’esperienza, il naturalista e scienziato di Vico Equense contraddiceva la Naturalis historia, sostenendo che il fico, con le sue radici eccessivamente lunghe e spesse e con l’ombra decisamente fitta delle foglie molto ampie, finisse piuttosto col danneggiare le tenere viti. L’ennesima stilettata allo scrittore comasco era assestata nel corso del capitolo xxix, laddove si esaminano eventuali frodi finalizzate all’alterazione della qualità dei vini. Plinio esaltava la forza prodigiosa dell’edera nell’atto di saggiare i vini e precisava che, versando questi ultimi in vasi di legno ederaceo, nel caso in cui al vino fosse stata mescolata dell’acqua, si sarebbe verificato il transfluere del primo e il remanere della seconda. Della Porta smentiva categoricamente la validità delle affermazioni pliniane e asseriva, piuttosto, come si verificasse l’esatto contrario, cioè il permanere del vino nel recipiente e la fuoruscita dell’acqua. Anche in questo caso, l’elemento falsificatore addotto rispetto alle teorie pliniane risulta essere, almeno a detta dell’autore, l’esperimento : il Nostro avrebbe verificato sul campo quanto affermato nella Naturalis historia, disvelandone in modo tangibile le inesattezze. Un ulteriore fattore di interesse del locus esaminato risiede nel fatto che il Della Porta, tanto in questo capitolo quanto nell’ultimo del libro Hortus coronarius, il nono, in cui si riaffaccia tale querelle, rinvii, per più espliciti chiarimenti e ai fini di una trattazione più diffusa, alla Magia naturalis. V’è traccia della discussione sull’edera nella prima edizione dell’enciclopedia magica, a proposito, nell’ordito del secondo libro, dell’allestimento di conviti e banchetti ; il rinvio dellaportiano ci appare tuttavia più pertinente all’editio aucta dell’opera, nell’architettura della quale il xviii libro prevede un intero capitolo, il quarto, consacrato all’argomento (Quomodo aliter vinum ab aqua separare possimus). Tale constatazione ci induce a riflettere sulla profonda coesione che caratterizza la produzione dellaportiana, in cui lo studioso può rilevare l’esistenza di una fittissima rete di rapporti che collega opere come la Magia e la Villa : non dobbiamo peraltro dimenticare come la seconda edizione dell’opera più celebre e la princeps dell’enciclopedia rustica risalgano all’arco temporale compreso tra il 1589 e il 1592. Della Porta amava, inoltre, procedere per schede, spesso migranti da uno scritto all’altro (si pensi alle sequenze che ricorrono identiche tra Magia e Villa, ma anche tra quest’ultima e la Phytognomonica) e, non di rado, addirittura nelle maglie di una medesima opera. La citazione di Plinio xvi, 155 sarebbe infatti, come già abbiamo accennato, stata riproposta, di lì a poco, nel corposo capitolo xliv (de hedera) del libro nono sull’Hortus coronarius, nella sezione consacrata alla Materies, senz’alcun cenno al fatto che il locus in questione era già stato sconfessato nel  







15   VillaeIII, l. viii, cap. 4 (Conserendarum arborum ratio in arbusto), p. 74 : « Plinio autem videtur ficorum levis umbra, “quamvis sparsa ideoque et inter vites seri” non vetat. Sed hoc falsum est : nam praelongis crassissimisque radicibus infestat et densiori latiorum foliorum umbra ».  







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libro ottavo, Arbustum. Tornava, invece, ancora una volta in gioco il riferimento alla Magia naturalis : « Sed id falsum diximus », asseriva infatti Della Porta, « in Magia nostra naturali ». Proprio il libro ottavo ci consente di operare alcune inferenze in merito al rapporto con la compilazione medievale di Pietro de’ Crescenzi, giudice bolognese, di cui l’opera agronomica ebbe enorme riscontro tra i contemporanei, ma successiva sfortuna in età umanistica. È soprattutto a lui che Della Porta sembra riferirsi quando, nel proemio, allude, con sommo disprezzo, alla neotericorum turba, numericamente cospicua, ma del tutto priva di doctrina come del crisma esperienziale. Tale fumosa iattanza li induceva a un transcribere de pagina in paginam le congressiones degli antichi. Proprio il libro ottavo, riguardante gli arbusti, in misura superiore al libro settimo, rivela però una certa conoscenza dell’opera del Crescenzi, non fosse altro che per un’affinità strutturale tra i due testi. Basterà considerare, tuttavia, quale esempio il capitolo De tempore et modo gustandi vinum, il ventisettesimo del libro VIII della Villa e il trentacinquesimo del libro quarto della compilazione del Crescenzi, per cogliere gli elementi che diversificano le condotte dei due scrittori. 16 In entrambi i casi, gli autori sono debitori delle Geoponiche, ma differente appare la fonte della compilazione. Crescenzi faceva riferimento al Liber de vindemiis di Burgundione da Pisa, che comunque rappresentava la versione del libro vii della compilazione di Cassiano Basso ; Della Porta, al contrario, si basava sulla traduzione di Johann Hagenbut, come già precisato. Per ragioni cronologiche, peraltro, l’agronomo bolognese non avrebbe mai potuto conoscere la versione, ben più accurata, dell’umanista tedesco, confecta soltanto nel 1538. Crescenzi citava ripetutamente Burgundione come fonte delle sue informazioni e, talora, ne sconfessava anche le indicazioni, come avviene in questo caso :  















Ieiunum autem existentem non oportet vina gustare ; obtunditur enim gustus neque post multam potationem et comestionem, ut Burgundius scribit, sed, ex consuetudine Bononiae, ieiuno tantum stomacho gusta. 17  



Nella costruzione del capitolo, Crescenzi si fondava sulla struttura del Liber de vindemiis, a sua volta interpretatio di informazioni del capitolo settimo del vii libro delle Geoponiche. Nel Liber ruralium commodorum, di conseguenza, si riscontra una maggiore fedeltà all’ipotesto, con diretto riferimento non alla compilazione d’età bizantina, ma alla traduzione medievale. Della Porta, invece, riflettendo sui tempi e sulle modalità opportune per gustare il vino novello, combinava i materiali già adoperati da de’ Crescenzi con ulteriori indicazioni mutuate dalle Geoponiche e legate all’apertura dei vasi vinari (vii, 5) 18 e ai periodi durante i quali si inneschi più facilmente il processo che conduce alla corruzione del vino (vii, 10). 19 Tali dati erano presenti anche nel Liber crescenziano, in una collocazione affine a quella di Burgundione. Alle notazioni acquisite dalla versione di Hagenbut, Della Porta affiancava poi una citazione, sempre legata alla doliorum apertio, mutuata dalla pliniana Naturalis historia. Se il naturalista emiliano riconduceva le informazioni alla fonte burgundiana, Della Porta, con maggior precisione, ascriveva le nozioni addotte ai vari autori attestati nella raccolta bizantina, e quindi al Fiorentino, a Zoroastro, a Paxamo e via discorrendo.  



16

17   P. De Crescenzi, Liber ruralium commodorum ..., cit., c. I3r.   Ibidem.   VillaeIII, l. viii, cap. 27, p. 113 : « Zoroaster syderum exortu dolia aperiri non debere admonet ; “tunc enim motus fit vini et non convenit ipsum contrectare. Et si in die dolium aperies, soli umbrosum aliquod oppones, ne splendor vino illabatur. Si noctu, necessitate urgente, dolium aperturus, adversum lumen lunae itidem excipies” ». 19   Ibidem : « Laborat vinum, ut Paxamus tradit, occasu Pleiadum, item bruma vel, quum flore vitis exuitur, aestivo solstitio, vel exortu Caniculae. Sentiunt vitia, quum coelum incendio flagrat, quum etiam nimio frigore riget, quum vehementer incesserunt pluviae, item quum duro tonitru concutitur aut violentis coruscat fulgetris ». 18















la villa dellaportiana tra esperienza e tradizione letteraria

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Il maggior pregio della trattazione di Villa rispetto alla celebre opera del Crescenzi ci sembra pertanto consistere in una più attenta annotazione delle fonti e in una loro ricombinazione, a partire da schede preesistenti e migranti da un’enciclopedia rustica all’altra. Il limite, invece, proprio come per l’opera del Crescenzi e un po’ per tutti questi testi di botanica cui la frequentazione dellaportiana ci ha fatti accostare, risiede proprio nella tendenza alla riproposizione diretta delle testimonianze del passato, non rielaborate, ma giustapposte in un orizzonte in cui la polifonia non sempre si ricompone in sintesi. Ciò perlomeno sino al momento in cui l’orgoglio dello scienziato spinge l’intellettuale campano a smentire, sulla scorta del criterio autoptico (almeno a suo dire), le affermazioni degli auctores. La materia botanica era, del resto, di estrema complessità. Della Porta, nel libro ix, in cui delinea il suo orto coronario si cimenta con la difficile impresa di identificare le diverse tipologie di piante e fiori menzionate da Teofrasto, Virgilio, Dioscoride, indicando, per ciascuna, anche la nomenclatura adottata dal vulgus partenopeo. Non sempre l’operazione risultava di facile compimento, come nel caso del vaccinium virgiliano (Buc. ii, 18), che, sebbene scuro, un po’ come la pontaniana puella fuscula, finiva col risultare più gradito dei bianchi ligustri. Della Porta lo identificava con il leucoion, particolare tipologia di viola, rigettando con vigore l’ipotesi avanzata da Ermolao Barbaro nei corollari a Dioscoride e da Jean Ruel nel De natura stirpium, propensi all’identificazione col giacinto. I due intellettuali erano addirittura accusati di aver distorto le notizie addotte da Servio nel commento al locus virgiliano, ma probabilmente Della Porta, in questo caso, non considerava il fatto che i destinatari dei suoi strali polemici facessero riferimento al commento alle Georgiche, e precisamente al verso 183 del quarto libro, e non all’esegesi delle Bucoliche, in cui effettivamente Servio si limitava ad asserire che « “vaccinia” vero sunt vìolae, quas purpurei coloris esse manifestum est ». Un altro snodo fondamentale era rappresentato nel libro ix di Villa dai due capitoli relativi proprio al giacinto. Il naturalista di Vico Equense punta con energia a chiarire qualsiasi dubbio e afferma la necessità di distinguere un giacinto d’uso medico, quello descritto da Dioscoride, da identificarsi con la napoletana cipolla selvaggia, e un giacinto fabulosum, quello cantato dai poeti. A ciascuno Della Porta dedica un capitolo, soffermandosi anche sulla duplex fabula legata al giacinto dei poeti. Una versione del mito voleva il fiore legato a una liaison omoerotica di Apollo, tragicamente conclusasi a causa dell’intervento del dio Borea ; l’altra ipotizzava che il giacinto fosse sbocciato in seguito alla morte di Aiace e che per tale motivo recasse inscritte sulle foglie le funestae litterae “ai ai”, riconducibili al nome dell’eroe, ma anche a un dolente lamento. Della Porta, a tal proposito, adduceva la testimonianza di Pausania per evidenziare che il fiore connesso al cruore di Aiace non fosse il giacinto, ma una varietà ad esso somigliante e che invece al giacinto vero e proprio poteva ricondursi, e con esso identificarsi, il fiore che gli Ermionesi recavano intrecciato in corolle durante le processioni Ctonie (Paus. i, 35, 4). Sgomberato il campo da questa prima confusione, ritornava, riecheggiando le boccacciane Genealogiae (iv, 58) sulla favola di Apollo e Giacinto, per poi stringere su un’identificazione del fiore con il giglio selvaggio, l’emerocallide dioscoridea. Unica nota discordante era però rappresentata dalla constatazione che tale varietà presentasse soltanto alcuni punctula nigra, ma non di certo le lettere cui il mito effettuava chiari riferimenti. A tal proposito, Della Porta chiamava in causa l’esempio di Plinio che, discettando sulle fave, aveva riferito l’esistenza nel fiore di quella pianta di lugubres litterae, quando, in verità, in esso era lecito osservare soltanto alcune notulae nigrae. In realtà, quel Della Porta dal piglio sicuro, che di lì a poco non esitava a bacchettare Nonio per la confusione tra giacinto  





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medico e poetico, non faceva altro che riproporre argomentazioni già addotte da Ruel o da Leonhard Fuchs, 20 e quindi non originali. Rispetto ai colleghi, tuttavia, la trattazione di Villa emerge per ordine e chiarezza. Ruel, per esempio, nel capitolo centoquattro del libro terzo De natura stirpium, trattava insieme l’astragalo e il giacinto, fondendo in quest’ultimo i tratti del leucòion, della cipolla selvaggia e del giglio selvaggio. Le fonti addotte erano le medesime, ma i punti d’arrivo differenti e la trattazione risultava più confusa rispetto a quella dellaportiana. Più vicino a Della Porta nelle conclusioni risultava Fuchs, nel capitolo trecentoventiquattresimo della sua Historia stirpium, ma la decisione del Nostro di trattare le due specie floreali in distinti capita rendeva, o almeno così parrebbe, il processo identificativo più immediatamente perspicuo al lettore. Ne consegue che la Villa dellaportiana è un’opera ambiziosa, con velleità da Realencyclopädie e un atteggiamento tutt’altro che di acritica riproposizione del dettato delle fonti. Un’opera attraverso la quale si intravedono scampoli di vita rustica, che ci introducono nei torcularia o lasciano balenare le frodi che da sempre osti ed emptores architettano a danno del consumatore. Un’opera in cui traluce anche il Della Porta “mago”, proteso ad auscultare la machina mundi, per coglierne i mirabilia, frutto di quella connessione tra la totalità e i singoli elementi, adombrata nell’omerica catena aurea. 21 Quel Della Porta che si serve ora delle Genealogiae di Boccaccio (come nella bella esegesi del mito della nascita di Bacco), ora di Ruel e soprattutto degli Hieroglyphica di Pierio Valeriano, per decrittare i significanti di una tradizione polisemica e provare a cogliere quel « vero condito in molli versi », quel « vero sotto favoloso e ornato parlare ascoso » che, come non mancava di rilevare Francesco De Sanctis, non di rado diviene sostanza della più limpida poesia.  











20   Fuchs è considerato tra i padri fondatori della botanica tedesca e fu tra i maggiori rappresentanti nel neogalenismo. 21  Cfr. Omero, Il. viii, 18-27. Per la ricorrenza dell’immagine nel simbolismo alchemico, cfr. Mino Gabriele, Alchimia : la tradizione in occidente secondo le fonti manoscritte e a stampa, Venezia, La Biennale di Venezia, 1986, pp. 22-25. Per una maggior conoscenza del Della Porta “mago” e scienziato, rinviamo almeno a Antonio Corsano, Per la storia del pensiero del tardo Rinascimento, iii. G. B. Della Porta, « Giornale critico della filosofia italiana », xxxviii (1959), pp. 76-97 ; Nicola Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500, « Studi storici », i (1959-1960), pp. 677-715 ; Luisa Muraro, Giambattista Della Porta mago e scienziato, Milano, Feltrinelli, 1978 ; Gabriella Belloni, Conoscenza magica e ricerca scientifica in G. B. Della Porta, in Giovan Battista Della Porta, Criptologia, Roma, Centro internazionale di studi umanistici, 1982, pp. 45-101 ; *Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo : Atti del Convegno (Vico Equense-Castello Giusso, 29 settembre-3 ottobre 1986), prefazione di Eugenio Garin, a cura di Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1990 (in particolare Germana Ernst, I poteri delle streghe tra cause naturali e interventi diabolici. Spunti di un dibattito, pp. 167-197) ; Michaela Valente, Della Porta e l’Inquisizione, « Bruniana & Campanelliana », v (1999), pp. 415-435 ; Paola Zambelli, Continuità nella definizione della magia naturale da Ficino a della Porta, in *Geografia dei saperi. Scritti in memoria di Dino Pastine, a cura di Domenico Ferraro, Gianna Gigliotti, Firenze, Le Lettere, 2000 ; Laura Balbiani, La « Magia Naturalis » di Giovan Battista Della Porta. Lingua, cultura e scienza in Europa all’inizio dell’età moderna, Berna, Lang, 2001 ; Oreste Trabucco, Il corpus fisiognomico dellaportiano tra censura ed autocensura, « Rinascimento », xliii (2003), pp. 569-599 ; Paolo Piccari, Giovan Battista Della Porta. Il filosofo, il retore, lo scienziato, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 68 ; Gianni Antonio Palumbo, La magia naturale di Giambattista Della Porta, in *La magia e le arti nel Mezzogiorno, a cura di Raffaele Cavalluzzi, Bari, Graphis, 2009, pp. 100-112 ; Giovan Battista Della Porta, Taumatologia e criptologia, a cura di Raffaele Sirri, Napoli-Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013 ; Donato Verardi, Ateismo e magia nell’età della Controriforma. Note di demonologia dellaportiana « Rinascimento meridionale », v (2014), pp. 117-128 ; Id., Giovan Battista Della Porta e le « immagini astrologiche », « Bruniana & Campanelliana », xxi (2015), 1, pp. 143-152 ; *Giovan Battista Della Porta nel iv centenario della morte (1535-1615), Atti del Convegno, Piano di Sorrento, 27 febbraio 2015, a cura di Alfonso Paolella, Roma, Scienze & Lettere, 2015. Per un quadro generale degli interessi culturali dellaportiani, Giorgio Fulco, Per il “Museo” dei fratelli Della Porta, in *Rinascimento meridionale e altri studi in onore di Mario Santoro, a cura di Maria Cristina Cafisse et al., Napoli, Società editrice napoletana, 1987, pp. 105-175. Per un utile catalogo delle edizioni delle opere dellaportiane, cfr. Antonella Orlandi, Le edizioni dell’opera di Giovan Battista Della Porta, presentazione di Marco Santoro, Pisa-Roma, Serra, 2013.  































































«NON CEDE L’ARTE A LA NATURA IL VANTO / NE L’ARTIFICIO DEL GIARDIN» : 1 L’INNESTO QUALE SINTESI IDEALE FRA NATURA E ARTE NELLE PAGINE DELLA VILLA  



Luigia Laserra C. Furio Cresino, liberto che nel suo piccolo campo faceva raccolte più abbondanti di quelle che i suoi vicini ricavavano dai grandi poderi, eccitò la loro invidia al punto che lo accusarono di sviare la fertilità dei campi del vicinato per effetto di magia. Vedendosi condotto in giudizio, e temendo di soccombere, condusse nel foro, prima che si facesse l’appello della causa, una sua robusta figlia, ben nutrita e ben vestita, arnesi di agricoltura in ferro e della migliore costruzione, grandi zappe, vomeri pesanti e buoi vigorosi e in buonissimo stato. E, rivolgendosi al popolo : “Ecco, disse, Romani, in che consistono i miei sortilegi (veneficia mea) ; ma vi mancano le mie meditazioni notturne, le mie veglie e le mie fatiche, che non posso presentarvi”. Egli fu unanimemente assolto. 2  





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’an eddoto riportato da Plinio, fonte assai cara al Della Porta della Villa, non è presente nelle pagine del trattato ; è, tuttavia, verosimile che una così bella apologia non sia sfuggita all’agronomo napoletano ; come Furio Cresino anche lui sa di essere un facile bersaglio degli invidiosi obtrectatores pronti a contestare l’intero impianto della sua villa (totius villae incompositum corpus) ; pertanto chiama in qualità di testimoni a sua difesa le vigne, gli arbusti, i giardini. Le movenze cautelative del proemio al libro I provengono da uno studioso, che è già stato vittima dell’invidia e dell’ignoranza : non sorprende, quindi, che egli non menzioni mai eventuali accuse di veneficia, ma riporti subito il discorso su un piano più propriamente filosofico-sperimentale. Le stesse piante, cariche di pomi mai visti prima di quel momento, sono il frutto di una paziente sintesi di studium, ars ed experientia. 3 Lo studioso, poi, conclude la sua apologia preventiva con una punta polemica : racconta che, essendogli accaduto di stare lontano dalla città, dagli amici e dal consorzio degli uomini, per non intorpidire nell’ozio, leniva la nostalgia in campagna, ben diversamente da Nicandro di Colofone, che scrisse di cose agresti senza essersi mai allontanato dalla città, avvalendosi delle sue capacità di poeta e non di agricoltore. Il punto di vista di Della Porta è diametralmente opposto : se, quando si scusa dell’orationis pauperies delle sue pagine, obbedisca a un classico topos retorico di modestia o sia genuinamente sincero, non è dato sapere, tuttavia ciò che gli sta più a cuore è che il candidus lector lo giudichi nella sua veste di agricola e non solo di scriptor rei rusticae. In effetti, la linea indicata dal Della Porta trova la piena approvazione di valenti agronomi della nostra letteratura a carattere agrario-botanico e valgano per tutti le parole di Gera, che, chiamato a esprimere un giudizio sul patrimonio geoponico del nostro paese, pone come discrimine di qualità indubbia la perfetta sintesi di teoria e pratica. Lo studioso afferma : « Un’opera di Agricoltura dovrà riputarsi eccellente, se fatta da uno del mestiere. Uomo del mestiere però non chiamo colui che agitato dalla mania di comparire bravo agricoltore, ricco di volumi,  















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  Gaspara Stampa, Rime, a cura di Abdelkader Salza, Bari, Laterza, 1913, p. 340, vv. 127-128.   Plinius, Naturalis Historia xviii, 6 ; cfr. Adamo Dickson, L’agricoltura degli antichi, in Biblioteca di storia economica, diretta da Vilfredo Pareto, Milano, Società Editrice Libraria, 1905, vol. ii, parte i, pp. 61-466. 3   VillaeI, prooemium l. i, pp. 3-4. 2



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dotato di qualche talento, ma digiuno della vera e soda esperienza, si pone morbinoso ad imbrattare molti fogli di rustico argomento. Uomo del mestiere io chiamo quegli che rapito da un gusto naturale per l’Agricoltura fin dalla sua gioventù, ne abbia coltivato alcun ramo personalmente, o ne abbia dirette le varie faccende, o almeno non siasi per un momento stancato di osservare le pratiche tutte dell’arte agraria. Se un tal uomo abbia fatte tutte le necessarie ricerche sopra le diverse terre, e la loro coltivazione ; se abbia lette attentamente le opere de’ migliori sì fra gli antichi maestri, che fra i moderni ; se, conoscendo bene la teoria, siasi data la pena di esaminare quali possono felicemente con sicurezza applicarsi alla pratica ; se conosca quali errori abbiano le consuetudini rusticane, e tutto abbia verificato con esperienze o da lui o in sua presenza eseguite ; se fornito sia di un criterio atto a distinguere tutto ciò ; se finalmente scriva in un’età matura, nella quale i pregiudizi sogliono dar luogo alla ragione : il suo libro meriterà di essere letto a preferenza d’ogni altro ». 4 Sa bene il Gera quanto sia improbabile che uno scrittore di cose rustiche raduni in sé tutte le precedenti qualità e quanto sia ancora più raro trovare un’opera che risponda al bisogno di ogni lettore ; la disposizione d’animo giusta sarà, allora, quella di non disprezzare o lodare eccessivamente quanto in quei libri si legga. Attraverso tale indicazione metodologica è possibile cogliere la fisionomia compatta e gradevole della Villa, che, pur nei limiti che la contraddistinguono, non mancherà di incuriosire gli appassionati e i professionisti delle scienze e della letteratura. Che lo studium, cioè la teoria, sia il punto di partenza dell’investigazione dellaportiana nei diversi campi della storia naturale è noto a tutti, tanto da compromettere la fortuna di questo trattato nei secoli successivi ; solo nel 1644 Vincenzo Tanara, autore del più diffuso testo agronomico italiano di questo secolo, L’economia del cittadino in villa, etichetta l’autore napoletano come uno dei tanti che « scrivono con le orecchie », cioè si limitano a ripetere quanto hanno ascoltato. 5 Sfuggiva all’agronomo bolognese che lo studium, lungi dal costituire un punto d’arrivo, rappresentava la prima tappa di una triade, che, attraverso l’experientia, sarebbe approdata all’ars. Se al tradito Della Porta riserva molte pagine nel suo trattato, esso è, tuttavia, almeno nelle dichiarazioni d’intenti, sempre sottoposto al vaglio dell’esperienza diretta, che, spesso, corrobora, altre volte confuta la veridicità degli auctores. 6 Sebbene si possa obiettare agli scriptores rei rusticae che la personale sperimentazione sia spesso più asserita che praticata, configurandosi come un motivo topico al pari di altri quali i lunghi viaggi in paesi lontani 7 e le laboriose fatiche affrontate nella ricerca dei  





























4   Francesco Gera, Nuovo Dizionario Universale e Ragionato di Agricoltura, Venezia, Antonelli, 1835, tomo iii, pp. 116-117 ; cfr. Giammaria Venturi, Trattato degli innesti, Reggio, G. Davolio e figlio, 1816, pp. 6-8. 5   Vincenzo Tanara, L’economia del cittadino in villa, Venezia, Bortoli, 1745, p. 307 : « … anzi lo stesso Porta vuole, che naturalmente al sentir del fuoco si volti da se, e sebbene non lo posso credere, l’ho voluto porre, acciò si veda, che ancor autori accettati scrivono con l’orecchie ». 6   Quando l’esperienza diretta contraddice il tradito, Della Porta non teme di discostarsi neanche da Teofrasto, il magnus magister : è quanto accade quando afferma che non tutti i frutti nati da seme degenerano e anzi possono produrre frutti migliori con l’innesto e chiama a testimone la Campania resa felix et beata dal solum tam foecundum, dai colles tam aprici, dal coelum ita clemens (VillaeI, l. iv, p. 283). 7   Nel proemio dell’opera (p. 1) Della Porta precisa che molte delle piante che adornano la sua Villa sono state raccolte non sine multiplici peregrinatione, in occasione dei suoi viaggi in diversi paesi. Viaggiatore non disattento e, al tempo stesso, attento interlocutore di viaggiatori, Della Porta mostra di conoscere le pratiche di coltivazione in uso in più di una delle regioni dell’area mediterranea. Egli menziona come luoghi da lui visti personalmente (vidimus) le Alpi, i colli di Tivoli, il fiume Sarno, le paludi romane, la Campania e la via che conduce a Roma, Sorrento e i monti sorrentini, la Gallia Cisalpina, la Calabria e la Sicilia, Roma, Stabia, il monte Gargano e la Puglia, il faggeto sorrentino, il fiume Garigliano, i monti della Spagna, Capua, Melfi e Venosa. Il Fiorentino ritiene che questi viaggi siano stati compiuti fra il 1558, anno della prima edizione della Magia, nella quale non si menzionano viaggi, e il 1579, anno in cui inizia il rapporto di lavoro con il cardinale d’Este. Cfr. Francesco Fiorentino, Giovan Battista de la Porta, i, Della vita e delle opere di Giovan Battista de la Porta, in Studi e ritratti della Rinascenza, a cura della figlia Luisa, Bari, Laterza, 1911, pp. 235-293.  









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ritrovati più peregrini, Della Porta è quasi ossessivo nel rimarcare il suo ruolo di agricola con espressioni formulari quali : nobis experientia compertum est ; 9 nobis autem experientia demonstravit ; 10 hic modus est verus et a me expertus. 11 Nella concezione vitalistica dell’universo di chiara ascendenza platonica l’agricoltura viene considerata come un’arte che consente di avvicinare le cose terrestri ad coelestia dona 12 attraverso un processo di discernimento e di sperimentazione : l’innesto. Tale processo, però, non è qualcosa di automatico e alla portata di tutti ; solo il philosophus, in quanto naturalium rerum astrorumque peritus, sarà in grado di attivarlo e di portarlo a buon esito. Se il tema della vita, nella sua duplice valenza di insitio e di conditura, cioè di miglioramento della specie e di conservazione, è ricorrente a livello metaforico in tutta la produzione dellaportiana, 13 è solo nella Villa che esso viene restituito al suo significato letterale, scandagliato in maniera capillare e rigorosamente tecnica in un libro, il iv, interamente dedicato alle pratiche dell’innesto. Contro il naturae defectum l’ars dell’innesto escogitò il remedium. Nell’innesto si coniugano due opposti, due polarità difficilmente conciliabili la feritas e l’humanitas. È un percorso di elevazione spirituale, lungo il quale l’agronomo napoletano accompagna gradualmente i visitatori della sua villa ideale. Lo spettacolo che si offre ai loro occhi all’uscita dalla domus è quello della sylva caedua e della sylva glandaria, la cui tristitia farebbe del Della Porta un uomo sylvester e inurbanus, se poi questo percorso non trovasse la sua ratio proprio nel libro v, il Pomarium. Con sapiente gusto teatrale e con una retorica tutta giocata sul piano delle antinomie e delle anafore (Ibi …, hic) Della Porta introduce il lettore-visitatore in territori inospitali, per poi rianimarlo nel frutteto : lì l’aspectus è horridus, qui la facies è laeta ; lì domina assoluta la Natura, qui l’humana vis e il labor ; 14 lì i frutti nascono senza l’intervento dell’uomo, qui hanno imparato ad afferre blandos sapores odoresque adoptione et connubio hominibus ; lì gli alberi si offrono al fuoco, qui offrono frutti e ombra. In tutte le contrapposizioni emerge prepotente quel quid destinato a far pendere l’ago della bilancia dalla parte del pomarium : è la presenza dell’uomo, richiamata a livello testuale da espressioni quali humanum ingenium, humano cultu, connubio hominibus, humanius vivunt. C’è fra la natura e l’arte una guerra intestina e costante, combattuta con le armi della desidia e del labor ; se la prima è paga della sua rusticitas, la seconda inventa adulteria, capaci di sottrarre le res al dominio incontrastato della natura, trasformandole in un aliud perfectius genus. 15 Se tra natura e arte esiste una comunanza di modelli metodologici, è nel giardino che si compie la totale sintesi dei due momenti, in uno spazio fisico reale, dove è possibile esperire nuove occasioni di dialogo. Qui l’arte, naturae aemula et imitatrix, mentre si conforma alla natura, sublimiora facit : 16 in altri termini, laddove la natura appare carente, interviene l’arte a completare. 17 È qui che si opera un magico abbracciamento secondo una concordia discors generatrice di un tertium, che è la natura artificiale. Alla teoria di una natura stabile 8





   

   















   









   



8  Cfr. Germana Ernst, I poteri delle streghe tra cause naturali e interventi diabolici. Spunti di un dibattito, in *Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, Atti del convegno “Giovan Battista Della Porta”, 29 settembre-3 ottobre 1986, a cura di Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1990, p. 187. 9 10   VillaeI, l. iv, p. 317.   Ivi, p. 329. 11   VillaeIII, l. viii, p. 90. 12  Cfr. Marsilio Ficino, De vita iii, xxvi, a cura di Albano Biondi e Giuliano Pisani, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 1991, p. 410. 13  Cfr. Luigia Laserra, La Villa di G. B. Della Porta fra utopia, magia, tradizione e sperimentalismo, « La parola del testo », v (2001), i, pp. 151-176. La Magia in venti libri dedica i libri iii e iv rispettivamente a tali temi. 14 15   VillaeI, prooemium l. ii, p. 91.   Ivi, l. v, pp. 1-2. 16   Giovan Battista Della Porta, Magiae Naturalis libri viginti, Hanoviae, Wechel, 1619, iii, 8, p. 110 17   Gianni Venturi, « Picta poësis » ricerche sulla poesia e il giardino dalle origini al Seicento, in *Il Paesaggio, Storia d’Italia, Annali, a cura di Cesare De Seta, Torino, Einaudi, 1982, vol. v, pp. 663-749.  







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e certa si intreccia quella di una natura mobile e imprevedibile, quasi maga essa stessa, la cui prima legge è una indefinita « forza d’amore », che coniuga i similia. 18 Il giardino diventa allora il referente obbligato di una nuova consapevolezza : la natura non è più specchio dell’Idea, ma produzione artificiale e campo d’indagine di una nuova scienza, che altro non è che la Magia o Filosofia Naturale. Tutta la realtà cosmica poggia su una rete di « simpatie » e di antipatie, di affinità e di conflitti, di amicizie e di avversioni, che solo l’indagandi componendique methodus, 19 di cui è custode il magus, è in grado di decifrare, di combinare e di reinventare, generando dei monstra che travalicano la codificabilità razionale. 20 Miracula efficere nient’altro è che rem unam in alteram vertere contravvenendo alla naturae norma. 21 Se è proprio dell’agricoltore plantas procreare, è proprio dell’ottimo agricoltore nobiliores fructus producere : 22 il carattere formulare della massima viene sottolineato dal genitivo di pertinenza, che ne amplifica l’imperatività. L’arte reinventa la natura, dividendone gli elementi e ricomponendoli in un gioco fantastico di sintesi, in cui l’industria solers diventa artificiosa. Prima di addentrarci nel cuore del libro iv e senza voler fare sfoggio di erudizione, sarà opportuno chiarire cosa si intende per innesto in modo da cogliere la valenza dei contenuti dellaportiani, la loro originalità o la pedissequa dipendenza dagli auctores. In quasi tutti i manuali di agraria oggi consultabili si legge che l’innesto è un tipo di moltiplicazione agamica che unisce due piante affini : la pianta che sviluppa l’apparato radicale è chiamata soggetto o portainnesto e quella che sviluppa la chioma è l’oggetto o la marza epibionte. Finalità di questa operazione è migliorare le caratteristiche della parte aerea della pianta sia per quanto attiene alla produttività sia per la resistenza ad avversità pedoclimatiche o parassitarie. Anche per Della Porta l’insitio viene considerata una parte fondamentale dell’agricoltura : essa consente di rendere produttive piante che non lo sono e, cosa straordinaria per i tempi, di creare nuove qualità di pomacee. 23 Per questo l’autore, muovendo dalla metafora nuziale e sessuale applicata al mondo vegetale e rileggendo e, talora, confutando tradizioni ormai radicate, studia con rigore e precisione tutte le diverse tecniche di innesto note nel ’500 nel Regno di Napoli ; di ciascuna descrive con minuzia le modalità di esecuzione e fornisce insieme alla denominazione dotta quella dialettale. Condizione necessaria perché l’innesto possa attecchire è che le piante coinvolte siano “in succhio”, cioè “in amore”, perché è solo in quel periodo che l’umore, giungendo copioso alla corteccia, consente a quest’ultima di essere staccata dal legno. Non è casuale che altrove l’autore definisca gli innesti quali coitus in plantis. 24 Mio compito, non facile, è stato quello di isolare tutti i tipi di innesto classificati dal Della Porta e trovare una corrispondenza con quanto riportato nei manuali di agraria di oggi.  

















   











18   G. B. Della Porta, Magia Naturalis, cit., i, 2, p. 3 ; cfr. Gabriella Belloni, Conoscenza magica e ricerca scientifica in G. B. Della Porta, Roma, Centro Internazionale di studi umanistici, 1982, p. 57. 19   G. B. Della Porta, Magia Naturalis, cit., i, 13, p. 29. 20  Cfr. Enrico Peruzzi, Aspetti della medicina nell’opera di Giovan Battista Della Porta, in *Giovan Battista Della Porta …, cit., pp. 101-112 ; Cesare Vasoli, L’« analogia universale » : la retorica come « semeiotica » nell’opera del Della Porta, in *Giovan Battista Della Porta …, cit., pp. 31-52. 21   G. B. Della Porta, Magia Naturalis, cit., iii, 2, p. 93. 22   VillaeI, prooemium l. iv, p. 277. 23   Ibidem : Nec sunt quae hoc libro clausimus contemnenda, sed sane digna, admirabilia et agriculturae partium nobilissima, scilicet de insitione, ut arbores sylvestri habitu exutae a sua natura desciscere earumque domita feritate in hortis nobiscum mansuescere cogantur, ut non solum meliores fructus nobilioresque, sed novos ac prioribus seculis non visos producant ; cfr. ivi, pp. 313-314 : Nos insitionem edocebimus, rem sane admirabilem ac totius agriculturae nobilissimam partem, voluptuosam, utilem et necessariam. Cicero in libro De senectute nil solertius insitione in agricoltura invenire potuit. 24   G. B. Della Porta, Magia Naturalis, cit., iii, 3, p. 96.  





   











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Non essendo un’agronoma e non potendo avvalermi di illustrazioni offerte dal Della Porta, 25 ho cercato di aprirmi una via in questo labirinto partendo dal testo. L’autore afferma che l’innesto può essere praticato sia nella corteccia sia nel tronco ; fino a qui nessun problema, anche una profana come me riesce a seguire ; poi, però, Della Porta scende nel dettaglio delle varie tipologie di innesto, offrendo un ventaglio variegato di possibilità, talvolta accompagnandole con la denominazione dotta, talvolta con una spiegazione tecnica dell’intervento, talvolta con la denominazione dialettale. È stata proprio quest’ultima che mi ha consentito di decodificare il testo e di comprendere una materia tanto ostica. Fra i tipi di innesto nella corteccia Della Porta isola l’inoculatio, l’emplastratio, l’anularis insitio, nel tronco la vera insitio e l’infoliatio ; ma molte di più sono le sottospecie di questi innesti, a cui l’autore dedica tutta la sua attenzione in diversi capitoli. Che all’inoculatio corrisponda il nostro innesto a occhio o a gemma, è lo stesso nome a suggerircelo ; l’emplastratio, invece, è una sottospecie di inoculatio : è l’innesto volgarmente detto a scutillo (ab exempta scutula, inserendo surculo scuti formam referente), cioè a scudo, perché il pezzetto di corteccia munito di un occhio e proveniente dalla pianta che si desidera propagare è tagliato a punta nella parte inferiore e questa forma evoca uno scudo ; l’anularis insitio, non nota né agli antichi né ai neoterici, 26 è l’innesto a zufolo o ad anello : è detta volgarmente ad digitale, perché come alle matrone è posto al dito anulare l’anello sponsale, così dal portainnesto viene staccato un anello che viene sostituito da una porzione di corteccia di medesime dimensioni e provvista di gemma proveniente dalla pianta che si desidera propagare. La corrispondenza deve essere perfetta fra innesto e portainnesto, proprio come un guanto o un ditale, dice l’autore, che avvolge le dita. Tuttavia, la vera insitio è per il Della Porta quella che si realizza nel tronco e che noi chiamiamo innesto a marza. È l’ejmfuteiva di Teofrasto e l’insitio dei Latini : in tutti e due i termini si insiste sul tema della generazione “in”, “dentro” un qualcosa. Le popolazioni della penisola italica la chiamano incalmare, quasi incalamare, o poiché gli antichi indicavano il surculus, cioè la marza, anche come calamus o perché il surculus è appuntito alla maniera di un calamus. Essa si divide in due tipologie, uguali per ratio, diverse per scissione del tronco. La prima è l’infoliatio : si sollevano i lembi della corteccia e si introduce la marza di uno spessore così sottile quale quello delle foglie ; è chiamata a Napoli tra corio e pelle, cioè tra scorza e legno, e corrisponde al nostro innesto a corona. Il secondo tipo di insitio è chiamato dai Napoletani a spacco, nomenclatura ancora oggi attestata : qui il tronco è tagliato al centro. Tuttavia, la rassegna dei tipi di innesto nel tronco non finisce ancora : Della Porta ricorda un innesto per terebrationem, che mi pare possa corrispondere all’attuale innesto a trapano o a foro. Singolare, poi, è la denominazione dialettale riportata per attestare un tipo di innesto, quello per approssimazione o vicinanza : è una modalità usitatissima et maxime utilis, vulgo a porgere vel passa innanzi dicta. Consiste nella riunione di due tronchi o di due rami o di un tronco e di un ramo, ciascuno di essi con il piede rispettivo attaccato in terra con le radici. Si fa “passare” il ramo di un albero nella fessura del ramo di un altro albero : si ottiene una specie di ponte – alcuni, infatti lo chiamano così – che consente spesso di salvare piante parzialmente danneggiate. Una nova inserendi ratio, da Della Porta conosciuta e sperimentata nella vecchiaia, consiste nel tagliare a metà due occhi (oculum oculo imponendo) in modo che ambedue si uniscano e sembrino un sol occhio. È il nostro innesto a occhi  































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  Quest’aspetto giocherà un ruolo non secondario nella tiepida attenzione rivolta alla Villa nei secoli successivi.   Sono gli studiosi contemporanei al Della Porta ; fra questi l’unico al quale l’agronomo napoletano riconosce dei meriti è Pier Andrea Mattioli, medico e botanico di indiscussa fama ; cfr. Pier Andrea Mattioli, Commentarii in sex libros Pedacii Dioscoridis Anazarbei de medica materia, Venetiis, ex officina Valgrisiana, 1555. 26





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tagliati e consente di ottenere da uno stesso albero frutti diversi. Si conclude qui la rassegna dei tipi di innesto proposti dal nostro autore nel suo trattato agronomico ; tuttavia, non va dimenticato che già nella Magia 27 Della Porta aveva raccontato di aver visto di persona un albero innestato, delitiarum horti arbor, che generava grappoli d’uva senza semi, ogni sorta di ciliegie senza nocciolo, pesche, arance e noci e in ogni tempo aveva fiori e frutti : una tale meraviglia che lo stesso studioso della natura arrivava a dire ut pulchriorem non conspexerim. Se poi l’aneddoto sia verosimile, non è dato sapere ; del resto, il fascino enigmatico dell’artificium, della magia naturale, consiste anche nel « divario esistente fra l’evidenza del fatto e l’incompiutezza della spiegazione ». 28 Espressione di un’autentica passione per la propagazione delle qualità di frutta dalle caratteristiche più eterogenee, il repertorio delle varietà di pomacee composto dal Della Porta è, senza dubbio, più ricco di quello dei frutti che oggi giungono alla nostra mensa, sulla quale predominano pochi tipi di larghissima diffusione. Elencando le varietà pomologiche che maturano nella sua Villa, l’agronomo napoletano offre un catalogo di immenso interesse per l’identificazione di varietà oggi irrimediabilmente perdute. Un’operazione di questo tipo era stata compiuta precedentemente da Agostino Gallo, che aveva elaborato, nella seconda metà del Cinquecento, un repertorio-calendario delle specie di peri e di meli diffusi nel bresciano. 29 Pur pregevole, il catalogo pomologico dell’agronomo bresciano non regge al confronto con quello del Della Porta, che non solo offre un più vario quadro delle qualità pomologiche di peri e di meli, ma che include anche altri frutti. Probabilmente lo studioso, che conosceva senza dubbio l’opera del Gallo, volle compiere in area napoletana un’operazione analoga, offrendo a tutti gli amanti dell’agricoltura un catalogo in cui venivano classificate le varie specie pomologiche diffuse nell’Italia meridionale con le loro denominazioni di uso comune. L’attenzione filologica sottintende una finalità pratica : l’autore si travaglia, e non poco, nel tentativo quasi disperato di trovare una corrispondenza fra i nomi delle varietà di piante ricorrenti nei trattati, nei testi poetici e nell’uso comune e le specie di cui ha notizia diretta. Esaustività della materia e chiarezza divulgativa, ribadite nel proemio dell’opera, sono gli obiettivi primari dell’operazione dellaportiana. Particolare cura egli rivolge a classificare la tipologia delle mele, delle pere, dei fichi e delle ciliegie attraverso espressioni, largamente diffuse a Napoli, che fanno riferimento alle caratteristiche del frutto, cioè al suo colore, al suo tempo di maturazione, alla sua forma, alla sua provenienza. La specie di pomacea che annovera più varietà, chiamate dal Della Porta genera, è il Pyrus communis : ventiquattro qualità classificate con denominazioni ora tradite dalla dottrina degli antichi geoponici ora originalissime. 30 Fra le varietà precoci si registrano le pere due volte l’anno, così chiamate perché la pianta, producendo il frutto due volte in un anno, si mostra sempre ornata di fiori e di frutti (perdute) ; le pere biancolelle, piccole e bianchicce, cadenti prestissimo dall’albero e farinose (conservate) ; le pere moscarelle 31 tanto piccole da non superare la grandezza di una bacca, ottime candite e profumate di muschio, moschus, da cui il nome (conservate) ; le pere moscarellone, che vantano una certa parentela  





























27

  G. B. Della Porta, Magia Naturalis, cit., iii, 19, p. 151.   Marc Augé, Magia, in *Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1979, 16 t. ; t. 8, p. 708. 29   Agostino Gallo, Le dieci Giornate della vera agricoltura e piaceri della villa, Venezia, Ferri, 1565. 30   Il Gallo ne riporta dodici varietà (in A. Gallo, Le dieci Giornate …, cit., pp. 106-107) e il Mattioli diciassette (in P. A. Mattioli, Commentarii …, cit., p. 165). 31  Cfr. Giorgio Fulco, Per il “museo” dei fratelli Della Porta, in La « meravigliosa » passione. Studi sul Barocco tra letteratura ed arte, Roma, Salerno Editrice, 2001, p. 291 ; nella trascrizione del catalogo degli oggetti di casa Della Porta, si legge al n. 47 : « Item uno scrittorio de legno de piro mosiato … », dove probabilmente, come mi ha fatto notare il dott. Marco Guardo, per mosiato si deve leggere moscato. 28















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nell’odore e nel sapore con le precedenti, ma che le superano per grandezza (conservate) ; le pere cremesine, denominate così dal colore cremisi (conservate) ; le pere giacciole di Roma, perché giunte da Roma, dove erano state importate dalla Toscana, tenere, succose, dolci e con una faccia rossa (perdute) ; le pere giacciole di Pozuolo o di Alemagna, importate a Pozzuoli dalla Germania, che si potrebbero anche chiamare pere dell’orzo (hordearia), perché maturano quando si miete l’orzo (perdute o comunque impossibili da identificare con pere odierne in assenza di indicazioni dei caratteri morfologici) ; le pere rossolelle, perfuse di colore vermiglio (impossibili da identificare) ; le pere inganna villano, scure esteriormente, ma praestantissima, cosi come le pere caravelle, dal color ruggine e ottime (ambedue impossibili da identificare) ; fra le pere di brutto aspetto, ma di sapore buono rientrano anche le pere brutte buone, le pere malvestite e le pere pozelle, forse modalità di una stessa varietà, che, non curate per il loro aspetto poco promettente, sono andate perdute ; le pere pane e vino, giunte dal Sannio e dalla forma turbinata e dal colore prima verde e poi bianco, sono così chiamate dal volgo, perché al contatto con il palato si ha quasi l’impressione di mangiare e di bere (conservate) ; le pere coscia di donna hanno il peduncolo carnoso e piegato a mo’ di un corno di bue e il ventre come un sacco da viaggio e sono tenute in poco conto perché insipide (questa varietà non solo si è conservata, ma si è migliorata) ; le pere cocozzare, simili a una zucca, volgarmente detta “cocozza”, di color verde e scabre al tatto (conservate) ; le pere paccone e le pere paccone bastarde, le prime legittime, le altre spurie, per nulla inferiori in grandezza, tenerezza, sugosità e sapore a quelle in precedenza nominate : la denominazione forse trova una sua motivazione nel fatto che il termine “paccone” sia l’accrescitivo di “pacca”, che in dialetto napoletano indica qualunque cosa grossa e carnosa (conservate, forse le attuali “pere spadone”) ; l’elenco continua con le pere pignatelle, che raggiungono il peso di due libbre, e le pere capacci, addirittura di tre, dove il vocabolo “capacci” si vuole forse riferire alla grandezza del frutto, come a significare “grosso capo” (verosimilmente conservate) ; alle invernali appartengono anche quelle che il volgo denomina pere laure, perché, mangiandole, riempiono le fauci dell’odor del lauro (verosimilmente conservate) ; le pere bergamotte, così denominate dalla città di Bergamo, sono di aspetto non promettente, ma di meravigliosa tenerezza, di succo dolce e di sapore squisito : per tutte queste qualità a Napoli sono anche dette imperiali (conservate) ; seguono le pere sarriole, leggermente acidule, che giovano agli ammalati (impossibili da identificare) ; a conclusione del suo catalogo Della Porta colloca quella varietà, la pera buon Christiano, introdotta a Napoli da Carlo VIII : che sia il genus praestantissimum, quello che ha trovato nella Campania la sua terra felix, non ci sorprende ; a nessuna pera aveva riservato tante lodi : è dolcissima, grande e tenera al tempo stesso, da liquefarsi nel mangiarla, si conserva a lungo, tollera il trasporto, è ottima cruda e cotta, è un utile rimedio per gli ammalati (conservata). Nel Cinquecento, infatti, molti frutti, ma soprattutto mele e pere, sono l’alimento per sostenere i malati durante le più diverse affezioni. Della Porta, del resto, vuole che la sua azienda risponda alle più diverse esigenze, non solo quindi a quelle del diletto, ma anche a quelle dell’uso : voluptas e usus sono le coordinate che orientano l’attività dell’agronomo napoletano, che forse non avrà realizzato la sintesi perfetta fra teoria e pratica indicata dal Gera ad apertura del mio intervento, ma che ha mostrato come ogni aspetto della vita si configuri come il risultato di un innesto, di un gioco di incastri fra tessere diverse. Il mio contributo in questa sede è stato quello di una dilettante, di una “rustica” improvvisata, che si è avvalsa della metodologia dellaportiana, sia pure alterandone le proporzioni : tanto studium, un po’ di experientia e, quando meno te lo aspetti, il miraculum dell’ars. Rapita in quest’avventura e sostenuta dalla guida vigile del Prof. Giorgio Fulco  











































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e del Prof. Francesco Tateo, spero di essere riuscita nell’impresa di conciliare due realtà inter se repugnantes, teoria e pratica, senza troppo annoiare l’uditorio vista la natura te­ cnica dell’argomento ; se così non fosse, si abbia nei miei confronti quella indulgenza che chiedeva Marziale per i suoi scritti : lasciva est nobis pagina, vita proba. 32 Ad apertura della sua villa Della Porta metteva in guardia il lettore. Con sentenza lapidaria invitava i profani a stare ben lontani : solo uno del mestiere avrebbe potuto capire quanto i suoi orti, la sua vigna, il suo frutteto fossero il risultato di pervigili studio, perpetua observatione, sumptu, labore et quotidiana experientia. 33 Chissà cosa penserebbe oggi nel constatare che proprio una profana, quale io ero e sicuramente sono ancora, non solo ha timidamente varcato la soglia della sua Villa, ma anche la ha sottoposta ad analisi. Senza dubbio non sarebbe contento in prima battuta, ma poi forse sorriderebbe compiaciuto nel verificare che se le piante dei miei balconi oggi destano l’invidia dei vicini, lo devo anche ai suoi secreta.  









32

  Marziale, Epigrammata i, 4, 8.

33

  VillaeI, prooemium l. i, p. 3.

LE VILLAE DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA E LA TRADIZIONE DELLA VILLA NAPOLETANA Anna Giannetti

Q

uando nel 1592 comparivano le Villae di Giovan Battista Della Porta, l’immagine di Napoli « Paradisus Italiae », 1 celebrata da Stephanus Pighius, era orami entrata a far parte degli attributi canonici della metropoli del Viceregno. L’Itinerarium Neapolitanum descritto dall’umanista olandese, stralciandolo dal Grand Tour compiuto nel 1575 assieme a Carlo Federico il primogenito del duca di Kleve, proprio alla fine del mandato come viceré del cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, gran collezionista oltre che fine politico, a cui a Bruxelles aveva offerto i suoi servigi, sarebbe stato, infatti, letteralmente ripreso nel 1599 da Franciscus Schott nella guida più letta, tradotta e copiata di tutto il Seicento. 2 La feracità della campagna che la circondava, l’abbondanza delle acque miracolose, la ricchezza, varietà e qualità dei prodotti alimentari degni del paese di Bengodi erano ormai un topos letterario e il segno della magnificenza di una campagna dove Natura e mano dell’uomo avevano contribuito alla creazione di un paesaggio che somigliava al paradiso terrestre nell’assumere su di se le caratteristiche del locus amoenus e nel quale i segni dell’appartenenza al paesaggio ideale assumevano la forza della realtà, senza veder diminuire la loro capacità evocativa. Eppure già mezzo secolo prima Leandro Alberti, che l’aveva visitata nel 1526 e poi nuovamente nel 1536, nella sua descrizione appassionata aveva segnalato come la città e i suoi dintorni fossero un mosaico di « paradisi terrestri » perché non solo in abbondanza erano prodotte le « cose necessarie per uso degli uomini e degli animali, ma altresì per le delizie e piaceri sensuali », 3 tema destinato ad essere variamente ripreso nelle descrizioni cittadine. Insomma, Napoli meritava di essere chiamata paradiso d’Italia per la sua gentilezza, come aveva spiegato già Sebastiano Serlio, 4 essendo un merletto, per usare la bella immagine di Tommaso Costo, nel quale ville e palazzi apparivano incastonati come gemme « nei ricami di verdeggianti giardini, di selve, e di praterie » 5 nei quali l’arte aveva ritrovato e superato quella degli antichi. Le sue ville nella campagna fertilissima, o sull’ameno litorale, erano apparse a Pighius con i loro splendidi hortos  

























pucherrimorum sumptuosa cultura per principes viros exornata. Quis narret singulatim Fontiū aediculas, antra Nynpharum, atque piscinas, corallis et unionuofteris, omnique conchyliorum varietate renitentes ?  

e gli eleganti portici, gli ambulacri, le scaenas frondibus concameratas, florum fructuumque multiplici colore distinctas ; parietes malo 

1   Stephanus Winandus Pighius, Hercules Prodicius, seu principis juventutis vita et peregrinatio, Antverpiae, Ex Officio Christofori Plantin, 1587, p. 454. 2   Franciscus Schott, Itinerarium Italiae rerumque romanarum libri tres, Antverpiae, ex officina plantiniana, 1599, p. 336. La prima edizione italiana è datata 1611, a cui seguono fino alla fine del secolo una ventina. 3   Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, Bologna, Anselmo Giaccarelli, 1550, p. 158 r. 4   Sebastiano Serlio, Il terzo libro di Sebastiano Serlio Bolognese, nel quale si figurano, e descrivono le antiquità di Roma, e le altre che sono in Italia, e fuori d’ Italia, Venezia, Francesco Marcolinini, 1540, p. 121. 5   Tommaso Costo, Il Fuggilozio, (1596) Venezia, Mattia Collosini e Barezzo Barezzi, 1600, p. 7.

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rum punicorum tapetis vestitos ; peristylia et exedras picturis signis, statuis, et marmorum antiquitatumque reliquiis preciosis decoratas ; quibus horti magnatum variis in locis resplendent ? 6  



   

Persino le belle e profumate pareti di mortella che avevano incantato Alberti si erano trasformate nelle Parietes hedera marginum crepidines longo folio convestitae, varioque opere topiario figurata, ut mirteus ramus, navigium, quodque animal ad vivum referat ; naves intextae folijs, fructus vehant ad animi corporisque reflectionem et hilaritatem 7  



che Giulio Cesare Capaccio ricordava con toni ben diversi da quelli che avrebbe riservato ai palazzi di città. La bellezza, a Posillipo come sulla spiaggia di Chiaia, non coincideva più con l’utilità, anzi la riva che osava competere con l’amoenitas dell’antica Baia, il sereno mondo agreste a due passi dalla città dove si coltivavano le lettere e ci si dilettava di botanica, con l’apertura, per volontà di don Pedro de Toledo, nel 1540 della via Nuova Regia era stata trasformata nella scintillante e mondanissima « regina delle spiagge » da dove vent’anni più tardi Luigi Tansillo aveva lanciato rivolgendosi al maggiordomo di Casa d’Avalos – i suoi rapporti di lunga data con la principessa Maria d’Aragona sono ben noti – la sua ironica polemica contro i giardini « qui in riva al mar », 8 il grave errore a cui rimediare con l’acquisto di un podere in campagna. D’altronde, la famosa Pietralba dei d’Avalos sorgeva alle pendici di monte Sant’Elmo non lontana dalla masseria tanto amata da Pontano e dal Casale di Belvedere, all’epoca ancora proprietà di Cajetani d’Aragona, immersa in una campagna ferace, luogo di attività agricole estremamente redditizie, tanto da diventare una sorta di monumento alla tradizione delle ville rustiche cittadine. Giocando sull’immagine metaforica e reale del suo « poter rustico e vile » fra « tanti colti e nobilissimi giardini, di quali oggi Napoli si colora », 9 con arguzia e garbo, Tansillo entrava in polemica con tale viver nobiliare, distribuendo consigli e informazioni sul sito da scegliere, sulla qualità della terra, sugli alberi da frutto, sulle colture e sul come dovesse essere costruita la casa padronale affinché la complicata e dispendiosa operazione « a pro vi fosse insieme, ed a diporto ». 10 A dispetto dei precetti vitruviani dichiarava senza mezzi termini «Io non vo’, che le ville sien palazzi » occupando terreno buono per coltivare e preferendo che  



























I pavimenti miei sien fiori, ed erbe ; Rami il tetto e negre elci i marmi bianchi ; E botti l’arche, ove il tesor io serbo. 11  





Polemicamente ribadiva il valore della tradizione locale, anzi dell’interesse e dei gusti del padrone di casa ad aver ambienti confortevoli, anche a costo di infrangere le regole dell’arte, e a preferire colture adatte al sito prescelto, non allontanandosi, di fatto, dal modello di giardino nettamente separato in « pubblico e segreto », circondato da boschetto, tra vigne, orti, prati e frutteti che a Napoli aveva dominato incontrastato ben prima dell’arrivo della Casa d’Aragona. Una posizione che il viceré don Pedro de Toledo avrebbe condiviso a pieno, avendo a sua volta preferito la più nobile ed antica Dicearchia alla più vicina Chiaia, dove le famiglie a lui ostili avevano costruito quei giardini ammirati da Pighius, dando, invece, vita nella rinata Pozzuoli agli Horti Toletani nei quali l’utile e il bello si fondevano nel segno della  

6



  F. Schott, Itinerarium Italiae rerumque…, cit., p. 336.   Giulio Cesare Capaccio, Neapolitanae historiae, Neapoli, Iacubum Carlino, 1607, p. 392. 8   Luigi Tansillo, Il Podere pubblicato per la prima volta, Venezia, Antonio Zatto, 1770, p. 10. 9 10 11   Ivi, p. 9.   Ibidem.   Ivi, p. 63. 7

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magnificenza, consona al rango del loro proprietario, come le vestigia romane e gli agrumi, le acque salubri e i campi di grano della Starza, i giardini formali e gli allevamenti di bovini del Campiglione. 12 Flebile, ormai, era l’eco delle parole di Giovanni Pontano che nel 1493 parlando nel De Splendore dei giardini di villa aveva teorizzato l’esatto contrario  

si debbono possedere giardini nei quali passeggiare e, all’occasione, allestire banchetti. Questi giardini avranno piante esotiche e rare, con arte curati e disposti. In essi riesce particolarmente gradita la disposizione di piante di mirto, di bosso, di agrumi e di rosmarino ; poiché l’uomo splendido non deve fare del giardino lo stesso uso che ne fa un padre di famiglia, parsimonioso e desideroso di lucro. Le ville conferiscono straordinariamente allo splendore ; non quelle però di stile rustico, ma quelle costruite con il magnifico stile della città. 13  





La sua era stata una posizione netta, giocata, allo stesso modo di quella di Tansillo e del viceré, sulla contrapposizione tra città e campagna e quindi tra Arte e Natura. Nei giardini, come nelle ville extraurbane, per l’attento cantore della sfida aragonese era il raffinato stile della metropoli del Regno a dettar legge e a rendere meno triste il soggiorno in campagna, cancellando la sensazione di essere passati « dalla luce alla tenebra ». Bella metafora del rapporto tra la luminosa Napoli alfonsina e l’oscuro selvatico contado che la circondava, ma seppure la pace spagnola aveva capovolto il rapporto facendo della terribilmente moderna metropoli vicereale il luogo da cui fuggire verso l’Arcadia circostante, la contrapposizione rimandava anche alla “corsa alla terra” che caratterizzava il processo di rifeudalizzazione, avviatosi proprio nella seconda metà del secolo in risposta alla crisi dell’economia cittadina. I tetti di fronde scelti da Tansillo rappresentavano un’ipocrita e pericolosa minaccia per il terziario di cui viveva l’ex capitale. Non erano state le critiche di Varrone, o le dure parole di Marziale contro gli « oziosi mirteti » 14 e le siepi di bosso abbellite dall’ars topiaria, ad alimentare l’attacco contro tale magnifico modo di abitare e l’ostinato rifiuto dei valori mercantili incarnati dal padre di famiglia, quanto piuttosto la crescita eccezionale della città, la messa in crisi della sua dimensione civile, in quanto cortese e urbana, così da meritare le dure parole di Leon Battista Alberti e di Orazio. Solo al di fuori delle mura, cortesia e gentilezza avevano ritrovato forma e sostanza nella libertà garantita da Posillipo o Chiaia, troppo spesso, però, sotto l’esibita protezione di Ecate e Mercurio. Inutile dire che Capaccio, accademico ozioso, di tale mondo avrebbe cancellato ogni traccia nel suo Il Forastiero pubblicato in volgare nella pesante atmosfera del 1634, anche se era questo lo splendore che i viaggiatori ammiravano incantati e che aveva avvolto come una malia i dintorni della città per poi lentamente raggiungere le dimore baronali col suo « magnifico stile di città ». Il palazzo era un modello cittadino che si imponeva con la sua esibita differenza, trasferendo nei feudi i modi e i valori della metropoli del ex Regno ed era per tale motivo che la Napoli cui aveva dato voce Tansillo vi si era opposta con forza, a dispetto della precettistica vitruviana o, piuttosto, contro di essa, vista quale raffinato strumento di distruzione delle tradizioni locali. Eppure, quando Della Porta era ritornato sul tema, il primo aveva  













12  Cfr. Anna Giannetti, Giardini di palazzo e giardini di villa nella Napoli di fine Cinquecento, in *Dimore signorili a Napoli. Palazzo Zevallos Stigliano e il mecenatismo aristocratico dal xvi al xx secolo, Atti del Convegno Internazionale Napoli 20-22 ottobre 2011, a cura di Antonio Ernesto Denunzio, Leonardo Di Mauro, Giovanni Muto, Sebastian Schütze, Andrea Zezza, Napoli, arte’m, 2013, p. 174. 13   Giovanni Pontano, De Splendore, viii, De hortis ac villis, a cura di Francesco Tateo, Roma, Salerno editrice, 1965, p. 237. 14  Cfr. Anna Giannetti, Il giardino napoletano. Dal Quattrocento al Settecento, Napoli, Electa, 1994, pp. 33-34.

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già trionfato su tutta la linea così che rimanendo entro i confini della geografia familiare del Nostro si sarebbe potuto assistere allo spettacolo della caccia a orsi, tigri e leoni nel giardino del castello di Vico Equense una volta giunto nel 1602 nelle mani di Matteo di Capua principe di Conca, erede, alla morte del padre nel 1591, dell’immensa fortuna da questi accumulata. Non era stata che la conclusione, degna di un tale personaggio, di una trasformazione avviata nel 1521 con l’acquisto della città da parte di Andrea Carafa conte di Santa Severina e proseguita nel 1526 allorché, alla morte di luogotenente generale del regno, il feudo era giunto nelle mani dell’amato nipote Federico Carafa di Civita Luparella da lui fatto diventare proprio nel 1521 marchese di San Lucido. Il conte, evidentemente, amava i luoghi preminenti, ma il palazzo napoletano di Pizzofalcone era stato venduto dagli eredi ad un antiquario di vaglia quale Ferrante Loffredo marchese di Trevico, tra i cui censuari troviamo nel 1587 un altro Carafa per parte di madre, Fulvio di Costanzo, diventato nel 1602 Reggente Decano della Real Cancelleria e marchese di Corleto, nella cui genealogia si perde quella di Della Porta. D’altra parte, nei dintorni cittadini le famiglie esercitavano il controllo come entro le mura, avvolgendo ville e palazzi nella rete delle relazioni parentali, cosa che puntualmente si sarebbe verificata anche a Vico. Ad avviare la trasformazione era stato il marchese di San Lucido, entrato nel 1568 in possesso della città e della rocca che avrebbe conservato sino alla morte avvenuta nel 1587, ma era stato suo figlio Ferrante, più noto come poeta e letterato, a costruire il palazzo, al meno in base a quanto scriveva Paolo Regio, vescovo di Vico, nella breve biografia posposta a L’Austria, la più famosa e non proprio esaltante opera letteraria del marchese à rimpetto della fontana del molo nella sua Città di Vico : hà fatto un Castello tutto di nuovo da i pedamenti ben gagliardo, & forte, con un palazzo in mezzo à quattro giardini irrigati da molte fontane con ogni sorta di edificij ad imitazione degli antichi. 15  



Tra il Boschetto e il Grottone ne aveva realizzate sette Giovanni Antonio Nigrone che, davanti alla grotta « di trecento palmi lunga, con quattro fontane & una grandissima cisterna », 16 ne aveva posizionato, sfruttando il fronte di circa ottanta metri, una raffigurante un’enorme Idra di Lerna che vomitava acqua dalle sue sette bocche. 17 Il drago a sette teste era stato più volte utilizzato dal Carafa 18 a rappresentare nella sua opera poetica i diabolici Turchi sconfitti a Lepanto, l’insormontabile spartiacque con cui si era conclusa l’epica stagione delle armi napoletane, il felice tempo del valore e dei grandi capitani, così che una volta entrato in possesso dell’amata Vico, ripianati gli enormi debiti lasciati dal padre, si era affidato all’esperto Nigrone, « fontanaro e ingegniero de acqua », 19 che aveva lavorato per altri rami della famiglia Carafa 20 e soprattutto per la Deputazione di Fortificazioni e Mattonate che lui aveva a lungo presieduto, per dare forma ad un percorso simbolico tanto edificante da far nascere il sospetto che dovesse bilanciare le magie che il geniale responsabile del Formale napoletano era capace di creare con l’acqua. L’Idra, come erculea fatica, tra il 1568 e il 1572 aveva già fatto la sua trionfale comparsa anche in un gioco d’acqua, ancora oggi funzionante, di Villa d’Este su progetto del napoletano Pirro Ligorio. Nel complesso insieme di fontane della delizia del Cardinale Ippolito, il  

















15

  Ferrante Carafa, L’Austria, Napoli, Giuseppe Cacchij dell’Aquila, 1573, p. 205.   Ibidem. 17   Giovanni Antonio Nigrone, Vari disegni, Napoli Biblioteca Nazionale, ms xii G 60, tav. 203. Le altre erano tavv. 146, 128, 28, 60, 75, 24 v. 18 19   F. Carafa, L’Austria …, cit., p. 105 e p. 129.   G. A. Nigrone, Vari disegni …, cit., 1r. 20  Cfr. A. Giannetti, Il giardino napoletano …, cit., pp. 50-54. 16

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nostro ingegnere aveva lavorato costruendone una raffigurante Vulcano e realizzandone, poi, nel 1585 un’altra con Nettuno nel giardino romano di Montecavallo. Nigrone sarebbe ritornato a Vico nel giugno del 1598 ospite di Paolo Regio, cui dedicava nel 1603 il suo trattato, realizzando tre fonti nel palazzo arcivescovile : la prima delle quali aveva otto uccelli che cantavano all’unisono, 21 uno dei tanti meccanismi che abbellivano le sue realizzazioni, probabilmente non meno suggestive dell’organo della villa estense, la cui costruzione era iniziata nel 1568 per terminare nel 1611, ma che nel 1573, quando il cardinale Luigi era entrato in possesso della tenuta della zio Ippolito, era sicuramente funzionante così da essere ammirato da Della Porta che lo citava nel trattato scritto per concorrere come inFig. 1. Giovanni Antonio Nigrone, Fontana con l’Igegnere presso la corte pontificia. 22 dra costruita davanti al grottone del palazzo di Vico Inutile dire che anche il vescovo, Equense. accademico degli Svegliati come il Carafa, imparentato per parte di madre con i de Costanzo, lo era anche con il ramo di Santa Severina. A riprova di come la stessa geografia clanica venisse replicata anche al di fuori dei seggi cittadini, fornendo al tempo qualche informazione ulteriore sull’amata tenuta napoletana di Della Porta, inserita nell’altro mondo dei giardini napoletani, quello dei « frutttiferi cãpi famosi per la bella ninfa Antiniana ». 23 Come per l’attuale palazzo Della Porta a via Toledo, così per le ville di Pacognano e delle Due Porte, a dispetto delle più suggestive tradizioni locali che ne attribuiscono il possesso al ben più celebre Giovan Battista, ci si trova di fronte a proprietà della famiglia di Costanzo di ben altro lignaggio e impegno nella vita cittadina, inserita com’era nella rete parentale dei Carafa. Se Angelo di Costanzo, oltre alla sua importantissima produzione letteraria, si era speso a lungo nell’attività politica in qualità di rappresentante del Seggio di Portanuova a difesa del ruolo della nobiltà cittadina, posizione condivisa a nome della Piazza di Nido, di cui era a sua volta rappresentante, dall’ amico oltre che parente, marchese di San Lucido, suo fratello minore Cola Francesco, Regio Consigliero « e per l’officio, e per la dottrina huomo di molta gravità » 24 attraverso il già ricordato figlio Fulvio si era imparentato prima con i Carafa della Spina e poi nel 1600 con i Sanseverino di Bisignano grazie alle nozze di quest’ultimo con la principessa Isabella. Se, dunque, il palazzo, lasciato in eredità nel 1766 da Francesco Maria di Costanzo alla Deputazione del Tesoro di San Gennaro di cui era membro, nel 1569 apparteneva in par 















21



22   G. A. Nigrone, Vari disegni …, cit., tav. 115.   Pneu, l. 1, p. 154.   Tommaso Costo, Il Fuggilozio …, cit., p. 6. 24   Biagio Aldimari, Historia Genealogica della Famiglia Carafa, Napoli, Bulifon, 1691, p. 175. 23

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te a Giovan Battista Della Porta non è per ora documentabile se ciò fosse in virtù del matrimonio tra la figlia Cintia e Alfonso di Costanzo, la cui famiglia lo avrebbe costruito agli inizi del secolo, o in quanto giuntogli in eredità del padre Francesco che ne avrebbe avviato la realizzazione nel 1546, dieci anni dopo la costruzione della via Toledo, particolarmente amata, però, dalla nobiltà di toga. Il problema si ripresenta identico per la villa alle due Porte che rientrava nella corona di ville rustiche, masserie e grange monastiche, dotate di vasti appezzamenti coltivati e vigneti, che decorava le alture cittadine. Donato Antonio Altomare, all’epoca tra i più famosi medici italiani, amico e maestro di Della Porta, possedeva un « casino delitioso » proprio alla via del Vomero. Sarebbe stato acquistato intorno alla metà del Seicento da Ferdinando Vandeneynden, marchese di Castelnuovo, quale terapia al suo male, passando nel 1717 ai Carafa principi di Belvedere : 25 una sorta di Fig. 2. Giovanni Antonio Nigrone, Una delle sette fontane costruite a Vico Equense per Ferrante Carafa ritorno alle origini visto che nel 1532 era stata Maria Carafa di Santa Sevemarchese di San Lucido. rina, moglie del conte Andrea, ad acquistare il casale da Giovannella Cajetani d’Aragona. La proprietà degli Altomare era una vasta tenuta agricola, con frutteti, agrumeti, vigneti, coltivata a grano sul fronte mare, non lontana dalla ninfa Patulci di Pontano, scenario insuperabile di opere letterarie e filosofici convivi, e di cui condivideva l’agreste tranquillità e il clima salubre che caratterizzavano anche Antignano, le Due Porte e Monte Donzelli. Luoghi di villeggiatura per religiosi e laici, siti di eccellenti produzioni agricole, dove la sperimentazione agronomica e farmacologica si incrociava col rinnovarsi di una tradizione millenaria. A Posillipo, Virgilio aveva scritto le Georgiche e Palladio il De Re Rustica nobilitando gli interessi naturalistici del poeta Bernardino Rota o del giurista Francesco d’Andrea, e lenendo i mali del cardinale Seripando che l’Altomare aveva in cura. Due erano le proprietà del medico napoletano, tipologicamente diverse, come quelle di Rota, secondo un uso diffuso e comune : tenuta agricola la prima, villa rustica la seconda all’attuale Montedonzelli dove aveva riunito un’accademia scientifica per discutere di fisica e di medicina. 26 Poco lontano, e molto più tardi, nel 1651 Giuseppe Donzelli, barone di  



   





25  Cfr. Sergio Attanasio, La villa Carafa di Belvedere al Vomero, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1985, pp. 90-94. 26  Cfr. Francesca Castanó, Ornella Cirillo, La Napolialta. Vomero Antignano Arenella da villaggi a quartieri, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012, pp. 32-33 con bibliografia.

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Fig. 3. Salvatore Fergola, Napoli dalla salita alla Due Porte (1815).

Dogliola, da cui il toponimo, avrebbe impiantato la sua « azienda scoperta al sole » 27 dove il direttore dell’Orto dei Semplici alla Montagnola coltivava piante esotiche e rare. Forse Pompeo Colonna non era morto, come si diceva, nei giardini dell’antica delizia aragonese di Chiaia a causa degli esperimenti botanici che conduceva col nipote Geronimo « amico dell’agricoltura » il quale non risparmiava « spesa alcuna nel far giardini di Semplici, di Fiori e all’innestare », 28 di certo era una passione diffusa in città, cui aveva contribuito anche il diretto contatto attraverso Madrid con le meraviglie che giungevano dal Nuovo Mondo. Lo studio dei semplici aveva visto Bartolomeo Maranta, allievo di Luca Ghini a Pisa, dirigere dal 1554 al 56 l’orto botanico creato da Giovan Vincenzo Pinelli, cui nel 1558 aveva dedicato il suo Methodus cognoscendum simplicium. Quanto a Pinelli, dalla villa familiare di Giugliano si era trasferito a Padova con le sue, all’epoca celeberrime, raccolte di fossili, libri e manoscritti rari, questi ultimi alla sua morte in parte dispersi, in parte confluiti nella biblioteca Ambrosiana attraverso il cardinal Borromeo. Erano queste le coordinate della villa rustica dove il Della Porta nel 1560 aveva fondato a sua volta l’Accademia dei Segreti, ospitata probabilmente nel grottone ipogeo, recentemente indagato 29 e risultato decorato con motivi mitologici e grottesche. Difficile identificarla nella bella veduta di Napoli dalla Conocchia dipinta da Salvatore Fergola nel 1815, anche se sembra possibile riconoscere nelle folte cime degli alberi al centro dello strano complesso su due livelli traccia dei giardini quadripartiti riportati nella Mappa Topografica Della Città Di Napoli E De’ Suoi Contorni di Giovanni Carafa duca di Noja e Niccolò Carletti del 1775. Pochi anni dopo, Tommaso Fasano ne segnalava uno di pertinenza della piccola  

















27   Giuseppe Donzelli, Petitorio napolitano, Napoli De Bonis, 1668, cit. in F. Castanó, O. Cirillo, La Napolialta …, cit., n. 35, p. 33. 28   Giulio Cesare Capaccio, Il Forastiero, Napoli, Gio. Domenico Roncagliolo, 1634, p. 455. 29   F. Castanó, O. Cirillo, La Napolialta …, cit., n. 30, p. 32.

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Fig. 4. G. Carafa duca du Noja, N. Carletti, Mappa Topografica Della Città Di Napoli E De’ Suoi Contorni, dettaglio delle Due Porte ( 1775).

e bella villa Lombardo, posta sulla strada accessibile dalla porta inferiore, aggiungendo « Questa inferior parte della Due Porte per l’amenità singolare e per la veduta è chiamata da tutti gli Arenulani, e Villeggianti il Molo dell’Arenella » 30 dove andare a passeggio e a prendere il fresco come sul molo della città lontana. Fuori degli itinerari cittadini e estranea alla geografia antiquaria, lontana e diversa dall’ordinata campagna del Vomero, la località Due Porte aveva dovuto attendere il 1779 perché sempre Tommaso Fasano descrivendo le ville e i casini di una villeggiatura, che si erano andati costruendo sulle colline alle spalle della città, formulasse una serie di ipotesi sul significato del toponimo dall’evidente assonanza dellaportiana. 31 Gino Doria così le riassumeva  







sostiene giustamente che bisogna respingere la cervellotica etimologia dì porte (due porte) corruzione napoletana di diporto ; e che non è da accettarsi neanche l’ipotesi che Due porte sia corruzione di Della Porta […] mentre sostiene che il nome provenga realmente da due porte, che erano in una villa, allora appartenente alla famiglia Costanzi, originaria di Pozzuoli 32  



che quando Fasano scriveva erano « due porte, vere e reali » 33 sotto gli occhi di tutti. Da uomo del suo tempo, prima di escludere un rapporto diretto con il nostro Giovan Battista aveva voluto personalmente andare a verificare se vi fosse qualche memoria di lui, trovando nel corso del sopralluogo  





In una Cappella […] nel tratto dell’inferiore delle Due Porte, bensì ritrovai due depositi di persone della nobilissima famiglia di Costanzo di fresco estinta […] L’ultimo Costanzo che avea il titolo di Duca, era il proprietario di tutta la villa inferiore delle Due Porte. Ma se egli l’avesse ereditata da Giovanbattista della Porta, non avrebbe egli diroccato in tutto i monumenti del suo illustre maggiore 34  

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 [Tommaso Fasano], Lettere villeresche scritte da un anonimo ad un amico, Napoli, Fratelli Raimondi, 1779, p. 56.   Ivi, pp. 52-56. 32   Gino Doria, Le strade di Napoli. Saggio di toponomastica storica, Milano-Napoli, Ricciardi, (1943) ried. 1979, p. 33 154.  [Tommaso Fasano], Lettere villeresche …, cit., p. 56. 34   Ivi, pp. 55-56. 31

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osservazione più che sensata che ci riporta al punto di partenza, seppure con la certezza che la villa inferiore era stata quella abitata dal Della Porta. Ultima, radicale trasformazione si era verificata nel mondo dei giardini napoletani proprio per iniziativa del già ricordato Fulvio di Costanzo. Nel 1604 era stato lui a portare avanti l’abbellimento – di cui si sarebbe fregiato il viceré Juan Alonso Pimentel de Herrera conte di Benavente – della strada per la Regia Delizia di Poggioreale per farne un passeggio, mondanissima scena per carrozze e cavalli, lungo il quale sempre Nigrone aveva realizzato tra le fronde dei salici tre delle fontane che lo abbellivano. 35 Era l’ultima modernissima metamorfosi : la delizia alfonsina era diventata un parco pubblico ante litteram e la strada che lo riconnetteva alla città, anticipando la moda fiorentina che nel 1616 Maria de’ Medici avrebbe introdotto in Francia con la creazione del promenoir del Coursla-Reine, uno spazio urbano apparentemente inutile, ma necessario alla vita “psichica” di una metropoli come Napoli. In fondo, possiamo considerarlo assieme ai giardini di Chiaia o della riva di Posillipo come un primo passo nella direzione del paragone che farà Freud tra il regno psichico della fantasia e i parchi e le riserve naturali nei quali « Tutto vi può crescere e proliferare come vuole, anche l’inutile, persino il nocivo », 36 restituendo un senso più ampio alla polemica esaltazione fin alle prime battute del Villae dellaportiane, da cui siamo partiti, sulla utilità dell’agricoltura.  







35



 Cfr. A. Giannetti, Il giardino napoletano …, cit., p.24.   Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi, in Opere, Torino, Boringhieri, 1976, t. viii, p. 527.

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IL RECUPERO DELLE FONTI CLASSICHE DELLA RETORICA DI ARISTOTELE E DI CICERONE NELLA DE HUMANA PHYSIOGNOMONIA DI GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA Luana Rizzo

N

el libro i de La fisionomia dell’uomo al capitolo xxv Giovan Battista della Porta nel valorizzare due peculiari dimensioni della scienza fisiognomica ed, in particolare, il modo in cui è possibile riconoscere i costumi dell’uomo dai segni del contrario e il modo in cui da « simili passioni ne possiamo investigare dell’altre », appellandosi ad Aristotele, scrive :  





Ci è un altro modo ancora da poter congetturare i costumi, che niun prima di Aristotele lo disse, come egli stesso narra ; e questo modo è per via di sillogismo, per il quale da due o più passioni se ne possono argomentare et inferir alcun altre, come sogliono usar i rettorici … E questo modo lo chiama logico, perché da una conclusione necessaria ne inferisce un’altra e perché quelle tre si pigliano per prime et antecedenti, e la quarta si piglia per conclusione. Conosceremo oltre ciò, over dal costume apparente, overo da alcuna somiglianza di animale, esser senza vergogna e di poche parole […]. 1  



Lo schema del sillogismo viene applicato nel campo “epistemologico” della fisiognomica e la sua applicazione è funzionale al disegno di conferirle lo statuto di episteme, al fine di ricercare, per mezzo di un metodo rigoroso e gli strumenti propugnati dall’Organon di Aristotele, procedimenti nuovi e proficui allo sviluppo della pratica fisiognomica. Il retaggio aristotelico nel pensiero dellaportiano è ravvisabile in diversi capitoli della sua Fisonomia dell’uomo, come emerge dalle occorrenze o dai topoi ivi rintracciati. Come è noto, il dibattito sull’ars retorica e sulla logica nel Rinascimento e nel tardo Rinascimento ha origini piuttosto lontane e i suoi sviluppi in seno al panorama nazionale ed europeo avranno esiti differenti e molteplici volti in aree culturali diverse, riverberandosi anche sull’imminente nascita del metodo sperimentale. Se da un lato, infatti, gli umanisti si erano ispirati alla suprema auctoritas dello Stagirita, soprattutto all’interno dello Studium patavino, nonostante la sopravvivenza di qualche concezione dottrinale eterodossa per il perdurare della tradizione peripatetica e di qualche infiltrazione platonica, non mancarono le discussioni e le polemiche nei riguardi di questa tradizione e più in generale di quella scolastica. Come osserva Luca Bianchi, risultato di una sfortunata congiuntura storica oppure frutto di un disegno interessato, l’aristotelismo occidentale si era comunque sviluppato tramite una proliferazione di interpretazioni, fra loro in competizione, che ben presto avrebbe assunto caratteri patologici e degenerativi. 2  

Tuttavia il dibattito assunse toni e forme diversi nei differenti centri in cui si sviluppò, contrapponendo i seguaci di Aristotele ai suoi più fervidi avversari. In realtà la discussione che 1

  FisII, l. i, c. xxx, p. 84.   Luca Bianchi, Una caduta senza declino ? Considerazioni sulla crisi dell’aristotelismo fra Rinascimento ed età moderna, in Studi sull’aristotelismo del Rinascimento, Padova, il Poligrafo, 2003, p. 140. 2



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divideva i maestri umanisti dagli assertori della dialectica moderna era prevalentemente incentrata sul problema del metodo, sicché il tentativo di Della Porta di rintracciare le formule schematiche per mezzo delle quali è possibile costruire un “ordine” del sapere si configura sostanzialmente come la quaestio sul metodo. La querelle sul metodo nel Rinascimento e nel tardo Rinascimento, scaturita dall’esigenza di rinvenire un ordine e un metodo del sapere necessari per ricomporre, organizzare le scienze, al fine di far progredire e favorire la circolazione e trasmissione del sapere entro un sistema codificato, si diffuse in gran parte degli ambienti intellettuali europei con il proposito di far acquisire la conoscenza pratica di tutte le arti. La lettura, il commento del corpus aristotelico, gli strumenti filologici e linguistici esercitarono un’influenza positiva sul modo di organizzare e ricomporre l’enciclopedia del sapere sulla base di nuovi principi, pur tra lunghe e interminabili controversie. È vano soffermarsi in questa sede sui caratteri e sulle finalità del dibattito che divenne emblematico di posizioni intellettuali assai conflittuali in difesa delle dottrine aristoteliche o contro di esse e anche a chi non riconosca l’influenza di certe discussioni critiche sulla nascita della scienza moderna, appare subito evidente come il frutto di queste dispute sia stata la preziosa acquisizione e maturazione dell’esigenza di rinvenire un “metodo” nel campo delle scienze, esigenza maturata nell’ambito della tradizione aristotelica e suscitata dalla necessità di un confronto fra le artes. Come sottolinea Vasoli, una tradizione particolarmente invalsa nelle trattazioni manualistiche della storia della filosofia suole definire il xvii secolo come il secolo del “metodo”, trascurando spesso di ricordare che, in realtà, Francis Bacon e René Descartes conclusero un dibattito lungamente protratto per gran parte del Cinquecento e al quale avevano partecipato sia maestri di schietta formazione umanistica, sia alcuni tra i maggiori rappresentanti della tradizione “peripatetica” universitaria. 3  

Ciò spiega come il tentativo di comprendere la nascita della scienza moderna non possa prescindere da queste discussioni e polemiche che lasciarono una traccia profonda nello sviluppo di strumenti e procedimenti operativi nel campo delle arti e delle discipline meccaniche, si pensi alla commistione di filosofia, scienza, tecnica e arte realizzata da Leonardo o da Cardano, non ancora affidata al principio dell’assoluta evidenza razionale. In questo fermento di idee matura l’esigenza da parte di Della Porta di fare ricorso ai procedimenti esposti nei Topici di Aristotele con lo scopo di ordinare in modo organico le nozioni e le conoscenze dell’arte fisiognomica. Una spinta innovativa caratterizza il pensiero dellaportiano, piegando l’antica sapienza di Aristotele “rinata” alle sue esigenze speculative, ispirate alla libertà di critica, segnando così il definitivo tramonto di vecchi paradigmi filosofici e scientifici e riaprendo la discussione sulla methodus. Egli opera in un momento in cui sembrano ormai superate le discussioni sulle quisquilie verbali e sull’inutilità e sterilità delle formulazioni sillogistiche proposte dalle scholae e si avverte l’esigenza di ritornare all’autentico Aristotele o di interpretare Aristotele con Aristotele. Si sa che in tutte le opere Della Porta, sedotto dal fascino per i classici, attinge frequentemente al patrimonio erudito degli scrittori greci e latini. La varietà di interessi e di questioni lo portano a confrontarsi anche sul problema della retorica e gli consentono di dialogare con Aristotele e in un caso con Cicerone. 4 Dalle occorrenze rintracciate nella Humana Fisiognomica dà prova di essersi confrontato con lo Stagirita citato diverse volte per la Retorica, ma di aver richiamato l’attenzione sul De Oratore di Cicerone soltanto in una circostanza. Cicerone è il suo autore prediletto e rivisitato nell’Ars Reminescendi. Questo aspetto non è  

3   Cesare Vasoli, I tentativi umanistici cinquecenteschi di un nuovo “ordine” del sapere, in *Le filosofie del Rinascimento, a cura di Paolo Costantino Pissavino, Milano, Paravia-Bruno Mondadori, 2002, p. 398. 4  Cfr. Hum, pp. 195, 196, 339, 440.

il recupero delle fonti classiche nella de humana physiognomonia 299 privo di significato. Il ricorso all’arte retorica per Della Porta non è finalizzato alla ricerca dell’eu[logon, del ben parlare, della cura dello stile, o del piqanovvn, alla capacità di persuadere e di ottenere l’assenso dell’uditorio, né si fonda sulle tecniche della inventio, della dispositio, della elocutio, della memoria e della pronuntiatio, ma è riconducibile inveniendi et componendi methodo, per ricercare ed impadronirsi di un procedimento indispensabile per la costituzione organica della disciplina fisiognomica. Si tratta del tentativo da parte dell’autore di ricondurre a leggi universali e necessarie la fisiognomica affidandosi al principio della dimostrazione, per riconoscerle il primato di “scienza”. Accoglie, così, le suggestioni provenienti dall’ars rhetorica dello Stagirita, affrancandosi dall’ipoteca della logica scolastica e con lo sguardo orientato verso la scienza. L’esigenza di rifondare un metodo sulla base della logica aristotelica è avvertita dal pensatore in diversi passi della sua Fisionomia dell’uomo in cui la pratica fisiognomica e, in particolare, la possibilità di discernere il temperamento individuale di ciascun uomo in base all’età è connessa anche loquela. Nel Libro ii al capitolo xix Della Porta ribadisce la stretta relazione che esiste fra il parlare agevolmente e la possibilità di individuare ex loquela signa attraverso i quali « investigare » i costumi dell’animo. 5 Nella distinzione fra vehemens loquela, brevis loquela, acuta et debilis loquela, difficilis loquela è rintracciabile la fonte aristotelica, ma laddove egli manifesta più chiaramente l’ossequio alla suprema auctoritas è nell’argomentazione De syllogismo physiognomico. Ispirandosi al procedimento logico del sillogismo del Filosofo di Stagira chiarisce i caratteri di questa scienza attraverso il ricorso al sillogismo, al quale dedica il capitolo xxviii del Libro i. Dopo aver spiegato nel capitolo precedente in che cosa consista la Fisionomia, « una scienza che impara dai segni che sono fissi nel corpo, et accidenti che trasmutano i segni, investigar i costumi naturali dell’animo », 6 attribuendo al segno un valore fondamentale e valorizzando la sua efficacia nel comprendere le inclinazioni, le disposizioni e le passioni dell’animo, scrive che « physiognomones ad propria haec signa invenienda » si servono del sillogismo, argomento trattato da Aristotele nei suoi ultimi libri Analyticorum librorum priorum ». 7 Della Porta rivela la sua preoccupazione metodologica, insistendo sul valore del procedimento analitico utile per progredire in physiognomonica scientia. Avverte l’urgenza di rintracciare un metodo, uno strumento, organon, per procedere con sicuro discernimento in questa disciplina e organizzare i contenuti, al fine di riconoscere la sua natura e gli elementi di accordo e contrasto fra le disposizioni dell’animo. E di questo metodo offre subito un esempio :  





















a ritrovar questi segni proprii, primo è da considerar un genere di animali, nel quale in universale ci sia quella passione ; appresso poi è bisogno l’altre generazioni d’animali, che non in universale, ma in particolare abbino quella passione. Finalmente, che tutti quelli animali che abbino quel segno, abbino quel costume ; e chi non ha quel segno, non abbi quel costume ; così quello sarà proprio segno. 8  







Il procedimento dimostrativo, apodittico e deduttivo, della ricerca delle cause che collegano l’effetto, garantiscono la validità assoluta di questa scienza, per interpretare le sue leggi finalizzate ad una rigorosa conoscenza della natura. Non si limita, inoltre, soltanto ad esporre in generale questo procedimento, ma ne rivela anche la sua efficacia strumentale e le modalità di funzionamento. In piena aderenza con il principio aristotelico del sillogismo Della Porta utilizza questo strumento logico per risalire al segno. Per dimostrarne la validità fornisce l’esempio che esprime proprium fortitudinis signum. Della Porta attinge il topos del leone simbolo della forza e della robustezza dagli Analitici priora, laddo5

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 Cfr. Ivi, l. ii, c. xix, pp. 211-12.   Ivi, l. i, c. xxxi, p. 88.

  FisII, l. i, c. xxvii, p. 87.   Ivi, l. i, c. xxxi, p. 97.

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ve Aristotele chiarisce che « è possibile giudicare la natura di qualcosa sulla base della sua struttura corporea … ». 9 Questo topos affiora nella Fisionomia umana, opera nella quale egli sviluppa la centralità del segno per mezzo del ragionamento sillogistico. È necessario, innanzitutto, rintracciare il segno della fortezza in tutti i generi di animali, « cuncta animalium genera et leonum genus universaliter » ; in secondo luogo si deve ricercare « fortidudo non solum in leonibus, sed equorum, taurorum et hominum genere particulariter : nam aliquis equus, taurus et homo fortis est ». 10 Tutto il genere degli animali è forte e il genere del leone è universalmente forte costituisce la premessa maggiore ; non solo il leone, ma anche il cavallo, il toro e il genere degli uomini in particolare sono forti costituisce la premessa minore ; ne consegue la conclusione : anche qualche cavallo, toro e uomo sono forti. Il segno della fortezza, che inerisce al termine maggiore, appartenendo anche al termine medio, inerirà di conseguenza al termine minore. Ma a confermare se quel segno della fortezza si trovi nel genere dei leoni « particulariter fortes sunt » e chi, invece, non abbia quel segno, è debole e flaccido, si considererà la forma delle estremità, se cioè siano grandi o piccole. Se al segno della fortezza si associa la caratteristica di avere l’estremità del corpo grandi,  





























extrema corporis robusta, nam universum leonum genus extrema magnitudine praesignia habet, et in reliquis animalium generibus aliqui equi, tauri hominesque, qui fortes sunt, huiusmodi habent et qui talia non habent, 11  

sono deboli e snervati. Si può concludere che il segno della fortezza consisterà nell’avere le estremità grandi, « extrema magna signum proprium fortitudinis », e da questo segno si ricaverà una delle qualità universali corporee per mezzo delle quali è possibile investigar i costumi naturali dell’animo. Volendo ora saggiare la validità metodologica del sillogismo, Della Porta ne illustra il procedimento logico : sia A la fortezza, B l’avere l’estremità grande, C il leone, ne consegue che : ogni animale che ha l’estremità grande è forte ; ogni leone e alcuni animali hanno l’estremità grandi, ogni leone e alcuni animali sono forti. Se A inerisce a ogni B, se B inerisce a ogni C, allora è necessario che A inerisca a ogni C. Lo sviluppo del rigoroso modello sillogistico da parte di Della Porta per ricavare gli attributi fisici onde, attraverso signa, risalire al temperamento degli uomini, si rivela funzionale e coerente alla sua esigenza di collocare la fisiognomica, sulla base di un metodo razionale, nell’alveo di una scienza imperniata sulle dottrine della inductio, del sillogismo e della dimostrazione scientifica. Perché l’autore avverte l’esigenza di ispirarsi ad un modello classico artificioso e oscuro agli occhi dei moderni per pervenire a più alte conoscenze e scoperte, alla scienza delle cose ? Perché ricorre al metodo aristotelico, diversamente dalle vie propugnate dagli scolastici, le vie dimostrativa, resolutiva, definitiva e divisiva ? Uno scopo eminentemente pratico gli suggerisce di attingere alla fonte del complesso edificio dello strumentalismo aristotelico. L’esigenza di “fondare” un metodo per procedere nelle scienze naturali, rivendicando il ritorno al principio della suprema auctoritas di Aristotele, dopo le lunghe e complesse polemiche sui tentativi umanistici cinquecenteschi di un “nuovo” ordine del sapere, si rivela utile in relazione alla soluzione delle questioni nell’ambito della scienza della natura. La tecnica, sia pure complicata, del modello sillogistico, per mezzo della methodus compositiva e di quella resolutiva, soddisfano la sua esigenza e gli consentono di approdare ad una dimostrazione scientifica rigorosa utile ars inveniendi. Nel capitolo xxix del Libro I De iudicandi methodo et quae signa praefe 













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  Aristotele, Primi Analitici, ii, 70b sgg., in Opere, i, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 253. 11   Hum, l. i, c. xxvii, p. 88.   Ibidem.

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il recupero delle fonti classiche nella de humana physiognomonia 301 renda veniant 12 torna a riflettere sulla necessità di rinvenire un metodo in relazione ai segni e riporta l’opinione di Aristotele sui segni, secondo il quale credere ad un solo segno è vano, ma mettere insieme più segni è utile per formare il giudizio. 13 Indagandi componendique methodus, scrive Vasoli, « permette di operare le combinazioni delle “somiglianze” e “affinità” e, quindi, di inventare nuovi legami, connessioni e rapporti inauditi, mai conosciuti o sperimentati ». 14 Tuttavia è lecito domandarsi se il tentativo compiuto da Della Porta di ispirarsi al metodo aristotelico e volto ad assimilare la tradizione speculativa dei logici possa essere soltanto riconducibile alla diretta esperienza di “connettere” e “combinare” per stabilire analogie. Oppure non risponda anche all’esigenza di inventare un metodo per dimostrare, attraverso lo strumento sillogistico, nell’ambito della fisiognomica la distinzione del vero dal falso, l’universalità delle premesse e la natura delle leggi e regole, con il proposito di procedere e di conoscere i suoi principi in modo scientifico. La retorica qui non si configura come arte della parola, tecnica finalizzata ad uno scopo pratico, o di ornamento del discorso, o di piacere, di persuasione e di consenso, è, invece, arte dalla quale si ricavano i principi dimostrativi particolari di una singola disciplina, i contenuti di verità. La logica concepita come tecnica dell’argomentazione razionale è utile per articolare i giudizi sul mondo secondo leggi e regole precise. Gli esempi tratti dalla Retorica dello Stagirita sono diversi : la stessa tesi secondo la quale i vecchi non sono loquaci a causa della natura del loro temperamento freddo e secco, bensì, come sostiene Aristotele nella Retorica, per la memoria delle cose passate, attrae la sua attenzione per la corretta inferenza razionale della ricerca di un principio. 15 Insiste, così, sul temperamento e sul carattere dei vecchi, menzionando la tesi aristotelica Rhetoricorum secondo cui « senes, qui frigidi et sicci, impudentes ». 16 Argomento già trattato more aristotelico nel Libro I, laddove riprende la fonte della Retorica per dimostrare, come in base all’età, si conoscano i costumi degli uomini. 17 Allo Stagirita rivendica la distinzione della natura e del carattere dei vecchi. Questi, essendo stati ingannati più volte nella vita, sono increduli e diffidenti e non ripongono più fiducia negli altri, sono sospettosi e sempre votati al male, pusillanimi perché affaticati dal lungo vivere. 18 I giovani, invece, sono liberali perché non hanno mai provato il bisogno, non hanno ancora sperimentato le fatiche e nutrono grandi speranze, sono magnanimi, di buoni costumi, perché ripongono fiducia negli altri, che credono buoni. La fonte a cui attinge è sempre il II libro della Retorica di Aristotele, nel quale il Filosofo di Stagira argomenta intorno ai caratteri dell’uomo in base alle passioni, alle disposizioni, all’età e alle condizioni di fortuna. 19 Della Porta insiste ancora sulla Retorica quando espone De amari viri figura, 20 chiarendo con Aristotele che cosa significhi amaro. 21 Nessuno prima di Aristotele, sostiene Della Porta, neanche fra i fisionomi, aveva definito in che cosa consista l’amaro. Una precisa definizione viene offerta dallo Stagirita, il quale nel II libro della Retorica afferma che « amaro non è faceto, né che mai faccia ridere alcuno ; che è contrario al faceto, che muove il riso ». 22 Non si appella, così, né alle teorie galeniche né alle dottrine della fisiognomica, riconosce, invece, nella Retorica di Aristotele una fonte autorevole e originale.  





































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13  Cfr. Ivi, l. i, c. xxvi, pp. 85-86.  Cfr. FisII, l. i, c. xxix, pp. 94-95.   Cesare Vasoli, L’« analogia universale » : la retorica come « semeiotica » nell’opera di Della Porta, in *Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, Atti del Convegno (Vico Equense 29 settembre-3 ottobre 1986), a cura di Maurizio Torrini, Napoli, Guida, 1990, p. 36. 15 16  Cfr. Hum, l. vi, c. xvii, p. 568.   Ivi, l. vi, c., xviii, p. 568. 17 18  Cfr. FisII, l. i, c. xxiii, pp. 81-82.  Cfr. Ivi, p. 82. 19  Cfr. Aristotele, Retorica, a cura di Silvia Gastaldi, Roma, Carocci, 2015, l. ii, 1388 b 31-1390 a 28. 20   Hum, l. v, c. xxvii, p. 519. 21 22  Cfr. Aristotele, Retorica, cit., l. ii, 1379 a.   FisII, l. v, c. xxvii, p. 535. 14



   





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luana rizzo

Della Retorica del Filosofo di Stagira egli condivide l’impianto teorico, il procedimento razionale ma non l’idea della retorica come tevcnh, come pratica del discorso persuasivo. Risalta, invece, la valorizzazione di uno strumento, il sillogismo, che offra un metodo logico-linguistico idoneo a delineare la pratica della scienza fisiognomica avvalendosi dell’entimema e dell’inferenza. Il tentativo di dedurre delle conclusioni da premesse date e di dimostrarne la correttezza conferisce forza e tono al linguaggio scientifico. La logica nel maturo Cinquecento « si fa metodologia dell’acquisizione e della sistemazione del sapere scientifico […], approntando quegli strumenti senza i quali la scienza non è in grado di svilupparsi » e la sua strumentalità si realizza « su un piano di sicura efficienza operativa ». 23 Nell’ambito della filosofia naturale il principio della dimostrazione razionale e la coerenza delle conclusioni rispetto alle premesse costituivano il criterio di verità su cui fondare la conoscenza della fuvsi~, sicché anche la fisiognomica, affidandosi a rigorosi principi dimostrabili e ad un criterio pratico-operativo, permette all’uomo, attraverso il passaggio dal noto all’ignoto, di penetrare nel mondo naturale. L’osservazione empirica e la ricerca delle connessioni causali, quella che ascende dal particolare all’universale e quella che discende dall’universale al particolare, garantiscono alla fisiognomica un’autonoma base speculativa. Essa, rivendicando una piena autonomia teorica e pratica, si affranca da ogni subordinazione alla teologia e alla metafisica. Il rigore metodologico offerto dal sillogismo nel far derivare da premesse il fondamento di una deduzione si connette poi alla possibilità da parte dell’uomo di credere in quella convinzione incrollabile fondata su principi di necessità ed universalità. Tuttavia non esiste conoscenza scaturita dalla dimostrazione senza pistis, credenza razionale, fede nell’oggetto conosciuto. Il metodo che si avvale dello strumento del sillogismo gioca un ruolo affatto secondario nella formulazione del pensiero scientifico nel Rinascimento, prima dell’avvento del metodo matematico. Il pensiero dellaportiano risente dell’eco duratura delle polemiche sull’ars retorica e sulla logica dell’Umanesimo e del Rinascimento e posto al crocevia fra Rinascimento ed età moderna ne recupera in maniera sorprendente le derivazioni logiche delle auctoritates per rifonderle in una scienza, che non ha ancora i caratteri del metodo matematico razionalistico, ma che attraverso un preciso modello argomentativo sia in grado di cogliere il rapporto e l’analogia fra le res, prefigurando una stretta interazione fra il piano logico e quello scientifico. Lo schema del sillogismo si rivela utile, giacchè offre una “via” per procedere nella ricerca e trasmettere in modo ordinato le conoscenze e la via non era altro che la methodus, termine che figura già nei Rhetoricorum libri di Trapezunzio e che entra nell’uso a partire dal secondo decennio del Cinquecento negli ambienti intellettuali « nel senso di “via” o procedimento di ricerca e trasmissione ordinata di conoscenze ». 24 In questa convergenza di retorica e logica risultano evidenti già alcune osservazioni che dimostrano un fedele ossequio ad Aristotele : l’importanza attribuita alla loquela, la combinazione fra il modo di parlare e i caratteri degli individui, l’urgenza di rinvenire un metodo capace di rintracciare i segni per conoscere i costumi degli uomini. Sul concetto di segno e sul rapporto fra il segno e le passioni dell’anima nel pensiero dellaportiano esiste già una nutrita bibliografia. È sufficiente citare gli studi di Vasoli, di Caputo o di Piccari nei quali si dimostra che le vere radici di questa corrispondenza vanno ricercate negli Analitici Primi di Aristotele. In particolare Piccari sulla base della dottrina aristotelica dei segni e dell’inferenza del giudizio sostiene che la fisiognomica è una prassi semiotica non-verbale. 25  



















23   Giovanni Papuli, Girolamo Balduino : ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento, Manduria, 24 Lacaita, 1967, p. 17.   C. Vasoli, I tentativi umanistici cinquecenteschi …, cit., p. 401. 25  Cfr. Paolo Piccari, Giovan Battista Della Porta, Il filosofo, il retore, lo scienziato, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 97.  

il recupero delle fonti classiche nella de humana physiognomonia 303 Ciò che risalta in Della Porta è la funzione della retorica non come arte del discorso in grado di persuadere, ma come arte che si propone di scoprire i mezzi intorno a qualsiasi argomento. Anche per Aristotele l’oggetto della retorica era « il verosimile », ciò che accade perlopiù e, invece, l’oggetto della scienza era il « necessario » ciò che accade sempre. A Della Porta questa distinzione era ben nota, tanto più che tenta di valorizzare il ragionamento e la dimensione razionale del sullogivzesqai per riconoscere alla fisiognomica il primato di episteme e, fedele alla suddivisione aristotelica delle scienze contemplative, che hanno per oggetto le cose necessarie e immutabili, all’interno delle quali sono inserite anche le scienze naturali, ivi colloca la Fisionomia. Quid sit Physiognomonia, Della Porta lo spiega chiaramente nel capitolo xxvii del Libro i : « viene da fuvsi~, che vuol dir natura, e gnwvmh, regola ; quasi volesse dir legge o regola di Natura che con certa regola, norma et ordine di natura si conosce da tal forma di corpo, si conosce tal passione dell’anima ». 26 Regola, norma e ordine esprimono il carattere e la natura di questa scienza. Occorre, innanzitutto, conoscere le sue leggi, disporre gli argomenti da trattare secondo un ordine dispositivo, la dispositio, per stabilire quale argomento trattare prima o dopo e, infine, avvalersi dell’inferenza dal noto all’ignoto per passare da una conoscenza ad un’altra, per risalire dalla ricerca del segno presente nel corpo alla conoscenza del carattere, del temperamento, dei costumi, delle passioni dell’anima umana. Ordo e methodus servono per determinare i principi assoluti di questa disciplina, collocarla e giudicarla, giacché per mezzo dell’ordo si dispongono le cose da trattare e per mezzo della methodus dal noto si rende noto l’ignoto. Prendendo le distanze dai giudizi “deformanti” dell’aristotelismo scolastico ormai sclerotizzato, Della Porta si appropria criticamente della dottrine di Aristotele, nel tentativo di elaborare risposte esaustive ai problemi incipienti in tema di philosophia naturalis del tempo. Nel suo pensiero, al culmine dell’aristotelismo accademico cinquecentesco e maturato in seno alla cultura meridionale napoletana, si concentrano gli echi di un dibattito secolare suscitato in seno alla scuola di Padova sui metodi della logica e dei suoi rapporti con le scienze naturali. Come scrive Antonino Poppi, « derivata direttamente da Parigi e da Oxford, la Scuola filosofica padovana conservava un impianto esclusivamente naturalistico e logico, svolgentesi su un confine mal definito tra ricerca sperimentale dei fatti e aspirazione a una comprensione filosofica dei medesimi ». 27 Un Aristotele emendato dalle interpretazioni scolastiche e la critica ai procedimenti metodici peripatetici avevano già attratto l’attenzione in seno alla cultura europea di un giovane maestro di Parigi, Pietro Ramo 28 (1515-1572) quasi coevo di Della Porta. La dottrina ramista con le sue leggi e con il suo metodo esposto nella Dialectica del 1566 non sembra influenzare il pensiero dellaportiano per la sua critica radicale alle dottrine dello Stagirita. Decisivo e influente nel circolo culturale partenopeo fu il riverbero delle dispute alimentate in seno allo Studium patavino da due pensatori salentini Marcantonio Zimara e Girolamo Balduino. Quest’ultimo, in particolare, formatosi a Padova e dopo un soggiorno a Salerno, esercitò un ruolo di primo ordine a Napoli, un ambiente avido e pronto ad assimilare le novità padovane in relazione alla possibilità della logica peripatetica di connettersi con la speculazione della fisica. Balduino 29 rivendicò il ruolo della logica di Aristotele con il ricorso alla dimostrazione potissima. 30 « La speculazione di questi autori », scrive Papuli,  





























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  Hum, l. i, c. xxvii, p. 87. (FisII, l. i c. xxx, p. 96).   Antonino Poppi, La dottrina della scienza in Giacomo Zabarella, Padova, Antenore, 1972, p. 15. 28  Cfr. Cesare Vasoli, La dialettica e la retorica dell’Umanesimo. “Invenzione” e “Metodo” nella cultura del xv e xvi 29  Cfr. G. Papuli, Girolamo Balduino …, cit. secolo, Milano, Feltrinelli, 1968. 30  Cfr. Giovanni Papuli, La dimostrazione potissima per Girolamo Balduino e nella logica dello Zabarella, Bari, Adriatica, 1965. 27

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si richiama direttamente ad una tradizione già da tempo impegnata a definire la logica come sapere strumentale, come disciplina metodologica elaboratrice di procedimenti e tecniche strettamente vincolati ai progressi della fisica in generale e, specialmente, della medicina. 31  

La discussione sul metodo scientifico in seno allo Studium napoletano, feconda di tentativi novatori volti a definire la logica come sapere strumentale, influenza la metodologia scientifica di Della Porta. Un dibattito a cui partecipò anche un altro logico di primo piano, Jacopo Zabarella, coevo di Della Porta. Zabarella opera fra il 1533 e il 1589 e Della Porta nasce due anni dopo e muore agli inizi del nuovo secolo, il Seicento, tutto concentrato nel definire lo statuto epistemologico su cui fondare l’orizzonte conoscitivo della scienza. Come Zabarella, anche Della Porta si discosta dalla methodus unica propugnata dalla dottrina ramista, nel tentativo comune, probabilmente, di rinnovare la metodologia dimostrativa della ricerca logica in continuità con il pensiero di Aristotele e di una sostanziale ortodossia alle sue dottrine logiche. Sottoponendo a critiche radicali la dottrina scolastica dei quattro metodi dimostrativo, resolutivo, definitivo e divisivo, Zabarella identificava nella venatio ignoti il metodo come strumento, come “abito logico” utile per acquisire il notum, per giungere alla conoscenza delle res. 32 Ora se la fisiognomica si configura come tevcnh, è necessario procedere per via resolutiva per risalire alla conoscenza dei principi, cioè per mezzo della dimostrazione, quia, che va dall’effetto alla causa o del propter quid. Il proposito di avvalersi della struttura apodittica del ragionamento sillogistico, al di là delle polemiche suscitate nel maturo Cinquecento, si propone l’obiettivo di rintracciare una via seu ordo per risalire di causa in causa ai principi. Il procedimento dialettico nell’ambito delle scienze della natura e il tentativo di rinvenire nel campo della philosophia naturalis un metodo spiana la strada all’ordo mathematicus scoperto nell’età moderna per una conoscenza “certa” della natura. Della Porta, pur muovendosi su un terreno in cui la riflessione è aliena e chiusa ai problemi di un metodo analitico fondato sull’esperienza, sulle ipotesi, sulla logica induttiva, sulla formulazione di un alfabeto logico, sulla logica dei calculatores, non ignora come le nuove scoperte nell’ambito delle scienze della natura richiedano l’acquisizione di un metodo e di un nuovo ordine del sapere. Egli, affrancandosi dall’ipoteca della logica scolastica e propugnando, sulla base del metodo di Aristotele, un nuovo ordine del sapere, orienta lo sguardo verso una concezione della scienza della natura, che si deve avvalere di una nuova via o procedimento di ricerca e trasmissione ordinata di conoscenze. Quale influenza abbia esercitato il suo contributo sulla maturazione della nuova scienza resta controverso, ma appare evidente come alcune conquiste sviluppate nell’ambito della filosofia naturale, l’idea di una natura come sistema ordinato di cause, l’osservazione dei fenomeni, il ricorso agli strumenti e ai modelli della logica, abbiano contribuito ad una conoscenza della natura ora indagata secondo leggi proprie, iuxta propria principia. Nell’alveo di questa tradizione si colloca anche la fisiognomica, già presente nelle enciclopedie naturali degli antichi, ma mai prima d’ora indagata sulla base di principi certi e dimostrabili, modus syllogisticus, strumento del quale tutte le scienze si devono servire nella venatio ignoti. Come osserva Papuli,  

l’insostituibile funzione strumentale cui adempie la logica nei confronti di ogni sapere ne fa il modus sciendi, anzi, il modus ad scientias per eccellenza, lo strumento di cui tutte le scienze si servono 31

  G. Papuli, Girolamo Balduino …, cit., p. 7.  Cfr. C. Vasoli, I tentativi umanistici cinquecenteschi …, pp. 411-413.

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il recupero delle fonti classiche nella de humana physiognomonia 305 non solo per dare un’organica sistemazione alle conclusioni che esse viva via stabiliscono, bensì anche per procedere nell’investigazione della realtà, nella “venazione” dell’ignoto. 33  

La speculazione di Della Porta sulla scienza fisiognomica è il frutto di una riflessione improntata ad una libera e critica accettazione del fiorente patrimonio speculativo patavino. Allo scienziato napoletano si attribuisce il merito di aver utilizzato uno strumento logico volto ad esplorare e indagare le scienze della natura e di aver ricercato via seu ordo per procedere nel campo del sapere fisiognomico e, più in generale, della philosophia naturalis. 33

  G. Papuli, Girolamo Balduino …, cit., pp. 185-186.

« IO VORREI TRASFORMARMI IN LIBRI » : NOTE SUL CARTEGGIO DELLAPORTIANO  





Eugenio Refini «

I

o vorrei trasformarmi in libri, per poter accrescere un minimo sugetto a sì degna libraria », scrive da Napoli un ormai anziano Giovan Battista Della Porta al cardinale Federico Borromeo nel novembre del 1612. 1 Il metamorfico desiderio espresso dal naturalista allude alla possibilità di un suo contributo materiale – letteralmente, librario – all’allora neonata collezione oggi nota come Biblioteca Ambrosiana. Viene da accostare la frase dellaportiana (« Io vorrei trasformarmi in libri ») al celebre ritratto grottesco di Arcimboldo, in cui le fattezze di un uomo sono ricreate attraverso la combinazione di libri di vario formato. 2 L’accostamento è legittimato da due possibili considerazioni : da un lato, l’appartenenza del filosofo e dell’artista ad una temperie culturale comune, che li vide – tra l’altro – gravitare entrambi (seppur in modi diversi) intorno alla corte dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, contesto sensibile all’immaginario alchemico che caratterizza tanto Arcimboldo quanto Della Porta. 3 Dall’altro lato, e al di là di concomitanze storicamente fondate, l’accostamento mira a rivelare una componente essenziale della figura dellaportiana, figura di uomo e di studioso che nel culto del libro si riconosce e si identifica. Per lui non si trattava esclusivamente di aderire al gusto collezionistico sempre più in voga tra fine Cinque e inizio Seicento, tendenza che, d’altra parte, la Wunderkammer dellaportiana incarnava al meglio. 4 I libri – quelli in cui Della Porta vorrebbe trasformarsi – non sono solo semplici oggetti da collezione, essi vivono con chi li possiede e chi li possiede vive con essi. Sono i libri scritti, copiati, cercati e rincorsi con passione, ora custoditi gelosamente, ora dati generosamente in prestito se non propriamente ceduti ; un universo di volumi che vive quasi di vita propria, strumenti non sempre infallibili che, anche in virtù della propria fallibilità, si rivelano imprescindibili per l’avanzamento e la diffusione del sapere. E allora forse, più che all’uomo fatto di libri di Arcimboldo, dovremmo accostare i  



















1   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 253 inf., n° 80, c. 150r-v, lettera di Giovan Battista Della Porta al cardinale Federico Borromeo, 15 novembre 1612 (edita in Giuseppe Gabrieli, Bibliografia Lincea. i. Giambattista Della Porta. Notizia dei suoi manoscritti e libri, edizioni, ecc. con documenti inediti, « Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », ser. vi, viii (1932), p. 268 ; e poi in Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1989, vol. i, p. 735). Per le lettere della Biblioteca Ambrosiana, le trascrizioni sono nostre, basate sugli originali (si fornisce comunque, quando pubblicate, il riferimento all’edizione). Per i rapporti importanti tra i primi accademici Lincei ed il cardinale Borromeo, si veda Giuseppe Gabrieli, Federico Borromeo e gli accademici lincei, in Contributi …, cit., pp. 1465-1486. 2   Giuseppe Arcimboldo, Il bibliotecario (1566), Castello di Skoklosters, Svezia. 3   Arcimboldo fu a Vienna dal 1562 al servizio dell’imperatore Massimiliamo II d’Asburgo prima di seguire il successore, Rodolfo II, a Praga, dove l’artista rimase fino al 1587. I rapporti tra Giovan Battista Della Porta e la corte di Praga risalgono invece agli ultimi anni della vita dello scienziato (com’è noto, Rodolfo invitò Della Porta a Praga nel 1604 ; cfr. Raffaella Zaccaria, Della Porta, Giambattista, in *Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 37, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1989, p. 175). Sul contesto culturale della corte di Rodolfo II, cfr. Robert John Weston Evans, Rudolf II and His World : A Study in Intellectual History, Oxford, Clarendon Press, 1973. 4   Sul “museo” dellaportiano, si veda Giorgio Fulco, Per il ‘museo’ dei fratelli Della Porta, in Rinascimento meridionale e altri studi in onore Mario Santoro, a cura di Maria Cristina Cafisse, Francesco D’Episcopo, Vincenzo Dalla, Tonia Fiorino, Lucia Miele, Napoli, Società editrice napoletana, 1987, pp. 105-175. Napoli, Società Editrice Napoletana, 1986, pp. 3-73. Per un inquadramento più ampio del collezionismo naturalistico della prima età moderna, si veda almeno Paula Findlen, Possessing Nature : Museums, Collecting and Scientific Culture in Early Modern Italy, Berkeley, University of California Press, 1994.  











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eugenio refini

libri di Della Porta a quelli del mago Prospero, emblema – dalla Tempesta di William Shakespeare al film Prospero’s Books del regista Peter Greenaway – di quel mondo di carta che, per dirla con Galileo, rispecchia, interpreta, svela e traduce il grande libro della Natura. Proprio questo è il ruolo che i libri hanno nella magmatica fucina dellaportiana, laboratorio inesauribile in cui ricerca, lettura e scrittura sono le tre facce di un metodo non ancora propriamente scientifico, ma già pienamente improntato alla dimensione euristica dello scambio intellettuale. Un affondo prezioso su tale aspetto della figura di Della Porta giunge dall’epistolario, sul quale vorrei soffermarmi in questa sede guardando soprattutto alle lettere inerenti ai rapporti dello scienziato con la Biblioteca Ambrosiana e, in particolare, presentando un’epistola inedita scritta al bibliotecario Antonio Olgiati, che offre informazioni importanti su quello che fu il destino dei libri dellaportiani (o almeno di alcuni di essi). Non sarà inutile, tuttavia, iniziare con alcune note generali sul carteggio del naturalista : poco meno di quaranta lettere – quello che resta di un corpus molto più ampio – esso ci offre informazioni di vario genere sulle relazioni del filosofo con grandi personaggi del suo tempo, dal suo primo protettore, il cardinale Luigi d’Este, ai sodali dell’Accademia dei Lincei, in primis il fondatore Federico Cesi, dal già citato cardinale Borromeo al riverito Ulisse Aldrovandi, per un lasso di tempo che va dalla fine degli anni Settanta del sedicesimo secolo al 1615, anno di morte dello scienziato. 5 I temi trattati da Della Porta nelle sue lettere sono innumerevoli e spesso molto circostanziati : scrivendo al cardinale d’Este, principalmente interessato alle ricerche di Della Porta sulla pietra filosofale, il nostro si sofferma ora sull’occhiale parabolico, ora sulle virtù della conserva di garofani ; 6 in una lettera inedita oggi conservata presso l’Archivio di Stato di Modena si dilunga sul « secreto della neve » che, unita al salnitro, produce effetti meravigliosi, comparabili a quelli di una cella frigorifera portatile ; 7 altrove, sono i suoi interessi per la fisiognomica a prendere il sopravvento. 8 Analogamente, scrivendo all’Aldrovandi, Della Porta si profonde in dettagli su segreti naturali miracolosi, ma scrive anche dell’importanza del « ritratto » come sostituto dell’osservazione diretta di piante e animali insoliti, mostrando di condividere con il naturalista bolognese l’attenzione per le illustrazioni che, in modo diverso, caratterizza le opere di entrambi. 9 Ricche di dettagli  





   





   









5   Le epistole note di Della Porta coprono il periodo 1579-1614. Dieci, risalenti al 1579-1586, sono indirizzate al cardinale Luigi d’Este : oggi conservate a Modena, Biblioteca Estense Universitaria e Archivio di Stato, sono edite in Giuseppe Campori, Giovan Battista Della Porta ed il cardinale Luigi d’Este, « Atti e memorie delle Regie Deputazioni di Storia Patria per le province modenesi e parmensi », vi (1872), pp. 165-190. Tre lettere del 1590 a Ulisse Aldrovandi, note attraverso copie conservate nel fondo Aldrovandi della Biblioteca Universitaria di Bologna, sono pubblicate in appendice a G. Gabrieli, Bibliografia Lincea…, cit., pp. 262-266 (poi in Contributi ..., cit., pp. 731-734). Quindici lettere al fondatore dell’Accademia dei Lincei, Federico Cesi, incluse nei manoscritti xii e xv dell’Archivio Linceo (Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana), sono edite – per quanto riguarda i rapporti con Galileo – in Baldassare Odescalchi, Memorie istorico critiche dell’Accademia dei Lincei e del Principe Federico Cesi, Roma, Luigi Perego Salvioni, 1806, pp. 90-94, e Baldassarre Boncompagni, Intorno ad alcuni avanzamenti della Fisica in Italia nei secoli xvi e xvii, Roma, Tipografia della Belle Arti, 1846, pp. 40-43 ; poi in modo sistematico in Giuseppe Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, « Giornale critico di filosofia italiana », viii (1927), pp. 360431 (ora in Contributi …, cit., pp. 635-685) e Id., Il carteggio linceo, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1996, nn. 14, 16, 19, 49-52, 54-55, 70, 112-113, 122-123, 125, 152, 180, 192. Le epistole al cardinale Federico Borromeo conservate presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano sono edite in G. Gabrieli, Bibliografia Lincea…, cit., pp. 267-270 (poi in Contributi …, cit., pp. 734-737). Nel Carteggio linceo si leggono anche una lettera a Giovanni Faber (1612) ed una a Galileo Galilei (1614) : Id., Il carteggio linceo, cit., nn. 202, 358. 6   Della Porta si sofferma sull’« occhiale parabolico » nelle lettere al cardinale d’Este del 29 novembre 1580 (G. Campori, Giovan Battista Della Porta …, cit., nº 2, pp. 183-184), e del 10 dicembre 1580 (ivi, nº3, pp. 184-185) ; le virtù della conserva di garofani sono ricordate nella lettera del primo luglio 1581 (ivi, nº 4, p. 185) ; la pietra filosofale è al centro della lettera del 14 maggio 1583 (ivi, nº 7, pp. 186-188). 7   Modena, Archivio di Stato, Archivi per materie, Letterati, Busta 55, lettera del 9 marzo 1582. 8   Oltre alla lettera citata alla nota precedente, vedi quella del 14 maggio 1583 (ivi, nº 7, pp. 186-188). 9   Particolarmente interessante, da questo punto di vista, la lettera a Ulisse Aldrovandi del 7 giugno 1590 (Bolo 





















note sul carteggio dellaportiano

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sulle prime vicende lincee e sul tentativo di avviare la colonia accademica napoletana, le lettere a Cesi mostrano il lato più umano del vecchio, ma inesausto scienziato, ansioso di portare i suoi ultimi frutti alla luce della stampa e costantemente sensibile al pensiero della posterità. 10 Tuttavia, a fronte di temi così diversi e preoccupazioni tanto varie, è possibile individuare nelle lettere di Della Porta un vero e proprio leitmotif, ovvero i libri che, soprattutto nelle epistole degli ultimi anni, costituiscono la preoccupazione primaria del filosofo napoletano. Spesso si tratta delle opere stesse di Della Porta, che l’autore si premura di divulgare. 11 Altrove sono i progetti di opere non ancora compiute ad impegnare lo scienziato nelle sue conversazioni epistolari : emblematici i casi della Taumatologia e del De Telescopio. La prima, summa delle ricerche dellaportiane sui « secreti naturali », fu promessa tanto al Borromeo quanto al Cesi ; 12 il secondo, finalizzato a rivendicare la priorità dellaportiana nell’invenzione del cannocchiale, è menzionato a più riprese nelle lettere della vecchiaia. 13 Un’apprensione particolare è poi quella che Della Porta nutre per il destino della propria biblioteca, dei “suoi” libri, volumi a stampa e manoscritti, appunti autografi e carte copiate da altri che hanno accompagnato il suo percorso di studioso. Come è noto, con testamento del primo febbraio 1615, tre giorni prima di morire, il filosofo lasciò in eredità i libri alla figlia Cinzia, ai nipoti Filesio, Leandro ed Eugenio e al genero Alfonso di Costanzo. 14 È altrettanto noto che Cesi tentò di assicurare all’Accademia dei Lincei il lascito librario dello scienziato, « vero capolavoro di trattativa diplomatica e tuttavia disgraziatamente fallito », come ritenne Giuseppe Gabrieli nel suo profilo dellaportiano del 1927. 15 In effetti, incrociando i dati che emergono dalle lettere di Della Porta a Cesi con quelli attestati dalle lettere di Cesi a Galileo e ad altri sodali, è possibile ricostruire in modo dettagliato le fasi della vera e propria trattativa che coinvolse il progetto del cosiddetto “Liceo” napoletano. 16 Le istruzioni date da Cesi al procuratore dell’Accademia Francesco Stelluti in vista del sopralluogo a Napoli del 1613 e riportate dal manoscritto Archivio linceo iv sono chiare. 17 Dopo aver donato a Della Porta la medaglia celebrativa che lo ritrae, Stelluti dovrà indirizzare la conversazione sui libri, ovvero sullo « studio » dello scienziato :  









   





















Se in tutto questo tempo da sé sarà uscito o haverà motivato del studio, potrà havere allhora presa occasione ; se non, dopo questo, motivi lei in questo modo : prima dandoli occasione acciò esca da  



gna, Biblioteca Universitaria, Ms. Aldrov. 136, t. xiii, cc. 294r-295r ; edita in G. Gabrieli, Bibliografia Lincea …, cit., pp. 262-263, poi in Contributi …, cit., pp. 731-732). 10   Per il corpus delle lettere al Cesi (1604-1612), si veda G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, cit., e Id., Il carteggio linceo, cit. (cfr. nota 5). 11   Cfr. i riferimenti ad opere dellaportiane nelle lettere al Cesi riportate in G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, cit., pp. 368-380. 12   Per la Taumatologia, ricordata in molte lettere dellaportiane, cfr. la recente edizione Tau. 13   Si vedano, per esempio, le lettere al Cesi del 28 agosto 1609 e a Galileo del 26 settembre 1614 (G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, cit., pp. 370, 382 ; e Id., Il carteggio linceo, cit., nº 50, pp. 114-115, nº 358, p. 461). 14   Per il testamento dellaportiano, cfr. Camillo Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, « Archivio storico delle province napoletane », v (1880), 1, pp. 137-140. 15  G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, cit., p. 395. 16   Sulle vicende del Liceo napoletano, si veda Giuseppe Gabrieli, Il « Liceo » di Napoli : lincei e linceabili napoletani amici e corrispondenti della vecchia accademia dei Lincei nel mezzogiorno d’Italia, « Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei », ser. vi, xiv (1938), pp. 499-565 (poi in Contributi …, cit., pp. 1497-1548. 17   Le istruzioni di Cesi a Stelluti sono conservate a Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, ms. Arch. Linc. iv, cc. 292-293. Si cita il testo da G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, cit., pp. 386-393 (poi in Contributi ..., cit., pp. 664-673).  

















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sé ragionando di librarie et in libraria ; non succedendo, escagli in simil occasione, o di ragionamento, o guardando e ricercando il suo studio con ogni destrezza. 18  



E ancora, dopo aver ricordato l’intenzione precedentemente espressa da Della Porta di donare i libri ai Lincei, Cesi prosegue raccomandando a Stelluti di sottolineare che il desiderio dell’Accademia è esclusivamente animato dall’intenzione di conservare lo « studio » a eterna memoria del filosofo e a vantaggio dei futuri studiosi. 19 Contestualmente, suggerisce il princeps linceo, sarà opportuno – al fine di convincerlo – far riflettere Della Porta sul rischio di una futura dispersione della biblioteca qualora non sia destinata ad una sede istituzionale sicura. 20 Federico Cesi non fu però il solo a mettere gli occhi sui libri dellaportiani. Dalle lettere di Della Porta emerge infatti che, all’incirca nello stesso periodo, tra 1611 e 1612, lo scienziato aveva intenzione di donare parte dei suoi volumi alla Biblioteca Ambrosiana – e torniamo qui agli scambi epistolari con il cardinale Federico Borromeo da cui abbiamo preso le mosse. La vicenda, mai stata studiata in dettaglio, è nota attraverso le quattro lettere conservate di Della Porta al Borromeo, alle quali si aggiungono tre lettere inviate al cardinale da Francesco Piazza, canonico di Santa Maria della Scala e agente fidato del Borromeo, due lettere dello stesso Piazza ad Antonio Olgiati, primo prefetto della Biblioteca Ambrosiana e, infine, una lettera inedita di Della Porta ad Olgiati stesso, documento prezioso non solo per lo studio dei rapporti tra lo scienziato e l’Ambrosiana, ma anche per il contributo che offre alla ricostruzione – sia pur parziale – della biblioteca di Della Porta. 21 Se da un lato l’intreccio di documenti conferma l’ansia dellaportiana di assicurarsi la posterità attraverso i libri, dall’altro – come già nel caso del carteggio linceo – le lettere lasciano trasparire gli interessi della controparte. Il primo contatto di Della Porta con il Borromeo è testimoniato dalla lettera del 19 luglio 1611 : lo scienziato, avendo udito proprio da Francesco Piazza della « gran libreria » che il cardinale ha « eretta e va tuttavia restituendo », manifesta il proprio « ardente desiderio » di contribuire al progetto. Della Porta, che afferma di essere stato, fin dalla giovinezza, « curiosissimo di rari libri et scritti a penna », mette la propria collezione a disposizione del Borromeo. 22 La lettera, scritta dal Piazza e firmata da Della Porta, raggiunge il car 





























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  G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo, cit., p. 390 (poi in Contributi ..., cit., p. 669).   Ibid. : « Dicale che lei venendo qui subito in colloquio diede conto del’intentione che lui diede, e che fu carissima e obligò tutti grandemente e me in particolare, e che m’è desideratissimo l’adempimento, non per alcuno interesse, poiché io che fo cento potrò anco far cento e tre, ma solo per honor nostro di conservar nel Liceo il suo studio a perpetua sua memoria, con la debita gratitudine, e poterci honorare il titolo di suoi discepoli e seguaci mostrando l’opera fondata sopra il suo valore. Che così si conservarà in perpetuo, sarà visitato da forastieri dopo lui, come hora visitano lui stesso […] ». 20   Ibid. : « Che altrimente si gettarebbe via, poco utile farebbe in casa, o restandovi non usata, o se si vendesse e dissipasse ; e così nobilmente rimanendo conservata, potrebbe da essi studiarsi e da noi, e sarebbe opra utile a’ posteri, santa, e nobile, e si ci porrebbe l’inscritione nel Liceo col ritratto in marmo, e otterrebbe l’honore e titolo di Primo Benefattore ». 21   Si propone di seguito un prospetto in ordine cronologico delle lettere in questione, tutte conservate presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano : [1] lettera di Francesco Piazza al cardinale Federico Borromeo, 19 luglio 1611 (ms. G 206 inf., nº 252, c. 494r) ; [2] lettera di Della Porta al cardinale Borromeo, 19 luglio 1611 (ms. G 206 inf., nº 251, c. 493r) ; [3] lettera di Piazza al cardinale Borromeo, 6 settembre 1611 (ms. G 206 inf., nº 270, c. 526r-v) ; [4] lettera di Della Porta al cardinale Borromeo, 2 ottobre 1611 (ms. G 253 inf., nº 23, c. 36r-v) ; [5] lettera di Piazza a Borromeo, 4 ottobre 1611 (ms. G 206 inf., nº 248, c. 487r-v) ; [6] lettera di Piazza ad Antonio Olgiati, 29 novembre 1611 (ms. A 300 inf., cartella nº 13, lettera Nº49, c. 123r-v) ; [7] lettera di Piazza a Olgiati, 6 dicembre 1611 (ms. A 300 inf., cartella nº 13, lettera Nº 50, c. 125r) ; [8] lettera di Della Porta al cardinale Borromeo, 6 dicembre 1611 (ms. G 253 inf., nº 41, c. 75r-v) ; [9] lettera di Della Porta a Olgiati, 6 dicembre 1611 (ms. A 300 inf., cartella nº 17, nº 70, c. 174r-v) ; [10] lettera di Della Porta al cardinale Borromeo, 15 novembre 1612 (ms. G 253 inf., nº 80, c. 150r-v). 22   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 206 inf., nº 251, c. 493r (G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 267 ; poi in Contributi …, cit., p. 734). 19





































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dinale insieme ad una del Piazza stesso, datata anch’essa 19 luglio 1611 : il canonico, che riferisce del suo colloquio con Della Porta, conferma l’interesse dello studioso per la biblioteca (« mi dimmandò in che termine si ritrovava la libreria »). Le parole del Piazza (« Io gli rispose quello che l’affetto della verità mi detò ») accendono il vecchio « d’un grande desiderio di farsegli servidore et offerirgli quanto di buono havea, acciò dalla fama d’un sì magnanimo mecenate, […] ricevesse nova luce, quale sogliono ricevere l’opre che in cotesta libraria Ambrosiana si ritrovano di varii huomini famosi ». Piazza, che per conto del Borromeo peregrinava per l’Italia a caccia di preziosità bibliografiche, non nasconde le potenzialità della trattativa : « Io ne spero felicissimo successo con frutto grande, et gusto non mediocre ». 23 Il 6 settembre dello stesso anno, ancora da Napoli, il canonico comunica al cardinale il piacere di Della Porta nel ricevere una sua risposta alla lettera di luglio e preannuncia l’invio di un elenco di volumi (« questa settimana che viene farà un indice delli libri suoi tanto stampati, come scritti a penna, et suoi et d’altri più scielti et curiosi ») affinché il Borromeo possa selezionare quelli che più lo interessano. Ed è ancora una volta il tema dell’immortalità attraverso i libri a giustificare la buona disposizione dello scienziato (« contentissimo che gli sii nata così felice sorte in questa sua vecchiaia, con che doppo la morte sua del corpo, il nome, l’ingegno et opre restino immortalitate »). 24 La prima spedizione di libri – affidati a quello stesso Fabio Leuco che si occupò di procurare il ritratto di Della Porta per la serie degli uomini illustri della Pinacoteca Ambrosiana – è attestata dalla lettera del filosofo al Borromeo del 2 ottobre 1611, che giunge a Milano insieme con un’altra lettera del Piazza datata 4 ottobre. 25 Della Porta indica i libri inviati, tutte sue opere di recente pubblicazione, un elenco delle quali torna scrupolosamente nella missiva del Piazza : La Fisonomia dell’huomo, la Magia Naturale, la traduzione latina del primo libro dell’Almagesto di Tolomeo con il commento di Teone, gli Elementorum curvilineorum libri tres, il De munitione, il De aeris transmutatione e i Tre libri de’ spiritali. 26 « Gl’altri non mando », afferma Della Porta in ossequio al topos modestiae, « perché stimo che stiano costà, e sarebbe un aggiongere un poco di acqua al mare ». 27 La lettera include però anche un elenco di manoscritti « curiosissimi » che lo scienziato napoletano propone al cardinale : oltre alla Prospettiva di Ruggero Bacone, una serie di testi tradotti dall’Arabo, tra i quali la Prospettiva di Tolomeo e opere varie sulle proprietà di gemme, piante e animali. 28 Il corpus andava incontro all’interesse del Borromeo per la tradizione araba,  























































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  Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 206 inf., n° 252, c. 494r.   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 206 inf., n° 270, c. 526r. 25   Per la lettera di Della Porta a Borromeo, vedi Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 253 inf., n° 23, c. 36r-v (edita, ma con errore nel riferimento alla segnatura, in G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 269 ; poi in Contributi …, cit., pp. 735-736). Per quella di Piazza, vedi Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 206 inf., n° 248, c. 487r-v. 26   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 206 inf., n° 248, c. 487r : « Ho consegnato al Sig. Fabio Leuco l’infrascritti libri del sig. Gio. Batta della Porta, cioè La fisonomia dell’huomo hora tradotta di latino in Italiano ; Claudii Ptolomei magnae constructionis liber primus : cum Theonis Alexandrimi commentarii, interprete Ioanne Bapta etc. ; Eiusdem elementorum curvilineorum libri tres ; Eiusdem de munitione ; Eiusdem de aeris transmutatione ; I tre libri de spiritali del medesimo ; Della magia naturale del medesimo ». 27   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 253 inf., n° 23, c. 36r (G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 269 ; poi in Contributi …, cit., p. 736). 28   Scrive il Piazza al Borromeo : « Oltre di questi scrive il s.r Gio. Batta et nell’inclusa manda una lista de suoi manuscritti, che compiacendosi V.S. Ill.ma d’essi sarà subito servita » (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 206 inf., n° 248, c. 487r). Più dettagliato Della Porta : « De manuscritti, e curiosissimi hò la prospettiva di Tolomeo tradotta da arabo, che non si trova in greco, la prospettia [sic] di Ruggiero bacone, Hermete de gemmis, et earum virtutibus, delle virtù di pietre, herbe et animali. Tessalo, Kirannide, Harpocratione, e Sesto Placito papirense tradotti da arabo » (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 253 inf., n° 23, c. 36r ; cfr. G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 269 ; poi in Contributi …, cit., p. 736). 24









































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elemento non estraneo all’agenda napoletana del Piazza che, proprio nella lettera del 4 ottobre, ricorda la presenza presso Della Porta dell’arabista Diego d’Urrea, figura chiave nello studio dell’arabo in Italia nel primo Seicento. 29 Della Porta anticipa al cardinale anche la sua intenzione di inviargli una copia della Taumatologia, « dove sono le maggior meraviglie che sieno udite », frutto di lunghe e costose ricerche che risalgono agli anni di servizio presso il cardinale d’Este. Inizialmente destinata a Rodolfo d’Asburgo, l’opera troverà nell’Ambrosiana una sede idonea, purché – afferma Della Porta – essa venga conservata « non nella libraria publica, ma per suoi amici e dependenti », dove la prescrizione (suggerita pure al Cesi con parole analoghe) risente chiaramente degli scrupoli inquisitoriali con cui la pubblicazione di opere simili doveva fare i conti. 30 Le intenzioni del Piazza, energicamente impegnato nell’acquisizione di volumi per la biblioteca milanese, diventano ancor più chiare in una sua lettera al prefetto dell’Ambrosiana, Antonio Olgiati, scritta da Napoli il 29 novembre del 1611. Il passo in questione merita di essere letto per intero :  













Sto tentando un’impresa con lui che se riuscisse non sarebbe se non di grandissimo honore ad esso et utilità alla libraria Ambrosiana, et è che essendo esso già di età di settanta e più anni (Dio lo guardi mill’anni) può morire d’una mattina all’altra, et come il più delle volte accade in simili huomini ricchi di suppelletile litteraria, alcuni si sogliono pigliar l’altrui fatiche per riportarne essi il non meritato honore, al qual inconveniente et pericolo rimediarebbe facilissimamente con lasciare o riponere mentre può le più honorate opere sue quasi in arce Minervae in questa bibliotheca acciò fossero secure dalle mani rapaci di tal huomini. 31  

Secondo quanto emerge dai documenti successivi, il tentativo del Piazza avrebbe avuto un seguito. Una settimana più tardi, il 6 dicembre 1611, il canonico invia all’Olgiati una lettera che include missive di Della Porta per il prefetto medesimo e per il cardinale :  

In quella di Vostra Signoria va inclusa a tergo una poca lista de libri antichi in pergameno de quali si potrà fare la scielta, o sepure ponno servire tutti, tutti se gli manderanno. Ma spero (come esso scrive al signor Cardinale) ne farà una generale che non sarà mala, et sopra il tutto se manda come già ha promesso quel libro suo manuscritto che lo chiama Taumatologia sarà cosa maravigliosa per li secreti esquisiti et non mai più visti. 32  

Se la lettera di Della Porta al Borromeo, nota ed edita da Gabrieli, torna a soffermarsi sulla Taumatologia promessa al cardinale, quella all’Olgiati – segnalata da Kristeller, ma ancora inedita e trascurata dagli studiosi – conferma la dedizione di Della Porta alla causa ambrosiana : « Scrivo a Vostra Signoria una lista di libri antichi, che me ritrovo, se ben non son di cose degne, almen degni per la antichità, che ponno servire per la correctione de  



29   Cfr. le osservazioni di G. Gabrieli, Federico Borromeo …, cit., 1470-1471. Su Urrea si veda anche la lettera di Della Porta a Cesi, 29 dicembre 1611 (G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta linceo …, cit., p. 372 ; poi in Contributi …, cit., pp. 647-648) ; e, ancora, Id., Contributi …, cit., pp. 1519-1520. 30   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 253 inf., n° 23, c. 36r (G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 269 ; poi in Contributi …, cit., p. 736) : « Ho già dato fine ad un libro intitolato Taumatologia, dove sono scritti da 500 secreti provati da me in spatio di 75 anni, e spesi negli esperimenti più di 100 m ducati la miglior parte dell’Ill.mo da Este, e di miei, e de molti principi, e signori miei amici, dove sono le magior meraviglie che sieno udite, qual havea designato mandarlo manuscritto all’Imperadore, al qual sono molto obligato per tanta affettione, che indegnamente mi porta, ma hor udendo i travagli dove si trova, mi par accumularlo di miseria con questo mio libro, m’ho imaginato mandarlo a V.S. Ill.a acciò lo conservi, non nella libraria publica, ma per suoi amici, e descendenti. E spero mandargli presto li titoli di detto libro ». Per simili preoccupazioni, cfr. la lettera di Della Porta a Cesi del 29 agosto 1612 : « vò che l’originale si conservi ne’ tesori del Liceo : che non l’habbi a maneggiare se non il Principe, e chi a lui piacerà » (G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta Linceo …, cit., p. 379 ; poi in Il carteggio linceo, cit., nº 152, pp. 262-263). 31   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 300 inf., cartella n° 13, lettera n° 49, c. 123r-v. 32   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 300 inf., cartella n°13, lettera n° 50, c. 125r.  





















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libri moderni che si imprimono, che per altro non servono ; parendoli degni li mandarò ». 33 L’elenco dei libri « antichi » che Della Porta offre al cardinale – utili, se non altro, per la correzione delle edizioni a stampa degli stessi testi (si noti lo scrupolo filologico dello scienziato) – è riportato sul verso della lettera. Si tratta di un elenco di notevole rilievo, non solo perché riporta informazioni su formati e materiali, 34 ma anche per la varietà dei testi che include : dalla storia (due vite di Plutarco ed il compendio di Giustino delle Historiae Philippicae di Trogo) alla filosofia (il Fedone, il De Amicitia di Cicerone ed il commento di Buridano all’Etica di Aristotele), dalla grammatica greca (Manuele Moscopulo) all’oratoria (Demostene, Cicerone), dalla retorica (Giorgio Trapezunzio) all’esegesi biblica (Basilio di Cesarea, Nicola di Lira). In secondo luogo, esso è degno di nota perché, come accennato dal mittente (« una lista di libri antichi ») e confermato dal Piazza (« una poca lista de libri antichi in pergameno »), i volumi proposti non sono copie contemporanee, ma codici di epoche precedenti. Ancor più significativo diventa l’elenco quando si pensi che quasi tutti i manoscritti menzionati entrarono effettivamente a far parte della Biblioteca Ambrosiana, dove sono tuttora conservati. 35 Il confronto tra la lista dellaportiana e i codici ambrosiani permette di riconoscere testi cui il naturalista si riferisce in modo generico o fuorviante : alla dicitura « Ciceronis orationes et alia opera », per esempio, corrispondono infatti le orazioni Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro, l’invettiva contro Sallustio (accompagnata da quella contro Cicerone di Sallustio stesso), le Catilinariae ed i Paradoxa Stoicorum, mentre il curioso titolo Tractatus in Phedonem corrisponde alla versione latina del Fedone di Leonardo Bruni con proemio introduttivo del traduttore. Quanto agli altri testi greci, poi, sarà interessante osservare la presenza numerosa di traduzioni umanistiche, per lo più bruniane, che testimoniano di un’attenzione particolare rivolta da Della Porta alla storiografia e all’oratoria.  





























33   Si veda la lettera del 6 dicembre 1611 al cardinale Borromeo in G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 270 (poi in Contributi …, cit., pp. 736-737). Per la lettera inedita ad Antonio Olgiati, inedita, vedi il ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 300 inf., cartella n° 17, lettera N° 70, c. 174r-v (cfr. Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum, vol. vi, Leiden, Brill, 1992, p. 60b). 34   Per molti dei manoscritti elencati, Della Porta specifica « in pergameno », e, in molti casi, se si tratta di volumi « in 4° » o « in foglio reale » (Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 300 inf., cartella n°17, lettera N° 70, c. 174v). 35   Il catalogo dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana include manoscritti di provenienza dellaportiana che ci permettono di illuminare alcuni dei riferimenti cursori che incontriamo nella lista del 1611 ; per altri manoscritti, non elencati nella lista del 1611, si può ragionevolmente pensare a spedizioni multiple di volumi da parte del filosofo napoletano di cui non c’è traccia nell’epistolario superstite. Si propone qui di seguito un elenco sommario, rinviando per una disamina approfondita di questi manoscritti ad un nostro studio di prossima pubblicazione : [1] C 82 inf. (xv s. in.), Uguccione da Pisa, Derivationes ; E 36 sup. (prima metà xv s.), Nicola di Lira, Expositio Psalterii, lacunoso ; [2] E 48 sup. (seconda metà xv s.), Giorgio di Trebisonda, Grammaticae artis praecepta ad Andream filium ; Gerolamo, Vita sancti Pauli ; [3] E 86 inf. (a. 1467), Giovanni Buridano, Lectiones in libros Ethicorum Aristotelis ; [4] F 62 sup. (prima metà xv s.), Giustino, Historiae Philippicae ; [5] H 108 sup. (a. 1477), cc. 1r-8v, Pier Candido Decembrio, Comparazione di Caio Giulio Cesare e di Alessandro Magno ; cc. 8v-183v, Quinto Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, tradotta in volgare da Pier Candido Decembrio ; [6] I 108 sup. (xiv s.), 1r-26r, Vegezio, De re militari ; 26r-30v, Isidoro di Siviglia, Isidorus, De re militari aliaeque ethymologiae ; 31r-32r, Bernardo di Clairvaux (ps.), Epistola de gubernatione rei familiaris ; 32r-33v, Taddeo Alderotti, Monita excerpta ex libris medicinalibus ; 33v-34r, Roberto di Alemagna, Pillulae ; [7] N 253 sup. (seconda metà xiv s.), cc. 1r-18r, Cicerone, De amicitia [con glosse] ; 29r-35r, Seneca, De quatuor virtutibus ; 36r-43v, Cicerone, Pro Marcello ; 43v-52v, Pro Ligario ; 52v-58v, Pro rege Deiotaro ; 58v-69v, Paradoxa Stoicorum ; 69v-74v, In C. Sallustium Crispum invectiva ; 74v-76r, Sallustio, In M. Tullium Ciceronem invective ; 76r-96v ; Cicerone, Catilinariae ; [8] Q 6 sup. (xv s.), Manuele Moscopulo, Erotemata grammatica ; [9] R 64 sup. (xv s.), cc. 1r-18v, Plutarco, Vitae parallelae, Antonius. Versio latina a Leonardo Aretino ; 19r-23r ; Basilio di Cesarea, Homilia 22. Versio latina a Leonardo Aretino cum praefatione sua ad Colucium ; 23v-29r, Senofonte, Hiero. Versio latina a Leonardo Aretino cum praefatione sua ad Nicolaum ; 29r-48r, Platone, Phaedo. Versio latina a Leonardo Aretino cum sua praefatione ad Innocentium papam ; 49r-67r, Demostene, Orationes, De corona. Versio latina a Leonardo Aretino cum sua praefatione ; 67v-71r, Orationes, Philippica 3. Versio latina a Leonardo Aretino ; 73r-79v, Plutarco, Vitae parallelae, Sertorius. Versio latina a Leonardo Aretino cum huius prologo ad Antonium Luscum ; 79v-88r, Vitae parallelae, Aemilius Paulus. Versio latina ; 88r-94v, Vitae parallelae, Cato Uticensis. Versio latina. Per una lista dei manoscritti dellaportiani confluiti in Ambrosiana, ma senza riferimento all’inedita lettera ad Olgiati, cfr. G. Fulco, Per il «museo» dei fratelli Della Porta, cit., pp. 146-147.  

















































































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Pochi codici, è vero : una goccia d’acqua nel mare di volumi che avrebbero composto la collezione del Borromeo, e senza dubbio una parte minima di quella che era stata la biblioteca personale di Della Porta, ma anche una delle poche tracce concrete che ci rimangono del poliedrico « studio » dello scienziato e che evoca l’immagine di una raccolta estremamente variegata, perfettamente in linea con la curiosità intellettuale del nostro. Tuttavia altri libri Della Porta avrebbe volentieri inviato all’Ambrosiana : nella lettera al Borromeo del novembre 1612, per esempio, egli torna sulle sue copie di « libri Arabi stampati a Roma » – Avicenna, Euclide, un non meglio identificato « libro di geografia », gli « Evangeli arabi latini et una grammatica » : « non essendovi nella libraria, manderò questi », incalza Giovan Battista. 36 Menziona anche un elenco di « libri scritti di mia mano di scrittori antichi, che non si trovavano, e l’ho comprati a sangue », già inviato al Piazza, che però non ha dato risposta. E torna infine sull’ossessione di una vita, la Taumatologia, di cui attende con ansia la stampa dell’indice – per la quale, come sappiamo dal carteggio linceo, il Cesi si stava adoperando a Roma. 37 Gli scambi epistolari di Della Porta con il Borromeo e la sua cerchia – almeno per quello che ne sappiamo – si interrompono qui ed è difficile dire se ne siano seguiti altri. Certo è che nei mesi successivi le attenzioni del vecchio scienziato sembrano essersi progressivamente rivolte al rapporto con i Lincei e al progetto della colonia napoletana. Quanto al futuro dei suoi libri, l’ansia della posterità non fu probabilmente buona consigliera : ad eccezione dei materiali di lavoro confluiti nelle carte lincee e dei codici ceduti al Borromeo, il lascito testamentario ai componenti della sua famiglia – come paventato tanto dal Cesi quanto dal Piazza – comportò la dispersione della biblioteca dellaportiana, destino non tanto diverso da quello dei libri del mago Prospero, gettati in fondo al mare.  



































36   Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 253 inf., nº 80, c. 150r-v (G. Gabrieli, Bibliografia lincea …, cit., p. 268 ; poi in Contributi …, cit., p. 735). 37   Ibidem : « Aspetto da Roma la licenza di stampar l’indice della mia Taumatologia ; subito che verrà, ne manderò un essemplare a V.S. Ill.ma. Ma il libro manoscritto prometto mandarglielo acciò si conservi separato dagl’altri, che non si manifestino a tutti ; e son certo che sarà degno di sì gran libraria ove sono le fatiche et esperienze di 77 anni mie, e le ricchezze dell’Ill.mo da Este, e mie e d’amici più de 100000 scuti ». Cfr. la lettera a Federico Cesi del 29 agosto 1612 : « Ho avuto sommo contento che V.S. habbi mutato i titoli della sua Taumatologia, e fatto di modo che si imprimino, chè non ho desiato un libro tanto, quanto questo, che mi par avanzi l’umanità, che tutti i libri mi paiono vanità eccetto questo » (G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta Linceo …, cit., p. 379 ; poi in Il carteggio linceo, cit., nº 152, pp. 262-263.  



















GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA NELL’EDITORIA NAPOLETANA DELL’OTTOCENTO Vincenzo Trombetta

A

i fini di un bilancio critico sulla figura e l’opera del Della Porta, la ricostruzione della “fortuna” editoriale costituisce un passaggio ineludibile, e tanto più per il segmento ottocentesco – transito nodale verso la modernità – nel quale si sedimentano cospicue tracce della sua ricezione, a tutt’oggi assai poco investigate. Naturalmente, le scelte, le interpretazioni, i giudizi risentono delle coeve temperie culturali e degli orientamenti ideologici, divenendo così elementi rivelatori del panorama complessivo del secolo, a seconda dei differenti scenari storico-politici del Decennio francese, dell’età borbonica e del quarantennio postunitario. Il Decennio francese

Il processo di rivalutazione di Della Porta scienziato si registra già negli anni francesi. Con l’ascesa al trono di Giuseppe Bonaparte, anche il Regno di Napoli entra nell’orbita militare, diplomatica, politica e culturale dell’Impero napoleonico. Il progetto di amalgamare i popoli europei, così diversi per lingua, tradizioni e consuetudini, ottiene esiti sorprendenti, ma non tali da estirpare sottaciute diffidenze e secolari rivalità, e da arginare tendenze egemoniche e spinte autonomiste. Il fronte della cultura, fatalmente, si rivela esposto a irriducibili contrapposizioni da cui non appaiono esenti neppure alcune espressioni della civiltà rinascimentale fiorita nel Mezzogiorno d’Italia, denigrate al di là delle Alpi. Indicativa la polemica sul Della Porta tra Vincenzo Cuoco, uno dei più accreditati rappresentanti del riformismo napoletano, e un anonimo articolista francese : il direttore del « Corriere di Napoli » replica con sdegno alle critiche faziose riportate dal « Giornale dell’Impero », tradotto, composto e tirato dalla Stamperia Francese di Carlo Antonio Beranger, nel novero degli imprenditori al seguito dei Napoleonidi. Nell’articolo Giovan Battista della Porta napoletano del 2 marzo 1808, definisce una « sciocchezza assoluta » e priva di ogni consistenza l’accusa rivolta all’estensore della Physiognomia di professare la magia, istituendo un’accademia, « o vogliam dirlo ateneo de’ maghi ». Nel ribadire che la « magia naturale parla di tutt’altro che di arte magica », Cuoco biasima il compilatore d’oltralpe, incapace di calare nella corretta prospettiva storica l’opera dellaportiana, e nonostante il proposito di consolidare, tra Napoli e Parigi, quella « fratellevole corrispondenza, che i nuovi rapporti politici e i reciproci vantaggi rendono indispensabile », con amara ironia, conclude :  



























Prima regola di color che non sanno, ed un’altra ancor più essenziale per alcuni giornalisti sarebbe, della letteratura d’Italia parlarne solamente a Parigi : gli applausi saran certi perché gli errori saranno perdonati o non intesi. 1  



Ancora dalle pagine del « Corriere », il 5 marzo, Cuoco deve intervenire per avvisare i lettori delle « moltissime inesattezze » – tra le quali un’erronea affermazione sulle origini del Della Porta – disseminate nel volume di Carlo Denina edito a Parigi nel 1807, intitolato  







1   Vincenzo Cuoco, Scritti giornalistici, vol. ii. Periodo napoletano 1806-1815, a cura di Domenico Conte, Napoli, Fridericiana, 1999, pp. 218-221.

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Essai sur les traces anciennes du caractère des Italiens modernes, des Siciliens, des Sardes et des Corses ed enfaticamente offerto a Eugenio Napoleone vice-re del Regno d’Italia. Al saggio dell’estensore della Bibliopea, che pecca di « molte cose [trattate] non senza trascurataggine, e tutte [abbozzate] con molta leggerezza », Cuoco contesta le forzature di un sistema concettuale precostituito e di certo inappropriato a restituire la complessità della realtà storica. La « réunion de vastes et belles Provinces à ce superbe Royaume » – a detta del Denina – fornisce l’occasione per approfondire la conoscenza dei caratteri fisici e culturali delle popolazioni governate dall’aquila imperiale. Nelle regioni meridionali, la filosofia, la fisica, l’astronomia si erano sviluppate per il concorso di napoletani provenienti dalla Calabria, come Girolamo Tagliavia, Bernardino Telesio e Tommaso Campanella. Infatti agli abitanti delle pianure, l’autore ascrive una natura feroce e bellicosa, con spiccate attitudini alle imprese guerresche ; mentre a quelli di montagna, come i calabresi, attribuisce la predisposizione alle lettere a causa de « l’influence du climat et à la qualitè du pays ». Quindi, per il Denina, la terra calabra risulta il luogo natale di tutti i più famosi intellettuali meridionali, compresi – erroneamente, come rimarca Cuoco – Pomponio Leto di Teggiano, Giordano Bruno di Nola, Giulio Cesare Vanini di Lecce e Giovan Battista Della Porta di Vico Equense. A riscattare ruolo e figura del Della Porta interviene, con il peso della sua riconosciuta autorevolezza, un ormai anziano Pietro Napoli Signorelli, rientrato a Napoli dopo il « triste esiglio » franco-milanese, con la seconda edizione delle Vicende della coltura nelle Due Sicilie. Dalla venuta delle Colonie straniere sino a’ nostri giorni. 2 La monumentale impresa editoriale – composta « ad onore dell’Italia, di cui le Sicilie fanno così gran parte », e tirata in dieci tomi in ottavo per i tipi di Vincenzo Orsino, tra il 1810 e il 1811 – viene dedicata ad Annunziata Carolina regina delle Due Sicilie. Circostanziate le notizie biografiche e scientifiche, riprese dalla precedente tiratura settecentesca, sullo scienziato « destinato a spianar la via a’ maggiori filosofi del secolo seguente », fornite nel secondo capitolo del Tomo iv sullo Stato delle Scienze nel secolo xvi. In dettaglio vengono esaminate le sue sperimentazioni nel campo della fisica, della chimica, della meccanica, dell’ottica, dell’astronomia, che gli avevano assicurato la « reputazione di uomo mirabile e singolare per la scienza, per l’erudizione e per la vastità ed acutezza dell’ingegno ». Pure nella terza edizione, di molto ampliata, della Storia critica dei Teatri Napoli Signorelli gli destina largo spazio per confutare « i giudizi portati dagli esteri su i nostri scrittori, favellandone iniquamente per tradizione » e sostenere, rispetto al presunto primato dei comici francesi, « il trionfo del Porta nella commedia di viluppo ». E addita le sue opere proprio come « modello di viluppo ingegnoso senza sforzo, attivo senza trasporto e naturale senza languidezza ». Poco nota la delibera del governo di Gioacchino Murat che, attestando l’importanza degli scritti dellaportiani, nella seduta del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre 1812, stabilisce di erogare un congruo finanziamento a copertura delle spese di traduzione del De Villa per allestirne una futura edizione. 3 L’opera, come già segnalava il Napoli Signorelli, permetteva di « conoscere dall’esteriore apparenza le virtù nascoste delle piante che posson recare giovamento e migliorare le cose campestri, e per conseguenza gli aurei fondi dell’industria e del commercio ». Persino provenendo da un differente versante ideologico – avverso a quello del Cuoco e  

















































2  Le Vicende della coltura nelle Due Sicilie, o sia storia ragionata della loro legislazione e polizia, delle lettere, del commercio, delle arti, e degli spettacoli dalle colonie straniere insino a noi divisa in quattro parti, erano uscite, in cinque tomi in sedicesimo, per i torchi di Vincenzo Flauto, tra il 1784 e il 1786 ; con un Supplemento, in tre volumi, stampato dall’Orsini dal 1791 al 1793. 3   Angela Valente, Gioacchino Murat e l’Italia meridionale, Torino, Einaudi, 19652, p. 365, n. 1.  

giovan battista della porta nell ’ editoria napoletana dell ’ ottocento 317 distante pure dal moderato Napoli Signorelli – Francesco Colangelo, della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri e custode della ricca biblioteca dei Girolamini, che alla Repubblica Napoletana del 1799 si era opposto incarnando le posizioni più retrive e oscurantiste della repressione legittimista, nel 1813 pubblica con i torchi dei fratelli Chianese il Racconto istorico della vita di Gio : Battista della Porta Filosofo Napolitano con un’analisi delle sue opere stampate, conservandone l’anonimato. 4 Nella prefazione ricorda come Pietro Summonte desiderasse far erigere nel foro partenopeo un monumento a Giovanni Pontano, ma, a suo parere, un tale attestato di stima e gratitudine si sarebbe dovuto tributare ancor più degnamente a Giovan Battista Della Porta, filosofo e naturalista, al quale dedica la sua “fatica” per ristabilirne i meriti scientifici, ignorati dagli stranieri e trascurati in patria. Doveroso, allora, ricostruirne la vita con nuove e più certe notizie e allestire un catalogo ragionato delle opere. Secondo il Colangelo, la sua produzione scientifica, anticipando le scoperte di Galileo e di Newton, aveva originato il sapere moderno, dall’agricoltura alla botanica, dall’ottica alla matematica, dalla meteorologia fino alla teoria delle maree. Del tutto innovativo l’impianto espositivo : infatti, dopo il Racconto Storico che assorbe la prima parte dell’opera – in cui rettifica le inesatte asserzioni del Tiraboschi – l’autore analizza gli scritti dellaportiani non in ordine cronologico, « ma tosto [in] quello delle scienze », analizzando, in altrettanti capitoli, le Cognizioni Matematiche, Fisiche, Ottiche, Idrauliche, Meteorologiche, di Botanica e di Agricoltura, sull’Arte del Distillare, di Fortificazione Militare, Fisiognomiche dell’uomo, ed intorno alla memoria artificiale, della Scienza delle cifre, e Altre sue opere. Per una precisa scelta metodologica, peraltro esposta ai lettori, vengono escluse le opere teatrali. Elogiativa la recensione che Francesco Maria Avellino – pubblicista, filologo e archeologo, che negli anni borbonici sarà chiamato alla direzione degli Scavi del Regno e del Museo Borbonico – si affretta a pubblicare sul « Giornale Enciclopedico di Napoli », foglio miscellaneo impresso nella medesima stamperia. Lo « Scrittore del presente Racconto – afferma il recensore, che non ne svela l’identità – ci sembra non aver nulla omesso per rendere al Porta l’onore che si gli doveva [e] ha saputo pure conoscere e confessar di buona fede gli errori, in cui incorse, ed i difetti, a cui soggiacque ». Ma, pur lodando la pubblicazione, Avellino lamenta l’assenza di qualunque cenno all’attività di commediografo, che ne avrebbe completato il “ritratto”. 5 Sempre nel 1813, presso l’officina calcografica di Nicola Gervasi – « marchand d’estampes » alla strada del Gigante – si avvia la Biografia degli Uomini illustri del Regno di Napoli ornata dei loro rispettivi ritratti. Compilata da diversi Letterati Nazionali, che mira a ripercorre la storia delle province meridionali con l’ausilio di agili profili dei suoi più celebri figli. L’opera, di straordinario impegno editoriale, viene inaugurata negli anni murattiani per terminare, con il quindicesimo volume, nel 1830. Il Pantheon tipografico – in sintonia con il progetto di ricostruzione della storia culturale della Nazione Napoletana – gode del mecenatismo governativo : il Gervasi, che di volta in volta muterà destinatario, dedica il primo tomo a Giuseppe Zurlo, gran dignitario del Real Ordine delle Due Sicilie e ministro degli Affari Interni. Nella vasta panoramica di antiquari, artisti, condottieri, ecclesiastici, filosofi, giureconsulti, letterati, matematici, medici, naturalisti, poeti, storici e teologi – preceduta dalla introduzione « Agli amatori della gloria patriottica » a firma del curatorecompilatore Domenico Martuscelli, anch’egli proveniente dalla schiera del fuoriuscitismo  





























4   In linea con le sue radicate convinzioni politiche, Colangelo, tramite il marchese Giovanni Vivenzio, invia una copia, riccamente rilegata, a Ferdinando IV rifugiatosi, con la corte borbonica, nella capitale dei domini al di là dal faro. 5  « Giornale Enciclopedico di Napoli », anno 1813, settimo anno di associazione, pp. 108-116.  



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repubblicano – vanno segnalate le numerose voci su personaggi rinascimentali redatte da Giuseppe Boccanera da Macerata, compresa quella su Giovan Battista Della Porta, fisico e astrologo, accademico dei Lincei e instancabile indagatore dei segreti della natura, di cui si ricapitolano gli scritti più significativi. La voce, anche in questo caso, rimanda al valore e alla dignità della cultura nazionale e meridionale, di cui Della Porta rappresenta uno dei sommi esponenti. Una cultura – misconosciuta in patria, ma saccheggiata dagli “stranieri” – che i sovrani francesi, nel breve Decennio, si propongono di valorizzare con l’istituzione di scuole, il ripristino di antiche accademie, l’apertura di istituti scientifici e di biblioteche pubbliche. Efficace la conclusione del Boccanera che, « agli occhi dell’intera Europa », reclama il meritato riconoscimento del contributo del grande vicano all’evoluzione del sapere scientifico : 6









Io compierò questa breve Vita con una osservazione che non sembrerà fuori di proposito. Perché così tardi noi abbiamo vendicate le scoperte di Porta, e gli stranieri se ne usurpano l’onore ? Questa non curanza della nostra gloria è colpevole. Divisi e lacerati ne’ precedenti secoli da guerre intestine, privi di esistenza politica, inviliti dalla superstizione, amanti de’ versi delle statue delle pitture, noi allora poco ci curavamo di Filosofia. Perciò Montesquieu tolse gran parte de’ suoi pensamenti dagli scritti di Gravina, di Campanella e di Vico ; Boulanger e Rousseau dagli stessi, Gravesande ed altri da quelli di Porta […]. Lungo sarebbe il catalogo degli stranieri, che ci tolsero l’onore delle nostre scoperte. Monti ne ha dato un rapido cenno ; ed io spero, che qualche Italiano […] compia l’impresa da quel grand’uomo incominciata. L’Italia riacquisterà i suoi diritti a gloria più solida nelle scienze, ed il vero apparirà senza velo agli occhi dell’intera Europa.  





L’età borbonica La fama e la notorietà del Della Porta, simbolo della scienza napoletana in grado, tra Cinque e Seicento, di disegnare nuove mappe della conoscenza, si consolida negli anni borbonici, ma con accenti più variegati, nei quali non si manca d’indulgere a rivisitazioni letterarie e romanzate nel solco dell’inclinazione romantica verso le “patrie glorie”. Nel 1824 Giulio Genoino, articolista, commediografo, librettista e canzonista, poeta e scrittore vernacolare, per la Stamperia della Società Filomatica pubblica le Opere drammatiche, 7 in tre volumi in dodicesimo. L’autore esplicita il programma di un nuovo genere concepito per « presentar su le Scene le belle azioni de’ più chiari Concittadini che onorassero un tempo la Patria ». Alcune celebrità della cultura partenopea si trasformano, dunque, in altrettanti interpreti di pièces teatrali – Giovan Battista Vico commedia in quattro atti ; Gio. Battista De La Porta commedia in quattro atti ; I Sannazzaro dramma storico in cinque atti – nelle quali s’intrecciano, in una più o meno attendibile cornice storica, affanni domestici, liti, ilari facezie, episodi di ordinaria quotidianità, tradimenti, passioni, lacrimevoli storie d’amore, per conseguire – come scrive il regio revisore Biagio Roberti – « uno scopo eminentemente morale ». Una sapiente miscela di trovate, colpi di scena, buoni sentimenti e finali edulcorati assai gradita al gusto e alla sensibilità dei lettori, accorsi assai numerosi a sottoscrivere l’impresa editoriale. 8  















6   Espulso dal Regno, « d’anni 36, capelli e ciglio negro, occhi cervoni, naso giusto, mento regolare, viso tondo, con barba », il Martuscelli insegna latino prima nel liceo imperiale di Marsiglia e poi nella scuola secondaria di Monasque, nel Dipartimento delle Basse Alpi. Cfr. Benedetto Croce, Esuli napoletani in Francia in conseguenza dei casi del 1799 (dalle carte della polizia francese), « Archivio Storico per le Province Napoletane », n.s., a. xviii (1932), p. 353. 7  Vedi Sosio Capasso, Giulio Genoino. Il suo tempo, la sua patria, la sua arte, prefazione di Aniello Gentile, Frattamaggiore, Istituto di Studi Atellani, 2002, p. 88. 8   Negli elenchi dei sottoscrittori che figurano al termine di ogni volume, compaiono ministri, alti funzionari, aristocratici, autorità giuridiche e militari, scrittori e docenti e, ancora, una sostanziosa quota di lettrici. Tra quelli  







giovan battista della porta nell ’ editoria napoletana dell ’ ottocento 319 Nell’introdurre la « nuovissima » commedia sul Della Porta – « mai esposta sulle scene » – Genoino avverte i propri lettori :  









Voi ci troverete tutto quello che vorrete. Matematiche, Fisica, Chimica, Farmaceutica, Botanica, Ottica, Statica, Idraulica, Magia bianca. Sentirete parlare di nuove scoperte, di sperimenti, di cifre, di distillazioni, di Accademie, di Musei, di fortificazioni militari, di Commedie, di fuochi artificiali. Vedrete calamite, lenti, cannocchiali, telescopi, e fin la lanterna magica […]. Il Porta si lusingò di poter conoscere dagli esterni lineamenti del volto le ascose affezioni del cuore, anche quelle delle donne [con] tanta vaghezza di questa scienza, che ne fece il suo studio prediletto, e la sua passione.

L’intreccio si dipana, godibile, tra i diversi personaggi nella casa di campagna, a Napoli, con il primo atto che, simbolicamente, si apre nel gabinetto di studio con le scansie stracolme di libri, lo scrittoio e una tavola ingombra di strumenti fisici. Pur ascrivendo al Della Porta grandezza di spirito e fecondità d’ingegno, Genoino utilizza l’invenzione teatrale per dimostrare la fallacia del suo metodo fisiognomico, inadatto a decifrare le infinite sfaccettature dei caratteri attraverso la tipizzazione dei tratti somatici rapportati al mondo animale. La morale viene anticipata dallo stesso autore che, assecondando la voce “dell’arte”, rifiuta quel determinismo psicologico effetto di una troppo schematica teorizzazione scientifica :  

Leggete la Commedia, e vedrete come il Porta, fidando troppo ai tratti della fisionomia, s’inganni. […]. Infine però riconosce il suo errore […]. Allora apertamente confessa che la sua è una scienza di semplice congettura.

La chiosa del Genoino, secondo cui la stesura della commedia « Mi è costata tanto studio, e fatica per lavorarla », trova riscontro nell’apparato delle note finali, che rinviano alle edizioni dellaportiane e alle sue più recenti biografie. Il Della Porta, agli inizi degli anni Trenta, compare nel nuovo repertorio biografico del Colangelo dal titolo Storia dei filosofi e dei matematici napoletani e delle loro dottrine da’ Pitagorici sino al secolo xvii dell’era volgare, che amplia le Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli pubblicate dall’abate Matteo Barbieri, nel 1778, presso Vincenzo Mazzola Vocola, « impressore di Sua Maestà ». L’autore, che nella sottoscrizione si fregia della nuova carica di Vescovo di Castellammare e di Presidente della Giunta di Pubblica Istruzione, dedica i due tomi – usciti dalla Tipografia degli eredi di Angelo Trani – a Ferdinando II re delle Due Sicilie. Il secondo tomo, edito nel 1834, accoglie il medaglione sul Della Porta, che riassume il Racconto istorico, rinviandovi ulteriori approfondimenti. 9 Ben tre anni di sistematiche investigazioni nei fondi delle biblioteche pubbliche e private occorrono a Camillo Minieri Riccio – archivista, bibliofilo, « indefessamente applicato » agli studi storici – per completare le Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, stampate in quarto da Vincenzo Puzziello, editore, tipografo e libraio a via Toledo. A intraprendere l’opera, scrive l’autore,  













mi spinse il vedere che quelle nazioni oltre monti ed oltre mare barbare eran dette da’ nostri antichi scrittori tutto giorno grandi volumi della loro storia letteraria caccian fuori mentre la bella Italia inseriti nel tomo dellaportiano risultano : Francesco Cito, Nicola Giannotti, il direttore della Polizia Generale Nicola Intonti, Luigi de Medici, Vincenzo Lanza, Pietro Pulli, il generale Diego Naselli, il marchese Donato Tommasi ; e la principessina Angri di Avellino, Giulia Afan de Rivera, Teresina d’Aquila, Michelina de Camelis, le duchessine de Fusco Cito e Miranda Gaetani, e ancora Teresa Mazza, Margherita Santangelo, Mariannina Talamo, Francesca Ulloa. 9   Vedine la ristampa in L’opera di Giovambattista della Porta nell’interpretazione del vescovo Colangelo, a cura di Salvatore Ferraro, Vico Equense, s.e. [ma Piano di Sorrento, Tipografia La Modena], 1986. L’opuscolo è stato pubblicato in occasione del quarto centenario della De Humana Physiognomia, tirata a Vico Equense dal tipografo aquilano Giuseppe Cacchi.  



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regina delle scienze e delle lettere giace quasi negletta ed affatto dimenticata sopra tutto quelle regioni oggi formano il Reame di Napoli.

Pur nella loro sinteticità, le schede biografiche impaginate su due colonne – tra cui quella sul Della Porta – forniscono, soprattutto per gli autori dell’Umanesimo e del Rinascimento, una non trascurabile rassegna. Il vii Congresso degli Scienziati Italiani del 1845 rappresenta una straordinaria vetrina per l’editoria partenopea chiamata a diffondere le recenti acquisizioni della cultura scientifica. Un’occasione d’indubbia valenza politica, commemorata con una prestigiosa edizione, dai palesi intenti encomiastici, promossa dalle stesse autorità borboniche : i partecipanti alla « solenne festa delle scienze severe », infatti, ricevono in omaggio i due tomi in quarto di Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze elegantemente tirati nella stamperia di Gaetano Nobile, allora dislocata « Sotto l’edifizio de’ Reali Ministeri ». Nella sezione relativa alle Vicende scientifiche e letterarie (in età moderna) Giambatista Ajello ricorda, alla platea degli scienziati, la precocità e il primato delle numerose scoperte del Della Porta. Nel clima di fervore intellettuale si pubblica pure Agli scienziati d’Italia del vii Congresso che i soci pontaniani offrono in dono ai congressisti. La miscellanea, impressa dalla Stamperia e Cartiera del Fibreno a via Trinità Maggiore, raccoglie saggi scientifici, studi antiquari, indagini economiche e componimenti poetici. La dimensione umana del Della Porta ispira le Stanze di Giuseppina Guacci Nobile, tra le più apprezzate scrittrici di quegli anni, che, con sensibile partecipazione, ne sottolinea l’ansiosa curiosità e l’inesausta tensione volta a scoprire i misteri della natura. Ignoti i motivi della ristampa, ancora nel 1845, del Racconto istorico, che il settantaseienne Colangelo ripubblica a Roma per la Tipografia delle Belle Arti senza apportarvi revisioni, modifiche o aggiunte. Forse proprio per replicare al testo ormai invecchiato da oltre un trentennio e sottoporre l’opera dellaportiana a un vaglio meno agiografico, Baldassare Boncompagni Ludovisi per il « Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti », tirato nella stessa stamperia, compila, nel 1846, il saggio Intorno ad alcuni avanzamenti della fisica in Italia nei secoli xvi e xvii. Nel fondato bilancio scientifico, l’estensore dichiara che, sebbene al Della Porta non si possa concedere il merito di inventore della camera oscura, « non sembra peraltro poterglisi negare la lode d’averla pel primo indicato ». La disamina sul fecondo apporto dello scienziato vicano si conclude con le pagine dell’Addizioni che, tra l’altro, comprendono il primo libro della Taumatologia, opera inedita dedicata a Rodolfo II d’Asburgo, notoriamente dedito al culto delle arti e delle scienze occulte.  

















Il quarantennio postunitario Ben più nutrita la produzione postunitaria. La figura di Della Porta, nel nuovo orizzonte storico, si colora di connotazioni “italiane”, quale gloria nazionale, e non più solo partenopea, in coerenza con quella adesione alla patria comune – per la cui edificazione si erano mobilitate le migliori energie intellettuali del Meridione – e con la difesa dell’identità culturale, cardini ideali della produzione editoriale partenopea. Nel primo decennio dell’Italia unita si ritorna sul versante teatrale. Luigi Settembrini, patriota e letterato reduce dall’esilio irlandese, nel 1868 mette a stampa, per la Tipografia Ghio a Santa Teresa degli Scalzi, ai tre tomi delle Lezioni di letteratura italiana dettate nell’Università di Napoli che « furono letti, come un bel romanzo, con avidità dall’un capo all’altro d’Italia ». 10 Nell’Ateneo, rinnovato dal De Sanctis, il discepolo del Puoti, di fronte al folto uditorio dei suoi scolari, sostiene che le commedie dellaportiane  



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  Luigi Russo, La nuova Italia, in *Storia della Università di Napoli, Napoli, Ricciardi, 1924, p. 694.

giovan battista della porta nell ’ editoria napoletana dell ’ ottocento 321 hanno intreccio ingegnoso, caratteri ben disegnati, affetto vero, dialogo vivo, dizione facile, e lingua che parrà buonissima a tutti coloro che non credono stare il buono della lingua unicamente in Toscana. Anzi se v’ha difetto, a mio credere, in queste commedie è appunto un po’ di toscanesimo. Sono imitazioni di Plauto, ma ringiovanite da idee e sentimenti nuovi, che il Porta dipinge a maraviglia. [L’autore] fu uno de’ principali uomini del suo secolo, e le sue opere di scienze e di arte, latine e italiane, attendono una monografia che le faccia ricordare agl’Italiani, spesso dimentichi dei loro migliori. 11  

L’appello a un complessivo lavoro sul Della Porta sembra essere raccolto da Pietro Ardito – canonico della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, professore al Seminario di Nicastro e poi all’Istituto Tecnico di Spoleto – come si ricava da una lettera che lo stesso Settembrini spedisce a Francesco Fiorentino il 10 dicembre 1869 manifestando, però, fondate riserve dovute non tanto alle competenze del volenteroso sacerdote, ma alle difficoltà di reperimento dei testi dellaportiani. 12 La vita e le opere del Della Porta, nel corso degli anni Settanta, oltrepassano la ristretta cerchia degli specialisti per affacciarsi al mondo della scuola. Nell’ambito delle celebrazioni letterarie organizzate nel Liceo “Giordano Bruno” di Maddaloni, il professore Cesare Fornari recita il discorso Di Giovanni Battista della Porta e delle sue scoperte, che lo stabilimento dei fratelli De Angelis imprime nel 1871. Nel medesimo anno, Giovanni Palmieri, docente di fisica nel Liceo di Salerno, stampa nella sede locale della Tipografia Migliaccio il Tentativo d’una biografia di G.B. Della Porta e d’un’esposizione della sua Magia Naturale. Nel frontespizio dell’opuscolo campeggia, quale epigrafe, un passo tratto dalle Stanze della Guacci Nobile. Dopo un primo corposo capitolo dedicato alla biografia, Palmieri enuclea gli argomenti della Magia in venti paragrafi, preferendo i « fatti [e] tralasciando in gran parte le sue idee teoriche [che] come spesso si è notato, sono puerili o false » : la putrefazione come fattore di riproduzione di animali e piante ; il libro dell’economia domestica e la conservazione degli alimenti ; la trasformazione dei metalli, che compendia le idee degli alchimisti ; la fabbricazione delle pietre preziose artificiali ; il trattato del magnete ; le sostanze soporifere ; i cosmetici per le donne e la tintura dei capelli ; la distillazione e gli agenti chimici ; i fuochi artificiali ; le proprietà dei metalli ; la poligrafia e lo scrivere con essenze naturali ; gli specchi, le lenti e il telescopio ; l’utilità del grave e del leggero ; la propagazione del suono ; le applicazioni tecniche dell’idraulica. L’obiettivo di tramandare alle nuove generazioni i nomi più illustri della cultura meridionale trova ulteriore conferma nell’organizzazione di conferenze – efficace strumento educativo e pedagogico – per i giovani scolari, poi inserite nei programmi annuali delle varie scuole secondarie. Tra le tante, spicca quella tenuta da Carlo Feliciano Contrada alla Scuola Tecnica “Della Porta” a S. Carlo alle Mortelle a Napoli, dal titolo La vita di Giovanni Battista della Porta narrata agli alunni, apparsa nel 1875 per la Tipografia dei fratelli Testa. Ma il dato più significativo è il nuovo rigore filologico che accompagna le riletture dellaportiane, in una fase in cui la Storia si afferma come autonoma disciplina. Francesco Fiorentino – convinto hegeliano e assertore di una « filosofia conforme alla nostra indole ed alle nostre tradizioni […] che avvezzi gl’intelletti a profonde speculazioni » – nel 1880 licenzia per il « Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche », sotto  











































11   Luigi Settembrini, Lezioni di letteratura italiana dettate nell’Università di Napoli, Napoli, Stabilimento Tipografico Ghio, 1868, vol. ii, pp. 332-333. 12  « Ho ricevuto lettera da P. Ardito che vuol fare un lavoro sopra G. B. della Porta. Ma come può fare un lavoro somigliante in Nicastro, dove meno è una biblioteca ? Deve venire in Napoli, dove troverà anche qualche difficoltà ad avere le opere italiane del Porta, ma dove potrà averle finalmente ». Luigi Settembrini, Epistolario […] con prefazione e note del prof. Francesco Fiorentino, Napoli, Antonio Morano, 1883, p. 253.  





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vincenzo trombetta

forma epistolare, un saggio in due puntate Sul teatro di Giambattista Porta. Lettera al prof. Carlo Maria Tallarigo. Così il suo incipit, nel quale ricorda la sollecitazione del Settembrini e preannuncia l’imminente uscita di un più documentato approfondimento :  

Mio Carissimo Carlo. Il nostro buon Settembrini parecchie volte insistette, perché qualcuno si mettesse a scrivere sul Porta ; tanto era desideroso quel nostro compianto amico di rinverdire la memoria de’ nostri scrittori indegnamente dimenticati. Se n’era invogliato il comune amico Pietro Ardito, ma la difficoltà di procurarsene lo sgomentò ; e non aveva torto. […] mi son venute tra le mani parecchie notizie o inedite o rare intorno alla vita e alle opere di Giambattista Della Porta e ne ho disteso un articolo, che tra poco vedrai stampato. Se non che questo fecondissimo scrittore, per maggior disperazione de’ futuri biografi, mise le mani in tutto, si occupò di scienze naturali, di matematiche, di speculativa, e persino di magia ; e come se tutto questo non bastasse, tentò le muse, e fece all’amore con Talia e Melpomene. Delle sue produzioni drammatiche mi proposi di trattare a parte, sì per non guastare l’economia dell’altro lavoro, ingrossando sproporzionalmente le notizie di queste a scapito delle altre composizioni, sì ancora perché se delle altre opere si era più o meno toccato, del teatro, delle tragedie almeno, s’era detto poco o nulla. 13  







Segue, per il fascicolo del 14 maggio 1880 della « Nuova Antologia di Scienze, Lettere e Arti » di Firenze, l’articolo Della vita e delle opere di Giovan Battista de la Porta – approdo di scrupolose ricerche delle fonti bibliografiche e di ricerche archivistiche che, « scevro di esagerazioni accademiche », restituisce luci e ombre della figura del Della Porta. 14 Occorre ricordare che proprio la « Nuova Antologia », nel volume decimosesto del 1871, aveva ospitato un contributo di Eugenio Camerini, che annoverava il Della Porta addirittura tra i precursori di Goldoni. Nel 1885 Angelo Broccoli, studioso del Rinascimento meridionale e fondatore dell’« Archivio Storico Campano », affida alla rivista « Napoli Letteraria » – tirata nella stamperia di Michele Gambardella a via Bellini – Per Simone Porzio e G.B. della Porta. Lettere inedite di Francesco Fiorentino a Camillo Minieri Riccio e notizie storiche completive. Grazie alla curatela del breve carteggio, si può rileggere il contributo fornito da Minieri Riccio, contattato tramite il comune amico Vittorio Imbriani, alla stesura dei saggi di Fiorentino, che lo ringrazia pubblicamente per aver fugato i dubbi sulla data della morte 15 e per la trascrizione di alcune disposizioni testamentarie utili per la localizzazione della casa e del museo. Nell’opuscolo, il Broccoli dà pure notizia della xiii adunanza, svolta il 18 novembre 1884, della Commissione Municipale per la Conservazione dei Monumenti, in cui viene deliberata l’epigrafe, sia pur laconica, da apporre all’abitazione di Della Porta alla strada Toledo 368. E termina citando il passo con cui il Boccanera, nel 1813, aveva concluso la voce Della Porta per la Biografia degli Uomini illustri. L’ultimo segmento ottocentesco viene dedicato ancora al Della Porta scrittore di commedie. Per l’« Archivio Storico per le Province Napoletane », Benedetto Croce, appena ventitreenne, pubblica, a puntate, I Teatri di Napoli. Secolo xv-xvii, poi in volume edito da Luigi Pierro e impresso, in duecentocinquanta esemplari, dallo Stabilimento Giannini nel 1891. L’imponente monografia racchiude la prima e sistematica analisi storico-critica della  



























13  Vedi il « Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche diretto dal prof. Francesco Fiorentino, compilato dal prof. Carlo Maria Tallarigo e dall’avv. Carlo Petitti », n.s., vol. iii (1880), pp. 92-118 (Pisa 21 marzo 1880) ; pp. 329-343 (Lucca 22 maggio 1880). 14   Il saggio, datato Pisa, li 4 marzo 1880, viene replicato in Studi e ritratti della Rinascenza, a cura della figlia Luisa sotto la guida di Giovanni Gentile, editi da Giuseppe Laterza e figli di Bari nel 1911 ; il volume, a sua volta, sarà ristampato, in anastatica, nella Collana “Gli hegeliani di Napoli. Studi e testi” varata da La scuola di Pitagora editrice nel 2008. 15   Sulla questione era insorta una controversia con il barone Roberto Guiscardi che era intervenuto con un articolo dal provocatorio titolo mdcxv( ?).  









giovan battista della porta nell ’ editoria napoletana dell ’ ottocento 323 vita teatrale napoletana, esplorata « in tutte le sue manifestazioni e relazioni ». Nel quarto capitolo intitolato Giambattista della Porta e il dramma erudito, dai forti echi settembriniani, scrive Croce :  





Il Porta coltivò in genere la commedia d’imitazione latina, sebbene in alcune […] si avvertano risonanze romanzesche […]. Né dove imita, è freddo imitatore : indi, le situazioni, i caratteri della commedia latina sono ricreati e fecondati dalla sua fantasia, che tutto riscalda, fonde, impasta, e produce per tal modo opere franche, spigliate, vivaci.  

Nel 1900 ancora le commedie dellaportiane sono al centro di una lunga e approfondita analisi di Francesco Milano ospitata nel secondo fascicolo degli Studi di letteratura italiana pubblicati, dal 1899 al 1922, da una società di studiosi diretti da Erasmo Pércopo e Nicola Zingarelli. Milano ne smonta i singoli brani per individuare norme, regole e tecniche ravvisando, sulla scia di Settembrini e di Croce, una singolare familiarità con il teatro plautino, in contrasto con quanto asserito dallo stesso Della Porta di averle scritte solo come « scherzi della fanciullezza » e a semplice « sollievo degli studi più gravi ». In definitiva, smentendo la radicata convinzione di una prolungata eclisse, l’Ottocento riserva al Della Porta – scienziato e commediografo – una singolare attenzione, testimoniata da voci biografiche, articoli, conferenze, saggi critici e monografie a firma di autorevoli intellettuali che, da differenti angolazioni, rimarcano la portata storica della sua multiforme attività, rivendicandone la fondatezza delle intuizioni non immaginifiche, ma feconde di scientifiche conferme, e la colta originalità di commedie e drammi. Da questa breve rassegna, ben lontana da ogni pretesa di esaustività, emerge ancora quel non irrilevante lavoro di editori e stampatori volto alla pubblicazione di studi che ripercorrono la vita, descrivono le scoperte, analizzano la produzione teatrale dell’illustre vicano, convinti di riscuotere il consenso dei lettori e di incrementare le vendite commemorando una delle più note personalità del Rinascimento meridionale. Non senza una vistosa lacuna, tuttavia, a ulteriore conferma delle inclinazioni – e dei limiti – del secolo dell’Historismus : nessuna iniziativa viene intrapresa per riproporre le opere originali al pubblico degli studiosi : un vuoto che l’editoria novecentesca si è dovuta necessariamente preoccupare di colmare.  











ABSTRACTS Bruno Basile (Università di Bologna), “Riflessi dell’anima”. La fisiognomica prima e dopo Della Porta Scienza antichissima la fisiognomica dalle radici greche e arabe (Aristotele e Rhazis) divenne nel Medioevo una techne di esegesi dei tipi umani a sfondo morale (electio boni, vitatio mali). Nel Rinascimento diventò una semiotica di malattie del comportamento, fino a quando Della Porta non ne ricavò una tassonomia dei caratteri umani inverando la prassi diagnostica con “freschi esempi” dedotti dalle storie. La disciplina (“lincea” dal 1637) ebbe un’evoluzione garantita dai manuali per artisti – le “teste di carattere” da Le Brun a Hogarth – e nuovi approdi favoriti dalla filosofia cartesiana (Les passions de l’âme, 1649). Sollecitata dalle analisi antropologiche e razziali di Petrus Camper la disciplina divenne una scienza nell’Illuminismo di Johann Caspar Lavater (1778), e fu posta a fondamento della frenologia di Franz Joseph Gall tra il 1798 e il 1822. Da questo contesto, già positivistico, divenne – nell’epoca di Lombroso – una tecnica per individuare le psicologie “devianti” : criminali, nevrotici, ma anche “geni”. La soluzione dell’enigma fisiognomico fu raggiunta nel 1872 dal grande Charles Darwin (L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali), vera sfida lanciata a Gall, e alla tradizione dellaportiana. Le “nuove regole” di Darwin sarebbero divenute le basi dell’antropologia moderna, mai dimentica di Della Porta (M. Mead, G. Bateson, R. Birwistell).  

Physiognomy, an extremely ancient science, in the Middle Ages its Greek and Arab roots (Aristotle and Rhazis) turned into a techne for a moral exegesis of human types (electio boni, vitatio mali). In the Renaissance, it became a semeiotics of behavioural disorders until Della Porta distilled it into the taxonomy of human features, supporting the diagnostic practice with “freschi esempi”, fresh examples, from the stories. The discipline (which made its debut in the “Accademia dei Lincei” in 1637) evolved on the strength of the artists’ handbooks – “teste di carattere”, from Le Brun to Hogarth – and new outcomes boosted by Cartesian philosophy (Les passions de l’âme, 1649). Pushed by Petrus Camper’s anthropological and racial analyses, the discipline turned into a science of enlightenment in Johann Caspar Lavater (1778), and from 1798 and 1822 Franz Joseph Gall’s phrenology was built on it. In this intrinsically positivistic scenario, it became – in Lombroso’s time – a technique to single out “deviant” psychologies : criminals, neurotics, as well as “geniuses”. The solution to the physiognomic mystery was found in 1872 by the great Charles Darwin (L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali/The expression of emotions in man and animals), a true challenge for Gall and Della Porta’s tradition. Darwin’s “new rules” would eventually pave the way to modern anthropology, never oblivious of Della Porta (M. Mead, G. Bateson, R. Birwistell).  

Donald Beecher (Carleton University, Ottawa),Giovan Battista Della Porta’s The sister from the commedia erudita to jacobean city comedy Nella sua opera La Sorella Della Porta ha offerto uno studio accademico sulla progettazione teatrale attraverso cui tragedia e commedia vengono unite per produrre un genere misto caratterizzato da doppi capovolgimenti. L’opera è una storia d’amore ostacolata da un apparente incesto che porta i protagonisti alla disperazione e gli spettatori al dolore prima della conclusione comica con il salvataggio. Questa trama ha attirato un interesse considerevole, specialmente in Inghilterra dove gli adattamenti hanno omaggiato il genio del suo creatore come scrittore ma, allo stesso tempo, hanno tradito la sua visione formale ed indebolito la sua ricerca sulla natura dell’amore artificiale riadattando, nelle opere di Thomas Middleton e Aphra Behn, l’originale ai valori della city comedy giacobina e della commedia di costume della Restaurazione inglese. Questa transizione merita di essere studiata per meglio comprendere l’essenza dei due teatri. In La Sorella, Della Porta ventured into an academic investigation of the theatrical design through which tragedy and comedy are joined together into a mixed genre, full of double overturns. The work is a love story hindered by an apparent incest that brings the characters to desperation and the audience to tears before the comical ending and the final rescue. This plot attracted quite con-

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siderable interest, especially in England where adaptations paid tribute to the genius of its author as a writer but also betrayed his formal view and weakened his search into the nature of artificial love by readapting the original, in Thomas Middleton’s and Aphra Behn’s works, to the values of a Jacobean city comedy and the comedy of manners of the English Restoration. Such transition deserves to be investigated to gain a better insight into the essence of both theatrical traditions. Anna Cerbo (Università di Napoli “L’Orientale”), Giovan Battista Della Porta e il Delli fondamenti dello stato di Scipione Di Castro In questo contributo, partendo dai riferimenti alla realtà storico-politica presenti nelle opere teatrali di Giambattista Della Porta, si individuano alcuni legami con la trattatistica politica coeva, in particolare certe consonanze con il trattato sul Principe di Scipione Di Castro. Non a caso c’è una copia di Delli fondamenti dello stato di Scipione Di Castro manoscritta da Della Porta, conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (ms. xx 87), che viene qui presentata e illustrata. This paper, which takes its cue from the historical-political settings of Giambattista Della Porta’s plays, finds connections with the political treatises of the time, especially recurring themes from Scipione Di Castro’s treatise about the Prince. It is no coincidence that a copy of Scipione Di Castro’s Delli fondamenti dello stato was handwritten by Della Porta, now in Naples’ Biblioteca Nazionale (ms. xx 87), and it is presented and described in this paper. Raffaella De Vivo (isis, Quarto-Napoli), Tecnica e scienza nelle opere di Giovan Battista Della Porta Della Porta in tutte le sue opere dà ampio spazio alla conoscenza matematica e scientifica del mondo antico. Partendo dalla traduzione del primo libro dell’Almagesto di Tolomeo fino alle opere più tecniche quali De munitione e De distillatione, l’autore segnala non solo la centralità della conoscenza antica ma la rende motivo di riflessione e punto di partenza verso le nuove idee della scienza moderna. Mathematical and scientific knowledge from the ancient world feature largely in all of Della Porta’s works. From the translation of the first book of Ptolemy’s Almagest to more technical works, such as De munitione e De distillatione, the author emphasises not only the central role of ancient knowledge but also makes it an inspiration for reflection and a starting point for the new ideas of modern science. Françoise Decroisette (Université Paris 8), Le tracce dello spettatore nei prologhi comici di Giovan Battista Della Porta Alla fine del xvi secolo, il prologo comico o tragico è diventato uno spazio di parola autoriale, investito dagli autori non solo per presentare l’intreccio, i personaggi e i luoghi della pièce offerta al pubblico, ma per giustificare in modo più esteso e argomentato le sue scelte drammaturgiche e linguistiche. S’intende mostrare attraverso l’analisi dei prologhi premessi al teatro dellaportiano, come l’autore usa questo spazio predeterminato, a metà strada tra il paratesto editoriale e il testo rappresentato, per esporre una sua poetica teatrale a difesa di un’arte di fare commedie appropriata ai tempi e ai luoghi in cui scrive. By the end of the xvi century, the comical or tragic prologue had become a space for the author’s voice, that the authors used not only to introduce the plot, characters and places of their pièce but to account for their dramatic and linguistic choices, in a more extensive and well reasoned way. This review of the prologues to Della Porta’s plays aims to show how the author uses such set space, halfway between editorial paratext and the play, to present his own theatrical poetics in defence of an art of doing comedy that is fit for the time and places he writes in. Salvatore Ferraro (Accademia Pontaniana, Napoli), Tipografi itineranti a Vico Equense (1584-1599) nell’età di Giovan Battista Della Porta e Paolo Regio Nel 1586 veniva stampato a Vico Equense (Na) il più famoso trattato di fisiognomonia, il De humana physiognomonia di Giovan Battista Della Porta, uno dei capolavori dell’arte tipografica, sia per i

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suggestivi rami, che dal confronto fra tratti umani ed animali evidenziano il carattere morale degli individui, sia per la struttura grafica della pagina, che adegua architettonicamente testo e tavole. Due anni prima, nel 1584, si era diffusa a Vico Equense l’arte tipografica grazie all’iniziativa del Vescovo di Vico Equense, Paolo Regio, destinato a svolgere qui la sua attività religiosa, letteraria e tipografica dal 1583 al 1607. Umanista di raffinata educazione ed uomo di grande pietà, Paolo Regio nel 1582 fu ordinato sacerdote e nominato Vescovo di Vico Equense nel 1583 fino al 1607 ed ivi promosse la diffusione dell’arte tipografica dal 1584 al 1599, invitando i più noti tipografi napoletani del tempo (Giuseppe Cacchi, Giovanni Battista Cappelli, Giovanni T. Aulisio, Gian Giacomo Carlino, Antonio Pace e Orazio Salviani), promuovendo la pubblicazione di circa 50 opere di noti autori nonché delle proprie. Conclusasi l’attività tipografica a Vico Equense (1599), il vescovo continuerà a pubblicare a Napoli altre due opere : i Cantici spirituali (Carlino, 1602) e la Sirenide, poema spirituale (Pace, 1603).  

The most famous treatise on physiognomy, Giovan Battista Della Porta’s De humana physiognomonia, a masterpiece of typography, with its suggestive branches and a comparison between human and animal features as archetypes of an individual’s moral character, with the graphical layout of the page architecturally blending the text and the illustrations together, was printed in Vico Equense (Naples) in 1586. Two years earlier, in 1584, typography had made an appearance in Vico Equense on the initiative of the Bishop of Vico Equense, Paolo Regio, who would carry out his religious, literary and typographic efforts there from 1583 to 1607. Educated in the most exclusive schools, a humanist and a man of deep piety, Paolo Regio was ordained priest in 1582, in 1583 he was appointed Bishop of Vico Equense until 1607 and made printing popular there from 1584 to 1599, by inviting the most famous Neapolitan typographers of the time (Giuseppe Cacchi, Giovanni Battista Cappelli, Giovanni T. Aulisio, Gian Giacomo Carlino, Antonio Pace and Orazio Salviani), and promoting the publication of about 50 works by famous authors as well as his own works. Having finished his typographic efforts in Vico Equense (1599), the Bishop went on to publish another two works in Naples : Cantici spirituali (Carlino, 1602) and the spiritual poem Sirenide (Pace, 1603).  

Anna Giannetti (Seconda Università di Napoli), Le Villae di Giovan Battista Della Porta e la tradizione della villa napoletana Le ville, letterarie e reali, di Della Porta e il complesso fenomeno della villa napoletana che assume nel corso del Cinquecento caratteristiche proprie e mostra profonde differenze tipologiche indotte dalle difformità colturali e geografiche dei dintorni cittadini. I 12 libri delle Villae nel momento in cui tracciano una sorta di bilancio delle scoperte e della sperimentazione botanica di un intero secolo sembrano riaprire la violenta polemica che, in sintonia con il viceré don Pedro di Toledo, Luigi Tansillo aveva scatenato a difesa di tale tradizione agricola, insidiata dalla passione alchemica e antiquaria. Della Porta’s real and fictional villas and the complex phenomenon of the Neapolitan villa, which in the 16th century started to come into its own and churn out deeply different forms as the result of the cultural and geographical inconsistencies of the city’s surroundings. The 12 books of the Villae, a sort of inventory of one century of botanical discoveries and experiments, seem to rekindle the fierce controversy that, in agreement with the Viceroy, Don Pedro de Toledo, Luigi Tansillo had kicked up in defence of such farming tradition besieged by alchemic and antiquarian passions. Miguel Ángel González Manjarrés (Universidad de Valladolid), Anotaciones críticas de Giovan Battista Della Porta a la Fisiognomía de Pseudo Aristóteles Giovan Battista Della Porta rappresenta il De humana physiognomonia (1586) come una compilazione di tutte le precedenti conoscenze fisiognomiche. In un riepilogo così esaustivo viene ripreso quasi nella sua integrità, tra altri testi e sempre nella versione latina di Bartolomeo da Messina (1262-1265), il trattato che apre la strada alla disciplina : Fisiognomica dello Pseudo-Aristotele (iii sec. a.C.). In linea con la sua esposizione, Della Porta include alcuni commenti di taglio filologico che saranno oggetto di questo studio : anche se non si fa una comparazione testuale sistematica, vengo 



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no proposti miglioramenti nella traduzione e nella comprensione di determinati passaggi. Inoltre vengono stabilite alcune congetture e si elaborano giudizi e censure alle proposte di altri autori, in particolare Agostino Nifo e Conrad Gessner. Giovan Battista Della Porta depicts the De humana physiognomonia (1586) as a summa of any and all earlier physiognomic notions. Such an exhaustive summary takes up almost all of the treatise that paves the way to such discipline, among other texts and always in Bartolomeo da Messina’s Latin translation (1262-1265) : Physiognomy by Pseudo-Aristotle (iii cent. BC). In keeping with his treatment, Della Porta includes some philologically-inspired comments that are addressed by this paper : even if the paper makes no systematic textual comparisons, it points to improvements in the translation and understanding of some passages. In addition, it makes assumptions and works out opinions on and rejections of the ideas of other authors, especially Agostino Nifo and Conrad Gessner.  



Marco Guardo (Accademia dei Lincei, Roma), Federico Cesi e La vita di Giovanni Battista Porta linceo Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei nel 1603, incarica il poeta-filologo fiammingo Iosse de Ricke (Iustus Riquius, linceo dal 1625) di scrivere la biografia di Giovan Battista Della Porta e di altri lincei defunti e a tal fine gli trasmette un corpus di « capi » manoscritti dai quali prendere le mosse per stendere in lingua latina la memoria del naturalista campano. Il testo inviato a Riquius (conservato nel codice Archivio Linceo IV presso la Biblioteca dell’Accademia dei Lincei) tratteggia Della Porta come un linceo ideale, fautore, fedele al dettato cesiano, sia della costante osservazione diretta dei naturalia sia della comunicazione scritta dell’esito delle indagini scientifiche. Cesi più volte sollecita Riquius a ultimare la stesura delle biografie lincee, ma senza esito : l’erudito fiammingo, infatti, si spegne nel 1628 senza riuscire ad affidare ai torchi La vita di Giovanni Battista Porta linceo.  





Federico Cesi, founder of the Accademia dei Lincei in 1603, commissioned Flemish poet-philologist Iosse de Ricke (Iustus Riquius, member of the Academy since 1625) to write the biography of Giovan Battista Della Porta and other deceased members of the Academy, and to do this he sent him a corpus of manuscript « capi » to inspire him to write about the life of the Campania-born naturalist in Latin. The text sent to Riquius (held in the Archivio Linceo IV Codex, Library of Accademia dei Lincei) depicts Della Porta as an ideal member, loyal to Cesi’s guidelines and to the consistently direct observation of naturalia as well as the written reporting of the results of scientific surveys. Cesi repeatedly reminds Riquius to finish drawing up the biographies of the members of the Academy, but in vain : the Flemish scholar passes away in 1628, and La vita di Giovanni Battista Porta linceo was never sent to the printing press.  





Luigia Laserra (Liceo Scientifico “E. Fermi”, Bari), «Non cede l’arte a la natura il vanto / ne l’artificio del giardin» : l’innesto quale sintesi ideale fra Natura e Arte nelle pagine della Villa  

Il presente intervento intende dimostrare come Villa non sia solo il frutto di una passione coltivata da Della Porta nella sua veste privata, ma sia parte integrante della sua speculazione filosofica. Testo complementare alla Magia, la Villa segue la stessa metodologia d’indagine : studium, ars et experientia. Attraverso una rigorosa analisi filologica, si mettono in evidenza gli aspetti più originali del trattato, quali il topos della guerra intestina fra la Natura e l’Arte, che trova la sua sintesi nell’innesto. Tale pratica, di cui Della Porta offre un’ampia rassegna, consente di rimediare al naturae defectum, creando nuove qualità di pomacee, registrate con la denominazione dotta e con quella di uso comune, operazione che in area meridionale non aveva precedenti. In questa prospettiva la natura non è più specchio dell’Idea, ma produzione artificiale e campo d’indagine di una nuova scienza, la Magia o Filosofia Naturale.  

This paper tries to show that the Villa is not just the result of a passion in which Della Porta indulged in his private life, but an integral part of his philosophical speculation. Complimentary to Magia, Villa is based on the same investigative method : studium, ars et experientia. Through a strict  

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philological analysis, it highlights the most distinctive traits of the treatise, such as the topos of the internecine war between Nature and Art, which is perfectly epitomised by graft. Such practice, of which Della Porta provides an exhaustive overview, makes up for the naturae defectum by creating new varieties of Pomaceae, registered with the learned name and the more ordinary one, an operation that had no precedents in the south of Italy. From this perspective, nature is no longer a reflection of an Idea but an artificial product and the scope of survey of a new science, Magic or Natural Philosophy. Armando Maggi (University of Chicago), Magia e demonologia nelle opere di Della Porta Il mio intervento si focalizza sulla tematica della visibilità in alcune opere centrali di Della Porta. Iniziando da un passo dell’Arte del ricordare dedicato alle condizioni desiderabili nelle immagini, si spiegherà l’interesse di Della Porta per le “favole mal composte che mi recitava la balia mia quando io era fanciullo” nel contesto dello studio da parte dello scienziato della relazione tra memoria e immaginazione secondo i dettami del De anima aristotelico, testo del quale Della Porta si serve per sostenere in realtà una visione opposta a quella di Aristotele. Si esaminerà quindi un capitolo della prima edizione della Magia naturalis centrato sulla possibilità di far rilucere ciò che si cela nell’oscurità e attraverso altri testi del Nostro si porrà in risalto il fondamentale ruolo della memoria nella ricerca delle leggi che reggono la natura. This paper focuses on the visibility of some of Della Porta’s key works. Taking its cue from a passage of his Arte del ricordare about desirable conditions in images, the paper tries to explain Della Porta’s interest in the “favole mal composte che mi recitava la balia mia quando io era fanciullo” (the never-written fairy tales my nurse used to tell me when I was a child) as part of the scientist’s investigation of the relations between memory and imagination based on the rules of Aristotle’s De anima, a text that Della Porta uses to support a view that is in fact the opposite of Aristotle’s. Then, it explores a chapter from the first edition of Magia naturalis about the chance to make what is hidden in darkness shine out, and through other texts by our author it emphasises the key role of memory in the search for the laws that rule nature. Antoni Malet (Universitat Pompeu Fabra, Barcellona), Della Porta, Keplero e il mutevole concetto di immagine ottica intorno al 1600 L’enorme popolarità delle idee di Della Porta nel suo tempo ha talvolta oscurato la sua vasta influenza intellettuale su eminenti figure del mondo scientifico come Keplero. Nel mio intervento verranno mostrate prove dell’influenza del Magia Naturalis di Della Porta sul pensiero e sugli esperimenti ottici di Keplero. Si mostreranno i molti riferimenti che Keplero aggiunse nei testi di Della Porta e si descriverà la sua educata ma tagliente critica alle affermazioni dellaportiane. In particolare si analizzerà il rimodellamento da parte di Keplero di un gruppo di nuove categorie relative all’idea della rappresentazione fedele della realtà (le cosiddette picturae ne sono l’esempio più caratteristico) al di fuori delle nozioni dellaportiane di immagini, idola e simulacra. The huge popularity of Della Porta’s ideas in his time has sometimes outshined his vast influence on highly-regarded men of science, such as Kepler. My paper brings evidence of the influence of Della Porta’s Magia Naturalis on Kepler’s philosophy and optical experiments. It reviews the many references that Kepler added to Della Porta’s texts and describes his polite but biting criticism of Della Porta’s statements. In particular, it explores Kepler’s reshaping of a group of new categories of the idea of the faithful representation of reality (the so-called picturae are a case in point) apart from Della Porta’s notions of images, idola and simulacra. Annibale Mottana (Università di “Roma Tre”), Della Porta e le gemme : da meraviglie naturali a materia adulterabile e migliorabile  

Della Porta si è occupato di minerali in tre edizioni differenti del Magia naturalis : nel 1558 (iii, capp. 16-18), nel 1589 (v, vi e vii, più altre voci) e nel 1611 quando ha pubblicato sotto lo pseudonimo di Giovanni De Rosa (lo stesso nel 1589, ma con omissioni e correzioni). Il suo scopo costante si rivela essere  

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quello di spiegare le pratiche del riscaldamento in grado di modificare le pietre naturali e di simulare gemme o migliorarne la qualità. Un accurato resoconto tratta della produzione di vetro trasparente e della tintura con i pigmenti. Un secondo metodo riguarda lo sbiancamento del corindone per simulare il diamante e il cambiamento del colore superficiale del quarzo tramite diffusione di calore per simulare pietre colorate. Infine, tratta della produzione di piccoli fogli di metallo da porre dietro le gemme trasparenti per aumentarne la brillantezza. Tuttavia, non è indicata alcuna sua effettiva comprensione della reale natura dei reagenti che ha usato, né della struttura elementare della materia. Della Porta dealt with ores in three different editions of his Magia naturalis : in 1558 (iii, chapters 16-18), in 1589 (v, vi and vii, as well as other headwords), and in 1611 with the penname of Giovanni De Rosa (also in 1589, but with omissions and corrections). His unfailing purpose turns out to be to explain the heating practices that can alter natural stone and simulate or improve the quality of gemstones. A thorough report addresses the making of transparent glass and dyes with pigments. A second method is about the bleaching of corundum to simulate diamond and altering the surface colour of quartz through heat to simulate coloured gemstones. Finally it deals with the making of small metal sheets to be placed at the back of transparent gemstones to enhance their shine. However, there is no mention of his actual understanding of the real nature of the reagents he used, nor of the elementary structure of the matter.  

Giovanni Muto (Università di Napoli “Federico II”), La vita politica e sociale della capitale vicereale al tempo di Giovan Battista Della Porta La vita di G. B. Della Porta attraversa l’intero arco della Napoli cinquecentesca aprendosi, nel primo quindicennio del Seicento, ad una prospettiva di un rapporto più equilibrato tra Napoli e la corte spagnola. Gli anni della giovinezza sono vissuti nel pieno della stagione politica del vicerè Toledo (1532-1553), seguiti da una straordinaria congiuntura politica che nella seconda metà del Cinquecento registra una impressionante crescita economica e demografica della città capitale. A tale sviluppo, marcato da forti tensioni politiche e sociali, si accompagna una felice stagione culturale, tanto nelle arti che nella letteratura, nonché nella stessa trattatistica politica che tenta di riconfigurare i termini del “reggimento” urbano della capitale (Imperato, Summonte). La figura di G. B. Della Porta sembra restare estranea a questa congiuntura, mantenendo una spiccata dimensione individualistica, salvo riemergere sulla scena pubblica nell’ultimo decennio della vita in relazione alle vicende lincee e all’Accademia degli Oziosi. G. B. Della Porta’s lifetime runs throughout 16th-century Naples, embracing the prospective of a more well-balanced relationship between Naples and the Spanish court in the first fifteen years of the 17th century. He spent his youth in the midst of the political season of Toledo, the Viceroy (1532-1553), followed by an extraordinary political scenario, with Naples experiencing an impressive economic and population growth in the second half of the 16th century. Such development, rife with fierce political and social tensions, went hand in hand with a thriving cultural season, as much in art as in literature, as well as in political treatise writing, which tries to reshape the terms of Naples’ urban “reggimento” or governance (Imperato, Summonte). G. B. Della Porta seems to be alien to such situation and retains a marked individualistic dimension, except for his public reappearance in the last decade of his life in connection with the life of the Accademia dei Lincei and the Accademia degli Oziosi. Gianni Antonio Palumbo (Università di Foggia), La Villa dellaportiana tra esperienza e tradizione letteraria L’enciclopedia rustica “Villa” di Giovan Battista Della Porta incarna un fertile connubio di esperienza e tradizione letteraria. L’autore si muove nel solco della letteratura specialistica, con peculiare attenzione verso gli scrittori de re rustica, soprattutto Plinio e Columella. Non manca l’uso di fonti greche, di cui la fruizione ha avuto luogo per mezzo di traduzioni d’età umanistica, come nel caso del Teofrasto di Gaza, dell’Ateneo di Dalechamps o dell’Esiodo di Della Valle. Spesso l’autore segue fedelmente le fonti, ma talora entra in polemica con scrittori contemporanei (come Ruel o Barbaro) o con gli auctores canonici. Emblematico è il capitolo ii del libro viii, in cui figura una

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castigatio pliniana, condotta in merito alla funzione dell’ombra dell’olmo. L’intervento si sofferma a esaminare questo locus e altri passi di simile natura. “Villa”, Giovan Battista Della Porta rural encyclopaedia, is the embodiment of a fertile marriage of experience and literary tradition. The author follows in the footsteps of specialist literature, focussing on writers de re rustica, especially Pliny and Columella. There’s no shortage of Greek sources that he used in their humanist translations, as in Theophrastus of Gaza, Dalechamps’s Athenaeus, or Della Valle’s Hesiod. Often, the author faithfully follows the sources but sometimes he finds fault with some contemporary writers (such as Ruel or Barbaro) or some canonical auctores. A case in point is Chapter ii of Book viii, which contains a castigatio of Pliny as to the role of the elm’s shadow. The paper lingers on this locus and other, similar passages. Alfonso Paolella (Scuola Europea di Varese), L’autore delle illustrazioni delle Fisiognomiche di Della Porta e la ritrattistica. Esperienze filologiche Il presente lavoro intende approfondire alcuni aspetti paratestuali delle edizioni delle Fisiognomiche di G. B. Della Porta e individua nella persona di Geronimo de Novo l’autore dei “rami” della princeps e delle altre edizioni “napoletane”. Le diverse edizioni, anche estere, offrono un ricco materiale per indagare sulla circolazione dei “rami”, sulla funzione retorica e semiotica delle illustrazioni, sull’individuazione dei disegnatori. I trattati di Della Porta da un lato riconoscono, grazie ad una topica fisiognomica consolidata, l’auctoritas del ritratto classico, dall’altro forniscono una grammatica del corpo per la ritrattistica dei secoli successivi. This paper has been designed to investigate some paratextual dimensions of the editions of G. B. Della Porta’s Fisiognomiche and finds that Geronimo de Novo is the author of the “branches” of the princeps and the other “Neapolitan” editions. The editions, including the foreign ones, provide plenty of material to understand the success of the “branches”, the rhetorical and semiotic role of the illustrations, the identities of the illustrators. While Della Porta’s treatises acknowledge the auctoritas of classic portrait painting through well-established physiognomic topics, they provide a grammar of the body for portrait painting in subsequent centuries. Paolo Piccari (Università di Siena), L’arte della memoria in Giovan Battista Della Porta L’arte della memoria raggiunge la sua perfezione formale nel xvi secolo con i sistemi mnemonici complessi e sofisticati di Giulio Camillo e Giordano Bruno. Accanto alla mnemotecnica influenzata dall’ermetismo rinascimentale, sopravvive l’importante filone della trattazione scolastica della memoria rappresentata nel Cinquecento, in particolare, dalle opere dei domenicani Johann Romberch (Congestorium artificiosae memoriae, 1520) e Cosma Rosselli (Theatrum artificiosae memoriae, 1579). Nel solco di tale trattazione si colloca l’Arte del ricordare (1566) di Giovan Battista Della Porta, che s’ispira soprattutto alle mnemotecniche elaborate da Aristotele e Cicerone. Nella mia relazione intendo illustrare il carattere eminentemente retorico dell’arte della memoria dellaportiana, sottolineando la centralità che in essa assumono la tecnica dei loci e le imagines agentes. The art of memory reaches its formal perfection in the xvi century with Giulio Camillo and Giordano Bruno’s complex and sophisticated mnemonic systems. In the 16th century, an important scholastic approach to memory, mostly in the books by Dominican friars Johann Romberch (Congestorium artificiosae memoriae, 1520) and Cosma Rosselli (Theatrum artificiosae memoriae, 1579), survives alongside the art of memory inspired by Renaissance Hermeticism. Giovan Battista Della Porta’s Arte del ricordare (1566) follows in the footsteps of such works and takes inspiration from the art of memory worked out by Aristotle and Cicero. This paper is going to describe the strictly rhetoric character of Della Porta’s art of memory, emphasising the key role that the loci technique and imagines agentes play within it. Eugenio Refini ( Johns Hopkins University, Baltimore), « Io vorrei trasformarmi in libri » : note sul carteggio dellaportiano  





Il carteggio di Giovan Battista Della Porta è fonte preziosa per la ricostruzione della biografia intellettuale dello scienziato. Il corpus delle trentacinque lettere, porzione superstite di un epistola-

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rio ben più cospicuo, permette di cogliere aspetti importanti dei rapporti tra Della Porta e figure quali Luigi d’Este, Federico Borromeo, Ulisse Aldrovandi, Galileo Galilei e Federico Cesi. Scambi di opinioni, polemiche sulle scoperte scientifiche, discussione di progetti in corso e, soprattutto, i libri (propri e altrui), tema caro a Della Porta. Questa comunicazione si concentrerà in particolar modo sugli ultimi anni dello scienziato e sulle inedite trattative con Antonio Olgiati, bibliotecario del cardinal Borromeo, per un lascito librario alla Biblioteca Ambrosiana. Giovan Battista Della Porta’s correspondence is a precious source of information about the intellectual biography of the scientist. The 35-letter corpus, the surviving portion of a much bulkier collection of letters, offers an insight into some important aspects of the relations between Della Porta and such prominent people as Luigi d’Este, Federico Borromeo, Ulisse Aldrovandi, Galileo Galilei and Federico Cesi. Exchanges of opinions, controversial conversations about scientific discoveries, discussions on current plans, and first and foremost books (theirs and other people’s), one of Della Porta’s favourite topics. This paper is focussed above all on the last years in the scientist’s life and his yet-unpublished negotiations with Antonio Olgiati, Cardinal Borromeo’s librarian, for a book bequest to Biblioteca Ambrosiana. Luana Rizzo (Università del Salento), Il recupero delle fonti classiche della retorica di Aristotele e di Cicerone nella De humana physiognomonia di Giovan Battista Della Porta Il contributo si propone di rintracciare le fonti della Retorica classica di Aristotele e Cicerone nel pensiero di G. B. Della Porta, al fine di individuare i presupposti teorici e la sua ricezione nell’opera dellaportiana. Muovendo dall’analisi della De humana phisognomonia e dell’Ars Reminescendi, il presente saggio mira a porre in evidenza come la retorica dellaportiana, pur inserendosi all’interno di una lunga e ricca tradizione, quella del Rinascimento e del tardo Rinascimento con la quale si confronta, si configura non come espediente linguistico o tecnica finalizzata alla persuasione, non con la consolidata pratica retorica del discorso dei tecnografi, bensì come una pratica che, avvalendosi di precisi strumenti retorici, sia funzionale alla trasmissione di un sapere, collocandosi al crocevia tra un’impostazione teorica ed una prospettiva pragmatica, che riflette l’evoluzione intellettuale di quel tempo caratterizzata da una fase di transizione fra il tardo Rinascimento e l’erompere folgorante della scienza moderna. The idea behind this paper is to find the sources of Aristotle’s and Cicero’s classic rhetoric in G. B. Della Porta’s philosophy, in the attempt to trace their theoretical assumptions and inspirations in Della Porta’s works. Prompted by an analysis of De humana phisognomonia and Ars Reminescendi, this essay tries to show how Della Porta’s rhetoric, though part of a long, rich tradition, that of Renaissance and late Renaissance which it reckons with, does not act as a linguistic ploy or a persuasive technique, nor as the well-established rhetoric practice of techno-graphic discourse, but as a practice which, using very specific rhetoric ruses, is instrumental to the transmission of a knowledge that, poised between a theoretical set-up and a pragmatic perspective, reflects the intellectual evolution of that time, caught in a transition between late Renaissance and the dazzling burst of modern science. Marco Santoro (Presidente insrm), Filippo Finella e la fisionomia “naturale” Nel 1649 vedeva la luce a Napoli, per i tipi di Giacomo Gaffaro, la De planetaria naturali phisonomia di Filippo Finella. Articolata in trentaquattro capitoli, preceduti dalla dedica a Don Iñigo Vélez de Guevara, 8º conte d’Oñate e 3º conte di Villamediana, viceré del Regno dal marzo 1648 al novembre 1653, da due epigrammi, da un decastico e da un esordio, l’opera sulla scia di interessi coltivati in quei tempi da non pochi (e basti pensare al Della Porta), tende a sistematizzare i collegamenti fra astrologia e caratteristiche somatiche, comportamentali e morali dell’essere umano. La relazione, partendo dai soggetti promotori della pubblicazione, e quindi l’autore ma anche il tipografo, grazie ad un’analisi del testo, tende a evidenziare le peculiarità del pensiero e delle teorie del Finella su argomenti di pregnante attualità all’epoca, facendo riferimento per altro anche alla non esigua produzione editoriale del napoletano.

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Printed by Giacomo Gaffaro, Filippo Finella’s De planetaria naturali phisonomia saw the light of day in Naples in 1649. Consisting of thirty-four chapters preceded by a dedication to Don Iñigo Vélez de Guevara, 8th Count of Oñate and 3rd Count of Villamediana, Viceroy of the Kingdom from March 1648 to November 1653, two epigrams, a decastich and an exordium, driven by interests that back then used to be tended to by quite a few people (just think of Della Porta), this work tends to systematise connections between astrology and the facial, behavioural and moral features of humans. Starting with the promoters of the publications, that is the author as much as the printer, by reviewing the text this report tends to shed light on the peculiarities of Finella’s philosophy and theories on issues of great import at that time, partly in connection with the Neapolitan author’s fairly substantial publications. Maurizio Torrini (Università di Napoli “Federico II”), La fortuna storiografica di Della Porta Il testo vuol mettere in evidenza come la straordinaria fortuna che accompagnò l’opera di Della Porta fra xvii e xviii secolo non trovi riscontro nei secolo successivi. Tra ’800 e ’900 l’acquisizione di una matura consapevolezza storiografica, sia della storia della filosofia sia della storia della scienza, hanno confinato Della Porta e la sua opera ai margini della discussione, fino a farne scomparire il ruolo e il significato. Solo negli ultimi decenni l’attenzione che la storiografia tout court ha rivolto a taluni punti nodali tra ’500 e ’600 – rapporto fra scienza e fede, accademie, nascita della nuova scienza, formazione di un pubblico nuovo di lettori, crisi dell’aristotelismo – ha consentito di recuperarne la figura all’interno di quel processo che tra mille contraddizioni portò all’età moderna. The aim of this paper is to highlight that the extraordinary success of Della Porta’s works between the xvii and the xviii century left no traces in the subsequent centuries. Between the 19th and the 20th century, a mature awareness of historiography, both the history of philosophy and the history of science, pushed Della Porta and his works out of the arena, until their role and meaning all but disappeared. Only in the last few decades did the attention paid by actual historiography to some key points between the 16th and the 17th century – relationship between science and faith, academies, the birth of the new science, a new readership, the crisis of Aristotelian philosophy – bring such scientist back into the limelight as part of the process that led to the modern age, amidst a myriad contradictions. Oreste Trabucco (Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”), Nel cantiere della Magia Autore prolificissimo, Della Porta, lungo tutta la propria lunga parabola intellettuale, attinge al bacino di temi assommati sin dalla propria prima Magia del 1558. Opera affidata ad un lungo fieri, la Magia naturalis costituisce non solo la cornice metodologica entro cui Della Porta costantemente situa la propria restante produzione, ma il palinsesto di altre opere originanti da un processo di gemmazione, che, tuttavia, rivela una strategia di riuso non inerte, portata fino ad esiti di transcodificazione della materia attinta, concomitanti con il recupero di motivi primigeni. Si osserverà una duplice ed interrelata traiettoria evolutiva caratterizzante il farsi del corpus dellaportiano : dalla prima alla seconda Magia ; da questa ad un nutrito gruppo di opere culminante con l’aporetica finale Taumatologia.  



An extremely prolific author, all through his long intellectual career Della Porta draws on the reservoir of subjects that he has stacked up since his first Magia in 1558. A work entrusted to a long process of accomplishment, Magia naturalis is not just the methodological framework for Della Porta’s remaining works, but a palimpsest for other works, the offspring of a budding process which nevertheless reveals a non-motionless strategy of reuse, pushed to the extent of transcoding the borrowed material, to coincide with the reuse of primeval themes. A double, interrelated evolutionary trajectory will become apparent in the accomplishment of Della Porta’s corpus : from the first to the second Magia ; from the latter to an extensive group of works, which had their highlight in the last, aporetic Taumatologia.  



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abstracts Paola Trivero (Università di Torino), L’Ulisse : tradizione letteraria e canone tragico  

L’Ulisse, dopo La Penelope e Il Georgio, sigla il corpus tragico di Della Porta. Della tragedia si prendono in considerazione i legami con i due precedenti testi, e soprattutto con La Penelope, a iniziare dalla tavola dei personaggi che annovera la figura del Consigliero (nel Georgio con la dizione di Secretario), così come in tragedie di altri autori, al fine di verificarne le reciproche interferenze e le funzioni intese in ampia accezione. Si esaminano le valenze tematiche, ascrivibili alla Telegonia e al mito edipico, nell’ottica dei rapporti con il canone tragico e con la tradizione letteraria, a partire dai risvolti e dagli esiti linguistici. L’Ulisse, after La Penelope and Il Georgio, seals Della Porta’s tragic corpus. Speaking of tragedy, this paper considers connections with earlier texts, and above all La Penelope, starting with the list of characters that includes the Consigliero, the Advisor (called Secretario in the Georgio), as well as tragedies by other authors, in the attempt to find mutual interferences and purposes in the widest sense. The thematic values attributable to the Telegony and the myth of Oedipus are investigated in terms of relations with the tragic canon and literary tradition, starting with linguistic implications and results. Vincenzo Trombetta (Università di Salerno), Giovan Battista Della Porta nell’editoria napoletana dell’Ottocento Nel corso dell’Ottocento la figura e l’opera di Della Porta registrano un significativo rilancio grazie ad articoli, bio-bibliografie e saggi critici firmati da autorevoli intellettuali, che da differenti prospettive evidenziano la portata storica della sua molteplice attività. Di particolare interesse, al mutare degli scenari ideali e politici – il Decennio francese, l’età borbonica, il periodo postunitario – le chiavi della rilettura del fenomeno dellaportiano : simbolo dell’identità della Nazione Napoletana (Vincenzo Cuoco) ; attento studioso dei misteri della Natura (Francesco Colangelo) ; protagonista di una commedia incentrata sulla sua teoria fisiognomica (Giulio Genoino) ; apprezzato scrittore di teatro (Benedetto Croce). Una pluralità di investigazioni che riflettono non solo l’ampio spettro d’interessi coltivati dall’illustre figlio di Vico Equense, ma anche i diversi volti della cultura ottocentesca che ne rinnova la fortuna.  







In the nineteenth century, Della Porta the man and the author became remarkably popular again, on the back of articles, bio-bibliographies and critical essays written by authoritative men of letters who somehow or other placed emphasis on the historical scope of his diverse efforts. Most interesting, with a change in the ideal and political scenarios – the French Decade, the Bourbon’s era, the post-Unification age –, are the reasons for rereading Della Porta’s phenomenon : a symbol of the identity of the Neapolitan Nation (Vincenzo Cuoco) ; a thorough expert in the mysteries of Nature (Francesco Colangelo) ; a character in a comedy about his physiognomic theory (Giulio Genoino) ; a highly-respected playwright (Benedetto Croce). A multiplicity of investigations that reflect not only the wide range of interests the illustrious child of Vico Equense was engaged in, but also the many faces of 19th-century culture that brought him back under the limelight.  







Michaela Valente (Università del Molise), Della Porta inquisito, censurato e proibito Grazie ai documenti conservati presso l’Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, si è potuta dimostrare la vera origine del processo inquisitoriale a Giovan Battista Della Porta. Con questo intervento, si ricostruiscono le tappe del complesso e lungo rapporto tra Della Porta e le due Congregazioni romane, Sant’Uffizio e Indice, per metterne in luce le ragioni e le conseguenze, ma anche l’eccezionalità del caso tra censura e autocensura, sfida all’autorità e patronage. Documents from the Archives of the Congregation for the Doctrine of the Faith revealed the true origin of the Inquisitional process against Giovan Battista Della Porta. This paper tries to provide an overview of the different steps in the long, intricate relationship between Della Porta and the two Roman Congregations, the Sant’Uffizio and the Index, shedding light on arguments and con-

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sequences as well as an the exceptional nature of the case, amidst censoring and self-censorship, challenges to authority, and patronage. Donato Verardi (Université Paris-Est Créteil), Giovan Battista Della Porta. Il dibattito italiano sull’occulto naturale e l’astrologia (sec. xv-xvi) La ricerca di una comprensione dei fenomeni “occulti” della natura impegna lungamente Giovan Battista Della Porta. Uno degli esempi classici di “occulto naturale”, con il quale anche Della Porta si confronta, è l’attrazione che il magnete esercita sul ferro. Il saggio mostra le differenti spiegazioni del magnetismo offerte da Della Porta nelle diverse fasi della sua produzione scientifica, collocandole nel dibattito astrologico del tempo. Infatti, nonostante alcuni significativi mutamenti nella trattazione di questo fenomeno, Della Porta non uscirà mai dal solco astrologico già segnato nella prima edizione in quattro libri della Magia naturalis. For a very long time, Giovan Battista Della Porta strove to understand the “hidden” phenomena of nature. One of the classic examples of “occulto naturale”, natural magic, with which Della Porta too reckons with, is the way a magnet attracts iron. This essay shows Della Porta’s different explanations for magnetism through the different stages of his scientific career, within the framework of the astrological debate of the time. Actually, despite some major changes in his treatment of such phenomenon, Della Porta never left the astrological rut he had already covered in the first four-book edition of Magia naturalis. Éva Vígh (University of Szeged), Moralità e segni fisiognomici nel Della fisonomia dell’huomo di Giovan Battista Della Porta L’opera fisiognomica più famosa e di maggior fortuna europea di Giovan Battista Della Porta, il Della fisonomia dell’huomo, dimostra la chiara intenzione dell’autore di presentare, documentare e di utilizzare i segni fisiognomici al servizio della formazione morale dell’uomo. Nelle sue descrizioni, analisi, trascrizioni, citazioni, o parafrasi e commenti, pur servendosi dei massimi filosofi ed esperti della fisiognomica, il Della Porta risulta essere un convinto aristotelico. Egli, infatti, anche quando mette a confronto le sue fonti, soprattutto nelle sue argomentazioni morali, preferisce Aristotele e gli aristotelici, antichi e moderni, nel delineare con meticolosa attenzione i tipi e prototipi delle varie moralità. L’intervento mira a dimostrare l’impostazione morale prevalentemente aristotelica del trattato dellaportiano : il libro v della Fisonomia, infatti, sembra una versione ragionata in veste fisiognomica del libro iv dell’Etica nicomachea per non parlare di altre opere aristoteliche o pseudoaristoteliche in tutta la concezione etica dellaportiana. Benché il sapere enciclopedico e l’eccletticismo dell’autore partenopeo siano fondamentali se vogliamo comprendere la sua vasta cultura e tutta la sua ideologia, non possiamo prescindere dall’attitudine aristotelica nella descrizione dei vizi, delle virtù e dei comportamenti offerta nel suo trattato.  

Giovan Battista Della Porta’s most famous and most successful physiognomic work in Europe, Della fisonomia dell’huomo, is evidence of the author’s clear intention to present, document and use physiognomic features to account for man’s moral development. In his descriptions, analyses, quotations, or paraphrases and comments, despite quoting the greatest philosophers and experts in physiognomy, Della Porta turns out to be a die-hard Aristotelian. Actually, when he compares his sources, especially in his moral arguments, he prefers Aristotle and Aristotelians, both ancient and modern, in portraying with painstaking care the types and prototypes of different moralities. This paper aims at showing the mainly Aristotelian approach of Della Porta’s treatise : actually, Book v of his Fisonomia sounds like a physiognomic twist on Book iv of Etica nicomachea, not to mention other works by Aristotle or Pseudo-Aristotle throughout Della Porta’s ethical view. Even if the Neapolitan author’s encyclopaedic knowledge and eclecticism are key to understanding his vast culture and all his ideology, his Aristotelian attitude to the description of vices, virtues and behaviours in his treatise should not be overlooked.  

PROFILI DEGLI AUTORI Bruno Basile (Università di Bologna) Già Professore ordinario di letteratura italiana (Università di Bologna), è attualmente membro del Comitato scientifico Pio Rajna – Roma e condirettore di « Filologia e Critica ». Filologo ed editore di classici (Arienti, Tasso, Manso) è specialista di prosa scientifica : Scienziati del Seicento e del Settecento – nella collana ricciardiana (1981-83) – e L’invenzione del vero. La letteratura scientifica da Galilei ad Algarotti (1987). Nel settore della letteratura italiana e comparata ha pubblicato Il tempo e le forme. Studi letterari da Dante a Gadda, (1990), Il tempo e la memoria. Studi di critica testuale (ivi, 1994), L’Elisio effimero. Scrittori in giardino (1993).  





Donald Beecher (Carleton University, Ottawa) Is Chancellor’s Professor of English at Carleton University in Ottawa, specializing in the literature of the Renaissance. His research interests range widely from the history of the theatre to medical philosophy, folklore, and witchcraft. Among his publications is a two volumes edition of Italian Renaissance plays in English including Della Porta’s La sorella. He has also edited, in English, Straparola’s Le piacevoli notti with 700 pages of annotations. His most recent book is a study of literature from the perspective of the cognitive sciences entitled Adapted Brains and Imaginary Worlds. In his spare time he plays the viola da gamba, and has a collection of nearly 6,000 seashells from all around the world.  Anna Cerbo (Università di Napoli “L’Orientale”) Docente di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Studiosa del Boccaccio latino, si è occupata anche di Dante e del Petrarca. Si è interessata della letteratura italiana fra Cinque e Seicento, soprattutto della poesia filosofica di Tommaso Campanella e di Giordano Bruno, e della cultura letteraria del primo Ottocento (Leopardi in particolare). Ha curato l’edizione critica della Furiosa di G.B. Della Porta e l’edizione di un trattatello di estetica di Iacopo di Gaeta. Nel 2014 ha pubblicato l’edizione critica della Sirenide di Paolo Regio, con la sua Dechiarazione. Tra i suoi interessi più recenti si annovera lo studio del mito nella Letteratura italiana, in particolare nei suoi auctores frequentati da tempo.  Raffaella De Vivo (isis, Quarto-Napoli) Laurea in Lettere Moderne (tesi in Storia del Rinascimento su Le dediche a Vittoria Colonna). Diploma di dottorato di ricerca in Storia (Storia della società europea) con tesi finale su La biblioteca di Vittoria Colonna. Svolgimento di attività legate al mondo degli archivi. Attività di ricerca nell’ambito delle discipline storiche. Attività di insegnamento nei licei. Studiosa del Rinascimento italiano, in particolare Vittoria Colonna, del Rinascimento meridionale, e di Giambattista Della Porta. Di quest’ultimo ha curato l’edizione critica della traduzione del primo libro dell’Almagesto di Tolomeo con il Commento di Teone e del De munitione. Françoise Decroisette (Université Paris 8) Professore emerito dell’università di Paris 8, dove ha diretto l’Equipe Histoire et pratiques du spectacle vivant dans les pays de Langues romanes. Le sue ricerche sono dirette alla storia del teatro e dell’opera italiani dal Cinquecento al Novecento, e alla traduzione. Oltre vari studi sulla commedia dell’arte, le origini del melodramma, Goldoni e Gozzi, ha diretto i volumi collettivi : Voyages des textes de théâtre, Le théâtre réfléchi, Les Traces du spectateur, Le Livret d’opéra : une Œuvre littéraire, L’Histoire derrière le rideau : écritures scéniques du Risorgimento. È tuttora membro di due programmi europei, Les  





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profili degli autori

Idées du théâtre (edizione di paratesti teatrali dei xvi e xvii sec.) e  Archivio del teatro  pregoldoniano. Come traduttrice, oltre Lo cunto de li cunti del Basile, ha tradotto varie commedie di Goldoni e di Gozzi. Di quest’ultimo ha diretto la traduzione collettiva delle Memorie inutili. Salvatore Ferraro (Accademia Pontaniana, Napoli) Ispettore On. per i Beni archeologici, artistici e storici, Accademico Pontaniano (Napoli), socio dell’Associazione Internazionale “Amici di Pompei” e della Società di Storia Patria di Salerno, ha insegnato per un quarantennio Latino e Greco nei Licei classici di Meta di Sorrento e di Castellammare di Stabia. Già redattore della “Rassegna Storica Salernitana” ed attualmente della “Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana”, ha contribuito con indagini archeologiche, diversi studi e numerose pubblicazioni alla conoscenza e valorizzazione del patrimonio storico-artistico e della cultura della Penisola sorrentino-amalfitana. Nei primi anni, prevalenti sono stati l’interesse e lo studio delle testimonianze archeologiche di Pompei, di Stabia e della Penisola sorrentina, con particolare attenzione all’epigrafia ed ai graffitti, successivamente sono state indagate varie figure eminenti che operarono nella Penisola sorrentino-amalfitana. Nell’ultimo trentennio, in collaborazione con Gennaro Passaro e Beniamino Russo, sono state oggetto di ricerca e di studio le cinquecentine, pubblicate in vari paesi della Campania nella seconda metà del Cinquecento, ed in particolare a Vico Equense durante l’episcopato di Paolo Regio (1584-1599). Recentemente ha collaborato con Anna Cerbo alla pubblicazione della Sirenide. Anna Giannetti (Seconda Università di Napoli) Nata a Napoli il 30/5/1954, dal 2001 è professore ordinario di Storia dell’Architettura che attualmente insegna presso il Dipartimento di Ingegneria Civile Design Edilizia e Ambiente della sun. Fino al 2012 è stato Direttore del Dipartimento di Industrial Design, Ambiente e Storia dello stesso ateneo. Ha pubblicato volumi e saggi sull’architettura inglese e francese degli anni Venti, sulla storia del giardino napoletano e del parco pubblico in Europa, sulla Parigi del Secondo Impero, sulle ville e i monasteri napoletani del Cinquecento, sull’architettura camaldolese, sul pittore J. P. Hackert, sugli architetti Luigi Vanvitelli e Antonio Niccolini. Miguel Ángel González Manjarrés (Universidad de Valladolid) Profesor de Filología Latina de la Universidad de Valladolid. Ha completado su formación en la Universidad de Cantabria y el csic de Barcelona, así como en las Universidades de Cassino y Burdeos. Su especialidad docente se centra en la filología y literatura latinas del Renacimiento y los textos científicos latinos de la Antigüedad al Renacimiento. Sus temas de investigación, con varios libros y numerosos artículos publicados, son el humanismo latino, la medicina latina medieval y renacentista, la fisiognomía grecolatina y la tradición clásica. Es director de la revista « Minerva », que edita el Departamento de Filología Clásica de la Universidad de Valladolid.  



Marco Guardo (Accademia dei Lincei, Roma) Direttore dal 2001 della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana. I suoi ambiti di ricerca riguardano l’epigrafia medievale (Titulus e tumulus. Epitafi di pontefici e cardinali alla corte dei papi nel xiii secolo, 2008), lo studio delle fonti della prima Accademia dei Lincei (L’Ape e le api. Il paratesto linceo e l’omaggio ai Barberini, « Paratesto », 1, 2004, pp. 121-136 ; F. Cesi, Apiarium, a cura di L. Guerrini, traduzione italiana del testo e saggio Apes nullis unquam encomiis satis extuleris : retorica e stile nell’Apiarium di Federico Cesi, pp. 227-241, 2005 ; Galilei e il Tesoro messicano, « L’Ellisse », vi (2011), pp. 53-82 ; Cronache statuti della prima Accademia dei Lincei […], a cura di M. Guardo e R. Orioli, 2014), le indagini sulla Biblioteca corsiniana (Una biblioteca di famiglia. La libraria dell’eccellentissima casa Corsini, 2007, pp. 79-104, contributo all’interno del commentario al facsimile del codice corsiniano 55 K 16), la storia del libro (Le vie del libro prima della stampa. Dalla Bibbia di Borso d’Este ai facsimili del xx secolo, in Treccani. Novanta anni di cultura italiana. 1925-2015, a cura di T. Gregory e M. Bray, 2015, pp. 277-288).  















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Luigia Laserra (Liceo Scientifico “E. Fermi”, Bari) Laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Bari nel 1995, ha frequentato alcuni corsi di perfezionamento e master in didattica della Letteratura fino al conseguimento del titolo di Dott.ssa di Ricerca in Italianistica con particolare attenzione alla Letteratura Meridionale presso la “Federico II” di Napoli con una tesi su G. B. Della Porta. Vincitrice di concorso per la classe A051, insegna Italiano e Latino presso il Liceo Scientifico “E. Fermi” di Bari, svolgendo anche attività di docenza in alcuni master e in PON. Ha curato diverse pubblicazioni, fra le quali si segnalano i primi due tomi dell’edizione nazionale della Villa di Della Porta. Armando Maggi (University of Chicago) Professore ordinario presso la University of Chicago nel dipartimento di letterature romanze e nella commissione di Storia della Cultura. Ha scritto volumi sulla mistica rinascimentale italiana e spagnola, sulla demonologia rinascimentale con attenzione particolare a Cardano, e recentemente ha pubblicato un volume sulla centralità de Lo cunto de li cunti nella fiaba letteraria europea. Sta scrivendo un libro sui trattati d’amore di cui ha curato alcune edizioni critiche, tra cui L’innamorato di Brunoro Zampeschi e Della magia d’amore di Guido Casoni. Ha scritto su Cardano e Tommaso Garzoni, di cui ha riproposto il breve trattato L’huomo astratto in « Bruniana & Campanelliana ».  



Antoni Malet (Universitat Pompeu Fabra, Barcellona) Ph.D. in History of Science, Princeton University, is full professor and chair of the Research Group in History of Science, Universitat Pompeu Fabra, Barcelona. He is President Elect of the European Society for the History of Science (2014-2016) and corresponding Fellow of the Académie International d’Histoire des Sciences (París). He has been a Marie-Curie Senior Fellow, 2013-2015. As invited researcher and visiting professor he has worked in different institutions, including Université París vii, Max-Planck Institut for the History of Science, and the universities of Princeton, California (San  Diego), and Toronto. He was Advisory Editor of the « Isis » journal and Book Review Editor of Historia Mathematica. He publishes on the early modern mathematical sciences and also on science in Francoist Spain.   



Annibale Mottana (Università di “Roma Tre”) Senior Professor of Geoscience presso l’Università Roma Tre, dove era ordinario di Georisorse e Mineralogia applicata all’Ambiente e ai Beni Culturali. Ha diretto il Museo di Mineralogia dell’Università “La Sapienza” e il Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Roma Tre. È autore di 200 pubblicazioni scientifiche, quattro libri e 50 pubblicazioni di Storia della Mineralogia. Il suo manuale Minerali e Rocce (con R. Crespi e G. Liborio) ha avuto 18 edizioni italiane e 6 traduzioni straniere. Ora si dedica allo studio di gemme e minerali di epoca rinascimentale e barocca. È Accademico Linceo e dei Quaranta e di altri tre Accademie e Istituti scientifici. Giovanni Muto (Università di Napoli “Federico II”) Ha insegnato nelle università di Milano, nell’Istituto Universitario Europeo di Firenze e nella Universidad Complutense de Madrid. È professore ordinario di Storia Moderna nel Dipartimento di Studi Umanistici della “Federico II” di Napoli. Le sue ricerche – attraverso volumi e saggi – si sono rivolte allo studio del regno napoletano in età spagnola e delle sue relazioni con la corte imperiale asburgica a Madrid. In particolare ha investigato sulla politica economica e finanziaria, sull’organizzazione del territorio e sulla storia urbana, sulla cultura politica tra metà Cinquecento e metà Seicento. Attualmente ha in corso una ricerca sulle reti dell’informazione politica nella prima età moderna. 

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profili degli autori Gianni Antonio Palumbo (Università di Foggia)

Alfiere del Lavoro, nato a Molfetta nel 1978, ha conseguito il Dottorato in Italianistica a Messina ; è stato docente a contratto di “Letteratura italiana del Rinascimento” e lo è attualmente di “Metodologia della critica letteraria” presso l’Università di Foggia. Docente e primo collaboratore del Dirigente scolastico presso l’Istituto “Gaetano Salvemini” di Molfetta, è autore di edizioni critiche dei libri VII-VIII e IX della Villa di Giovan Battista Della Porta, di opere di Benedetto Cocorella e di Jacopo Filippo Pellenegra e di contributi scientifici su tematiche dell’Umanesimo-Rinascimento e sulla letteratura contemporanea. Ha pubblicato le monografie Vestali in un mondo senza sogni e La biblioteca di un grammatico (su Giuniano Maio, autore del De priscorum proprietate verborum). È autore della novella Il segreto di Chelidonia, che ha tratto ispirazione dalla Magia naturalis di Della Porta.  

Alfonso Paolella (Scuola Europea di Varese) Si è laureato all’Università di Napoli “Federico II” ed ha conseguito il dottorato in Semiotica all’Università di Parigi X (Nanterre). Ha lavorato come borsista presso il cnr, l’Università di Ginevra e di Friburgo (Svizzera). Ha insegnato nei Licei italiani e alla “Scuola Europea” di Varese. Ha tenuto corsi di insegnamento presso il “S. Orsola Benincasa” e come professore a contratto presso l’Istituto Universitario “Orientale” di Napoli. È stato Visiting full professor alla “McGill University” di Montreal (Canada), all’Università di Toronto (Canada) e alla ucla di Los Angeles. E’ autore di numerosi saggi di semiotica, letteratura e filologia italiana pubblicati su riviste nazionali e internazionali. Ha pubblicato Retorica e Racconto Argomentazione e finzione nel ‘Novellino’ (1987), alcune lettere inedite del Pontano, ha curato l’edizione critica del Volgarizzamento napoletano dell’Itinerarium Syriacum del Petrarca (1993) e, per l’Edizione Nazionale delle Opere di G. B. Della Porta, La Coelestis Physiognomonia (1996), il De aeris transmutationibus (2000) e l’Humana Physiognomonia (2014). Ha infine curato con V. Placella e G. Turco, Miscellanea di Studi Danteschi in memoria di Silvio Pasquazi (1993) e il volume Le origini della Camorra : l’onorata società tra storia e letteratura (2008).  

Paolo Piccari (Università di Siena) Insegna Filosofia teoretica nell’Università di Siena. È condirettore delle riviste scientifiche « Arkete e Anthropology & Philosophy », nonché della collana « Oltre. Orizzonti di teoresi filosofica » presso l’editore Mimesis. Tra le sue pubblicazioni : Giovan Battista Della Porta. Il filosofo, il retore e lo scienziato (2007) ; Forme e strutture della razionalità argomentativa (2008) ; Pensare il mondo. Saggio sui concetti empirici (Milano 2010) ; Conoscenza ordinaria e senso comune (2011). Ha inoltre curato l’edizione critica dell’Opinio de difficultatibus contra doctrinam fratris Thomae di Erveo di Nédellec (1995) e (con M. Bianca) i seguenti volumi : Realismo e antirealismo (2011), Ontologia, realtà e conoscenza (2013) ed Epistemology of Ordinary Knowledge (2015).  

















Eugenio Refini ( Johns Hopkins University, Baltimore) Insegna letteratura italiana presso la Johns Hopkins University di Baltimora. È stato allievo della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si è addottorato nel 2010. È stato borsista presso la University of Warwick (2010-2013) e Villa I Tatti-Harvard University (2013-2014). Si interessa di poetiche e retoriche rinascimentali, teatro, tradizione classica, rapporti tra musica e letteratura. Ha pubblicato una monografia su Alessandro Piccolomini e numerosi saggi su Ariosto, Tasso, Della Porta, la tradizione aristotelica e la ricezione rinascimentale del ‘sublime’. Ha ricevuto borse di ricerca dall’Università di Ginevra, l’ens di Parigi e la University of Texas-Austin. Luana Rizzo (Università del Salento) Insegna Storia della filosofia del Rinascimento presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni culturali dell’Università del Salento. L’attività di ricerca riguarda la storia del pensiero filosofico del Rinascimento e l’approfondimento di alcuni pensatori come Ficino, Erasmo, Lutero, Machiavelli e di quelli d’area meridionale come Giovanni Abioso da Bagnolo, Giovan Battista Della Porta,

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Matteo Tafuri, Francesco Scarpa, Quinto Mario Corrado, sui quali ha pubblicato diversi saggi e monografie. Ora attende all’edizione critica dell’unico Commento agli Inni orfici contenuto nel Vaticano Greco 2264, ancora inedito, vergato a Napoli da Francesco Cavoti nel 1537 e attribuito al filosofo Matteo Tafuri (1492-1584), figura emblematica del Rinascimento meridionale e del circolo culturale dei Della Porta. Marco Santoro (Presidente insrm) Professore ordinario di Bibliografia presso l’Università di Roma “La Sapienza” dal 1986 al 2012. Dal 2005 al 2007 ha diretto il Dipartimento di Scienze del libro e del documento del medesimo Ateneo. Dal 2007 al 2012 è stato coordinatore del dottorato di ricerca in “Scienze librarie e documentarie” della Sapienza. Dall’anno accademico 2013/2014 insegna Storia dell’editoria presso l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Membro dei Consigli scientifici e collaboratore di varie riviste italiane e straniere, dirige il trimestrale « Esperienze Letterarie », l’annuale « Paratesto » e « Rinascimento meridionale ». Già componente il Consiglio Nazionale per i Beni Culturali e Ambientali, Accademico Pontaniano, accademico dell’Arcadia, giornalista pubblicista, già Presidente della “Società italiana di Scienze bibliografiche e biblioteconomiche” fino al 2012, è dal 2012 Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale. Fondatore e direttore dal 2001 del sito www.italinemo.it. Coordinatore nazionale di vari progetti Cofin e Prin, relatore di numerosi cicli seminariali in Italia e all’estero (Argentina, Brasile, Ecuador, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Portogallo, Spagna, USA, Venezuela), “Visiting professor distinguido” presso la Complutense di Madrid nel 2008, docente presso il Middlebury College nel 1990, 1999, 2001, 2003 e 2005, è autore di molteplici contributi critici di storia del libro, di bibliografia, di storia della lettura e di critica letteraria apparsi in riviste specializzate, in atti di convegni e in miscellanee.  











Maurizio Torrini (Università di Napoli “Federico II”) Assistente di Eugenio Garin all’Università di Firenze, dal 1980 al 2013 ha insegnato Storia della scienza all’Università Federico II di Napoli. Ha concentrato i suoi interessi sulla storia del pensiero scientifico e filosofico dell’Italia moderna, in particolare sull’affermarsi della rivoluzione scientifica in Italia e in Europa. Si è anche occupato dei rapporti fra società, Stato e scienza nell’Italia contemporanea, dei problemi legati allo sviluppo della ricerca scientifica nei suoi aspetti istituzionali (università, musei, centri di ricerca) e teorici (rapporti col pensiero filosofico e con altre discipline). Dirige il « Giornale critico della filosofia italiana ».  



Oreste Trabucco (Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”) Insegna Storia della scienza nell’Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”. È redattore del « Giornale critico della filosofia italiana » e di « Galilaeana. Studies in Renaissance and Early Modern Science ». Entro l’Edizione Nazionale delle Opere di G. B. della Porta ha allestito il testo critico del De humana physiognomonia quae ad manuum lineas spectat (vol. 9, 2003) e degli Pneumaticorum libri tres (vol. 10, 2008).  







Paola Trivero (Università di Torino) Ha insegnato Letteratura italiana all’Università di Torino. I suoi studi sono rivolti, soprattutto, alla letteratura teatrale tra Cinque e Settecento, sia relativamente ai testi che alla pratica attoriale. Ha scritto sulla tragedia del Cinquecento, su Giovan Battista Della Porta, Federico Della Valle, Pier Jacopo Martello, Scipione Maffei, Luigi Riccoboni, Carlo Goldoni e Vittorio Alfieri. Sulla tragedia del Settecento, e in particolare su Alfieri, si segnalano i seguenti libri : Tragiche donne. Tipologie femminili nel teatro italiano del Settecento, 2000 (prima ristampa 2003) ; “Oreste” di Alfieri per Vittorio Gassman, 2010 ; Percorsi alfieriani, 2014.  





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profili degli autori Vincenzo Trombetta (Università di Salerno)

Insegna Storia del Libro e dell’Editoria all’Università degli Studi di Salerno. Già funzionario della Biblioteca Universitaria di Napoli conduce un’attività di ricerca dedicata alla storia delle biblioteche e dell’editoria. Socio della Accademia Pontaniana e dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli è membro del comitato scientifico della rivista « Rara Volumina », dei « Quaderni » della Fondazione Ranieri di Sorbello di Perugia e del Comitato di Consulenza delle « Culture del Testo e del Documento » Ha partecipato a seminari, convegni nazionali e internazionali in Italia e all’estero. Accanto a contributi apparsi in volumi collettivi, cataloghi e riviste specializzate, si segnalano le recenti monografie : L’editoria napoletana dell’Ottocento. Produzione circolazione consumo (2008), L’editoria a Napoli nel Decennio francese. Produzione libraria e stampa periodica tra Stato e imprenditoria privata (2011), Il Rinascimento Meridionale nell’editoria napoletana dell’Ottocento (2014).  













Michaela Valente (Università del Molise) Insegna Storia moderna all’Università del Molise. Si è occupata del dibattito demonologico in età moderna, di inquisizione romana, di censura ecclesiastica e di tolleranza religiosa. Tra le sue pubblicazioni, Bodin in Italia. La Démonomanie des sorciers e le vicende della sua traduzione, 1999 ; Johann Wier. Agli albori della critica razionale dell’occulto e del demoniaco nell’Europa del Cinquecento, 2003, Contro l’Inquisizione. Il dibattito europeo (xvi-xviii secolo), 2009 e Carlo V, 2013.  

Donato Verardi (Université Paris-Est Créteil) Socio Ordinario dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, è direttore di Accademia Hydruntina. Laureatosi a Lecce in Storia della Filosofia del Rinascimento con una tesi su Giovan Battista Della Porta, prosegue i suoi studi dapprima a Firenze, con Graziella Federici Vescovini, e, successivamente, a Parigi (Université Paris Est), sotto la guida di Nicolas Weill-Parot. Gli ambiti della sua ricerca concernono l’astrologia, la magia naturale e l’aristotelismo in lingua volgare italiana tra Medioevo e Rinascimento. Ha al suo attivo numerose ricerche, che hanno dato luogo a pubblicazioni in sedi di eccellenza e a comunicazioni in Congressi di Studio in Italia e all’estero. Tra le attività scientifiche più recenti o in corso, si segnalano la collaborazione con l’Ènciclopedia of Renaissance Philosophy (Springer), per la quale ha realizzato diverse voci (tra cui quella dedicata a Giambattista Della Porta), nonché l’incarico di ricerca, studio e schedatura di testi filosofici, manoscritti e a stampa (sec. xiv-xvi), nell’ambito del progetto cuis “Filosofi e libri della Terra d’Otranto tra eredità greco-bizantina e il fermento culturale del Rinascimento. Inventario dei testi filosofici, manoscritti e a stampa, della terra d’Otranto”, presso l’Università del Salento. Éva Vígh (University of Szeged) Professore ordinario di letteratura italiana presso l’Università di Szeged, già direttore scientifico dell’Accademia d’Ungheria in Roma. Le sue ricerche riguardano la letteratura cortigiana dei secoli xvi-xvii e la trattatistica di filosofia morale. Si occupa anche di antropologia culturale con special riguardo ai rapporti tra fisiognomica e letteratura, fisiognomica e simbologia animale. Ha pubblicato sei monografie, un centinaio di saggi e articoli in ungherese e in italiano sulla letteratura italiana, e ha curato una ventina di volumi nell’ambito della cultura italiana. Ha tradotto e curato l’edizione ungherese di alcuni capolavori della letteratura cortigiana fra cui B. Castiglione, G. Della Casa, T. Tasso, T. Accetto, D. Carafa e altri.

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APPENDICE ICONOGRAFICA*

* Si ringraziano la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e la Biblioteca Corsiniana di Roma per aver autorizzato le riproduzioni delle immagini.

Giovan Battista Della Porta: ritratti.

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appendice iconografica Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IIII, Napoli, Mattia Cancer, 1558.

De furtivis literarum notis, vulgo De ziferis libri III, Napoli, Giovanni Maria Scoto, 1563 (Biblioteca Corsiniana, Roma).

appendice iconografica

L’arte del ricordare, Napoli, Mattia Cancer, 1566 (Biblioteca Nazionale Centrale, Roma).

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appendice iconografica Olivetum, Napoli, Eredi Mattia Cancer, 1584 (Biblioteca Corsiniana, Roma).

Pomarium, Napoli, Orazio Salviani e Cesare Cesari, 1584 (Biblioteca Corsiniana, Roma).

appendice iconografica De humana physiognomonia, Vico Equense, Giuseppe Cacchi, 1586 (Biblioteca Corsiniana, Roma).

De humana physiognomonia, Napoli, Tarquinio Longo, 1599.

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appendice iconografica Phytognomonica, Napoli, Orazio Salviani, 1588 (Biblioteca Corsiniana, Roma).

Magiae naturalis. Libri XX, Napoli, Orazio Salviani, 1589 (Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze).

appendice iconografica

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De refractione optices parte. Libri novem, Napoli, Giacomo Carlino e Antonio Pace, 1593 (Biblioteca Corsiniana, Roma).

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appendice iconografica

Coelestis physiognomoniae, Napoli, Giovanni Battista Sottile, 1603 (Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze).

INDICE DEI NOMI A cura di Giovanna Maria Pia Vincelli

Abioso, Giovan Battista, 241 e n, 242 e n, 244 e

n, 246 e n Abū Bakr Muhammad Ibn Zakariyā Ar-Rāzī, 57 n Accetto, Torquato, 106 Achillini, Alessandro, 58 Ackermann, Erwin H., 66 n Acquaviva, famiglia, 36 Adamanzio, fisionomo, 57, 59, 72 e n, 75 e n, 76, 108, 113, 121, 203 e n Addesso, Cristiana Anna, 267 n Adesso, Mariantonia, 271 Afan de Rivera, Giulia, 319 n Agazzi, Elena, 65 n, 66 n Agazzi, Evandro, 69 n Agnelli, Giacomo, 51 n Agostino, Aurelius, santo, 204 Agrimi, Jole, 58 n, 247 n Agrippa von Nettesheim, Heinrich Cornelius, 50, 201, 202, 203 n, 209, 210, 244 e n Agrippa, Cornelio vedi Agrippa von Nettesheim, Heinrich Cornelius Aiello, Giuseppe, 11, 13, 31 Aita, Giovanna, 255 n Ajello, Giambattista, 320 Ajello, Raffaele, 35 n Albanese, Angela, 29 e n Alberti, Leandro, 287 e n, 288 Alberti, Leon Battista, 212 n, 289 Albertino, famiglia, 36 Alberto Magno, santo, 88, 113 n, 203, 204 e n, 209, 210, 241 n, 242, 243 e n Albumazar da Carpenteri, 206, 207 Alciato, Andrea, 115 Alderotti, Taddeo, 313 n Aldimari, Biagio, 291 n Aldobrandino da Siena, 58 e n Aldovrandi, Ulisse, 43, 49, 308 e n Aleandro, Girolamo il Giovane, 50 Aleandro, Girolamo, 62 n Aleotti, Giovan Battista, 225 Alessandrini, Ada, 62 n, 259 n Alessandro Magno, 66, 68, 82 n, 86, 88, 92 Alessio Piemontese vedi Ruscelli, Girolamo Alfano, Francesco, (monsignore), 11, 31 Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo, 24 Alfonzetti, Beatrice, 125 n, 193 n

Alhazen vedi Ibn Al-Haytham Alighieri, Dante, 115 Al-Kindī, 241 n Allacci, Leone, 95 e n Allegri, Luciano, 182 n Alliney, Giulio, 50 e n, 51 n Alonge, Roberto, 182 n Altieri Biagi, Maria Luisa, 258 n Altomare, Donato Antonio, 43, 257, 292 Altomare, famiglia, 292 Álvarez de Toledo y Zúñiga, Pedro, 35, 37, 38, 39, 288 Alvarez, Diego, 82 n Alviano, Bartolomeo d’, 132 Amabile, Luigi, 234, 235 n, 267 n Ammannati, Bartolomeo, 88 e n, 92 Ammirato, Scipione, 128 e n, 129 e n Anassilao di Larissa, 202, 203 Anawati, Georges Chehata, 61 n Andrade, António, 72 n André, Jacques, 72 n Andrea d’Isernia, 82 n, 106 Andreae, Johann Valentin, 219 e n, 221, 232 Andreini, Giovan Battista, 185 e n Angelini, Franca, 182 n Angri di Avellino, principessina, 319 n Anonimo latino, 57 e n, 61 n, 72 n Antonini, Giuseppe, 67 n, 96 e n Antonio, Marco, triumviro, 193 n Apollodoro di Atene, 189 Apollonio di Tiana, 210 n Apuleio, 57, 213 Aquilecchia, Giovanni, 27, 28, 51, 58 n, 100, 134 n, 233 n Aquino, famiglia d’, 87, 89 Aquino, Ladislao d’, (cardinale), 87 n Aragno, editore, 28 Aragona, Alfonso d’ vedi Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo Aragona, casata, 288 Aragona, Ferdinando I d’ vedi Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli Aragona, Ferdinando II d’ vedi Ferdinando II d’Aragona detto il Cattolico Archelao de Manentibus, 201 Archimede, 143, 148, 151, 219, 222 e n, 223, 224, 229, 230, 231

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indice dei nomi

Arcimboldo, Giuseppe, 307 e n Ardito, Pietro, 321 e n, 322 Arduino, Giorgio, 69 n Aretino, Pietro, 182 n Argenton, Bruno, 70 n Aristotele, 52, 57, 58, 59 e n, 60 e n, 61, 63, 64, 68, 69, 72, 77, 108, 111 n, 112, 113 e n, 114, 115, 118, 120, 170, 171, 172, 209, 210, 212, 213 e n, 214, 217, 223, 225, 226, 230, 231, 242, 273 e n, 297, 298, 299, 300 e n, 301 e n, 302, 303, 304, 313 Arnocida, Giuseppe, 67 n Arouet, François-Marie, 66 Arsiccio vedi Magnanini, Ottavio Asburgo, Filippo II d’ vedi Filippo II d’Asburgo, re di Spagna Asburgo, Massimiliano II d’ vedi Massimiliano II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Asburgo, Rodolfo II d’ vedi Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Asburgo-Lorena, Giuseppe II d’ vedi Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, imperatore del Sacro Romano Impero Ascarelli, Fernanda, 267 n Aschhausen, Giovanni Goffredo d’ vedi Aschhausen, Johann Gottfried von Aschhausen, Johann Gottfried von, principe di Bamberga, 257 n Astarita, Tommaso, 36 n, 235 n Ateneo di Naucrati, 272 Attanasio, Sergio, 292 n Attendolo, Giovanni Battista, 265 Attilio Regolo, Marco, 213 Augé, Marc, 284 n Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, 82 n, 88 n, 89, 93, 128 Aulisio, Giovanni Tommaso, 263, 266 Aurino, Vincenzo, 264 Austriacus vedi Magirus, Johannes Avalos, famiglia d’, 36, 288 Avellino, Francesco Maria, 317 Averroè, 209 Avicenna, 113 n, 242 n, 314

Bacco, Enrico, 36 e n, 39 e n, 41

Backer, Jacob Adriaensz, 116 Bacon, Francis, 49, 59, 66, 209, 216, 298 Bacone vedi Bacon, Francis Bacone, Ruggero, 58 e n, 311 e n Badaloni, Nicola, 29 n, 51, 223 n, 229 n, 235 n, 259 n, 278 n Bagolino, Giovanni Battista, 72, 74, 75, 76, 77 Bakhouche, Béatrice, 242 n Balbiani, Laura, 27 n, 29 n, 62 n, 159 n, 222 n, 236 n, 244 n, 258 n, 278 n

Baldassarri, Guido, 11, 13 Baldi, Bernardino, 224, 225 e n Baldi, Marialuisa, 221 n, 236 n Baldini, Ugo, 233 n, 234 n, 235 Balduino, Girolamo, 303 Baliani, Giovan Battista, 231 Baltrušaitis, Jurgis, 61 n, 64 n Balzac, Honoré de, 65 Bandinelli Baranelli, Fiamma Bianca, 63 n Barbarito, Pompeo, 180 Barbaro, Ermolao detto il Giovane, 273, 277 Barberini, Francesco, (cardinale), 259 n Barberini, Maffeo Vincenzo vedi Urbano VIII, papa Barbieri, Daniele, 68 n Barbieri, Matteo, (abate), 48 e n, 49, 319 Barcia, Franco, 128 n Baroncelli, Giovanna, 108 Barsanti, Giulio, 69 n Bartoli, Daniello, 62 Bartolomeo da Messina, 72, 74, 75, 76 e n, 77 Bartolomeo de Miranda vedi Carranza, Bartolomé de Miranda Bartolomeo della Rocca detto Cocles, 58 e n, 74 e n, 113 Basile, Bruno, 9, 13, 28 e n, 57, 67 n, 258 n Basile, Giambattista, 82 n, 106 Basilio di Cesarea, santo, 313 e n Bassan Levi, Rita, 61 n Bassi, Maria Luisa, 59 n Bateson, Gregory, 69 n Battistini, Andrea, 252 n Beauharnais, Eugenio de, viceré d’Italia, 316 Becchi, Antonio, 219 n Beecher, Donald, 9, 14, 169 e n, 173 n Beeckman, Isaac, 27 Behn, Aphra, 169 Bekker, Immanuel, 72, 79 Bell, Charles, 67, 69 Bellanti, Lucio, 241 e n, 243, 244, 248 e n Bellé, Riccardo, 27 n, 53 Beller, Manfred, 65 n Belli, Luca, 206 Bellini, Eraldo, 252 n Belloni, Gabriella, 28, 29 n, 207 n, 278 n, 282 n Bellucci, Ermanno, 267 n Belo, Francesco, 184 e n Beloch, Karl Julius, 40 n Belon, Pierre, 42 Belting, Hans, 57 n Beltrano, Ottavio, 41, 102, 105, 106 Bembo, Pietro, 264 Bentivoglio, Enzo, 181 n Beranger, Carlo Antonio, 315

indice dei nomi Beretta, Francesco, 234 n Berkeley, George, 63 n Bernardi, Claudio, 179 n, 186 n Bernardo di Chiaravalle, santo, 313 n Bernardo di Clairvaux vedi Bernardo di Chiaravalle, santo Berti, Giordano, 9, 14 Bertolin, Silvia, 236 n Bertoloni Meli, Domenico, 219 n Bertozzi, Marco, 11, 12, 13, 31 Bettini, Maurizio, 57 n Biagetti, Maria Teresa, 252 n Bianca, Concetta, 10, 11, 14, 30 Bianchi, Alessandro, 194 n Bianchi, Luca, 243 n, 297 e n Bianchi, Vincenzo, 99 e n, 100 e n, 101 Biblio, Giovanni Antonio, 264 Bifolco, Stefano, 84 n Biondi, Albano, 209 n, 281 n Biondo, Michelangelo, 113 Biringucci, Vannoccio, 225 Birwistell, Ray, 69 n Blanco, Francesco, 171, 181 n Blumenbach, Johann Friedrich, 64, 68 Blumenberg, Hans, 70 e n Boas Hall, Marie, 47 e n Bobbio, Norberto, 60 n Boccaccio, Giovanni, 278 Boccanera, Giuseppe, 318, 322 Bodei, Remo, 63 n Bodin, Jean, 203, 206, 208 e n, 234, 235, 237, 238 Boerhaave, Herman, 66 Böhme, Hartmut, 225 n Bolzani Dalle Fosse, Giovanni Pietro, 278 Bolzoni, Lina, 185 n, 209 n, 211 e n, 212 e n, 214 n, 215 n, 216 n, 217 n Bonaiuti, Gianluca, 65 n Bonani, Vittoria, 233 n Bonanno, Bernardino, (barone), 103 Bonaparte Murat, Maria Annunziata Carolina, regina delle Due Sicilie, 316 Boncompagni Ludovisi, Baldassarre, 308 n, 320 Boncompagni, Baldassarre vedi Boncompagni Ludovisi, Baldassarre Bonifacio, Giovanni, 60 Bonino, Scipione, 95, 105, 106 Bonora, Elena, 233 n Boon, James A., 64 n Borbone, Ferdinando I di vedi Ferdinando I di Borbone, re del Regno delle Due Sicilie Borbone, Ferdinando II di vedi Ferdinando II di Borbone, re del Regno delle Due Sicilie Borgia, Cesare, 87, 91 Bormann, Norbert, 62 n

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Borraccini, Rosa Marisa, 82 n, 97 n, 263 n, 268 n Borrelli, Arianna, 229 n Borromeo, Carlo, (cardinale), 179, 186 Borromeo, Federico (cardinale), 257, 258, 293, 307 e n, 308 e n, 309, 310 e n, 311 e n, 312, 313 e n, 314 Borsetto, Luciana, 78 n Borzelli, Angelo, 266 e n, 267 n Bosch, Hieronymus, 119 Boulanger, Nicolas-Antoine, 318 Bourbon Del Monte Santa Maria, Francesco Maria, (cardinale), 224 Bourbon Del Monte, Guidubaldo, 224 Bourguignon, Louis-Dominique, 68 e n Boutier, Jean, 234 n Bove, Domenico, 106 Bovio, Zefiriele Tommaso, 98 Boys-Stones, George R., 57 n, 72 n Bozzavotra, Giovanni Antonio, 43 Bragagnolo, Manuela, 238 n Brahe, Tycho, 52 Brancaforte, Elio, 172 n Brancalasso, Giulio Antonio, 41 Brevaglieri, Sabina, 239 n Bridoux, André, 63 n Bright, Timothie, 59 Brindicci, Monica, 28 e n Broca, Paul, 67 Broccoli, Angelo, 322 Brooke, Samuel, 169 Brucker, Jacob, 48 e n Brunfels, Otto, 43 Bruni, Domenico, 182 e n Bruni, Leonardo, 313 Bruno, Giordano, 12, 23, 48, 50, 125, 182, 211, 234, 239, 316 Bühler, Karl, 70 e n Bujanda, Jesus Martinez de, 236 n Bulifon, Antonio, 160, 162 n, 203 Buonarroti, Michelangelo, 213 Buontalenti, Bernardo, 225 Burali d’Arezzo, Paolo, beato, arcivescovo di Napoli, 82 n, 235 Burgundione da Pisa, 276 Buridan, Jean, 313 e n Buridano, Giovanni vedi Buridan, Jean Burton, Robert, 27, 59

Cabanis, Pierre-George, 66

Cacchi, Giuseppe, 24, 82 n, 83, 84, 91, 261, 262 e n, 263, 264, 265, 266, 319 n Cafisse, Maria Cristina, 29 n, 40 n, 81 n, 268 n, 278 n, 307 n Cajetani d’Aragona vedi Gaetani d’Aragona

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indice dei nomi

Caldwell, W. Glen E., 161 n Caligola, Giulio Cesare Germanico, 87, 89, 93 Calpurnio Siculo, Tito, 271 Cambi, Maurizio, 217 n Camerini, Eugenio, 322 Camillo, Giulio, 209 n, 211 Camozzi, Giovan Battista, 72, 74, 75, 76, 77 Campanella, Tommaso, 48, 50, 125 n, 127, 128, 130 e n, 135 e n, 205, 234, 239 e n, 316, 318 Camper, Petrus, 64 e n, 65, 66, 68, 70 Camper, Rüdiger, 65 n Campori, Giuseppe, 49 e n, 81 n, 224 n, 235 n, 255 n, 256 n, 257 n, 258 n, 308 n Camutius vedi Camozzi, Giovan Battista Canestrini, Giovanni, 69 n Canone, Eugenio, 240 n Cantelmo, Andrea, 103 Cantor, Geoffrey, 147 n Canziani, Guido, 221 n, 236 n Capaccio, Giulio Cesare, 82 n, 106, 129, 130, 288 e n, 289, 293 n Capasso, Bartolomeo, 39 n Capasso, Sosio, 318 n Caplan, Harry, 212 n Capobianco, Alessandro, 142 e n Capozzuto, Luzio, 81 Cappelli, Giovanni Battista, 263, 265, 266 Capponi, Luigi, (cardinale), 238 Capua, famiglia di, 36 Capua, Matteo di, principe di Conca, 41, 42, 290 Capuano, Marina, 12, 32 Caputo, Cosimo, 302 Caracalla, 89 Caracciolo, famiglia, 36 Caracciolo, Giuseppe, 103 Caracciolo, Pasquale, 42 Carafa Della Spina, famiglia, 291 Carafa, Maria, contessa di Santa Severina, 292 Carafa, Andrea, conte di Santa Severina, 290, 292 Carafa, famiglia, 36, 290, 291 Carafa, Federico, barone di Civitaluparella e marchese di San Lucido, 290 Carafa, Ferrante, marchese di San Lucido, 264, 266, 290 e n, 291, 292 Carafa, Giovanni, duca di Noja, 293, 294 Carafa, Mario, (arcivescovo), 82 n Carafa, principi di Belvedere, 292 Carafa, Vincenzo Luigi, principe di Stigliano, 42 Cardano, Girolamo, 50, 58 e n, 108, 203, 219, 220, 221 e n, 226 e n, 227 n, 233, 236, 298 Carletti, Niccolò, 293, 294 Carlino, Giovanni Giacomo, 82 n, 84, 106, 108, 263, 264, 265, 266, 267

Carlo V, imperatore, 35, 255 Carlo VIII, re di Francia, 285 Carlo, Antonella, 267 n Caro Baroja, Julio, 60 n Caroli, Flavio, 57 n, 59 n Carracci, Annibale, 62 Carranza, Bartolomé de Miranda, 238 Carruthers, Mary, 210 n Cartari, Vincenzo, 103 Cartesio, 27, 53, 62, 63 n, 154, 298 Cartouche vedi Bourguignon, Louis-Dominique Carus, Karl Gustav, 64, 66, 68 Casella, Anna, 255 n Casella, Gaspare, 130 Casella, libreria antiquaria, 24 Casoni, Guido, 206 Caspar, Max, 151 n Cassiano Basso, 273, 276 Castanò, Francesca, 292 n, 293 n Castellaneta, Stella, 106 e n Castiglione, Baldassarre, 193 Castriota Carafa, Giovanna, duchessa di Nocera e marchesa di Crosia Sant’Angelo, 265 Castriota, Costantino, 42 Castro Andrade y Portugal, Pedro Fernandez de, viceré e VII conte di Lemos, 35, 43, 44, 82 n, 83, 125 n Cataudella, Michele, 9 n, 12, 32 Caterina II la Grande, imperatrice di Russia, 66 Catullo, Gaio Valerio, 114 n Cau, Giovanni, 51 n Cavalluzzi, Raffaele, 29 n, 278 n Cavarzere, Marco, 233 n Cellini, Benvenuto, 166 Centini, Massimo, 28 Cerbo, Anna, 9, 14, 125, 193 n, 267 e n, 268 n Cervantes Saavedra, Miguel de, 206 Cesano, Bartolomeo, 108 Cesare vedi Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Cesarini, Virginio, 253 Cesi, Federico, 44, 45, 50, 51, 52 e n, 82 e n, 189 e n, 238, 239 e n, 251 e n, 252 e n, 253 e n, 254 e n, 255, 256 e n, 257, 258 e n, 259 e n, 308 e n, 309 e n, 310, 312 e n, 314 e n Chamberlin, J. Edward, 64 n Cherchi, Paolo, 78 n, 186 n Cherubino da Verona, 238 Chianese, tipografia, 317 Chioccarello, Bartolomeo, 255 n, 256 e n Chiodi, Pietro, 60 n Churchland, Patricia, 63 n Cianci, Dorella, 60 n Ciccarelli, Diego, 267 n

indice dei nomi Ciccarello, Domenico, 82 n Ciccuto, Marcello, 11, 13, 30 Cicero, Vincenzo, 67 n Cicerone, Marco Tullio, 66, 82 n, 112, 113 n, 137, 209, 210, 212 e n, 217, 282 n, 297, 298, 313 e n Cicognani, Mario, 28, 60 n Ciliberto, Michele, 27 n, 28 Cincinnato, Lucio Quinzio, 273 Cioffi, Mario, 235 Cioni, Alfredo, 262 n Cirillo, Ornella, 292 n, 293 n Cirillo, Teresa, 125 n Citarella, Carmine, (monsignore), 268 n Cito, Francesco, 319 n Civil, Pierre, 125 n Clark, John R., 207 n, 244 n Clarke, Angus G., 58 n Claus, David B., 57 n Clerici, Fabrizio, 28 Clubb, Louise George, 29 e n, 51, 61 n, 125 e n, 127 e n, 134 n, 169 n, 206 n, 255 n Cobelluzzi, Scipione, 254 Cocchi, Antonio, 51 n Cocles vedi Bartolomeo della Rocca Coeffetau, Nicolas, 62 Colangelo, Francesco, 317 e n, 319, 320 Collado, Luis, 142 Collatino, Lucio Tarquinio, 214 Collina, Beatrice, 186 n Colombo, Giorgio, 68 n Colonna, Fabio, 252 Colonna, Geronimo, 293 Colonna, Marcantonio, (cardinale), 237 Colonna, Pompeo, 102, 293 Colonna, Vittoria, 12, 23 Columella, Lucio Giunio Moderato, 137, 272 Combi, Giovanni Battista, eredi, 84, 86, 91 Comite, Orazio, 106 Commandino, Federico, 224, 225, 226, 229 Comparato, Vittor Ivo, 44 n Comte, Auguste, 66 Concolino Mancini, Bianca, 125 e n, 126 n Conforti, Maria, 43 n Contarini, Giacomo, 224, 225 Contarini, Silvia, 63 n Conte di Lemos vedi Castro Andrade y Portugal, Pedro Fernandez de Conte di Miranda vedi Zúñiga y Avellaneda, Juan de Conte, Domenico, 315 n Continisio, Chiara, 128 n Contrada, Carlo Feliciano, 321 Copernico, Nicolò, 52

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Coppola, Alba, 12, 32 Cordemoy, Odo de, 103 Cornario, Jano vedi Hagenbut, Johann Corsano, Antonio, 278 n Corsini, Andrea, 51 n Cortese, Giulio Cesare, 41, 106 Cosimo II de’ Medici, granduca di Toscana, 256 en Costa, Júlio, 72 n Costanzo Della Porta, Filesio, 81 n, 259 e n, 309 Costanzo, Alfonso di, 292, 309 Costanzo, Angelo di, 291 Costanzo, Cola Francesco di, 291 Costanzo, Eugenio di, 81 n, 309 Costanzo, famiglia di, 261, 291, 294 Costanzo, Francesco Maria di, 291, 292, 294 Costanzo, Fulvio di, marchese di Corleto, 290, 291, 295 Costanzo, Leandro di, 81 n, 309 Costo, Tommaso, 106, 265 e n, 287 e n, 291 n Courbaud, Edmond, 212 n Courtine, Jean-Jacques, 63 n Crasso, Lorenzo, 256 n Crasta, Francesca Maria, 43 n Cremante, Renzo, 193 n Cremerius, Johannes, 67 n Crescenzi, Pietro de, 274 e n, 276 e n, 277 Cresino, Caio Furio, 279 Croce, Benedetto, 60 n, 100, 180 n, 318 n, 322, 323 Cuoco, Vincenzo, 315 e n, 316 Cureau de la Chambre, Marin, 62 Curry, Patrick, 58 n Curzio Rufo, Quinto, 313 n Cutolo, Paolo, 59 n

D’Afflitto, Giovanni Battista, 106

D’Agostino, Renata, 11 D’Alessandro, Lucio, 11, 13 D’Andrea, Francesco, 292 D’Anna, editore, 28 D’Anna, Fabio, 264 D’Aquila, Teresina, 319 n D’Episcopo, Francesco, 40 n, 268 n, 307 n Da Rif, Bianca Maria, 11, 13, 26 Daléchamps, Jacques, 271, 272 Daniele, Gaetano, 11, 13, 31 Darete Frigio, 61 Darwin, Charles, 69, 70 e n Daston, Lorraine, 43 n Davanzati, Bernardo, 225 Davico Bonino, Guido, 182 n David, Alexandre, 67 n De Angelis, fratelli, 321 De Angelis, Gilberto, 252 n

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indice dei nomi

De Bellis, Ennio, 72 n De Blasi, Nicola, 128 n De Camelis, Michelina, 319 n De Cupiti, Agostino, 264 De Franco, Luigi, 229 n De Frede, Carlo, 82 n, 85 n, 267 n De Fusco Cito, duchessine, 319 n De Gennaro, Pier Paolo, 12, 32 De Gregorio, Vincenzo, 268 n De Lorenzo, Renata, 11, 12, 13, 25, 31 De Magistris, Luigi, 11, 31 De Maio, Romeo, 235 n De Marinis, Marco, 179 n De Martino, Alessandra, 12, 31 De Miranda, Girolamo, 44 n, 265 e n De Nichilo, Mauro, 125 n De Ponte, Giovan Francesco, 41 De Renzi, Silvia, 233 n De Rosa, Giovanni vedi Della Porta, Giovan Battista De Rosa, Giovanni, giurisperito, 81 n De Sanctis, Francesco, 278, 320 De Seta, Cesare, 38 n, 281 n De Simone, editore, 28 De Vivo, Raffaella, 9, 14, 27 n, 28, 33, 53, 137, 272 en Decembrio, Pier Candido, 313 n Decio, Antonio, 193 Decroisette, Françoise, 9, 14, 179 Defilippis, Domenico, 10, 11, 14, 30 Defradas, Liliane, 59 n Del Monaco, Francesco Maria, 179, 180 n Del Monte, Guidobaldo vedi Bourbon Del Monte, Guidubaldo Del Panta, Lorenzo, 40 n Della Porta, Cinzia, 81 n, 292, 309 Della Porta, famiglia, 40, 41, 255, 261 Della Porta, Giovan Battista, 9, 11, 12, 15, 21, 23, 24, 26, 27 e n, 29 n, 30, 31, 33, 35, 36, 40, 41 e n, 42 e n, 43 e n, 45, 47 e n, 48, 49, 50, 51 e n, 52 e n, 53, 57, 58 e n, 59 e n, 60 e n, 61 e n, 62 n, 63, 64, 66, 67, 68, 69, 70, 71 72 e n, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 81 e n, 82 e n, 83, 84 n, 85, 86, 88 e n, 89, 90, 95, 98, 99, 102, 108, 109, 111 e n, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 125 e n, 126, 127, 128 e n, 129 e n, 130, 131, 132 e n, 133, 134 e n, 135, 137 e n, 138, 139, 140 e n, 141 e n, 142 e n, 143 e n, 144 e n, 145, 147, 148, 149, 150 e n, 151 e n, 152, 153 e n, 154, 155, 156, 157 e n, 159, 160, 161, 162, 163, 164 e n, 165 e n, 166, 169 e n, 170, 171 e n, 172, 173 e n, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180 e n, 181 e n, 182, 183 n, 184, 185 e n, 186 e n, 187 e n, 189 e n, 190, 191, 193, 195, 196 e n, 197, 201 e n, 202 e n, 203 e n, 204 e n, 205, 206 e n, 207 e n, 208, 209, 210 e n, 211 e n, 212 e n, 213,

214, 215, 216, 217 e n, 219, 220 e n, 221 e n, 222, 223 e n, 224 e n, 225, 226, 227, 228, 229 e n, 230, 231, 232, 233 e n, 234, 235, 236 e n, 237, 238 e n, 239 e n, 240, 241 e n, 242 e n, 243 e n, 244, 245 e n, 246 e n, 247 e n, 248, 249, 251 e n, 252, 253, 254 e n, 255 e n, 256 e n, 257 e n, 258 e n, 259 e n, 260 e n, 261, 262, 263, 264, 271 e n, 272 e n, 273 e n, 274, 275, 276, 277, 278 e n, 279, 280 e n, 281 e n, 282 e n, 283 e n, 284 e n, 285, 286, 287, 289, 290, 291, 292, 293, 294, 295, 297, 298, 299, 300, 301, 303, 304, 305, 307 e n, 308 e n, 309 e n, 310, 311 e n, 312 e n, 313 e n, 314, 315, 316, 317, 318, 319, 320, 321 e n, 322, 323 Della Porta, Giovan Vincenzo, 40, 41, 82 n, 87, 89, 241 e n, 244, 259, 260 Della Porta, Nardo Antonio, 40, 255, 261 Della Porta, Pietro Paolo, 40 Della Valle, Niccolò, 272 Democrito, 225 Demostene, 313 e n Denina, Carlo, 315, 316 Denunzio, Antonio Ernesto, 289 n Descartes, René vedi Cartesio Di Castro, Scipione, 41 n, 125, 127 e n, 128 e n, 129 e n, 130, 131, 132, 133, 134 e n, 193 Di Giacomo, Salvatore, 24, 258 n, 261 Di Lorenzo, Pietro, 12, 32 Di Mauro, Angelo, 266 n Di Mauro, Leonardo, 10, 11, 14, 30, 38 n, 289 n Dickson, Adam, 279 n Diego de Urrea vedi Urrea Conca, Diego de Diocle di Caristo, 208 Diogene Laerzio, 89 n Dioscoride Pedanio, 272, 277 Distaso, Grazia, 106 n, 125 e n Ditti Cretese, 189 Divenuto, Francesco, 59 n Dixon, Laurinda S., 59 n Dobelio, Marco, 88 n Doglio, Maria Luisa, 27 n Dolce, Lodovico, 193, 209 n Dolla, Vincenzo, 40 n, 267 n, 268 n, 307 n Domiziano, Tito Flavio, 89 Donadio, Laura, 61 n Donato d’Eremita, 245 n Donato, Maria Pia, 233 n, 239 n Donzelli, Giuseppe, barone di Dogliola, 267, 292, 293 n Dorandino Falcone da Gioia vedi Falcone, Dorandino Doria, Gino, 264, 294 e n Dubois, Philippe, 61 n Duca di Lerma vedi Gómez de Sandoval y Rojas, Francisco Duichin, Marco, 66 n

indice dei nomi Dupré, Sven, 147 n, 150 n, 151 n Dürer, Albrecht, 63 e n

Eamon, William, 159, 160 n, 205 e n Eco, Umberto, 65 n, 209 n, 214 n Efron, David, 69 n Ekman, Paul, 63 n, 69 n, 70 n Ellis, Hadyn D., 69 n Elsheikh, Mahmoud Salem, 57 n Engel, Gisela, 229 n Epicarmo, 185 Epicuro, 225 Erasmo da Rotterdam, 209 Ermete Trimegisto, 242 n Ernst, Germana, 9, 10, 14, 128 n, 130 n, 203 e n, 234 n, 278 n, 281 n Erone di Alessandria, 143, 220, 221, 223, 224, 225, 226, 231 Esiodo, 272 Esposito Vitolo, Antonio, 97 e n, 98 e n, 99 e n, 100, 108 Esposito, Lalla, 12, 14, 32 Este, famiglia d’, 225 Este, Ippolito II d’, (cardinale), 290, 291 Este, Luigi d’, (cardinale), 40, 41, 48, 81 e n, 86, 134, 144, 224, 235, 236, 255 e n, 256 n, 257, 261, 262, 291, 308 e n, 309, 312 Esteve, Cesc, 239 n Estienne, Henri, 272 Euclide, 147 e n, 149 e n, 314 Euripide, 114 n, 116 n Evans, Robert John Weston, 307 n Faber, Giovanni, 49, 85, 251 n, 252 e n, 253 e n,

254 e n, 256, 308 n Falaschi, Luca, 58 n Falcigno, Domenico, 268 n Falcone, Dorandino, 33, 210 Farnese, famiglia, 87 Farra, Alessandro, 208 Farri, Giovanni e fratelli, 108 Fartzoff, Michel, 242 n Fasano, Tommaso, 293, 294 e n Fasciardo, Pietro vedi Vélez, Pedro Fajardo marchese de los Faustina, Annia Galeria, imperatrice, 87 Federici Vescovini, Graziella, 243 n Federici, Renzo, 59 n Federico I imperatore detto il Barbarossa, 66 Feo, Giuditta Moly, 63 n Feraboli, Simonetta, 246 n Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli, 37 Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, 317 n

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Ferdinando II d’Aragona detto il Cattolico, 35 Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, 319 Ferdinando il Cattolico vedi Ferdinando II d’Aragona detto il Cattolico Ferdinando IV vedi Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie Fergola, Salvatore, 293 Ferrante I d’ Aragona vedi Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli Ferraro, Bruno, 169 n, 173 n Ferraro, Domenico, 29 n, 278 n Ferraro, Giovanbattista, 42, 43 Ferraro, Pirro Antonio, 43 Ferraro, Salvatore, 9, 14, 261 e n, 266 n, 268 n, 319 n Ferri, Enrico, 70 Ferrini, Maria Fernanda, 60 n, 71 n, 75, 76, 77, 79, 111 n Ferro, Roberta, 252 n Ferrone, Siro, 179 e n Ferroni, Giovan Battista, 103 Fibreno, stamperia e cartiera, 320 Ficino, Marsilio, 59 n, 207 e n, 241 e n, 244 e n, 245, 246, 247, 281 n Filangieri, Gaetano, 23 Filippo II d’Asburgo, re di Spagna, 43, 256 n, 257 Filoramo, Giovanni, 234 n Findlen, Paula, 233 n, 307 n Finella, Filippo, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109 Finger, Heinz, 85 n Finocchiaro, Giuseppe, 253 n Finotti, Fabio, 26 Fioravanti, Leonardo, 43, 98 Fiorentino, Francesco, 27, 49 e n, 50 e n, 52, 234 e n, 255 n, 280 n, 321, 322 e n Fiorentino, Luisa, 234 n, 280 n, 322 n Fiorino, Tonia, 40 n, 268 n, 307 n Firpo, Luigi, 48, 60 n, 128 n, 233, 234 n, 239 n Firpo, Massimo, 233 n Fischer, Pietro, 84, 85 n, 86, 91 Fischer, Pietro, eredi, 85 Flauto, Vincenzo, 316 n Formiggini, Angelo Fortunato, 51 Fornari, Cesare, 321 Forster, E. S., 71 n, 74, 75, 76, 77, 79 Förster, Richard, 57, 72 e n, 74 e n, 75, 76 e n, 77, 79, 204 n Fosi, Irene, 10, 11, 13, 30 Foucault, Michel, 249 e n Fragnito, Gigliola, 233 n, 238 n, 239 n Frajese, Vittorio, 233 n Frangenberg, Thomas, 147 n

360

indice dei nomi

Fratta, Giovanni, 103 Fregoso, Federico, 193 Freud, Sigmund, 295 e n Frigessi, Dario, 68 n Fuchs, Leonhart, 43, 278 e n Fulco, Giorgio, 29 n, 40 n, 41 e n, 82 n, 130 e n, 134 e n, 278 n, 284 n, 285, 307 n, 313 n Fumagalli, Giuseppe, 264 e n Funck, Maurice, 100

Gabriele, Mino, 278 n Gabrieli, Giuseppe, 27, 30 e n, 43 n, 44 n, 45, 51 e n, 82 n, 234 n, 238 n, 239 n, 251 n, 252 n, 253 n, 254 n, 255 n, 256 n, 257 n, 258 n, 259 n, 307 n, 308 n, 309 e n, 310 n, 311 n, 312 e n, 313 n, 314 n Gaetani d’Aragona, Giovannella, 292 Gaetani d’Aragona, famiglia, 288 Gaetani, Miranda, 319 n Gaffaro, Giacomo, 97, 98, 101, 102, 103, 105, 106, 107 Galba, Servio Sulpicio, 89 Galeno, Claudio, 59, 113 n, 242 n Galilei, Galileo, 24, 49, 50, 51, 52, 53, 137, 224, 231, 232, 234, 239 n, 252 e n, 256 n, 259 n, 308 e n, 309 e n, 317 Gall, Franz Joseph, 66 e n, 67, 68 e n, 69 Gallo, Agostino, 284 e n Gallottini, Angela, 253 n Galluzzi, Paolo, 52 n, 147 n, 232 n, 252 n Gamba, Enrico, 219 n Gambardella, Michele, 322 Gameren, Hannard van, 245 n García Arenal, Mercedes, 257 n Gardair, Jean-Michel, 234 n Gargano, Antonio, 125 n Gargano, Giovanni Battista, 106 Gargiolli, Carlo, 225 n Garin, Eugenio, 27 e n, 48, 51 e n, 53, 59 n, 125 n, 202 n, 241 n, 278 n Garzoni Leonardo, 140 e n, 141 Garzoni, Tommaso, 186 e n, 206, 210 Garzya, Antonio, 268 n Gastaldi, Silvia, 301 n Gatto, Romano, 222 n, 223 n Gaurico, Luca, 59 Gaurico, Pomponio, 58, 59 n, 113 Gavagna, Veronica, 27 n, 28, 33, 53 Gaza, Teodoro Giacinto, 272 Gazzella, famiglia, 36 Genesin, Monica, 246 n Genette, Gérard, 181 n Genoino, Giulio, 318, 319 Genovesi, Antonio, 24 Gentile, Aniello, 318 n

Gentile, Giovanni, 49, 322 n Gentileschi, Artemisia, 120 Gera, Francesco, 279, 280 e n, 285 Gervasi, Nicola, 317 Gessner, Konrad von, 42, 61, 73, 75, 76, 77, 78 Gesualdo, Alfonso, 238 Gesualdo, Carlo, 82 n Gesualdo, Filippo, 210 Getrevi, Paolo, 57 n, 70 n Gherardini, Paola, 125 n, 181 e n, 185 n Ghersetti, Antonella, 58 n Ghini, Luca, 293 Ghio, tipografia, 320 Giabir ibn Hayyan, 108 Giamblico di Calcide, 204 n Giancanelli, Ferruccio, 68 n Gianfelice, Rita, 11 Gianfrancesco, Lorenza, 44 n Giannetti, Anna, 9, 14, 287, 289 n, 290 n, 295 n Giannini, tipografia, 322 Giannotti, Nicola, 319 n Giardina, Camillo, 127 n Gibson, Mary, 68 n Gigliotti, Gianna, 29 n, 278 n Gilbert, William, 27, 245 Gilly, Carlos, 219 n Gilman, Sander L., 64 n Ginzburg, Carlo, 62 n Gioacchino da Fiore, 264 Gioacchino Napoleone Murat, re di Napoli, 316 Giolito, famiglia, 221 Giorgi, Alessandro, 226 Giorgio da Trebisonda, 302, 313 e n Giorgio, Francesco, 233 n Giotto, 116 Giovan Pietro d’Avenza, 272 Giovannetti, Marcello, 62 n Giovanni Abioso da Bagnolo vedi Abioso, Giovan Battista Giovanni Assumbeio detto Ussucassano, 62 Giovanni da Rupescissa vedi Rupescissa, Iohannes de Giovenale, Decimo Giunio, 63 n, 114 n Giovio, Paolo, 61, 87 e n, 91 Giraldi Cinzio, Giovan Battista vedi Giraldi, Giovan Battista Giraldi, Giovan Battista, 171 e n, 193 e n, 197 Giuffredi, Maurizio, 70 n Giulio Attico, 274 Giuseppe Boccanera da Macerata vedi Boccanera, Giuseppe Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, 315 Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, imperatore del Sacro Romano Impero, 66

indice dei nomi Giusso, Girolamo, (conte), 266 n Giustiniani, Lorenzo, 105, 264 e n, 268 n Giustino, Marco Giuniano, 313 e n Gliozzi, Mario, 48 Goddenthal, George, 69 n Goethe, Johann Wolfgang von, 64 e n Goldie, Peter, 69 n Goldoni, Carlo, 322 Gombrich, Ernst Hans, 59 n Gómez de Sandoval y Rojas, Francisco, duca di Lerma, 35 Gonzaga, Vincenzo I, (duca), 255 e n, 256 n González Manjarrés, Miguel Ángel, 9, 13, 28 e n, 59 n, 71, 72 n, 73 n Gordon, Donald James, 170 e n Gorman, Michael John, 232 n Gould, Stephen Jay, 64 n, 69 n Gozzi, Carlo, 182 Graesse, Johann Georg Theodor, 100 Grafton, Anthony, 58 n Graham, Ilse, 65 n Gramigna, Vincenzo, 41 Granese, Alberto, 30, 59 n Granvelle, Antoine Perrenot de, 287 Grataroli, Guglielmo, 108 Gravesande, Willem-Jacob ’s, 318 Gravina, Domenico, 106 Gravina, Vincenzo, 318 Gravio, Enrico, 253 n Gray, Richard Tom, 66 n Grazzini, Anton Francesco detto il Lasca, 183 e n Greenaway, Peter, 307 n Grégoire, Pierre, 206 Gregorio XIII, papa, 235, 257 Gregory, Tullio, 27 n, 29, 257 n Grillandi, Paolo, 203 n Grisone, Federico, 42 Groto, Luigi, 193 Grynaeus, Simon, 72, 74, 75, 76, 77 Grynäus, Simon vedi Grynaeus, Simon Guacci Nobile, Giuseppina vedi Guacci, Maria Giuseppa Guacci, Maria Giuseppa, 320, 321 Gualdo, Paolo, 50 Guanda, editore, 28 Guardo, Marco, 10, 14, 189 n, 251 e n, 253 n, 258 n, 284 n Guarini, Battista, 180, 181 n Guercio, Vincenzo, 194 n Guerriero, Gianbruno, 63 n Guiscardi, Roberto, (barone), 322 n Gurisatti, Giovanni, 63 n, 65 n

Hagenbut, Johann, 75 n, 272, 276 Hankins, Frank H., 68 n

361

Haroche, Claudine, 63 n Haym, Nicola Francesco, 95 e n Heckius vedi Heeck, Iohannes van Heeck, Iohannes van, 265 n Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 67 e n, 70 n Hemingway, Ernst, 70 n Herder, Johann Gottfried von, 64 Hernández Franco, Juan, 257 n Herrick, Thomas, 171 n Hett, Walter S., 75, 77, 79 Hodgen, Margaret Trabue, 64 n Hoefer, Ferdinand, 99 Hofmann, Werner, 63 n Hogarth, William, 63, 65 Holmes, David M., 177 e n Host von Romberch, Johann, 209, 210 Huarte, Juan, 59 Hugo, Victor, 65, 69 Humboldt, Karl Wilhelm von, 24 Hunayn ibn Ishaq, 72

Iacopo di Gaeta, 130 Iasiello, Italo Massimiliano, 255 n Iasolino, Giulio, 12, 23, 265 Ibn Al-Haytham, 147, 148 n Iezzi, Benito, 261 n, 264 e n Igino, Gaio Giulio, 189 Il Lasca vedi Grazzini, Anton Francesco Imbriani, Vittorio, 322 Imperato, Ferrante, 41, 43 e n, 87, 251, 257 Ingegneri, Angelo, 179 e n Ingegneri, Giovanni, 68 n, 108 Ingegno, Alfonso, 58 n Ingrassia, Filippo, 43 Innamorati, Giuliano, 182 n Intieri, Bartolomeo, 24 Intonti, Nicola, 319 n Ippocrate, 60 e n, 66, 113 n Isabeau, Alexandre, 67 n Isidoro di Siviglia, santo, 313 n Isingrin, Michael, 72 Iurilli, Antonio, 125 n Jacob de Backer vedi Backer, Jacob Adriaensz Janus Cornarius vedi Hagenbut, Johann Jonson, Ben, 176 Jouanna, Jacques, 60 n, 242 n Kant, Immanuel, 60 e n, 69, 70 e n

Karafyllis, Nicole Christine, 229 n Kaske, Carol V., 207 n, 244 n Keller, Alex G., 231 e n Kepler, Johannes von, 50, 149, 151 e n, 152 e n, 153, 154 e n, 155 e n, 156 e n, 157, 258

362

indice dei nomi

Keplero, Giovanni vedi Kepler, Johannes von Kircher, Athanasius, 53, 153, 231, 232 n Klages, Ludwig, 66, 70 e n Kleve Marck Jülich Berg Ravensberg, Carlo Federico, 287 Kleve Marck Jülich Berg Ravensberg, Guglielmo, 287 Klibansky, Raimond, 59 n Knafla, Louis A., 155 n Kodera, Sergius, 233 n Kraus, Fritz Rudolf, 57 n Kraye, Jill, 239 n Kristeller, Paul Oskar, 312, 313 n Kusukawa, Sachiko, 147 n

La Ramée, Pierre de, 148, 303 Lacchè, Luigi, 11, 13 Laguna, Andrés, 73 Lancella, Marco, 264, 265, 266 Lancre, Pierre de, 204 e n Landouzy, Joseph Louis, 58 n Lanteri-Laura, Georges, 66 n Lanza, Vincenzo, 319 n Laserra, Luigia, 10, 14, 28 e n, 33, 71 n, 271, 272 e n, 279, 281 n Laterza, Giuseppe e figli, 322 n Lattanzio, Lucio Cecilio Firmiano, 112 Lavater, Johann Kaspar, 64, 65 e n, 66, 70 Lavenia, Vincenzo, 235 n Le Brun, Charles, 63 e n, 64, 65, 90 Le Goff, Jacques, 38 n Lee, Rensselaer Wright, 63 n Leibniz, Gottfried Wilhelm von, 209 Leinwand, Theodore B., 175 n Lejeune, Albert, 147 n Lenza, Cettina, 11 Leonardo da Vinci, 58 e n, 59, 63, 70, 86 n, 89, 298 Leone Ebreo, 206 Leone, Carlotta, 27 n, 28, 33 Leonico Tomeo, Niccolò, 72, 74, 75, 76 Lequeu, Jean-Jacques, 64 Lessing, Gotthold Ephraim, 63 n Leto, Pomponio, 316 Leuco, Fabio, 311 e n Levi, Giovanni, 257 n Libri, Guglielmo, 50 Lichtenberg, Georg Christoph, 65 e n Ligorio, Pirro, 290 Lindberg, Daniel C., 147 n, 150 n, 155 n Lipari, Giuseppe, 97 n, 263 n Lisippo, 88, 89 Lloyd, George.E. R., 60 n Locke, John, 66 Loffredo, famiglia, 36

Loffredo, Ferdinando, marchese di Trevico, 290 Loffredo, Ferrante vedi Loffredo, Ferdinando Lombardi, Giovanni, 265 e n, 268 n Lombardo, Francesco, 265 Lombardo, Giovanni Pietro, 66 n Lombroso, Cesare, 62, 67, 68 e n, 69, 70 Lomonaco, Fabrizio, 251 n Long Strainge, Herbert, 89 n Longo, Egidio, 95, 105, 106 Longo, Giovanni Battista, 259 e n, 260 Longo, Tarquinio, 83, 84, 85 n, 87, 91 Lopez, Pasquale, 235 e n, 238 n, 268 n Lorch, Richard, 150 n Loveday, Thomas, 71 n, 74, 75, 76, 77, 79 Loxo, 72 n Lucani, Bernardino, 252 n Lucrezia, moglie di Collatino, 214 Lucrezio Caro, Tito, 114 n Lugli, Adalgisa, 43 n Luigi XIV, re di Francia, 63 Lullo, Raimondo, 209, 241 n, 244 Luzzi, Cecilia, 259 n

Maccagni, Carlo, 47 n, 48

Maccarano, Domenico, 95 n, 96, 102, 105, 106 MacDonald, Katherine, 60 n, 71 n, 123 n Machiavelli, Niccolò, 61 MacLean, Ian, 147 n Macrobio, 208 e n Maffei, Giovan Camillo, 242 e n Maffi, Bruno, 64 n Maffioli, Cesare, 223 n Maggi, Armando, 10, 14, 201 Magirus, Johannes, 216 Magli, Patrizia, 57 n, 60 n, 63 n, 67 n, 112 n Magnanini Ottavio, 181 n Mahoney, Edward P., 243 n Maio, Giuniano, 129 n, 271, 272 Malet, Antoni, 10, 14, 147, 154 n, 156 n, 157 n Mamiani, Maurizio, 47 e n Manfredi, Gaetano, 11, 13 Manfredi, Muzio, 193 Mango, Achille, 125 n, 181 n Manso, Giambattista, 82 n Manso, Vittorino, (arcivescovo), 85 Mantegazza, Paolo, 70, 99 e n, 100 Manuzio, Aldo, 72, 73, 76 Manzi, Pietro, 82 n, 84 n, 262 n, 263, 264 Maometto II, re dei Turchi, 61 Maraglino, Vanna, 42 n Marani, Pietro C., 89 n Maranta, Bartolomeo, 43, 257, 293 Marchant, Edgar Cardew, 89 n Marganne, Marie Hélène, 61 n

indice dei nomi Margherita d’Austria, 35 Margoni, Luisa, 68 n Mari, famiglia, 266 Maria d’Aragona vedi Maria Fernandez di Trastamara Maria de’ Medici, regina di Francia, 295 Maria Fernandez di Trastamara, 288 Marin, Brigitte, 234 n Marino, Giambattista, 82 n, 95, 123, 205 Marotta, Gerardo, 12, 31 Marotti, Ferruccio, 179 n, 182 n Marrone, Gianfranco, 63 n Martelli, Sebastiano, 59 n Martínez Manzano, Teresa, 75, 76, 77, 79 Martini, Ferdinando, 225 n Martorana, Pietro, 259 n Martorelli, Arturo, 11, 13 Martos, Alonso de Gorostiola, 41 Martuscelli, Domenico, 317, 318 n Marziale, Marco Valerio, 114 n, 286 e n, 289 Mascardi, Agostino, 62 Mascardi, Vitale, 84 n Masini, Antonio di Paolo vedi Masini, Antonio Masini, Antonio, 103 Massignon, Louis, 57 n Massimiliano II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, 307 n Mathieu, Vittorio, 60 n Mattarella, Sergio, 13, 21 Mattioli, Pier Andrea, 283 n, 284 n Maylender, Michele, 96 e n Mazza, Teresa, 319 n Mazzella, Scipione, 41 e n Mazzola Vocola, Vincenzo, 319 Mead, Margaret, 69 n Medici, Alessandro de’, 35 Medici, Cosimo II de’ vedi Cosimo II de’ Medici, granduca di Toscana Medici, Ferdinando I de’, (cardinale), 257 Medici, Francesco I de’, granduca di Toscana, 225 Medici, Luigi de’, 319 n Medici, Maria de’ vedi Maria de’ Medici, regina di Francia Melito Pitteo, 61 Menandro, 183 n, 185 Menato, Marco, 262 n, 267 n Menghi, Girolamo, 205 e n Menozzi, Daniele, 234 n Mercuriano, Everardo, 88 n Messalina, Valeria, 87 Metrodoro di Scepsi, 210, 217 n Middleton, Thomas, 169 e n, 170, 171, 173, 174, 175, 176, 177, 178

363

Miele, Lucia, 40 n, 268 n, 307 n Mieli, Aldo, 51 Migliaccio, Benedetto, 11, 12, 13, 23, 31 Migliaccio, Francesco, 266 n Migliaccio, tipografia, 321 Mignini, Filippo, 62 n Miguel de Cervantes vedi Cervantes Saavedra, Miguel de Milano, Francesco, 323 Miletti, Marco Nicola, 257 n Milicia, Maria Teresa, 68 n Minerva, Paolo, 264 Minieri Riccio, Camillo, 256 n, 268 n, 309 n, 319, 322 Mino, Gabriele, 278 n Minonzio, Franco, 42 n Miraglia, Biagio, 67 Montagu, Jennifer, 64 n Montaigne, Michel de, 53, 59, 209 Montaldo, Silvano, 68 n Montalenti, Giuseppe, 51 n Montanaro, Domenico, 106 Montanile, Milena, 9 n, 11, 30 e n, 180 n, 268 n Monte, Filippo di vedi Monte, Philippe de Monte, Philippe de, 259 Montesquieu, Charles Louis de Secondat, baron de la Brède et de, 318 Monti, Claudia, 66 n Monti, Scipione de’, 264 Monti, Vincenzo, 318 Moreau de la Sarthe, Jacques Louis, 65 Morel, Bénédict Augustin, 68 Moretti, Gian Piero, 59 n, 70 n Moretus, Balthazar, eredi, 96 Morrison, Mary, 193 n Morselli, Raffaella, 255 n Moscopulo, Manuele, 313 e n Mottana, Annibale, 10, 14, 159, 161 n Mourad, Youssef, 61 n Mozzarelli, Cesare, 128 n Muraro, Luisa, 29 n, 61 n, 245 n, 278 n Muscettola, famiglia, 36 Muto, Giovanni, 10, 13, 35 e n, 36 n, 38 n, 289 n Muzio Scevola, Gaio, 213

Naldoni, Maria Amalia, 47 n Nanni, Romano, 229 n Nannini, Sandro, 58 n Napoleone, Eugenio vedi Beauharnais, Eugenio de, viceré d’Italia Napoli Signorelli, Pietro, 95, 96 e n, 316, 317 Napolitano Martone, Maria, 70 n Nardi, Bruno, 243 n Nardi, Marco, 40 n

364

indice dei nomi

Naselli, Diego, 319 n Nassau, Kurt, 164 n Negri Arnoldi, Francesco, 59 n Nellåker, Christoffer, 57 n Nenci, Elio, 221 n, 225 n, 230 n Nerone, Claudio Cesare Augusto, 87, 89 Newton, Isaac, 137, 317 Nicandro di Colofone, 273, 279 Niccolò di Lira, 313 e n Niceforo, Alfredo, 69 n Nicolini, Fausto, 257 n Nicolò, Anna, 252 n Nifo, Agostino, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 113, 248 n Nigro, Salvatore, 125 n Nigrone, Giovanni Antonio, 266, 290 e n, 291 e n, 292, 295 Nobile, Gaetano, 320 Nodier, Charles, 65 Noferi, Gabriele, 63 n Nonio Marcello, 277 North. John D., 150 n Novo, Geronimo de, 82, 83, 84, 85, 86, 88, 89, 90 Nuovo, Angela, 43 n Nuzzo, Enrico, 103

O’Donoghue, Michael, 161 n Odescalchi, Baldassarre, 308 n Olender, Maurice, 68 n Olgiati, Antonio, 308, 310 e n, 312, 313 n Oliger, Livarius, 269 n Olmi, Giuseppe, 251 n, 252 n Omero, 66, 114 n, 116 n, 278 n Ongaro, Antonio, 180 Oporinus, Johann, 72 Orazio Flacco, Quinto, 114 n, 115 Orcutt, William Dana, 264 Oresme, Nicola, 59 n Orioli, Raniero, 251 n Orlandi, Antonella, 29 e n, 30 e n, 160 n, 252 e n, 255 n, 257 n, 259 n, 278 n Orpheus, 245 n Orr, David, 169 n Orsini, Elio, 265 Orsini, Flavio, (cardinale), 41, 235 Orsino, Vincenzo, 316 Osborn, Peggy, 193 n Ossola, Carlo, 26 Ottaiano, Silvia, 12, 32 Ottani Cavina, Anna, 64 n Ovidio Nasone, Publio, 66, 114 n, 115, 116 n, 213, 274 n Pace, Antonio, 263, 266, 267 Pacinotti, Antonio, 51 n

Pack, Roger Ambrose, 59 n Pagano, Antonella, 101, 108 Palatino, Giovanni Battista, 216 e n Palazzo, Giovanni Antonio, 41, 129 Paleotti, Gabriello, 179 e n Palladio, Rutilio Tauro Emiliano, 273, 292 Palmieri, Giovanni, 321 Palmieri, Rossella, 185 n Palumbo, Gianni Antonio, 10, 14, 28, 29 n, 30 e n, 33, 271, 272 n, 278 n Palumbo, Matteo, 125 n Panizza, Teodosio, (cardinale), 81, 235 n Panofsky, Erwin, 59 n Paolella, Alfonso, 10, 12, 13, 27 n, 28, 30 e n, 32, 33, 52 n, 73 e n, 81 e n, 217 n, 251 n, 278 n Paolo III, papa, 35 Paolo V, papa, 259 Paparelli, Gioacchino, 27 Papuli, Giovanni, 302 n, 303 e n, 304 e n, 305 n Paracelso, 98, 99, 245 n Parascandolo, Gaetano, 264, 268 n Parascandolo, Luigi, 265 e n, 268 n Pareto, Vilfredo, 279 n Parigi, Silvia, 63 n Park, Katharine, 43 n Paruta, Paolo, 127 e n Passaro, Gennaro, 268 n Paster, Gail Kern, 175 n Pastoureau, Michel, 118 n Patrizi, Francesco, 233 e n Pausania il Periegeta, 277 Paxamo, 276 Pearson, James, 63 Peiresc, Nicolas Claude Fabri de, 50 Pellegrini, Antonio, 108 Pellegrino, Camillo, 264, 266 Pena, Jean, 147, 148, 149 n Pennetta, Angela, 12, 31 Pépin, René, 58 n Pércopo, Erasmo, 323 Pereira, Michela, 245 Perrenot de Granvelle, Antonio, 235 Perrone Compagni, Vittoria, 244 n Perrotta, Rosa, 12, 31 Persio, Antonio, 50, 229 n, 253, 254 Perucchi, Lucio, 62 n Peruzzi, Enrico, 282 n Petitti, Carlo, 322 n Petrarca, Francesco, 9, 115, 210 Petreio, Nicola, 74 n, 75 n Petrucciani, Alberto, 268 n Pettinelli, Rosanna, 11, 12, 13, 31 Pezzana, Nicolò, 84 Piazza, Francesco, 310 e n, 311 e n, 312, 313, 314

indice dei nomi Piccari, Paolo, 10, 14, 29 n, 60 n, 201 n, 209, 210 n, 278 n, 302 e n Piccione, Rosa Maria, 59 n Pico della Mirandola, Giovanni Francesco, 241 Pico della Mirandola, Giovanni, 87, 91, 201, 202 e n, 207, 241 e n, 248 Pico, Paolo, 237 Piemontese, Alessio, 50, 165 Pierro, Luigi, 322 Pietro d’ Abano, 58 e n, 113 n, 242 e n, 243 n, 244 en Pietro da Ravenna vedi Pietro Tomai da Ravenna Pietro di Toledo vedi Álvarez de Toledo y Zúñiga, Pedro Pietro Tomai da Ravenna, 210 Pighius, Stephanus Winandus, 287 e n, 288 Pignatelli, Ettore, duca di Monteleone, 41, 42, 237 Pignatelli, famiglia, 36 Pignone, famiglia, 36 Pimentel de Herrera, Juan Alonso, conte di Benavente, 295 Pinelli, Giovan Vincenzo, 43 e n, 224, 293 Pinon, Laurent, 73 n Pio, Ludovico de’, 193 Pironti, Pasquale, 268 n Pirovano, Gabriele, 241 e n, 243, 244, 248 e n Pisani, Giuliano, 281 n Pisano, Giovan Antonio, 43 Pissavino, Paolo Costantino, 298 n Pizzamiglio, Gilberto, 26 Plantin, stamperia, 95 Platone, 61, 87, 112, 113 n, 152 n, 186 n, 207, 313 n Plauto, Tito Maccio, 114 n, 116 n, 183 n, 185, 321 Plinio Secondo, Gaio detto il Vecchio, 118, 137, 160 e n, 165 n, 202, 203 n, 207, 211, 273, 274, 275 e n, 277, 279 e n Plotino, 201, 207, 241 n, 245 Plutarco di Cheronea, 88 n, 272, 313 e n Pogliano, Claudio, 66 n Polemone di Laodicea vedi Polemone, Marco Antonio Polemone, Marco Antonio, 57, 72 e n, 108, 113, 115, 120, 121, 203 e n, 204 Pomata, Gianna, 73 n Pontano, Giovanni, 127, 241 e n, 242 n, 243 e n, 245 n, 248 e n, 288, 289 e n, 292, 317 Pontari, Giuseppina, 255 n Pontremoli, Alessandro, 29 n Poppi, Antonino, 303 e n Popplow, Marcus, 219 n Porfirio, 204 e n Porter, Martin, 71 n

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Portone, Paolo, 235 n Porzio, Simone, 42 e n Possevino, Antonio, 88 n Preti, Cesare, 251 n Principe di Bamberga vedi Aschhausen, Johann Gottfried von Prosperi, Adriano, 235 n Pseudo Aristotele, 57 e n, 61 n, 71 e n, 72 e n, 73, 74, 75, 76, 77, 79, 90, 112 Pseudo Cicerone, 209, 210 Pseudo Orfeo, 245 n Pseudo Polemone, 72 e n, 74, 75, 76 Puliafito Bleuel, Anna Laura, 233 n Pulli, Pietro, 319 n Puoti, Basilio, 320 Pusci, Lucio, 70 n Putscher, Marielene, 57 n Puzziello, Vincenzo, 319

Quadrio Curzio, Alberto, 12, 24, 31 Quadrio, Francesco Saverio, 95 e n Quaglioni, Diego, 240 n Quarto, Francesco, 268 n Quintiliano, Marco Fabio, 209, 210, 217 n Raffaello Sanzio, 65 Raimondi, Ezio, 58 n Raimondi, Giovanni Battista, 257 Raina, Giampiera, 57 n, 75, 76, 77, 79 Ramo, Pietro vedi La Ramée, Pierre de Rapisarda, Stefano, 59 n Rapp, Christoph, 225 n Rasis vedi Rhazes Rati, Anna Rita, 29 e n Ratke, Wolfgang, 209 Rāzī vedi Rhazes Reale, Carmela, 11, 97 n, 263 n Rebiba, Scipione, (cardinale), 235 e n Recupero, Jacopo, 58 n Refini, Eugenio, 10, 15, 28 e n, 181 n, 182 e n, 189 n, 194 n, 258 n, 307 Reggente Marthos vedi Martos, Alonso de Gorostiola Regio, Ferrante, 263 Regio, Paolo, 23, 82 n, 126 n, 127, 130, 135, 261, 262 e n, 263, 264, 265, 266, 267 e n, 268 n, 290, 291 Reisser, Ulrich, 58 n Repath, Ian, 72 n Resta, Gianvito, 27 n Rhazes, 57, 61 n, 113 n, 245 n Ribadeneira, Pedro, 82 n Ricca, Alfonso, 11, 12, 13, 32, 82 n, 262 n Riccardi, Pietro, 100 Ricchieri, Ludovico, 77

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indice dei nomi

Ricci, Maurizio, 11, 13 Ricci, Saverio, 29 e n, 233 n, 234 n Rinaldi, Massimo, 222 n Riquius, Iustus vedi Rycke, Iosse de Risner, Federico, 149 Rivault de Florence, David, 219 Rivault, Florence vedi Rivault de Florence, David Rivius, Walther Hermann, 219 Rizzo, Luana, 10, 15, 30 n, 242 n, 246 n, 297 Rizzo, Silvia, 77 e n Roberti, Biagio, 318 Roberto di Alemagna, 313 n Rocca, Angelo, 264 Rocco, Girolamo, 62 n Roche, J. J., 150 n Rodiger, Philip, 69 n Rodiginus, Celius vedi Ricchieri, Ludovico Rodler, Lucia, 57 n, 62 n Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, 205, 255, 256 e n, 307 e n, 312, 320 Rodríguez Mediano, Fernando, 257 n Rodríguez Pérez, Raimundo Antonio, 257 n Romano, Antonella, 234 n Romberch vedi Host von Romberch, Iohann Romei, Giovanna, 182 n Romei, Giuseppe, 29 n Romeo, Giovanni, 233 n, 235 n Ronca, Fabrizio, 84 n Roncagliolo, Gian Domenico, 95, 105, 106, 108 Ronchi, Vasco, 47 e n, 48, 147 n, 150 n Rondelet, Guillaume, 42, 271 Rondibilis vedi Rondelet, Guillame Rosa, Giovanni de’ vedi Della Porta, Giovan Battista Rose, Valentin, 75 e n Rösler, Wolfgang, 225 n Ross, William David, 213 n Rosselli, Cosma, 209, 210, 215 Rossetti, Antonio, 181 n Rossi, Paolo, 48, 209 e n, 210 n, 213 n Rossi, Pietro, 47 e n, 157 Rota, Bernardino, 292 Rotondò, Antonio, 234 n Rouillé, Guillaume, 221 e n Rousseau, Jean-Jacques, 318 Rowe, George E., 176 e n Rubens, Pieter Paul, 62 Ruel, Jean, 272, 277, 278 Ruffinelli, Alessandro, 104 Rummo, Rosanna, 13, 22 Rupescissa, Iohannes de, 245 n Ruscelli, Girolamo, 165 e n

Russo, Beniamino, 12, 32 Russo, Luigi, 320 n Ryan, William Fitts, 58 n Rycke, Iosse de, 252 e n, 253 e n, 254 e n

Sabato, Milena, 29 n Sabattini, Gino, 100 Sabbatino, Pasquale, 59 n Sabbe, Maurits, 96 e n, 97, 100, 101, 106 Saiber, Arielle, 28 e n Saito, Fakuro, 147 n Saito, Nello, 65 n Saitta, Armando, 128 n Sala, Angelo, 98 Salerno, Pietro, 264 Salingar, Leo, 169 n Sallustio Crispo, Gaio, 313 e n Salomone, re, 210 n Salsano, Mario, 265 Salviani, Ippolito, 42 Salviani, Orazio, 263, 266 Salviati, Filippo, 252, 253 Salza, Abdelkader, 279 n Sánchez García, Encarnacíon, 125 n Sánchez, Francisco, 72 n Sancipriano, Mario, 58 n Sandal, Ennio, 262 n Sannazzaro, Jacopo, 115 Sanseverino di Bisignano, famiglia, 291 Sanseverino di Bisignano, Isabella, 291 Sanseverino, famiglia, 36 Sanseverino, Ferrante, 40 Santangelo, Margherita, 319 n Santoro, Giulio Antonio, (cardinale), 236, 237 Santoro, Marco, 9 e n, 10, 13, 14, 15, 21, 23, 24, 27, 30 n, 43 n, 82 n, 95, 97 n, 103 n, 160 n, 180 n, 233 n, 262 n, 263 n, 268 n, 278 n Santoro, Mario, 24, 29 Saragosa, Alex, 57 n Sarnelli, Pompeo, 239, 256 e n, 260 n Sarpi, Paolo, 50, 140 Sartori, Gemma, 70 n Sassi, Maria Michela, 61 n Savarese, Rosaria, 12, 31 Savelli, Rodolfo, 239 n Savonarola, Girolamo, 241 e n Savonarola, Michele, 58 Saxl, Fritz, 59 n Scanderberg Castriota, Giorgio, 61 Scannapieco, Anna, 182 e n Scaramella, Pierroberto, 235 n Scarano, Salvatore, 82 e n, 83, 86, 91, 189 Schmidt, Johann vedi Faber, Giovanni Schmitt, Charles B., 58 n

indice dei nomi Schmölders, Claudia, 60 n, 63 n Schneider, Manfred, 65 n Schoeck, Richard J., 221 n Schopenhauer, Arthur, 67 n Schott, Franz, 287 e n, 288 n Schott, Gaspar, 230, 231, 232 e n Schroder, Giovanni, 98 Schütze, Sebastian, 289 n Scoriggio, Lazzaro, 85, 106, 189 Scoto, Michele, 58 e n, 113 n Scrima, Elena, 82 n Segatori, Samanta, 9 n, 97 n Senatore, Francesco, 10, 11, 14, 30 Seneca, Lucio Anneo, 112, 113 n Senofonte, 89 n Seripando, Girolamo, (cardinale), 292 Serlio, Sebastiano, 287 e n Seroni, Adriano, 125 n Serra, Antonio, 125 n Serra, Giacomo, (cardinale), 180 n Servio, Mauro Onorato, 277 Sestini, Valentina, 9 n Settembrini, Luigi, 320, 321 e n, 322, 323 Sforza, Francesco II, 61 Sforza, Francesco Maria, 35 Shakespeare, William, 169, 175, 308 Shookman, Ellis, 65 n Silvestri, Alfonso, 126 n Simmel, Georg, 62 n Simoncelli, Paolo, 234 n Simonneau, Louis il Giovane, 64 Sinkankas, John, 166 n Siraisi, Nancy G., 61 n, 73 n Siriano, 243 n Sirri, Raffaele, 27 e n, 28, 29 e n, 30, 33, 51, 71 n, 81 n, 125 e n, 126 n, 180 e n, 181 e n, 185 n, 187 n, 189 n, 211 n, 272 n, 278 n Sisto V, papa, 58 Sloterdijk, Peter, 65 n Socrate, 89 e n, 92, 271 e n Sofocle, 114 n, 116 n, 172 Solís Santos, Carlos, 232 n Sommi, Leone de’, 179 e n Sonnino, Eugenio, 40 n Sonnino, Maurizio, 232 n Soria, Francescantonio, 259 n Sosio, Libero, 64 n Sottile, Giovanni Battista, 85 Spallanzani, Lazzaro, 51 n Spampanato, Vincenzo, 207 n Spatafora, Adriano, 40, 87 Spencer, Herbert, 66 Speroni, Sperone, 172 e n, 193 Spinelli, Enrico, 59 n

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Spinelli, Marino, 43 Spingarn, Joel Elias, 169 n Spinoza, Baruch, 62 e n Spruit, Leen, 233 n, 235 Spurzheim, Johann Kaspar, 66 Stabile, Giorgio, 27 n, 29 Stahl, William Harris, 208 n Stampa, Gaspara, 279 n Stango, Cristina, 233 n Starace, Gian Vincenzo, 125 n Starobinsky, Jean, 59 n Staum, Martin S., 155 n Stazio, Publio Papinio, 114 n Steele, Robert, 58 n Stelluti, Francesco, 62, 63, 82 n, 84 n, 251, 252 n, 256, 257, 258 e n, 259 e n, 309 e n, 310 Stendardo, Enrica, 29 n, 43 n Stigliola, Nicola Antonio, 41, 83 n, 106, 222 e n Straker, Simon, 155 n Strata, Piergiorgio, 63 n Strazzullo, Franco, 37 n, 39 n Strozzi, Gianbattista, 265 Strozzi, Piero, 132 Strumia, Alberto, 243 n Summonte, Giovanni Antonio, 41 Summonte, Pietro, 106, 317 Superville, Daniel Humbert de, 64 n Susa, Carlo, 179 n Sutor, Claudius, 91 Svetonio Tranquillo, Gaio, 61 Swain, Simon, 61 n, 72 n, 74, 75, 77, 79 Sylburg, Friedrich, 73, 75, 76

Tachenius, Otto, 98

Taddeo fiorentino vedi Alderotti, Taddeo Tafuri, Giovanni Bernardino, 268 n Tafuri, Matteo, 241 n, 242 n Tagliavia, Girolamo, 316 Talamo, Mariannina, 319 n Tallarigo, Carlo Maria, 322 e n Tamassia, Luisa Onesta, 255 n Tamerlano, sovrano turco, 87, 91 Tanara, Vincenzo, 280 e n Tansillo, Luigi, 264, 265, 266, 288 e n, 289 Tappero, Paolo, 68 n Tappia de Leva, Francesco, 104 Tarquinio il Superbo, 214 Tarrant, Neal, 233 n Tartaglia, Nunzio, 264 Tasso, Torquato, 12, 23, 83 n, 106, 193, 206 Tateo, Francesco, 27 n, 30, 248 n, 271, 273 e n, 286, 289 n Taviani, Ferdinando, 179 n, 180 n Tavoni, Maria Gioia, 9 n

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indice dei nomi

Tawfiq Fahid, 57 n Taylor, Michael, 169 n Tedeschi, John, 235 n Telesio, Bernardino, 48, 82 n, 229 n, 316 Temistio, 214 Teofrasto di Ereso, 272, 273 e n, 277, 280 n, 283 Teone di Alessandria, 311 e n Terenzio Afro, Publio, 116 n, 183 n Tesauro, Emanuele, 205 Tessitore, Fulvio, 11, 12, 13, 24, 31, 258 n Testa, fratelli, tipografia, 321 Testi, Gino, 97 e n Teubner, Benedictus Gotthelf, 57 n Thoré, Théophile, 67 n Thorndike, Lynn, 210 n Tiberio, Claudio Nerone, 89 Tintoretto, Jacopo, 120 Tiraboschi, Girolamo, 317 Tiziano Vecellio, 213 Toderi, Giuseppe, 259 n Tolomeo, Claudio, 53, 242 n, 246 n, 311 e n Tomasini, Cristoforo, 84, 85 Tomassini, Stefano, 194 n Tomkins, Silvan, 69 n Tommasi, Donato, (marchese), 319 n Tommaso d’Aquino, santo, 209, 210 e n, 248 Toppi, Nicolò, 55 e n, 95 n, 96, 99 n, 100, 268 n Torelli, Pomponio, 193, 194 e n, 195 n Torno, Armando, 68 n Torricelli, Evangelista, 231, 232 Torrini, Maurizio, 10, 13, 30, 47, 53 n, 125 n, 211 n, 232 n, 234 n, 251 n, 278 n, 281 n, 301 n Tozzi, Pietro Paolo, 84 e n, 85, 86, 91 Trabucco, Oreste, 10, 14, 27 n, 28 e n, 29 e n, 33, 60 n, 71 n, 144 n, 219, 223 n, 224 n, 238 e n, 258 n, 278 n Trani, Angelo, eredi, 319 Trapezunzio vedi Giorgio da Trebisonda Travers, T. H. E., 155 n Triana, Marco Antonio, 265 Triana, Porzia, 265 Triest, Antonio, vescovo di Gand, 253 n Trithemius, Iohannes, 245 n Trivero, Paola, 10, 14, 30, 189 Trogo Pompeo, 313 Troilo, Alessandro, 103 Trombetta, Vincenzo, 10, 15, 27 n, 315 Tucca, Paolo, 43 Tuilio, Giovanni, 254 Turbayne, Charles M., 150 n Turriani de Tasso, Francisco, 103 Turzio, Silvano, 68 n Twilight, famiglia, 170 Twilight, Oliver, 175

Twilight, Philip, 170, 174, 175, 176, 177 Tycho vedi Brahe, Tycho Tyson, Edward, 64 n

Übersfeld, Anne, 179 n Ugaglia, Monica, 140 n Uguccione da Pisa, 313 n Ulloa, Francesca, 319 n Urbano VIII, papa, 96, 104, 108, 253 Urrea Conca, Diego de, 257 n, 312 e n Vai, Gian Battista, 161 n Valente, Angela, 316 n Valente, Michaela, 10, 14, 29 n, 204 n, 233, 278 n Valeriano, Pierio vedi Bolzani Dalle Fosse, Giovanni Pietro Valerio, Luca, 254 Valla, Lorenzo, 9 Valleriani, Matteo, 225 n Valois, Henri, 66 n Vandeneynden, Ferdinando, marchese di Castelnuovo, 292 Vanini, Giulio Cesare, 316 Vannel, Fiorenza, 259 n Vannozzi, Bonifacio, 41 Vantaggiato, Eugenia, 266 n Varrone, Marco Terenzio, 273, 289 Varvaro, Alberto, 128 n Vasoli, Cesare, 27 n, 29, 233 n, 282 n, 298 e n, 301 e n, 302 e n, 303 n, 304 n Vassalluzzo, Mario, (monsignore), 268 n Vattimo, Gianni, 67 n Vedrine, Hélène, 29 n, 239 n Vega, Maria José, 239 n Vegezio Renato, Flavio, 313 n Vélez de Guevara, Iñigo, 105 Vélez, Pedro Fajardo marchese de los, 257 e n Venturi, Giammaria, 280 Venturi, Gianni, 281 n Venturino, Paolo, 83 n Ver Eeke, Paul, 147 n Verardi, Donato, 10, 14, 29 e n, 30 e n, 207 n, 236 n, 241 e n, 243 n, 246 n, 248 n, 278 n Vercesi, Pier Luigi, 10, 14 Vespasiano, Tito Flavio, 88, 92 Viano, Carlo Augusto, 47 e n Vicedomini, Pietrantonio, (vescovo), 235 Vico, Giambattista, 318 Vígh, Éva, 10, 13, 28 e n, 29 n, 60 n, 108, 111, 112 n, 115 n, 196 n Vigliani, Ada, 67 n Villa, Renzo, 68 n Villani, Paola, 11 Villano, famiglia, 36 Villella, Giuseppe, 68

indice dei nomi Vincelli, Giovanna Maria Pia, 11, 12, 32, 268 n Vincent, Jean-Didier, 63 n Virgilio Marone, Publio, 66, 114 n, 116 n, 277, 292 Visceglia, Maria Antonietta, 233 n Vitale, Costantino, 82 n, 84, 106 Vitale, Vincenzo, 235 Vitellio, Aulo Germanico, 87, 89 Vitruvio Pollione, Marco, 220 Vittori, Gérard, 28 e n Vivenzio, Giovanni, (marchese), 317 n Vives, Juan Luis, 58 e n Vogt, Sabine, 72 n, 75, 76 e n, 77, 79 Voli, Alessandro, 68 n Volpato, Giancarlo, 97 n, 263 n Voltaire vedi Arouet, François-Marie

Waard, Cornelis de, 230 n

Walker, Arthur Earl, 67 n Walker, Daniel Pickering, 205 n Warburg, Aby, 47 Weber, Max, 24 Weill-Parot, Nicolas, 242 e n, 245 e n Weisheipl, James A., 243 n Weiss, Julian, 239 n Wells, Susan, 175 n Welser, Mark, 85, 252, 253, 254 Whechel, Andreas, 147 n Wier, Johann, 204 e n, 234, 238 e n Wilding, Nick, 232 n Willich, Jodocus, 73, 74, 75, 76, 77 Winkin, Yves, 61 n

369

Wisser, Robert Paul Willem, 64 n Witelo, 147 e n, 148, 149 Wolfe, Jessica, 221 n Wootton, David, 140 n

Yates, Frances Amelia, 209 e n, 210 n, 216 n Young, Andrew W., 69 n Yousuf Murad vedi Mourad, Youssef Zabarella, Giacomo ( Jacopo), 304 Zaccaria, Raffaella, 29 n, 74 n, 307 n Zalta, Edward N., 233 n Zambelli, Paola, 29 n, 58 n, 201 n, 207 e n, 219 n, 236 n, 278 n Zanetti, Bartolomeo, 254 Zani, Pietro, 83 n Zappella, Giuseppina, 262 n, 268 n Zapperi, Roberto, 127 n, 128 n Zappullo, Michele, 264 Zarathuštra, 276 e n Zemon Davis, Natalie, 221 n Zetzner, Lazarus, 85 n Zezza, Andrea, 289 n Zimara, Marcantonio, 303 Zingarelli, Nicola, 323 Zito, Paola, 11, 12 Zittel, Claus, 229 n Zoppini, fratelli, 108 Zoroastro vedi Zarathuštra Zúñiga y Avellaneda, Juan de, 180 Zurlo, Giuseppe, 317



co mposto, in car atter e dan t e m on oty pe, da l la fabr izio serr a editore, p i s a · rom a . imp ress o e r ilegato in i ta l i a n e l la t ipo g r afia di ag nan o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) . * Aprile 2016 (cz2/fg13)

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I ST I T U T O NA Z I O N A L E D I S T UDI SU L RI NA SC I MEN T O M E R I D O N A L E att i co l la na d i retta da ma rco s a n toro * 1. L’edizione nazionale del teatro e l’opera di G. B. Della Porta, Atti del Convegno, Salerno, 23 maggio 2002, a cura di Milena Montanile, 2004, pp. xii-120. 2. Le carte aragonesi, a cura di Marco Santoro, 2004, pp. xiv-330. 3. Valla e Napoli. Il dibattito filologico in età umanistica, Atti del Convegno internazionale, Ravello, Villa Rufolo, 22-23 settembre 2005, a cura di Marco Santoro, 2007, pp. xiv-254. 4. Petrarca e Napoli, Atti del Convegno, Napoli, 8-11 dicembre 2004, a cura di Michele Cataudella, 2006, pp. 120. 5. Pomeriggi rinascimentali, secondo ciclo, a cura di Marco Santoro, 2008, pp. 148. 6. La donna nel Rinascimento meridionale, Atti del Convegno internazionale, Roma, 1113 novembre 2009, a cura di Marco Santoro, 2010, pp. 474. 7. La “mirabile” natura. Magia e scienza in Giovan Battista della Porta (1615-2015), Atti del convegno internazionale, Napoli-Vico Equense, 13-17 ottobre 2015, a cura di Marco Santoro, 2016, pp. 376.