Letteratura italiana : schemi riassuntivi, quadri di approfondimento [7a ed.] 9788851151508, 8851151504

1,107 183 3MB

Italian Pages 400 Se [387] Year 2017

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Letteratura italiana : schemi riassuntivi, quadri di approfondimento [7a ed.]
 9788851151508, 8851151504

Citation preview

L E T T E R AT U R A

I TA L I A N A SCHEMI RIASSUNTIVI, QUADRI D’APPROFONDIMENTO

Per memorizzare rapidamente la storia della letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri. Studiare in sintesi gli scrittori, i poeti, i narratori, gli autori teatrali, i movimenti le scuole e le correnti, le forme e i generi letterari.

TUTTO

Studio

s

Riepilogo

s

Sintesi

LO STUDIO IL PROFILO STORICO DELLA LETTERATURA ITALIANA, DALLE ORIGINI AGLI ESITI PIÙ RECENTI - I POETI, I NARRATORI, GLI AUTORI DI TEATRO, I LETTERATI, I MOVIMENTI - LE SCHEDE DI APPROFONDIMENTO GLOSSARIO DI RETORICA, METRICA E STILISTICA - INDICE ANALITICO PER REPERIRE FACILMENTE TUTTE LE INFORMAZIONI LA SINTESI INTRODUZIONI AI CAPITOLI PER INQUADRARE I DIVERSI ARGOMENTI SCHEMI RIASSUNTIVI PER FISSARE TUTTE LE NOZIONI CHIAVE DEI CAPITOLI - DOMANDE PER VERIFICARE L’APPRENDIMENTO

TUTTO Studio Riepilogo Sintesi

L E T T E R AT U R A

I TA L I A N A SCHEMI RIASSUNTIVI, QUADRI DI APPROFONDIMENTO

SETTORE DIZIONARI E OPERE DI BASE

Testi: Arnaldo Colasanti, Anna Cazzini Tartaglino, Tommaso Iannini; Banca dati Opere IGDA Copertina: Marco Santini

ISBN 978-88-418-6703-7 © Istituto Geografico De Agostini, Novara quarta edizione, marzo 2010 Prima edizione elettronica: Dicembre 2010 Redazione: corso della Vittoria 91, 28100 Novara www.deagostini.it

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le riproduzioni per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122 e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

S

ottolineare il ruolo fondativo della letteratura nazionale nell’identità di un popolo può sembrare superfluo. Tuttavia nel momento in cui il processo di integrazione sociale e culturale dell’Europa è giunto a un punto di svolta, che coinvolge la stessa vita quotidiana dei suoi cittadini e richiede una radicale sprovincializzazione e una serrata capacità di confronto con mentalità e costumi diversi, non è inopportuno ricordare che proprio il confronto e la multiculturalità richiedono un’approfondimento delle radici nazionali, per condividere tra generazioni e “piccole patrie” un patrimonio comune di tradizioni, di valori e di strutture di pensiero e comunicazione. Ecco allora emergere in tutta la sua importanza il ruolo della letteratura nazionale, insieme specchio e in una certa misura promotrice dell’immaginario, della lingua, dei modi espressivi, dei luoghi del senso comune partecipati dall’insieme del popolo italiano. Tutto Letteratura italiana risponde non solo all’esigenza di consultazione rapida ed esauriente, in grado di informare e allo stesso tempo di orientare nella massa di nozioni, ma si presta anche a una lettura scorrevole e alla costruzione di uno sguardo d’insieme. L’opera è suddivisa in sezioni corrispondenti ai secoli, brevemente presentati nei loro caratteri generali. Un particolare rilievo è stato dato alla letteratura del Novecento, fino agli autori più recenti, pur non intendendo essere una catalogo onnicomprensivo. Di fronte a una letteratura così complessa e multiforme come quella italiana, si è voluto realizzare non una “storia della letteratura” paludata e accademica, ma uno strumento agile, in cui precisione, essenzialità espositiva, ricchezza di dati siano d’aiuto a chi vuole organizzarsi un quadro di riferimento generale, accostarsi per la prima volta senza timore a un argomento così vasto, o anche solo ricordare qualcosa che gli sfugge.

Guida alla consultazione Sintesi introduttiva al capitolo

Testo con le parole e i concetti chiave evidenziati in nero

Note a margine per la rapida individuazione e memorizzazione dei temi principali

Linea ideale che divide in due parti la pagina; nella parte superiore si trovano le risposte indicate nelle domande di verifica con la lettera a; in quella inferiore le risposte suggerite con la lettera b

Il volume è diviso in otto sezioni corrispondenti ai secoli di storia della letteratura italiana, dalle Origini e il Duecento al Novecento. Ogni secolo è introdotto da una presentazione che ne espone sinteticamente le caratteristiche generali e gli sviluppi culturali e letterari fondamentali. Il testo è articolato in modo da favorire l’inquadramento generale dei temi e la memorizzazione rapida dei tratti salienti degli autori, della loro poetica e delle

4

Riquadro di approfondimento

Schema riassuntivo

Domande di verifica della preparazione

opere. I singoli capitoli sono sempre aperti da un cappello introduttivo, che fornisce un rapido inquadramento generale dell’argomento trattato, nelle sue connessioni storiche e nei suoi collegamenti interni. Le frequenti note a margine hanno il duplice scopo di permettere la rapida individuazione dei temi principali e di agevolare la loro ricapitolazione per il ripasso. All’interno del testo sono evidenziati in carattere nero più marcato i concetti e le parole su cui si regge l’argomentazione e che è particolarmente utile ricordare.

5

I capitoli sono conclusi da schemi riassuntivi che espongono in sintesi i lineamenti di fondo degli autori o di una scuola, utilizzando sovente espressioni desunte dal testo del capitolo così da facilitare la memorizzazione. Le domande di verifica consentono di controllare autonomamente la propria preparazione rimandando con i numeri in neretto a fianco alle pagine (ed eventualmente alla metà alta e a quella bassa della pagina) in cui si trovano gli argomenti della domanda,. All’interno di numerosi capitoli sono presenti riquadri di approfondimento in cui sono trattati argomenti collaterali alla esposizione principale, ma importanti per la sua comprensione e collocazione storica. Un conciso glossario di metrica, retorica e stilistica aiuta nella comprensione dei termini tecnici della storia letteraria e della critica stilistica. L’indice analitico – che riporta tutti gli autori citati, le scuole e i movimenti letterari – rende possibile ritrovare con facilità tutte le informazioni particolari che sia necessario cercare.

6

Indice LE ORIGINI E IL DUECENTO 1 2 3 4

Le origini La poesia prestilnovista La prosa Il dolce stilnovo

11 16 24 28

IL TRECENTO 1 2 3 4 5 6

Dante Alighieri Francesco Petrarca Giovanni Boccaccio Letteratura didattico-allegorica Letteratura religiosa La lirica e la novellistica

35 44 50 55 59 61

IL QUATTROCENTO 1 2 3

L’umanesimo La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

67 75 82

IL CINQUECENTO 1 2 3 4 5 6 7

Classicismo rinascimentale Ludovico Ariosto Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini Novellistica e teatro del Rinascimento Anticlassicismo Manierismo Tasso e il periodo controriformistico

89 94 98 106 112 116 122

IL SEICENTO 1 2 3

Il barocco e Giambattista Marino Il classicismo barocco La prosa filosofica, scientifica e storica

129 137 143

IL SETTECENTO 1 2

Un nuovo orizzonte storico L’illuminismo italiano

151 160

7

3 4 5 6

La riforma teatrale di Goldoni La cultura lombarda e Parini Neoclassici e preromantici Vittorio Alfieri

164 169 174 178

L’OTTOCENTO 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti Ugo Foscolo Il romanticismo Alessandro Manzoni Giacomo Leopardi Letteratura risorgimentale La reazione antiromantica Verismo Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

183 188 194 201 209 219 232 239 251

IL NOVECENTO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

8

Al di là del decadentismo Benedetto Croce e il dibattito critico Luigi Pirandello Italo Svevo La nuova poesia: Saba e Ungaretti Gli anni Venti e Trenta Surrealismo e realismo L’ermetismo Eugenio Montale Carlo Emilio Gadda Il neorealismo Il realismo critico La poesia dialettale del Novecento La poesia del dopoguerra Sperimentalismo e neoavanguardia Elsa Morante e le narratrici Italo Calvino Gli ultimi trent’anni

263 275 283 288 291 298 305 311 314 317 320 328 340 343 348 354 357 360

Glossario Indice analitico

367 375

LE ORIGINI E IL DUECENTO

1 2 3 4

Le origini La poesia prestilnovista La prosa Il dolce stilnovo

Le origini della lingua e della letteratura italiana hanno le loro radici nel complesso tessuto della letteratura romanza, nella quale già a partire dal IX sec. avviene il passaggio dal latino alle formazioni linguistico-culturali dei volgari (le singole lingue nazionali). La letteratura franco-provenzale, assai fiorente nei secc. XII e XIII, è un modello per i letterati italiani: anche la prima scuola poetica italiana (la “scuola siciliana”) trova nel modello cortese e trobadorico il riferimento principale. La lezione della scuola siciliana passa in Toscana attraverso l’opera di Guittone, per poi essere superata dalla novità di fine secolo, il dolce stilnovo. Intanto, specie a Nord, è largamente diffusa una letteratura didattica (Bonvesin de la Riva) e giullaresca, mentre ancora in Toscana si diffonde l’esempio della poesia comico-realista (Cecco Angiolieri). La prosa senza dubbio fatica a liberarsi dal peso del latino e non esprime ancora grandi lavori: le opere di Brunetto Latini o Bono Giamboni, i volgarizzamenti o la brillantezza del Novellino sono solo i precursori della grande produzione del Trecento.

1 Le origini La letteratura italiana nasce in ritardo rispetto ad altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino come lingua dotta. Le sue origini risentono inoltre dell’influenza delle letterature francesi e della vitalità linguistica della società comunale.

La nascita del volgare Il latino volgare, cioè nella forma non colta, evolvette gradualmente dando origine alle forme neolatine, fra le quali l’italiano. I primi documenti in volgare italiano sono: l’In- I primi documenti dovinello veronese, il più antico, datato fra i secc. VIII e IX, rinvenuto nel 1924 in un codice della biblioteca capitolare di Verona; i Placiti campani (di Capua, Sessa Aurunca e Teano), datati 960-963 e costituiti da testimonianze rese davanti a un giudice e inserite nel verbale notarile scritto in laLA PRODUZIONE IN LATINO Quando Carlo Magno liquidò il dominio longobardo (774) e ristabilì la presenza imperiale (Sacro Romano Impero, 800) sul territorio nazionale, la produzione letteraria era tutta in latino di carattere teologico o storico, come la Historia langobardorum (Storia dei longobardi) di Paolo Diacono (circa 787), così come il più tardo Liber de gestibus Othonis (Libro sulle gesta di Ottone) di Liutprando di Cremona (920972). Importanti centri di produzione, oltre che di conservazione, della cultura latina sono i monasteri. A partire dal sec. XI si diffonde una letteratura cronachistica, come il Chronicon Novalicense o successivamente la Storia dei normanni di Amato da Montecassino. Interessanti sempre nel sec. XII il Liber de rebus Siciliae (Libro sulle cose di Sicilia) di Ugo Falcando o le cronache universali. Il sec. XIII, invece, esprime una ricca letteratura epico-storica, di ambito aulico. Lo sviluppo delle università e la conseguente rinascita della cultura determinano una notevole produzione di commedie

di imitazione plautina in distici elegiaci, a cui si affianca una vivace “letteratura goliardica”, scritta dagli studenti itineranti di università in università, che si afferma in tutta l’Europa. I motivi, sull’esempio famoso dei Carmina burana scritti nel Duecento in ambito tedesco, sono la triade donna-taverna-dado e un moralismo ribelle quanto d’improvviso drammatico. Alla fine del sec. XII si incontrano i poeti Arrigo da Settimello, autore di un’elaboratissima Elegia, sive de miseria (circa 1193), nota come l’Arrighetto e divenuta testo scolastico del tempo, e Lotario da Segni (1160-1216; papa nel 1198 con il nome di Innocenzo III), che scrisse il De contemptu mundi (Il disprezzo per il mondo), un testo di grande diffusione dedicato al tema della miseria umana. A inizio secolo (1202) muore l’abate calabrese Gioacchino da Fiore, che con la sua opera di esegesi (specie sull’Apocalisse di san Giovanni) e di predicazione apriva una prospettiva profetica di grande importanza per tutto il Medioevo.

11

1 - Le origini

I primi documenti letterari

tino; l’Iscrizione di San Clemente (XI sec.) e il Ritmo di Travale (testimonianza resa in un processo del 1158). I primi documenti letterari del nostro volgare sono il Ritmo laurenziano, un testo giullaresco databile fra il 1151 e il 1157, e, verso la fine del sec. XII, il Ritmo cassinese e il Ritmo di Sant’Alessio. Il più bello di tutti sarà il Cantico di Frate Sole, o Cantico delle creature, composto da san Francesco d’Assisi (v. a p. 21) probabilmente intorno al 1225.

L’influenza franco-provenzale

Letteratura d’oïl, epica e cortese

Letteratura d’oc, la poesia d’amore dei trovatori

Sordello da Goito

Nei secoli XI e XII la Francia era il centro della civiltà europea: francesi sono i più antichi documenti letterari in una lingua romanza (come la Sequenza di Santa Eulalia, della fine del sec. IX; la Vita di Sant’Alessio, della prima metà del sec. XI). La letteratura italiana delle origini risentì molto dell’influenza francese, che si esprimeva nei suoi due ambiti linguistici, d’oïl e d’oc. A Nord, la letteratura di lingua d’öil era essenzialmente epica (le cosiddette “canzoni di gesta”), come la Chanson de Roland (databile a prima del 1100); da questa, intorno a metà XII sec., sarebbero nati il “romanzo cortese”, di cui fu maestro indiscusso Chrétien de Troyes (circa 1130-1185), i lais, piccoli racconti in versi di un episodio amoroso, e il celebre romanzo Tristano e Isotta, nelle due redazioni dell’anglo-normanno Thomas e del normanno Béroul. A Sud, cioè in Provenza, si sviluppò invece la letteratura d’oc, che diede l’avvio a un’ampia produzione di poesia d’amore dei trovatori. Il massimo splendore fu raggiunto fra il 1140 e il 1150, con i poeti Arnaut Daniel, Jaufré Rudel, Bernart de Ventadorn, che furono un riferimento essenziale per la scuola lirica siciliana. Verso la fine del sec. XII si affermarono anche i fabliaux, brevi racconti in versi crudamente realistici e satirici, e la poesia allegorica, che trovò la massima espressione nel Roman de la Rose (Romanzo della rosa), scritto per la prima parte da Guillaume de Lorris (tra il 1225 e il 1240) e concluso in seguito (circa 1280) da Jean de Meung. Fra i vari trovatori italiani che scrissero in provenzale è Sordello da Goito (m. 1269), famoso per il Compianto in morte di Ser Blacatz (1236).

La scuola siciliana La scuola poetica siciliana, sorta attorno al 1230 negli ambienti che gravitavano attorno all’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, produsse la prima lirica in volgare italiano. La sua attività durò circa un trentennio e si concluse 12

1 - Le origini

con la fine, nella battaglia di Benevento (1266), di Manfredi, figlio di Federico e quindi con lo sgretolamento dell’ambiente di raffinata cultura che era stato tanto propizio al sorgere della scuola stessa. ■ Il quadro storico-culturale

Durante la prima metà del sec. XIII il regno di Sicilia comprendeva tutta l’Italia meridionale e godeva di un periodo di particolare equilibrio politico-amministrativo e prosperità economica per merito di Federico II. Iniziative politiche e culturali significative furono la fondazione dell’università di Napoli (1224) e le Costituzioni Melfitane (1231), in cui veniva ribadita l’autorità del sovrano rispetto ai potentati feudali. Nella sua corte a Palermo si raccolsero le figure più rappresentative dell’epoca e si svilupparono numerosi interessi culturali: venne dato un notevole impulso alle conoscenze tecnico-scientifiche e agli studi di magia (per opera principalmente di Michele Scoto), alla letteratura filosofica araba, alla letteratura greco-bizantina, alla poesia tedesca (soprattutto alla lirica cortese d’amore del Minnesang) e alla poesia provenzale in lingua d’oc. Proprio da questa tradizione ebbe origine la “scuola siciliana”, come fu definita da Dante nel De vulgari eloquentia.

L’attività culturale alla corte di Federico II a Palermo

■ Tematiche, forme poetiche e lingua

Dominante in assoluto nei poeti siciliani la tematica d’amore sia dal punto di vista teorico (cos’è amore, come si manifesta, quali sono i suoi effetti), sia come omaggio “feudale” verso la donna amata, con la quale il poeta cerca di stabilire una comunicazione attraverso immagini e segnali che essa sola sa cogliere. Le forme tipiche di questa poesia sono la canzone, modellata sulla canso provenzale: essa è l’espressione “alta” della poesia siciliana ed è utilizzata soprattutto per composizioni di carattere teorico e dottrinale; la canzonetta, costituita da strofe di versi brevi, viene impiegata per testi più narrativi, come invocazioni d’amore, lamenti per l’amata lontana, manifestazioni della propria gioia e del proprio dolore; il sonetto è creazione autonoma e specifica della scuola ed è diventato il componimento lirico breve per eccellenza della poesia italiana. La produzione poetica della scuola siciliana è pervenuta attraverso codici del Quattrocento e del Cinquecento, i cui estensori diedero ai testi un’impronta toscaneggiante che ha alterato l’originaria impostazione linguistica siciliana; essa comunque non riproduceva la lingua popolare, ma si basava su un lessico che si ispira ai modelli latini e provenzali.

La tematica d’amore

Le forme poetiche: canzone, canzonetta, sonetto

13

1 - Le origini ■ I poeti siciliani

Lo stesso re Federico II e i suoi due figli Enzo e Manfredi si dedicarono all’attività poetica, pur senza raggiungere livelli di eccelsa qualità. Iacopo da Lentini Il poeta sicuramente più significativo fu Iacopo da Lentini (circa 1210 - circa 1260), riconosciuto da Dante (Purgatorio, canto XXIV) come fondatore della scuola siciliana e al quale è probabilmente attribuita l’invenzione del sonetto. Scrisse uno dei più cospicui canzonieri dell’epoca, composto da circa 30 poesie, in cui una consumata perizia retorica è al servizio di una fervida originalità inventiva. A lui si deve la prima definizione dell’amore nella letteratura italiana: “Amor è uno desio che ven da core / per abondanza di gran piacimento”. I temi più frequenti della sua lirica sono la contemplazione della bellezza, la creazione nel cuore di un’immagine della donna, verso la quale si indirizza il suo amore, il dono di sé fatto dall’innamorato all’amata. Guido delle Colonne Più scarna, ma notevolmente raffinata sul piano stilistico per la ricchezza di figure retoriche e per il sottile gioco analogico, è la produzione poetica di Guido delle Colonne (Messina, circa 1210 - circa 1280), del quale sono pervenute cinque canzoni. Pier della Vigna Eternato da Dante nell’Inferno (canto XIII) fu Pier della Vigna (circa 1190 -1249), di Capua, strettissimo collaboratore di Federico II, caduto poi in disgrazia e morto suicida. Per lui l’attività poetica fu senza dubbio di importanza relativa, ma è interessante ricordare che egli fu tra gli interlocutori di Iacopo da Lentini nella disputa sull’amore che probabilmente diede inizio alla scuola siciliana e che era stata iniziata da Iacopo Mostacci, rimatore aulico, imitatore piuttosto passivo di correnti provenzali. Della scuola fecero anche parte Rinaldo d’Aquino, Giacomino Pugliese (che ha lasciato alcuni testi di tono popolareggiante), Stefano Protonotaro da Messina, a cui si deve l’unica composizione conservata nella lingua siciliana originale. Cielo d’Alcamo Tradizionalmente compreso nella scuola siciliana è anche Cielo d’Alcamo (probabile toscanizzazione del nome “Celi”, diminutivo siciliano di Michele), autore del contrasto (dialogo) Rosa fresca aulentissima tra la donna, almeno inizialmente ritrosa, e l’innamorato, in cui sono presenti, sul piano stilistico, riferimenti a generi propri della letteratura provenzale, come la pastorella e il contrasto. Si alternano nella lingua termini e immagini della tradizione aulica e cortese con analoghi della tradizione popolare e dialettale. 14

1 - Le origini

SCHEMA RIASSUNTIVO ORIGINI

La letteratura italiana nasce con ritardo per la forza di conservazione del latino come lingua colta, nella quale continua una produzione di argomento teologico, storico-cronachistico o epico-storico, di ambito aulico.

Primi documenti del volgare italiano

Indovinello veronese (fra i secc. VIII e IX); Placiti campani (960-63); Iscrizione di San Clemente (XI sec.) e Ritmo di Travale (1158). Il primo documento letterario è il testo giullaresco Ritmo laurenziano (fra il 1151 e il 1157). Ancora alla fine del sec. XII troviamo il Ritmo cassinese e il Ritmo di Sant’Alessio. Il più bello sarà il Cantico di Frate Sole, o Cantico delle creature, composto da san Francesco probabilmente intorno al 1225.

INFLUENZA FRANCO-PROVENZALE

Le letterature della Francia risultano un’esperienza fondamentale per la letteratura italiana delle origini: nella lingua d’oïl a Nord, a carattere essenzialmente epico (Chanson de Roland, prima del 1100) e cortese, intorno a metà XII sec., (romanzi del maestro indiscusso Chrétien de Troyes); nella lingua d’oc, in Provenza, dove la produzione trobadorica d’amore avrà il massimo splendore fra il 1140 e il 1150.

LA SCUOLA SICILIANA

La scuola poetica siciliana rappresenta la prima lirica in volgare italiano, sorta attorno al 1230 negli ambienti della corte di Federico II, imperatore e re di Sicilia. Durò circa un trentennio e si concluse con la fine del regno della casa di Svevia nella battaglia di Benevento (1266), con la morte di Manfredi, figlio di Federico.

Poeti maggiori

Iacopo da Lentini (circa 1210 - circa 1260), Guido delle Colonne (circa 1210 circa 1280) e Cielo d’Alcamo, autore del contrasto Rosa fresca aulentissima (tra il 1231 e il 1250).

Temi

L’amore cortese e trobadorico, la contemplazione della bellezza e l’elegante creazione poetica di un’immagine della donna.

DOMANDE DI VERIFICA 1. A quale periodo risalgono i primi documenti italiani in volgare? 11a-12a 2. In che modo la letteratura franco-provenzale ha influenzato la letteratura italiana delle origini? 12

3. Come si manifesta la tematica d’amore della scuola siciliana? 13b 4. Quali sono i generi poetici della scuola siciliana? 13b

15

2 La poesia prestilnovista I temi e l’elaborazione formale che avevano caratterizzato la scuola siciliana si trapiantarono in Toscana, nella realtà politica e culturale dei liberi Comuni, nei quali lo spirito borghese prevaleva sulle tradizioni aristocratiche e feudali. Da questo incontro nacque la scuola siculo-toscana, in cui accanto ai temi d’amore trovarono largo spazio e importanza i temi politici. Accanto a questa si svilupparono, in Umbria e in Toscana, forme di poesia giocosa e realistica. Nell’Italia settentrionale si espresse un’interessante letteratura in volgare con fini soprattutto didattici, ma affiancata da esperienze popolari e giullaresche prodotte da cantori girovaghi. Di altro, più elevato spessore la produzione lirica religiosa di Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi.

Guittone d’Arezzo La vita e le opere

La poesia d’amore

Le canzoni politiche e morali 16

Guittone d’Arezzo (circa 1230 -1294) fu il principale esponente della corrente poetica siculo-toscana. Figlio del tesoriere del comune di Arezzo ed esponente di parte guelfa, a circa vent’anni andò in volontario esilio. Ebbe moglie e tre figli, ma verso il 1265, in seguito a una profonda crisi religiosa, entrò nell’ordine dei Cavalieri della Vergine. La sua produzione poetica, raccolta nelle Rime e composta da 50 canzoni e 239 sonetti, presenta un’evidente cesura: nella prima parte dominano i temi della poesia d’amore e i contenuti politici, nella seconda, dove l’autore si presenta come Fra Guittone, prevalgono gli insegnamenti morali e spirituali. Scrisse anche un Trattato d’Amore in dodici sonetti e le Lettere (circa una trentina, in prosa, tra cui la lettera-invettiva contro gli “infatuati miseri fiorentini”), nelle quali dimostra tutta la sua arte di cultore dell’ars dictandi (l’“arte del dettare” che raccoglieva le norme retoriche e oratorie del latino). Guittone fu ritenuto maestro indiscusso di poesia nella Toscana settentrionale poco dopo la metà del secolo; esercitò un’influenza rilevante sui contemporanei sia per i contenuti sia per lo stile. Nella poesia d’amore si rifece ai moduli della scuola siciliana, insistendo più sui ragionamenti attorno all’amore che sulla sua rappresentazione. Per le canzoni politiche e morali trasse spunto dallo stile del trobar clus (il poetare difficile), proprio della poesia provenzale, che ricreò attraverso un uso estremamente denso, a volte

2 - La poesia prestilnovista

oscuro, sempre molto ricercato, del volgare toscano. Il suo testo più celebre è la canzone politica Ahi lasso or è stagion di doler tanto, scritta dopo la sconfitta subita a Montaperti (1260) dai guelfi a opera dei ghibellini. La poesia è composta da numerose stanze caratterizzate ora dal dolore, ora dall’amaro sarcasmo; questa composizione è anche quella che segna maggiormente il distacco di Guittone dalla scuola siciliana, sia per il tema politico-morale, sia per la notevole varietà dei registri linguistici e stilistici. Altrettanto impegnative e spesso ricche di notevoli risultati poetici so- Le ballate-laude no le canzoni a contenuto morale-religioso, tra le quali religiose hanno un posto particolare le ballate-laude, un genere da lui inventato e poi ampiamente utilizzato in ambito toscano.

La scuola cortese toscana Il poeta più interessante della cerchia di Guittone fu il notaio lucchese Bonaggiunta Orbicciani (circa 1220 - circa 1290). Dante, dopo averlo citato nel De vulgari eloquentia come esponente della scuola poetica siciliana, nel Purgatorio (canto XXV) gli affida il compito di definire come stilnovo la nuova maniera di poetare. Il suo canzoniere sviluppa i modi della scuola poetica siciliana, diffondendoli in Toscana. Il dettato poetico è vario, ricco a un tempo delle preziose raffinatezze della poesia cortese e delle forme più distese di quella popolareggiante. I temi sono quelli consueti, l’amore e l’invettiva politica. Vere e proprie scuole debitrici di Guittone, in modo più o meno rigoroso, furono presenti anche ad Arezzo, a Pistoia, a Pisa e Firenze. Qui solo Chiaro Davanzati (fine sec. XIII) mostrò maggiore originalità: nel suo canzoniere (61 canzoni e numerosi sonetti) si ritrovano motivi che anticipano lo stilnovo. Interessanti furono tuttavia anche il banchiere guelfo Monte Andrea (che scrisse il più alto trobar clus fiorentino, fitto di allusioni oscure) e Dante da Maiano, il cui canzoniere, oscillante tra stile siciliano e guittoniano, comprende anche una tenzone con Dante. A lungo discussa è stata la storicità della poetessa Compiuta Donzella (forse uno pseudonimo letterario), alla quale un solo codice attribuisce tre sonetti di accettabile qualità poetica.

Bonaggiunta Orbicciani

Chiaro Davanzati

Monte Andrea, Dante da Maiano, Compiuta Donzella

La poesia comico-realista Dalla metà del Duecento si diffuse in Toscana e in Umbria una poesia giocosa, di carattere realista. L’invettiva, la bestemmia, la ribellione, la comicità prendono il posto del17

2 - La poesia prestilnovista

la bellezza ideale. Figura letteraria di un certo rilievo fu il fiorentino Rustico di Filippo (circa 1230 -1300), che godette di grande fama e ha lasciato 58 sonetti nei quali sul motivo dell’amore è ancora preponderante la lezione siculo-guittoniana, mentre rispetto al genere comico si intraveMeo de’ Tolomei e dono soluzioni originali. Altre figure di rilievo furono il seCenne della Chitarra nese Meo de’ Tolomei (nato attorno al 1260), autore di sonetti dall’intenso gusto caricaturale; il giullare aretino Cenne della Chitarra (morto già nel 1336), che cantò e descrisse scene di vita rustica. Tuttavia i due poeti comico-realisti più grandi furono Folgore da San Giminiano e Cecco Angiolieri. Rustico di Filippo

■ Folgore da San Giminiano

Le corone dei “Sonetti de la semana” e dei “Sonetti de’ mesi”

Folgore da San Giminiano (circa 1270 - circa 1330), pseudonimo di Giacomo di Michele, fu al servizio di Siena: per i meriti riportati in alcune campagne, come quella contro Pistoia (1305), ottenne l’investitura a cavaliere. Di lui rimangono circa una trentina di sonetti, in maggior parte raccolti in due “corone”, una di otto composizioni dedicate ai giorni della settimana (Sonetti de la semana) e l’altra di quattordici, intitolata Sonetti de’ mesi. Folgore riprende l’antica poetica provenzale, ma la inserisce in maniera gradevole e cordiale entro la cornice del mondo comunale toscano. La sua indole serena si manifesta nell’eleganza dei gesti, nella raffinatezza degli oggetti, nella ricerca di una condizione di vita piacevole per sé e per gli altri. ■ Cecco Angiolieri

Il rovesciamento e la parodia dello stilnovo

18

Del senese Cecco Angiolieri (circa 1260 - morto prima del 1313) si conoscono solo pochi episodi marginali della vita, come le multe per infrazioni alla vita militare, la sua morte in miseria, il rifiuto da parte dei figli della sua eredità, perché condizionata da molti debiti. Queste le ragioni per cui la critica romantica ha dato una facile ed erronea interpretazione autobiografica della sua opera. Sono attribuiti ad Angiolieri 112 sonetti distinti a fatica dalle numerose imitazioni; rare sono le rime amorose secondo il gusto di Guittone d’Arezzo, mentre nel suo canzoniere domina il registro comico-realistico. La sua poesia è costruita sul rovesciamento del modello stilnovista e sulla raffinata parodia di molti generi cortesi: il plazer (elenco di cose desiderabili), l’enueg (elenco di sgradevolezze), il contrasto e così via. L’appassionato spirito invettivo, o addirittura aggressivo, non deve far dimenticare l’aspetto di gioco letterario: il romanzo d’amore tra Cecco e Becchina, che al poeta ha preferito un

2 - La poesia prestilnovista

marito ricco, riprende in forma parodistica il genere del contrasto. A livello tematico, il suo universo poetico è organizzato intorno a un limitato numero di motivi emblematici, così riassunti dal poeta stesso: “la donna, la taverna e il dado”. Quasi certamente “letterario” è l’autoritratto di personaggio maledetto che il poeta dà di sé nei suoi testi.

La poesia nell’Italia settentrionale Di grande interesse è la letteratura volgare prodotta nell’Italia settentrionale, specie a Cremona e Milano. Con intenzione principalmente didattica, si ispirava sia alla tradizione provenzale (l’elencazione di tutto ciò che produce fastidio, l’enueg, e viceversa ciò che produce piacere, il plazer) sia alla tradizione biblico-apocalittica, cioè alla letteratura escatologica dei secc. XII e XIII. Il primo rappresentante fu il notaio cremonese Gherardo Patecchio (forse primi decenni del XIII), autore di uno Splanamento de li proverbi de Salamone (poemetto che raccoglie ammaestramenti morali) e delle Noie, rassegna in decasillabi dei fastidi della vita. Più complessa la figura di Uguccione da Lodi (fine sec. XII inizio sec. XIII), autore di un Libro in lingua veneta e in lasse monorime di versi alessandrini e decasillabi epici, che svolge una riflessione edificante sul peccato e sulla morte, descritti con vivo realismo, in vista del giudizio divino. Il contemporaneo frate minore Giacomino da Verona compose in dialetto veronose il poemetto in due parti De Ierusalem celesti e De Babilonia civitate infernali, che furono tra le fonti della Divina commedia dantesca.

Le tradizioni ispirative

Gherardo Patecchio

Uguccione da Lodi

Giacomino da Verona

■ Bonvesin de la Riva

Bonvesin de la Riva (circa 1240 - circa 1313) è il più importante scrittore in volgare lombardo del sec. XIII. La “Riva” è con ogni probabilità la Ripa di porta Ticinese a Milano, dove Bonvesin abitò almeno dal 1288 alla morte. Terziario dei frati umiliati e “doctor in gramatica”, insegnò in una scuola privata di sua proprietà. La sua produzione poetica si colloca tra il 1270 e il 1290. Tra i suoi numerosi poemetti in volgare vanno ricordati il De vita scholastica e il trattato in prosa in lode di Milano De magnalibus urbis Mediolani (Le meraviglie della città di Milano, 1288). I suoi volgarizzamenti (i Disticha Catonis e vari poemetti agiografici) sono legati a esigenze didattiche. Alla produzione volgare, scritta quasi sempre in quartine monorime di alessandrini, appartengono contrasti di carattere allegorico: il 19

2 - La poesia prestilnovista

Il “Libro delle tre scritture”

più celebre è la Disputatio rosae cum viola (Disputa della rosa con la viola). Il Libro delle tre scritture (circa 1274), diviso in tre parti (scrittura nigra, rubra e aurea – nera, rossa e dorata – con tema rispettivamente l’Inferno, la Passione di Cristo e il Paradiso) è annoverato tra i precursori di Dante e rappresenta anche il primo testo letterario in volgare lombardo.

Poesia popolare e giullaresca

Il “Detto” di Matazone da Caligano

Specie nel Nord Italia nella seconda metà del Duecento si diffuse una letteratura in volgare prevalentemente anonima, in forma di ballata, prodotta perlopiù da cantori girovaghi (i “giullari”) e costituita da canti nuziali, lamenti di giovani ragazze che desiderano sposarsi, lamenti di donne mal maritate. Da Mantova proviene un’anonima canzone per danza; mentre da Milano (o da Pavia) il Detto di Matazone da Caligano rappresentò il primo esempio in volgare della satira contro il villano. In ambiente veneto ebbe origine il Lamento della sposa padovana, mentre in Emilia e in Romagna si diffusero sirventesi (componimenti poetici popolareggianti di ispirazione morale-satirica) quali il Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei (narrazione di faide tra guelfi e ghibellini) e il Serventese romagnolo, sempre di argomento e carattere politico-cittadino. In Toscana il giullare Ruggieri Apugliese, forse senese, lasciò una tenzone di argomento politico, una parodia della Passione e un sermoneepitaffio.

La poesia religiosa

Le “laude”

20

Il più antico componimento in volgare italiano (quello umbro) è il Cantico di san Francesco d’Assisi. Tuttavia la vera nascita della lirica religiosa in volgare si colloca nel 1260, quando nacque il movimento dei Disciplinati (a Perugia, sotto la guida di Raniero Fasani), cioè una confraternita laica che usava la flagellazione pubblica come mezzo di espiazione. Il rito era accompagnato da canti corali che usavano come schema la canzone a ballo profana (ballata di ottonari). Le “laude” svolsero una vera e propria azione di propaganda che diffuse il movimento in tutta l’Italia del Nord. I laudari (ne restano circa 200) ebbero come centri di produzione soprattutto Perugia e Assisi. Le laude erano liriche e drammatiche, pasquali e passionali, secondo l’argomento religioso trattato. Solo con Iacopone, tuttavia, la lauda si elevò a dimensione artistica.

2 - La poesia prestilnovista ■ Francesco d’Assisi

Francesco d’Assisi (1182-1226), figlio del mercante Pietro Bernardone, ebbe una discreta formazione letteraria (conosceva sia il latino, sia le letterature francesi) prima di dedicarsi al commercio. Nel 1202-03 partecipò alla guerra tra Perugia e Assisi; nel 1204, durante una malattia, cominciò a realizzare un radicale cambiamento di vita che lo portò a rinunciare a ogni avere (1206) e a predicare il Vangelo assieme ad alcuni seguaci. Per l’ordine da lui fondato (1210) stese in latino la Regula prima (1221), poi rielaborata (Regula secunda). Questi testi, assieme ai postumi Testamentum e Admonitiones, costituiscono la sua produzione ufficiale in un latino ecclesiastico piuttosto rozzo. Ma l’opera che più fortemente rivela la sensibilità francescana è il Cantico di Il “Cantico Frate Sole, o Cantico delle creature (Laudes creaturarum), di Frate Sole” una prosa ritmica in volgare umbro (il più antico componimento poetico in volgare italiano), vero inno di lode alla creazione, in cui Francesco riprese spunti biblici e liturgici per rielaborarli attraverso la propria spiritualità. Il testo rivela una concezione positiva della natura, capace di interagire con l’uomo come stimolo nel cammino verso la salvezza. La scelta delle parole, spesso semplici e collegate tra loro solo da una congiunzione, rivela il favore dell’autore per immagini di forte contenuto cromatico, capaci di parlare all’immaginazione, magari non educata sul piano culturale, ma vivida, come quella delle persone comuni. ■ Iacopone da Todi

Iacopo de’ Benedetti (tra il 1230 e il 1236-1306), conosciuto come Iacopone da Todi, forse fu notaio, partecipò alla vita letteraria della sua città; i suoi testi fanno ipotizzare una conoscenza della produzione di Guittone d’Arezzo. Senza dubbio noto e benestante cittadino di Todi, nel 1268 cambiò completamente vita. Secondo la leggenda rimase intimamente colpito dal fatto che la giovane moglie, perita sotto un crollo, portasse nascostamente sotto le vesti lussuose un cilicio, strumento di penitenza. Per dieci anni si dedicò a opere di penitenza sempre più gravi e umilianti; nel 1278 entrò nell’ordine francescano come frate laico, schierandosi con gli “spirituali” e attaccando con intransigenza la ricchezza e la corruzione della Chiesa di Roma. L’elezione a papa dell’eremita Pier da Morrone (1294) con il nome di Celestino V, che approvò l’ordine degli spirituali, suscitò in lui qualche speranza, testimoniata dalla lauda Que farai, Pier dal Morrone. Quando venne eletto papa Bonifacio VIII, che revocò subito tale riconoscimento, Iacopone si schierò con-

La vita

L’adesione ai francescani “spirituali”

21

2 - La poesia prestilnovista

La produzione poetica

I “contrasti”

Il “Pianto della Madonna”

tro di lui. Scomunicato, fu fatto prigioniero nel 1298. Detenuto in condizioni durissime, non chiese mai la grazia, ma costantemente invocò invano la revoca della scomunica (O papa Bonifacio eo porto il tuo prefazio), che gli concesse, anche liberandolo, solo il successore Benedetto XI. Ormai malato, si ritirò nel convento di San Lorenzo di Collazzone, dove morì tre anni dopo. La produzione poetica di Iacopone, costituita da 93 laude di sicura attribuzione e da altre più incerte, tra cui lo Stabat Mater, è caratterizzata da una religiosità ascetica, focosa. Egli si sofferma costantemente sulla negatività della vita e del mondo, segnato da una continua violenza, prodotta dal peccato, che si manifesta nel perpetuo processo di distruzione. In questa prospettiva Iacopone guarda alla vita quotidiana spesso con un realismo crudo e sarcastico: i suoi versi sono scritti in un volgare umbro di grande intensità, non ancora assoggettato alle norme della lingua letteraria, e talvolta arricchito da apporti del latino ecclesiastico e da invenzioni linguistiche e lessicali. L’atteggiamento pedagogico indusse Iacopone a drammatizzare lo strumento della lauda: nacquero così i contrasti, in cui più voci si alternano strofa per strofa; si tratta perlopiù della voce divina che cerca di scuotere l’anima dalla sua pigrizia spirituale, dall’attaccamento ai beni terreni. A tale atteggiamento Iacopone oppone con estrema forza il mistero dell’incarnazione e della passione di Cristo, viste come capovolgimento di tutti i valori che regolano le convenzioni della società umana. Su questo tema Iacopone scrisse i suoi versi più intensi e celebri, quelli del Pianto della Madonna che rappresenta i diversi momenti della Passione.

SCHEMA RIASSUNTIVO GUITTONE D’AREZZO

Fu ritenuto maestro (circa 1230-1294) indiscusso di poesia nella Toscana. Autore di Rime, un Trattato d’Amore, Lettere e ballate-laude a carattere morale-religioso. Nella poesia introdusse contenuti politici e in quella d’amore si rifece ai moduli della scuola siciliana, insistendo più sui ragionamenti attorno all’amore che sulla sua rappresentazione attraverso immagini.

LA SCUOLA CORTESE TOSCANA

Di imitazione guittoniana, è rappresentata da vari poeti, soprattutto il lucchese Bonaggiunta Orbicciani (circa 1220 - circa 1290), il fiorentino Chiaro Davanzati, anticipatore dello stilnovo, e Dante da Maiano, nel cui canzoniere è presente una tenzone con Dante.

22

2 - La poesia prestilnovista segue

LA POESIA COMICO-REALISTA Dalla metà del Duecento si diffonde una poesia giocosa, di carattere realista: l’invettiva, la bestemmia, la ribellione, la comicità prendono il posto della bellezza ideale. Protagonisti: Folgore da San Giminiano (circa 1270 - circa 1330), autore di due “corone” (Sonetti de la semana e Sonetti de’ mesi) e il senese Cecco Angiolieri (circa 1260 - prima del 1313), autore di 112 sonetti di raffinata parodia di molti generi trobadorici. Suoi temi emblematici: la donna, la taverna e il dado. LA POESIA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE

LA POESIA RELIGIOSA San Francesco

Iacopone da Todi

La letteratura volgare settentrionale è principalmente didattica e si ispira sia alla tradizione provenzale sia alla tradizione scritturale-apocalittica, cioè la letteratura escatologica fra il XII e il XIII sec. Maggiore esponente il milanese Bonvesin de la Riva (circa 1240 - circa 1315), autore di poemetti in volgare, di volgarizzamenti e del Libro delle tre scritture (circa 1274), opera che lo annovera tra i precursori di Dante: diviso in tre parti (scrittura nigra, rubra e aurea), ha per tema rispettivamente l’Inferno, la Passione di Cristo e il Paradiso. Il Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi (1182-1226, fondatore dell’ordine francescano nel 1210 ed estensore in latino della Regula) è forse del 1225; i laudari lirici e drammatici, pasquali e passionali iniziano dal 1260. Il poeta più rappresentativo è Iacopone da Todi (tra il 1230 e il 1236-1306), cittadino benestante divenuto nel 1278 frate laico francescano, fu deciso avversario del papa Bonifacio VIII, che lo scomunicò e incarcerò. La sua poesia (93 laude), drammatica e crudamente espressiva, concreta quanto spirituale, è l’esempio quasi straordinario di un’autobiografia dell’anima.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che cosa distingue Guittone dalla scuola siciliana? 16b 2. Perché Chiaro Davanzati è più originale rispetto agli altri poeti della scuola cortese toscana? 17b 3. Quali sono il registro e lo spirito della poesia di Cecco Angiolieri? 18b-19a

4. A quali tradizioni si ispira la poesia settentrionale? 19a 5. In quale lingua è composto il Cantico delle creature? 21a 6. Con quale intento Iacopone passò dalla laude al contrasto? 22b

23

3 La prosa La prosa in volgare si sviluppò in ritardo rispetto alla poesia: il peso della prosa latina era certo ancora indiscusso. Le prime esperienze in volgare sono riconducibili all’ambito degli studi giuridici e retorici e della letteratura di carattere morale e scientifico. A finalità morali e anche pedagogiche rispondeva la raccolta del Novellino. Nello sviluppo della prosa in volgare fu determinante l’opera di volgarizzamento, cioè di traduzione di testi latini e francesi, che contribuì a fissare i modelli di stile dello scrivere. L’avvio alla grande prosa del Trecento fu preparato da Brunetto Latini e Bono Giamboni.

I primi prosatori in volgare Guido Faba

Fra Guidotto

Fu il grammatico bolognese Guido Faba (1190 -1243) il primo a fornire i nuovi modelli per il volgare. Dopo aver scritto numerosi manuali di retorica e di epistolografia latina (in particolare i Dictamina rhetorica, 1226-27 e la Summa dictaminis, 1229) propose modelli epistolari in volgare nella Gemma purpurea (1239) e nei Parlamenta et epistole (1242-43); in quest’ultima egli fornì modelli in volgare di lettere e discorsi accompagnati da tre traduzioni in latino per ogni testo. Faba ebbe il merito di aver compreso l’importanza che il volgare andava acquisendo sia nella pratica quotidiana sia nella vita politica dei Comuni italiani. Su questa via fu importante la volgarizzazione del Rhetorica ad Herennium (in quel tempo ritenuto di Cicerone) proposta dal bolognese fra Guidotto sotto il titolo Fiore di rettorica.

Il “Novellino”

Le redazioni

Origini e temi 24

Nel corso del sec. XIII si formò in Toscana il Novellino, una raccolta di novelle di autore anonimo (o di più autori), destinata a un pubblico borghese cittadino, al quale gli esempi narrati offrivano modelli di comportamento e di educazione raffinata. Ne sono giunte diverse redazioni, solo in parte convergenti tra loro. Il manoscritto più importante, che comprende 85 novelle, risale ai primi anni del sec. XIV ed è intitolato Libro di novelle e di bel parlar gentile, mentre la prima edizione a stampa, più ampia, si intitola Cento novelle (1523) e deriva da un manoscritto poi andato perduto. L’origine delle novelle è molto varia: non poche risalgono alla tradizione classica filtrata attraverso i moduli me-

3 - La prosa

dievali, altre sono di origine mediolatina e francese e fanno riferimento ai temi dei romanzi cavallereschi. Particolare rilievo assumono gli exempla tratti dalla vita dei santi o da Gli “exempla” vicende miracolose; numerosissimi sono i riferimenti a temi feudali, e abbastanza frequenti i racconti che fanno riferimento a personaggi reali viventi all’epoca o morti da poco, come i regnanti svevi o angioini. Ne deriva un panorama molto vivace, in cui è avvertibile la tradizione orale. Le novelle sono solitamente brevi: esse tendono a mettere in evidenza il momento conclusivo della vicenda, senza preoccuparsi di dare particolari sviluppi della trama narrativa; sono scritte in volgare fiorentino, arricchito da termini e locuzioni derivanti dal francese e dal latino liturgico.

I volgarizzamenti Tra il 1252 e il 1258 venne fatto il volgarizzamento in antico romanesco di una compilazione anonima latina, della prima metà del XII sec., sulle origini mitiche di Roma. Tale volgarizzamento prese il titolo di Storie di Troia e de Roma. Da fonti francesi furono poi derivati I fatti di Cesare, la Istorietta troiana e nell’ambito leggendario dell’epica cavalleresca il Tristano riccardiano e la Tavola ritonda (in cui la storia di Tristano e Isotta è congiunta al ciclo di Re Artù). ■ Salimbene da Parma

Salimbene da Parma (1221-1288), frate francescano, visse a Lucca (1239), Siena (1241), Pisa (1243) e Parma (1247) e infine in Francia, a Lione, dove conobbe dei seguaci di Gioacchino da Fiore, alla cui dottrina aderì fino al 1250. Delle sue numerose opere cronachistiche rimane solo la Chronica, La “Chronica” giunta mutila, che racconta le sue tante esperienze: è una galleria colorita e spesso caricaturale di fatti e ritratti narrati in un latino a un tempo colto e popolare, che accoglie forme e termini del dialetto lombardo ed emiliano. ■ Iacopo da Varazze

Iacopo da Varazze (circa 1228 -1298), frate domenicano, dal 1292 vescovo di Genova, deve la sua fama alla raccolta di vite di santi Legenda aurea o Legenda sanctorum (1255-66). La “Legenda aurea” Scritta in latino e diffusa in versioni volgarizzate, l’opera ebbe notevole influenza sulla successiva letteratura religiosa e costituì un importante repertorio iconografico per gli artisti. In latino compilò anche un Chronicon Ianuense (Cronaca genovese), storia di Genova dalle origini al 1297; in volgare scrisse Sermoni moraleggianti. 25

3 - La prosa

Brunetto Latini e Bono Giamboni Brunetto Latini

Il “Tesoro”

Il “Tesoretto”

Bono Giamboni

26

La figura principale fra i prosatori duecenteschi resta il fiorentino Brunetto Latini (circa 1220 - circa 1294). Notaio, divenne sindaco di Montevarchi nel 1260, quando si recò come ambasciatore dei guelfi di Firenze in Castiglia. Esiliato in Francia per sei anni in seguito alla sconfitta di Montaperti, si dedicò alla professione notarile e all’attività letteraria. Tornato in patria, riprese la vita politica, divenendo priore di Firenze (1287). In lingua d’oïl compose il Tesoro (Li livres dou Trésor), un testo enciclopedico in 3 volumi che tratta ogni branca del sapere: teologia, storia, fisica, geografia, agricoltura, etica, economia, retorica e politica. L’opera attinge a fonti classiche e medievali, fra cui la Bibbia, gli scrittori latino-cristiani Isidoro di Siviglia e Orosio, il padre della Chiesa Ambrogio e il filosofo latino Boezio. Tradotto in volgare, il Tesoro ebbe due versioni poetiche e godette di ampia diffusione. Dante la considerò una fonte preziosa per la Commedia e riconobbe nel suo autore un suo maestro ideale (Inferno, canto XV). La stessa materia è alla base del Tesoretto (circa 1262), poema allegorico didascalico incompiuto che ricalca il modello del Roman de la rose. Contributi importanti allo sviluppo della prosa aulica vennero dalla Rettorica, volgarizzazione e rielaborazione di una parte del De inventione di Cicerone, e dalla traduzione di tre orazioni dell’oratore latino. Bono Giamboni (circa 1240 - circa 1292), fiorentino, giudice di professione, fu un pregevole volgarizzatore dell’Arte della guerra di Vegezio e delle Storie contro i pagani di Paolo Orosio. Opera originale è invece la compilazione allegorico-didascalica Libro de’ vizi e delle virtudi (circa 1270), in cui egli riuscì ad armonizzare gli elementi etico-filosofici con quelli allegorico-narrativi e a creare dunque la prima opera dottrinale autonoma.

3 - La prosa

SCHEMA RIASSUNTIVO PROSA

La prosa in volgare è in ritardo rispetto allo sviluppo della poesia. Il primo rappresentante fu il bolognese Guido Faba (1190 -1243), che propose modelli epistolari in volgare (Gemma purpurea, 1239 e Parlamenta et epistole, 1242-43).

IL “NOVELLINO”

Il Novellino è una raccolta di novelle di autore anonimo (o di più autori), formatasi in Toscana nel corso del sec. XIII e destinata con finalità pedagogiche e morali a un pubblico borghese cittadino, cui gli esempi narrati offrivano modelli di comportamento e di educazione raffinata. Le origini furono la tradizione classica, i romanzi cavallereschi, vite di santi.

VOLGARIZZAMENTI

Sono traduzioni in volgare di testi storici latini o dell’epica cavalleresca francese che hanno svolto un’importante opera di fissazione del nascente volgare.

Salimbene da Parma

Salimbene da Parma (1221-1288) è autore di una colorita Chronica in latino che accoglie forme dialettali lombarde ed emiliane.

Iacopo da Varazze

Iacopo da Varazze (circa 1228-1298) è famoso per la Legenda aurea, raccolta di vite di santi in latino e diffusa in versioni volgarizzate.

BRUNETTO LATINI

In lingua d’oïl il fiorentino notaio Brunetto Latini (circa 1220 - circa 1294) compose il testo enciclopedico Tesoro (Li livres dou Trésor), preziosa fonte per Dante; scrisse poi il poema allegorico-didascalico il Tesoretto.

BONO GIAMBONI

Bono Giamboni (circa 1240 - circa 1292), giudice fiorentino, pregevole volgarizzatore, nel Libro dei vizi e de le virtudi riuscì ad armonizzare gli elementi eticofilosofici con quelli allegorico-narrativi e a creare dunque la prima opera dottrinale autonoma.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono le origini e i temi del Novellino? 24b-25a 2. Qual è stata la funzione del volgarizzamento sul-

la prosa delle origini? 24a 3. Qual è stato l’apporto di Brunetto Latini alla formazione della prosa volgare italiana? 26a

27

4 Il dolce stilnovo La scuola poetica definita da Dante “dolce stilnovo” è la più omogenea e ricca espressione culturale della fine del Duecento. Per la profondità di contenuti e per la qualità del linguaggio poetico lo stilnovo risultò il punto di riferimento delle successive più alte elaborazioni della poesia italiana. Se a Guido Guinizelli si deve il primo impulso alla riflessione teorica e al rinnovamento del linguaggio poetico, è soprattutto l’esperienza dello stilnovo fiorentino, rappresentato da Guido Cavalcanti e da Dante, il centro della nuova scuola.

Origini e concetti guida Le origini a Bologna

La nascita della nuova poetica ebbe luogo a Bologna, sede di un prestigioso Studio universitario, dove si coltivavano le tendenze più radicalmente innovative della filosofia e della medicina. Il nome della scuola poetica derivava da alcuni versi del Purgatorio dantesco (XXIV, 55-57) in cui il poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani esprime il proprio riconoscimento della superiorità della nuova scuola: “O frate, issa vegg’io – diss’elli – il nodo / che il Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!”. È sempre Dante, nella Commedia e nel De vulgari eloquentia, a fornire la genealogia e anche lo sviluppo dello stilnovo, indicando Guinizelli come l’iniziatore della nuova maniera, poi superato da Cavalcanti e dallo stesso Dante. La tematica dello stilnovo si ricollega a tutta la tradizione poetica duecentesca, a partire dalla grande lirica provenzale; sono indiscutibili i debiti verso la scuola siciliana e verso Guittone d’Arezzo. Decisivo, a favore dello stilnovo, è il rapporto tra profondità speculativa e qualità formale: la sinProfondità tassi dei testi stilnovisti è complessa e costruita, scandita sespeculativa e qualità condo precisi canoni retorici, ben lontani dall’oscurità dei formale testi siculo-toscani; il lessico è organizzato secondo precise partiture foniche, in modo da assorbire nel flusso musicale le affermazioni concettuali spesso dense e difficili. ■ Guido Guinizelli

Il manifesto teorico dello stilnovo 28

L’ambiente dotto di Bologna offrì al giudice Guido Guinizelli (circa 1235 -1276) della fazione dei Lambertazzi una ricca formazione di tipo filosofico, grazie alla quale il poeta rinnovò gli stereotipi della tradizione lirica e trasformò i modi della poesia. Di questo cambiamento è testimonianza la canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, considerata il

4 - Il dolce stilnovo

manifesto teorico dello stilnovo. Essa si apre con l’enunciazione programmatica dell’identità tra amore e “cor gentile”. Poi, mediante una rigorosa concatenazione razionale, in un crescendo di argomenti arricchiti da immagini tratte dal mondo sensibile, che preparano la visione celeste delle ultime due stanze, il poeta si sforza di definire amore, gentilezza e la particolare funzione salvifica della “bella donna”. La concezione dell’Amore, nel suo valore assoluto, è rigorosamente aristocratica, ma la gentilezza non appartiene alla nobiltà di sangue, bensì a chi possiede determinate qualità d’animo, che il poeta indica con il termine “coraggio” di origine provenzale. Accanto a queste componenti, fondamentale è l’uso di un linguaggio dolce, definito da Dante come prerogativa essenziale dello stilnovo guinizelliano. Esso mira, attraverso una selezione severa del lessico e un rigoroso controllo stilistico, a rendere nel dettato poetico il sentimento interiore provocato dall’amore. Di Guinizelli sono pervenuti cinque canzoni e quindici sonetti, tramandati da due canzonieri: alcuni di questi testi esprimono anche altra ispirazione stilistica, assumendo toni comico-realistici della contemporanea poesia borghese toscana.

Amore e cor gentile

La concezione aristocratica dell’Amore Il linguaggio dolce

Guido Cavalcanti Guido Cavalcanti (circa 1259 -1300) è l’esponente più significativo dello stilnovo. Con Dante e tutti i poeti stilnovisti, la sua poesia, per originalità lirica e intensità espressiva, influenzò manifestamente Petrarca e tutto il petrarchismo. ■ La vita

Fiorentino di una potente famiglia di guelfi bianchi, sostenne la fazione dei Cerchi contro quella dei Donati, guelfi neri, e nel 1267 si fidanzò con Bice, figlia di Farinata degli Uberti. Fu coinvolto precocemente nelle lotte politiche della città. Nel 1280 fu tra i garanti di parte guelfa alla pace sti- L’uomo politico pulata tra guelfi e ghibellini, e nel 1284 partecipò ai lavori del Consiglio Generale del Comune, insieme a B. Latini e a D. Compagni. In seguito a una disposizione emanata nel 1293 da Giano della Bella, a Cavalcanti venne vietata la partecipazione alla vita politica. Il provvedimento di ordine pubblico, volto a placare le continue liti tra fazioni rivali, non fu sufficiente. Nuovi violenti disordini cittadini costrinsero nel L’esilio da Firenze 1300 i Priori del Comune (fra i quali si trovava Dante, che pure considerava Cavalcanti “primo dei suoi amici”) ad allontanare da Firenze i rappresentanti più turbolenti delle fazioni: Cavalcanti venne così esiliato a Sarzana, allora insalu29

4 - Il dolce stilnovo

bre zona di confino. Nello stesso anno la condanna fu revocata, ma Cavalcanti rientrò a Firenze ormai ammalato e morì subito, probabilmente per febbri malariche. ■ Il canzoniere

Il suo canzoniere è composto di 52 testi (sonetti, canzoni e ballate) da cui non si possono ricavare indicazioni cronologiche utili per stabilire la data di composizione. Intorno al 1283 il nome di Cavalcanti doveva essere assai noto tra i poeti stilnovisti: nella Vita nuova, infatti, Dante lo considera uno dei più “famosi trovatori in quello tempo”. Il tema largamente dominanTema dominante te del suo canzoniere è Amore, inteso come passione irral’amore come zionale che allontana l’uomo dalla conoscenza e dalla felipassione irrazionale cità speculativa, conducendolo a una “morte” che è a un tempo morale e fisica. I trattati di medicina medievale (derivati da testi arabi) ritenevano che la “malattia d’amore” (l’amor heroicus) potesse avere anche esito mortale. Nutrito di letture filosofiche e in contatto con gli ambienti averroisti di Bologna, Cavalcanti procede nei suoi testi a un’indagine sull’origine, la natura e gli effetti che la passione amorosa produce nell’uomo: programmatica in tal senso è la sua canzone dottrinale Donna me prega. Provenienti dagli ambiti della “filosofia naturale” (fisica, astrologia, medicina e “psicologia” nel senso di “scienza dell’anima”) e applicate alla passione amorosa, le sue La battaglia d’amore ampie metafore (quali la battaglia d’amore, con ferite, “sbigottimenti”, intervento degli spiriti vitali, paure, fughe, distruIl linguaggio zione e morte) prendono vita in un linguaggio drammatico e di Cavalcanti lirico che lascia nel lettore un senso di malinconia e fatalità. L’enfasi drammatica della poesia di Cavalcanti è però stemperata e controbilanciata da un senso di stupore malinconico nei confronti di un realtà interiore che sempre trascende il soggetto e la sua sofferenza. Nei suoi testi ciò si realizza con sapienti tecniche, quali la distanza dell’io poetico dal proprio discorso, l’ironia implicita nei frequenti diminutivi, un lessico concettuale e filosofico arduo, un sistema di immagini e paragoni.

Gli stilnovisti minori Fra le altre figure minori dello stilnovismo fiorentino emergono Lapo Gianni, amico di Dante e autore di rarefatte e sognanti Rime, e Dino Frescobaldi (1271-1316), la cui produzione ruota attorno al tema della “donna sdegnosa”. ■ Cino da Pistoia

Un rilievo a parte merita invece Cino da Pistoia, nome con cui è noto Guittoncino dei Sighibuldi, (circa 1270 -1336 o 30

4 - Il dolce stilnovo

1337). Dopo gli studi di diritto a Bologna e a Orléans, insegnò legge nelle università di Siena, Perugia, Napoli e, forse, Firenze. Tra il 1303 e il 1306 fu esiliato come guelfo di parte nera. Tra i suoi scritti latini, d’argomento giuridico, è degna di menzione la Lectura super codicem (1314). In volgare, invece, resta un canzoniere composto da più di 160 poesie. Stimato da Dante e Petrarca, che misero in evidenza la “dolcezza” evocativa e musicale della sua poesia, Cino da Pistoia appartiene solo parzialmente all’esperienza stilnovista: la critica ha infatti riscontrato nei suoi testi (oltre alla presenza di materiali siciliani e siculo-toscani) temi e motivi poetici fortemente personali. Infatti egli rielaborò gli spunti dello stilnovo fiorentino in una poetica ispirata al tema domi- Il tema dominante nante del ricordo, che oppone l’amaro del presente alla del ricordo dolcezza del passato. Per questo e per la musicalità del verso, Cino viene spesso indicato come il tramite fra lo stilnovo e la successiva esperienza poetica petrarchesca.

SCHEMA RIASSUNTIVO DOLCE STILNOVO

È la più omogenea espressione culturale della fine del sec. XIII, sorta nell’ambito culturale bolognese e poi diffusasi a Firenze. Per la profondità dei contenuti (l’enunciazione programmatica dell’identità naturale e sostanziale tra amore e “cor gentile”, la funzione salvifica della “bella donna”) e per il raffinato e rigoroso controllo stilistico risulta il punto di riferimento delle elaborazioni successive della poesia italiana. I protagonisti oltre a Dante: Guinizelli, Cavalcanti, Cino da Pistoia.

GUIDO GUINIZELLI

Bolognese (circa 1235-1276), fu autore della canzone Al cor gentile rempaira sempre Amore, ritenuta il manifesto teorico dello stilnovo. Con grande dolcezza di linguaggio, pone l’identità tra amore e “cor gentile”, la funzione salvifica della “bella donna”.

GUIDO CAVALCANTI

Fiorentino (circa 1259-1300), fu l’esponente più significativo dello stilnovo. Amico di Dante, è autore di un canzoniere (di sonetti, ballate e canzoni) il cui tema dominante è l’amore come passione irrazionale, espresso con un linguaggio lirico drammatico e nel contempo con malinconico distacco.

CINO DA PISTOIA

Nome con cui è noto Guittoncino dei Sighibuldi (circa 1270 -1336 o 1337). È autore di un canzoniere stimato da Dante e Petrarca per la dolcezza evocativa e musicale del verso. Egli è considerato il tramite fra lo stilnovo e la successiva poesia petrarchesca per aver rielaborato gli spunti dello stilnovo con una poetica ispirata al tema del ricordo del dolce passato opposto all’amaro presente.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Come si realizza nello stilnovo il “linguaggio dolce”? 29a 2. Che cosa enuncia la canzone di Guinizelli che è considerata manifesto teorico dello stilnovo? 29a

3. Qual è il tema dominante del canzoniere di Cavalcanti? 30a 4. Perché Cino da Pistoia viene spesso indicato come tramite fra stilnovo e poesia petrarchesca? 31a

31

IL TRECENTO 1 2 3 4

Dante Alighieri Francesco Petrarca Giovanni Boccaccio Letteratura didattico-allegorica 5 Letteratura religiosa 6 La lirica e la novellistica

Il Trecento è il secolo aureo della nostra letteratura. Dante, Petrarca e Boccaccio fondano l’idea stessa di letteratura italiana. Essi concepiscono la poesia come conoscenza e come espressione di una lingua nitida, luminosa, comunicativa, che sarà capace di unificare una nazione divisa in diverse regioni geografico-culturali. Con Dante arriva ai vertici l’esperienza medievale della lirica e della poesia allegorica e didattica; con Boccaccio si fortifica la nostra tradizione novellistica (che trova un’ulteriore sintesi in Sacchetti) e, in qualche misura, la stessa tradizione cronachista. Petrarca è il simbolo del nuovo intellettuale: sebbene il circolo classicistico degli scrittori che usano il latino guardi ancora all’esperienza duecentesca, Petrarca pone le basi di quella nuova educazione letteraria che si chiamerà “umanesimo”. A lato, ma come un esempio altissimo di ricerca letteraria e spirituale, troviamo l’opera dei cosiddetti scrittori religiosi, soprattutto Cavalca, Passavanti, santa Caterina da Siena e la tradizione francescana dei Fioretti.

1 Dante Alighieri Dante Alighieri è considerato il più grande poeta italiano e uno dei maggiori autori della letteratura universale. Tutta la sua opera è fortemente radicata in una passione civile e morale e in una tensione spirituale altissime: essa costituisce l’esito più elevato e complessivo del pensiero e della cristianità medievali. La Divina commedia per la prodigiosa varietà di mezzi espressivi, la vastità e profondità di visione è momento fondante della letteratura in lingua italiana.

La vita Nacque nel 1265 a Firenze in una famiglia appartenente alla piccola nobiltà guelfa fiorentina. Rimasto assai presto orfano della madre Bella (circa 1275), perdette il padre Alighiero di Bellincione prima del 1283. Nel 1274, ancora bambino, incontra per la prima volta Beatrice (Bice di Folco Portinari), che amerà di amore sublimato secondo i canoni dello stilnovo fino alla sua morte, nel 1290. Al 1285 risale il matrimonio con Gemma di Manetto Donati, che gli diede almeno tre figli. Nel 1289 partecipò alla battaglia di Campaldino e all’assedio del castello di Caprona, scontri che coinvolgevano la guelfa Firenze e le ghibelline Arezzo e Pisa. Fu questo il suo primo affacciarsi alla vita pubblica. L’adesione alla corporazione dei medici e degli speziali fu preludio all’attività politica, iniziata nel 1295 con l’entrata nel Consiglio speciale del Capitano del popolo e conclusasi con la nomina a priore. Gli anni ’80 e i primi anni ’90 lo videro occupato nelle prime esperienze poetiche; di sicura attribuzione sono almeno una cinquantina di Rime di vario metro, alcune appartenenti a questi anni, altre composte successivamente, che risentono della Scuola siciliana, di Guittone, di G. Guinizelli e G. Cavalcanti. Nel 1290 la morte di Beatrice provocò in Dante una profonda crisi religiosa, da cui fu indotto a rigorosi studi filosofici e teologici, che completarono la sua giovanile formazione retorica intrapresa sotto la guida di Brunetto Latini. Fra il 1292 e il 1293 compose la Vita nuova, in cui raccolse 31 liriche inserite in un contesto narrativo: la realtà storica della donna amata, Bice di Folco Portinari, è sottoposta a un processo d’idealizzazione da cui nascerà la miracolosa Beatrice destinata poi a guidare il pellegrino Dante nel viaggio della Commedia. Dopo la spaccatura della parte guelfa tra Bianchi (fautori d’una poli-

L’inizio dell’attività politica

La morte di Beatrice e la crisi religiosa

35

1 - Dante Alighieri

tica di autonomia) e Neri (legati strettamente alla politica del papato e capeggiati dai Donati, la famiglia di sua moglie), Dante si schierò dalla parte dei Bianchi, in cui primeggiava la consorteria dei Cerchi. Mentre era a Roma per un’ambasciata presso Bonifacio VIII, nel novembre del 1301, i Neri coadiuvati dal legato papale Carlo di Valois conquistarono la Signoria. Accusato dai suoi avversari al potere di baratteria (corruzione), Dante rifiutò sdegnato di giustificarsi e fu condannato a morte in contumacia nel marzo del 1302. Lo attendevano una ventina d’anni di esilio segnati da un’intensissima attività intellettuale.

Le speranze per l’imperatore Arrigo VII

■ L’esilio Abbandonata attorno al 1304 la causa dei Bianchi, intenzionati a rientrare a Firenze con le armi, e sempre sperando in un’amnistia, Dante iniziò una vita di vagabondaggio. Tra le tappe certe di questi primi anni d’esilio si annoverano quelle nella Verona dei della Scala (dal 1303?), nella Treviso di Gherardo da Camino (1305-06?) e nella Lunigiana di Moroello Malaspina (1306). Nel frattempo componeva il Convivio (1304-07) e il De vulgari eloquentia (1304-05). Nuovo fervore di speranza gli venne in occasione della discesa in Italia nel 1310 del nuovo imperatore, Arrigo VII di Lussemburgo, dal quale si attendeva il ristabilimento d’un ordine supremo basato su un accordo tra autorità imperiale e papale. Di grande interesse sono le epistole con cui il poeta partecipò alla vicenda, esaltando la figura e il ruolo di Arrigo e fulminando i fiorentini che a lui avevano osato opporsi. Il sogno di giustizia e concordia universale e quello d’un onorevole ritorno in patria furono vanificati dalla morte improvvisa dell’imperatore nel 1313. Nel maggio del 1315 rifiutò di avvantaggiarsi di un’amnistia che aveva per condizione un’ammissione di colpa. Nel novembre dello stesso anno la Signoria fiorentina confermava la condanna a morte per lui e per i suoi figli. Tra la comparsa sulla scena italiana di Arrigo VII e la sua morte, Dante venne chiarendo le proprie persuasioni politiche in un trattato in lingua latina sulla Monarchia. ■ Gli ultimi anni

A Verona presso Cangrande della Scala

36

Dopo la conferma della condanna Dante soggiornò presso Cangrande della Scala a Verona. Qui nel 1320 discusse pubblicamente una questione De situ et forma aquae et terrae, intesa a dar conto dell’emergere della terra sulle acque nell’emisfero boreale con riferimento alla dottrina aristotelicoscolastica che voleva invece gli elementi disposti in sfere

1 - Dante Alighieri

concentriche. Attorno a questi anni (1319-20) si colloca anche la composizione delle due Egloghe latine indirizzate a Giovanni del Virgilio. Forse nello stesso 1320 avvenne l’ultimo trasferimento della vita dell’esule: a Ravenna presso A Ravenna presso Guido Novello da Polenta. In questa città, di ritorno da Ve- Guido da Polenta nezia dove si era recato come ambasciatore per conto del suo ospite, si spense per malattia nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 e fu sepolto in un’arca adiacente la chiesa di San Pier Maggiore, più tardi dedicata a san Francesco.

Le opere minori ■ La “Vita nuova” Composta intorno al 1293, a un paio d’anni dalla morte di Beatrice, è la prima opera organica di Dante, narrazione “fervida e passionata” del suo amore per Beatrice. È anche il primo romanzo autobiografico della nostra letteratura e si compone di 25 sonetti, 4 canzoni, una stanza e una ballata, intercalati da pagine di prosa che narrano la storia di questo amore. Il “libro de la memoria” è povero di avvenimenti: qualche incontro, qualche episodio di scarso valore concreto, ma quello che conta è la storia dei moti interiori, che superano la visione “cortese” dell’amore, propria dello stilnovo e di Cavalcanti, verso una concezione idealizzata in senso cristiano, mezzo di contemplazione e di visione mistica. La Vita nuova contiene alcune delle liriche più alte e famose di Dante, come il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, oppure Donne che avete intelletto d’amore.

L’amore per Beatrice “Libro de la memoria” in versi e prosa

L’amore mezzo di contemplazione mistica Le liriche più famose

■ Il “Convivio”

La stesura dell’opera, progettata con velleità enciclopediche in 15 trattati a commento di 14 canzoni, risale agli anni 130407. Tre gli argomenti principali: l’ordinamento dei cieli, la natura della filosofia e infine quella della nobiltà, da intendersi non come distinzione di nascita, ma come eccellenza intellettuale e morale. Centro propulsivo ideale del discorso non sarà più Beatrice ma la “donna gentile” già apparsa nella Vita nuova in atto compassionevole nei confronti del poeta dopo la morte dell’amata, e che si rivela, qui nel Convivio, descrizione allegorica della Filosofia. L’esaltazione del sapere filosofico rappresenta un fondamentale punto d’arrivo in vista dell’avventura poetico-speculativa della Commedia.

Il contenuto enciclopedico

L’esaltazione del sapere filosofico

■ Il “De vulgari eloquentia”

Iniziato attorno al 1304 e lasciato interrotto nel 1305, il De vulgari eloquentia è dedicato alla teoria linguistica, un in37

1 - Dante Alighieri

Il volgare superiore al latino Il volgare unitario dell’Italia

teresse che compare, ma soltanto marginalmente, anche nelle disquisizioni del Convivio. Contrariamente a quanto asserito nel Convivio, nel De vulgari eloquentia è il volgare a essere proposto come superiore rispetto al latino, lingua artificiale. Scopo primario di Dante è l’identificazione d’un volgare unitario che abbia tutte le caratteristiche per affermarsi come lingua della più alta comunicazione artistica. Esso non potrà coincidere con alcuna delle parlate regionali, essendo come una pantera “che fa sentire il suo profumo ovunque e non si manifesta in nessun luogo”. Dovrà essere “illustre”, “cardinale”, “aulico” e “curiale”, ovvero risplendente sugli altri volgari, capace di farli rivolgere attorno a sé, ben regolato e caratterizzato da altissimo decoro ed eleganza.

■ Il “De monarchia” Scritto dopo la morte di Arrigo VII, il grande e appassionato trattato politico di Dante si articola in 3 libri. Il primo libro argomenta che una monarchia universale è necessaria per il raggiungimento dei più alti ideali dell’uomo; il secondo specifica che essa dovrà essere romana, essendo la Roma d’oggi erede dell’impero che, voluto da un disegno divino, creò le condizioni ideali per l’avvento del Cristo; il terzo e ultimo illumina i rispettivi ambiti d’azione del ponIl rifiuto di tefice e dell’imperatore. Principio fondamentale è che il posubordinare il potere tere imperiale non deriva da quello papale, ma direttaimperiale alla Chiesa mente da Dio. Così come pertiene al papa il mandato divino di condurre l’umanità alla beatitudine eterna, sarà dell’imperatore quello di facilitare agli uomini il raggiungimento della felicità terrena. Sono obiettivi che le due massime autorità dovranno perseguire in piena autonomia.

La “Divina Commedia” Il significato del titolo

La struttura del poema 38

Pensato semplicemente come Commedia da Dante, il titolo assunse ufficialmente l’attributo “divina” per iniziativa di Ludovico Dolce, curatore di un’edizione stampata a Venezia dal Giolito nel 1555. Secondo Dante (De vulgari eloquentia, Epistola a Cangrande) il concetto di commedia è collegato a un genere di vicenda orribile negli inizi e felicemente conclusa, nonché a uno stile medio-umile, rispetto a quello elevato della tragedia. La stesura, avviata probabilmente negli anni 1306-07, impegnò il poeta per il resto della sua vita. Il poema si articola in 3 cantiche: l’Inferno (34 canti, ovvero 33 più uno d’introduzione generale), il Purgatorio e il Paradiso (33 canti ciascuno), per un totale di

1 - Dante Alighieri

LA STRUTTURA DI INFERNO , PURGATORIO E PARADISO L’Inferno si trova al di sotto di Gerusalemme, posta da Dante al centro dell’emisfero boreale. È preceduto da un Antinferno in cui stanno gli ignavi, rifiutati da Dio e dal Demonio, ed è diviso in nove cerchi, che scendono verso i peccati più gravi: I il Limbo dei morti senza battesimo; II lussuriosi; III golosi; IV avari e prodighi; V iracondi e accidiosi; VI promotori di eresia (eresiarchi); VII suddiviso in tre gironi, è luogo di pena dei violenti: contro il prossimo, contro se stessi, contro Dio (bestemmiatori), contro la natura (sodomiti), contro l’arte (usurai); VIII, detto Malebolge, è diviso in 10 fosse (bolge), con seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari; IX, costituito da un fiume di ghiaccio, è diviso in 4 zone: Caina (traditori dei parenti), Antenora (traditori della patria), Tolomea (traditori degli ospiti), Giudecca (traditori dei benefattori). Conficcato nel ghiaccio al centro della Terra sta Lucifero. Il Purgatorio è una montagna agli antipo-

di di Gerusalemme, nell’emisfero australe. Alla base del monte vi sono le due balze dell’Antipurgatorio, con scomunicati, pigri a pentirsi, morti di morte violenta, principi negligenti. Nel Purgatorio vero e proprio le anime sono ripartite in 7 cornici corrispondenti ai sette peccati capitali: I superbi; II invidiosi; III iracondi; IV accidiosi; V avari e prodighi; VI golosi; VII lussuriosi. In cima al Purgatorio sta il Paradiso Terrestre; al suo limitare, Virgilio lascia Dante alla guida di Beatrice. Il Paradiso, a cui Dante ascende attraverso la Sfera di Fuoco, è diviso – secondo la concezione aristotelico-tolemaica – in 9 cieli concentrici. Forze motrici dei cieli sono le intelligenze angeliche: I cielo, o della Luna, Angeli; II, di Mercurio, Arcangeli; III, di Venere, Principati; IV, del Sole, Potestà; V, di Marte, Virtù; VI, di Giove, Dominazioni; VII, di Saturno, Troni; VIII, delle Stelle Fisse, Cherubini; IX, Cristallino o Primo Mobile, Serafini. Dante giunge così all’Empireo, sede dei beati e di Dio, dove gli fa da guida Bernardo da Chiaravalle.

100 canti, composti da 14.233 versi endecasillabi riuniti in terzine incatenate (schema ABA BCB CDC DED...). Esso è concepito come il resoconto d’un viaggio di sette Il tema giorni nei regni d’oltretomba intrapreso dal poeta per risolvere una crisi che lo ha colto a metà del proprio cammino esistenziale (35 anni). Sarà Beatrice, la donna amata dal poeta nella giovinezza, a scendere dal Paradiso per affidare Dante alla guida di Virgilio, il massimo poeta della latinità. Fortificato dalla sua presenza, l’8 aprile, venerdì Santo, del 1300 (anno del Giubileo bandito da Bonifacio VIII) il pellegrino Dante si addentra nella voragine sotterranea dell’Inferno, dove incontra le anime dannate. Il 10 aprile, Pasqua di Resurrezione) affronta sulle pendici della montagna del Purgatorio la parte penitenziale del proprio viaggio in compagnia delle anime in attesa di liberazione. Passato sotto la diretta tutela di Beatrice dopo aver raggiunto il Paradiso Terrestre, spicca il volo (13 aprile, mercoledì di Pasqua) verso il Paradiso, dove nel cielo Empireo potrà finalmente, sia pure per pochi istanti, godere della contemplazione di Dio. 39

1 - Dante Alighieri

Le fonti dell’ispirazione dantesca

Un’opera di conversione

L’opera più famosa della letteratura italiana

È lo stesso Dante a stabilire il fine della sua opera nell’Epistola a Cangrande: affrancare i viventi dalla miseria del peccato e guidarli verso la suprema felicità. Non vi è dubbio che Dante trasse ispirazione dalla Sacra Scrittura, da testi della latinità classica e dalla letteratura cristiana. Posizione privilegiata nell’immaginario dantesco occuparono il rapimento di san Paolo al terzo cielo, menzionato nella Seconda lettera ai Corinti, 12, e la discesa agli Inferi di Enea nel VI libro del poema di Virgilio. La Commedia è dunque concepita come Eneide della modernità, epica dello spirito cristiano. ■ Valore universale della “Divina commedia” La Divina commedia è un’opera di conversione, un lungo percorso attraverso la scoperta del peccato e del male verso la redenzione dell’uomo e la visione mistica. Ambiziosissima enciclopedia della scienza, del pensiero e della spiritualità medievali, prima opera sicuramente classica della tradizione in volgare, monumento di lingua, di poesia e di sentire civile e morale, messaggio prodigiosamente versatile, capace di raggiungere diversissimi settori di pubblico (incluso quello popolare), la Divina commedia si è affermata nei secoli come l’opera della letteratura italiana più nota e più letta in Italia e nel mondo.

■ “Inferno” Per Dante il viaggio agli Inferi sotto la guida di Virgilio è, come del resto quello nel Purgatorio e nel Paradiso, un viaggio di conoscenza: conoscenza del peccato, della sua natura, delle sue gradazioni di gravità, delle sue conseguenze per la vita terrena e quella ultraterrena. La struttuLa voragine infernale ra della voragine infernale che giunge al centro della Terra, basata su principi aristotelici e ciceroniani, è divisa in 9 cerchi. Incontrate nei 5 cerchi superiori della cavità (alto Inferno) le anime di coloro che furono incapaci di controllare naturali pulsioni e appetiti, nel basso Inferno Dante trova i più esecrabili peccatori, nei quali agì una vera e propria lucida volontà di arrecare, con la violenza o con la frode, offesa e danno a Dio, a sé o ai propri simili. Spiccano, nella prima compagine, le figure di Francesca da Rimini, di Ciacco, di Filippo Argenti; nella seconda quelle di Farinata degli Uberti, Cavalcante de’ Cavalcanti, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, Ulisse, Guido da Montefeltro e Ugolino della Gherardesca. Alla struttura ripetitiva dell’incontro con le anime si accompagnano molteplici elementi di variazione. Per esempio: gli scenari di pena, regolati dalla legge del

40

1 - Dante Alighieri

contrappasso (valida anche nel Purgatorio), secondo cui La legge la pena deve richiamare, per analogia o contrasto, la colpa del contrappasso e soprattutto i sentimenti contrastanti di Dante di fronte ai suoi interlocutori (sdegno, ironia, ma anche palpitante partecipazione). ■ “Purgatorio” Immaginato da Dante, in relazione all’Inferno, come montagna prodotta da uno spostamento di masse terrestri a contatto con Lucifero precipitato dal cielo, il Purgatorio si erge su un’isola situata agli antipodi di Gerusalemme nell’emisfero delle acque. Lo spazio della montagna tra le due zone estreme dell’Antipurgatorio (in prossimità della spiaggia) e del Paradiso Terrestre (sulla sommità), è diviso in 7 balze, sulle quali i penitenti passano purificando di volta in volta l’inclinazione verso uno dei peccati capitali. Mentre nella discesa infernale ci s’imbatteva in colpe sempre più gravi, l’ascesa purgatoriale rivela un criterio di gravità decrescente: dall’amore rivolto al male (superbia, invidia e ira) all’amore del bene tiepidamente esercitato (accidia) per giungere, nelle balze più elevate, all’amore eccessivo di beni mondani (avarizia, gola e lussuria). Se nell’Inferno Dante aveva sperimentato l’operare divino come giustizia, nel Purgatorio egli diviene partecipe della divina misericordia. Di centrale interesse risultano gli incontri con artisti e poeti quali Casella, Sordello da Goito, Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizelli, Arnaut Daniel, Stazio e Oderisi da Gubbio. Gli ultimi canti sono fortemente marcati dalla presenza di

La montagna del Purgatorio

L’ascesa dai peccati più gravi ai meno gravi

LA FORTUNA DELLA “DIVINA COMMEDIA” La ricezione della Divina commedia non è uniformemente lineare. Già largamente diffusa e commentata a partire dal figlio di Dante Jacopo nel Trecento, fu guardata con sospetto negli ambienti più radicali dell’umanesimo fiorentino, poco gradita al Seicento e al Settecento. Trovò in Vico il campione che la consegnò all’abbraccio dell’Europa romantica, per la quale Dante divenne, secondo la parola di E. Pasquini, “mito del genio come forza della natura, accanto a Omero e a Shakespeare”. Significativo è il ricorso alla figura di Dante e alla sua opera da parte del Risorgimento italiano per la formulazione e propagazione

degli ideali d’indipendenza e di unità nazionale. Incontrastata fortuna arrise al poema nel Novecento, in Italia e fuori d’Italia, in special modo nel mondo anglosassone. Innumerevoli, attraverso i secoli, gli autori in vario modo segnati dal contatto col capolavoro: da Boccaccio e Petrarca a Chaucer e Milton, da Shelley e Coleridge a Foscolo e Leopardi, da Pound ed Eliot a Gozzano e Montale. Ricchissimo anche il riscontro nel settore delle arti figurative. Fra i nomi più illustri: Botticelli e Michelangelo in Italia; Blake e Rossetti in Inghilterra; Doré, Ingres, Delacroix e Rodin in Francia.

41

1 - Dante Alighieri

Beatrice sostituisce Virgilio

L’organizzazione gerarchica del Paradiso

L’Empireo Bernardo di Chiaravalle sostituisce Beatrice La visione di Dio

Beatrice, la donna amata che ha acquisito connotazioni allegoriche di Rivelazione, Amore Divino, Grazia, Fede, Teologia, e sostituisce Virgilio. ■ “Paradiso” La regola strutturale del 9+1, valida per Inferno e Purgatorio (nove cerchi più il vestibolo nel primo caso, nove ripartizioni inferiori più il Paradiso Terrestre nel secondo), vale anche per il Paradiso, dove ai 9 cieli (dei pianeti, delle Stelle Fisse e Primo Mobile) si aggiunge l’Empireo. Da quest’ultimo, dove godono della beatitudine eterna, gli spiriti scendono a manifestarsi al pellegrino nel cielo di cui subirono l’influsso in vita. Il Paradiso risulta così organizzato gerarchicamente. I tre cieli inferiori (Luna, Mercurio, Venere) ospitano coloro che non raggiunsero l’assoluta perfezione. A questi seguono, in ascesa, i cieli degli spiriti attivi: quello del Sole con i sapienti, di Marte con i militanti per la fede, di Giove con i giusti, e quello degli spiriti contemplativi, Saturno. I rimanenti due cieli sotto l’Empireo consentono al pellegrino di perfezionare la propria preparazione all’ultima ascesa assistendo al trionfo di Cristo, della Vergine e degli angeli e sottoponendosi a un esame sulle virtù teologali (fede, speranza, carità). Nel cielo Empireo, il vero e proprio Paradiso, sede di Dio e dei beati, gli appare una “candida rosa” composta da innumerevoli anime assise su troni in file disposte come in un anfiteatro. Tra queste egli scorge Beatrice, che ha lasciato il ruolo di guida a san Bernardo di Chiaravalle. La preghiera di Bernardo assicura l’intercessione della Vergine Maria, grazie alla quale il pellegrino ottiene infine l’inusitato privilegio di penetrare nel mistero della divina essenza.

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Nasce a Firenze nel 1265 da famiglia della piccola nobiltà guelfa. Nel 1285 sposa Germma Donati. Nel 1290 la morte di Beatrice, la donna amata da lontano di amore sublimato, lo getta in una crisi religiosa. Dopo la spaccatura della parte guelfa in Bianchi e Neri, parteggia per i Bianchi, fautori di una politica di autonomia dal papato. Nel 1301 i Neri prendono il potere e condannano Dante a morte in contumacia. Da allora fino alla morte, avvenuta nel 1321 a Ravenna, Dante è costretto a vivere in esilio.

LE OPERE MINORI

Vita nuova. Nella Vita nuova (1292-93) la realtà storica della donna amata, Bice di Folco Portinari, è sottoposta a un processo d’idealizzazione da cui nascerà l’immagine dell’amore divino, la miracolosa Beatrice.

42

1 - Dante Alighieri segue

Convivio. Nel Convivio (1304-07) centro propulsivo ideale del discorso non è più Beatrice, ma la “donna gentile”, già apparsa nella Vita nuova in atto compassionevole nei confronti del poeta dopo la morte dell’amata, e che si rivela allegoria della Filosofia. De vulgari eloquentia

Il trattato De vulgari eloquentia (1304-05) è dedicato alla teoria linguistica di un volgare superiore al latino: un volgare che dovrà essere “illustre”, “cardinale”, “aulico” e “curiale”, ovvero risplendente sugli altri volgari, capace di attirarli, ben regolato e caratterizzato da altissimo decoro ed eleganza.

LA “DIVINA COMMEDIA”

Composta di 3 cantiche, Inferno (34 canti), Purgatorio (33) e Paradiso (33), per un totale di 100 canti, è scritta dal 1306-07 fino alla morte dell’autore. È un’opera di conversione, un lungo percorso attraverso la scoperta del male e dei peccati verso la redenzione dell’uomo. Scritta in terzine di endecasillabi è il più grande affresco della cultura occidentale; e quello in cui è più chiaro il concetto di una nuova dignità umana fortificata dalla riflessione sul dolore dell’esistenza.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Perché Dante fu esiliato da Firenze? 36a 2. Quali sono le liriche più celebri della Vita nuova? 37b 3. Di che cos’è allegoria la “donna gentile” nel Convivio? 37b 4. Quali sono le caratteristiche del volgare “illu-

stre”? 38a 5. Qual è il significato universale della Divina commedia? 40a 6. Di quante cantiche e di quanti canti è composta la Divina commedia? 38b-39b

43

2 Francesco Petrarca Poeta di raffinata sapienza formale, con il suo Canzoniere tocca i vertici della lirica europea ed eserciterà una profonda influenza sulla poesia in Italia e in Europa. Il petrarchismo si affermerà come modello imitativo e come scuola fino a tutto il Settecento, e il rapporto con Petrarca resterà sempre un passaggio obbligato per chi intende il linguaggio poetico come strumento di scavo interiore. La sua concezione della cultura, in cui ha un posto decisivo il rapporto con i classici latini, e il suo atteggiamento intellettuale, così pieno di curiosità e inquietudine, ne fanno un grande precursore dell’umanesimo.

La vita

Il trasferimento in Provenza

La carriera ecclesiastica

La residenza a Valchiusa 44

Nacque ad Arezzo nel 1304 da Eletta Canigiani e da ser Pietro, detto Petracco, un notaio fiorentino di parte bianca esiliato assieme a Dante. Nel 1312 la famiglia si trasferì a Carpentras, in Provenza, dove ser Petracco aveva intenzione di esercitare la professione vicino alla sede papale di Avignone. Petrarca fu mandato a studiare legge a Montpellier e poi, con il fratello Gherardo, a Bologna. In questi anni alimentò l’interesse per i classici (Cicerone, Virgilio, Livio) e per i padri della Chiesa, soprattutto sant’Agostino. Nel 1326, alla morte del padre, tornò ad Avignone. Qui, nella chiesa di Santa Chiara, il giorno di venerdì Santo del 1327, avvenne, secondo la testimonianza dello stesso poeta, l’episodio dell’incontro-innamoramento con Laura, destinata a diventare la figura ispiratrice centrale nel Canzoniere. Esaurito il patrimonio paterno, intraprese la carriera ecclesiastica (che non gli impedì, d’altro canto, di avere relazioni amorose da cui nacquero due figli: Giovanni e Francesca) e divenne nel 1330 cappellano di famiglia del cardinale Giovanni Colonna, ciò che gli permise di viaggiare in diversi paesi d’Europa. È del 1333 la sua scoperta, a Liegi, di due orazioni ciceroniane, la Pro Archia e l’apocrifa Ad equites Romanos. Nel 1335 il nuovo papa Benedetto XII lo nominò canonico nella cattedrale di Lombez; al 1335 e al 1336 risale l’invio di due epistole allo stesso papa che chiedevano il ritorno in Italia della sede pontificia. Dopo un primo viaggio a Roma, dove lo impressionarono profondamente i vestigi dell’antichità classica, si trasferì da Avignone alla vicina ma assai più tranquilla Valchiusa, dove si dedicò all’attività di scrittore, sia in latino (Africa; De viris illustribus), sia in italiano, lavorando alle rime che dovevano sfociare nel Can-

2 - Francesco Petrarca

zoniere e ai Trionfi. Alternava momenti di ritiro e solitudine dediti allo studio a viaggi e attività pubblica. Grazie alla notorietà procuratagli dalle opere latine (alle quali sempre Petrarca affidò il suo desiderio di gloria, piuttosto che alle liriche in volgare), nell’aprile del 1341 gli fu conferita a Ro- La laurea poetica ma, in Campidoglio, la laurea poetica. Nel 1342 raccolse in Campidoglio per la prima volta le rime in lingua volgare. Intanto la morte di Laura, nella pestilenza che in quegli anni devastava l’Europa, e la decisione del fratello Gherardo di farsi monaco accentuavano l’inquietudine e l’intimo dissidio tra il desiderio di raccoglimento e riflessione e l’ambizione mondana. Nel 1343 a Verona scoprì le lettere di Cicerone ad Attico. Nel 1347 per sostenere la riforma politica di Cola di Rienzo, Il ritorno in Italia che intendeva dare a Roma un ruolo propulsivo per unificare l’Italia, tornò in Italia, dove si legò in amicizia con Boccaccio. Nel 1351 si stabilì a Padova presso Francesco da Carrara e dal 1353 al 1361 alla corte viscontea di Milano. Per i Visconti, da Giovanni a Bernabò, s’impegnò in diverse missioni diplomatiche (fu anche presso l’Imperatore Carlo IV, a Praga). Spostatosi a Padova per sfuggire alla peste che si diffondeva in Lombardia, si trasferì poi a Venezia. Qui gli fecero visita nel 1363 gli amici Boccaccio e Leonzio Pilato. Tenendo residenza a Padova, Venezia e poi ad Arquà, sui colli Euganei, ma sempre impegnato in viaggi, trascorse gli ultimi anni continuando il lavoro intellettuale. A questo periodo appartiene il De sui ipsius et multorum ignorantia, polemico libello di risposta a quattro giovani aristotelici che lo avevano tacciato d’ignoranza. Morì ad Arquà (oggi Arquà Petrarca) la notte tra il 18 e il 19 luglio 1374.

Le lettere Petrarca è la prima figura nella storia della letteratura italiana il cui itinerario esistenziale e intellettuale possa essere seguito minutamente sulle lettere. Petrarca stesso raccolse per argomento le sue lettere: Rerum familiarum libri (Libri delle cose familiari), Sine nomine (Senza nome), polemiche contro il papato avignonese, Rerum senilium libri (Libri della vecchiaia); postume sono le Variae e la singola epistola Posteritati (Alla posterità), prezioso sunto autobiografico. L’epistolario petrarchesco consente di seguire il poeta nei suoi molteplici spostamenti, di sondare i suoi affetti, le scelte politiche, le vicende dell’impegno civile e dell’operare diplomatico, i motivi delle inclinazioni e delle avversioni intellettuali, l’assillo delle costanti meditazioni morali, la sostanza e il carattere del suo credo umanistico.

La struttura dell’epistolario

Un prezioso strumento biografico

45

2 - Francesco Petrarca

Il “Secretum” Un’opera-dialogo fra Petrarca e sant’Agostino

L’amore per Laura e per la gloria mondana: catene sulla via della salvezza

Composto in prima stesura tra il 1342 e il 1343, il Secretum, opera filosofico-morale in tre libri, uno per ciascuna giornata di fitto dialogo tra l’autore (designato come Franciscus) e sant’Agostino (Augustinus) in presenza della Verità, fu ripreso una decina d’anni più tardi e completato tra il 1356 e il 1358. La prima giornata di colloquio sviluppa la nozione che felicità e infelicità dipendono dall’umano volere, e che è proprio una malattia della volontà a tenere Francesco in peccato e quindi a renderlo infelice. Egli vuole il vero bene, ma non lo persegue con il dovuto fervore. Un esame di coscienza che tocca ciascuno dei sette peccati capitali per poi soffermarsi sull’accidia occupa invece la seconda giornata di dialogo. Ma è la terza a portare in superficie le passioni centrali ed esiziali che impediscono a Francesco di condurre con dedizione assoluta la salvifica, costante meditazione sulla vita e sulla morte. Bellissime, seducenti catene, esse sono l’amore per Laura e l’amore di gloria. Invano l’amante tenterà di far passare per spirituale e virtuoso il sentimento per una donna d’eccezione. Agostino ha buon gioco nel mostrare come Francesco non abbia amato come si conviene. Si giunge così all’ultimo male: l’amore per la gloria mondana, che, lasciando intravedere una sopravvivenza del nome nel tempo, impedisce la vista della vera immortalità. Sgombra la mente, messe a nudo le proprie colpevoli debolezze, Francesco non si volge tuttavia alle opere divine con zelo esclusivo come vorrebbe Agostino. Pervenuto alla fine della lunga confessionemeditazione, dichiara di averne tratto beneficio e propone di rinforzare la propria volontà, ma la scelta di radicale rinunzia alle vanità del mondo rimane solo un auspicio.

Le altre opere latine

L’”Africa”

“De viris illustribus”

46

Nel primo periodo a Valchiusa Petrarca intraprese la stesura del poema Africa, a cui legò molta della sua ambizione di gloria letteraria, sebbene oggi ci appaia un fallimento poetico per la sua magniloquenza retorica. L’Africa è un poema epico in esametri ispirato alla seconda guerra punica, centrato sull’eroica figura di Scipione l’Africano e celebrativo dell’alto destino provvidenziale del popolo romano. A questo periodo appartengono anche le prime fatiche del De viris illustribus, galleria di profili biografici di personaggi tratti dalla storia antica, dalla Sacra Scrittura e dalla mitologia classica. Della crisi del 1342-43, che lo portò a vivere in

2 - Francesco Petrarca

modo più intimo e sofferto il proprio cristianesimo (tanto che si suole parlare di conversione), sono documento esemplare i Salmi penitenziali (1348), modellati sul testo biblico ma percorsi da venature ciceroniane e agostiniane. Agli anni tra il 1343 e il 1354 appartengono: i Rerum memorandarum libri, incompiuta raccolta di aneddoti ed esempi edificanti modellata sulla silloge di Valerio Massimo; il De vita solitaria, in cui la solitudine è proposta come condizione primaria per un perfezionamento intellettuale e morale da ottenersi con lo studio delle lettere e la meditazione religiosa; il De otio religioso, affine per materia al De vita solitaria e concepito in seguito a una visita al fratello Gherardo in monastero; il De remediis utriusque fortunae (la cui composizione si protrasse fino al 1366), esortazione allegorica, sostenuta da argomentazioni stoico-cristiane, a rispondere virtuosamente alle alterne vicende della fortuna. A queste opere in prosa si aggiunge il Bucolicum carmen, raccolta di egloghe allegoriche secondo il modello della poesia pastorale virgiliana.

“Salmi penitenziali” “Rerum memorandarum libri” “De vita solitaria” e “De otio religioso” “De remediis utriusque fortunae” “Bucolicum carmen”

Il “Canzoniere” Il Canzoniere si è affermato attraverso i secoli come l’opera di Petrarca più significativa e di più duratura rilevanza per l’evoluzione della storia della poesia e della poetica occidentali. Frutto di un lavoro di composizione, revisione e ordinamento che cominciò attorno al 1335 e impegnò il poeta fino alla morte, il Canzoniere (il cui titolo originale è Rerum vulgarium fragmenta, Frammenti di volgare), presenta nell’ultima forma 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Una compagine che risulta divisa dal componimento I’ vo pensando, et nel penser m’assale in due parti: rime in vita e rime in morte di Laura. Frutto della tradizione latina (classica e patristica) e di quella volgare moderna, dai provenzali allo stilnovo e a Dante, il Canzoniere rappresenta l’estrema testimonianza di una ricerca di mediazione tra eros e caritas, tra amor profano e amor sacro, di quel tentativo di conciliare Ovidio con la Sacra Scrittura che tanta parte ebbe nel configurare la produzione letteraria medievale, specialmente lirica. Si tratta di una poesia tutta risolta in una puntuale resa della psicologia amorosa, fortemente radicata nell’esperienza intima dell’io, spiritualizzante e incline a eleganti soluzioni formali. La lingua è depurata da ogni tentazione realistica, improntata a un ideale di alto decoro e perfetta armonia. Ciononostante, è assolutamente dominante la figura femmini-

La struttura

Ricerca di mediazione tra amor sacro e amor profano

L’esperienza intima dell’io La lingua del “Canzoniere” 47

2 - Francesco Petrarca

La figura femminile

Amore della donna e amore della fama

La Vergine ultimo porto di salvezza

le, fulcro radioso di un mito personale del poeta, che ripete liberamente, con coscienza cristiana, il mito della negazione del soddisfacimento erotico proposto dallo splendido archetipo ovidiano della storia di Apollo e Dafne. Laura è moderna incarnazione di Dafne che si sottrae alle sollecitazioni di chi la desidera; come Dafne, si trasforma in lauro: quel lauro che dovrà coronare la fronte dell’amante divenuto poeta. Amore della donna e amore della fama: un orizzonte meditativo scrutato minutamente, come nel Secretum. La complessa articolazione introspettiva della storia d’amore trova completamento in chiave di ritrattazione nella canzone alla Vergine, ultimo componimento della raccolta, in cui all’esaltazione della donna terrena (non altro, a ben vedere, che “poca mortal terra caduca”) si sostituisce quella della donna divina (la “vera beatrice”) invocata come ultimo porto di salvezza per l’anima resa esausta dagli ingannevoli e vani affanni mondani, ma assetata di verità assolute.

I “Trionfi”

Il modello della “Commedia” di Dante

48

L’altra opera poetica in volgare sono i Trionfi (scritti fra il 1348 e il 1374). Si tratta di un’ambiziosa visione allegoricodidattica in terzine divisa in sei parti: Trionfo dell’Amore, della Pudicizia, della Morte, della Fama, del Tempo, dell’Eternità. In essi, guardando al grande modello della Commedia dantesca, Petrarca intese inserire il vagheggiamento del personale mito amoroso animato dalla figura di Laura sia nel flusso della storia degli uomini, sia in immutabili quadri di riferimento morale e in prospettiva metastorica. Sono i grandi temi della vita interiore del Petrarca, primo fra tutti quello dell’umano dibattersi tra la dispersione mondana e la compiuta maestà dell’eterno, a essere drammatizzati nei Trionfi, con un gusto figurativo e compositivo ancora in buona parte medievale e un esito poetico nel complesso deludente.

2 - Francesco Petrarca

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Nasce ad Arezzo nel 1304, da un notaio fiorentino esiliato come Dante. La famiglia si trasferisce in Provenza, ad Avignone, dove allora era la sede papale. Dopo gli studi di diritto, intraprende la carriera ecclesiastica. Alterna momenti di ritiro a Valchiusa, presso Avignone, con viaggi e attività diplomatica. Diviene l’intellettuale più famoso della sua epoca (nel 1341 è incoronato poeta laureato a Roma, in Campidoglio). Nel 1342-43 attraversa una profonda crisi morale-religiosa per la morte di Laura, la donna da lui amata, e la monacazione del fratello. Dal 1351 risiede a Milano, presso i Visconti, poi a Venezia. Muore nel 1374, nella sua residenza di Arquà (oggi Arquà Petrarca), sui colli Euganei, presso Padova.

LE LETTERE

Composto dai Rerum familiarum libri, dalle Sine nomine, dai Rerum senilium libri e dalle postume Variae, oltre alla singola epistola Posteritati, l’epistolario è un’eccezionale autobiografia intellettuale poetica.

IL “SECRETUM”

Composto in prima stesura tra il 1342 e il 1343, è un’opera filosofico-morale in tre libri di prosa sul tema della virtù e della felicità umana.

ALTRE OPERE LATINE

L’Africa è un poema epico in esametri ispirato alla seconda guerra punica, centrato sull’eroica figura di Scipione l’Africano e celebrativo dell’alto destino provvidenziale del popolo romano. Salmi penitenziali sono modellati sul testo biblico. In prosa: Rerum memorandarum libri, incompiuta raccolta di aneddoti ed esempi; De vita solitaria, in cui la solitudine è proposta come condizione primaria per un perfezionamento intellettuale e morale; De otio religioso, affine per materia al De vita solitaria e concepito in seguito a una visita al monastero del fratello; De remediis utriusque fortunae, esortazione allegorica, sostenuta da argomentazioni stoico-cristiane, a rispondere virtuosamente alle alterne vicende della fortuna. Il Bucolicum carmen è una raccolta di egloghe allegoriche secondo il modello della poesia pastorale virgiliana.

IL “CANZONIERE”

Il Canzoniere è composto nella sua forma definitiva di 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Tutta la lirica di Petrarca è un sommesso colloquio del poeta con la propria anima; e voluttà di perdersi in quel dolce errore della sua coscienza. Essa costituisce il modello fondativo della lirica d’amore italiana.

I “TRIONFI”

I Trionfi sono una visione allegorico-didattica in terzine divisa in sei parti: Trionfo dell’Amore, della Pudicizia, della Morte, della Fama, del Tempo, dell’Eternità.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Il Secretum è un libro filosofico? Chi sono i personaggi principali? 46a 2. Petrarca attribuiva più importanza alla sua ope-

ra in latino o a quella in italiano volgare? 45a 3. Di cosa trattano i Trionfi? 48b 4. Qual è il ruolo di Laura nel Canzoniere? 48a

49

3 Giovanni Boccaccio A concludere la miracolosa corona trecentesca dei tre grandi padri fondatori della letteratura italiana è la figura di Giovanni Boccaccio. È il nostro più grande narratore: il Decameron vuole essere un quadro grandioso della vita con le sue luci e le sue ombre, una “Umana commedia” che ha al suo centro l’agire dell’uomo nel mondo, piuttosto che la prospettiva dell’eterno. L’opera di Boccaccio è un ponte tra il Medioevo e il grande rinnovamento del Rinascimento. La sua prosa di straordinaria versatilità, capace di passare dai toni solenni delle costruzioni ricche di subordinate a grande secchezza narrativa e dialogica, rimarrà modello insuperato per lunghi secoli.

La vita e le opere Nacque nel 1313 a Firenze, figlio illegittimo di ser Boccaccino di Chellino, ricco uomo d’affari di Certaldo, che l’avviò giovanissimo alla carriera finanziaria, portandolo con sé a Napoli (1327), dove si era trasferito in qualità di agente della banca dei Bardi, finanziatrice del re di Napoli Roberto d’Angiò. ■ Gli anni di Napoli e i primi scritti

Alla corte angioina

Il “Filocolo”

Il “Filostrato” La “Teseida”

50

Il trasferimento a Napoli segnò un momento decisivo nella formazione di Boccaccio. Mentre si dedicava alla pratica di banca, ebbe l’opportunità di frequentare gli ambienti signorili della città e la stessa corte angioina. Al 1334 risale la Caccia di Diana, poemetto allegorico-mitologico di 18 canti in terza rima in cui sono vagheggiate e celebrate le belle donne dell’aristocrazia napoletana. Assai maggiore l’impegno riversato nella composizione del Filocolo (1336-38?), romanzo in prosa che narra un’avventurosa ed edificante storia d’amore: è la prima consistente testimonianza di un vitale bisogno espressivo. In esso appare per la prima volta, in veste di ispiratrice e dedicataria, una Fiammetta (Maria d’Aquino, figlia illegittima di re Roberto d’Angiò), che rimarrà privilegiato punto di riferimento della sua ideale autobiografia sentimentale. Attorno al 1335, o forse al 1339, Boccaccio lavorò al Filostrato, romanzo sentimentale in ottave sull’amore tradito di Troiolo per Criseida. Del 1339-41 è il più sofisticato Teseida delle nozze d’Emilia: un poema in 12 canti in ottave, che narra una vicenda d’amore sullo sfondo delle gesta guerresche di Teseo e delle Amazzoni.

3 - Giovanni Boccaccio ■ Il ritorno a Firenze e le opere della maturità

Tra il 1340 e il 1341 Boccaccio ritornò a Firenze. Gli anni subito dopo il rimpatrio risultarono fecondi per lo scrittore che si avviava alla piena maturità. La Comedia delle ninfe fiorentine (1341-42), formata da testi poetici in un quadro di prosa, narra l’elevazione all’amore spirituale di un rozzo pastore, Ameto, da parte di sette ninfe. Un tragitto di avvicinamento all’amore e alla virtù si può riscontrare anche nell’Amorosa visione (1342-43), poema allegorico di 50 canti in terzine, architettato su modelli danteschi e intessuto di reminiscenze ovidiane. D’impianto essenzialmente realistico è invece il romanzo Elegia di madonna Fiammetta (1343-44), storia di travagli amorosi raccontata in prima persona dalla protagonista, in cui all’ambientazione nella Napoli dei suoi tempi risponde la continua evocazione del mondo esemplare della mitologia classica. Punto d’arrivo della produzione precedente il Decameron è il poema in ottave Ninfale fiesolano (1344-46?) che, partendo dalla narrazione dei tragici amori del pastore Africo e della ninfa Mensola, giunge a celebrare le leggendarie origini di Fiesole e Firenze; in esso alterna abilmente il realismo della letteratura popolare e il tono alto della poesia lirica. Nell’epidemia di peste del 1348 gli era morto intanto il padre, oltre a vari amici e conoscenti. Subito dopo, tra il 1349 e il 1353, scrisse il suo capolavoro, la raccolta di novelle Decameron. Alla fine del decennio gli nacque Violante, illegittima, come gli altri figli, amorevolmente ricordata nelle epistole e nell’egloga XIV. Gli anni ’50 e ’60 lo videro onerato d’incarichi pubblici e missioni diplomatiche e attivissimo nello studio, nella scrittura e nelle relazioni con amici intellettuali. Di straordinaria importanza l’incontro, nel 1350, e l’amicizia con Petrarca. A questi anni risalgono le opere umanistiche in latino, destinate ad alimentare considerevolmente la sua fama in Europa. Ambizioso repertorio dei miti antichi, rivalutati come veicolo di verità morali e religiose, la Genealogia degli dei gentili (Genealogia deorum gentilium) culmina nell’appassionata difesa della poesia. Repertorio di conoscenze geografiche classiche e medievali è il Monti, selve, laghi, fiumi, stagni o paludi e nomi del mare (De montibus...). Un programma moralistico (il tema è quello del favorito dalla fortuna ridotto in miserevole stato da superbia e stoltezza) informa l’opera Delle sventure degli uomini illustri (De casibus virorum illustrium), compilazione di profili biografici che spazia da Adamo a Giovanni il Buono, re di Francia. Complementare, seppure non del tutto affine, è lo scritto Delle donne illustri (De mulieribus

La “Comedia delle ninfe fiorentine”

L’”Amorosa visione” L’”Elegia di madonna Fiammetta”

Il “Ninfale fiesolano”

L’amicizia con Petrarca Le opere umanistiche in latino

51

3 - Giovanni Boccaccio

Il “Corbaccio”

L’esposizione della “Commedia” di Dante

claris). Nel 1367 pubblicò le 16 egloghe del Bucolicum carmen, di ispirazione virgiliana e petrarchesca. Risale forse agli anni 1354-55 la composizione del Corbaccio, libello in prosa volgare ispirato da una forte misoginia. Scosso da una lettera del beato Pietro Petroni che lo ammoniva ad abbandonare la poesia e a meditare invece sulla morte imminente, fu incoraggiato dallo stesso Petrarca a perseverare negli amati studi. A questo periodo (1361) risalgono l’Epistola consolatoria a Pino de’ Rossi e forse la Vita di san Pier Damiani (Vita sanctissimi patris Petri Damiani heremite). Nel 1365 fu inviato in ambasceria presso la corte papale ad Avignone. Boccaccio fu grande ammiratore di Dante (nel 1351 aveva scritto un Trattatello in laude di Dante) e venne perciò invitato dal Comune di Firenze a dare pubblica lettura della Commedia dantesca; iniziate nell’ottobre del 1373, le lezioni (Esposizioni sulla Commedia di Dante) s’interruppero all’inizio del 1374 quando ritornò, malato, a Certaldo. Qui si spense il 21 dicembre 1375.

Il “Decameron” Scritto negli anni immediatamente successivi alla peste del 1348, tra il 1349 e il 1353, il Decameron reca l’impronta delLa “cornice” l’evento luttuoso. È infatti per sottrarsi all’epidemia e al denarrativa grado morale della vita fiorentina a essa conseguente, che i dei racconti 10 giovani protagonisti della storia portante (Pampinea, Filomena, Elissa, Neifile, Emilia, Lauretta, Fiammetta, Panfilo, Filostrato, Dioneo) decidono, nel corso di un incontro casuale nella chiesa di Santa Maria Novella, di rifugiarsi nel contado. Nel salubre regime di vita comunitaria instaurato in villa, trova luogo, accanto a giochi, danze e gradevoli escursioni, anche il racconto di novelle, il cui tema è giornalmente imposto, per un totale di dieci giornate (da qui il titolo) dal re o dalla regina di volta in volta eletti dalla brigata. Da questa, che viene chiamata la “cornice” e giustifica la produzione narrativa, risulta così una compagine di 100 novelle, alle quali si aggiungono dieci canzoni a ballo intonate a turno dai giovani in fine di giornata. Amplissimo è il catalogo dei materiali cui Boccaccio attinge, spesso modificando liberamente i contenuti del testo di partenza, talvolta dando vita a vere e proprie parodie. Nel DeLa celebrazione cameron trova artistica celebrazione la classe borghesedella classe mercantile venuta alla ribalta in Italia tra Duecento e Treborghese-mercantile cento, una classe che a Boccaccio piacque contemplare nei suoi tentativi di nobilitarsi alla luce degli ideali cortesi. Fulgido modello umano risulta alla fine quel messer Torello 52

3 - Giovanni Boccaccio

da Pavia che, pur se “cittadino e non signore”, appare dotato d’animo e modi splendidamente signorili, esibiti nel corso di una gara di cortesie con il Saladino, sultano del Cairo. ■ Una “Umana commedia”

Osservazione comune a lettori di ogni secolo, è che nel Decameron si concretizzi un progetto narrativo d’inusitata ambizione. E certo Boccaccio, nel pensare all’opera come quadro grandioso della vita, di tutta la vita, con le sue luci e le sue ombre, nella sua infinita capacità di coinvolgere chi la contempla, occasione continua di meraviglia ed emozione, di riflessione psicologica e giudizio morale, teneva presente il grande modello della Commedia dantesca. Quella di Boccaccio è dunque una “Umana commedia”, caratterizzata da un deciso concentrarsi dell’interesse sull’umano agire nel mondo per il mondo, piuttosto che nella prospettiva dell’eterno. Il realismo del Decameron è da intendere, tra l’altro, come predilezione per vicende collocate nel presente, in luoghi individuati con precisione, rappresentazione non esclusivamente a fini comici di personaggi che incarnano i più bassi strati sociali. Boccaccio adotta dunque una poetica in cui non hanno più luogo l’esibizionismo erudito e il gusto mitologico, abbandona le sovrastrutture allegoriche, si fa avvocato dei diritti all’appagamento sessuale, propone continuamente all’ammirazione del lettore le risorse pragmatiche dell’individuo, il valore azione in quanto azione. Se è giusto riconoscere che sul Decameron il Medioevo accampa diritti non indifferenti, è perciò quasi impossibile non vederlo anche come vivido ed esaltante preludio alla grande stagione del pensiero e della letteratura rinascimentali.

Un quadro grandioso della vita

L’interesse per l’umano agire nel mondo

Un preludio al Rinascimento

53

3 - Giovanni Boccaccio

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Nasce nel 1313 a Firenze, figlio illegittimo di un ricco uomo d’affari. Trascorre il periodo della formazione a Napoli, dove frequenta gli ambienti signorili e la corte di Roberto d’Angiò e scrive le prime opere. Nel 1340-41 ritorna a Firenze. Qui svolge importanti incarichi pubblici e diplomatici e scrive le opere della sua maturità. Muore a Certaldo nel 1375.

LE OPERE GIOVANILI DEL PERIODO NAPOLETANO

Filocolo (1336-38?), romanzo sentimentale in prosa; Filostrato (1335 o 1339), poema narrativo in ottave la cui materia è l’amore tradito di Troiolo per Criseida; Teseida delle nozze d’Emilia (1339-41?), composto da 12 canti in ottave sullo sfondo delle gesta guerresche di Teseo e delle Amazzoni.

IL RITORNO A FIRENZE E LE OPERE DELLA MATURITÀ

Amorosa visione (1342-43), poema allegorico di 50 canti in terzine, architettato su modelli danteschi e intessuto di reminiscenze ovidiane. L’Elegia di madonna Fiammetta (1343-44) narra una storia di travagli amorosi raccontata in prima persona dalla protagonista. Il Ninfale fiesolano (1344-46?), poema in ottave, parte dalla narrazione dei tragici amori del pastore Africo e della ninfa Mensola, per giungere a celebrare le leggendarie origini di Fiesole e Firenze: è la sua opera più matura prima del Decameron.

IL “DECAMERON”

Il Decameron, raccolta di 100 novelle inquadrata in una “cornice” narrativa (134953), è il capolavoro del Boccaccio. Un realismo attento alla definizione di un’umanità reale, e al tempo stesso votata a una profonda dignità, rende quest’opera l’esempio narrativo di una straordinaria commedia umana.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono le opere principali del periodo napoletano? 50b 2. Di cosa parla l’Elegia di madonna Fiammetta? 51a 3. Che cos’è la “cornice” del Decameron? 52b

54

4. Perché il Decameron è una “umana commedia”? 53a 5. Qual è il tipo di “uomo” che emerge dal Decameron? 52b-53a 6. Qual è il tema del Corbaccio? 52a

4 Letteratura didattico-allegorica L’eredità didattica proveniente dalla cultura predicatoria e dalla filosofia scolastica è all’origine di un’ampia letteratura didattico-allegorica, che, pur senza rivelare particolari capolavori, risulta molto importante anche per comprendere la prospettiva di un’opera eccezionale come la Commedia dantesca. Il lavoro dei cronachisti consente di riconoscere quella ricerca di concretezza, di gusto municipale e popolare, che sempre ritroveremo anche nella prosa migliore del Trecento. I romanzi Reali di Francia e il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino saranno destinati a un’eccezionale diffusione popolare fino all’Ottocento. In questo quadro spicca il grande capolavoro di Marco Polo: il Milione è una delle vette della letteratura medievale, e uno dei più straordinari resoconti di viaggio di tutti i tempi.

I poemi allegorici Frutto dell’imitazione della Divina commedia e dell’aspirazione della filosofia scolastica a un sapere onnicomprensivo sono i numerosi poemi che nel Trecento forniscono sotto chiave allegorica ampie visioni del mondo. Fra i testi più antichi troviamo l’Intelligenza, poemetto allegorico-didattico ritrovato nel 1846. Opera di un anonimo fiorentino, fu scritto fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento ed è costituito da 309 stanze in nona rima, sull’esempio di modelli provenzali e stilnovistici. Narra l’incontro allegorico del poeta con una donna bellissima (l’Intelligenza), che abita un favoloso palazzo (il corpo umano). Del toscano Francesco da Barberino (1264-1348) restano due opere didascaliche, pubblicate attorno al 1314: i Documenti d’Amore, versi in volgare con commento in latino, e Reggimento e costumi di donna, in versi e prosa. Cecco d’Ascoli (si chiamava in realtà Francesco Stabili) nacque nei pressi di Ascoli Piceno intorno al 1269, fu astrologo presso l’università di Bologna, fu condannato per eresia e arso sul rogo a Firenze nel 1327. Fra i suoi testi (commenti, lezioni e poesie) è rimasto celebre il poema in sesta rima incompiuto intitolato Acerba. Con gusto enciclopedico e didattico, vi si raccolgono nozioni astronomiche, astrologiche, alchimistiche e naturalistiche di origine araba, in polemica sia con la Divina commedia di Dante sia con il pensiero ufficiale aristotelico-tomista della Scolastica. Il fiorentino Fazio degli Uberti (circa 1350-1367) è noto per

L’”Intelligenza”

Francesco da Barberino

Fazio degli Uberti 55

4 - Letteratura didattico-allegorica

Federico Frezzi

un poema allegorico-didattico in sei canti di terzine, il Dittamondo (Dicta mundi), composto tra il 1346 e il 1367 e lasciato incompiuto. Sul modello della Commedia dantesca, Fazio immagina che la Virtù, apparsagli in sogno, gli indichi il cammino della salvezza: un viaggio per l’Europa, l’Africa e l’Asia con la guida del geografo Solino. L’opera, di carattere enciclopedico, è pregevole per la freschezza e l’entusiasmo delle descrizioni, soprattutto di quelle naturalistiche. L’umbro Federico Frezzi (circa 1346-1416) fu nominato vescovo di Foligno nel 1404. Scrisse un lungo e macchinoso poema allegorico in terzine, il Quadriregno (1394-1403), nei cui 74 canti si tratta di un viaggio dell’uomo dalle passioni alla verità attraverso i regni dell’Amore, di Satana, del Vizio e della Virtù. L’imitazione della Commedia è evidente, ma vi è anche qualche spunto preumanistico.

I cronachisti La “Vita di Cola”

Dino Compagni

La Vita di Cola è un’opera anonima in romanesco (parte di una cronaca trecentesca giunta mutila e pubblicata da L.A. Muratori nel 1740): composta intorno al 1357-58, narra le vicende di Roma e del tentativo di riforma politica di Cola di Rienzo tra il 1325 e il 1357. È un testo di grande importanza storico-linguistica. Il fiorentino Dino Compagni (circa 1255-1324) è noto soprattutto per la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi (1310-12), una storia delle lotte che dilaniarono Firenze tra il 1280 e il 1312. L’opera, giustamente celebre come fonte storica, si distacca dal modello storiografico oggettivo-erudito della cronaca medievale e rievoca gli avvenimenti

LA TRADIZIONE CLASSICA La letteratura latina è ancora molto fiorente. Non si può parlare di un vero e proprio preumanesimo: agli scrittori italiani in latino deve essere riconosciuto un forte interesse per la cultura classica, senza comunque alcun motivo di crisi della tradizione scolastico-medievale. D’altra parte, il processo di adeguatezza ai modelli della latinità è già duecentesco. Accanto a Zanobi da Strada, a Giovanni del Virgilio, al gruppo del cenacolo “veronese” (Guglielmo da Pastrengo) e ancora al dotto Ferreto de’ Ferreti, la figura maggiore della liri-

56

ca latina in Italia è il padovano Albertino Mussato (1261-1329). Nelle sue opere Mussato difese la libertà comunale nel quadro dei poteri universali della Chiesa e del Papato. Con il dialogo Evidentia tragediarum Senecae promosse la tragedia di impostazione classica, di cui offrì un modello con la Ecerinis. Nell’ambito di questo gusto antico devono essere considerati anche i numerosi volgarizzamenti della letteratura latina classica (per esempio, le traduzioni ovidiane di Andrea Lancia).

4 - Letteratura didattico-allegorica

in modo appassionato e personale, secondo la sua ottica di protagonista della vita politica fiorentina schierato dalla parte popolare e dei Bianchi, come Dante. Giovanni Villani (1280-1348) scrisse una Cronica (edita so- Giovanni e Matteo lo nel 1537) dalla Torre di Babele alla discesa in Italia del Villani francese Carlo d’Angiò (1266). Lo stile è piuttosto scarno e distaccato. Resta comunque un testo importantissimo del nostro Trecento. Suo fratello Matteo Villani (1280/90-1363) continuò la Cronica fino al 1363, con intenti più moralistici che documentari.

Marco Polo Il mercante veneziano Marco Polo (1254-1324) si recò nel La vita 1271 con il padre e lo zio in Cina e divenne uomo di fiducia del Gran Khan Qubilai. Rientrato a Venezia nel 1292, fu fatto prigioniero dai genovesi dopo la battaglia della Curzola (1298). La sua fama è legata all’opera Divisament dou monde (anche Livres des Merveilles du monde), meglio nota come Milione, dal soprannome veneziano di Marco Polo, che la dettò a Rustichello da Pisa, suo compagno di prigionia. L’opera, che narra le esperienze compiute durante il viaggio in Oriente, è scritta in “volgare gallico”, cioè in francese, secondo la moda del tempo. Il Milione è ricco sia di informazioni sull’organizzazione Il “Milione” amministrativa della Cina, sia di stupefatte rievocazioni delle meraviglie d’Oriente. All’esattezza della narrazione, riflesso dello spirito pragmatico e razionale della Venezia mercantile di fine Duecento, si sposa il fascino poetico delle descrizioni, a testimoniare l’inesauribile curiosità del mondo medievale verso l’esotico e il favoloso. La struttura narrativa è salda; lo stile è spoglio di suggestioni letterarie, ma vibrante di contenuto entusiasmo. Per queste ragioni il critico L. Foscolo Benedetto ha potuto definire l’opera “una delle sintesi più potenti che ci abbia lasciato il Medioevo, laica e terrena, da porsi accanto alle due celebri sintesi in cui si è riassunto il Medioevo teologico e filosofico, la Summa di san Tommaso d’Aquino e la Divina commedia”.

I romanzi Generalmente la materia è attinta ai cicli classici (Tebe, Troia, Roma, Cesare ecc.), o a quelli carolingio e bretone; la scelta metrica può essere sia in prosa sia in rima. Il Fiore d’Italia di Guido da Pisa è un’opera di divulgazione: il racconto è quasi ingenuo, ma anche limpido e sincero. L’anonimo Av57

4 - Letteratura didattico-allegorica

venturoso Ciciliano narra il viaggio di cinque baroni siciliani fuggiti dopo il Vespro. Pieno di digressioni, sembra privo di originalità. L’anonimo Tavola Ritonda (rifacimento del Meliadus e del Roman de Tristan) è il miglior volgarizzamento d’argomento bretone. Andrea da Barberino Andrea da Barberino (circa 1370 - circa 1431) fu un autore fecondo di romanzi e adattò ai propri gusti borghesi le severe storie del mondo carolingio come le smaglianti avventure del mondo bretone. I suoi capolavori sono i Reali di Francia e il Guerrin Meschino, che godettero di un’eccezionale diffusione fino a tutto l’Ottocento, tanto da diventare una componente dell’immaginario popolare.

SCHEMA RIASSUNTIVO LETTERATURA DIDATTICO-ALLEGORICA

Fra i testi più antichi troviamo l’Intelligenza. Di Francesco da Barberino restano i Documenti d’Amore e Reggimento e costumi di donna, pubblicati attorno al 1314. Cecco d’Ascoli è autore dell’Acerba; Fazio degli Uberti è noto per il Dittamondo.

CRONACHISTI

Dino Compagni scrive un’appassionata Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi (1310-12) sulla lotta di fazione a Firenze ai tempi di Dante. Giovanni Villani (1280-1348) scrisse una Cronica dalla Torre di Babele alla discesa in Italia degli Angioini (1266), continuata dal fratello Matteo Villani (1280/90-1363) fino al 1363, con intenti più moralistici che documentari.

MARCO POLO E IL “MILIONE”

Mercante veneziano, si recò nel 1271 con il padre e lo zio in Cina e divenne uomo di fiducia del Gran Khan Qubilai. Rientrato a Venezia nel 1292, scrisse in francese il Milione, resoconto straordinario del suo soggiorno in Cina: l’opera costituisce una sintesi potente del mondo medievale ed è una delle più famose della letteratura italiana.

ROMANZI

Sul ciclo carolingio e bretone, Andrea da Barberino scrisse i famosissimi Reali di Francia e il Guerrin Meschino, che godettero di straordinaria popolarità fino all’Ottocento.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Chi sono i grandi cronachisti del Trecento? 56b-57a 2. Qual è l’importanza del Milione? 57b

58

3. Quali sono i più famosi romanzi del Trecento? 57b-58a

5 Letteratura religiosa La letteratura religiosa non è solo un esempio di spiritualità ma anche di altezza letteraria. Scrittori come Cavalca, Passavanti o Caterina da Siena sono capisaldi della letteratura trecentesca. Il libro dei Fioretti di San Francesco ci sorprende per sintesi poetica e capacità narrativa.

I “Fioretti” e la letteratura francescana I Fioretti di San Francesco appaiono come la sintesi di tutta la tarda spiritualità medievale. L’autore, anonimo, lavorò intorno al 1370-90 su un volgarizzamento degli Actus beati Francisci et sociorum eius (Atti del beato Francesco e dei suoi compagni) di Ugolino da Monte Santa Maria; il testo fu poi ampliato con l’aggiunta di altri notevoli scritti: le Considerazioni sulle Stimmate, i Detti e la Vita del beato Egidio, la Vita di frate Ginepro. L’anonimo autore ha conservato l’arcaicità leggendaria dell’originale latino, sfrondandolo delle riflessioni dottrinarie per riportarlo a una misura popolare. Lo spirito francescano è felicemente rispecchiato nella grazia candida e schietta delle descrizioni; in pagine celebri come quelle della predica agli uccelli, del discorso sulla perfetta letizia, delle tortorelle rivive il messaggio francescano, con il suo candore fanciullesco e la sua tensione di fede. La beata Angela da Foligno (1248-1309) vede testimoniata la sua vita spirituale da un’opera di grande intensità: il Liber de vera fidelium experientia (Libro della vera esperienza dei fedeli), in cui ritroviamo il Memoriale, scritto da Arnaldo da Foligno (1292-96) sotto dettatura della beata. Straordinaria, anche per commozione umana, la Storia di fra Michele minorita, resoconto della morte del fraticello Michele Berti da Calci, condannato dall’Inquisizione nel 1389. Un esempio di equilibrio spirituale e limpidezza espressiva sono le Lettere del senese beato Giovanni Colombini (13041367, fondatore dell’Ordine religioso laico dei Gesuati). L’eredità francescana si cristallizza in un dramma più mistico e privato: l’ansia comunque non soffoca un’umiltà che diventa racconto familiare e tenero.

I “Fioretti di San Francesco”, sintesi della spiritualità tardo-medievale

Angela da Foligno

La “Storia di fra Michele minorita” Giovanni Colombini

Letteratura domenicana Rispetto al biografismo e alla semplicità popolaresca della scuola francescana, la letteratura prodotta in ambiente domenicano, in quello che significativamente si chiama Or59

5 - Letteratura religiosa

Domenico Cavalca

Iacopo Passavanti

Caterina da Siena

dine dei Predicatori, si mostra più attenta agli aspetti dottrinari e persuasori. Il pisano Domenico Cavalca (circa 1270-1342) fu un importante predicatore domenicano. Scrisse nove trattati religiosi, tra cui il Pungilingua, lo Specchio dei peccati e lo Specchio di croce. La sua fama è tuttavia legata alla vivace e originale libera versione delle Vite dei Santi Padri, una silloge greca (sec. VI) che raccoglie le vite di alcuni santi del cristianesimo orientale e occidentale, ricca di aneddoti. Anch’egli predicatore domenicano, il fiorentino Iacopo Passavanti (1302-1357) scrisse lo Specchio di vera penitenza, in cui raccolse la materia delle prediche di Quaresima tenute a Firenze nel 1354. La trattazione teorica è inframmezzata da 48 esempi, racconti edificanti, centrati sulla paura della dannazione e sul gusto del tenebroso e del terribile. Tratti da storie bibliche, leggende medievali e da racconti agiografici, gli esempi, dall’atmosfera cupa e fosca, si valgono di uno stile asciutto e rapido, privo di compiacimenti esornativi. Santa Caterina da Siena (1347-1380) fu terziaria domenicana. Dapprima senza saper scrivere, cominciò a dettare lettere di consolazione, di incoraggiamento e di esortazione a persone di ogni ceto sociale, a chiunque le domandasse aiuto, a intellettuali, condottieri, esponenti politici, contribuendo così sorprendentemente alla soluzione di diverse questioni tra i Comuni e i partiti del tempo. Le sue 381 Lettere, indirizzate fra il 1370 e il 1380 a papi, re e gente comune, mostrano un linguaggio appassionato e diretto, ricco di espressioni e richiami biblici, ma anche aperto al linguaggio parlato nella sua terra. Notevole, ma più letterario, anche il Dialogo della divina Provvidenza, dettato ai discepoli nel 1378.

SCHEMA RIASSUNTIVO LETTERATURA FRANCESCANA La letteratura francescana trova la sua sintesi nei Fioretti di San Francesco, di fine Trecento, che sono una vera sintesi della spiritualità tardo medievale. LETTERATURA DOMENICANA

Domenico Cavalca e Iacopo Passavanti sono i due più grandi predicatori di questi anni; la loro scrittura è corposa e figurativa ma linguisticamente equilibrata. Santa Caterina da Siena nelle sue Lettere sa trovare un’espressione nitida e densa alla sua volontà di consolazione ed esortazione.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i maggiori esponenti della letteratura francescana? 59 2. In che cosa si distingue la letteratura domeni-

60

cana da quella francescana? 59b-60a 3. Quali sono i maggiori esponenti della letteratura domenicana? 60

6 La lirica e la novellistica Chiusa nell’imitazione di uno stilnovismo ormai esaurito e schiacciata dalla figura di Petrarca, di cui però è incapace di cogliere la novità dirompente, la lirica nel Trecento è destinata a esiti minori. Più vitale si dimostra la produzione novellistica: il Trecentonovelle di Sacchetti si rifà al modello di Boccaccio e conoscerà una duratura diffusione.

La lirica Lo stilnovismo è esaurito a partire dalle nuove scelte della Commedia di Dante. L’esperienza del Petrarca, che scrive in volgare, sembra ancora non compresa. Epigono esemplare Gli epigoni che non riesce a comprendere la novità espressa proprio da dello stilnovo coloro che fondarono la scuola, risulta Sennuccio del Bene (1275-1349). Matteo Frescobaldi (circa 1300-1348) propose uno stilnovismo semplice anche se un po’ scontato. Il veneziano Giovanni Quirini fu un ottimo divulgatore di Dante e del dolce stilnovo. Ancora più esteriore e libresca l’imitazione dello stilnovismo a partire dalla seconda metà del secolo. Un autore interessante è Antonio Beccari (13151371), che trovò una sintesi di elementi danteschi con tratti della tradizione giullaresca. Anche nel Trecento continua l’esperienza dei rimatori reali- I rimatori realisti sti. Il realismo disordinato e ribelle duecentesco si trasforma in un senso più ordinato e borghese del vivere: in questo senso il nuovo realismo contiene in sé anche un’esigenza moralistica e religiosa, aperta a un cronachismo vivace e cordiale. La figura centrale di quest’ambito è Antonio Pucci (1310-1388), autore di numerose opere: il CentiloLA LETTERATURA FRANCO-ITALIANA La letteratura franco-italiana (o francoveneta) indica quel complesso di opere, prevalentemente cavalleresche, scritte nei secoli XIII e inizio XIV nella bassa valle del Po, in una lingua che gli autori credevano francese, ma che in realtà risulta un ibrido di italiano e francese. Carattere essenziale è la fusione delle due tradizioni francesi, quella epica carolingia con quella amorosa di eredità bretone.

Fra le opere più importanti ricordiamo un gruppo di poemi carolingi (su Buona d’Antona, su Berta, madre di Carlomagno, sul Carlomagno giovane, sugli amori di Milone e Berta, sorella dell’imperatore), dovuti probabilmente a un solo autore, e l’Entrée de Spagne (poema di un padovano, continuato nel Trecento da Niccolò da Verona, autore della Prise de Pampelune).

61

6 - La lirica e la novellistica

quio, Le proprietà di Mercato Vecchio, La guerra di Pisa e numerosi cantari cavallereschi come Apollonio di Tiro, la Madonna Lionessa e la Reina d’Oriente.

La novellistica e Sacchetti Giovanni Sercambi

Il lucchese Giovanni Sercambi (1347-1424) è noto per il Novelliero, una raccolta di 155 novelle composte tra il 1374 e il 1385 ed esemplate sul modello di Boccaccio. In un linguaggio ricco di accenti parlati e di coloriture dialettali l’opera fornisce “essempli” utili all’uomo di governo, ricorrendo anche a motivi spregiudicati e scurrili, che anticipano il gusto della facezia del Quattrocento. Fra le altre opere, sempre riconducibili a un impegno civile, si ricordano Croniche delle cose di Lucca dal 1164 al 1424 (postume, 1892). ■ Franco Sacchetti

La vita e le opere minori

Il “Trecentonovelle”

62

Figlio di un mercante fiorentino, Franco Sacchetti (circa 1330-1400) è l’altro grande narratore del Trecento dopo Boccaccio. Esercitò la mercanzia e partecipò alla vita politica di Firenze. In seguito alla peste del 1374 maturò una crisi morale, acuita da due avvenimenti: il tumulto dei Ciompi del 1378 (un evento sconvolgente per la sua concezione moderatamente conservatrice) e la condanna per alto tradimento del fratello Giannozzo nel 1379. La prima opera di Sacchetti è il poemetto in ottave La battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie (1563), composto in onore delle nozze di Maria Felice Strozzi. Sul modello della Caccia di Diana di Boccaccio, il tema giocoso del contrasto tra la bella giovinezza e la turpe vecchiaia è inserito nella struttura popolaresca di quattro cantari, maliziosamente rivisitati. Agli anni ’60 risalgono le prime poesie del Libro delle rime. I versi più antichi utilizzano ora il linguaggio cortese ora quello comico; in un gruppo di poesie per musica (madrigali, cacce, ballate) vengono sperimentati ritmi vivaci e cantabili, dando vita a deliziosi quadretti. Le ultime liriche, che risentono della crisi del 1374, abbandonano questo tono leggero e adottano un atteggiamento pedagogico, tipico della produzione in prosa dell’autore. L’intenzione etica è anche alla base del capolavoro di Sacchetti, il Trecentonovelle, raccolta composta tra il 1392 e il 1396-97, di cui ci sono giunte solo 223 novelle. Pur richiamandosi al modello del Decameron, l’opera è priva di cornice e presenta un tono di conversevole familiarità, che imprime alla narrazione il carattere di un estroso vagabon-

6 - La lirica e la novellistica

daggio della memoria. Con un linguaggio da “uomo discolo e grosso”, che rifugge i preziosismi letterari e conferisce dignità artistica alla parlata quotidiana, ogni novella mette in scena un brano di vita del mondo borghese e popolare dell’epoca. La descrizione comico-realistica dei personaggi ha una funzione esemplare di insegnamento e di ammonizione, che giustifica la ragione artistica delle “moralità”, cioè delle considerazioni morali dei fatti narrati, poste a suggello di ciascuna novella.

SCHEMA RIASSUNTIVO LIRICA

La lirica è tutta centrata sull’imitazione dello stilnovo. Sennuccio del Bene, lucido epigono dello stilnovismo; Matteo Frescobaldi con uno stilnovismo semplice, anche se un po’ scontato; Antonio Beccari, che trova una sintesi di elementi danteschi con tratti della tradizione giullaresca. Nei rimatori realisti, il realismo disordinato e ribelle duecentesco si trasforma in un senso più ordinato e borghese del vivere, che contiene in sé anche un’esigenza moralistica (per esempio, Antonio Pucci).

NOVELLISTICA

Giovanni Sercambi, con il suo Novelliero, è ricco di coloriture e di accenti parlati. Il grande novelliere Franco Sacchetti con il Trecentonovelle mostra equilibrio e vivacità, ma anche un “buon senso” moralistico e borghese che non era presente in Boccaccio.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono le ragioni degli esiti minori della lirica trecentesca, escluso Petrarca? 61a 2. Qual è la differenza fra poeti realisti del Duecento e poeti realisti del Trecento? 61b

3. Chi è l’autore del Novelliero? 62a 4. Qual è il carattere della narrazione di Sacchetti? 63a

63

IL QUATTROCENTO 1 L’umanesimo 2 La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci 3 La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

Sul piano storico-politico il Quattrocento è segnato dalla fine della guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra e dalla discesa del re di Francia Carlo VIII (1494) in Italia, per cui l’Italia tutta diventa terra di conquista dei potentati europei. Nel 1492 la morte di Lorenzo il Magnifico e la scoperta delle Americhe annunciano una nuova era. Si afferma compiutamente l’umanesimo. Il centro della cultura umanistica è l’uomo nella sua vita attiva nel mondo, non più la contemplazione e l’indagine delle realtà ultraterrene proprie della visione della Scolastica medievale. La riscoperta dei classici latini e greci viene interpretata come una spinta all’impegno nelle funzioni civili per la costruzione di una società nuova, non più feudale. Al criterio di verità fondato sulla coerenza logico-formale proprio della Scolastica l’umanesimo contrappone la ricerca storico-filologica, la retorica, come uso persuasivo del discorso. Rispetto al commento gli umanisti preferiscono il lavoro di traduzione, inteso come opera di conservazione e di ripristino della civiltà antica. L’umanesimo con Coluccio Salutati diventa il riferimento essenziale della nuova letteratura: si scrive in latino, si studia con accanimento il greco. La letteratura umanistica non è più solo fiorentina, cioè non è solo quella di Valla, Bruni, Bracciolini, diventa anche veneziana, estense, milanese e poi napoletana. A metà secolo si sviluppa la letteratura in volgare: la corte medicea di Lorenzo il Magnifico ospita Pulci, Poliziano; Boiardo scrive il suo Orlando innamorato e Sannazaro, a Napoli, il capolavoro di fine secolo, l’Arcadia.

1 L’umanesimo La cultura umanistica è caratterizzata innanzi tutto dalla riscoperta dei testi latini e greci e dalla conseguente riaffermazione dell’autonomia dei valori del mondo classico. Il concreto lavoro filologico risveglia un particolare spirito critico, che da una parte si esercita sulla tradizione della Scolastica medievale, dall’altra afferma i doveri politici della cultura. Viene rivalutata l’importanza dell’uomo nella sua vita attiva nel mondo in contrasto con una visione principalmente contemplativa del divino e del sovranaturale.

Il preumanesimo Il termine umanesimo deriva dall’espressione studia humanitatis (studi relativi all’umanità), che nell’antichità classica designava un’educazione mirante alla formazione complessiva dell’individuo attraverso studi letterari e filosofici. Durante i secoli del Medioevo la cultura degli antichi romani, sempre molto ammirati, era stata di fatto omologata e resa subalterna a quella cristiana. Già all’inizio del Trecento tra uomini di cultura appartenenti per lo più all’ambiente dell’università di Padova era sorto un interesse differente e più specifico per l’età classica. A dare un impulso decisivo agli studi umanistici fu tuttavia Petrarca sia con la sua opera latina (in maniera particolare il De viris illustribus e l’Africa), sia con l’attività di scopritore di opere classiche perdute (tra le altre, trovò l’orazione Pro Archia e le lettere di Cicerone) e di filologo. Il suo prestigio culturale contribuì notevolmente all’affermazione della nuova cultura, a cui diede un importante contributo anche G. Boccaccio, che introdusse a Firenze lo studio del greco e contribuì a formare una generazione di giovani intellettuali toscani.

Gli “studia humanitatis” I classici nel Medioevo

L’impulso di Petrarca

Il contributo di Boccaccio

■ L’umanesimo civile di Salutati

La prima figura di rilievo in senso umanistico è quella di Coluccio Salutati (1331-1406), cancelliere di Firenze per più di trent’anni, tenace sostenitore dell’alto valore civile del- Il valore civile della la cultura classica. Compose vari trattati: il De saeculo et re- cultura classica ligione (Il mondo e la religione, 1381); il De fato, fortuna et casu (Il fato, la fortuna e il caso, 1396-99); il De nobilitate legum et medicinae (La nobiltà delle leggi e della medicina, 1399); il De tyranno (Il tiranno, 1400), dove esalta l’impegno civile contro l’ascetismo. Notevole il suo epistolario, in cui si intravede la grande rete di interessi e di rapporti fra Salutati e i suoi contemporanei. 67

1 - L’umanesimo

LO SVILUPPO DEGLI STUDI GRECI Nel Quattrocento gli studi greci vivono una particolare rinascita, che di per sé ha un valore culturale significativo. In effetti la cultura greca significava una forte apertura a un platonismo irrequieto e quindi una scelta opposta a quella della teologia medievale. Fu Salutati a stimolare la presenza a Firenze di maestri greci: il bizantino Manuele Crisolora arrivò nel 1396 nello Studio fiorentino per insegnare il greco. Sono tradotti soprattutto Platone e Plutarco, ma anche Omero e i tragici. Crisolora andò anche in Lombardia, lasciando una grande impronta culturale. Oltre le lezioni del Crisolora non si devono dimenticare altri due elementi storici essenziali per comprendere questa rinascita del greco: il concilio di Ferrara-Firenze per la riunione temporanea della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa (1438-1443); il nuovo afflusso di maestri

greci dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi (1453). Una figura importante è il bizantino Giorgio di Trebisonda (1395-1486), il quale polemizzò con quelle traduzioni umanistiche che spesso, in nome della forma, arrivavano a sovvertire il periodo e i concetti. Altra figura di rilievo è il bizantino Giorgio Gemisto (1360 -1450), che assunse lo pseudonimo di Pletone; con Gemisto Pletone nasce il neoplatonismo fiorentino, capace di recuperare argomenti iniziatici della filosofia gnostica ed ermetica (gli Oracoli caldaici, Zoroastro, Ermete Trismegisto) e il grande pensiero platonico (da Platone al neoplatonismo di Plotino e Proclo), che troverà la sua migliore sintesi in Ficino. Il cardinal Bessarione (1403-1472) non solo si impegnò per la riunificazione delle due Chiese, ma anche per la raccolta di una grande e utile biblioteca di autori greci.

L’umanesimo filologico e filosofico Il ritrovamento di opere classiche

Leonardo Bruni

68

L’interesse per i classici favorì una ricerca, svolta con intensità crescente e coronata da grandi successi, dei testi di opere antiche, andate smarrite o del tutto dimenticate durante il Medioevo. Tali ritrovamenti permisero una maggiore conoscenza della lingua latina, che tornò a essere – almeno nella prima metà del Quattrocento – praticamente l’unica lingua di uso letterario, ma soprattutto fecero comprendere la grande distanza tra il latino classico e il latino medievale e constatare lo stato di degrado in cui molte volte erano stati ridotti i testi del passato. Si impose così la necessità di definire e mettere in atto strumenti e strategie per restituire correttezza e completezza ai testi ritrovati. Da questa esigenza nacque la filologia umanistica, che operava basandosi soprattutto sugli aspetti storici e letterari e sulla sensibilità del filologo, conoscitore competente di un’infinità di testi. Le figure più rappresentative della prima generazione furono certamente Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. Leonardo Bruni (1370 -1444) studiò a Firenze con Coluccio Salutati; si formò in un ambiente dominato dalla cultura neoplatonica ed entrò in contatto con N. Niccoli, P. Bracciolini e Cosimo de’ Medici. Il suo impegno di traduttore dal gre-

1 - L’umanesimo

co durò per larga parte della sua vita. Platone (Fedone, Gorgia, Apologia, Critone, Simposio), Aristotele (Etica Nicomachea ecc.), Plutarco, Senofonte, san Basilio, Omero e Demostene furono tra gli autori di cui si occupò. Nel 1405, grazie ai buoni uffici di Salutati, divenne funzionario presso la corte papale di Innocenzo VII. Tornato a Firenze nel 1427, chiuse la sua carriera come cancelliere della Repubblica Fiorentina. L’opera più nota è costituita dalle Historiae Florentini populi, iniziate nel 1414 e concluse con il Rerum suo tempore in Italia gestarum commentarius (Commentari sugli avvenimenti del suo tempo in Italia, 1440). Nelle Vite di Dante e Petrarca (1436) riconobbe l’importanza del volgare e la validità del suo uso letterario e per primo attribuì a Petrarca il merito di aver aperto la stagione umanistica. Interessante, anche per la ricchezza quantitativa della sua Francesco Filelfo produzione, il lavoro di Francesco Filelfo (1398-1481) che nel 1427 ebbe dal Comune di Firenze l’incarico di commentare pubblicamente la Commedia di Dante; giunto al canto VII dell’Inferno fu costretto a lasciare la città per il suo atteggiamento antimediceo. Rientrò a Firenze nel 1469 e ottenne nel 1481 la cattedra di greco; quindici giorni dopo la nomina morì. Scrisse diverse opere di poesia latina, tra cui le Satyrae (1448); le Odae (1498, postumo); i Convivia mediolanensia (1449). Notevole è anche il lavoro di Flavio Biondo (1392-1463). Flavio Biondo Visse tra la città natale, Forlì, e Bergamo; dal 1434 lavorò alla Curia romana. Il suo capolavoro sono le Historiarum ab inclinatione Romanorum decades (1439), in cui si evidenzia la necessità di studiare la storia come un fenomeno complesso, linguistico, civile e culturale. Chi più sentì la relazione fra lo studio dei classici e l’educa- Vittorino da Feltre zione fu Vittorino da Feltre (1373 -1446), il fondatore della “Ca’ zoiosa” a Mantova. Non lasciò opere; fu l’insegnante per eccellenza, un vero e proprio mito della pedagogia umanistica; di lui esistono innumerevoli ritratti scritti da vari umanisti del tempo. ■ Poggio Bracciolini

Anche Poggio Bracciolini (1380 -1459) studiò con Coluccio Salutati a Firenze. Nel 1403 si recò a Roma, dove divenne segretario apostolico. In questa veste partecipò al concilio di Costanza (1414-18) con l’antipapa Giovanni XXIII. Frequenti viaggi in Francia, Svizzera e Germania gli permisero di visitare importanti biblioteche monastiche alla ricerca di codici antichi. Scoprì così, tra gli altri, i manoscritti di molte orazioni di Cicerone, le Institutiones oratoriae di Quin69

1 - L’umanesimo

Le “Facezie”

tiliano, il De rerum natura di Lucrezio. Dal 1418 al 1422 visse in Inghilterra e poi fino al 1453 a Roma. Scrisse numerosi trattati in forma di dialogo: fra essi si segnala per il suo tono pessimistico il De infelicitate principum (L’infelicità dei principi, 1440). Compose poi una Historia Florentina (1454-59), opera di grande erudizione in cui vengono narrati gli eventi di Firenze dalla prima guerra con Giovanni Visconti (1350) sino alla pace di Lodi (1455). Avverso all’uso letterario del volgare, Bracciolini utilizzò nelle sue opere sempre il latino, anche per le Facezie (il Liber facetiarum, Libro delle facezie), che raccoglie una nutrita serie di aneddoti e brevi novelle composte tra il 1438 e il 1452. Le Facezie, che prendono generalmente a pretesto un motto arguto, esaltano la nuova civiltà umanistica, ponendo al centro “morale” delle loro narrazioni l’abilità, la cultura e l’impegno dell’uomo civile, consapevole dei propri diritti. ■ Leon Battista Alberti

Il trattato “Della famiglia”

70

Leon Battista Alberti (1404-1472), che fu sommo architetto (suoi sono la facciata di Santa Maria Novella a Firenze e il Tempio Malatestiano di Rimini), letterato, matematico e teorico delle arti visive, è forse, assieme a Leonardo da Vinci, la figura più versatile e rappresentativa dell’umanesimo italiano. Il suo capolavoro letterario rimane il trattato in quattro libri Della famiglia (1433-41). Scritto in forma dialogica e ambientato a Padova al capezzale del padre morente, il testo svolge i temi della felicità, dell’educazione, del matrimonio e delle proprietà domestiche. Basi per il raggiungimento della vita perfetta sono il tempo (da sfruttarsi anche in senso economico al meglio) e la famiglia, cellula prima di ogni armonia sociale. Nel proemio al terzo libro Alberti sostiene che il volgare è giunto a un tale grado di eccellenza da poter ormai competere con il latino. Il modello di educazione teorizzato nel trattato rimanda al concetto umanistico di “rinascita”: l’uomo, al centro dell’universo, è chiamato a costruire se stesso con l’aiuto dell’esperienza diretta, con l’ingegno e con la rielaborazione culturale del sapere. Raccolti intorno al 1440, gli Intercoenales sono brevi dialoghi satirici in latino scritti sul modello di Luciano e aventi come oggetto i più svariati temi morali. I cento Apologhi in latino scritti nel 1437 sono brevi aforismi o apologhi di carattere filosofico. Il satirico Momus, un’opera latina scritta prima del 1450, è incentrato sull’analisi del potere politico e condanna le ingiustizie del mondo. La Grammatichetta vaticana è una delle prime grammatiche volgari e dimostra l’intento di Alberti di promuovere

1 - L’umanesimo

e valorizzare il volgare anche come lingua letteraria. I sonetti in corrispondenza con Burchiello, le Rime (frottole, egloghe, elegie ecc.) e i dialoghi Deifna e Ecatonfilea appartengono all’importante produzione poetica in volgare. Con ogni probabilità, scrivendo Tirsis, fu anche l’iniziatore dell’egloga volgare quattrocentesca. Rilievo fondamentale hanno i suoi trattati sull’arte: Sulla pit- I trattati tura (1436) e De re aedificatoria (Dell’architettura, 1443- sull’architettura 45). Essi sono incentrati sul concetto di “misura”, attra- e la pittura verso cui l’uomo è capace sia di definire con semplicità la simmetria e le proporzioni tra sé e la natura, sia di progettare una nuova convivenza civile basata sull’equilibrio, interiore ed esterno, e sull’imitazione dell’armonia della creazione divina.

La lezione umanistica di Lorenzo Valla e di Enea Silvio Piccolomini Lorenzo Valla ed Enea Silvio Piccolomini sono figure esemplari del nostro umanesimo: Valla con il suo rigore filologico smascherò i fondamenti documentari del potere temporale dei papi; Piccolomini fu letterato di vastissima erudizione e grande papa mecenate (con il nome di Pio II). ■ Lorenzo Valla

Appartenente a una famiglia romana di funzionari curiali, Lorenzo Valla (1407-1457) fu avviato agli studi umanistici da G. Aurispa e Rinuccio di Castiglion fiorentino. Ottenne la cattedra di retorica all’università di Pavia (1430), dove perseguì con rigore la ricerca filologica. Nel 1433 si oppose alla scuola dei glossatori dell’ateneo con un libello in nome di una moderna scienza giuridica; la polemica lo obbligò ad abbandonare Pavia per riparare a Milano e a Firenze. Nel 1435 entrò alla corte del re d’Aragona e di Sicilia Alfonso V. Nel 1448 tornò a Roma come segretario apostolico di papa Niccolò V. I caratteri distintivi dell’ampia produzione di Valla sono l’uso della filologia come strumento di conoscenza e l’opposizione a ogni principio di autorità acriticamente accettato in favore della libertà di ricerca. I dialoghi De vero falsoque bono (Il vero e il falso bene, ed. definitiva 1431), De libero arbitrio (1439), De professione religiosorum (I voti dei religiosi, 1439), cercano di ristabilire il senso del vero bene, della reale libertà e della sincera perfezione evangelica oscurati dai filosofi. Un tentativo di semplificare il linguaggio filosofico improntato alla logica di Aristotele, allora imperante, fu condotto nelle Dialecti-

La vita

I dialoghi sul senso del bene e della libertà

71

1 - L’umanesimo

La dimostrazione della falsità della donazione di Costantino

Il capolavoro: gli “Elegantiae latinae linguae”

cae disputationes (1439). Per sostenere Alfonso d’Aragona in lotta con Roma per l’investitura del regno di Napoli scrisse il celebre De falso credita et ementita Constantini donatione (Della falsamente creduta e inventata donazione di Costantino, 1440), che dimostra su basi filologiche la falsità del documento della donazione di Costantino a papa Silvestro, che stava alla base del potere temporale della Chiesa. Su diretta commissione di Alfonso V scrisse gli Historiarum Ferdinandi regis Aragoniae libri tres (1445-47), ricchi di informazioni e vivaci nella narrazione. Convinto che il benessere dell’uomo e della civiltà dipendessero dalla trasparenza e dalla univocità della comunicazione, si batté per il ripristino della lingua latina nel suo capolavoro, gli Elegantiae latinae linguae (Le eleganze della lingua latina, 1444), iniziato sin dal 1435: attraverso un esemplare studio filologico, viene condotta un’organica trattazione degli aspetti linguistici del latino, ricondotto al modello di Cicerone contro le deformazioni introdotte dai grammatici medievali. Nel 1449 applicò gli agguerriti strumenti della nuova filologia al testo evangelico nelle Adnotationes in Novum Testamentum, aprendo la strada agli studi sul Vangelo di Erasmo da Rotterdam. ■ Piccolomini, il papa umanista

Pienza, modello di città ideale

72

Enea Silvio Piccolomini (1405-1464) fu papa con il nome di Pio II. Fine umanista, si mise in luce come segretario del cardinale Capranica al concilio di Basilea, sostenendo le tesi conciliaristiche (superiorità del concilio sul papa) nel De gestis Basileensis concilii (I fatti del concilio di Basilea, 1440). Si dedicò a lavori eruditi e alla letteratura, ottenendo nel 1444 la corona poetica. Intrapresa la carriera ecclesiastica, divenne vescovo di Trieste nel 1447 e nel 1450 di Siena. In questo periodo ritrattò le posizioni conciliariste, facendosi sostenitore del primato dell’autorità assoluta del papa nel De rebus Basileae gestis stante vel dissoluto concilio (Gli avvenimenti di Basilea durante e dopo il concilio, 1450). Fu eletto pontefice nel 1458. Fu un grande mecenate e cercò di realizzare il sogno umanistico della città ideale, a misura d’uomo, promuovendo la riqualificazione urbanistica del suo borgo natio, Corsignano, oggi Pienza. I lavori furono affidati dal 1460 all’architetto Bernardo Rossellino. Morì durante i preparativi per una crociata contro i turchi che egli stesso aveva bandito e si apprestava a condurre dopo aver inviato senza frutto una lettera al sultano Maometto II per indurlo alla conversione (Epistola ad Mahometem, 1460). La sua produzione letteraria è composita e in gran parte

1 - L’umanesimo

precedente la sua carriera ecclesiastica. Affrontò temati- La produzione che galanti nella raccolta di liriche d’amore in latino letteraria Cinthia e nella commedia Chrysis (1444), ispirata ai modi di Plauto. Grande fama ebbe il romanzo De duobus amantibus (I due amanti, 1444) per la fine resa psicologica dei personaggi, per la freschezza della narrazione e la limpidezza del linguaggio. Oltre agli scritti riguardanti il concilio di Basilea, compose anche un trattato geografico noto come Cosmographia (1461), rimasto incompiuto, e un’opera di grande erudizione, articolata in tre parti: sui Germani, sull’Europa e sull’Asia. Durante gli anni di pontificato attese anche alla stesura dei 12 libri dell’autobiografia (Commenta- L’autobiografia rii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, Commentari agli avvenimenti notevoli accaduti ai suoi tempi), che arriva fino al 1563; scritta in uno stile elegante e raffinato, offre uno spaccato di grande interesse delle vicende politiche ed ecclesiastiche del tempo.

Umanesimo neoplatonico: Ficino e Pico della Mirandola Intorno alla metà del secolo la diffusione del platonismo Marsilio Ficino trova un’altissima sintesi culturale con l’opera di Marsilio Ficino (1433 -1499), che fondò l’Accademia fiorentina (1462) e tradusse tutto Platone (1484). Nelle opere De voluptate (Il piacere, 1457), De religione christiana (1474), Theologia platonica (1482), De vita (1489) elaborò una filosofia al centro della quale mise l’anima, principio generatore dell’universo. Il suo umanesimo imperniato su una ripresa del platonismo e del neoplatonismo influenzò grandemente la cultura rinascimentale, contribuendo alla definizione di una moderna idea di persona e di amore. Altra figura importante è Giovanni Pico della Mirandola Giovanni Pico (1463 -1494), alla costante ricerca della concordia di tutte le della Mirandola filosofie e di tutte le religioni, in special modo della cabbalà (la corrente mistica dell’ebraismo), con la rivelazione cristiana, e autore della celebre orazione De dignitate hominis (La dignità dell’uomo, 1486), sintesi di grande pregio del pensiero umanistico ed espressione mirabile della fiducia del valore e della grandezza dell’uomo, a cui Dio ha dato la facoltà di essere artefice del proprio destino, facendolo superiore agli stessi angeli.

73

1 - L’umanesimo

SCHEMA RIASSUNTIVO UMANESIMO

Attraverso la valorizzazione della civiltà greco-latina, viene rivalutata l’importanza dell’uomo nel suo agire nel mondo per la costruzione di nuovi modelli di società, in contrasto con una visione del mondo rinviante soltanto all’ultraterreno.

Salutati

La prima figura di rilievo è quella di Coluccio Salutati, cancelliere di Firenze per più di trent’anni, tenace sostenitore dell’alto valore civile della cultura classica.

UMANISTI Leonardo Bruni

Nelle Vite di Dante e Petrarca (1436) riconosce l’importanza del volgare e la validità del suo uso letterario.

Poggio Bracciolini

Le Facezie esaltano la nuova civiltà umanistica ponendo al centro “morale” delle loro narrazioni l’abilità, la cultura e l’impegno dell’uomo civile.

Vittorino da Feltre

È il modello dell’insegnante umanista.

Leon Battista Alberti

L’uomo, al centro dell’universo, è chiamato a costruire se stesso con l’esperienza diretta, con l’ingegno e con la rielaborazione del sapere.

Valla e Piccolomini

Lorenzo Valla (che dimostra la falsità della donazione di Costantino) ed Enea Silvio Piccolomini (grande papa mecenate con il nome di Pio II) risultano personalità emblematiche del nostro umanesimo sia per gusto letterario sia per ricerca filologica.

NEOPLATONISMO FIORENTINO Marsilio Ficino Ficino reinserisce nella tradizione cristiana il grande filone del pensiero platonico e neoplatonico. Pico della Mirandola

Rivendica la dignità dell’uomo, fatto da Dio artefice del proprio destino e superiore agli stessi angeli.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è l’elemento centrale della cultura umanistica? 66 2. Come può essere definito l’umanesimo di Salutati? 67b

74

3. Qual è il lavoro più importante di Bracciolini? 70a 4. Che cosa significa “misura” per Leon Battista Alberti? 71a 5. Qual è la ricerca filologica più famosa di Valla? 72a

2 La letteratura umanistica

alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

Grazie allo straordinario prestigio culturale acquisito nei secc. XIII e XIV, Firenze è stata fin dall’inizio della civiltà umanistica il centro supremo degli studi, la patria o il luogo di riferimento dei maggiori esponenti di tutte le arti. Il signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, fu il simbolo di questa corrente umanistica, caratterizzata dal mecenatismo signorile, da una grande libertà intellettuale, da un gusto aristocratico per la bellezza, da un vivo interesse a raccordare gli ideali classici con la tradizione comunale fiorentina, tanto che proprio in ambito mediceo si ebbe una decisiva rinascita della lirica in volgare a opera dello stesso Lorenzo, di Luigi Pulci e di Agnolo Poliziano.

La letteratura umanistica in volgare La letteratura umanistica in volgare nasce da una lingua attenta al modello toscano stilnovistico e petrarchesco, ma soprattutto attratta da una forma che vuole essere concreta e reale, aperta a sperimentazioni espressive. Domenico di Giovanni detto Burchiello (1404-1449) è for- Il Burchiello se il primo esempio di questa nuova vivacità poetica. Nato poverissimo, condusse una vita sregolata e nella più profonda indigenza. La “burchia” era un piccolo battello da carico in cui le merci venivano disposte alla rinfusa. Burchiello si guadagnò il suo pseudonimo per l’accumulazione caotica e bizzarra di immagini, presenti nella sua poesia satirica e antiletteraria. I sonetti caudati che compongono le sue Rime (1757, postumo) sono infatti caratterizzati da uno sperimentalismo comico-giocoso in cui parole e immagini vengono giustapposte senza nesso logico, seguendo un criterio parodistico. Queste rime diedero origine a una caratteristica maniera poetica detta “burchiellesca”. Dal 1469, quando sale al potere Lorenzo de’ Medici, fino alla sua morte (1492) si sviluppa attorno alla corte medicea la più alta forma di umanesimo italiano. Lorenzo, Poliziano, Ficino, Pico della Mirandola e, in tono popolaresco, Pulci sono i grandi protagonisti di questa epoca aurea. 75

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

Lorenzo il Magnifico Le linee della sua politica

La produzione letteraria

Una poesia venata di malinconia

Lorenzo de’ Medici (1449-1492), detto il Magnifico, governò Firenze dal 1469, garantendo il rispetto formale delle istituzioni comunali democratiche, anche se di fatto le esautorò, accentrando in sé tutto il potere. In politica estera, praticò una strategia di alleanze, che lo portò a essere il perno dell’equilibrio venutosi a costituire fra gli stati d’Italia. Per quanto riguarda la sua produzione letteraria, al periodo giovanile risalgono la Nencia da Barberino (1473), gustoso idillio rusticano in cui il poeta si finge pastore e loda con la fresca immediatezza di un popolano le bellezze della sua donna, e i poemetti L’uccellagione di Starne (anche Caccia col falcone) e Il simposio, caricatura dei più noti bevitori fiorentini, di tono comico-realistico sul modello di Pulci. In seguito si fece più viva l’adesione alle teorie neoplatoniche sostenute da Marsilio Ficino (v. a p. 73): l’Altercazione (147374) è un dialogo filosofico con lo stesso Ficino circa il sommo bene. Del 1483-84 è un Comento in prosa e in poesia (41 sonetti) che narra con freschezza di notazioni psicologiche una storia d’amore sul modello della Vita nuova di Dante. Posteriori al 1486 sono i due poemi idillici Ambra e Corinto e i due libri di strambotti delle Selve d’amore, che rileggono lo stesso tema in toni più intimi e sofferti, venati di malinconia. La stessa atmosfera di malinconia si ritrova nelle opere della maturità, come le Canzoni a ballo e i Canti carnascialeschi, fra i quali è il notissimo Trionfo di Bacco e Arianna che esprime la fugacità della vita. Scrisse anche opere di argomento religioso, quali la Rappresentazione di san Giovanni e di san Paolo (1491) e nove Laudi.

Agnolo Poliziano Nel circolo mediceo fu Agnolo Ambrogini (1454-1494), detto il Poliziano, a realizzare una fondamentale sintesi tra la cultura classica e la tradizione volgare fiorentina di Dante, Petrarca e Boccaccio. ■ La vita e le opere

Da Montepulciano si trasferì nel 1469 a Firenze, ove ebbe come maestri alcuni tra i più bei nomi della cultura umanistica: C. Landino, G. Argiropulo e M. Ficino. Entrò nella Precettore dei figli di cancelleria privata dei Medici, ottenendo a ventun anni Lorenzo il Magnifico l’incarico di precettore dei figli di Lorenzo, Piero e Giovanni, il futuro papa Leone X. In questi stessi anni intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1477 divenne priore della 76

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

Collegiata di San Paolo. Frattanto iniziò a comporre Le stanze per la giostra per la vittoria di Giuliano de’ Medici alla grande giostra cavalleresca tenutasi a Firenze nel 1475, e interrotte probabilmente attorno al 1478, quando Giuliano fu ucciso sotto i suoi occhi, vittima della congiura dei Pazzi. A essa, e alla dura repressione esercitata da Lorenzo per rafforzare il proprio potere, Poliziano dedicò una breve opera in latino, Commentario della congiura dei Pazzi (1478), esplicita apologia del potere mediceo. A questo periodo appartiene probabilmente anche la raccolta dei Detti piacevoli. Verso la fine del 1479, forse per contrasti con la moglie di Lorenzo, Clarice Orsini, Poliziano si allontanò da Firenze e dimorò a Venezia, Padova e Mantova. In quei mesi scrisse e fece rappresentare la Fabula di Orfeo, uno dei primi testi teatrali di argomento classico in volgare. Nel 1480, ritrovato il pieno accordo con i suoi protettori, tornò a Firenze e si dedicò completamente agli studi classici, trascurando la produzione poetica in volgare a favore della poesia latina, soprattutto epigrammi ed elegie (celebri quelle In violas, e In Albieram Albitiam, per la morte di una quindicenne), e dell’impegno filologico. Sono testimonianza della sua attività di questi anni i poemetti in esametri latini inclusi nelle prolusioni accademiche: Manto (1482); Rusticus (1483); Ambra (1485) e Nutricia (1486), di contenuto teorico e metodologico. La sua ricerca filologica (raccolta nei Miscellanea, 1489) dette frutti di importanza decisiva; notevoli anche i suoi apporti all’interpretazione di Aristotele e i giudizi letterari di cui sono piene le Epistole (1494). Celebri sono rimaste le sue canzoni a ballo in volgare (fra tutte, I’mi trovai, fanciulle e Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio), che traducono in un linguaggio di grande misura una gioiosa cantabilità popolaresca.

Gli studi filologici e la produzione in latino

Le canzoni a ballo

■ Le “Stanze per la giostra” e la “Fabula d’Orfeo”

Scritte in ottave e interrotte poco dopo l’inizio del secondo libro, le Stanze per la giostra furono pubblicate solo nel 1494. Le prime strofe sono dedicate alla glorificazione di Fi- L’argomento renze e di Lorenzo (Lauro), nuovo protettore delle arti e del- delle “Stanze la poesia; segue la comparsa della figura di Iulo (Giuliano), per la giostra” la cui giovinezza rude e selvatica è trascorsa nei piaceri della caccia e nel disprezzo per l’amore. Ma un giorno, durante una caccia, egli diviene preda di Cupido, s’innamora e inizia così la sua formazione di uomo sensibile ai valori di amore e della gloria. Il secondo libro si apre con la celebrazione di Lorenzo, poeta e innamorato; a Iulo viene ordinato in sogno di conquistare la donna amata, dimostrando il proprio 77

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

valore nelle armi. Qui si interrompe il poema, la cui importanza, al di là della trama, abbastanza fragile, consiste nella creazione di una dimensione in cui si rapportano in perfetto equilibrio la potenza illuminata dalla cultura e la bellezza che suscita l’amore. Questo mondo ideale ha come contesto una natura splendente, ancora incontaminata: una rappresentazione tutta terrena, ma non per questo meno affascinante, del mito del paradiso terrestre, in cui l’essere umano può sentirsi perfettamente appagato. L’ottava di oriL’ottava del Poliziano gine popolare viene nobilitata attraverso una raffinata eleganza di intarsi letterari, derivati sia dalla tradizione della poesia lirica volgare, sia dall’attenzione filologica alla produzione classica, trattata e tradotta con grande maestria, mentre La lingua la lingua è costituita da una preziosa rielaborazione e fusione della tradizione fiorentina degli ultimi due secoli, senza cedimenti alla tentazione di passive imitazioni. La “Fabula di Orfeo” Elaborata sullo schema delle sacre rappresentazioni, la Fabula d’Orfeo ha come contenuto il mito del poeta e musico Orfeo, che grazie alla sua arte divina riesce a commuovere e vincere la morte, ottenendo dal re degli Inferi Plutone la restituzione della sposa Euridice. Non sapendo però resistere all’umanissimo desiderio di rivolgere lo sguardo all’amata lungo il cammino che li riporta sulla terra, la perde per sempre. Poliziano come pochi altri credette nel valore assoluto della poesia portatrice di valori eterni di bellezza e di armonia; ma allo stesso tempo sentì, specialmente dopo il 1480, il senso della fugacità della vita, del rapido tramonto della giovinezza, la fine inevitabile di un sogno. Dal La nascita del punto di vista teatrale la Fabula riveste una notevole imdramma pastorale portanza perché segna la nascita del dramma pastorale, che avrà un grande sviluppo nel corso del Cinquecento.

Luigi Pulci Luigi Pulci (1432-1484), erede della tradizione burlesca e popolana della cultura fiorentina, fu figura dissonante nel clima raffinato e neoplatonico della corte medicea. Nel 1461, grazie alla protezione di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, riuscì a entrare nella cerchia medicea con l’incarico di scrivere il suo capolavoro, il Morgante, la cui composizione lo occupò fino alla morte. Iniziò un periodo L’amicizia con di grande amicizia tra il poeta e il signore di Firenze, che lo Lorenzo il Magnifico soccorse più volte quando si trovò in difficoltà economiche. Dal 1466 iniziò un periodo molto positivo della sua vita: scrisLa “Beca se la favola villereccia Beca da Dicomano (in parodia delda Dicomano” la Nencia di Barberino di Lorenzo); ebbe l’incarico di cele78

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

brare la giostra vinta da Lorenzo nel 1469; lo accompagnò nel 1471 in un’importante missione diplomatica a Napoli presso la corte aragonese; prese in moglie nel 1473 Lucrezia degli Albrizi. In questi anni ebbe inizio anche un aspro contrasto con Matteo Franco, un sacerdote amico di Marsilio Ficino e molto influente nella corte medicea, che si concretizzò in una serie di sonetti pungenti, in cui Pulci iro- Il raffreddamento nizzò in maniera aperta anche su argomenti teologici di dell’amicizia grande rilevanza come l’immortalità dell’anima. Per que- con Lorenzo sti motivi l’amicizia di Lorenzo si andò raffreddando e Pulci preferì allontanarsi sempre più spesso da Firenze. Nel 1478 apparve probabilmente la prima edizione, ancora ampiamente incompleta, del Morgante; la seconda edizione, in 23 cantari (canti) costituiti da ottave, uscì a Firenze nel 1481, mentre l’edizione definitiva in 28 cantari fu pubblicata con il titolo di Morgante maggiore nel 1483. Nella parte finale è contenuto un duro attacco contro un frate, probabilmente Savonarola, che aveva condannato pubblicamente Pulci per i suoi scritti sacrileghi. Nel 1484, convinto dall’agostiniano Mariano da Gennazano, Pulci fece pubblica ammenda in un’opera in terzine dal titolo Confessione, che valse a calmare le polemiche e rese realizzabile il progetto di un ritorno a Firenze. Ma Pulci morì improvvisamente a Padova e fu sepolto come eretico in terra sconsacrata. ■ Il “Morgante”

Se già nelle opere minori (in particolare nei Sonetti e nella Beca da Dicomano) Pulci dà prova di una fantasia sbrigliata e di un gusto per la bizzarria e per la parodia di tutto ciò che è ritenuto intangibile, il culmine di tale atteggiamento culturale è raggiunto nel poema Morgante, che capovolge tutti i valori propri della materia epica cavalleresca. Già la trama, versione grottesca delle narrazioni tipiche delle canzoni di gesta, ha uno sviluppo inconsueto: si narra infatti che Orlando, colpito dalle calunnie di Gano e seccato per il comportamento credulone di Carlo Magno, vecchio e quasi rimbambito, parte per l’Oriente in cerca di avventure. Ma la trama rivela poco delle caratteristiche del poema perché l’interesse dell’autore è rivolto alla rappresentazione imprevedibile, volutamente eccessiva, di fatti inverosimili. Le figure in cui si manifesta meglio l’estro del poeta sono quelle del gigante Morgante e del mezzo-gigante Margutte. Morgante, armato del battaglio di una campana, è l’immagine stessa di ciò che è eccessivo per la sproporzione tra l’immensa forza fisica e la scarsa lucidità mentale. Margutte, invece, che finirà per morire soffocato dalle proprie ri-

La trama

Morgante e Margutte, protagonisti dell’eccesso 79

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

Lo stile di Pulci

sate, è la rappresentazione del capriccio della volontà e della natura: è la parodia dell’ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione, conseguita attraverso un percorso razionale. Ma Margutte è dotato di un’astuzia invincibile, di un eccezionale gusto per il male, che si realizza in una contromorale fondata sul furto, l’imbroglio, i piaceri della gola e si manifesta in avventure caratterizzate da una prodigiosa voracità e da sadica perfidia nei confronti delle vittime. Lo stile di Pulci non si richiama all’uso colto del volgare toscano, ma nemmeno si appiattisce sull’uso parlato e popolareggiante; si rivolge al patrimonio di espressioni gergali proprie di settori marginali della società (Pulci compose persino un Vocabolarietto di lingua furbesca, che raccoglieva termini ed espressioni degli ambienti della malavita). Nei suoi versi la parola tende sempre all’ambiguità e il gioco generato dall’accostamento delle parole, dal loro richiamarsi attraverso assonanze fonetiche, talvolta prende il sopravvento sullo sviluppo della narrazione e impone svolte imprevedibili.

Gerolamo Savonarola La figura politica e religiosa

Le “Prediche”

80

Alla fine del secolo campeggia drammaticamente la figura del predicatore domenicano Gerolamo Savonarola (14521498). Dopo la calata del re di Francia Carlo VIII e la cacciata di Piero de’ Medici (1494), Savonarola si fece ispiratore di una repubblica popolare. Savonarola riuscì a contenere il radicalismo puritano dei “piagnoni” suoi seguaci, ma non evitò, specie dopo le sue gravi accuse al papa Alessandro VI e le denunce sull’immoralità della Chiesa, l’attacco dei partigiani dell’oligarchia (“arrabbiati”) e dei Medici (“palleschi”). Scomunicato e processato per eresia, Savonarola fu impiccato e le sue ceneri furono disperse in Arno. Ci restano molti scritti dottrinari (Compendium logicum, 1491; Compendio delle rivelazioni, 1495; Epistola della sana e spirituale lezione, 1497; Trattato circa il reggimento del governo della città di Firenze, 1498). Ma il suo capolavoro sono le Prediche (raccolte postume), in cui con un linguaggio drammaticamente intessuto di riferimenti biblici denuncia le compromissioni mondane della Chiesa ed esprime la sua speranza per il ritorno del cristianesimo all’originario spirito evangelico. La sua figura affascinò una lunga schiera di uomini di cultura (Pico della Mirandola, Guicciardini, Michelangelo e molti umanisti).

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

SCHEMA RIASSUNTIVO BURCHIELLO

I sonetti caudati delle sue Rime sono caratterizzati da uno sperimentalismo comico-giocoso che giustappone parole e immagini senza alcun nesso logico.

LORENZO DE’ MEDICI

Grande mecenate e uomo di cultura, fece di Firenze il centro della vita culturale, artistica e politica italiana; la sua produzione si divide fra gli atteggiamenti concreti popolari-burchielleschi e l’adesione al pensiero neoplatonico dell’Accademia fiorentina. Nelle Selve d’amore e nei Canti carnascialeschi la sua poesia è di vena malinconica.

POLIZIANO

I suoi capolavori sono la Fabula d’Orfeo e le Stanze per la giostra. Poliziano come pochi altri credette nel valore assoluto della poesia portatrice di valori eterni di bellezza e di armonia; ma allo stesso tempo sentì il senso della fugacità della vita, del rapido tramonto della giovinezza, la fine inevitabile di un sogno.

PULCI

Il suo capolavoro, il poema eroicomico Morgante, è la parodia dell’ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione.

SAVONAROLA

Nella sua azione politica e nelle sue Prediche denuncia la corruzione della Chiesa e auspica il ritorno del cristianesimo alla semplicità evangelica delle origini.

DOMANDE DI VERIFICA 1. In che cosa consiste la novità stilistica di Burchiello? 75b 2. Qual è l’opera più nota di Lorenzo il Magnifico? 76b 3. Quali sono i due capolavori di Poliziano? 77b-78

4. Per che cosa si caratterizzano le canzoni a ballo di Poliziano? 77b 5. In che cosa si differenziano i due protagonisti del Morgante di Pulci? 79b-80a 6. Qual è la proposta religiosa di Savonarola? 80b

81

3 La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

Fuori dalla corte medicea l’umanesimo italiano si diffonde soprattutto a Venezia, Ferrara e Napoli. Offre altri due esempi altissimi: il poema cavalleresco di Boiardo, che opera presso la corte ferrarese degli Este, e la letteratura pastorale di Sannazaro, vero maestro della corte aragonese a Napoli.

La diffusione dell’umanesimo in Italia Milano e Ferrara

Venezia

La nascita della stampa Urbino e Roma

82

Nell’Italia settentrionale ebbero importanza la corte di Milano, ove operarono i grandi artisti fiorentini Bramante e Leonardo da Vinci e vissero gli scrittori Antonio Loschi (1368 -1440) e Francesco Filelfo (v. a p. 69), e quella degli Estensi a Ferrara, resa illustre dalla presenza di poeti come Tito Vespasiano Strozzi (1424-1505), Pasquale Collenuccio (1447-1492), autore di belle Rime petrarchesche, Nicolò da Correggio (1450 -1508), che scrisse il dramma la Fabula di Cefalo (1487) e soprattutto M.M. Boiardo. Particolare importanza, soprattutto nelle arti, ebbe il contributo di Venezia: in campo letterario non vanno dimenticati Francesco Barbaro (1390-1454), autore di un interessante trattato De re uxoria (Sul matrimonio, 1416) sul matrimonio e l’educazione dei figli; Leonardo Giustinian (1388 -1446), dottissimo patrizio autore di orazioni in latino e di poesia lirica in volgare (gli Strambotti, diffusi dal 1474). Venezia, inoltre, fu il ponte naturale tra cultura greca e civiltà latina e il primo centro editoriale italiano, grazie a uno sviluppo rapido e di grande qualità del nuovo strumento della stampa: il più prestigioso editore dell’epoca fu l’umanista veneziano Aldo Manuzio (1450 -1515). Un rilievo particolare nel centro Italia ebbe la corte di Urbino, soprattutto sotto il duca Federico di Montefeltro e naturalmente Roma, dove operarono tra gli altri Giulio Pomponio Leto (1428 -1497), fondatore dell’Accademia pomponiana, e Bartolomeo Sacchi detto il Platina (1421-1481), primo prefetto della Biblioteca Vaticana. Figure di grande rilievo illustrarono l’umanesimo

3 - La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

napoletano, sviluppatosi sotto la protezione della dinastia Napoli aragonese; il centro organizzativo fu l’Accademia fondata dal Panormita (Antonio Beccadelli, 1394-1471) e diretta successivamente da Pontano (1429-1503), ma la figura di maggiore spicco è Sannazaro. Importante la produzione novellistica di Masuccio Salernitano. ■ Giovanni Pontano

La produzione letteraria di Giovanni Pontano (1429-1503) tocca quasi tutti i generi ed è scritta prevalentemente in latino. Scrisse una serie di Dialoghi, politici e astrologici, nei quali appaiono i tratti caratteristici del suo umanesimo: una concezione attiva della vita, che Pontano attuò polemizzando contro l’ignoranza, la superstizione, i pedanti, i politici. Pontano amò sopra ogni cosa la poesia e in essa lasciò il segno di una cultura e di una sensibilità raffinata, educata sui classici e insieme attenta a tutti gli aspetti della vita del suo tempo. Scrisse egloghe e raccolte di poesie (Amores, 145558; Hendecasyllabi sive Baiae, 1490-1500, che cantano l’atmosfera festosa dei bagni di Baia; Iambici, per la morte del figlio Lucio; Tumuli, che raccoglie epitaffi per la moglie morta Adriana e per il figlio Lucio), poemi di carattere astrologico Urania (1476) e Meteororum liber (Libro delle meteore), l’opera didascalica De hortis Hesperidum (L’orto delle Esperidi). Il suo capolavoro è probabilmente il poema De amore coniugali, in cui Pontano canta le gioie della vita familiare. Famose le dodici Neniae, scritte per il figlio Lucio, opere che lo pongono con Poliziano e il Boiardo del Canzoniere ai vertici della produzione lirica dell’umanesimo. ■ Il “Novellino” di Masuccio Salernitano

Masuccio Salernitano è il soprannome del sorrentino Tommaso Guardati (circa 1415-1475). Segretario di Roberto di Sanseverino, principe di Salerno, frequentò la corte di Napoli, a contatto con il Panormita, G. Pontano e Z. Barbaro. È noto per il Novellino (postumo, 1476), raccolta di 50 novelle divise per temi in cinque decadi. Tra le fonti, accanto a quella imprescindibile di Boccaccio, vi sono i trattati degli umanisti e in particolare le opere di G. Pontano. La raccolta si caratterizza per la presenza di trame drammatiche, dai toni cupi e crudeli, che rivelano un gusto compiaciuto per le situazioni estreme e l’orrido. La vena narrativa ha la meglio sui toni edificanti, lo stile rinuncia all’imitazione delle costruzioni solenni, di stampo latino, tipiche di Boccaccio, e diviene più libero ed espressivo grazie anche all’uso del dialetto nelle scene più ricche di comicità popolaresca. 83

3 - La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

Boiardo e il poema cavalleresco La vita

Le opere in latino

Il “Canzoniere”

Matteo Maria Boiardo (1440 o 1441-1494), di Scandiano, presso Reggio Emilia, è l’autore del grande poema Orlando innamorato. Fu determinante nella sua formazione umanistica l’ambiente culturale ferrarese e la partecipazione alla vita mondana presso la corte estense. Nel 1463-64 compose i 15 Carmina de laudibus Estensis (Carmi in lode degli Este), che riprende motivi mitologici virgiliani, e le 10 egloghe dei Pastoralia. Nel 1476 iniziò il suo capolavoro, l’Orlando innamorato, e compose in latino gli Epigrammata, in cui sul modello di Marziale celebra la vittoria di Ercole I contro il cugino Niccolò che aveva ordito una congiura ai suoi danni. Nel 1480 divenne governatore di Modena e nel 1487 capitano di Reggio Emilia, carica che tenne sino alla morte. In quegli anni compose le Egloghe volgari e la commedia in 5 atti Timone. Tra le opere volgari figurano anche gli Amorum libri tres (o Canzoniere), incentrati sulla storia d’amore con Antonia Caprara e composti tra il 1469 e il 1476. Se Petrarca è il maestro a cui si rifà Boiardo, è stato osservato che la convergenza di più modelli (Virgilio, Tibullo, Ovidio, Properzio, Lucrezio, Claudiano, ma anche Dante e gli stilnovisti) e una nuova sensibilità umanistica rompono in queste poesie l’equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali. Tra questi, la visione stilizzata della natura, il gusto dei diminutivi e delle personificazioni e infine le figurazioni animalesche di marca cortese e siciliana. Oggi il Canzoniere di Boiardo viene unanimemente considerato il più bel canzoniere d’amore del Quattrocento italiano. ■ L’“Orlando innamorato”

La trama

84

Poema epico-cavalleresco in ottave, l’Orlando innamorato fonde i materiali del ciclo carolingio (sulle gesta di Carlo Magno e i suoi paladini) con quelli del ciclo bretone (sulle gesta e gli amori alla corte del re Artù) della letteratura francese ed è legato alla tradizione dei “cantari” di piazza. L’edizione completa del testo (che comunque rimase incompiuto) uscì nel 1495, un anno dopo la morte di Boiardo. Scritto in volgare ferrarese (ma si tratta di un ferrarese illustre con elementi desunti dal toscano letterario e arricchito da vari latinismi), il poema narra le vicende di Angelica, contesa e inseguita dai paladini cristiani Orlando e Ranaldo, entrambi innamorati di lei. Le vicende dell’inseguimento sono condizionate dai cambiamenti di sentimento di Angelica e Ranaldo che, per effetto magico della fonte dell’amore e del

3 - La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

disamore a cui bevono, s’invaghiscono o si disamorano vicendevolmente. Ciò dà luogo a una vertiginosa serie di inseguimenti e di fughe incrociate. Dopo aver ucciso il re tartaro Agricane, Orlando rincontra Ranaldo, sfuggito all’incantesimo della fonte. Tra i due scoppia una furibonda lite. L’assedio di Parigi, posto dal re dei mori Agramante, convince però i due cugini rivali a ritornare in Francia per difendere i cristiani. Dopo un nuovo duello tra i due, Carlo Magno decide di consegnare Angelica al paladino che meglio avrà combattuto i saraceni. Nel frattempo nasce l’amore tra Ruggiero, uno dei cavalieri mori, e la guerriera cristiana Bradamante. Qui l’opera s’interrompe (stanza 26 del canto IX) e da qui riprenderà la narrazione Ariosto (v. a p. 94). La novità di Boiardo consiste nella fusione del ciclo carolingio e di quello bretone in unica linea narrativa in cui domina l’ideale umanistico dell’energia amorosa, capace di nobilitare (ma anche di spaventare) l’uomo; nella creazione di tipi psicologici assai vari, anche se in parte stilizzati. Attraverso la sovrapposizione dell’esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell’ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo polifonico del poema moderno. Contrappunto dialettico dell’elemento umano sono gli elementi magici e “meravigliosi” inseriti nel poema e caratterizzati da un linguaggio ricco di immagini e di aggettivazioni iperboliche. Giardini incantati, fonti miracolose, esseri mostruosi e apparizioni sono solo alcuni degli elementi soprannaturali che popolano il testo.

La fusione dell’esperienza epica e di quella lirica

Elementi magici e meravigliosi

Iacopo Sannazaro e la letteratura pastorale Iacopo Sannazaro (1455/56-1530) è la figura più rappresentativa dell’umanesimo a Napoli. Il suo lavoro fu rilevante non solo per quanto riguarda la letteratura in volgare, ma anche la letteratura in latino. Entrato nell’Accademia Pontaniana, fu nominato (1481) gentiluomo della corte aragonese. Seguì Federico III d’Aragona nell’esilio francese (1501). Morto il re, tornò a Napoli. Prima del suo ritorno a Napoli, l’attività di Sannazaro fu prevalentemente in volgare: i giochi scenici, Farse, e le Rime (postume, 1530) sono momenti di alta espressività. Dal suo ritorno a Napoli, la sua produzione La produzione si esprime in maggior misura in latino. Il suo latino è co- in latino munque vibrante e poco accademico: le Elegiae, spesso improntate ad alta malinconia; gli Epigrammata; le Eclogae piscatoriae, che trasferiscono l’ambiente bucolico tra i pescatori della costa napoletana; il De partu Virginis (Il parto 85

3 - La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

L’”Arcadia”

L’influsso in Italia e in Europa

della Vergine), che racconta la natività secondo le modalità espressive della mitologia classica. Il capolavoro di Sannazaro è comunque l’Arcadia (1501), libro misto di prose e versi e vero e proprio capostipite del “romanzo pastorale”. La trama del romanzo prende spunto da una vicenda autobiografica: mascherato sotto i panni di Sincero, l’autore immagina un viaggio nel mondo di Arcadia per sfuggire alle pene di una triste vicenda amorosa e gustare le gioie della vita semplice e schietta dei pastori; il cammino si conclude con la scoperta della morte dell’amata. La nostalgia per un’impossibile età dell’oro è il tema dominante, tradotto in un’inedita prosa lirica, dalla trama delicatissima e quasi evanescente, con ritmo musicale, ricca di riferimenti colti e aulici. Enorme fu la fortuna del romanzo. In Italia ebbe numerosissime edizioni, molti commenti eruditi; in Spagna, Portogallo, Francia e persino in Inghilterra esercitò un influsso ampio e profondo.

SCHEMA RIASSUNTIVO I CENTRI DI DIFFUSIONE DELL’UMANESIMO

Milano (Bramante, Leonardo da Vinci), Venezia (Barbaro; stampa: Aldo Manuzio), Ferrara (Boiardo), Roma, Napoli (Pontano, ai vertici della poesia lirica del Quattrocento; Masuccio Salernitano, scrive il Novellino, la più importante raccolta di racconti quattrocentesca; Sannazaro).

BOIARDO

Nel poema cavalleresco Orlando innamorato Boiardo dichiara l’ideale umanistico dell’energia amorosa, che è capace di nobilitare l’uomo. Attraverso la sovrapposizione dell’esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell’ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo moderno e polifonico del poema. Il Canzoniere ha Petrarca come modello, ma la convergenza di più modelli rompe l’equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali.

SANNAZARO

Il capolavoro, l’Arcadia, misto di prose e di versi, è il capostipite del “romanzo pastorale” che ebbe duraturo successo in tutta Europa. Tema dominante la nostalgia per un’impossibile età dell’oro, esposto con una prosa lirica e musicale, ricca di riferimenti colti. Importante anche la produzione in lingua latina (Elegiae, di impronta malinconica; Eclogae piscatoriae, temi pastorali trasferiti tra i pescatori napoletani; De partu Virginis, la natività di Gesù secondo moduli narrativi della mitologia classica).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i principali centri di diffusione dell’umanesimo, oltre Firenze? 82 2. A quali cicli epici si rifà l’Orlando innamorato? 84b 3. È importante il Canzoniere di Boiardo? 84

86

4. Qual è il tema dominante dell’Arcadia di Sannazaro? 86a 5. Quale genere letterario si diffonde in Europa per merito dell’Arcadia? 86a

IL CINQUECENTO 1 Classicismo rinascimentale 2 Ludovico Ariosto 3 Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini 4 Novellistica e teatro del Rinascimento 5 Anticlassicismo 6 Manierismo 7 Tasso e il periodo controriformistico

Secolo decisivo per le sorti d’Europa, inizia con la creazione del grande impero asburgico di Carlo V e le inevitabili guerre per la supremazia tra Impero e Francia; in tale quadro l’Italia è territorio di conquista e teatro di lotte che culminano con il sacco di Roma (1527). Dal 1530 è riconosciuto il predominio di Carlo V sull’Italia, che sarà definitivamente sancito con la pace di Cateau-Cambrésis (1559). Parallelamente si affermano la grande Riforma protestante di Lutero prima, e lo scisma inglese poi: si rompe così l’unità religiosa dell’Europa. La Chiesa cattolica, da parte sua, con il concilio di Trento ridefinisce le sue strutture e precisa i suoi dogmi contro la scissione protestante. Intorno agli anni ’30 ritroviamo la sintesi della cultura umanistico-rinascimentale nell’opera di Machiavelli e Ariosto. L’opera di Guicciardini è come il simbolo di una società italiana ormai irrimediabilmente in crisi, schiacciata dal potere dei Francesi e degli Spagnoli. Il lavoro filologico e poetico di Bembo (insieme a quello di Castiglione e di tanta altra trattatistica) stabilisce il canone del classicismo italiano (il petrarchismo). Solo marginalmente si diffonde la cultura del manierismo (soprattutto Folengo e Pietro Aretino e, diversamente, Bandello) accanto alla grande esperienza vernacolare del teatro veneto (Ruzante). Dagli anni ’50 in poi la letteratura entra in una crisi profonda che è anche segno di una decadenza politica: lo stesso classicismo, sempre più coincidente con le istanze manieristiche, include un inevitabile conformismo culturale. Figura di sintesi altissima quanto dolorosa è Torquato Tasso, la cui Gerusalemme liberata è il segno di un’aspra tragedia, di una decadenza culturale e storica ormai senza via di uscita.

1 Classicismo rinascimentale Nella letteratura italiana, alla ricerca di un proprio modello linguistico-letterario, a partire dagli anni ’20 e ’30 del sec. XVI si consolida un’idea di classicismo, di raffinatezza e di armonia linguistico-espressiva che non si limiti a proporre i canoni di un’imitazione generica della letteratura classica. Pietro Bembo si pone il problema della lingua letteraria e ne fissa il canone; a lui, inoltre, risale l’idea ancora attuale di “classico”, come testo che impone il proprio valore attraverso i tempi. Baldesar Castiglione invece codifica le norme di comportamento del perfetto uomo di corte. Verso la metà del secolo il dibattito si irrigidisce in una precettistica più severa: le norme classicistiche vanno a coincidere con il nuovo clima della Controriforma.

Pietro Bembo Pietro Bembo (1470 -1547) fu una delle figure salienti del periodo rinascimentale; egli pose le basi del petrarchismo e diede un contributo decisivo alla codificazione della lingua letteraria italiana. ■ La vita e le opere

Nato in una ricca famiglia del patriziato veneziano, ebbe una formazione umanistica completa e studiò il greco a Messina alla scuola di C. Lascaris. Ritornato a Venezia, collaborò con il grande stampatore Aldo Manuzio presso il quale pubblicò il suo primo testo: una breve prosa latina intitolata De Aetna (1496). Nel 1501, sempre per Manuzio, curò un’edizione delle rime del Petrarca e una della Commedia dantesca (1502). Tra il 1497 e il 1499 fu alla corte ferrarese, dove approfondì gli studi filosofici. Nel 1505, presso Manuzio, stampò gli Asolani, dialoghi in 3 libri in cui si alternano poesia e prose. Tipico prodotto della letteratura cortigiana d’influsso neoplatonico, gli Asolani trattano dell’esperienza amorosa. La novità dell’opera consiste nel fatto che il tema dell’amore è sviluppato non più solo nella canonica forma poetica, ma anche in quella prosastica. Le rime presenti si segnalano per uno stile petrarchesco assai rigoroso. Nel 1506 Bembo si trasferì da Venezia a Urbino, presso la corte dei Montefeltro, e abbracciò la carriera ecclesiastica per esigenze economiche. Al periodo urbinate, durato sei anni, appartengono le Stanze, 50 ottave di stile petrarchesco recitate a corte nel 1507. Nel 1512, a Roma, divenne segretario

Il lavoro editoriale con Manuzio

Gli “Asolani”

La carriera ecclesiastica

89

1 - Classicismo rinascimentale

Segretario di papa Leone X

Cardinale

di Leone X; appartiene a questo periodo la polemica con l’umanista Giovan Francesco Pico e la conseguente stesura del trattato De imitatione, in cui si sosteneva la necessità per la prosa di imitare un solo scrittore: Cicerone. Nel 1522 Bembo si stabilì a Padova, città in cui progettò e ultimò le Prose della volgar lingua (1525), un trattato in 3 libri che, in forma di dialogo, svolge il tema della lingua e della letteratura in volgare. Divenuto ormai celebre, nel 1530 pubblicò le Rime, che costituivano l’applicazione dei suoi precetti linguistici in campo poetico. In quello stesso anno fu nominato storiografo e bibliotecario della Repubblica di Venezia, per la quale redasse una Historia veneta. Nel 1539 il papa Paolo III lo nominò cardinale. Raccolse inoltre le proprie lettere in un Epistolario, anch’esso pubblicato dopo la sua morte avvenuta a Roma. ■ Il problema della lingua

Stabilita la necessità di usare il volgare come lingua letteraria, nel primo libro delle Prose della volgar lingua Bembo Boccaccio sostiene il recupero del toscano di Dante, e soprattutto di e Petrarca modelli Boccaccio e di Petrarca, come lingua letteraria nazionale, della lingua letteraria in opposizione a chi proponeva l’uso della lingua delle corti (per esempio, B. Castiglione) o quello del fiorentino contemporaneo. Nel secondo libro, riferendosi specificamente alla poesia del Petrarca, Bembo individua in Petrarca il moIl petrarchismo dello di perfezione stilistica, metrica e retorica da imitare per i versi. Nel terzo libro egli detta le regole grammaticali della lingua volgare unitaria, ricavandole dai testi dei tre grandi scrittori del Trecento. In questa maniera Bembo delinea Classicismo un “classicismo del volgare” (una lingua fondata sulla “gradel volgare vità” e la “piacevolezza”) in grado di superare in modo unitario l’ibridismo linguistico e stilistico dei vari volgari italiani scritti. La sua soluzione riuscì a imporsi nella società letteraria italiana: Ariosto, per esempio, modificò la lingua del Furioso e molti altri scrittori si adeguarono alle norme e alle regole codificate da Bembo. L’anno 1525 (prima edizione delle Prose) può essere considerato la data d’inizio dell’affermazione in sede letteraria del toscano ed è solo da tale Lingua e dialetto data che si può, a ragione, distinguere tra “lingua” e “dialetto”. Infatti quest’ultima categoria presuppone l’esistenza di una lingua unitaria, sia pure solo sul piano letterario.

Baldesar Castiglione Baldesar Castiglione (1478 -1529) fu il letterato che codificò gli ideali rinascimentali della perfetta società aristocratica. 90

1 - Classicismo rinascimentale ■ La vita e le opere minori

Nato a Casatico, presso Mantova, ricevette, nella Milano di Ludovico il Moro, un’educazione umanistica di primissimo ordine che comprese oltre alle arti e alle lettere anche il greco. Nel 1499 per la morte del padre rientrò a Mantova, do- Al servizio ve si mise al servizio di Francesco Gonzaga. Iniziò così la for- dei Gonzaga tunata carriera di “cortegiano”, che proseguì nel 1504 a Ur- e dei Montefeltro bino al servizio di Guidobaldo da Montefeltro. Nel 1513 il duca di Urbino lo inviò a Roma come ambasciatore presso la corte papale di Leone X, dove conobbe Bembo, Bibbiena e Raffaello. Rientrato a Mantova nel 1516, riprese servizio come ambasciatore presso i Gonzaga e sposò Ippolita Torelli, che gli diede tre figli. Rimasto vedovo nel 1520, abbracciò la carriera ecclesiastica. Nel 1524 il nuovo papa Clemente VII lo nominò nunzio apostolico a Madrid, presso la corte di Carlo V. Morì di malaria a Toledo. La sua produzione letteraria minore consta di alcune rime volgari e latine di carattere encomiastico, di un’egloga (Tirsi, 1506) e di un nutrito epistolario. A ciò si deve aggiungere il prologo (oggi perduto) alla Calandria del Bibbiena e l’epistola latina a Enrico VII De vita et gestis Guidubaldi Urbini ducis (1508). ■ Il “Cortegiano”

Ma Castiglione è giustamente celebre per il trattato in 4 libri, scritto in forma dialogica e intitolato Il libro del Cortegiano. Lo iniziò verso il 1513-14 e lo pubblicò a Venezia nel 1528. Il Cortegiano è ambientato nell’anno 1506, quando l’autore immagina che presso la corte urbinate dei Montefeltro si riuniscano, intorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga, alcuni eletti personaggi (fra i quali storicamente riconoscibili sono Bembo, Bibbiena, Giuliano de’ Medici). Nell’arco di quattro serate, attraverso le loro conversazioni, si delineano il ritratto psicologico, fisico e le regole di comportamento del perfetto uomo di corte. Nel primo libro ne vengono elencate le qua- Il perfetto uomo lità fisiche e morali: nobiltà, esercizio nelle armi, conoscenza di corte di tutte le arti liberali e così via. La lingua in cui si esprimerà il “cortegiano” (contrariamente alle tesi di Bembo) dovrà essere il volgare delle migliori corti, nobilitato dai termini più eleganti “d’ogni parte d’Italia”. Nel secondo libro si descrivono i comportamenti del cortigiano ideale nelle più svariate circostanze: diplomazia, conoscenza dei giochi di società, opportuna scelta degli amici, capacità ironiche, spirito. Nel terzo libro si delineano i tratti ideali della “donna di pa- La donna di palazzo lazzo”, versione femminile del cortigiano: bellezza, devozione, intelligenza, moralità. Il quarto libro, dopo una prima parte ancora dedicata ai rapporti tra principe e cortigiano, si chiu91

1 - Classicismo rinascimentale

L’amore platonico

La fortuna del “Cortegiano”

de con una lunga disquisizione filosofica sull’amor platonico, strumento fondamentale per la conoscenza del Sommo Bene. Lo stile del Cortegiano è improntato agli ideali rinascimentali di equilibrio, classicità e compostezza. Modello ideale di una pratica sociale e di una visione aristocratica del mondo, il Cortegiano ebbe da subito una grande fortuna presso le principali corti europee, che durò fino alla rivoluzione francese. La sua grandezza e quella del suo autore stanno nel porsi come coscienza critica di alcuni aspetti della condizione umana di ogni tempo.

Classicismo freddo e rigoroso: Annibal Caro A metà secolo il classicismo rischia di irrigidirsi in un modello formale e tutto esteriore. È il caso del modenese LuLudovico Castelvetro dovico Castelvetro (1505-1571), noto soprattutto per la Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta (stampata nel 1570, ma elaborata prima), straordinario commento fatto con metodo rigoroso e radicalmente razionale; nonostante l’acume, il suo classicismo si trasforma in fredda precettistica. ■ Annibal Caro

Le prime traduzioni dal greco

La polemica con Castelvetro

Annibal Caro (1507-1566), di Civitanova Marche, studiò a Firenze e passò poi a Roma. La sua prima prova letteraria fu una libera traduzione dal greco del romanzo pastorale Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista (iniziata nel 1537). Compose anche versi che si ispiravano ai modi di Berni (v. a p. 118). Nel 1544, su commissione di Pier Luigi Farnese, scrisse la commedia Gli straccioni (1582, postuma). Divenne noto negli ambienti letterari romani per la polemica con Castelvetro, che lo aveva attaccato a proposito della canzone Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro, a cui rim-

LETTERATURA IN LATINO La grande esperienza dell’umanesimo latino quattrocentesco fu esaltata dall’opera di Erasmo da Rotterdam (1466 -1536). In Italia la letteratura in latino entrò in crisi già dagli anni ‘20. Oltre al De partu Virginis (1527) del già citato Iacopo Sannazaro (v. a p. 85), l’opera più interessante è la Syphilis sive de morbo gallico (1530) dello scienziato veronese Girolamo Fracastoro (1483-1533), autore anche del dialogo Naugerius, sive de poetica (1555,

92

postumo) in cui egli definisce l’oggetto della poesia forma pura e sostiene che la specificità della poesia consiste nello stile. A partire dagli anni ‘30 il latino divenne solo lingua specialistica o da documenti ufficiali. L’unico lavoro che val la pena di menzionare sono le Historiarum sui temporis del comasco Paolo Giovio (1483-1552), una storia in 45 libri delle vicende italiane dal 1494 al 1547 pubblicata fra il 1550 e il ‘52.

1 - Classicismo rinascimentale

proverava l’eccesso di irregolarità linguistiche. Il Caro rispose scrivendo l’Apologia (1558) e alcune rime oltraggiose. Nel 1536, stanco della vita cortigiana, si ritirò nella sua villa di Frascati dove attese alla sistemazione delle Rime (1569, postume) e riunì le Lettere famigliari (1575-77, postume), importante testimonianza storica e culturale dei tempi scritta in un volgare armonico ed equilibrato. La sua opera più nota rimane tuttavia la traduzione in volgare e La traduzione in endecasillabi sciolti dell’Eneide virgiliana (1563-66), dell’”Eneide” versione che intenzionalmente “riscrive” l’originale poema con grande abilità retorica. L’ideale classico vi si ritrova reinterpretato alla luce della nuova sensibilità estetica e morale del Rinascimento.

SCHEMA RIASSUNTIVO CLASSICISMO Pietro Bembo

Baldesar Castiglione

CLASSICISMO FREDDO E RIGOROSO

A partire dagli anni ‘20 e ‘30 si consolida un’idea di raffinatezza e armonia linguistico-espressiva, non più generica imitazione della letteratura classica. Il veneziano Pietro Bembo (1470-1547) delineò un “classicismo del volgare” in grado di superare in modo unitario l’ibridismo linguistico e stilistico dei vari volgari italiani scritti. L’anno 1525 (prima edizione delle sue Prose della volgar lingua) può essere considerato la data d’inizio dell’affermazione in sede letteraria del toscano come modello linguistico; ed è solo da tale data che si può, a ragione, distinguere tra lingua e dialetto. Baldesar Castiglione (1478-1529), nato presso Mantova, fu cortigiano presso i Gonzaga e poi i Montefeltro di Urbino. Divenuto ecclesiastico, fu mandato come nunzio apostolico a Madrid presso Carlo V. È autore del trattato Il libro del Cortegiano, in 4 libri e in forma dialogica: nell’arco di quattro serate si delineano il ritratto psicologico, fisico e le regole di comportamento del perfetto cortigiano. Lo stile linguistico è improntato agli ideali rinascimentali di equilibrio, classicità e compostezza. Specie a metà secolo, è sempre più evidente il diffondersi di un classicismo tutto esteriore e precettistico. Gli esponenti più significativi sono il modenese Ludovico Castelvetro (1505-1571), autore di un commento volgarizzato alla Poetica di Aristotele (1570), e soprattutto il marchigiano Annibal Caro (1507-1566), autore di una libera traduzione in volgare dell’Eneide di Virgilio (1563-66).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Con quale opera Bembo segna una tappa fondamentale nella questione della lingua? 90a 2. Quali sono gli autori che Bembo propone come modelli del volgare letterario? 90a 3. Cosa significa “classicismo del volgare”? 90b

4. Quali qualità e quale comportamento deve avere il perfetto “cortegiano” delinato da Castiglione? 91b 5. Quali tratti ideali deve avere la “donna di palazzo”? 91b

93

2 Ludovico Ariosto Ludovico Ariosto è la voce più elevata della poesia rinascimentale. L’Orlando furioso propone un visione moderna e insieme ideale della dignità umana; si offre come sintesi di un’eleganza narrativa che, comunque, mantiene in vita quella concretezza comica, se non addirittura ironica, tipica del racconto epico. Ariosto è l’esempio di un Rinascimento allegro e potente; è il modello di una letteratura perfetta, che sa equilibrare, quasi senza sforzo, musica, plasticità figurativa, nitore e ricchezza poetica.

La vita

Gli incarichi diplomatici

Il governo della Garfagnana

94

Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia nel 1474, figlio di un militare al servizio degli Estensi. A Ferrara seguì studi di giurisprudenza, poco amati, e alla fine poté dedicarsi esclusivamente alle lettere. Già nel 1493 fu tra gli organizzatori degli spettacoli teatrali della corte estense, di cui divenne funzionario con incarichi militari e diplomatici. Nel 1502 fu capitano di guarnigione a Canossa e dal 1503 al 1517 segretario del cardinale Ippolito d’Este. Fu così costretto a viaggiare, con pochissimo entusiasmo, tra Ferrara, Bologna, Modena, Mantova, Firenze e soprattutto Roma. A partire dal 1504 (e poi per tutta la vita) aveva cominciato a scrivere l’Orlando furioso e nel 1508-09 aveva rappresentato le due commedie La Cassaria e I Suppositi. Nel 1517 rifiutò di seguire Ippolito nella sede vescovile di Agria (Ungheria). Assunto alla corte del duca Alfonso, poté finalmente dedicarsi alla letteratura. Nel 1520 portò a termine Il Negromante, la sua terza commedia, e nel 1521 pubblicò la seconda edizione del Furioso (la prima è del 1516). In questo stesso anno scrisse la Satira V, da cui si apprende la sua sofferta accettazione dell’incarico di governatore della Garfagnana (1522-25), non facile compito che egli assolse, con il figlio Virginio, a Castelvecchio. Tornato all’amata Ferrara nel 1525, dopo essere stato nominato sovrintendente agli spettacoli di corte, si preoccupò di acquistare una casetta dove dal 1527 visse sino alla morte, godendo di relativa agiatezza e dedicandosi all’attività letteraria e a portare a termine La Lena, l’ultima commedia. Nel 1531 si recò a Venezia, dove morì poco dopo. Negli ultimi anni si era occupato della revisione stilistica e strutturale del Furioso (giunto ormai alla terza edizione, 1532). In un’edizione postuma del 1545 furono aggiunti i Cinque Canti, di datazione incerta, forse da collocare fra la prima e la seconda edizione.

2 - Ludovico Ariosto

Le opere minori La commedia comica e la lirica latine furono gli ambiti privilegiati da Ariosto all’inizio della sua attività letteraria. Ancora in tarda età egli si cimentò con traduzioni di Terenzio e Plauto. Le sue prime due commedie (La cassaria, 1508, e I suppositi, 1509), inizialmente scritte in prosa, successivamente versificate, sono commedie di ambiente che, nell’osservazione minuta di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani, risentono anche del modello novellistico boccacciano. Macchinosa e meno interessante risulta la terza commedia (Il Negromante, 1520), in endecasillabi sdruccioli. La Lena (1528) è senza dubbio la più riuscita: si tratta di una commedia di carattere in cui trionfano le astuzie di due giovani innamorati sugli interessi di una corrotta coppia matura. Si suppone che Ariosto abbia cominciato a scrivere versi in volgare solo in età matura, forse all’inizio della sua relazione con Alessandra Benucci (1513, poi segretamente sposata nel 1527). Le sue Rime, sul modello petrarchesco e con influssi boiardeschi, constano di 41 sonetti, 12 madrigali, 5 canzoni e 27 capitoli in terza rima. Le sette Satire, scritte tra il 1517 e il 1524, in terzine sul modello delle epistole oraziane, rappresentano uno dei momenti più alti dell’arte poetica ariostesca: articolate in una sostanziale struttura dialogica di tipo epistolare, esse si rivolgono a personaggi reali a cui furono effettivamente inviate. Valutazioni, paragoni e inserti favolistici ne arricchiscono la vivace polifonia narrativa. L’importante epistolario (che consta di ben 214 lettere scritte tra il 1498 e il 1532) comprende soprattutto missive di carattere ufficiale in cui emergono i conflitti interiori dell’autore e la sua dimensione umana.

Le commedie

Le “Rime” Le “Satire”

L’epistolario

L’“Orlando furioso” Poema epico-cavalleresco in ottave, l’opera ebbe tre reda- Le redazioni zioni: 1516, 1521 (40 canti), 1532 (46 canti). L’autore cercò una lingua più uniforme ed equilibrata, vicina al fiorentino letterario, limitando gli eccessi regionalistici presenti nella prima edizione. Il fascino della lingua del Furioso risiede La lingua infatti nella felice coesistenza (armonizzata dal tessuto musicale del testo e dall’artificio metrico) di termini familiari e tecnici con l’insieme della lingua letteraria canonizzata. Il Furioso comincia proprio dalla fine del poema boiardesco, interrotto quando Re Carlo decide di consegnare Angelica a colui che meglio si sarà distinto nella battaglia contro i mori. La trama del poema non risponde a un’unità di La trama 95

2 - Ludovico Ariosto

Struttura aperta del poema

azione e segue tre direttrici principali: l’azione epica, che funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra cristiani e saraceni; l’azione sentimentale, invece, si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica, alla conseguente perdita del “senno” e al suo ritrovamento; infine, l’azione celebrativa è imperniata sui contrasti d’amore tra il moro Ruggiero e la valorosa guerriera cristiana Bradamante. Dalle loro nozze (e dalla conversione al cristianesimo di Ruggiero) avrà inizio la dinastia estense. Dalla narrazione principale si dipartono continuamente racconti minori (spesso introdotti da un personaggio), che costituiscono ulteriori centri focali dello svolgimento narrativo. Si comprende così la tecnica con cui le azioni sono intrecciate sia tra loro, sia rispetto alla vicenda generale. I rari interventi dell’autore in prima persona fungono così da elementi coordinatori e indicano il senso morale o psicologico delle azioni. L’infinita imprevedibilità della vita, lontana da qualsiasi centro stabile, viene espressa dalla struttura “aperta” del poema, che indica il passaggio dal teocentrismo medievale alla visione del mondo antropomorfica della nuova sensibilità umanistica. ■ Il giudizio critico

Una superiore e ironica contemplazione della natura umana

96

La grandezza di Ariosto nell’Orlando furioso sta nella profonda ironia e nel divertito distacco con cui riesce a operare l’armonica conciliazione delle contraddizioni umane in una superiore e in sé risolta contemplazione della natura umana. Il poema, già amato dai contemporanei, ebbe una grande fortuna critica per la capacità di esprimere lo spirito di un’epoca. Per Benedetto Croce Ariosto seppe armonizzare serenamente i contrasti del mondo. Per Italo Calvino l’Orlando furioso è un mirabile gioco combinatorio di percorsi e destini incrociati, simile all’errabondo movimento dell’esistenza umana.

2 - Ludovico Ariosto

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Ludovico Ariosto (1474-1533), nato a Reggio Emilia, si trasferì a Ferrara dove studiò. Svolse numerosi incarichi politici e diplomatici per gli Estensi, per i quali organizzò anche numerosi spettacoli teatrali.

LE OPERE MINORI

Quattro commedie: le prime due (La Cassaria, 1508; I Suppositi, 1509) sono di ambiente, incentrate sull’osservazione minuta di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani, e risentono del modello novellistico boccacciano; risulta più macchinosa la terza (Il Negromante, 1520); La Lena (1528) è senza dubbio la più riuscita. Le sette Satire (1517-24), in terzine sul modello delle epistole oraziane, sono da considerare uno dei momenti più alti dell’arte poetica ariostesca.

L’”ORLANDO FURIOSO”

Poema epico-cavalleresco di 46 canti in ottave, è articolato in tre azioni: l’azione epica, che funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra cristiani e saraceni; l’azione sentimentale, invece, si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica, alla conseguente perdita del “senno” e al suo ritrovamento; infine, l’azione celebrativa è imperniata sui contrasti d’amore tra il moro Ruggiero e la valorosa guerriera cristiana Bradamante. L’autore cerca una lingua più uniforme ed equilibrata, vicina al fiorentino letterario, limitando gli eccessi regionalistici.

IL GIUDIZIO CRITICO

La grandezza di Ariosto risiede nell’armonica conciliazione delle contraddizioni umane, risolta con superiore ironia e divertito distacco.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Di che genere sono le commedie ariostesche? 95a 2. Che tipo di struttura hanno e a chi sono rivolte le Satire? 95b

3. Perché l’Orlando furioso è un poema a struttura “aperta”? 96b 4. Quante sono le redazioni del Furioso? 95b

97

3 Niccolò Machiavelli

e Francesco Guicciardini

Se per la poesia rinascimentale fu Ariosto la voce più alta, per la prosa il culmine venne ragguinto da Machiavelli e Guicciardini. Machiavelli espone nel Principe la teoria dello Stato moderno e delinea il profilo dell’uomo “prudente e virtuoso”. Guicciardini, politico sul campo in anni cruciali per la storia italiana, ne diviene lucido e scettico storiografo. Se la storiografia umanistica aveva cercato nell’insegnamento del passato una virtù nuova per il presente, quella del primo Cinquecento muta prospettiva: gli storici maturano una concezione drammatica e dinamica della storia.

Niccolò Machiavelli Acuto testimone della storia del suo tempo e uno dei maggiori prosatori italiani, è il teorico di una politica rigorosamente razionale, come unica risposta possibile all’egoismo degli uomini. ■ La vita e le opere

Le opere storiche e politiche

98

Nato a Firenze nel 1469, ebbe una formazione umanistica quando la città di Lorenzo de’ Medici era all’apice della potenza e del prestigio culturale. Dopo il rogo di Savonarola (1498), Machiavelli iniziò l’attività politica al servizio della Repubblica fiorentina come segretario dei Dieci di Balia, organo di governo della città. Svolse diversi incarichi diplomatici, dei quali stilò precisi resoconti: nel 1500 fu inviato presso Caterina Sforza, contessa di Forlì; nel 1501 fu in Francia; tra il 1502 e il 1503 si recò più volte presso Cesare Borgia, divenuto signore delle Marche e della Romagna (incontri dai quali trasse materiale per l’opuscolo Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vittellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini (1503). Nel 1503 fu mandato a Roma per seguire il conclave e nel 1504 si recò di nuovo in Francia presso Luigi XII. Intanto era cresciuto il suo peso politico: scrisse Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1503) e ottenne l’incarico (1505-09) di preparare la milizia della Repubblica. Anche in quegli anni Machiavelli continuò un’importante attività diplomatica: nel 1506 fu al seguito delle campagne militari di papa Giulio II e nel

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

1507-08 partecipò a una missione presso l’imperatore Massimiliano, al ritorno dalla quale stilò il Rapporto di cose della Magna (1508), rielaborato poi nel Ritratto delle cose della Magna (1512). Nel 1510 fece un terzo viaggio in Francia e ne trasse il Ritratto di cose di Francia (1510), penetrante indagine sulle caratteristiche politiche di quello Stato. Nel 1512 si ruppe l’equilibrio tra Francia e Spagna; a Firenze la Repubblica, alleata dei francesi, dovette capitolare ai Medici, che assunsero di nuovo il governo della città appoggiati dalla Spagna. Machiavelli fu allontanato da tutti gli incarichi e condannato al confino per un anno; sospettato poi di aver preso parte a una congiura antimedicea (1513), fu incarcerato, torturato e condannato a un nuovo confino. Amnistiato dopo l’elezione del papa Medici Leone X, si ritirò nel podere dell’Albergaccio, vicino a San Casciano, in Val di Pesa. In questo isolamento, di cui parla nella celebre lettera del 1513 allo storiografo e uomo politico F. Vettori, scrisse i suoi capolavori, in primo luogo il trattato Il Principe (151314), poi l’impegnativa riflessione storico-politica dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1515-17), i dialoghi De re militari (L’arte della guerra, 1521), e infine la Vita di Castruccio Castracani (1520). Scrisse anche opere di genere letterario: il Decennale primo e il Decennale secondo (1504-06 e 1516) in terzine dantesche, che cantano le vicende drammatiche d’Italia; il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua (1515-16) a favore del fiorentino; il poemetto satirico l’Asino (1518), su temi filosofici; la favola Belfagor arcidiavolo, o il demonio che prese moglie (circa 1518); e soprattutto la commedia La mandragola (1518), la cui rappresentazione in occasione di una festa medicea segnò una parziale attenuazione dell’ostilità dei signori nei confronti dello scrittore, che ricevette nuovi incarichi. Nel 1525 rappresentò a Firenze la commedia Clizia, storia grottesca di un amore senile, e concluse le Istorie fiorentine, pubblicate nello stesso anno. Poco dopo ottenne la revoca dall’interdizione dai pubblici uffici. La nuova guerra della Lega formata da papato, Francia e Firenze contro l’impero di Carlo V lo vide coinvolto in attività diplomatiche e militari; ma la Lega fu travolta (1527, sacco di Roma), i Medici cacciati e a Firenze fu restaurata la repubblica guidata da esponenti savonaroliani, ai quali Machiavelli era sgradito e sospetto. Morì nel giugno 1527. Nel clima della Controriforma le opere di Machiavelli furono giudicate scandalose, prive di valori morali. Nel 1559 tutte le sue opere vennero inserite nell’Indice dei libri proibiti.

Il confino e il carcere

Il ritiro in campagna: stesura dei capolavori

Le opere letterarie

99

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini ■ “Il Principe”

Scritta tra il luglio e il dicembre del 1513, l’opera più famosa e innovativa di Machiavelli è un breve “ghiribizzo” (per sua definizione) di 26 capitoli, in cui egli compendia la riflessione politica e filosofica acquisita in quindici anni passati al servizio dello Stato. Nella prima parte Machiavelli sviI vari tipi luppa l’analisi dei vari tipi di principato (ereditari, nuovi, di principato misti) e del modo in cui vengono acquistati. Lo scrittore presenta anche alcune figure di fondatori di Stati, come Mosè, Ciro, Teseo e Romolo e di riformatori come Girolamo Savonarola, nei confronti del quale esprime il giudizio lapidario di “profeta disarmato”. L’attenzione è però concentrata Il duca Valentino, (cap. VII) sulle azioni del duca Valentino, Cesare Borgia, inmodello di uomo dicato come l’esempio migliore di “uomo prudente e virprudente e virtuoso tuoso”, cioè di politico capace di coniugare un progetto di vasto respiro (la formazione di un solido Stato nell’Italia centrale) con la scelta oculata degli strumenti adatti per indebolire gli avversari, utilizzare gli amici potenti senza divenirne ostaggio, sfruttare le situazioni favorevoli, acquisire la stima e la fedeltà del popolo e della piccola nobiltà. Machiavelli sottolinea anche l’importanza per il principe di avere un esercito proprio invece che dipendere da uno merceLa politica deve nario. Nella seconda parte ribalta il concetto tradizionale ricercare l’utile per di teoria politica, tradizionalmente orientata a proporre mol’insieme dello Stato delli ideali di organizzazione statale e di comportamento dei governanti. Per Machiavelli il fulcro dell’attività politica è costituito dalla ricerca di ciò che è utile per l’insieme dello Stato (che coincide con l’utile del principe e dell’insieme dei sudditi) e il terreno d’indagine della politica è la “veRapporto tra politica rità effettuale della cosa” e non “la immaginazione di ese morale sa”. Ne deriva un radicale capovolgimento del rapporto tra politica e morale; il giudizio sugli atti del principe non dipende dalla loro corrispondenza ad astratte norme, ma dalla loro congruità a produrre la sicurezza dello Stato. CeLa concezione lebre è poi la concezione della fortuna sviluppata da Madella fortuna chiavelli: essa è la sintesi instabile delle diverse e imprevedibili forze che agiscono nella storia; con questa mobilissima antagonista deve misurarsi la virtù del principe, che può prevalere solo se sa prevederne gli sviluppi, contrastarne le bizzarrie, infine dominarla con l’audacia non sconL’appello a uno Stato siderata. Machiavelli conclude il suo scritto con un caldo apitaliano pello a un esponente della dinastia medicea perché raccolga l’aspirazione di tutti gli italiani a combattere e vincere il “barbaro dominio” delle potenze straniere. Il Principe pone le basi della nuova concezione della politica proprio perché individua in essa l’ambito in cui si può realizzare la 100

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

virtù dell’individuo, cioè la capacità di affrontare gli even- La virtù dell’individuo ti razionalmente, avendo come fine il raggiungimento di un modo di convivenza tra gli uomini in cui l’interesse individuale si realizzi e si riconosca nell’interesse collettivo. ■ I “Discorsi” e la “Mandragola”

Al vero centro del proprio pensiero, cioè la formazione e la conservazione dello Stato, Machiavelli dedica, oltre alle pagine del Principe, lo sforzo di riflessione dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Machiavelli ricava conferme alla necessità del consenso dei cittadini, alla ricerca dell’equilibrio di interessi tra le classi sociali, alla funzione non solo militare ma anche politica di un esercito composto di cittadini, come del resto all’utilizzo della religione come strumento di coesione dello Stato. Nel ripercorrere la storia di Roma (e in parallelo quella di Firenze nelle Istorie fiorentine, largamente improntate allo stile oratorio della storiografia classica) lo scrittore sottolinea come anche gli ordinamenti più solidi vengono corrotti e indeboliti dalla stoltezza, dagli errori, dall’incostanza degl’individui. Proprio perché si propone traguardi molto alti, la visione pessimistica del comportamento umano è una costante in Machiavelli. Essa va accentuandosi negli anni dell’inattività politica e si manifesta, in chiave artistico-letteraria, nella commedia della Mandragola, in cui l’obiettivo “basso”, il tema comico (la conquista di una donna con l’inganno) mette in luce l’incapacità degli individui di andare oltre il proprio meschino interesse personale. Forse è la protagonista femminile Lucrezia colei che meglio interpreta l’ideale di Machiavelli: vittima di intrighi e meschinità, essa è poi capace di cogliere l’occasione offerta dalla fortuna e di diventare l’artefice della propria vita.

I “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”

Visione pessimistica del comportamento umano

La “Mandragola”

■ Il dibattito su Machiavelli

In ambiente gesuitico venne elaborata, come sintesi di tutto il pensiero machiavelliano, l’espressione divenuta proverbiale “il fine giustifica i mezzi”, che mai appare nei suoi scritti. L’aggettivo “machiavellico” divenne sinonimo, in tutta Europa, di astuto, senza scrupoli e tale significato fu conservato. Nel Settecento si vide in Machiavelli sia il teorico dell’assolutismo, sia l’ardente repubblicano che attraverso il Principe insegna ai popoli a insorgere contro i tiranni. Durante il Risorgimento, criticato per l’“immoralità” delle sue tesi, fu però ritenuto un profeta dell’unità d’Italia. Nel sec. XX, da un lato si è teso a storicizzare il suo pensiero, inquadrandolo nel particolare contesto storico, dall’altro si è ope-

Lo stravolgimento del pensiero di Machiavelli nella Controriforma

101

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

Il vero rapporto “fini-mezzi”

rato lo sforzo di utilizzarlo come stimolo alla riflessione sull’attualità. In realtà Machiavelli fonda la politica come scienza autonoma, in cui il rapporto “fini-mezzi” va inteso nel senso che in politica non valgono predicazioni morali e nessun “fine” – anche quello moralmente più alto – può realizzarsi se non è fornito di “mezzi” adeguati e coerenti.

Francesco Guicciardini Francesco Guicciardini (1483 -1540) fu protagonista della politica italiana negli anni delle guerre tra Francia e Spagna per il dominio della penisola, e ne divenne anche il lucido interprete sul piano storiografico. ■ La vita e le opere

Ambasciatore in Spagna

I governatorati di Modena, Reggio e Romagna Luogotenente generale della Chiesa L’attività letteraria

Governatore di Bologna 102

Discendente di una delle più importanti famiglie fiorentine, ricevette una solida formazione umanistica. Nel 1512 interruppe la stesura della sua prima opera, le Storie fiorentine, per assumere un incarico diplomatico, un’ambasceria alla corte di Spagna, ove rimase fino al 1514. Qui scrisse l’opera politica il Discorso di Logrogno (1512), una proposta di organizzazione politica dello Stato fiorentino, cui fece seguire poco dopo l’altro discorso Del governo di Firenze dopo la restaurazione dei Medici e un Diario di viaggio. Tornato in Italia ed entrato in buoni rapporti con i Medici di nuovo al potere, nel 1516 ebbe da papa Leone X l’incarico di governatore di Modena (in seguito governerà Reggio Emilia e la Romagna). In quegli anni si dedicò alla stesura del Dialogo del reggimento di Firenze (1525). In campo politico operò soprattutto per favorire l’alleanza tra Francia e Papato in funzione antimperiale (lega di Cognac), al cui interno fu nominato luogotenente generale della Chiesa. Dopo il sacco di Roma (1527), venne rimosso dalle cariche che ricopriva. Tornato a Firenze, da cui nel frattempo erano stati cacciati i Medici, si dedicò all’attività letteraria: scrisse una parte dei Ricordi (1528) e opere storiche, come le Cose fiorentine (1528-31) e soprattutto le Considerazioni sopra i Discorsi del Machiavelli (1528), rilevanti per comprendere la sua concezione della politica. Bandito dalla città a causa delle sue simpatie medicee, prima si ritirò nella proprietà di Finocchieto e poi si rifugiò in Romagna presso Clemente VII. Quando nel 1530 la Repubblica fiorentina fu abbattuta, Guicciardini riprese i rapporti di collaborazione con il papa, che nel 1531 lo nominò governatore a Bologna e nel 1533 lo volle con sé in un viaggio a Marsiglia per incontrare il re di Fran-

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

cia. Si dedicò quindi all’organizzazione del potere mediceo a Firenze, ma poco alla volta venne emarginato: ritiratosi allora nelle sue proprietà, si dedicò sempre più al lavoro letterario e in particolare alla stesura del suo capolavoro, la Storia d’Italia, iniziata nel 1536 e non del tutto terminata quando lo colse la morte nella villa di Montici. ■ I “Ricordi”

Nessun’opera di Guicciardini fu pubblicata durante la sua vita: fra le altre, rimasero tra le carte di famiglia più di duecento pensieri e aforismi pubblicati nel 1576 con il nome di Avvertimenti e poi con il titolo ottocentesco di Ricordi. La stesura di queste brevi riflessioni coprì tutto l’arco della vita dello scrittore, dagli anni giovanili (la prima serie di pensieri risale addirittura agli anni spagnoli) fino al 1530. Guicciardini riflette sulla “ruina d’Italia” con una lucidità che esclude ogni riferimento a modelli e teorie: non cerca e non accetta spiegazioni e interpretazioni universali della realtà politica. Egli è convinto che, in linea di massima, i rapporti umani siano caratterizzati da una negatività raramente modificabile e che quindi il risultato di ogni azione politica sia determinato più da mutamenti in superficie che da iniziative che pretendono di agire sui meccanismi profondi del processo storico. A essi si deve abituare “il buon occhio del saggio” per esercitare la “discrezione”, cioè la capacità di comprendere e sapersi orientare in mezzo alle infinite variazioni che si propongono allo sguardo di chi deve guidare la cosa pubblica. In questo quadro l’obiettivo da perseguire è costituito dal “particulare”, che riguarda sia la sfera personale e si identifica con il “decoro” (cioè la reputazione e l’onore personali e familiari), sia il campo politico, in cui si realizza come il migliore equilibrio possibile tra le violente e oscure forze contrastanti. Il “particulare” non è quindi la trasformistica capacità di fare comunque i propri interessi (come a lungo è stato interpretato), quanto la salvaguardia della propria dignità in tempi di crisi in cui non si riescono a realizzare alti ideali collettivi.

La riflessione sulla “ruina d’Italia”

La discrezione del saggio Il “particulare” come difesa della dignità e dell’equilibrio

■ La “Storia d’Italia”

Questa concezione dell’agire umano è il risultato di una drammatica sconfitta non solo di una politica o di una stra- La crisi di una civiltà tegia militare, ma di tutta una civiltà. La Storia d’Italia (20 libri) fu pubblicata, con numerosi tagli censori, a Firenze nel 1561 e più completa a Venezia nel 1564. Il periodo considerato è relativamente breve: dal 1492 (morte di Lorenzo il Magnifico) al 1534 (morte di Clemente VII, l’ultimo papa 103

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

LA TRATTATISTICA STORICA La politica non è più l’espressione di una vita “civica”, bensì delle regole dello Stato e delle sue tecniche di conservazione. Molto diffusa le lettura di Machiavelli e Tacito. Si può anzi parlare di “tacitismo”, ovvero della più grande riflessione di questi anni intorno all’assolutismo. In posizione prevalentemente antimachiavellica si possono ricordare: i Discorsi sopra Cornelio Tacito (1594) del nobile fiorentino Scipione Ammirato (1531-1601); Della ragion di stato (1589) del cuneese Giovanni Botero (1544-1617); i dialoghi Della perfezione della vita politica (1579) del veneziano Paolo Paruta (1540-1598). Interessante l’opera del marchigiano

Traiano Boccalini (1556 -1613), che cominciò a scrivere i Commentarii sopra Cornelio Tacito (1677, postumo) prima del 1590. Nel 1605 diede inizio ai Ragguagli di Parnaso (1612, 1613 e 1615, postumo), una raccolta di ritratti e schizzi, spesso arguti e burleschi, dei principali esponenti del mondo cortigiano e politico del suo tempo. Numerose sono le osservazioni di argomento politico: a più riprese dichiara il suo favore per la Repubblica di Venezia, ammirata per la libertà garantita dall’illuminato governo aristocratico, e attacca la corruzione della curia romana e la monarchia spagnola, per la sua crudeltà e debolezza.

Medici). In questi decenni si passò dalla prosperità e dall’equilibrio del tardo Quattrocento alla rovina totale, drammaIl sacco di Roma ticamente rappresentata dal sacco di Roma (1527) da parte delle truppe dell’Impero, raccontato da Guicciardini in pagine di alto valore letterario. Egli individua i principali responsabili di tale disastro in Ludovico il Moro e in papa Alessandro VI, che, mossi da un irrefrenabile desiderio di potenza, chiamarono in Italia gli eserciti stranieri. Più in geneViolenza, rale la narrazione mette in risalto il percorso di violenza, di presunzione e cecità presunzione, di cecità dei principi italiani che si illusero dei principi italiani di saper controllare e utilizzare per i propri piccoli interessi dinastici o territoriali forze di gran lunga più potenti La politica di loro. Da queste vicende Guicciardini ricava la convinziocampanilistica ne che non è più possibile ragionare in termini campanilistici, in quanto le cause della rovina di ogni singolo stato italiano derivano dalla crisi di tutto il sistema politico. Così dallo studio del passato nasce una riflessione politica proiettaL’Italia come ta nel futuro: l’identità storico-culturale d’Italia ha bisoorganismo unitario, gno di realizzarsi in un organismo unitario, che egli pendi tipo federale sa di tipo federale. Ma Guicciardini non si illuse che ciò potesse avvenire in tempi brevi: nel suo radicale pessimismo egli avvertì costantemente lo scarto tra le teorizzazioni della ragione e la resistenza opposta dalla realtà. La lingua Unica opera che Guicciardini scrisse per la pubblicazione, la Storia d’Italia presenta una lingua di grande nobiltà formale, a cui non fu estraneo il confronto con le Prose della volgar lingua di Bembo (v. a p. 89). 104

3 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

SCHEMA RIASSUNTIVO NICCOLÒ MACHIAVELLI

Nato a Firenze (1469-1527), fu uomo politico e diplomatico. Sue opere principali sono: Il Principe (1513-14), Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1515-17), i dialoghi De re militari (1521) e la Vita di Castruccio Castracani (1520). È autore anche della commedia La mandragola (1518).

Il pensiero politico

Il fulcro dell’attività politica è costituito dalla ricerca di ciò che è utile per l’insieme dello Stato (che coincide con l’utile del principe e dell’insieme dei sudditi) e il terreno d’indagine della politica è la “verità effettuale della cosa” e non “la immaginazione di essa”. La formazione e la conservazione dello Stato è il vero centro del pensiero machiavelliano, che fonda la politica come scienza autonoma, capace di affrontare razionalmente i casi della “fortuna” e di fornire i “fini” di “mezzi” adeguati e coerenti.

FRANCESCO GUICCIARDINI

Francesco Guicciardini (1483-1540) fu uomo politico protagonista negli anni delle guerre fra Spagna e Francia. Tra le opere principali, i Ricordi, il cui tema è la politica: l’uomo politico deve possedere “il buon occhio del saggio” per esercitare la “discrezione”, cioè la capacità di comprendere e sapersi orientare in mezzo alle infinite e concrete variazioni che si propongono, e per perseguire il “particulare”, cioè l’onore e la dignità in un’epoca di crisi priva di alte finalità collettive.

La “Storia d’Italia”

Nella Storia d’Italia (dal 1492 al 1534), dalle vicende storiche Guicciardini ricava la convinzione che non è più possibile ragionare in termini campanilistici, in quanto le cause della rovina di ogni singolo stato italiano derivano dalla crisi di tutto il sistema politico. Così dallo studio del passato nasce una riflessione politica proiettata nel futuro: l’identità storico-culturale d’Italia ha bisogno di realizzarsi in un organismo unitario, che egli pensa di tipo federale.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Chi è l’”uomo prudente e virtuoso” per Machiavelli? 100a 2. Quale concezione della fortuna ha Machiavelli? 100b 3. Quale rapporto deve per Machiavelli esistere tra politica e morale? 100b

4. Che cos’è l’obiettivo del “particulare” secondo Guicciardini? 103b 5. Che cosa auspicava Guicciardini per il futuro politico dell’Italia? 104b

105

4 Novellistica e teatro del Rinascimento

L’eccezionale produzione letteraria di cui fu artefice l’Italia nel Cinquecento si espresse con particolare ricchezza anche nei generi della novella, che ebbe in Matteo Bandello l’esponente più importante, della commedia, con l’esperienza anticlassicista del Ruzante, e della tragedia.

La novellistica e Matteo Bandello Il modello più imitato rimase Boccaccio e i testi erano quindi inseriti in una cornice narrativa. Bandello costituì una vera novità nel grande filone del genere. Tuttavia altri autori si Straparola distinsero, come il bergamasco Giovan Francesco Strapae “Le piacevoli notti” rola (morto dopo il 1557), il cui nome è legato alla raccolta Le piacevoli notti (1550 e 1553) ambientata nell’isola di Murano: sono fiabe e novelle su temi fiabeschi, due delle quali, in bergamasco e in pavano, costituiscono importanti documenti linguistici. ■ Matteo Bandello

La vita

106

Matteo Bandello (1485-1561) fu letterato finissimo e seppe portare l’arte rinascimentale della conversazione alla dignità di genere letterario. Nato a Castelnuovo Scrivia da una famiglia nobile, entrò giovanissimo nel convento milanese dei domenicani; viaggiò, condusse vita mondana, fu agente diplomatico presso la corte di Isabella d’Este a Mantova. Nel 1522 lasciò definitivamente il convento e chiese, senza successo, di essere sciolto dai voti. Continuò la sua vita di cortigiano, mettendosi a servizio tra gli altri di Cesare Fregoso, luogotenente del re di Francia Francesco I. Fu nominato vescovo di Agen (1550) ma resse la carica solo nominalmente. Durante i vent’anni di permanenza in Francia, Bandello ebbe modo di rielaborare alcune opere minori scritte in Italia e soprattutto curò la grande raccolta di Novelle. Tra il 1536 e il 1538 scrisse i Canti XI delle lodi della signora Lucrezia Gonzaga, che pubblicò nel 1545 insieme ai capitoli in terza rima intitolati Le tre Parche. Del 1539, invece, è il volgarizzamento dell’Ecuba di Euripide, mentre precedente (1509) è la traduzione latina della novella boccacciana dedicata a Tito e Gisippo. Alla sua produzione poetica appartengono più di 200 Rime, di gusto petrarchesco, edite solo nel 1816.

4 - Novellistica e teatro del Rinascimento ■ Le “Novelle” di Bandello

Bandello scrisse novelle durante tutta la vita e infine le raccolse e organizzò in 4 libri, di cui pubblicò i primi tre a Lucca (1553-54) e l’ultimo a Lione (1573). A differenza del Decameron, le sue Novelle non sono inserite in alcuna struttura generale e il loro accostamento non segue un ordine o un criterio tematico ben definito. Si tratta, come ha scritto lo stesso autore, d’una “mistura d’accidenti diversi”. Tuttavia ogni novella è preceduta da un’epistola dedicatoria, indirizzata a personaggi contemporanei, nella quale l’autore dichiara le circostanze “cortigiane” in cui finge di aver ascoltato la storia che si accinge a narrare. Grande è la varietà di temi e registri di questi testi: si va dal tragico al grottesco, dal comico al farsesco, dall’osceno al patetico. Si osserva comunque una certa predilezione per il genere erotico e per gli “amori sfortunati”. Celebre la storia di Giulietta e Romeo. Le fonti delle novelle sono assai varie: dal fatto di cronaca alla leggenda popolare, al resoconto di viaggio; abbondano i rilievi storici e i piccoli eventi quotidiani della vita delle corti, così che le novelle si possono definire il prolungamento scritto delle “conversazioni” cortigiane. Nella lingua delle Novelle si riscontrano numerosi dialettalismi settentrionali e svariati gallicismi; lo stile è intenzionalmente dimesso. Il realismo quotidiano che domina tematicamente questi testi impone del resto una sintassi piana, volta alla rappresentazione “vera” e non letteraria degli eventi. Il senso della grande arte narrativa di Bandello è racchiuso nella sua capacità di proporre un’indagine psicologica sempre sottile e concreta, ma non per questo rifiutandosi a notevoli aperture fiabesche e comiche o tragiche o all’improvviso oscene. Le sue Novelle ebbero grande fortuna europea, da Shakespeare a Stendhal, da A. de Musset a Byron, per citare gli autori più noti.

Temi e registri

Le fonti

La lingua

Il giudizio critico

La commedia La commedia cinquecentesca in italiano riprende materiali classici (Plauto e Terenzio) e più recenti (Decameron). Anche per la lingua la commedia cinquecentesca si apre a una contrapposizione di timbri e linguaggi diversi. Accanto alla Cassaria (1508), la prima commedia in volgare dell’età umanistica, e ai Suppositi (1508) di Ariosto, i maggiori risultati nella prima metà del secolo sono la Mandragola (1518) di Machiavelli e La Calandria (1513) del cardinale Bernardo Dovizi, noto come Bibbiena dal luogo di nascita (1470- Bibbiena 1520). La Calandria mostra un particolare e positivo equi107

4 - Novellistica e teatro del Rinascimento

Il teatro in veneto

librio fra ordine teatrale ed espressività della lingua. La commedia non fu estranea in seguito alla sperimentazione manieristica o dialettale. Scrissero commedie A. Firenzuola (v. a p. 119), il Lasca (v. a p. 119) e G. Gelli (v. a p. 120), P. Aretino (v. a p. 113) e G. Bruno (v. a p. 126). Verso la fine del secolo Annibal Caro (v. a p. 92) scrisse Gli straccioni (1582, postumo). Altissimo è l’esempio del teatro veneto. Già al 1514 risale l’anonima Bulesca, una commedia in dialetto con varie battute in gergo furbesco (ovvero il linguaggio, comicamente trattato, del mondo della delinquenza e del vagabondaggio). Agli anni ’30 può risalire l’anonima Veniexiana, un vero esempio di teatro “diretto”, rapidissimo, fondato sulla massima quotidianità del dialetto.

Ruzante Il padovano Angelo Beolco, detto Ruzante, o Ruzzante (1496-1542) è una delle figure maggiori del Cinquecento. Il mondo rinascimentale viene da lui parodiato in chiave anticlassicistica attraverso la grottesca ed espressionistica rappresentazione del mondo rurale. ■ La vita e l’attività teatrale

La maschera del Ruzante

Figlio naturale di un medico, ricevette una buona educazione a contatto con la cultura accademica e aristocratica dell’entroterra veneto. Dopo il 1520 entrò al servizio del nobile mecenate veneziano Alvise Cornaro, con il quale strinse amicizia e di cui amministrò le vaste proprietà situate nella campagna padovana. La sua attività teatrale iniziò probabilmente come attore dilettante nella parte di Ruzante, maschera comica del contadino rozzo e in miseria, maltrattato dai potenti e sbeffeggiato dalle donne. Presto egli assunse questa figura come propria immagine e pseudonimo, facendone il personaggio principale della sua produzione in dialetto pavano, cui diede un grande spessore umano e psicologico. ■ Le commedie

“Betìa” 108

Il primo testo scritto di Ruzante fu la Pastoral (1518), che riprende lo schema della commedia bucolica e in parte anche le situazioni tipiche del genere colto (amori convenzionali e atteggiamenti artefatti), ma li modifica in maniera grottesca ed espressionistica attraverso l’uso dei dialetti padovano e bergamasco e la presenza della greve comicità contadina. Il primo testo in cui si manifesta tutta l’originalità dello scrittore è la commedia in versi Betìa (1524-25), che

4 - Novellistica e teatro del Rinascimento

prende spunto dal genere dei “mariazi” (farse rusticali per nozze o fidanzamenti), rappresentando una lunga disputa fra contadini per conquistare la mano della bella Betìa. Il conflitto tra il mondo naturale della campagna e le dure conseguenze imposte dalle leggi e consuetudini innaturali della città diventa straordinario gioco scenico nei tre atti unici che rappresentano il momento più alto della produzione di Ruzante: il Dialogo facetissimo (1528), in cui è protagonista la carestia, che riduce il contadino Menego a tale livello di fame da spingerlo a minacciare un suicidio grottesco; il Parlamento de Ruzante che iera vegnù de campo (1529), che celebra il dramma di un contadino sopravvissuto a una battaglia (mirabilmente descritta “dal basso”), che torna a Venezia e trova la moglie in compagnia di un mascalzone dal quale viene picchiato; il Bilora (1529) in cui, ancora una volta, un contadino accoltella, dopo una serie di diverbi, il vecchio e ricco mercante presso il quale la moglie è andata a vivere. In queste opere il mondo contadino è rappresentato senza abbellimenti o sfumature letterarie, senza patetismi né tendenze caricaturali: in primissimo piano vi è la rappresentazione nuda e dolente della realtà, da cui il riso sgorga per il susseguirsi scomposto dei gesti e delle parole con i quali i protagonisti tentano di farsi schermo dalla condizione grottesca della vita, mentre diventa sempre più forte nello spettatore la percezione della tragicità dei fatti narrati con linguaggio e strumenti comici. Di maggiore complessità scenografica e più attenta ai modelli letterari è la Moscheta (1529), commedia in cinque atti che mette in scena le avventure di due contadini inurbati, Ruzante e sua moglie Betìa, della quale si sono innamorati anche l’agricoltore Menato e il soldato bergamasco Tonin. La situazione dà luogo a un crescendo di vicende comiche che coinvolgono i quattro personaggi e che si concludono con la scelta spregiudicata di un rapporto a tre tra Ruzante, Betìa e Menato. Nel prologo Ruzante afferma il valore supremo della “snaturalité”, la naturalità, che deve essere posta a fondamento di tutte le relazioni umane e che si traduce in una fruizione gioiosa del proprio corpo. Tra gli elementi costitutivi della “snaturalité” vi è l’uso della lingua della propria terra, nello specifico il pavano, che si contrappone alla lingua artificiale, il “fiorentinesco” di origine colta e letteraria, o alla lingua affettata e piena di fronzoli, la “moscheta” (linguaggio usato da Ruzante per mimetizzarsi presentandosi travestito alla moglie). Negli anni successivi la creatività di Ruzante s’impoverì: la Fiorina (1530) riprende la trama della Moscheta, ma con minore vigore comico e

I tre atti unici

Il mondo contadino, grottesco e tragico

La “Moscheta”

La “snaturalité”

Le ultime commedie 109

4 - Novellistica e teatro del Rinascimento

polemico. In seguito cercò di misurarsi con i modelli tradizionali e classici, trasferendo nel suo mondo i temi della commedia di Plauto: documentano questa svolta le commedie Piovana (1532), Vaccaria (1533) e l’Anconitana, di datazione incerta. L’ultima opera pervenuta è la Lettera all’Alvarotto (1536), indirizzata all’amico che era solito fargli da spalla sul palcoscenico.

La tragedia classicistica

Le regole della tragedia

All’inizio del Cinquecento la Poetica di Aristotele divenne testo normativo dei principali generi letterari. Per la tragedia si ritenne che le riflessioni compiute dal filosofo greco fornissero “regole”(le unità di tempo, luogo e azione) da seguire comunque per il genere tragico. La prima tragedia fedele a queste norme fu proposta da G.G. Trissino. A essa seguì l’opera di altri autori: il fiorentino Giovanni Rucellai (14751520) con Rosmunda (1516) e Oreste (1525); il ferrarese Giambattista Giraldi Cinzio (1504-1573) con Orbecche (1541), di ispirazione senechiana; il padovano Sperone Speroni (1500-1588) con Canace (1546); il veneziano Ludovico Dolce (1508-1568) con Didone (1547) e Marianne (1565); infine, Pietro Aretino (v. a p. 113) con Orazia (1546). ■ Gian Giorgio Trissino

La questione della lingua

110

Il vicentino Gian Giorgio Trissino (1478-1550) godette dell’appoggio dei papi Leone X, Clemente VII e Paolo III, per i quali compì numerose missioni diplomatiche in Italia e Germania. Fu un fiero sostenitore del classicismo letterario e artistico. Nel dialogo Il castellano (1529) affrontò la questione della lingua, rifiutando le tesi della “toscanità” e della “fiorentinità” a favore di una fusione dei vari dialetti (il “parlar comune”), sulla base del dantesco De vulgari eloquentia, da lui tradotto. Propose persino una riforma ortografica. Nell’Arte poetica (1529-62) teorizzò il sistema dei generi letterari, stabilendo norme rispettose della poetica di Aristotele e ispirate al classicismo. Le sue opere teatrali costituiscono un’applicazione dei suoi principi: la commedia I simillimi (1548), sul modello di Aristofane e di Plauto; la Sofonisba (1524), prima tragedia “regolare”, in endecasillabi sciolti e fedele allo schema della tragedia greca. Scrisse inoltre la raccolta di Rime volgari (1529), interessanti per le sperimentazioni metriche; il poema epico L’Italia liberata dai Goti (1547-48).

4 - Novellistica e teatro del Rinascimento

SCHEMA RIASSUNTIVO NOVELLA

Continua l’imitazione del Boccaccio. Principale esponente Matteo Bandello (14851561), le cui novelle non sono inserite in alcuna struttura generale e il loro accostamento non segue un ordine o un criterio tematico ben definito. Grande è la varietà di temi e registri: si va dal tragico al grottesco, dal comico al farsesco, dall’osceno al patetico. Si osserva comunque una certa predilezione per il genere erotico e per gli “amori sfortunati”.

COMMEDIA

Riprende temi classici e volgari (Decameron). Esponenti principali Bernardo Dovizi da Bibbiena (1470-1520), autore della Calandria (1513), e Angelo Beolco detto Ruzante (1496-1542). Nelle sue opere (Betìa, 1524-25; Bilora, 1529; Moscheta, 1529) il mondo contadino è rappresentato senza abbellimenti o sfumature letterarie, senza patetismi né tendenze caricaturali: in primissimo piano vi è la rappresentazione grottesca e dolente della realtà, mentre diventa sempre più forte nello spettatore la percezione della tragicità dei fatti narrati con linguaggio (i dialetti padovano e bergamasco) e strumenti comici.

TRAGEDIA CLASSICISTICA

Segue le regole formulate nella Poetica di Aristotele: unità di tempo, luogo e azione. Autore della prima tragedia “regolare” (Sofonisba, 1524) è Gian Giorgio Trissino (1478-1550), che affrontò anche la questione della lingua a favore di un parlar comune contro la fiorentinità (Il castellano, 1529).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i temi e le fonti delle Novelle di Bandello? 107a 2. Come è rappresentato il mondo contadino da Ruzante? 109a

3. Che cosa intende Ruzante con il termine “snaturalité”? 109b 4. A quali regole si adegua la tragedia italiana del Cinquecento? 110a

111

5 Anticlassicismo Nel Rinascimento si manifestano anche proposte alternative al classicismo: esperienze plurilinguistiche e sperimentali (o persino parodistiche e grottesche come la lingua “macheronica”, cioè la contaminazione di parole latine con termini volgari e viceversa) promuovono una letteratura assai lontana dal modello petrarchesco, con protagonisti eccezionali come Teofilo Folengo e Pietro Aretino.

Teofilo Folengo Il mantovano Teofilo Folengo (1491-1544), autore del Baldus, un poema “macheronico”, rielaborò la materia classica senza temere di contaminare la tradizione letteraria e senza fermarsi di fronte ad alcuna stranezza. ■ La vita e le opere

Il “Liber macaronicus”

“Baldus”, “Zanitonella” e “Moschea”

L’”Orlandino”

112

Gerolamo Folengo fu monaco benedettino con il nome di Teofilo. Nel 1517 (o forse 1518) pubblicò con lo pseudonimo di Merlin Cocai il Liber macaronicus, che comprendeva, tra gli altri testi, la prima versione del poema epico Baldus di 6230 versi; ne pubblicò nel 1521 una seconda edizione, aumentata e rielaborata, cui diede il titolo di Opera del poeta mantovano Merlin Cocai dei Macheronici (Opus Merlini Cocai poetae mantuani Macaronicorum). In essa, oltre al Baldus, assumono particolare importanza le egloghe della Zanitonella, che cantano l’amore non corrisposto del contadino Tonello per Zanina, e il poema eroicomico in tre libri Moschea, che narra la guerra vittoriosa delle formiche contro le mosche. Verso il 1525 uscì dall’ordine benedettino e si mise al servizio di Camillo Orsini, capitano veneziano, come precettore del figlio Paolo. Sotto lo pseudonimo di Limerno Pitocco pubblicò un poema cavalleresco in italiano, l’Orlandino (1526) e un’opera singolare, il Caos del Triperuno, composta da versi e prose in latino, in italiano e in maccheronico. Nel 1530 tornò alla vita religiosa e con il fratello Giambattista si ritirò come eremita dapprima sul monte Conero presso Ancona, poi in diverse località dell’Italia meridionale e in particolare nella penisola sorrentina; qui fece la conoscenza della poetessa Vittoria Colonna e compose il poema religioso La umanità del Figliolo di Dio (1533), oltre a numerosi epigrammi latini e al poemetto Janus (1535). Verso il 1539 fu trasferito in Sicilia; tra il 1535 e

5 - Anticlassicismo

il 1540 pubblicò la terza edizione della sua opera con il titolo Macaronicorum poema. Nel 1542 fu assegnato a un monastero presso Bassano del Grappa dove due anni dopo morì. Negli ultimi anni compose alcuni testi di argomento religioso pubblicati dopo la sua morte nella raccolta Hagiomachia; postuma fu anche la quarta e ultima edizione dell’opera principale, nuovamente modificata (1552). ■ Il “Baldus”

Il poema al quale Folengo si dedicò per quasi tutta la vita prende spunto da materiali dei cicli cavallereschi, manipolati con estrema libertà compositiva. Baldo è figlio di Guido di Montalbano e di Baldovina, figlia del re di Francia. Egli nasce a Cipada, vicino a Mantova e, allevato da un vecchio contadino, diventa capo di una banda di violenti che si fanno valere con zuffe e percosse. Baldo e i suoi s’imbarcano per andare a combattere contro mostri, streghe e diavoli, fino a giungere all’inferno. Qui il poema s’interrompe all’improvviso: il Baldus ha i caratteri tipici di un’opera in perpetuo divenire e la trama subisce corrispondenti modificazioni; a ciò si aggiunge la decisione del poeta di non concludere il poema, lasciando volutamente spazio all’immaginario del lettore. La regola fondamentale del poema è la ricerca paradossale di sempre nuove situazioni con cui confrontarsi per sperimentare la forza espressionistica di una lingua che si regge sulla tensione fra i due suoi elementi costitutivi: da una parte la rigidità metrico-grammaticale del latino e dall’altra la magmaticità incontenibile, carnevalesca del dialetto. Ne consegue una continua demistificazione di ogni tradizione colta, bruciata non appena viene sfiorata dalla materialità, dalla fisicità grottesca che caratterizza il poema.

La trama

Opera in perpetuo divenire

Lingua espressionistica: latino e dialetto

Pietro Aretino Pietro Aretino (1492-1556), singolare figura di consigliere di principi e re, amico di letterati e artisti, libellista temutissimo, fu penna spregiudicata e libera, trionfalmente digiuna di ogni educazione umanistica. ■ La vita e le opere

Nato in povertà ad Arezzo, si trasferì a Roma (1517), dove s’impose come autore satirico, scrittore di violente “pasquinate” (sonetti satirici che ogni 25 aprile venivano attaccati a Roma alla statua detta di Pasquino, un torso ellenistico). Lasciata la città, vi tornò nel 1523 quando Giulio de’ Medici, suo protettore, divenne papa Clemente VII. La pubbli113

5 - Anticlassicismo

I “Sonetti lussuriosi” cazione dei 16 Sonetti lussuriosi (1526), scritti a commento delle incisioni erotiche di Giulio Romano, fece scandalo e Aretino fu costretto a lasciare definitivamente Roma. Rifugiatosi presso il campo militare dell’amico Giovanni delle Bande Nere, alla morte di quest’ultimo si ritirò per pochi mesi a Mantova presso i Gonzaga. Nel 1527 si trasferì a Venezia (dove rimase sino alla morte), circondandosi di una cerchia di amici intellettuali di risonanza europea e divenendo così un punto di riferimento culturale per tutta la città. Negli anni veneziani sperimentò quasi tutti i generi letLe commedie terari; si ricordano le commedie La cortigiana (1534) e Il e la tragedia marescalco (1527-30), la tragedia in versi Orazia, opere cavalleresche, religiose e agiografiche (Salmi, Passione di Gesù ecc.). ■ I “Ragionamenti”

La fama di Aretino è legata ai dialoghi osceni di prostitute, indicati con il titolo generale di Ragionamenti o con quello di Sei giornate. Tra questi si segnalano il Ragionamento della Nanna e dell’Antonia (1534) e il Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa (1536). Nel primo testo si asIl rovesciamento siste a un rovesciamento parodistico dell’ideale percorso dell’ideale cortese dell’educazione femminile codificato nel Cortegiano di B. Castiglione (v. a p. 91) e nei trattati d’amore: la monaca lasciva passa allo stato di moglie infedele per giungere all’ideale perfezione della cortigiana e cioè della prostituta. Lingua dissacratoria Sfruttando tutte le potenzialità espressive del parlato volgare e giocando su differenti modi linguistici (l’epico, il ricattatorio, il comico, l’osceno, il devoto ecc.), Aretino perviene a una lingua perfettamente adeguata a rappresentare la sua prospettiva dissacratoria e il suo scetticismo morale. Con la stampa a Venezia (1538) del primo libro delle sue LetLe “Lettere” tere, inventò il genere letterario dell’epistolario volgare. Le Lettere, infatti, non sono semplici raccolte di epistole scritte dall’autore, ma sono state pensate come libro. Il giudizio critico Considerato autore osceno fino a tutto l’Ottocento, Aretino è stato rivalutato dalla critica del Novecento per la vivacità stilistica dei mezzi espressivi e per l’efficace e realistica rappresentazione della società cinquecentesca. La sua tematica e la sua operazione “antiletteraria”, tuttavia, si rivelano infine d’orizzonte artisticamente e culturalmente limitato.

114

5 - Anticlassicismo

SCHEMA RIASSUNTIVO ANTICLASSICISMO

Plurilinguismo, lingua macheronica (la continua contaminazione di parole latine con termini volgari e viceversa) sperimentano una forma opposta al classicismo volgare.

TEOFILO FOLENGO

Monaco benedettino mantovano, Teofilo Folengo (1491-1544) fu autore del poema epico maccheronico Baldus, la cui regola fondamentale è la ricerca paradossale di sempre nuove situazioni con le quali confrontarsi, per sperimentare la forza espressionistica di una lingua che si regge sulla tensione fra i due suoi elementi costitutivi: da una parte la rigidità metrico-grammaticale del latino e dall’altra l’espressione carnevalesca del dialetto.

PIETRO ARETINO

Pietro Aretino (1492-1556), amico di letterati e artisti, consigliere di principi e re, nei suoi Ragionamenti, scritti negli anni ‘30, sfruttò tutte le potenzialità espressive del parlato volgare e, giocando su differenti modi linguistici (l’epico, il ricattatorio, il comico, l’osceno, il devoto ecc.), pervenne a una lingua perfettamente adeguata a rappresentare la sua prospettiva dissacratoria e il suo scetticismo morale.

DOMANDE DI VERIFICA 1. L’anticlassicismo si pone come alternativa a quale modello? 112a 2. Qual è il carattere tipico del Baldus? 113

3. Quale fine ha nell’Aretino l’uso del parlato volgare? 114b

115

6 Manierismo Il termine “manierismo” sta a indicare una concezione estetica fondata sull’imitazione di particolari aspetti di poetiche già affermate e definite come modelli. Inizialmente utilizzato per designare una tendenza tipica dell’arte figurativa della seconda metà del Cinquecento, in ambito letterario la parola è di uso piuttosto recente: infatti solo alla metà del sec. XX alcuni critici hanno iniziato a parlare di manierismo per i cambiamenti che si manifestarono nella produzione letteraria dal 1530 fino alla fine del secolo. Alla base del manierismo letterario in primo luogo è la teorizzazione del modello petrarchesco elaborata da Bembo: essa comportava lo sviluppo di un virtuosismo formale e concettuale da cui derivò un’infinità di minute variazioni, che accentuarono ora l’uno ora l’altro degli aspetti fusi in Petrarca in un quadro omogeneo (toni elegiaci, sottolineatura del tema del dolore, tendenza a privilegiare effetti decorativi e paesaggistici). Appartengono al manierismo il piacere del paradosso di Berni, l’accentuato autobiografismo eroicizzante di Cellini, la prosa raffinata di Giovanni Della Casa, il controllo stilistico di Agnolo Firenzuola, la bizzarria del Lasca e di Gelli e soprattutto la grande poesia di Tasso.

Giovanni Della Casa Giovanni Della Casa (1503-1556) fu una delle figure più rappresentative del petrarchismo manierista. ■ La vita e le opere

La carriera ecclesiastica

Le “Rime”

116

Nativo del Mugello, dopo aver studiato lettere a Bologna, Firenze e Padova, nel 1534 decise di trasferirsi a Roma. Lì intraprese una felice carriera ecclesiastica che lo portò a diventare arcivescovo di Benevento (1544) e nunzio apostolico a Venezia (1549). Durante il soggiorno veneziano, istituì il tribunale dell’Inquisizione in Veneto e compilò il primo Index librorum proibitorum (1548). Nel 1555 papa Paolo IV lo chiamò a Roma come segretario di Stato. D’argomento politico sono le due Orazioni in prosa volgare rivolte alla Repubblica di Venezia e a Carlo V. Le Rime, edite postume nel 1558, vengono solitamente considerate il più bel canzoniere italiano tra Ariosto e Tasso. Sono 66 componimenti di stile petrarchesco strutturati in modo organico e unitario. La loro originalità rispetto all’illustre modello risiede nella tematica, perché al tema amoroso Della Casa preferisce i temi della disillusione, della vanità del

6 - Manierismo

mondo, del rovello morale e dei conflitti tra reale e ideale; nella struttura stilistico-metrica, perché il discorso viene articolato superando spesso l’unità del verso e della strofa. In questo modo i concetti e le immagini non sono più confinati negli spazi tradizionali, ma fluiscono liberamente imponendo al testo un ritmo nuovo e suggestivo. ■ Il “Galateo”

Il Galateo (1558, postumo), considerato il capolavoro di Della Casa, è un trattato sulle buone maniere e sul corIL PETRARCHISMO È il fenomeno di imitazione che prese a modello i contenuti, la lingua e le forme espressive di Petrarca. Già nel Trecento e nel Quattrocento Petrarca fu un esempio fondamentale da seguire per aver fornito alla lingua italiana un’omogeneità e una purezza quasi classica. Contemporaneamente alla riflessione teorica si diffuse, specialmente nelle città dell’Italia settentrionale, un petrarchismo cortigiano, attento alle forme, al lessico, alle situazioni caratteristiche del Canzoniere. Ne trasse origine una vasta produzione, che ebbe il suo culmine nel canzoniere di M.M. Boiardo (v. a p. 84). Con l’inizio del sec. XVI le caratteristiche del petrarchismo mutarono profondamente: esso assunse i tratti di una concezione estetica compiuta, immodificabile nella sua perfezione. Tale evoluzione trovò il suo spunto concreto nel lavoro filologico e poetico di P. Bembo. Nacque una vera e propria corrente: I. Sannazaro (v. a p. 85), A. Caro (v. a p. 92) e il fiorentino Benedetto Varchi (1503-1565), che nel dialogo L’Ercolano (1570, postumo) tentò (oltre al recupero del “fiorentino”) un primo bilancio storico della questione della lingua. Divenuto una sorta di linguaggio poetico convenzionale e omogeneo in tutta Italia, il petrarchismo fu anche lo strumento con cui si espressero alcune poetesse. La romana Vittoria Colonna (1490 -1547) unì nelle sue Rime al rimpianto per la morte del marito un alto senso della propria arte. La bresciana Veronica Gambara (1485-

1550), aristocratica e colta, scrisse sonetti, le Rime diverse di alcune nobilissime e virtuosissime Donne (1559) e Lettere. La padovana Gaspara Stampa (15231554) nelle sue Rime, pubblicate postume (1554), riprese situazioni e modi della lirica d’amore contemporanea, rivitalizzati con l’espressione sincera e patetica della sua intensa vita sentimentale. La comunanza stilistica e di tematiche favorì anche, nella seconda metà del Cinquecento, la compilazione e la pubblicazione di antologie di poesia petrarchista. Rapporti dialettici estremamente importanti si istituirono tra petrarchismo e manierismo. Quest’ultimo fece proprio tutto il patrimonio lessicale, topico e di immagini proprio del petrarchismo, ma non accolse il presupposto di immutabilità classica, di equilibrio raggiunto e di insuperabile armonia presente nell’elaborazione bembesca; anzi, proprio attraverso l’utilizzo esasperato, amplificato, settoriale di quegli strumenti, espresse l’inquietudine profonda caratteristica degli ultimi decenni del sec. XVI. Tra le figure più significative del petrarchismo manierista, oltre a Torquato Tasso (v. a p. 122), fu il grande artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564), le cui Rime, pubblicate postume (1623) dal nipote omonimo, mostrano talora (soprattutto quelle per Vittoria Colonna) una ricercatezza formale che cede, nelle composizioni più tarde, a un sincero tormento interiore, con una lingua dinamicamente in lotta col canone petrarchista.

117

6 - Manierismo

retto modo di comportarsi in società. L’opera deve il titolo (diventato sostantivo per antonomasia) al nome latinizzato del suo committente: il vescovo di Sessa Galeazzo (Galatheus) Florimonte. Nel testo un vecchio, illetterato ma saggio, educa un giovane alle buone maniere da tenere a tavola, nelle riunioni conviviali, nel vestire, nelle conversazioni. In una prosa raffinata il Galateo codifica così, all’interno degli ideali umanistici della cortesia e della misura, norme di comportamento improntate all’ideale classico del giusto mezzo.

Berni e il modello burlesco Francesco Berni (circa 1497-1535), con un sistema retorico dominato da figure quali l’illusione, l’amplificazione caricaturale, la parodia e l’elencazione, diede l’avvio a una tradizione di poesia satirica e demistificatoria. ■ La vita

Nato a Lamporecchio in Val Nievole, ebbe la sua prima educazione letteraria a Firenze. Nel 1517 si trasferì a Roma presso il cardinal Bernardo Dovizi detto il Bibbiena e poi da Angelo Dovizi, protonotaio apostolico. Quando, nel 1522, divenne papa il fiammingo Adriano VI, Berni, che lo aveva duramente attaccato nelle sue poesie, dovette lasciare Roma. Ritornatovi dopo l’elezione di Clemente VII, passò successivamente al servizio del vescovo di Verona Matteo Giberti. Nel 1532, a Firenze, servendo il cardinale Ippolito de’ Medici e divenuto intimo del duca Alessandro de’ Medici, fu coinvolto nelle lotte che opponevano Ippolito al duca Alessandro. In quelle drammatiche circostanze, morì avvelenato. ■ Poesia e parodia

I “Capitoli”

118

La prima opera di valore di Berni è il dramma rusticale in ottave La Catrina (scritto intorno al 1516 ma edito postumo nel 1567), che narra il contrasto tra i villani Beco e Mecherino per il possesso della bella Catrina. Agli anni 1524-31 risalgono il Dialogo contra i poeti (1526), rifacimento, in forma burlesca (cioè ribelle, parodistica) e toscana dell’Orlando innamorato di M.M. Boiardo (v. a p. 84), e soprattutto la maggior parte dei suoi celebri Capitoli in terza rima. Questi, insieme a sonetti satirici, furono pubblicati in edizioni incomplete a partire dal 1537. Nel clima dominato dal classicismo di Bembo, Berni fu, insieme all’Aretino, il più violento demistificatore dell’edonismo letterario cinquecentesco. Le sue radicali dichiarazioni di poetica, unitamente ai suoi versi aspri e dissacratori, esprimono un at-

6 - Manierismo

teggiamento decisamente antiletterario. All’interno del capitolo (componimento poetico con forma metrica derivata dalla terzina dantesca) Berni loda oggetti poetici paradossali come l’orinale, la peste, l’ago, le pesche, il debito, il caldo del letto, le anguille. Le realtà più miserabili della Lingua vivace, condizione umana vengono così esaltate in un linguaggio plebea, oscena vivacissimo e plebeo in cui dominano, arguti e frequenti, i doppi sensi osceni. La codificazione degli elementi stilistici che compongono la poesia satirica di Berni è stata così forte da determinare la nascita di una vera e propria “maniera”.

Agnolo Firenzuola Agnolo Firenzuola, pseudonimo di Michelangiolo Giovannini (1493-1543) per la costante ricerca di una forma dall’andamento musicale, ricca di artifici, sensuale e festosa, si impose come uno dei maestri del manierismo. Nato a Firenze, entrò nell’ordine monastico dei Vallombrosani, in cui ricoprì importanti incarichi. A Roma, dove si era trasferito nel 1518, entrò in contatto con P. Aretino, A. Caro, G. Della Casa. Tradusse le Metamorfosi dello scrittore latino Apuleio, alle quali egli diede il titolo di Asino d’oro (1525). Fra il 1523 e il 1525 compose i Ragionamenti, originale raccolta costituita da novelle di contenuto erotico e comico, scritte in una lingua vicina al parlato, e da dotti e raffinati interventi sulla natura d’amore, per i quali è usato un linguaggio ricercato e fortemente letterario. L’opera rimase incompiuta. Scrisse due commedie, La Trinunzia e I lucidi (1549, postumo) e stese La prima veste dei discorsi degli animali (circa 1540), libero adattamento di antiche favole indiane del Pañcatantra conosciute da Firenzuola attraverso le versioni latine e spagnole. In quest’opera la sua vena narrativa si realizza in modo più limpido e felice che nei Ragionamenti e si concretizza in una serie di favole e di apologhi raccontati con garbo in una lingua semplice, ma sempre stilisticamente controllata. Compose anche il Celso, dialogo delle bellezze delle donne (1548).

Traduzione di Apuleio I “Ragionamenti”

Le commedie e i “Discorsi degli animali”

Bizzarria manierista: Lasca e Gelli Il fiorentino Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca A.F. Grazzini (1503-1584) nel 1540 fondò l’Accademia degli Umidi, assu- detto il Lasca mendo il soprannome di Lasca. Nel 1582 aderì alla nascente Accademia della Crusca. Fu autore di farse (Il frate; La giostra; La Monica, andata perduta) e di 7 commedie, tutte precedenti il 1566 (La gelosia; La spiritata; La strega; La 119

6 - Manierismo

Le “Cene”

G. Gelli

pinzochera; La Sibilla; I parentali; L’arzigogolo). In esse la soggezione ai modelli del teatro classico è riscattata dall’osservazione di un piccolo mondo cittadino, condotta con grazia e arguzia efficaci. L’opera più nota è la raccolta di 22 novelle intitolata le Cene e divisa in tre parti. La prima fu pubblicata solo nel 1756, la seconda nel 1743, la terza, incompleta, nel 1815. Secondo il modello del Decameron, una cornice inquadra le novelle, che si immaginano narrate in tre sere da una compagnia di cinque giovani e di cinque ragazze. Di argomento vario (beffe, storie comiche e tragiche, avventure amorose), le novelle reinterpretano il motivo della burla boccaccesca con sensualità ed estro caricaturale. Il Lasca scrisse anche numerose rime sul modello burlesco del Berni, del quale curò un’edizione delle opere, e fu tra i primi a sperimentare il poema eroicomico con la Guerra de’ mostri (1547). Il fiorentino Giambattista Gelli (1498-1563), autodidatta, frequentò la corte medicea di Cosimo I e tenne tra il 1541 e il 1563 una serie di lezioni pubbliche su passi dell’opera dantesca, raccolte poi sotto il titolo di Letture sopra la “Commedia” di Dante. Oltre a questa produzione critica ed ese-

BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA: VASARI E CELLINI Nel periodo rinascimentale la biografia e l’autobiografia tesero a evidenziare funzioni esplicitamente elogiative ed encomiastiche. Biografia e autobiografia per la prima volta critiche furono le Vite di G. Vasari e i Ricordi di F. Guicciardini (v. a p. 103). È da sottolineare che parte del biografismo cinquecentesco fu anche legato alle lotte religiose e politiche del periodo. L’aretino Giorgio Vasari (1511-1574), pittore e scrittore, lavorò a Firenze, Venezia e Roma. Al soggiorno romano (1542-46) risale la prima stesura delle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri (1550), la prima grande opera di storiografia artistica: l’autore delinea uno sviluppo progressivo dell’arte in tre età, culminanti con la maniera moderna di Raffaello, Michelangelo e Leonardo, maestri insuperati nell’imitazione della natura, scopo dell’arte. Per ogni periodo, in una prosa vivace e limpida sono forniti dettagliati profili biografici, accompagnati da giudizi critici acu-

120

ti, anche se a volte tendenziosi. Dopo un approfondimento degli studi e un confronto con altri critici d’arte, l’autore giunse a una seconda edizione (1568), nella quale rafforzò l’impianto teorico sottolineandone il principio guida: la preminenza del disegno sul colore. Con il fiorentino Benvenuto Cellini (15001571), insigne scultore e orafo, si può parlare invece di vera e propria autobiografia nel senso moderno. La Vita (composta tra il 1558 e il ‘65, interrotta nel 1562 e rimasta inedita fino al 1728) rovescia gli ideali cortigiani del Rinascimento in favore di una vibrante e incalzante contraddittorietà, che dà alla scrittura un ritmo tutto manierista e ribelle. Non si tratta più del tradizionale “itinerario spirituale”; l’opera è l’originale catalogo di ricordi dell’autore (spesso amplificato da invenzioni romanzesche) e di impressioni che da essi sono scaturite. Altre opere da ricordare sono i due trattati sull’oreficeria e sulla scultura (1565-67).

6 - Manierismo

getica compose due commedie, La sporta (1543) e Lo errore (1553), entrambe di derivazione machiavelliana, opere di riflessione morale ma di sano gusto popolare come I ragionamenti di Giusto bottaio (1548) e soprattutto La Circe (1549) e, ancora, un trattato sulla questione della lingua, Ragionamento sopra le difficoltà di mettere in regole la nostra lingua (1551), in cui, contro le teorie di Bembo, sostenne la superiorità del fiorentino parlato su quello letterario e sulla lingua cortigiana da esso derivata.

SCHEMA RIASSUNTIVO MANIERISMO

Si sviluppa a partire dal 1530 una tendenza, sorta in ambito artistico, che privilegia, in letteratura, il virtuosismo formale con accentuazione di toni elegiaci, effetti decorativi e paesaggistici, tema del dolore. Il petrarchismo ne fu uno degli aspetti più manifesti.

GIOVANNI DELLA CASA

Giovanni Della Casa (1503-1556) fu ecclesiastico di carriera. Le Rime, edite postume nel 1558, sono considerate il più bel canzoniere italiano tra Ariosto e Tasso. Il Galateo, anch’esso postumo (1558) in una prosa raffinata codifica, all’interno degli ideali umanistici della cortesia e della misura, norme di comportamento improntate all’ideale classico del giusto mezzo.

FRANCESCO BERNI

Francesco Berni (circa 1497-1553), al servizio di ecclesiastici famosi e dei Medici, morì avvelenato. Nei suoi Capitali, pubblicati a partire dal 1537, le radicali dichiarazioni di poetica, unitamente ai versi aspri e dissacratori, esprimono un atteggiamento decisamente antiletterario.

AGNOLO FIRENZUOLA

Pseudonimo del fiorentino Michelangiolo Giovannini (1493-1543), monaco vallombrosano, compose tra il 1523 e il 1525 i Ragionamenti, originale raccolta costituita da novelle di contenuto erotico e comico, scritte in una lingua vicina al parlato, affiancata però da dotti e raffinati interventi sulla natura d’amore, per i quali il linguaggio diventa ricercato e fortemente letterario.

LASCA

Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca (1503-1588), fiorentino, scrisse le novelle delle Cene (pubblicate postume, 1743, 1756 e 1815) di argomento vario (beffe, storie comiche e tragiche, avventure amorose), che reinterpretano il motivo della burla boccaccesca con sensualità ed estro caricaturale.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i temi e i modi peculiari del manierismo? 116a 2. Qual è l’originalità delle Rime di Della Casa? 116b

3. Che cosa in Berni ha contribuito a creare una vera e propria “maniera”? 118a 4. A quali tradizioni letterarie si ispira Firenzuola? 119

121

7 Tasso e il periodo

controriformistico

Il consolidamento delle monarchie assolute e il dominio della Spagna sull’Italia sono gli elementi di un periodo di grave crisi politico-culturale. Ancora più determinante lo sconvolgimento prodotto dalla Riforma protestante, entrata solo limitatamente in Italia, ma che si diffuse rapidamente nel Nordeuropa. La Chiesa reagì convocando il concilio di Trento (1545-1563) con l’intento di una più rigida definizione dei dogmi. Il forte controllo della Chiesa non si esercitò soltanto direttamente (per esempio, con l’Indice dei libri proibiti, pubblicato nel 1559) ma anche indirettamente, attraverso il lavoro di elaborazione della cultura cattolica. Interprete di questa drammatica crisi e delle contraddizioni dell’epoca fu Torquato Tasso.

Una vita drammatica

Le prime opere

Alla corte di Ferrara

122

Torquato Tasso (1544-1595) è una delle figure più alte della letteratura italiana e la massima espressione della cultura tardo-rinascimentale. Grande poeta e scrittore, fece propria l’eredità del Rinascimento coniugandola con le istanze e le contraddizioni dell’epoca della Controriforma e diede vita a un’arte capace di esprimersi con una sensibilità moderna. Tasso nacque a Sorrento in una famiglia della piccola nobiltà: la madre, Porzia de’ Rossi, era toscana; il padre, Bernardo, di origine bergamasca, elegante letterato petrarchista, si era stabilito nel Regno di Napoli al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, che seguì a Roma dove si fece raggiungere dal giovane Torquato, che cominciò una vita di peregrinazioni tra Bergamo, Urbino, Venezia, Padova e altre località. Intanto aveva cominciato a scrivere versi: nel 1559 pose mano a un primo abbozzo di poema epico dal titolo Libro primo del Gierusalemme; poco dopo pubblicò il Rinaldo (1562). Lavorava contemporaneamente a un’interessante riflessione sulla poesia, i Discorsi sull’arte poetica, pubblicati più di vent’anni dopo (1587). Nel 1565, a Ferrara, entrò al servizio del cardinale Luigi d’Este: fu il periodo migliore della vita di Tasso, al centro di significativi apprezzamenti da parte della corte, in particolare dalle sorelle del duca, Lucrezia ed Eleonora. Questo periodo fu coronato dalla stesura e dalla messa in scena della favola pasto-

7 - Tasso e il periodo controriformistico

rale Aminta (1573), rappresentata con vivo successo nell’isoletta del Belvedere. Nel corso dei due anni successivi il poeta si impegnò a fondo nella prima stesura del poema sulla crociata, la Gerusalemme liberata, che fu presentata al duca Alfonso e a sua sorella Lucrezia suscitando il loro grande entusiasmo. Come riconoscimento della sua arte, nel 1576 venne nominato storiografo di corte. Lo sforzo creativo e le tensioni della vita cortigiana minarono il suo fragile equilibrio psichico, che si sentì sempre più vittima di improbabili congiure. Per verificare la propria correttezza teologica volle sottoporsi al vaglio del Sant’Uffizio: assolto, non accettò volentieri la sentenza, in quanto si sentiva incerto nei confronti della fede cattolica. Sempre più sospettoso, manifestò un atteggiamento delirante che culminò con l’aggressione a un servo (1577), per cui venne messo sotto custodia nel convento di San Francesco. Tasso fuggì da Ferrara e iniziò a girovagare per l’Italia giungendo fino a Sorrento, dalla sorella che non lo vedeva da anni. Si trasferì per qualche tempo a Urbino, ospite di Francesco Maria della Rovere e poi a Torino. Durante queste peregrinazioni cominciò a stendere i Dialoghi, su cui continuò a lavorare fino ai suoi ultimi giorni. Tornato improvvisamente a Ferrara (1579) nel giorno delle nozze tra Alfonso II e Margherita Gonzaga, cominciò a dare in escandescenze e a inveire contro il duca; arrestato, fu rinchiuso nell’ospedale di Sant’Anna, dove fu sottoposto per quattordici mesi a un regime di dura segregazione e per altri cinque anni a un trattamento più blando. Durante la sua reclusione uscì la prima edizione integrale della Gerusalemme liberata (1581), che ottenne un immenso successo. Il poeta seguì con ansia e interesse le vicende del suo lavoro e scrisse l’Apologia della Gerusalemme liberata (1585) in difesa delle scelte compiute. Dopo molte insistenze e intercessioni nel 1586 venne rilasciato e affidato al duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga. Tasso si allontanò presto dalla città lombarda e riprese a girovagare senza una meta apparente: fu a Bergamo, ove pubblicò la cupa tragedia Re Torrismondo (1587), a Roma, a Napoli, dove fu ospite del monastero degli Olivetani, per i quali scrisse il poemetto Il monte Oliveto (1588); tornò a Roma, dove risiedette presso Scipione Gonzaga, per il quale scrisse la Genealogia di Casa Gonzaga (1591). Tornò a Mantova, dove pubblicò la Prima parte delle Rime (1591), una raccolta di liriche in cui rielaborò con intensa sensibilità l’intera eredità petrarchesca (i temi della bellezza, della natura, dell’amore, della lontananza e della morte). Di nuovo a Roma si dedicò alla revisione completa (con una sottolineatura

La stesura della “Gerusalemme liberata”

La crisi psicologica e la mania di persecuzione

La fuga da Ferrara e nuove peregrinazioni

La reclusione in ospedale Pubblicazione della “Gerusalemme liberata” Il rilascio e nuove peregrinazioni

Le “Rime”

123

7 - Tasso e il periodo controriformistico

La “Gerusalemme conquistata” Le ultime opere

moralistica e spesso più convenzionale) del poema cavalleresco, ripubblicato con il titolo Gerusalemme conquistata (1593). Scrisse poemetti di contenuto religioso (Le lagrime di Maria Vergine; Le lagrime di Gesù), che pubblicò assieme alla Seconda parte delle Rime (1593), e si dedicò alla stesura del poema Le sette giornate del mondo creato, lasciato incompiuto. Trovò un po’ di serenità grazie all’attenzione di papa Clemente VIII, che gli assegnò una pensione e gli promise l’incoronazione solenne come poeta della cristianità. Per prepararsi a questo evento Tasso si dedicò con rinnovato entusiasmo ai Discorsi del poema eroico, stampati nel 1594. All’improvviso, nella primavera del 1595, egli si spense a Roma.

L’“Aminta” Questo dramma pastorale in cinque atti è la prima opera in cui Tasso rivela la propria grandezza poetica. Si incentra sull’amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia, ritrosa e scontrosa, che solo alla fine, mossa dalla pietà, si decide a riconoscere il proprio sentimento e ad accettare quello del pastore. Colpi di scena Il contenuto dell’opera è piuttosto esile e si fonda su colpi di ed equivoci scena, come l’aggressione di un satiro ai danni di Silvia, liberata da Aminta, e su equivoci, come quello relativo alla notizia della morte apparente prima della ninfa, poi del pastore, che ha tentato il suicidio salvandosi all’ultimo momento. La conclusione felice è il coronamento di tante prove e la vittoL’età dell’oro ria dell’amore. Ciò che conta non è la trama, ma l’esaltapastorale zione dell’età dell’oro compiuta dal poeta; essa è vista come la realizzazione del desiderio naturale in contrapposizione a un mondo in cui domina l’artificiosità dell’onore, la mancanza di sentimenti autentici. Il mondo dell’Aminta è una specie di paradiso terrestre non toccato dal peccato né tanto meLa perfezione umana no dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l’esè seguire sere umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio l’istinto naturale istinto naturale. La finzione pastorale permette al poeta di esprimere liberamente il proprio sogno di vita e di avvertirne la distanza incolmabile dalla società in cui vive.

La “Gerusalemme liberata”

Finalità educative della poesia 124

Frutto di un lungo lavoro e di vere e proprie angosce, il poema (in 20 libri in ottave) muove dalla sostanziale accettazione dei precetti indicati nella Poetica di Aristotele per la poesia epica. Partendo dal principio delle finalità educative della poesia, Tasso si propone di narrare una vicenda che

7 - Tasso e il periodo controriformistico

esalti il “meraviglioso cristiano”, si fondi sulla storia (quella della prima crociata e della liberazione del Santo Sepolcro) e presenti elementi atti a stupire il lettore e a renderlo più disponibile ad accogliere la verità. L’argomento scelto aiuta a dividere nettamente la scena in due campi contrapposti, uno seguace del Bene, l’altro espressione del Male, a caratterizzare gli eroi, a riproporre la più classica delle vicende epiche, l’assedio della città nemica. Il racconto si apre con l’intervento divino per invitare Goffredo a riportare l’unità tra le schiere cristiane e a condurle sotto le mura di Gerusalemme per dar l’assalto finale alla città. In questo quadro entrano in gioco diversi elementi che rendono più fluida e poeticamente efficace la narrazione: in primo luogo il paesaggio, composto di tinte sfumate, di notturni carichi di fascino, di aspetti al tempo stesso accoglienti e minacciosi, capaci di rappresentare lo stato d’animo profondo dei personaggi; poi la magia, suddivisa nettamente in positiva e negativa riguardo ai fini, ma rivolta a svelare la dimensione inconscia dell’animo umano, dove risiedono le paure, i sogni, i desideri erotici degli eroi; infine l’amore, che unisce in vari modi i destini di donne pagane e di cavalieri cristiani. L’amore per Tasso si congiunge per lo più a immagini di morte; ma nelle pagine che descrivono il giardino di Armida rivive, con una nota di erotismo più maturo, il sogno della perfezione dell’età dell’oro già evocato nell’Aminta.

I campi contrapposti del Bene e del Male

Il paesaggio La magia L’amore

Il giudizio critico e la fortuna Si potrebbe dire che con Tasso finisca il Rinascimento e inizi qualcosa di complesso e contraddittorio che è, in fondo, lo spirito stesso della poesia “moderna”. Certamente egli è un maestro della crisi e insieme il protagonista più alto di una letteratura che sgrana la sua ricerca di nitidezza realistica in favore di un tono sognante e soffuso, tanto malinconico quanto custodito dalla bellezza di una serena disperazione. La Gerusalemme liberata, il poema dell’“aspra tragedia” umana, è anche il capolavoro di un sentimento antico perduto, ormai indefinito e, per tutti, insondabile. Onorato già in vita, Tasso dopo la morte divenne oggetto di ininterrotta ammirazione. Caposcuola delle correnti letterarie secentesche, fu modello di poetica della meraviglia per la cultura barocca e, con le sue atmosfere idilliche e pastorali, diede spunti ai poeti dell’Arcadia. Alla sua poetica si ispirarono anche molti scrittori europei del Seicento: Milton, Shakespeare, Cervantes, Lope de Vega, Calderón de la Bar-

Un maestro della crisi

L’influenza sul barocco e sul melodramma

125

7 - Tasso e il periodo controriformistico

GIORDANO BRUNO, L’UOMO DEL TRAPASSO Giordano Bruno (1548-1600), nato a Nola, entrò giovanissimo in convento per abbandonare bruscamente l’abito. Nel 1579 si recò a Ginevra, dove scoprì che il calvinismo non era meno intollerante del cattolicesimo. Fuggì poi in Francia, dove pubblicò la commedia il Candelaio (1582), opera nel filone della commedia comica cinquecentesca. Passato in Inghilterra (1583-85), pubblicò un gruppo di dialoghi, originali sintesi dei temi caratteristici della filosofia della natura italiana del Cinquecento (Telesio) e dell’ermetismo, temi cosmologici di ispirazione copernicana e temi morali improntati al platonismo (Cena de le ceneri, 1584; De l’infinito universo

Il giudizio dei romantici

e mondi, 1584; Spaccio de la bestia trionfante, 1584; De la causa, principio et uno, 1584). Nell’opera De gl’heroici furori (1585), inoltre, si scagliò con violenza contro il petrarchismo (v. a p. 117). Scrisse tre poemi in latino, avendo come modello Lucrezio (De minimo, De monade, De immenso, 1591). Nel 1590 rientrò in Italia; denunciato al tribunale dell’Inquisizione, fu condannato al rogo per eresia: rifiutatosi di abiurare, venne arso in Campo de’ Fiori a Roma. Filosofo aperto alla modernità scientifica e filosofica, scevra da ogni pregiudizio, Bruno fu anche uno scrittore di valore, dallo stile vigoroso, irregolare, ricco di immagini, anticipatore del barocco.

ca. Notevole fu nel Settecento la sua influenza sul melodramma. I poeti preromantici e romantici videro in lui soprattutto l’immagine esemplare del genio che soffre fino alla follia il contrasto con le costrizioni e le ipocrisie della vita quotidiana.

SCHEMA RIASSUNTIVO TORQUATO TASSO

Nato a Sorrento (1544-1595), visse una vita drammatica peregrinando tra varie città e corti italiane, vittima di turbe psichiche, dello sforzo creativo e delle angosce derivanti dalla vita cortigiana.

Opere principali

Aminta (1573), favola pastorale in cui il mondo è rappresentato come una specie di paradiso terrestre non toccato dal peccato né tanto meno dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l’essere umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio istinto naturale. La Gerusalemme liberata (1581), poema in ottave in 20 canti, nel quale, partendo dal principio delle finalità educative della poesia, Tasso si propone di narrare una vicenda che esalti il “meraviglioso cristiano”, si fondi sulla storia (quella della prima crociata) e presenti elementi atti a stupire il lettore e a renderlo più disponibile ad accogliere la verità.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Perché nell’Aminta Tasso esalta l’età dell’oro pastorale? 124b 2. Come l’essere umano può raggiungere per Tasso la perfezione? 124b 3. Qual è per Tasso la finalità della poesia? 124b

126

4. Che cosa si intende per “meraviglioso cristiano”? 125a 5. Quali argomenti rendono poeticamente più efficace la narrazione della Gerusalemme liberata? 125a

IL SEICENTO 1 Il barocco e Giambattista Marino 2 Il classicismo barocco 3 La prosa filosofica, scientifica e storica

Iniziato nel segno dei fermenti delle guerre di religione, che culmineranno nella guerra dei Trent’anni (1618-1648), il Seicento è un secolo di grandi rinnovamenti politici. In tutta Europa, tranne che in Italia e in Germania, si afferma lo Stato moderno, sia nella versione parlamentare inglese, sia in quella assolutistica francese. Sul piano artistico il Seicento è l’epoca del barocco. Il tema della “meraviglia” e dello “stupore” è il tema di tutto il secolo. In Italia dominano Marino e la lirica concettista. Esiste anche un classicismo barocco (in un certo senso antimarinista) di Chiabrera e Testi; eccezionale appare la satira di Frugoni. Nasce poi un nuovo genere: il “poema eroicomico” di Tassoni, mentre si diffonde una notevole letteratura gesuitica (Bartoli e Segneri). Nella produzione in prosa spicca l’opera dialettale di Basile. La novità più importante è però il sorgere della prosa scientifica di Galileo Galilei, a cui si affiancano per intensità gli scritti filosofici di Campanella.

1 Il barocco

e Giambattista Marino

Nel Seicento entra in crisi il modello culturale umanistico-rinascimentale. La teoria copernicana mina la certezza di un universo centrato sulla Terra (e quindi sull’uomo) e introduce l’idea di uno spazio infinito. L’epoca sanguinosa delle guerre di religione irrigidisce una concezione della religione fondata sull’identità e sull’appartenenza, sulla difesa dell’ortodossia contro ogni tentazione di libera ricerca. Si fa strada un diffuso senso di inquietudine e di smarrimento, di precarietà delle cose umane, si dilatano gli orizzonti immaginativi, ma entrano in crisi i valori classici di compostezza, equilibrio e armonia. In campo artistico questa crisi trova espressione nel barocco, che esprime una poetica dello stupore centrata sul bizzarro, sulla sproporzione, sul virtuosismo e l’illusionismo tecnico. Il barocco letterario trova in Italia il suo poeta più significativo in Giambattista Marino: il suo Adone è l’esempio più coraggioso dell’esaltazione della fantasia poetica della ricerca di un nuovo modello lirico aperto a un moderno virtuosismo espressivo.

Il concetto di barocco La cultura del Seicento viene sintetizzata con il termine “barocco”. Ma la sintesi non è priva di difficoltà, sia nell’individuazione dei limiti cronologici, sia in una sua precisa definizione terminologica. ■ Limiti cronologici

Il manierismo, pur radice importante e per certi versi causa Differenza del barocco, non ne è parte integrante; in Italia riguarda il tra manierismo Cinquecento, dagli anni ’30 fino al termine del secolo, ed è e barocco uno dei vettori più importanti della cultura. Si può parlare invece di barocco solo rispetto al secolo XVII: in Italia fino agli anni ’90, mentre in Francia risulta già in crisi a partire dal 1660. D’altra parte, esiste una chiara differenza tematica fra le due scuole, spesso confuse fra loro: il manierismo, con il suo virtuosismo e il suo culto del particolare, è una specie di “controclassicismo” interno al classicismo; il barocco si manifesta con un’energia iconoclasta, anticlassicistica, del tutto autonoma dall’aspirazione rinascimentale, secondo una ricerca ossessiva del “nuovo”. 129

1 - Il barocco e Giambattista Marino ■ Definizione terminologica

Etimologia

L’iniziale significato negativo

Il valore positivo assunto nell’Ottocento

L’etimologia del termine non è chiara: pare che “barocco” derivi dall’incrocio tra il sostantivo “baroco”, che nella filosofia scolastica designava un particolare sillogismo paradossale, e il portoghese barroco, indicante un tipo di perla irregolare e sgraziata. Proprio da quest’ultimo significato deriva l’aggettivo francese baroque (bizzarro), da cui a sua volta deriva il termine italiano. In sede filosofica già nel Cinquecento il termine identificava spregiativamente un modo falso e di ragionamento, soggetto ancora alla superata mentalità aristotelica. E persino gli stessi autori che oggi sono definiti barocchi per eccellenza (per esempio, Marino, Tassoni ecc.) usarono l’aggettivo con connotazioni negative per indicare gli eccessi stilistici dei loro colleghi. Un vasto gruppo di poeti (come Rinaldi, Stigliani e Marino) che oggi ascriviamo al barocco preferivano definirsi come esponenti del “concettismo”. Il termine “barocco” cominciò a entrare nel lessico comune della critica, sempre in senso spregiativo, verso la fine del Settecento per iniziativa dei teorici del neoclassicismo (J.J. Winckelmann, F. Milizia). Il significato spregiativo fu contestato a fine Ottocento dallo storico dell’arte tedesco H. Wölfflin, che riconobbe allo stile barocco, opposto all’arte classicista, un valore positivo. Oggi il termine ha generalmente un significato oggettivo, storico, che prescinde da giudizi di valore generale: quando non è usato in senso traslato (in cui mantiene sempre un’accezione di esagerato e artificioso), tende a identificare il gusto e lo stile di tutta un’epoca.

■ Temi e prospettive del barocco Virtuosismo, Il nesso “arte-natura” viene interpretato come sensuale comeraviglia, teatralità municatività fra i due soggetti: il virtuosismo diventa la “meraviglia” e il “piacere” di una continua simulazione dentro lo scambio simbolico fra l’arte e la natura. L’opera d’arte è alla ricerca di una “teatralità” assoluta (fra cruda quotidianità e spettacolo visionario), e allo stesso tempo cerca di esprimere la massima fisicità (dal macabro realistico all’erotico) insieme alla massima estasi religiosa. L’invenzione Sono la tecnica e il preziosismo sorprendente dell’invenlinguistica zione linguistica (giochi di metafore, improvvisazioni di analogie, paradossi, enfasi, iperboli e ambiguità dei testi) la novità moderna del linguaggio barocco. Lo scrittore barocco rifiuta la normale comunicatività del linguaggio, mette da parte il primato conoscitivo e morale della lingua rinascimentale, si apre a una scelta espressiva che si giustifica solo nella sottigliezza dell’esecuzione, nell’arguzia con cui sa inventare e rendere manifesta l’“artificiosità” dell’arte.

130

1 - Il barocco e Giambattista Marino

Antitesi e contrasto drammatico diventano meccanismi strutturali dominanti in tutti i generi letterari, così come in tutte le manifestazioni artistiche. I termini chiave del barocco sono: l’ingegno, cioè la capa- I termini chiave: cità della parola di trasferire le immagini e i pensieri da un ingegno, acutezza contesto a un altro; l’acutezza (l’agudeza spagnola), ovvero la capacità di colpire la sensibilità dell’ascoltatore; lo spirito, ossia la capacità di suscitare la meraviglia di chi legge. Fondamentale il termine concettismo (nel quale come ab- Il concettismo biamo visto si riconoscevano gli scrittori barocchi), che invita all’uso di “concetti” con i quali uno scrittore sa impreziosire ed esasperare la comunicazione del linguaggio: il “concetto” è una specie di illuminazione mentale che accende la “meraviglia”, come se le parole fossero tanto più vere quanto più capaci di visionarità, di invenzione creatrice. Nel Cannocchiale aristotelico (1670) di Emanuele Tesauro (1592-1672), l’“argutezza, gran madre di ogni ingegnoso concetto” viene ricondotta alla conversazione “civile” e dunque poetica, con lo scopo di procurare piacere e infinita meraviglia. ■ Uno stile internazionale

Il Seicento fu contemporaneamente l’età cupa della dominazione spagnola e della Controriforma e l’età del progresso filosofico-scientifico, in cui si afferma definitivamente la teoria copernicana (1543) con gli studi di Keplero IL BAROCCO IN EUROPA Il paese in cui si afferma maggiormente il barocco è la Spagna. Il Seicento, che in Spagna viene chiamato il Secolo d’Oro, vede il trionfo del teatro con Lope de Vega e Calderón de la Barca, mentre nella prosa il romanzo picaresco, a partire dal Lazarillo de Tormes, trova il suo vertice nei testi di Quevedo. In poesia, invece, due correnti, il “gongorismo” (raffinato e colto) e il “concettismo”, più introspettivo e sentimentale, si oppongono tra loro approfondendo un divario tra elementi che si trovavano equilibrati e composti nella poesia di Góngora. La migliore espressione della poesia barocca spagnola sono i versi di Juana Inés de la Cruz. In Francia l’influenza del pensiero cartesiano e razionalistico, unitamente al clas-

sicismo di Boileau, limiterà molto lo sviluppo dello stile barocco, anche se il movimento culturale del “preziosismo” si deve considerare un’espressione francese dell’imitazione di Marino che si diffondeva in Europa. In Germania la più importante opera letteraria del barocco è il romanzo di H.J.C. Grimmelshausen intitolato Simplicius Simplicissimus (1669), dove domina il registro picaresco. In Gran Bretagna, dal titolo del romanzo di J. Lyly, Euphues (1578-80), nascerà (sempre sull’onda della moda europea del marinismo) la maniera narrativa detta “eufuismo”: narrazioni avventurose scritte in un linguaggio ricco di artifici retorici e strutturato in una sintassi latineggiante.

131

1 - Il barocco e Giambattista Marino

Uno stile per tutte le arti

(1609) e di Galileo (1632). La fine della certezza antropocentrica, il crollo dell’unità religiosa, il sorgere prepotente nella scienza di un’idea di spazio scientifico infinito, la fortissima crisi dell’equilibrio classicistico imposto dal manierismo cinquecentesco sono le prospettive storiche in cui s’inquadra la grande stagione del barocco. Fu uno stile “internazionale”: interessò tutte le nazioni e tutte le forme artistiche, dalla musica alla poesia e all’architettura. In un certo senso, il barocco fu il primo fenomeno di cosciente modernità, come se in un nuovo spazio simbolico si aprissero alla creatività umana nuove strade e nuove tecniche espressive. ■ Il barocco italiano

Una letteratura senza grandi libri

La nostra letteratura barocca è ferma a una risposta che non sa dare: quale modello si può proporre con l’esaurirsi di quel principio rinascimentale, e in particolare del Bembo (v. a p. 89), che aveva legato la letteratura a una prospettiva ideale? Cosa vuol dire essere moderni, rinunciare a un sapere classicista? Per quanto l’esempio italiano, specie Marino e il marinismo, sia stato esportato in tutta l’Europa, non si può nascondere che il barocco letterario italiano risulta comunque una testimonianza di crisi culturale, il segno di una letteratura senza grandi libri. La crisi politica italiana, il peso della Controriforma sono certo cause di un disagio storico che sembra privo di soluzioni. La cultura nobiliare laica è afflitta da un individualismo tanto fazioso quanto servile; la cultura gesuitica, specie dagli anni ’40, deve far prevalere il senso strumentale e “predicatorio” della cultura, quale controllo sociale. Le personalità migliori del nostro barocco sembrano casi isolati, quasi scardinati da una reale società letteraria. Fino alla fine del secolo, quando si affermerà in funzione antibarocca l’Arcadia (v. a p. 151), avremo un dibattito complesso ma anche confuso, spesso arenato in un groviglio di provincialismo e di intuizioni lasciate senza sviluppo, senza forza civile e culturale.

Giambattista Marino Il napoletano Giambattista Marino (1569 -1625) è lo scrittore più significativo del nostro Seicento e rappresentò un modello imitato dagli scrittori dell’epoca in tutta Europa. ■ La vita e le opere

Avviato agli studi giuridici, si dedicò quasi subito alla poesia come poeta cortigiano presso il duca Ascanio Pignatelli e poi (1592) presso il principe Matteo di Capua. Nel 1600 132

1 - Il barocco e Giambattista Marino

entrò al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini a Roma. Pubblicate le Rime (1602), cominciò a lavorare alla stesura del poema Adone, che nel progetto iniziale avrebbe dovuto essere di tre libri. Nel 1606 seguì Aldobrandini a Ravenna e in altre città del Nord. Giunto a Torino (1608), scrisse per Carlo Emanuele I un panegirico Il ritratto del serenissimo don Carlo Emanuele duca di Savoia (1608), ottenendone in cambio una generosa ospitalità dal 1610 al 1615. A corte si scontrò con l’invidia del segretario del duca, il poeta Gaspare Murtola, autore del poema sacro La creazione del mondo (1608) deriso da Marino. Nel 1608 Marino aveva stampato la raccolta lirica La lira. Gli anni torinesi furono particolarmente fecondi: riprese e ampliò il progetto dell’Adone; nel 1614 stese le Dicerie sacre, tre orazioni fittizie (La pittura, La musica, Il cielo) che dimostrano un’abilità virtuosistica straordinaria nel modellare la lingua nel genere “oratoria sacra”. Nel 1615 fu chiamato alla corte di Francia dalla regina Maria de’ Medici, a cui dedicò il poemetto encomiastico Il tempio (1615). A Parigi scrisse alcune delle sue cose migliori: gli Epitalami (1616), poesie per nozze, La galeria (1619), rassegna di opere di scultura e pittura di artisti contemporanei. Nel 1620 diede alle stampe La sampogna, composta da 12 poemetti, 8 di contenuto mitologico e 4 di tipo pastorale. Il trionfo giunse con l’Adone (1623), poema in 20 canti la cui lussuosa edizione fu finanziata dallo stesso re Luigi XIII. Poco dopo Marino decise di tornare in Italia, accolto con grandi onori a Torino, a Roma e soprattutto a Napoli. Nella sua città si dedicò alla composizione di un poema religioso in ottave, La strage degli innocenti, già iniziata vent’anni prima; l’improvvisa morte non gli consentì di concludere quest’opera, pubblicata postuma nel 1638. Anche le Lettere (uscite a partire dal 1627) sono postume.

A Roma

A Torino

A Parigi

Il trionfo dell’”Adone”

■ I caratteri dell’opera di Marino

Il carattere del lavoro di Marino è chiarito già da un’affermazione dello stesso poeta, che riguardo alle proprie vaste letture scriveva: “Imparai sempre a leggere col rampino, tirando al mio proposito ciò ch’io ritrovava di buono, notandolo nel mio zibaldone e servendomene a suo tempo”. Marino è il poeta che reinventa e rinnova con un’esuberanza cromatica e figurativa mai vista nella nostra letteratura. Sembra aver su- Il superamento perato senza ritorno il classicismo a favore di una curiosità in- del classicismo finita e sensuale, originalmente barocca. Le liriche della Lira sono una proliferazione di timbri e sonorità; la Sampogna è un esercizio di gusto inconsapevolmente “esotico” e svapo133

1 - Il barocco e Giambattista Marino

rato; la Galeria poi – forse il libro migliore di Marino – rimane un incredibile tessuto di rifrazioni e annotazioni curiose. ■ L’“Adone”

Il più lungo poema della letteratura italiana

La “fabbrica delle meraviglie”

Il libro di maggior successo fu comunque l’Adone. Con i suoi 40.000 versi è il più lungo poema della letteratura italiana. La vicenda che ne costituisce l’esile trama ha al centro l’innamoramento di Venere per il bellissimo giovane Adone. Marte, preso dalla gelosia, costringe il giovinetto a una serie di peripezie e alla fine ne provoca la morte a opera di un cinghiale. Lo svolgimento del mito ha tuttavia un’importanza relativa. Ciò che conta è il modo con cui esso viene raccontato e soprattutto l’infinita serie di episodi secondari, di spunti descrittivi (come quelli celebri del canto dell’usignolo o dell’elogio della rosa) sfruttati oltre ogni aspettativa; l’abilità nel trasformare aspetti allegorici in luoghi della fantasia, come il giardino del Piacere e l’isola della Poesia; e ancora l’infinita gamma di piani e di livelli con cui viene trattata la materia erotica che sta alla base del mito: si va dalle allusioni appena accennate alla narrazione audace e densa di particolari. L’Adone è un immenso coacervo di immagini, una “fabbrica delle meraviglie”, un succedersi inarrestabile di metafore e sarebbe vano cercarvi un centro logico; la sua novità sta proprio nell’infrazione della regola classicistica dell’unità del poema eroico e nel recupero della narrazione affabulatoria dei grandi narratori di favole latini (Apuleio, Ovidio, Claudiano) ed ellenistici (Apollonio Rodio, Mosco e Bione).

Il marinismo e la lirica concettista

Tommaso Stigliani

Claudio Achillini Girolamo Preti

134

Marino fu il riferimento principale della poesia secentesca: amici e avversari videro nell’Adone il problema poetico di un’epoca. Il “concetto” è una specie di illuminazione mentale che accende la “meraviglia”, come se le parole fossero tanto più vere quanto più capaci di visionarità, di invenzione creatrice. Il lucano Tommaso Stigliani (1573-1651) fu un marinista moderato, prima amico del Marino poi suo acerrimo censore; scrisse Il mondo nuovo (1618), un poema epico su Cristoforo Colombo, e infine L’occhiale (1627), un libro di critiche all’Adone. Il bolognese Claudio Achillini (1574 -1640) rese ancor più solenne e a tratti pedante la lezione marinista, mentre l’altro bolognese Girolamo Preti (1582-1626) mostrò una maggiore autonomia e ricchezza espressiva (Rime, 1614). I temi tipici del Marino (l’orologio d’acqua, la girandola, la zanzara, il neo sul labbro) furono ripresi ossessi-

1 - Il barocco e Giambattista Marino

vamente dal pugliese Antonio Bruni (1593 -1635) nelle Tre Grazie (1627) e nelle Veneri (1653). Un’aspirazione più religiosa accomuna altri scrittori barocchi. Maffeo Barberini (1568 -1644) fu papa (1623) col nome di Urbano VIII; i suoi versi sono legati al petrarchismo, ma anche rinvigoriti da un forte gusto concettistico. Il fiorentino Giovanni Ciampoli (1589 -1643) fu amico e seguace del Galilei: letterariamente ebbe viva la lezione del Chiabrera. La contaminazione del dramma pastorale nel romanzo spiega anche la presenza di parti meliche e liriche nel tessuto della narrazione. Il genovese Bernardo Morando (1589-1656) fece uso nel Rosalinda di molte canzonette, in cui emerge anche l’idea di trasgredire o in qualche modo corrompere il modello della bellezza femminile. Un esercizio di variazione barocca su immagini sensuali è l’opera (soprattutto La selva poetica, 1648) dell’urbinate Giovanni Sempronio (1603-1646). Interessanti sono le liriche (Poesie, 1626) dell’ascolano Marcello Giovanetti (1598-1631), in cui gli schemi barocchi lasciano filtrare una concreta vitalità poetica. Il messinese Scipione Errico (1592-1670) sia con le Rime (1619) e le Poesie liriche (1646), sia col dialogo L’occhiale appannato (1629) mostra una notevole ingegnosità. Molto interessante, anche per il nostro gusto contemporaneo, il lavoro del friulano Ciro di Pers (1599 -1663), autore di una tragedia, L’umiltà esaltata ovvero Ester regina (1664), e di Poesie (postume, 1666): la sua scrittura sembra lontana dai semplici schemi dei marinisti o degli antimarinisti; c’è in lui una verità umana, una passione, un senso struggente della vita e della morte, qualcosa come una libertà morale che gli permette di scrivere uno fra i migliori canzonieri del suo tempo. Nella seconda parte del secolo, mentre si prefigura specie a Nord una prima tendenza razionalistica e già quasi prearcadica, continua a dominare nel Meridione il modello marinista, che in molti casi appare addirittura esasperato. Il genovese Anton Giulio Brignole Sale (1605-1665) accompagna la prosa delle Instabilità dell’ingegno (1635), una sorta di piccolo Decameron, con poesie che rappresentano la migliore società del tempo. Nel Sud d’Italia l’esperienza concettista sembra esprimersi con maggiore ricchezza. Il pugliese Giuseppe Battista (1610 -1675) rivela una notevole esuberanza immaginifica. I napoletani Federico Meninni (1636-1712) e soprattutto Giovanni Lubrano (1619-1693) sono rappresentanti del “secentismo del secentismo”. Anche il siciliano Giuseppe Artale (1628-1679), quando raccoglie la sua Enciclopedia poetica (1679), mostra una lezione barocca di enfasi prossima all’ossessività.

Bernardo Morando

Giovanni Sempronio Scipione Errico

Ciro di Pers

Anton Giulio Brignole Sale

135

1 - Il barocco e Giambattista Marino

SCHEMA RIASSUNTIVO BAROCCO Definizione terminologica

Pare che “barocco” derivi dall’incrocio tra il sostantivo “baroco”, che nella filosofia scolastica designava un particolare sillogismo paradossale, e il portoghese barroco, indicante un tipo di perla irregolare e sgraziata.

Temi

Artificio, “acutezza”, preziosismo, “concettismo”: il virtuosismo diventa la “meraviglia” e il “piacere” di una continua simulazione fra l’arte e la natura.

MARINO

La lira (1608-14) è la raccolta lirica, ricca di sonorità e invenzioni; La galeria (1619) è la rassegna di opere di scultura e pittura di artisti contemporanei; il capolavoro dell’Adone (1623) è un immenso coacervo di immagini, una “fabbrica delle meraviglie”, un succedersi inarrestabile di metafore, come se fossimo in un ellenismo tutto “italiano”, originalmente vivo e personale.

LIRICA CONCETTISTA

Marino è il riferimento fondamentale. Il “concetto” è una specie di illuminazione mentale che accende la “meraviglia”, come se le parole fossero tanto più vere quanto più capaci di visionarità, di invenzione creatrice. Gli autori più importanti: Stigliani, Achillini e Ciro di Pers.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i temi di fondo della scrittura barocca? 130b-131a 2. Qual è il tema narrativo dell’Adone? 134a

136

3. Quali sono le opere migliori di Marino insieme con l’Adone? 133b-134a 4. Cosa vuol dire “concettismo”? 131a

2 Il classicismo barocco Nella letteratura barocca va segnalata una corrente “classicista” che si differenzia dall’imperante marinismo. Autori come Tassoni, Chiabrera, Testi si rifanno alla lezione di Torquato Tasso e alla tradizione rinascimentale e al concettismo pieno di metafore di Marino contrappongono uno stupefacente sperimentalismo nei metri poetici e nella lingua. Nel Seicento la forma narrativa si sviluppa in senso moderno. Fiabe e novelle trovano nella raccolta in dialetto napoletano di Basile la loro massima espressione.

Alessandro Tassoni La vita

Il modenese Alessandro Tassoni (1565-1635), fra il 1599 e il 1603 fu a Roma al servizio del cardinale Ascanio Colonna, che accompagnò in Spagna (1600). Partecipò alla vita letteraria del tempo, aderendo alle Accademie della Crusca e degli Umoristi. Si mise al servizio di Carlo Emanuele I di Savoia, di cui appoggiò la politica antispagnola. Nel 1618 accettò l’incarico di “gentiluomo ordinario” del cardinale Maurizio di Savoia, figlio del duca Carlo Emanuele I; poi (1626) passò al servizio del cardinale Ludovico Ludovisi finché nel 1632 tornò a Modena, diventando poeta di corte di Francesco I. Le opere Nel 1608 pubblicò per la prima volta i Dieci libri di pensieri diversi, ripubblicati nel 1612 e, in redazione più ampia, nel 1620. I primi quattro trattano di scienza, i seguenti quattro di costume e di morale; il nono di Cose poetiche, istoriche e varie, mentre il decimo, aggiunto nel 1620, contiene un Paragone degl’ingegni antichi e moderni, il quale anticipa la disputa sugli antichi e sui moderni che, a partire dalla Francia, divise il mondo intellettuale del Seicento tra sostenitori del modello dei classici e fautori della libertà di ispirazione e di innovazione. Si tratta di un’opera erudita, indicativa dello spirito eclettico e curioso di Tassoni e della sua vena polemica, in questo caso rivolta a sgombrare il campo letterario dall’ossequio classicistico alle regole della Poetica aristotelica. ConL’antipetrarchismo tro la moda dei canzonieri ispirati all’opera di Petrarca scrisse le Considerazioni sopra le Rime del Petrarca (1609-11), in cui analizza i caratteri dell’ispirazione del poeta per mettere al bando ogni principio di autorità a favore di una libera fantasia creatrice. Compose anche diversi scritti rimasti inediti di argomento filologico, dimostrando il suo interesse Le “Filippiche contro per lo studio dell’evoluzione della lingua. Interessanti le opegli Spagnuoli” re politiche: le due Filippiche contro gli Spagnuoli difen137

2 - Il classicismo barocco

dono i Savoia nella contesa tra questi e la Spagna per il Monferrato; lo stile è forte e vigoroso, animato da un sincero desiderio di libertà degli Stati italiani dalle potenze straniere. ■ Tassoni e il poema eroicomico Il capolavoro di Tassoni resta La secchia rapita (iniziato fra il 1614 e il 1618); l’edizione definitiva apparve a Venezia nel 1630. Il motivo iniziale è fornito dalla tradizione leggendaria di “un’infelice e vil secchia di legno” rapita dai modenesi ai bolognesi. Il resto è tratto da vicende storiche diverse, usate dal poeta in tutta libertà e calate nell’ambiente muniVena satirica cipale del tempo. Pervade tutto il testo una vena satirica, che si rivolge con forza contro i costumi morali, sociali e letterari contemporanei, talvolta scadendo nella polemica personale. I riferimenti al costume contemporaneo e alle persone reali sono mescolati con elementi fantasiosi in un anacronistico, mobilissimo quadro, dove il serio e il tragico s’intrecciano con il comico e il grottesco, in una dimensione rivelatrice del nuovo gusto barocco. Questa commistione di toni aulici e plebei indica il carattere sperimenIl poema eroicomico tale dell’opera e inaugura il “poema eroicomico”, nato dalla crisi del poema cavalleresco umanistico (in cui serio e comico si integrano) e dalla presenza del nuovo modello della Gerusalemme di Tasso, in cui il poema eroico si chiude in una “serietà” tragica e religiosa. La secchia rapita propone un gioco sottilissimo quanto vivace di alternanza di serio e La comicità faceto. La comicità di Tassoni nasce soprattutto dallo scondi Tassoni tro fra la volgarità del provincialismo italiano e le aspirazioni eroiche di molti personaggi, ancora profondamente legati agli ideali cortesi. Tassoni non fa parodia, né accede alla malinconia per un mondo perduto. La sua lingua è vibrante, nella testimonianza comica eppure seria dello strazio politico italiano. Il poema eroicomico di Tassoni fu preso a modello da altri scrittori con esiti molto inferiori.

Classicismo barocco: Chiabrera e Testi Sul piano della poesia lirica i due capiscuola della corrente classicista e antimarinista del barocco sono Gabriello Chiabrera e Fulvio Testi, che lasceranno un’impronta sulla poesia anche del Settecento. ■ Gabriello Chiabrera Gabriello Chiabrera (1552-1638), nato a Savona, studiò a Roma ed entrò al servizio del cardinal Cornaro. Ritornato a Savona, si interessò alla poesia e ricoprì vari incarichi pubblici.

138

2 - Il classicismo barocco

Cosimo de’ Medici gli concesse un vitalizio come ricompensa per la composizione della favola teatrale Il rapimento di Cefalo (1600) musicata da G. Caccini. Dal 1632 fino alla morte, attese alla revisione delle sue numerose opere. La produzione letteraria di Chiabrera comprende quasi tutti i generi. Scrisse poemi epici (Gotiade, 1582; Ameneide, 1590; Il foresto, 1653, postumo), poemetti didascalici sacri e profani (La disfida di Golia, 1598; Il diluvio, 1598), tragedie, prose morali e numerose raccolte poetiche, i cui testi erano spesso destinati alla musica (Canzoni eroiche, sacre e morali, 1586-88; Sonetti, 1605; Canzonette, 1606). Chiabrera è stato sempre inteso come una proposta alternativa al concettismo di Marino. Il suo sperimentalismo tematico (basato sulla ricerca di soggetti tratti dai classici greco-ellenistici e dalla poesia francese cinquecentesca, soprattutto Ronsard) o prettamente metrico-linguistico (incentrato sul recupero di generi strofici inusuali tratti da Anacreonte o da Pindaro, sebbene Chiabrera non conoscesse il greco) gli consentì una musicalità nuovissima, chiara e leggera. Dalle sue “canzonette” prenderà l’avvio tanta poesia settecentesca votata al “grazioso”. ■ Fulvio Testi Il ferrarese Fulvio Testi (1593 -1646) fu segretario di stato del duca di Modena Francesco I. In questa veste compì missioni diplomatiche a Mantova, a Vienna, a Roma e in Spagna. Nominato governatore della Garfagnana dal 1639 al 1642, al ritorno a Modena fu coinvolto in un intrigo antispagnolo e arrestato. Morì in carcere. Esordì nel 1613 con una raccolta di Rime, alla maniera di G. Marino. L’alta passione civile ispirò il poemetto in ottave Il pianto d’Italia (1617), calda esortazione a Carlo Emanuele I di Savoia a liberare la patria dalla dominazione spagnola. Nella produzione successiva (Poesie liriche, 1627-48) il concettismo barocco viene abbandonato in nome di uno stile classicheggiante, sul modello di Chiabrera. I temi dell’impegno civile e politico, la critica aspra contro il malcostume delle corti ispirano modi sobri e robusti, che rendono questa poesia un modello di retorica alta e sentenziosa, forse il più importante del Seicento. Documento interessante della complessa realtà sociale e politica della vita cortigiana sono le sue numerose Lettere, scritte in una prosa concreta, secca e appassionata. Se Chiabrera gettò le basi di tanta raffinatezza settecentesca, Testi attuò il presupposto di una poesia di ispirazione morale di sicuro riferimento per le riproposte classicistiche del Settecento e dell’Ottocento.

La produzione letteraria

Sperimentalismo tematico e metrico-linguistico

La poesia del “grazioso”

Il “Pianto d’Italia”

Le “Poesie liriche” modello di poesia di ispirazione morale

139

2 - Il classicismo barocco

Il caso di Francesco Fulvio Frugoni Il genovese Francesco Fulvio Frugoni (1620-1686) crebbe e studiò in Spagna. Al suo ritorno a Genova scrisse un poema giocoso, La guardinfanteide (1639), pubblicato con lo pseudonimo di Flaminio Filauro. Al seguito di Anton Giulio Brignole Sale, ambasciatore genovese, viaggiò lungamente in Europa. Verso il 1650 entrò nell’ordine dei Minori di san Francesco di Paola e negli anni seguenti compose alcune opere sacre. Dal 1652 fu al servizio di Aurelia Spinola, vedova del principe di Monaco: per lei scrisse il dramma musicale L’innocenza riconosciuta (1653) e dopo la sua morte scrisse una biografia romanzata e fortemente elogiativa, intitolata L’eroina intrepida (1673). Negli ultimi anni, esiliato da Genova, fu a Torino e a Venezia. Si dedicò al teatro, al poema epico e alla composizione di un’opera singolare di racconti sa“Il cane di Diogene” tirici intitolata Il cane di Diogene (pubblicata postuma nel 1689). Nei sette volumi, o “latrati”, che compongono Il cane di Diogene, uno degli esempi più curiosi di prosa barocca italiana, Frugoni utilizza una ricca varietà di temi, di stili e soprattutto di linguaggi (usa la lingua dotta e quella gergale, il francese o lo spagnolo, i neologismi e i dialetti), in modo da costituire un vero e proprio pastiche, cioè un’opera che vuole concentrare in sé qualunque argomento e qualsiasi modo per parlarne. Tuttavia, il virtuosismo linguistico prevale sulla materia trattata e induce una certa monotonia.

La fiaba napoletana di Basile Il napoletano Giovan Battista Basile (1575-1632) è l’autore del bellissimo Lo cunto de li cunti. Dal 1600 al 1604 fu al servizio della Repubblica di Venezia, dove ebbe la possiIL ROMANZO IN PROSA In Italia il romanzo in prosa fiorisce nel Seicento con molte e differenti prospettive narrative: si passa dal romanzo d’avventura a quello d’amore, ambientato in mondi idillici; dal romanzo morale e di devozione a quello direttamente stimolato da episodi presenti. I centri di maggiore produzione furono Venezia e Genova. A Venezia vengono stampati romanzi “libertini”, come quelli di Girolamo Brusoni (1610-1686): La gon-

140

dola a tre remi (1657); Il carrozzino alla moda (1658); La peota smarrita (1662). Il romanzo più tipicamente barocco viene scritto in ambito genovese da Giovanni Ambrogio Marini (1594-1662): Il calloandro fedele (1653), un gioco irresistibile di equivoci e intrecci. A Genova Anton Giulio Brignole Sale (v. a p. 135) scrisse un famoso romanzo di edificazione, la Maria Maddalena peccatrice e convertita (1636).

2 - Il classicismo barocco

TEATRO E MUSICA Lo “spettacolo” è il concetto chiave della cultura barocca. Il mondo stesso è teatro e la “teatralità” della scena richiede uno scambio continuo fra realtà e finzione. La letteratura drammatica italiana è comunque meno ricca della grande produzione europea. Il primo riferimento del nostro barocco è Il pastor fido (la prima edizione è del 1590) del ferrarese Giovan Battista Guarini (1538 -1612). Il Pastor fido è una “tragicommedia”; la meraviglia, persino la “mescolanza” dei due generi presagisce il barocco, anche se in Guarini è ancora fortissima l’esigenza di una mediazione armonica fra i possibili eccessi espressivi. Importantissima è la sperimen-

tazione della fiorentina Camerata de’ Bardi (ovvero di quei letterati e musicisti sotto la protezione di Giovanni de’ Bardi). Il musicista Vincenzo Galilei (1520 -1591) invoca una maturazione del canto vocale, a favore del “recitar cantando”, come se la musica riuscisse a far rivivere il modello della tragedia greca. Da queste sperimentazioni nascono il melodramma e i primi grandi autori: Ottavio Rinuccini (1564 1612) con l’Euridice (1600); Alessandro Striggio (1573 -1630) scrive l’Orfeo su musiche di Claudio Monteverdi; Gian Francesco Busenello (1598 -1659) scrive L’incoronazione di Poppea (1642) con musiche di Monteverdi.

bilità di conoscere l’ambiente dei letterati e di farsi introdurre all’Accademia degli Stravaganti. Tornato a Napoli, frequentò l’Accademia degli Oziosi. Visse per un breve periodo alla corte dei Gonzaga a Mantova e successivamente lavorò al seguito della sorella Adriana, una famosa cantante. Fu anche governatore in alcune zone del Sud in rappresentanza di nobili napoletani. Scrisse, usando lo pseudonimo Gian Alesio Abbatius, anagramma del suo vero nome, liriche e poemi che non si discostano dai moduli marinistici e tardo-rinascimentali (Il pianto della Vergine, 1608; Madrigali et ode, 1609, la favola marinara Le avventurose disavventure, 1611; le Egloghe amorose e lugubri, 1612). Pubblicò anche opere in dialetto napoletano molto apprezzate, che dimostrano il suo attaccamento alle tradizioni e alla cultura partenopea (le egloghe Le muse napoletane, 1635, postumo). L’amore per le fiabe, le favole, i motti popolari e i proverbi lo portò a raccogliere prezioso materiale: nacque così il suo capolavoro, (pubblicato postumo tra il 1634 e il 1636 per volere della sorella Adriana), Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de’ peccerille, noto anche come Pentamerone. Si tratta di una raccolta di 50 fiabe con una speciale cornice: le fiabe vengono raccontate in cinque giorni da dieci vecchie. La bellezza del libro è una vivacità narrativa straordinaria, un uso brillante e moderno della lingua. La realtà e la fantasia si completano in un’esuberanza lirica e insieme commovente che forse non ha pari in tutto il barocco italiano. Dalla sua raccolta furono derivate fiabe come Cenerentola, Il gatto con gli stivali, La bella addormentata.

Il capolavoro “Lo cunto de li cunti”

Straordinaria vivacità narrativa

141

2 - Il classicismo barocco

Le storie di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno Giulio Cesare Croce

Un capolavoro della narrativa popolare di tutti i tempi

Minori, ma vibranti per il medesimo sano gusto popolare, sono i libri del bolognese Giulio Cesare Croce (1550-1609). Nato povero, fu un vero e proprio cantastorie e scrisse dialoghi, scherzi, pronostici e canzoni, sia in italiano sia in dialetto romagnolo, stampandoli su fogli volanti e opuscoli che venivano venduti sulle piazze. La sua fama letteraria resta comunque affidata a quel piccolo capolavoro di narrazione popolare che sono le proverbiali Sottilissime astuzie di Bertoldo (1606), seguite dalle Piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino, figliuolo del già detto Bertoldo (1608). A Bertoldo e Bertoldino, Adriano Banchieri (1567-1634) volle aggiungere una continuazione, Il cacasenno (1620), che fu poi illegittimamente inglobato ai primi due. Scritto in una lingua popolareggiante, ma efficace nell’immediatezza della rappresentazione degli aspetti materiali della condizione umana, il Bertoldo e le sue “continuazioni” sono uno dei capolavori della narrativa popolare di tutti i tempi.

SCHEMA RIASSUNTIVO TASSONI

Il suo capolavoro è La secchia rapita (1627), che propone un gioco sottilissimo e vivace di alternanza di serio e faceto. Il “poema eroicomico” nasce dalla crisi del poema cavalleresco umanistico (in cui serio e comico si integrano) e dalla presenza del nuovo modello della Gerusalemme di Tasso, in cui il poema eroico si chiude in una “serietà” tragica e religiosa.

CLASSICISMO BAROCCO

Per la sua ricerca di una leggerezza facile e chiara, è un’alternativa al marinismo; i rappresentanti maggiori sono Chiabrera e Testi.

FRUGONI

Il cane di Diogene, (postumo 1689), risulta un vero e proprio pastiche, cioè un’opera che vuole concentrare in sé qualunque argomento e qualsiasi modo per parlarne.

LETTERATURA DIALETTALE E POPOLARE

La raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti (postumo, 1634-36) del napoletano Basile presenta una vivacità narrativa straordinaria, un uso brillante e moderno della lingua. Minori sono i libri di Giulio Cesare Croce, famoso per le Sottilissime astuzie di Bertoldo.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è il carattere della comicità di Tassoni? 138b 2. Chi sono i principali esponenti del classicismo barocco? 138b

142

3. Qual è il carattere del classicismo barocco? 137a 4. Qual è l’importanza del Cunto de li cunti? 141b

3 La prosa filosofica,

scientifica e storica

L’altissima ricerca filosofico-scientifica di Campanella e Galilei è anche un’ottima testimonianza di lingua esuberante, profonda, lucida e chiara. La prosa trova anche un punto di riferimento nella produzione culturale dei gesuiti e, in particolare, nell’opera di Bartoli. La storiografia è dominata dalla figura di Paolo Sarpi e dalla sua polemica sugli esiti della Controriforma.

Tommaso Campanella

La “Città del sole”

Nato nel 1568 a Stilo, in Calabria, Tommaso Campanella entrò quindicenne nell’ordine domenicano e si dedicò allo studio della filosofia naturalistica di Telesio, dell’astrologia, dell’occultismo, della magia. Presto sospettato di eresia, dal 1591 al 1597 subì quattro processi. Iniziò a dar corpo al progetto messianico di una grande riforma politico-religiosa secondo linee che furono esposte poi nella Città del sole (1623), il suo capolavoro, che delinea una società fondata sull’organizzazione razionale della vita sociale. Arrestato per una congiura contro la dominazione spagnola (1599), si finse pazzo per evitare la condanna a morte e fu rinchiuso in carcere fino al 1626. La carcerazione, all’inizio molto dura, gli consentì in seguito di comporre numerose opere (De sensu rerum et magia, 1620; Philosophia realis, 1623; Metaphysica, 1625), di intrattenere carteggi e perfino di ricevere visite e insegnare. Fu liberato nel 1629, per interessamento del papa Urbano VIII. Riparò infine a Parigi, dove fu ben accolto e dove poté attendere alla pubblicazione delle sue opere e morì nel 1639. Nei vari aspetti della natura Campanella si sforza di scoprire la presenza del divino: le stesse tre “primalità” di potenza, sapienza e amore che permeano ogni essere e sono immagine della Trinità. Rettificando il sensismo di Telesio, Campanella insiste sull’attività dello spirito umano che ha il suo centro nell’autocoscienza, una dottrina che anticipa le posizioni di Cartesio. ■ L’opera poetica di Campanella

I temi

Campanella scrisse anche una raccolta di Poesie (1622) in vari metri (sonetti, madrigali, canzoni). Alcune di esse espongono i capisaldi della sua filosofia, altre sono preghiere animate da una profonda commozione e altre ancora – le più in143

3 - La prosa filosofica, scientifica e storica

L’affermazione del poeta-profeta in contrapposizione al poeta-retore

teressanti – riflettono i travagli della sua esperienza biografica: la consapevolezza della propria missione, la drammatica contrapposizione a un mondo folle e malvagio, l’esperienza della carcerazione con i suoi momenti di disperazione o di abbandono alla provvidenza divina. Nella sua poesia, che occupa un posto di rilievo nel panorama del Seicento italiano, Campanella si richiama consapevolmente al modello dantesco del poeta-profeta, in contrapposizione con la figura del poeta-retore, artefice di “meraviglia”, dominante in epoca barocca.

Galileo Galilei Il rinnovatore della scienza moderna

Il pisano Galileo Galilei (1564-1642) è il rinnovatore della scienza moderna e come scrittore propose una scrittura realistica e concreta, priva di barocchismi. Si dedicò agli studi matematici. Le sue prime pubblicazioni gli fecero ottenere nel 1589 la cattedra di matematica. Andò poi a lavorare a Padova, realizzando ricerche sperimentali. Il perfezionamento del cannocchiale (1609) gli permise l’osservazione più ravvicinata di alcuni fenomeni celesti e la conseguente scoperta della natura montuosa della Luna, dell’esistenza delle macchie solari e di quattro satelliti di Giove, tutte questioni che mettevano definitivamente in crisi l’astronomia tolemaica. Egli ne diede noIl “Sidereus nuncius” tizia con un trattato in latino, il Sidereus nuncius (1610), dedicato al granduca di Toscana Cosimo II. Ciò gli valse la nomina a “primario matematico e filosofo” granducale, senza l’obbligo dell’insegnamento e con un buon appannaggio economico. Nel 1613 la pubblicazione dell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari lo mise in aperto contrasto con i domenicani. Denunciato nel 1615 all’Inquisizione, Galilei si difese con quattro scritti fondamentali, le Lettere copernicane L’adesione alla teoria (1615), con le quali sollecitava la Chiesa ad astenersi dal procopernicana nunciarsi in modo ufficiale su un argomento scientifico come quello della teoria copernicana, da lui ritenuta compatibile con la Bibbia, se interpretata allegoricamente. Nel 1616 tuttavia il cardinale Bellarmino dichiarò l’inconciliabilità tra fede cattolica e teorie copernicane e ingiunse a Galilei di astenersi da studi su quell’argomento. Nel 1623 venne eletto papa Urbano VIII, uomo di cultura aperto alle problematiche scientifiche e amico di Galilei. Questi gli dedicò Il saggiatore (1623), un saggio sulle comete scritto con una lingua chiara e pungente. Inoltre, confidando nella protezione papale, scrisse il Il “Dialogo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: tolemaisopra i due massimi co e copernicano, pubblicato dopo estenuanti trattative con sistemi” la censura nel 1632. I gesuiti e l’Inquisizione reagirono violentemente alla pubblicazione: Galilei fu convocato a Roma e 144

3 - La prosa filosofica, scientifica e storica

LA PROSA SCIENTIFICA Da Galilei e dai suoi più stretti collaboratori, come V. Viviani (1622-1703), trasse origine una scuola di scienziati che, organizzati spesso in accademie, tennero vivo il metodo d’indagine scientifica e la libertà intellettuale del grande scienziato. Il più celebre di tali centri di studio e di ricerca fu l’Accademia del Cimento, fondata da Leopoldo, fratello del granduca di Toscana Ferdinando II. Di essa fecero parte, tra gli altri, l’aretino Francesco Redi (16261698), interessante figura di scienziato (scrisse con prosa nitida ed elegante le Esperienze attorno alla generazione degli insetti, 1668) e di poeta, autore del celebre poemetto scherzoso Bacco in Toscana (1685), una tripudiante esaltazione del vino, ricca di felicissime invenzioni linguistiche. Accanto a lui va posto il romano Lorenzo Magalotti (1637-1712), scienzia-

to, erudito e viaggiatore; di lui vanno ricordati i Saggi di naturali esperienze (1667) oltre a resoconti di viaggi e di avventure. Fuori dell’accademia, ma fedele al metodo galileiano fu il fiorentino Evangelista Torricelli (1608 -1647), inventore del barometro e autore del trattato Opera geometrica (1644) e delle Lezioni accademiche, pubblicate postume nel 1715. Interessante anche la figura di Marcello Malpighi (1628-1694), il primo che fece uso del microscopio per studiare tessuti organici, autore di scritti polemici nei confronti di coloro che avversavano la nuova medicina. Comunque nel complesso in Italia la divulgazione scientifica ebbe vita difficile, sia per l’opposizione del potere ecclesiastico, sia per la debolezza sociale e culturale del naturale destinatario di tale cultura, la nuova classe borghese.

nel giugno del 1633 fu costretto ad abiurare la verità scientifica; poi fu condannato al domicilio coatto prima a Siena e poi nella sua villa di Arcetri, sulla collina di Firenze. Le sue condizioni di salute andarono rapidamente peggiorando e nel 1637 divenne cieco; ciononostante, continuò a studiare e riuscì a far pubblicare clandestinamente in Olanda i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali (1638). Il Dialogo sopra i due massimi sistemi è una delle opere più significative della letteratura italiana, sia per la complessità e l’importanza degli argomenti trattati, sia perché in essa viene creata la prosa scientifica italiana. Galilei “inventa” e utilizza una lingua rigorosa, limpida e precisa, capace di spiegare il dato scientifico senza genericità e al tempo stesso di impiegare termini della lingua comune dando loro un definitivo valore scientifico. A tutto ciò si accompagna un continuo, gradevolissimo e sapiente ricorso all’ironia, piacere intellettuale che accomuna il grande scienziato ad Ariosto, il poeta che egli amò e apprezzò più di ogni altro.

La condanna dell’Inquisizione

L’”invenzione” di una lingua scientifica

Gli scrittori gesuiti: Bartoli e Segneri Resta sul ferrarese Daniello Bartoli (1608 -1685) il giudizio Daniello Bartoli di Leopardi, che lo definì “il Dante della prosa italiana”. 145

3 - La prosa filosofica, scientifica e storica

Bartoli entrò giovanissimo nella Compagnia di Gesù e vi compì tutti gli studi. Insegnante di retorica a Parma, dal 1637 divenne uno dei più importanti predicatori italiani. Nel breve scritto Dell’uomo di lettere difeso ed emendato (1645) assunse una posizione moderata nei confronti del barocco, stile “moderno e concettoso”. Tra le sue numerosissime opere minori, vanno segnalati il trattato sull’Ortografia italiana (1670) e il De’ simboli trasportati al morale (1677). Il suo L’”Istoria della capolavoro è l’Istoria della Compagnia di Gesù (1650-73). Compagnia di Gesù” Il fine dell’opera non è storiografico ma direttamente celebrativo e religioso. Cionondimeno, all’interno della sua opera si trovano grandiose descrizioni geografiche puntellate da precise considerazioni di carattere storiografico. Su questa base si aprono poi i ritratti a tutto tondo degli eroi gesuiti: Lo stile di Bartoli Francesco Saverio, Matteo Ricci. Lo stile di Bartoli, lontano dagli eccessi del concettismo, è giustamente celebre: pur all’interno della proliferante retorica barocca, la sua prosa appare elegante, fluida ed equilibrata in modo armonioso. La letteratura controriformistica ha un punto di forza nella produzione di predicatori. Le loro prediche non raggiungono alti profili teologici, ma certo sono di altissima spettacolarità moralistica e retorica. Paolo Segneri È il caso di Paolo Segneri (1624-1694): il suo Quaresimale (1679) è un capolavoro della letteratura omiletica del Seicento: la vastissima e salda cultura teologica trova espressione in un’eloquenza appassionata, che rifugge da eccessivi contorcimenti retorici e dal concettismo oscuro in voga ai suoi tempi. Da ricordare anche Sforza Pallavicino (16071667) e la sua Istoria del Concilio di Trento (1656-57).

Paolo Sarpi La vita

146

Il veneziano Paolo Sarpi (1552-1623) è il più grande storico italiano di quest’epoca. Nel 1565 entrò nell’ordine dei serviti e in seguito divenne teologo del duca di mantova Guglielmo Gonzaga e collaboratore del cardinale Carlo Borromeo a Milano. Nel 1606 fu nominato teologo della Repubblica di Venezia. In questa veste partecipò al conflitto che si aprì (1604) fra la Serenissima e papa Paolo V, quando Venezia si rifiutò di consegnare al tribunale ecclesiastico due preti imputati di reati comuni. Sarpi sostenne la posizione della Repubblica anche dopo l’interdetto (1606) e a prezzo di una scomunica personale. Terminata la disputa con un compromesso (1607), si avvicinò ai riformati d’oltralpe, senza abbandonare l’ortodossia e coltivando a Venezia i suoi sogni di riforma della Chiesa cattolica.

3 - La prosa filosofica, scientifica e storica

La polemica con la Santa Sede per la questione dell’interdetto è documentata da una ampia serie di scritti, tra cui spiccano i sette libri della Istoria particolare delle cose passate tra il sommo pontefice Paolo V e la Repubblica di Venezia gli anni 1605-07 (postumo, 1624), nota anche come Istoria dell’interdetto, che narra gli avvenimenti in modo puntuale e rigoroso. Queste opere rivelano lo spirito libero di Sarpi, teso alla costante ricerca della verità attraverso una serrata indagine razionale. Importante testimonianza sono le Lettere ai protestanti: in una prosa semplice e vigorosa, egli espone il suo programma di riforma della Chiesa in nome del rigore e della purezza delle origini evangeliche e la sua strategia politica, volta ad agganciare Venezia alla Francia e all’Inghilterra per controbilanciare la forza degli Asburgo. La Istoria del concilio tridentino è il capolavoro di Sarpi, composto tra il 1608 e il 1618 e pubblicato a Londra nel 1619 con lo pseudonimo Pietro Soave Polano. La storia del concilio di Trento vi è minutamente ricostruita con appassionata cura filologica. Partendo dal diffondersi della Riforma in tutta Europa, Sarpi ricerca le cause della rottura tra cattolici e protestanti, individuandole negli interessi mondani e temporali della curia romana. Quegli stessi interessi, a suo modo di vedere, hanno causato il fallimento del concilio, da cui sono usciti rafforzati l’autoritarismo papale e la mondanizzazione della Chiesa. La prosa è scarna, asciutta, ispirata a quella rigorosa di G. Galilei, di cui Sarpi fu amico e del quale condivise gli interessi scientifici.

L’”Istoria dell’interdetto”

L’”Istoria del concilio tridentino”

Le cause della rottura cattolici-protestanti

SCHEMA RIASSUNTIVO CAMPANELLA

Esprime la sua teologia e il suo pensiero utopico di riforma sociale e religiosa (Città del sole, 1623) con una lingua esuberante e ricca. Le sue Poesie lo collocano tra i massimi poeti del secolo in Italia ed espongono una visione del poetaprofeta in contrasto con il poeta-retore dominante all’epoca.

GALILEI

Il Dialogo (1623) è una delle opere più significative della letteratura italiana, sia per la complessità e l’importanza degli argomenti trattati, sia perché in essa viene elaborata la prosa scientifica italiana, “inventando” una lingua rigorosa e duttile.

147

3 - La prosa filosofica, scientifica e storica segue

GLI SCRITTORI GESUITI

Segneri e soprattutto Bartoli presentano una scrittura elegante, fluida e armoniosamente equilibrata, che influenzerà la prosa del Settecento e del primo Ottocento.

SARPI

È il maggiore storico della sua epoca. Nel suo capolavoro, la Istoria del concilio tridentino, individua le cause della rottura tra cattolici e protestanti negli interessi mondani e temporali della curia romana; quegli stessi interessi, a suo modo di vedere, hanno causato il fallimento del concilio, da cui sono usciti rafforzati l’autoritarismo papale e la mondanizzazione della Chiesa.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è il capolavoro del pensiero utopico di Campanella? 143a 2. In che cosa si distingue la visione del poeta in Campanella da quella propria del barocco? 144a

148

3. Perché Galilei ha un posto importante nella letteratura italiana? 145b 4. Qual è il giudizio di Leopardi su Bartoli? 145b 5. Quali sono le cause della rottura cattolici-protestanti secondo Sarpi? 147b

IL SETTECENTO 1 Un nuovo orizzonte storico 2 L’illuminismo italiano 3 La riforma teatrale di Goldoni 4 La cultura lombarda e Parini 5 Neoclassici e preromantici 6 Vittorio Alfieri

Il Settecento è l’età dei “lumi”, l’epoca dell’illuminismo, delle nuove esigenze razionali e della prima rivoluzione industriale. In tutta l’Europa si sviluppa una nuova idea di modernità, che si basa sul senso laico della cultura, sulla ricerca di una nuova e maggiore comunicatività del pensiero. La rivoluzione americana (1775) e francese (1789) generano il nuovo Stato borghese. In Italia l’illuminismo è quasi sempre mediato da una perdurante eredità classica. L’Arcadia, Metastasio, persino l’opera rigorosa di Parini, come il gusto neoclassico di fine secolo, perseguono un equilibrio tutto italiano fra ricerca razionale, reazione antibarocca e recupero del miglior classicismo della tradizione. L’opera storiografica e critica appare più complessa: Muratori e Vico sono i fondatori di una nuova filosofia della storia. Solo a metà secolo l’illuminismo italiano trova un carattere originale soprattutto in area lombarda (l’esperienza della rivista “Il Caffè” e il pensiero di Beccaria), sebbene di grande rilievo risulti anche il pensiero dei meridionali A. Genovesi e F. Galiani. È nel teatro che la letteratura settecentesca dà gli esiti più innovativi: Goldoni a Venezia riforma la commedia in senso borghese; Alfieri rinvigorisce la tragedia portando sulla scena l’odio per ogni forma di tirannide. A cavallo fra Settecento e Ottocento, nell’epoca della rivoluzione francese e dell’impero napoleonico, il neoclassicismo verrà rappresentato dall’importante esperienza di Monti, mentre nuova mediazione fra classicità e romanticismo sarà espressa dall’opera di Ugo Foscolo.

1 Un nuovo orizzonte storico La storia del Settecento è sostanzialmente una lenta crisi dell’Antico regime nobiliare. La monarchia spagnola è in pieno declino; la monarchia francese dalla Reggenza a Luigi XVI vive in una contraddizione senza via d’uscita. Solo la monarchia costituzionale inglese rafforza il suo potere e la sua forza economica. L’impero asburgico estende l’egemonia sull’Italia e diventa la maggiore potenza europea. La laicizzazione, la necessità di espansione economico-culturale sono elementi che spiegano la volontà di comunicazione tipica di questi anni. L’Italia, priva di autonomia politica e largamente dipendente dall’Austria, sente maggior disagio rispetto ad altre nazioni che si vanno sviluppando. Il problema vero dei nostri intellettuali è come mantenere la cultura italiana al passo di quella europea, cercando una mediazione che non ci separi dall’antica tradizione umanista e sappia confrontarsi con il razionalismo europeo ampiamente diffuso. La riforma del linguaggio poetico operata dall’Arcadia appare come una reazione al barocco.

L’Arcadia L’Accademia dell’Arcadia sintetizzò la reazione di fine Seicento al marinismo e al barocco. Venne fondata a Roma nel 1690, fra gli altri da G. M. Crescimbeni, G. V. Gravina e G. F. Zappi. Il programma letterario prevedeva un vero e proprio culto della vita pastorale: ogni letterato assumeva un nome pastorale greco (ricreando il mito dell’Arcadia, regione greca sede del monte Parnaso sacro alle Muse); aveva un simbolo distintivo (la siringa di Pan circondata da lauro), e il luogo delle riunioni veniva chiamato Bosco Parrasio, in onore del monte Parnaso. Il razionalismo arcadico rilanciò il genere della lirica; ma alla La poetica poesia barocca della meraviglia e della metafora ardita con- dell’Arcadia trappose un linguaggio poetico chiaro e lineare. Era il classicismo (specie umanistico) la chiave per ritrovare qualcosa che, secondo l’Arcadia, il barocco aveva dissipato. Il progetto tuttavia rimase un mutamento di superficie: l’idea di una nuova società si riduceva all’evasione in una società astratta, salottiera, sostanzialmente artificiale. L’“antica favola”, che per Gravina doveva tentare una riforma civile, e il rilancio della tradizione italiana, diventava il rito di una piccola società aristocratica, in una sterminata produzione di “pastori” e “pastorelle” immersi in poesie d’occasione (soprattutto 151

1 - Un nuovo orizzonte storico

La poesia secondo Gravina

“canzonette”) di facile maniera. Crescimbeni (“custode generale” dell’Arcadia fino alla sua morte, nel 1728) parlava di classicismo “rifatto in piccolo”, rispettoso della prudente politica culturale della Curia romana. Anche se fu Gravina a stendere (1696) le leggi accademiche dell’Arcadia, fu certo l’indirizzo di Crescimbeni a segnare l’artificiosità dei volumi collettivi Rime degli Arcadi e Vite degli Arcadi, pubblicate dal 1708. La cosiddetta scissione del 1711 (rottura del sodalizio Gravina-Crescimbeni; nascita dell’Accademia dei Quirini, a cui aderirono, insieme al Gravina, Rolli e Metastasio) non segnò in effetti alcun vero cambiamento. Al contrario, il programma di reazione al barocco ebbe grande successo; l’Accademia si diffuse dappertutto così che l’Arcadia divenne il più importante fenomeno del mondo letterario italiano. La riflessione razionalistica più interessante è quella del calabrese Gian Vincenzo Gravina (1664-1718). Nel trattato Della ragion poetica (1708; la parte essenziale, intitolata Delle antiche favole, è del 1696) Gravina riconosce alla poesia il carattere della “finzione” fantastica e il potere di comunicare a tutti (persino alle “menti volgari”) le verità più nascoste. La poesia diventa una “maga, ma salutare, e un delirio che sgombra le pazzìe”. La sapienza è occulta; le favole sono le maschere storiche attraverso le quali la verità assoluta si manifesta nella comunicazione sociale: la poesia assume un forte ideale di funzione civile. Le idee di Gravina non furono mai accettate dall’Arcadia ed egli, deluso, si chiuse in un rigido classicismo.

LA LIRICA ARCADICA Il frutto autentico dell’Arcadia è la ricerca di una chiarezza comunicativa e dunque un esercizio di semplificazione, che riesce a svincolare la produzione settecentesca dalla rigida tradizione petrarchesca, a favore di una cantabilità e di un “grazioso” quotidiano, che rimane un reale, anche se piccolo, ampliamento della prospettiva lirica italiana. Per questo nuovo gusto sono da ricordare i sonetti di Giambattista Felice Zappi (1667-1719); e soprattutto i poeti della cosiddetta “seconda generazione arcadica”, come Paolo Rolli (1687-1765: le Canzonette e cantate sono del 1727, mentre l’opera completa De’ poetici componimenti è del 1753) e Tommaso

152

Crudeli (1703-1745: postuma la Raccolta di poesie, 1746) e ancora Carlo Innocenzo Frugoni (1692-1768). Si può parlare ormai di un “rococò arcadico”, ovvero di un gusto frivolo e leggero, reso effervescente da una certa teatralità scherzosa, con una curiosa attenzione alla quotidianità. Chiaramente questo rococò italiano è meno sontuoso e maggiormente classicistico rispetto al magniloquente rococò europeo: un poeta come Ludovico Savioli Fontana (17291804), autore dei famosi Amori (1765), risulta un’originale mediazione fra Arcadia, leziosità rococò e classicismo figurativo, capace di fornire qualche esempio persino al neoclassicismo di Monti.

1 - Un nuovo orizzonte storico

Il teatro Gli esempi migliori della letteratura italiana si scorgono soprattutto nella produzione teatrale. Certamente il peso della commedia dell’arte e del melodramma non consente ancora la rinascita (che sarà operata da Goldoni, v. a p. 164) di un “teatro della parola”. Il milanese Carlo Maria Maggi (1630-1699) con le sue quat- Carlo Maria Maggi tro commedie (pubblicate postume nel 1701: Il Mancomale, 1695; Il barone di Birbanza, 1696; I consigli di Meneghino, 1697; Il falso filosofo, 1698) propone un’invenzione realistica, una comicità concreta, corroborata da un vero e proprio sperimentalismo dialettale. Il bolognese Pier Jacopo Martello (1665-1727), invece, com- Pier Jacopo Martello pie una specie di radicalizzazione del gusto barocco, ottenendo un effetto tanto paradossale quanto espressivo, non solo nel suo teatro (per il quale conia un nuovo metro di dodici sillabe, detto appunto “martelliano”, sul modello dell’alessandrino francese), ma soprattutto nelle sue prose satiriche (L’impostore o Della tragedia antica e moderna, 1714; Il segretario di Cliternate, 1717) e nella favola teatrale Il Femia sentenziato (1724, contro Scipione Maffei). Interessante la figura del senese Girolamo Gigli (1660- Girolamo Gigli 1722): scrisse con spregiuticatezza, aggredendo amaramente la figura dell’ipocrita (Don Pilone, 1707) o del falso untuoso (La sorellina di Don Pilone, 1712). Satira disperata e cruda sono le scritture del Gazzettino, testi proposti da Gigli come finti notiziari, avvertimenti inventati o ideali, diffusi poi manoscritti tra il 1712 e il 1713.

La storiografia e il pensiero critico La grande novità del pensiero critico settecentesco italiano sono l’erudizione, le ricerche di archivio e di repertori. In effetti, proprio questo esercizio di ricerca produce un dinamismo e una presa di coscienza culturale di enorme importanza. Studiosi come Muratori, Maffei o Giannone non sono irrigiditi in un’erudizione inutile e polverosa: le loro ricerche segnano la nascita di un modello culturale a cui non solo l’illuminismo italiano, ma anche il pensiero risorgimentale deve moltissimo. ■ Lodovico Antonio Muratori

Lodovico Antonio Muratori (1672-1750), nato a Vignola, stu- La vita diò a Modena, trasferendosi poi a Milano come prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Qui conobbe la famiglia Borro153

1 - Un nuovo orizzonte storico

meo e divenne amico dello scrittore C. M. Maggi, di cui scrisse anche la Vita (1700). Nel 1700, a Modena, iniziò la sua attività di archivista e bibliotecario di corte, dedicandosi a un’intensa attività di studio. S’impegnò nell’affermazione di una cultura improntata ai più autentici valori cattolici, combattendo ogni forma di superstizione e di dogmatismo. Di rilievo fu la battaglia condotta per il rinnovamento del sapere, in sintonia con il razionalismo illuministico del tempo. Dopo aver fatto parte dell’Arcadia con il nome di Lamindo Pritanio, elaborò un progetto di rinnovamento letterario che espose nel trattato Primi disegni della repubblica letteraria d’ItaPer una letteratura lia (1703): alla letteratura di evasione contrappose una letdella “ragione” teratura che si avvaleva della “ragione” e del giudizio critie del “buon gusto” co e che, come affermò nel trattato successivo Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti (1708), si fondava sul “buon gusto” (definito come “il conoscere ed il poter giudicare ciò che sia difettoso o imperfetto o mediocre nelle scienze e nelle arti, per guardarsene, e ciò che sia il meglio e il perfetto per seguirlo a tutto potere”). Fu un grande storioL’opera storiografica grafo, studiò in particolare il Medioevo, che rivalutò, dando inizio alla storiografia moderna su basi scientifiche. Frutti di questi studi sono le fondamentali raccolte di fonti cronachistiche Rerum Italicarum scriptores (1723-38), Antiquitates Italicae Medii Aevi (1738-42) e gli Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1749 (1744-49).

Scipione Maffei

Antonio Conti

154

■ Pensatori laici: Maffei e Conti Dalla nobiltà veneta vengono due pensatori originali, testimoni di un forte laicismo. Scipione Maffei (1675-1755) nel saggio Della scienza cavalleresca (1710) accusa la nobiltà contemporanea, incapace di assumersi una razionale e concreta responsabilità di potere. Il “Giornale de’ letterati d’Italia” (1710-40; ma solo fino al 1718 è diretto da Maffei e da Antonio Vallisnieri) è un ulteriore tentativo di proporre una “universalità di cognizione” per formare il nuovo uomo politico. Notevole il suo tentativo di rinnovamento teatrale: la sua Merope (1713) è una grande prova di tragedia colta ed erudita, certo raffinata e provvista di buona disposizione scenica. Antonio Conti (1677-1749) visse a Padova, dove studiò matematica e fisica, a Venezia e poi a Parigi e a Londra. Ebbe molteplici interessi e si cimentò in traduzioni (Il riccio rapito dell’inglese Pope), in testi teatrali (le tragedie Cesare, Giunio Bruto, Marco Bruto, Druso) e in scritti filosofici spregiudicati (Prose e poesie, 1739-56), in cui tentò di conciliare la scienza contemporanea e il platonismo.

1 - Un nuovo orizzonte storico

■ Pietro Giannone La cultura napoletana mostra una certa vivacità sia per il lavoro dell’Accademia degli Investiganti (operante soprattutto fra il 1663 e il 1670), sia per la diffusione del grande dibattito sul giusnaturalismo, la dottrina che riconosce l’esistenza di un diritto naturale preesistente alla formazione dello Stato. Pietro Giannone (1676-1748) è una grandissima figura della cultura napoletana. Legato alla migliore cultura giusnaturalistica, scrisse la Istoria civile del Regno di Napoli (1723), in cui indaga l’origine del potere civile ed ecclesiastico nel Meridione a partire dal Medioevo. Ne deriva una storia laica delle istituzioni, attraverso l’analisi della formazione degli istituti civili e la conseguente denuncia degli abusi del potere temporale della Chiesa. Scomunicato per il suo anticlericalismo, fu arrestato (1736) e morì in prigione. Nei manoscritti del carcere (stampati solo nel 1755) troviamo il Triregno (stampata integralmente solo nel 1895), in cui Giannone vagheggia un cristianesimo “corporeo”, radicato e vissuto nelle condizioni reali dell’esistenza. Il suo pensiero ebbe grande influenza sull’illuminismo italiano. Il capolavoro resta comunque l’autobiografia Vita di Pietro L’autobiografia Giannone (scritta in carcere dal 1736 al 1737, ma pubblicata solo nel 1905), che racconta la storia tragica di un intellettuale e, in filigrana, il naufragio della cultura laica italiana, che non sa reagire alla sordità del potere. Il racconto è travolgente, con pagine tenerissime e commoventi: sorprendente la lucidità e la consapevolezza con cui Giannone descrive la propria tragedia esistenziale.

Giambattista Vico Il napoletano Giambattista Vico (1668-1744) è la vera grande La vita e le opere novità della cultura italiana. Prima istitutore, ottenne poi una cattedra universitaria; la prolusione del 1708, stampata l’anno dopo, De nostri temporis studiorum ratione (L’organizzazione degli studi del nostro tempo) anticipa alcune delle tesi fondamentali del suo pensiero. Del 1709 è il trattato De antiquissima italorum sapientia (L’antichissima sapienza degli italici), dove sono poste le premesse per l’affermazione della centralità della storia nel quadro del sapere dell’uomo. Il suo capolavoro esce in prima edizione nel 1725 con il tito- La “Scienza nuova” lo Principi di una scienza nuova d’intorno alla natura delle nazioni (1725); la seconda, ampiamente rielaborata e arricchita, è intitolata Cinque libri dei principi di una scienza nuova (1730); la terza e definitiva edizione, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte, comparve con il nome di Prin155

1 - Un nuovo orizzonte storico

cipi di scienza nuova (1744). Notevole l’orazione In morte di donn’Angela Cimmino marchesa della Petrella (1727), in cui lo scrittore delinea un modello altissimo di “virtù privata”. Il filosofo visse sempre fra molti disagi economici. La rivalutazione della storia

■ Il pensiero vichiano Al centro della Scienza nuova vi è l’affermazione che solo la storia (e non la natura) può essere indagata e conosciuta adeguatamente dall’uomo, poiché solo ciò che si fa si può davvero conoscere. Il sapere storico deve tener conto degli inganni umani: anche i miti, più che semplici “imposture”, devono essere considerati gli unici modi possibili di conoscenza e di organizzazione civile. La “critica” deve saper comprendere questa complessità e fondarsi sulla “filosofia” (il “vero”) e sulla “filologia” (il “certo”); e deve dimostrare il lento progresso della civiltà umana attraverso l’analisi delle forme di “dominio” sulla debolezza. La celebre “discoverta del vero Omero” (l’antico poeta greco non è mai esistito come figura storica e i poemi che a lui vengono attribuiti sono in realtà la produzione collettiva del popolo greco) non è una generica esaltazione sacrale della poesia, bensì la concreta definizione di un modello storico. Del resto, per Vico la vita dei popoli si svolge in tre fasi dominate rispettivamente dal senso (infanzia, ovvero età degli dei), dalla fantasia (fanciullezza, ovvero età degli eroi) e dalla ragione (maturità, ovvero età degli uomini). Il passaggio da una fase all’altra della storia non è lineare e soprattutto né razionale né cosciente, ma può conoscere dei ritorni, delle ripetizioni (i “ricorsi” storici). L’irrazionalità, l’istinto, il mito, la fantasia, gli elementi che stanno all’origine della storia (contro una tesi di sapienza perduta) sono dati che ricorrono e di cui lo storico deve tener conto quali modelli culturali.

Il melodramma e Metastasio Il libretto melodrammatico

La riforma del melodramma 156

La lingua italiana era ancora molto diffusa in Europa grazie soprattutto al melodramma e ai libretti, che ne costituivano l’elemento narrativo. La scrittura, distinta in recitativi (l’azione e il dialogo vero e proprio) e arie (situazioni più liriche e musicali), esaltava il valore spettacolare e fantasioso del testo scenico. La reazione razionalistica, interessata ai valori morali e comunicativi della parola, criticava il melodramma tacciandolo di artificio e di grossolanità espressiva rispetto alle esigenze dello spettacolo e della musica. Ne chiedeva dunque una riforma, per quanto il melodramma continuasse a riscuotere un enorme successo. D’altra parte,

1 - Un nuovo orizzonte storico

né le varie condanne (fra le migliori, quelle del Gravina e del Muratori), né la satira del mondo della musica e dello spettacolo (per esempio, Il teatro alla moda, 1720, di Benedetto Una forma Marcello, 1686-1739), avrebbero potuto scalfire una delle espressiva di respiro forme espressive di maggiore respiro internazionale. Una internazionale riforma fu tentata da Apostolo Zeno (1669-1750), poeta ufficiale della corte imperiale di Vienna, e dal librettista Pietro Pariati (1665-1733). Ma solo Metastasio riuscì a esprimere una mediazione per cui la preminenza del libretto sulla musica non riduceva ma forse esaltava il fascino della musica e dello spettacolo. La limpidissima facilità dei suoi testi, la levigatezza di un’analisi psicologica che include sornionamente l’idea di vita come “inganno e finzione”, sono prospettive liriche in cui la fragrante chiarezza dello spettacolo musicale settecentesco trova il suo migliore equilibrio. ■ Pietro Metastasio Il romano Pietro Metastasio (1698-1782), pseudonimo grecizzante di Pietro Trapassi, è il massimo esponente della tradizione italiana arcade e classicheggiante. La sua prima raccolta di Poesie è del 1717 e comprende la tragedia Giustino, scritta a quattordici anni. Scrive poi alcuni testi teatrali destinati alla musica come l’Endimione (1720) e Gli Orti Esperidi (1721). Del 1724 è il suo primo melodramma, I primi melodrammi Didone abbandonata (1724), che ebbe un successo eccezionale. A Roma, mise in scena diversi melodrammi, tra cui Catone in Utica (1728), Semiramide riconosciuta (1729), Alessandro nell’Indie (1729), Artaserse (1730). Nel 1730 venne chiamato a Vienna con il titolo di “poeta Poeta di corte cesareo” e presso la corte asburgica rimase tutta la vita. Tra a Vienna il 1730 e il 1740 scrisse le sue opere migliori: i melodrammi Demetrio (1731); Adriano in Siria (1732); Olimpiade e Demofoonte (1733); La clemenza di Tito (1734), musicata da Mozart; Achille in Sciro (1736); Ciro riconosciuto (1736); Attilio Regolo (1740); inoltre le feste teatrali L’asilo d’amore (1732) e Le cinesi (1735), l’azione sacra Betulia liberata (1734) e la canzonetta (musicata dallo stesso poeta) La libertà (1733). Dopo questo decennio d’intensa attività, la produzione andò rallentando, sia per la crisi attraversata dalla corte viennese dopo la guerra di successione austriaca, sia per un progressivo inaridirsi della sua vena poetica, testimoniato anche da una certa ripetitività che caratterizza i lavori successivi, come i melodrammi Antigone (1743), Ipermestra (1744), Il re pastore (1751), L’eroe cinese (1752), Nitteti (1756), Romolo e Ersilia (1765) e Ruggiero (1771) e la festa teatrale L’isola disabitata (1752), oltre alla famosa

157

1 - Un nuovo orizzonte storico

La vecchiaia

Una dimensione volutamente irreale

canzonetta La partenza (1746). Tutte le opere di Metastasio suscitarono l’interesse di numerosi compositori europei (si pensi che l’Artaserse ebbe più di cento versioni musicali). Dopo la metà del secolo il poeta, ormai vecchio, si chiuse progressivamente in se stesso, dedicandosi ai doveri della vita di corte e alla riflessione sulle ragioni del proprio lavoro, che si concretizzarono in due opere di notevole lucidità: La Poetica di Orazio tradotta e commentata (1745) e l’Estratto dell’Arte poetica di Aristotele e considerazioni sulla medesima (1773). L’edizione completa dei suoi drammi fu stampata nel 1780-82. ■ Le caratteristiche del melodramma di Metastasio Metastasio rinnovò il melodramma, trasformandolo in una dimensione di pura fantasia, dove parole e musica vengono fusi armonicamente. Il tradizionale bagaglio mitologico (si pensi anche agli ottimi risultati di Metastasio nel genere delle “feste teatrali” e delle “azioni sacre”) fu vivificato dalla sensibilità settecentesca, fatta di una continua oscillazione tra lucidità razionale e sollecitazioni del sentimento. Metastasio utilizza tutte le risorse della tradizione teatrale per dare valore a quelle motivazioni psicologiche che spesso prendono il posto dell’azione, talvolta macchinosa e artificiale. I suoi eroi si muovono in una dimensione volutamente irreale e trovano la loro massima espressione nelle “ariette” conclusive delle scene, in cui vengono tirate le fila dell’azione, mentre la sfera dei sentimenti viene esplorata in maniera da metterne in risalto le contraddizioni, senza tuttavia trasmettere allo spettatore la drammaticità del conflitto.

■ La librettistica del Settecento Il melodramma resta vitale per tutto il secolo. Intorno agli anni ’30, l’opera buffa napoletana apre a una comicità vivace, nutrita di una spensierata sperimentazione linguistica: l’intermezzo de La serva padrona (1733) di Giovan Battista Pergolesi (1710-1735), con libretto di Gennaro Antonio Federico, diviene a Parigi addirittura il motivo di una complicata discussione, la cosiddetta querelle des bouffons, 1752, in cui gli illuministi si schierano a favore dei “buffoni”, ovvero del teatro musicale italiano. Una vera riforma avverrà solo a metà secolo. Metastasio, infatti, esaltando il librettista dava totale libertà al compositore. Occorreva un’integrazione più netta. Quando il musicista tedesco Christoph W. Gluck Ranieri de’ Calzabigi (1714-1787) e il librettista italiano Ranieri de’ Calzabigi si mettono a lavorare in stretto accordo (così che la scrittura

158

1 - Un nuovo orizzonte storico

del libretto è direttamente legata alla composizione musicale, favorendo uno schema drammatico più ordinato e classico), la riforma è finalmente ottenuta: Orfeo ed Euridice (1762) e Alceste (1767) ne sono le grandi riprove. La maturazione avverrà però più tardi con il lavoro di Mozart e di Lorenzo Da Ponte. Lorenzo da Ponte (1749-1838) ebbe una vita travagliata, morì Lorenzo Da Ponte, a New York in fuga dai suoi creditori. Scrisse per Mozart i li- librettista di Mozart bretti di tre opere decisive nella storia della musica, Le nozze di Figaro (1786), Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni (1787) e Così fan tutte ossia la scuola degli amanti (1790). Questi libretti sono meccanismi perfetti di vitalità creatrice, capace però di distruggere spavaldamente tutti i valori culturali (e politici) che il melodramma aveva per decenni custoditi. Dappertutto si sente il brivido della catastrofe imminente: ma anche la bellezza di un vuoto nuovo, di un’armonia fra testo e musica mai sentiti, modernissimi, e ancora sorprendenti per noi, per un pubblico di due secoli dopo.

SCHEMA RIASSUNTIVO L’ARCADIA

La reazione al barocco è rappresentata sul piano poetico dall’Arcadia (1690), che propugna una nuova semplicità razionalistica con un linguaggio chiaro e lineare. Per Gravina la poesia assume una forte comunicatività sociale.

STORIOGRAFIA

Sono l’erudizione, le ricerche di archivio e di repertori la grande novità del pensiero critico settecentesco italiano. Muratori lotta per un rinnovamento del sapere, in una prospettiva già illuministica; Giannone propone una storia laica delle istituzioni; per Vico solo la storia (e non la natura) può essere indagata e conosciuta adeguatamente dall’uomo.

IL MELODRAMMA DI METASTASIO

La preminenza assoluta del librettista sulla musica, l’ordine lirico e strutturale della parola scritta non riducono ma esaltano il fascino della musica e dello spettacolo. Il melodramma di Metastasio è pura fantasia, armonia perfetta di parole semplici e limpide e musica.

LA LIBRETTISTICA DA PONTE

I libretti di Da Ponte (Le nozze di Figaro, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, Così fan tutte ossia la scuola degli amanti) sono meccanismi perfetti di vitalità creatrice, capace però di distruggere spavaldamente, quasi per troppa luce, tutti i valori culturali (e politici) che il melodramma aveva per decenni custoditi.

E

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è l’oggetto della reazione culturale dell’Arcadia? 151b 2. Qual è per Vico il compito della “critica” storica? 156

3. In che modo Metastasio riforma il melodramma? 158 5. Per quale grande musicista scrive i suoi libretti Da Ponte? 159a

159

2 L’illuminismo italiano L’illuminismo italiano ha come riferimento principale il pensiero illuministico francese di Montesquieu, Voltaire, Rousseau e Diderot, mentre l’illuminismo inglese, in gran parte riconducibile alla filosofia empirista, è conosciuto solo parzialmente e soprattutto attraverso la produzione romanzesca. Non fu mai un fenomeno radicale, né da un punto di vista politico né sotto il profilo filosofico.

Caratteri generali Le tre fasi dell’illuminismo italiano

L’illuminismo italiano può essere distinto in tre periodi: 1. il periodo 1740-1750 è segnato da una larga diffusione delle idee illuministiche; il nuovo equilibrio politico di metà secolo invita a un grande dibattito culturale; 2. il periodo 17601775 vede una fattiva collaborazione fra intellettuali e principi illuminati; 3. nel 1775-1790 la collaborazione si interrompe e il riformismo, diretto dall’alto, si fa meno dinamico. L’illuminismo italiano fu sempre prudente e mirò principalmente a uno svecchiamento della cultura. Del resto, anche fenomeni culturali non illuministici (la tradizione del riformismo moderato di Muratori; il rigorismo religioso giansenista; persino il gesuitismo, che ambiguamente si fece carico della nuova cultura riformista) sono mossi da intenti riformistici, escludendo qualsiasi atteggiamento eversivo e radicale. I nostri illuministi, nonostante indubbie esitazioni, diedero comunque un contributo interessante al dibattito europeo, arricchendo e giustificando il pensiero laico italiano.

Gli illuministi Francesco Algarotti

160

Il veneziano Francesco Algarotti (1712-1764) è un esempio notevole di cosmopolitismo illuministico. Grande successo internazionale ebbe il suo Newtonianismo per le dame (1737), un’esposizione salottiera della scienza newtoniana in forma dialogica, dove una marchesa “si converte” dalla fisica di Cartesio a quella di Newton. Le sue Opere varie (1757) trattano diversi argomenti: dal Saggio sopra la pittura o dal Saggio sopra l’opera in musica si passa al Saggio sopra la lingua francese o al Saggio sopra la necessità di scrivere nella propria lingua. Nel Saggio sopra il commercio (1763) Algarotti affronta il problema se le qualità dei popoli dipendano dal clima o dalle legislazioni. Il suo libro più bello re-

2 - L’illuminismo italiano

stano tuttavia i Viaggi di Russia, composti da otto lettere del 1739 e da altre del 1750-51: vero reportage giornalistico, curioso e intelligente, è scritto in una lingua facile e ordinata. Compose anche il romanzo Congresso di Citera (1745), pervaso da un galante erotismo. Saverio Bettinelli (1718-1808), mantovano, gesuita, propo- Saverio Bettinelli se una polemica feroce e aggressiva. Le Lettere virgiliane (1757) sono un attacco, nel nome di un classicismo razionale, a quasi tutta la cultura italiana (persino Dante è considerato bizzarro). Anche le altre opere (Lettere inglesi, 1766; Dell’entusiasmo delle belle arti, 1769; Discorso sopra la poesia italiana, 1781; Il Risorgimento d’Italia negli studi, nelle arti e ne’ costumi dopo il mille, 1773) presentano una critica aspra, ma spesso capziosa e confusa, non esente da una certa genericità. Girolamo Tiraboschi (1731-1794), bergamasco, gesuita, è Girolamo Tiraboschi l’autore di un’interessante Storia della letteratura italiana, che segue e in qualche modo sintetizza altre storie letterarie precedenti. ■ Giuseppe Baretti Giuseppe Baretti (1719-1789), torinese, è invece un esempio più concreto di lavoro intellettuale interessato davvero alla formazione di una cultura comune. Raccolse in Piacevoli poesie (1750) i versi ispirati a F. Berni e al suo spirito comico-polemico. Fra il 1751 e il 1760 trascorse un primo periodo in Inghilterra. Risale a questa fase l’amicizia con lo scrittore inglese Samuel Johnson, che lo spinse ad approfondire lo studio della lingua e della letteratura inglese (pubblicò persino un Dizionario italiano-inglese, 1760). Tornato in Italia attraverso il Portogallo, la Spagna e la Francia, lasciò una vivace testimonianza di quei paesi nelle Lettere familiari a’ suoi tre fratelli, pubblicate nel 1770 e tradotte anche in inglese. Fra il 1762 e il 1765 fu ancora a Ve-

MASSONERIA E ILLUMINISMO All’interno della cultura illuministica, la “massoneria” assume un ruolo importante. Dalla tradizione delle mason guilds (corporazioni di muratori) del tardo Medioevo, si sviluppano in Inghilterra delle società di costruttori; nel Cinquecento e nel Seicento viene a sovrapporsi la cultura simbolica dell’ermetismo, così che le corporazioni di-

ventano vere e proprie “logge” (come la Gran Loggia d’Inghilterra, 1717) che hanno una grande diffusione in tutta l’Europa, specie nella classe borghese. Deismo e razionalismo più o meno umanitario sono gli elementi di una struttura di potere e di mutuo soccorso, capace di controllare la cultura e spesso gli uomini di potere.

161

2 - L’illuminismo italiano

La “Frusta letteraria” nezia, e lì pubblicò la rivista “Frusta letteraria” (1763-65), sulle cui pagine – sotto le spoglie di un personaggio fittizio, Aristarco Scannabue, militare in pensione – prese di mira con una violenta polemica il “flagello dei cattivi libri”, che venivano pubblicati in Italia. Aristarco, che usa un linguaggio forte e corposo ricorrendo al ridicolo e all’assurdo, esprime così il suo drastico giudizio su molta letteratura contemporanea. Umorale e aggressivo (rifiutò persino Goldoni), incarna la figura del “critico militante”, per lui la letteratura non è un’operazione salottiera e distaccata dalla concretezza della vita, bensì una comunicazione forte, votata a negare la pedanteria e le convenzioni (convenzionale gli sembrò addirittura l’intento programmatico dell’illuminismo). Dal 1766 fu ancora in Inghilterra, che non abbandonò più, se si escludono due brevi soggiorni in Spagna e in Italia. Risale a questo periodo il Discours sur Shakespeare et Monsieur de Voltaire (Discorso su Shakespeare e Voltaire, 1776), con il quale difende lo scrittore inglese dalle critiche di Voltaire (che pure lo aveva introdotto in Francia), agevolando la diffusione europea di Shakespeare nel XVIII secolo. Antonio Genovesi

Ferdinando Galiani

162

■ Genovesi, Galiani e l’illuminismo meridionale Il sacerdote Antonio Genovesi (1713-1769) è, insieme a Galiani, la grande figura dell’illuminismo meridionale. Frequentò Vico; dal 1641 ebbe la cattedra di metafisica all’università di Napoli, e dal 1754 la cattedra di “meccanica e commercio”. Propose un liberismo moderato, che criticava i privilegi feudali e il protezionismo (celebri le Lezioni di commercio, tenute nel 1757-58 e pubblicate fra il 1765 e il 1767). Per difendersi dalle critiche ecclesiastiche, compose le Lettere ad un amico provinciale (1759). Pubblicò saggi filosofici (Diossina, o filosofia dell’onesto e del giusto, 1766-77) e testi di pedagogia. Sostenne l’utilità sociale delle lettere (Vero fine delle lettere e delle scienze, 1753). Lasciò anche un’interessante autobiografia Vita di Antonio Genovesi (scritta prima del 1760, ma pubblicata postuma nel 1924). L’abate abruzzese Ferdinando Galiani (1728-1787) ebbe un notevole successo con il trattato Della moneta (1751), in cui sottolineò la moderna concezione del valore simbolico del danaro. Entrato nell’amministrazione borbonica, fu inviato a Parigi in qualità di segretario dell’ambasciata napoletana. Pubblicò in francese Dialoghi sul commercio dei grani (1770), in cui contrasta le teorie economiche fisiocratiche, che sostenevano la centralità dell’agricoltura e del libero commercio dei prodotti agricoli. Rientrato a Napoli,

2 - L’illuminismo italiano

rivestì importanti cariche pubbliche. Mostrò molteplici interessi. Scrisse il Trattato in difesa del dialetto napoletano (1779), il Vocabolario delle parole del dialetto napoletano (1789, postumo), il trattato politico De’ doveri dei principi neutrali verso i principi belligeranti e di questi verso i neutrali (1782, postumo). Il suo conservatorismo amaro e sprezzante, la prosa sempre nervosa e chiara conferiscono alla sua opera una notevole lucidità realistica. Gaetano Filangieri (1753-1788) scrisse La scienza della le- Gaetano Filangieri gislazione (a partire dal 1780), opera di grandissimo impegno e intelligenza sul carattere razionale della legislazione. Francesco Mario Pagano (1748-1799) coi suoi Saggi politici Francesco Mario (pubblicati dal 1783 al 1785) analizzò con passione e intelli- Pagano genza, rifacendosi a Vico, le origini storiche dell’oppressione.

SCHEMA RIASSUNTIVO CARATTERI GENERALI

L’illuminismo italiano ha come riferimento principale il pensiero francese, anche se rimane un fenomeno prudente e mai radicale.

GLI ILLUMINISTI

Algarotti fu un buon divulgatore delle scienze (Newtonianismo per le dame). Baretti propugnò con notevole vis polemica (la “Frusta letteraria”) la letteratura come comunicazione forte, votata a negare la pedanteria e le convenzioni. Genovesi e Galiani propugnarono un liberismo concreto e furono importanti esponenti del pensiero economico settecentesco.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è la periodizzazione dell’illuminismo italiano? 160a 2. Chi assunse lo pseudonimo di Aristarco Scannabue e su che rivista scrisse? 162a

3. Della moneta è il capolavoro dell’illuminismo lombardo? 162b 4. In quale campo si applicarono maggiormente gli illuministi meridionali? 162b-163a

163

3 La riforma teatrale di Goldoni

Goldoni, allontanandosi dalla commedia dell’arte, si propose di scrivere il testo teatrale nella sua completezza, in modo da poter determinare il carattere psicologico dei personaggi, portando sulla scena la rappresentazione della realtà sociale e non una sua caricatura.

Carlo Goldoni Gli esordi

Carlo Goldoni (1707-1793) è il grande rinnovatore del teatro italiano. Nato a Venezia da una famiglia di origine borghese, studiò a Perugia, a Rimini e a Pavia, dalla cui università di diritto, nel 1725, venne espulso a causa di uno scritto satirico sulle ragazze della città, Il Colosso. Laureatosi nel 1731, cominciò a lavorare ai primi canovacci: Il gondoliere veneziano ossia gli sdegni amorosi è del 1733. Nel 1734 da Milano tornò a Venezia e assunse l’incarico di scrivere per il teatro San Samuele: compose con successo le tragicommedie Belisario e Don Giovanni Tenorio o sia il dissoluto. Fu poi a Padova, a Udine e a Genova, dove conobbe e sposò Nicoletta Conio (1736). Tornato a Venezia, ottenne la direzione del teatro di San Giovanni Crisostomo (1737-42) e dal 1741 al 1744 ebbe l’incarico di console di Genova a Venezia. La sua attività teatrale cominciò a farsi intensa e qualitativamente importante; nel 1738 mandò in scena con buon successo la commedia Momolo cortesan, seguita da Momolo sulla Brenta e Il mercante due volte fallito. Si tratta ancora di ampi canovacci, che preannunciano la volontà di giungere alla stesura completa del testo teatrale. ■ La riforma del teatro

La prima commedia scritta interamente, in modo da costruire lui stesso il carattere e lo spessore psicologico dei personaggi e portare sulla scena la realtà e non la sua caricatura filtrata attraverso gli stereotipi delle maschere della commedia dell’arte, fu La donna di garbo (1743). Nel 1744 si stabilì a Pisa e vi rimase per alcuni anni. Scrisse Tonin bellagrazia e I due gemelli veneziani; nel 1745 scrisse Il servitore di due padroni; nel 1748, L’uomo prudente e La vedova scaltra (che fu uno straordinario successo). Nel 1749, dopo la messa in scena della commedia La putta onorata, sottoscrisse con la com164

3 - La riforma teatrale di Goldoni

pagnia Medebach, che recitava al teatro Sant’Angelo di Vene- Al teatro zia, un contratto di quattro anni, con l’impegno di produrre Sant’Angelo dieci testi l’anno (di cui otto commedie). Tra le prime opere troviamo Il cavaliere e la dama, La buona moglie e La famiglia dell’antiquario (1749). Presto cominciarono le critiche al teatro goldoniano, soprattutto a opera dell’abate P. Chiari, accentuate dall’insuccesso toccato, nel carnevale del 1750, a L’erede fortunata. Per la stagione 1750-51 si impegnò a scrivere ben sedici commedie, fra le quali alcuni capolavori: Il teatro comico; La bottega del caffè; Il bugiardo; Le femmine puntigliose; La Pamela; L’avventuriero onorato; La dama prudente; I pettegolezzi delle donne. Nel 1751 venne pubblicato il primo tomo della raccolta delle sue Commedie. Divenuto celebre, Goldoni propose i suoi testi anche fuori Venezia: a Bologna furono rappresentate L’amante militare; Il feudatario; La serva amorosa (1752). Nel 1753 fece rappresentare La locandiera e Le donne curiose. Alla fine del 1753, forse per disaccordi economici, Goldoni non rinnovò il contratto con il teatro Sant’Angelo (che assunse P. Chiari) e ne stipulò uno triennale con il teatro rivale, il San Al teatro San Luca Luca: tale scelta, rinfocolando le polemiche tra i due autori, condizionò in maniera significativa la produzione di Goldoni, che nel 1754-55 compose soprattutto drammi giocosi di facile successo: La sposa persiana; La cameriera brillante; o attenti alle figure della cultura borghese: Il filosofo di campagna; Il filosofo inglese; Il medico olandese. Nel febbraio 1756 tornò alla grande commedia dialettale con Il campiello, seguito da altre opere di rilievo: Le morbinose (1758); I morbinosi (1759); I rusteghi (1760); Gl’innamorati (1760); La guerra (1760); L’impresario delle Smirne (1760); e ancora, nella stagione 1760-61, scrisse Un curioso accidente, La donna di maneggio, La buona madre. La sua fama era ormai grande, anche se aumentavano le polemiche. Quando nel 1761 la “Comédie italienne” gli rivolse l’invito di lavorare a Parigi, Goldoni accettò con piacere. Onorò comunque il nuovo contratto con il teatro San Luca scrivendo una serie di capolavori: nel 1761 La casa nova, la Trilogia della villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura; Le avventure della villeggiatura; Il ritorno dalla villeggiatura); nel 1762 Sior Tòdero brontolon, Le baruffe chiozzotte, Una delle ultime sere de carnovale, con cui diede un melanconico, appassionato addio al suo pubblico. ■ Gli anni parigini

Il primo impatto con la nuova situazione fu deludente: la “Comédie italienne” non intendeva applicare i principi del165

3 - La riforma teatrale di Goldoni

“Mémoires”

Una concezione realistica del ceto medio La comicità

I capolavori

166

la riforma goldoniana, ma richiedeva all’autore veneziano l’impulso per rinnovare la tradizione della commedia dell’arte. Così Goldoni scrisse gli scenari della Trilogia di Arlecchino (1763), affidati poi all’improvvisazione degli attori; presto tornò a comporre anche intere commedie: nel 1763 Gli amori di Zelinda e Lindoro; nel 1765 Il ventaglio. A esse si aggiunsero due lavori in francese Il burbero benefico (Le bourru bienfaisant, 1771) e L’avaro fastoso (L’avare fastueux, 1776). Il peggioramento delle condizioni di salute lo costrinse a limitare l’attività. Nel 1778 venne stampata tutta la sua opera teatrale. Nel 1784 iniziò la stesura delle Memorie (Mémoires), che concluse nel 1786 e pubblicò nel 1787 con la dedica al re Luigi XVI. Nel 1792 il governo rivoluzionario gli tolse la pensione reale che aveva ottenuto nel 1769. Morì l’anno dopo. ■ Il mondo di Goldoni Nella Prefazione al primo tomo delle Commedie (1750) Goldoni parla del libro del Mondo e di quello del Teatro. “Il primo mi mostra tanti e poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale, che paion fatti apposta per somministrarmi abbondantissimi argomenti di graziose e istruttive Commedie”. A ispirare Goldoni è dunque la società civile, quella che viveva a Venezia nelle case borghesi. Il suo punto di riferimento è la rappresentazione realistica del ceto medio e di una morale più umana e concreta. Una prova è anche la sua riflessione sulla comicità: l’effetto comico nasce dal vedere “effigiati al naturale, e posti con buon garbo nel loro punto di vista, i difetti e ‘l ridicolo che trovasi in chi continuamente si pratica, in modo però che non urti troppo offendendo”. Nel Campiello, per esempio, scritto in veneziano e in versi, sono rappresentati gli amori, i risentimenti, le liti, le chiacchiere che si svolgono in una piazzetta veneziana in un giorno di carnevale. Nella Locandiera, scritta in italiano, Mirandolina, la protagonista, padrona di una locanda (corteggiata da due nobili, che essa tiene a debita distanza, e disprezzata dal Cavaliere, che sostiene di odiare le donne) si propone di conquistare quest’ultimo con il suo fascino fino a farlo invaghire follemente. Ma alla fine lo umilia di fronte a tutti, sposando Fabrizio, il cameriere della locanda. Nei Rusteghi (1760), in veneziano, entrano in conflitto – per la pretesa di Sor Lunardo di combinare il matrimonio della figlia senza informare gli interessati – le pretese di quattro mercanti nemici giurati delle novità e tenaci assertori del potere dei padri e dei mariti e le aspirazioni delle donne e dei

3 - La riforma teatrale di Goldoni

giovani che vogliono vivere la loro vita in una festosa serenità. Il tema dello scontro tra un vecchio abbarbicato al passato e una donna, Marcolina, volitiva e aperta alle novità, si ripropone in Sior Tòdaro brontolon (1762), scritta in veneto. Nelle Baruffe chiozzotte (1762, scritte in veneziano e chioggiotto) i personaggi sono pescatori di Chioggia, tra i quali per qualche scherzo scoppiano liti tanto profonde da finire in tribunale, dove il “cogitore” Isidoro, figura in cui è adombrato Goldoni stesso, dirime le questioni e riporta la buona armonia. Goldoni tuttavia non aspirò mai a cambiamenti radicali, ma a una civiltà più gentile e rispettosa dei diritti, nella quale tramontassero le consuetudini “rusteghe” in favore di rapporti basati sulla lealtà, sul riconoscimento della sfera dei sentimenti, tenuti a freno però dalla ragionevolezza.

I fratelli Gozzi Quando esaltò sulla “Gazzetta veneta” (1760) I rusteghi goldoniani, Gasparo Gozzi (1713-1786) rivelò chiaramente il suo buon gusto classico, ma aperto alla rappresentazione della quotidianità. Fondò a Venezia, insieme al fratello Carlo e a G. Baretti, l’Accademia dei Granelleschi, a sostegno della tradizione classicista, per la quale scrisse il famoso saggio Difesa di Dante (1758), in polemica con L. Bettinelli (v. a p. XX), difendendo l’organicità della Divina Commedia. Fu innanzi tutto un grande giornalista: redasse “La Gazzetta veneta” (1760-61) e “L’Osservatore veneto” (1761-62), in cui propose un giornalismo moderno, attento ai fatti e ai costumi, prendendo a modello l’inglese “Spectator”. Anche nei Sermoni in endecasillabi sciolti (1763) rivela una vena moralista e bonariamente satirica che lo accosta all’opera di Parini. Carlo Gozzi (1720-1806) ebbe un atteggiamento più chiuso e conservatore del fratello: a Venezia fu protagonista di uno scontro violento con Goldoni e con Chiari, dei quali contestava la riforma del teatro comico in senso borghese e illuminista. Alla commedia goldoniana contrappone con forza il ritorno alla commedia dell’arte, alla sua comicità spontanea e alle sue invenzioni sceniche, privilegiando soprattutto la fantasia creativa dell’intreccio: L’amore delle tre melarance (1761), una fiaba recitata a soggetto, nasce da queste polemiche. Fra il 1761 e il 1765 compose nove Fiabe teatrali, in cui il meraviglioso si oppone alla mediocrità dei valori borghesi: Il corvo; Il re Cervo; Turandot; La donna serpente; La Zobeide; I pitocchi fortunati; Il mostro turchino; L’augellin belvedere; Zeim re dei geni. Caratte-

Gasparo Gozzi

Carlo Gozzi

La produzione teatrale

167

3 - La riforma teatrale di Goldoni

rizzato da un’aspra satira contro i costumi del tempo e dalla polemica antiilluminista è il poema eroicomico La Marfisa bizzarra (1761-68). Le Memorie inutili (1797-98) sono infine un’autobiografia, in cui lo scrittore si presenta in tutta la sua scontrosità nel quadro della società veneziana ormai in dissoluzione.

SCHEMA RIASSUNTIVO GOLDONI La vita

Nasce nel 1707 a Venezia e vive sempre della sua opera di autore teatrale; importanti sono le sue collaborazioni con il teatro Sant’Angelo (1749-1753) e con il teatro San Luca. Nel 1762 si reca a Parigi per lavorare per la “Comédie italienne”. Muore a Parigi nel 1793.

La riforma teatrale

Goldoni supera la forma della commedia dell’arte, basata su un canovaccio che delinea gli elementi salienti della storia liberamente interpretata dagli attori, per scrivere l’intero testo teatrale, con i suoi dialoghi, per determinare la psicologia dei personaggi e rappresentare la realtà e non una sua caricatura.

I capolavori

Le commedie più importanti e continuamente rappresentate di Goldoni sono: La locandiera (1753); Il campiello (1756), I rusteghi (1760); Sior Tòdaro brontolon (1762); Le baruffe chiozzotte (1762).

Poetica

Il suo punto di riferimento è la rappresentazione realistica del ceto medio e di una morale più umana e concreta. Goldoni non aspira a cambiamenti radicali, ma a una civiltà più gentile e rispettosa dei diritti, nella quale tramontassero le consuetudini “rusteghe” in favore di rapporti basati sulla lealtà, sul riconoscimento ragionevole della sfera dei sentimenti.

ANTIGOLDONIANI

Alla commedia goldoniana Carlo Gozzi contrappone con forza il ritorno alla commedia dell’arte, alla sua comicità spontanea e alle sue invenzioni sceniche, privilegiando soprattutto la fantasia creativa dell’intreccio.

DOMANDE DI VERIFICA 1. In che cosa consiste la riforma teatrale di Goldoni? 164a 2. Goldoni lavorò mai per la “Comédie italienne”? 162b 3. Quali sono i capolavori di Goldoni? 166b-167a

168

4. Qual è la definizione goldoniana di “comico”? 166b 5. Che cosa contrappone Goldoni alle consuetudini “rusteghe”? 167a

4 La cultura lombarda e Parini

Un’aspirazione maggiore all’intervento attivo sulla realtà politica e sociale portò gli illuministi lombardi a impegnarsi nell’amministrazione pubblica, appoggiando attivamente il riformismo illuminato degli Asburgo, che segnò però il passo soprattutto a partire dagli anni ’70. Sempre negli anni ’70 dominano i modelli neoclassici: massimo interprete ne è Giuseppe Parini, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale.

I fratelli Verri e Beccaria Il milanese Pietro Verri (1728-1797) fondò con il fratello Alessandro l’Accademia dei Pugni (1761), la fucina dell’illuminismo lombardo, da cui nel 1764 uscì la rivista “Il Caffè”, intorno alla quale maturarono le riflessioni migliori del riformismo illuminista in Italia. Esaurita l’esperienza della rivista (1766), Verri entrò nell’amministrazione pubblica austriaca, anche se ne fu allontanato (1786) per un insanabile contrasto con Giuseppe II. La sua vastissima produzione è tutta improntata alla concezione illuministica della cultura e del sapere, secondo cui l’attività intellettuale ha senso solo se guarda all’“utile” contro i “pregiudizi”, nella misura in cui sa promuovere un rinnovamento morale, civile ed economico della società. “Cose e non parole” è un motto del “Caffè”: in questo senso l’illuminismo lombardo si sgancia completamente da ogni residuo classicistico per tentare una cultura impegnata nelle battaglie civili. Notevole la produzione di Pietro Verri. Particolare rilievo assumono le tematiche economiche: Elementi del commercio (1760); Dialogo sul disordine delle monete nello stato di Milano (1804, postumo). Il trattato Meditazioni sull’economia politica (1771) rappresenta la sua opera più importante. L’attenzione ai problemi sociali lo indusse a un riesame del processo degli untori durante la peste del 1630 a Milano: ne derivò il famoso scritto Le osservazioni sulla tortura (1777, pubblicato postumo nel 1804). Nel 1777 iniziò la stesura di una Storia di Milano (1783-98), insigne esempio di storiografia illuministica. In altri scritti si impegnò su temi più filosofici, come le Meditazioni sulla felicità (1763) e il Discorso sull’indole del piacere e del dolore

Pietro Verri e la rivista “Il Caffè”

La produzione di Pietro Verri

169

4 - La cultura lombarda e Parini

Alessandro Verri

Cesare Beccaria

(1773). Interessante l’opera composta in occasione della nascita della figlia Teresa, Ricordi a mia figlia (1777), una delle prime opere letterarie destinate a una bambina, in cui viene delineato un modello educativo in grado di far crescere più con le cure e l’affetto che con la severità. Alessandro Verri (1741-1816) partecipò nel 1761, con il fratello Pietro, all’Accademia dei Pugni e al “Caffè”. Lo scritto la Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al vocabolario della Crusca (1764-65) è una netta opposizione al classicismo e al purismo linguistico ed ebbe larga risonanza. Tra il 1761 e il 1766 lavorò al Saggio sulla storia d’Italia, che però rimase inedito. Fu poi con l’amico Beccaria a Parigi e a Londra: durante il soggiorno all’estero tenne un fitto carteggio con il fratello Pietro, che rappresenta un prezioso documento sulla vita culturale del secondo Settecento italiano. Rientrato in Italia, si trasferì definitivamente a Roma: qui maturò la sua adesione al neoclassicismo e subì un profondo cambiamento ideologicopolitico, avvicinandosi a posizioni papaline-reazionarie. Tradusse l’Amleto (1768) e l’Otello (1777) di Shakespeare; compose le tragedie Pantea e La congiura di Milano, che pubblicò nel 1779 nel volume Tentativi drammatici. Di maggior rilievo sono i suoi romanzi, Le avventure di Saffo (1782) e soprattutto le Notti romane (1792) e Vita di Erostrato (1815), che testimoniano un neoclassicismo velato di atmosfere preromantiche. Cesare Beccaria (1738-1794), anche lui milanese, è uno dei grandi esponenti dell’illuminismo italiano. Amico di Parini e dei fratelli Verri, con i quali partecipò all’Accademia dei Pugni e al “Caffè”, fu appassionato lettore dei principali pen-

CASANOVA, L’ULTIMO LIBERTINO Il libertinismo, che nel Seicento era stato un fenomeno di laicismo spinto alle estreme conseguenze e di trasgressione alle convenzioni della società, durante l’illuminismo si radicalizza fino a ridursi a un cinismo aspro, a un’esaltazione volontaristica del dominio di sé sugli altri, attraverso la maschera dell’erotismo. L’opera del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade (1740-1814) è da questo punto di vista esemplare. Il libertinismo italiano è meno originale: guarda al modello cin-

170

quecentesco dell’Aretino ed è rappresentato spesso da semplici avventurieri. Giacomo Casanova (1725-1798), quando scrive l’Histoire de ma vie (Storia della mia vita, 1790-98), lascia l’esempio più alto del libertinismo italiano: non un’opera di ribellione ideologica, bensì la sintesi di una novellistica vibrante e insieme fredda, che si alimenta di curiosità, di beffe, di racconti erotici ripetuti ossessivamente, quasi senza più desiderio, all’interno di una morale nichilistica.

4 - La cultura lombarda e Parini

satori francesi del tempo (Montesquieu, d’Alembert, Diderot e, soprattutto, Rousseau). Il suo trattato Dei delitti e “Dei delitti delle pene (1764) è considerato l’espressione più originale e delle pene” dell’illuminismo italiano: sviluppa una violenta polemica contro un sistema giudiziario irrazionale; condanna la pena di morte e la tortura, considerati strumenti di uno Stato barbaro, e propone pene meno crudeli; soprattutto teorizza una forma di Stato razionale e laico in cui sia salvaguardata la dignità dell’uomo: “Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona, e diventi cosa”. Di Beccaria rimangono anche altri trattati: Ricerche intorno alla natura dello stile (1770) ed Elementi di economia pubblica, pubblicati postumi, frutto delle sue lezioni alle Scuole Palatine di Milano.

Giuseppe Parini Nato a Bosisio (oggi Bosisio Parini), presso Lecco, Giuseppe Parini (1729-1799) è il modello di poeta classicista, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale. Fu assunto come precettore in casa dei duchi Serbelloni, dove poté dedicarsi alla poesia (di cui già aveva dato alcune prove pubblicando Alcune poesie di Ripano Eupilino, 1752, di ispirazione prettamente arcade) e agli studi letterari incoraggiati dall’illuministica Accademia dei Trasformati, a cui era stato ammesso nel 1753. In Accademia lesse alcuni testi satirici – tra cui il Dialogo sopra la nobiltà (1757); il Dialogo sopra le caricature (1759); Lettere del conte N. N. a una falsa divota (1761) – e un’importante dichiarazione di poetica, il Discorso sopra la poesia (1761), in cui fondeva i principi dell’estetica sensistica con un sobrio gusto classicistico. Quasi contemporaneamente pubblicò le prime Odi di contenuto civile: La vita rustica (1757); La salubrità dell’aria (1759); La impostura (1761). Licenziato dai Serbelloni nel 1762 per aver preso le difese di una cameriera maltrattata, Parini fu assunto per due anni dal conte Giuseppe Maria Imbonati, esponente dell’aristocrazia illuminista, come precettore del figlio Carlo, per il quale scrisse l’ode L’educazione (1764). In questi anni Parini compose il suo capolavoro, le prime due parti del poemetto satirico Il giorno: il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765). Il notevole successo dell’opera impose il poeta all’attenzione dei rappresentanti del governo riformatore di Maria Teresa d’Asburgo, soprattutto del conte Firmian, che prima gli affidò la direzione della “Gazzetta di Milano” (1769) e poi lo nominò professore di belle lettere al Regio Ginnasio di Brera (1773). Pa-

Il modello del poeta classicista

Le “Odi”

“Il giorno”

171

4 - La cultura lombarda e Parini

La nuova serie delle “Odi”

La giornata del “giovin signore”

Il disfacimento della nobiltà

172

rini scrisse un’opera teatrale di modesta qualità (l’Ascanio in Alba, 1771), che fu musicata da Mozart; produsse testi didattici (Sui principi generali delle belle lettere applicati alle belle arti, 1773-75) e sulla riforma scolastica (Sul decadimento delle belle lettere e delle belle arti, 1773). Ma soprattutto si dedicò a un’intensissima produzione poetica, spesso d’occasione, in cui acquistarono particolare rilievo una nuova serie di Odi (1791), di contenuto sociale e morale, tra le quali vanno ricordate: L’innesto del vaiolo (1765); Il bisogno (1766); Le nozze (1777); La laurea (1777); La caduta (1785); La recita dei versi (1786); Il pericolo (1787); La magistratura (1788); Il dono (1790); La gratitudine (1791). Proseguì intanto, sia pure a rilento, la stesura delle due parti mancanti del Giorno, il Vespro e la Notte, che però rimasero ampiamente incompiute. Forse la poesia satirica era diventata estranea sia al gusto del poeta, attratto dal neoclassicismo (A Nice, 1793; Alla Musa, 1795), sia alla sensibilità dei tempi, dominati dalle vicende della rivoluzione francese, verso la quale il giudizio di Parini fu severo (A Silvia. Sul vestire alla ghigliottina, 1795). Morì nel 1799. ■ “Il giorno” L’opera fu pubblicata integralmente solo nel 1801 a cura di Francesco Reina. La struttura del poemetto consiste nella descrizione particolareggiata della giornata di un “giovin signore”, attraverso i consigli che l’autore, presentatosi come “precettor d’amabil rito”, gli offre perché possa sempre fare onore al suo rango. Prima si assiste alla descrizione del risveglio del giovane eroe, nel tardo mattino, e dunque alle operazioni per prepararsi alla giornata: la colazione, la vestizione, l’incipriatura. Poi, nel contesto di un lussuoso banchetto che caratterizza il Mezzogiorno, il “giovin signore” incontra la dama di cui è cicisbeo. Durante il pranzo (“i desinari illustri”) il poeta descrive alcuni tipi particolari, tra cui il mangione e il vegetariano, e prendendo spunto dalle parole di costui racconta la vicenda della “vergine cuccia”, uno degli episodi più celebri del poemetto. Nel Vespro si prendono in considerazione i falsi rapporti di amicizia basati solo sulle convenzioni sociali, mentre nella Notte, tutta incentrata sul contrasto tra le tenebre degli esterni e lo sfavillare dei saloni signorili, vi è la constatazione dell’inarrestabile disfacimento della nobiltà. La grazia rococò è sgranata dalle radici: la morte e un terrore spettrale velano la vacuità dei nobili. Il costante ricorso da parte del poeta all’ironia vivifica questa materia e crea un poema didascalico dai contenuti paradossali, in cui il precettore, mentre mostra di da-

4 - La cultura lombarda e Parini

re al suo discepolo insegnamenti adeguati per perpetuare la sua vita superficiale, corrode la considerazione che la classe nobiliare ha di sé, mostrandone tutta la boria e l’insensatezza. La dilatazione dei tempi e dei gesti, che il poeta propone continuamente, contribuisce a rendere evidente l’in- Un forte significanza di tanti gesti rituali e di tante parole a suscitare risentimento morale un forte risentimento morale.

SCHEMA RIASSUNTIVO “IL CAFFÈ” E GLI ILLUMINISTI LOMBARDI

“Cose e non parole” è un motto del “Caffè”; l’illuminismo lombardo si sgancia completamente da ogni residuo arcadico per tentare una cultura impegnata nelle battaglie civili. Protagonisti: Alessandro e Pietro Verri (Le osservazioni sulla tortura del 1777); Cesare Beccaria (Dei delitti e delle pene del 1764).

GIUSEPPE PARINI

È il modello del poeta classicista, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale. La sua poetica si fonda sull’equilibrio tra la compostezza classica e un forte senso di responsabilità civile. Opere: Odi, raccolte in volume (1791); i lavori più vicini al nuovo gusto neoclassico (Il messaggio, 1793; A Nice, 1793; Alla Musa, 1795). Il capolavoro, il poemetto storico Il giorno: Mattino (1763) e Mezzogiorno (1765), mentre rimasero ampiamente incompiute le altre due parti, il Vespro e la Notte.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale fu il programma culturale del “Caffè”? 169b 2. Che cosa significa che Parini fu modello del poe-

ta classicista? 171a 3. Qual è la differenza concettuale fra le Odi e Il giorno? 172

173

5 Neoclassici e preromantici L’illuminismo è di per sé una reazione radicale alla cultura ridondante del barocco. Come tale può accettare la “classicità” solo in quanto esempio di ordine e di armonia: cioè quale incontro di natura e ragione. Da questo punto di vista, l’illuminismo tende a reagire persino all’Arcadia, troppo spesso retorica e superficiale nei contenuti. La classicità, insomma, è accettabile nel momento in cui si offre come una testimonianza eroica e concreta di vita civile.

Il neoclassicismo

La teorizzazione di Winckelmann

Neoclassicismo e arti figurative

Un’immagine essenziale di grecità e romanità viene cercata nell’ambito delle arti visive: gli scavi di Ercolano (1738) e di Pompei (1748), la stessa nascita dell’archeologia diventano le occasioni per un forte ritorno del gusto classico. Un’opera di sintesi è quella del tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717-1768): i suoi Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura (1755) e soprattutto la Storia dell’arte antica (1764) formulano i concetti cardine del neoclassicismo: una bellezza pura, armonica, razionale quanto nostalgica, in cui la “nobile semplicità e quieta grandezza” diventa il senso di passioni che non vengono mai espresse direttamente, ma sono lasciate intendere attraverso la compostezza e la luminosità della forma. L’arrivo di Winckelmann a Roma (1755) è un momento essenziale per il classicismo italiano. Altri autori hanno determinato il neoclassicismo: tra questi, il tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), con il saggio Laocoonte o dei confini tra pittura e poesia (1766). I pittori Anton Raphael Mengs (17281779) e Giambattista Piranesi (1720-1778) sono i promotori di un nuovo ideale di bellezza, definitivamente moderno (cioè razionale, oggettivo e civile), ma sensibile alle imitazioni dell’antichità, come se solo nella purezza della natura, testimoniata dagli antichi, si ritrovasse la fonte del bello e del razionale. Il neoclassicismo europeo produsse grandi risultati in ambito architettonico e urbanistico – nella scultura, specialmente con Antonio Canova, nella pittura con Jacques Louis David – diventando l’arte ufficiale della rivoluzione francese e soprattutto dell’impero napoleonico. ■ Il neoclassicismo letterario

La diffusione del neoclassicismo letterario fu vasta e articolata, spesso alimentando condizioni culturali complesse e 174

5 - Neoclassici e preromantici

apparentemente opposte (come il preromanticismo). È il caso tedesco e inglese: Hölderlin, Schiller, per molti aspetti Goethe, o gli inglesi Shelley e Keats sono i grandi protagonisti di un neoclassicismo europeo, sebbene siano al tempo stesso i promotori di una nuova cultura che si radica nel cuore della cultura romantica. Anche in Italia il neoclassicismo significa tante cose. In- Il neoclassicismo nanzi tutto un modello di “stile ufficiale”: Parini (quello italiano delle odi Il pericolo, 1787; Il dono, 1790; Il messaggio, 1793) propone una nitidezza formale struggente e nostalgica. C’è poi una fase più dichiaratamente di scuola, che viene condizionata dal dinamismo sorprendente delle vicende politiche di quegli anni; il conservatorismo del papato, le repubbliche napoleoniche, la stagione dell’impero francese e il ritorno austriaco sono vicende di segni opposti che pure chiedono al neoclassicismo un esemplare “grande stile”, la possibilità di una rappresentazione artistica. Questo secondo tempo è ben rappresentato, tra fine Settecento e inizio Ottocento, dalla complessità di Monti (v. a p. 185) e di Foscolo (v. a p. 188). Il neoclassicismo fu per gli italiani anche uno strano campo di prova. In effetti poteva significare sia un avvicinamento all’Europa, sia un modo per “sperimentare” il modello poetico senza dover uscire da un campo di elezione tutto italiano, come appunto la classicità. Anche per questo motivo il neoclassicismo significa per l’Italia “mediazione” culturale, combinazione e ingresso di elementi culturali diversi.

Il preromanticismo Un fenomeno apparentemente opposto al gusto neoclassico è il cosiddetto preromanticismo. I suoi caratteri principali sono: la moda delle “visioni” dell’aldilà (Friedrich Got- I caratteri principali tlieb Klopstock, 1724-1803, soprattutto con Il Messia, 1748); la diffusione della poesia “notturna” e sepolcrale (con un forte gusto macabro: Pensieri notturni, 1742-45 di Edward Young, 1683-1765; l’Elegia scritta in un cimitero campestre, 1750, di Thomas Gray, 1716-1771); l’esplosione dei romanzi “gotici”, ambientati tra fantasmi e leggende antiche (Il castello di Otranto, 1764, di Horace Walpole, 17171797); la nascita di un gusto “primitivo”, alla ricerca delle leggende segrete dei celti e dei germani, come nel caso fortunatissimo dei Canti di Ossian (1760), scritti da James Macpherson, il quale finse di aver trovato e poi tradotto frammenti di antichi canti epici celtici, opera del bardo Ossian. Il gusto preromantico è portatore anche di un nuovo 175

5 - Neoclassici e preromantici

sentimento della natura: i contenuti fantastici preromantici finiscono per trovare punti in comune anche con un maestro illuministico dell’“individualità” e del “sentimentale”, Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). Il preromanticismo ha la sua più forte espressione nel movimento tedesco dello Sturm und Drang (tempesta e assalto), che rivendica lo spirito come la forza naturale del “popolo”, e che ha avuto in Johann Gottfried Herder (1744-1803) il suo maggiore esponente. In questo clima Wolfgang Goethe (17491832) scrive il suo capolavoro di sintesi sentimentale e preromantica I dolori del giovane Werther (1774), base poi di altre opere su cui Goethe fonderà una nuova visione classica e insieme romantica della letteratura. ■ Il preromanticismo italiano In Italia l’esempio più alto di “mediazione” culturale è ofMelchiorre Cesarotti ferto dal lavoro di Melchiorre Cesarotti (1730-1808). Notevole la sua traduzione delle Poesie di Ossian figlio di Fingal, antico poeta celtico (1763, 1772). Nella traduzione, Cesarotti si avvale d’un linguaggio poetico che recupera modelli della poesia latina insieme a cadenze della poesia popolare, creando una versificazione mossa e vibrante, al di là degli schemi dell’ancora dominante petrarchismo e delle soluzioni linguistiche puriste. Nel 1772 tradusse l’Elegia del cimitero campestre di Thomas Gray e l’Iliade, di cui fece una versione in prosa. Entrato nel 1785 nell’Accademia dell’Arcadia (v. a p. 151), pubblicò due opere sull’estetica e sul problema della lingua, che rappresentano il risultato più significativo dell’illuminismo italiano d’ispirazione sensistica: il Saggio sulla filosofia del gusto (1785) e il Saggio sopra la lingua italiana (1785). Alessandro Verri, Anche Alessandro Verri, dopo la prima stagione illuministiBertola ca, offrì un esempio di mediazione. Trasferitosi a Roma De’ Giorgi e Varano (1767), comincia a scrivere romanzi neoclassici, pur con un forte gusto delle “rovine” e del mistero (Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene, 1782; Notti romane al sepolcro degli Scipioni, 1792 e 1804; La vita di Erostrato, 1815). Un altro scrittore come Aurelio Bertola De’ Giorgi (1753-1798) scrive “notturni”, pur se in un luminoso gusto neoclassico (Viaggio nel Reno e ne’ suoi contorni, 1795; le Notti Clementine, 1775). Anche Alfonso Varano (1705-1788) riprende i toni biblici e danteschi delle “visioni” (soprattutto con le Visioni morali e sacre, 1749-66), offrendo in tono minore l’idea di piccolo laboratorio delle forme tipico della poesia italiana di fine Settecento.

176

5 - Neoclassici e preromantici

SCHEMA RIASSUNTIVO NEOCLASSICISMO

Il teorico è J.J. Winckelmann; i cardini neoclassici sono una bellezza pura, armonica, razionale quanto nostalgica, in cui riemerga la “nobile semplicità e quieta grandezza”. Il neoclassicismo italiano è soprattutto un modello di “stile ufficiale”. Il rappresentante maggiore è Monti.

PREROMANTICISMO EUROPEO I suoi caratteri principali: la moda delle “visioni” dell’aldilà (F.G. Klopstock); la diffusione della poesia “notturna” e sepolcrale (E. Young e T. Gray); l’esplosione dei romanzi “gotici”, ambientati tra fantasmi e leggende antiche (H. Walpole); la nascita di un gusto “primitivo”, alla ricerca delle leggende segrete dei celti e dei germani (i Canti di Ossian, scritti da James Macpherson). Preromanticismo italiano Un gusto per il “notturno” e le “visioni” è presente anche in composizioni di misura neoclassica. Notevoli le traduzioni da Ossian di Melchiorre Cesarotti; il gusto delle “rovine” e del mistero di Alessandro Verri, Aurelio Bertola De’ Giorgi e Alfonso Varano.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Chi sono i protagonisti del neoclassicismo europeo? 174 2. Quali sono le caratteristiche del preromantici-

smo europeo? 175b 3. Che novità presentano le traduzioni di Cesarotti? 176

177

6 Vittorio Alfieri Alfieri nelle sue tragedie e nel suo modello di vita propone un’idea di letteratura come sublime tragedia politica ed esistenziale. Diviene il simbolo di una ricerca letteraria su cui si fondava una nuova responsabilità morale e civile.

La vita

La decisione di “spiemontizzarsi”

Le “Rime” e l’autobiografia

178

Nato ad Asti nel 1749 da nobile famiglia, perse il padre a un anno. Nel 1758 entrò nella Reale Accademia di Torino. Ebbe una personalità ribelle e intraprese lunghi viaggi (aprendosi peraltro a letture illuministiche), quasi per reagire alla “solita malinconia, la noia, l’insofferenza dello stare”. L’ Esquisse du jugement universel (Abbozzo di giudizio universale, 1773, scritto in francese) è il suo primo testo satirico; Cleopatra, rappresentata nel 1775, è la prima prova come drammaturgo. Gli anni tra il 1775 e il 1777 furono fondamentali per la sua vocazione letteraria: decise di “spiemontizzarsi”, tuffandosi in uno studio tenacissimo e rigoroso dei classici italiani e latini; scrisse Antonio e Cleopatra (1775, poi rifiutata). Lasciati i suoi averi alla sorella, per non dover dipendere da un monarca lasciò il Piemonte e soggiornò a Pisa, Siena e Firenze, anche se la sua prolungata permanenza fiorentina (dal 1777 al 1780) fu dovuta alla passione per la contessa Luisa Stolberg-Gedern d’Albany (con lei nel 1780 fuggì a Roma, recandosi poi in Alsazia e a Parigi, proprio allo scoppio della rivoluzione). Nel 1777 compose il trattato Della tirannide; fra il 1777 e il 1779 curò la stesura del trattato Del principe e delle lettere, le Rime e la Vita; nel 1783 a Siena stampava i primi due volumi delle sue tragedie, che furono riviste e ripubblicate in sei volumi a Parigi, fra il 1787 e 1789. Salutò lo scoppio della rivoluzione francese con l’ode Parigi sbastigliato (1789), ma la violenza rivoluzionaria del Terrore giacobino lo indusse a una revisione critica del suo giudizio e più tardi a un vero e proprio odio nei confronti della Francia, espresso nelle pagine ferocemente satiriche del Misogallo (1798), un pastiche di prosa e versi. Morì nel 1803 a Firenze, in un’austera solitudine. Fra le altre opere, meritano di essere ricordate le Rime (1804), in cui trova piena espressione la vena autobiografica di Alfieri. In stretto rapporto con la poesia è la Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso (1806). Tutta la narrazione è tesa a mettere a fuoco il momento in cui avvenne la “conversione” umana e letteraria, culminante nel suo dove-

6 - Vittorio Alfieri

re di scrittore tragico, impegnato in una società che non aveva più alcuna vocazione per il tragico: il tragico è solo nel passato, dal quale Alfieri attinge temi, personaggi, lingua, pronto a vedersi “anche sepolto prima di morire”, pur di contrapporsi alla mediocrità del suo tempo. ■ La produzione tragica Le principali tragedie pubblicate (1787-89) nell’edizione di Parigi sono: Virginia; Agamennone; Oreste; Rosmunda; Ottavia; Timoleone; Merope; Maria Stuarda; La congiura de’ Pazzi; Don Garzia; Saul; Agide; Sofonisba; Bruto primo; Mirra; Bruto secondo. La situazione alla base dell’evento tra- La situazione base gico è lo scontro tra eroi positivi, che si connotano per “virtù” (giustizia, fedeltà), ed eroi negativi, che annientano i valori umani con la violenza. Accanto ai due “eroi” ruotano personaggi minori, intriganti, che si muovono senza riuscire però a inserirsi nello scontro fra le due individualità, il “bene” e il “male”, che si confrontano nella loro reciproca grandezza, nella “maestà e maschia sublimità” della tragedia. Il conflitto spesso non rimane nell’ambito politico, ma si arricchisce delle tensioni familiari, come nel ciclo di Edipo e di Oreste.

L’ideologia Alla base della scelta letteraria della tragedia c’è il rifiuto di tutto ciò che limiti l’individuo, prima di tutto la società assolutistica dell’antico regime. La reazione diviene scelta di libertà dell’eroe dal “forte sentire” che giunge allo scontro con il potere. Il trattato Della tirannide riguarda soprattutto l’assolutismo, sostenuto dalla nobiltà e dalla religione. Alla tirannide del presente Alfieri contrappone la vita civile dell’antica Roma repubblicana. L’unica via d’uscita è la ribellione, che non culmina in un’azione costruttiva, ma nel “morire da forti”, in quanto solo la morte è vero atto di libertà. La sua posizione ideologica e politica non deve essere interpretata, tuttavia, in senso giacobino e rivoluzionario, ma come un’affermazione di volontà dell’uomo, dell’individuo Alfieri, con il suo sentirsi antico e classico. Il classicismo alfieriano non fu mai gusto neoclassico: indifferente a una visione estetico-formale, fu la ricerca spasmodica di un modello di rigore morale tanto assoluto, quanto “impossibile”, se non allucinatorio. Nel trattato Del principe e delle lettere (1789) Alfieri analizza l’impossibilità dell’integrazione fra potere e letterato, sottolineando la funzione corruttrice del potere nei confronti della letteratura, che dovrebbe porsi come faro di libertà. Si rivela un nuovo modello di scrittore: non più il letterato cortigiano, ma

La ribellione eroica alla tirannide

Il classicismo come rigore morale

La letteratura faro di libertà 179

6 - Vittorio Alfieri

l’uomo che sente l’“infiammata voglia e necessità, o di esser primo fra gli ottimi, o di non essere nulla”.

Le tragedie maggiori “Antigone”

“Saul”

“Mirra”

L’Antigone (ideata nel 1776 e pubblicata nel 1783) riprende il mito greco trattato da Sofocle. Antigone assiste alla morte del fratello Polinice al quale intende dare sepoltura contro il volere del re Creonte. La tragedia inscena lo scontro fra un potere ingiusto ed empio e la giovane donna, che rispetta solo le leggi del cuore e non esita a mettersi in urto con il re, svelando i meccanismi perversi di cui egli si avvale. Saul (1782) è una tragedia di argomento biblico: Saul, un valoroso guerriero di umili origini, viene consacrato re di Israele dal sacerdote Samuele, ma in seguito, accecato dalla brama di potere, compie atti di empietà. Saul diventa il tiranno, e a lui si contrappone per volontà divina David, che ha ucciso in duello il gigante filisteo Golia e ha sposato Micol, figlia di Saul. Saul, vecchio e consapevole del declino della sua forza fisica, nutre invidia e rancore per David. Solo il suicidio scioglierà il conflitto: uccidendosi Saul si libera dai limiti della condizione umana e si fa portatore di una titanica protesta. Mirra (ideata nel 1784 e pubblicata nel 1789) è incentrata su una vicenda tratta dalle Metamorfosi di Ovidio: Mirra ama di una passione incestuosa il padre Cinico, re di Cipro. Per tentare di dimenticare l’empia passione, accetta di sposare Pereo, ma durante la cerimonia impreca contro le sue nozze. Pereo si uccide, Mirra rivela al padre il suo segreto e si dà la morte.

SCHEMA RIASSUNTIVO LE OPERE

Nel 1777 compone il trattato Della tirannide; fra il 1777 e il 1779 cura la stesura del trattato Del principe e delle lettere, le Rime e la Vita; nel 1783 a Siena stampa i primi due volumi delle sue tragedie, ripubblicate in sei volumi a Parigi fra il 1787 e 1789.

POETICA

Alla base della scelta letteraria della tragedia c’è il rifiuto di tutto ciò che limiti l’individuo, prima di tutto la società assolutistica dell’antico regime. Il classicismo alfieriano non è mai gusto neoclassico: indifferente a una visione esteticoformale, il suo classicismo è la ricerca spasmodica di un modello di rigore morale, tanto assoluto quanto “impossibile”.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che cosa caratterizza il classicismo alfieriano? 179b 2. Con Alfieri nasce un nuovo modello di “scritto-

180

re”. Quale? 179a 3. In che cosa consiste la “maestà e maschia sublimità” della tragedia alfieriana? 179a

L’OTTOCENTO 1 Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti 2 Ugo Foscolo 3 Il romanticismo 4 Alessandro Manzoni 5 Giacomo Leopardi 6 Letteratura risorgimentale 7 La reazione antiromantica 8 Verismo 9 Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

L’Ottocento, almeno nella prima metà, è il secolo del romanticismo; e quest’ultimo, da un punto di vista sociale, è la cultura della borghesia al potere. All’esaltazione illuministica della ragione il romanticismo risponde con l’ideale di una radicale libertà degli individui e dei popoli, radicata in un forte senso storico, della fecondità dell’irrazionale e dell’indicibile. Foscolo testimonia il complesso disagio di una cultura combattuta a inizio secolo fra classicismo e modernità. Manzoni invece si sente pienamente uno scrittore romantico: i Promessi sposi sono il tentativo riuscito di realizzare una letteratura nazionale e popolare. Pur se apparentemente isolato, Leopardi si afferma come il maggior poeta italiano dell’Ottocento: la sua esperienza poetica significa, in effetti, la rinascita di una poesia italiana di valore internazionale. Dopo l’Unità (1861) la cultura italiana sarà combattuta fra fenomeni di crisi intellettuale e politica, emblematizzata dalla Scapigliatura, e testimonianze di grande ricerca storiografica e poetica come quelle di De Sanctis e Carducci. Un’apertura alle novità europee verrà con il lavoro di Verga e la nascita, intorno agli anni ’80, del verismo, parallela allo sviluppo della filosofia positivista. A cavallo fra Otto e Novecento l’opera di Pascoli e di D’Annunzio coronerà il decadentismo italiano, diventando il modello di una lezione poetica che in modo diverso condizionerà tutta la produzione della letteratura novecentesca.

1 Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti

La rivoluzione francese significa per gli italiani la diffusione delle nuove idee giacobine. Si apre un intenso e a volte drammatico dibattito politico, che ha il suo vertice nell’opera di Vincenzo Cuoco. La stagione napoleonica coincide invece con il consolidamento del gusto neoclassico incarnato dal suo protagonista indiscusso, Vincenzo Monti.

L’Italia rivoluzionaria Nonostante il fermento generale, la situazione italiana cambia solo con l’entrata dell’esercito francese, che sotto la guida di Napoleone invade nel 1796 l’Italia settentrionale, permettendo il sorgere di varie repubbliche locali. Sono momenti difficili e ricchi di speranze come di cocenti delusioni. La Repubblica Cisalpina nasce quando la Lombardia viene liberata dagli austriaci, ma con il Trattato di Campoformio (1797) Napoleone cede Venezia all’Austria; la Repubblica Partenopea, a cui avevano aderito con entusiasmo intellettuali e letterati, finisce tragicamente sui patiboli dei Borboni (1799). I più avanzati fra gli intellettuali italiani danno un forte Una cultura contributo alla ricerca di una cultura capace di maggiore che partecipa partecipazione agli eventi pubblici. L’impegno dei nuovi agli eventi pubblici giornali (durante il triennio giacobino, 1796-99, nascono più di cento testate, tra cui spiccano “Il Monitore italiano” e “Il Monitore napoletano”), il dibattito pubblico sempre più acceso e fecondo (grande risonanza ebbe il concorso bandito, nel settembre del 1796, dall’amministrazione generale della Lombardia sul tema “Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell’Italia?”, vinto poi da Melchiorre Gioia) rivelano un entusiasmo civile che certo ha le sue origini nelle elaborazioni culturali dell’Illuminismo italiano, ma che solo ora, durante lo sviluppo degli eventi, esce dai circoli ristretti e influenza scelte politiche. ■ Critica del giacobinismo

L’esito del giacobinismo francese nella politica del terrore e soprattutto le necessità della politica imperiale di Napoleone, vista come l’imposizione con le armi al resto dell’Europa degli orientamenti della Francia rivoluzionaria sono i mo183

1 - Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti

Vincenzo Cuoco

tivi principali di una critica alle esperienze rivoluzionarie della Francia nel tentativo di individuare un nuovo realismo politico di tono moderato e meno schematico. La critica antigiacobina e le nuove tendenze spirituali che presto diventeranno “romanticismo” sono il fondamento del pensiero liberale, che sarà il cardine della cultura ottocentesca. Vincenzo Cuoco (1770-1823) è la personalità più rilevante di questi anni. Partecipò alla rivoluzione napoletana del ’99 e fu esiliato; durante il regime napoleonico visse a Milano, dove diresse il “Giornale italiano” e pubblicò il romanzo filosofico Platone in Italia (1804-06). Tornò a Napoli, lavorando per il governo di Gioacchino Murat. Col ritorno dei Borboni, fu messo da parte. Il suo capolavoro è il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, che pubblicò prima anonimo (1801) e poi col suo nome nel 1806. Lucidissimo, con una prosa scarna ma elegante, il saggio critica l’astrazione del giacobinismo italiano che aveva fatto della rivoluzione del ’99 una “rivoluzione passiva”, miope rispetto alle esigenze vere della “nazione” e del “popolo”. Cuoco mostra un grande senso realistico della storia, e rivendica l’autonomia della rivoluzione italiana. ■ La letteratura del periodo napoleonico

Il ruolo di coesione culturale del classicismo

Il classicismo assume un ruolo fondamentale di coesione culturale, sebbene in un certo senso sia un paradosso culturale: fu l’orientamento letterario più diffuso durante il periodo napoleonico, ma anche durante gli anni conformistici della Restaurazione, quando fu matrice dell’Italia papalina. Se consideriamo l’importanza storica di un evento come il neoclassicismo (v. a p. 174), la variante “classicista” appare come il nodo più difficile, ma anche più significativo, per comprendere la cultura di questi anni. Ricordiamo l’inestricabile continuità fra classicismo settecentesco e la nuova

IL PURISMO Alcuni scrittori come Basilio Puoti (17821847) con L’arte di scrivere in prosa per precetti e per teoriche (1845) e Antonio Cesari (1760-1828) con la Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana (1810) e soprattutto la riedizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1806-11) rivendicano il ritorno alla purezza del toscano trecentesco (specie dei “minori”). Queste riflessioni possono

184

apparirci oggi limitate: in verità dobbiamo vedervi anche l’esigenza di affermare, in qualche modo, un’identità nazionale italiana. Contro il “purismo” si pronuncia V. Monti: non bisognava, per lui, tornare al Trecento, ma scrivere in una lingua moderna e “comune”, elaborata all’incrocio delle aree regionali e dei contributi delle lingue straniere, sia pure in una visione letteraria classicistica della lingua.

1 - Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti

prospettiva neoclassica in autori come M. Cesarotti, A.Verri (v. alle pp. 176 e 170) che sono la prova storica più chiara di questa paradossale continuità fra tradizione e innovazione. Diverso il caso di Pietro Giordani (1774-1848), fedele a un Pietro Giordani classicismo retorico ed eloquente, con un tono rigoroso, un’idea seria, morale e dignitosa della letteratura. Ippolito Pindemonte (1753-1828) propose un classicismo Ippolito Pindemonte equilibrato e musicale. Nelle Prose e poesie campestri e nell’epistola in versi Sepolcri (1807) aveva mostrato una certa grazia e levigatezza del tono; il suo capolavoro rimane la bellissima elegiaca traduzione dell’Odissea (1822).

Vincenzo Monti Vincenzo Monti (1754-1828) fu il massimo esponente del neoclassicismo italiano e ricoprì una posizione di prestigio durante il periodo napoleonico e i primi anni della restaurazione. ■ La vita e le opere

Nato a Fusignano di Alfonsine, presso Ravenna, si formò nel seminario di Faenza e seguì i corsi di giurisprudenza e medicina all’università di Ferrara. Nel 1776 pubblicò il suo primo libro di versi, La visione di Ezechiello, dedicato al car- Gli anni romani dinale Scipione Borghese. Il successo dell’opera e la protezione del cardinale gli permisero di trasferirsi a Roma, dove rimase fino al 1797. Il clima culturale della città papale, caratterizzato da un neoclassicismo erudito e tradizionalista, si rivelò subito congeniale a Monti, che si dedicò a una produzione poetica celebrativa del potere pontificio: La bellezza dell’universo (1781) per le nozze di Luigi Braschi, nipote del papa, la Feroniade (pubblicata postuma nel 1832) per esaltare con una visionarietà “allucinatoria” il progetto di risanamento delle paludi Pontine e la celebre Ode al signor di Montgolfier (1784), che canta il primo volo in pallone aerostatico. Monti si cimentò con successo anche nel teatro, scrivendo due tragedie, l’Aristodemo (1786) e il Galeotto Manfredi (1788). Nel 1791 si sposò con la bellissima Teresa Pikler. Nel 1793 avviò la Bassvilliana, in terzine dantesche (notevole per intensità visionaria e facilità narrativa), in cui, prendendo spunto dall’assassinio a Roma del rivoluzionario francese J. Hugou, detto Bassville, convertitosi in punto di morte, condanna gli orrori della rivoluzione francese e celebra la grandezza della fede redentrice. Negli anni successivi, però, mostrò una moderata simpatia per la rivoluzione: sospettato dall’autorità romana, fu co185

1 - Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti

Gli anni milanesi

La traduzione dell’”Iliade”

Gli anni della Restaurazione

stretto a fuggire a Milano sotto la protezione di Napoleone. A Milano divenne poeta ufficiale del nuovo potere napoleonico. Esaltò Napoleone nel Prometeo (1797), nell’ode Per la liberazione d’Italia (1801) e ancora nel poemetto In morte di L. Mascheroni (1801) e nella tragedia Caio Gracco (1802). Sempre più inserito negli ambienti ufficiali del regime, celebrò la gloria dell’imperatore dei francesi in vari componimenti poetici d’occasione, con ampi riferimenti al mito greco. Fu ricompensato con la nomina a poeta del governo italiano (1804) e a storiografo del Regno d’Italia (1806). L’indiscussa egemonia sull’ambiente letterario milanese fu rafforzata dalla pubblicazione della traduzione dell’Iliade (1810), da lui compiuta su traduzioni latine, poiché conosceva poco il greco. Il risultato della versione è comunque esaltante: una lingua precisa e luminosa, un sentimento epico che sa alternare malinconia, epos e narrazione in toni quasi dolci e familiari. Alla caduta di Napoleone Monti si schierò subito con i vincitori, ai quali dedicò le azioni teatrali Il mistico omaggio (1815); Il ritorno d’Astrea (1816); Invito a Pallade (1819). Il governo asburgico cercò di utilizzarne l’indiscutibile prestigio nominandolo direttore della rivista letteraria “Biblioteca italiana”, ma Monti si trovò a essere progressivamente emarginato. Partecipò comunque con vivo interesse al dibattito sulla questione della lingua con la Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca (1817-26), scritta in collaborazione con il genero Giulio Perticari, assumendo una posizione critica nei confronti del purismo più radicale. Diede il proprio contributo alla grande polemica sul romanticismo con lo scritto Sermone sulla mitologia (1825), in difesa del valore poetico dei miti classici (la “meraviglia” e il “portento” delle favole mitologiche contro “al nudo arido vero”). La sua ultima opera, scritta a più di settant’anni, Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler (1826) è un testo ricco di sensibilità e di una melanconia sapientemente costruita ma non soffocata dall’eleganza neoclassica. ■ Il giudizio critico

Il dato più evidente della personalità di Monti è senza dubbio la sua plateale disponibilità a cambiare collocazione politica; anche in un periodo di grande travaglio come quello rivoluzionario e napoleonico, in cui tutti gli equilibri ideali, politici e militari vennero continuamente messi in discussione, è sconcertante osservare la sua totale mancanza di coerenza. Bisogna comunque dire che il poeta romagno186

1 - Il periodo napoleonico e Vincenzo Monti

lo espresse a suo modo una forma di coerenza, incentrata sul ruolo che egli aveva scelto per sé fin dall’inizio: il ruolo del poeta di corte, del letterato fedele alla tradizione del Cinquecento e soprattutto del Seicento. Ebbe così un gran me- Un classicismo rito: creare un “classicismo borghese italiano”, il caratte- borghese re di una cultura finalmente nazionale, definita rispetto allo stile neoclassico internazionale.

SCHEMA RIASSUNTIVO ANNI DELLA RIVOLUZIONE

Molti giornali italiani (“Il Monitore italiano”, “Il Monitore napoletano”) contribuiscono al diffondersi di una cultura capace di partecipare agli eventi pubblici.

La critica antigiacobina

Il più grande critico del giacobinismo è il napoletano Vincenzo Cuoco, che nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 ne denuncia l’astrazione ideologica e la mancanza di una prospettiva politica realistica per l’Italia.

MONTI Gli anni romani

Nel clima neoclassico papalino scrive opere come l’Ode al signor di Montgolfier (1784) e la Bassvilliana (1793).

Gli anni milanesi

Passa al servizio di Napoleone. Scrive Il pericolo (1798) e Per la liberazione d’Italia (1801); pubblica la traduzione dell’Iliade (1810).

La Restaurazione

Con la Restaurazione passa al servizio degli austriaci. Scrive Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler (1826).

Giudizio critico

Monti è il più grande poeta neoclassico. Nonostante l’incoerenza politica, ebbe un gran merito: creare un “classicismo borghese italiano”, il carattere di una cultura finalmente nazionale, definita rispetto allo stile neoclassico internazionale.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Cosa significa per Cuoco il concetto di “rivoluzione passiva”? 184a 2. Giordani fu un neoclassico? 185a 3. Quali sono i temi del neoclassicismo di Monti durante gli anni a Roma? 185b

4. Monti fu un poeta “purista”? 184b 5. Qual è il merito principale del “classicismo borghese” di Monti? 187a

187

2 Ugo Foscolo Ugo Foscolo è il poeta che meglio ha rappresentato il travaglio e la maturazione di una nuova letteratura fra neoclassicismo e proposta romantica, tesa alla ricerca di un proprio carattere “italiano”.

La vita e le opere Nacque nel 1778, primo di quattro fratelli, da Andrea, medico veneziano, e da Diamantina Spathis nell’isola greca di Zante. Egli mutò il proprio nome di Nicolò in Ugo nel 1795, per simpatia verso Ugo Bassville, un rivoluzionario francese ucciso a Roma. ■ La prima giovinezza

Gli esordi letterari a Venezia

La famiglia, divisasi dopo la morte del padre (1788), si ricompose a Venezia nel 1793. Qui Foscolo poté completare la sua preparazione scolastica, ricca soprattutto di letture di classici greci, latini e italiani, e aperta anche all’influenza degli illuministi francesi, in particolare di J.-J. Rousseau. Nel 1795 Foscolo esordì nel salotto letterario della contessa Isabella Teotochi Albrizzi (con la quale ebbe una relazione d’amore). Nel 1797 fu rappresentata la sua tragedia Tieste (1796). Inquisito dal governo veneziano, fuggì a Bologna, pubblicò l’Ode a Bonaparte liberatore e si arruolò nell’esercito napoleonico. Caduto il regime conservatore, rientrò a Venezia, dove ebbe l’incarico di segretario della municipalità. ■ Gli anni milanesi

La delusione nei confronti di Napoleone

188

Nell’ottobre del 1797 con il trattato di Campoformio Napoleone cedette Venezia all’Austria: Foscolo, deluso, si trasferì a Milano in volontario esilio. Qui entrò in contatto con i principali letterati italiani: incontrò Parini, collaborò con M. Gioia alla redazione del “Monitore italiano”, fece amicizia con Monti, della cui bellissima moglie, Teresa Pikler, s’innamorò perdutamente. Nel 1798 iniziò a stampare a Bologna i primi capitoli del romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, che l’editore Marsigli pubblicò nel 1799, in un testo tagliato e concluso malamente, contro la volontà dello stesso Foscolo. A causa dell’avanzata dell’esercito austro-russo, tornò a combattere nella Guardia Nazionale; nel 1799 venne ferito a Cento; in seguito partecipò alla difesa di Genova, città ove scrisse l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.

2 - Ugo Foscolo

La vittoria di Napoleone a Marengo (1800) gli consentì di tornare a Milano. Nel dicembre del 1801 Foscolo fu colpito dal Il suicidio del fratello grave dolore per il suicidio del fratello Giovanni. Fino al Giovanni 1803 visse anni di grandi passioni e d’intensa attività creativa. Amò ardentemente Isabella Roncioni, alla quale dedicò dei sonetti (1801); a lei si ispirò per tratteggiare la figura di Teresa, protagonista dell’Ortis, alla cui stesura tornò a dedicarsi. Il romanzo, completamente rifatto, fu pubblicato in una prima edizione integrale nel 1802; ne seguirono altre due, entrambe ancora rivedute, nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra. Di grande importanza sentimentale fu anche la relazione con Antonietta Fagnani Arese, a cui dedicò l’ode All’amica risanata (1802). In ambito politico si distinse con l’Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione (1802), coraggioso atto di opposizione alla politica francese nei confronti dell’Italia. Nel 1803 pubblicò l’edizione definitiva delle Poesie di Ugo Foscolo (1803), composte da dodici sonetti e da due odi, e concluse il lavoro filologico sulla Chioma di Berenice, poema di Callimaco, tradotto da Valerio Catullo e illustrato da U. Foscolo, in cui è esposta la concezione della poesia come sintesi “del mirabile e del passionato”. ■ Gli anni della maturità creativa

Nel 1804 Foscolo partì per la Francia per partecipare alla pro- Il soggiorno gettata e mai avvenuta spedizione di Napoleone contro l’In- in Francia ghilterra. Trascorse due anni per lo più a Valenciennes; qui dall’inglese Fanny Hamilton ebbe la figlia Mary Floriana, che presto però perse di vista e ritrovò nel 1822 in Inghilterra. Durante questi anni la sua produzione letteraria si limitò a traduzioni dal greco di passi dell’Iliade e dall’inglese del Viaggio sentimentale di L. Sterne. Nel 1806 tornò in Italia e dopo dieci anni di lontananza si recò Il ritorno in Italia prima a Milano e poi a Venezia per rivedere la madre. Fu ospite di Isabella Teotochi Albrizzi e incontrò Pindemonte: dai colloqui con costoro trasse l’ispirazione che poi sviluppò nel carme Dei sepolcri, scritto tra il 1806 e il 1807 e pubblicato a Brescia nel 1807, il cui immediato successo (oltre che l’intervento di Monti) valse al poeta la cattedra di eloquenza presso l’università di Pavia (1808). Nel gennaio del 1809 vi tenne una prolusione, ricca di accenti patriottici, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, e nei mesi successivi alcune lezioni; ma per ragioni politiche la cattedra venne presto soppressa. I dissapori generati da questa vicenda contribuirono a isolare Foscolo negli ambienti culturali vicini al regime, fino alla clamorosa rottura con Monti. Amareggiato dall’insuccesso alla Scala della sua tragedia Ajace (1811), interpretata da 189

2 - Ugo Foscolo

A Firenze

molti come un attacco a Napoleone, nell’estate del 1812 Foscolo lasciò Milano e si trasferì a Firenze; qui nella villa di Bellosguardo visse più di un anno in un clima sereno, coinvolto in numerose vicende sentimentali (tra cui quelle con Eleonora Nencini e con Quirina Mocenni Magiotti) e accolto nel salotto della contessa d’Albany, vedova di Alfieri. Fu intensa anche la sua produzione letteraria: pubblicò la tragedia Ricciarda (1813) e la traduzione del Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia accompagnata dalla Notizia intorno a Didimo Chierico (1813), ma soprattutto lavorò alla stesura di consistenti passi del poema Le Grazie. ■ L’esilio in Inghilterra

Il rifiuto di aderire alla Restaurazione austriaca

I difficili ultimi anni

190

Nell’inverno del 1813, dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo tornò a Milano, dove ben presto fecero ritorno gli Asburgo. Gli austriaci gli offrirono la direzione del periodico che poi sarebbe stato la “Biblioteca italiana”, aperto ai contributi della cultura italiana. Egli si dimostrò interessato al progetto, ma al momento di prestare giuramento, il 30 marzo 1815, fuggì in Svizzera. Ricercato dalla polizia, fu costretto a nascondersi, finché nel settembre del 1816 decise di trasferirsi in Inghilterra. A Londra fu accolto dagli ambienti intellettuali con grande stima, presto incrinata da tenaci inimicizie, specie con altri esuli italiani. I primi anni del soggiorno inglese furono abbastanza creativi: tornò a lavorare alle Grazie (1822), riprese a tradurre l’Iliade, impostò il progetto di un testo satirico intitolato Lettere dall’Inghilterra (1816-18), di cui sistemò la parte nota come Gazzettino del bel mondo. Scrisse anche numerosi saggi: Saggio sulla letteratura contemporanea in Italia (1818); Saggio sul Petrarca (1823); Discorso sul testo della Divina Commedia (1825); Discorso storico sul testo del Decamerone (1825). Nel 1824-25 per difendersi dalle critiche stese una Lettera apologetica, in cui esponeva le sue scelte di uomo e intellettuale. Gli ultimi anni del poeta furono difficili e umilianti: oberato di debiti, per operazioni sconsiderate come la costruzione di una villa, venne soccorso con grande generosità dalla figlia, che gli mise a disposizione l’intera eredità materna, e dall’amica senese Quirina Mocenni Magiotti. Non riuscì però a evitare il carcere e l’angoscia di vivere sotto falso nome per sfuggire ai creditori. In miseria e malato d’idropisia, si ritirò nel villaggio di Turnham Green presso Londra, dove morì il 10 settembre 1827. Nel 1871 le sue ceneri furono traslate in Italia e sepolte nella chiesa di Santa Croce a Firenze, la chiesa dei Sepolcri.

2 - Ugo Foscolo

L’autobiografia ideale L’opera di Foscolo nasce su un nucleo di riflessioni relative alla fugacità del tempo e all’eternità della morte. Da esse traggono origine due filoni tematici strettamente intrecciati tra loro. Il primo è costituito dalla costante tendenza dello scrittore a offrire un autoritratto ideale da trasmettere ai posteri. Ne sono testimonianza diversi sonetti (tra i quali Non son chi fui..., Solcata ho fronte... e con taglio differente Alla sera e In morte del fratello Giovanni), ma soprattutto le due opere in prosa Ultime lettere di Jacopo Ortis e Notizia intorno a Didimo Chierico. Nel romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, Jacopo, fuggito da Venezia sui Colli Euganei dopo il trattato di Campoformio, vi incontra Teresa, di cui s’innamora perdutamente. Ma essa è fidanzata al ricco Odoardo; così Jacopo se ne va senza meta, meditando sulle sventure dell’Italia sottomessa allo straniero. Quando torna da Teresa, ormai sposata, le vede in volto l’amarezza di una vita priva d’amore; allora, persa ogni speranza, si uccide. I riferimenti autobiografici a situazioni e sentimenti dei suoi anni giovanili sono evidenti, sia pure rivissuti e idealizzati con un atteggiamento eroico. Le Ultime lettere sono anche il prodotto, complesso e moderno, della letteratura europea dell’epoca e hanno un illustre riferimento nei Dolori del giovane Werther di Goethe. Nella Notizia intorno a Didimo Chierico, invece, Foscolo si rappresenta sotto l’ironica immagine di Didimo, che ha trovato un equilibrio interiore accettando con saggezza le disillusioni della vita.

Fugacità del tempo ed eternità della morte Autoritratto ideale per i posteri

Le “Ultime lettere di Jacopo Ortis”

La “Notizia intorno a Didimo Chierico”

La funzione della poesia Il secondo filone si fonda sull’esaltazione del ruolo della poesia come unico mezzo per opporsi alla forza distruttiva del tempo. Tramite la poesia, afferma il poeta nell’ode All’amica risanata, la bellezza della donna amata sarà ricordata in eterno, come eterna è la fama di Ulisse cantata da Omero. La poesia ha la funzione di tramandare gli affetti, le memorie, la gloria del passato e la speranza per l’avvenire conservati dai viventi mediante la cura e la venerazione delle tombe. È questo, infatti, il nucleo concettuale del carme Dei sepolcri, espresso con efficacia nei versi in cui si dice che le Muse “fan lieti / di lor canto i deserti, e l’armonia / vince di mille secoli il silenzio”. Se la fonte della poesia è la bellezza, “ristoro unico ai mali”, il mondo ideale a cui essa appartiene è l’Ellade, simbolo di civiltà e di perfezione.

La poesia unico argine contro il tempo distruttore

I “Sepolcri” La bellezza fonte della poesia 191

2 - Ugo Foscolo

“Le Grazie”

La materna Ellade culla della poesia

Il rapporto con i classici

Da essa provengono le arti, che donano all’umanità l’armonia rasserenante. A questo mondo mitico viene dedicato il complesso capolavoro incompiuto Le Grazie, composto dai tre inni (a Venere; a Vesta; a Pallade) attraverso i quali si celebra il cammino dell’umanità dalla condizione ferina alla piena acquisizione della civiltà. È un’opera di sintesi umana e poetica: la sua stessa frammentarietà sottolinea la complessità di un poeta come Foscolo. La dimensione dell’Ellade, poi, non è solo il ricordo di un passato irrecuperabile: in essa si congiungono e si unificano i due filoni ora tratteggiati, poiché la “materna terra”, culla della poesia, è anche un tratto fondamentale dell’autobiografia idealizzata, che fa coincidere l’isola nativa di Zante con Zacinto, sogno di bellezza. La poesia foscoliana si alimenta di un profondo classicismo, che a sua volta sa velare di una musicalità sensuale e irresistibile una materia drammatica (e autobiografica) di grande intensità. Il riscatto della classicità, in una tensione “romantica” e “egotistica”, sembra il filo rosso che lega tutti i testi del poeta. Il rapporto che Foscolo intrattiene coi classici (anche nel caso delle traduzioni) è un tentativo quasi ossessivo di recupero fisico della lingua antica, senza alcuna civetteria o superficiale divagazione.

La fortuna dell’opera di Foscolo L’interpretazione risorgimentale

Nel Novecento

192

La figura di Foscolo ebbe grande rilievo nel Risorgimento italiano, quando nello scrittore si vide un modello di intellettuale disposto a ogni sacrificio per affermare la libertà individuale e la dignità nazionale. Soprattutto il filone laico e democratico, rappresentato da Mazzini e da Carducci, tributò una costante ammirazione al poeta e all’opera Dei sepolcri, interpretata essenzialmente in chiave eroico-patriottica. Nel Novecento la critica ha sviluppato studi più approfonditi e attenti a cogliere il significato complessivo della produzione foscoliana. Ne è derivata un’interpretazione ricca di sfaccettature, che collega Foscolo ad alcuni dei maggiori poeti europei di tendenza ellenizzante e di ispirazione romantica, come il tedesco Hölderlin e gli inglesi Shelley e Keats.

2 - Ugo Foscolo

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

LE OPERE L’“Ortis”

Nasce nell’isola greca di Zante nel 1778. Completa gli studi a Venezia a partire dal 1793. Nel 1797 si arruola nell’esercito napoleonico. Deluso da Napoleone, che ha consegnato Venezia all’Austria (1797), negando i principi di nazionalità, si trasferisce a Milano (poi a Firenze), entra in contatto con i principali letterati dell’epoca (Parini e Monti) e vive anni di grandi passioni e di intensa attività creativa. Dopo la sconfitta di Napoleone e la restaurazione austriaca fugge in esilio in Inghilterra (1816), dove conduce una vita segnata dalle difficoltà economiche; muore presso Londra nel 1827. Riscritto nel 1802, dopo una stesura incompleta del 1798, il romanzo le Ultime lettere di Jacopo Ortis testimonia il travaglio letterario e politico di una cultura italiana sostanzialmente delusa dai nuovi principi rivoluzionari.

I “Sonetti” e i “Sepolcri”

I Sonetti (1803) e il carme Dei sepolcri (1806-07) impongono un neoclassicismo eroico e prerisorgimentale, mai tentato dai poeti neoclassici contemporanei a Foscolo.

“Le Grazie”

Poema incompiuto in tre inni, celebra in una mitica Grecia la poesia come supremo ideale di bellezza. È uno dei capolavori di Foscolo.

GIUDIZIO CRITICO

Foscolo è uno scrittore di crisi ma anche di profonda rinascita: accese il grande insegnamento musicale e ideale del neoclassicismo di una passione drammatica del tutto romantica ed europea.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale tessuto di modelli europei sta dietro la composizione dell’Ortis? 191b 2. Il classicismo di Foscolo è ancora come quello

settecentesco? 192a 3. Qual è il concetto di “memoria” implicito nei Sepolcri? 191b

193

3 Il romanticismo Il romanticismo si diffonde per tutto l’Ottocento: in un certo senso è la cultura del secolo. Non è una semplice contrapposizione alla razionalità dell’illuminismo, anche se rispetto alla ragione mette l’accento sulla fecondità della passione, dell’irrazionalità e dell’indicibile. In realtà il romanticismo si presenta in sorprendente continuità con la ricerca illuministica del “moderno”; però, come se la sua maturazione si manifestasse in una sorta di trasgressione e di radicale novità culturale. D’altra parte, il romanticismo per tutto l’Ottocento raccoglierà orientamenti diversi e contrastanti: dall’esaltazione di un libertario individualismo alla proposta del più introverso, se non reazionario, spirito di conservazione. In Italia la polemica romantica è condotta dalle riviste “Il Conciliatore” e “L’Antologia”: esponenti di spicco sono Giovanni Berchet e Silvio Pellico. Collaterali al romanticismo sono gli esiti altissimi della poesia in dialetto del milanese Carlo Porta e del romano Gioacchino Belli.

L’idea romantica Le origini del Il termine “romantico” deriva dall’inglese romantic (che termine “romantico” ebbe inizialmente il significato perlopiù negativo di romanzesco, fantasioso, irreale), derivante a sua volta da romance, che designa in inglese il romanzo medievale e il poema cavalleresco italiano. Sul continente il termine acquista alla fine del Settecento un significato alquanto diverso, sinonimo di “pittoresco”. È però lo scrittore tedesco J.G. Herder che usa per primo il termine a designare la poesia “moderna”, popolare e sentimentale, in contrapposizione alla poesia “antica”, cioè classica. Gli elementi essenziali che costituiscono il tessuto del nuovo movimento romantico sono individualismo e popolo, natura, storia, amore totale, il senso di squilibrio dell’io tra fiaba e quotidiano. Individualismo L’io si deve esprimere; l’arte e la lingua non sono strumenti e popolo di conoscenza razionale, bensì espressioni istintive della libertà individuale e insieme dello spirito e dell’identità profonda del popolo. Se viene rifiutato il meccanicismo illuNatura ministico è solo perché la natura, per i romantici, resta il segreto stesso dell’energia vitale, la forza spirituale che parla atStoria traverso i simboli e le analogie. Nella storia tutto è dinamico, anzi è rivoluzionario e procede per fratture, superamenti, sin194

3 - Il romanticismo

tesi e crisi. Il sentimento è romanticamente un dramma perpetuo; l’amore è una prova estrema e coincide ironicamente con l’incompiutezza e la passione del frammento. Il senso di squilibrio (cioè l’aspetto negativo) dell’io, rispetto ai limiti del tempo e della realtà, mette il soggetto in una condizione di drammaticità che può ridursi sia a fiaba (i misteri delle tradizioni popolari, l’onirismo, il culto oscuro del Medioevo o l’esotico), sia paradossalmente alla quotidianità, in uno sguardo realistico ugualmente esasperato e assoluto.

Amore totale Lo squilibrio dell’io tra fiaba e quotidiano

Il romanticismo italiano Il romanticismo italiano si delinea come un modello cul- Un romanticismo turale più cauto e prudente rispetto agli analoghi movi- meno esasperato IL ROMANTICISMO EUROPEO In Germania il rapporto drammatico con gli antichi è il punto originario del romanticismo. Il “preromanticismo” tedesco (v. a p. 175) è già di per sé la proposta di una ribellione artistica fondata sulla libertà del genio e sul suo tragico senso di impotenza espressiva. Proprio il capolavoro di Wolfgang Goethe I dolori del giovane Werther (1774) fu il segnale più suggestivo di quella tragicità a cui sembrava destinato il nuovo eroe moderno. Ma queste esigenze si consolidarono nella nuova forma culturale del romanticismo solo nel momento in cui la forza di ribellione seppe aprirsi a un impegno positivo e originale. All’opera di Goethe si affiancò il lavoro teatrale di F. Schiller, che nel famoso saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795) stabilì quella differenza – “ingenua” la poesia degli antichi; “sentimentale”, riflessiva, critica e dunque indefinita quella dei moderni – su cui sarebbe maturata l’origine vera e propria del romanticismo europeo, all’interno del cosiddetto “gruppo di Jena”, ovvero il lavoro della rivista “Athenäum”, uscita dal 1798 al 1800, insieme con le opere dei fratelli Schlegel, di L. Tieck e di Novalis. In Inghilterra la maturazione romantica avviene attraverso l’opera altissima di William Wordsworth e Samuel Coleridge

(coautori delle Ballate liriche, 1798), le raccolte poetiche di John Keats e Percy Bysshe Shelley e l’influsso di un “mito vivente” quale George Gordon Byron. Il romanticismo inglese è sì ribellione e senso realistico del dramma individuale, ma è soprattutto un nuovo ritratto sentimentale della natura, così come è evidente anche nei “romanzi storici” di Walter Scott. In Francia, un atteggiamento antilluministico (di dramma spirituale ed esistenziale) già era stato quello di François-René de Chateaubriand, durante gli anni della rivoluzione e dell’età napoleonica; il romanticismo divenne movimento consapevole per merito del trattato di Madame de Staël Sulla Germania (1813, però scritto tre anni prima). Durante la Restaurazione trionfò il modello sontuoso della prosa di Chateaubriand; e solo con la rivoluzione di luglio si verificò quel progressivo ma netto passaggio del romanticismo verso posizioni di tipo liberale e democratico. Autori come Alfred de Vigny, Victor Hugo e soprattutto Alfred de Musset e Gérard de Nerval sono i fondatori di un romanticismo francese alla ricerca di codici nuovi e aperto all’esperienza straordinaria del notturno come della malattia, della rappresentazione realistica come di quella più esotica e sentimentale.

195

3 - Il romanticismo

menti tedesco e inglese. Non fu mai una vera rottura con la tradizione. Anzi, in certi casi divenne un’occasione in più per esperire nuove formule rispettose della tradizione letteraria umanistica. La negazione di qualsiasi estremismo condusse a un dibattito meno ricco, ma non per questo meno interessante, rispetto a temi fondamentali come la ricerca di un linguaggio “popolare”, cioè non accademico e astratto, o la necessità di proporre una letteratura nazionale “utile” al progresso collettivo. ■ Origini e prima generazione romantica

La “Biblioteca italiana”

Classicisti e romantici

“Il Conciliatore”

Il romanticismo italiano trovò la sua elaborazione nei dibattiti pubblici delle riviste. Quando la “Biblioteca italiana” diretta da Giuseppe Acerbi aprì il suo primo numero con l’articolo di Madame de Staël Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, si avviò immediatamente un acceso dibattito fra classicisti e romantici. La rivista aveva un’impostazione classicista, senza mai essere settaria. La polemica, del resto, si irrigidì su questioni quasi secondarie (l’uso della mitologia classica, il rapporto con le letterature straniere, l’unità drammatica del modello aristotelico). Posizioni classicistiche più intelligenti (Pietro Giordani) mantennero un sicuro punto in comune con le riflessioni romantiche nel desiderio di una letteratura italiana “universale”. I romantici italiani si raccolsero attorno alla rivista milanese “Il Conciliatore”, durata però solo un anno (1818 -19) perché soppressa dalle autorità austriache. Nel gruppo emersero Pietro Borsieri (1788-1852), autore del divertente e ironico Avventure letterarie di un giorno (1816) e della stesura del Programma del “Conciliatore”; Ludovico di Breme (1780-1820), un intellettuale di livello europeo, forse l’unico italiano capace di misurarsi con le riflessioni degli idéologues. Il gruppo del “Conciliatore” tentò di mantenere in vita la ricerca del nostro migliore illuminismo, sostenendo con la novità romantica un senso storico della cultura, del senso civile e di una comune coscienza nazionale. ■ Giovanni Berchet

Il milanese Giovanni Berchet (1783 -1851) è famoso soprattutto per la Lettera semiseria di Giovanni Grisostomo al suo figliuolo, pubblicata nel 1816 nella “Biblioteca italiana” e considerata il manifesto del romanticismo italiano. La finzione di un padre che intende spiegare al figlio collegiale il significato della poesia romantica (presentandogli la traduzione, fatta dallo stesso Berchet, di due ballate del poeta tedesco Gottfried August Bürger) serve ad af196

3 - Il romanticismo

fermare il carattere sostanzialmente “popolare” della poe- Il carattere popolare sia e il suo rapporto storico con il popolo. Nel rapporto fra della poesia scrittore e pubblico, il “popolo” rappresenta il gusto medio e borghese, opposto sia agli intellettuali raffinati, i “parigini”, sia alla plebe ignorante gli “ottentotti”. Berchet, esule in Francia, Inghilterra e Belgio perché carbonaro, tradusse molto (Il Bardo di Thomas Gray e il romanzo Il curato di Wakefield di Oliver Goldsmith) e tentò egli stesso, soprattutto con I profughi di Parga (1819-20) e le Romanze (1824), quel gusto medio della poesia “popolare” che aveva teorizzato. ■ Silvio Pellico

Silvio Pellico (1789-1854), piemontese di Saluzzo, è figura di rilievo del romanticismo risorgimentale. Colto e amico di letterati italiani e stranieri, compose soprattutto tragedie. La sua Francesca da Rimini venne rappresentata con grande successo nel 1815. Collaborò attivamente al “Conciliatore”, pubblicandovi anche la prima parte di un romanzo, Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, che lasciò incompiuto. Nel 1820 fu arrestato come carbonaro e trasferito ai Piombi di Venezia; la condanna a morte fu commutata poi nella carcerazione allo Spielberg, una fortezza in Moravia, dove rimase fino al 1830. Appena graziato compose l’opera autobiografica per cui è più noto, Le mie prigioni (1832), che “Le mie prigioni” ebbe un grandissimo successo di pubblico in Italia e all’estero (tradotta già nel 1833 in francese e successivamente in altre lingue). Letta subito, al di là delle intenzioni dell’autore, come atto di accusa contro il regime austriaco, l’opera è la LA SECONDA GENERAZIONE ROMANTICA La chiusura del “Conciliatore”, la morte di Porta e di Ludovico di Breme segnano una paralisi del movimento romantico. A Milano forse solo Manzoni, anche se appartato e distante dalle polemiche, resta un punto di riferimento. Tommaso Grossi (17901853), a parte interessanti opere in dialetto (Prineide, 1817 e La fuggitiva, 1816), scrive in lingua italiana Ildegonda (1820), modello italiano della “novella romantica in versi”, e il romanzo storico Marco Visconti (1834), sulla scia dell’esempio manzoniano. Cesare Cantù (1804-1895), autore di una famosa Storia universale (1838-46), non ha lo spessore dei primi romantici. Solo Giovita Scalvini (1791-1843), segretario

della “Biblioteca italiana”, è autore curioso di lavori interessanti, come il poemetto Il fuoriuscito (iniziato nel 1822) e il Saggio sui Promessi Sposi di Manzoni (1829), straordinario per lungimiranza e acume critico. L’“Antologia”, rivista nata a Firenze nel 1821 per merito del ginevrino Giampietro Vieusseux con la collaborazione di Gino Capponi (1792-1876), Cosimo Ridolfi (1794-1865) e Giuseppe Montani (17891833), raccolse in qualche modo l’eredità del “Conciliatore”, sebbene non avesse grande interesse a continuare la disputa classico-romantico, ormai spenta, ma aspirasse solo a rilanciare una prospettiva moderna ed europea della letteratura.

197

3 - Il romanticismo

sofferente descrizione del mondo del carcere come luogo dominato dall’ingiustizia e dalla violenza, popolato di emarginati e vittime, illuminato talvolta da gesti di intensa pietà umana. Dopo la liberazione si dedicò ancora alla tragedia, scrivendo tra le altre Leoniero da Dertona e Gismonda da Mandrisio (1832), Corradino (rappresentato nel 1834 e pubblicato postumo), Eugilde della Roccia (1832), che solo in parte ripeterono il successo della Francesca da Rimini. Di scarso interesse è il suo trattato morale Dei doveri dell’uomo (1834).

Carlo Porta

La polemica antipurista e la simpatia per il romanticismo

Le “Poesie”

Tra comicità e dolente satira sociale

198

Carlo Porta (1775-1821), poeta in dialetto milanese, occupa un posto particolare nel romanticismo italiano, esponente di quello che potremmo chiamare realismo romantico. Funzionario statale, nel 1792 pubblicò El lavapiatt del Meneghin ch’è mort (Il lavapiatti del Meneghin che è morto) e, intorno al 1804, una spigliata e popolare versione-travestimento in milanese dell’Inferno di Dante. In un articolo sulla “Biblioteca italiana” (11 febbraio 1816) Giordani aveva attaccato la poesia dialettale, considerandola un esempio deleterio di particolarismo, da superare nella “pratica della comune lingua nazionale”. A questo attacco Porta rispose con violenti sonetti e con l’adesione alle proposte romantiche. Però, più che adesione fu semplice simpatia o, meglio, un interesse aperto a quella prospettiva di modernità e di spontanea comunicatività che Porta pensava essenziale non del romanticismo ma della poesia stessa. Intenso fu comunque il ruolo che egli ebbe nella vita culturale milanese: raccolse intorno a sé un ristretto e familiare cenacolo di giovani letterati lombardi, tra cui G. Berchet, T. Grossi, E. Visconti; vi partecipò anche lo scrittore francese Stendhal, che ammirava molto la poesia di Porta. Dal 1814 al 1816 il poeta cominciò a raccogliere in vari quaderni autografi le proprie opere, che dopo la sua morte subirono censure moralistiche e cancellazioni da parte di Luigi Tosi. Nel 1817 viene pubblicata una piccola raccolta dal titolo Poesie. Postuma l’edizione del 1826 curata dall’amico Tommaso Grossi. Il mondo di Porta è una straordinaria rappresentazione linguistica del popolo e della borghesia che affollano piazze e mercati della Milano del tempo. La sua opera è un altissimo risultato di rapida e guizzante comicità e di dolente satira sociale, come forse non accadrà mai più (eccetto per il poeta romano G.G. Belli) in tutto il nostro Ottocento. Determinanti sono una profonda ma mai corriva simpatia per il mondo dei perdenti e degli oppressi e l’infinita varietà

3 - Il romanticismo

dei registri del dialetto. Tra i risultati più straordinari, che lo pongono tra i grandi della nostra letteratura, i componimenti poetici On miracol (1813-14); La nomina del cappellan (1819-20); I desgrazi de Giovannin Bongee (181213); La Ninetta del Verzee (1814); El lament del Marchionn di gamb avert (1816), On funeral (1816).

Giuseppe Gioachino Belli Figura complessa e a lungo ignorata della letteratura italiana, il romano Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) rappresenta con Porta una voce particolarmente significativa del realismo romantico. Nato da una famiglia impiegatizia fedele al regime pontificio, lavorò a lungo come funzionario del governo papalino. La sua formazione proseguì quindi in maniera autodidatta: fu ampia e disordinata, subito caratterizzata da forti interessi letterari. Conobbe e apprezzò grandemente la poesia dialettale di Porta. Dal 1830 al 1837 e dal 1842 al 1849 scrisse i Sonetti in romanesco. Fu uomo d’ordine sempre più marcatamente conservatore, al punto di rinnegare persino la propria opera dialettale. I 2279 sonetti di Belli sono stati pubblicati integralmente so- Il “monumento” lo nel 1952. Nella Introduzione, scritta nel 1831, il poeta in- della plebe romana dicò chiaramente il senso del proprio lavoro: “Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che è oggi la plebe di Roma. Il poeta non si pone illusioni pedagogiche che possano far da velo al suo sguardo e soprattutto non rintraccia nel popolo mitiche innocenze da esaltare: la plebe romana è il frutto corrotto di un sovrapporsi plurimillenario di civiltà. Belli osserva distaccato tutto ciò: non è il suo mondo, è il mondo in cui si trova; per rappresentarlo egli si crea uno strumento di grande efficacia: una voce narrante, che si frappone tra l’autore e l’argomento della sua opera, che si serve di un dialetto senza variazioni di registro. Delinea così, sonetto dopo sonetto, un mondo in cui tutto si ripete rimanendo immobile: è l’inferno romano in cui, co- L’”inferno” romano me in quello dantesco, non c’è il divenire. La battuta finale del sonetto è spesso una riduzione a nulla di quanto si era fatto intravedere. Da questo senso d’impotenza elevato a sistema nasce l’amara comicità belliana, che si risolve spesso in uno sberleffo verso i potenti. Il mondo dei Sonetti è staticamente ingiusto: neppure dalla morte è possibile sperare un cambiamento, ma all’improvviso, in alcuni scorci, mostra dentro di sé momenti di profonda delicatezza, di umanità offesa che il poeta sembra quasi celare per pudore. 199

3 - Il romanticismo

SCHEMA RIASSUNTIVO IL ROMANTICISMO

I temi della cultura romantica sono l’esaltazione dell’individualismo e della natura del genio; l’affermazione del continuo divenire della storia; la supremazia della passione, del sogno e del dramma personale. Anche la fiaba è un modo per scoprire le passioni naturali del popolo.

Romanticismo italiano

Giovanni Berchet (Lettera semiseria di Giovanni Grisostomo al suo figliuolo, 1816) afferma il carattere “popolare” (nel senso di borghese) della poesia romantica; Silvio Pellico (con Le mie prigioni, 1832) ottiene un grande successo descrivendo le sue sofferenze di patriota incarcerato dall’Austria.

CARLO PORTA

Simpatizzante del movimento romantico, Carlo Porta scrive in un duttilissimo dialetto milanese. Le sue Poesie (1826) sono un esempio altissimo di dolente satira sociale e di guizzante comicità, riflesse nell’infinita varietà di registri del dialetto.

GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

Con i suoi 2279 Sonetti intende lasciare un “monumento” alla plebe romana, osservata con occhio distaccato, in un “inferno”’ in cui tutto si ripete rimanendo immobile. Da questo senso di impotenza nasce l’amara comicità belliana.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i temi fondamentali del romanticismo? 194b-195a 2. Su quali riviste si svolse il dibattito del romanticismo italiano? 196 3. Chi intende Berchet con i termini “popolo”, “pa-

200

rigini”, “ottentotti”? 197a 4. Quali sono gli elementi e i temi essenziali della poesia di Carlo Porta? 198b Il poeta aderì al romanticismo? 198a 5. Belli tende a esaltare la plebe romana? 199b

4 Alessandro Manzoni Alessandro Manzoni è la figura più significativa del romanticismo. La sua opera segna l’ingresso della letteratura italiana nel grande realismo romantico europeo, simboleggiando la nuova coesione nazionale e risorgimentale. Egli ha sottratto la moderna letteratura italiana alla sua rigidità classicista e alla sostanziale indifferenza alla storia: la letteratura deve impegnarsi sul piano morale e sociale e deve svolgere una funzione educativa. I promessi sposi sono in tal senso un’opera di straordinaria novità, il cui pregio maggiore è quello di essere un grande romanzo popolare, di ampio progetto narrativo ed eccezionale risultato linguistico.

La vita e le opere La madre Giulia, sposata al vecchio conte Pietro, era figlia dell’illuminista Cesare Beccaria; il padre naturale fu probabilmente Giovanni Verri, fratello dei più noti Pietro e Alessandro. Manzoni (nato a Milano nel 1785) venne messo in collegio a sei anni a Merate e a Lugano, poi a Milano, al collegio dei Nobili tenuto dai Barnabiti. Manzoni serbò un cattivo ricordo di quella scuola rigida e retorica, che però lo educò ai classici senza impedire il contatto con le idee nuove: in collegio lesse gli autori moderni (Alfieri, Parini, Monti) e i pensatori francesi (Voltaire, J.-J.Rousseau, C.-A. Helvétius, Condorcet). La lezione degli esuli napoletani (V. Cuoco e F. Lomonaco) lo aiutò a superare l’astrattezza illuministica e a maturare un sentimento vivo della storia. Dopo una breve convivenza con il padre, nel 1805 raggiunse a Parigi la madre e il compagno di lei, il conte Carlo Imbonati, che però morì improvvisamente prima del suo arrivo. A Parigi frequentò il salotto intellettuale della vedova Condorcet (del cui convivente, lo studioso C. Fauriel, divenne amico), dove si riunivano gli idéologues, intellettuali libertari, socialmente impegnati, in prevalenza sensisti ma con aperture spiritualiste, che affinarono in Manzoni il rigore intellettuale e morale. Nel 1808 sposò, con rito calvinista, Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere d’origine ginevrina, sua compagna nel graduale processo di conversione che sfociò nel matrimonio cattolico (1810) dopo il “miracolo di san Rocco”, quando il trepido Alessandro invocò Dio per ritrovare la moglie perduta nella calca parigina. Nel raccoglimento della vita milanese, accanto alle letture filosofiche e religiose, seguì con intensa emozione l’evolvere degli eventi storici e

Gli anni di formazione

Il soggiorno parigino

La conversione religiosa

201

4 - Alessandro Manzoni

Le opere poetiche e drammatiche

Le redazioni dei “Promessi sposi”

Saggi linguistici, estetici e storiografici

202

i dibattiti letterari, che dal 1816 assunsero a Milano toni infuocati, simpatizzando per i romantici contro i classicisti. La conversione religiosa coincise con il distacco dai modi classicheggianti delle prime poesie. Compose, con nuove cadenze ritmiche, i primi Inni sacri, iniziati nel 1812 e pubblicati nel 1815 (nel 1822 vi aggiunse La Pentecoste). Con il Il conte di Carmagnola (1820) tentò una tragedia ispirata alle nuove idee poetiche (soggetto storico, rifiuto delle unità di tempo, luogo e azione). Con le Osservazioni sulla morale cattolica (1819) contestò le posizioni anticlericali dei neoghibellini. Tornato a Parigi nel 1819, frequentò lo storico francese J. Thierry, da cui prese l’esigenza di una storiografia attenta alle masse e alcune idee sull’origine delle classi sociali accolte nella tragedia Adelchi (1822). Rientrò nel 1820 a Milano e condusse una vita appartata e operosa, interrotta da pochi viaggi, vissuta ora con savio umorismo, ora nel tormento di crisi nervose. Nel 1821 scrisse le due odi civili, Marzo 1821 per i moti liberali (pubblicata nel 1848) e Il cinque maggio per la morte di Napoleone. Fu un periodo di creatività, in cui sperimentò generi diversi, nella ricerca febbrile di ciò che poteva meglio accogliere la vastità dei suoi interessi per meglio comunicarli a un più largo pubblico. Approdò al romanzo, scrivendo, fra il 1821 e il 1823, il Fermo e Lucia, ma vi rimise presto mano, operandone una radicale revisione strutturale e formale, e lo pubblicò a Milano (1825-27) con il nuovo titolo I promessi sposi. Dopo ulteriori correzioni linguistiche, seguite a un soggiorno fiorentino nel 1827, il romanzo assunse la veste definitiva nell’edizione a dispense illustrate che uscì a Milano nel 184042. Scemato il fervore creativo, Manzoni si applicò in prevalenza a problemi di teoria estetica e linguistica e a studi storiografici (dal Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia del 1822, funzionale all’Adelchi, alle ricerche in margine ai Promessi sposi, da cui si venne separando l’indagine sul processo agli untori della Colonna infame, perfezionata come appendice al romanzo nel 1842). Manzoni tornò sulle questioni estetiche con il discorso Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione (steso attorno al 1830 e pubblicato nel 1845), con il dialogo Dell’invenzione (1850), ispirato alle idee del filosofo e amico A. Rosmini, e ancora con le approfondite meditazioni linguistiche che sarebbero dovute confluire in un volume organico Della lingua italiana, rimasto incompiuto. Quanto pubblicato (la Lettera a Carena del 1846, la relazione al ministro Dell’unità della lingua e

4 - Alessandro Manzoni

altri scritti del 1868) attesta, sul piano linguistico, il suo impegno risorgimentale. ■ La vita pubblica e gli ultimi anni

La vita di Manzoni si risolse nella sfera privata e fu segnata di lutti. Per la morte di Enrichetta (provata da dieci maternità) stese il frammento Il Natale del 1833, che, con l’incompiuto Ognissanti (e coi pochissimi versi d’occasione) rappresenta l’ultima prova poetica dopo la svolta del romanzo. Gli premorirono sei degli otto figli rimasti e la seconda moglie, Teresa Stampa (sposata nel 1840). La fede dello scrittore non ne uscì affievolita e non venne meno neppure l’interesse per le sorti dell’Italia, già documentato dal rifiuto di un’onorificenza austriaca nel 1838 e dalla firma dell’appello lanciato dai milanesi a Carlo Alberto nel 1848. Nel 1859 ricevette la visita di Garibaldi. Nel 1861 come senatore del Regno votò per Roma capitale, nel 1872 accettò la nomina a cittadino onorario di Roma nonostante l’ostilità del papa al nuovo Stato italiano. La sua morte, avvenuta a Milano nel 1873, fu occasione di solenni onoranze e ispirò la Messa da Requiem di G. Verdi.

La produzione poetica Le poesie giovanili precedenti gli Inni sacri furono rifiuta- Le poesie giovanili te da Manzoni, che rigettò forme e temi del neoclassicismo, estranei ai riscoperti valori cristiani. Un’inclinazione seria e pensosa si avverte però anche nelle rime giovanili, a partire dalle terzine del Trionfo della libertà (1801), animate da un fanciullesco entusiasmo giacobino. I versi sciolti dell’Adda (1803), pur dedicati a Monti, celebrano in realtà Parini, maestro della satira moralistica. Nel carme In morte di Carlo Imbonati (1805-06), lo scomparso indica al giovane l’esempio di Parini, Alfieri e Omero, portatori di una poesia eternizzante non meno che educatrice virtuosa. La grande svolta si profila con il progetto, rimasto incom- Gli “Inni sacri” piuto, di scrivere dodici Inni sacri per scandire l’anno liturgico, nella celebrazione del perenne ritorno della verità. Nei cinque composti (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste), Manzoni rinnova insieme materia e forma: sottrae la sua parola-preghiera all’usura della letterarietà, volge le spalle alla linea melodica petrarchesco-tassiana, attiva reminiscenze bibliche e adotta un linguaggio drammatico, sublime e colloquiale a un tempo. Lo stile “petroso” degli Inni, tutto riprese e rie- Le odi civili cheggiamenti interni, torna nelle odi civili, quasi a stabili203

4 - Alessandro Manzoni

re, a livello del suono e del ritmo, un’equazione fra riscatto nazionale e palingenesi religiosa. In Marzo 1821, la sinistra invocazione di un Dio biblico e guerriero è temperata dal tono pensoso e dalla dedica al poeta Th. Körner, caduto per la libertà tedesca. Nel Cinque maggio, la passione politica è riassorbita nella meditazione religiosa: di fronte alla morte di Napoleone, il poeta rinvia ai posteri il giudizio storico e affida all’imperscrutabile misericordia divina il giudizio morale.

Le tragedie

“Il conte di Carmagnola”

“Adelchi”

204

Nell’affrontare il genere teatrale, Manzoni sente il bisogno di confutare le riserve sul genere drammatico avanzate da moralisti religiosi o profani d’oltralpe; ne difende la funzione educativa e proclama la libertà dalle “regole” classicistiche (posizioni espresse nel 1820, in francese, nella Lettera a M. Chauvet sull’unità di tempo e di luogo nella tragedia e nella Prefazione al Carmagnola). I temi storici prescelti alludono anche alla situazione contemporanea dell’Italia divisa e soggetta (le guerre fra gli Stati italiani nel Carmagnola, la dominazione straniera nell’Adelchi). La prima tragedia, Il conte di Carmagnola, è contrassegnata da un pessimismo radicale, che non contempla prospettive provvidenziali. Il Carmagnola, già condottiero dei Visconti di Milano, passa al servizio di Venezia; sbaraglia i milanesi a Maclodio, ma cade in sospetto della Serenissima per la clemenza usata verso i vinti. Richiamato a Venezia con l’inganno, è condannato a morte e l’affronta dopo un travaglio che lo conduce dall’odio al perdono e alla fede. Se il Conte è il martire, il vero personaggio tragico è il senatore Marco, diviso fra l’amicizia per il Carmagnola e l’obbedienza alla ragion di stato. L’Adelchi è divisa anch’essa in cinque atti e scritta in versi, ma più complessa e corale. Vi si rappresentano gli avvenimenti successivi al ripudio da parte del re dei franchi Carlo Magno della moglie Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio e sorella di Adelchi. Carlo, chiamato in Italia dal papa, sorprende l’esercito nemico e lo vince. Si consumano in rapida progressione il tradimento di molti duchi longobardi, l’agonia dell’innocente e infelice Ermengarda, la catastrofe del regno di Desiderio e la morte sublime di Adelchi. Eroe solitario e puro, Adelchi si batte a oltranza per la sua stirpe “rea”, ma alle ragioni della politica oppone le leggi della giustizia e della pietà. Adelchi ed Ermengarda scontano la loro superiore nobiltà d’animo; entrambi si avvici-

4 - Alessandro Manzoni

nano all’ora fatale come a un desiderato momento di pace, in cui la sventurata sorte terrestre diventa la condizione del riscatto di fronte al Salvatore.

“I promessi sposi” La ricerca di un mezzo largamente comunicativo e adatto a trattare una materia complessa volge Manzoni dal teatro al romanzo, genere rilanciato con successo dalle narrazioni di argomento storico dello scozzese Walter Scott. ■ La redazione

Prima di porre mano alla narrazione, Manzoni fece ricerche scrupolose sulla Lombardia del ’600, studiando la storiografia d’epoca (Giuseppe Ripamonti, Tadino), i moderni scritti economici e giuridici (M. Gioia, P. Verri) e attingendo infine a fonti documentarie, come le raccolte di gride pubbliche che cita nel romanzo in gustosi pastiches. Compiuto nell’autunno del 1823, il Fermo e Lucia resta però nel cassetto dello scrittore insoddisfatto della lingua adottata, eclettico miscuglio di forme letterarie (attinte dal vocabolario della Crusca) e di modi parlati (Manzoni conversava abitualmente in milanese e in francese). La scrittura del Fermo abbonda così di lombardismi, gallicismi, latinismi e arcaismi, apparendo insomma “goffa e affettata”. Già nel marzo 1824 Manzoni riprende il lavoro, riducendo nella trama le parti più vistosamente romantiche (la fosca storia della Monaca di Monza, la cupa fine di don Rodrigo), e ritoccando sia la lingua, ritenuta astratta e artificiosa, a vantaggio della parlata toscana, sia lo stile, ricondotto a misure classiche e temperato dall’ironia. Neppure la redazione “ventisettana” (1825-27) dei Promessi sposi soddisfa pienamente l’autore, che si reca a Firenze per “sciacquare i panni in Arno”. La nuova revisione sfocia nella redazione “quarantana” (1840-42), in cui, fra la lingua nazionale ma “morta” della tradizione scritta (toscano letterario) e quella popolare ma municipale della conversazione (dialetti), Manzoni trova una geniale mediazione nel fiorentino vivo della borghesia colta, fornendo così alla nuova Italia la base linguistica, il suo idioma nazional-popolare.

“Fermo e Lucia”

Le redazioni ventisettana e quarantana

■ La tematica

Manzoni sceglie di applicarsi al genere del romanzo obbe- Il vero, l’utile dendo a radicate esigenze estetiche ed etiche: l’arte deve e l’interessante avere per oggetto il vero, l’utile come fine e l’interessante come mezzo. 205

4 - Alessandro Manzoni

L’invenzione verosimile

La scelta del Seicento come sfondo storico

L’epopea della Provvidenza?

206

Già nella poesia Manzoni aveva manifestato una predilezione per il “vero”, compromesso dagli abbandoni fantastici o dalle evasioni idilliche. Anche le due tragedie avevano intenti educativi, in parte vanificati dal carattere elitario dei personaggi e dello stile, inadatto ai lettori comuni ai quali lo scrittore intende rivolgersi questa volta. Nel suo romanzo Manzoni decide di raccontare non le storie dei grandi personaggi, ma quelle oscure delle masse anonime di cui ricostruisce la vita quotidiana, promuovendo due umili popolani al rango di protagonisti. Un intreccio “inventato” ma verosimile si staglia su uno sfondo storico ben tratteggiato (il malgoverno spagnolo, la peste, la guerra) in cui agiscono personaggi reali (il cardinal Borromeo, la Monaca di Monza, l’Innominato) o figure emblematiche di gruppi sociali (bravi prepotenti, preti spaventati, cappuccini coraggiosi, politici intriganti, folle eccitate): l’amore contrastato fra un artigiano e un’operaia, ostacolati da un tirannello di provincia, viene alfine coronato grazie alla “conversione” di un potente bandito e ad alcuni eventi “provvidenziali”. La vicenda è costruita su uno schema narrativo elementare (lo stesso amore contrastato, il superamento degli ostacoli con intervento di danneggiatori e coadiutori, il lieto fine) ed è l’esile filo su cui si innestano digressioni psicologiche e morali, riflessioni storiche ed esistenziali, espresse con uno stile che conosce l’arte della descrizione precisa, del dialogo comico, della notazione ironica, dell’accensione tragica o lirica. Una profonda convinzione spinge Manzoni a scegliere il Seicento come sfondo storico: quel secolo incarna i suoi bersagli polemici, il formalismo, l’esibizione scenografica, la sopraffazione, l’erudizione, il farisaismo ipocrita di potenti in cappa o in tonaca, l’ignoranza, che egli smaschera con lo sguardo lucido e severo della ragione illuministica e della morale cattolica. Il Seicento gli appare come il periodo in cui i valori dello spirito e dell’intelligenza subiscono i più gravi oltraggi e fa risaltare le possibilità concesse all’individuo di scegliere responsabilmente la via della giustizia e della salvezza. Spesso il romanzo è stato definito un’epopea della Provvidenza e criticato per la rassegnata accettazione del male. In realtà, se l’irruzione divina nel mondo dell’uomo segna nella narrazione il punto più alto, essa non abolisce dolori e ingiustizie: il suo campo d’azione resta il segreto dell’anima, dove riesce a rendere più sopportabili i dolori che accompagnano l’esistenza terrena.

4 - Alessandro Manzoni

I saggi La difficile conciliazione tra verità storica e invenzione è oggetto del Discorso del romanzo storico, in cui Manzoni sottolinea l’incoerenza teorica di un genere letterario che mescoli le due componenti. Sembra così negare l’assunto su cui poggia il suo romanzo: in realtà vuole criticare gli eccessi avventurosi cui si abbandonano i romanzi storici coevi. Riconducendo l’operazione inventiva dello scrittore a idee che gli preesistono e che egli “ritrova”, di fatto riconcilia il fare storiografico e il fare letterario nella comune dipendenza da una realtà anteriore e divina. Nel Manzoni storiografo le esigenze metodologiche del razionalista, la passione di patria e l’adesione ai principi cristiani s’intrecciano fittamente. Ne è frutto l’inchiesta-arringa sulla Storia della colonna infame. Rigore di metodo e senso morale guidano la sua ricerca: Manzoni dimostra che i giudici furono consapevoli della loro ingiusta condanna degli untori e contesta l’idea illuministica che attribuiva il misfatto all’oscurità dei tempi, scaricando sulla società un crimine che sarebbe stato possibile evitare usando ragione e coscienza. Un analogo senso sociale e nazionale impronta la riflessione sulla lingua (la lettera a G. Carena del 1846 e la relazione al ministro Broglio sull’Unità della lingua italiana, la Lettera intorno al libro “De vulgari eloquio” di Dante Alighieri, 1868, la Lettera intorno al Vocabolario, 1868). Le coordinate del pensiero linguistico manzoniano sono il ricorso al criterio-guida dell’“uso” (nella scelta di parole e costrutti) e la proposta di un idioma comune a “tutta quanta l’Italia”, nella ricerca di una via intermedia fra il dialetto e il toscano letterario secondo la prospettiva messa in atto nei Promessi sposi.

Verità storica e invenzione

La “Storia della colonna infame”

La riflessione sulla lingua

207

4 - Alessandro Manzoni

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Dopo studi in collegio a Milano, si reca a Parigi (1805) dove frequenta i salotti intellettuali. Nel 1810 si converte al cattolicesimo e sposa Enrichetta Blondel, dalla quale avrà dieci figli. Rientrato a Milano, simpatizza per i romantici contro i classicisti. Vive prevalentemente il resto della vita a Milano e nella vicina Brusuglio, dedito agli studi. Nel 1840, morta la moglie, sposa Teresa Stampa. Nel 1861 è nominato senatore del Regno d’Italia e vota per Roma capitale nonostante l’opposizione papale.

OPERE POETICHE

Gli Inni sacri (1815) e le odi civili, Marzo 1821 e Il cinque maggio (1821) hanno uno “stile petroso”, lontano dai modelli petrarcheschi e ricco di riferimenti biblici.

LE TRAGEDIE

Il conte di Carmagnola (1820) è segnata da un pessimismo radicale; l’Adelchi (1822) oppone le ragioni della giustizia e della pietà a quelle della politica.

“I PROMESSI SPOSI”

La prima redazione del romanzo ha il titolo di Fermo e Lucia (1821-23); le altre due sono del 1827 e del 1842. Vuole essere un grande romanzo capace di rivolgersi al popolo, in cui converge tutta la poetica manzoniana.

LA POETICA

La letteratura deve cercare il “vero” e dunque il “reale”. Il suo scopo è l’insegnamento offerto a tutte le classi sociali. Il cattolicesimo è un modo per proporre romanticamente l’idea nazionale e morale di letteratura. La lingua, in quanto mediazione fra dialetto e toscano letterario, è la via essenziale di questa comunicatività nazionale.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono le caratteristiche stilistiche degli Inni sacri e delle Odi civili? 203b-204a 2. Quale funzione Manzoni attribuisce alle sue tragedie? 204a 3. Quali oggetto, fine e mezzo deve avere l’arte per

208

Manzoni? 205b 4. Perché Manzoni scelse per il suo romanzo la materia storica del Seicento? 206b 5. Perché I promessi sposi sono stati definiti l’epopea della Provvidenza? 206b

5 Giacomo Leopardi Giacomo Leopardi è il più grande poeta dell’Ottocento e indubbiamente il fondatore della moderna poesia italiana. La sua eccezionalità – anche rispetto alla cultura internazionale – si rivela nel fatto che fu poeta moderno e innovatore, pur definendosi antiromantico e interessato a una continuità stretta con la tradizione, nel quadro di un pensiero di drammatico pessimismo cosmico. D’altra parte, il suo classicismo è molto lontano dalla polverosa letterarietà di tanti neoclassici italiani. La grandezza di Leopardi si sintetizza in una semplicissima formula: aver pensato alla poesia come scommessa dignitosa per capire l’esistenza e cercare la verità.

I primi anni Nacque a Recanati nel 1798 in una famiglia della nobiltà clericale di provincia: il padre, conte Monaldo, era un erudito bibliofilo di idee reazionarie; la madre, Adelaide dei marchesi Antici, una donna dispotica, religiosa fino al fanatismo. Primogenito di dieci figli (ne sopravvissero cinque), Giacomo nutrì un affetto profondo per il fratello Carlo e per la sorella Paolina. Ebbe come istitutori il gesuita Giuseppe Torres e l’abate Sebastiano Sanchini; ma fu soprattutto un autodidatta, esploratore febbrile della ricca biblioteca paterna. Nel 1809 scrisse la prima poesia, il sonetto La morte di Ettore, cui seguirono altri componimenti in italiano e in latino, traduzioni da Orazio, dissertazioni filosofiche e due tragedie. Nel luglio del 1812 Giacomo iniziò “sette anni di studio matto e disperatissimo” che contribuirono al peggioramento delle sue già precarie condizioni di salute: imparò da sé il greco e l’ebraico, intraprese lavori filologici di eccezionale impegno, stese una Storia dell’astronomia (1813) e un Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), interessante per le pagine sugli stupori infantili, sui sogni e sugli incubi notturni, sulla quiete dell’ora meridiana, sul terrore dei fulmini e delle tempeste. Dopo la sconfitta di Gioacchino Murat a Tolentino, scrisse, con spirito antifrancese, Agl’Italiani. Orazione per la liberazione del Piceno (1815). Non interrompeva intanto il suo esercizio poetico, componendo fra l’altro, nel 1816, l’Inno a Nettuno (che finse di tradurre da un originale greco), le due Odae adespotae (in greco e in latino)

I precoci esordi poetici e filologici Gli “anni di studio matto e disperatissimo”

209

5 - Giacomo Leopardi

e l’idillio funebre Le rimembranze. Più importanti furono le traduzioni dei classici: gli Idilli di Mosco e la Batracomiomachia pseudo-omerica nel 1815, il I libro dell’Odissea e il II dell’Eneide nel 1816, la Titanomachia di Esiodo nel 1817.

La conversione letteraria Allo studio appassionato di queste grandi opere Leopardi fece in seguito risalire la sua “conversione letteraria”, ossia la scoperta della vocazione poetica che, rivelatasi tra il 1815 e il 1816, fu in realtà il risultato di profondi turbamenti interiori che coinvolsero le esperienze letterarie. Da un lato l’angoscia per l’aggravarsi della malattia, il timore della morte, il rammarico per una giovinezza che appassiva già al suo primo fiorire: stati d’animo espressi in modi tumultuosi, ma personali, nella cantica Appressamento della morte (1816). Dall’altro un’ansia di evasione, una volontà fremente di liberarsi dalla prigionia di Recanati. Nel 1816 tentò La polemica tra di inserirsi nella polemica tra classicisti e romantici con una classicisti e romantici Lettera (rimasta inedita) in cui contestava l’esortazione di Madame de Staël a rinnovare la letteratura italiana attraverso la traduzione e lo studio degli scrittori stranieri. Nel 1817 iniziò la corrispondenza con Pietro Giordani, letterato classicista e liberale, che riconobbe per primo il genio del giovane poeta. Ancora nel 1817 provò l’improvvisa fiammata d’amore per la ventiseienne cugina di Monaldo, Geltrude Cassi Lazzari, che da Pesaro era venuta in visita a Recanati e che gli ispirò l’Elegia I (poi intitolata Il primo amore), l’Elegia II e il bellissimo Diario del primo amore, dove gli stadi e gli effetti dell’innamoramento sono analizzati in una prosa rapida, estremamente limpida. ■ Lo “Zibaldone”

Il laboratorio introspettivo e filosofico

210

Il 1817 fu un anno di svolta. Tra il luglio e l’agosto fissò le prime annotazioni dello Zibaldone, che crescerà a dismisura fino alla data 4 dicembre 1832, raggiungendo la mole di 4526 pagine manoscritte. Lo Zibaldone è uno sterminato laboratorio in cui si alternano pensieri filosofici e abbozzi di studi, pagine di compiuta poesia e fulminei appunti introspettivi, analisi minuziose dei congegni della memoria, dei sensi e dei sentimenti, riflessioni sui rapporti tra individuo e società, dissertazioni filologiche, considerazioni sulle lingue e sulle letterature antiche e moderne. Sono celebri le indagini minuziose sulla percezione dei suoni e sulla vista di spazi e oggetti che suggeriscono l’infinito; quelle sulla noia, sulla malinconia, sul riso, sulla giovinezza e sull’amore, un materiale

5 - Giacomo Leopardi

che alimenterà la poesia dei Canti. L’opera fu pubblicata per la prima volta negli anni 1898-1900, con il titolo Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura; ma dal 1845 si conoscevano i 111 Pensieri, che Leopardi stesso aveva preparato per la stampa ricavandoli in gran parte dallo Zibaldone.

La conversione filosofica La crisi personale toccò l’apice nel 1819, allorché alle altre sofferenze si aggiunse una malattia agli occhi che lo costrinse a rinunciare anche alla lettura. Nel luglio un tentativo di fuga dalla casa paterna (per un viaggio a Roma) venne subito scoperto e sventato da Monaldo. Intanto l’ansia e lo scetticismo filosofico radicalizzavano la scoperta del nulla (“Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare, considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla”, Zibaldone). Che la realtà sia il nulla e che il nulla sia “solido”, sia fatto di materia, abbia un corpo, è il tragico paradosso alla base del pensiero leopardiano, in cui si generano a catena altri paradossi: l’enigma che il nulla-materia nasconde in sé provocando dolore è un gigantesco interrogativo pietrificato che la natura dissemina in mille frammenti, coinvolgendo nella sua inquietante domanda l’esistenza dei mortali. E dall’arcano “mirabile e spaventoso” racchiuso nel nulla nasce il bisogno disperato delle “illusioni”, anch’esse concepite e sentite nella sfera della corporeità, piaceri “vani” ma “solidi”. Nell’orizzonte del “nulla” Leopardi affrontò i grandi temi che erano stati al centro del pensiero settecentesco e che riemergevano, con soluzioni diverse, nel dibattito romantico: in solitaria meditazione, mise a fuoco una serie di antitesi. La prima antitesi è quella, risalente a J.-J. Rousseau, tra natura e ragione: la natura tende alla felicità, la ragione la distrugge; la natura è il regno del “bello”, delle illusioni, della poesia, mentre la ragione, portatrice del vero, inaridisce il cuore e dissolve i sogni. Il dualismo poesiafilosofia si tradurrà dunque nel contrasto fra “poesia di immaginazione” e “poesia sentimentale”. Per Leopardi la poesia autentica è soltanto la prima, perché prodotta dalla fantasia creatrice di miti; ma i moderni, immersi nell’“arido vero”, non sono capaci che di poesia sentimentale, una sorta di filosofia. Il riconoscimento dell’inevitabilità di una poesia nutrita di pensiero avvicinava Leopardi ad alcune posizioni dei romantici, ma con precisi limiti e insanabili dissensi. Nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (iniziato nel 1818) egli accettava i postulati critici

Il solido nulla

Il bisogno delle illusioni

Antitesi tra natura e ragione Poesia di immaginazione e poesia sentimentale

Limiti del romanticismo 211

5 - Giacomo Leopardi

della scuola romantica (il rifiuto dell’imitazione degli antichi e dell’abuso della mitologia), mentre dei principi costruttivi condivideva soltanto l’interesse per il “patetico”, interpretando però questa categoria come una dolorosa necessità, una rinuncia, senza adeguato compenso, al conforto della fantasia.

I primi “Canti”

Le edizioni

Constatato il nulla universale, la poesia di Leopardi nasceva nel segno della precarietà, come paradosso, scommessa, tentazione: nasceva nel momento stesso in cui il poeta aveva decretato la morte della poesia. Dopo il fallimento di alcuni esperimenti romantici, la vera poesia leopardiana cominciò e si sviluppò su due registri distinti: le nove canzoni (1818-22) e i cinque idilli (1819-21), che costituiscono il primo nucleo di quello che diverrà il libro dei Canti, un “libro” che prenderà forma attraverso pubblicazioni parziali, incrementi, correzioni assidue del lessico e dello stile, passando per tre tappe fondamentali: l’edizione Piatti (Firenze, 1831), con 23 poesie; l’edizione Starita (Napoli, 1835) con 39 poesie; l’edizione postuma Le Monnier (Firenze, 1845), con 41 poesie.

■ Le canzoni Delle nove canzoni, le prime cinque sono in parte ispirate dalla proposta di Giordani di una poesia come “magistero civile” su modelli classici, ma anche dall’ansia indeterminata di grandi azioni che Leopardi manifestò più volte nelle lettere e nello Zibaldone. All’Italia e Sopra il monumento di Dante, del 1818, trattano di temi esplicitamente patriottici, avendo in comune il paragone tra un passato glorioso e un presente umiliato dalla schiavitù e dalla viltà. Anche la canzone Ad Angelo Mai (1820) è inizialmente impostata come esortazione alla riscossa civile, sennonché la decadenza e l’impotenza dell’oggi si estendono qui a condizione generale dell’umanità, che ha perso le illusioni di un felice stato naturale per precipitare in un’epoca dominata dalla nefasta cognizione del “vero”, generatrice della noia e del nulla. Pessimismo radicale Si delinea perciò un pessimismo radicale che si confermerà e infelicità umana nelle Nozze della sorella Paolina (1821): crollata ogni speranza di intervenire sul presente, la virtù viene esaltata stoicamente per se stessa. In A un vincitore nel pallone (1821) si esaltano, per se stessi, l’agonismo e il rischio, rimedi unici a un’esistenza svuotata di qualsiasi valore e significato; la

Poesia come magistero civile

212

5 - Giacomo Leopardi

terribile conclusione (“Nostra vita a che val? solo a spregiarla”) segna il passaggio alle due grandi allegorie dell’infelicità umana, Bruto minore (1821) e l’Ultimo canto di Saffo (1822), dove ormai la natura non è più madre beni- Natura crudele gna ma crudele matrigna. Bruto morente distrugge il mito matrigna della virtù e, con il suicidio, si erge titanicamente contro la divinità insultandola. Saffo, “dispregiata amante” perché la natura le negò la bellezza, si vota anche lei al suicidio, ma la sua protesta, a differenza di quella di Bruto, ha intonazioni elegiache, intimamente dolenti e appassionate. Funzione di duplice congedo, dalle “favole antiche” dei pagani e dalla mitologia biblica, assolvono infine le altre due canzoni del 1822, Alla primavera e l’Inno ai patriarchi. ■ Gli idilli Gli idilli veri e propri (“idilli, esprimenti, situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo”) sono cinque: L’infinito (1819), Alla luna (1819), La sera del dì di festa (1820), Il sogno (1820-21), La vita solitaria (1821). Rispetto alle canzoni, le “situazioni idilliche” sono tutte concentrate e risolte nel soggetto: sono brani della “storia di La storia di un’anima un’anima”, che si svolgono in un determinato spazio e in un preciso momento, messi sempre in relazione, tramite la memoria, con altri momenti e con altre “avventure” interiori già sperimentate. Il mutamento è anche nello stile: non più l’ardua sintassi, il lessico fitto di arcaismi e latinismi delle canzoni, ma un linguaggio piano, che accosta sapientemente parole rare a parole trasparenti e quotidiane. Capolavori assoluti sono i componimenti brevi, L’infinito e Alla luna, che condensano, rispettivamente, la sensazione di vertigine davanti a un infinito suggerito per contrasto da elementi “finiti” e il piacere di una “rimembranza” sollecitata da un sublime, affettuoso dialogo con la luna.

Il silenzio poetico Tra il 1822 e il 1828 la poesia leopardiana tacque, con due sole eccezioni: la canzone Alla sua donna (1823) è un addio alla donna ideale irraggiungibile, simbolo della poesia che fugge; l’epistola Al conte Carlo Pepoli (1826) è un componimento finissimo, in tono tra oraziano e pariniano, che imprime nuovo suggello a una stagione creativa che Leopardi ritiene definitivamente conclusa (nel finale egli dichiara di abbandonare la poesia per gli studi dell’“acerbo vero”). Furono sei anni tuttavia, questi del “silenzio”, di esperienze vive che portarono il poeta lontano dal “natio bor213

5 - Giacomo Leopardi

go selvaggio”. Nel novembre del 1822 andò a Roma, presso lo zio Carlo Antici, ma la città e il suo ambiente erudito-archeologico lo delusero profondamente: soltanto la visita all’umile tomba del Tasso lo commosse fino alle lacrime. Tornato a Recanati nel 1823, ne ripartì nel 1825, accettando l’offerta di curare per l’editore milanese Antonio Fortunato Stella un’edizione delle opere di Cicerone. Poi fu a Bologna, a Firenze (dove frequentò il Gabinetto Vieusseux e il gruppo dei liberali toscani) e a Pisa, che gli offrì il soggiorno più gradito e salutare.

Le “Operette morali” I temi

Filosofia e poesia

Leopardi scrisse quasi tutte le Operette morali tra il 1824 e il 1827. In esse si rintracciano alcuni temi centrali: quello dell’illusione e della felicità impossibile (per esempio, in Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo); quello della natura e del piacere (Dialogo della Natura e di un’Anima, Dialogo della Natura e di un Islandese); quello della noia peggiore del dolore (Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez); quello che riguarda, più in generale, la responsabilità dell’individuo verso se stesso e verso la società (Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie). Nuove tematiche introducono prose più tarde (1832), come il Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico, nelle quali affiora una visione più pacata e insieme più eroica della vita. Le Operette sono a un tempo un libro di filosofia e di poesia: idee e ragionamenti si trasfigurano quasi sempre in immagini e allegorie, grazie a una prosa lavoratissima che rinnova modelli antichi (soprattutto i dialoghi di Luciano) con “leggerezza apparente”, con soluzioni originali e vivaci che consentono l’alternanza di meditazione e ironia, di aperture liriche e serrati scambi dialettici.

I “grandi idilli” Durante il soggiorno a Pisa, nel 1828, Leopardi scrisse alla sorella Paolina parole che annunciavano la sua rinascita alla poesia: “Dopo due anni, ho fatto dei versi quest’Aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta”. I versi erano Il risorgimento e A Silvia. Seguirono i canti Il passero solitario, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, composti tra il 1829 e il 1830 a Re214

5 - Giacomo Leopardi

canati, dove il poeta era stato costretto a ritornare nel novembre del 1828, perché gli era stato sospeso l’assegno dello Stella e perché le sue condizioni di salute erano peggiorate. Si trattenne poco meno di un anno e mezzo, soffocato da una malinconia che era “oramai poco men che pazzia”; in quella disperazione nacque la maggior parte dei cosiddetti “grandi idilli”, la cui composizione era stata preceduta da un lungo approfondimento teorico della poesia come pura lirica svincolata dall’imitazione, dalle regole, da fini pratici. “Canto” è la denominazione che si afferma in questo periodo, e Canti sarà il titolo dell’edizione del 1831, sancito in quella del 1835: un titolo senza precedenti, nella tradizione letteraria italiana, che cancella ogni indicazione di “genere” e “sottogenere” per esaltare la poesia “senza nome”, la poesia in assoluto. Il risorgimento è una singolare celebrazione della “rinascita del cuore” composta in strofette metastasiane. Su tutt’altro registro i capolavori successivi: A Silvia, canto alla giovinezza perduta e non goduta; Le ricordanze, canto che nasce dalla memoria di un mondo e di un’età popolati di fantasie e illusioni; Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia è rivolto al mistero della natura e dell’esistenza. Il sabato del villaggio e La quiete dopo la tempesta formano il dittico degli “apologhi del borgo” e per situazioni e stile possono essere avvicinati solo al Passero solitario, in cui rifluisce la “rimembranza”, tema dominante, nella prospettiva limpida e “mitica” del villaggio e della casa paterna: il paesaggio e la memoria diventano improvvisamente luoghi e figure da favola, in cui si condensa una struggente nostalgia di sogni e fantasie della fanciullezza. Nel Canto notturno la meditazione e la liricità si fondono entro più vasti orizzonti: lo spazio del borgo è sostituito da uno spazio desertico, ignoto e sconfinato; la voce del poeta diventa quella di un misterioso “pastore errante” che interroga la luna con una serie di incalzanti domande sul perché della propria esistenza, sul perché della vita e dell’universo.

Poesia come pura lirica I “Canti”, poesia in assoluto

Gli apologhi del borgo La rimembranza

LA CANZONE LEOPARDIANA Il metro nuovo è la “canzone libera”, sottratta agli schemi della canzone petrarchesca, e quindi con misure varie delle strofe, libera sequenza di endecasillabi e settenari, liberissima distribuzione delle rime. Tale flessibilità, che non ignora tutta-

via la tradizione classica ma la trasforma, consente agevoli giunture tra parti liriche, meditative, gnomiche. Anche la lingua si avvale di vocaboli colti e quotidiani che, accostati, più intensamente evocano emozioni e riflessioni.

215

5 - Giacomo Leopardi

La nuova poetica e gli ultimi canti Il sodalizio con Ranieri e il soggiorno a Napoli

Polemica contro spiritualisti e liberali

Gli ultimi canti

Il ciclo di Aspasia

Ideologia e canto “Il tramonto della luna”

“La ginestra”: titanismo e fratellanza umana

216

Nel 1830, accettato un prestito dagli amici fiorentini, Leopardi lasciò per sempre Recanati. A Firenze riallacciò antichi rapporti e altri ne strinse, fra cui quello con l’esule napoletano Antonio Ranieri (che diverrà l’inseparabile “sodale” degli ultimi anni) e quello con l’affascinante Fanny Targioni Tozzetti, che gli accese una violenta e sfortunata passione. Dal 1833 visse, sempre più malato, a Napoli, dove morì il 14 giugno 1837. Tutta l’ultima fase della vita di Leopardi è caratterizzata dal rifiuto del suo passato di sdegnosa o malinconica solitudine. Nel dissolversi dell’energia fisica, egli avvertiva un prepotente bisogno di affermare il proprio io, la propria filosofia “disperata ma vera” contro ogni facile visione ottimistica della realtà. Di qui il suo disprezzo per le filosofie spiritualistiche del tempo e la derisione dell’ingenuo entusiasmo dei liberali (nella Palinodia al marchese Gino Capponi del 1835, nella satira I nuovi credenti e nel poemetto Paralipomeni della Batracomiomachia, dello stesso periodo). Di qui, soprattutto, gli ultimi canti del cosiddetto “ciclo di Aspasia” (composti fra il 1832 e il 1835), ispirati da un amore negato (la passione per Fanny) eppure interamente vissuto e sofferto con i sensi e con l’anima; le due canzoni “sepolcrali” (Sopra un bassorilievo antico sepolcrale e Sopra il ritratto di una bella donna, 1834-35), così ricche di pietas nella dolente ma ferma meditazione sulla morte. Il “ciclo di Aspasia” è la storia completa di un amore, dalla fase “positiva” (Il pensiero dominante, Consalvo, Amore e Morte) a quella “negativa” di rivelazione dell’inganno (A se stesso, Aspasia). È sorretto, per l’intera durata, dal binomio inscindibile di “ideologia e canto”, nel senso che alla rappresentazione della vicenda passionale si associa costantemente il ragionamento su di essa. Il tramonto della luna celebra le esequie dell’“inganno idillico”: il paesaggio lunare viene ridescritto con le parole tenere di un tempo, ma solo come “quadro di paragone”, appunto per essere posto in simmetrico contrasto con la “vita mortal” che, a differenza delle “collinette e piagge”, una volta sopraggiunta la notte (la vecchiaia), non si colorerà “d’altra aurora”. La chiusura del “libro” (escludendo Imitazione, Scherzo e i cinque Frammenti, che costituiscono una sorta di appendice) è invece affidata alla Ginestra, una poesia di ampia e potente orchestrazione, che non suona affatto “congedo”, al contrario riprende motivi antichi, ora rimeditati, con formulazioni e cadenze nuove, ideologiche e stilistiche. Domi-

5 - Giacomo Leopardi

na il tema cosmico, il paesaggio desertico, vulcanico, con rovine, che spalanca un devastato spazio terrestre in opposizione al sovrastante spettacolo delle stelle che fiammeggiano “in un purissimo azzurro” riflettendosi nel mare. Viene inoltre ripresa la polemica contro il “secol superbo e sciocco” che crede nelle “magnifiche sorti e progressive”, ignorando la ferocia ineluttabile della natura distruttrice. Ma è una polemica che perde qualsiasi punta di animosa asprezza, perché il titanismo leopardiano si sposa ora interamente alla pietà, risolvendosi in un messaggio di fratellanza tra gli uomini, accomunati da un medesimo destino di infelicità.

I giudizi su Leopardi Leopardi non fu compreso dai suoi contemporanei, fatte poche eccezioni (P. Giordani, V. Gioberti, C. Tenca), per la sua dissonanza sia dai classicisti, sia dai romantici. In seguito venne esaltato (F. De Sanctis, B. Croce) soprattutto come grande poeta lirico, il “poeta degli idilli”. Nel primo ventennio del Novecento si affermò una predilezione per il Leopardi prosatore, mentre nel periodo della “poesia pura” e dell’ermetismo sono stati esplorati, da prospettive e con metodi diversi, i valori musicali ed evocativi della sua scrittura poetica (G. De Robertis e G. Ungaretti). Contemporaneamente venne valorizzata la componente laica e progressista del pensiero di Leopardi. Più recentemente si è insistito su Leopardi filosofo: sul suo nichilismo, mettendolo in collegamento con le correnti irrazionalistiche e del pensiero “negativo” dell’Occidente, da Schopenhauer a Nietzsche e a Benjamin, i quali, tra l’altro, hanno scritto pagine significative su Leopardi.

L’esaltazione come poeta lirico

I valori musicali della sua scrittura La rivalutazione di Leopardi filosofo

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Precoce, autodidatta, poeta e filologo, vive prevalentemente nella natia Recanati, afflitto da gravi problemi di salute. Compie brevi soggiorni a Roma, Milano, Firenze, Pisa e Bologna e infine si trasferisce a Napoli, dove muore.

FILOSOFIA

La realtà è “solido nulla”; il nulla-materia provoca dolore; la natura è la materializzazione dell’enigma del nulla. Non c’è posto per filosofie spiritualistiche e ottimistiche.

217

5 - Giacomo Leopardi segue

OPERE IN PROSA

Lo Zibaldone, sterminato laboratorio introspettivo annotato tra il 1817 e il 1832, e le Operette morali, un capolavoro di ironia e ricerca filosofica.

OPERE POETICHE

I Canti, pubblicati in due edizioni nel 1831 e 1835, più una postuma del 1845, che contengono il primo nucleo delle nove canzoni (tra cui: Ad Angelo Mai; Nozze della sorella Paolina; A un vincitore nel pallone; Bruto minore; Ultimo canto di Saffo) del 1818-22 e dei cinque piccoli idilli (capolavori assoluti: L’infinito; Alla luna) del 1819-21; i “grandi idilli” (Il risorgimento; A Silvia; Il passero solitario; Le ricordanze; La quiete dopo la tempesta; Il sabato del villaggio; Il canto notturno del pastore errante dell’Asia), composti intorno al 1828-29; il cosiddetto “ciclo di Aspasia” (Il pensiero dominante, Consalvo, Amore e Morte, A se stesso, Aspasia), composti fra il 1832 e il 1835; infine Il tramonto della luna e il canto corale della Ginestra.

POETICA

Al centro della poesia è il dolore umano e l’unica risposta possibile: dire la verità a se stessi. La letteratura è un’esperienza di struggente rammemorazione, polemica con gli ottimisti e alla ricerca di una consolazione filosofica.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale fu la posizione di Leopardi nella polemica classici-romantici? 210a 2. Cosa indica il contrasto fra “poesia di immaginazione” e “poesia sentimentale”? 211b 3. Cosa sono le “illusioni” per Leopardi? 211a

218

4. Quali sono i temi delle Operette morali? 214a 5. Cosa si intende per “idilli”? 213a 6. Cosa racconta il “ciclo di Aspasia”? 216b 7. In che senso La ginestra è un canto polemico? 217a

6 Letteratura risorgimentale Si può parlare di letteratura risorgimentale solo a partire dal 1830, quando l’impegno politico assume una centralità e un’urgenza che non erano ancora evidenti nei decenni precedenti. D’altra parte, il Risorgimento italiano nasce proprio da una maturazione storico-culturale che passa per la crisi della Carboneria e delle azioni isolate e approda a una coscienza politica e culturale nazionale in senso moderno. Secondo la fortunata formulazione di De Sanctis sono due i grandi parametri del pensiero politico risorgimentale: la scuola democratica e quella cattolico-liberale. Sul piano più strettamente artistico, gli esiti più alti vengono dal romanzo di Nievo e dalla storiografia letteraria di De Sanctis.

La scuola democratica La crisi dei moti carbonari, lo sviluppo del liberalismo europeo richiedevano in Italia un impegno politico nuovo. In un certo senso, quello che mancava era proprio una coscienza politica che partisse dalla mobilitazione delle forze interne del popolo italiano. Fu Mazzini il punto di questa nuova sintesi, ma altre personalità scrissero e si mossero in questa direzione. Giovanni Ruffini (1807-1881), un amico di Mazzini, dopo i primi anni di impegno politico trasferitosi in Inghilterra, scrisse in inglese i due romanzi Lorenzo Benoni (1853) e Il dottor Antonio (1855), che ebbero grande successo e contribuirono a diffondere all’esterno le vicende del Risorgimento italiano. La narrazione, sempre nostalgica e struggente, è ricca di riferimenti autobiografici. Esempio di radicalismo democratico fu il fiorentino Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), il cui romanticismo è un modello di provocazione e di cruda volontà polemica. Gli esuberanti romanzi storici La battaglia di Benevento (1827-28) e L’assedio di Firenze (1836) sono incentrati su personaggi e fatti eroici, un richiamo più al romanzo “nero” inglese che al modello manzoniano. Pregevoli le sue pagine di memorialistica (Note autobiografiche, 1833, e Memorie, 1848) e lo strano romanzo satirico sulla delusione del Risorgimento, Il secolo che muore (postumo, 1885). Il democratico napoletano Luigi Settembrini (1813-1876) pagò con il carcere l’aver scritto la Protesta del popolo delle Due Sicilie (1847), aspra denuncia antiborbonica. Le sue opere migliori sono le Lezioni di letteratura italiana

Giovanni Ruffini

Francesco Domenico Guerrazzi

Luigi Settembrini

219

6 - Letteratura risorgimentale

(1866 -72), documento storiografico contro il potere della Chiesa, insieme a un’autobiografia interessante e sobria, le Ricordanze della mia vita (incompiute e postume, 1879) con pagine memorabili sui suoi anni d’infanzia e di carcere. ■ Giuseppe Mazzini

La concezione della letteratura e dell’intellettuale

Nato a Genova nel 1805, fu assiduo lettore dei classici italiani, Carbonaro, e visse quasi sempre esule all’estero. Morì a Pisa nel 1872. Esempio altissimo di intellettuale rivoluzionario, con la fondazione della Giovine Italia (1831) introdusse un partito laico repubblicano che ancora mancava alla nostra tradizione. Mazzini credeva in un paese moderno, indipendente e unito; cercò una libertà concreta che lasciasse alle spalle l’oscurantismo controriformistico e gli atavici privilegi di un sistema aristocratico e ingiusto. Se il suo pensiero è attraversato – e nutrito – da un misticismo moralistico, è solo perché la sua visione politica nasce dalla necessità di una liberazione integrale, dello spirito individuale come della vita collettiva. La stessa esperienza letteraria non è per lui un semplice strumento di comunicazione, bensì un esercizio di religiosità moderna votata al progresso. I saggi scritti negli anni ’30 – poi raccolti nel 1847 sotto il titolo Scritti letterari di un italiano vivente – dimostrano un fortissimo interesse per la letteratura europea e per le grandi discussioni romantiche sulla libertà e la novità dei generi letterari. Per Mazzini l’intellettuale ha una funzione educatrice e di concreta sintesi in favore di quel principio di “associazione” che è il presupposto dei grandi ideali repubblicani, come popolo, nazione, tradizione. Scrivere è lottare; e lottare vuol dire educarsi, procedere nella

LA MEMORIALISTICA GARIBALDINA Protagonista di eccezionali “azioni romantiche”, autore di romanzetti popolari (Clelia, ovvero il governo del monaco, 1868) e di pagine autobiografiche, Giuseppe Garibaldi (1807-1882) si impose anche come modello di una memorialistica definita “garibaldina”. Fra le opere più significative vanno ricordate le fresche e agili Memorie alla casalinga di un garibaldino (1866) di Eugenio Checchi; l’ancor oggi gradevole I Mille di Giuseppe Bandi, pubblicato a puntate e raccolto in un volume postumo nel 1903, in cui sono presenti

220

annotazioni di vita quotidiana, acuti giudizi politici e talora toni ironici. Ma forse lo scrittore più efficace di questo genere fu Giuseppe Cesare Abba (1838-1910), anch’egli garibaldino come i precedenti, autore di versi e varie prose; la sua famosa rievocazione Noterelle d’uno dei Mille dopo vent’anni, 1880 (nel 1891 l’edizione definitiva assunse il titolo Da Quarto al Volturno. Noterelle d’uno dei Mille), scritta in forma di diario, celebra l’impresa di Garibaldi con un tono epico e nostalgico.

6 - Letteratura risorgimentale

complessità della storia, con tutta la forza spirituale della libertà. Importanti, anche stilisticamente, i suoi saggi Fede e avvenire (1835) e Dei doveri dell’uomo (1861). ■ Carlo Cattaneo

La crisi storica del 1848-49 costituì per certi versi uno spartiacque culturale. Il nuovo impegno risorgimentale richiese uno spostamento delle ricerche verso una conoscenza laica e razionale, più oggettiva e più concreta rispetto alle grandi illusioni dei decenni precedenti. Figura esemplare di questa nuova esigenza fu il milanese Carlo Cattaneo (1801-1869), intellettuale di estrazione contadina, ma erede dell’illuminismo lombardo. Presente nella politica attiva, partecipò alle Cinque Giornate di Milano, fu chiamato da Mazzini come Ministro della Repubblica Romana e da Garibaldi, durante la liberazione di Napoli. Il suo pensiero aspira a un atteggiamento “positivo” e razionale, secondo una “identità fondamentale del metodo nelle scienze fisiche e nelle morali”. All’astrazione, ai principi fondamentali, oppose un empirismo esercitato da un’intelligenza rigorosa, che sapesse guardare all’utilità sociale, come se il progresso trovasse fondamento sull’equazione di razionalità e democrazia. Nel 1839 fondò “Il Politecnico”, rivista votata alla divulgazione, allo sviluppo tecnologico e imprenditoriale, secondo un esempio altissimo di riformismo. Nel 1844 pubblicò le Notizie naturali e civili su la Lombardia, insuperato saggio di etnografia moderna e di indagine socio-economica. Lo stesso anno “Il Politecnico” chiuse e Cattaneo cominciò a scrivere sulla “Rivista europea”, diretta dal 1945 da Carlo Tenca. Numerose le sue opere: Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra (1848), in cui denunciava l’ambiguità dell’aristocrazia e dei moderati italiani; Archivio triennale delle cose d’Italia dall’avvenimento di Pio IX all’abbandono di Venezia (1851-55), notevole racconto storico sugli eventi di quegli anni, da cui emerge limpidamente un’idea dignitosa e concreta di “libertà” e di risveglio nazionale. Va sottolineato che Cattaneo, portavoce di una politica antisabauda e antiaristocratica, elaborò il progetto di un’Italia repubblicana e federalista. Nel 1860 raccolse un altro libro di articoli: Memorie d’economia pubblica. Il tema essenziale di tutti i suoi scritti è la certezza che l’intelligenza e il “fare” siano l’unico percorso del progresso di civilizzazione. Il suo pensiero pertanto fu pragmatico, radicale e privo di compromessi, aperto a tutte le scienze, non per una generica curiosità ma proprio per la consapevolezza che lo studio e la ricerca scientifica e morale siano un unico aspetto della crescita umana; egli osteg-

Carlo Cattaneo

L’utilità sociale “Il Politecnico”

La visione federalistica

221

6 - Letteratura risorgimentale

giò, sul problema della lingua, le soluzioni romantiche e manzoniane a favore di una lingua chiara e semplice, quella che lui stesso adottava. Notevole il saggio Sul principio istorico delle lingue europee (1841). ■ Carlo Tenca

Modernamente critico militante, che assunse l’eredità mazziniana, spogliandola però dello schematismo spirituale a favore di una maggiore attenzione ai testi come al dibattito europeo contemporaneo, il milanese Carlo Tenca (1816 -1883) diresse dal ’45 la “Rivista europea” (1838-1847) e dal ’50 al ’59 un altro organo del riformismo moderato di quegli anni, “Il Crepuscolo”. Staccatosi dalle posizioni repubblicane, fu poi tra i principali esponenti della destra moderata. In letteratura promosse il “vero”, il reale e rifiutò ogni forma di sentimentalismo. Oltre a un romanzo storico e a opere poetiche, notevole il suo saggio Delle condizioni dell’odierna letteratura in Italia (1846). ■ Il pensiero rivoluzionario

Giuseppe Ferrari

Carlo Pisacane

Grande polemista, indefesso anticlericale alla ricerca di una laicizzazione del pensiero capace di rivoluzionare la condizione umana, il milanese Giuseppe Ferrari (1811-1876) ha lasciato una riflessione corposa e sicura, mai appesantita da particolari schematismi. Soprattutto La federazione repubblicana (1851) e la Filosofia della rivoluzione (1851) sono opere storiche importanti e di grande respiro. Il napoletano Carlo Pisacane (1818-1857) fece coincidere pensiero e azione, finendo per morire nella tragica spedizione di Sapri. Il suo pensiero è l’esaltazione del coraggio, della passione, degli atti naturali contro il conformismo sociale. Per lui solo l’intervento diretto della “plebe” – proprio quella meridionale, dove è minore la presenza dell’ipocrisia borghese – poteva consentire un reale rinnovamento. Nelle sue riflessioni entrano parole come “socialismo”, “propaganda del fatto”, come se il romanticismo e una coscienza politica rigorosa e concreta trovassero in lui il primo vero esempio, e purtroppo il primo martire. La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 è del 1851; i Saggi storicopolitico-militari sull’Italia sono postumi (1858-60), come il bellissimo Testamento politico.

La scuola cattolico-liberale Intorno agli anni ’30 e ’40 emerse una cultura cattolica interessata al confronto con la cultura laica e ai progetti di 222

6 - Letteratura risorgimentale

rinnovamento della società italiana. Le forze più vive chiedevano un riformismo cattolico che si definì soprattutto intorno agli anni ’40 nel “neoguelfismo”. Non mancarono tuttavia proposte più radicali, di riforma integrale sia della Chiesa sia della società. ■ Antonio Rosmini

Figura emblematica di uomo di Chiesa (sacerdote, fondatore dell’ordine dei rosminiani) e di filosofo, il roveretano Antonio Rosmini (1797-1855) risulta la figura più complessa del cattolicesimo italiano. Egli si oppose con tutte le forze al relativismo contemporaneo (confrontandosi con il sensismo e il criticismo kantiano), cercando una rigorosa giustificazione razionale che potesse dimostrare la piena oggettività dell’“essere” divino. Propose anche una forte “riforma” della Chiesa, attraverso il sostanziale rifiuto del potere temporale. Libri come Delle cinque piaghe della Chiesa (1848, ma scritto già tra il ’32 e il ’33), La costituzione secondo giustizia sociale (1848) o la Logica (1854) testimoniano del suo notevole impegno culturale. ■ Il neoguelfismo e Gioberti

Il progetto di riforma cattolica della politica assunse una maggiore concretezza con Vincenzo Gioberti (1801-1852). Il suo libro Del primato morale e civile degli italiani (1843), in cui compare per la prima volta la parola “Risorgimento” nel Il programma significato culturale e politico che rimarrà fino a oggi, diventò del neoguelfismo il manifesto del neoguelfismo italiano: l’Italia, scelta dalla Provvidenza come sede del cattolicesimo, doveva assumere la guida dei popoli per la realizzazione del divino nella storia. Non solo il clero (votato “gagliardamente” a modernizzarsi), ma soprattutto il papa aveva il compito di svolgere questo ruolo di guida religiosa e politica. Dopo l’esperienza del 1848-49 con Pio IX (che deluse le speranze del neoguelfismo italiano), anche Gioberti cambiò posizione, attenuando il suo radicale nazionalismo. Del Rinnovamento civile d’Italia (1851) mostra una novità programmatica: il rinnovamento italiano doveva avere un legame più stretto con il generale contesto europeo, mentre le classi popolari dovevano assumere un ruolo più decisivo. Anche la leadership mutava: non più il Papato bensì l’“azione egemonica” del Piemonte. ■ Il liberalismo piemontese

Nell’ambito del liberalismo piemontese, sviluppatosi nella Cesare Balbo nobiltà legata alla monarchia sabauda, Cesare Balbo (17891853) con Delle speranze d’Italia (1844) si avvicinò alle po223

6 - Letteratura risorgimentale

Massimo D’Azeglio

sizioni guelfe giobertiane e auspicò una federazione dei principi italiani sotto la guida dei Savoia. Ma l’esponente di maggior rilievo della scuola moderata piemontese fu Massimo D’Azeglio (1798-1866), uomo politico e intellettuale legato ai gruppi romantici lombardi, genero di Alessandro Manzoni. Di interesse politico sono i suoi scritti Degli ultimi casi di Romagna (1846) e I lutti di Lombardia (1848). Più nota e popolare la sua attività di romanziere. Ettore Fieramosca ossia la disfida di Barletta (1833) è un notevole esempio di romanzo storico, con forti accenti patriottici, in cui si prefigura il formarsi di una coscienza nazionale. Spicca la sua autobiografia I miei ricordi (postumo, 1867), che risulta anche un libro godibile per lo stile colloquiale, vivace e spesso struggente, dedicato com’è al ritratto della vita e della dignità di un “gentiluomo risorgimentale”.

Niccolò Tommaseo Niccolò Tommaseo (1802-1874), figura di rilievo del cattolicesimo romantico, sentì fortemente la contraddizione tra i valori della tradizione religiosa e le nuove istanze della modernità. ■ La vita e le opere

Il periodo fiorentino

Gli anni parigini

224

Dalmata, anche se la famiglia era di origine veneta, studiò a Spalato ed ebbe una ricca educazione umanistica. A Padova nel 1819 conobbe il filosofo A. Rosmini e nel 1824, a Milano, Manzoni e C. Cantù. Intervenne nella disputa sulla questione della lingua con Il Perticari confutato da Dante (1825). Dal 1827, a Firenze, iniziò un’attivissima collaborazione con “L’Antologia” di G.P. Vieusseux, cominciando a dedicarsi a ricerche di carattere linguistico: il Dizionario dei sinonimi (1830) resta un importante contributo alla storia e alla definizione della lingua nazionale. Fuggito da Firenze per non cadere nelle mani della polizia austriaca, si recò a Parigi, dove nel 1834 conobbe Mazzini. Pubblicò, oltre al trattato politico Opuscoli inediti di fra Girolamo Savonarola (1835), diverse opere di poesia: Confessioni (1836), Versi facili per gente difficile (1837) e Memorie poetiche e poesie (1838), che raccoglie in parte e sistematicamente le due opere precedenti. Nell’ambito della narrativa scrisse i romanzi Il duca d’Atene (1837) e Il sacco di Lucca (1838). Elaborò un ponderoso Commento alla Divina commedia (1837), in cui mise in luce le fonti bibliche del poema dantesco. Nel 1838 fu per alcuni mesi in Corsica, dove stese il romanzo in parte autobiografico Fede e bellezza, pubbli-

6 - Letteratura risorgimentale

cato nel 1840 dopo il ritorno a Venezia in seguito a un’amnistia del governo austriaco. Nel 1848 fu a capo dell’insurrezione veneziana contro l’Austria: arrestato con Daniele Manin, fu liberato dall’insurrezione popolare e posto a capo della risorta repubblica di San Marco. Dopo la sconfitta (1849) fu costretto all’esilio a Corfù. Prese posizione anche sulla questione romana, auspicando una rinuncia al potere temporale da parte del papa. Nel 1854 ottenne l’autorizzazione a trasferirsi a Torino, ma la sua crescente avversione alla politica di Cavour lo isolò dall’ambiente cattolico-liberale torinese; anche per questi motivi nel 1859 si recò a Firenze, dove si dedicò con passione, nonostante i crescenti disturbi alla vista che lo resero quasi cieco, alla preparazione e alla pubblicazione di un grande Nuovo dizionario della lingua italiana (185879, in collaborazione con Bernardo Bellini), vero monumento al suo costante impegno in ambito linguistico.

La repubblica di San Marco

Gli anni della maturità

Il “Dizionario della lingua italiana”

■ La pratica della contraddizione

Caratteristica del lavoro di Tommaseo è una vibrante contraddizione fra antico e moderno, sentimento cattolico e generoso slancio rivoluzionario. Le sue opere sono una miniera di annotazioni umane e linguistiche. Anche per questo il suo capolavoro, a parte i dizionari, risulta il romanzo Fede e bellezza, che narra la storia d’amore di Giovanni, “Fede e bellezza” esule italiano in Francia, per la bella e sensuale Maria, italiana anch’essa. Entrambi provengono da esperienze segnate dal peccato e anche la loro passione si svolge in parte sotto il segno negativo della carnalità; sono tuttavia animati da una forte passione religiosa, grazie alla quale sanno iniziare un cammino di redenzione. La narrazione, discontinua e frammentaria, è percorsa da improvvise illuminazioni che a volte tendono alla ripetizione; i personaggi stentano a realizzarsi, rimangono nella condizione di chi proclama a gran voce i propri valori, eppure non riesce a dare una ragione profonda all’esistenza. La caduta sostanziale delle certezze apre la porta alla modernità.

La satira di Giuseppe Giusti Giuseppe Giusti (1809 -1850), di Monsummano, esponente di una poesia satirica di lunga tradizione, seppe fondere nella sua opera l’intento patriottico-risorgimentale con i toni della letteratura burlesca toscana. Conobbe gli intellettuali più significativi del suo tempo. Il suo è un esempio di satira popolare e di ghigno beffardo. Fin dal ’38 componeva i suoi “scherzi” politici (tra gli altri, Lo stivale, 1836, e 225

6 - Letteratura risorgimentale

Il re Travicello, circa 1843), anche se la prima raccolta di Versi è del 1844. Dopo un certa adesione alle idee democratiche, tornò, a seguito della crisi 1848-49, a un liberalismo più moderato, entrando in polemica con F.D. Guerrazzi. Sugli ultimi anni ’40 scrisse un bel libro storico-politico, Cronaca dei fatti di Toscana, che uscì postumo nel 1890. Nei suoi lavori si evidenzia un certo gusto “paesano”, qualcosa di raffermo e di chiuso, che se in qualche misura recupera la tradizione toscana, non sa comunque evitare un certo grossolano provincialismo. La sua poesia è fatta di caricature, di amarezza, persino di odio, per quanto ancora diverta con quel gusto di vigorosa oralità. Fa eccezione la poesia Sant’Ambrogio, forse la sua più bella, in felice equilibrio tra scherzo e tono patetico, in cui anche i soldati austriaci vengono visti come vittime della storia e non solo come oppressori. Apprezzabili i risultati formali (fu ammirato da Carducci).

La poesia patriottica e lirico-patetica

Francesco Dall’Ongaro Goffredo Mameli e Luigi Mercantini

Giovanni Prati

Aleardo Aleardi

226

Una sorta di romanticismo minore, volto a una continua divulgazione dei miti e dei culti popolari, si espresse nella forma della poesia patriottica, che mostra ancora un gusto popolareggiante della parola e del canto. Il trevisano Francesco Dall’Ongaro (1808 -1873) scrisse fra l’altro Canti popolari (1845-49) e il popolare dramma storico Il fornaretto di Venezia (1846). Notevoli sono anche i suoi Stornelli (1849) e la sua produzione narrativa. Il genovese Goffredo Mameli (1827-1849) realizzò in qualche modo il modello mazziniano di inno popolare (Fratelli d’Italia, 1847, divenuto nel 1946 l’inno della Repubblica italiana). Luigi Mercantini (1821-1872) con il suo Inno a Garibaldi (1859) e La spigolatrice di Sapri (1857) seppe recuperare tutta la tenera malinconia nascosta nel canto popolare. Le due figure più rappresentative di questo filone sono Prati e Aleardi. Il trentino Giovanni Prati (1814-1884) propose un patetismo languido e molle, non privo di morbosità, mediante forme espressive disordinate e comunque conformistiche. Ebbe molto successo la sua novella in versi Edmenegarda (1841), ma il suo risultato migliore sono gli ultimi libri Pische (1876) e Iside (1878), caratterizzati da un edonismo e da una dissipazione sentimentale che certo interessò il giovane D’Annunzio. Il veronese Aleardo Aleardi (1812-1878), patriota e uomo politico, fu un’esemplare figura di poeta tardoromantico, sincero e votato alle alte idealità, religioso eppur critico ver-

6 - Letteratura risorgimentale

LA CRISI DEL ROMANZO STORICO Negli anni ’50 entra in crisi il modello del romanzo storico. Il capolavoro di Giuseppe Rovani (1818-1874) Cento anni, apparso a puntate sulla “Gazzetta di Milano” dal 1857 al 1864, è il tentativo di pensare il romanzo come una vera e propria macchina complessa, aperta insieme alla cronaca, alla ricostruzione storica, al racconto e alla riflessione. Negli stessi anni prende l’avvio il fortunato genere della “letteratura campagnola”, promosso da Cesare Correnti (1815-1888) con l’articolo Della letteratura rusticale

(1846 sulla “Rivista europea”): egli si rivolgeva allo scrittore Giulio Carcano invitandolo a raccontare la vita dei contadini, sull’esempio francese di George Sand. Giulio Carcano (1812-1882) scrisse un romanzo famoso, Angiola Maria (1839), e con la novella La Nunziata (1852), sulla vita delle operaie delle filande, tentò una letteratura sobria e documentata. Il genere fu poi seguito dalla scrittrice friulana Caterina Percoto (1812-1887), che pubblicò Racconti (1858) e alcune novelle in dialetto, e ancora da Luigia Codemo (1828-1898).

so il potere della Chiesa, profondamente umanitario. Le sue Lettere a Maria (1846), idillio sentimentale e civile, e i postumi Canti (1882) ebbero grande successo. Nei suoi versi, nutriti di eccessivo languore e gusto per il pittoresco, si avverte la crisi di un’epoca e del modello letterario romantico.

Ippolito Nievo Il padovano Ippolito Nievo (1831-1861) è il romanziere di maggior rilievo fra Manzoni e Verga e rappresenta uno degli interpreti più autentici della cultura italiana negli anni cruciali tra Risorgimento e avvio dello Stato unitario. ■ La vita e le opere minori

Laureato in legge, patriota, mazziniano, visse con coraggio l’esperienza risorgimentale, partecipando all’impresa dei Mille. Morì durante una tempesta in mare mentre da Palermo tornava a Napoli. Della sua ricca produzione fanno parte: opere poetiche (Le lucciole, 1857, e Amori garibaldini, 1860); novelle, nella linea della “letteratura campagnola”, che Nievo avrebbe voluto raccogliere in un Novelliere campagnolo; scritti politici (Venezia e la libertà d’Italia, 1860, e il Frammento sulla rivoluzione nazionale, inedito fino al 1929), nei quali è evidenziato un laicismo concreto ma aperto; romanzi quali Il conte pecoraio (1857), sul modello manzoniano, Angelo di bontà (1856) e soprattutto Il barone di Nicastro (1860), una specie di romanzo filosofico in cui Nievo racconta la vana ricerca della virtù. Sulla stessa linea è anche la Storia filosofica dei secoli futuri (1860), una storia fantastica dell’umanità dal 1859 fino al 2222. 227

6 - Letteratura risorgimentale ■ Le “Confessioni di un italiano”

Un romanzo di formazione

Il capolavoro di Nievo sono le Confessioni di un italiano, romanzo scritto nel 1857-58, ma pubblicato solo postumo (1867), con molte modifiche e con il titolo redazionale Confessioni di un ottuagenario. Tema del libro è la formazione, la conquista della maturità da parte del giovane Carlino Altoviti, in un intreccio fra vicende personali e la storia della conquista dell’unità d’Italia. Pagine bellissime sull’infanzia di Carlino e della cuginetta Pisana sono per Nievo anche la maniera per raccontare un mondo segreto, velato dalla nostalgia dell’adolescenza. Lo scrittore costruisce un’identità, lasciando però che il racconto non si immobilizzi in una tesi programmatica, ma raccolga, spesso quasi inconsapevolmente, quei paesaggi, quelle sfumature, che sono di una personalità in crescita. Il linguaggio è carico di sensi, di esperienze diverse, auliche come improvvisamente dialettali (lombarde e venete). L’amarezza e il disincanto di fondo ne fanno il ritratto migliore di una generazione di grande slancio politico-morale, ma anche ormai sempre più cosciente dell’illusione risorgimentale.

La nascita della storiografia letteraria: Francesco De Sanctis Francesco De Sanctis (1817-1883) è il fondatore della storiografia letteraria italiana. Sostenitore dello stretto legame fra storia letteraria e storia civile, egli fu in parte riferimento per Benedetto Croce e in seguito, attraverso la riflessione di Antonio Gramsci, di critici novecenteschi di impostazione storicistica e marxista. ■ La vita e le opere

Gli anni giovanili

228

Nato in provincia di Avellino, compì gli studi a Napoli presso uno zio; passò quindi alla scuola dello studioso purista B. Puoti, di cui presto divenne collaboratore. Nel 1839 aprì una propria scuola privata di lingua e grammatica, che mantenne anche dopo la nomina a professore presso il Real Collegio Militare della Nunziatella (1841). Frattanto l’orizzonte dei suoi interessi si andava estendendo all’estetica e alla storia: le letture lo portarono a contatto con le più recenti e importanti correnti letterarie, filosofiche e politiche d’Europa. Nel 1848, per aver preso parte all’insurrezione napoletana, fu destituito dalla Nunziatella e accettò un posto di precettore presso un nobile di Cosenza; nel dicembre 1850 venne arrestato e rimase in carcere fino al 1852. Lo studio della filosofia di Hegel lo portò ad abbandonare le

6 - Letteratura risorgimentale

posizioni giovanili cattolico-spiritualiste a favore d’una concezione laica e democratica. Liberato ma espulso dal Regno di Napoli, De Sanctis andò esule a Torino (1853), dove visse dando lezioni private e scrivendo articoli per giornali e riviste; organizzò quindi un corso di conferenze dantesche che suscitarono notevole interesse e lo resero noto, tanto che nel 1856 fu chiamato a insegnare letteratura italiana al Politecnico di Zurigo. Nel 1860 rientrò dalla Svizzera e s’impegnò nell’azione politica, divenendo deputato e ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno d’Italia (186162). Diresse quindi (1863-65) il quotidiano “L’Italia”, organo dell’Associazione Unitaria Costituzionale, perseguendo l’obiettivo di formare un raggruppamento di “Sinistra giovane”. Non rieletto deputato dal 1865, De Sanctis si concentrò esclusivamente sugli studi critico-letterari. Nel 1871 fu chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura comparata presso l’università di Napoli, dove tenne quattro corsi su Manzoni (1872), sulla scuola cattolico-liberale (1872-73), su Mazzini e la scuola democratica (1873-74), su Leopardi (1875-76). Dopo la caduta della Destra storica (1876) De Sanctis tornò alla politica attiva e fu nuovamente ministro dell’Istruzione (1878 e 1879-81). Quindi, seriamente ammalato agli occhi, si ritirò a Napoli, dove morì.

L’esilio

L’azione politica

L’impegno universitario

■ La “Storia della letteratura italiana”

Nel suo capolavoro critico, la Storia della letteratura italiana (1870-71), De Sanctis ricostruisce il grande sfondo storico etico-civile dal quale sorsero i capolavori della letteratura italiana. Le linee di tale svolgimento sono il prodotto di variabili storiche diverse, che non escludono stasi, decadenza o regresso. I primi capitoli della Storia trattano il problema delle origini della letteratura italiana che, favorita per un verso dalla presenza d’importanti centri culturali e di un ceto colto, era però ostacolata dalla persistente divisione linguistica tra la lingua dotta latina e la molteplicità dei dialetti. Dante rappresentò in questo quadro il culmine d’un duplice processo di sviluppo, letterario e filosofico-scientifico: la Divina commedia “è il mondo universale del medio evo realizzato nell’arte”. Ma più di lui influì sulle generazioni successive Petrarca, che aprì la via all’umanesimo e al Rinascimento. Come Petrarca neppure Boccaccio fu, secondo De Sanctis, uomo veramente moderno, poiché non seppe andar oltre la cinica e beffarda rappresentazione del mondo medievale ormai morto. Nel Quattrocento, Ariosto suggellò con il suo poema l’evasione nella pura immaginazione letteraria. Il solo, vero uomo moderno fu, per De Sanctis, Machiavelli,

Il problema delle origini

Dante, Petrarca e Boccaccio

229

6 - Letteratura risorgimentale

scopritore della scienza politica e primo sostenitore in Italia dell’idea nazionale. Così, mentre da Tasso a Marino si prospetta la crisi di valori dell’Italia, sull’altro versante gli isolati e i perseguitati (da G. Bruno a P. Sarpi a P. Giannone a G. Vico) additano o preparano la rinascita nazionale, che si annuncia, pur contraddittoriamente, in Goldoni, Alfieri e Foscolo, per compiersi con Manzoni e Leopardi, nei quali essa si accompagna a vera grandezza di creazione letteraria. ■ Le altre opere

I “Saggi critici”

Tra gli altri studi di De Sanctis spicca il Saggio critico sul Petrarca (1869), mentre fra i lavori inclusi nei Saggi critici (1866) e nei Nuovi saggi critici (1869) vanno menzionati quelli assai noti su episodi della Divina commedia, su L’uomo del Guicciardini, su Schopenhauer e Leopardi e inoltre Il darwinismo nell’arte e quelli su E. Zola. Nel discorso La scienza e la vita (1872) egli prese posizione nei riguardi dell’ormai dilagante positivismo, sostenendo la necessità di non separare la scienza dalla vita per ricostruire il tessuto morale dell’individuo e della nazione. Finissimo e vivacissimo narratore si rivelò infine nel frammento autobiografico La giovinezza (1889) e nelle 15 lettere che costituiscono il resoconto Un viaggio elettorale (1876). ■ L’estetica e la critica letterarie

La concezione estetica di De Sanctis, pur risentendo dell’influsso di Hegel, ha carattere di forte originalità. L’arte, benché non possa essere considerata avulsa dalla viva storia morale e politica della nazione di cui è parte, è per lui autonoma, non destinata a cedere il passo a una sfera suCreazione spontanea periore dello spirito, la filosofia. L’opera d’arte non si può e fantastica ridurre né a un contenuto di pensiero astratto o di fatti concreti, né alla semplice forma; essa è creazione spontanea e fantastica dell’artista, forma che include in sé il contenuto, entità unica, irripetibile e compiuta. L’artista, però, non la crea dal nulla, ma solo elaborando un “argomento” dato, il quale impone a sua volta una “situazione” che genera l’ossatura dell’opera e, indirettamente, il suo stile. Al L’artista immerso tempo stesso l’artista non è un uomo isolato ed estraneo nella società alla società, ma risente entro il proprio animo delle condizioni e degli eventi della nazione a cui appartiene, nonché della sua tradizione artistica. Queste sedimentazioni della realtà esterna mettono in moto la fantasia dell’artista e la spingono a “rappresentare”, senza peraltro che vi sia una Realtà e creazione relazione meccanica di causa-effetto tra realtà e creazione artistica artistica. 230

6 - Letteratura risorgimentale

SCHEMA RIASSUNTIVO SCUOLA DEMOCRATICA

Scrivere è lottare; significa educare il popolo a una nuova coscienza nazionale, libera e repubblicana. Esponenti: Giuseppe Mazzini (1805-1872), patriota e intellettuale, fonda la Giovine Italia, autore di saggi (Scritti letterari di un italiano vivente, 1847; Dei doveri dell’uomo, 1861); i romanzieri Giovanni Ruffini (1807-1881) e Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873).

Carlo Cattaneo

Carlo Cattaneo (1801-1869) fondò a Milano la rivista “Il Politecnico” (1839), organo di diffusione del riformismo. Elaborò un progetto repubblicano e federalista dell’Italia. Principali opere: Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra (1848), Memorie di economia pubblica (1860).

Carlo Tenca

Carlo Tenca (1816-1883), critico militante promosse il reale e scrisse Delle condizioni dell’odierna letteratura in Italia (1846).

Carlo Pisacane

Carlo Pisacane (1818-1857), esponente del pensiero rivoluzionario vicino al socialismo, fece coincidere pensiero e azione. Morì nella spedizione di Sapri.

SCUOLA CATTOLICO-LIBERALE Si esprime nel cosiddetto “neoguelfismo”, che vedeva il cattolicesimo e la Chiesa come garanti di una nuova coscienza nazionale. La prospettiva politica fu prevalentemente moderata. Esponenti: Vincenzo Gioberti (1801-1852), autore del manifesto del neoguelfismo Del primato morale e civile degli italiani (1843); i piemontesi Cesare Balbo (1789-1853) con Delle speranze d’Italia (1844) e Massimo D’Azeglio (17981866), autore di romanzi storici (Ettore Fieramosca ossia la disfida di Barletta, 1833) e di un’autobiografia (I miei ricordi, 1867). Figura più complessa quella di Antonio Rosmini (1797-1855), che propose una forte riforma della Chiesa. NICCOLÒ TOMMASEO

Linguista straordinario e scrittore di forte impianto religioso-mortale, Tommaseo (1802-1874), padovano, partecipò alla rivolta veneziana del 1848. Scrisse trattati, romanzi, ma monumenti fondamentali sono il suo Nuovo dizionario della lingua italiana (1858-79) e il romanzo Fede e bellezza (1840).

GIUSEPPE GIUSTI

Esponente della poesia satirica, Giusti (1809-1850) compose Versi (1844), scherzi politici e un libro storico-politico Cronaca dei fatti di Toscana (1890).

IPPOLITO NIEVO

Patriota garibaldino (1831-1861), morì durante la spedizione dei Mille. Le Confessioni di un italiano, scritto nel 1857-58, pubblicato postumo nel 1867, è il ritratto di una generazione delusa ma anche definitivamente congedata dall’illusione risorgimentale.

FRANCESCO DE SANCTIS

Napoletano (1817-1883), con la sua Storia della letteratura italiana (1870-71) ricostruisce il grande sfondo storico etico-civile dal quale sono sorti i capolavori della letteratura italiana. La sua opera indica l’apertura a un nuovo realismo non più indebolito dal sentimentalismo romantico. L’artista deve immergersi nella società.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale ruolo deve avere per Mazzini la letteratura? 220b 2. Qual è il tema essenziale del pensiero di Cattaneo? 221a 3. Cosa si intende per “neoguelfismo”?223b 4. Perché per Tommaseo si può parlare di vibran-

te contraddizione? 225 5. Qual è il tema delle Confessioni di un italiano? 228a 6. Che cos’è l’opera d’arte per De Sanctis? 230b 7. Chi è l’”uomo moderno” della letteratura italiana per De Sanctis? 229b

231

7 La reazione antiromantica La conclusione del Risorgimento, con l’unificazione del Regno d’Italia (1861), nonostante gli eventi esaltanti a cui molti letterati avevano preso parte, lasciò emergere un grave disagio intellettuale, frutto delle molte speranze andate deluse e di un’emarginazione sociale a cui l’artista sembrava votato. Questo senso di delusione si concretizzò in una radicale critica al romanticismo attraverso sia il disimpegno della Scapigliatura, sia il classicismo critico di Carducci.

La Scapigliatura

Che cos’è la Scapigliatura I temi degli scapigliati

Cletto Arrighi

Ugo Iginio Tarchetti

232

Il diffuso atteggiamento di insofferenza nei confronti del clima civile e sociale dell’epoca (in politica la gestione moderata del Risorgimento, nell’arte i toni moralistici e provinciali del romanticismo italiano) avviò una forte reazione alla cultura romantica da parte del gruppo della Scapigliatura, operante perlopiù a Milano negli anni ’60. Il termine Scapigliatura, provocatorio e programmatico, simboleggiava il disordine della vita e dell’abbigliamento contro l’ordine curato e artificiale imperante. I temi degli scapigliati erano la lotta al conformismo borghese, dietro a cui vedevano il moderatismo romantico, il suo provincialismo e quindi il tono ormai convenzionale di una cultura incapace di stare al passo con la grande letteratura straniera, specie francese. La Scapigliatura non costituì mai, in effetti, un vero e proprio gruppo, ma solo un orientamento di rottura. Il “realismo” europeo fu il pretesto per provocare e attaccare (persino attraverso un furioso sperimentalismo formale) la sentimentale tradizione retorico-umanistica. Ne fu araldo il milanese Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti, 1830-1906) con il romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862), che narra di un ambiente di giovani artisti milanesi, irrequieti e ribelli. Nato nel Monferrato, Ugo Iginio Tarchetti (1839-1869) dopo gli studi superiori fu ufficiale di carriera e partecipò alla repressione del brigantaggio nel Meridione, fatto che lo indusse a lasciare la vita militare. A quegli anni risalgono le prime composizioni, le prose poetiche Canti del cuore (1865). Suggestionato dalla letteratura fantastica del tedesco E.T. Hoffmann e di E.A. Poe, descrisse casi strani e bizzarri, pervasi talora da forte gusto per il macabro. Si ricordano i racconti Le leggende del castello nero (1867); Amore nell’ar-

7 - La reazione antiromantica

te (1869); Storia di una gamba (1869). Della sua produzione narrativa sono di particolare interesse tre romanzi: Paolina (1865), storia di una povera fanciulla nella crudele realtà della città; Una nobile follia. Drammi della vita militare (1866), violenta denuncia antimilitarista delle ipocrisie sociali; ma soprattutto Fosca (1869), l’opera più riuscita, che narra l’inquietante passione di un giovane per una donna brutta e malata, che, tuttavia, lo lega a sé per fascino morboso e perverso. ■ Carlo Dossi

Carlo Dossi, pseudonimo di Carlo Aberto Pisani Dossi (1849-1910) è considerato l’esponente della Scapigliatura che più di ogni altro tentò di scardinare le tradizionali forme letterarie. Di famiglia nobile, si avvicinò agli scapigliati senza condividerne la vita trasgressiva e antiborghese. Esordì pubblicando il racconto Educazione pretina (1866); di poco posteriori sono i suoi capolavori, i romanzi L’Altrieri-nero su bianco (1868) e Vita di Alberto Pisani scritta da C. D. (1870). Nell’Altrieri sono narrati in prima persona gli L’autobiografismo episodi più significativi dell’infanzia di Guido Etelredi, alter ego dell’autore, in un’ottica deformante e deformata, tra il fantastico e il grottesco. L’infanzia è stagione sognante e felice, in cui troppo presto al sogno subentra la dura realtà, fatta di costrizione. Il procedimento narrativo ironico evita qualunque coinvolgimento emozionale; il lessico ricchissimo e vario, mescolato di toscanismi e lombardismi, termini aulici e letterari, parole comuni e gergali, crea una lingua irregolare, in una sintassi spezzata e anomala. La rievocazione autobiografica continua nella Vita di Alberto Pisani, dove l’uso della terza persona distanzia la materia rievocata in una scrittura sempre più ironica e paradossale, che ri- Ironia e paradosso chiama l’inglese L. Sterne: l’opera racconta la vicenda letteraria e sentimentale di un individuo inetto che si rifugia nell’isolamento. Una valutazione negativa del mondo emerge anche dai racconti Ritratti umani, dal calamaio di un I ritratti negativi medico (1873), vera e propria galleria di ritratti umani “negativi”, da cui emerge il disamore dello scrittore per l’umanità. Anche La desinenza in A (1878) è una serie di ritratti, di donne, in cui l’universo femminile descritto si carica d’un fascino sottile e coinvolgente: la donna è colta ora come essere beatificante, ora come animale perverso e malefico. Altre prove significative sono: Goccie d’inchiostro (1880), una raccolta di racconti e bozzetti; Il Regno dei cieli (1873) e La colonia Felice-Utopia lirica (1874), che delinea un mondo utopico, retto da leggi “buone”, e proprio per questo para233

7 - La reazione antiromantica

dossale. Il volume Amori (1887) è una particolarissima autobiografia amorosa, in cui Dossi passa in rassegna le donne amate, sognate, desiderate, legami reali e immaginari, lievi e spesso evanescenti che hanno segnato la sua vita. Dossi compose anche un testo teatrale in dialetto milanese, Ona famiglia de cilapponi (1905) e Note azzurre, un diario di appunti pubblicati in parte postumi nel 1912 e integralmente nel 1964. Di Dossi sorprende l’intelligenza, la modernità, il furore espressionistico già novecentesco. ■ Emilio Praga e Arrigo Boito

Emilio Praga

Arrigo Boito

Il milanese Emilio Praga (1839 -1875) iniziò la sua attività artistica come pittore (scapigliati furono anche vari pittori dell’epoca) e solo successivamente si volse alla letteratura. Dopo alcuni viaggi in Europa, di grande importanza per la sua formazione, si legò di profonda amicizia con A. Boito, con il quale nella Milano degli anni ’60, partecipò attivamente alla definizione del movimento scapigliato. Fin dalle prime raccolte di versi, Tavolozza (1862) e Penombre (1864, il migliore della poesia scapigliata), egli prese posizione contro le poetiche romantiche e in particolare contro Manzoni: al sentimentalismo del tardo romanticismo e alle idealità della letteratura risorgimentale contrappose un’adesione al “vero”, assumendo temi e linguaggio legati alla vita quotidiana, riprodotti nella sua lirica con sfumature di colore. La sua ribellione lo condusse ad atteggiamenti di forte anticlericalismo. Nel 1867 pubblicò la terza raccolta di versi Fiabe e leggende, di minor rilievo poetico. Il musicista e scrittore veneziano Arrigo Boito (1842-1918) conobbe a Parigi musicisti famosi, tra i quali G. Verdi, e dal 1862 frequentò a Milano gli ambienti intellettuali più avanzati. Con il Libro dei versi (1873) e l’opera musicale Mefistofele (1868), propose la sua scelta scapigliata, di un grottesco macabro e crudo. A metà degli anni ’70 la sua sperimentazione radicale si fece più prudente: il Mefistofele (in una nuova redazione del 1875) ottenne grande successo. Rilevante la sua attività di librettista (soprattutto per Verdi, per cui scrisse i libretti del Falstaff e dell’Otello), mentre del suo Nerone pubblicò nel 1901 il libretto ma mai la partitura. ■ La Scapigliatura piemontese

Giovanni Camerana

234

All’ambiente piemontese appartengono autori della seconda generazione della Scapigliatura. Giovanni Camerana (1845 -1905), di Casale Monferrato, è poeta quasi protosimbolista, i cui Versi fatti di evanescenze luminose furono pubblicati postumi nel 1907.

7 - La reazione antiromantica

Il vercellese Giovanni Faldella (1846-1928), fondatore del Giovanni Faldella periodico “Il Velocipede” (1869), attuò uno sperimentalismo linguistico gustoso, carico di scatti umoristici e ironici. Fra le sue opere narrative si ricordano Figurine (1875) e Madonna di fuoco e Madonna di neve (1888), che riflettono la lacerazione tra mondo rurale e cittadino.

Giosue Carducci Giosue Carducci è il rappresentante più grande della nuova poesia italiana sulla fine del secolo. ■ La vita

Nato nel 1835 a Valdicastello, presso Lucca, studiò a Firenze, quindi alla Normale di Pisa (1856), iniziando la carriera di insegnante al Liceo di San Miniato. Nel 1857 perse il fratello Dante e nel 1858 anche il padre (medico condotto di idee mazziniane) e dovette perciò provvedere alla madre e al fratello minore. Nel 1860 fu chiamato dal ministro Terenzio Mamiani alla cattedra di eloquenza (divenuta più tardi di letteratura italiana) all’università di Bologna, e iniziò un intenso e scrupoloso lavoro di insegnamento e di ricerca critica e filologica. Assunse posizioni filorepubblicane e giacobine, sfociate nell’Inno a Satana (1863). Nel 1870 la sua vita familiare fu funestata dalla morte precoce del figlio Dante, di soli tre anni. Il volume Poesie (1871) gli diede la piena affermazione. Negli anni ’80, scontento della politica della Sinistra e preoccupato per il diffondersi delle idee socialiste, si avvicinò sempre più alla monarchia sabauda, che cominciò a considerare come unica garante dell’unità d’Italia. In ciò fu influenzato dalle scelte della massoneria, a cui era affiliato, e dal fascino personale esercitato su di lui dalla regina Margherita, alla quale dedicò l’ode Alla regina d’Italia (1878). Aderì alla linea politica di Crispi e divenne la voce più autorevole dell’Italia umbertina. In varie occasioni pronunciò orazioni ufficiali, molto ammirate, fra le quali: Presso la tomba di Francesco Petrarca (1874), Per la morte di Giuseppe Garibaldi (1882), Per l’inaugurazione di un monumento a Virgilio in Pietole (1884). Negli ultimi anni curò l’edizione definitiva delle proprie Opere (1889 -1905). Lasciò l’insegnamento nel 1904; nel 1906 fu insignito del premio Nobel.

Gli anni di formazione

La svolta ideologica

Il poeta ufficiale

■ La produzione poetica

Le prime raccolte segnano un ritorno al classicismo: Juve- Gli anni giovanili nilia (1850-60) e Levia gravia (1861-71) vogliono essere 235

7 - La reazione antiromantica

Le “Odi barbare”

Memoria storica e memoria personale

Le “Rime nuove”

“Rime e ritmi” 236

un modello di dignità non solo letterario da contrapporre al presente. Anche Giambi ed epodi (edizione definitiva 1882), attraversati da una vena polemica contro la realtà politico-sociale contemporanea, richiamano la poesia satirica e di forte invettiva degli antichi. L’Inno a Satana del 1863 suscitò scandalo e polemiche, perché esprimeva in una forma poetica classicheggiante una tematica decisamente giacobina e anticlericale. L’esaltazione del passato eroico contrassegnò anche le raccolte della sua maturità poetica, che coincise con la pubblicazione, nel 1877, delle Odi barbare (così da lui definite perché composte con l’intento di riprodurvi tramite gli accenti il metro classico, per cui barbare, cioè straniere, “sarebbero sembrate al giudizio dei greci e dei romani”) e delle Rime nuove (1887). In tali raccolte il tema della memoria storica si definisce ulteriormente e si arricchisce con la memoria personale del poeta, in una ricerca stilistica e formale che lo avvicina ai parnassiani, cultori della bellezza classica da contrapporre alla mediocrità borghese. La nostalgia dell’eroico in queste raccolte si proietta verso età diverse: dalla Roma repubblicana (Nell’annuale della fondazione di Roma, Alle fonti del Clitumno, Dinanzi alle Terme di Caracalla) all’età dei comuni italiani (Il comune rustico, Il Parlamento), alla rivoluzione francese (i sonetti del Ça ira), al Risorgimento italiano (Scoglio di Quarto). Queste sono le liriche in cui Carducci assunse chiaramente il ruolo di poeta-vate, di maestro e cantore nazionale con una funzione educativa e patriottica. Soprattutto nelle Rime nuove il tema della memoria si orienta verso il mondo privato del poeta, nel recupero dei momenti più felici e spensierati dell’infanzia e dell’adolescenza vissute in Maremma, il luogo dove il poeta ha condotto una vita libera e solare, che si contrappone al grigiore del presente, alla vita cittadina del “professor Carducci”. Le liriche Idillio maremmano, Davanti San Guido, Traversando la maremma toscana sono il risultato forse più alto del Carducci poeta intimo e degli affetti. Al mondo privato, alle sue tragedie più dolorose, al tema della morte si richiamano altre liriche di queste raccolte che rappresentano gli esiti migliori di Carducci: Pianto antico e Funere mersit acerbo ne sono gli esempi più compiuti. Le due poesie si caratterizzano per il venir meno dell’eroicità precedente, rivelando una nuova inquietudine del poeta, “percosso” dalla morte e dal dolore, dalla delusione e dallo sconforto, che, sempre contenuti e misurati, danno il via anche a una nuova evocazione della natura, ora più cupa, attraversata da segni di morte. Notevole è anche l’ultima raccolta, Rime e ritmi (1899).

7 - La reazione antiromantica

I POETI “CARDUCCIANI” Carducci, con il suo ricco laboratorio, offrì un modello poetico molteplice non solo a Pascoli e a D’Annunzio, ma a una serie di scrittori molto diversi fra loro, chi alla ricerca di un realismo contenuto, chi di un classicismo eroico, chi invece di una lezione classica composta ed equilibrata. Il veronese Vittorio Betteloni (18401910), specie con la raccolta In primavera (1869), propose una rappresentazione borghese pacata e semplice, vicina al bozzetto di famiglia; pubblicò anche un romanzo, La prima lotta (1896). Il forlivese Olindo Guerrini (1845-1916) stampò sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti la fortunata raccolta Postuma (1877), caratterizzata da un realismo

squallido ma anche irriverente e mordace, priva tuttavia della macabra ritualità scapigliata. Col proprio nome pubblicò poi Polemica e Nova polemica (1878). Una scuola “classicistica carducciana” fu rappresentata dalla letteratura sentimentale e paesaggistica di Giovanni Marradi (1852 -1922) e del critico Severino Ferrari (1856 -1905). Più originale il lavoro del vicentino Giacomo Zanella (1820 -1888), il cui nitido timbro gli consentì di ricreare un paesaggismo sereno e raccolto, scevro dalle opacità enfatiche di tanto carduccianesimo. Per certi versi, il suo classicismo (soprattutto Astichello, 1884) ha un conio tutto personale.

■ Carducci prosatore

Gli scritti in prosa si possono suddividere in tre gruppi. Anzitutto i saggi storico-critici, frutto del lavoro di docente uni- Saggi storico-critici versitario: Carducci privilegia l’analisi del testo, con particolare attenzione alla sua storia e all’ambito linguistico, retorico e formale. Spiccano Della varia fortuna di Dante (1866-67), Dello svolgimento della letteratura nazionale (1868-71), La storia del “Giorno” di Giuseppe Parini (1892); tra le edizioni critiche, da segnalare i lavori su Poliziano (1863) e sulle Rime di Petrarca (1899). Il secondo gruppo è costituito dagli scritti di polemica (letteraria, politica, ideo- Scritti polemici logica), caratterizzati da uno stile violento, con punte di vistoso autobiografismo: Polemiche sataniche (1863); Eterno femminino regale (1881), composto per difendere il suo avvicinamento alla monarchia. Il terzo gruppo è costituito essenzialmente dall’epistolario pubblicato postumo (1938- Epistolario 60) in 21 volumi, che offre un’immagine più intima e sofferta del poeta. ■ Il giudizio critico

Carducci fu personalità poetica di grande rilievo per le idea- Vate d’Italia lità patriottiche e nazionali, che gli guadagnarono il soprannome di “vate” d’Italia. Nella sua produzione spiccano anche accenti di commossa intimità sul piano poetico ed esiti di indiscussa validità sul piano critico-storiografico. Dopo il grande successo presso i suoi contemporanei e la valuta237

7 - La reazione antiromantica

zione positiva di Benedetto Croce, che vide nella sua poesia un esempio di “integra umanità”, la sua opera è stata considerata poco originale, estranea al panorama europeo. La critica più recente ha individuato nelle sue liriche più intime la compresenza di due poli tematici, il sentimento della vita e quello della morte, che conferiscono alla sua poesia una tensione autentica e sofferta.

SCHEMA RIASSUNTIVO SCAPIGLIATURA

La Scapigliatura, sorta e sviluppatasi a Milano negli anni ’70 -’80, più che un vero gruppo fu un orientamento di rottura e di anticonformismo per provocare e attaccare (attraverso un furioso sperimentalismo formale) la polverosa e sentimentale tradizione retorico-umanistica.

Esponenti

C. Arrighi (1830-1906); U.I. Tarchetti (1839 -1869); il musicista e scrittore Arrigo Boito (1842-1918); Emilio Praga (1839 -1875), poeta (Fiabe e leggende, 1867) e narratore (Memorie del presbiterio, 1877).

Carlo Dossi

Carlo Dossi (1849-1910) è l’esponente più rappresentativo della Scapigliatura, autore di ritratti negativi tra ironia e paradosso (L’Altrieri-nero su bianco, 1868, e Vita di Alberto Pisani scritta da C.D., 1870).

CARDUCCI

Carducci (1835-1907), attivo nell’insegnamento universitario e nella vita politica, vate del Regno d’Italia, riuscì a rimettere in gioco sia le estenuate istanze del nostro migliore classicismo, sia le nuove necessità realistiche europee. Produzione giovanile: Juvenilia (1850-60), Levia gravia (1861-71), Giambi ed epodi (edizione definitiva 1882). Produzione della maturità: Odi barbare (1877) e Rime nuove (1887); Rime e ritmi (1899). Notevole la sua sperimentazione metrico-linguistica.

DOMANDE DI VERIFICA 1. La Scapigliatura fu un gruppo con un preciso programma letterario? 232a 2. Quali sono i temi fondamentali dell’opera di Dossi? 233

238

3. C’è un rapporto nella poesia carducciana fra memoria storica e memoria personale? 236a 4. Quali sono i due poli tematici delle più intime liriche carducciane? 238a

8 Verismo Il verismo è il movimento letterario italiano più interessante della seconda parte del secolo che, sulle premesse filosofiche del positivismo, trae origine dalle teorie del naturalismo francese e dalle condizioni proprie del momento storico italiano, come la grave crisi delle regioni meridionali, l’esistenza di una consuetudine linguistica e dialettale di carattere regionale e la mancanza di una consolidata tradizione di narrativa romantica di tipo realistico e di contenuto sociale. Maestro indiscusso del movimento è Giovanni Verga. Una posizione più appartata, ma più inquieta, è quella di Antonio Fogazzaro.

La poetica verista Il primo ispiratore e teorico del movimento verista fu indirettamente De Sanctis, che nei saggi Il principio del realismo (1872) e Studio sopra E. Zola (1878) auspicò una letteratura fondata sul vero. Le teorie di De Sanctis furono riprese e sviluppate da Capuana, che intese l’opera d’arte come “forma” vivente, come organismo dotato di una propria vita, né modificata né condizionata da chi scrive. Il testo narrativo in cui queste posizioni vengono più esplicitamente evidenziate è la novella di Verga L’amante di Gramigna, raccolta in Vita dei campi (1880), nella cui prefazione l’autore espone la sua interpretazione della teoria dell’impersonalità (nell’opera d’arte “la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile”). Verga, però, a differenza di Zola, ritiene che lo scrittore non potrà mai agire con il rigore dello scienziato, perché “il processo di creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle passioni umane”: il verismo si propone, coerentemente con le concezioni naturalistiche, di offrire al lettore la fotografia della realtà senza che l’autore interferisca con essa: il massimo risultato che uno scrittore possa ottenere è quello dunque di fare in modo che lo scritto “sembri essersi fatto da sé”). Stabilito il “frammento di vita” di cui occuparsi, il narratore lascia che gli avvenimenti siano osservati e giudicati attraverso la scala di valori propri dell’ambiente preso in esame. Il punto di vista di chi scrive è soggetto a una “regressione”, che si riflette non solo nell’area del contenuto, ma addirittura sulle scelte linguistiche, come nel caso dei Malavoglia (1881) di Verga, in cui prevalgono la struttura sintattica del dialetto tipico del mondo contadino e le forme del discorso indiretto libero, come se la prosa fosse lo specchio di un intervento collettivo indeterminato.

Letteratura fondata sul vero

Teoria dell’impersonalità

Fotografia della realtà

Struttura del dialetto

239

8 - Verismo

IL NATURALISMO La narrativa europea, già intorno agli anni ’50, aveva elaborato una letteratura di forte realismo, che aveva il compito di rappresentare la concretezza drammatica e psicologica del mondo. Nella seconda parte del secolo, all’interno della concezione positivistica tale realismo narrativo si irrobustì elaborando un metodo rigoroso e scientifico di rappresentazione dei fatti, delle condizioni ambientali e psicologiche che agiscono sui personaggi. Specie in Francia, a partire dagli anni ’70 si sviluppò la “scuola del naturalismo” con un programma di stu-

dio e di analisi oggettiva, quindi scevra dagli interventi diretti e “ideologici” dell’autore, della complessità del reale, soprattutto in riferimento ai meccanismi sociali, visti anche attraverso le condizioni patologiche sia individuali sia collettive, come effetto della miseria in cui vivevano le classi urbane più povere. Capofila della scuola fu lo scrittore Emile Zola (1840-1902), che usò per primo il termine “naturalismo”, a cui si affiancarono i fratelli Jules (1830-1870) ed Edmond Goncourt (1822-1896) e soprattutto Guy de Maupassant (1850-1893).

Giovanni Verga È il massimo esponente del verismo, di cui fu anche uno dei teorici. ■ La vita e le opere

Gli anni di formazione

Il soggiorno milanese

240

La famiglia, di sentimenti liberali, apparteneva alla piccola nobiltà di campagna. Nato a Catania nel 1840, Verga trascorse la giovinezza nella proprietà di Vizzini, vicino al capoluogo etneo. Nel 1858 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza; all’arrivo di Garibaldi (1860) si arruolò nella Guardia nazionale e rimase in servizio fino al 1864. In quegli anni scrisse e pubblicò alcuni romanzi di contenuto patriottico (I carbonari della montagna, 1861-62; Sulle lagune, 1863) e collaborò con numerose riviste politiche e letterarie. Nel 1865 compì il primo viaggio a Firenze, allora capitale d’Italia, restando affascinato dal mondo intellettuale della città. Vi tornò più stabilmente nel 1869, dopo aver pubblicato il romanzo Una peccatrice (1866) e averne preparato un secondo, Storia di una capinera (1871). Dal 1872 si trasferì a Milano. L’incontro più significativo fu quello con il siciliano Capuana, che gli fece conoscere il naturalismo degli scrittori francesi Flaubert e Zola. Pubblicato un terzo romanzo, Eva (1873), Verga continuò una produzione connotata da due tendenze antitetiche: scrisse un bozzetto di forte impronta naturalista e di ambientazione siciliana (Nedda, 1874) e contemporaneamente approntò due romanzi dai toni tardoromantici, con tematiche proprie del mondo elegante dei salotti aristocratici e borghesi: Tigre rea-

8 - Verismo

le (1875) ed Eros (1875). Il suo interesse si era ormai orientato verso la poetica del vero, mutuata dagli scrittori francesi: dall’intensa riflessione teorica e dal recupero nella memoria di temi siciliani nacquero le raccolte di novelle Vita dei campi (1880), Novelle rusticane (1883) e il romanzo I Malavoglia (1881), il primo del ciclo intitolato I vinti. Queste grandi opere sia per la novità dell’argomento, accentuata dalla sostanziale marginalità dell’ambiente rappresentato, sia per l’originalità dell’impostazione linguistica, molto distante dalla tradizione manzoniana, non ottennero il successo che avrebbero meritato. Per questo motivo, oltre che per sopravvenute difficoltà economiche, lo scrittore non trascurò del tutto la narrativa di ambiente non siciliano e pubblicò il romanzo Il marito di Elena (1882) e le novelle milanesi Per le vie (1883). Nel 1884 ottenne un grande successo con la versione teatrale della novella Cavalleria rusticana, andata in scena a Torino per interessamento di Giacosa. Ritrovato l’entusiasmo, egli tornò a dedicarsi alle novelle di ambiente siciliano (Vagabondaggio, 1887) e soprattutto alla stesura di un romanzo già iniziato verso il 1883 e mai compiuto, il Mastro-don Gesualdo (1889), che fu ben accolto dai lettori. Seguirono altre due raccolte di novelle, I ricordi del capitano d’Arce (1891) e Don Candeloro e C.i (1894). Nel frattempo aveva ottenuto un trionfo la versione musicale della Cavalleria rusticana, opera di Mascagni (la prima è del 1890): Verga, di nuovo in ristrettezze economiche, fece causa al compositore e all’editore Sonzogno, ottenendo (1893) un sostanzioso risarcimento, che gli consentì di vivere agiatamente per il resto dei suoi giorni. Nel 1893 tornò in Sicilia e si occupò con continuità soprattutto di teatro, per cui compose tra l’altro i drammi La lupa (1896), La caccia al lupo (1901), La caccia alla volpe (1901) e soprattutto Dal tuo al mio (1903), in cui viene presentata una tematica sociale di notevole intensità e modernità. Per circa vent’anni, fino alla morte avvenuta a Catania nel 1922, scomparve dalla ribalta letteraria.

Le novelle e i romanzi

Il ritorno in Sicilia Il teatro

■ La teoria dell’impersonalità

La posizione di Verga nell’ambito delle poetiche del vero è il metodo dell’“impersonalità”, lasciare che sia il “fatto nu- Il fatto nudo do e schietto”, e non le valutazioni dell’autore, il centro e schietto della narrazione, come scrive nella premessa alla novella L’amante di Gramigna. Su questa impostazione Verga sviluppò in particolare la parte più alta della sua produzione novellistica. La Vita dei campi è caratterizzata dalla presen- “Vita dei campi” za di indimenticabili personaggi dominati da una tragica 241

8 - Verismo

“Novelle rusticane”

condizione di violenza, in cui si frantumano i diversi aspetti della vita: essa diviene brutalità nei rapporti umani (Rosso Malpelo), crudeltà nella vita sociale (Jeli il pastore), disperazione nel conflitto dei sentimenti (Cavalleria rusticana), tragica oppressione delle pulsioni naturali del sesso e della psiche (La lupa e L’amante di Gramigna). Le Novelle rusticane invece prediligono quadri d’assieme, segnati da un immutabile destino di sconfitta sia nel confronto con la natura (Malaria), sia in quello con la storia (Libertà; Cos’è il re). Dominano la morte e il fattore economico, che in questo contesto acquista un aspetto particolare, di mezzo per la sopravvivenza e di idolo del possesso (Pane nero; La roba), assumendo in un caso e nell’altro un significato più importante della vita stessa. ■ Il ciclo dei vinti

La concezione del “ciclo”

Il progetto del “ciclo dei vinti”

“I Malavoglia”, romanzo corale

242

Da Zola Verga ricavò, oltre ai principi generali del romanzo sperimentale, la concezione di origine darwiniana del “ciclo”, inteso come susseguirsi di romanzi che, riguardando gli stessi personaggi o i loro discendenti, permettono di cogliere le costanti e le modificazioni di comportamento in relazione al mutare dell’ambiente sociale. Nella prefazione ai Malavoglia Verga definisce la tesi generale e le articolazioni del “ciclo dei vinti”, che egli definisce “una specie di fantasmagoria della lotta per la vita”. Secondo il progetto, il ciclo avrebbe dovuto essere composto da cinque romanzi (I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni, L’uomo di lusso), attraverso cui l’autore avrebbe descritto la lotta per l’affermazione in tutte le classi sociali, dalle più umili alle più elevate. L’idea base era che i protagonisti pagassero il loro tentativo di modificare la propria condizione sociale con una sconfitta irreparabile. Con un corollario: il mutamento, e non solo della struttura sociale, ma anche dei rapporti interpersonali, risulta impossibile; la delusione che ne deriva è una vera e propria vendetta della colpa. I Malavoglia narrano le vicende di una famiglia di pescatori di Aci Trezza, guidata con polso fermo da padron ’Ntoni, il nonno, che, sullo sfondo di un’Italia appena unificata, affronta il drammatico passaggio dai valori di un mondo arcaico alla sfuggente realtà del presente. Il romanzo si costruisce attorno al fondamentale concetto dell’“ideale dell’ostrica”, cioè la necessità per chi appartiene alla fascia dei deboli di rimanere abbarbicato ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare allora che il mondo, il “pesce vorace”, lo divori. I Malavoglia si fondano sulla coralità dell’oggetto della narrazione e delle moda-

8 - Verismo

lità attraverso cui essa avviene. La voce narrante diventa collettiva, fa largo uso dei proverbi e dei modi di dire, avvalendosi spesso dello “stile indiretto libero”, attraverso cui la voce di un personaggio si fonde senza difficoltà né resistenze sintattiche con quella di altri, secondo una totale continuità comunicativa. La scelta linguistica evidenzia lo scontro ideologico campagna-città, civiltà contadina-civiltà borghese, aggravato dallo scontro tra le generazioni (la paziente ed epica lotta del vecchio padron ’Ntoni con l’insofferenza e la spregiudicatezza del giovane ’Ntoni). Il secondo romanzo, Mastro-don Gesualdo, celebra invece “Mastro-don il mito della “roba” e al tempo stesso l’impossibilità di tra- Gesualdo”, romanzo sformare la ricchezza accumulata in una completa promo- dell’uomo solo zione sociale. Mastro-don Gesualdo è il romanzo dell’uomo solo, che tenta di emergere nonostante le resistenze sorde o esplicite della società contadina da cui proviene, che lo rifiuta per il suo modo di vivere così diverso dalla tradizionale rassegnazione, e di quella nobiliare, che non gli permette di introdursi in un mondo in cui ha valore la nascita e non l’agire. Un tentativo troppo grande per non fallire. Così come il protagonista è solo nella sua lotta, la lingua della narrazione perde il colore della coralità e assume un carattere teso, a volte contratto, in cui l’apporto dialettale assume spesso una valenza gergale e amara, per esprimere un quadro in cui domina il cupo pessimismo dell’immobilità. Il terzo romanzo, La duchessa di Leyra, avrebbe dovuto trattare delle vicende della figlia di Mastro-don Gesualdo, ma l’autore non ebbe la forza per concludere il ciclo dei vinti. ■ Il giudizio critico

Verga fece suo il naturalismo; inventò una scrittura nuda e Una scrittura crudele, capace di rappresentare il destino amaro di uomi- nuda e crudele ni falliti. I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo sono i romanzi più belli di fine secolo. Bruciò in sé l’esperienza positiva del realismo manzoniano e realizzò un’opera che del risentimento e della disperazione fece il proprio suggello filosofico e la più radicale e straordinaria bellezza. Accostato da Riccardo Bacchelli a Manzoni e Leopardi come il terzo grande scrittore dell’Ottocento italiano, Verga venne facilmente contrapposto da Luigi Pirandello a D’Annunzio e al suo estenuato decadentismo.

La scuola verista La produzione verista, in quanto produzione specificatamente di scuola, non è stata molto ampia e quasi sempre ha 243

8 - Verismo

Renato Fucini e Mario Pratesi

Remigio Zena Edoardo Calandra

Paolo Valera

Vittorio Imbriani

Giuseppe Giacosa

fatto riferimento a realtà regionali molto diverse. La produzione di “gusto verista”, cioè di prospettiva realistica e di ambiente regionale, è invece molto ampia e raccoglie una letteratura di grande interesse, capace peraltro di formare quella tradizione di “realismo moderno” su cui si svilupperà il realismo novecentesco italiano. Tra gli esponenti più interessanti sono i toscani Renato Fucini (1843-1921), che nelle sue novelle fu attento osservatore, senza però intenti sociali, della miseria dei contadini della Maremma (Le veglie di Neri, 1882; Nella campagna toscana, 1908), e Mario Pratesi (1842-1921), autore di romanzi di ambiente senese, alla ricerca di un’“arte casalinga, semplice, passionata” (L’eredità, 1889; Il mondo di Dolcetta, 1895). A Nord, il genovese Remigio Zena (pseudonimo di Gaspare Invrea, 18501917) rappresentò la rovina morale e materiale di tante donne del popolo (La bocca del lupo, 1890) e il torinese Edoardo Calandra (1852-1911) riprese il “romanzo storico” testimoniandone però tutta la consunzione: soprattutto La bufera (1898) e Juliette (1909) mostrano intenti psicologici già aperti a un gusto drammatico primo Novecento. Paolo Valera (1850-1926), di Como, mosso da forti interessi democratici, scrisse Alla conquista del pane (1882) e il bellissimo La folla (1901), oltre a un ampio romanzo-inchiesta sulla plebe urbana (Il ventre di Milano: fisiologia della capitale morale, 1888). Particolare il caso del napoletano Vittorio Imbriani (18401886): la sua letteratura è la prova aggressiva di un realismo insieme scapigliato e verista, sempre troppo esuberante per rientrare in un genere definito, specie con i racconti Mastr’Impicca (1874), Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), Per questo Cristo ebbi a farmi turco (1883). In relazione alla nascita per il teatro del “dramma borghese” è da ricordare il lavoro di Giuseppe Giacosa (1847-1906): il suo Come le foglie (1900) vuole essere un’apertura alla migliore drammaturgia europea (soprattutto Ibsen). ■ Luigi Capuana

Nato in una famiglia di ricchi possidenti terrieri presso Catania, Luigi Capuana (1839-1915) si trasferì a Firenze, allora capitale del Regno d’Italia, e fu critico teatrale sul quotidiano “La Nazione”. Qui conobbe G. Verga e con lui partecipò alle discussioni intorno alla nuova letteratura. L’attenzione al naturalismo francese lo indusse ad analizzare le affinità fra l’artista e lo scienziato “positivo”, a impegnarsi per una letteratura aderente al “vero”. Con Verga divenne il teorico del verismo, contribuendo alla sua affermazione: nel 244

8 - Verismo

1879, a Milano, pubblicò il manifesto letterario del verismo, il romanzo Giacinta, seguito dai due volumi di Studi sulla letteratura contemporanea (1880-82) e Per l’arte (1885). Da allora pubblicò varie opere di narrativa e saggi: tre libri di novelle, Le appassionate (1893), Le paesane (1894) e Le nuove paesane (1898), nelle quali era attento indagatore della psicologia della borghesia di provincia; due romanzi, Profumo (1894) e Il marchese di Roccaverdina (1901), considerato il suo capolavoro. ■ Federico De Roberto

Il napoletano Federico De Roberto (1861-1927), trasferitosi giovanissimo a Catania, entrò in contatto con gli scrittori veristi Capuana e Verga. Furono loro a introdurlo nell’ambiente letterario milanese. Profondamente convinto della necessità di una letteratura che fosse al tempo stesso documento storico-sociale e analisi psicologica dei caratteri, si dedicò a una sorta di anatomia della passione amorosa con L’amore. Fisiologia. Psicologia. Morale (1895). Si cimentò poi con romanzi di solida architettura storico-narrativa, come L’illusione (1891), e soprattutto con il suo capolavoro, I viceré (1894). Il romanzo, uno dei migliori dell’Ottocento “I viceré” italiano, è uno spaccato della storia siciliana tra il 1855 e il 1882, che lo scrittore analizza con precisi riferimenti storici, narrando le vicende di una famiglia dell’antica nobiltà catanese, gli Uzeda. De Roberto risentì fortemente degli studi sulle razze e volle rappresentare il declino di un’antica dinastia professando un forte senso nichilistico della vita. I viceré sono una denuncia netta dell’ottimismo borghese, espressa in una scrittura ricca di tensione, accurata nei dettagli, decisamente antilirica, con esiti grotteschi. La sua continuazione, L’imperio (1929, postumo) non ne ripete il buon esito narrativo. ■ Emilio De Marchi

Il milanese Emilio De Marchi (1851-1901), educato agli ideali risorgimentali, dopo la laurea in lettere si dedicò all’insegnamento. Partecipò alla vita politica milanese, come consigliere comunale, e promosse attività benefiche e culturali. La sua produzione fu molto varia e sempre tesa a mettere a fuoco le difficoltà della borghesia formatasi con l’unità d’Italia. Si affermò in particolare con la narrativa: compose circa sessanta novelle, fra le quali si segnalano le raccolte Storielle di Natale (1880); Storie d’ogni colore (1885); Racconti (1889); Nuove storie d’ogni colore (1895). Nel 1887 apparve a puntate il romanzo Il cappello del prete. Del 1889 245

8 - Verismo

“Demetrio Pianelli”

è il suo capolavoro Demetrio Pianelli, che racconta un intreccio di sentimenti semplici: il senso dell’onore di un povero travet sullo sfondo di un paesaggio milanese delineato con forti accenti manzoniani. Seguirono poi, tra gli altri, Arabella (1892-93) e Giacomo l’idealista (1897). Tutta la narrativa di De Marchi è improntata a un moralismo borghese venato di toni patetici; il bene e il male sono facilmente individuabili, i valori dominanti sono la bontà, la capacità di sopportazione, la rispettabilità. Anche la soluzione linguistica da lui adottata fu coerente con il suo intento: una lingua media, lontana dalla letterarietà, aperta agli influssi del parlato dei ceti medi lombardi. ■ Matilde Serao

Figlia di un esule italiano e di una greca, Matilde Serao (18561927) si stabilì a Napoli nell’adolescenza. Con il marito, il giornalista e scrittore Edoardo Scarfoglio fondò “Il Corriere di Napoli”, divenuto poi “Il Mattino”. Vicina al verismo, diede un’immagine viva della realtà sociale napoletana della fine dell’Ottocento, di cui colse il quadro più efficace nell’inchiesta giornalistica Il ventre di Napoli (1884) e nel romanzo Il paese di cuccagna (1891). Il successivo romanzo Suor Giovanna della Croce (1900) tratta il tema della guerra. ■ Grazia Deledda

Nata a Nuoro da una famiglia piccolo-borghese, Grazia Deledda (1871-1936) dopo la scuola elementare studiò da autodidatta; fu lettrice accanita di romanzi stranieri (francesi e russi). Col matrimonio si trasferì a Roma. Scrisse una cinquantina di romanzi, i più significativi dei quali sono: Elias Portolu (1903); Cenere (1904); L’edera (1906); Canne al vento (1913); La madre (1920). Quasi tutta la sua produzione ruota attorno alla sua terra, la Sardegna, di cui recuperò le antiche tradizioni pastorali e rurali, con un intento che si richiamava più al tardo romanticismo che al contemporaneo verismo. Narrò patetiche vicende d’amore e di morte, ambientate per lo più nella famiglia arcaica, con i suoi valori e i suoi tabù, dove la trasgressione precipita verso la colpa e la conseguente, necessaria, punizione. Notevole fu il successo di pubblico; nel 1926 ottenne il premio Nobel per la letteratura. ■ Edmondo De Amicis

Nato a Oneglia, Edmondo De Amicis (1846-1908) frequentò l’Accademia militare di Modena e partecipò alla terza guerra d’indipendenza. Dopo il successo ottenuto con i Bozzetti di 246

8 - Verismo

vita militare (1868), abbandonò l’esercito e si dedicò all’attività giornalistica: di rilievo i suoi reportage sulla condizione degli emigranti raccolti nel volume Sull’Oceano (1889). Nel 1886, dopo essersi stabilito a Torino, pubblicò la sua opera più famosa, il romanzo Cuore, che conobbe un im- “Cuore” mediato e grande successo. Nel 1891 s’iscrisse al partito socialista. Libro scritto per i ragazzi delle scuole elementari, Cuore ha la forma di un diario tenuto durante l’anno scolastico 1881-82 da un allievo di terza elementare. L’intento educativo mira a valorizzare il rispetto della dignità umana che si afferma nel lavoro, nell’onestà, nell’obbedienza alle leggi, nell’amore per la famiglia e per la patria. Celeberrimi i racconti inseriti nel diario: La piccola vedetta lombarda, Sangue romagnolo, Dagli Appennini alle Ande. In un’epoca in cui l’analfabetismo era altissimo ed era molto osteggiata la legge che aveva reso obbligatoria la scuola elementare per tre anni, Cuore si proponeva di valorizzare l’istruzione e, contemporaneamente, di trasmettere i valori risorgimentali per edificare un comune terreno civile e nazionale. Il libro ebbe un’immensa fortuna fino alla metà del sec. XX. L’ultima produzione di De Amicis (che aveva aderito al socialismo) fu più attenta alle contraddizioni sociali: Il romanzo di un maestro (1890) e La maestrina degli operai (1895); Primo maggio (1980, postumo). ■ La produzione dialettale

Il napoletano Salvatore Di Giacomo (1860 -1934), piuttosto Salvatore che nel teatro e nella narrativa, offrì con la poesia in dialet- Di Giacomo “LE AVVENTURE DI PINOCCHIO” Romanzo del tutto eccezionale è l’opera del fiorentino Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini, 1826-1890). Autore della fortunata serie di racconti di Giannettino (1876) e Minuzzolo (1878), nel 1881 Collodi iniziò a scrivere per la neonata rivista “Il Giornale dei bambini” un romanzo a puntatte, la Storia d’un burattino, che, su richiesta dei giovani lettori entusiasti, venne condotta avanti fino al 1883. Per concludere il racconto, l’autore fu costretto a trasformare il burattino Pinocchio in un bambino in carne e ossa. Nello stesso anno, il racconto completo uscì in volume con il titolo Le avventure di Pinoc-

chio (1883). Considerato un capolavoro indiscusso della letteratura infantile, tradotto in centinaia di lingue, formalmente il libro ripropone, in una lingua semplice e immediata, il tema dell’iniziazione alla vita di un bambino, della sua graduale scoperta della realtà, negli aspetti positivi e negativi, e anche il motivo della caduta e del cammino di espiazione fino alla “redenzione” finale. Temi tradizionali riproposti nel quadro di invenzioni fantastiche indimenticabili, di personaggi dotati di straordinaria immediatezza e vivacità, che tolgono ogni pedanteria alla lezione morale comunque ben presente.

247

8 - Verismo

Cesare Pascarella

to una prova rilevante di limpidezza musicale, che sa sempre esprimere una ricchezza cromatica, la forte e realistica curiosità per la vita quotidiana (le poesie, scritte negli anni ’80, furono raccolte in Poesie, 1907, e poi nell’edizione completa del 1927). La produzione dialettale ebbe un protagonista anche nel romano Cesare Pascarella (1858-1940): la sua poesia è arguta, divertente, capace di raccontare vivacemente storie e azioni (notevoli Er fattaccio, 1884; Villa Gloria, 1886; La scoperta dell’America, 1894).

Antonio Fogazzaro

“Malombra”

“Daniele Cortis”

“Piccolo mondo antico” 248

Il vicentino Antonio Fogazzaro (1842-1911), allievo di Giacomo Zanella, ritrovò all’interno di un cattolicesimo serio e risorgimentale una concreta esperienza di crisi, attraverso la quale è facile intravedere alcuni elementi della nuova cultura decadente italiana. Già dagli anni ’70 cercò (con i saggi raccolti poi in Ascensioni umane,1899) il rapporto tra la fede cattolica e le nuove tendenze della scienza, affascinato dalle teorie evoluzionistiche di Darwin. Dopo l’esordio letterario con la novella in versi Miranda (1874), conseguì il successo con il romanzo Malombra (1881): la protagonista, la prima delle inquietanti figure femminili di Fogazzaro, vive con il vecchio zio Cesare in una villa sul lago di Como e si crede la reincarnazione della nonna, mentre nell’intellettuale Corrado Silla, attratto solo dal fascino torbido della sensualità, crede di vedere addirittura la reincarnazione dell’amante della sua antenata. Il romanzo si conclude tragicamente con la morte dello zio e con l’uccisione di Corrado da parte della protagonista, che poi si uccide. Malombra mostra una forte novità rispetto alla produzione narrativa del tempo: il mistero, il dramma della malattia si fondono in un disperato squilibrio spirituale. In Daniele Cortis (1885) la vicenda individuale s’intreccia con quella storica: il contrasto fra i personaggi diviene contrasto d’idee. Il protagonista è un deputato cattolico che, di fronte alla corruzione politica, lotta per una sua ideale “democrazia cristiana”; ma è votato alla sconfitta nella lotta politica così come nel privato, per cui la passione d’amore per la cugina Elena si risolve nella lontananza e nel sacrificio. Nel 1888 uscì Il mistero del poeta appesantito, però, da un denso sentimentalismo. Del 1895 (ma iniziato già nel ’92) è invece il romanzo di maggior successo, Piccolo mondo antico, ambientato in Valsolda, sulle sponde del lago di Lugano, dove lo scrittore

8 - Verismo

aveva trascorso parte dell’adolescenza. La vicenda si svolge nell’attesa dell’unificazione d’Italia, ha come protagonista la coppia costituita dal nobile lombardo Franco Maironi e dalla borghese Luisa Rigey. Fogazzaro ritrae la vita quotidiana della piccola provincia, che egli affresca grazie ai personaggi minori del romanzo, colti nella loro realtà sociale e culturale, con i loro pregi e i loro limiti. In Piccolo mondo moderno (1901), continuazione del pre- “Piccolo mondo cedente, egli approfondisce quell’intreccio di sensualità e moderno” dramma spirituale che sono la sua peculiarità tematica. Il Santo (1905) e Leila (1907) sono le sue ultime prove narrative, che furono oggetto di severi giudizi da parte della critica, specialmente cattolica (la Chiesa li mise all’Indice), perché ritenuti devianti e torbidi; riscossero viceversa un grande successo di pubblico, soprattutto di estrazione piccolo-borghese, che ne apprezzò le vicende sensuali e il tentativo di descrivere il malessere della società italiana dell’inizio del secolo. Caratteristica la scrittura di Fogazzaro, ancora legata al naturalismo, ma già aperta alle suggestioni del decadentismo europeo.

SCHEMA RIASSUNTIVO VERISMO

Il verismo si propone, coerentemente con le concezioni naturalistiche, di offrire al lettore la fotografia della realtà senza interferenza dell’autore. Ma per il verismo la letteratura non è una scienza: la narrazione resta l’esperienza misteriosa dell’inspiegabile destino umano. Gli ambienti veristi sono prevalentemente la campagna del meridione.

Luigi Capuana

Luigi Capuana (1839-1915), siciliano, autore dei romanzi Giacinta (1879) e Il marchese di Roccaverdina (1901).

Federico De Roberto

Federico De Roberto (1861-1927), napoletano: romanzi L’illusione (1891) e il capolavoro I viceré (1894).

Emilio De Marchi

Emilio De Marchi (1851-1901), milanese: romanzi Il cappello del prete (1887), Demetrio Pianelli (1889), Giacomo l’idealista (1897).

Matilde Serao

Matilde Serao (1856 -1927), napoletana: Il ventre di Napoli (1884), Il paese di cuccagna (1891).

Grazia Deledda

Grazia Deledda (1871-1936), sarda, premio Nobel (1926): romanzi Elias Portolu (1903), Cenere (1904), Canne al vento (1913), La madre (1920).

Edmondo De Amicis

Edmondo De Amicis (1846-1908), ligure, autore del libro per ragazzi Cuore (1886).

249

8 - Verismo segue

GIOVANNI VERGA

Nativo di Catania (1840 -1922), fu protagonista del verismo italiano. Periodo preverista: Una peccatrice (1866), Storia di una capinera (1871), Tigre reale (1875), Eros (1875). Verismo: Vita dei campi (1880), Novelle rusticane (1883), il ciclo dei vinti con I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1889). Ultimo periodo: Dal tuo al mio (1903). Nella novella L’amante di Gramigna espone la teoria dell’impersonalità: “il romanzo avrà l’impronta dell’avvenimento reale, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed essere sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore”.

ANTONIO FOGAZZARO

La letteratura del vicentino Fogazzaro (1842-1911) è un incontro di sensualità e di ricerca religiosa. Il mistero, il dramma della malattia, si fondono in un disperato squilibrio spirituale. Romanzi: Malombra (1881), Daniele Cortis (1885), Piccolo mondo antico (1895), Piccolo mondo moderno (1901), Il Santo (1905).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Da quali premesse culturali si è mosso il verismo? 239a 2. Che cosa sostiene la teoria dell’“impersonalità”? 239a-241b 3. Che cosa intende Verga per “ciclo”? 242a

250

4. Quale differenza essenziale distingue I Malavoglia da Mastro-don Gesualdo? 242b-243a 5. Qual è il capolavoro di De Roberto? 245a 6. Fogazzaro anticipa la crisi spirituale decadente? 249a

9 Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

L’artista decadente afferma la propria orgogliosa differenza chiudendosi in un aristocratico e sofferto rifiuto della società. Il decadentismo si esercita su temi quali l’inconscio e il sogno, la memoria e l’infanzia, l’angoscia e il senso della morte. Ricorrenti sono il gusto per l’artificio e l’eleganza ricercata contro la volgarità dell’arte di massa; il fascino dell’Oriente lontano o l’attrazione per le droghe; il rifiuto della solidarietà sociale, pur nel vagheggiamento d’indistinti ideali umanitari; la sensualità provocante; l’erotismo morboso; il culto per l’esoterico e il satanico, non di rado accompagnato da slanci mistico-devozionali e da ritorni alla fede cattolica. Vengono rifiutate le tecniche letterarie fondate sul valore logico e razionale della parola; se ne cercano altre nuove, che facciano leva sugli elementi evocativi e allusivi e quindi sulle suggestioni fono-simboliche del linguaggio. Si dà così spazio a un forte estetismo e a una letteratura simbolista, capace di far interagire tutte le differenze musicali, figurative, poetiche di un segno letterario. In Italia il vero portavoce del nostro decadentismo fu D’Annunzio, mentre Pascoli fondò, in modo originale e diverso dal contesto europeo, la poesia simbolista italiana.

Gabriele D’Annunzio Gabriele D’Annunzio (1863 -1938) è certo uno dei protagonisti del decadentismo europeo. Maestro della tecnica letteraria e del virtuosismo, provò quasi tutti i generi, lavorando intorno a una scrittura capace di innumerevoli stili e registri. L’Alcyone resta uno dei libri più belli dell’inizio secolo. Ma la sua opera, per quanto complessa e sfuggente, non appare solo come la distillazione di tutte le possibilità romantiche: è anche il sostrato di tutte le svariate proposte novecentesche. D’Annunzio sembra nel bene e nel male il padre del Novecento. ■ Gli esordi e il periodo romano

Compiuti i primi studi nella città natale di Pescara, nel 1874 fu mandato a Prato, dove rimase fino al conseguimento della licenza liceale (1881). Il suo talento trovò una prima espressione nei versi di Primo vere (1879), ispirati al mo- “Primo vere” dello carducciano, che lo segnalarono all’attenzione della 251

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

IL DECADENTISMO EUROPEO A Parigi alcuni intellettuali bohémiens, dall’esistenza sregolata e anticonformista, raccolti in cenacoli letterari o attorno a riviste programmatiche, diedero vita alla corrente artistica del decadentismo, assumendo in positivo il termine con cui la critica borghese li definiva spregiativamente: in realtà, essi intendevano esprimere il loro gusto per gli elementi raffinati ed eleganti delle epoche storiche di decadenza. Padre spirituale di questi decadenti (fra i quali le voci più alte furono Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé e Arthur Rimbaud) fu Charles Baudelaire. A lui si ispirò la figura del poeta veggente, tutto teso a esplorare l’ignoto, che soppiantava l’idea romantica del poeta vate. Dalla pre-

cedente scuola del Parnasse provennero eleganza e preziosità di stile: dall’idea parnassiana dell’“arte per l’arte” si elaborò infatti la visione estetica di “vita come arte”. Il fenomeno non fu solo francese; nell’ultimo decennio del sec. XIX esso si diffuse in diversi paesi europei, che accolsero il decadentismo sperimentando forme espressive diverse, dalla lirica sussurrata ed evocativa alla prosa altisonante e retorica, dalle espressioni esplicite e crude alle eleganti chiacchiere da salotto (in Inghilterra, J. Ruskin, A.C. Swinburne, D.G. Rossetti. O. Wilde ; in Germania, R.M. Rilke e H. von Hofmannsthal; in Belgio, M. Maeterlinck; nei paesi scandinavi il norvegese H. Ibsen e lo svedese J.A. Strindberg).

critica. Iscrittosi alla facoltà di lettere di Roma, non portò mai a termine gli studi, trovando nei circoli letterari della capitale e nei giornali cittadini (“La Fanfulla della Domenica” e la “Cronaca bizantina”) l’occasione per mettersi in vista. “Canto novo” Nel 1882 uscirono il Canto novo, in cui affermò la propria visione panica e sensuale della vita, e i bozzetti narrativi di Terra vergine, ambientati nel natio Abruzzo, in cui è palese l’influsso di Verga. Il 1886 è l’anno dei racconti di San PanLe “Novelle taleone, confluiti poi, insieme ad altri, nelle Novelle della della Pescara” Pescara (1902). Seguì un periodo di crisi e di ripensamento che lo indusse a confrontarsi e misurarsi con quanto di meglio e di più affine alla sua sensibilità era nel decadentiIl superuomo smo europeo. Nelle letture di Nietzsche e Wagner, e in pare il vivere inimitabile ticolare nella concezione del “superuomo”, trovò invece la legittimazione “filosofica” per quel “vivere inimitabile”, sprezzante di ogni morale comune, che avrebbe caratterizzato gran parte della sua opera e della sua vita. ■ Il successo: i romanzi e la grande poesia

Il torbido psicologismo dei romanzi

252

Espressione di tale travaglio furono i romanzi Il piacere (1889); Giovanni Episcopo (1891); L’innocente (1892); Il trionfo della morte (1894); Le vergini delle rocce (1895). In essi la tradizione ottocentesca viene stemperata in personaggi e atmosfere sovraccarichi di torbido e morboso psicologismo. Svolto nel frattempo il servizio militare a Roma, nel 1891 fu costretto dai creditori a trasferirsi a Napoli, dove rimase due anni, scrivendo sul “Mattino” di E. Scarfoglio e M.

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

Serao. Sul fronte lirico, dopo La Chimera (1890) e le Elegie romane (1892), pubblicò le Odi navali e il Poema paradisiaco (1893), che segnò una tappa importante nell’evoluzione del linguaggio poetico italiano aperto a una morbida cantabilità, a ritmi e a suggestioni oniriche. Nel 1897 si buttò nell’agone politico, risultando eletto deputato per la Destra; ma non comparve mai alla Camera, se non per passare, due anni dopo, con spettacolare disinvoltura sui banchi della Sinistra (“vado verso la vita”). Intanto aveva conosciuto la grande attrice Eleonora Duse (ritratta più tardi in maniera impietosa nel romanzo Il fuoco, 1900), con cui ebbe un lungo sodalizio d’arte e di vita. Si cimentò infatti nel teatro, genere per il quale, a partire dal Sogno d’un mattino di primavera (1897), scrisse numerose opere: La città morta (1898); La Gioconda (1899); La gloria (1899); Francesca da Rimini (1902); La figlia di Iorio (1904), La fiaccola sotto il moggio, (1905); La nave (1908); Fedra (1909). Il suo capolavoro è La figlia di Iorio, in cui la lingua si adegua mirabilmente alla sacralità orgiastica e primitiva della vicenda. Nella quiete della Capponcina, la villa di Settignano, presso Firenze, nacquero i primi tre libri di poesia delle Laudi: Maia (1903), Elettra (1903) e Alcyone (1904). Soprattutto a quest’ultimo è giustamente affidata la sua fama. L’uomo e la natura appaiono come trasfigurati in una sembianza eterea, senza contorni, in cui la parola è una musica avvolta nelle proprie magiche eufonie e il verso è davvero tutto: mito, canto, solarità, metafora di acqua, cielo e terra, oblio segreto, ricordo e presagio, culla e destino di ogni cosa. D’Annunzio scrisse ancora in versi le patriottiche Canzoni delle gesta d’oltremare (1912), pubblicate sul “Corriere della Sera” durante la guerra di Libia, e i Canti della guerra latina, usciti sullo stesso giornale tra il 1914 e il 1918, che andarono a comporre rispettivamente Merope e Asterope, il quarto e quinto libro delle Laudi (gli altri due, previsti dal progetto originario, non vennero mai scritti); ma in queste opere, pur conservando spesso un notevole magistero formale e un raro mestiere, di rado seppe evitare le secche della retorica.

La morbida cantabilità lirica L’agone politico

Il teatro

La grande poesia: le “Laudi” e “Alcyone”

■ Il periodo francese

Per i debiti accumulati dagli sperperi di un tenore di vita superiore ai pur cospicui diritti d’autore (nel 1910 aveva intanto pubblicato l’ultimo romanzo, Forse che sì forse che no), venne il sequestro della Capponcina, che lo costrinse al “volontario esilio” in Francia. Dopo alcuni mesi trascorsi come ospite d’onore della buona società parigina, si ritirò ad Ar253

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

cachon, sulla costa atlantica. Qui scrisse ancora per il teatro, in una totale identità fra parola e musica, opere di cesellata maniera (alcune in un francese antico che suscitò l’ammirazione di A. France): Le martyre de Saint Sébastien (1911, musicato da C. Debussy), La Pisanelle (1912, musicata da I. Pizzetti), Parisina (1913, musicata da P. Mascagni). Nel 1911 cominciarono ad apparire sul “Corriere della Sera” le Faville del maglio, che inaugurarono una prosa di memoria “interiore” e di ripiegamento. L’anno successivo la morte di G. Pascoli e di A. Bermond, proprietario della villa di Arcachon in cui abitava, gli ispirarono Contemplazione della morte, che contiene alcune tra le sue pagine migliori. Scrisse anche il racconto La Leda senza cigno (1913, pubblicato nel 1916). ■ La guerra e gli ultimi anni

Il rientro in Italia

Ai primi di maggio del 1915 rientrò in Italia per schierarsi con gli interventisti, che chiedevano la partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa contro L’uomo d’azione Germania e Austria. Partecipò alla guerra e con valore: fu protagonista di imprese come la beffa di Buccari e il volo su Vienna, che divennero leggenda. Per la perdita dell’occhio destro e la cecità temporanea a cui fu costretto egli dettò il Notturno (1921), il “comentario delle ténebre” dallo stile levigato e scarnito. La delusione per la vittoria “mutilata” lo L’avventura di Fiume spinse a guidare l’occupazione di Fiume (settembre 1919) e ad assumere la Reggenza del Carnaro, provocando l’intervento dell’esercito italiano in quello che D’Annunzio chiamò “Natale di sangue” del 1920: furono questi avvenimenti l’apogeo e insieme la fine della sua parabola di uomo d’aIl ritiro a Gardone zione. Nel 1921 si ritirò nei pressi di Gardone, sul lago di Garda, in una villa che divenne il Vittoriale degli Italiani, un monumento elevato a se stesso e una dorata prigione, in cui Mussolini lo confinò ricoprendolo di onori e riconoscimenti (la nomina a Principe di Montenevoso nel 1924; l’edizione, a spese dello Stato, dell’Opera Omnia, 1926; la presidenza dell’Accademia d’Italia, 1937). Nel Vittoriale attese alle ultime opere: i due volumi delle Faville del maglio (1924 e 1928), i frammenti narrativo-memoriali del Libro segreto (1935), Le dit du sourd et du muet (1936) in francese antico. ■ Il giudizio critico

La letteratura come discorso infinito 254

Il merito maggiore di D’Annunzio è l’idea che la letteratura possa essere un discorso infinito: la facoltà estrema non solo di riuscire a conquistare ma anche a raccontare la straor-

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

dinaria vitalità dell’esistenza. D’Annunzio sperimentò e provò ogni possibilità espressiva. Toccò in qualche modo i limiti come i difetti della tradizione letterario-umanistica, stabilendo quelle “colonne d’Ercole” che tutti i poeti italiani del Novecento sapranno tanto più rispettare quanto più si sentiranno difesi da quegli stessi limiti della parola, ormai definiti e dunque invalicabili. Ciò che più conta in lui è il senso altissimo di un’esperienza letteraria che cercò di essere un modello espressivo assoluto, consapevolmente moderno, anche grazie alla tanto disprezzata retorica. Il poeta Montale non esitò ad affermare che per superare D’Annunzio era indispensabile “attraversarlo”. In effetti, nonostante il molto artificio, le troppe vuote sonorità e la diffusa assenza di un solido senso morale, sacrificato per un’irraggiungibile “favola bella”, ciò che è più vivo nella sua opera rappresenta un passaggio obbligato per intendere appieno quel che avvenne durante e dopo la sua vita.

Un modello espressivo consapevolmente moderno

Giovanni Pascoli Giovanni Pascoli è forse il poeta, in bilico fra Ottocento e La novità della Novecento, che più radicalmente ha contribuito allo svec- poesia pascoliana chiamento della lirica italiana. La sua produzione è un vertice del simbolismo europeo. Riprese Leopardi nel punto più nevralgico: nella ferita e insieme nel mistero dolente della Natura. Con Myricae diede un nuovo senso alchemico e sognante al perché delle cose; con i Poemetti e i Canti di Castelvecchio lasciò che quel mistero si aprisse in una muta bellezza cristallina; con i Poemi conviviali poi si permise anche di più: di ripercorrere, lungo quegli stessi segreti, la continuità fra antico e moderno, fra la classicità e la modernità. ■ La vita

Nato a San Mauro di Romagna nel 1855, quarto di otto figli, trascorse la prima infanzia nella tenuta dei principi Torlonia, di cui il padre era amministratore. A sette anni entrò, con i fratelli Giacomo e Luigi, nel collegio degli Scolopi di Urbino, dove nel 1867 lo colse la notizia dell’assassinio del Le disgrazie familiari padre Ruggero in un agguato. Il drammatico evento segnò in maniera decisiva la sua vita e la sua poesia. A quella morte seguirono nel 1868 quella della madre Caterina, stroncata dal dolore, e, nel volgere di breve tempo, quelle della sorella Margherita e del fratello Luigi. Con una borsa di studio si iscrisse all’università di Bologna, dove ebbe come professore Carducci. Ma dopo il primo anno disertò le lezioni e prese a frequentare gli ambienti socialisti. Nel 1875, per aver 255

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

L’impegno politico e il carcere

L’insegnamento

La critica dantesca

Raccolte storiche e civili

La produzione in latino

partecipato a una manifestazione, venne privato del sussidio economico che gli permetteva di frequentare l’università; nel 1876 la morte del fratello Giacomo rese ancor più precaria la situazione della famiglia. Nel 1878, durante una dimostrazione a favore degli anarchici, fu arrestato. Uscito di prigione dopo circa tre mesi anche per l’intervento di Carducci, riprese gli studi e riuscì a laurearsi a pieni voti (1882). In quello stesso anno andò insegnare al liceo di Matera, poi a Massa e nel 1887 passò a Livorno, dove ricostituì il nucleo familiare con le sorelle Ida e Maria. A Livorno nel 1891 pubblicò la raccolta Myricae, 22 componimenti poetici che crebbero fino ai 156 della sesta edizione del 1903. Nel 1892 si aggiudicò la prima delle tredici medaglie d’oro vinte al concorso di poesia latina di Amsterdam. Tre anni più tardi ottenne la cattedra di grammatica latina e greca all’università di Bologna. Acquistata una piccola proprietà a Castelvecchio di Barga, vi si trasferì con la sorella Maria. Nel 1897 uscirono i Poemetti (poi sdoppiati in Primi poemetti, 1904, e Nuovi poemetti, 1907) e fu trasferito all’università di Messina, dove lavorò ai tre volumi di critica dantesca: Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La mirabile visione (1902). Nel 1903 pubblicò i Canti di Castelvecchio e passò a Pisa. Ritiratosi Carducci dall’insegnamento, gli succedette nella cattedra di letteratura italiana dell’università di Bologna (1906). Nel frattempo erano apparsi i Poemi conviviali (1904), che inaugurarono la seconda fase della sua produzione. Uscirono poi le raccolte di argomento storico e civile: Odi e inni (1906); Canzoni di re Enzio (1911); Poemi italici (1911); Poemi del Risorgimento (1913, postumo). Le prose, edite nel 1903 con il titolo Miei pensieri di varia umanità, confluirono poi nel volume Pensieri e discorsi (1907). Morì a Bologna nel 1912. Da ricordare sono poi i Carmina (1914), che raccolgono la sua poesia lirica in latino; scritti fra il 1885 e il 1911 sono divisi in varie sezioni secondo l’argomento. Notevole, anche se di discontinuo valore, la restante produzione in lingua latina (da citare i poemi Veianus, 1891; Gladiatores, 1892; Fanum Apollinis, 1904; Thallusa, 1911). ■ “Myricae” e “Canti di Castelvecchio”

Fin dall’esordio, quasi senza rendersene conto, Pascoli scardinò dall’interno la lingua della poesia italiana, con esiti sorprendenti. Emblematico da questo punto di vista il sonetto Rio Salto, scritto nel 1877, quando il poeta non aveva ancora compiuto ventidue anni, e confluito poi in Myricae: Carducci, che in quello stesso anno pubblicava le Odi barbare ed era 256

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

il nuovo maestro, appare già alle spalle, se non per qualche concessione vagamente oleografica che ancora aleggia nelle curve del verso. Domina nella poesia di Pascoli il mondo delle piccole cose, che farà scuola al D’Annunzio del Poema paradisiaco e a tutti i crepuscolari. Una poesia impressionistica, dunque, per certi effetti decadente, ma di un decadentismo privo di accenti morbosi o di malsane voluttà d’alcova: l’eros, o semplicemente l’amore per la donna, non esiste, se non per timidissime occhiate furtive. Siamo davvero davanti alla voce di un bambino mai diventato adulto, fermatosi a quel Dieci agosto in cui gli uccisero il padre e poi la famiglia. Accanto al mistero, che avvolge in un tutto l’infinità delle piccole cose e delle grandi e quasi precipita nel nulla, la morte, che ne è diretta emanazione, permea di sé la vita. Ma non si tratta della morte romantica, intrisa di ideali fino a diventare addirittura “bella”: qui la morte è personale, chiusa nell’orto domestico degli affetti, delle care memorie personali; è la voce dei morti, eco e ricordo di cose lontane, perdute nel breve paradiso dell’infanzia. In quel paradiso senza luce e senza ombre Pascoli si rivede bambino, diventa Zvanî, Giovannino, la voce stessa di sua madre nella morbida cadenza del dialetto, il richiamo del cuore e della casa avita, del tempo che fu e non torna, ma che egli si ostina a richiamare. Pascoli dà il meglio di sé e attinge la perfezione in queste malinconie venate di pace agreste, di spighe mature, di brume mattutine o tepidi crepuscoli che sfanno nell’azzurro nell’ora che pensa ai suoi cari. Qui, in questa straordinaria bellezza, l’evocazione non è che una struggente preghiera della sera. Senza dubbio ci vuol poco per cadere nei gorghi del facile effetto e del sentimentale, nella lacrima facile. Ma il Pascoli migliore, “l’ultimo figlio di Virgilio” come lo definì D’Annunzio (e il titolo Myricae è tratto da un verso delle Bucoliche che ricorda le “umili tamerici”), non vi cade mai: li sfiora, li vede, ma se ne tiene lontano. Sono queste la sua forza e la sua grazia, quel che fa della sua opera un esempio straordinario di poesia moderna. Gli ultimi versi de La mia sera (ancora dai Canti di Castelvecchio) sembrano contenere in essenza il “profumo” di Pascoli, lo fanno sentire in tutta la sua fragranza: ogni parola, e persino i punti di sospensione, hanno un significato o rimandano a un luogo ben preciso della sua geografia reale e onirica: “là, voci di tenebra azzurra... / Mi sembrano canti di culla, / che fanno ch’io torni com’era... / sentivo mia madre... poi nulla... / sul far della sera”. Pascoli dunque non si limita a evocare la natura con un richiamo indiretto, ma misteriosamente la nasconde sotto la sua scrittura poetica, in un gioco sottile di assonanze e

Il mondo delle piccole cose

Il mistero della morte

La malinconica pace agreste

Una poesia che sfiora il sentimentale ma non vi cade

La ricerca linguistica

257

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

LA POETICA DEL “FANCIULLINO” Secondo quanto è teorizzato nel famoso saggio Il fanciullino, che Pascoli scrisse per la rivista “Il Marzocco” nel 1897 e in cui espresse i canoni della propria poetica, nella poesia parla una voce “fanciulla”, una voce che guarda e sente le cose con meraviglia, cogliendone il mistero in forma diretta e indifesa, per brevi lampi e raffinati tocchi di colore. Pa-

scoli crede che la poesia sia regressione, caduta in una condizione quasi “inconscia”, dove è finalmente possibile trascrivere, piuttosto che rappresentare, i segreti delle cose. Il “fanciullo” è molto più che una semplice proclamazione di innocenza: è possibile riconoscervi la radicale adesione della parola all’ombra dei misteri e del dolore.

di riverberi onomatopeici (la trascrizione mimetica del suono di una campana o del verso di un uccello). Tutto questo è il frutto di una sapienza letteraria che ha pochi confronti. Qui gli affetti si librano in un sogno notturno, diventano il simbolo di un dolore perenne. ■ Le raccolte successive

Il mito classico, poi storico e civile

Il virtuosismo decadente

Nei Primi poemetti, poi nei Poemi conviviali, e ancor più da Odi e inni in avanti, questa felicità espressiva fatta di inquiete vibrazioni della parola, questi toni al tempo stesso concreti e indeterminati vengono meno, si corrompono. Quegli stessi termini tecnici, arcaici e popolari che in Myricae e nei Canti di Castelvecchio danno sapore alla sensazione e anzi la svelano, qui, uniti al frequente ricorso a frasi ed espressioni tratti da altre lingue, perdono vigore, sfaldandosi nella loro stessa abbondanza. Lo sforzo di rinnovamento porta al mito, prima classico e poi storico e civile; anche se spesso la soluzione è generica e superficiale (salvo alcuni esiti felici nei Poemi conviviali, dove Ulisse, Alessandro, Socrate, Saffo, Esiodo e altri personaggi della classicità sono rivissuti nella nostalgia dell’idillio come emblemi di un passato fattosi sogno). Quanto più il poeta esce da se stesso e dal suo mondo per cercare altri approdi, tanto più diventa decadente: il virtuosismo sostituisce la virtù espressiva e la lingua si fa linguaggio “speciale”, ricco di orpelli, bizantino, parnassiano, ma forse privo di quella bellezza radicale e sapienziale riconoscibile nelle opere maggiori. ■ Il giudizio critico

Poeta di crisi 258

Pascoli resta un grandissimo poeta: l’unica risposta possibile – per certi versi opposta – alla grandezza di Leopardi. Pascoli mise in atto una rivoluzione radicale, anche se lieve, sotterranea o, come disse Giacomo Debenedetti, “inconsapevole”. Poeta di crisi perché privo di certezze, immise in forme

9 - Fra Ottocento e Novecento: la stagione decadente

antiche il soffio di una sensibilità già novecentesca, pervasa dal dubbio e non più in grado di dare risposte assolute. Artista di trapasso (se si vuole di compromesso), inaugurò e percepì le inquietudini che erano nell’aria. Grande fu la sua influenza presso i crepuscolari, giungendo fino a lambire alcuni aspetti dell’ermetismo. La sua sperimentazione, spinta al L’influenza limite del balbettio e dello sgretolamento metrico e pro- sul Novecento sodico (onomatopea, uso del parlato, multilinguismo), ebbe non poca parte nell’evoluzione di poeti del Novecento come E. Montale, U. Saba, C. Betocchi, soprattutto per il modello stilistico, il timbro dell’espressione, la possibilità stessa del conoscere poetico.

SCHEMA RIASSUNTIVO DECADENTISMO

D’ANNUNZIO Vita

Opere

PASCOLI Opere

Poetica

Il decadentismo si sviluppa a partire dagli anni ’80 e con origine a Parigi. In opposizione al positivismo esalta l’irrazionalità, il mistero, l’estetismo e la prospettiva simbolista. Gabriele D’Annunzio (1863 -1938) vive sprezzante di ogni morale comune, buttandosi con lo stesso ardore nella vita privata e pubblica e nella produzione letteraria. Affronta quasi tutti i generi letterari. Tipico esponente del decadentismo, ha il grandissimo merito di sprovincializzare la nostra letteratura. Periodo verista: Canto novo (1882), Novelle della Pescara (1902). Periodo decadente: i romanzi Il piacere (1889), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894); in poesia, Poema paradisiaco (1893). Produzione teatrale: La figlia di Iorio (1904), La fiaccola sotto il moggio (1905), La nave (1908). Il capolavoro poetico: Laudi: Maia (1903), Elettra (1903) e Alcyone (1904). Ultimo periodo: La Leda senza cigno (1913), Notturno (1921), Libro segreto (1935). Giovanni Pascoli (1855-1912) vive un’infanzia e gli anni giovanili turbati da gravi lutti familiari. Dopo anni di impegno politico, diviene docente universitario. Opere poetiche: Myricae (1891); i Poemetti (1897); i Canti di Castelvecchio (1903); Poemi conviviali (1904), Odi e inni (1906); Canzoni di re Enzio (1911); Poemi italici (1911); Poemi del Risorgimento (1913, postumo). Notevole anche la sua produzione in latino. Nella poesia parla una voce “fanciulla”, che coglie il mistero in forma diretta e indifesa, per brevi lampi e raffinati tocchi di colore. La poesia è la trascrizione del mistero delle cose. La sua poesia simbolista, la sperimentazione espressiva riescono a gettare le basi per la grande esperienza poetica del Novecento.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono le tematiche e gli esiti formali del decadentismo? 251a 2. Che cosa era per D’Annunzio il “vivere inimitabile”? 252b 3. Come appaiono l’uomo e la natura in Alcyo-

ne? 253b 4. Come appare la natura in Pascoli? 257b 5. Qual è la differenza tematica e stilistica fra i Canti di Castelvecchio e i Poemi conviviali? 258 6. Cos’è la “poetica del fanciullino”? 258a

259

IL NOVECENTO 1 Al di là del decadentismo 2 Benedetto Croce e il dibattito critico 3 Luigi Pirandello 4 Italo Svevo 5 La nuova poesia: Saba e Ungaretti 6 Gli anni Venti e Trenta 7 Surrealismo e realismo 8 L’ermetismo 9 Eugenio Montale 10 Carlo Emilio Gadda 11 Il neorealismo 12 Il realismo critico 13 La poesia dialettale del Novecento 14 La poesia del dopoguerra 15 Sperimentalismo e neoavanguardia 16 Elsa Morante e le narratrici 17 Italo Calvino 18 Gli ultimi trent’anni

L’inizio del secolo fino alla guerra mondiale è ancora caratterizzato dall’influsso dei tre grandi poeti a cavallo tra Otto e Novecento: Carducci, Pascoli e D’Annunzio. A Carducci e D’Annunzio si ribellano per via ironico-esistenziale il crepuscolarismo e il cenacolo della “Voce”, e per quella avanguardistica il futurismo. Al contrario la sperimentazione pascoliana viene accolta come modello di stile. Parallelamente si realizzano le due maggiori esperienze letterarie di livello europeo: la drammaturgia di Pirandello e la narrativa di Svevo. Gli anni ’20, accanto a chiari segni di richiamo alla tradizione, vedono l’affermarsi di due grandi personalità: Ungaretti e Montale. L’ermetismo, che contraddistingue il decennio successivo, sembra concentrare la creatività poetica sulle valenze puramente espressive della parola, cercando rifugio dalla realtà storica in una vaga dimensione religiosa. La seconda guerra mondiale costringe a compiere scelte decisive e drammatiche e rimette in moto una concezione della letteratura segnata dall’impegno politico-civile, che avrà nel neorealismo il suo momento culminante. L’esordio di scrittori come Pasolini, Sciascia e Calvino si affianca al già sicuro magistero linguistico e intellettuale di Moravia e Gadda, destinati a svolgere un ruolo guida nei decenni successivi. Il sempre più accentuato contrasto tra cultura e società ispira la contestazione e l’impegno delle neoavanguardie degli anni ’60. Nell’ultimo quarto di secolo, a un progressivo affievolirsi della poesia in lingua, si contrappone il rifiorire dei poeti dialettali. Nella prosa prevale un generale appiattimento sulla cronaca, alla ricerca di trame narrative di non ampio respiro vicine al taglio delle sceneggiature cinematografiche.

1 Al di là

del decadentismo

Il secolo si apre all’insegna della ricerca espressiva e teorica. In Italia e in Europa dominano le “avanguardie”. La presenza di Pascoli e D’Annunzio è ancora molto forte. Le prospettive letterarie del primo decennio possono essere così schematizzate: il crepuscolarismo, che rovescia il mito romanticodecadente del poeta in favore di una nuova ironica semplicità; il futurismo, che si propone come nuovo linguaggio della modernità; il dibattito delle riviste e l’apertura alla poetica del “frammento”, cioè l’avvio a una nuova tensione poetico-morale. Dal primo dopoguerra la letteratura trova una testimonianza assolutamente originale e ormai libera da qualsiasi modello decadente.

Il crepuscolarismo Il critico G.A. Borgese parlò per primo di “crepuscolarismo” in un articolo sul giornale “La Stampa” del 1910 per definire la collocazione storica di una tendenza letteraria che costituiva, secondo lui, il tramonto, il crepuscolo appunto, della grande tradizione poetica italiana dell’Ottocento e nella quale si riconoscevano principalmente i poeti G. Gozzano, S. Corazzini, M. Moretti, C. Govoni. Questi poeti non costituirono una scuola o un movimento; furono piuttosto accomunati dal rifiuto polemico della retorica carducciana e del mondo estetizzante di D’Annunzio e uniti dall’adesione a una poesia intimista, fatta, come dice Gozzano, di “buone cose di pessimo gusto”. Maestri prediletti furono il Pascoli della poetica del “fanciullino” e il D’Annunzio meno retorico del Poema paradisiaco (v. a pag. 255).

Una poesia intimista che rifiuta la retorica carducciana e l’estetismo dannunziano

■ Il mondo poetico crepuscolare

La poesia crepuscolare illustra situazioni ricorrenti, attinte per lo più dal piccolo mondo della provincia. Si descrivono gli arredi pretenziosi del “salotto buono” della piccola borghesia o le stanze d’un ospedale. Si lamenta la noia dei pomeriggi domenicali e lo stanco trascinarsi della vita d’ogni giorno, situazioni elette a simboli d’un malessere di vivere che nasce dalla crisi d’ogni certezza. I poeti non credono più ai valori tradizionali, né filosofici, né politici né scientifici, si sentono soli e incompresi e si chiudono nel proprio disagio, che conosce lo smarrimento di fronte al reale e il ripiegamento in se

Il mondo della provincia La noia della vita quotidiana e il malessere di vivere

263

1 - Al di là del decadentismo

Linguaggio colloquiale

Salute minata

Il viaggio in India

La poetica

stessi, lo sguardo distaccato e ironico capace di proteggere da ogni coinvolgimento emotivo. In accordo con i temi quotidiani e dimessi, il crepuscolarismo ricerca un tono basso, colloquiale, un andamento prosastico e discorsivo. Il linguaggio si adegua alla semplicità della materia. ■ Guido Gozzano Il torinese Guido Gozzano (1883-1916) è forse il maggiore poeta crepuscolare. Non terminò gli studi giuridici e frequentò i circoli intellettuali. Del 1907 è la prima raccolta La via del rifugio, che venne ben accolta. Nello stesso anno l’aggravarsi della tubercolosi sollecitava subito di recarsi nel sanatorio di Davos, sulle Alpi svizzere, invece, con una scelta inopportuna, egli decise di recarsi al mare, presso Genova. Negli anni successivi, con alterne speranze e peggioramenti, trascorse lunghi periodi tra la Riviera ligure e la montagna piemontese, preparando la seconda raccolta, I colloqui (1911), che ripeté il successo della prima. La malattia non gli dette tregua; nel 1912 si recò in India alla ricerca di un’impossibile guarigione. Rientrò in Italia pochi mesi dopo e scrisse sulla “Stampa” interessanti resoconti, raccolti poi nel volume Verso la cuna del mondo (1917, postumo), mentre distrusse le poesie erotiche scritte durante il viaggio. Nel 1914 pubblicò alcune parti frammentarie del poemetto Farfalle. Epistole entomologiche, che rimase incompiuto, e raccolse in volume I tre talismani, sei fiabe scritte per il “Corriere dei piccoli”. Dopo la morte vennero edite La principessa si sposa (1917); L’altare del passato (1918); L’ultima traccia (1919). Il carattere principale delle sue poesie è un’ironia sottile e dissacrante espressa con una scelta precisa di contenuti, stile e lessico. Lirismo e prosaicità convivono in un equilibrio insolito nella tradizione italiana. Nascono veri e propri personaggi, come Totò Merùmeni, esteta e libertino, l’avvocato nostalgico del poemetto La signorina Felicita, la Carlotta di L’amica di nonna Speranza, immersa nella luce ambigua di un salotto antico pieno di “buone cose di pessimo gusto”. Se nei Colloqui il registro polemico e quello nostalgico sono dichiaratamente crepuscolari, nello splendido abbozzo del poema incompiuto Farfalle, il tono risulta improvvisamente elevato e dolente, con accenti che ricordano l’ultimo Leopardi. ■ Sergio Corazzini

Il romano Sergio Corazzini (1886-1907), animatore di un cenacolo letterario, minato dalla tubercolosi, morì giovanissimo. Pubblicò in vita le raccolte di versi: Dolcezze (1904); L’amaro calice e Le aureole (1905); Piccolo libro inutile, 264

1 - Al di là del decadentismo

Elegia (una sola poesia di ottantatré endecasillabi) e Libro per la sera della domenica (1906). Postume apparvero le Liriche (1908 e 1922). Esponente tipico del crepuscolarismo, con forti echi dei simbolisti francesi e fiamminghi, ha composto versi in cui la vita diventa attesa quasi incorporea della morte, e la parola esprime una perenne malinconia, nelle forme di un sommesso e dolente monologo. La sua è una produzione esangue ed estenuata. ■ Corrado Govoni Corrado Govoni (1884-1965), nativo di Tàmara, presso Ferrara, fu autodidatta. Nel 1903, a meno di vent’anni, esordì con due raccolte: Le fiale, in stile dannunziano, e Armonia in grigio et in silentio, di toni crepuscolari ma anche ironici, seguite da Fuochi d’artificio (1905) e Gli aborti (1907). Si avvicinò quindi alla poetica del futurismo con le raccolte: Poesie elettriche (1911); Rarefazioni (1915); Inaugurazione della primavera (1915 e 1920). Dopo alcuni romanzi, tra cui La strada sull’acqua (1923) e Misirizzi (1930), tornò alla poesia con componimenti in cui prevalgono un accentuato decorativismo e la ricerca di un ritmo tenue e cantabile: Il quaderno dei sogni e delle stelle (1924); Canzoni a bocca chiusa (1938); Govonigiotto (1941). La raccolta Aladino (1946) fu scritta in memoria del figlio ucciso alle Fosse Ardeatine. Le ultime raccolte sono Stradario della primavera (1958) e La ronda di notte (1966, postumo). La sua opera è un repertorio ricchissimo d’immagini, ordinate secondo un procedimento accumulativo e allusivo. Un procedimento accumulativo ■ Marino Moretti e allusivo Marino Moretti (1885-1979), di Cesenatico, visse a lungo a Firenze dove frequentò una scuola di recitazione e conobbe A. Palazzeschi, G. Papini e G. Prezzolini. Al 1905 risale la prima raccolta di versi Fraternità, seguita da Poesie scritte col lapis (1910), Poesie di tutti i giorni (1911), Il giardino dei frutti (1915). Rifiutò tutti i modelli poetici, se si esclude l’influenza di Pascoli, contrapponendo alla poesia dei suoi tempi una poesia senza “remo” né “ali”, senza verità da trasmettere, secondo i moduli della poesia crepuscolare. Ne scaturisce un mondo minimo, grigio e triste nella sua mediocrità quotidiana, fatto di cose semplici e comuni, di lessico elementare, di ricordi dell’infanzia, degli affetti più im- Un mondo minimo, portanti, come quello della madre. Si dedicò anche alla nar- mediocre rativa, componendo romanzi che ottennero un discreto successo di pubblico: I puri di cuore (1923) e La vedova Fioravanti (1941) sono i risultati più significativi della sua va-

265

1 - Al di là del decadentismo

La narrativa

UN CASO A PARTE: ALFREDO PANZINI Lo scrittore Alfredo Panzini (1863-1939), allievo di G. Carducci, insegnante per molti anni, collaborò a numerose riviste e nel 1929 fu nominato Accademico d’Italia. I suoi primi romanzi (La lanterna di Diogene, 1907; Il viaggio di un povero letterato, 1919) non si possono certo definire libri

crepuscolari, però il tono sobrio e medio, qualcosa di provinciale eppure di quotidiano, fanno pensare a una specie di delicato classicismo. Di grande successo di pubblico i romanzi Io cerco moglie! (1920) e Il padrone sono me! (1921), che tuttavia rivelano una generica superficialità narrativa.

sta produzione. In vecchiaia tornò alla poesia con ben quattro raccolte: L’ultima estate (1969); Tre anni e un giorno (1971); Le poverazze. Diario a due voci (1973); Diario senza le date (1974).

Il futurismo Il futurismo è il movimento d’avanguardia più importante di inizio secolo. Si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali; cerca un linguaggio adeguato alla nuova civiltà delle macchine e basato sul vitalismo dell’epoca moderna. Il futurismo coinvolge tutte le forme artistiche dando origine a veri e propri capolavori nell’ambito delle arti plastiche e visive. Volle essere soprattutto un nuovo costume rivoluzionario di vita individuale e collettiva; per questo si diffuse in vari modi in tutta Europa e finì per anticipare l’ideologia fascista. ■ Caratteri generali

Le trasformazioni socio-economiche e tecnologiche

Nuova concezione della cultura Il primo “Manifesto del futurismo”

266

Alla base del futurismo fu l’intuizione che la cultura del Novecento non avrebbe potuto non tener conto dei poderosi processi di trasformazione socio-economica in atto: la rapida industrializzazione, la nuova struttura e la nuova funzione delle città, il trionfo della velocità, protagonista dei mezzi di comunicazione (come la radio) e dei mezzi di trasporto (l’automobile, l’aereo e in generale quelli mossi dal motore a scoppio), infine la stessa violenza distruttiva delle nuove armi. Ai futuristi risultò inadeguata la vecchia concezione della cultura come riflessione e comprensione razionale della realtà; così le contrapposero l’idea di una cultura incentrata sul bisogno di agire e su un progetto artistico capace di rappresentare il dinamismo. L’elaborazione teorica fu affidata ai cosiddetti “manifesti”. Il primo Manifesto del futurismo fu pubblicato il 20 febbraio 1909 da F.T. Marinetti, sulle pagine del quotidiano “Le Figaro” di Parigi e richiamava l’atto di fondazione di un movimento politico: i futuristi aspiravano a modificare radical-

1 - Al di là del decadentismo

mente la società. Il futurismo, dunque, si pose in un’ottica Ottica antiborghese dichiaratamente antiborghese: fu contro il perbenismo, ogni forma di tradizione, il parlamentarismo e la democrazia; sostenne invece la positività assoluta del gesto ribelle e libertario, dell’eroismo fine a se stesso, del disprezzo dei sentimenti, della guerra come “sola igiene del mondo”. Tra i vari successivi manifesti che ribadivano e ampliavano l’intento provocatorio del primo, il più interessante per l’elaborazione culturale e le conseguenze fu il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), che propose la distruzione di tutti i nessi sintattici per lasciare le “parole in libertà” e rea- Parole in libertà lizzare l’espressione dell’“immaginazione senza fili”, fondata su un uso estremo dell’analogia e dell’onomatopea per restituire sulla pagina l’effetto bruto e immediato del rumore. Una “rivoluzione tipografica” doveva realizzarsi con l’abolizione della punteggiatura e l’assunzione di una grafica capace di trasmettere immediatamente la diversa importanza delle parole. Apparvero anche manifesti tecnici di altre arti quali la pittura, la musica e l’architettura. Il Manifesto del teatro futurista sintetico (1915) suggeriva di sorprendere il pubblico con spettacoli brevissimi o addirittura inesistenti per provocarne la reazione anche violenta. Le posizioni del fu- Le posizioni politiche turismo italiano in ambito politico trovarono espressione sulla rivista “Lacerba”, furono meno originali e rimasero legate a forme di nazionalismo. Allo scoppio della prima guerra mondiale i futuristi si schierarono decisamente a favore dell’interventismo e parecchi di loro partirono volontari. ■ Filippo Tommaso Marinetti

Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), teorico del futurismo, nacque ad Alessandria d’Egitto, dove compì gli studi liceali; si laureò poi in lettere alla Sorbona di Parigi. Scrisse in francese le sue prime opere: I vecchi marinai (Les vieux marins, 1898); La conquista delle stelle (La conquête des étoiles, 1902); Distruzione (Destruction, 1904); la migliore è Il re Baldoria (Le roi Bombance, 1905), tragedia satirica contro la democrazia. Dopo la pubblicazione dei primi manifesti futuristi, curò l’antologia Poeti futuristi (1912). In quegli anni uscirono le sue opere più significative: Mafarka il futurista (1910) e la raccolta poetica Zang Tumb Tumb. Adrianopoli, Ottobre 1912 (1914), testi affidati a un’esasperata sperimentazione. Lo scoppio della prima guerra mondiale accentuò l’impegno politico di Marinetti che si schierò a favore dell’intervento, riunendo i suoi discorsi nel volume Guerra sola igiene del mondo (1915); nel dopoguerra aderì al Partito Fascista. Esaltato dal regime, nel 1929

L’impegno futurista

L’impegno politico L’adesione al Partito Fascista 267

1 - Al di là del decadentismo

Giudizio critico

Autobiografismo lirico

L’esperienza futurista

Il passaggio al realismo

268

fu nominato Accademico d’Italia e da allora tutto dedicato alla propaganda di governo. Pubblicò numerose opere autobiografiche, tra cui L’alcova di acciaio (1927); Scatole d’amore in conserva (1927); La grande Milano tradizionale e futurista (1969, postumo); Una sensibilità italiana nata in Egitto (1969, postumo). Marinetti ebbe un ruolo di rilievo sulla scena europea per la capacità di organizzare e propagandare le nuove forme espressive; impose il modello dell’avanguardia in antitesi con il gusto estetico del pubblico. ■ Ardengo Soffici Il toscano Ardengo Soffici (1879-1964) fu anche pittore di rilievo. Visse alcuni anni a Parigi a contatto con artisti e letterati. Tornato a Firenze (1907), prese parte all’esperienza della rivista “La Voce” (v. a p. 269), e nel 1913 fondò con G. Papini la rivista “Lacerba”. La raccolta poetica Bif§zf + 10. Simultaneità. Chimismi lirici (1915) è il suo risultato poetico più significativo, dominato dall’esaltazione futurista della modernità e della civiltà tecnologica. Cercò un “autobiografismo lirico” (Ignoto toscano, 1909 e Autoritratto d’artista italiano nel quadro del suo tempo, apparso fra il 1951 e il 1955). Notevoli il romanzo Lemmonio Boreo (1911) e alcuni saggi di critica d’arte. Dopo la grande guerra visse la riconversione all’ordine e la restaurazione della tradizione letteraria, in sintonia con la politica fascista. ■ Aldo Palazzeschi Il fiorentino Aldo Palazzeschi (pseudonimo di Aldo Giurlani, 1885-1974), divenne entusiasta seguace del futurismo, ma ruppe con Marinetti perché contrario all’interventismo, vivendo da allora prima a Parigi, quindi di nuovo in Italia, appartato dalla cultura ufficiale. È autore del più bel testo di narrativa futurista, Il codice di Perelà (1911), e di alcuni testi poetici sperimentali raccolti nell’Incendiario (1913) e poi ampliati in Poesie (1925), dove mostra un uso grottesco della parola dotta, ma completamente svuotata di significato. Dopo la rottura con il futurismo, espresse una narrativa meno sperimentale e più realistica. Due imperi...mancati (1920, contro la guerra), le novelle raccolte nei volumi Il re bello (1921), Il palio dei buffi (1937), Bestie del ‘900 (1951), confluiti alla fine in Tutte le novelle (1957) e a cui succedette Il buffo integrale (1966), mostrano un realismo irregolare e ribelle e una rappresentazione del mondo piccolo-borghese. Elementi più patetici sono riscontrabili invece nei romanzi La piramide (1926) e soprattutto nel capolavoro So-

1 - Al di là del decadentismo

relle Materassi (1934), I fratelli Cuccoli (1948) e Roma (1953). Le opere della vecchiaia rivelano un nuovo equilibrio fra leggerezza sperimentale e densità poetica narrativa: importanti i romanzi Il doge (1967), Stefanino (1969), Storia di un’amicizia (1971) e le raccolte poetiche Cuor mio (1968) e Via delle cento stelle (1972). Palazzeschi, nella sua Giudizio critico lunga carriera letteraria, è stato capace di rinnovarsi, passando dalle esperienze d’avanguardia del primo Novecento ai fermenti neorealistici del secondo dopoguerra.

“La Voce” e la poetica del “frammento” “La Voce” è una delle principali riviste dei primi del Novecento: il suo lavoro rappresenta e sintetizza il grande dibattito culturale che allora si produsse intorno alle riviste letterarie. Le pubblicazioni iniziate a Firenze il 20 dicembre 1908, proseguite fino al 31 dicembre 1916, furono dapprima settimanali, poi (dal 1913) quindicinali. Fu diretta fino al 1914 da G. Prezzolini, tranne il breve periodo (aprile-ottobre 1912) in cui la direzione passò a G. Papini; dal 1914 venne diretta dal critico G. De Robertis (1888-1963) di Matera. Il progetto iniziale della rivista fu di carattere etico-politico, di chiara matrice crociana: la rivista ebbe il merito di diffondere la filosofia di B. Croce fra le nuove generazioni di intellettuali. L’intento primario dei collaboratori fu quello di dare “voce” a interventi culturali diversi, ma tesi a realizzare una cultura onesta capace di una moralità superiore. Di qui il programma di svecchiamento della cultura tradizionale e l’attenzione a tutti i problemi che travagliavano il paese: nacquero inchieste sulla questione meridionale, sulla scuola, sulle nuove filosofie e sulle nuove espressioni artistico-letterarie, con particolare attenzione alle battaglie delle avanguardie. Tutti i temi furono affrontati con grande impegno, riscontrabile sia nella seria documentazione sia nella tensione morale che permea gli articoli della rivista. Sotto la direzione di Prezzolini la rivista fu espressione di un “idealismo militante”, più vicino alle posizioni del filosofo G. Gentile che a quelle di B. Croce. Nella fase successiva al 1913, molti intellettuali (tra cui G. Papini e A. Soffici) abbandonarono la rivista. per dare vita al nuovo periodico “Lacerba”, anticrociano e futurista. A partire dal 1914 la rivista, diretta da G. De Robertis, si dedicò esclusivamente a questioni letterarie. Particolare attenzione fu rivolta alla questione del rinnovamento del linguaggio letterario: la rivista si fece manifesto soprattutto dell’espressionismo, che condusse i vociani a prediligere forme nuove d’espressione, quali il frammento lirico e il supera-

Progetto di matrice crociana Dar “voce” a una cultura onesta Le inchieste

La trasformazione in rivista letteraria

Il frammento lirico 269

1 - Al di là del decadentismo

mento della tradizionale diversità fra poesia e prosa quale ricerca autentica e dolorosa di verità esistenziale. Vi collaborarono molti intellettuali, in particolare: S. Slataper, G. Boine, P. Jahier, R. Bacchelli, U. Saba, A. Palazzeschi, R. Serra, G.A. Borgese, C. Sbarbaro, D. Campana, C. Govoni.

“Il mio Carso”

Anarchismo e bisogno di rigore

■ Scipio Slataper Il triestino Scipio Slataper (1888-1915) fu aperto alle istanze della cultura mitteleuropea e all’assidua lettura di autori tedeschi e nordici (ne derivò il saggio critico su Ibsen, pubblicato postumo nel 1916). L’opera più nota è Il mio Carso (1912), una sorta di lirico romanzo autobiografico attraversato da una tensione verso la distruzione selvaggia della vita, a cui tuttavia corrisponde il richiamo verso il mondo civile, verso una società più giusta e umana. Dopo aver sostenuto l’intervento in guerra dell’Italia contro l’Austria (Le strade d’invasione dall’Italia all’Austria, 1915), si arruolò volontario e morì in combattimento. Pubblicati postumi sono i suoi Scritti letterari e critici (1920), Scritti politici (1925) e l’epistolario Alle tre amiche (1958) che raccoglie le lettere inviate alle tre donne amate. ■ Giovanni Boine Il ligure Giovanni Boine (1887-1917) nella sua breve e irrequieta esistenza, sentì vivissima l’esigenza di reinterpretare la tradizione cattolica; collaborò alle riviste “Il Rinnovamento” e “La Voce”. Attento ai problemi sociali, si mosse fra un anarchismo individualistico e il bisogno di ordine, di rigore, di valori sicuri ai quali fare riferimento, che ritrovò nella vita e nella disciplina militare, come testimoniò nei Discorsi militari (1914). Osteggiò il neoidealismo di Croce con recensioni spesso polemiche e irriverenti (1914-1916) sulla “Rivista ligure”. Nel romanzo autobiografico, Il peccato (1914), manifesta l’insofferenza verso le costrizioni sociali, con metodo narrativo intenso e dall’andamento lirico. Frantumi (1918), ultima sua opera, è una raccolta di prose liriche e il risultato migliore della sua scrittura: sono frammenti in cui si avvale di soluzioni stilistiche vicine all’espressionismo, in forte rottura con la tradizione. ■ Piero Jahier

270

Il genovese Piero Jahier (1884-1966), figlio di un pastore valdese, rinunciò a gli studi teologici per una crisi religiosa, e s’impiegò alle Ferrovie dello Stato. Nel 1909 cominciò a collaborare con la rivista “La Voce”, pubblicandovi, con lo pseudonimo di Gino Bianchi, articoli, recensioni e testi letterari che testimoniano il suo profondo interesse religioso. Nel 1916

1 - Al di là del decadentismo

pubblicò Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi, libro di memorie d’infanzia che, con toni di satira anche violenta, ritrae l’insignificanza della vita e del lavoro borghese. Ufficiale degli alpini nella prima guerra mondiale, pubblicò poi la sua opera più nota Con me e con gli alpini (1919), mista di prosa e versi, esaltazione di un’umanità semplice e tenace, capace di sacrifici eroici. Dello stesso anno è Ragazzo, altissimo documento autobiografico che rievoca speranze e turbamenti della sua adolescenza.

Satira della vita borghese Esaltazione di un’umanità semplice e tenace

■ Carlo Michelstaedter Il goriziano Carlo Michelstaedter (1887-1910), di famiglia ebraica, si dedicò a studi di filosofia e di letteratura. Passato a Firenze collaborò alla “Voce”; si suicidò giovanissimo. Studioso delle filosofie pessimistiche e “negative” (F. Nietzsche e A. Schopenauer), nella sua tesi di laurea La persuasione e la rettorica (1913, postumo) mise a fuoco il problema di fondo della sua riflessione: l’impossibile rapporto fra il pensiero e la comunicazione nelle diverse organizzazioni sociali. Il saggio è un atto di accusa contro l’ipocrisia sociale e contro ogni istituzione culturale: la sua critica non risparmia le forme tradizionali del sapere, la pedagogia e il nuovo idealismo. Approfondì la sua meditazione negativa nel saggio Il dialogo della salute (1912, postumo). Le Poesie (1948, po- L’influenza stumo) risentono dell’influenza di Leopardi. L’Epistolario di Leopardi (1958, postumo) e la raccolta Scritti scolastici (1976, postumo) hanno evidenziato i legami esistenti fra Michelstaedter e la cultura europea del Novecento.

Il frammetismo espressionistico di Federigo Tozzi Federigo Tozzi (1883-1920) è uno dei più significativi autori del Novecento, narratore di grande originalità. ■ La vita e le opere

Esasperato dai continui scontri con il padre, che non accettò mai la sua attività letteraria, Tozzi visse in miseria i primi anni del secolo tra la natia Siena e Roma. Nel 1908 ottenne un impiego a Pontedera presso le ferrovie, ma l’anno successivo, morto il padre e divenuto erede di una discreta fortuna, si licenziò, sposò Emma Palagi, e si trasferì nel podere di Casta- Il podere gneto. Per alcuni anni, in relativa tranquillità, collaborò con ri- di Castagneto viste minori; compose testi poetici (La zampogna verde, 1911; La città della Vergine, 1913) e compilò l’Antologia d’antichi scrittori senesi (Dalle origini a Santa Caterina) (1913). Pas271

1 - Al di là del decadentismo

Il trasferimento a Roma

Le opere

Doloroso autobiografismo

Confessione dell’incapacità di vivere

Espressionismo linguistico

272

sato da un’iniziale simpatia verso il socialismo a un acceso spiritualismo animato da un cattolicesimo reazionario, fondò con l’amico scrittore Domenico Giuliotti (1877-1956), la rivista “La Torre” (1913), che si autodefinì l’“organo della reazione cattolica”. Per la cattiva amministrazione del patrimonio in breve dovette vendere il podere e trasferirsi (1914) con la moglie e il figlio Glauco a Roma, dove pubblicò i brevissimi racconti di Bestie (1917), che gli aprirono la strada alla collaborazione con varie riviste. In pochi anni scrisse le opere più importanti: romanzi, novelle e testi teatrali, in gran parte già abbozzati precedentemente. Prima della morte, a Roma, pubblicò i romanzi Con gli occhi chiusi (1919) e Tre croci (1920). Postumi furono pubblicati le novelle Giovani, L’amore, Ricordi di un impiegato (tutte nel 1920), Il podere (1921) e l’incompleta Gli egoisti (1923), il romanzo epistolare Novale (1925), costituito dalle lettere inviate alla fidanzata. ■ Tematiche e stile L’arte di Tozzi trae origine dalla rappresentazione di una materia fortemente autobiografica, fatta di ricordi ancora dolorosi, di fobie, di pulsioni profonde che attraversano il suo animo. Tema del primo romanzo, Con gli occhi chiusi, forse l’opera migliore, è l’iniziazione sentimentale ed erotica di un adolescente e presenta infiniti punti di contatto con la vita dell’autore. L’ambiente è una Siena opprimente, che fa da sfondo anche alla drammatica storia dei tre fratelli librai protagonisti inetti, meschini e sventurati di Tre croci, e il podere di Poggio de’Meli, tanto simile al reale fondo agricolo di Castagneto che è al centro del terzo romanzo, Il podere, potente e desolata confessione dell’incapacità di amministrare, di scegliere e quindi di vivere dell’autore. Tutto questo contenuto esistenziale (e quello al centro dei Ricordi di un impiegato o presente in maniera quasi urlata nei frammenti di Bestie) si trasforma sulla pagina in una scrittura personalissima che si mantiene nella struttura dei periodi, nei costrutti verbali, negli aspetti fonetici vicino all’andamento della lingua parlata, ma acquista nell’insieme una grande carica espressionistica grazie al taglio con cui l’autore osserva le cose e avverte in esse il riflesso del proprio disagio esistenziale.

1 - Al di là del decadentismo

SCHEMA RIASSUNTIVO IL CREPUSCOLARISMO

Il mondo poetico crepuscolare si compone di situazioni ricorrenti, per lo più del piccolo mondo della provincia. I poeti non credono più ai valori tradizionali, filosofici, politici o scientifici imperanti. Si sentono soli e incompresi e si chiudono nel proprio disagio. La lingua è sempre dimessa e prosastica. Solo in Gozzano dominano un’ironia e autoironia lancinante.

Esponenti principali

Esponenti principali furono i poeti Guido Gozzano (1883-1916), Sergio Corazzini (1886-1907), Marino Moretti (1885-1979), Corrado Govoni (1884-1965).

IL FUTURISMO

Il futurismo è il movimento d’avanguardia più importante di inizio secolo. Si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali; cerca un linguaggio sperimentale ed eversivo, adeguato alla moderna civiltà delle macchine e basato su un atteggiamento che vuole riprodurre il vitalismo dell’epoca moderna. L’elaborazione teorica fu affidata ai cosiddetti “manifesti”.

Esponenti principali

Il rappresentante più significativo è Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), che pubblicò il primo Manifesto del futurismo (1909). Fra gli altri esponenti di rilievo: Ardengo Soffici (1879-1964) e Aldo Palazzeschi (1885-1974), il quale tuttavia dopo un’iniziale adesione al futurismo passa a una narrativa meno sperimentale e più realistica (Le sorelle Materassi, 1934).

“LA VOCE”

“La Voce” (1908-1916) è una delle principali riviste dei primi del Novecento. Il suo lavoro rappresenta e sintetizza il grande dibattito culturale d’inizio secolo. I vociani vogliono un forte impegno morale ed espressivo. La lingua poetica si apre al cosiddetto “frammentismo”, cioè a un’espressione poetica capace di trascrivere direttamente il dramma esistenziale.

Esponenti principali

Il triestino Scipio Slataper (1888-1915, autore del romanzo Il mio Carso, 1912); il ligure Giovanni Boine (1887-1917, autore del romanzo autobiografico Il peccato, 1914); il genovese Piero Jahier (1884-1966, che esaltò la vita di un’umanità semplice e tenace nel romanzo Con me e con gli alpini, 1919); il goriziano Carlo Michelstaedter (1887-1910, La persuasione e la rettorica, 1913).

FEDERIGO TOZZI

L’arte del senese Tozzi (1883-1920) trae origine dalla rappresentazione di una materia fortemente autobiografica, fatta di ricordi ancora dolorosi, di fobie, di pulsioni profonde del suo animo. La scrittura rispetta la struttura dei periodi, gli aspetti fonetici vicino all’andamento della lingua parlata, e acquista nell’insieme una grande carica espressionistica. Sue opere principali sono: Bestie (1917), Con gli occhi chiusi (1919), Tre croci (1920), Il podere (1921).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali sono i caratteri peculiari del crepuscolarismo? 263-264a 2. Qual è la caratteristica principale della poesia gozzaniana? 264b 3. In quale ottica culturale e sociale si pone il fu-

turismo? 266b-267a 4. Che cosa rappresentava il “frammento lirico” per i vociani? 269b 5. Qual è il carattere della scrittura di Tozzi? 272b

273

2 Benedetto Croce

e il dibattito critico

Il neoidealismo italiano segna la rinascita del pensiero hegeliano e la forte opposizione nei confronti del metodo positivista. Il pensiero di Croce e di Gentile si fece riferimento essenziale sia per lo storicismo sia per il liberalismo italiano. Attorno a questa rinascita filosofica di inizio secolo matura, in modo assai complesso e ricco, il pensiero di scrittori o saggisti come Papini, Prezzolini, Gramsci. La riflessione sulla letteratura, inoltre, anima in varie direzioni il lavoro critico di autorevoli figure quali Serra, Borgese, Cecchi e Debenedetti.

Benedetto Croce Benedetto Croce (1866-1952), figura centrale del neoidealismo, è stato il punto di riferimento dell’estetica della critica letteraria e della storiografia del Novecento italiano.

La ricerca storico-erudita

Il sodalizio con Gentile

L’attività politica Il “Manifesto” antifascista 274

■ La vita Nato a Pescasseroli, compì i primi studi a Napoli; a 17 anni, persi i genitori, venne accolto dallo zio Silvio Spaventa a Roma, dove s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Rientrato a Napoli nel 1886, Croce si dedicò alla ricerca storico-erudita, arrivando a una prima sistemazione teorica del rapporto tra storia, definita “rappresentazione del reale”, e arte, definita “rappresentazione del possibile”, nella “memoria” La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte (1893). Croce si interessò al marxismo su cui scrisse diversi saggi, poi raccolti in Materialismo storico ed economia marxistica (1900). Frattanto si occupava di letteratura, e diede un’esposizione organica della sua concezione dell’arte nell’Estetica come scienza dell’espressione (1902). Nel 1903 fondò con il filosofo e pedagogista siciliano G. Gentile (1875-1944) la rivista “La Critica”, nella quale pubblicò numerosi studi su scrittori italiani della seconda metà del sec. XIX, raccolti poi sotto il titolo La letteratura della nuova Italia (6 voll., 191440), nonché vari saggi storici, in parte raccolti nel volume Storia del Regno di Napoli (1925). Nel 1910 fu nominato senatore e divenne ministro della Pubblica istruzione nel governo 1920-21. Il sodalizio con Gentile si ruppe quando questi aderì al fascismo, mentre Croce si schierò risolutamente contro il nuovo regime pubblicando il Manifesto degli anti-

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

fascisti (1925). Pur astenendosi dalla politica attiva, Croce rimase costante punto di riferimento per gli intellettuali avversi alla dittatura e sviluppò accanto all’attività filosofica e critica un’intensa produzione storiografica i cui risultati più Le opere storiche importanti furono la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dell’età barocca in Italia (1929) e, infine, la Storia d’Europa nel secolo XIX (1932). Morì a Napoli. ■ La concezione filosofica Riferimento essenziale di Croce è il pensiero idealista del tedesco G.W. Hegel (1770-1831). L’idea fondamentale della “filosofia dello spirito” di Croce è che lo spirito (termine con il quale egli intende la realtà umana nella sua interezza) si articola in quattro forme distinte di attività: due teoretiche, la conoscenza intuitiva o conoscenza dell’individuale (che mette capo all’arte) e la conoscenza logica o conoscenza dell’universale (che è produttrice di concetti); e due pratiche, l’economica (o volizione del particolare) e l’etica (o volizione dell’universale). Lo spirito umano non si muove in senso univoco attraverso queste sue forme, ma “circola” liberamente per esse, determinandosi di volta in volta come spirito estetico o logico, economico o etico. L’opposizione che si manifesta all’interno d’ogni sfera (bello-brutto, vero-falso, utile-dannoso, bene-male) si risolve, infatti, per Croce in un nesso di “distinti”. Ciò vuol dire che il momento negativo d’una forma di attività è costituito dall’“interferenza” di un’altra forma in sé positiva. Così, per esempio, il brutto è l’interferenza nell’arte del pensiero astratto o dell’attività pratica, non è cioè la negazione o il “contrario” della conoscenza intuitiva (l’arte), ma qualcosa di diverso da essa, un “distinto”. La filosofia dello spirito crociana è esposta in quattro volumi: la già menzionata Estetica, la Logica come scienza del concetto puro (1909), la Filosofia della pratica. Economica ed etica (1908) e infine la Teoria e storia della storiografia (1917) nella quale culmina la propria concezione nella discussa identità di filosofia e storia.

La filosofia dello spirito

Il nesso dei distinti

Le opere

■ L’estetica e la critica letteraria

L’arte è l’attività teoretica dello spirito rivolta all’individuale: L’arte è intuizione essa è cioè “intuizione”, termine che non designa un’occulta o misteriosa facoltà dell’artista, ma la cognizione di questo o quell’oggetto individuale, reale o immaginario che sia. Dal momento però che l’intuizione, a differenza della sem- Intuizione plice sensazione, non è passiva ma attiva, essa è insieme ed espressione espressione. L’immagine che l’artista riproduce con il suo mezzo specifico è anzitutto rappresentazione d’un senti275

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

L’opera d’arte è un tutt’uno di forma e contenuto

mento, e come tale “liricità”: l’opera d’arte non è cioè semplice imitazione o riproduzione d’una realtà individuale, bensì del modo in cui l’artista vede o intuisce quella realtà; in essa dunque contenuto e forma sono tutt’uno. La conseguenza di questa teoria fu la negazione della rilevanza estetica dei generi letterari e la riduzione della storia letteraria a una serie di trattazioni separate dei singoli autori. Quanto alla critica letteraria, essa è per Croce una ricostruzione del processo creativo dell’autore fino alla scoperta del nucleo costitutivo della sua ispirazione e, da ultimo, a un giudizio che assegni l’opera alla sfera estetica (bello) o la escluda da essa Le opere di estetica (brutto). Dopo l’Estetica del 1902 Croce riprese più volte la e di critica letteraria propria teoria in Problemi di estetica (1910), nel Breviario di estetica (1912), nell’Aesthetica in nuce (1928) e infine in La poesia (1936), dove veniva riconosciuto anche all’espressione non strettamente lirico-poetica un suo valore artistico come “letteratura”. Efficaci esempi di critica letteraria sono i suoi saggi su Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), Goethe (1917) e La poesia di Dante (1921), nonché le tarde Letture di poeti (1950). ■ Il giudizio critico Il senso della ricerca di Croce dimostra una generale esigenza di serietà morale e di equilibrio formale, con una forte opposizione a tutto ciò che, nella letteratura, possa apparire decadente e negativo. Nei confronti della letteratura moderna e contemporanea fu rigido a favore dei classici, in conformità alla sua concezione dell’arte come armonica perfezione piuttosto che come ispirazione irrazionale. Quindi gli furono estranei autori e correnti innovatori e d’avanguardia.

Piero Gobetti Liberalismo integrale Il pensiero del torinese Piero Gobetti (1901-1926) è la testimonianza di un liberalismo integrale: l’esaltazione di un bisogno di idealità, di etica, di dignità letteraria e politica. Attratto dalla filosofia idealista, fondò la rivista “Energie nuove” (1918). Collaborò nel 1920 alla rivista di Gramsci “L’Ordine nuovo”, sulla quale tenne una rubrica di recensioni teatrali: i suoi interventi furono poi pubblicati nel volume La frusta teatrale (1923). Nel 1922 fondò la rivista “Rivoluzione liberale” dalle cui pagine elaborò una critica agli ideali del Risorgimento e auspicò un patto politico tra borghesia e proletariato. Significativo per la sua valutazione del Risorgimento è anche il saggio La filosofia politica di V. Al“Il Baretti” fieri (1923). Nel 1924 fondò la rivista letteraria “Il Baretti”, 276

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

alla quale collaborarono intellettuali come Croce, Montale e Cecchi: era suo intento aggregare le forze intellettuali italiane per opporsi al fascismo che si stava consolidando. Nel 1925 dovette interrompere la sua attività in seguito al venir meno della libertà di stampa. Aggredito e duramente percosso da squadristi fascisti, fuggì a Parigi, dove morì poco La fuga a Parigi dopo. La sua produzione fu raccolta e pubblicata postuma: Opere critiche (1926); Paradosso dello spirito russo (1926); Risorgimento senza eroi (1926).

Antonio Gramsci Antonio Gramsci (1891-1937), fondatore del Partito comunista, propose uno degli sforzi più importanti nel Novecento per definire una nuova coscienza nazionale. ■ La vita Allo scoppio della rivoluzione russa Gramsci fu tra i primi dirigenti socialisti a schierarsi in favore dei bolscevichi. Dopo la guerra, con A. Tasca, B. Terracini e P. Togliatti, Gramsci fondò l’“Ordine nuovo”, rivista di dibattito politico e culturale, a cui collaborarono anche intellettuali di estrazione non marxista, come P. Gobetti. Nel 1921 il gruppo di “Ordine Nuovo” uscì dal Partito socialista e diede vita al Partito Comunista d’Italia. Nel 1924, eletto deputato, fu tra i dirigenti dell’opposizione antifascista dopo l’assassinio di G. Matteotti nel 1926 fu arrestato e condannato a vent’anni di reclusione. In carcere la sua salute peggiorò; ottenne la libertà completa solo pochi giorni prima di morire. ■ Le opere e il pensiero Gramsci scrisse molto: la sua riflessione ha messo a fuoco alcune questioni fondamentali della storia d’Italia, in particolare quelle relative alla formazione e alla funzione degli intellettuali. Questo nodo trova largo spazio nei Quaderni del carcere (1929-34). Queste annotazioni vennero riunite per temi e pubblicate postume in sei volumi con i titoli redazionali: Il materialismo e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente (1948-51). La parte estetica della riflessione gramsciana riguarda prevalentemente il confronto con B. Croce, del quale, rifacendosi alla lezione di F. De Sanctis, rifiutava la concezione elitaria della cultura, auspicando l’avvento di un intellettuale “organico”, cioè partecipe dello sviluppo socia-

Fondazione di “Ordine Nuovo” e del Partito Comunista I lunghi anni di carcere

I “Quaderni del carcere”

L’intellettuale organico 277

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

Egemonia e coscienza nazionale

le. La cultura (le idee e la divulgazione) vive in una realtà dinamicamente politica e ha un ruolo decisivo per creare l’“egemonia” della classe operaia e fondare una nuova “coscienza nazionale”. Documento esemplare di dignitosa sofferenza sono infine le Lettere dal carcere, pubblicate nel 1947.

Il modernismo di Papini e Prezzolini Protagonisti di una cultura vivace, esuberante, che sperimenta e attacca radicalmente qualsiasi forma di cultura accademica, furono G. Papini e G. Prezzolini. Le riviste da loro fondate o a cui essi parteciparono attivamente, permisero la maturazione di una letteratura novecentesca finalmente autonoma dagli stanchi retaggi della cultura provinciale italiana.

“Un uomo finito”

La fondazione di “Lacerba” La conversione

L’adesione al fascismo

“Le schegge”

278

■ Giovanni Papini Il fiorentino Giovanni Papini (1881-1956) nel 1903 fondò il “Leonardo”, con lo scopo di combattere l’accademismo e l’immobilismo della cultura ufficiale. Diede la sua prima prova di narratore con i due volumi di racconti metafisici Tragico quotidiano (1906) e Il pilota cieco (1907). Nello stesso anno pubblicò Il crepuscolo dei filosofi, in cui attaccava con “briosa strafottenza” alcuni maestri del pensiero contemporaneo, da Kant a Hegel, da Schopenhauer a Nietzsche. Del 1912 è Un uomo finito, in cui è racchiusa tutta una tematica di ribellioni e di dissidi, nel quadro di un racconto autobiografico. In quel periodo, Papini scrisse moltissimo: oltre a saggi sul pragmatismo, i racconti di Parole e sangue (1912) e di L’altra metà (1912). Nel 1913 fondò con A. Soffici la rivista “Lacerba”, che divenne l’organo del futurismo italiano. Negli anni dopo la guerra si accostò al cattolicesimo e manifestò clamorosamente la sua conversione con la Storia di Cristo (1921), un libro di violenta polemica contro il materialismo contemporaneo. Seguirono il Dizionario dell’omo salvatico (1923) in collaborazione con D. Giuliotti, i versi di Pane e vino (1926), Sant’Agostino (1929), le prose di Gog (1931), Dante vivo (1933). Dal 1935 Papini aderì al fascismo e fu nominato accademico d’Italia. Alla fine della seconda guerra mondiale la fortuna di Papini sembrò definitivamente tramontata; ma nel 1946 con le Lettere di Celestino VI, nel 1949 con la Vita di Michelangiolo nella vita del suo tempo e poi con Il diavolo (1953) egli tornò improvvisamente alla ribalta, destando scalpore e interesse. Forse le pagine migliori di tutta la sua vastissima produzione furono le “schegge” apparse sul “Corriere della Sera”, poi riunite nel volume Le schegge (1971, postumo). Postumi anche Il giudizio uni-

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

versale (1957), La seconda nascita (1958), Diario (1962), Rapporto sugli uomini (1977). ■ Giuseppe Prezzolini Il perugino Giuseppe Prezzolini (1882-1982), autodidatta, attento ai più diversi richiami culturali e ideologici, si avvicinò a Parigi alla filosofia di H. Bergson e al pragmatismo. Nel 1903 fondò con G. Papini la rivista “Il Leonardo”, sulla quale firmò fino al 1907 articoli di impronta bergsoniana, venati di irrazionalismo e fortemente polemici verso il positivismo e il verismo. Nel 1906 pubblicò assieme a G. Papini il volume La cultura italiana, in seguito più volte riedito. Al 1908 risale la sua adesione alla filosofia crociana e la fondazione della rivista “La Voce”, che diresse fino al 1914. Interventista allo scoppio della prima guerra mondiale, fu ufficiale al fronte. Dal 1925 al 1929 lavorò presso un istituto culturale della Società delle Nazioni, e nel 1930 si trasferì a New York dove insegnò alla Columbia University. Tornato in Italia, si trasferì a Lugano da dove collaborò con vari giornali e riviste. Prezzolini svolse nei primi due decenni del Novecento una importantissima funzione di organizzatore culturale, di divulgatore di idee, passando con disinvoltura attraverso atteggiamenti diversi e contrastanti; la continuità era garantita dalla sua concezione dell’intellettuale come figura demiurgica, capace di guidare lo sviluppo storico e sociale. Nell’insieme la sua vasta opera è improntata a evidente conservatorismo. Tra i numerosissimi scritti si ricordano Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1902 al 1948 (1936-48); America in pantofole (1950) e America con gli stivali (1954), impressioni di viaggio legate all’esperienza americana; L’italiano inutile (1953), autobiografia intellettuale con una stimolante descrizione dei primi decenni del Novecento; L’Italia finisce, ecco quel che resta (1958), Dal mio terrazzo (1960); Dio è un rischio (1969).

La collaborazione con Papini

La fondazione della “Voce” Il soggiorno a New York Organizzatore di cultura

Un intellettuale conservatore

Il dibattito critico: Serra, Borgese, Cecchi, Debenedetti ■ Renato Serra Il romagnolo Renato Serra (1884-1915), di Cesena, fu forse il più grande critico letterario di inizio secolo. Partito da interessi classici (tesi di laurea sul Petrarca, 1904), si dedicò alla letteratura contemporanea italiana e straniera (l’inglese J.R. Kipling, i francesi Ch. Péguy e R. Rolland), lontano da

279

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

ogni preoccupazione di metodo, in realtà geniale precursore degli studi sui legami tra scrittura e fatti storici. Tutte le sue Opere uscirono postume (1919-23), tranne i suoi libri più belli: Le lettere (1914), un bilancio della letteratura italiana contemporanea, e l’Esame di coscienza di un letterato (1915), il suo capolavoro pubblicato prima di cadere in battaglia, in cui è riconoscibile l’intensità impressionistica di una riflessione intorno al senso dello scrivere e del leggere.

Una forte esigenza morale

I saggi critici

La narrativa

■ Giuseppe Antonio Borgese Il siciliano Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) manifestò una forte personalità di intellettuale e fu un fine cultore delle letterature straniere. Partito da una forte esigenza morale, gettò le basi del canone storiografico novecentesco. Superato l’iniziale dannunzianesimo (ne sancì il distacco con il saggio Gabriele D’Annunzio, 1909), si avvicinò a una concezione dell’arte legata alla vita nei suoi risvolti psicologici e morali. Interventista acceso, ma deluso dai risultati del conflitto, propose nel saggio Tempo di edificare (1923) un’idea di letteratura capace di contribuire a una nuova umanità. Di qui la valorizzazione dell’opera di scrittori come L. Pirandello e F. Tozzi. Rifiutò di prestare il giuramento al regime fascista ed emigrò negli Stati Uniti, dove insegnò dal 1931 al 1949. Famoso il suo saggio in inglese sul fascismo Golia, la marcia del fascismo (Goliath, the march of fascism, 1937), nel quale denunciò la matrice piccoloborghese del totalitarismo. Di rilievo gli interventi critici su G. Pascoli e su alcuni poeti che proprio da lui vennero chiamati “crepuscolari”. Fra i saggi si ricordano La vita e il libro (1931); Ottocento europeo (1927); Il senso della letteratura italiana (1931); Problemi di estetica e storia della critica (1952). Si dedicò anche alla narrativa: molte le raccolte di novelle, riunite in Le novelle (1950); numerosi romanzi nei quali analizza contorte situazioni psicologiche, spicca fra gli altri Rubè (1921), storia di un intellettuale siciliano piccoloborghese interventista deluso, che nel dopoguerra si ritrova svuotato di piccoli o grandi ideali proprio alla vigilia dell’avvento del fascismo. ■ Emilio Cecchi

Anglista 280

Il fiorentino Emilio Cecchi (1884-1966) è forse la mente saggistica più interessante di inizio secolo. Collaborò tra l’altro a “La Voce” (v. a p. 269), e fu tra i fondatori de “La Ronda” (v. a p. 298). Attento a tutti gli aspetti essenziali della cultura contemporanea (come il cinema, a cui si accostò anche come sceneggiatore), fu esperto di letteratura inglese e americana,

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

studiata durante i soggiorni negli Stati Uniti (1930 e 1938). I saggi, Scrittori inglesi e americani (1935) e America amara (1939), ebbero il merito di far conoscere all’Italia fascista la società e la cultura americane. La sua attività di critico è testimoniata da molti studi, fra i quali: L’arte di Rudyard Kipling (1911); La poesia di Giovanni Pascoli (1912). Pregevoli i saggi di critica d’arte. Con N. Sapegno (1901-1990) diresse un’importante Storia della letteratura italiana (9 voll., 1965-69). Il suo metodo critico, sorretto da una raffinata cultura, gli fa affrontare la pagina letteraria con l’intento di cogliervi lo spessore umano e la psicologia dello Spessore umano scrittore. Si dedicò anche alla scrittura creativa con brevi e e psicologia raffinatissime prose, pubblicate per lo più sulle terze pagine dello scrittore dei giornali, raccolte poi in Pesci rossi (1920), L’osteria del cattivo tempo (1927), Qualche cosa (1931), Corse al trotto (1936). ■ Giacomo Debenedetti L’opera critica del biellese Giacomo Debenedetti (19011967) è una straordinaria sintesi di esigenze realistiche in cui però maturano temi di natura surreale. Formatosi nella Torino di P. Gobetti, manifestò subito il suo interesse per gli scrittori di frontiera, come U. Saba e C. Michelstaedter, e per la letteratura europea più significativa, in particolare per l’opera del francese M. Proust, da lui ritenuto il caposcuola del romanzo contemporaneo. Superata l’iniziale adesione all’estetica di B. Croce, si avvicinò alla critica marxista, mentre s’interessava sempre più alla psicoanalisi, quale strumento d’indagine critica. Nelle tre serie di Saggi critici (1929; 1945; 1959), la sua ricerca si svolse in più direzioni: focalizzò l’attenzione sulla “cronaca interna” d’un autore per istituire continui rapporti fra biografia e poesia, fra letteratura e storia, utilizzando strumenti diversi, dall’analisi stilistica all’approccio psicanalitico. Particolare attenzione rivolse al personaggio narrativo, che considerò come frutto della storia occidentale. In questa direzione lesse le opere di F. Tozzi, L. Pirandello, I. Svevo, M. Proust, J. Joyce nei due saggi di fondamentale importanza: Il personaggiouomo (1970) e Il romanzo del Novecento (1971). Nei romanzi Amedeo e altri racconti (1926), Otto ebrei (1944) e 16 ottobre 1943 (1945), narrò le vicende di ebrei perseguitati dalle leggi razziali.

L’interesse per la letteratura europea

Critica marxista e psicoanalisi La cronaca interna

Il personaggio narrativo

281

2 - Benedetto Croce e il dibattito critico

SCHEMA RIASSUNTIVO CROCE

Giudizio

Filosofo fondatore del neoidealismo italiano, storiografo e critico lettarario, Benedetto Croce (1866-1952) è l’indiscusso riferimento dell’estetica e della critica letteraria del Novecento italiano. Formulò il concetto di intuizione-espressione, osservando che l’immagine che l’artista riproduce con il suo mezzo specifico è anzitutto rappresentazione di un sentimento: l’opera d’arte non è cioè semplice imitazione o riproduzione d’una realtà individuale, bensì del modo autonomo in cui l’artista vede o intuisce quella realtà; in essa dunque contenuto e forma sono tutt’uno. Convinto assertore di una concezione dell’arte come armonica perfezione, si oppose ad autori e correnti innovatori e d’avanguardia.

ANTONIO GRAMSCI

Antonio Gramsci (1891-1937), uno dei fondatori del Partito comunista d’Italia (1921), rifiuta la concezione elitaria della cultura, auspicando l’avvento di un intellettuale “organico”, cioè partecipe dello sviluppo sociale. Per lui la cultura (le idee e la divulgazione) vive in una realtà dinamicamente politica e assume dunque un ruolo decisivo per creare una nuova “egemonia” della classe operaia e fondare una nuova “coscienza nazionale”. Opere principali Quaderni del carcere (1929-34).

PAPINI E PREZZOLINI

Papini e Prezzolini, entrambi collaboratori della rivista “La Voce”, sono protagonisti di una cultura vivace, esuberante, spesso contraddittoria, mai vacua, che sperimenta e attacca radicalmente qualsiasi forma di cultura accademica. Di Papini (1882-1956), fondatore della rivista “Lacerba”, sono da ricordare Il crepuscolo degli dei (1907), Un uomo finito (1912); La storia di Cristo (1921), testimonianza della sua clamorosa conversione al cattolicesimo; Le schegge (1971, postumo) che raccolgono le sue pagine migliori. Prezzolini (1882-1982), fondatore della rivista “La Voce” (1908), fu un grande divulgatore di idee e di cultura. Stimolante descrizione dei primi decenni del Novecento è la sua autobiografia L’italiano inutile (1953).

IL DIBATTITO CRITICO

Espresso in varie direzioni dalla riflessione sulla letteratura, ha come principali protagonisti: Renato Serra (1884-1915), autore soprattutto di Esame di coscienza di un letterato (1915); Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) a cui si devono rilevanti saggi sulla letteratura italiana, sui crepuscolari, sul fascismo (Golia, la marcia del fascismo, 1937, in inglese), Le novelle (1950), e fra i romanzi, Rubè (1921); Emilio Cecchi (1884-1966), vociano tra i fondatori della rivista “La Ronda”, esperto di letteratura inglese e americana, è autore di una Storia della letteratura italiana (9 voll., 1965-69) e di brevi e raffinate prose giornalistiche (tra cui Pesci rossi, 1920, Qualche cosa, 1931); Giacomo Debenedetti (1901-1967), crociano avvicinatosi alla critica marxista e alla psicoanalisi, è autore di Saggi critici (1929; 1945; 1959) e dei fondamentali Il personaggio-uomo (1970) e Il romanzo del Novecento (1971), nei quali focalizzò la sua attenzione critica sul personaggio narrativo.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è l’idea fondamentale della “filosofia dello spirito” di Croce? 275a 2. Come precisa Croce il concetto di intuizioneespressione riferito all’arte? 275b 3. Che cosa intende Gramsci quando auspica l’avvento di un intellettuale “organico”? 277b

282

4. Quale fu l’apporto di Papini e Prezzolini alla vita culturale del primo Novecento? 278a 5. In quale modo, all’interno della storiografia letteraria italiana, si differenziano le esperienze critiche di Serra, Borgese, Cecchi e Debenedetti? 279b-280-281

3 Luigi Pirandello Luigi Pirandello compie una grande rivoluzione letteraria, specie nel teatro. Partito dal naturalismo, approda a una tecnica che, a differenza di quella ottocentesca, rinuncia all’unicità della voce narrante. Mostrare la “duplicità” comica e tragica dell’esistenza significa descrivere l’apparenza, le contraddizioni e le ambiguità tipiche dell’uomo del Novecento.

La vita e le opere Luigi Pirandello (1867-1936), nato a Girgenti, l’odierna Agrigento, fu educato in un clima di impegno politico segnato dalla delusione per l’insoddisfacente esito morale, civile ed economico delle vicende risorgimentali. Dopo gli studi liceali a Palermo, si iscrisse contemporaneamente alle facoltà di legge e di lettere. Scelti gli studi letterari, si trasferì a Roma, ma nel 1889 si iscrisse all’università di Bonn, dove nel 1891 si laureò in filologia romanza. Il soggiorno in Germania lo mise in contatto con le problematiche della cultura europea e lo accostò ai narratori romantici tedeschi. Tornato in Italia nel 1892, si stabilì a Roma e, col sostegno economico del padre, poté dedicarsi completamente alla letteratura, incoraggiato in ciò anche da L. Capuana. In questi anni stese il romanzo L’esclusa, uscito solo nel 1901, e pubblicò la prima raccolta di novelle, Amori senza amore (1894). Nello stesso anno sposò Maria Antonietta Portulano: fu un’unione difficile fin dall’inizio, anche per la loro distanza intellettuale. Nel 1895 pubblicò la raccolta di poesie Elegie renane, preceduta qualche anno prima dalle due raccolte Mal giocondo (1889) e Pasqua di Gea (1891), mentre andava intensificandosi la sua produzione di novelle. Nel 1897 ebbe un incarico presso la facoltà di magistero di Roma, passando in ruolo nel 1908. Nel 1903 un grave dissesto economico, che dissipò tutti i capitali della famiglia, provocò una gravissima crisi nervosa nella moglie, che da questo momento fu vittima di gravi disturbi mentali. Le difficoltà economiche e le costose cure per la moglie, costrinsero lo scrittore a intensificare la collaborazione con giornali, in particolar modo il “Corriere della Sera”, dove cominciò a pubblicare novelle, e riviste, come la “Nuova Antologia”, su cui uscì il romanzo Il fu Mattia Pascal (1904), che ebbe subito un notevole successo. Nel 1908 uscirono due saggi, Arte e scienza e L’umorismo, il secondo particolarmente impor-

Gli anni di formazione

Il soggiorno in Germania

L’esordio narrativo

Le raccolte poetiche

Le difficoltà economiche

I saggi teorici 283

3 - Luigi Pirandello

L’esordio teatrale

Il culmine creativo

L’adesione al fascismo

La compagnia teatrale

284

tante per la definizione della poetica pirandelliana, seguiti dai romanzi I vecchi e i giovani (1909, opera giovanile) e Suo marito (1911). Verso il 1910 stese alcuni atti unici per il teatro, ma il suo interesse principale era ancora rivolto alla narrativa e al cinema, per il quale scrisse soggetti. Nacque così il romanzo Si gira... (1915), ripubblicato nel 1925 in nuova versione con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Gli anni di guerra, molto duri per Pirandello, furono però anche anni molto fertili: scrisse infatti i suoi primi importanti testi teatrali, incentrati su situazioni limite, in cui il risvolto grottesco della vicenda evidenzia l’assurdo sempre presente nella vita quotidiana. Le opere più significative di questo periodo sono: Pensaci Giacomino (1916); Liolà (1916); Così è (se vi pare) (1917); Il berretto a sonagli (1917); Il piacere dell’onestà (1917); Il gioco delle parti (1918); L’uomo, la bestia e la virtù (1919). L’opera di Pirandello ottenne il successo con Tutto per bene (1920) e soprattutto con Come prima, meglio di prima (1920). È questo il momento della massima originalità creativa, culminata con il dramma Sei personaggi in cerca d’autore (1921), che procurò a Pirandello un successo mondiale. Lavorò al romanzo-saggio Uno, nessuno e centomila (1925) e stabilì consapevolmente un rapporto tra gli atti unici come L’uomo dal fiore in bocca (1923) e La giara (1925) e alcune delle proprie novelle, delle quali fu avviata la pubblicazione con il titolo di Novelle per un anno (1922); la raccolta completa (15 volumi) fu conclusa postuma nel 1937. Altre opere importanti di quegli anni furono Vestire gli ignudi (1922); La vita che ti diedi (1923); Ciascuno a suo modo (1924). Nel 1924 si iscrisse al Partito Fascista, con una decisione che fece scalpore anche perché venne subito dopo il delitto Matteotti. Nel 1925 inaugurò a Roma, con la Sagra del signore della nave, il Teatro d’Arte, destinato a essere il suo laboratorio teatrale, ma che fu costretto a chiudere pochi anni dopo; iniziò allora un’intensa collaborazione con l’attrice Marta Abba, che diventò l’interprete principale della sua compagnia. Per lei Pirandello scrisse diversi drammi, tra cui Diana e la Tuda (1926), composta in tedesco e rappresentata per la prima volta a Zurigo; L’amica delle mogli (1927); La nuova colonia (1928); Lazzaro (1929); O di uno o di nessuno (1929); Come tu mi vuoi (1930); Trovarsi (1932). In Germania diede la prima di Questa sera si recita a soggetto (1930), un altro dei suoi capolavori; a Lisbona la prima assoluta dell’atto unico Sogno (ma forse no) (1931) e a Buenos Aires quella di Quando si è qualcuno (1933). Nel frattempo andarono raffreddandosi in Italia i suoi rapporti con

3 - Luigi Pirandello

il fascismo, nonostante il governo lo avesse chiamato a far Il contrasto parte dell’Accademia d’Italia (1929). L’acme di questo con- col fascismo trasto fu toccato nell’anno in cui ricevette il premio Nobel e il premio Nobel (1934), quando il dramma in versi La favola del figlio cambiato fu duramente contestato da provocatori politici. A queste difficoltà fa riferimento anche la sua ultima opera, I giganti della montagna, complessa metafora del difficile rapporto tra arte e potere, lasciata incompiuta al momento della morte a Roma, e conclusa dal figlio Stefano.

Pirandello narratore Fin dall’inizio della sua produzione gli schemi naturalistici assumono contorni paradossali in quanto viene a mancare il rapporto tra la realtà e la verità. Nel romanzo Il fu Mattia Pascal il protagonista prima scompare, accettando un suicidio di cui viene ritenuto erroneamente vittima; poi finge un suicidio; il gioco si conclude con la completa sconfitta dell’uomo, costretto, dal fluire della vita, a sopravvivere a se stesso. La prosa nervosa e ironica, la successione di fatti inattesi, ma tutti rigorosamente concatenati in un contesto in cui pure domina il caso, fanno di quest’opera uno dei capolavori europei del Novecento. L’opera complessivamente più alta della prosa pirandelliana è costituita dalle Novelle per un anno, che disegnano un mondo caotico dominato dal caso e dal male di vivere e danno un efficace e originale ritratto della società italiana di primo Novecento. Pirandello scrisse anche alcuni testi teorici. Il primo è l’Umorismo, in cui egli definisce la caratteristica peculiare della sua opera come “il sentimento del contrario”, cioè la capacità di avvertire la sofferenza attraverso il contrasto tra ciò che ciascuno è e ciò che rappresenta per gli altri. L’ultimo lavoro teorico è Uno, nessuno e centomila, originale romanzo-saggio in cui la teoria dell’autore viene esposta organicamente: il tema fondamentale è il rapporto fra individuo e collettività. Per stabilire tale relazione, l’individuo ha bisogno di darsi una forma che lo rappresenti stabilmente agli occhi degli altri, fatta di convenzioni, di ruoli familiari e professionali, di doveri e soprattutto dei giudizi e pregiudizi altrui, ai quali la persona cerca di adattarsi per ottenere una riconoscibilità pubblica (assumendo, appunto, centomila maschere), fino al punto di non riconoscersi più. Dal contrasto tra il divenire della vita e la staticità della forma nasce dunque l’acuta sofferenza della persona e l’assurda inattendibilità della comunicazione.

“Il fu Mattia Pascal”

“Novelle per un anno”

Il sentimento del contrario

Il rapporto fra individuo e collettività

Inattendibilità della comunicazione 285

3 - Luigi Pirandello

Pirandello drammaturgo Teatralizzazione dei rapporti umani

La novità del teatro pirandelliano

I personaggi come pura forma

Da questa situazione di sdoppiamento, tra il fluire della vita e la staticità della maschera, discende una complessiva teatralizzazione dei rapporti umani, in quanto ciascuno è costretto a recitare la parte che il mondo circostante gli impone. Questa problematica è approfondita nella prima produzione teatrale di Pirandello: esempi particolarmente significativi sono Così è (se vi pare) e Il gioco delle parti. Ma la vera novità del suo teatro consiste nella rottura del realismo scenico e nella creazione del teatro in cui viene rappresentato il dramma dei personaggi, intesi autonomamente e non più come proiezioni sceniche delle persone. Mentre le persone, nella quotidianità, sono costrette ad assumere una forma e a recitare la parte assegnata loro dalla società, i personaggi, invece, sono pura forma, vivono sempre le stesse vicende che loro assegna l’autore una volta per tutte, in una fissità psicologica fuori dal tempo. Testo esemplare in questo senso è il dramma dei Sei personaggi in cerca d’autore, la cui trama, relativa a una tragica storia di miseria morale e materiale, è funzionale al vero dramma: i personaggi, creati dall’autore nella propria mente (ma da lui rifiutati e quindi non fatti vivere in un testo) cercano vanamente, attraverso una compagnia di attori, di mettere in scena la loro storia; scoprono tuttavia che non vi può essere corrispondenza tra la verità e la rappresentazione; riproducono allora i frammenti smarriti di una creazione tragica e sterile.

Il giudizio critico Con la sua ampia produzione teatrale e narrativa, Pirandello è una delle voci più significative della cultura italiana del Novecento e, in assoluto, uno degli scrittori italiani più noti nel mondo. Interprete della crisi dell’uomo moderno nel rapporto con se stesso e con gli altri, egli ha contribuito sensibilmente alla formazione del romanzo del Novecento, facendogli superare gli schemi del verismo. Altrettanto decisivo il suo apporto nel rinnovamento del teatro tradizionale, come attesta la sua fortuna, inalterata in tutto il mondo.

286

3 - Luigi Pirandello

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Luigi Pirandello (1867-1936), di Agrigento, si laurea in Germania e, stabilitosi a Roma, insegna alla facoltà di Magistero dal 1897. Un dissesto economico e le gravi condizioni mentali della moglie lo costringono a un’intensa attività di scrittore. Nel 1924 aderisce al fascismo. Nel 1925 fonda il Teatro d’Arte con una propria compagnia. Accademico d’Italia nel 1929 e premio Nobel per la letteratura nel 1934.

NARRATIVA

L’esclusa (1901); Il fu Mattia Pascal (1904); I vecchi e i giovani (1909); Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925); Uno, nessuno e centomila (1925); Novelle per un anno (1922; poi postume, nel 1937 per complessivi 15 volumi).

PRINCIPALI OPERE TEATRALI

Pensaci Giacomino (1916); Liolà (1916); Così è (se vi pare) (1917); Il berretto a sonagli (1917); Il piacere dell’onestà (1917); Il gioco delle parti (1918); Sei personaggi in cerca d’autore (1921); Questa sera si recita a soggetto (1930).

GIUDIZIO CRITICO

Pirandello compie una grande rivoluzione letteraria, specie nel teatro. Partito dal naturalismo, approda a una tecnica di sgranamento e di “ironizzazione” narrativa, così da definire un nuovo punto di vista della scrittura, non più monolitico e ottocentesco bensì policentrico e relativistico. Mostrare la “duplicità” comica e tragica dell’esistenza significa descriverne l’apparenza: l’uomo romantico si sgretola a favore di una coscienza profondamente paradossale, come appunto la coscienza dell’uomo del Novecento.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è il tema concettuale del Mattia Pascal? 285a 2. Che cosa intende Pirandello con la nozione di “sentimento del contrario”? 285b

3. Come concepisce Pirandello il rapporto fra individuo e collettività? 285b 4. Qual è la novità del teatro di Pirandello? 286a

287

4 Italo Svevo Italo Svevo è uno dei maggiori romanzieri italiani contemporanei; egli ha fatto suo il presupposto essenziale del Novecento: la letteratura è un’analisi spietata, paradossale e ironica della coscienza moderna. Narrare non significa più rappresentare il mondo, quanto trascrivere l’assurda e inquietante casualità delle sue leggi, della sua possibile insignificanza. Al pari dei migliori scrittori di inizio Novecento, ha colto la crisi della cultura europea, l’ansia e l’inspiegabile tragicità della vita quotidiana.

La vita e le opere Italo Svevo (pseudonimo di Aron Ettore Schmitz, 1861-1928) era figlio di un commerciante ebreo di origine tedesca. Compì gli studi tecnico-commerciali in Baviera e a Trieste. Nel 1880, dopo essere stato assunto alla Unionbank viennese, iniziò a coltivare gli interessi letterari e a partecipare attivamente alla L’esordio letterario vita intellettuale triestina. Cominciò a scrivere novelle (L’assassinio di via Belpoggio, 1890) e il romanzo Una vita, pubblicato a proprie spese con lo pseudonimo di I. Svevo nel 1892, senza ottenere alcun successo. Nel 1896 sposò Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale. Negli anni successivi stese il secondo romanzo, Senilità (1898), parzialmente autobiografico. Lasciata la banca, nel 1899 entrò come dirigente Le attività nell’azienda del suocero. Per circa vent’anni abbandonò, alcommerciali meno apparentemente, l’attività letteraria; in realtà continuò a scrivere novelle e commedie (da ricordare Il marito, 1903), L’approccio tenne un diario, si dedicò allo studio del violino e fu attratto alla psicoanalisi dalla psicoanalisi. Tradusse in italiano, per interesse personale, l’opuscolo Il sogno di Freud. L’avvenimento più rilevante L’amicizia con Joyce anteriore al primo conflitto mondiale fu l’amicizia con lo scrittore irlandese J. Joyce, residente a Trieste, che gli diede tra l’altro un giudizio competente sulle sue prime opere, spingendolo a dedicarsi di nuovo alla narrativa. A partire dal 1919 Il capolavoro scrisse il suo romanzo più famoso, La coscienza di Zeno (1923). In Italia l’opera non suscitò attenzione, ma l’entusiastica approvazione di Joyce suscitò il positivo intervento dei Il successo prestigiosi critici francesi V. Larbaud, B. Crémieux e P.-H. Michel; nel 1925 il giovane E. Montale pubblicò una positiva recensione del romanzo: fu il successo anche in Italia. Svevo continuò a produrre soprattutto racconti lunghi, tra cui Vino generoso (1927); Una burla riuscita (1928); Corto viaggio sentimentale, iniziato nel 1925 e mai concluso; la Novella del 288

4 - Italo Svevo

buon vecchio e della bella fanciulla, per la quale Svevo scrisse due possibili finali. Compose anche alcune opere teatrali: Con la penna d’oro e La rigenerazione (pubblicate postume). Iniziò a scrivere un quarto romanzo di ampio respiro, Il vecchione, di cui stese alcuni lunghi frammenti e gli abbozzi di qualche capitolo. Nel marzo 1928 venne festeggiato a Parigi in un solenne incontro al Pen Club.

L’uomo inetto Fin dal primo romanzo, Una vita, Svevo descrive un particolare individuo borghese, attratto dall’arte, bloccato da un condizionamento nevrotico che lo rende “inetto” e inadatto a vivere la concretezza del mondo del commercio e della realtà quotidiana. Nel secondo romanzo lo scrittore torna ancor più sul tema dell’inettitudine, che fin dal titolo, Senilità, è termine allusivo della condizione psicologica di chi è incapace “d’arrivare all’immediata rappresentazione di una cosa reale”, così come fanno gli altri. Lo splendido ritratto psicologico del protagonista Emilio Brentani mette a fuoco le caratteristiche dell’uomo moderno, eroe negativo, “malato”, continuamente in fuga dal presente, perduto dietro a desideri illusori e a modelli astratti.

L’uomo inetto

“Senilità”

L’eroe negativo, malato

“La coscienza di Zeno” Svevo ebbe sempre una predilezione per Senilità, tanto ritenerla il suo lavoro migliore, ma è indiscutibile che il terzo romanzo, La coscienza di Zeno” contiene tali e tanti elementi di novità da farlo considerare un’opera capitale del Novecento. La prima novità consiste nella materia: non si tratta né di un’autobiografia, né di ricordi consapevoli, ma del riemergere di contenuti inconsci riportati alla luce grazie a una cura psicoanalitica cui si sottopone il protagonista. La seconda grande novità consiste nella struttura narrativa dell’opera: le vicende non sono esposte secondo uno schema narrativo scandito da uno sviluppo logico o cronologico, ma riemergono e si riaggregano attorno a nuclei di interesse che costituiscono l’argomento e i titoli dei capitoli centrali del romanzo: “Il fumo”, “La morte di mio padre”, “La storia del mio matrimonio”, “La moglie e l’amante”, “Storia di un’associazione commerciale”. I particolari narrativi assumono importanza a seconda del contesto in cui sono collocati, in quanto è l’interesse psicologico a determinare il recupero della memoria e l’organizzazione del racconto. Tale impostazione determina anche il caratteristico andamento della scrittura di

Il riemergere di materiale psichico

La struttura narrativa centrata su nuclei di interesse

La scrittura di Svevo 289

4 - Italo Svevo

Il rapporto psicoanalitico

Svevo, in cui tra presente e passato si sovrappongono le diverse sfumature della coscienza. I capitoli iniziali e quello finale sono dedicati al presente, rappresentato dalla cura psicoanalitica. In essi si svolge un sottile duello tra il protagonista e il medico: il medico cerca di mettere alle strette il paziente perché non si rifugi nelle sue menzogne; il paziente, a sua volta, mira a dimostrare l’incapacità della psicoanalisi a guarire l’individuo, perché la duplicità psicologica non è una malattia, ma il fondamento stesso della vita e “la vita attuale è inquinata alle radici”. L’unica forma di guarigione sarebbe, paradossalmente, una catastrofe universale che cancellasse la vita umana dall’universo.

Il giudizio critico L’opera di Svevo appartiene alla grande stagione narrativa europea che ha espresso talenti quali Joyce, Proust, Kafka, Thomas Mann e Musil. Li accomuna tutti la crisi della ragione nei confronti degli oscuri e incontrollabili recessi dell’animo umano. Sotto l’ironia e l’autoironia dei propri personaggi, Svevo nasconde la tragica incapacità, l’“inettitudine” di vivere il presente come una verità tangibile, lucidamente avvertita.

SCHEMA RIASSUNTIVO LA VITA

Svevo è lo pseudonimo di Aron Ettore Schmitz (1861-1928), triestino di origine ebraico-tedesca. Compie studi tecnico-commerciali e si impiega in banca passando poi a dirigere l’azienda del suocero. Svolge contemporaneamente la propria attività di scrittore, riscuotendo notevole successo soprattutto internazionale.

OPERE MAGGIORI

Una vita (1892), storia di un uomo “inetto”; Senilità (1898), storia di un uomo che s’innamora drammaticamente di una donna molto più giovane; La coscienza di Zeno (1923), romanzo autobiografico di una nevrosi e della sua cura psicoanalitica.

GIUDIZIO CRITICO

Svevo ha fatto suo il presupposto essenziale del Novecento: la letteratura è un’analisi spietata, paradossale e ironica della coscienza moderna. Narrare non significa più rappresentare il mondo, quanto trascrivere l’assurda e inquietante casualità delle sue leggi, come della sua possibile insignificanza. Al pari dei migliori scrittori di inizio ‘900, egli ha colto la crisi della cultura europea, l’ansia e l’inspiegabile tragicità della vita quotidiana.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che cosa intende Svevo per uomo “inetto”? 289a 2. Quale rapporto esiste nell’opera di Svevo fra let-

290

teratura e psicoanalisi? 290a 3. In che modo la struttura narrativa e il periodo di Svevo sono innovativi? 289b

5 La nuova poesia:

Saba e Ungaretti

L’opera di Saba e Ungaretti è una rivoluzione quasi inconsapevole. Saba cerca la semplicità della parola, la musicalità del verso, un paesaggio reale e quotidiano. In Ungaretti è più evidente il confronto con la tradizione francese; la sua poesia coglie l’innocenza e la nuda verità umana anche delle circostanze più tragiche. Entrambi i poeti insieme con Campana, Rebora e Sbarbaro inaugurano la nuova poesia italiana del Novecento.

Umberto Saba Umberto Saba è pseudonimo del triestino Umberto Poli (1883-1957), figura straordinaria e solitaria nel panorama della poesia italiana del Novecento. ■ La vita e le opere Lasciò gli studi ancora adolescente per lavorare come com- I primi anni messo. A vent’anni si trasferì per qualche tempo a Firenze, dove entrò in contatto con i redattori della “Voce”, ai quali propose i propri scritti. L’esperienza (1907) del servizio militare a Salerno lo allontanò dall’ambiente estetizzante e lo avvicinò alla realtà quotidiana. Tornato a Trieste, nel 1909 sposò Carolina (Lina) Wölfler, che gli diede l’unica figlia, Linuccia. Nel 1910 pubblicò a proprie spese la raccolta Poesie Gli esordi poetici nella quale emergono i versi che celebrano la vita familiare come porto di pace. Nella successiva Trieste e una donna (1912) domina invece il contrasto tra la sofferenza per un amore sfuggente e l’esaltazione della città come luogo familiare e sicuro. Dopo la prima guerra mondiale riprese a scrivere e a pubblicare poesie: Cose leggere e vaganti (1920); L’amorosa spina (1921), che con le raccolte precedenti confluirono nella prima edizione del Canzoniere (1921); Preludio e canzonette (1923); Cuor morituro (1926). Nel 1928 la rivista “Solaria” pubblicò la sua raccolta Preludio e fughe (1928), cui seguirono Parole (1934) e le brevi Il tributo di “Solaria” prose di Scorciatoie (1936). Le leggi razziali imposte dal fascismo (1938) lo costrinsero a cedere formalmente la proprietà della libreria, e a trasferirsi a Parigi. Con lo scoppio della guerra trovò rifugio a Firenze, dove visse nascosto per vari mesi, visitato solo da Montale. Alla fine del conflitto visse a Milano, dove preparò e pubblicò le va-

291

5 - La nuova poesia: Saba e Ungaretti

Le edizioni del “Canzoniere”

Tradizione poetica italiana e suggestioni mitteleuropee

Ricchezza e contradditorietà della vita

Le “parole buone”

Innocenza nell’approccio con il mondo

rie edizioni del Canzoniere (1945, 1948, 1951, 1961, postuma). Dopo le ultime raccolte Ultime cose (1944); Mediterranee (1946); Uccelli. Quasi un racconto (1951), le bellissime prose Scorciatoie e raccontini (1946), morì a Gorizia. Postumo uscì il romanzo incompiuto Ernesto (1975). ■ I temi del “Canzoniere” Somma di tutte le raccolte pubblicate nel corso degli anni, il Canzoniere è un’opera compiuta. La poesia di Saba nasce non da una frattura con il passato, ma da una fusione tra il grande interesse per la poesia italiana del Settecento e dell’Ottocento (in particolare per Leopardi) e le suggestioni più intense della cultura mitteleuropea contemporanea (Nietzsche e Freud). Da queste scelte culturali discendono i suoi temi: protagonista è l’inesausta ricchezza della vita, con tutte le sue contraddizioni, la gioia e il dolore, le pulsioni d’amore e di morte. Saba si appropria dei momenti della vita con un godimento vorace e istintivo, quasi fanciullesco, sia che si tratti delle vie della sua città o di un’immagine di donna, di un sogno o di un ambiente. Tutte queste cose divengono per il poeta “parole buone”, rivolte al lettore non per disorientarlo nel labirinto del simbolismo, ma per accompagnarlo in un cammino di amicizia. Ben diverso dall’io decadente o crepuscolare, che diventava baluardo e difesa dal mondo, l’io della lirica di Saba è disposto a una fraterna comunione. Ma proprio per questa sua “innocenza” nell’approccio con il mondo, a ogni passo egli incontra il negativo, il senso di sofferenza e di dolore che sta in fondo a ogni manifestazione della vita, anche la più gioiosa.

Giuseppe Ungaretti Giuseppe Ungaretti (1888-1970) è considerato uno dei maggiori e più influenti poeti italiani del Novecento. ■ La vita

Il soggiorno a Parigi

La guerra 292

Trascorse ad Alessandria d’Egitto, dov’era nato, gli anni dell’infanzia e della prima giovinezza. Nel 1912 si recò a Parigi per completare gli studi alla Sorbona. Qui si legò d’amicizia con i maggiori protagonisti dell’avanguardia letteraria e artistica (G. Apollinaire, P. Picasso, M. Jacob, A. Modigliani e G. de Chirico), e conobbe A. Soffici e A. Palazzeschi, che inviarono in Italia alcune sue poesie, apparse sulla rivista “Lacerba”. Rientrato in Italia nel 1915, partecipò alla prima guerra mondiale. L’esperienza della trincea sul Carso fu decisiva

5 - La nuova poesia: Saba e Ungaretti

per la sua vocazione di poeta. Proprio al fronte, nel 1916, apparvero le ottanta copie della prima raccolta, Il porto sepolto, confluita nel 1919 in Allegria di naufragi e poi nell’edizione definitiva, L’allegria (1931). Stabilitosi a Roma, si guadagnò da vivere redigendo rassegne stampa per il ministero degli esteri e collaborando a giornali e riviste. Furono anni di ripiegamento interiore, che lo portarono alla nuova maturità stilistica espressa nei versi di Sentimento del tempo (1933). Nel 1936 andò a insegnare letteratura italiana all’università di La docenza San Paolo del Brasile. Rientrato in Italia, nel 1942 venne elet- in Brasile to Accademico d’Italia e nominato professore di letteratura italiana all’università di Roma, incarico che mantenne fino al 1958. Nel 1947 uscì Il dolore, versi dedicati soprattutto alla guerra e alla morte del figlio Antonietto. Seguirono La terra promessa (1950), Un grido e paesaggi (1952), Il taccuino del vecchio (1960). Nel 1961 apparvero le prose Il deserto e dopo, che raccoglie scritti di viaggio, ricordi e pensieri di varia ispirazione. Nel 1969, alla vigilia della morte, avvenuta a “Vita di un uomo” Milano, tutte le poesie furono riunite in volume, a cui lo stesso Ungaretti diede il titolo di Vita d’un uomo. ■ Le opere Nel 1916, in piena guerra e in un clima letterario saturo di dannunzianesimo e di “canzoni” inneggianti alle virtù guerriere e alle gesta d’oltremare, i versi di Porto sepolto ebbero un effetto sorprendente. In effetti quelle poesie, dai versi spesso brevissimi, talvolta composti di una sola parola, stravolgevano la tradizione, portando alle estreme conseguenze quanto aveva iniziato Pascoli. Nessun libro del Novecento poetico italiano è stato, da questo punto di vista, altrettanto rivoluzionario. Nell’Allegria, dopo i ritocchi formali volti a scolpire ancor più la parola-materia, il verso libero (ma spesso si tratta di endecasillabi e settenari spezzati) dilata al massimo la sua forza espressiva. Il poeta, “uomo di pena”, racconta il suo calvario di soldato come in un diario della sofferenza scandito dal luogo e dal giorno. La solidarietà e la compassione si elevano sui cumuli di macerie; la metrica è frantumata, la parola è scarnificata, ridotta alla sua essenza pura, tanto più significativa perché sobria, frammento di vita che si staglia sul bianco della pagina. E proprio questa voluta rarefazione (eredità del simbolismo (v. a p. xxx) estremo del francese S. Mallarmé) conferisce alle immagini il loro scabro e intenso lirismo, mentre il poeta, avvolto in “una corolla di tenebre”, diventa “un grido unanime… un grumo di sogni”. Nel dopoguerra, con Sentimento del tempo, che segna il

Versi brevissimi

Parola-materia, verso libero Il poeta “uomo di pena” Metrica frantumata e parola scarnificata

Il ritorno all’ordine 293

5 - La nuova poesia: Saba e Ungaretti

Si riaffaccia la tradizione

Le ultime prove poetiche Stile barocco

personale “ritorno all’ordine” di Ungaretti, il paesaggio sarà la campagna romana, le immagini si faranno più morbide e sensuali, le forme più cantabili. La tradizione, prima scardinata, si riaffaccia ora nel confronto con i maestri del passato: il verso si ricompone, torna a celebrare i fasti delle misure classiche. Il grido dell’Allegria si fa racconto, la parola si dispiega in cadenze talora auliche. Nel Dolore, le strazianti parole per il figlio perduto (“In cielo cerco il tuo felice volto”) accompagnano i versi su Roma occupata e sui disastri, soprattutto morali, della guerra (Non gridate più), mentre, consumatasi la stagione delle smanie amorose, si affaccia ora quella più opaca dei ricordi. Con La terra promessa, Un grido e paesaggi, Il taccuino del vecchio, fino ai versi scritti ancora nel 1969, siamo alla poesia dell’inverno: accanto agli strumenti linguistici ormai consolidati di uno stile “barocco”, manieristico (memore del paesaggio brasiliano) che guarda a Tasso e Leopardi, si accentuano i dubbi e i turbamenti sul destino dell’uomo; pur nel conforto rappresentato dalla religione, la vita viene guardata con l’ironico distacco e la malinconica saggezza di chi ha molto vissuto e molto sofferto.

Dino Campana L’ultimo poeta “maledetto” La vita e le opere

Dino Campana (1885-1932), considerato per l’eccentricità della vita l’ultimo dei poeti “maledetti”, ha tentato uno sperimentalismo originalissimo che risente di numerose componenti culturali, in primo luogo del simbolismo francese. Nato a Marradi, presso Firenze, studiò chimica a Bologna e Firenze; già nel 1905 venne ricoverato per qualche mese nel manicomio di Imola. Vagabondò in seguito per l’Italia e all’estero. Nel 1913 entrò in contatto a Firenze con A. Soffici e G. Papini. Nel 1914 pubblicò a proprie spese la sua prima opera, Canti orfici. Nel 1918 fu internato nel manicomio di Castel Pulci, presso Firenze, e lì visse fino alla morte. La maggior parte della produzione artistica (Inediti, 1942; Taccuino, 1949; Lettere, 1958; Taccuinetto fiorentino, 1960) fu pubblicata postuma. ■ La poetica

Rifiuto totale della realtà alienante

294

Se la follia è un modo per comprendere la sua esistenza, nella poesia essa è il segno letterario di un’esperienza conoscitiva, che spinge il poeta al totale rifiuto della realtà alienante, alla ricerca di una innocenza incontaminata. Ricollegandosi a Baudelaire, Rimbaud, Poe, Nietzsche, Campana sviluppa nella sua poesia una volontà anarchica e distrut-

5 - La nuova poesia: Saba e Ungaretti

tiva, che mira anche a sconvolgere i meccanismi della comunicazione borghese e a creare con la parola poetica lampi improvvisi, “grida” per “sputarvi in viso”. Suo tema fondamentale è il “viaggio”, metafora poetico-esistenziale che spinge il poeta verso terre lontane alla ricerca di una terra sognata, intuita solo poeticamente. Ricerca, conoscenza, liberazione che apre agli aspetti più inquietanti dell’esistenza; la parola poetica si fa divina perché rivelatrice della realtà più profonda e inconoscibile. Di qui il titolo che richiama il mitico cantore greco Orfeo e un’antica religione misterica, per designare questa poesia capace di penetrare nel mistero, assoluta. La poesia di Campana occupa un posto a sé e rappresenta un risultato autonomo rispetto alle forme dell’avanguardia. Il mito del poeta “pazzo” e “vagabondo”, nato dopo l’internamento definitivo in manicomio, non ha agevolato la comprensione della sua poesia.

Viaggio, metafora poetico-esistenziale La parola poetica rivelatrice della realtà inconoscibile Il giudizio critico

Clemente Rebora Di formazione laica, il milanese Clemente Rebora (1885-1957) attraversò una grave crisi interiore che lo portò vicino al suicidio; a questa condizione è legata la scelta della poesia come forma di riflessione e comunicazione. Pubblicò nel 1913 i Frammenti lirici, dominati da un profondo senso di inquietudine esistenziale. Lo scoppio del primo conflitto mondiale acuì il suo disagio. Pubblicò i Canti anonimi di C. R. (1922) e datosi allo studio delle letterature orientali e degli scrittori russi, tradusse la favola buddista Gianardana (1923), Il cappotto di N. Gogol (1922), La felicità domestica di L. Tolstoj (1930). Nel 1928 si accostò alla fede cattolica, nel 1929 prese i voti e nel 1936 fu ordinato sacerdote: al momento della sua ordinazione distrusse tutti i suoi scritti e si chiuse nel completo isolamento, senza tuttavia mai smettere l’attività poetica, come testimoniano le ultime raccolte di argomento religioso: Via Crucis (1955); Canti dell’infermità (1956). La poesia di Rebora nasce da un espressionismo martellante, quasi plasmato e lavorato da un’interrogazione spirituale angosciosa che pare priva di soluzione. Come nel caso lontano di Jacopone da Todi, anche la sua poesia religiosa appare un dramma irrisolto, perpetuo e luminosissimo.

La formazione laica

La conversione e i voti

Il giudizio critico

Camillo Sbarbaro Camillo Sbarbaro (1888-1967) visse sempre nella nativa Liguria, appartato rispetto al mondo ufficiale della cultura. Collaboratore della rivista “Lacerba”, diede la prima prova 295

5 - La nuova poesia: Saba e Ungaretti

Le prime raccolte

La natura “desertica” del mondo

La prosa lirica

Ordine scabro e levigato

con Resine (1911), raccolta densa di reminiscenze pascoliane e crepuscolari in cui si avverte il tentativo di oggettivare nell’immagine (il paesaggio arido e scabro della Liguria), il sentimento dolente e desolante della solitudine interiore. In Pianissimo (1914), l’opera poetica più riuscita, negata ogni possibilità di inserirsi nel contesto sociale e proclamata la natura “desertica” del mondo, il poeta si ripiega amaramente su se stesso. Lo stesso senso di inutilità della vita, di aridità dell’uomo percorre i versi di Rimanenze (1955) e di Primizie (1958), nei quali però è avvertibile una sorta di riflessiva saggezza che consente al poeta di ritrovare conforto nella vita e nella stessa poesia. Si dedicò anche a lungo alla prosa lirica con brevi composizioni, frammenti di scarna essenzialità, di squisita cura formale (Trucioli, 1918; Liquidazione, 1928; Fuochi fatui, 1956; Scampoli, 1960; Gocce, 1963; Quisquilie, 1967). Il segreto della poesia di Sbarbaro è un ordine scabro ma anche immobile e levigato, come in un codice buddista. Egli fu tra i primi poeti del nuovo secolo a scoprire, con ingenuità poetica, l’assurda insensatezza dell’esistere.

SCHEMA RIASSUNTIVO UMBERTO SABA

Nutrita di tradizione poetica italiana e mitteleuropea, la sua poesia è aperta alla ricchezza e contraddittorietà della vita in una fraterna comunione. Ma per questa sua semplicità e “innocenza” di approccio con il mondo, egli incontra il negativo, la sofferenza e il dolore che stanno in fondo a ogni manifestazione della vita, anche la più gioiosa. Opera principale: Canzoniere (1945; 1961, edizione postuma definitiva).

GIUSEPPE UNGARETTI

La poesia è la ricerca della verità umana e il poeta è “uomo di pena”. Le parole, scavate fino all’osso, pesano con un enorme dolore e diventano materia. La solidarietà e la compassione si elevano sui cumuli di macerie. La metrica è frantumata in versi brevissimi, la parola scarnificata, ridotta alla sua essenza pura, e tanto più significativa perché sobria, frammento di vita che si staglia sul bianco della pagina. Negli anni più maturi si riaffaccia la tradizione con un ritorno all’ordine in una visione di ironica e malinconica saggezza.

Opere

Allegria di naufragi (1919); Sentimento del tempo (1933); Il dolore (1947); La terra promessa (1950); Un grido e paesaggi (1952); Il taccuino del vecchio (1960).

DINO CAMPANA

Considerato per l’eccentricità della vita l’ultimo dei poeti “maledetti”, ha tentato uno sperimentalismo originalissimo, che risente di numerose componenti culturali, in primo luogo del simbolismo francese. Opera principale: Canti orfici (1914), in cui il viaggio è metafora poetico-esistenziale.

296

5 - La nuova poesia: Saba e Ungaretti segue

CLEMENTE REBORA

La sua poesia ha un’altissima ispirazione religiosa; il dramma esistenziale comunque irrisolto si manifesta in un fortissimo espressionismo lirico. Opere: Frammenti lirici (1913), Canti dell’infermità (1956).

CAMILLO SBARBARO

Fece della “rinuncia”, della povertà esistenziale il nucleo della sua poesia, in una scabra e insieme levigata oggettività poetica. Opere principali: Resine (1911); Pianissimo (1914); prose liriche: Trucioli (1920); Fuochi fatui (1956), Scampoli (1960).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che cosa sono e quale funzione hanno per Saba le “parole buone”? 292b 2. Come la parola-materia conferisce un intenso lirismo alla poesia di Ungaretti? 293b 3. Quale metafora esprime il tema del “viaggio”

nella poesia di Campana? 295a 4. A quale altro grande poeta italiano si può avvicinare Rebora e perché? 295b 5. Che cosa esprime la levigata “oggettività” di Sbarbaro? 296a

297

6 Gli anni Venti e Trenta Il primo dopoguerra vede da una parte un rilancio della narrativa (con l’esigenza di un nuovo tipo di romanzo) e dall’altra un “ritorno all’ordine”, rappresentato soprattutto dalle proposte della rivista romana “La Ronda”. Negli anni di consolidamento del regime fascista, il ventennio fra le due guerre conosce una produzione narrativa e poetica di notevole livello. Riappare il romanzo naturalistico a cui corrisponde un espressionismo tutto grottesco e municipale. Si affacciano sul panorama letterario molte figure (come Montale, Bontempelli, Debenedetti, Landolfi, Moravia) che saranno significative anche per la letteratura della seconda parte del secolo.

Enrico Pea I primi anni avventurosi

Le tragedie Narrativa autobiografica

Enrico Pea (1881-1958), nato a Seravezza, presso Lucca, visse un’adolescenza disagiata, svolgendo diversi mestieri, fra i quali il mozzo, finché si stabilì ad Alessandria d’Egitto. Qui conobbe il poeta G. Ungaretti, che curò la pubblicazione della sua prima opera in versi, Fole (1910). Ritornato in Italia, Pea si stabilì a Viareggio, dove, fondato il teatro Politeama, compose le tragedie Giuda (1918), Prime piogge d’ottobre (1919) e Rosa di Sion (1920), seguite dalla Passione di Cristo (1923). Fra i numerosi racconti e romanzi, molti a sfondo autobiografico, dominati dalla rievocazione mitico-popolare della terra versiliese e da personaggi che sanno vivere passioni peccaminose e primordiali, spiccano la trilogia Moscardino (1922), Il volto santo (1924), Il servitore del diavolo (1931), e i romanzi: Magoometto (1942), Lisetta (1946), Zitina (1949), Peccati in piazza (1956) e Il “ Maggio” in Versilia, in Lucchesia e in Lunigiana (1954), che palesa l’amore e l’interesse per la rappresentazione dei “maggi” toscani. Morì a Forte dei Marmi.

“La Ronda” e il rondismo Un nuovo classicismo

298

La rivista romana “La Ronda”, pubblicata fra il 1919 e il 1922, rifiutò l’esperienza dell’avanguardia. Il suo stesso titolo, alludendo alla ronda militare, prospettava l’esigenza di ordine nelle fila del mondo letterario. Venne proposta una sorta di nuovo classicismo, tutto “italiano”, che si rifaceva al magistero di Manzoni e Leopardi. I rondisti (V. Cardarelli, A. Baldini, R. Bacchelli, E. Cecchi, B. Barilli) guardarono alla

6 - Gli anni Venti e Trenta

prosa, e in particolare alle Operette morali leopardiane, co- La prosa d’arte me a un mezzo per trovare un perfetto equilibrio formale, serio e dignitoso. L’esigenza finiva però per far trascurare la necessità di una costruzione strettamente romanzesca. Ne derivò quindi una sorta di “frammentismo” luminoso e affascinante, anche se perfettamente opposto a quello drammatico e urlato della “Voce” (v. a p. 269), soluzione stilistica elegante, ma per lo più priva di contenuti originali. ■ Vincenzo Cardarelli Vincenzo Cardarelli è lo pseudonimo di Nazareno Caldarelli, di Tarquinia (1887-1959), l’esponente di maggior rilievo della tendenza a una parziale restaurazione dei valori poetici tradizionali. Autodidatta, collaborò alla rivista “La Voce”, e fu tra i fondatori della “Ronda”. Molte delle sue opere sono scritte in un misto di poesia e di prosa; Prologhi (1916); Viaggi nel tempo (1920); Prologhi Viaggi Favole (1929); Il sole a picco (1929). In seguito i versi furono raccolti e pubblicati a parte in Poesie (1936, 1942, 1948). Quasi estranea al panorama della lirica europea del Novecento, la sua poesia si rifà ai modelli della tradizione italiana, in primo luogo a Leopardi: frutto di una cura meticolosa, essa è caratterizzata da una chiarezza classica, che Cardarelli contrappose all’ermetismo. Temi dominanti sono il tempo e le stagioni, non colte nel loro divenire, ma rappresentate nella loro assolutezza, fissate perfettamente dalla parola; dominano i paesaggi caratterizzati da chiare e accurate descrizioni. Misurate e classicheggianti le prose (Solitario in Arcadia, 1947; Villa Tarantola, 1948), in cui ricorre il mito delle origini, di un’Etruria assolata e allusiva; quelle autobiografiche sono pervase spesso da una profonda malinconia dovuta a un presente sempre amaro.

Opere miste di prosa e poesia

Il riferimento ai modelli della tradizione Il tempo, le stagioni, i paesaggi

■ Riccardo Bacchelli

Il bolognese Riccardo Bacchelli (1891- 1985), di cui è rilevante l’opera narrativa, fu tra i fondatori della rivista “La Ronda”. Al classicismo programmatico egli però giunse dopo aver superato una precoce crisi decadente, di cui sono testimonianza i versi dei Poemi lirici (1914). Il difficile equilibrio tra intelligenza e sensualità, moralità e fantasia, poli estremi Equilibrio tra della sua singolare e complessa ispirazione, si può dire già rag- intelligenza giunto nelle due felici opere Lo sa il tonno del 1923 (delizio- e sensualità sa favola satirica, dove un pesce spada e una remora aiutano un giovane tonno a raggiungere una disincantata e matura saggezza), e Il diavolo al Pontelungo del 1927 (storia degli 299

6 - Gli anni Venti e Trenta

“Il diavolo al Pontelungo”

“Il mulino del Po”

“Michelaccio” e “Rugantino”

esperimenti anarchici in Italia e del loro fallimento, dove una manzoniana ironia si alterna a momenti d’intensa drammaticità). In altri romanzi, invece, l’equilibrio si spezza per il prevalere di ambizioni intellettualistiche che spingono lo scrittore a tentare il tema erotico (La città degli amanti, 1929) o a scandagliare i misteri della psiche (Oggi, domani e mai, 1932), allontanandolo da quel contatto con la terra e con la storia in cui vive la sua migliore ispirazione. La vocazione di Bacchelli al racconto, all’evocazione storica e illustre, si realizza compiutamente nella vasta narrazione de Il mulino del Po (1938-40): il freno della storia e la lezione di Manzoni temperano l’esuberanza talora barocca dello stile, costringendolo nei limiti d’un realismo di sapore romantico e d’un epos popolaresco che abbraccia un secolo intero di storia. Nei successivi romanzi (Il pianto della figlia di Lais, 1945; Lo sguardo di Gesù, 1948; Non ti chiamerò più padre, 1959; Il coccio di terracotta, 1966) prevale nello scrittore una virile malinconia, orientata in senso religioso. Al tema dell’amore coniugale, già affrontato in Una passione coniugale (1930), Bacchelli tornò in Rapporto segreto (1967) e nell’Afrodite: un romanzo d’amore (1969) di struggente lirismo. ■ Antonio Baldini Il romano Antonio Baldini (1889-1962), scrittore e giornalista, elegante estensore di terze pagine, fu tra i fondatori della rivista “La Ronda”. Dopo un libro di memorie sulla prima guerra mondiale (Nostro Purgatorio, 1918), si specializzò nel genere del ritratto pungente e ironico. Tra i racconti è da ricordare Michelaccio (1924), personaggio ormai proverbiale fra caricatura e maschera popolare, che rappresenta un villano che vive in un suo mondo fuori dal tempo. Scrisse inoltre le prose romane Rugantino (1942) e testi nati dalle sue esperienze di viaggio. ■ Bruno Barilli

Vivace prosa barocca 300

Oltre che letterato, Bruno Barilli (1880-1952), nato a Fano, fu compositore e critico musicale. Tra i fondatori della rivista “La Ronda”, egli mantenne un denso equilibro fra curiosità espressiva e desiderio di tradizione. Scrisse numerosi saggi di critica musicale (Delirama, 1924; Il sorcio del violino, 1926; e Il paese del melodramma, 1929), libri di viaggi (Il sole in trappola. Diario del periplo dell’Africa, 1931; Parigi, 1933; Il viaggiatore volante (1946), e la raccolta di frammenti Capricci di vegliardo (1951). La sua prosa, barocca, vivace e cromatica, è comunque lontana dal decoro e dalla compostezza espressiva predicati dalla “Ronda”.

6 - Gli anni Venti e Trenta

Massimo Bontempelli Il comasco Massimo Bontempelli (1878-1960) nella sua opera narrativa propose in chiave elegante ma ancora conformista un desiderio di apertura alla modernità. ■ La vita e le opere Figlio di un ingegnere ferroviario, studiò a Milano e a Torino; si occupò di editoria e di giornalismo. Nel 1930 venne nominato Accademico d’Italia, proprio quando cominciava ad avvertire un crescente disagio nei confronti del regime fascista, di cui, benché fosse iscritto al partito, non condivise mai il tentativo di controllare la cultura e gli intellettuali. Il suo percorso letterario è contraddistinto dall’urgenza di creare un’arte destinata alla società industrializzata: Bontempelli recupera così il messaggio delle avanguardie, specie del futurismo, che aveva richiamato gli artisti a un rapporto stretto con il mondo della produzione. Futuristi sono il libro di poesia Il purosangue (1920), i romanzi La vita intensa (1920) e La vita operosa (1921), dove le soluzioni narrative risultano però cerebrali e di maniera. I successivi romanzi La scacchiera davanti allo specchio (1922) ed Eva ultima (1923) superano il futurismo e risentono delle suggestioni della pittura metafisica (G. de Chirico, C. Carrà, G. Morandi) e del teatro del grottesco. Gli sforzi per portare avanti lo sperimentalismo si concretizzarono nella rivista “Novecento” (fondata nel 1926 con il giornalista e scrittore toscano Curzio Malaparte, che darà il meglio di sé nei crudi romanzi Kaputt, 1944, e La pelle, 1949), bandiera del modernismo. Il figlio di due madri (1929), Vita e morte di Adria e dei suoi figli (1934), Gente nel tempo (1937) sono i romanzi di questo periodo, contrassegnati da una ricerca ossessiva di valori simbolici. Si ricordano ancora i lavori teatrali Nostra Dea (1925), Minnie la candida (1927), Cenerentola (1942).

Accademico d’Italia

Arte per la società industriale

Gli scritti futuristi

La rivista “Novecento”

■ La tematica

La concezione dell’arte sviluppata da Bontempelli è sinte- Il realismo magico tizzata nella formula “realismo magico”. In polemica da una parte con il verismo ottocentesco, dall’altra con la letteratura accademica, Bontempelli sostiene che l’arte deve essere “realistica”, ovvero legata al mondo, ma anche “magica”, cioè deve rappresentare “l’irruzione dell’assurdo nella realtà quotidiana”, scoprendo “il senso magico nella vita”. Di qui anche la particolare attenzione per il cinema. Il suo sperimentalismo tuttavia mostrò a volte congegni nar301

6 - Gli anni Venti e Trenta

rativi artificiosi, intrecci esasperati, ricerca eccessiva di sorprese e di cambi di scena.

Corrado Alvaro Il calabrese Corrado Alvaro (1895-1956) avanza la proposta di un nuovo realismo narrativo. Nella narrativa conseguì i risultati più significativi: dalla raccolta di racconti La siepe e l’orto (1920) al romanzo L’uomo nel labirinto (1922), ai racconti Gente in Aspromonte (1930), l’opera migliore, alla trilogia meridionalistica delle Memorie del mondo sommerso (L’età breve, 1946; Mastrangelina, 1960 e Tutto è accaduto, 1960). Le plebi contadine del Sud Nostalgia per una mitica terra di giustizia

■ Le tematiche Il realismo, l’attenzione alla realtà degli emarginati e delle plebi contadine del Sud, sono i temi narrativi di Alvaro. La vicenda del povero ragazzo calabrese, protagonista di Gente in Aspromonte si carica di valenze etico-sociali, non disgiunte dalla nostalgia per una terra incantata, mitica, lontana dalle disuguaglianze e dalla sopraffazione. Nel romanzo L’uomo è forte, scritto dopo un suo viaggio in Unione Sovietica, nel quale lo scrittore non solo analizza l’oppressione delle società totalitarie, ma anche delle grandi città industriali del Nord. Le due vocazioni, meridionalistica e cosmopolita, sembrano coniugarsi nella trilogia Memorie del mondo sommerso. Alvaro conclude la propria vicenda narrativa con il romanzo Belmoro, incompiuto, dove presenta e sintetizza i suoi temi più cari.

“Solaria” e i solariani Una coscienza letteraria europea e cosmopolita

302

La rivista “Solaria” nasce a Firenze nel 1926 per iniziativa del giornalista Alberto Carocci. Sua prospettiva era l’apertura a una coscienza letteraria europea e cosmopolita, liberata dai condizionamenti programmatici o nazionalistici. Dall’esperienza della “Ronda” (v. a p. 298) ereditò il culto dell’eleganza formale e un implicito disimpegno nei confronti del regime fascista. La rivista “Solaria” fece conoscere F. Tozzi e I. Svevo, ma anche M. Proust, J. Joyce, T.S. Eliot e F. Kafka. La sua ricerca letteraria fu un tentativo di approfondimento civile e politico. Le pubblicazioni vennero sospese nel 1936, dopo alcuni interventi della censura fascista. Tra i collaboratori figurano E. Montale, G. Debenedetti, C.E. Gadda, R. Bacchelli, E. Vittorini e G. Ungaretti. All’interno della nuova aria europea ebbero modo di matu-

6 - Gli anni Venti e Trenta

rare scrittori molto diversi fra loro, ma tutti accomunati da una forte ricerca narrativa. Il trevigiano Giovanni Comisso (1895-1969), instancabile viaggiatore, curioso e vitalissimo, propose una scrittura di spregiudicata sensualità, che pure si traduce in un raccontare conversevole, come nei racconti cronachistici del Settecento. La sua fama è legata a racconti (Gente di mare, 1929; Un gatto attraversa la strada, 1954), a diversi libri di viaggio (L’italiano errante per l’Italia, 1937; Capricci italiani, 1952) e soprattutto al diario Giorni di guerra (1930), in cui l’evento tragico viene rivissuto con uno stupore colmo di vitalità. Il fiorentino Alessandro Bonsanti (1904-1984), richiamandosi a M. Proust, cercò un procedimento analitico, volto a cogliere il trapasso del tempo attraverso una capillare esplorazione psicologica e della memoria. Le sue opere più significative sono Racconto militare (1937), il romanzo ciclico La vipera e il toro (1955) e la tetralogia La buca di San Colombano (1964-72). Arturo Loria (1902-1957), di Carpi, si avvalse di una prosa sempre drammatica e impietosa sulle assurdità quotidiane nei racconti: Il cieco e la bellona (1928); La scuola di ballo (1932); Settanta favole (1957) e il romanzo incompiuto Le memorie inutili di Alfredo Tittamanti (1941). L’istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini (1910-1965), amico di U. Saba, al quale fu legato da un forte rapporto intellettuale, svolse una lunga attività di giornalista. Esordì nella narrativa con racconti pubblicati su “Solaria” (1931-32) e confluiti poi nel volume I nostri simili (1939). Di ambientazione istriana è la trilogia autobiografica Gli anni ciechi (Le trincee, 1942; Amor militare, 1955; Il cavallo Tripoli, 1956), in cui scandagliò la propria tormentata adolescenza e la dolorosa iniziazione alla vita adulta. Il romanzo più noto è L’onda dell’incrociatore (1947), forte vicenda dominata da un complesso edipico irrisolto, ambientata nel porto di Trieste.

Giovanni Comisso

Alessandro Bonsanti

Arturo Loria

Pier Antonio Quarantotti Gambini

303

6 - Gli anni Venti e Trenta

SCHEMA RIASSUNTIVO ENRICO PEA

Enrico Pea (1881-1958) è autore di versi (Fole, 1910), tragedie, romanzi e racconti (Moscardino, 1922; Il volto santo, 1924), improntati alla rievocazione autobiografica e versiliana.

LA RONDA

La rivista romana “La Ronda”, pubblicata fra il 1919 e il 1922, rifiuta l’esperienza di inizio secolo e propone una sorta di nuovo classicismo, tutto “italiano”, che si rifà al magistero di Manzoni e Leopardi, privilegiando la prosa d’arte. Fra i rondisti riconosciamo.

I rondisti

Vincenzo Cardarelli (1887-1959), autore di Poesie (1936, 1942, 1948) di chiarezza classica, sul modello di Leopardi. Riccardo Bacchelli (1891-1985), autore dei romanzi storici Il diavolo al Pontelungo (1927), Il mulino del Po (1938-40), di solido impianto narrativo, fonti di un epos popolaresco. Antonio Baldini (18891962) che dopo una serie di ritratti pungenti e ironici (Amici allo spiedo, 1918), scrisse i racconti Michelaccio (1924) e prose romane (Rugantino). Il critico musicale Bruno Barilli (1880-1952), autore del saggio Il sorcio del violino (1926) e di frammenti autobiografici (Capricci di vegliardo, 1951).

MASSIMO BONTEMPELLI

Massimo Bontempelli (1878-1960) fondò con C. Malaparte la rivista “Novecento” (1926). Opere principali: il romanzo Gente nel tempo (1937) e il lavoro teatrale Minnie la candida (1927). Sostenne in letteratura il “realismo magico”, cioè l’irruzione dell’assurdo nella realtà quotidiana per scoprire il senso magico della vita.

CORRADO ALVARO

Le opere principali del calabrese Corrado Alvaro (1895-19567) sono i racconti Gente in Aspromonte (1930), la trilogia Memorie del mondo sommerso (19461960) e il romanzo L’uomo è forte (1938).

“SOLARIA”

La rivista fiorentina “Solaria” (1926-36) propone l’apertura a una coscienza letteraria europea e cosmopolita, liberata dai condizionamenti programmatici o nazionalistici.

I solariani

Fra i solariani si distinguono: Giovanni. Comisso (1895-1969), autore di Gente di mare (1929) e Giorni di guerra (1930); Alessandro Bonsanti (1904-1984) autore della tetralogia La buca di San Colombano (1964-1972); Arturo Loria (19021957) con i racconti La scuola di ballo (1932); Pier Antonio Quarantotti Gambini (1910-1965), noto per il romanzo L’onda dell’incrociatore (1947).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che tipo di narrativa ha espresso Enrico Pea? 298b 2. Che cosa propugnava “La Ronda”? 298b-299a 3. Che cosa intende Bontempelli con “realismo

304

magico”? 301b 4. Quali sono le vocazioni narrative di Alvaro? 302b 5. Quale progetto letterario era alla base dell’iniziativa di “Solaria”? 302b-301a

7 Surrealismo e realismo Il programma del surrealismo francese, promosso intorno agli anni ’20 da André Breton, non entrò direttamente nella letteratura italiana, che invece mutuò da questo movimento più che altro un immaginario fantastico. Il “surrealismo” diffuso nelle opere di Bontempelli, nell’ultimo Pirandello o nella narrativa di Palazzeschi derivava perlopiù da esperienze autonome e direttamente futuriste. Solo la narrativa di Savinio, Landolfi, Delfini, Buzzati e Campanile, sembrò mantenere un rapporto più stretto con le esperienze surrealiste francesi. Sempre intorno agli anni ’30 si affermò anche una nuova forma di “realismo”: Bilenchi, Silone, Bernari, il primo Moravia ne furono i rappresentanti.

Surrealismo e dintorni Nessuno scrittore italiano (compreso il migliore Delfini) ha mai considerato direttamente i programmi poetici e politici del surrealismo. Si può piuttosto immaginare un surrealismo più generale, plasmato dal realismo della nostra tradizione, ma aperto a quel fantastico fatto anche di leggerezza e curiosità (certo pure di eredità futurista), tratti dunque che sono integrati della migliore narrativa italiana. ■ Alberto Savinio

Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea de Chirico (18911952), nato ad Atene, fu cultore di letteratura e musica e valente pittore come il fratello Giorgio, con il quale condivise i rapporti con le avanguardie del tempo durante i vari soggiorni a Parigi. Esordì in ambito letterario con Les chants de la mi-mort, (I canti della mezza morte, 1914), a cui seguì il volume di versi e prose Hermaphrodito (1918), quasi un romanzo sperimentale in cui italiano e francese si alternano. Nei romanzi Tragedia dell’infanzia (1920, pubblicato nel 1937) e Infanzia di Nivasio Dolcemare (1941), rappresentò l’infanzia come oppressa dal mondo dei grandi, che annientano la libertà fantastica del bambino. Narrate uomini la vostra storia (1942), una raccolta di 24 biografie stravaganti e immaginarie di uomini del passato, e i racconti Casa “La Vita” (1943), sono incentrati sul tema della morte e attraversati da una comicità talora sinistra. Le ultime opere Tutta la vita (1945) e Il signor Dido (1978, postumo), ripropongono l’indagine acuta e sottile sull’infanzia e sulla morte. L’opera saggistica ha uno stile lieve e giocoso, che predilige spesso

Gli esordi letterari

La narrativa e la biografia immaginaria

Il tema della morte

305

7 - Surrealismo e realismo

l’aforisma, l’elzeviro, e toni pungenti; di rilievo la Nuova enciclopedia (1977, postuma), divertente e provocatoria enciclopedia che unisce voci del sapere tradizionale a voci dedicate a temi e questioni di scarso rilievo. La poliedrica opera di Savinio mostra non solo ricchezza di interessi ma anche un’intensità espressiva capace di sintetizzare leggerezza giocosa e gravità teorica, narrazione sfolgorante e aforisma.

Racconti surreali e grotteschi

I romanzi

■ Tommaso Landolfi Il toscano Tommaso Landolfi (1908-1979) visse a lungo a Firenze, dove negli anni Trenta si legò al gruppo dell’ermetismo. Influenzato dalla letteratura nordica e russa, subì il fascino di autori come E.T. Hoffmann, E.A. Poe, F. Dostoevskij, F. Kafka e del surrealismo. Esordì con racconti di tono surreale e grottesco (Dialogo dei massimi sistemi, 1937 e Il mar delle blatte e altre storie, 1939), in cui si delinea il suo universo letterario: viaggi fantastici in luoghi inesistenti; figure femminili fulgide e sensuali, desiderate e irraggiungibili; pulsioni erotiche che esplodono in desideri torbidi. Al primo romanzo, La pietra lunare (1939), che narra della stregoneria e del mistero che si celano nella vita di un piccolo centro di provincia, seguirono i brevi romanzi surreali Le due zitelle (1945) e Racconto d’autunno (1947), il racconto fantascientifico Cancroregina (1950), viaggio di un uomo rimasto prigioniero in un’astronave in orbita intorno alla terra, e Racconti impossibili (1966). Le ultime opere narrative sono caratterizzate da un andamento diaristico con il prevalere del monologo (La bière du pécheur, 1953; Rien va, 1963; Des mois, 1967). ■ Antonio Delfini

Suggestione surrealistica

Satire e letteratura della memoria

306

Il modenese Antonio Delfini (1907-1963), trasferitosi a Firenze (1933), frequentò l’ambiente della rivista “Solaria”. Dalla lezione del surrealismo francese assimilò una scrittura che rifiutava via via ogni legame con il realismo nell’alveo della linea inaugurata da A. Savinio. L’esuberante immaginazione dei racconti Il ricordo della Basca (1938), raggiunge il culmine nel romanzo Il fanalino della Battimonda (1940), dove viene stravolta anche la sintassi. La distorsione farsesca della realtà continua nei racconti La Rosina perduta (1957) e Misa Bovetti e altre cronache (1960). Raggiunse la notorietà con i Racconti (1963), ma i suoi risultati migliori sono le ultime prove, dove l’elemento satirico si combina con una letteratura della memoria, come nel racconto autobiografico Una storia (1956) e nel romanzo incompiuto Il 10 giugno 1918 (1961). Nelle Poesie della fi-

7 - Surrealismo e realismo

ne del mondo (1961) introdusse la figura dell’intellettuale anarchico e stravagante. ■ Dino Buzzati Il bellunese Dino Buzzati (1906-1972) visse quasi sempre a Milano, svolgendo l’attività di giornalista e maturando anche la passione per la pittura. Nei suoi racconti si narrano vicende apparentemente normali, rilette in chiave fantastica e surreale; la sua opera, i cui modelli letterari sono rintracciabili soprattutto in F. Kafka, J. Conrad e E.A. Poe, comunica l’assurdo e l’angoscia esistenziali. Dopo l’esordio con i racconti lunghi Bàrnabo delle montagne (1933) e Il segreto del Bosco Vecchio (1935), giunse al successo con il romanzo Il deserto dei Tartari (1940), storia di un ufficiale che al confine di un misterioso e inesplorato deserto consuma la vita nella vana attesa del nemico: l’ambientazione fantastica, in un luogo e in un tempo imprecisati, comunica le più quotidiane forme della frustrazione esistenziale. Seguirono raccolte di racconti (fra cui spiccano I sette messaggeri, 1942 e La boutique del mistero, 1968); i romanzi Il grande ritratto (1960) e Un amore (1963), forse il più riuscito, più vicini alla letteratura di consumo. Buzzati non può essere definito scrittore surreale in senso tradizionale, perché non scardina nella pagina letteraria ogni principio di verosimiglianza, ma ricorre a elementi reali che si caricano di significati simbolici.

Vicende normali in chiave fantastica

“Il deserto dei Tartari”

Il giudizio critico

■ Cesare Zavattini

L’emiliano Cesare Zavattini (1902-1989), collaboratore di “Solaria”, ottenne un buon successo con la prima opera Parliamo tanto di me (1931), seguita da I poveri sono matti (1937) e Io sono il diavolo (1941). Nel dopoguerra si dedicò Le sceneggiature alla sceneggiatura cinematografica firmando molti film del cinematografiche neorealismo, tra cui Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948). Seguì una serie di opere in prosa, come Straparole (1967), in cui abbondano originali creazioni lessicali, e in poesia con versi in dialetto (Stricarm’ in d’na parola, 1973). La sua prosa è scintillante, umoristica, surreale, capace di esprimere rapidamente timbri diversi, dal fiabesco al drammatico, dal comico al sentimentale.

Il realismo Il nuovo realismo, che va affermandosi intorno agli anni ’30, è denudato da qualsiasi valenza “magica”, come voleva Bontempelli. Con Bilenchi, Silone e Bernari la realtà è materia 307

7 - Surrealismo e realismo

scabra e i suoi contenuti (il mondo dei contadini o degli operai) si fanno oggetto narrativo da rappresentare senza enfasi alcuna.

La vita come inquieta normalità

■ Romano Bilenchi Il toscano Romano Bilenchi (1909-1989), di Colle Val d’Elsa, formatosi nel vivace clima intellettuale fiorentino, populista e antiborghese fu dapprima nelle fila del fascismo di sinistra (collaborò alla rivista “Il Bargello”), poi vicino al gruppo di “Solaria” (v. a p. 302) e ai poeti ermetici. Amico di scrittori come Vittorini e del pittore O. Rosai, documentò tali rapporti nei suoi libri di memorie. Scrittore dallo stile lineare, quasi a voler sottolineare l’esclusiva attenzione ai problemi esistenziali, fece della vita nella sua “inquieta normalità” il tema dominante di racconti e romanzi (Il capofabbrica, 1932; Anna e Bruno, 1938; Mio cugino Andrea, 1943; Conservatorio di Santa Teresa, 1940 e Il bottone di Stalingrado, 1972). Altro tema della sua produzione è la perdita dell’ingenua felicità dell’infanzia e l’incontro dell’adolescente con la violenza degli uomini.

■ Ignazio Silone Ignazio Silone è lo pseudonimo dell’abruzzese Secondo L’impegno politico Tranquilli (1900-1978). Trasferitosi a Roma, s’impegnò nell’attività politica, partecipando (1921) alla fondazione del Partito Comunista. Dal 1930 visse esule in Svizzera e si allontanò dal Partito Comunista in opposizione allo stalinismo. Rientrò in Italia dopo la fine del conflitto mondiale e morì a Ginevra. La lotta dei contadini Al centro del suo primo romanzo Fontamara è la vita dei contro i soprusi contadini, i “cafoni” della Marsica con la loro lotta senza speranza contro la terra arida e i soprusi di pochi ricchi e dell’autorità fascista. Nel romanzo successivo, Pane e vino (1937), anch’esso pubblicato prima all’estero, si avverte la rottura con il comunismo: la lotta dei cafoni si allontana sempre più dalle forme della lotta proletaria, verso una sorta di socialismo cristiano, più rispettoso della persona. Anche nelle scelte linguistiche Silone mostra la sua adesione Lingua mutuata al mondo degli emarginati, adottando una semplicità lesdal parlato sicale e sintattica mutuata dal parlato. La prospettiva etica prevale su quella politica e ideologica nel romanzi Una manciata di more (1952), Il segreto di Luca (1956), L’avventura di un povero cristiano (1968), romanzo-saggio che ripropone la vicenda del papa Celestino V. Oltre ad alcuni saggi storico-politici, è interessante Uscita di sicurezza (1956), autoritratto psicologico e morale.

308

7 - Surrealismo e realismo ■ Carlo Bernari Carlo Bernari è lo pseudonimo del napoletano Carlo Bernard (1909-1992). Interessato ai problemi economici e sociali del Sud, con il romanzo Tre operai (1934) anticipò l’avvento del neorealismo (v. a p. 320), guardando alle classi subalterne di una Napoli non più città solare mediterranea, in una prospettiva ideologica di sinistra. Particolare anche lo stile, che introduce monologhi interiori. La città meridionale campeggia ancora nei romanzi del dopoguerra (Speranzella, 1949; Vesuvio e pane, 1952), nei quali si fondono lingua e dialetto. Nelle opere successive (Era l’anno del sole quieto, 1964; Un foro nel parabrezza, 1971; Tanto la rivoluzione non scoppierà, 1976; Il giorno degli assassini, 1980), Bernari superò la dimensione meridionale e si aprì a una narrativa esistenziale ed espressionistica.

“Tre operai”

Fusione di lingua e dialetto Narrativa esistenziale ed espressionistica

SCHEMA RIASSUNTIVO SURREALISMO

Il surrealismo italiano degli anni ‘30 più che mutuare i temi poetici e politici di quello francese, si ispirò a un immaginario fantastico, in parte erede delle esperienze futuriste.

ALBERTO SAVINIO

La poliedrica opera di Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea de Chirico (18911952), mostra non solo una ricchezza di interessi ma anche un’intensità espressiva capace di sintetizzare leggerezza giocosa e gravità teorica, narrazione sfolgorante e aforisma. Opere principali: L’Hermaphrodito (1918) in versi e prose, quasi un romanzo sperimentale in cui italiano e francese si alternano; i racconti Casa “La Vita” (1943).

TOMMASO LANDOLFI

Per Tommaso Landolfi (1908-1979), legato all’ermetismo e influenzato dagli autori nordici e russi, la letteratura diventa un gioco affascinante e terribile, in cui la vita “narrata” si deforma in immagini scomposte e irreali. Della sua vasta produzione si ricordano i racconti surreali e grotteschi Il mar delle blatte (1939) e il primo romanzo, La pietra lunare (1939).

ANTONIO DELFINI

In Antonio Delfini (1907-1963) l’esuberante immaginazione sconvolge ogni rapporto con la realtà (racconti Il ricordo della Basca, 1938), e raggiunge il culmine nel romanzo Il fanalino della Battimonda (1940), dove viene stravolta anche la sintassi.

DINO BUZZATI

La narrazione di Dino Buzzati (1906-1972) si avvale dell’ambientazione fantastica, in luogo e tempo imprecisati, per descrivere le più quotidiane forme della frustrazione esistenziale. Da ricordare i racconti Bàrnabo delle montagne (1933) e il romanzo Il deserto dei Tartari (1940).

CESARE ZAVATTINI

In Cesare Zavattini (1902-1989), anche sceneggiatore di numerosi film del neorealismo, la prosa è scintillante, umoristica, surreale, capace di esprimere rapidamente timbri diversi, dal fiabesco al drammatico, dal comico al sentimentale. Tra le opere: Parliamo tanto di me (1931) e Straparole (1967).

309

7 - Surrealismo e realismo segue

ROMANO BILENCHI

Romano Bilenchi (1909-1989), scrittore essenziale, ha come tema dominante la perdita dell’ingenua felicità dell’infanzia e l’incontro dell’adolescente con la violenza degli uomini. Opere principali: Anna e Bruno (1938); Conservatorio di Santa Teresa (1940).

REALISMO

Intorno agli anni ‘30 si afferma un nuovo realismo, privo di valenza magica. I contenuti sono il mondo contadino e operaio.

IGNAZIO SILONE

Al centro dell’opera di Ignazio Silone, pseudonimo dell’abruzzese Secondo Tranquilli (1900-1978), sono la vita dei contadini, i “cafoni” della Marsica con la loro lotta senza speranza contro la terra arida e contro i soprusi dei ricchi (Fontamara, 1933; Pane e vino, 1937) e una prospettiva meno ideologica e più etica (Il segreto di Luca, 1956; L’avventura di un povero cristiano, 1968).

CARLO BERNARI

Carlo Bernari, pseudonimo del napoletano Carlo Bernard (1909-1992), con Tre operai (1934) anticipa l’avvento del neorealismo in letteratura, rappresentando le classi subalterne napoletane in una prospettiva ideologica di sinistra. La sua scrittura è limpida e armonica. In Speranzella (1949) e Vesuvio e pane (1952) fonde lingua e dialetto.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Si può parlare di un vero e proprio surrealismo italiano? 305a 2. Quali sono i temi principali dell’opera di Savinio? 305b 3. Che tipo di universo grottesco e surreale delinea Landolfi? 306a 4. Che cosa accolse Delfini della lezione del sur-

310

realismo francese? 306b 5. Che cosa comunicano le opere di Buzzati? 307a 6. Che genere di umorismo comunica la prosa di Zavattini? 307b 7. Quali sono i contenuti del realismo? 307b-308a 8. Quali prospettive ideologiche ed etiche ispirano l’opera di Silone? 308b

8 L’ermetismo Già dalla fine degli anni ’20, e in modo più cospicuo dagli anni ’30, si sviluppa la corrente poetica dell’ermetismo, termine usato inizialmente in senso negativo, come sinonimo di oscurità, e divulgato dal critico F. Flora nel volume La poesia ermetica (1936). Si tratta in realtà di un’esperienza letteraria che rinuncia alla semplicità della comunicazione per riprodurre la complessità segreta e analogica del rapporto realtà-poesia.

La stagione ermetica L’ermetismo si riallaccia al simbolismo francese, prediligendo S. Mallarmé e P. Valéry, e propone una concezione della parola poetica “pura”, sottratta a ogni suggestione esterna (politica, sociale), alla quale viene affidato il compito di svelare i frammenti di senso, nascosti nelle pieghe dell’insignificante vita quotidiana: si allentano così i legami logici e la poesia si popola di metafore e di analogie in una trama evocativa, simbolica e spesso “oscura”. La stagione ermetica, nel senso più ristretto del termine, risale al confrontoscontro degli anni ’30 con la corrente crociana. I giovani (S. Quasimodo, A. Gatto, L. Sinisgalli, M. Luzi e altri) guardavano come modello della “nuova poesia” a Ungaretti, il quale può essere ritenuto l’iniziatore dell’ermetismo. Soprattutto Firenze fu il centro dell’ermetismo italiano; “Frontespizio” e “Campo di Marte” le riviste che ne divulgarono idee e testi.

La parola poetica pura

Metafore e analogie simboliche e oscure

Salvatore Quasimodo Salvatore Quasimodo (1901-1968) è uno tra gli esponenti più significativi dell’ermetismo. ■ La vita e le opere

Nato a Modica, dopo gli studi di ingegneria interrotti, a Roma, attraverso l’amico e cognato E. Vittorini entrò in contatto con “Solaria”, che gli pubblicò la prima raccolta poeti- Le prime raccolte ca Acque e terre (1930). Nel 1932 uscì la seconda raccolta, Oboe sommerso, ma fu Erato e Apollion (1936), che lo consacrò poeta “ermetico”. Nel 1938 si stabilì a Milano, si dedicò alla traduzione dei classici (Lirici greci, 1940), susci- Le traduzioni tando vasta eco. Nel 1942 apparve Ed è subito sera, senz’altro il suo titolo più fortunato, comprendente tutte le poesie già edite, con l’aggiunta delle Nuove poesie (1936-42). Gli 311

8 - L’ermetismo

anni della guerra, insieme alle altre traduzioni (da Catullo, Virgilio, Omero e Sofocle) che uscirono dal 1945 in poi, dettero una svolta al suo modo di fare poesia. Una nuova, sofferta umanità, accompagnata da una febbrile tensione etica e stilistica, anima i versi di Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e vero verde (1956), La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1966). Nel 1959 ricevette il Nobel per la letteratura. Morì a Napoli.

Poesia, estrema illusione e rifugio Nostalgia dei classici

■ La poetica Quasimodo canta l’angoscia dell’uomo di fronte al mondo contemporaneo. In lui la poesia rappresenta l’estrema illusione, l’ultimo rifugio contro la disgregazione dei valori. Il ritorno ai classici e alla natia Sicilia, luogo d’elezione di quell’antica civiltà, è il tentativo di ritrovare la perduta età dell’oro, l’isola beata non scalfita dalle modernità, intatta nella luce mediterranea del mito. In tutta la sua poesia si ritrovano sia la nostalgia di quel paradiso, sia una condizione di perenne esilio. Più tardi la guerra e l’impegno politico imporranno al canto monodico e solitario un’apertura verso la coralità del dolore: i versi ospiteranno la cronaca, senza negare il proprio passato lirico, ma adeguandosi alle drammatiche urgenze della storia.

Alfonso Gatto

Immagini vertiginosamente analogiche Surrealismo d’idillio

Il salernitano Alfonso Gatto (1909-1976) fondò a Firenze con V. Pratolini la rivista “Campo di Marte” (1938). Le prime due raccolte poetiche, Isola (1932) e Morto ai paesi (1937) hanno un linguaggio fortemente evocativo; poi le “immagini vertiginosamente analogiche” si aprono a forme più distese nelle numerose raccolte successive (tra cui Il capo sulla neve, 1949; La forza degli occhi, 1954; Osteria flegrea, 1962), caratterizzate da “un surrealismo d’idillio”. Al tema fondamentale dell’esperienza quotidiana del dolore, si accompagnano quelli della Resistenza e dell’impegno civile.

Vicino agli ermetici: Sinisgalli Leonardo Sinisgalli

312

Leonardo Sinisgalli (1908-1981), lucano, ingegnere elettrotecnico, fondò a Milano la rivista “Civiltà delle macchine”. Le prime prove poetiche (18 poesie, 1936; Campi elisi, 1939), sollecitate dall’amico G. Ungaretti, hanno un orientamento ermetico ed esprimono il ricordo ossessivo dell’infanzia in Lucania. In seguito la sua lirica fu più realistica e razionale (La vigna vecchia, 1956; L’età della luna,

8 - L’ermetismo

1962; Paese lucano, 1962; Il passero e il lebbroso, 1970; Mosche in bottiglia, 1975). Fra le prose spiccano i racconti lucani Belliboschi (1948).

SCHEMA RIASSUNTIVO ERMETISMO

È una corrente letteraria degli anni ‘30 che rinuncia alla semplicità della comunicazione per riprodurre la complessità analogica del rapporto realtà-poesia.

QUASIMODO

Salvatore Quasimodo (1901-1968) è uno dei poeti ermetici più significativi; fu premio Nobel per la letteratura nel 1950. La poesia rappresenta per lui l’estrema illusione, l’ultimo rifugio contro la disgregazione dei valori. Il ritorno ai classici è il tentativo di ritrovare la perduta età dell’oro . Tra le opere spiccano Ed è subito sera (1942), Giorno dopo giorno (1947), Dare e avere (1966). Notevoli le traduzioni dei classici (Lirici greci, 1940).

GATTO

La poesia di Alfonso Gatto (1908-1981) presenta un linguaggio ermetico fortemente evocativo. Da ricordare le raccolte Isola (1932), La forza degli occhi (1954).

SINISGALLI

Leonardo Sinisgalli (1908-1981) coniuga l’esperienza ermetica con una lirica più razionale e realistica, nel ricordo ossessivo della natia Lucania. Raccolte principali: Campi elisi, (1939), L’età della luna (1962).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che cosa intende l’ermetismo con la concezione della parola poetica “pura”? 311a 2. Che cosa rappresenta la poesia per Quasimodo? 312a

3. La poesia di Gatto esprime anche temi civili? 312b 4. Con quale altra ispirazione poetica si coniuga l’esperienza ermetica di Sinisgalli? 312b

313

9 Eugenio Montale Eugenio Montale è forse il poeta italiano più grande del Novecento, fu il poeta della decenza e del rigore. La sua poesia, lontana da qualsiasi astrazione ideologica, riuscì a mostrare, nella complessità della sua ricerca espressiva, il senso di un’autenticità umana che sa resistere a tutto, a patto di rifiutare qualsiasi enfasi, qualsiasi facile gioco di vanità. Quasi tutta la poesia contemporanea non ha saputo prescindere dal suo straordinario e limpido insegnamento.

La vita e le opere

“Ossi di seppia”

Il soggiorno fiorentino

Il trasferimento a Milano

Il genovese Eugenio Montale (1896-1981), compiuti studi irregolari, dopo la prima guerra mondiale collaborò a varie riviste, entrando in contatto con l’ambiente culturale ligure (soprattutto C. Sbarbaro). Nel 1922 uscirono i primi versi sulla rivista “Primo tempo” di Torino, città nella quale conobbe G. Debenedetti e P. Gobetti, che gli pubblicò Ossi di seppia (1925). Nello stesso anno firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti e, con il saggio Omaggio a Italo Svevo, avviò la scoperta del grande scrittore triestino. Trasferitosi a Firenze nel 1927, assunse nel 1929 la direzione del Gabinetto Vieusseux, che mantenne fino al 1938, allorché fu allontanato perché non iscritto al Partito Fascista. In quel periodo, culminato nella pubblicazione delle Occasioni (1939), scrisse sulle maggiori riviste e conobbe Drusilla Tanzi, che più tardi divenne sua moglie. Nel 1945 si iscrisse al Partito d’Azione. Nel 1948 si trasferì a Milano, dove da allora visse fino alla morte e fu redattore del “Corriere della Sera”. Intensa fu in quegli anni l’attività di traduttore (T.S. Eliot, E. Pound, C. Kavafis, W. Shakespeare, H. Melville e J. Steinbeck fra gli altri). Nel 1956 apparvero il terzo grande libro di versi, La bufera, le prose della Farfalla di Dinard, seguiti dai saggi di Auto da fé (1966), dalle interviste-confessioni di Nel nostro tempo (1972). Con Satura (1971) si aprì l’ultima, prolifica stagione poetica, che comprende anche Diario del ’71 e del ’72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977) e Altri versi (1981). Nel 1975 vinse il premio Nobel per la letteratura.

La poetica Il messaggio poetico di scabra razionalità, di ostinata resistenza e un destino segnato dalla sconfitta, che Montale 314

9 - Eugenio Montale

ha lanciato nella letteratura italiana, è fondamentalmente affidato a solo quattro opere. ■ “Ossi di seppia” Fin dal suo apparire, nel 1925, la critica vide in Ossi di seppia il frutto già maturo di una personalità compiuta. Erano forti i legami metrici e sintattici con la tradizione lirica (Dante, Leopardi, Pascoli, D’Annunzio e Gozzano), ma si innestavano in un tessuto lessicale nuovo, distante dagli esperimenti delle avanguardie come dalle teorizzazioni sulla cosiddetta poesia pura, e tuttavia ricchissimo di assonanze e onomatopee, di guizzi della parola improvvisi e inconsueti: soprattutto una lingua che esprimeva in toni composti e meditativi una visione negativa dell’esistenza. La vita è per l’uomo, inesorabilmente calato in un “lago d’indifferenza”, un muro “che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”; l’unica speranza, esigua e parziale, è nella contemplazione della natura, che si apre talora in brevi squarci di luminosa pienezza. E, in effetti, il paesaggio ligure, così “scabro ed essenziale”, ha gran parte in queste liriche, con il suo minuzioso erbario mediterraneo, e Montale ne assorbe gli umori. L’uomo, prigioniero del proprio cielo senza sogni, può forse trovare qualche conforto nella scintilla accesa qua e là, quasi per caso, da oggetti, simulacri, eventi minimi nei quali esorcizza la propria sete di felicità.

Tradizione lirica in un tessuto lessicale nuovo

Visione negativa dell’esistenza

il paesaggio ligure

Scintille di conforto

■ “Le occasioni”

Le occasioni sono forse il libro più compiuto, quello in cui La regola corregge meglio la regola corregge l’emozione in un equilibrio per- l’emozione fetto, in un lirismo disteso, senza accensioni. In esso gli “amuleti” e una salvifica presenza femminile prendono il posto di pomari, ulivi e girasoli. Gli oggetti, analogamente a quanto accade nella pittura metafisica e nel realismo magico, acquistano, straniati dal loro contesto naturale, una “realtà” diversa da quella loro consueta. ■ “La bufera” La bufera fissa con sguardo attonito e amaro il senso di un’immobilità fattasi rovina. Eppure, anche nel momento in cui “la lotta dei viventi / più infuria”, balugina un lume di Un lume di decenza “decenza quotidiana (la più difficile delle virtù)”, e il libro quotidiana si conclude con l’indizio di un nuovo inizio, di vita che risorge e ricomincia. Ma nulla di consolatorio è in questa attesa; essa appare piuttosto un ostinato rifiuto ad arrendersi, il Rifiuto ad arrendersi consapevole tentativo di opporsi a uno scetticismo ineluttabile che, a poco a poco, diventa estrosa facezia, gioco amaro.

315

9 - Eugenio Montale

Tono colloquiale Ironia e memoria “Quaderno di quattro anni”

■ “Satura” La poesia dell’ultima stagione di Montale si apre con Satura e mostra un tono colloquiale, quasi gergale, mentre il verso cede alla prosa del tempo. Il poeta guarda il mondo dall’alto dell’esperienza e affida il suo dire all’ironia anche sarcastica, al paradosso, all’epigramma. Quel po’ di elegia che rimane è per la memoria personale, per il colloquio con la moglie morta. In Quaderno di quattro anni (1977) la cadenza quasi quotidiana dell’appunto poetico registra toni di svagato disincanto: siamo quasi al nulla. Non a caso, il titolo del discorso che Montale pronunciò per il conferimento del Nobel fu: È ancora possibile la poesia? In un mondo sempre più votato al progresso, il poeta (e, in generale, l’artista) è un superstite paladino di civiltà.

SCHEMA RIASSUNTIVO LA POETICA

Il genovese Eugenio Montale (1896-1981), forse il più grande poeta italiano del Novecento, vince il premio Nobel nel 1975. La sua poesia negò qualsiasi astrazione ideologica, come qualsiasi facile ottimismo. Prova estrema di dignità umana e di rigore, riuscì a mostrare, nella complessità della sua ricerca espressiva, il senso di un’autenticità umana che sa resistere a tutto, a patto di rifiutare qualsiasi enfasi, qualsiasi facile gioco di vanità.

OPERE PRINCIPALI

Ossi di seppia (1925); Le occasioni (1939); La bufera (1956); Satura (1971) e Quaderno di quattro anni (1977).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale parte ha il paesaggio nella poesia di Ossi di seppia? 315a 2. Che genere di lirismo esprimono le Occasioni? 315b

316

3. Quale messaggio etico esprime La bufera? 315b 4. Come guarda il mondo il Montale della Satura? 316a

10 Carlo Emilio Gadda Osservatore acuto e lucidamente critico della società italiana, sperimentatore inesauribile delle potenzialità espressive del linguaggio, Gadda risulta una figura affascinante e atipica della letteratura del Novecento. I suoi capolavori restano l’esempio di una letteratura che ha cercato di trascrivere le sofferenze e i paradossi, ma anche le orribili corruzioni della civiltà moderna.

La vita e le opere Carlo Emilio Gadda nacque a Milano nel 1893. Fatto prigioniero durante la prima guerra mondiale e deportato, narrò l’esperienza di quegli anni nel Giornale di guerra e di prigionia, pubblicato in parte nel 1955 e integralmente nel 1965. La morte dell’amatissimo fratello Enrico negli ultimi giorni di guerra segnò profondamente il suo animo e gli provocò uno stato di nevrosi che lo tormentò per tutta la vita. Esercitò la professione di ingegnere elettrotecnico per qualche tempo in Italia e poi in Argentina. Tornato a Milano (1924) iniziò a collaborare con il giornale l’“Ambrosiano” e scrisse il suo primo romanzo, Racconto italiano di ignoto del Novecento (1924-26), pubblicato solo nel 1985. Iniziò in questi stessi anni la collaborazione con la rivista “Solaria”, sulla quale (1927) pubblicò il saggio Apologia manzoniana. Serie difficoltà economiche lo costrinsero a tornare alla professione d’ingegnere (1925-1931) anche all’estero, ma Gadda si concentrò sempre più sull’attività letteraria: scrisse il saggio filosofico Meditazione milanese (1928-29) e il romanzo La meccanica, incompiuti e pubblicati postumi (1970), e pubblicò il suo primo libro La Madonna dei filosofi (1931), raccolta di racconti di contenuto psicologico, seguito (1934) da una seconda raccolta, Il castello di Udine, incentrata sui ricordi di guerra. Nel 1936 ebbe origine il nucleo fondamentale del suo capolavoro, La cognizione del dolore, un intenso romanzo (193841) pubblicato incompleto su “Letteratura” ed edito nel 1963. Nel 1940 si trasferì a Firenze ove rimase fino al 1950. Qui riunì i racconti nell’opera L’Adalgisa. Disegni milanesi (1944) ed entrò in rapporto di amicizia con numerosi scrittori, in particolare con Montale. L’immediato dopoguerra vide Gadda impegnato nella stesura di un altro capolavoro, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, del quale pubblicò ampi tratti su “Letteratura” nel 1946 (fu edito nel 1957). Nel 1950 si stabilì a Roma, dove per quattro anni lavorò alla RAI. Alla

Gli anni giovanili

La morte del fratello La professione di ingegnere L’esordio narrativo

I racconti psicologici e i ricordi di guerra “La cognizione del dolore”

Il “Pasticciaccio”

317

10 - Carlo Emilio Gadda

L’ultima produzione

produzione di nuovi testi (Il primo libro delle favole, 1952 e Novelle del Ducato in fiamme, 1953) affiancò la continua, a volte ossessiva rielaborazione di testi già scritti o editi, (I sogni e la folgore, 1955; i saggi I viaggi la morte, 1958 e Verso la Certosa, 1961). Nel 1963 uscì una nuova raccolta I racconti. Accoppiamenti giudiziosi, in cui alcuni dei suoi più riusciti testi brevi sono accanto a importanti inediti. L’ultima produzione di Gadda è di tipo saggistico, (I Luigi di Francia, 1964), ma non sono privi del gusto della narrazione e di audace impasto linguistico Eros e Priapo (1967), implacabile indagine psicoanalitica della struttura retorica del regime fascista e il divertente trattatello dialogico a tre voci Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo (1967).

“La cognizione del dolore” Lo stesso Gadda dice che la cognizione consiste nel “procedimento di graduale avvicinamento di una nozione”; per questo i nove “tratti” che compongono il romanzo La cognizione del dolore costituiscono altrettante tappe della comprensione delle ragioni del dolore che sottostà al rapporto nevrotico che lega una madre e un figlio. La vicenda del roL’immaginario manzo è collocata in un immaginario paese sudamericaMaradagàl-Brianza no, il Maradagàl, che presenta impressionanti affinità con la Brianza sia nel paesaggio, sia nella composizione sociale, nel carattere, nei comportamenti degli abitanti. Il protagoLa trama nista, l’hidalgo decaduto don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino, è rabbioso verso un mondo intriso di volgarità, di opportunismo e di ipocrisia volta ad approfittare della generosità della madre, che egli vorrebbe proteggere dalla sua stessa bontà e che invece continua a offendere in maniera crudele. AtLettura grottesca torno alla villa ruotano strani figuri. L’ambientazione nel Madella realtà radagàl consente all’autore di realizzare una lettura grottequotidiana sca della realtà quotidiana con un forte effetto di straniamento, che mette in evidenza la verità quanto più viene falUna straordinaria sificata la realtà. Un ruolo straordinario in questa operaziocreazione linguistica ne è svolto dalla creazione linguistica di Gadda: un impasto mutevole di espressioni dialettali lombarde e meridionali, di termini gergali, di parole tecniche, di vocaboli spagnoli, di costrutti letterari arcaici e contemporanei.

“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” La trama 318

Il romanzo si presenta come un “giallo” incentrato su due crimini avvenuti in un palazzo di Roma: il furto dei gioielli della

10 - Carlo Emilio Gadda

signora Menegazzi e l’assassinio di Liliana Balducci, una donna ricca, gentile e triste perché senza figli. Su entrambi indaga il commissario Ciccio Ingravallo. Invece d’indirizzarsi verso la scoperta dei colpevoli il testo di Gadda devia continuamente, accentuando le complicazioni delle indagini, fornendo particolari forse non utili alla scoperta della verità, individuando moventi possibili ma non provati. La trama non giunge a una conclusione e proprio in questo modo emerge dalle pagine del Pasticciaccio il ritratto di una società in cui i comportamenti dei singoli e della collettività sono privi di motivazioni reali, risultano dettati da consuetudini, pregiudizi, calcoli meschini e spesso miopi e ottusi. Anche il regime politico, il fascismo della fine degli anni ’20, alla ricerca di una legittimazione perbenista e moralistica, contribuisce a creare un clima in cui dominano l’ipocrisia e la corruzione del senso etico del dovere e dello Stato.

Assenza di conclusione

Società dominata dai pregiudizi e dal calcolo

SCHEMA RIASSUNTIVO LA POETICA

L’opera di Carlo Emilio Gadda (1893-1973) resta l’esempio di una letteratura che ha cercato di trascrivere le sofferenze e i paradossi, ma anche le orribili corruzioni della civiltà moderna. La sua scrittura inventa uno sperimentalismo espressivo sempre concreto e poetico, comico quanto improvvisamente fantastico, e dà vita a un impasto linguistico che fonde lingua nazionale, dialetto, forme gergali e tecniche, costrutti letterari e quotidiani.

OPERE MAGGIORI

La cognizione del dolore (1939-41; poi 1963) è una lettura terribile quanto grottesca della realtà. Attraverso una lingua deformata viene creato un mondo rovesciato in cui la mancata corrispondenza tra cose quotidiane e nomi consueti lacera il velo delle abitudini tranquillizzanti. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957) è il grande ritratto di una società in cui i comportamenti dei singoli e della collettività sono privi di motivazioni reali, risultano dettati da consuetudini, pregiudizi e calcoli meschini.

DOMANDE DI VERIFICA 1. A quale paese reale si ispira l’immaginario Maradagàl del romanzo La cognizione del dolore? 318b 2. Che tipo di società rappresenta Gadda nel Pasticciaccio? 319a

3. Che lettura dà Gadda della realtà quotidiana? 318b 4. Quale ruolo e quale forma ha la lingua di Gadda? 318b

319

11 Il neorealismo Alla fine della guerra, la rinascita politico-economica del paese avvia una radicale democratizzazione della cultura: lo sviluppo dell’editoria popolare, la nuova scolarizzazione, il ruolo del cinema, la vitalità del giornalismo e della radio, sono fattori alla base di una cultura realistica e popolare (di forte contenuto politico), che avrà dunque nel “neorealismo” la sua espressione più alta.

I caratteri generali Le premesse

Il termine “neorealismo” era già stato avanzato alla fine degli anni ’30, per quegli autori (per esempio, C. Alvaro, che si proponevano di riannodare i fili con la tradizione veristica di G. Verga e Tozzi. Alla letteratura dei buoni sentimenti, cara al regime fascista, si contrapponevano un nuovo modo espressivo e una nuova realtà sociale, la questione delle plebi rurali del Sud e del mondo operaio del Nord. Sulla nascita del Influenza americana neorealismo del dopoguerra forte fu l’influenza della narrativa americana, che, tradotta da letterati come E. Vittorini e C. Pavese, introdusse in un’Italia fascista e provinciale, le opere di E. Calwell, J. Steinbeck, H. Melville, W. Saroyan, faIl mito America cendo sorgere un vero e proprio amore per l’America, intesa come terra dell’utopia libertaria, nuova frontiera di libertà e indipendenza. L’esigenza di un atteggiamento critico nei L’antifascismo confronti dell’Italia fascista, divenne un imperativo per quegli intellettuali, in gran parte aderenti al Partito Comunista, Denuncia e impegno che consideravano la letteratura come strumento di desociale nuncia e di impegno sociale. Il neorealismo propriamente detto si sviluppò dal 1940 al 1950, prediligendo in letteratura la narrativa dominata dai filoni tematici della guerra, della Resistenza e della condizione degli emarginati.

Elio Vittorini Alla base dell’intera attività di Elio Vittorini (1908-1966) sta la fiducia nella cultura, unica forza capace di costruire un mondo più giusto e umano. La sua letteratura fu sempre il segno di un progresso e di una ricerca reale e concreta. ■ La vita

Nato a Siracusa, sposò la sorella del poeta. Quasimodo. Nel 1929 iniziò a collaborare con la rivista “Solaria” e per un de320

11 - Il neorealismo

cennio visse a Firenze. Nel 1938 si trasferì a Milano, dove visse fino alla morte. Nel 1942 iniziò una stretta collaborazione con il Partito Comunista clandestino. Dopo la Liberazione fondò la rivista “Il Politecnico” (1945), entrando poi in “Il Politecnico” aperto conflitto con il gruppo dirigente comunista sul tema dell’autonomia della cultura. Nel 1959 fondò con I. Calvino la rivista “Il Menabò”, avviando un’intensa stagione di di- “Il Menabò” battiti sulle avanguardie letterarie. ■ L’organizzatore culturale Già a partire dagli anni ’30, con il giovanile articolo Scarico di coscienza (1929), Vittorini denunciò il provincialismo della letteratura italiana e la necessità di un’apertura alle influenze delle letterature straniere. Negli anni successivi tradusse diversi romanzi americani e nel 1941 con E. Cecchi curò l’antologia Americana, raccolta di narratori statunitensi con cui diffondeva nel chiuso contesto italiano il “mito America”. La stessa fondazione del “Politecnico” (1945), doveva essere uno strumento per rinnovare la cultura, a diretto contatto con i problemi della vita quotidiana. ■ La narrativa L’interesse alla contemporaneità domina anche la narrativa a partire dai racconti giovanili Piccola borghesia (1931). Il primo romanzo Il garofano rosso, uscito a puntate su “ Solaria” (1933-1936) edito solo nel 1948, narra l’iniziazione alla vita adulta di un liceale, che, dopo un’infatuazione per le idee fasciste, arriva a riconoscere la durezza e la contraddittorietà della realtà. Tutta la narrativa successiva ruota attorno al tema del viaggio, che diventa metafora esistenziale del processo conoscitivo: nel viaggio si contrappongono sempre due mondi, la Sicilia dell’infanzia e la città, luogo emblematico del divenire della realtà, in cui si muove l’uomo maturo. (Conversazione in Sicilia, 1937). Uomini e no (1945) è invece il romanzo della Resistenza a Milano, in sintonia con le istanze della letteratura neorealista, anche se l’opera è pervasa da forti tensioni liriche, sottolineate con intere sezioni scritte in corsivo. Seguirono i romanzi Il Sempione strizza l’occhio al Frejus (1947), in cui la vita del proletariato milanese diviene simbolo della dignità della vita popolare; Le donne di Messina (1948,) che ha al suo centro ancora un viaggio che conduce a una comunità fondata su un irrealizzabile comunismo di beni; l’incompiuto Le città del mondo (1969, postumo), che narra le storie parallele di alcuni personaggi in viaggio in una Sicilia ancora teatro dello scontro fra sogno e realtà, passato e futuro.

Denuncia del provincialismo Diffusione del mito americano

“Il garofano rosso”

Il tema del viaggio

“Uomini e no”, romanzo della Resistenza Il proletariato simbolo di dignità

321

11 - Il neorealismo

Cesare Pavese Narratore nostalgico e insieme concretamente realista, Cesare Pavese (1908-1950) cercò di conciliare la necessità tutta civile del rispetto umano con una drammatica coscienza di corruzione, da cui quasi niente riesce a salvarsi. Fondamentale la sua opera di diffusione in Italia delle esperienze letterarie europee e americane. ■ La vita Cesare Pavese, nato a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, visse quasi sempre a Torino, dove entrò in contatto con L’antifascismo esponenti dell’antifascismo. Intraprese il lavoro editoriale, diresse (1934) la rivista “La Cultura”, ma quando (1935) la rivista fu soppressa dal regime fascista, venne arrestato e condannato a tre anni di confino. Graziato, dopo un anno, tornò a collaborare con l’editoria, svolgendo un intenso lavoro di saggista e traduttore di autori inglesi e americani, (tra gli altri D. Defoe, H. Melville e J. Joyce) e prendendo parte all’antologia Americana (1941), curata da E. Vittori“Lavorare stanca” ni. Sua prima opera fu la raccolta di poesie Lavorare stanca (1936), la cui seconda edizione (1943) comprende anche l’importante saggio Il mestiere di poeta. Nonostante Solitudine le numerose, intense amicizie, Pavese visse gli anni delpsicologica l’anteguerra e della guerra in uno stato di solitudine psicologica intensa e dolorosa a causa anche di una vita sentimentale difficile e tormentata. Nel romanzo Paesi tuoi (1941) che lo impose all’attenzione della critica, sono già presenti tutti i temi della sua produzione più matura. Per tutto il periodo della Resistenza, alla quale non partecipò direttamente, si rifugiò presso una sorella nel Monferrato. Qui scrisse i racconti di Feria d’agosto (1946). Dopo la LiL’impegno politico berazione Pavese iniziò un periodo di impegno politico nel Partito Comunista e di grande creatività: scrisse il romanzo Il compagno (1947); i Dialoghi con Leucò (1947); i teLe opere di narrativa sti di narrativa di Prima che il gallo canti (1949); i tre lunghi racconti che costituiscono La bella estate (1949). Il punto più alto della sua attività, la pubblicazione del romanzo La luna e i falò (1950), coincise con il culmine delLa tragica fine la sua crisi esistenziale che lo spinse a togliersi la vita in una stanza d’albergo a Torino. Dopo la sua morte furono pubblicate le poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951); i racconti Notte di festa (1953); il romanzo Fuoco grande (1959), scritto con B. Garufi e soprattutto l’interessantissi“Il mestiere mo diario (1932-1950), edito con il titolo Il mestiere di vidi vivere” vere (1952, 1990).

322

11 - Il neorealismo ■ I temi Nella produzione di Pavese viene riproposto costantemente il tema dell’infanzia vissuta nel paesaggio delle Langhe, dove la campagna aspra, segnata da fatica e miseria, è però ricca di una tensione vitale che si manifesta, nei necessari opposti della nascita e della morte, con i simboli ricorrenti del sesso e del sangue. L’adolescenza è il momento in cui l’individuo entra in relazione con questa vitalità in maniera istintiva, creando un “mito” in cui luoghi e tempo si stringono in maniera insolubile. Da questa “rivelazione mitica” comincia il viaggio doloroso e faticoso dell’uomo verso la propria maturazione, verso l’impegno, verso la città, simbolo della capacità organizzatrice della ragione che si oppone alle forze naturali. Tale cammino è vissuto come un dovere non rinviabile, perché così si realizza l’ostinata volontà di partecipare alla vita collettiva; ma al tempo stesso è alienante e oppressivo e causa la profonda mortificazione di sé propria dell’età adulta, dominata dal senso di esclusione dalla vita e quindi di solitudine, vera prigione da cui è impossibile evadere. Da essa nasce il “vizio assurdo”, il desiderio di sopprimersi che ha accompagnato Pavese per tutta la sua vita. Nel suo romanzo più significativo, La luna e i falò, il protagonista, tornato nelle Langhe dopo molti anni passati in America, presto si rende conto che solo i luoghi sono rimasti identici, non le persone e le situazioni. La lingua del romanzo si serve di parole quotidiane, di una sintassi improntata ai moduli del dialetto e al parlato, che comunicano al lettore la fatica di passare da una realtà vissuta in maniera intensa ma ingenua a un più consapevole bisogno di capire.

L’infanzia nelle Langhe

La rivelazione mitica dell’adolescenza Il viaggio doloroso verso la maturazione

Il vizio assurdo “La luna e i falò”

Beppe Fenoglio Beppe Fenoglio (1922-1963), figura appartata rispetto alla società letteraria, incentra la sua opera su due motivi essenziali: la vita contadina delle Langhe e la guerra, entrambi rappresentati ad altissimi livelli stilistici e di severità morale. ■ La vita e le opere

Nato ad Alba, dovette interrompere gli studi universitari perché chiamato alle armi. Dopo l’armistizio del 1943 rientrò La guerra in Piemonte e partecipò alla Resistenza. Dopo la liberazio- e la Resistenza ne cominciò a scrivere i racconti I ventitré giorni della città di Alba (1952), a cui seguirono il racconto lungo La malora (1954), ambientato nelle Langhe, e il romanzo Primavera di bellezza (1959), ispirato all’esperienza partigiana. La morte lo colse precocemente mentre lavorava a numerosi 323

11 - Il neorealismo

Le opere postume

Scavo ossessivo della parola

La lotta come emblema di vita Tono epico e realistico

progetti che videro la luce postumi, come i romanzi Un giorno di fuoco (1963, ristampato nel 1965 con il titolo Una questione privata); Il partigiano Johnny (1968), il suo incompiuto capolavoro; il racconto La paga del sabato (1969) e quelli riuniti in L’affare dell’anima (1978). ■ “Il partigiano Johnny” Il partigiano Johnny è il suo risultato più tormentato e complesso, come testimoniano le varie stesure. Con il frequente ricorso all’inglese, Fenoglio tenta di conferire all’italiano una nuova identità, perseguita attraverso uno scavo ossessivo della parola e delle sue molteplici possibilità. Romanzo di crisi di una generazione in conflitto con se stessa, il Partigiano Johnny appare il frutto di un’amarezza insondabile, l’esito stilistico di una perplessità profonda. A Fenoglio non interessa esprimere giudizi sulle parti in lotta; ciò che gli interessa è la lotta in quanto tale, come emblema di vita; non solo e non tanto il bene e il male, ma uno scontro di forze impietose, che la guerra esalta. Di questa deflagrazione egli diventa al tempo stesso il cronista e lo storico, plasmando una lingua vivissima, scabra, che mescola il tono epico (sull’esempio di H. Melville) e la sentenza al popolare, il sublime al gergale, l’estremo realismo delle immagini all’allegoria.

Vasco Pratolini

La vita popolare fiorentina

Spaccato della vita sociale italiana

324

Il fiorentino Vasco Pratolini (1913-1991) è una delle voci più autentiche del neorealismo per la capacità di far assurgere a protagonista della sua narrativa il mondo popolare, di cui condivise lotte e ideali. Iniziò l’attività di scrittore con opere dedicate alla memoria dell’infanzia e dell’adolescenza (Il tappeto verde, 1941; Via de’ Magazzini, 1942; Le amiche, 1943), ma il primo romanzo a rappresentare una svolta nella sua narrativa fu Il quartiere (1944), che aveva come soggetto la vita popolare fiorentina. Seguirono Cronaca familiare (1947) e Cronache di poveri amanti (1947), ambientato ancora in un quartiere fiorentino con riferimenti storici alle violenze fasciste degli anni 1925-26. Dopo il romanzo Un eroe del nostro tempo (1949), storia di un personaggio “negativo”, un giovane fascista violento e rozzo, ritornò al mondo fiorentino con il racconto lungo Le ragazze di San Frediano (1951), e quindi diede avvio alla trilogia di romanzi Una storia italiana, uno spaccato della vita sociale italiana dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra. Con il romanzo La costanza della ragione (1963) ritornò all’originaria ispirazione dell’adolescenza.

11 - Il neorealismo

Jovine, Rea e Carlo Levi Il molisano Francesco Jovine (1902-1950), ispirato dall’im- Francesco Jovine pegno politico (partecipò in seguito alla Resistenza) e umano, pubblicò i romanzi Un uomo provvisorio (1934) e Signora Ava (1942). Postumo è il suo capolavoro Le terre del Sacramento, che descrive le miserevoli condizioni di vita e l’arretratezza delle plebi meridionali. Il campano Domenico Rea (1921-1994) fu esponente di un Domenico Rea neorealismo crudo, ma anche elegante e sensuale. Tra i suoi romanzi e racconti: Spaccanapoli (1947); Gesù fate luce (1950); Una vampata di rossore (1959); Il fondaco nudo (1985; Ninfa Plebea (1992). Il torinese Carlo Levi (1902-1975), militante antifascista, rac- Carlo Levi contò l’esperienza del confino nel romanzo Cristo si è fermato a Eboli (1945), che, a metà tra il reportage di alto livello e il pamphlet di denuncia, si inserisce nella tradizione meridionalistica, conferendo al mondo contadino un’aura epica e un forte valore simbolico. L’indagine sociale ispira anche i saggi e le cronache narrative: Paura della libertà (1946); L’orologio (1950); Le parole sono pietre (1955), denuncia delle condizioni di vita delle solfatare siciliane; La doppia notte dei tigli (1959), che narra di un viaggio nella Germania postnazista; Tutto il miele è finito (1964), dedicato alle condizioni della Sardegna.

Tobino e Cassola Mario Tobino (1910-1991), di Viareggio, medico, dopo gli esordi come poeta, pubblicò il racconto autobiografico Il figlio del farmacista (1942), e successivamente il romanzo Bandiera nera (1950), analisi dell’ambiente medico durante il fascismo, e il racconto-diario Il deserto della Libia (1952). Nel romanzo più noto, Le libere donne di Magliano (1953), rappresentò con acume e sensibilità la tragedia di molte pazienti malate di mente, colte nella solitudine e nell’estraneità a cui condanna la “follia”, strana forse ma autentica “libertà”. La brace di Biassoli (1956) è dedicato alla memoria della madre morta. Il clandestino (1962) rievoca un episodio della Resistenza alla quale partecipò. Nelle opere posteriori prevale l’analisi psicologica (Sulla spiaggia e di là dal molo, 1966, ambientato in Versilia; Una giornata con Dufenne, 1968, rievocazione di un vecchio compagno di scuola; Un perduto amore, 1979; La ladra, 1984). Il romano Carlo Cassola (1917-1987) entrò in rapporti con l’ambiente fiorentino di “Letteratura”. Già la sua primissima

Mario Tobino

La rappresentazione della malattia mentale

Carlo Cassola 325

11 - Il neorealismo

IL TEATRO DI EDUARDO DE FILIPPO La vasta produzione del napoletano Eduardo De Filippo (1900-1984), uno degli autori teatrali italiani più conosciuti nel mondo ha rappresentato il più significativo contributo allo sviluppo del teatro dialettale nel Novecento. Vissuto nel mondo teatrale napoletano fin da bambino, lui stesso attore, negli anni ‘30 cominciò a scrivere commedie di tono farsesco, tra le quali emerge un testo di notevole spessore psicologico: Natale in casa Cupiello (1931). Dopo il 1945 divennero per lui prioritari i temi del degrado morale prodotto dalla guerra e dal-

Teoria del subliminare

Il passaggio a una scrittura intimistica

326

l’occupazione militare di Napoli, metafore di una condizione umana dolente e immiserita, rappresentata con amara comicità da figure segnate spesso dalla corruzione e dall’emarginazione, ma riscattate dalla scintilla della dignità personale. Nacquero così opere di valore e di sicuro effetto teatrale: Napoli milionaria (1945); Questi fantasmi (1946); Filumena Marturano (1946); Le voci di dentro (1948); De Pretore Vincenzo (1957); Sabato, domenica e lunedì (1959); Il sindaco del rione Sanità (1960); Gli esami non finiscono mai (1973).

produzione di racconti (Alla periferia e La visita del 1942; Il taglio del bosco, 1954, il suo capolavoro) risente della lezione tematica e stilistica del neorealismo. Cassola guarda alle realtà più semplici, agli oggetti più normali, alle vicende più comuni ambientate in Maremma. Elabora la teoria del “subliminare”: le cose stanno sempre sotto la soglia della coscienza, per questo dietro il banale quotidiano si può celare qualcosa di inafferrabile. Tale poetica non muta sostanzialmente nei romanzi più impegnati Fausto e Anna (1952) e La ragazza di Bube (1960), in cui lo scrittore si misura con i temi della Resistenza e del dopoguerra. Di fronte a una realtà contemporanea sentita sempre più “nemica”, Cassola passa a una scrittura più intimistica, con un intento fra il consolatorio e l’evasivo (Un cuore arido, 1961; Il cacciatore, 1964; Ferrovia locale, 1968). Tra le ultime opere spiccano: Paura e tristezza (1970), Monte Mario (1973), Fogli di diario (1974), la raccolta autobiografica L’uomo e il cane (1977) e testi ispirati all’antimilitarismo.

11 - Il neorealismo

SCHEMA RIASSUNTIVO NEOREALISMO

I presupposti principali del neorealismo (1940-1950) sono un realismo più autentico, il “mito dell’America”, una nuova esigenza di impegno politico. Filoni tematici sono la guerra, la Resistenza, la condizione operaia e degli emarginati.

VITTORINI

Alla base dell’attività di Elio Vittorini (1908-1966) è la fiducia nella cultura come unica forza capace di costruire un mondo più giusto e più umano, da qui il suo impegno letterario e politico. La sua narrativa ruota attorno al tema del viaggio, metafora esistenziale del processo conoscitivo. Opere principali: Il garofano rosso (1948); Conversazione in Sicilia (1937); Uomini e no (1945).

PAVESE

Cesare Pavese (1908-1950), morto suicida, narratore nostalgico e insieme concretamente realista, ha cercato di conciliare la necessità tutta civile del rispetto umano con una drammatica coscienza di corruzione, da cui quasi niente riesce a salvarsi. Temi della sua narrativa: le natie Langhe, la rivelazione mitica dell’adolescenza, il faticoso e doloroso dovere della vita collettiva, il desiderio di annientamento (il “vizio assurdo”). Tra le sue opere: La bella estate (1949); La luna e i falò (1950); il diario Il mestiere di vivere (1952).

FENOGLIO

Beppe Fenoglio (1922-1963) ha espresso un realismo eroico e insieme etico, essenzialmente incentrato sui due motivi della vita contadina delle Langhe e della guerra. Da ricordare: I ventitré giorni della città di Alba (1952); Primavera di bellezza (1959) e soprattutto Il partigiano Johnny (1968).

PRATOLINI

Vasco Pratolini (1913-1991) fece protagonista della sua opera il mondo popolare soprattutto toscano (Cronaca familiare; Cronache di poveri amanti, 1947).

JOVINE

Francesco Jovine (1902-1950), molisano, non risparmia le miserevoli condizioni di vita delle plebi meridionali (Le terre di Sacramento, 1950).

REA

Domenico Rea (1921-1994) propone una suggestiva crudezza realistica (Spaccanapoli, 1947).

LEVI

Carlo Levi (1902-1975), torinese, unisce tradizione meridionalistica e indagine sociale nel suo romanzo Cristo si è fermato a Eboli (1945).

TOBINO

Mario Tobino (1910-1991), medico toscano, ha rappresentato la solitudine ed estraneità della malattia mentale (Le libere donne di Magliano, 1953).

CASSOLA

Carlo Cassola (1917-1987), romano, guardò alle realtà più semplici della Maremma e ai temi più impegnati della Resistenza e del dopoguerra (Il taglio del bosco, 1954; Fausto e Anna, 1952; La ragazza di Bube, 1960).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali temi ha privilegiato il neorealismo? 320 2. Attorno a quali temi ruota la narrativa di Vittorini? 321 3. Che cosa determina il “vizio assurdo” che ha accompagnato la vita di Pavese? 323a 4. Quale forza vitale esalta Fenoglio nel romanzo Il

partigiano Johnny? 324a 5. In quali forme si esprime la tradizione meridionalistica di Jovine e Carlo Levi? 325a 6. Che cosa è la teoria del “subliminare” elaborata da Cassola? 326b

327

12 Il realismo critico Il lavoro di scrittori come Moravia, Sciascia, Brancati, Piovene, Soldati, Flaiano, Bassani, Primo Levi o Parise va oltre la nozione pur ampia di “neorealismo” ed è più opportunamente collocabile in una sorta di “realismo critico”, categoria narrativa in cui si tende, oltre che a rappresentare, soprattutto a indagare le forme della realtà. Moravia è lo scrittore dell’analisi perpetua; Brancati o Piovene, dello smascheramento; per Parise e Sciascia, pur da presupposti diversi, scrivere significa soprattutto analizzare una tipologia umana e sociale. Anche Tomasi da Lampedusa o Primo Levi, così lontani per esperienza e stile, sembrano avere in comune una forte esigenza critica e di inchiesta umana. Pasolini infine intende la letteratura come un modello per capire la realtà.

Alberto Moravia Alberto Moravia, pseudonimo del romano Alberto Pincherle (1907-1990), fu un osservatore instancabile e sagace della realtà contemporanea. Fece propri molti temi della modernità: il sesso, l’alienazione, il significato dei rapporti economici. La sua scrittura, sempre aderente al contesto sociale, in genere quello borghese, è un esempio di lucidità e rigore espressivo. ■ La vita e le opere

Non compì studi regolari per motivi di salute. Il romanzo Gli indifferenti, pubblicato (1929) a proprie spese, che narra il disfacimento del tessuto umano e morale di una famiglia romana degli anni ’20, destò straordinario interesse ma suscitò l’ostilità della cultura fascista. Moravia cominI viaggi all’estero ciò a viaggiare (Londra, Parigi, Stati Uniti, Cina) come income inviato viato speciale di numerosi giornali. Pubblicò altre opere di speciale narrativa: Le ambizioni sbagliate (1935); L’imbroglio (1937); I sogni del pigro (1940); La mascherata (1941). Nel 1941 sposò la scrittrice Elsa Morante. Tornato a Roma dopo la liberazione della città, iniziò un intenso periodo creativo: pubblicò, oltre al romanzo breve Agostino (1944) incentrato sui turbamenti sessuali di un adolescente, numerosi romanzi e racconti come La romana (1947); Racconti romani (1954); La ciociara (1957) e Nuovi racconti roIl popolo romano nel mani (1959), esplorando il vitalismo del popolo romano quadro della guerra nel quadro violento e drammatico della guerra. In altre opeL’esordio narrativo

328

12 - Il realismo critico

re come La disubbidienza (1948); L’amore coniugale e altri racconti (1949); Il conformista (1951); Il disprezzo (1954), proseguì invece la ricerca psicoanalitica intrapresa con Agostino. Con La noia (1960), facendo propri alcuni La noia esistenziale moduli del romanzo francese impostato sul tema dell’alienazione, Moravia trovò un nuovo e fertile terreno d’indagine: il senso di inutilità e di fallimento esistenziale. La sua produzione si arricchì in seguito di numerosi racconti La produzione (L’automa, 1962; Una cosa è una cosa, 1967; Il paradiso, della maturità 1970; Boh, 1976; La cosa, 1983), romanzi (L’attenzione, 1965; Io e lui, 1971; La vita interiore, 1978; 1934, 1982; L’uomo che guarda, 1985; Viaggio a Roma, 1989), saggi di notevole interesse (Un mese in Urss, 1958; Lettere dal Sahara, 1981). ■ Le tesi ispiratrici La vastissima produzione di Moravia rappresenta e interpreta gli eventi che più profondamente hanno agito sulla società italiana (fascismo, guerra, occupazione e liberazione, rinascita economica, consumismo, contestazioni, terrorismo), servendosi di due strumenti: la psicoanalisi, per comprendere il rapporto dell’individuo con se stesso, e il marxismo, per analizzare i rapporti sociali, le dinamiche legate al possesso. Per Moravia la sfera sessuale è una forza vitale soltanto se espressione del mondo popolare, immediato e non condizionato. Nel contesto borghese invece tutti i rapporti si fondano sul denaro, tutto è mercificato, inserito in un meccanismo di consumo capace di distruggere ogni logica vitale. Nella struttura dei testi narrativi di Moravia vi è una netta prevalenza dell’azione sulla riflessione; la vicenda procede attraverso contrasti psicologici marcati tra i personaggi, solitamente pochi, che si rivelano attraverso i gesti e i dialoghi. Il linguaggio, chiaro, mantiene costantemente un livello medio, spesso con inflessioni romanesche. Le sue opere hanno un taglio marcatamente “teatrale” e sono state spesso spunto per versioni cinematografiche, a cui Moravia stesso collaborò.

Due strumenti: psicoanalisi e marxismo Sfera sessuale e rapporti borghesi fondati sul denaro L’azione prevale sulla riflessione

Leonardo Sciascia Leonardo Sciascia (1921-1989), scrittore di grande impegno civile e politico, propose una narrativa limpida e distaccata, in un sorta di pessimistico, lucido razionalismo. I metodi classici dell’indagine, dell’inchiesta poliziesca, della ricostruzione storica o della denuncia costruiscono le architetture dei suoi libri. 329

12 - Il realismo critico ■ La vita e le opere Nativo di Racalmuto, presso Agrigento, Sciascia entrò presto in contatto con l’ambiente culturale siciliano. Esordì con raccolte poetiche (Favole della dittatura, 1950; La Sicilia, il suo cuore, 1952), ma il suo impegno creativo si rivolse subito alLe prime opere la prosa. Le parrocchie di Regalpetra (1956) e i racconti Gli narrative zii di Sicilia (1958), hanno al centro la Sicilia, con il suo passato di delusioni e promesse tradite e il suo problematico Il giallo, genere presente. Inaugurò poi una nuova stagione scegliendo il gialletterario per lo come genere letterario e la denuncia della criminalità madenunciare la mafia fiosa come argomento principale. Il giorno della civetta (1961), diede allo scrittore successo e un ruolo di grande rilievo nella battaglia contro la mafia per un cambiamento radicale delle regole della società siciliana. Seguirono Il Consiglio d’Egitto (1963), ambientato nella Palermo del Settecento e A ciascuno il suo (1966). All’inizio degli anni ’70 l’imL’impegno pegno civile di Sciascia si volse contro la cosiddetta “stratecontro la strategia gia della tensione” e il terrorismo. Nacquero così due delle della tensione sue opere più interessanti e controverse, Il contesto (1971) e il terrorismo e Todo modo (1974), indagini poliziesche su oscuri episodi coinvolgenti figure del potere politico. Un momento di illusione positiva è Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (1977), in cui esprime un’aspirazione alla razionalità ripresa dichiaratamente dalla cultura illuministica. La battaglia civile contro la logica dell’intrigo e della sopraffazione (sostenuta anche da incarichi politici) ebbe espressione organica Il filone dell’inchiesta nel filone dell’inchiesta storica (La morte dell’inquisitore, storica 1967) e nei racconti-inchiesta Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971) su uno scrittore francese suicida; La scomparsa di Majorana (1975) sulla misteriosa sparizione del famoso fisico nucleare; L’affaire Moro (1978), sul sequestro e l’omicidio del presidente democristiano; Dalle parti degli infedeli (1979), sulla connivenza tra Chiesa e mafia; Il L’attività critica teatro della memoria (1981). Notevole anche la sua attività di critico letterario, (Pirandello e la Sicilia, 1961).

Vitaliano Brancati Vitaliano Brancati (1907-1954), erede della grande tradizione siciliana di Verga e De Roberto, analizzò la vita della borghesia siciliana durante il fascismo, avvalendosi di un’ironia dissacrante, e rivelatrice del disagio sociale dell’epoca. ■ La vita e le opere

Rifiutò molto presto la giovanile adesione al fascismo, documentata nel romanzo breve Singolare avventura di viag330

12 - Il realismo critico

gio (1934). Dopo la seconda guerra mondiale si fece sostenitore di un liberalismo radicale, teso a denunciare l’intolleranza e il dilagante disprezzo per la cultura. La sua produzione letteraria comprende racconti (Il vecchio con gli sti- I racconti e i romanzi vali, 1945), romanzi (L’amico del vincitore, 1932; Gli anni perduti, 1941; Don Giovanni in Sicilia, 1941; Il bell’Antonio, 1949; l’incompiuto Paolo il caldo, 1955, postumo), opere drammaturgiche (Questo matrimonio si deve fare, 1938; Le opere teatrali Le trombe d’Eustachio, 1942; Raffaele, 1948; La governante, 1952, bloccata dalla censura per lo scabroso tema dell’omosessualità femminile) e saggistica. ■ I temi La narrativa di Brancati, che ha ispirato anche opere cinematografiche, è dominata dalle manie e dalle distorsioni del maschio siciliano, passivo e preda di fantasie erotiche, vittima dell’ambiente sociale, la piccola e media borghesia. I giovani degli Anni perduti, o il protagonista del Don Giovanni in Sicilia, vivono inappagati rinviando continuamente la partenza dalla Sicilia e lasciando fallire tutti i progetti. Risvolti cupi e tragici connotano nel Bell’Antonio la vicenda del giovane siciliano bellissimo che vive il dramma dell’impotenza nell’epoca fascista che della virilità aveva fatto uno dei valori primari. In Paolo il caldo è delineato, con intenti autobiografici, il difficile impatto di un giovane intellettuale siciliano con il mondo della borghesia romana.

Manie e distorsioni del maschio siciliano

“Bell’Antonio” “Paolo il caldo”

Piovene, Soldati e Flaiano Guido Piovene (1907-1974), vicentino, giornalista, soprattuto scandagliò le inquietudini e le ipocrisie della vita provinciale. Diffidente nei confronti delle verità e delle certezze precostituite, fu attratto piuttosto dalle “zone pericolose dell’animo” che non sempre possono e debbono essere chiarite. Tale inquieta problematicità percorre tutta la sua narrativa: dai primi racconti, (La vedova allegra, 1931) alle Lettere di una novizia (1941), il romanzo di una monacazione forzata costellata di delitti e torbide passioni. Anche negli altri romanzi (Pietà contro pietà, 1946; Falsi redentori, 1949; Furie, 1963; Stelle fredde, 1970), domina il tema della menzogna come unica possibilità di salvezza in un mondo scomposto e dissennato. Nel volume di saggi Coda di paglia (1963), rivisitò la sua contraddittoria adesione al fascismo. Il torinese Mario Soldati (1906), giornalista e scrittore ric-

Guido Piovene Inquieta problematicità

La menzogna come speranza di salvezza

Mario Soldati 331

12 - Il realismo critico

“America primo amore”

Ennio Flaiano

Il teatro

co e versatile, propone una narrativa leggera ma anche smagliante, capace di usare molteplici timbri narrativi. Dal periodo intenso e ricco di esperienze (1929-1931) passato alla Columbia University di New York, come insegnante, ha ricavato il romanzo America primo amore (1935), che rivela il temperamento di scrittore entusiasta della vita e di facile vena, oltre che la sua autentica passione per la cultura e la civiltà americana. Fra i volumi di racconti si ricordano: Sàlmace (1929); A cena col commendatore (1950); I racconti del maresciallo (1967). Fra i romanzi: La verità sul caso Motta (1943); Le due città (1964), in cui rivive il forte attaccamento alle sue due città, Torino e Roma; La sposa americana (1977). Di maggior rilievo a partire dagli anni ’30 l’attività cinematografica come soggettista, sceneggiatore e regista, che lo ha reso uno degli esponenti più validi del cinema italiano. Ennio Flaiano (1910-1972), nativo di Pescara, fu una delle figure culturali più vivaci del dopoguerra e narratore sarcastico e grottesco. La sua prima e più importante opera narrativa, Tempo d’uccidere (1947), allegorica rappresentazione della vita vista come stato d’angoscia, si caratterizza per una vena ironica, a metà tra l’assurdo e il paradosso, che è confermata anche dalle opere successive (Una e una notte, 1959; Le ombre bianche, 1972; La solitudine del satiro, 1973, postumo; Autobiografia del blu di Prussia, 1974, postumo). Per il teatro scrisse, sempre con intento polemico e satirico, La guerra spiegata ai poveri (1946), La donna nell’armadio (1958), Un marziano a Roma (1960). Fu inoltre sceneggiatore di alcuni film di Federico Fellini.

Giorgio Bassani

“Il romanzo di Ferrara”

332

Giorgio Bassani (1916) mette al centro della sua opera la storia di Ferrara e della sua numerosa comunità ebraica, vittima della persecuzione razziale fascista. Bassani, nato a Bologna, fu antifascista e partecipò alla Resistenza, conoscendo il carcere e la persecuzione. Il nucleo essenziale della sua produzione, costituito da sei opere, è stato raccolto dallo scrittore nel 1974 sotto il titolo complessivo de Il romanzo di Ferrara e comprende: Cinque storie ferraresi (1956), ripubblicate con il titolo Dentro le mura (1973); Gli occhiali d’oro (1958); Il giardino dei Finzi Contini (1962); Dietro la porta (1964); L’airone (1968); L’odore del fieno (1972). Meno note sono la sua produzione poetica (In rima e senza, 1982) e le prose saggistiche e autobiografiche che si trovano in Le parole prepa-

12 - Il realismo critico

rate e altri scritti di letteratura (1966) e in Di là dal cuore (1984). Quella di Bassani è una scrittura della memoria che, rievo- Scrittura cando vicende comuni sulle quali si scatena la violenza di della memoria una follia collettiva, riesce a ridare senso al passato. I suoi personaggi, per lo più ebrei, diventano l’emblema della tragedia esistenziale che travolge chi vive una lacerante diversità. Così la giovane enigmatica Micol del Giardino dei Finzi Contini, considerato il suo capolavoro, è protesa verso il presente perché presaga del destino di morte. Il medico ferrarese del romanzo breve Gli occhiali d’oro è costretto al suicidio per la solitudine e l’emarginazione vissute a causa della sua omosessualità, condannata dal fascismo. Al centro del romanzo Dietro la porta è una storia d’iniziazione alla vita di un giovane liceale che scopre traumaticamente la sessualità, vissuta come peccato.

Primo Levi Primo Levi (1919-1987), torinese, è un altissimo esempio di testimonianza umana e poetica. Di origine ebraica, laureato in chimica, venne internato (1944-45) nel campo di sterminio di Auschwitz. Nel 1947 pubblicò Se questo è un uomo, che, in una prosa classica e misurata, descrive l’orrore dei lager, facendo del tormento della memoria un imperativo etico a testimoniare un evento che pone in discussione la natura dell’uomo e a mettere in guardia di fronte alla possibilità di un nuovo olocausto. Ideale continuazione del precedente romanzo è La tregua (1963), che narra la liberazione e il viaggio di ritorno in patria. I suoi racconti (Storie naturali, 1967, Vizio di forma, 1971) oscillano fra il ricordo della guerra e l’attenzione alla vita quotidiana, aprendosi anche all’elemento fantastico. Tornò al romanzo con Il sistema periodico (1975), rievocazione autobiografica degli anni di formazione di un intellettuale ebreo piemontese, e soprattutto con La chiave a stella (1978), uno dei libri più positivi del dopoguerra, animato dalla fiduciosa consapevolezza del proprio valore da parte di un operaio specializzato. Seguì Se non ora, quando? (1982), ricostruzione appassionata di alcuni episodi della guerra. Concludono la sua produzione la raccolta di poesie Ad ora incerta (1984), i saggi L’altrui mestiere (1985) e l’opera-testamento I sommersi e i salvati (1986), che ritorna sull’esperienza del lager e dell’olocausto con una riflessione laica sul male nella storia e sul comportamento dell’uomo di fronte a esso.

La memoria dell’olocausto

Riflessione laica sul male

333

12 - Il realismo critico

Tomasi di Lampedusa e Morselli Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Guido Morselli

Il nobile palermitano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), cultore di letteratura inglese e francese e di studi storici, fu protagonista negli anni ’50 di un vero “caso” letterario: sconosciuto in vita, divenne molto noto e apprezzato dopo la morte, quando lo scrittore G. Bassani curò la pubblicazione del suo romanzo Il Gattopardo (1958). Si tratta di un romanzo storico ambientato in Sicilia tra la fine del regno borbonico e l’annessione dell’isola al Regno d’Italia che ha per protagonista il principe di Salina, l’ultimo dei “gattopardi”, rappresentati sullo stemma della famiglia. Giunto al tramonto della vita, egli si compiace di osservare gli eventi ora privati, ora pubblici, che si svolgono quasi senza lasciare tracce profonde nel mondo e negli uomini perché “bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è”. L’opera, che denuncia l’immobilismo della società siciliana e il trasformismo politico postrisorgimentale, è permeata da un profondo senso di morte e di disfacimento. Il bolognese Guido Morselli (1912-1973) fu autore d’eccezione, capace di reinventare la storia del passato o di intuirla nel futuro, congiungendo a una lucida intelligenza un pessimismo sconsolato e ironico. Solo dopo il suicidio, a Varese, le sue opere furono pubblicate e apprezzate per la singolare costruzione degli intrecci, per l’acume con cui sono affrontati alcuni problemi centrali del sec. XX e per l’alta qualità stilistica della scrittura. Le sue opere, tutte postume (Roma senza papa, 1974; Contropassato prossimo, 1975; Divertimento 1889, 1975, forse il suo capolavoro; Il comunista, 1976; Dissipatio H. G., 1977), raccontano in modo scabro e sottile la corruzione e l’indifferenza della vita moderna.

Parise e Berto Goffredo Parise

Satira della vita della provincia italiana

334

Il vicentino Goffredo Parise (1929-1986) fu autore di sorprendente forza e intensità narrativa: il suo realismo mostra sempre una concentrazione totale sulle cose. Collaborò a diversi quotidiani, pubblicandovi resoconti di viaggio. Esordì come narratore con il romanzo Il ragazzo morto e le comete (1951), al quale seguirono La grande vacanza (1953), che fotografa la vita della provincia italiana con intenti satirici e dissacranti, e Il prete bello (1954), storia dell’amore impossibile fra un prete e una giovane donna. Nei seguenti Il fidanzamento (1956) e Atti impuri (1959), continuò a mettere a nudo i guasti della provincia bigotta e viziosa. Di forte attualità sociale fu il romanzo grottesco del 1965, Il padrone,

12 - Il realismo critico

in cui il rapporto che s’intaura fra il padrone di una grande azienda e un suo dipendente riflette la violenza e la non autenticità della vita nella società industriale. Raccolse quindi molti racconti nel volume Crematorio di Vienna (1969) e gli elzeviri di argomento introspettivo in Sillabario n. 1 (1972) e Sillabario n. 2 (1982): un piccolo dizionario affettivo-sentimentale dei più semplici ed essenziali sentimenti dell’uomo. L’autobiografismo è il carattere della prosa del veneto Giuseppe Berto (1914-1978), che partecipò alla guerra e fu fatto prigioniero. Nel suo romanzo di maggior spicco, Il cielo è rosso (1947), domina il tema della guerra, come anche nei seguenti Le opere di Dio (1948), Il brigante (1951), e nel romanzo-diario Guerra in camicia nera (1955) rievocazione della guerra d’Africa. Con Il male oscuro (1964) inizia una nuova fase fortemente autobiografica, introspettiva e psicologica, una sorta di monologo interiore. La stessa tecnica venne utilizzata in La cosa buffa (1966), mentre un impianto più tradizionale caratterizza Anonimo veneziano (1971). Del 1973 è l’ironica Oh, Serafina, favola ecologica che critica aspramente la società industriale. Scrisse anche drammi di ispirazione religiosa (L’uomo e la sua morte, 1964; La passione secondo noi stessi, 1972).

I racconti e gli elzeviri

Giuseppe Berto

“Il male oscuro”

L’Italia dello sviluppo socio-economico Alcuni scrittori hanno saputo cogliere i molteplici aspetti dello sviluppo italiano degli anni ’50 e ’60. Il vigevanese Lucio Mastronardi (1930-1979), maestro ele- Lucio Mastronardi mentare che morì suicida, fu influenzato dal neorealismo. Con Il calzolaio di Vigevano (1959), scritto in un linguaggio italo-pavese, descrive la realtà di un piccolo centro lombardo alle prese con l’industrializzazione degli anni ’60. Nel successivo Il maestro di Vigevano (1962) tematiche più esistenziali, quasi pirandelliane, si fondono con toni e situazioni grottesche della vita scolastica. Il meridionale di Vigevano (1964), mette a fuoco le problematiche dell’immigrazione e conclude il ciclo narrativo, poi raccolto in Gente di Vigevano (1977), che include anche i racconti: A casa tua ridono (1971) e L’assicuratore (1975). Il romano Ottiero Ottieri (1924) ha partecipato molto atti- Ottiero Ottieri vamente al dibattito su letteratura e industria, con alcuni romanzi, quali Tempi stretti (1957), sull’alienazione operaia in fabbrica e Donnarumma all’assalto (1959), lucido esame delle contraddizioni tra le illusioni di un intellettuale dirigente d’azienda e la realtà amara e ribollente del Mezzogiorno lambito dall’industrializzazione. Meno interessanti 335

12 - Il realismo critico

Luciano Bianciardi

“La vita agra”

Piero Chiara

La linea gotica (1963) e L’impagliatore di sedie (1964), mentre alcune opere successive in prosa (L’irrealtà quotidiana, 1966; Il campo di concentrazione, 1972; Diario del seduttore passivo, 1995; Il poema osceno, 1996) e in poesia (Il pensiero perverso, 1971; e La corda corta, 1978) indagano il male di vivere e testimoniano di una profonda, dolente sensibilità. Il grossetano Luciano Bianciardi (1922-1971) visse con inquietudine un’aspra polemica nei confronti della società. Iniziò l’esperienza letteraria come traduttore di scrittori stranieri a lui congeniali per il romantico anarchismo: (W. Falkner, H. Miller, Th. Berger, J. Barth). Il pamphlet Il lavoro culturale (1957) è un libro-denuncia sul crollo degli ideali nati dalla Resistenza. Del 1962 è La vita agra, il romanzo più riuscito: il protagonista, un intellettuale anarchico di provincia, si trasferisce a Milano con l’intenzione di abbattere “il torracchione di vetro e cemento”, ma viene schiacciato dal mondo dell’industria culturale. La battaglia soda (1964) costituì il ritorno al racconto storico dei romanzi “risorgimentali” Da Quarto a Torino (1960) e Daghela avanti un passo (1969). Il luinese Piero Chiara (1913-1986) è stato uno dei più prolifici scrittori degli anni ’60 e ’70. Dotato di un talento narrativo eccezionale, che dosa abilmente intreccio e ritratto psicologico, in una prosa limpida e precisa, ha quasi sempre narrato storie di provincia, in bilico tra grottesco e surreale. Tra le sue opere migliori: Il piatto piange (1962), L’uovo al cianuro (1969), Viva Migliavacca (1982).

NARRATORI MERIDIONALI In questi anni alcuni scrittori del Sud offrono del Meridione un’immagine nuova, lontana dalla tipologia tradizionale. Soprattutto il napoletano Michele Prisco (1920) fa della sua città non più l’oggetto di una narrazione folcloristica o sociologica, ma il simbolo di una situazione esistenziale insopportabile. Si segnalano i suoi racconti La provincia addormentata (1949); Fuochi a mare (1957) e i romanzi Gli eredi del vento (1950); La dama di piazza (1961); Una spirale di nebbia (1966); I cieli della sera (1970); I giorni della conchiglia (1989).

336

Raffaele La Capria (1922) trasforma gli elementi autobiografici nel ritratto di una generazione velleitaria, sullo sfondo di una Napoli lacerata e inerte (Ferito a morte, 1961; Amore e psiche, 1973; L’occhio di Napoli, 1996; La mosca nella bottiglia, 1996). Mario Pomilio (1921-1990), nativo di Chieti, propone romanzi in cui si intrecciano ispirazione cristiana e problematiche sociali, nel quadro di un impegno morale e civile (L’uccello nella cupola, 1954; Il testimone, 1956; La compromissione, 1965; Il quinto evangelio, 1975; Natale del 1833, 1983).

12 - Il realismo critico

Pier Paolo Pasolini Pier Paolo Pasolini (1922-1975) intese la letteratura come un modello per capire la realtà fuori da ogni astrazione intellettualistica. Fu così vicino alle tematiche del neorealismo, ma anche radicale sperimentatore. Fu uno dei pochi scrittori del secolo a interpretare con coraggio e dignità il dovere civile dell’indignazione, il diritto di una letteratura votata a comprendere come a rifiutare corruzione e disumanità. ■ La vita Nato a Bologna, dopo la laurea ritornò nel materno Friuli, e nel 1945 fondò con alcuni amici l’“Academiuta di lenga furlana”, a sostegno della poesia in dialetto friulano. Nel 1947 si iscrisse al Partito comunista e iniziò a insegnare, ma nel 1949 fu espulso dal partito e sospeso dall’insegnamento per corruzione di minorenni. Si trasferì a Roma e nel 1955 fondò la rivista “Officina”. Negli anni ’60, ormai noto al grande pubblico, intraprese anche l’attività di regista cinematografico (fra Regista i suoi film: Accattone, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci cinematografico e uccellini). Negli anni ’70 collaborò a periodici e quotidiani, intervenendo con spregiudicata incisività sulle principali questioni politiche e culturali, rimpiangendo l’Italia povera e contadina distrutta dai mass-media e dal consumismo di massa. Morì a Roma, assassinato in circostanze oscure. ■ L’opera letteraria

I primi due romanzi Atti impuri e Amado mio, pubblicati postumi nel 1982, e l’idillio in prosa Il sogno di una cosa (1949) sono opere tra il diaristico e il documentario in cui il giovane Pasolini descrive i primi amori omosessual. Iil romanzo Ragazzi di vita (1955) gli procurò un grande successo anche di critica. La scoperta della gioventù emarginata delle borgate romane, violenta e scomposta ma vitale, spinge Pasolini verso un populismo in parte venato di marxismo, in parte sentimentale, in cui affiora un latente moralismo cattolico. La scrittura ferma e precisa, il calco dialettale lo avvicinano al neorealismo, ma orientato verso una dimensione mitizzante. Con Una vita violenta (1959), che traccia la storia di un ragazzo “predestinato” alla violenza, incapace di una visione matura della realtà o di qualsiasi coscienza politica e sociale, il mito si arrende alla realtà. Analogamente, tragedie in versi come Calderón (1973), Affabulazione e Pilade (postume, 1977) perseguono faticosi progetti di trasposizione mistica di conflitti psichici e tensioni sociopolitiche. Invece la vocazione “pubblica” di Pa-

Gli esordi

“Ragazzi di vita”

“Una vita violenta”

Le tragedie in versi

337

12 - Il realismo critico

Le liriche in friulano

Le poesie in lingua

solini trovò sfogo nell’ampia produzione saggistica e negli interventi giornalistici controcorrente (Passione e ideologia, 1960; Empirismo eretico, 1972; Scritti corsari, 1975; Le belle bandiere, 1977). La raccolta La meglio gioventù (1954, rifatta nel 1975) con le prime poesie in dialetto friulano è la splendida e mai più raggiunta vetta della lirica pasoliniana: il recupero filologico del dialetto è al servizio della nostalgia per la terra e la lingua materne, momento ideale del suo destino di uomo. Nelle poesie in lingua L’usignolo della chiesa cattolica (1958), Pasolini esprime un sentimento cattolico luttuoso e barocco, misto a tardi rifacimenti decadenti. Le Ceneri di Gramsci (1957) rispecchiano l’impatto con Roma, la riflessione sul degrado della società e, insieme, l’anelito a un mutamento radicale. La religione del mio tempo (1961), adotta la satira e l’epigramma; Poesia in forma di rosa (1964) argomenta e monologa in una prospettiva di rifiuto e contestazione ormai troppo declamata. In Trasumanar e organizzar (1971), da una parte Pasolini riscrive le poesie giovanili in dialetto, dall’altra assume toni da poeta civile e sdegnato, preludendo all’ultima, tragica stagione.

SCHEMA RIASSUNTIVO REALISMO CRITICO

Categoria narrativa in cui si tende, oltre che a rappresentare, soprattutto a indagare le forme della realtà.

MORAVIA

Alberto Moravia (1907-1990), osservatore instancabile della realtà contemporanea, ha fatto propri molti temi della modernità (sesso, alienazione, significato dei rapporti economici). La sua scrittura è un esempio di lucidità e rigore espressivo. Da ricordare: Gli indifferenti (1929) e La noia (1960).

SCIASCIA

Leonardo Sciascia (1921-1989), scrittore di grande impegno civile e politico, propone una narrativa limpida e distaccata, in un sorta di pessimistico, lucido razionalismo, attraverso i metodi classici dell’indagine, dell’inchiesta poliziesca, della ricostruzione storica o della denuncia. Da ricordare: Il giorno della civetta (1961); A ciascuno il suo (1966); Il contesto (1971); Todo modo (1974).

BRANCATI

Vitaliano Brancati (1907-1954), erede della grande tradizione siciliana di Verga e De Roberto, analizza la vita della borghesia siciliana durante il fascismo, avvalendosi di una comicità e di un’ironia dissacrante, rivelatrice del disagio sociale dell’epoca. Da ricordare: Don Giovanni in Sicilia (1941); Il bell’Antonio (1949).

PIOVENE

Guido Piovene (1907-1974) scandaglia soprattuttto le inquietudini e le ipocrisie della vita provinciale. Da ricordare: Lettere di una novizia (1941).

SOLDATI

Mario Soldati (1906), scrittore ricco e versatile, è capace di usare molteplici timbri narrativi. Da ricordare: Sàlmace (1929); America primo amore (1935).

338

12 - Il realismo critico segue

FLAIANO

Ennio Flaiano (1910-1972), è narratore sarcastico e grottesco. Da ricordare: Tempo d’uccidere (1947).

BASSANI

Giorgio Bassani (1916) rievoca vicende della comunità ebraica di Ferrara, i cui personaggi diventano emblema della tragedia esistenziale di chi vive una lacerante diversità. Da ricordare: Il giardino dei Finzi Contini (1962).

LEVI

Primo Levi racconta con scrittura piana e distaccata l’orrore del lager nazista dando un’altissima testimonianza morale e poetica dell’olocausto. Da ricordare: Se questo è un uomo (1947), La tregua, La chiave a stella (1978), I sommersi e i salvati (1986).

TOMASI DI LAMPEDUSA

Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), ha scritto il romanzo storico Il Gattopardo (1958), che attraverso le vicende siciliane indaga il “carattere” degli italiani.

MORSELLI

Guido Morselli (1912-1973) ha raccontato, in modo scabro e sottile, la corruzione e l’indifferenza della vita moderna. Da ricordare: Divertimento 1889 (1975); Il comunista (1976).

PARISE

Goffredo Parise (1929-1986) propone un realismo narrativo che è sempre una concentrazione totale sulle cose. Da ricordare: Il ragazzo morto e le comete (1951); Il prete bello (1954); Il padrone (1965); Sillabario n. 1 (1972) e Sillabario n. 2 (1982).

BERTO

L’autobiografismo è il carattere della prosa di Giuseppe Berto (1914-1978). Da ricordare: Il cielo è rosso (1947); Il male oscuro (1964).

SCRITTORI DELL’ITALIA

Il vigevanese Lucio Mastronardi (1930-1979) con Il calzolaio di Vigevano (1959); Ottiero Ottieri (1924) con Donnarumma all’assalto (1959); Luciano Bianciardi (1922-1971) con La vita agra (1962); Piero Chiara (1913-1986) con Il piatto piange (1962).

DELLO SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO

PASOLINI

Pier Paolo Pasolini (1922-1975) interpreta la letteratura come un modello per comprendere la realtà al di fuori di ogni astrazione intellettualistica e interpretare il dovere civile dell’indignazione. Crede nella complessità plurilinguistica della tradizione (rifiutando la neoavanguardia), benché si senta un ribelle rinnovatore. Tra i romanzi: Ragazzi di vita (1955), Una vita violenta (1959). Tra le opere poetiche: La meglio gioventù (1954, 1975), Le ceneri di Gramsci (1957).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Che cos’è la noia esistenziale nell’opera di Moravia? 329a 2. Su quali fronti e con quali generi letterari Sciascia ha attuato il suo impegno civile? 330 3. Qual è il panorama sociale e umano dell’opera di Brancati? 330b-331a 4. Quale funzione ha in Bassani la memoria auto-

biografica? 333a 5. Perché Primo Levi rievoca l’olocausto? 333b 6. Qual è il significato degli eventi narrati nel Gattopardo? 334a 7. Quale funzione ha il dialetto nella prosa e nella lirica di Pasolini? 338a

339

13 La poesia dialettale del Novecento Finito il realismo popolare della letteratura dialettale ottocentesca, nel Novecento la ricca produzione poetica in dialetto si mostra aperta ai valori più intimi, capace di ritrovare nella scelta del vernacolo una più profonda autenticità umana, una lingua quasi incorrotta rispetto alla tragica consunzione della lingua poetica tradizionale.

Delio Tessa Delio Tessa (1886-1939), erede della grande tradizione della lirica in dialetto milanese, risulta un esempio altissimo Espressionismo lirico di espressionismo novecentesco. Condusse vita isolata, esercitando la professione di giudice. Pubblicò un solo libro di poesie, L’è il dì di mort, alegher! (1932): protagonista della sua poesia è il popolino di Milano, in particolare la genInvenzioni te di malaffare. La scelta del dialetto utilizza i dati linguistici linguistiche vicine per deformarli con invenzioni vicine allo sperimentalismo alla sperimentazione futurista, non lontano da certe dissonanze di origine pascofuturista liana. Lo strano componimento Caporetto 1917, sulla tragicità della guerra, vista attraverso gli occhi della povera gente che impreca per la disfatta, crea una vera e propria parodia che fa da contraltare alla propaganda ufficiale, con risultato finale tragicomico. Uscirono postumi: Poesie nuove e ultime (1979) e Alalà al pellerossa (1979).

Biagio Marin La produzione poetica

I temi

340

Biagio Marin (1891-1985), nativo di Grado, studiò filosofia a Vienna e poi a Roma con il filosofo G. Gentile. A Firenze entrò in contatto con l’ambiente de “La Voce”. Alle prime raccolte, Fiuri de tapo (1912); La girlanda de gno suore (1922); Cansone picole (1926), dopo un lungo intervallo, seguirono le raccolte che lo resero noto, fra le quali: I canti de l’isola (1951); Il non tempo del mare (1965); La vita xe fiama (1970); Ultime refolae (1975); La vose de la sera (1985). L’adozione del dialetto gradese, una lingua arcaica e povera, rappresenta la scelta di purezza ed essenzialità delle origini, che Marin contrappone alle trasformazioni del mondo contemporaneo. Semplici anche i suoi temi: il mare, il sole, i profumi, l’umanità.

13 - La poesia dialettale del Novecento

Giacomo Noventa Giacomo Noventa è lo pseudonimo di Giacomo Ca’ Zorzi, (1898-1960), originario di Noventa di Piave. La sua ideologia, un misto di cattolicesimo e di marxismo, fu animata da un profondo spirito antiborghese e dal desiderio di partecipare all’edificazione di una società dominata dalla giustizia. Nel 1936 fondò la rivista “La Riforma letteraria”. Nel 1956 uscì il volume Versi e poesie, che raccoglie i versi in dialetto veneto destinati all’ascolto degli amici, quindi in forma di conversazione più che di scrittura. Il volume Versi e prose di Emilio Sarpi uscì postumo (1963). La sua poesia è il segno di un’antica civiltà, lontana da ogni eroismo e da ogni intellettualismo; la poesia recupera valori e sentimenti considerati morti, sa cogliere il senso ultimo delle cose; la poesia è preghiera che non guarda tanto alle parole, quanto a ciò a cui le parole rimandano.

Cattolicesimo e marxismo

La poesia è preghiera

Trilussa Trilussa è lo pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (18711950), autore di una copiosa produzione di facili versi in romanesco che gli valse immediato e vasto consenso. Attento osservatore della vita borghese, la sua vena si caratterizza per la descrizione di usi, costumi e atteggiamenti in chiave bozzettistica, a cui il dialetto aggiunge immediatezza e ironia (Er mago de Bborgo, 1890-91), oppure per l’argomento favolistico e moraleggiante (Ommini e bestie, 1914; Lupi e agnelli, 1919).

Pierro, Guerra, Baldini, Loi Il dialetto resta per alcuni autori un modo per “toccare” letteralmente il senso delle cose, la deformazione e il paradosso della vita: il pessimismo si equilibra dunque con un fortissimo gusto della dizione e del paesaggio naturale. Il lucano Albino Pierro (1916-1995) testimonia un misto Albino Pierro di dolore e di segreta disperazione. La sua poesia (scritta nell’antichissimo dialetto materno di Tursi, presso Matera) può essere realistica, sentimentale, tragica, persino grottesca: ma insiste sul puro terrore che si nasconde dentro le cose. Tra le numerose raccolte vanno ricordate: Metaponto (1966), Nd’u piccicarelle de Turse (Nel precipizio di Tursi, 1967); Eccò a morte? (Perché la morte?, 1969); Famme dorme (1971); Si po’ nu iurne (Se poi un giorno, 1983); Un pianto nascosto (1986). 341

13 - La poesia dialettale del Novecento

Tonino Guerra

Raffaello Baldini

Franco Loi

Il romagnolo di Santarcangelo Tonino Guerra (1920), autore anche di romanzi in italiano (L’uomo parallelo, 1969; I guardatori della luna, 1981) e sceneggiatore di numerosi registi cinematografici italiani e stranieri, popola i suoi versi di figure dolorose, spesso emarginate, ma cariche di intensa sensibilità e vitalità (I bu. Poesie romagnole, 1972). Anch’egli di Santarcangelo di Romagna, Raffaello Baldini (1924) nelle sue poesie di La nàiva (1982) e Furistìr (1988) identifica e riproduce lucidamente la grammatica della nevrosi quotidiana. Il genovese Franco Loi (1930), è vissuto fin da ragazzo a Milano. I suoi libri (Stròlegh, 1975; Teater, 1978; Liber, 1988; Umber, 1992, L’Angel, 1981-94) sono tenerissimi racconti reali di dolore e speranza, scritti in un milanese molto lontano dal dialetto parlato, capace di momenti di grande espressività.

SCHEMA RIASSUNTIVO POESIA DIALETTALE

Si abbandona il vernacolo come scelta di realismo popolare: e la poesia in dialetto diventa soprattutto occasione di autenticità e sincerità umana.

TESSA

Il milanese Delio Tessa (1886-1939) scegliendo il dialetto utilizza i dati linguistici per deformarli con invenzioni vicine allo sperimentalismo futurista (L’ è il dì di mort, alegher!, 1932).

MARIN

Biagio Marin (1891-1985) con l’adozione dell’arcaico dialetto materno di Grado fa una scelta di purezza ed essenzialità delle origini, da contrapporre alle trasformazioni del mondo contemporaneo (Cansone picole, 1926; I canti de l’isola, 1951; La vose de la sera, 1985).

NOVENTA

La poesia del veneto Giacomo Noventa (1898-1960), che assunse lo pseudonimo del paese d’origine, recupera valori e sentimenti considerati morti, sa cogliere il senso ultimo delle cose (Versi e poesie, 1956).

TRILUSSA

Pseudonimo del romano Carlo Alberto Salustri (1871-1950). Osserva la cronaca e la vita borghese con immediatezza e ironia (Ommini e bestie, 1914; Lupi e agnelli, 1919).

PIERRO

La poesia del lucano Albino Pierro (1916-1995) può essere realistica, sentimentale, tragica o grottesca (Metaponto, 1966).

GUERRA

Il romagnolo Tonino Guerra (1920), anche sceneggiatore cinematografico, popola i suoi versi di figure dolorose ma vitali (I bu. Poesie romagnole, 1972).

BALDINI

Il romagnolo Raffaello Baldini (1924) descrive lucidamente la nevrosi quotidiana (La nàiva, 1982; Furistìr, 1988).

LOI

Franco Loi (1930), genovese ma milanese d’adozione, ha scritto tantissimi racconti reali di dolore e speranza in milanese (Stròlegh, 1975; L’Angel, 1981-94).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale funzione ha il dialetto per Tessa? 340a 2. Quali temi ispirano Marin? 340b

342

3. Qual è la prospettiva della poesia di Noventa? 341a

14 La poesia del dopoguerra La poesia del dopoguerra è testimoniata da personalità di assoluto rilievo. Betocchi e Penna, in modo diverso, stabiliscono la ricerca di un realismo assoluto. Luzi, Bertolucci e Sereni propendono per una ricerca appassionata, che avrà esiti diversi (il senso storico di Sereni aprirà a Linea Lombarda); Caproni approda a una nitidezza espressiva amara e straziante.

Carlo Betocchi Il torinese Carlo Betocchi (1899-1985) è il rappresentante di un realismo in cui la poesia è fatta di cose eppure è una continua tensione all’assoluto. Soprattutto nelle prime raccolte (Realtà vince il sogno, 1932; Altre poesie, 1939; Notizie di prosa e poesia, 1947) i temi prediletti sono la realtà rurale della Toscana e i suoi valori semplici e autentici. L’estate di San Martino (1961) fu l’inizio di una Temi della vecchiaia nuova fase poetica, legata al tema della vecchiaia, della mor- e della morte te vicina ma accettata cristianamente: nacque così una lirica più intima, di andamento diaristico. Nella ricerca della verità ultima, Betocchi è convinto che unico valore per l’uomo sia quello dell’appartenere a un ordine universale, sola salvezza contro la violenza e la mercificazione della società industriale.

Sandro Penna La poesia del perugino Sandro Penna (1906-1977) si richiama soprattutto alla lezione di Saba e, in parte, all’ermetismo. Temi dominanti sono l’omosessualità e i paesaggi dell’esistenza. Nel suo verso, concreto e sempre espresso con misura classica, colpa e innocenza si alternano in un precario equilibrio. Esordì con le Poesie (1939), cui seguirono molte altre raccolte, fra le quali Appunti (1950), Una strana gioia di vivere (1956), L’ombra e la luce (1975), Stranezze (1976). Predilesse il componimento breve (l’epigramma o minuscoli abbozzi narrativi), in cui la concisa descrizione di un particolare (il mare, una piazza, lo scompartimento di un treno), di un gesto, di un’impressione, diventa spunto della “rivelazione” esistenziale. Nel suo linguaggio l’aulico si fonde naturalmente con il quotidiano, in un andamento molto musicale.

I paesaggi dell’esistenza e l’omosessualità

Il particolare, spunto di rivelazione esistenziale

343

14 - La poesia del dopoguerra

Attilio Bertolucci Realismo pastoso e tenero

La famiglia, la campagna emiliana, la città

Attilio Bertolucci (1911), originario di San Lazzaro Parmense, è il maestro di un realismo pastoso e tenero, aperto a un paesaggio quotidiano familiare, in cui riverbera un senso classico della vita. Le sue raccolte (Sirio, 1929; Fuochi di novembre, 1934; La capanna indiana, 1951; Viaggio d’inverno, 1971; La lucertola di Casarola, 1997 e il poema La camera da letto, iniziato nel 1984) ruotano attorno ai motivi ricorrenti della famiglia, della campagna emiliana, della città. Domina il mondo agreste, salvaguardia della continuità dell’esistenza nel ripetersi degli eventi naturali. Costante è la ricerca di un rifugio, “la capanna”, che difende e protegge. Il trasferimento a Roma e l’impatto con la vita cittadina hanno introdotto nella sua poesia la convinzione che il mondo idillico della campagna è destinato a essere distrutto dalla storia e dalla civiltà; unica salvezza è allora la memoria, che fa riaffiorare il passato felice.

Mario Luzi

La stagione ermetica

Il duro confronto con la storia

Mario Luzi (1914), originario di Sesto Fiorentino, parte da una forte esperienza cattolica nutrita dalla lezione spirituale della migliore poesia simbolista francese. Primaria in lui è la vocazione all’assoluto, non quello consolatorio delle certezze, ma quello bruciante della ricerca. Negli anni ’30-’40 fu uno dei protagonisti della stagione ermetica (v. a p. 311) fiorentina, (La barca, 1935); seguirono poi le raccolte Avvento notturno (1940), Un brindisi (1946) e Quaderno gotico (1946). Ma il momento centrale della sua produzione coincide con Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957) e Dal fondo delle campagne (1965), che risentono di una maturazione esistenziale a confronto con la storia, in un gioco severo in cui l’essere e l’esistere si fronteggiano duramente. Una svolta avviene con Nel magma

IL CASO DI PADRE TUROLDO Il frate servita David Maria Turoldo (19161992), friulano, rappresenta un caso unico nel panorama della poesia italiana del dopoguerra. Partecipò alla Resistenza e fu a lungo predicatore nel Duomo di Milano; si impegnò nella linea di rinnovamento della Chiesa secondo lo spirito del Concilio Vaticano II.

344

La sua produzione poetica dal 1948 al 1988 è stata raccolta in O sensi miei (1990): essa è incentrata sulla lotta con l’”angelo del Nulla”, sulla testimonianza della Parola, con un linguaggio pienamente novecentesco e insieme ricco di riferimenti biblici. Importanti sono anche i suoi Canti ultimi (1991).

14 - La poesia del dopoguerra

LINEA LOMBARDA Così definì Luciano Anceschi, in un’antologia del 1952, una corrente poetica che raggruppa vari poeti, nati fra il ’20 e il ’22, affascinati dalla lezione di Sereni, e tutti legati ai rapporti tra poesia e realtà (attenzione agli oggetti, concretezza, oggettività, senso critico, forte tensione morale e ironia). Il ticinese Giorgio Orelli (1921) propone un tono quasi epigrammatico e insieme elegantissimo (L’ora del tempo, 1962; Sinopie, 1977); il milanese Nelo Risi (1920), invece, una poesia civile, di forte impegno politico (Polso teso, 1956; Pensieri ele-

mentari, 1961; Dentro la sostanza, 1965; Mutazioni, 1991). Il milanese Luciano Erba (1922) è un moralista, eroicamente avvinghiato a una ricerca poetica di dignità umana (Il male minore, 1960; Il nastro di Moebius, 1980; Il tranviere metafisico, 1987). Nel siciliano Bartolo Cattafi (1922-1979), vissuto a lungo a Milano, la concretezza delle cose si fa occasione per una moralistica violenza lirica (Le mosche del meriggio, 1958; L’osso, l’anima, 1964; L’allodola ottobrina, 1979).

(1963), Su fondamenti invisibili (1971); Al fuoco della controversia (1978); Per il battesimo dei nostri frammenti (1985); Frammenti e incisi di un canto salutare (1990), opere nelle quali il “magma” della realtà sembra tradursi in forme meno alte, tese a registrare, anche mediante l’u- Dispersione so frequente del dialogo, la dispersione e il disorienta- e disorientamento mento dell’io, la sua fragilità conoscitiva. Luzi ha scritto inol- dell’io tre numerosi saggi critici, pagine autobiografiche e testi teatrali in versi (Il libro di Ipazia, 1978; Rosales, 1984).

Vittorio Sereni Vittorio Sereni (1913-1983), di Luino, rappresenta lo sfaldamento dei presupposti ermetici in favore di una più radicale presa di coscienza della storia e dei suoi orrori: la poesia diviene allora l’esperienza nitida e straziante di una crisi che non è solo individuale ma storica. Nel volume d’esordio Frontiera (1941) risentì dell’influenza ermetica, condividendone la fiducia nella funzione rivelatrice della parola poetica, anche se si accostò a temi semplici e dimessi che richiamano la lezione dei crepuscolari: campeggia nella raccolta l’immagine del “lago” che evoca calma e serenità, anche se il “vento” presto investirà quell’idillico paesaggio lacustre. In Diario d’Algeria (1947) dominano i temi della guerra e della prigionia (Sereni fu internato nei campi di prigionia in Algeria e in Marocco). Nella terza raccolta, Gli strumenti umani (1965), la società del dopoguerra, capitalista e consumistica, segno del male di vivere, lo vede ora estraneo, ora in preda a un disperato furore. In questa degrada-

La poesia come coscienza storica Influenza dell’ermetismo e dei crepuscolari

La società consumistica 345

14 - La poesia del dopoguerra

zione solo l’amore e l’amicizia possono rappresentare un approdo momentaneo, mentre anche la parola si fa più dura e il ritmo diseguale, come soprattutto nella raccolta Un posto di vacanza (1965) poi inclusa, con altri versi, in Stella variabile (1981): qui il poeta mette in discussione persino il ruolo della poesia, in uno stile che coerentemente con la sua meditazione si fa sempre più prosastico.

Giorgio Caproni

La maturità poetica La reinvenzione del passato

Le ultime raccolte

Il livornese Giorgio Caproni (1912-1991) mette in musica uno scetticismo senza soluzione: la sua poesia è capace di una nitidezza espressiva amara e straziante, nella tradizione di Leopardi. Esordì con le raccolte Come un’allegoria (1936), Ballo a Fontanigorda (1938) e Finzioni (1941), che ricordano soprattutto Saba sia per la tematica della “fresca vita”, sia per la lontananza dalle soluzioni stilistiche dell’ermetismo. Con Le stanze della funicolare (1952) e Il passaggio di Enea (1956), matura un canto d’amore per un’Italia distrutta dalla guerra, ma attiva e laboriosa. Nella raccolta Il seme del piangere (1959) campeggiano l’ombra della madre e la reinvenzione, non solo il ricordo, del passato. La metafora del viaggio continua nell’accezione di “viaggio finale” nel Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965), in cui il poeta si accomiata dalla vita sociale per volgersi a figure ai margini della vita, e nel Muro della terra (1975). Nelle ultime raccolte, Il franco cacciatore (1982), Il conte di Kevenhuller (1986), Res amissa (1991), il poeta-cacciatore è alla ricerca di Dio, dell’infanzia, del passato, una ricerca dove “l’inseguito diventa inseguitore”, il cacciatore cacciato, senza speranza per niente e per nessuno.

SCHEMA RIASSUNTIVO BETOCCHI

Carlo Betocchi (1899-1985) è il rappresentante di un realismo in cui la poesia è fatta di cose eppure è una continua tensione all’assoluto. Raccolte principali: Realtà vince il sogno (1932), L’estate di san Martino (1961).

PENNA

La poesia di Sandro Penna (1906-1977) è semplice ma in questo assoluta; il suo verso è reale e concreto ma sempre straziante e perfetto: colpa e innocenza sembrano trovare un sorprendente e poetico equilibrio.

BERTOLUCCI

Attilio Bertolucci (1911) è il maestro di un realismo pastoso e tenero, aperto a un paesaggio quotidiano quanto familiare, in cui riverbera un senso classico della vita. (Fuochi di novembre, 1934; La capanna indiana, 1951; La camera da letto, 1984).

346

14 - La poesia del dopoguerra segue

LUZI

Mario Luzi (1914) parte da una forte esperienza cattolica, nutrita della migliore poesia simbolista francese. Resta primaria in lui la vocazione all’assoluto (Primizie del deserto, 1952; Nel magma, 1963; Al fuoco delle controversie, 1978).

SERENI

Vittorio Sereni (1913-1983), di Luino, rappresenta lo sfaldamento dei presupposti ermetici in favore di una più radicale presa di coscienza della storia e dei suoi orrori (Diario d’Algeria, 1947; Gli strumenti umani, 1965; Stella variabile, 1981).

CAPRONI

La poesia di Giorgio Caproni (1912-1991), espressione di uno scetticismo senza soluzione, è capace di una nitidezza amara e straziante (Il passaggio di Enea, 1956; Il seme del piangere, 1959; Il franco cacciatore, 1982).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è il valore ultimo dell’uomo per Betocchi? 343a 2. Qual è il ruolo del particolare per Penna? 343b 3. Quali sono i motivi ricorrenti della poesia di Bertolucci? 344a 4. Quale obiettivo ha la drammatica ricerca di Lu-

zi? 344b 5. Perché la poesia di Sereni si pone come coscienza storica? 345b 6. Che cosa cerca il poeta-cacciatore Caproni? 346b

347

15 Sperimentalismo

e neoavanguardia

Intorno alla fine degli anni ’50 il neorealismo andava esaurendosi: i valori e gli equilibri socio-politici usciti dalla Resistenza si erano trasformati; lo sviluppo industriale, la crisi della sinistra dopo la destalinizzazione richiedevano una cultura capace di sperimentare nuove forme sia di rappresentazione, sia di critica e di confronto con la realtà storica. Si apre la stagione dello “sperimentalismo” e con gli anni ’60 si affermano le istanze culturali della “neoavanguardia”.

Le riviste “Officina”

“Il Menabò”

“Il Verri”

“Officina” pubblicata a Bologna (1955-58) ebbe come redattori il calabrese Francesco Leonetti (1924), Pier Paolo Pasolini, il bolognese Roberto Roversi (1923) e , tra gli altri, Franco Fortini. Il programma era recuperare un concreto realismo che sperimentasse la molteplicità delle forme linguistiche, senza tuttavia rompere il rapporto con la tradizione. La torinese “Il Menabò” (1959-67) fu una rivista meno programmatica, anche se capace di intensa aggregazione e riflessione letteraria. Ebbe come principali animatori Elio Vittorini e Italo Calvino. Promosse un famoso dibattito su “letteratura e industria” (1961); affrontò problemi di sociologia e di storia della cultura; progettò anche una rivista internazionale. Fu dunque un momento di grande ricerca e di profonda sprovincializzazione della cultura italiana. “Il Verri” venne fondata a Milano (1956) e diretta dal critico milanese Luciano Anceschi (1911). Accantonate le istanze realistiche o storicistiche, si distinse per l’impegno profuso nel sostegno alle proposte di rinnovamento letterario. Promosse la pubblicazione dell’antologia dei Novissimi (1961), che raccoglieva la poesia delle neoavanguardie, e contribuì alla fondazione del Gruppo ’63 e alla realizzazione delle sue attività culturali.

La neoavanguardia e il Gruppo ’63 La neoavanguardia

348

La neoavanguardia affermava l’inadeguatezza e la crisi dell’ultimo neorealismo. Il suo punto di riferimento ideale fu l’operato delle avanguardie storiche, sia per lo stimolo da es-

15 - Sperimentalismo e neoavanguardia

se esercitato nel primo Novecento, sia per la nuova concezione di rapporto dinamico e coinvolgente con il pubblico, realizzata in particolare dal futurismo. Sul piano internazionale essa si ricollegava alle esperienze francesi del gruppo “Tel quel” e del “nouveau roman” e a quelle americane della poesia underground. L’antologia dei Novissimi (in due edizioni, L’antologia 1961 e 1965) con testi di Nanni Balestrini (1935), Alfredo Giu- dei “Novissimi” liani (1924), Elio Pagliarani (1927), Antonio Porta ed Edoardo Sanguineti, diede seguito alla fondazione (1963), a Palermo, del Gruppo ’63, con cui la neoavanguardia allargò il suo cam- Il Gruppo ‘63 po d’interesse e di intervento, coinvolgendo numerosi giovani poeti, scrittori e critici, come A. Spatola, G. Niccolai, T. Kemeny, C. Ruffato, U. Eco, S. Vassalli, autore dei romanzi-saggio Narcisso (1968) e Tempo di màssacro (1970), forse le più significative prove della neoavanguardia nell’ambito della prosa. Obiettivo del gruppo fu il rifiuto della tradizione poeticoletteraria degli anni ’50: identificando ideologia e linguaggio, esso attribuiva alla sperimentazione linguistica una funzione sovvertitrice della razionalità borghese.

Giovanni Testori Giovanni Testori (1923-1993), milanese, frantumò l’eredità neorealista con il timbro di una violenza linguistica prossima all’urlo espressionistico. La sua modernità è paradossale e sembra, infatti, che voglia mimare la ricchezza e l’assurdità di una lingua barocca sconosciuta. Esordì con il racconto Il dio di Roserio (1954), confluito successivamente nella raccolta Il ponte della Ghisolfa (1958), con cui inaugurò una serie di opere, che costituiscono i “segreti di Milano”, e di cui fanno parte i racconti La Gilda di Mac Mahon (1959), le commedie La Maria Brasca (1960) e L’Arialda (1960), il romanzo Il fabbricone (1961). L’amore per il teatro come forma di comunicazione diretta e più immediata della narrativa, lo indusse a un’interessante sperimentazione drammatica, culminata nella trilogia, Ambleto (1972), Macbetto (1974), Edipus (1977), in cui rivisitò i tre capolavori tragici del passato ambientandoli nel mondo contemporaneo. Negli anni ’80 altri significativi risultati della sua sperimentazione teatrale furono il Post-amlet (1983) e “I promessi sposi alla prova”. Azione teatrale in due giornate (1984). Nelle successive opere di narrativa, attraversate dal profondo senso della morte, dalla corruzione della modernità, dalla carnalità dirompente, domina la tensione religiosa, che culmina nella sua opera migliore, Passio Letitiae et Felicitatis (1975), la premessa all’adesione convinta al cattolicesimo e ai suoi va-

I racconti e le commedie sui “segreti di Milano”

La tensione religiosa e la conversione al cattolicesimo

349

15 - Sperimentalismo e neoavanguardia

lori, cui lo scrittore si convertì pubblicamente, per sottolineare il totale rifiuto del mondo contemporaneo.

Il romanzo sperimentale Stefano D’Arrigo

Antonio Pizzuto

Luigi Meneghello

Il siciliano Stefano D’Arrigo (1919-1992), ha svolto uno sperimentalismo espressivo quasi mitico, comunque fantastico. Dopo l’esordio poetico con Codice siciliano (1957), per quindici anni si è dedicato alla stesura del romanzo Horcynus Orca (1975), vero caso letterario nel panorama letterario del Novecento. La vicenda narra il ritorno in Sicilia di un marinaio italiano dopo l’8 settembre 1943, nei “mari dello scill’e cariddi”, sui quali incombe la presenza dell’orca, l’animale marino omicida: si tratta di un viaggio fantastico e simbolico, che assume l’andamento di epopea moderna, in un linguaggio che mescola espressioni dialettali con altre di raffinata tradizione culturale. Fantastico e ironico anche l’altro romanzo, Cima delle nobildonne (1985). Il palermitano Antonio Pizzuto (1893-1976) partì da posizioni teoriche, come addirittura la rigida “negazione del processo narrativo”. L’opera che ne deriva è spesso intellettualistica, quasi appena epigrafica. Dopo le prime prove ancora legate a un certo neorealismo (Sul ponte di Avignone, 1938; Signorina Rosina, 1954; Si riparano bambole, 1960), il suo sperimentalismo esplose nel romanzo Ravenna (1962). Le sue idee sulla narrativa sono puntualizzate nel saggio Vedutine circa la narrativa (1972), in cui si distingue il “narrare” dal “raccontare” e si sostiene un andamento espressivo condotto utilizzando verbi all’infinito per sottolineare l’astoricità del fatto narrato. Fra le opere più recenti: Il triciclo (1962); La bicicletta (1966); Pagelle I (1973); Pagelle II (1975); Giunte e virgole (1975). Il vicentino Luigi Meneghello (1922), con un linguaggio ironico e leggero, in cui si fondono apporti della memoria individuale e collettiva sedimentata nel dialetto, e la lingua generica della società industriale, priva di radici, ha scritto romanzi di notevole acume psicologico e antropologico: Libera nos a malo (1963); I piccoli maestri (1964 e 1986); Pomo pero (1974); Fiori italiani (1976); Bau-sète (1988); Il dispatrio (1994).

L’avanguardia poetica Edoardo Sanguineti

350

Il genovese Edoardo Sanguineti (1930), il più rappresentativo, ha testimoniato con la sua produzione poetica la dissoluzione del linguaggio quotidiano, come segno dell’incapacità di comunicare proprio della società dei consumi.

15 - Sperimentalismo e neoavanguardia

Tale operazione nelle prime raccolte è realizzata prima attraverso un accumulo non razionale di parole e immagini (Laborintus, 1956; Erotopaegnia, 1960; Triperuno, 1964), e poi attraverso l’assunzione di un registro satirico e grottesco (Postkarten, 1978; Per musica, 1993). Notevole anche la sua attività di critico. Il milanese Nanni Balestrini (1935) si è fatto sostenitore di Nanni Balestrini un avanguardismo estremo che si esprime in un linguaggio nuovo e rivoluzionario, fatto di collages linguistici, con l’utilizzo di tecniche elettroniche. La sua raccolta poetica più riuscita è Le ballate della signorina Richmond (1977). Antonio Porta, pseudonimo del milanese Leo Paolazzi Antonio Porta (1935-1989), è approdato a risultati di notevole intensità poetica nell’indagine condotta in termini spesso surreali del rapporto tra vita e morte. Le sue raccolte più significative sono: Cara (1969); Metropolis (1971); Passi passaggi (1980); Invasioni (1984); Il giardiniere contro il becchino (1988).

L’avanguardia narrativa Di sperimentazioni stilistiche, analoghe a quelle dei poeti, si sono avvalsi anche scrittori dell’avanguardia. Il milanese Giorgio Manganelli (1922-1990), tra i fondatori Giorgio Manganelli del Gruppo ’63 e collaboratore di giornali e riviste, tentò una narrazione gustosa, monologante, sonora, la cui struttura sintattica e stilistica, volutamente elaborata e inusuale, ricrea una dimensione surreale. Tra le opere: Hilarotragoedia (1964); Nuovo commento (1969); Agli dei ulteriori (1972); Centuria (1979); Laboriose inezie (1986). Alberto Arbasino (1930), di Voghera, è esempio di note- Alberto Arbasino vole versatilità espressiva. L’attenzione a cinema, teatro e arti visive, ai modelli del costume nazionale e internazionale, vuole superare i limiti della comunicazione tradizionale. Nei romanzi e racconti predilige la combinazione di generi e stili diversi, per stravolgere e distorcere dall’interno le regole letterarie. Un forte plurilinguismo caratterizza sia i racconti di L’anonimo lombardo (1959), sia i suoi romanzi, fra i quali spiccano per arditezza: Fratelli d’Italia (1963); La bella di Lodi (1972); Il principe costante (1972); Specchio delle mie brame (1974). Il libro più bello è senza dubbio Fratelli d’Italia (riscritto nel 1995), che narra l’iniziazione alla realtà sociale di un gruppo di giovani alle prese con il caos e le contraddizioni dell’Italia del benessere. Tra le raccolte di saggi, si ricordano Parigi o cara (1960) e Fantasmi italiani (1977). 351

15 - Sperimentalismo e neoavanguardia

Franco Fortini

Poesia di impegno politico e morale

I saggi

Franco Fortini è lo pseudonimo del fiorentino Franco Lattes (1917-1994). Partito da un’esigenza reale e moralista, cercò la perfezione formale quasi come un’autopunizione; nascose infine la sua vena lirica e dolente sotto il peso di un’esplicita ideologia marxista. La sua poesia si caratterizza per il forte impegno politico e morale e utilizza un linguaggio con andamento logico e realistico, ma non privo di forti immagini simboliche: dominano quelle del “gelo”, della “neve”, del “sasso”, immagini che significano le costrizioni a cui è sottoposto l’uomo; la “rondine” e la “rosa” sono invece i simboli contraddittori e ricorrenti dell’anelito alla libertà. Foglio di via (1946); Poesia ed errore (1959); Una volta per sempre (1963); Paesaggio con serpente (1984); Composita solvantur (1994) sono le raccolte poetiche più significative. Ha lasciato una vasta produzione saggistica (Dieci inverni, 1957; Verifica dei poteri, 1965; Questioni di frontiera, 1977; Nuovi saggi italiani, 1987) indirizzata a un rinnovamento culturale profondo e rigoroso.

SCHEMA RIASSUNTIVO NEOAVANGUARDIA

La neoavanguardia (antologia dei Novissimi: Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Nanni Balestrini e il Gruppo ’63) affermava l’inadeguatezza e la crisi dell’ultimo neorealismo. Suo punto di riferimento ideale sono le avanguardie storiche, sia per lo stimolo da esse esercitato nel primo Novecento sia per la nuova concezione di rapporto dinamico e coinvolgente con il pubblico. Il Gruppo ’63, fondato a Palermo nel 1963, affida alla sperimentazione linguistica una funzione sovvertitrice della razionalità borghese.

TESTORI

Il milanese Giovanni Testori (1923-1993) frantuma l’eredità neorealista con il timbro di una violenza linguistica creatrice di una modernità paradossale. Da ricordare: Il ponte della Ghisolfa (1958) e le commedie La Maria Brasca (1960) e L’Arialda (1960).

D’ARRIGO

D’impronta mitica e fantastica è lo sperimentalismo espressivo del siciliano Stefano D’Arrigo (1919-1992). Da ricordare: Horcynus Orca (1975).

PIZZUTO

Antonio Pizzuto (1893-1976) parte da posizioni teoriche, come addirittura la “negazione del processo narrativo” (Signorina Rosina, 1954; Si riparano bambole, 1960).

MENEGHELLO

Luigi Meneghello (1922) ha un linguaggio ironico e leggero, con apporti della memoria individuale e collettiva, sedimentata nel dialetto (Libera nos a malo, 1963; Il dispatrio, 1994).

352

15 - Sperimentalismo e neoavanguardia segue

MANGANELLI

Giorgio Manganelli (1922-1990) tentò una narrazione gustosa, monologante, sonora e insieme complessa, con una forte predisposizione surreale (Hilarotragoedia, 1964; Laboriose inezie, 1986).

ARBASINO

Alberto Arbasino (1930), con la sua attenzione a cinema, teatro e arti visive, ai modelli del costume nazionale e internazionale, indica una ragione cosmopolita che vuole superare i limiti della comunicazione tradizionale. Da ricordare i romanzi Fratelli d’Italia, (1963); La bella di Lodi, (1972).

FORTINI

Franco Fortini (1917-1994) è una figura complessa ma ricca della nostra letteratura. Partito da un’esigenza reale e moralista, cercò la perfezione formale come un’autopunizione; nascose la sua vena lirica e dolente sotto il peso di un’inattaccabile ideologia marxista. (Foglio di via, 1946; Paesaggio con serpente, 1984; Composita solvantur, 1994).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quale fu il rapporto della neoavanguardia con le avanguardie storiche? 348b-349a 2. Perché Testori predilesse il teatro? 349b

3. Come Arbasino vuole superare i limiti della comunicazione tradizionale? 351b 4. Da quale esigenza parte Fortini? 352a

353

16 Elsa Morante e le narratrici Le scrittici italiane del secondo Novecento testimoniano una letteratura mai astratta e intellettualistica. La loro ricerca si nutre di realismo, anche se procede per prospettive fantastiche e autobiografiche. La preziosità della pagina, presente in tutte le narratrici, non ha niente di polveroso: risulta un ulteriore motivo di lenta e penetrante sonorità letteraria. Figura di grande rilievo, in questo quadro, è senza dubbio Elsa Morante.

Elsa Morante Elsa Morante (1912-1985) è scrittrice di grande fascino, sempre attenta alle necessità dell’intreccio e alla caratterizzazione psicologica. La sua narrativa, di timbro realistico e pur immersa in un leggero e sfolgorante “bisogno di meraviglioso”, in qualcosa di antico e di mitico, ne fa figura di assoluto spicco nella letteratura del Novecento. ■ La vita e le opere

Nata a Roma, non completò gli studi universitari. Pubblicò i primi racconti (1937-1938) sulla rivista “Il Meridiano di Roma”. Nel 1941 si sposò con A. Moravia e pubblicò la prima raccolta di racconti, Il gioco segreto, seguito dal libro di fiabe Le bellissime avventure di Catarì dalla trecciolina (1942), scritte negli anni ginnasiali. Nel 1944 iniziò a scriveIl successo letterario re il primo romanzo, Menzogna e sortilegio, storia drammatica di una famiglia del Sud e del complicato rapporto tra madre e figlia; pubblicato nel 1948, il libro vinse il premio Viareggio, consacrando la fama dell’autrice. Nel 1957 il secondo romanzo, L’isola di Arturo, che le valse il premio Strega, era incentrato sulla difficile esistenza di un ragazzo, orfano della madre e affascinato da un padre misterioso e inafferrabile. Pubblicò successivamente la raccolta di poesie Alibi (1958) e quella di racconti Lo scialle andaluso (1963). L’opera più significativa di questo periodo è la raccolta di poesie, con qualche prosa, Il mondo salvato dai ragazzini (1968), inno all’utopia di un mondo governato dalla bellezza e dalla vitalità della vita infantile. Questa ispirazione fa “La storia” anche da sfondo al romanzo più noto e discusso, La storia (1974), dove si narra la storia miserevole di una maestra elementare calabrese che vive a Roma con il figlio Nino e un altro figlio, Useppe, avuto da un soldato tedesco. Le storie tragiche di questi piccoli personaggi costituiscono una specie Gli esordi letterari

354

16 - Elsa Morante e le narratrici

di controcanto rispetto alla storia dei grandi fatti, dal 1941 al 1947, e ne denunciano la falsità sul piano umano. L’ultimo romanzo, Aracoeli (1982), mostra il segno dell’amarez- Amarezza za e dell’angoscia che la scrittrice sentì sempre più profon- e angoscia damente negli anni ’70 specialmente dopo la morte dell’amico Pasolini. Il libro narra la vicenda di un omosessuale di mezza età alla spasmodica ricerca nel ricordo della figura della madre. Ma i frammenti di vita evocati sono sempre più impastati dal senso luttuoso della fine e della distruzione.

Autobiografia e preziosità narrativa La cagliaritana Fausta Cialente (1898-1995) mostra una fortissima prospettiva autobiografica. La lunga permanenza ad Alessandria d’Egitto ha influenzato la sua scrittura; i primi romanzi Cortile a Cleopatra (1953), in cui descrive la folla arabo-ebraica di un sobborgo di Alessandria, e Ballata levantina (1961) hanno il carattere di cronache orientali. Nei romanzi successivi invece i temi si ispirano alla storia italiana (Un inverno freddissimo, 1966), e alle problematiche esistenziali, (Le quattro ragazze Wieselberger, 1976, Interno con figure, 1976). Anna Banti è lo pseudonimo della fiorentina Lucia Lopresti Longhi (1895-1985). Sensibile alla questione femminile, scrisse una pagina coloristica e elegantemente lavorata. Predilesse il romanzo storico, ma diede anche una letteratura concreta e brillante. La vicenda storica diviene vicenda esistenziale, in cui la donna, segno di emarginazione e inferiorità in una società maschilista, è contemporaneamente segno di solitudine e disagio. Degno di rilievo per tematica e soluzioni narrative è il romanzo Artemisia (1947). Natalia Ginzburg (1916-1991), nata a Palermo, privilegiò il tema dei rapporti familiari e della memoria dell’infanzia, offrendo una scrittura sicura e chiara. Fu autrice di alcune commedie (Ti ho sposato per allegria, 1966 e Paese di mare, 1972), ma si occupò prevalentemente di narrativa. Antifascista, nel primo romanzo La strada che va in città (1942), influenzato dal neorealismo, s’impegnò a testimoniare il senso della tradizione borghese e familiare, attraverso un linguaggio piano e pacato che rifiuta toni accesi e polemiche. Tra le altre opere: Le voci della sera (1961; Lessico famigliare (1963), che ebbe grande successo di critica e di pubblico; Caro Michele (1973). La piemontese Lalla Romano (1906) dopo l’esordio con le poesie Fiore (1941), si è a lungo dedicata alla narrativa autobiografica scandagliando con lucida serenità le pieghe

Fausta Cialente

Anna Banti

Natalia Ginzburg

Lalla Romano

355

16 - Elsa Morante e le narratrici

Impianto neorealistico

Anna Maria Ortese

della sua esistenza borghese, estranea alla società delle lettere. Le metamorfosi (1951) raccolgono una serie di sogni, letti come segni della sua esistenza. Con i romanzi Maria (1953) e Tetto murato (1957) ha affrontato una narrativa d’impianto neorealistico. Ha ottenuto la notorietà con i romanzi La penombra che abbiamo attraversato (1964) e Le parole tra noi leggere (1969), nei quali si passa dalla rievocazione dell’infanzia all’analisi del rapporto tra madre e figlio. Fra gli altri romanzi (L’ospite, 1973; La villeggiante, 1975; Lettura di immagini, 1975) spicca Una giovinezza inventata (1979), autobiografia che rivisita la giovinezza trascorsa fra studi, amori e difficoltà legate alla condizione femminile. Di impianto autobiografico sono anche le opere successive: Inseparabile (1981), che tratta del suo rapporto con il nipotino; Nei mari estremi (1987), in cui rievoca la malattia e la morte del marito. La romana Anna Maria Ortese (1914) è una scrittrice complessa, dichiaratamente portata a una narrativa densa e raccolta, contemporaneamente realistica e fantastica. Partita da un intenso realismo magico (Angelici furori, 1937), accettò nel dopoguerra una prosa neorealistica, fin quasi a sfiorare la dimensione del saggio, soprattutto nei racconti-inchiesta. I suoi libri migliori sono: L’infanta sepolta (1950); Il mare non bagna Napoli (1953); Silenzio a Milano (1958); L’iguana (1965); Poveri e semplici (1967); Il cardillo addolorato (1992); Alonso e i visionari (1996).

SCHEMA RIASSUNTIVO MORANTE

La narrativa di Elsa Morante (1912-1985), di timbro realistico, è immersa in un leggero e sfolgorante “bisogno di meraviglioso”, in qualcosa di antico e di mitico. Da ricordare: Menzogna e sortilegio (1948); L’isola di Arturo (1957); La storia (1974).

NARRATRICI DAL FORTE

Fausta Cialente, (1898-1995): Cortile a Cleopatra (1953). Anna Banti (1895-1985): Artemisia (1947. Natalia Ginzburg (1916-1991): Lessico famigliare (1963). Lalla Romano (1906): La penombra che abbiamo attraversato (1964), Le parole tra noi leggere (1969).

TONO AUTOBIOGRAFICO

ORTESE

La narrativa di Anna Maria Ortese (1914) è contemporaneamente realistica e fantastica (Il mare non bagna Napoli, 1953; L’iguana, 1965; Il cardillo innamorato, 1992).

DOMANDE DI VERIFICA 1. Qual è il carattere della narrativa di Elsa Morante? 354a 2. Come il filone autobiografico si differenzia in

356

scrittrici quali Cialente, Banti, Ginzburg e Romano? 355-356

17 Italo Calvino Calvino è esempio di raffinato laboratorio di temi tradizionali e moderni. Il motivo dell’infanzia, la prospettiva comica e fiabesca, la narrazione agile e sempre esuberante, elementi tipici della novellistica italiana, si incontrano con le esigenze teoriche della migliore cultura internazionale. La sua ricerca in qualche modo si sviluppa a tappe, dal neorealismo all’astrazione, ma è sempre fedele a una letteratura intesa come sogno e conoscenza.

La vita Italo Calvino (1923-1985), nato nell’isola di Cuba, dal 1925 visse a San Remo l’infanzia e l’adolescenza in una famiglia amante della scienza e dei valori laici. Interrotti gli studi durante la guerra, partecipò alla Resistenza. Dopo la Liberazione si laureò a Torino, dove entrò in rapporto con Vittorini e Pavese. Nel 1947 pubblicò il romanzo breve Il sentiero dei nidi di ragno. Gli anni ’50 lo videro impegnato nella professione editoriale e contemporaneamente in una vasta produzione narrativa, che culminò nella trilogia I nostri antenati (1952-59) e nella monumentale raccolta delle Fiabe italiane (1956). Attento al dibattito politico e sociale, collaborò a varie riviste. Tra il 1959 e il 1967 diresse con Vittorini “Il Menabò” su cui pubblicò alcuni importanti saggi (La sfida al labirinto, 1962). Nel 1964 si trasferì a Parigi, dove intrecciò stretti rapporti con la cultura francese; risalgono a questo periodo Le cosmicomiche (1965), Ti con zero (1967) e Le città invisibili (1972). Dopo la pubblicazione del romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) si trasferì a Roma (1980) e raccolse una serie di interventi sul dibattito letterario (Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società). Nel 1984 pubblicò la raccolta di prose Collezione di sabbia. Atteso negli Stati Uniti per alcune conferenze all’università di Harvard (Lezioni americane, 1988, postumo), morì senza poterle tenere.

La guerra e la Resistenza L’esordio narrativo

Il soggiorno parigino

Neorealismo, comico e fiabesco Nella prima prova narrativa di rilievo, Il sentiero dei nidi di La lezione ragno, Calvino si mostra sensibile alla lezione del neoreali- del neorealismo smo. Frutto dell’esperienza maturata durante la lotta partigiana, di cui fornisce uno spaccato estraneo a qualsiasi intento celebrativo, il romanzo, ambientato a San Remo e sul357

17 - Italo Calvino

le montagne dell’entroterra ligure, è un’iniziazione alla vita, proprio come quella di Pinocchio (che Pin, il ragazzo protagonista, richiama nel nome) per arrivare “alla spiegazione di tutte le cose del mondo”, in un andamento narrativo dove al realismo s’intrecciano già il fiabesco, il meraviglioso. Con “I nostri antenati” i romanzi brevi Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959), raccolti nel volume I nostri antenati (1960) e con i racconti di Marcovaldo ovvero le stagioni in città (1963), la narrativa di Il fiabesco Calvino approda ai suoi risultati più originali: il fiabesco e il comico e il comico. La trilogia si ricollega al mondo dei cavalieri del Rinascimento per creare un tipo di fiaba capace di affrontare i più scottanti temi della realtà, con intenti pedagogici. Il visconte Medardo, diviso in due da una palla di cannone, è allegoria del doppio: bene e male, speranza e realtà (il contesto storico era il mondo diviso in due dalla Guerra Fredda); il barone Cosimo Piovasco di Rondò, che vive in cima agli alberi, è allegoria di un uomo che tenta di conoscere il mondo dall’alto, rimanendo estraneo alle convenzioni e alle regole; il cavaliere Agilulfo, senza corpo, pura razionalità, suicida, è simbolo del fallimento di chi cerca di misurarsi con il mondo solo con la ragione. L’impegno a un’analisi più diretta della società e del ruolo dell’intellettuale connota i roLa trilogia industriale manzi della “trilogia industriale”: La formica argentina (1952), La speculazione edilizia (1957) e La nuvola di smog (1958), a cui seguì La giornata di uno scrutatore (1963).

Dalle “Cosmicomiche” a “Palomar”

Suggestioni dalla scienza e dalla fantascienza Divertito pessimismo

358

Negli anni ’60, durante i soggiorni parigini, Calvino coltivò interessi scientifici, filosofici e antropologici. Si appassionò in particolare allo strutturalismo, seguì le lezioni di R. Barthes, iniziò a occuparsi di semiotica e di narratologia. Maturò così nuove forme del narrare: i racconti delle Cosmicomiche (1965), seguiti da Ti con zero (1967) utilizzano le prospettive offerte dalla scienza (fisica, biologia, astronomia) e le suggestioni derivanti dalla fantascienza per costruire narrazioni piene di sorprese e di scambi imprevedibili, con un richiamo alle comiche cinematografiche. Il divertito pessimismo di Calvino tocca qui il suo apice: queste storie sono figure della vita della civiltà contemporanea, apocalittica e impossibile. Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973) e Se un notte d’inverno un viaggiatore (1979) sono le ultime prove di rilievo, in cui Calvino utilizza la combinatoria narrativa, una tecnica che permette al racconto di divenire oggetto di se stesso, in un

17 - Italo Calvino

virtuosismo, che coinvolge il lettore in un gioco di scatole cinesi. Con Palomar, una serie di prose autobiografiche rac- “Palomar” colte nel 1983, Calvino continua a osservare il mondo nei suoi fatti minimi, ma essenziali. Postumi sono apparsi: Sotto il sole giaguaro (1986), tre racconti sui sensi dell’odorato, del gusto e della vista; la raccolta di scritti Sulla fiaba (1988); Perché leggere i classici (1991).

SCHEMA RIASSUNTIVO LE TEMATICHE

Italo Calvino (1923-1985) è un esempio di grande mediazione culturale tra la tradizione e il moderno. Il motivo dell’infanzia, la prospettiva comica e fiabesca, la narrazione agile e sempre esuberante, elementi tipici della novellistica italiana, si incontrano con le esigenze teoriche della migliore cultura internazionale.

LE OPERE

Al periodo neorealista appartiene il romanzo breve Il sentiero dei nidi di ragno (1947), la prima prova narrativa di rilievo. Al periodo comico-fiabesco i romanzi brevi Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959). Tra realtà e fiaba è la cosiddetta “trilogia industriale”: La formica argentina (1952), La speculazione edilizia (1957) e La nuvola di smog (1958), a cui segue La giornata di uno scrutatore (1963), Calvino s’impegna in un’analisi più diretta della società e del ruolo dell’intellettuale. Nelle opere dalle Cosmicomiche (1965) a Palomar (1983) Calvino utilizza una tecnica narrativa che permette al racconto di divenire oggetto di se stesso, coinvolgendo il lettore in una sorta di gioco di scatole cinesi.

DOMANDE DI VERIFICA 1. Quali allegorie sostiene il genere “comico e fiabesco” di Calvino? 358 2. Quali sono gli argomenti della trilogia I nostri an-

tenati? 358a 2. Quali interessi segnano il passaggio alle Cosmicomiche? 358b

359

18 Gli ultimi trent’anni Gli anni ’70 sono portatori di una ricerca sperimentale ormai astratta e sterile (influenzata dallo strutturalismo); gli anni ’80 vedono l’inizio di quella dimensione edonistica che è il cosiddetto postmoderno, dimensione che poi in qualche misura sembra dominare anche il decennio degli anni ’90, in cui la mancanza di legami fra letteratura e società favorisce una dispersione caotica e l’attenzione solo ai fatti minimi. Fondamentale per le sorti della letteratura è il nuovo peso assunto dai massmedia e dalle richieste del mercato editoriale.

Andrea Zanzotto

L’itinerario lirico

Ricerca sulla parola-linguaggiocomunicazione

360

Andrea Zanzotto (1921), di Pieve di Soligo, è tra le figure poetiche più importanti della seconda parte del secolo. La sua opera è un tentativo di mascheramento della nevrosi individuale e collettiva attraverso l’esercizio di una lingua magmatica e suggestiva che sa, comunque, custodire la presenza forte di un io poetico. Alla prima raccolta Dietro il paesaggio (1951), seguì una ricca produzione poetica: Elegia e altri versi (1954); Vocativo (1957); IX Ecloghe (1962); La Beltà (1968); il poemetto Gli sguardi i fatti e Senhal (1969) e la trilogia costituita dalle raccolte Il Galateo in bosco (1978), Fosfeni (1983) e Idioma (1986). Il suo itinerario lirico tende a rinvenire nella parola poetica una possibilità di comunicazione da parte di chi, come il poeta, si sente “eccentrico” nel deserto dell’esistenza, attratto dalla vita e contemporaneamente respinto dall’ostilità del reale. Con le IX Ecloghe il poeta si avvicina al mondo pastorale alla ricerca di un mondo naturale perfetto, idillico, arricchendolo di segni e linguaggi della modernità e della cultura di massa. Nel magma linguistico che esplora nelle raccolte successive, spicca l’adozione del dialetto (Filò, 1976; Mistieròi, 1979), segno di un rapporto autentico con la terra trevigiana d’origine. La ricerca sulla parolalinguaggio-comunicazione continua anche nella trilogia più matura, dove riappaiono forme metriche tradizionali, come il sonetto, che danno ordine e forma al caos dei segni indistinti. In Fosfeni continua la discesa nei meandri della psiche, dei linguaggi, nella ricerca di una parola assoluta, che è l’unico scampo all’annullamento della comunicazione attuato dalla società dei massmedia.

18 - Gli ultimi trent’anni

La poesia Il ligure Giovanni Giudici (1924) ha rivitalizzato un elemento tipicamente novecentesco, l’ironia e la teatralizzazione dell’io: l’effetto è quello di una leggerezza spietata e sagace. La rappresentazione di vicende personali sullo sfondo della società industriale, con i toni e le cadenze di un crepuscolarismo a tratti scanzonato, è il tema di: La vita in versi (1965); Autobiologia (1969); O Beatrice (1972); Il male dei creditori (1977). Nelle successive raccolte Il ristorante dei morti (1981) e Lume dei tuoi misteri (1984), lo stile si asciuga e il tono diventa più meditativo. Nelle sperimentazioni di Salutz (1986) il linguaggio s’impreziosisce e si fa ricercato. Seguono la raccolta Fortezza (1990) e le riflessioni in prosa Andare in Cina a piedi (1992). La poesia di Amelia Rosselli (1930-1996) è corposa e al tempo stesso mentale, capace di coagulare in una esattezza espressiva un “formicolio di ritmi” e suoni. Tra le sue raccolte: Variazioni belliche (1964); Serie ospedaliera (1969); Documento (1976); Impromptu (1981); La libellula (1985). Il milanese Giovanni Raboni (1932-2004) con le prime raccolte (Le case della Vetra, 1966; Cadenza d’inganno, 1975) si inserisce nel solco della Linea Lombarda per la costante tensione morale e civile, per la personalissima inquietudine religiosa, per l’ambientazione meneghina. Con le raccolte successive (Nel grave sogno, 1982; Ogni terzo pensiero, 1993; A tanto caro sangue, 1987), la sua poesia si è arricchita, e l’etichetta di poeta “lombardo” apparirebbe riduttiva. Sul filone di Linea Lombarda è anche il milanese Tiziano Rossi (1935), che da La talpa imperfetta (1968) a Miele e no (1988), Il movimento dell’adagio (1993) e Gente di corsa (2000) mira a rivelare lo strenuo eroismo che si cela nelle pieghe del banale e del quotidiano e si interroga laicamente sulle nostre ragioni per restare al mondo. Autrice di rara sensibilità, Alda Merini (1931-2009) ha sofferto a lungo di una malattia nervosa che l’ha costretta a lunghi periodi di ricovero in case di cura. Nelle sue poesie si fondono elementi autobiografici, momenti di ricerca religiosa, richiami spiccatamente amorosi. Tra le raccolte di liriche: La presenza di Orfeo (1953), Nozze romane (1955), La Terra Santa e altre poesie (1984), Vuoto d’amore (1991), Superba è la notte (2000). Tra le prose, assai significative sono L’altra verità. Diario di una diversa (1986), Il tormento delle figure (1990), Ballate non pagate (1995). Vivian Lamarque (1946) ha dato vita a una poetica degli opposti, esprimendo una giocosità dolorosa, una crudeltà gen-

Giovanni Giudici

Amelia Rosselli

Giovanni Raboni

Tiziano Rossi

Alda Merini

Vivian Lamarque 361

18 - Gli ultimi trent’anni

Patrizia Valduga

tile, e un grande poeta come Sereni parlò a questo proposito di “rovesciamenti come coltellate”. Ha pubblicato, tra gli altri: Teresino (1981); Poesie dando del lei (1989); Una quieta polvere (1996). Traduttrice (Prévert, La Fontaine, Baudelaire), ha scritto molti libri per bambini: Il libro delle ninne-nanne (1989); La bambina che mangiava i lupi (1992); Cioccolatina, la bambina che mangiava sempre (1998); Unik, storia di un figlio unico (1999). La poesia di Patrizia Valduga (1953), rigidamente incanalata entro le maglie del linguaggio tradizionale, in particolare della quartina petrarchesca, attualizza i temi dell’eros, dello smarrimento interiore, del dolore e della prostrazione: Medicamenta (1982); Donna di dolori (1991); Requiem (1994); Cento quartine e altre storie d’amore (1997).

La narrativa Paolo Volponi

Paolo Volponi (1924-1994), di Urbino, è lo scrittore che meglio ha percepito il senso contraddittorio e impellente della società industriale. La sua opera è la sanzione di una nuda razionalità, capace però di vivere drammaticamente i presagi dell’utopia. Il confronto con il mondo industriale trova espressione nel romanzo Memoriale (1961), in cui attraverso la vicenda di un operaio nevrotico, Volponi scopre la carica eversiva che la “diversità” della follia racchiude nella massificazione tipica del neocapitalismo. Nel successivo La macchina mondiale (1965), attraverso la lucida utopia di un contadino che vagheggia un nuovo sistema tecnolo-

IL CONCETTO DI POSTMODERNO “Postmoderno” è un termine cui sono stati attribuiti significati parzialmente differenti, secondo l’ambito a cui è stato riferito. Comunque negli ultimi vent’anni ha indicato espressioni culturali che sentono di aver perso i riferimenti ideali su cui si è fondato il concetto di modernità. In ambito letterario il fenomeno riguarda soprattutto il romanzo e trae spunto dalla ricerca del filosofo francese J.F. Lyotard, autore che nel saggio La condizione postmoderna (1979) indica nella fine delle ideologie e delle filosofie “forti” , cioè capaci di una visione globale, la caratteristica culturale degli ultimi decenni del secolo, in

362

cui il sapere è dominato da strumenti come la televisione e l’informatica. Tutto ciò determina la fine delle “grandi narrazioni” dominate dalla soggettività dell’autore, mentre si dà spazio a scelte stilistiche e di contenuto che privilegiano la confusione dei ruoli tra autore e personaggi. Tra gli autori italiani che più si sono avvicinati al “postmoderno” possono figurare l’ultimo Calvino, specialmente con il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e il piemontese Umberto Eco (1932) con i romanzi Il nome della rosa (1980), Il pendolo di Foucault (1988) e L’isola del giorno dopo (1994).

18 - Gli ultimi trent’anni

gico per riorganizzare il mondo, l’autore esprime la sua fiducia nella capacità di liberazione dell’uomo. Emarginati sono anche i protagonisti di Corporale (1974) e Il sipario ducale (1975). Del 1978 è un romanzo di fantascienza, Il pianeta irritabile, ambientato in un futuro post-tecnologico, mentre Il lanciatore di giavellotto (1981) torna a temi più intimistici. Le mosche del capitale (1989) è un’allegoria fantastica e grottesca del fallimento dell’ideale democratico sul terreno industriale; del 1991 è La strada per Roma, sulla separazione dall’adolescenza e dalla cittadina natale. In Luigi Malerba, pseudonimo dell’emiliano Luigi Bonardi (1927-2008), anche sceneggiatore e regista cinematografico, la letteratura, per quanto finta, diventa un modo per scardinare le ossessioni del mondo. Malerba ha iniziato la sua attività nell’ambito della linea sperimentalista del Gruppo ’63 con La scoperta dell’alfabeto (1963), Il serpente (1966) e Salto mortale (1968). Le opere successive, in cui la struttura narrativa è più tradizionale, ribadiscono l’interesse per l’invenzione linguistica e il gusto per la satira (Le rose imperiali, 1975; Diario di un sognatore, 1981; Il pianeta azzurro, 1986; Le galline pensierose, 1980; Le maschere, 1994). Giuseppe Pontiggia (1934-2003), di Como, è autore di romanzi di notevole fattura narrativa e caratterizzati da un’accorta ricerca linguistica, che suggestionano per il realismo molto ricco e fantasioso. Dopo il suo primo romanzo, La morte in banca (1959), i suoi titoli più noti sono: L’arte della fuga (1968), in cui è particolarmente forte la tendenza sperimentalista; Il giocatore invisibile (1978); Il raggio d’ombra (1983); La grande sera (1989); Vite di uomini non illustri (1993); Nati due volte (2000), in cui affronta il delicato tema dell’handicap. Alberto Bevilacqua (1934), di Parma, ha come qualità migliori il garbo e l’intelligenza dell’indagine psicologica. I suoi romanzi sono sempre la verifica di un sentimento o di un carattere umano. Il meglio della sua vasta produzione narrativa (La califfa, 1964; Questa specie d’amore, 1966; L’occhio del gatto, 1968; Una città in amore, 1970) ha al centro la città di Parma, popolare e sanguigna, che fa da sfondo alle lotte operaie, ai moti sindacali e all’azione antifascista. Fra le opere successive: Il curioso delle donne (1983); La donna delle meraviglie (1984); I sensi incantati (1991); Gli anni struggenti (2001). Vincenzo Consolo (1933), nativo di Sant’Agata di Militello, è un maestro degli elementi più tipici della letteratura siciliana: grottesco; lingua sovraccarica e densa; violenza eccessiva e folgorante dell’espressione, in una materia sem-

Luigi Malerba

Giuseppe Pontiggia

Alberto Bevilacqua

Vincenzo Consolo

363

18 - Gli ultimi trent’anni IL TEATRO GIULLARESCO DI DARIO FO Dario Fo (1926), di Leggiuno, presso Varese, esordì anche come attore con spettacoli di varietà satirici (Il dito nell’occhio, 1953; Sani da legare, 1954). Tra il 1956 e il 1967 mise in scena con la moglie Franca Rame le Farse, opere dal ritmo bizzarro e dalle trame inverosimili che denunciavano i paradossi della società e della politica italiana (Isabella tre caravelle e un cacciaballe, 1963; La signora è da buttare, 1967). Le successive numerose commedie (Mistero buffo, 1969; Morte accidentale di un anarchico, 1971; Ci ragiono e canto, 1972; Non si paga, non si paga,

Gesualdo Bufalino

Sebastiano Vassalli

364

1974; Il Papa e la strega, 1989; Johan Padan a la discoverta de le Americhe, 1991) accentuano la satira sociale e politica, riferendosi direttamente a episodi della cronaca. Definitosi ”giullare del popolo”, ”comico dell’arte itinerante”, Fo si riallaccia alla tradizione della commedia dell’arte per ricreare uno spettacolo aperto, capace di coinvolgere il pubblico, grazie a una comicità che si avvale di impasti dialettali e invenzioni linguistiche, interpretati con forza istrionica e con una mimica irrefrenabile. Ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1997.

pre sensuale e barocca. Esordì con il romanzo breve La ferita dell’aprile (1963), in una prosa di memoria e sperimentale. Richiamandosi a Sciascia per la lucida razionalità, e a C.E. Gadda per la lezione del plurilinguismo, ha conseguito un risultato apprezzabile con il romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio (1976), che, in una lingua insieme colta e popolare, ricostruisce alcuni eventi della Sicilia del 1860, segni del fallimento risorgimentale e del perseverare nella storia della violenza e della sopraffazione. Il romanzo successivo, Retablo (1987), articola su più piani narrativi una vicenda ambientata nel Settecento in una Sicilia barocca, in cui si ritrovano i tratti della società contemporanea, disgregata e frantumata. Sugli stessi temi vertono i racconti Le pietre di Pantalica (1988) e gli ultimi romanzi Nottetempo, casa per casa (1992), L’olivo e l’olivastro (1994), Di qua dal faro (1999). Più contenuto e semplificato il lavoro di Gesualdo Bufalino (1920-1996), di Comiso. Solo in tarda età si è rivelato scrittore con il romanzo Diceria dell’untore (1981), che ha per tema un amore sbocciato in un sanatorio su uno scenario di morte, fra angosce, desideri e sensi di colpa, in una scomposizione dei tempi narrativi che richiama Proust. La letteratura e la memoria vi appaiono come l’unica salvezza nei confronti della realtà. Su questa stessa linea sono anche Museo d’ombre (1982); Argo il cieco ovvero i sogni della memoria (1984); L’uomo invaso (1986); Le menzogne della notte (premio Strega 1988). Sebastiano Vassalli (1941), genovese, mostra una robusta narrativa, con forte gusto polemico-satirico. Ha esordito nell’ambito del Gruppo ’63 con alcuni testi sperimentali di

18 - Gli ultimi trent’anni

taglio satirico nei confronti dei luoghi comuni del linguaggio ufficiale. Ha pubblicato poi i romanzi: L’arrivo della lozione (1976); Abitare il vento (1980); Mareblu (1982); La notte della cometa (1984), romanzo-biografia di D. Campana; L’oro del mondo (1987), sul passato prossimo dell’Italia appena uscita dalla guerra e alla vigilia del boom economico; Sangue e suolo (1985), un’inchiesta sulla difficile convivenza di popolazioni italiane e tedesche in Alto Adige. Successivamente la sua ricerca si è volta al passato con romanzi “neostorici” tra cui: La chimera (1990); Cuore di pietra (1996). Tra le ultime opere, Archeologia del presente (2001). Il pisano Antonio Tabucchi (1943) ama atmosfere sfuggenti e dense di significati simbolici. Ha pubblicato, prediligendo il romanzo breve, numerosi testi narrativi, dal realismo semplice ma suggestivo (Piazza d’Italia, 1975; Il gioco del rovescio, 1981; Notturno indiano, 1984; Piccoli equivoci senza importanza, 1985; L’angelo nero, 1991; Requiem, 1992). Con Sostiene Pereira (1994) ha colto un buon successo anche internazionale. Nel 2001 ha pubblicato Si sta facendo sempre più tardi, singolare romanzo epistolare. Pier Vittorio Tondelli (1955-1991), emiliano, soprattutto dopo la morte prematura è diventato il simbolo della generazione legata ai movimenti giovanili degli anni ’70. Ai racconti Altri libertini (1980), sui comportamenti giovanili anarchici, disgregati, sostenuti da un materialismo ingenuo e privo di spessore, sono seguiti: Pao pao (1982); Rimini (1986), sull’ambiente cinico dei “rampanti” anni ’80, attraverso un montaggio dei frammenti di vicende di personaggi diversi che ne sottolinea la solitudine all’interno della massa; Camere separate (1989), storia drammatica di un amore omosessuale. Dacia Maraini (1936) si è affermata con il romanzo L’età del malessere (1963). Sono seguiti Memorie di una ladra (1972), Storia di Piera (1980), La lunga vita di Marianna Ucria (1990), Bagheria (1993), di taglio autobiografico, Buio (1999), opere spesso incentrate su difficili realtà di donne. Ha pubblicato raccolte di poesia (Crudeltà all’aria aperta, 1996; Dimenticato di dimenticare, 1982), testi teatrali (Camille, 1995) e saggi sul femminismo. La sigla Fruttero & Lucentini ha contraddistinto le opere degli scrittori Carlo Fruttero (1926) e Franco Lucentini (1920-2002). Traduttori, narratori, saggisti, consulenti editoriali, hanno diretto per lungo tempo la collana di fantascienza Urania. Insieme hanno firmato commedie (La cosa in sé, 1982), prose satiriche (La prevalenza del cretino, 1985). Scrittori colti e curiosi, hanno conseguito un grande

Antonio Tabucchi

Pier Vittorio Tondelli

Dacia Maraini

Fruttero & Lucentini

365

18 - Gli ultimi trent’anni

Susanna Tamaro

Andrea Camilleri

Oriana Fallaci

Tiziano Terzani

Stefano Benni 366

successo di pubblico proponendo un genere di romanzo giallo di ampio respiro con La donna della domenica (1972) e A che punto è la notte (1979). Nel 1989 hanno pubblicato La verità sul caso D., completamento di un romanzo incompiuto di Dickens, e nel 1995 un altro esempio di sperimentazione letteraria: La morte di Cicerone. Susanna Tamaro (1957), dopo aver pubblicato le opere La testa tra le nuvole (1989) e Per voce sola (1991), ha ottenuto un enorme successo con il romanzo Va’ dove ti porta il cuore (1994), racconto familiare e soprattutto ritratto di una donna appassionata. Sono seguiti Anima Mundi (1997), Il respiro quieto (1996), libro intervista, Rispondimi (2001), raccolta di racconti, più incentrati sul senso di una ricerca interiore e spirituale. Ha scritto anche parecchie opere per bambini, tra cui Cuore di ciccia (1992), Papirofobia (2000), Il cerchio magico (1994). Andrea Camilleri (1927), sceneggiatore e regista televisivo, ha raggiunto un tardo ma solidissimo successo con i suoi romanzi e racconti di ambientazione siciliana (Un filo di fumo, 1980; La concessione del telefono, 1998; Il re di Girgenti, 2001) e soprattutto con i polizieschi incentrati sulla sanguigna figura del commissario di polizia Montalbano, costruiti facendo uso di una lingua fittizia, un impasto di lingua nazionale e dialetto siciliano: La forma dell’acqua (1994), Il cane di terracotta (1996), L’odore della notte (2001). La giornalista e scrittrice fiorentina Oriana Fallaci (19292006) si afferma dagli anni ’60 con reportage e opere letterarie di grande successo, tra cui spiccano Niente e così sia (1969), Lettera a un bambino mai nato (1975), tragico monologo di una donna in attesa di un figlio, Un uomo (1979), l’appassionato romanzo-verità sul suo compagno Alekos Panagulis, greco che combatté la dittatura dei Colonnelli, e Insciallah (1990). Nel 2001, all’indomani degli attentati terroristici dell’11 settembre, scrive La rabbia e l’orgoglio, stigmatizzando l’Islam e la decadenza dell’Occidente; seguirà La forza della ragione (2004). Alla Fallaci risponde con le sue Lettere contro la guerra (2001) Tiziano Terzani (1926-2004), giornalista e apprezzato autore di reportage fin dagli anni ’70. Pelle di leopardo (1973), sulla guerra in Vietnam, è il primo di numerosi libri di viaggio dedicati soprattutto al continente asiatico (La porta proibita, 1984; In Asia, 1994; Un indovino mi disse, 1995; Un altro giro di giostra, 2004). Il testamento spirituale dello scrittore fiorentino è contenuto in La fine è il mio inizio (2006), lungo dialogo-diario con il figlio Folco. Stefano Benni (1947) alterna l’attività di giornalista alla car-

18 - Gli ultimi trent’anni

riera di autore narrativo satirico. Se le prime pubblicazioni sono prevalentemente di satira politica e di costume (Bar Sport, 1976; Non siamo stato noi, 1978; Il Benni furioso, 1979), la sua vena corrosiva si applica al romanzo con Terra! (1983) per proseguire sulla stessa falsariga con Comici, spaventati guerrieri (1986), Baol (1990), La compagnia dei Celestini (1992) e altre opere dove Benni non manca di fondere comicità e lirismo, grottesco e tragedia in una parodia dell’attualità dal sapore talvolta apocalittico – è il caso di Spiriti (2000), sorta di novello Dottor Stranamore. Tra i nomi nuovi della narrativa degli anni ’80, Andrea De Carlo (1952) dimostra con Treno di panna (1981) e Uccelli da gabbia e da voliera (1982) di possedere una tecnica originale di taglio prettamente visivo, sembrando quasi “voler sostituire la penna all’obbiettivo fotografico” (Calvino). Il suo iperrealismo continua a colpire con Macno (1984), spietata critica al potere della televisione. Il romanziere milanese si afferma ulteriormente con Due di due (1989), romanzo di formazione dalla scrittura più introspettiva e dilatata. Tendenza oggettiva e attenzione per il dettaglio contrassegnano anche i primi romanzi di Daniele Del Giudice (1949) Lo stadio di Wimbledon (1983) e Atlante occidentale (1985). Aldo Busi (1948), a partire da Seminario sulla gioventù (1984) e Vita standard di un venditore di collant (1985), imbastisce narrazioni provocatorie e personali, armato di una prosa turgida e ingegnosa: Casanova di se stessi (2000) è forse il suo lavoro più radicale. Lo scrittore bresciano è anche autore di un ciclo di saggi detti “Manuali per una perfetta umanità”, tra cui Manuale del perfetto Gentilomo (1992) e Nudo di madre. Manuale del perfetto scrittore (1997). Alessandro Baricco (1958) si segnala tra gli autori saliti alla ribalta negli anni ’90. Castelli di rabbia (1991) è scandito in modo inusuale da una prosa particolarissima e sincopata, mentre Oceano Mare (1993) si distingue ancora per l’atmosfera incantata e sospesa – tra fiaba, racconto filosofico, suspense e avventura – e il ritmo poetico. In Seta (1996) il tono è più minimalista e astratto, quasi a evocare la finezza impalpabile del tessuto. Gli scenari esotici e ottocenteschi lasciano quindi spazio al postmodernismo di City (1999). Saggista oltre che romanziere, Baricco ha sperimentato con Omero, Iliade (2004) la riscrittura in prosa del poema omerico. Tra gli scrittori di genere degli anni ’90 si distingue Carlo Lucarelli (1960), abile nel fondere poliziesco, thriller all’americana e noir e nel creare figure di investigatori cui dedica piccole serie: il commissario De Luca, l’ispettore Coliandro, l’ispettrice Grazia Negro. Il suo romanzo più co-

Andrea De Carlo

Daniele Del Giudice Aldo Busi

Alessandro Baricco

Carlo Lucarelli

367

18 - Gli ultimi trent’anni

nosciuto è Almost Blue (1997), che ha per protagonista la Negro: l’autore parmense costruisce una suspense mozzafiato alternando il suo punto di vista di narratore esterno a vere e proprie “soggettive” dei personaggi, con un procedimento quasi cinematografico. Niccolò Ammaniti Niccolò Ammaniti (1966) appartiene alla generazione dei “giovani cannibali” (dal titolo di un’antologia di firme emergenti del 1995). Se Branchie (1994) – delirante e improbabile avventura di un ragazzo romano amante dei pesci e malato terminale di cancro in un’India neopsichedelica – è il miglior esempio del genere pulp in voga a metà anni ’90, lo stile basico e l’umorismo nero dello scrittore romano troveranno una via più matura e forte con Ti prendo e ti porto via (1999), Io non ho paura (2001) e Come Dio comanda (2006); Che la festa cominci (2009) ritorna con sfumature satiriche a certe tonalità alcaline degli esordi. Tra i romanzieri più apprezzati degli ultimi anni meritano Margaret Mazzantini una citazione anche Margaret Mazzantini (1961) per Non ti muovere (2001), drammatica confessione di un padre a Sandro Veronesi una figlia in coma, Sandro Veronesi (1959), autore dei fortunati La forza del passato (2000) e Caos calmo (2005), e Andrea Vitali Andrea Vitali (1956), che ha reso la sua Bellano, sulle rive del lago di Como, lo scenario di romanzi come La signorina Tecla Manzi (2004), La figlia del podestà (2005) e La modista (2008), in cui descrive con realismo e cura il microcosmo di provincia degli anni del Fascismo e del secondo dopoguerra, reinventando letterariamente la commedia all’italiana. Nei primi anni del XXI secolo si fanno notare alcuni esordi di successo. Ricordiamo il caso di Io uccido (2002), thrillerGiorgio Faletti rivelazione di Giorgio Faletti (1950), in precedenza comico televisivo e autore di canzoni, Con le peggiori intenzioAlessandro Piperno ni (2006) di Alessandro Piperno (1972), saga familiare ambientata nell’alta borghesia ebraica romana condita con discreta ironia, il monocorde La solitudine dei numeri primi Paolo Giordano (2008) di Paolo Giordano (1982), ma soprattutto GomorRoberto Saviano ra (2006) di Roberto Saviano (1979), romanzo-documentario che fotografa il mondo camorristico incastrando diverse prospettive (narrativa, saggio, cronaca, denuncia) in un’unica opera compatta. Con il suo impegno di scrittore e cronista, Saviano diventa un uomo-simbolo della società civile nella lotta alla criminalità organizzata.

368

18 - Gli ultimi trent’anni

SCHEMA RIASSUNTIVO ZANZOTTO

Andrea Zanzotto (1921) è forse una delle figure poetiche più importanti della seconda parte del secolo. La sua opera è un tentativo di mascheramento della nevrosi individuale e collettiva attraverso l’esercizio di una lingua magmatica e suggestiva (Dietro il paesaggio, 1951; IX Ecloghe, 1962; Fosfeni, 1983).

GIUDICI

Giovanni Giudici (1924) è riuscito a rivitalizzare l’ironia e la teatralizzazione dell’io, con leggerezza spietata e sagace e un verso sempre lucido ed esatto (La vita in versi, 1965; Salutz, 1986; Fortezza, 1990).

VOLPONI

Paolo Volponi (1924-1994) è lo scrittore che meglio ha percepito il senso contraddittorio e impellente della società industriale (Memoriale, 1961; La macchina mondiale, 1965; Il sipario ducale, 1975).

MALERBA

Luigi Malerba (1927-2008) gioca la carta comica e assurda dello smascheramento: la letteratura, per quanto finta, diventa un modo per scardinare le ossessioni del mondo (Il serpente, 1966; Il pianeta azzurro, 1986).

PONTIGGIA

Giuseppe Pontiggia (1934-2003) sviluppa un’accorta ricerca linguistica: le sue storie suggestionano per il realismo molto ricco e fantasioso (La morte in banca, 1959; Il giocatore invisibile, 1978; La grande sera, 1989).

FALLACI

Giornalista e scrittrice, Oriana Fallaci (1929-2006) si afferma con opere di grande successo (Niente e così sia, 1969; Lettera a un bambino mai nato, 1975; Un uomo, 1979; Insciallah, 1990).

BARICCO

Alessandro Baricco (1958) si segnala tra gli autori saliti alla ribalta negli anni ‘90 con la sua prosa originale e dal tono quasi poetico (Castelli di rabbia, 1991; Oceano Mare,1993; Seta, 1996).

AMMANITI

Niccolò Ammaniti (1966) emerge dalla generazione dei “giovani cannibali”. Dopo l’esordio pulp Branchie (1994), i successivi Ti prendo e ti porto via (1999), Io non ho paura (2001) e Come Dio comanda (2006) segnano la sua maturità come autore.

369

Glossario di retorica, stilistica e metrica Accento, particolare intensità assunta dalla voce per dare risalto a una determinata sillaba nella parola. Alessandrino, verso d’origine francese di dodici sillabe. Allegoria, figura retorica per cui il significato letterale di un termine, o di una espressione, rimanda a un significato più ampio e nascosto. Allitterazione, ripetizione di una stessa sillaba, o di più gruppi di sillabe, in due o più parole di uno stesso verso o frase, allo scopo di creare particolari effetti. Allusione, figura retorica in cui si nomina una cosa per richiamarne un’altra. Anacreontica, nella poesia italiana, componimento leggero e di argomento per lo più amoroso, tipico dell’Arcadia. Deriva il proprio nome da componimenti simili, di epoca greco-romana, attribuiti ad Anacreonte. Anafora, figura retorica che permette di enfatizzare una o più parole ripetendole all’inizio di versi o enunciati. Anticlimax, progressione di termini o di concetti secondo una gradazione decrescente (si veda climax). Antitesi, figura retorica per cui si accostano parole o espressioni aventi significati contrari, perché dal loro contrasto risalti meglio ciò che si vuol dire. Antonomasia, figura retorica per cui si usa un nome proprio al posto di uno comune, o viceversa. Arsi, nella metrica greca il tempo debole del piede; in quella latina, il tempo forte su cui cade l’accento. Nella metrica moderna, l’accento ritmico (si veda tesi).

Assonanza, forma di rima imperfetta, basata sulla consonanza delle vocali finali, ma non delle consonanti. Ballata, antico componimento strofico con ritornello di carattere popolare, destinato in origine al canto e alla danza. Nella letteratura romantica assume carattere epico-leggendario. Cantare, poemetto in versi, di origine popolare in voga in epoca rinascimentale ed eseguito da cantori girovaghi con o senza accompagnamento musicale. Cantica, componimento poetico medievale, di carattere narrativo o religioso, diviso in canti. Canti carnascialeschi, canti che accompagnavano le mascherate di carnevale nella Firenze del Rinascimento. Cantico, componimento in versi di tono solenne e contenuto religioso. Cantilena, componimento poetico popolare su un tema musicale semplice, con struttura metrica varia. Canto, 1) Componimento lirico, specialmente di tono alto. 2) Ciascuna delle parti che compongono un poema o una cantica. Canzone, antico componimento lirico italiano con più strofe composte di endecasillabi e settenari rimati, privo di ritornello. La canzone libera o leopardiana è la trasformazione della canzone tradizionale, attraverso l’inserimento di versi sciolti, fino alla completa libertà della strofa e all’esclusione della rima. Canzone di gesta, si veda chanson de geste. Canzonetta, componimento poetico po-

370

Glossario di retorica, stilistica e metrica

polare di argomento amoroso, in versi ottonari o settenari, diffuso tra il sec. XIII e il XVIII. Carme, componimento poetico, originariamente di carattere rituale o solenne, in seguito di genere più vario. Può essere anche cantato o recitato. Centone, componimento poetico composto con versi o parti di versi di un autore famoso, adattati ad altri significati. Cesura, pausa ritmica di un verso che, nella metrica classica, cade alla fine di una parola, ma sempre all’interno di un piede, e divide il verso in due emistichi. Nella metrica moderna cade in diverse sedi, secondo il senso e il ritmo del verso. Chanson de geste, poema epico medievale francese, i cui versi, inizialmente ottosillabici e assonanti, in seguito dodecasillabici e generalmente rimati, celebravano gesta eroiche. Climax, figura retorica che consiste nel disporre i termini di un discorso graduandoli con sempre maggior forza (si veda anticlimax). Contrasto, antico componimento poetico in cui si svolge una disputa scherzosa tra amanti. Decasillabo, verso di dieci sillabe, con accenti ritmici sulla terza, la sesta e la nona sillaba. Distico, strofa di due versi. Il distico elegiaco è il distico per eccellenza della metrica greco-latina, formato dalla successione di un esametro e di un pentametro. Ditirambo, nella lirica greca, canto corale in onore di Dioniso. Nelle letterature

371

moderne, componimento giocoso sul tema dell’ebbrezza e della festosità conviviale. Dodecasillabo, verso di dodici sillabe, con accenti ritmici sulla seconda, la quinta, l’ottava e l’undicesima sillaba. Ecloga (o egloga), originariamente nelle letterature classiche, componimento poetico, di contenuto pastorale, spesso in forma dialogica. Elegia, componimento lirico di carattere nostalgico-sentimentale. Emistichio, la metà di un verso prima della cesura, o da questa fino alla fine del verso. Endecasillabo, verso di undici sillabe. Epica, genere poetico che narra di fatti eroici, storici o leggendari, relativi a un personaggio o a un popolo. Epigramma, breve componimento poetico di origine greca, di argomento vario e, spesso, di tono mordace. Epistola, componimento letterario, generalmente in versi, in forma di lettera. Ha argomento vario. Epopea, vasta composizione narrativa poetica, che celebra le gesta straordinarie, spesso leggendarie, compiute da eroi che impersonano il carattere nazionale di un popolo. Eufemismo, attenuazione di un significato considerato troppo aspro, volgare ecc., mediante espressioni più generiche o indirette. Favola, breve racconto in versi o in prosa della tradizione antica, con funzione morale e didascalica, i cui personaggi sono animali o esseri inanimati. Fiaba, narrazione fantastica, di origine

Glossario di retorica, stilistica e metrica

popolare, in cui predominano l’elemento magico (streghe, orchi, fate) e il fine ricreativo e poetico. Frottola, componimento poetico popolare, scherzoso e di oscuro significato, infarcito in modo casuale di proverbi, indovinelli, detti. Giambo, 1) piede della metrica classica formato da una sillaba breve e da una lunga. 2) Per estensione, componimento poetico di carattere satirico e aggressivo in metro giambico. Giustiniana, canzonetta amorosa di tono popolare, ma dalla lingua colta ed elegante. Gliommero, composizione poetica popolare in dialetto napoletano, in forma di monologo e solitamente recitata, intessuta di proverbi, fatti di cronaca ecc. Idillio, originariamente nelle letterature classiche, breve componimento lirico d’argomento pastorale, in cui si idealizza la vita campestre. Inno, nell’antica Grecia, componimento poetico solenne, dedicato a una divinità o a un eroe, cantato in coro e accompagnato dalla musica. Nell’età cristiana, canto corale d’argomento religioso eseguito dai fedeli durante le cerimonie. In epoca moderna, componimento lirico di argomento religioso, patriottico ecc. Iperbole, figura retorica che consiste nell’usare un’espressione esagerata rispetto alla realtà. Lai, componimento medievale narrativo o lirico. Originario della Bretagna, era accompagnato dalla mandola o dall’arpa. Lamento, componimento medievale, di origine popolare, per lo più in versi, nel

quale si esprime il dolore per un fatto doloroso, specialmente per la scomparsa di una persona cara. Lauda, componimento poetico medievale di argomento religioso. Lirica, nell’età classica, poesia con l’accompagnamento della lira. Nell’età moderna poesia che esprime in modo soggettivo i sentimenti più personali del poeta. Litote, figura retorica per cui viene formulato un concetto mediante la negazione del suo contrario. Madrigale, breve composizione poetica in endecasillabi, di origine popolare e d’argomento campestre o amoroso. Melodramma, componimento teatrale di carattere drammatico, generalmente in versi, musicato e cantato. Metafora, figura retorica per cui un vocabolo o un’espressione vengono usati per intendere un concetto diverso da quello che di solito esprimono, ma con il quale hanno un rapporto di analogia. A differenza della similitudine, i termini fra i quali si coglie la somiglianza sono posti in relazione di identità. Metonimia, figura retorica che consiste nel sostituire una parola con un’altra avente con la prima qualche tipo di relazione: causa-effetto, concreto-astratto, contenente-contenuto, autoreopera ecc. Metrica, insieme degli elementi (accenti, misure, rime ecc.) che presiedono alla composizione dei versi e alle loro varie combinazioni (strofe), in relazione a un contesto storico-letterario. Nella metrica quantitativa (per es. la metrica clas-

372

Glossario di retorica, stilistica e metrica

sica) il verso è definito dal succedersi di sillabe brevi e lunghe mentre nella metrica ritmica (per es. quella italiana) il criterio fondamentale è dato dal numero delle sillabe (versi ottonari, endecasillabi ecc.) e dalla loro accentazione. Il diverso modo di organizzazione dei versi dà luogo differenti tipi di componimenti poetici (canzoni, ballate, sonetti ecc.) e alle loro differenti parti ritmiche (terzine, ottave ecc.). Metro, nella poesia greco-latina indica l’unità di misura di un verso; nella poesia moderna indica la struttura di un verso o di una strofa. Monodia, canto a una sola voce, con o senza accompagnamento musicale. Non-sense, genere letterario di origine inglese, in cui gusto dell’assurdo e del paradosso, fuori da regole logiche, producono un effetto umoristico e stravagante. Novella, breve narrazione in prosa, più raramente in versi, di un fatto inventato, ma verosimile. Ode, componimento poetico della letteratura classica moderna di metro e di contenuto vari; nell’antichità greca era cantato con accompagnamento musicale. Onomatopea, riproduzione mediante parole di un suono naturale. Oratoria, genere letterario della prosa, sviluppatosi nell’antica Grecia e basato sull’arte della parola. Produce discorsi destinati a persuadere un pubblico su vari temi. Ossimoro, figura retorica per cui si accosta a un termine un altro termine che ha significato opposto.

373

Ottava, strofa della metrica italiana, di origine medievale, costituita da otto endecasillabi, di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata. Ottonario, verso di otto sillabe. Pamphlet, breve componimento in prosa, di derivazione francese, particolarmente in voga nel ‘700, con contenuti fortemente polemici o violentemente satirici. Parodia, componimento consistente nella contraffazione comica o satirica di un’opera letteraria conosciuta. Pasquinata, componimento satirico generalmente anonimo, in latino o in volgare, di contenuto antipapale: fiori a Roma fra il sec. XVI e il XIX. Pastiche, opera letteraria in cui l’autore imita lo stile di un altro autore, o fonde organicamente in uno stile personale linguaggi diversi. Pastorella, componimento lirico di origine provenzale, in forma di dialogo tra un cavaliere e una pastorella. Poema, componimento poetico narrativo solenne e di vasto respiro. Generalmente ripartito in canti o libri, definito, secondo la materia trattata, poema epico, cavalleresco, storico, didascalico ecc. Poema cavalleresco, poema che canta le imprese dei cavalieri medievali. Poema eroicomico, genere letterario in cui un argomento eroico, tragico è trattato in modo comico. Polisemia, capacità da parte di un testo letterario di avere più significati, e di ammettere, quindi, diversi livelli di lettura (più comunemente si parla di “ambiguità”).

Glossario di retorica, stilistica e metrica

Prosa d’arte (o prosa poetica), genere letterario cui appartengono componimenti prosastici particolarmente curati stilisticamente e mossi da intima liricità. Prosodia, complesso delle regole riguardanti l’accentazione e la quantità delle vocali e delle sillabe, come fondamento della metrica classica. Quantità, lunghezza o durata relativa di una sillaba nella pronuncia; è l’elemento che regola il ritmo nella metrica greco-romana e nel canto liturgico. Quartina, nella metrica italiana, strofa di quattro versi di rima varia. Quinario, nella metrica italiana, verso formato da cinque sillabe, con accento ritmico sulla quarta. Racconto, narrazione in prosa di contenuto fantastico o realistico, di minore estensione rispetto al romanzo. Rapsodia, componimento epico recitato in pubblico. Retorica, nella cultura greca è l’arte del discorso e il suo scopo consiste nel persuadere un uditorio (si veda anche p. 850). A partire dalla trattazione aristotelica e fino al suo inserimento, in epoca medievale, nel gruppo delle arti liberali del trivio, la retorica si compone di 5 parti: l’inventio (che riguarda gli argomenti del discorso), la dispositio (che si occupa del loro ordinamento), l’elocutio (che tratta le questioni stilistiche), l’actio (che detta le norme della gestualità dell’oratore), la memoria (che insegna a ricordare il discorso). Con il passare dei secoli, e soprattutto in epoca romantica, l’interesse per la re-

torica si riduce alla sola elocutio, vale a dire ai problemi di poetica letteraria. Rima, identità di suono, fra due o più parole, delle sillabe finali a partire dall’ultima vocale accentata. Viene disposta tra versi successivi di un componimento poetico secondo schemi prestabiliti. “Rima baciata” è quella che si ha fra due versi consecutivi, “rima alternata” fra due versi che rimano alternativamente. Ripresa, ritornello, in alcune forme della poesia italiana. Rispetto, breve componimento poetico di origine popolare, costituito da una quartina a rime alternate e da una ripresa. Ritmo, nella metrica greco-latina, disposizione di sillabe lunghe e brevi di un verso, regolata secondo schemi particolari; nella poesia moderna, ordinata successione di sillabe toniche e atone. Romanzo, nell’antica Grecia, opera narrativa in prosa dall’intreccio ingegnoso, ricco di avventure e colpi scena. Nel medioevo, componimento popolare in versi, in una lingua romanza, che narrava imprese cavalleresche. Nelle letterature moderne, genere letterario in prosa, di notevole ampiezza, che narra, in prima o in terza persona, le vicende reali o immaginarie di uno o più personaggi in relazione fra loro. Satira, componimento letterario, originariamente tipico dell’antica Roma, dapprima in prosa e versi e poi solo in versi. Esprime giudizi di tipo moralistico-polemico sui vizi della società contemporanea.

374

Glossario di retorica, stilistica e metrica

Selva, 1) componimento poetico in endecasillabi e settenari. 2) Raccolta di poesie di soggetto vario. 3) Raccolta di saggi, brani letterari, annotazioni ecc. Senario, verso di sei sillabe. Sequenza, canto della liturgia medievale, in versi o in prosa ritmata. Sestina, 1) strofa di sei versi, generalmente endecasillabi o tutti a rima alternata o con i primi quattro a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata. 2) Forma particolare di canzone, composta da sei stanze con sei endecasillabi non rimati, in cui le parole finali della prima strofa sono ripetute alla fine di tutte le strofe. Settenario, verso composto di sette sillabe, con l’accento sulla sesta sillaba. Similitudine, figura retorica che istituisce un confronto tra due immagini che normalmente appartengono a contesti diversi. Sineddoche, estensione o riduzione del significato comune di un termine (si designa la parte per il tutto, il singolare per il plurale, o viceversa). Sirventese, componimento in versi di origine provenzale, di contenuti polemici, politici o anche amorosi. Sonetto, componimento poetico di origine italiana, composto di due quartine e di due terzine, per lo più endecasillabi. Stanza, nella metrica italiana, ciascuna delle strofe di una canzone o di una ballata. Stilistica, arte e disciplina che attengono allo stile, definibile come l’insieme delle caratteristiche linguistiche signifi-

375

cative di un testo in rapporto alla lingua comune, a quella letteraria e al suo uso individuale. Nel corso della storia, è stata a lungo una disciplina prescrittiva, intesa a fornire allo scrittore precetti e modelli di bello scrivere. Negli ultimi decenni, con i recenti sviluppi della linguistica, il significato di stilistica si è evoluto in quello di metodo critico e descrittivo che tende a considerare lo stile come una deviazione dalla norma da parte del singolo scrittore. Si distinguono una stilistica descrittiva, una interpretativa, più vicina alla critica letteraria, e una storica, che delinea la storia di determinate forme espressive. Stornello, breve componimento lirico di origine popolare e toscana, di argomento amoroso o satirico, composto generalmente da un quinario e due endecasillabi di cui il secondo rima con il quinario. Strambotto, forma lirica di origine popolare, su temi amorosi o satirici, formato da sei o otto endecasillabi a rima alternata. Strofe (o strofa), gruppo di due o più versi disposti secondo un determinato schema metrico (i versi possono avere varia lunghezza ed essere, o no, collegati dalla rima). Prende denominazioni varie secondo il numero dei versi che la compongono (terzina, sestina ecc.). Tenzone, componimento poetico di origine provenzale, strutturato come un dialogo a strofe o versi alterni fra due autori in disputa fra loro su argomenti amorosi, politici o morali. Terzina, strofa di tre endecasillabi, di cui

Glossario di retorica, stilistica e metrica

generalmente il primo rima con il terzo e il secondo con il primo della strofa successiva. Tesi, nella metrica greca, il tempo forte del piede, cioè quello sul quale cade l’accento; in quella latina e moderna, il tempo debole (si veda arsi).

Topos, luogo comune o stereotipo a cui attingono sia il discorso comune sia quello letterario. Trionfo, componimento della poesia italiana delle origini, di tono elevato. Nel ‘400, tipo di canto carnascialesco fiorentino, di tono salace.

376

Indice analitico Sono indicate in neretto le pagine in cui l’autore o il concetto sono trattati in modo più esteso e diretto

A Abba, Giuseppe Cesare 220 Achillini, Claudio 134 Alberti, Leon Battista 70-71 Aleardi, Aleardo 226 Alfieri, Vittorio 152, 180-182, 192, 203, 205, 230 Algarotti, Francesco 160 Alvaro, Corrado 302 Amato da Montecassino 11 Ammaniti, Niccolò 368 Ammirato, Scipione 104 Anceschi, Luciano 345 Andrea da Barberino 58 Angela da Foligno 59 Anonimo fiorentino 55 “Antologia, L’ “ 194 Arbasino, Alberto 351 Arcadia 125, 132, 150 151-152, 154, 174, 176 Aretino, Pietro 88, 108, 110, 112, 113-114, 118, 119, 170 Argiropulo, Giovanni 76 Ariosto, Ludovico 85, 88, 90, 94-96, 98, 107, 116, 145, 229 Arnaut Daniel 12

Arrighi, Cletto 232 Arrigo da Settimello 11 Artale, Giuseppe 135 Aurispa, Giovanni 71

B Bacchelli, Riccardo 299 Balbo, Cesare 223 Baldini, Antonio 300 Baldini, Raffaello 342 Balestrini, Nanni 351 Banchieri, Adriano 142 Bandello, Matteo 106 Bandi, Giuseppe 220 Banti, Anna 355 Barbaro, Francesco 82 Barberini, Maffeo 135 Baretti, Giuseppe 161 “Baretti, II“ 276 Baricco, Alessandro 367 Barilli, Bruno 300 barocco 125, 138, 129-132, 138, 141, 146, 151, 152, 174 Bartoli, Daniello 145 Basile, Giovan Battista 140 Bassani, Giorgio 332 Battista, Giuseppe 135 Baudelaire, Charles 252 Beccadelli, Antonio v. Panormita

Beccari, Antonio 61 Beccaria, Cesare 170 Belli, Gioacchino 194, 198, 199

Bellini, Bernardo 225 Bembo, Pietro 88, 89-90, 91, 104, 116, 117, 118, 121, 132 Bene, Carmelo 351 Benjamin, Walter 217 Benni, Stefano 366-367 Beolco, Angelo v. Ruzante Berchet, Giovanni 196 Bergson, Henri 279 Bernard, Carlo v. Bernari, Carlo Bernari, Carlo 309 Bernart de Ventadorn 12 Berni, Francesco 118 Béroul 12 Berto, Giuseppe 335 Bertola De’Giorgi, Aurelio 176 Bertolucci, Attilio 344 Bessarione, Giovanni 68 Betocchi, Carlo 343 Betteloni, Vittorio 237 Bettinelli, Saverio 161 Bevilacqua, Alberto 363 Bianciardi, Luciano 336 Bibbiena 107 “Biblioteca italiana“ 190

377

Indice analitico

Bilenchi, Romano 308 Boccaccio, Giovanni 34, 41, 45, 50-53, 61, 62, 67, 76, 83, 90, 106, 229 Boccalini, Traiano 104 Boiardo, Matteo Maria 66, 82, 83, 84-85, 117, 118 Boileau, Nicolas 131 Boine, Giovanni 270 Boito, Arrigo 234 Bonagiunta Orbicciani 17 Bonardi, Luigi v. Malerba, Luigi Bono Giamboni 26 Bonsanti, Alessandro 303 Bontempelli, Massimo 301 Bonvesin de la Riva 19 Borgese, Giuseppe Antonio 280 Borsieri, Pietro 196 Botero, Giovanni 104 Bracciolini, Poggio 69 Brancati, Vitaliano 330 Breme, Ludovico di 196 Breton, André 305 Brignole Sale, Anton Giulio 135 Bruni, Antonio 135 Bruni, Leonardo 68 Bruno, Giordano 126 Brusoni, Girolamo 140 Bufalino, Gesualdo 364 Buonarroti, Michelangelo 117 Burchiello 75 Busenello, Gian Francesco 141 Busi, Aldo 367 Buzzati, Dino 307 Byron, George Gordon 195

378

C “Caffè, II“ 169 Calandra, Edoardo 244 Caldarelli, Nazareno 299 Calderón de la Barca 131 Calvino, Italo 96, 262, 321, 348, 357-359, 360 Calzabigi, Ranieri de’ 158 Camerana, Giovanni 234 Camilleri, Andrea 366 Campana, Dino 294 Campanella, Tommaso 143 “Campo di Marte“ 311 Cantù, Cesare 197 Capponi, Gino 197 Caproni, Giorgio 346 Capuana, Luigi 244 Carcano, Giulio 227 Cardarelli, Vincenzo 299 Carducci, Giosue 182, 192, 226, 232, 235-238, 255, 256, 262, 266 Caro, Annibal 92 Carocci, Alberto 302 Casanova, Giacomo 170 Cassola, Carlo 325 Castelvetro, Ludovico 92 Castiglione, Baldesar 88, 89, 90-92, 114 Cattafi, Bartolo 345 Cattaneo, Carlo 221 Cavalca, Domenico 60 Ca’ Zorzi, Giacomo v. Noventa, Giacomo Cecchi, Emilio 280 Cecco Angiolieri 18 Cecco d’Ascoli 55 Cellini, Benvenuto 120 Cenne della Chitarra 18 Ceronetti, Guido 352-353 Cervantes, Miguel de 125

Cesari, Antonio 184 Cesarotti, Melchiorre 176 Chateaubriand, François-René de 195 Checchi, Eugenio 220 Chiabrera, Gabriello 138 Chiara, Piero 336 Chiaro Davanzati 17 Chrétien de Troyes 12 Cialente, Fausta 355 Ciampoli, Giovanni 135 Cielo d’Alcamo 14 Cino da Pistoia 30 classicismo 88, 89-93, 110, 112, 118, 128, 129, 131, 133, 137-142, 150, 151, 152, 153, 161, 170, 174, 179, 182, 184, 185, 187, 192, 209, 232, 235, 237, 98, 299 Codemo, Luigia 229 Coleridge, Samuel 195 Collenuccio, Pasquale 82 Collodi, Carlo 247 Colombini, Giovanni 59 Colonna, Vittoria 117 Comisso, Giovanni 303 Compagni, Dino 56 Compiuta Donzella 17 concettismo 130, 131, 137, 139, 146 “Conciliatore, II“ 194 Consolo, Vincenzo 363 Conti, Antonio 154 Corazzini, Sergio 264 Correggio, Nicolò da 82 Correnti, Cesare 227 crepuscolarismo 262, 263-266

“Crepuscolo, II” 222 Crescimbeni, Giovanni Mario 151 Crisolora, Manuele 68 “Critica, La“ 274

Indice analitico

Croce, Benedetto 96, 217, 228, 238, 269, 274-276, 277, 281 Croce, Giulio Cesare 142 “Cronaca bizantina“ 252 Crudeli, Tommaso 152 Crusca, Accademia della 119 Cruz, Juana Inés de la 131 “Cultura, La“ 322 Cuoco, Vincenzo 184

D D’Annunzio, Gabriele 182, 226, 237, 243, 251-255, 257, 262, 263, 314 D’Arrigo, Stefano 350 D’Azeglio, Massimo 224 Da Ponte, Lorenzo 158 Dante Alighieri 13, 14, 17, 20, 26, 28, 29, 30, 31, 34, 35-42, 44, 47, 52, 55, 57, 61, 69, 76, 84, 90, 161, 198, 229, 314 Dante da Maiano 17 De Amicis, Edmondo 246 De Carlo, Andrea 367 De Chirico, Andrea v. Savinio, Alberto De Filippo, Eduardo 326 De Marchi, Emilio 245 De Robertis, Giuseppe 269 De Roberto, Federico 245 De Sanctis, Francesco 182, 217, 219, 228-230, 239, 277 Debenedetti, Giacomo 281 decadentismo 182, 243,

249, 251-252, 257 Deledda, Grazia 246 Delfini, Antonio 306 Del Giudice, Daniele 367 Dell’Ongaro, Francesco 226 Della Casa, Giovanni 116 Di Giacomo, Salvatore 247 Diderot, Denis 160 Dino Frescobaldi 30 Dolce, Ludovico 110 Domenico di Giovanni v. Burchiello Dossi, Carlo 233 Dovizi, Bernardo v. Bibbiena

Fenoglio, Beppe 323 Ferrari, Giuseppe 222 Ferrari, Severino 237 Ferreti, Ferreto de’ 56 Ficino, Marsilio 73 Filangieri, Gaetano 163 Filelfo, Francesco 69 fiorentina, Accademia 73 Fiorenzuola, Agnolo 119 Flaiano, Ennio 332 Flaubert, Gustave 240 Flavio Biondo 69 Flora, Francesco 311 Fo, Dario 364 Fogazzaro, Antonio 239, 248-249

E Eco, Umberto 362 “Energie nuove“ 276 Erasmo da Rotterdam 92 Erba, Luciano 345 ermetismo 217, 259, 262, 299, 306, 311-313, 343 Errico, Scipione 135 espressionismo 270, 295, 298, 340 eufuismo 131

F Falcando, Ugo 11 Faldella, Giovanni 235 Faletti, Giorgio 368 Fallaci, Oriana 366 “Fanfulla della Domenica, II“ 252 Fazio degli Uberti 55 Federico II 14 Federico, Gennaro Antonio 158

Folengo, Teofilo 112 Folgore da San Giminiano 18 Fortini, Franco 352 Foscolo, Ugo 41, 150, 175, 182, 188-192, 230 fra Guidotto 24 Fracastoro, Girolamo 92 Francesco da Barberino 55 Frescobaldi, Matteo 61 Frezzi, Federico 56 “Frontespizio“ 311 Frugoni, Carlo Innocenzo 152 Frugoni, Francesco Fulvio 140 “Frusta letteraria“ 162 Fruttero, Carlo 365-366 Fucini, Renato 244 futurismo 262, 265, 266-269, 301, 349

G Gadda, Carlo Emilio 262, 302, 317-319, 363 Galiani, Ferdinando 162

379

Indice analitico

Galilei, Galileo 144 Gambara, Veronica 117 Garibaldi, Giuseppe 220 Gatto, Alfonso 312 “Gazzetta veneta“ 167 Gelli, Giambattista 120 Gemisto Pletone, Giorgio 68 Genovesi, Antonio 162 Gentile, Giovanni 274 Gherardo Patecchio 19 Giacomino da Verona 19 Giacomino Pugliese 14 Giacosa, Giuseppe 244 Giannone, Pietro 155 Gigli, Girolamo 153 Ginzburg, Natalia 355 Gioacchino da Fiore 11 Gioberti, Vincenzo 223 Giordani, Pietro 185 Giordano, Paolo 368 “Giornale de’ letterati d’ltalia“ 154 Giovannetti, Marcello 135 Giovanni del Virgilio 56 Giovannini, Michelangiolo v. Fiorenzuola, Agnolo Giovio, Paolo 92 Giraldi Cinzio, Giambattista 110 Giudici, Giovanni 361 Giuliani, Alfredo 349 Giuliotti, Domenico 272 Giusti, Giuseppe 225 Giustinian, Leonardo 82 Gobetti, Piero 276 Goethe, Johann Wolfgang 175 Goldoni, Carlo 150, 153, 162, 164-167, 230 Goncourt, Edmond 240 Goncourt, Jules 240 Góngora y Argote, Luis de 131

380

gongorismo 131 Govoni, Corrado 265 Gozzano, Guido 264 Gozzi, Carlo 167 Gozzi, Gasparo 167 Gramsci, Antonio 277 Granelleschi, Accademia dei 167 Gravina, Gian Vincenzo 152 Gray, Thomas 175 Grazzini, Anton Francesco v. Lasca Grimmelshausen, H. J. Christoffel 131 Grossi, Tommaso 197 Gruppo ’63 348 Guarini, Giovan Battista 141 Guerra, Tonino 342 Guerrazzi, Francesco Domenico 219 Guerrini, Olindo 237 Guglielmo da Pastrengo 56 Guicciardini, Francesco 80, 88, 98, 102-104, 120 Guido Cavalcanti 28, 29-30, 35, 37 Guido da Pisa 57 Guido delle Colonne 14 Guido Faba 24 Guido Guinizelli 28 Guillaume de Lorris 12 Guittoncino dei Sighibuldi v. Cino da Pistoia Guittone d’Arezzo 16

I Iacopo da Lentini 14 Iacopo da Varazze 25 Iacopo de’Benedetti v. Iacopone da Todi Iacopone da Todi 21 Ibsen, Henrik 252 illuminismo 150, 153, 155, 160-163, 169, 170, 171, 174, 176, 183, 194, 196, 221 Imbriani, Vittorio 244 Investiganti, Accademia degli 155 Italia, Accademia d’- 254

J Jahier, Piero 271 Jaufré Rudel 12 Jean de Meung 12 Jovine, Francesco 325

K Keats, John 175 Klopstock, Friedrich Gottlieb 175

H

L

Herder, Johann Gottfried 176 Hofmannsthal, Hugo von 252 Hölderlin, Friedrich 175 Hugo, Victor 195

La Capria, Raffaele 336 “Lacerba“ 267 Lamarque, Vivian 361-362 Lancia, Andrea 56

Indice analitico

Landino, Cristoforo 76 Landolfi, Tommaso 306 Lapo Gianni 30 Lasca 119 Latini, Brunetto 26 Lattes, Franco v. Fortini, Franco “Leonardo“ 278 Leonetti, Francesco 348 Leopardi, Giacomo 41, 145, 182, 209-217, 229, 230, 243, 255, 258, 264, 271, 292, 294, 298, 299, 314, 346 Leto, Giulio Pomponio 82 “Letteratura“ 317 Levi, Carlo 325 Levi, Primo 333 Liutprando di Cremona 11 Loi, Franco 342 Lopresti Longhi, Lucia v. Banti, Anna Lorenzini, Carlo v. Collodi, Carlo Loria, Arturo 303 Loschi, Antonio 82 Lotario da Segni 11 Lubrano, Giovanni 135 Lucarelli, Carlo 367-368 Lucenti, Franco 365-366 Luzi, Mario 344 Lyly, John 131

M Machiavelli, Niccolò 88, 98-102, 104, 107, 229 Macpherson, James 175 Madame de Staël 195 Maeterlinck, Maurice 252 Maffei, Scipione 154 Magalotti, Lorenzo 145

Maggi, Carlo Maria 153 Malaparte, Curzio 301 Malerba, Luigi 363 Mallarmé, Stéphane 252 Malpighi, Marcello 145 Mameli, Goffredo 226 Manganelli, Giorgio 351 manierismo 88, 116-121, 129, 132 Manuzio, Aldo 82 Manzoni, Alessandro 182, 201-207, 224, 227, 229, 230, 234, 243, 298, 300 Maraini, Dacia 365 Marcello, Benedetto 157 Marin, Biagio 340 Marinetti, Filippo Tommaso 267 Marini, Giovanni Ambrogio 140 Marino, Giambattista 128, 129, 130, 132-134, 137, 139, 230 Marradi, Giovanni 237 Martello, Pier Jacopo 153 “Marzocco, II“ 258 Mastronardi, Lucio 335 Matazone da Caligano 20 Maupassant, Guy de 240 Mazzantini, Margaret 368 Mazzini, Giuseppe 220 Medici, Lorenzo de’ 76 “Menabò, II“ 348 Meneghello, Luigi 350 Meninni, Federico 135 Meo de’Tolomei 18 Mercantini, Luigi 226 Merini, Alda 361 Metastasio, Pietro 150, 152, 157-158

Michelstaedter, Carlo 271 Montale, Eugenio

41, 255, 261, 262, 277, 288, 291, 298, 302, 314 316, 317 Montani, Giuseppe 197 Monte Andrea 17 Montesquieu, Charles Louis de 160 Monti, Vincenzo 150, 152, 175, 183, 184, 185-187, 188, 189, 201, 203 Morando, Bernardo 135 Morante, Elsa 354 Moravia, Alberto 262, 298, 305, 328-329 Moretti, Marino 265 Morselli, Guido 334 Mostacci, Iacopo 14 Muratori, Lodovico Antonio 153 Murtola, Gaspare 133 Mussato, Albertino 56 Musset, Alfred de 195

N naturalismo 240 neoclassicismo 130, 150, 152, 170, 172, 174 175, 184, 185, 188, 203 neoidealismo 274 neorealismo 262, 320-326, 328, 335, 348, 355, 357 Nerval, Gérard de 195 Niccoli, Niccolò 68 Niccolò da Verona 61 Nietzsche, Friedrich 217, 271 Nievo, lppolito 219, 227-228

Novalis 195

381

Indice analitico

“Novecento“ 301 Noventa, Giacomo 341 “Nuova Antologia“ 283

O oc, letteratura d’-12 “Officina“ 348 oil, letteratura d’-12 “Ordine nuovo“ 277 Orelli, Giorgio 345 Ortese, Anna Maria 356 “Osservatore veneto, L’ “ 16 Ottieri, Ottiero 335 Oziosi, Accademia degli 141

P Pagano, Francesco Mario 163 Pagliarani, Elio 349 Palazzeschi, Aldo 268 Pallavicino, Pietro Sforza 146 Panormita 83 Panzini, Alfredo 266 Paolazzi, Leo v. Porta, Antonio Paolo Diacono 11 Papini, Giovanni 278 Pariati, Pietro 157 Parini, Giuseppe 150, 167, 169, 170, 171-173, 175, 188, 201, 203 Parise, Goffredo 334 Paruta, Paolo 104 Pascarella, Cesare 248 Pascoli, Giovanni 182, 237, 251, 254, 255-259, 262, 263, 265, 293, 314 Pasolini, Pier Paolo 262, 328, 337-338, 348

382

Passavanti, Iacopo 59 Pavese, Cesare 322 Pea, Enrico 298 Pellico, Silvio 197 Penna, Sandro 343 Percoto, Caterina 227 Pers, Ciro di 135 Perticari, Giulio 186 Petrarca, Francesco 29, 31, 34, 41, 44-48, 51,52, 61, 67, 69, 76, 84, 89, 90, 116, 117, 137, 229, 237, 279 petrarchismo 117 Piccolomini, Enea Silvio 72 Pico, Giovan Francesco 90 Pico della Mirandola, Giovanni 73 Pier della Vigna 14 Pierro, Albino 341 Pilato, Leonzio 45 Pindemonte, Ippolito 185 Piovene, Guido 331 Piperno, Alessandro 368 Pirandello, Luigi 243, 262, 280, 281, 283-286, 305 Pisacane, Carlo 222 Pizzuto, Antonio 350 Platina 82 Poli, Umberto v. Saba, Umberto “Politecnico, II“ 321 Poliziano, Agnolo 66, 75, 76 78, 83 Polo, Marco 57 Pomilio, Mario 336 pomponiana, Accademia 82 pontaniana, Accademia 83 Pontano, Giovanni 83 Pontiggia, Giuseppe 363 Porta, Antonio 351 Porta, Carlo 194, 198-199 postmoderno 362 Praga, Emilio 234

Pratesi, Mario 244 Prati, Giovanni 226 Pratolini, Vasco 324 preromanticismo 175-176, 195 Preti, Girolamo 134 preziosismo 131 Prezzolini, Giuseppe 279 “Primo tempo“ 314 Prisco, Michele 336 Proust, Marcel 281 Pucci, Antonio 61 Pugni, Accademia dei 169 Pulci, Luigi 66, 75, 76, 78-80

Puoti, Basilio 184 purismo 170, 184, 186

Q Quarantotti Gambini, Pier Antonio 303 Quasimodo, Salvatore 311 Quevedo, Francisco de 131 Quirini, Accademia dei 152 Quirini, Giovanni 61

R Raboni, Giovanni 361 Ranieri, Antonio 216 Rea, Domenico 325 realismo 268, 305, 306, 307-309, 340, 343, 344, 354, 356, 362, 364 realismo critico 328-338 Rebora, Clemente 295 Redi, Francesco 145 Ridolfi, Cosimo 197 “Riforma letteraria, La“ 341 Righetti, Carlo

Indice analitico

v. Arrighi, Cletto Rilke, Rainer Maria 252 Rimbaud, Arthur 252 Rinaldi, Cesare 130 Rinaldo d’Aquino 14 Rinuccini, Ottavio 141 Risi, Nelo 345 “Rivista europea, La“ 221 rococò 152 Rolli, Paolo 152 Romano, Lalla 355 romanticismo 150, 182, 184, 186, 194-199, 201, 211, 219, 222, 226, 232, 234, 246 “Ronda, La“ 298 Rosmini, Antonio 223 Rosselli, Amelia 361 Rossetti, Dante Gabriel 252 Rossi, Tiziano 361 Rousseau, Jean-Jacques 176 Rovani, Giuseppe 227 Roversi, Roberto 348 Rucellai, Giovanni 110 Ruffini, Giovanni 219 Ruggieri Apugliese 20 Ruskin, John 252 Rustico di Filippo 18 Ruzante 88, 106, 108-110

S Saba, Umberto 259, 281, 291-292, 303, 343, 346, 346 Sacchetti, Franco 62 Sacchi, Bartolomeo v. Platina Sade, Donatien-AlphonseFrançois de 170

Salernitano, Masuccio 83 Salimbene da Parma 25 Salustri, Carlo Alberto v. Trilussa Salutati, Coluccio 67 San Francesco d’Assisi 21 Sanguineti, Edoardo 350 Sannazaro, Iacopo 66, 82, 83, 85-86, 92, 117 Santa Caterina da Siena 59 Sapegno, Natalino 279 Sarpi, Paolo 146 Saviano, Roberto 368 Savinio, Alberto 305 Savioli Fontana, Ludovico 152 Savonarola, Gerolamo 80 Sbarbaro, Camillo 295 Scalvini, Giovita 197 scapigliatura 182, 232-234 Schiller, Friedrich 175 Schlegel, August von 195 Schlegel, Friedrich von 195 Schmitz, Aron Ettore v. Svevo, Italo Schopenhauer, Arthur 217, 271 Sciascia, Leonardo 329 Scott, Walter 195 scuola siciliana 10, 12-14, 16, 17, 28, 35 scuola siculo-toscana 16 Segneri, Paolo 146 Sempronio, Giovanni 135 Sennuccio del Bene 61 Serao, Matilde 246 Sercambi, Giovanni 62 Sereni, Vittorio 345 Serra, Renato 279 Settembrini, Luigi 219 Shakespeare, William 125 Shelley, Percy Bysshe 175 Silone, Ignazio 308 simbolismo 292, 293, 311

Sinisgalli, Leonardo 312 Slataper, Scipio 270 Soffici, Ardengo 268 “Solaria“ 302 Soldati, Mario 331 Sordello da Goito 12 Speroni, Sperone 110 Stabili, Francesco v. Cecco d’Ascoli Stampa, Gaspara 117 Stefano Protonotaro 14 Stigliani, Tommaso 134 stilnovo 10, 17, 28-31, 35, 37, 47, 61 Straparola, Giovan Francesco 106 Stravaganti, Accademia degli 141 Striggio, Alessandro 141 Strindberg, August 252 Strozzi, Tito Vespasiano 82 Sturm und Drang 176 surrealismo 305-307, 312 Svevo, Italo 262, 281, 288-290, 302 Swinburne, Algernon Charles 252

T Tabucchi, Antonio 365 Tamaro, Susanna 366 Tarchetti, Ugo Iginio 232 Tasca, Angelo 277 Tasso, Torquato 88, 116, 117, 122-126, 137, 138, 214, 230, 294 Tassoni, Alessandro 128, 130, 137-138 Tenca, Carlo 222 Terracini, Benvenuto 277 Terzani, Tiziano 366

383

Indice analitico

Tesauro, Emanuele 132 Tessa, Delio 340 Testi, Fulvio 139 Testori, Giovanni 349 Thomas 12 Tieck, Ludwig 195 Tiraboschi, Girolamo 161 Tobino, Mario 325 Togliatti, Palmiro 277 Tomasi di Lampedusa, Giuseppe 334 Tommaseo, Niccolò 224-225

Tondelli, Pier Vittorio 365 “Torre, La“ 272 Torricelli, Evangelista 145 Tozzi, Federigo 271-272, 280, 281, 302, 320 Tranquilli, Secondo v. Silone, lgnazio Trapassi, Pietro v. Metastasio, Pietro Trasformati, Accademia dei 171 Trebisonda, Giorgio di 68 Trilussa 341 Trissino, Gian Giorgio 110 Turoldo, David Maria 344

U Uguccione da Lodi 19 umanesimo 34, 41, 44, 66, 67-73, 75, 82, 83, 85, 92, 229

384

Umidi, Accademia degli 119 Umoristi, Accademia degli 137 Ungaretti, Giuseppe 217, 262, 291, 292-294, 298, 302, 311, 312

V Valduga, Patrizia 362 Valera, Paolo 244 Valla, Lorenzo 71 Vallisnieri, Antonio 154 Varano, Alfonso 176 Varchi, Benedetto 117 Vasari, Giorgio 120 Vassalli, Sebastiano 364 Vega, Lope de 131 “Velocipede, II“ 235 Verga, Giovanni 182, 227, 239, 240-243, 244, 245, 252, 320 verismo 182, 239-249, 279, 286, 301 Verlaine, Paul 252 Veronesi, Sandro 368 Verri, Alessandro 170, 176 Verri, Pietro 169 “Verri, II“ 348 Vico, Giambattista 41, 150, 155-156, 162, 230 Vigny, Alfred de 195 Villani, Giovanni 57 Villani, Matteo 57

Visconti, Ermes 198 Vitali, Andrea 368 Vittorini, Elio 320 Vittorino da Feltre 69 “Voce, La“ 269-271 Volponi, Paolo 362 Voltaire 160

W Walpole, Horace 175 Wilde, Oscar 252 Wordsworth, William 195

Y Young, Edward 175

Z Zanella, Giacomo 237 Zanobi da Strada 56 Zanzotto, Andrea 360 Zappi, Giambattista Felice 152 Zavattini, Cesare 308 Zena, Remigio 244 Zeno, Apostolo 157 Zola, Emile 240

L E T T E R AT U R A

I TA L I A N A SCHEMI RIASSUNTIVI, QUADRI D’APPROFONDIMENTO

TUTTO

Studio

s

Riepilogo

s

Sintesi

TITOLI DELLA COLLANA ARCHITETTURA - BIOLOGIA - CHIMICA - CINEMA - DIRITTO ECONOMIA AZIENDALE - ECONOMIA POLITICA E SCIENZA DELLE FINANZE - FILOSOFIA - FISICA - FRANCESE GEOGRAFIA ECONOMICA - INGLESE - LATINO - LETTERATURA FRANCESE - LETTERATURA GRECA - LETTERATURA INGLESE LETTERATURA ITALIANA - LETTERATURA LATINA LETTERATURA SPAGNOLA - LETTERATURA TEDESCA MUSICA - NOVECENTO - PSICOLOGIA - PEDAGOGIA - SCIENZE DELLA TERRA - SOCIOLOGIA - SPAGNOLO - STORIA - STORIA DELL’ARTE - TEDESCO