La letteratura italiana. Storia e testi. Folengo, Aretino, Doni. Opere di Pietro Aretino e Anton Francesco Doni [Vol. 26.2]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI VOLUME 26 • TOMO

II

FOLENGO · ARETINO . DONI TOMO 11

OPERE DI PIETRO ARETINO E DI ANTON FRANCESCO DONI

FOLENGO ·ARETINO· DONI TOMO II

OPERE DI

PIETRO ARETINO E DI

ANTON FRANCESCO DONI A CURA DI I

CARLO CORDIE

RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO · NAPOLI

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FOLENGO · ARETINO · DONI TOMO Il

PIETRO ARETINO NOTA INTRODUTTIVA

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IJ

NOTA DIO-BIBLIOGRAFICA RAGIONAMENTO DELLA NANNA E DELLA ANTONIA FATTO IN ROMA SOTTO UNA FICAIA COMPOSTO DAL DIVINO ARETINO PER SUO CAPRICCIO A CORREZIONE DEI TRE STATI DELLE DONNE

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DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO NEL QUALE LA NANNA IL PRIMO GIORNO INSEGNA A LA PIPPA SUA FIGLIUOLA A ESSER PUTTANA, NEL SECONDO GLI CONTA I TRADIMENTI CHE FANNO GLI UOMINI A LE MESCHINE CHE GLI CREDANO, NEL TERZO E ULTIMO LA NANNA E LA PIPPA SEDENDO NE L'ORTO ASCOLTANO LA COMARE E LA BALIA CHE RAGIONANO DE LA RUFFIANIA

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DAL « RAGIONAMENTO DE LE CORTI» DA « LE CARTE PARLANTI».

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DIALOGO NEL QUALE SI

PARLA DEL GIOCO CON MORALITÀ PIACEVOLE LETTERE

4S8 481

ANTON FRANCESCO DONI NOTA INTRODUTTIVA

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NOTA DIO-BIBLIOGRAFICA

582

DA « LA ZUCCA»

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DA « LA MORAL FILOSOFIA»

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VIII

ARETINO • DONI

DA « I MARMI» DA

e
arte dell'Aietino, si considerano la particolare natura dello scrittore, il suo gusto per le arti figurative, la sua lotta contro il pedantismo, e nei fami-gerati Ragionamenti, pur fra le esagerazioni verbali dell'opera, dai più definita oscena, si mostrano umanità e delicatezza e, comunque, vivacità di rappresentazione; e anche del teatro e delle lettere è fatto il debito conto. Dei libri di argomento religioso si mostra la sostanziale falsità e si ricorda che, in questa parte, tali scritti anticiparono l'avvento del gusto barocco. Un lavoro d'insieme su Pietro Aretino tra Rinascimento e Contron]orma ha scritto Giorgio Petrocchi, nel 1948: è considerata la sostanziale tristezza della carne del gaudente e ricattatore, ma in-

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PIETRO ARETINO

sieme è valutata la eccezionale vitalità dell'uomo e dello scrittore. Anche le opere religiose, di solito trascurate dalla critica, sono esaminate analiticamente allo scopo di notare nello stile dell' Aretino una costante di natura popolaresca e istintiva nella deformazione quotidiana della realtà. L'intera attività dell'autore, dalla narrativa al teatro, è considerata nell'arco della sua vita con larghezza d'informazione, documentata del resto da un'ampia bibliografia. Anche le rime, le pasquinate e i poemi cavallereschi sono presi in esame adeguatamente, e cosi la poetica, l'arte e il linguaggio. Lo studioso, come dice nella premessa del suo lavoro, era partito dall'esigenza di un nuovo esame delle opere ascetiche, ma aveva poi allargato il suo lavoro a un'indagine d'insieme, soprattutto per lo studio delle ragioni della sua adesione alla Controriforma, e, quindi, «sui motivi preponderanti della sua poetica e del suo linguaggio, sull'integrale lettura della sua opera, sulle sue relazioni con la cultura e con la sensibilità del tempo». Il Petrocchi viene in tal modo confermando una necessità e una conclusione: «In una parola riimmettere l'Aretino nel Rinascimento, donde i numerosi ritratti cli cui è ricca la bibliografia aretinesca parevano averlo estraniato, anche se coloristicamente insistevano sullo sfondo pittoresco in cui visse e oprò ». Lo studioso (a cui si deve anche una pregevole edizione del Teatro, più avanti ricordata) è tornato sul suo autore con una comunicazione, Le pasquinate, l'Aretino e i li"bellisti del Cinquecento raccolta nel volume I fantasmi di Tancredi: saggi sul Tasso e sul Rinascimento, del 1972. Una silloge di studi, tutti ragguardevoli per ricerche erudite e indagini critiche, ha dato nel 1957 Giuliano Innamorati col titolo Pietro Aretino: studi e note critiche (e, in copertina, Tradizione e invenzione in Pietro Aretino), che è appunto quello della seconda parte del libro; la prima riguarda con vari contributi il settore Per la storia della crz"tica. La parte più originale della silloge è data dalle pagine su l'Opera Nova, dove si mette in evidenza la formazione culturale e artistica dell'Aretino a cominciare dal petrarchismo, senza tener conto delle vanterie dello scrittore come figlio della natura e nemico delle lettere. Notevoli sono anche le pagine sulle pasquinate, sui sonetti lussuriosi, sulla prima Cortigiana (di cui lo studioso darà un'edizione). Una terza parte è costituita da La nascita delle «Lettere», considerate come il capolavoro dello scrittore, opera in cui meglio si rivela l'umanità dell'Aretino e, nella

NOTA INTRODUTTIVA

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loro immediatezza, si svolgono le sue intuizioni e i suoi giudizi in merito alle arti figurative. Nuovi contributi dell'Innamorati (tra i più meritevoli nel campo degli studi contemporanei) sono il profilo dell'Aretino compreso nei Minori della serie letteraria del Marzorati, nel volume II del 1961; il profilo del Dizionario biografico degli Italiani, volume IV del 1962 (e, in opuscolo, 1966) e, infine, Lo stil comico di Pietro Aretino (su , come fece il Graf, da cui in alto si son prese le mosse per la presente nota introduttiva. È vero che il Croce, nelle suddette Considerazioni, diceva inconcludente un processo del genere: per cui è > di Cosi.mo I e due lettere inedite di Pietro Aretino (estratto dall'«Annuario dell'Istituto tecnico statale "G. Galilei,,», 1966). Le due lettere (che si trovano all'Archivio di Stato di Firenze: Mediceo del Principato, f. 372, cc. 253, 254,, 255r, 256r), datate da Venezia, 19 e 27 giugno 1545, sono dirette al duca Cosimo I: sono pubblicate alle pp. 7-n. Si ricorda a p. 6 come nel Ruolo degli Stipe11-

NOTA B10-BIBLIOGRAFICA

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diati della Corte medicea nell'anno I553 (Archivio di Stato suddetto, Depositeria, Salariati, reg. 399, alla c. 134) si legge: «Pietro Aretino, habita in Venezia, poeta, con provv.ne di scudi 64». Utili notizie sono date sui rapporti fra l'Aretino e il duca, e sulla sorveglianza che, a Venezia, costui faceva fare del personaggio, alla fin fine da considerare un dente cariato, non da estirpare, ma da coprire d'oro, come facevano altri potenti dell'epoca e ben maggiori d'importanza, come Carlo V e Francesco I. Sempre utile è BENEDETTO SOLDATI, Pietro Aretino a Carlo V (Lettere inedite), in St11di dedicati a Francesco To"aca nel XXXV anniversario della sua laurea (Napoli, Perrella, 1912.), pp. 29-37, con quattro lettere dalJJarchivio di Simancas. Nella produzione giovanile sono da notare i componimenti satirici attribuiti ali' Aretino da una concorde tradizione. Sono da indicare sempre, per l'esattezza dell'edizione e l'accuratezza del commento, le Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave e l'elezione di Adriano VI, pubblicate ed illustrate da Vittorio Rossi (Palermo, Clausen, 1891). Esse sono state ristampate, prive però del completo commento storico, nelle Poesie, raccolte a cura di Gaetano Sborselli, del quale sarà detto fra poco. Per la sua grande divulgazione e anche per l'intreccio romanzesco (più romantico che documentario ed erudito, come volevano i due autori) si consulti un,opera che va sotto il nome di Pasquino. Cinquecento pasquinate scelte comentate e annotate da Renato e Fernando Silenzi con una Ricostruzione storica dei fatti delle figure e degli ambienti (Milano, Bompiani, 1932,). In molti casi, come la critica ha seguito quasi in modo paradigmatico, Pasquino vuol dire Aretino dall'età di Leone X a quella di Adriano VI e a quella di Clemente VII. La vita dell'Aretino, nel soggiorno romano, è sottilmente legata alla Corte papale e alle pasquinate fino alle pugnalate di Achille della Volta. (Una più ampia edizione, a cura degli stessi Silenzi, è la seguente: Pasquino. Quattro secoli di satira romana, Firenze, Vallecchi, 1968, collana « I volti di Roma•). • Di autenticità molto dubbia è il testamento (una diceria in prosa) dell'elefante Ammone, testamento burlesco che potrebbe essere stato scritto dal giovane Aretino in Roma, come, nel pubblicarlo da un codice Cicogna, VITTORIO Rossi opinò nella rivista «Intermezzo», I (1890), pp. 625-44 e, quindi, negli Scritti di critica letteraria, voi. II, Dal Rinascimento al Risorgimento (Firenze, Sansoni, 1930, pp. 223-42). Tale saggio va menzionato per le osservazioni fatte sull'Aretino e la sua produzione satirica e letteraria: per la patina dialettale veneta si dice che può essere attribuito «senza scrupoli» al copista del codice Cicogna, che «ne spalmò tutte le scritture da lui esemplate, alcune certo in origine toscane». (Dice il Rossi: « Se colla mia ipotesi la indovinassi, il componimento che ho pubblicato acquisterebbe importanza anche come uno dei primi frutti di quell'ingegno sbrigliato, ma forte e vivo; anzi come la prima manifestazione di quel suo spirito audacemente maledico, che doveva essere la sua forza e la sua fortuna»). La morte dell'elefante, che Leone X volle effigiato da Raffaello sulla torre presso alla porta del palazzo Vaticano, è del principio del giugno 1516. Il testamento cominciò a correre per E.orna poco dopo. E fu uno dei tan-

PIETRO ARETINO

ti testamenti burleschi dell'epoca: è ricordato dall'Aretino nella Cortigiana. Dei «pronostici» dell I Aretino - cosi uniti a molte vicende della vita dello scrittore, specialmente nell'atmosfera della politica e della pubblicistica del Cinquecento - alcuni sono stati conservati. Si veda in modo particolare l'importante pubblicazione di uno dei maggiori studiosi dell' Aretino, lo storico e archivista Luzio: Un pronostico satirico di Pietro Aretino (MDXXXIII/) edito e illustrato da ALESSANDRO Luz10 (Bergamo, Istituto Italiano d 1 Arti Grafiche, 1900, « Biblioteca storica della letteratura italiana», v1). Esso si trovava - schedato per errore come di Pietro Bruni Aretino nella Hofbibliothek di Vienna. Il testo presentato e commentato in modo esemplare è uno dei documenti più interessanti dell'attività pubblicistica dell'Aretino: esso concerne il 1534. Invece frammenti di un pronostico redatto per il 1527 si trovano in un'altra pregevolissima pubblicazione del Luzio: Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Go1zzaga (Torino, Loescher, 1888); nel volume - alle pp. 69-70 - si veda fra i documenti anche la famosa pasquinata, o frottola, Pax vobis brigata. Si menzioni - in merito a fra Mariano Fetti, buffone e piombatore papale- Una satira inedita di Pietro Aretino pubblicata, con sua attribuzione, da GIOVANNI ALFREDO CESAREO, in Raccolta di studii critici dedicati ad Alessandro D' A1icona festeggiandosi i'l XL anniversario del suo insegnamento (Firenze, Tip. Barbèra, 1901, pp. 175-91: Confessione di mastro Pasquino a fra 111ariano martire et confessore) e, quindi, in Studii e ricerche su la letteratura italiana (Palermo, Sandron, 1900), pp. 323-47. Da menzionare una comunicazione di FRANCA AGENO, Un pronostico dell'Aretino in un manoscritto Hoepli («Lettere italiane», XIII, 1961, pp. 449-51: il pronostico riguarda il 152.9). Diremo con l'Innamorati (nel suddetto profilo, p. 1045) che i «cosiddetti Sonetti lussuriosi non fruiscono a tutt'oggi di decenti cure editoriali. Il settecentesco Libro del Perché li conserva contaminati e confusi insieme ad una varia produzione pornografica che alPAretino è attribuita per comodità di fama, ma che non gli compete affatto ». Un'impresa, che non è stata esente da critica per la sua provvisorietà nel campo della filologia, eppure ha recato vantaggi nella divulgazione delle opere dell'Aretino, è stata quella dell'editore Gino Carabba di Lanciano con la collezione «Scrittori italiani e stranieri n. Si tratta di una specie di corpus aretinesco, di cui diamo i titoli dei singoli libri, i nomi dei curatori e l'anno di pubblicazione: Ragionamenti (a cura di Dario Carraroli, s. a., ma 1914, in due volumi: coi cosiddetti Capricciosi epiacevoli ragionamenti); Ragionamento de le Corti (Guido Battelli, 1923); Le carte parlanti (F. Campi, 1926); Prose sacre (Ettore Allodoli, 1926; scelta antologica da Il Genesi, L'Umanità del figliuol di Dio, Vita di Maria V ergine, Vita di Sa1ita Caterina, Vita di S. Tommaso d'Aquino, Sette salmi); Poesie (Gaetano Sborselli, 1930 e 1934, vol. I, Poesie burlesche: Astolfeida, Or/andino, I capitoli ai Signori, Pasquinate. Mastro Pasquino [Pax vobis brigata]. Sonetti spicciolati; voi. II, Poesie serie: Poemi, con La Marfisa e Angelica; Stanze, con Stanze in lode della Sirena e Stanze libere; Ternari, con In morte del duca d'Urbino, In laude dell'Imperatore, In gloria di Giulio III, In gloria della regina di Francia e In

NOTA BIO--BIBLIOGRAFICA

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laude del duca d'Urbino; Sonetti, e Canzoni e madrigali con Canzone a Fran-cesco I, Canzone alla V ergine, Madrigali e Dialogo tra Amante e Amore); Lettere scelte (Guido Battelli, s. a., ma 1913); Teatro (Nunzio Maccarronc, 1914, in due volumi). Del teatro dell'Aretino sarà fatto ricordo in altro volume della presente collezione ricciardiana; ma qui non si trascuri, per la sua diffusione, il volume de Le Commedie di Pietro Aretino, nuovamente rivedute e co"ette. Aggiuntavi l'« Orazia» tragedia del medesimo, Edizione stereotipa (Milano, Sonzogno, 187 5, u Biblioteca classica economica", 25: la Prefazione era a firma di Eugenio Camerini: ristampa 1930). Non si dimentichi l'edizione de L'Orlandino. Canti due di messer Pietro Aretino (Bologna, Presso Gaetano Romagnoli, 1868 (« Scelta di curiosità inedite o rare dal secolo XIII al XVII D, dispensa xcv, ristampa fotomeccanica, Bologna, Forni, 1968). E va anche fatto cenno di una ristampa de L'Umanità di Cristo (Roma, Colombo, 1945). Per le opere di argomento religioso è opportuno ricorrere alle stampe antiche, fra le quali è da preferire con l'Innamorati l'edizione aldina, evidentemente curata dall'autore, con sei opere in due tomi (In Vinegia, nel MDLI [e nel MDLII], in casa de' figliuoli d'Aldo). Delle Lettere e del problema che le concerne per il testo e, in molti punti, per la datazione (per quanto debbano essere considerate un'opera artistica, non un documento storico) sarà detto in modo particolare nella Nota critica ai testi. Si citino, senz'altro, coi loro differenti criteri, le due edizioni rimaste interrotte dalla morte dei curatori: la prima in ordine di tempo, a cura di Fausto Nicolini (Il primo libro delle lettere, Bari, Laterza, 1913, e Il secondo libro delle lettere, ivi, stesso editore, 1916, in due tomi: l'uno e l'altro libro nella collana « Scrittori d'Italia», 53 e 76-77), e la seconda, a cura di Francesco Flora con note storiche di Alessandro Del Vita (Lettere. Il primo e il secondo libro, Milano, Mondadori, 1960, « I classici Mondadori », sezione Tutte le opere di Pietro Aretitro). Della scelta del Battelli si è già detto per il cosiddetto corpus dell'editore Carabba che sulla sovracoperta dei suoi volumi mise senz'altro: cr Opere di Pietro Aretino•· Inizialmente l'impresa mondadoriana per Tutte le opere dell'Aretino era stata affidata a un cultore dell'arte e della letteratura del Cinquecento, appunto il Del Vita: e se ne veda l'annuncio anonimo su «L'Italia letteraria n, a. xu, N. S., n. 19, del 31 maggio XIV [ = 1936], p. 5, L'opera omnia dell'Aretino. Il Del Vita - con un articolo dall'identico titolo dell'annuncio precedente-, nel n. 0 391 del 18 ottobre, p. 51 fece presente la necessità di un'edizione completa dello scrittore mostrando l'indispensabile urgenza di un commento storico e letterario ai vari scritti da curare nel testo. Al vedere dimenticate dal Del Vita le edizioni Carabba, fra cui alcune curate da lui stesso, Gaetano Sborselli - ancora col titolo L'opera omnia dell'Aretino nelle Lettere (al direttore del periodico), al n. 40, 25 ottobre, p. 2, rivendicò l'opera propria e di altri studiosi per ristampe che avevano non poco contribuito alla fortuna dell'Aretino nel settore degli studi e della scuola, a cominciare da quella universitaria. Per quanto riguarda l'arte figurativa si vedano le già citate Lettere mli'arte di Pietro Aretino, commentate da Fidenzio Fertile e rivedute da Carlo Cordié, a cura di Ettore Camesasca (Milano, Edizioni del Milione, 19570

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PIBTRO ARBTINO

1960, «Vite lettere testimonianze di artisti italiani», 3, in tre volumi, di cui il 1u è in due tomi). Con un testo dichioratamente provvisorio è data l'ultima lezione delle lettere nretiniane, secondo un criterio che si è poi visto seguito dall'edizione Flora; è stata tenuta per base l'edizione parigina del 1609 con integrazioni delle intestazioni di varie lettere e note a piè di pagina. Ragguardevole è, nel settore dell'arte figurativa, l'opera critica del compianto Pcrtile, pubblicata con diligenza dal Camesascn. Si veda quindi nel volume terzo, tomo I, dopo una necessaria Premessa del Camcsasca, la ristampa con note e chiarimenti della Vita di Pietro Aretino di Gian Maria Mazzuchelli, nella II edizione del 1763, con postille supplementari del Cnmcsasca e rinvii ai saggi sugli artisti menzionati nelle lettere. Tali saggi o Biografie degli artisti sono nel tomo II, insieme col citato Repertorio bibliografico. L'opera, curata con larga conoscenza dell'arte cinquecentesca dal Camesasca, come si nota anche dal materiale illustrativo ricco e vario (pregevolissimo per l'iconografia dell'Aretino), si chiude con un Indice dei nomi per le lettere, la Vita del Mazzuchelli e i commenti, di per sé fondamentali per l'ambiente dello scrittore e le sue relazioni artistiche e letterarie. Va fatta menzione di una scelta delle Lettere, a cura di Sergio Ortolani (Torino, Einaudi, 1945, «Universale Einaudi», 48): presentata in una vivace prefazione, essa mostra un gusto prevalente per il lato descrittivo e pittoresco; e forse dell'Aretino induce a considerare la figura dell'amatore della bellezza e della natura più che il polemista sensuale, non poche volte ricattatore e falso. Da citare sono anche le Lettere su Tiziano, a cura di Liana Bortolon (Milano, Mondadori, 1967, collana a I grandi artisti di tutti i tempi. Serie d'oro»). Per entrare nel campo delle antologie (evidentemente scarse per il fatto che non sono richieste dai programmi scolastici, come per altri classici) si citi, senz'altro, quella che ha indotto in non pochi errori di testo il grande Francesco De Sanctis, come il Croce ha messo in evidenza per alcune citazioni dall'autore: Opere di Pietro Aretino ordinate ed annotate per Mas-

simo Fabi precedute da un discorso intorno alla vita dell'autore ed al suo secolo (Milano, Francesco Sanvito, 1863): con la Orazia, la Cortigiana, il Capitolo a Francesco I re di Francia, le Stanze in lode della Sire11a e alcune Lettere. Il discorso su citato è di Philarète Chasles: tradotto e inserito nell'edizione (e il Fabi si dichiara estraneo a tale inserimento), riporta lettere dell'Aretino tradotte dal francese. Per tali testi creduti originari del1'Aretino e come tali usati, al De Sanctis fu rivolta l'accusa di aver manipolato i brani, mentre semmai gli si poteva muovere rimprovero di essersi troppo ciecamente fidato dell'edizione italiana che aveva in lettura. L'edizione di tali Opere venne ristampata a Milano, Brigola, nel 1881. Sulle presunte colpe del Fabi sono intervenuti, in passato, il Croce in difesa del De Sanctis (in F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, nuova edizione a cura di B. Croce, voi. n - Bari, Latcrza, 1912, « Scrittori d'Italia», 32 -, nella Nota finale, pp. 436-7) e, in recriminazioni contro il Fabi, L. Russo in alcune lezioni postume (Pietro Aretino, in «Belfagor », xvn, 1962, p. 1). Illustra tutta la questione, sgravando il Fabi dell'accusa di

NOTA BIO-BIBLIOGRAPICA

falso, C. Conm:é nel suo saggio, Il «caso Fabi,, e la critica italiana su Pietro Aretino (in Critica e storia letteraria, Studi offerti a Mario Fubini), voi. 1, Padova, Liviana, 1970, pp. 406-26: le citazioni dai vari critici dalla fine dell'Otto a tutto il corrente Novecento, documentano la fama e la leggenda dell 1Aretino. Antologie moderne sono le seguenti: Le più belle pagine di Pietro Aretino, scelte da Massimo Bontempelli (Milano, Treves, 1923, u Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi», I s : con ristampa nel 1936) e Piacevoli e capricciosi ragionamenti, a cura di Antonio Piccone Stella (Milano, Bompiani, 1945, « Il centonovelle: novelliere antico e moderno», 4) con una vivace presentazione di cui va sempre tenuto conto dal titolo L'arte dell'Aretino -, ma con un testo esemplato su testi infidi, come quello del Carraroli per i cosiddetti Capricciosi e piacevoli ragionamenti. Si noti intanto nel titolo una specie di inversione di termini per cui pochi si sono avveduti che questa è una antologia con un titolo diverso dai soliti. La scelta, con brani ben «tagliati» e muniti cli titoli, è stata fatta per le opere: Capricciosi e piace'Doli ragionamenti, con quarantatré brani: Ragionamento de le Corti, con tre brani; Le carte parlanti, con diciotto brani. Seguono cinque brani dagli scritti religiosi e nove brani dalle lettere. Note e No tizie bibliografiche sono pregevoli pur fra varie altre indicazioni malsicure dal punto di vista linguistico e filologico. Interessanti i dati che si riferiscono a Roma e alla vita del Cinquecento. Un posto a sé per la cura filologica e la ricchezza dell'informazione erudita ha la seguente antologia, a cui faremo ricorso più avanti per il Doni: Scritti scelti di Pietro Aretino e di Anton Francesco Doni, a cura di Giuseppe Guido Ferrero (Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1951, « Classici italiani » n. 37 ; ristampa 1966, con aggiunte nel solo settore bibliografico a p. 46 per ragioni editoriali). Il medesimo Ferrero ha rifatto quasi integralmente il suo lavoro nel volume (nella stessa collana, apparso alla data del 1970): Scritti scelti di PIBTR0 ARETINO. La bibliografia è aggiornata e la silloge è molto ricca perché ora contiene tre pasquinate, la Cortigiana, il Marescalco, un'ampia scelta dai Ragionamenti (chiamati dietro l'edizione laterziana dell' Aquilecchia - Sei giornate), e, quindi, pagine dalle Carte parlanti, da L'Ipocrita, da La Talanta, da Il Filosofo, l'Orazia, e una larghissima raccolta di Lettere in numero di centoventisei. Chiude la serie un mannello di pagine dalle opere religiose (da Il Genesi e da I qllattro libri de la humanità di Cristo). Un indice dei nomi facilita la consultazione del volume. La medesima collezione dei« Classici Italiani• ha pubblicato l'Orazia nel volume La tragedia classica dalle Origini al Maffei, a cura di Giammaria Gasparini (Torino, U.T.E.T., 1963, e, in ristampa, nel 1968, alle pp. 217-300, con note biografiche, bibliografiche e al testo della tragedia dell'Aretino, considerata nell'arco della tragedia cinquecentesca e valutata nella sua importanza storica e artistica). Una vivace scelta, munita di notizie critiche e bibliografiche e di un commento illustrativo, è contenuta nel già citato volume Cinquecento 111i11ore, a cura di Riccardo Scrivano (Bologna, Zanichelli, 1966, « Classici italiani», 10), alle pp. 638715; si è tenuto conto anche delle opere sacre per elementi descrittivi tipici nello stile dell'autore. 0

PIETRO ARETINO

Per valutare opportunamente la fortuna di un autore famigerato come l'Aretino, più che alle monografie e agli studi organici è doveroso ricorrere ai manuali e alle enciclopedie che si rivolgono a un vasto pubblico. Equanime nei giudizi e ben informata, anche se in modo succinto, è la voce Aretino, Pietro dell'Enciclopedia italia,ra di lettere, scienze ed arti, dovuta a G[IUSEPPE] FAT[INI], vol. IV, 1929 [e, in riproduzione fotolitica, edizione 1949], pp. 166-8 con tre illustrazioni. Informative sono le numerose voci del Dizio1zario letterario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature (1947-1949, e ristampe), dovute a E[TTORE] A[LLODOLI], voci delle quali è fatta registrazione negli l11dici del voi. 1x; a M[ASSIMO] B[oN]T[EMPELLI] è dovuta la voce Lettere, voi. IV, p. 307. Nel Dizionario letterario Bompiani degli Autori (voi. 1, 1956) la voce dell'Aretino è stata stesa con molti particolari biografici e varie illustrazioni da A[LF.SSANDRO] D[EL] V[ITA], alle pp. 99-103: sono messi in evidenza l'importanza pubblicistica e politica del personaggio e l'interesse storico della sua figura, a: senza riscontri, degna di brillare di viva, se non pura luce nel firmamento degli uomini illustri del "gran secolo"». Un documento del modo con cui l'Aretino uomo e scrittore è stato valutato nel mondo universitario italiano - con cautela, con curiosità, qualche volta con sospetto, anche dopo il saggio del De Sanctis - è dato dalla Storia letteraria d'Italia scritta da una Società di Professori: si veda difatti nell'ottimo manuale Il Cinquecento di FRANCESCO FLAMINI (Milano, F. Vallardi, s. a., ma 1902) quanto si dice con buona informazione, ma senza eccessiva adesione al mondo del letterato e dell'artista, anzi con molte limitazioni per una fama rapidamente innalzatasi in favore del libellista e non meno rapidamente rovinata (pp. 404-10). Così nella terza edizione dell'impresa (ormai denominata solo Storia letteraria d'Italia) ne Il Cinquecento di GIUSEPPE ToFFANIN (1929 e successive edizioni a cominciare dalla II, del I 941) non è celata una certa ammirazione per lo scrittore e anche per il politico, ma non è meno negata la fiducia all'uomo. (Si veda nel libro v, Incolti, inquieti e poeti, il capitolo 1, Pietro Aretino, alle pp. 284310: il personaggio minutamente studiato nelle sue varie manifestazioni letterarie e pubbliche, è comunque valutato come un essere d'eccezione nel tempo turbinoso che fu suo, quello del Rinascimento fra Umanesimo e Riforma). Come indice scolastico di una valutazione (che, non toccando i cosiddetti Ragionamenti, non eludeva un giudizio sull'Aretino più controverso) si possono menzionare altri manuali della Casa Francesco Vallardi, intesi dai più come paradigmatici nel campo della scuola superiore e, in particolare, universitaria. Anzitutto - nella collezione della a: Storia dei Generi Letterari Italiani» - si veda La tragedia di EMILIO BERTANA (s. a., ma dei primi del secolo XX): alle pp. 72-5, tra le tragedie storiche, viene esaminata l'Orazia del malfamato Aretino e si deve pur conchiudere, no• nostante irregolarità di concezione e di forma (e non poteva essere in modo diverso con un temperamento di quella fatta e con la stessa disciplina del verso eroico): e Con tutto ciò l'Orazia è di gran lunga la più notevole e pregevole fra tutte le storiche (e forse anche non storiche) tragedie del secolo XVI». Nella stessa collezione si veda quanto riguarda l'Aretino nel volume primo de La commedia di IRENEO SANESI (s. a., ma 1912; e in 11

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edizione riveduta e accresciuta nel 1954, alle pp. 285-302): non si può fare a meno di riconoscere l'importanza della commedia dell'Aretino per la sua vivacità e lo stesso suo carattere rappresentativo, ma non si vede bene in che rapporto la manifestazione scenica sia con quelli che sono i capolavori dello scrittore, i Ragionamenti e le Lettere. La divisione per generi ha obbligato il critico a vedere separatamente la produzione dell'autore, per giunta inquadrato nel capitolo IV, La commedia erudita del Cinquecento. Una maggiore libertà di trattazione avrebbe permesso di notare agevolmente qualità teatrali nelle narrazioni e, qualche volta, anche nelle lettere, soprattutto in quelle di argomento familiare. Un posto vivacissimo, in relazione anche alle pasquinate, fu lasciato all'Aretino da VITTORIO C1AN in un'altra opera della • Storia dei generi letterari italiani», cioè ne La satira: nel volume - da considerare secondo - Dall'Ariosto al Chiabrera (Milano, F. Vallardi, 1938-1939), alle pp. 94-102 e passim. Il polemista e l'uomo sono sentiti nel loro adeguarsi alla natura come elemento di espressione dell'Italia del tempo e per quanto concerne Pasquino della Roma papale. Il Cian si era più volte occupato dell'Aretino nelle sue ricerche cinquecentesche; si vedano in modo particolare Un buffone del secolo XVI. Fra Man'ano Petti (•La cultura» del Bonghi, N. S., a.I [voi. 1], n.0 20, del 13 giugno 1891, pp. 650-5), con molti riferimenti al buffone spesso citato dall'Aretino, e Pietro Aretino per l'Ariosto: un capitolo dimenticato, riprodotto con prefazione e note (Torino, Tipografia palatina, 1911, per nozze Mazzoni-Pellizzari). Una sagace e informata presentazione dell'Aretino, fatta al lume della critica moderna, è quella di ETTORE BoNORA nella Storia della letteratura italiana diretta da Emilio Cecchi e da Natalino Sapegno, nel volume di vari autori Il Cinquecento (Milano, Garzanti, 1966). Nell'ampia trattazione su Il classicismo dal Bembo al Guarini è dato un congruo spazio (anche per brani scelti e commentati) alla commedia (pp. 342-50) e alla tragedia (p. 394-7) e, quindi, alla varia produzione, anche a quella libera, e alle lettere (pp. 411-31); i Ragionamenti, anche secondo quanto disse l'autore in modo paradossale, sono visti nel loro valore di trattato morale coi limiti che l'argomento imponeva («••• pur restando nel dominio della carnalità e della comicità, che fu il più suo, egli seppe appropriarsi da geniale orecchiante pensieri e modi stilistici della letteratura del suo tempo: meno rappresentativo dunque della civiltà rinascimentale di quanto pensassero i critici del secolo scorso, perché di essa comprese soltanto quello che volle comprendere; certamente capace di trarre partito dalla cultura rinascimentale più di quello che non lascerebbe supporre la sua professione di scrittore tutto istinto e naturalezza»). Del Bonora, come anticipazione delle sue pagine nell'impresa garzantiana, è da menzionare bibliograficamente il volume Critica e letteratura nel Cinquecento (Torino, Giappichelli, 1964, « Università di Torino, Pubblicazioni della Facoltà di Magistero•, 26: si veda a!Plndice dei nomi quanto riguarda l'Aretino). La produzione teatrale dello scrittore cinquecentesco ha attirato le simpatie dei critici (e dei professori per i loro corsi accademici), anche quando valutavano con sospetto il carattere libero, anzi osceno, dei Ragia-

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name11ti, o non potevano celare nella biografia del personnggio motivi ingrati che andavano dalla vanteria al ricatto. Si può segnalare la notevole fortuna dell'Aretino uomo di teatro. Per prima cosa vanno menzionate le pagine di FERDINANDO NERI, ne La tragedia italiana del Cinquecento (Firenze, Tip. Galletti e Cocci, 1904, «Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Sezione di Filosofia e Filologia» e ristampa fototipica autorizzata, Torino, Bottega d'Erasmo, 1961), pp. 79-87. È sentita l'importanza della tragedia come documento di storia letteraria; e sono apprezzati l'umanità dello scrittore e il suo ideale di cultura e di vita. (A p. 86: cc L'Orazia ha dunque una sua vita interiore, concepita con forza sullo sfondo di Roma storica come l'Aretino la sentì; egli trasse la sua tragedia dalla figurazione vivace, che alla sua mente era apparsa di tra le pagine di Livio, e volle che i personaggi si movessero e parlassero secondo quel suo concetto»}. Accanto a vari studi sul teatro dell'Aretino, menzionati dal Neri per qualche particolare felice, è opportuno, col critico (p. 86 cit., nota 2), riportare un pensiero di ANTONIO VIRGILI, Francesco Berni, Firenze, Succ. Le Monnier, 1881, p. n7. Il Virgili, • accanto alla solita broscia aretinesca », trovava tratti veramente belli e notabili e, quindi, osservava: cc L'Aretino, con tutta la sua ignoranza, sembra aver avuto più vivo il sentimento dell'antichità Romana, di tanti e tanti letteratoni del secolo». A questo proposito si potrebbe anche spezzare una lancia per il rifacimento popolaresco (e non solo parodico per partito preso) dell'episodio di Enea e Didone con larghi riferimenti storici al sacco di Roma di cui in pagine dei Ragionamenti da vari critici mal giudicate per incomprensione dello stile e della visione del mondo dell'uomo Aretino. A proposito di tale episodio dei Ragionamenti e dei motivi culturali che si notano nell'opera stende alcune osservazioni Gumo DAVICO BoNINO, in Aretino e Virgilio: un'ipotesi di lavoro («Sigma», di Genova, n. 0 9 1 marzo 1966, pp. 41-51). Si osserva appunto come premessa all'indagine: « In una figura bifronte come quella dell'Aretino, il profilo dell'uomo senza lettere, sempre pronto al dileggio verso l'ostentazione culturale dei contemporanei, tronfio per contrasto, col condimento d'una sfacciataggine sguaiata, dei doni "naturali,, del proprio estro, e quello del letterato perfettamente agguerrito, padrone d'ogni strumento della sua attrezzeria retorica, tendono di continuo a sovrapporsi,,. A sua volta, con una serrata indagine ETTORE PARATORE, proprio partendo dall'episodio virgiliano dei Ragionamenti, e precisamente dal Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippo, illustra Pietro Aretino rielaboratore di Virgilio (in Studi in onore di Carmelina Naselli, vol. 11, Università di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1968, pp. 223-69; e prima nel volume Spigolature romane e romanesche, Roma, Bulzoni, 1967, «Pyramidion », 2, pp. n5-65}. Contro la proclamata incoltura dell'Aretino, esaltata anche in tempi recenti da una critica che tende al populismo più indistinto, si tien conto della formazione intellettuale dell'autore, della sua conoscenza dei classici antichi, della sua accettazione - in forma singolarmente originale - dei motivi letterari delPepoca. Nella minuta indagine condotta dallo studioso, filologo classico e lettore sottile dei moderni, si valuta l'interesse delle intuizioni dell'Aretino

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anche nei confronti della tradizione degli studi virgiliani dell'età sua e, soprattutto, per l'interpretazione di alcuni punti controversi del testo del libro IV dell'Eneide, base del rifacimento popolaresco di cui nei Ragionamenti (nella diretta eco del sacco di Roma). Dice il Paratore al termine del suo studio, con un giudizio che mette in evidenza la preparazione culturale dell'autore e la considera perfino come illuminante nel campo della critica filologica: ,e L'Aretino ci si è dunque rivelato anche testimonianza indiretta di prim'ordine nella storia della tradizione manoscritta e dell'esegesi del L. IV dell'Eneide. Questo è argomento capitale che ci permette di concludere che le sue pagine non sono da considerare affatto un capriccioso travestimento snaturatore del testo virgiliano, ma una meditata rielaborazione che ne ha conservato la primordiale sostanza, palesandoci nel problematico poligrafo un ingegno letterario capace anche di inattese impennate favorevoli a quella tradizione culturale di cui volgarmente lo si wol raffigurare irreconciliabile avversario •· Le osservazioni del Paratore si attagliano molto bene alla valutazione solita per i valori culturali del teatro dell'Aretino, in special modo nella tragedia Orazia. Dello studioso si ricordi la relazione preliminare d'un importante convegno di studi, Nuove prospettive sull'influsso del teatro classico nel •500, negli •Atti del convegno sul tema: Il teatro classico italiano nel 1 500 (Roma, 9-12 febbraio 1969) •• Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, •Problemi attuali di scienza e di cultura »1 quaderno n. 0 138)1 pp. 9-95. Si noti a p. 85 un riferimento al Maco della Cortigiana dell'Aretino, «un autore in cui la componente classica appare relegata nello sfondo, operante da lungi •· Pari alla fortuna dei cosiddetti Ragionamenti sotto veste più o meno editorialmente corretta (per evitare l'accusa facilissima di pornografia da parte delle autorità, come già in passato, sotto il segno dell'lndex librorum prohibitorum, dal 1558 in poi, si colpì tutta l'opera dell'«lnfame•) è quella delle opere teatrali. Per prima si segnali l'inclusione dell' Jpocrito nel volume de La commedia italiana a cura di Mario Apollonio (Milano, Bompiani, 1947, collana «Pantheon»): da notare la presentazione dell'opera da parte del critico. In uno dei volumi delle Commedie giocose del '500, a cura di Anton Giulio Bragaglia, e precisamente nel II (Roma, Colombo, 1947, «Classici dell'umorismo», al n. 0 24) trova posto la Cortigiana. Nel 1950 si pubblica La « Orazia». Tragedia di Pietro Aretino secondo la stampa TJenezia,ia del MDXL VI appresso Gabriel Giolito de Ferrari con a fianco uti intarsio scenico di Giovanni Orsini per la buona recitazione (Milano, Edizioni della S. T.D., cioè della Scuola del Teatro Drammatico di Milano). Si passa all'inserzione -fra il Machiavelli e il Ruzzante - del Mares,alco in una silloge del Teatro italiano, voi. I, Le origini e il Rinascimento, a cura di Silvio D'Amico (Milano, Nuova Accademia Editrice, 1955, collana •Thesaurus litterarumn, sezione «Teatro di tutto il mondo•). Una buona edizione, munita di glossario, ha dato Carla Cremonesi per la Talanta (Milano, Rizzoli, 1956, « Biblioteca Universale Rizzoli », 1047-1049; in II edizione, s. a .., ma 1968). Nulla più dei prologhi della Cortegiana e del Marescalco si trova, in appendice, nelle Commedie del Cinquecento, a cura di Aldo Borlenghi, nel volume I (Milano, Rizzoli, 1959, uI classici Rizzoli»): lo studioso, nell'abbondare con autori e opere di solito più trascurati dai lettori, avrà

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pensato che la fama dcli' Aretino è già sufficientemente assicurata dalle varie ristam.pe nel can1po del teatro. L'Orazia ricompare ne Il teatro tragico italiano: storia e testi del teatro tragico in Italia, a cura di Federico Doglio (Parma, Guanda, 1960: viene riprodotto il testo dalredizione Fabi, Milano, Snnvito, 1863, senza indicare che si tratta di un'antologia varia). Dal punto di vista del testo, nessuna novità si può registrare trattandosi di ristampe non sottoposte a speciale indagine critica. Del Marescalco è uscita anche una riduzione di Maner Lualdi (Milano, Edizioni de « Il teatro delle novità», 1960). La riduzione - con la divisione in due tempi, il primo con gli atti I e II e il secondo con gli atti 111, IV e v - era stata apprestata per la prima rappresentazione del secolo XX al Teatro Olimpico di Vicenza e quindi al Teatro Sant'Erasmo di Milano. La recita di opere dell'Aretino è desiderabile al fine di saggiare l'importanza che egli ebbe nel teatro del suo tempo; si profila la necessità di interpretare in modo efficace il suo linguaggio, in pretto toscano cinquecentesco. Ed è anche da ricordare una ristampa della Cortigiana, con nota introduttiva e a cura di Adriano Spatola (Bologna, Sampietro, 1967, « Piccola collana "70 11 », 14). Una recente edizione di Tutte le commedie dell'Aretino, a cura di G. B. De Sanctis è apparsa a Milano, presso l'editore Mursia, nel 1968: utile come silloge di testi («Grande Universale Mursia», Letteratura, 53, Classici antr"chi e moderni, 30). Con grande perizia filologica è stata condotta da Giorgio Petrocchi l'edizione del Teatro (Milano, Mondadori, I 972, « I classici Mondadori n, nella serie di Tutte le opere di Pietro Aretino). Sono raccolte le commedie - e della Cortigiana anche la prima redazione del 1525 - e l'Orazia. Utilissimo è il Glossario. Si è già visto con la rassegna storica dell'Innamorati (monografia citata) come la critica intorno all'Aretino oscillasse fra la condanna dell'uomo e una celata ammirazione per lo scrittore; nell'opera sua e nella stessa azione di polemista audace e ricattatore si è visto solo un documento del tempo (e, questo, anche dietro il capitolo della Storia di Francesco De Sanctis, suggestionato da vivaci prese di posizione di Philarète Chasles). Invece di valutare stile e immaginazione si sono giudicate le opere dell'Aretino nella morale del Cinquecento. È opportuno considerare la vita dell'Aretino secondo che la documentazione lo permette a distanza di secoli. E, quanto all'opera, ammesse le innegabili doti dell'artista, non resta che valutarla nei suoi elementi costitutivi senza esaltazioni o denigrazioni. Nell'àmbito della biografia non v'è di meglio ancor oggi, per citare un lavoro complessivo, de La vita di Pietro Aretino scritta dal conte GIAMMARIA MAZZUCHELLI bresciano (In Padova, MDCCXLI, Appresso Giuseppe Comino, Con licenza de' superiori): una ristampa, dalla critica dichiarata non buona, è quella di Milano, Coi tipi di Francesco Sonzogno e Comp., 1830. Va usata - più che di solito non si faccia: e, il più delle volte, essa nemmeno è citata - l'edizione seconda « riveduta, ed accresciuta dal]'Autore» (In Brescia, MDCCLXIII, Presso Pietro Pianta, con licenza de' superiori). È stata ristampata nelle Lettere sull'arte di Pietro Aretino commentate da Fidenzio Pertile e a cura di Ettore Camesasca, già citate, al voi. III, tomo I, Biografia dell'Aretino (Milano, Edizioni del Milione, 1959,

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con commento alle pp. 107-271). Se si pensa che, dalla morte dell'Aretino (1556) e dalla condanna delle sue opere all'Indice (1558) in poi, ogni indagine veramente erudita era come preclusa dalla esecrazione del personaggio e della sua creazione letteraria, quella sacra compresa, è da lodare nel Mazzuchelli un critico efficace per lo studio di un autore cosi controverso. (Nella critica odierna viene messa in relazione la Vita, tanto nella I quanto nella II edizione, con la voce Aretino negli Scrittori d'Italia, voi. 1, parte II, In Brescia, MDCCLIII, Presso Giambatista Bossini, pp. 1010-9). La si cita spesso per la genesi del capitolo sull'Aretino della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis e la si mette in relazione anche alla condanna fatta da Luigi Settembrini nelle sue Lezioni di letteratura italiana; e perciò è opportuno menzionare ancora una volta la biografia estrosa ma vivace, anche se erronea per molti particolari, di Philarète Chasles. Poiché tale studio non è sempre citato con esattezza bibliografica, si ricordi che L' Arétin, sa vie et ses amvres usci sulla • Revue des Dcux Mondes 11, 3e série, t.1v, Octobre-Décembre 1834, alle pp. 197-228, 292-312 e 730-68 (e precisamente nei fascicoli del 15 ottobre, del 1° novembre e del 15 dicembre). Su estratti che recano le sole date del 15 ottobre e del 1° novembre, si veda, anche per utili indicazioni sulla pubblicazione nel periodico, CLAuDE P1cH01s, P/zilarète Chasles et la vie littéraire au temps du romantisme, t. II, Notes, Appe11dices, Bibliographie (Paris, Librairie José Corti, 1965), pp. 469-70. Lo scritto venne raccolto - alle pp. 379-495 - nelle Études Sttr Shakspeare, lvlarie Stuart et l'Arétin. Le Drame, les Mamrs et la Religio11 att xv1e siècle, par M. PHILARÈTE CHASLES, Professeur au Collège de France (Paris, Amyot, 1852). Il libro è spesso citato come uscito nel 1851, ma questa data si trova solo nella prefazione. Il saggio sull'Aretino, tradotto per cura dell'editore Sanvito e inserito nel libro a insaputa del traduttore Massimo Fabi, è connesso con rincresciosa vicenda delle lettere dell'Aretino riportate dal De Sanctis dietro la traduzione italiana del saggio di Philarète Chasles: egli ebbe troppa fiducia nel testo usato, come osservò il Croce scolpando il grande critico dall'accusa di frode che si è riversata ingiustamente sul Fabi. Il saggio di Chasles usci comunque nelle Opere di Pietro Aretùro ordinate ed annotate per Massimo Fabi precedute da un discorso intorno alla vita dell'Autore ed al suo secolo (Milano, Francesco Sanvito, 1863), alle pp. 1-124, e, quindi, in II edizione (ivi, Carlo Brigola, Editore, Librario e Commissionario, 1881), alle pp. 9-113. Tutte e due le volte il saggio ha titolo L 1 Aretino. Sua vita e sue opere. A sé è ricomparso con poche correzioni formali - col titolo La vita di Pietro Aretino, a cura di Egisto Roggero (Firenze, Istituto Editoriale • Il Pensiero D, 1915, « Collezione rara del "Pensiero,,»). Ha qui gravi errori di stampa, per cui Ginguené diventa Gingriène, p. 24, come già nella prefazione del curatore a p. vn, dove si trova in allegra compagnia con Bayele e Dresmenil, cioè con Bayle e Dumesnil; del resto, la Vita, in anticipo alle Poesie rare dell'Aretino, già da noi ricordate, recava un'abbondante, quanto equivoca, propaganda di pubblicazioni di interesse sessuologico, sì di vantata esigenza scientifica accanto al Codice dell'amore indiano, ma anche con un altro tipo di réclame di Nudi: meravigliose riprodu:iioni di modelle vive,iti, oltre che di apparecchi e accessori d,igiene sessuale ecc. Come è noto, la divulgazione dei Ragio3

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namenti, frammezzo opere di nessun valore letterario, ha pregiudicato nel pubblico degli intenditori letterari la valutazione di un artista cosl singolare, a cui, per giunta, venivano attribuite opere pornografiche non sue. Su una fonte di notevole interesse (anche per le discussioni relative alla sua paternità pscudo-berniana) si veda ENRICO SICARDI, L'autore dell'antica « Vita di Pietro Aretino n, nella l\tliscellanea nuziale Rossi-Teiss (Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1897), pp. 295-314. Sulla vita dell'Aretino sono fondamentali gli studi che ALF.SSANDRO Luz10 venne componendo dal 1880 al 1923. Sono ancora oggi da ritenere validissimi per tutto quanto riguarda la biografia del personaggio e i suoi atteggiamenti di pubblicista. Oltre le edizioni di testi dell'Aretino, già menzionate, si vedano i seguenti contributi: L'« Or/andino» di Pietro Aretino («Giornale di filologia romanza», t. III, fase. 1-2, gennaio-giugno 1880, pp. 68-84); Le opere ascetiche di Pietro Aretino (« Fanfulla della domenica», a. II, n. 0 22, del 30 maggio 1880, pp. 1-2); una recensione a GIORGIO SINIGAGLIA, Saggio di uno studio su Pietro Aretino, con scritti e documenti inediti, Roma, Tip. di Roma, 1882 (« Giorn. stor. d. lett. it. », vol. I, 1883, pp. 330-7, nella Rassegna bibliografica); Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga (Torino, Loescher, 1888); Altre spigolature tizianesche ( •Archivio storico dell'arte», III, 1890, pp. 209-10, con riferimenti all'Aretino); P. A.retino e Pasquino («Nuova Antologia», ser. 111, voi. XXVIII, I luglio-16 agosto 1890, pp. 679-708); una recensione a VITTORIO Rossx, Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave di Adriano VI (« Giorn. stor. d. lett. it. », voi. xrx, 1892, pp. 80-103, nella Rassegna bibliografica: il Luzio credeva dell'Aretino sia il Testamento dell'elefante donato a Leone X dal re del Portogallo e morto nel I s16, sia la Farsa messa dal Rossi in appendice al proprio lavoro); L'Aretino e il Franco. Appunti e documenti (ivi, voi. XXIX, 1897, pp. 229-83); Aretin und sein Haus (« Die Zeit» di Vienna, Band XI, n. 121, 23 Janner 1897, pp. 57-8); Ancora i ritratti dell'Aretino (« Il Marzocco», a. x, n. 29, del 16 luglio 1905, p. 2). Si unisca, come ultima testimonianza di un appassionato interesse alla figura dell'Aretino nel suo tempo, una recensione a Le più belle pagine di Pietro Aretino curate dal Bontempelli («La Stampa», a. LVII , n.0 290, del 6 dicembre 1923, p. [3]). Si profila nella critica aretiniana una singolare situazione: quella di non scendere a esaminare l'apporto specifico dello scrittore alla letteratura del Cinquecento (e tanto meno a non recriminare sui suoi atteggiamenti liberi e spregiudicati), ma di considerare la figura di lui come eccezionale nel campo della pubblicistica. Il « flagello de' principi» è visto come un personaggio di primo piano nella politica del tempo, o almeno nel settore degli «imi che comandano ai potenti» (cioè dei consiglieri più o meno occulti che si valgono della nascente efficacia della stampa per influenzare l'opinione pubblica e, quindi, l'azione dei monarchi e dei governanti). Non lungo è il passo almeno ad opera di alcuni scrittori della nostra epoca - dalla biografia alla storia, anche se più di una volta tale storia è piuttosto romanzata, anzi assume la forma narrativa della rievocazione fine a sé stessa e, persino, del romanzo. Non è nemmeno facile dividere nettamente la produzione critica nel campo biografico e la letteratura divulgativa che attrae per la vivacità 0

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della ricostruzione aneddotica, e, come è avvenuto anche per altri casi nel passato (che si tratti di Isabella d'Este o di Marco Datini), un agile libro espositivo e pittoresco può valersi di dotte pubblicazioni altrui per utilizzarne documenti e indagini particolari. Un posto a parte va lasciato ad un libro di PIERRE GAuTHmz, già benemerito per la pubblicazione di documenti: L'ltalie du XVJC siècle. L'Arétin (r492-I556), pubblicato a Parigi, da Hachette, nel 1895. L'ampia ricostruzione, che si vale anche cli lettere inedite (ad esempio, di quella dell'Aretino a Speron Speroni, da Venezia, 23 ottobre 1555), è una specie di affresco dell'Italia del tempo e presenta la figura dello scrittore come tipica. In tale disegno la parte letteraria è considerata non in sé, ma nel suo valore di documento storico. Non era difficile cadere in errori di fatto nel settore delle lettere cinquecentesche, per allusioni e riferimenti vari. Da parte della critica italiana non poteva essere messo sotto silenzio il fatto che lo studioso francese aveva largamente utilizzato i lavori biografici del Luzio, e che, per di più, era caduto in errori cli informazione e di valutazione; si veda al riguardo l'ampia recensione di ENRICO SICARDI ( 1< Giorn. stor. d. lett. it. », vol. xxx, 1897, pp. 470-86, nella Rassegna bibliografica). Con vivacità narrativa ricostruisce la vita del libellista e del pubblicista politico EowARD HurroN, P.A., The Scourge of Princes (London, Bombay, Sidney, Constable and Co., 1922: il bel ritratto di Tiziano, nei paesi anglosassoni, è un lasciapassare per un personaggio così caratteristico della vecchia Europa). Da parte francese due lavori, non privi di buone intenzioni, ma non completamente informati sull'autore tanto studiato dagli specialisti, sono stati, nel 1937, quello di P. G. DUBLIN, La vie de l'Arétin (Paris, Fernand Sorlot: con un parallelismo accentuato fra l'Aretino e il Molière perfino per i fatti della vita) e un saggio di C[ONSTANTIN] ANTONIADE compreso in Trois figures de la Renaissance: Pierre Arétin, Guichardin, Benvenuto Cellini (ivi, Desclée De Brouwer & Cie, 1937, pp. 15160, con Notes bibliographiques, alle pp. 329-31). Qui è dato rilievo agli studi del Luzio, ma anche è insufficiente ed erronea l'informazione critica generale, a parte gli errori cli citazione col Rossi e col Bertani, dati come Rosso e Bertoni, e col saggio del Graf, Un processo a Pietro Aretino dato come riprodotto nel volume Attraverso il Cinquecento del 1926, che è invece una tardiva e postuma ristampa. Il giudizio finale è pittoresco, ma non aggiunge nulla a quanto è già noto: «... s'il avait le courage d'attaquer à distance et la piume à la main, il ne brillait pas par le courage physique: la peur dcs coups le faisait filer doux. Avec ses astuces et ses ruses l'Arétin est un type de comédie. La comédie, il la joua toute sa vie, il est le personage comique du drame où devait mourir l'ltalie. L'Arétin est le produit d'une époque de désorientation des esprits, de relnchament des mceurs, de décadence enfin dont il est l'illustration vivante. Il nous enseigne en meme temps jusqu'où peut aller l'homme libéré de toute contrainte intérieure ou extérieure, jusqu'où mène l'individualisme sans frein, que n'éclaire plus aucune spiritualité •· Quanto allo scrittore, nell'introduzione (p. 12), si dichiarava: «L'Arétin connut une gioire vrai.ment insolente; on finit méme par voir en lui un grand écrivain. Mais, à sa mort, tout sombra dans l'oubli. Personne ne le lit plus. Et ce qui demeure après lui, c'est le

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seul souvenir de son abjection •· Il titolo, che in precedenza è piaciuto per il suo carattere pittoresco («flagello de' principi»), torna nel volume, illustrato nei luoghi e nelle persone, di TuoMAS CALDECOT Cmmn, Aretino Scorlrge of Princes (New York, Reynal & Hitchcock, 1940): ancora una volta la figura dell'Aretino, nell'atmosfera drammatica dell'età sua, ha il sopravvento sull'esame dell'opera letteraria e pubblicistica, e offre motivi a un'ampia biografia. Una breve ricostruzione di RuLPH RoEDER - col capitolo Aretino - è nel volume d'insieme The Man of the Renaissance. Four Lawgivers. Savonarola. Machiavelli. Castiglione. Aretino (New York, The Wicking Press, 1933: il capitolo si trova alle pp. 483-533). L'opera è anche apparsa in Inghilterra: London, G. Routlege & Sons, 1934. Dalla biografia romanzata al romanzo (o, almeno, al quadro) storico talora non c'è che un passo. Senza citare opere che hanno messo sulla scena l'Aretino come personaggio, si menzionino i seguenti lavori narrativi: G[1uuo] MARCHETTI FBRR.\NT.E, Rievocazioni del Rinascimento (Roma nel Quattrocento - Lorenzo dei Medici - I Rovere - Riario - Giulio Il - Leone X - Chigi il Magnifico - Tullia d'Aragona - L'Aretino), Bari, Laterza, 1924, alle pp. 239-67; ANTONINO FoscHINI, L'Aretino (Milano, L'Editoriale Moderna, 1931, e quindi ivi, Bartolozzi, 1933, con ristampe in testa ai Ragionamenti, ivi, Corbaccio-Dall'Oglio, 1951 e 1960); GuSTAV REGLER, L'Aretino: romanzo, traduzione italiana anonima (Milano, Mondadori, 1962). Si trascuri, in quanto curiosità narrativa della seconda metà dell'Ottocento, il lungo racconto di GIOVANNI VILLANTI, L'Aretino in Roma: stlldi del XVI secolo (Palermo, Stabilimento operai tipografi, 1869 [e in copertina: Luigi Pedone Lauriel Editore, 1870], con l'indicazione: «Pubblicato nella Rivista Sicula». Da ricordare alle pp. 3-10 quanto riguarda I XVI rami e i XVII sonetti; alle pp. 91 e I I I si parla di liti fra l'Aretino e un Bacci, quello stesso a cui è legata la sua discussa origine. Liberato il terreno da una produzione più aneddotica che biografica (sin di ispirazione romanzesca), è doveroso tener conto di quei contributi che si valgono di un uso accorto dei documenti intorno a una vita tutt'altro che facile da comprendere e da valutare. Per quanto non abbia alcuna simpatia per l'Aretino, anzi lo veda impersonare qualità che son tutte all'opposto di quelle da lei ammirate in Vittoria Colonna e in altri personaggi dell'epoca, si citi per una riesumazione GIUSEPPINA SASSI, Figure e figuri

del Ci,iquecento: Pietro Aretino, Vittoria Colonna e il Marchese del Vasto («Nuova Rivista Storica», xn, 1928, pp. 554-88). Per indagini svolte soprattutto negli archivi ad Arezzo è opportuno registrare la varia attività di AL~ANDRO DEL VITA, passato dall'esame di testimonianze dell'Aretino nel campo dell'arte allo studio della sua biografia e, in genere, alla illustrazione del suo tempo. (E qui il divulgatore ha spesso preso la mano al critico inducendolo a una produzione di saggi e studi, indubbiamente versatili ma poco utilizzabili in senso scientifico anche per quanto riguarda usi e costumi del Rinascimento). Degni di menzione sono, fra le pubblicazioni cinquecentesche del DEL VITA, i seguenti lavori sull'Aretino: Una poesia inedita di Giorgio Vasari (all Vasari», VII, 1935, pp. 5-:29, con in appendice: Stanze a Pietro Aretino, qui ripubblicate nella lezione data dallo ScotiBertinelli e con nuove note illustrative); Le cause della fortuna e della po-

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tenza di Piet,·o Aretino (ibid., dall'a. VII, 1935 1 all'a. x, 1939), quindi in volume -dedicato al Luzio-L'Aretino. Le cause della sua potenza e della sua fortuna, Arezzo, Edizioni della Casa Vasari, 1939, rielaborato con speciale riguardo al senso politico e alla potenza di pubblicista dello scrittore nel volume L'Aretino «uomo libero per grazia di Dio• (ivi, Edizioni Rinascimento, 1954: vari elementi di questa ricostruzione biografica sono utilizzati nelle note storiche che accompagnano l'edizione mondadoriana delle Lettere, curata dal Flora, voi. 1, 1960). Utili, per nuovi documenti riguardo alla nascita dell'Aretino, sono le Notizie e documenti su Pietro Aretino («Il Vasari», VIII, 1936-1937, pp. 140-52); ma già a chiarificazione di quanto riguarda Medoro Nucci, d'Arezzo, di cui in Luzm, La famiglia di Pietro Aretino, cit., si menzionino le Note su un nemico minore dell'Aretino (ivi, VI, 1933-1934, pp. 136-41). Un medaglione offre L'Aretino compreso in un volume di Figure del '500 (Firenze, Vallecchi, 1944), dove sono anche pagine che interessano a proposito della cortigiana Imperia, di Leone Leoni e di Alessandro de' Medici. Servono a illustrare opere e vita dell'Aretino due pubblicazioni divulgative del DEL VITA: Galanteria e lussuria nel Rinascimento (Arezzo, Edizioni Rinascimento, s. a., ma 1952: anche con riferimento a Lorenzo Veniero e alle sue pubblicazioni libere) e Vita gaudente e bizzarra nel Rinascimento [in copertina: nella Rinascenza] (ivi, Edizioni Rinascimento, 1961) con accenni alle Carte parlanti. Si è fatto riferimento a studi che servono per documentare i tempi dell'Aretino e illustrano molti particolari delle sue opere, oltre quanto ben risulta da edizioni e studi di V. Rossi e di G. A. Cesareo e quanto si potrebbe menzionare per contributi di Pompeo Molmenti per Venezia e di Pio Paschini per Roma. Ora si citi, per vari capitoli, la raccolta postuma di DOMENICO GNOLI, La Roma di Leon X. Quadri e studi originali annotati e pubblicati a cura di Aldo Gnoli (Milano, Hoepli, 1938). Lo studio - complesso e intenso - della vita dell'Aretino in funzione (o, anche, in giustificazione) della sua opera pubblicistica confenna quello che ARTURO GRAF aveva scritto sull'importanza dello scrittore in Attraverso il Cinquecento (Torino, Loescher, 1888, e quindi 1916 e - col nuovo nome editoriale di Chiantore - 1926): citatissimo è lo scritto in esso raccolto, Un processo a Pietro Aretino, che sempre si può utilmente consultare insieme con altre pagine sui pedanti, sui buffoni e sulle cortigiane del tempo. Se ne tiene conto nella presente rassegna bibliografica nella speranza che il «processo » non possa più essere riaperto, almeno all'insegna del vantato immoralismo dell'autore. Munito di bibliografia avvicina il lettore all'Aretino un buon profilo steso da MARIO BARATTO, nel Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, voi. I (Torino, U.T.E.T., 1973), pp. 102-8. Si è più volte fatto riferimento alla produzione teatrale dell'Aretino e alla critica che la concerne (sia nei manuali, sia nelle opere generali sullo scrittore). Non è facile separare lo scrittore della Talanta da quello dei Ragionamenti, ed è perciò arbitraria una divisione troppo rigida fra il narratore e l'uomo di teatro. Ad ogni modo - rimandando al volume 28 della presente collezione ricciardiana, Teatro del Cinquecento - non sarà inutile qualche nuovo accenno alla critica, dagli ultimi dell'Ottocento ai

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nostri giorni. Anche unn scelta può essere indicativa in merito al gusto dei critici, vòlti con grande interesse al commediografo (e anche al trageda, per quanto talvolta col sospetto di trovarsi di fronte ad un'esercitazione), ma - almeno qualche tempo fa - con titubanza e perfino disdegno per l'autore dei cosiddetti Ragionamenti e (secondo una leggenda dura a morire) dei Dubbj amorosi e di altre false attribuzioni. Va intanto segnalato, di CBSARE LEVI, un Saggio bibliografico delle commedie e dell'« Orazia,, di Pietro Aretino e della critica su di esse («Rivista delle biblioteche e degli archivi», xx, 1909, pp. 79-89; in appendice: L'Aretino per1011aggio di teatro). Tra le schede bibliografiche alcune sono di grande importanza per la documentazione sull'opera teatrale dell'autore e la critica relativa. Interessano in varia maniera: ENRICO PERITO, «La Talanta » di P. Aretino (Girgenti, Prem. Uff. Tipogr. Formica e Gaglio, 1899) e DIODORO GRASSO, L'Aretino e le sue commedie: una pagina della vita 11zorale del Cinquece11to (Palermo, Reber, 1900). Una nuova trattazione è quella di ULISSE FRESCO, non trascurata dalla critica posteriore: Le commedie di Pietro Aretino (Camerino, Tip. Savini, 1902). Una utile riesumazione è quella di EDOARDO GENNARINI, Imitazione e originalità nella « Talanta • di Pietro Aretino (« Giorn. it, di filol. », XI, 1958, pp. 236-45). Una recente pubblicazione critica è quella dovuta a GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, L'Aretino uomo d'ordine. L'anticommedia del «Marescalco » («Bimestre: quaderno bimestrale di cultura», n.0 22/23 - a. IV, n. 0 5-6 -, settembre-dicembre 1972, pp. 5-15). Uno studio efficace su Lingua e polemica teatrale nella «Cortigiana» di Pietro Aretino ha dato MARIO ToNELLO nella raccolta di studi su autori vari, Lingua e strutture del teatro italiano del Rinascimento, presentazione di G. Folena (Padova, Liviana, 1970 1 «Quaderni del circolo filologico-linguistico padovano•, 2) 1 pp. 203-89. Nel settore comparatistico si segnalino: FERNANDO STACCHIOTTI, «L'Orazia». La «Sofonisba» e l'«Orazia».L'«Horace• e l'«Orazia». Moralità dell'Aretino (Camerino, tip. Macchi, 1907) e BICE STOCCHI, L'«Orazia» dell'Aretino e l'«Horace• del Corneille (Napoli, E. Pietrocola, 1911). Quest'ultima scheda è stata inserita nei suoi utilissimi elenchi da FERDINANDO NERI, Gli studi franco-italiani nel primo quarto del sec. XX(Roma, Fondazione Leonardo per la cultura italiana, 1928, «Guide bibliografiche», 40-41-42, e in ristampa anastatica, Torino, Bottega d'Erasmo, 1970), al n. 0 1228, per i rapporti dell'Aretino col teatro classico francese. E, poiché, per i temi e le tradizioni, sono fatti due altri riferimenti ai nn.i 3169 e 3170, si possono menzionare, da un punto di vista comparatistico, scritti che rientrano in una bibliografia generale. Si vedano quindi: GIOVA..."ffiI MARI, Storia e leggenda di Pietro Aretino (Roma, Loescher, 1903 1 per Michel de l'H8pital, Chasles, Gauthiez, e Le fils de l'Arétin di H. de Bornier) e HENRI HAUVBTTB et MARTIN PAOLI, L'Arétin au théatre (« Bulletin italien », IV, 19041 pp. 202-21, per Le Courtisan parfait di Gabriel Gilbert, 1668; Pasquino di G. Mari, 1903; e Le fils de l'Arétin di H. de Bornier, 1895). In un posto a parte stanno, fra i migliori saggi sull'Aretino commediografo e, in genere, scrittore in tutta la varietà della sua opera, TOMMASO PARODI per Le Commedie di Pietro Aretitio, del 1912, nel volume Poesia e letteratura. Conq14ista di anime e studi di critica. Opera postuma a cura di B. Croce (Bari, Laterza, 1916, «Biblioteca di cultura mo-

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derna •, 81) e MARIO BARA'ITO, Commedie di Pietro Aretino, in «Bclfagor ,,, (1957), pp. 361-402 e 506-39, e nel volume Tre saggi ml teatro: RuzanteAretino-Goldoni, Venezia, N. Pozza, 1961, « Collana di varia critica•, XXIII, pp. 71-155. Quest'ultimo lavoro del Baratto riassume criticamente le ricerche antecedenti sulla formazione dell'Aretino uomo di teatro e le mette in relazione con le restanti manifestazioni della sua attività di scrittore e di polemista, e, in certo modo, di moralista. Nella Nota bibliografico (volume citato, pp. 231-2) sono utili riferimenti al «manierismo II dell'Aretino anche riguardo alla produzione giovanile, al teatro e all'esperienza cortigiana, «che prelude a tanta parte dell'opera» di lui.

XII

Uno sguardo cronologico sulla produzione critica, che si potrebbe definire generale, aggiunge nuove e, in parte, ragguardevoli schede sull'Aretino. Una pubblicazione, che non manca mai di essere citata per la sua importanza, è quella di KARL VossLER, Pietro Aretinos kunstlerisches Bekenntnis (Heidelberg, «Neue Heidelberger Jahrbilcher,, x, 1900, pp. 38-65). L'Innamorati nel suo volume (pp. 56-60) ha messo in evidenza come il critico tedesco, in recensione alla History of Literory Criticism in the Renaissance di J. E. SPINGARN, esaminasse in modo particolare la cultura dell'Aretino, il suo impegno, la sua coscienza intellettuale. Anche il Gaspary nella sua storia letteraria, presto tradotta in italiano, e il Graf, avevano parlato della «modernità» dell'Aretino. Il Vossler, allo scopo di valorizzare la rivoluzione culturale dello scrittore (e, in questo, più che non il ribelle Cellini nella sua Vita e nei suoi Trattati'), decisamente afferma che l'Aretino è il primo che «senza studi umanistici, senza un serio lavoro, senza ordinate cognizioni si sia procurato un posto preminente nella letteratura•· È vista l'importanza dello studio delle arti figurative sulla preparazione letteraria, almeno in un primo tempo, ed è valorizzato, sotto il segno della creatività, il mondo delle Lettere inteso di solito come documento o poco pii1. Si ricordi, a proposito di questo studio, una lettera del Croce all'amico, senza data, ma dell'anno 1900. Si parla della difficoltà di far entrare in una storia delle idee «scrittori come l'Aretino che non sono abbastanza consci delle ragioni delle loro affermazioni. Queste ribellioni del buon senso contro la pedanteria sono da paragonarsi, mi sembra, ai proverbi•, ecc. Così dice il Croce in Carteggio Croce-Vossler, z899-z949, con prefazione di Vittorio de Caprariis (Bari, Laterza, 1951, «Biblioteca di cultura moderna•, 488), pp. 15-6. Del volume di CARLO BERTANI, Pi'etro Aretino e le s11e opere secondo nuove indagini' (Sondrio, Stab. tipo-litografico Emilio Quadrio, 1901), si dica che, per un tono encomiastico che soverchia la trattazione e per scarso interesse filologico rispetto a problemi di attribuzione e di critica del testo, è meno utile di quanto non sembri a prima vista. È da apprezzare lo sforzo di incentrare nella vita e nell'opera dell'autore problemi che furono dell'età sua. Non va taciuta l'importanza di una recensione di Aim-EL-KADER S.uzA apparsa sul « Giorn. stor. d. lett. it. », voi. XLIII (1904), pp. 88-117, al Pietro Aretino del Bertani, a Storia e leggenda di Pietro Aretino del Mari e alla Vita dell'infame Aretino, lettera Cl et ultima di Anton Francesco Doni fiorentino pubblicata da Costantino Arlìa (Città di Castello, Coi tipi

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dell'editore S. Lapi, 1901, •Rara: biblioteca dei bibliofili», 3). Ci sono limiti significativi nel recensore, per eccessivo moralismo nei confronti dell'Aretino, ma si nota anche un'adesione a ricerche di scienza «positiva» in merito al suo carattere eccezionale di immorale, come ha messo in evidenza l'Innamorati nella sua rassegna storica (volume citato, pp. 54-6). E vanno aggiunti i meriti relativi al contributo informativo offerto 11intorno agli anni giovanili (specie quelli "perugini") di Pietro». Dell'interesse del CROCE per l'Aretino si è già detto a proposito della lettera scritta al Vossler. Ma il filosofo non si era ancora soffermato sull'opera letteraria di lui in modo particolare. Cosi per quanto riguardava la questione delle lettere dell'Aretino desunte dalla traduzione italiana del saggio di Philarète Chasles, il Croce nella sua edizione 1912 della Storia della letteratura italiana del De Sanctis (Bari, Laterza, negli II Scrittori d'Italia», nn.i 31-32, al voi. II, pp. 436-7), fece ricerche al fine di scagionare il De Sanctis dall'accusa di aver manipolato le lettere dell'Aretino, accusa che era stata mossa dal Fradeletto sull'1. ANTONIA. Che fece del paniere? e che c'era dentro ? NANNA. Piano un poco; il fanciullo, con una reverenza alla spagnuola annapolitanata,8 disse: « Buon pro' alle Signorie Vostre»; e poi soggiunse: «Un servidore di questa bella brigata vi manda dei frutti del paradiso terrestre»; e scoperto il dono, lo pose su la tavola: ed eccoti uno scoppio di risa che parve un tuono, anzi scoppiò la compagnia nel riso nel modo che scoppia nel pianto la famigliuola che ha visto serrar gli occhi al padre per sempre. ANTONIA. Buone e naturali fai le simiglianze.9 NANNA. Appena i frutti paradisi10 fur visti, che le mani di queste e di quelli, che già cominciavano a ragionare con le cosce, con I. poltroneria: nel senso peggiorativo di «ribalderia». 2. quella cosa: cioè mangiare. 3. brindisi: appunto, parola di origine tedesca. 4. il generale: il padre, capo dell'Ordine. 5. còrso: vino di Corsica. 6. le bambole degli specchi: «le borchie, ouero i bozzoli de' vetri di specchi, come ve ne sono in alcuni a i quattro cantoni del uetro » (nota dell'ediz. 1660). 7. in qui1itadecima: «nel plenilunio» (nota dell'ediz. 1660). È un termine di astrologia. 8. annapolitanata: fatta a modo dei Napoletani. 9. simiglianze: paragoni. 10. frutti paradisi: « (e ciò dicendo gli appiccò duo basci nella bocca) «e poi lasciate far a me circa il pagamento». Il maestro cominciò a risponderle per in busse e per in basse,5 allegando le sue ragioni con le dita delle mani: ed entrò in un salceto fantastico. 6 Onde madonna, rivolta a me, disse: «Egli è un Cicerchione »;7 e cosi, disputando dei cuiussi, 8 ella mutò verso, e dicegli: « Ditemi, maestro, foste mai innamorato?». Il castrone, che avea, se non più bella, almen più buona coda che non ha il pavone, rispose: «Madonna, amore mi ha fatto studiare»; e sguainato fuora tutte le anticaglie, 9 ci contò chi si era impiccato per lui, chi avelenato e chi tratto10 da 1. raggirare: andare in giro. 2. a caso: per caso. 3. una cronica: probabilmente nel valore di • come un libro stampato•· 4. per una sua sacchetta: a cercare un suo sacchetto. 5. per ••• basse: a vanvera (di palo in frasca): è linguaggio pedantesco (con deformazioni varie). Su questo linguaggio, nel valore di u suoni senza senso 11, si veda, con esempi di Tommaso Garzoni e di altri, P. CH:ERCHI, In bus e in bas, in« Lingua nostra•, xxix (1968), p. 108. 6. un salceto f a11tastico: un terreno di chiacchiere a vuoto da saccente. 7. Cicercl,ione: deformato da Cicerone. 8. disputando dei cuiussi: facendo sfoggio di vana sapienza. (Dalla formula latina de cuius re agit11r). 9. le anticaglie: le memorie classiche e i relativi luoghi comuni della tematica amorosa. 10. tratto: gettato.

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una torre; e cosi di molte donne ci nominb che, amando, erano andate a porta inferi :r. sempre con parole puntate e spiccate}' E mentre egli gracchiava, ella mi pungeva il fianco con un gombito; e dopo i punzoni mi disse: «Che ti pare del messere ?»; io, che le era nella anima, non pure nel core, rispondo: «Mi pare atto a scuotere il pesco e a crollare il pero»; ed ella, con uno "ahi ahi ahi", mi gittò le braccia al collo; e detto «Andate a studiare, maestro», mi trasse seco in camera. In questo le è fatta una imbasciata che il marito non torna né a cena né a dormire (che di far cosi avea spesso in costume); ed ella, lieta per cib, mi dice: «Il tuo dormig>; e da queste parole nasceva tuttavia più il nome delle mie bellezze. E se tu hai veduta una passera su le finestre d'un granaio, che beccatone dieci granelli vola via, e stata alquanto ritorna alla esca con due altre, e rivolata riviene con quattro, poi con dieci, poi con trenta, e poi col nuvolo tutto insieme, vedi gli amanti intorno a casa mia per volere porre il becco nel mio granaio. E io, non mi potendo saziare di vedere i cortigiani, perdea gli occhi per i fori della gelosia vagheggiando la politezza loro in quei sai di velluto e di raso, con la medaglia6 nella berretta7 e con la catena al collo, e in alcuni cavalli lucenti come gli specchi, andando soavi soavi con loro famigli alla staffa, nella quale teneano solaI. camera locanda: camera d'alloggio. 2. impannarazzata: coperta di arazzi alle pareti. 3. rappresi: «aggranchiati: vuol dire che quei cortigiani si muovevano lentamente, impacciati, attendendo che si affacciasse la ragazza» (Fcrrero). 4. alla sfilata: a frotte. 5. frappare: ciarlare. 6. medaglia: molte erano fatte da artisti valenti; sono celebri quelle del Pisanello e di Matteo dei Pasti. 7. be"etta: berretto.

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mente la punta del piede, col petrarchino1 in mano, cantando con . vezzi: Se amor non è, che dunque è quel ch'io sento? 2 E fermatosi questo e quello dinanzi alla finestra dove io facea baco baco,3 dicevano: «Signora, sarete voi sl micidiale che lasciate morire tanti vostri servidori ?»; e io, alzato un pocolino la gelosia e con un risetto rimandatola giuso, mi fuggiva dentro; ed eglino, con un "bascio la mano a Vostra Signoria" e con un "giuro a Dio4 che sète crudele", si partivano. ANTONIA. Io odo oggi le belle cose. NANNA. Standoci cosi, mia madre saputa volse fare un giorno una mostretta5 di me, fingendo che fosse a caso: e vestitami di una veste di raso pavonazzo sanza maniche, tutta schietta, e rivoltatomi i capelli intorno al capo, averesti giurato che fussero non capelli, ma una matassa interciata6 d'oro filato. ANTONIA. Perché te la vesti ella sanza maniche? NANNA. Perché mostrassi le braccia bianche come un fiocco di neve; e fattomi lavare il viso con certa sua acqua più tosto forte che no, sanza altro smerdamento di belletto, sul più bello del passare dei cortigiani mi fece porre in su la finestra. Come io apparsi parve che apparisse la stella ai Magi, sl se ne rallegrò ciascuno; e abbandonando le redine in sul collo del cavallo, si ri-

petrarchino: il Canzoniere del Petrarca. (E alla pittura realistica si unisca una mossa satirica di cui l'Aretino non è mai privo anche nelle sue pitture più immediate, vòlte a magnificare la vita di natura contro le falsità sociali e letterarie). RENÉ STUREL, Rec/ierches sur une collection in-32 publiée e,i Italie au debut du xv1e siècle, in «Revue des livres anciens», 1 (1914), a p. 66, riporta una segnalazione a lui fatta da Pierre Louys, in merito a una delle minuscole edizioni del tipografo Paganini: «Peut-étre est-ce à l'un de ses Pétrarque (ou - nous le verrons plus loin -à celui de Francesco da Bologna) que fait allusion l'Arétin, lorsqu'il parie, dans ses Ragionamenti, du "Petrarchino" que portaient toujours à la main les élégants de son temps ». Per Francesco Griffi da Bologna si veda il cit. art. alle pp. 67-8, anche per il Petrarca del 1516. 2. Inizio d'un sonetto del Petrarca, Rime, CXXXII. 3./acea baco baco: umi facevo notare con cenni 11. (Nota dell'ediz. 1660: «Io stava come per far paura a' i fanciulli». Ferrero: a Facevo capolino, lasciandomi vedere solo alla sfuggita»; ma son particolari che non sembra risultino dal contesto, per quanto/are baco baco sia « fare bau bau • senza che si tratti solo di fanciulli: è espressione del Decamero11). 4. gi11ro a Dio: giuramento alla spagnola. Cfr. T. Folcngo, Baldus, XI, 88. 5. mostretta: piccola mostra (saggio). 6. interciata: intrecciata. 1.

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creavano1 a vedermi, come i furfantia allo spicchio3 del sole; e alzando la testa guardandomi fissi, parevano quegli animali che vengono di là dal mondo, che si pascono di aria.4 ANTONIA. Camaleonti5 vuoi dir tu. NANNA. È vero; e mi impregnavano con gli occhi nel modo che con le penne impregnano la nebbia quei che paiono sparvieri e non sono. ANTONIA. Fottiventi ?6 NANNA. Madesì,7 fottiventi. ANTONIA. Che facevi tu mentre ti miravano? NANNA. Fingeva onestà di monica, e, guardando con sicurtà di maritata, faceva atti di puttana.8 ANTONIA. Benissimo. NANNA. Stata un terzo di ora in mostra, nel più bello del motteggiar loro mia madre, venuta alla finestra e fattasi vedere un tratto, quasi dicesse «Ella è mia figlia», me ne fece levar seco; e rimasi gli impaniati in secco come una tirata9 di pesce, se ne giro saltellando nella foggia che saltellano i barbi e le lasche fuora della acqua. E venuta la notte, ecco il tic toc tac alla porta; e andata giuso la padrona, mia madre si pose ad ascoltare ciò che dicea quello che picchiò; e ascoltando ode uno che stando turato 10 nella cappa disse: «Chi è quella che era pur dianzi alla finestra?»; rispose ella: «Una figliuola di una gentildonna forestiera che, secondo che io posso comprendere, il padre è stato ammazzato per le parti, 11 onde la meschina se n'è fuggita qui con alcune poche cosette che hanno potuto carpire nel fuggirsene»; e tutte queste ciance gliene avea date ad intendere mia madre. ANTONIA. Galante.

I. si ricreavano: godevano. 2. furfanti: pitocchi. 3. spicchio: raggio. 4. a11imali ••. aria: i favolosi camaleonti. 5. Camaleonti: testo Ferrero: Camelio11i (come da altre edizioni), forma popolare di camaleonti al pari di camaleoni. 6. Fottiventi: nottoloni « O gheppi, uccelli di rapina che fanno i nidi loro per le torri & per le alte fabriche» (nota dell'ediz. 1660). Il loro nome deriva dal fatto che si sostengono immobili nell'aria per poter meglio cacciare. In traslato sono chiamati fottiventi i vanesii. 7. Madesl: orbene sì. (Esclamazione testimoniata da antichi documenti). In precedenza l'Aretino ha già usato madenò. 8. Fingeva .•. puttana: mirabile e sfacciata sintesi della materia dei «ragionamenti» amorosi. 9. una tirata: un levar di reti. 10. turato: incappucciato (in modo da lasciar vedere solo gli occhi). II. per le parti: «in lotte di parte» (Ferrero).

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NANNA. Udendo ciò, il camuffato le dice: « Come potrei favellare alla gentildonna? »; «A modo niuno, » risponde ella «perché non ne vuole intender niente»; e spiando egli se io era donzella, gli rispose: «Donzellissima, né le si vede altro che masticare avemarie»; « Chi mastica avemarie sputa paternostri», egli rispose; e volendo prosuntuosamente salir suso, non poté, perciò che ella non volle mai. Onde le disse il cortigiano: « Fammi almeno una grazia: dille che, quando voglia ascoltare uno, che tu le porrai cosa inanzi che te ne benedirà per sempre»; e giurandoli di farlo, gli diede licenza e tornossi suso. E statasi un pezzo, se ne venne a noi dicendo: « Certamente non ci sono i migliori trovatori del vin buono degli imbriachi: la vostra figlia è stata sentita a naso, però che questi bracchi cortigiani scovano di tratto le quaglie; questo dico per uno che in persona propria mi è venuto a richiedere la vostra udienza». « No, no, » risponde mia madre «no, no »; ed ella, che avea una lingua serpentina,1 le dice: «Il primo segno di una donna prudente è il sapere pigliare la ventura quando lddio la manda: egli è uomo che vi può far d'oro»; e con dirle «Pensateci suso », ci lasciò. E dando la mattina parecchi tratti di corda, 2 con una tavola bene apparecchiata, a mia madre rivendaiuola di consigli e troppo buona massaia del suo utile, fece tanto che ella si recò alla sua volontà; onde le promise di ascoltare Io amico che si credea sballare lane francesche 3 a dormir meco: e fattolo venire, dopo mille giuri e scongiuri caparrò la mia verginità, promettendomi Roma e Torna. ANTONIA. Bello. NANNA. Per tagliarla, venne la sera determinata; e finito un pasto che passò un banchetto (dove non assaggiai se non dieci bocconcini masticati a bocca chiusa, bevendo solamente mezzo bicchiere di vino tutto acqua in venti ciantellini),4 sanza niuna parola fui menata nella camera della padrona, che ne servi5 per quella notte per la anima di un ducato; né fui si tosto dentro che serrò la porta sanza volere che niuno gli aiutasse a spogliare: anzi da sé stesso lo fece in un soffio. E, corcatosi, mi domesticava serpentina: astuta (come il Serpente che sedusse Eva con le sue parole). parecchi tratti di corda: molta opera di persuasione. 3. sballare lane francesche: toccar il cielo con il dito (francesclze: francesi: tali lane erano molto pregiate). 4. ciantellini: centellini {piccoli sorsi). 5. ne servi: ci rese servizio. 1. 2.

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con le più dolci ciance del mondo, mescolandoci dentro: «Io ti farò e ti dirò di modo che no averai invidia alla prima cortigiana di Roma». E non potendo sofferire che io mettessi indugio a entrargli appresso, si levò suso e tirommi fuora di gamba le calze, facendoci io resistenza grande; e tornatosi in letto, mentre mi corcava si voltò verso il muro perché non avessi vergogna a mostrannigli in camiscia; e dicendomi egli «Non fate, non fate», spensi il lume. E tosto che entrai giù, mi si avventò con quella volontà che si avventa una madre al figliuolo che ha già pianto per morto; e cosi mi basciava e mi stringeva nelle sue braccia. E mettendomi le mani su la arpa (che era molto bene accordata), storcendomi mostrava di consentirlo malvolentiere: pure mi lasciai toccare fino allo organo; ma volendo egli mettere il fuso nella cavicchia, non volsi mai. Egli mi dicea: «Anima mia, speranza mia, sta' salda: se io ti faccio male, ammazzami»; e io soda al macchione, 1 ed egli ai prieghi; e con i prieghi dandomi alcune punte false, tutto si disfaceva. E messomelo in mano, diceva: « Fa' da te stessa, che io non mi moverò punto»; e io quasi piangendo rispondea: «Che cotal grosso è questo ? Gli altri uomini hanno lo cosi grande? Adunque mi volete sfendere nel mezzo?»; e in tali detti stava ferma un poco poco, e in sul buono lo lasciava in succhio :2 onde si disperava, e, rivolti i prieghi in minacci, facea tagliate3 crudeli, e «Al corpo, al sangue, che ti scannerò e ti affogherò», e pigliandomi nella gola mi stringea pian piano; poi ripregandomi faceva si che mi recava a suo modo: ma volendomi mettere la pala nel forno, lo refutava di nuovo: onde rizzatosi suso e presa la camiscia per mettersela e levarsi, da me era pigliato con dire: « Orsù, corcatevi, che farò ciò che volete». A tal parola, cadutagli l'ira nella caldaia, tutto contento mi basciava dicendomi: « Lo aspettarlo è un pizzico di mosca; e che sia il vero, senti che faccio con dolcezza»; e io ci lascio entrare il terzo di una fava, e poi lo pianto, con tanto suo furore che, acconciosi su la sponda del letto, spingendo il capo innanzi e il culo in fuora, rannicchiate le gambe, la voglia che volea cavarsi meco si cavò con la sua mano; e, fatto a lei quello che avea a fare a me, si levb e vestissi. E non 1, soda al macchione: cioè testarda. Letteralmente «stare sodo - o saldo o forte - al macchione», cioè ad un folto dumeto, a mo' di nascondiglio, significa a: non muoversi da un luogo per rumore alcuno». 2. in succhio: in voglia. 3. tagliate: scenate.

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passeggiò molto per camera che la notte che gli feci vegghiare a usanza di sparviere se ne gì, lasciandolo con un viso amaro che parea un giuocatore che avesse perduto i denari e il sonno; e con quel bestemmiare che fa uno che è stato piantato dalla sua signora, aperta la finestra della camera, col gombito appoggiato in essa e con la mano alla gota, mirava il Tevere che parea che si ridesse del suo menarsi la rilla. 1 Io, dormito tutto il tempo che egli mise in pensamento, apro gli occhi; e volendomi levare, ecco che mi si avventa a dosso, e non so se mai nigromante scongiurò demòni con tante novelle2 COI?, quante fece me: ma tutte invano come speranze dei fuorusciti; e volendo alfin ridurla in un bascio, anche il bascio gli negai; e udendo favellare mia madre per casa con la padrona, la chiamai; ed egli, apertagli la camera, disse: «Che assassinamenti son questi? a Baccano3 non si farebbeno »; e levando le voci, la padrona lo confortava dicendogli: >; e fattomigli incontra alla scala, dico: « Dio il sa che dolore ho avuto vedendovi partito sanza dirmi pur addio, e son tutta consolata poi che sète ritornato; e se dovessi morire, farò ciò che voi volete istanotte ». A bocca aperta mi corse a basciare in quel che io dissi cosi; e mandato per il desinare, facemmo una paciozza allegra allegra. E venuta la sera (che, secondo me, gli parse che indu1. la Tilla: cioè il membro virile (dall'arabo: «prepuzio»). 2. novelle: cioè parole. 3. Baccano; « selva famosa per gli assassinii che vi si commettevano» (Carraroli, dietro una nota dell'ediz. 1660). La selva è citata anche dal Folengo (Baldus, VI, 244; XVI, 226); il villaggio di Baccano (fra Orvieto e Perugia) è menzionato dall'Ariosto (Orlando furioso, xx.vin, 19, 6). 4. donzelle: ragazze vergini (si ricordino, due pagine sopra, donzella e donzellissima). 5. gracchiare: discutere irosamente. 6. ermesino: ermisino (stoffa leggera di seta importata da Ormuz). 7. il presente: il dono (in uso anche oggi, ma in linguaggio ricercato}.

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giasse più che non pare che indugi la ora di una posta data a uno che l'ha desiderata dieci anni), provede alla cena; e quando fu tempo ritornò meco nel letto della notte passata: e trovandomi alle sue volontà amorevole come un Giudeo a chi non ha pegno, non si poté tenere di non mi dare una frotta di pugna; e io sopportandole diceva meco: « Le ti costeranno». E riduttolo a rimenarsi lo agresto, 1 fatti gli atti che fece la notte passata, si levò; e gitosene dove era mia madre a dormire con la padrona, durò quattro ore a minacciarmi; ed ella gli dicea: « Caro messere, non dubitate, che questa altra notte voglio che muoia o che vi contenti»; e levatasi suso gli diede una cinta di taffettà doppio lunga lunga, e disse: «Tenete, legatele le mani con questa». Il goffo la piglia; e con la medesima spesa di desinare e di cena, si ricorcò meco la terza volta; e venne in tanta rabbia nel ritrovarmi scarsa fino del lasciarmi toccare che fu per darmi di un pugnale :2 e ti confesso che ne dubitai; e mi fu forza a voltargli il sedere; e tenendogliene in grembo, per cotale invito gli raddoppio la voglia del mangiare. E cominciando a frugare, sto salda alle mosse finché lo sento sdrucciolare fuora via; ma quando il presuntuoso vuole entrar dentro, gli dico: « Sarà buon di destarsi»; e sguizzateli di gremo, gli mostro il viso; ed egli mi volge a contare le travicelle, 3 e monta suso, e ce ne mette poco meno che la metà, gridando io « Oimè, oimè ». Tenendolo cosi, distende la mano e cava la borsa che aveva appiattata sotto il capezzale; e presi da dieci ducati con non so quanti giuli, me gli mette in mano e dice «Tòtegli »; e io con «Non gli voglio » stringo il pugno, lasciandocelo ire fino al mezzo: e non potendo passar più oltre, sputò l'anima. ANTONIA. Perché non ti legò con la cinta? NANNA. Come vuoi tu che mi legasse un legato ?4 ANTONIA. Tu dici il vangelo. NANNA. Quattro altre volte, prima che ci levassimo, il suo cavallo andò fino al mezzo del camin di nostra vita. 5 ANTONIA. Sì disse il Petrarca. NANNA. Anzi Dante. 1. rimenarsi lo agresto: masturbarsi (l'agresto è una specie di uva asprigna), cioè a non concludere nulla con lei. 2. darmi di uti pugnale: danni una pugnalata (colpirmi con un pugnale). 3. travicelle: del soffitto. 4. legasse un legato: evidente gioco di parola (con allusione ad un legato pontificio). 5. camin • •. vita: il riferimento al primo verso dell'Inferno è unito ad una scherzosa schermaglia fra le due donne in merito a Dante e al Petrarca.

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O il Petrarca? NANNA. Dante, Dante. E contento di ciò, tutto lieto si levò, e io ancora; e non potendo restar meco a desinare, mandatomi da farlo, tornò la sera a cena pur comperata da lui. ANTONIA. Salda1 un poco: non si avvide egli che tu non facesti sangue? NANNA. A punto :2 sanno molto di questi cortigiani3 di vergini o di martiri; io gli diedi ad intendere che il piscio fosse sangue: che, purché lo mettino là, gli basta. Ora la quarta nottata ce lo lasciai andar tutto: e nel sentircelo il valente uomo ci tramorti suso. E la mattina venuta mia madre dentro, ridendo vedendoci nel letto, mi diede la sua benedizione, salutando la Sua Signoria; alla quale (facendo io le maggior carezze di basci che sapea) disse: (< Domani vo' partir di Roma: io ho avuto lettere dal paese, dove vo' ritornare e morir fra i miei; a ogni modo Roma è per le avventurate4 e non per chi non ha ventura; e certo non mi partiva mai se si potevano vendere le nostre possessioni e comprare almeno una casa qua; e mi credei poter tòrne una a pigione, e i denari non vengano; e io non son donna da stare nelle camere altrui .•. »; e io, rompendole le parole in bocca, dissi: «Madre mia, io morrò in duo di se mi parto qui dal mio core»; e datogli un bascio con due lagrimette, eccotelo rizzare a sedere in sul letto con dire : (( Non sono io uomo per tòrvi casa e fornirvela di tutto punto? Puttana nostra vostra» ;5 e fattosi dare i suoi panni, si levò come uno che ha fretta. E balzato fuori di casa, venne in sul vespro con una chiave in mano e con duo facchini carichi di matarazzi e di coperte e di capezzali, con duo altri con lettiere e tavole, con non so quanti Giudei6 dietro con tapezzarie, lenzuola, stagni,7 secchie e fornimenti da cucina: e pareva proprio uno che sgomberasse; e menata mia madre seco, mise in ordine una casetta là dal fiume molto attillata; e ritornato a me e pagata quella che ci tenne in casa, pose le nostre cose sopra una carretta, e in sul far della notte mi ci menò; e standoci seco, spendea, per un suo pari, bene: ti dico ANTONIA.

1. Salda: conchiudi. 2. A punto: tutt'altro. 3. cortigiani: della Corte pontificia (e, quindi, familiari al mondo religioso di vergini e di martiri). 4. avventurate: fortunate (e, subito dopo, ve11tura = «fortuna»). 5. Puttana nostra vostra: cr Brutto modo di giurare», come si legge in una nota dell' ediz. 1660). 6. Giudei: sempre nel valore di cr mercanti» e di cr prestatori su pegno» (come in luoghi precedenti). 7. stagni: vasi e piatti di stagno (allora oggetti pregiati).

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bene. Ora, non apparendo io più in su la finestra di prirna, tosto si seppe dove era: e da> moresca1 degli amanti mi fu intorno come le pecchie al suono del bacino,2· o vero le api intorno ai fiori; e accettato con gli occhi per amico uno che facea il morto3 di me, per via di una sua ruffiana gli compiacei. E dandomi ciò che egli avea, cominciai a volgere le spalle al primo benefattore: che, fatto stocchi4 e tolto in credenza le cose che mi diede, non avendo di che pagare i debiti, fu scomunicato con diavoli5 e appiccato come si usa in Roma; e io, che era della buccia6 delle puttane, tanto gli scemai amore quanto gli avea scemato robba: ed egli cominciando a trovar la mia porta ghiacciata, rimproverandomi il bene che mi avea fatto, se ne partiva, come quello dalla fantasima, a coda ritta. E asciugata la borsa del secondo, mi attaccai al terzo: insomma io divenni di tutti quelli che venivano con il conquibus (disse il Gonnella);' e tolto casa grande con due massare, stava in su le signorie.8 E non ti credere che, studiando il puttanesimo, fussi un di questi scolari che vanno ••messeri" a Studio e in capo di sette anni ritornano a casa ..seri" :9 io imparai in tre mesi, anzi in dui, anzi in uno, tutto quello che si può sapere in dar martello, 10 in farsi amici, in far trarre, in piantare, 11 a piangere ridendo e a ridere piangendo, come dirò al suo luogo; e vendi più volte la mia verginità che non vende un di questi pretacci la messa novella 1. moresca: ballo (già citato, d•origine moresca). Qui è nel valore di «confusione affannosa•.Aggiungiamo l'articolo omesso dalle edizioni originali e dal1'Aquilecchia. 2. bacino: bacinella (al cui suono le api escono a frotte dalle arnie). 3. il morto: il cascamorto, 19innamorato pazzo. 4. stocchi: «debiti• (Aquilecchia). 5. con diavoli: con le raffigurazioni satiriche dei condannati (come stregoni e simili), e impiccato in effigie. 6. della buccia: della razza. 7. Gonnella: è fatto rinvio alle famose Facezie del buffone Gonnella. Due personaggi, per altro, ebbero tale nome: uno era buffone alla Corte Estense di Ferrara al tempo di Obizzo II (e ne parla il Sacchetti nel Trecentonovelle), e l'altro fu, un secolo dopo, nella medesima Corte ai tempi del duca Borso (1450-1470). Il Gonnella è registrato nelPlndice dei wellerismi, a p. 518 dell'edizione Aquilccchia. Si può utilizzare al riguardo un lavoro ivi segnalato, e già da noi citato, di CHARLF.S SPERONI, The Italian Wellerism o/ the Seventee11th Century, per In frase di cui nel testo dell'Aretino e conservata nei Proverbi italiani di F. Serdonati (manoscritto nella Biblioteca MediceoLaurenziana di Firenze). Si veda appunto Speroni, n. 0 134 a p. 33, e anche, per un'analoga frase - « Come disse il Gonnella: Danar, signore, che la puttana c'è•-, n. 135, alle pp. 33-4, con la bibliografia relativa. 8. stava • .. sig11orie: avevo messo su arie da gran signora. 9. "messeri" .•• cc seri": si notino la rima e il gioco di parola. 10. dar martello: provocar gelosie, arrovellamenti d'amore. II. piantare: nel senso di piantar carote, « dir cose false ». 0

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attaccando per ogni città polize1 alle chiese del suo cantarla. E ti vo, dire una particella dei tradimenti (che in vero cosi debbeno chiamare) che io ho fatti alla gente; e questo che ti narrerò son trame di me sola: e se tu sei albichista2 intenderai per discrezione. ANTONIA. Io non sono albichista e non voglio essere: io ti credo come a le quattro tempora, 3 e più tre volte, mi farai dire. NANNA. Io avea fra gli altri uno al qual era obligata: ma una puttana, che non ha Io animo se non al denaio, non conosce né obligo né disobligo; e avendo lo amore che ha il tarlo, tanto gli è caro uno quanto li porge: vòltati poi in là, a Lucca ti vidi. 4 Dico che a questo tale facea le maggiori stranezze che io sapea; e tanto più gliene feci quanto egli non mi dava più a man piene: pur mi dava. Io dormiva seco il venere, 5 e sempre entrava seco a gridare cenando. ANTONIA. Perché? NANNA. Per fargliene fare il mal pro'. ANTONIA. Che crudeltà. NANNA. A sua posta. E divoratomi ogni cosa, lo tratteneva fino a sette e a otto ore a gire in letto; poi, corcatami seco, gli dava da rodere con tanta villania che, scesomi da dosso rinegando il battesimo, non lo volea fare; e sforzato alla fine dallo amore, non gli facendo le carezze che aspettava, si rivolgeva a me: e io chiotta ;6 onde scotendomi dicea con le lagrime agli occhi cose bestiali: e volendomi montar sopra, bisognava che mi desse quanti denari che aveva a dosso prima che gli consentisse. ANTONIA. Tu eri una N erona. NANNA. Circa i forestieri venuti per istare otto o dieci di a Roma e poi partirsi, usai di gran forcarie. 7 Io avea alcuni sbricchi, 8 che spedivano9 meco gratis una volta in cento, i quali operava a far bravate nel modo che i dirò. Quegli che vengono per veder polize: piccole carte con su scritte (oggi si chiamerebbero •manifestini»). albichista: «calcolatrice• (Carraroli). Forse deformazione popolare di alchimista, nel senso di •sofisticatrice». Nota dell'ediz. 1660: «O aritmetico & calcolatore». 3. quattro tempora: il digiuno di tre giorni prescritto dalla Chiesa all'inizio di ogni stagione. 4. a Lucca ti vidi: proverbio del valore di cr non ti conosco e non ti devo nulla». s. il venere: il venerdl. 6. io chiotta:« Staua tutta cheta senza muouermi 11 (nota dcll'ediz. 1660). 7.forcarie: imprese da forca. 8. sbricchi: « bricconi che si mettevano al servizio di tutte le imprese losche» (Carraroli). Nota dell'ediz. 1660: • Furfante da forche». La Crusca con qualche incertezza li identifica con masnadieri, cagnotti, bricconi. 9. spedivano: facevano. I.

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Roma vogliano, viste le anticaglie, anche vedere le modernaglie, cioè le signore, facendo con esse il signore; e sempre io era la prima visitata da tali brigate: e chi dormiva la notte meco, ci lasciava . . 1 panni. ANTONIA. Come diavolo i panni? NANNA. I panni, come intenderai. La mattina veniva la fantesca nella mia camera, togliendo i panni del forestiere sotto coperta di volergli nettare; e ascosigli, levava romore che erano stati rubati. Il buon forestiere, trattosi del letto in camiscia, chiedea le sue cose con minacciarmi di sconficcare le casse1 e pagarsi; e io gridando forte gli dicea: «Tu ne romperai le casse? tu mi sforzerai in casa mia ? tu mi fai ladra?»; e udito ciò i masnadieri che stavano di sotto ascosi, corsi suso con le spade tratte dicendomi «Che cosa è, signora ?», misso le mani nel petto a colui che sendo in camiscia parea che volesse andare a odisfare un voto, chiedendomi perdonanza avea di grazia che si mandasse per il suo anuco o per il suo conoscente: del quale accattato calze, giubbone, cappa, saio e berretta, se ne partiva da me, parendogli girne bene a non aver tocche delle stacci-quieto. ANTONIA. Come te ne sopportava il core? NANNA. Benissimo, perché non è niuna cosa crudele, traditora e ladra che spaventi una puttana. E spartasi la fama della natura mia, quei forestieri che lo sapevano non ci venivano più; o se ci venivano, fattosi prima spogliare i panni dal fameglio, se gli facevano portare allo alloggiamento: poi la mattina venivano con essi a vestirgli. Con tutto questo, niuno poté mai fare che non ci lasciasse o guanti o cinte o scuffia dalla notte, perché ogni cosa fa per una puttana: una stringa, uno stecco, una nocciuola, una ciriegia, una cima di finocchio, fino a un picciuolo di pera. ANTONIA. E, con tante loro astuzie, appena si difendono dal vendere le candele ;2 e spesso il mal francioso fa le vendette dei mali arrivati: ed è pur bello a vedere una che, non potendo più appiattare sotto al belletto, ad acque forti, a sbiaccamenti, a belle vesti e a gran ventagli la sua vecchiezza, fatto denari di collane, di anelli, di robbe di seta, di scuffioni e di tutte le altre sue pompe, comincia a pigliare i quattro ordini, come i fanciulli che vogliono essere preti. NANNA. A che modo? 1. casse: cassepnnche. 2. fJendere le candele: alla porta delle chiese (quando le cortigiane sono malate e in miseria).

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Con alloggiare la turba, trasmutato i suoi ornamenti in letti; poi, fallite delle locande, diventano da pistole, cioè ruffiane; poi da vangelo, col darsi a lavar panni; poi cantano la messa1 a San Rocco, al Popolo,:' in su le scale di San Pietro, alla Pace,3 a Santo Ioanni4 e alla Consolazione,5 marchiate dalla bolla6 con che san Giobbe segna le sue cavalle7 in sul viso, e anco da qualche fregetto fattogli da quelli che perdono la pacienzia nei tradimenti loro: i quali gli hanno tratto di mano non pur le scimie e i pappagalli, ma fino alle nane con le quali fanno le imperadrici. NANNA. lo per me non sono stata di quelle; chi non ha cervello, suo danno: bisogna sapere reggersi in questo mondo, e non stare in su la reina8 non aprendo la porta se non a monsignori e a signori. Non c'è il maggior mone che quello che si fa col poco e spesso; e son baie quelle che dicono che tanto caca un bue quanto mille mosche: perché ci sono più mosche che buoi, e per un gran maestro che ti venga in casa donandoti una buona posta, ce ne son venti che ti pagano di promesse, e mille di quelli che non son gran maestri che ti empieno le mani. E chi non degna se non ai velluti è pazza; perché i panni hanno sotto di gran ducati, e so bene io che buona mancia fanno osti, pollaiuoli, acquaruoli, spenditori9 e Giudei: che gli dovea porre in capo di tavola, perché spendeno più che non rubeno. Si che bisogna attaccarsi ad altro che a sai belli. ANTONIA. La ragione? NANNA. La ragione è che quei saioni son foderati di maligni debiti; e la maggior parte dei cortigiani simigliano lumache che si portano la casa a dosso; e non hanno fiato, e quel poco che hanno ne va in olio da ungersi la barba e a lavarsi il capo; e per un paio di scarpette che tu gli vedi nuove, ne truovi cento delle spelate; e rido quando veggo fare miracoli ai drappi che portano, diventando di velluto raso. ANTONIA. Tu sei usa a vedere questi spilorci di oggidi: al mio ANTONIA.

1. cantano la messa: «chiedono l'elemosina• (Carraroli, dietro una nota dell'ediz. 1660). 2. al Popolo: a Santa Maria del Popolo. 3. alla Pace: alla chiesa cli Santa Maria della Pace. 4. a Santo loanni: a San Giovanni (in Laterano). 5. alla Consolazione: alla chiesa di Santa Maria della Consolazione. 6. bolla: per secrezioni cutanee di malattie veneree. 7. /e sue cavalle: le sue fedeli (contrassegnandole col marchio delle malattie veneree in volto come si farebbe con le cavalle sulle cosce o sulla schiena). 8. stare in su la reina: mantenere arie e usi da regina. 9. spenditori: quelli che fanno gli acquisti per le case (gli economi).

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tempo erano di una altra fatta, perché la spilorciaria dei servitori vien dalla furfantaria dei padroni. Ma torna in sul tuo. NANNA. Dico che fu uno che faceva il pratico, con dire, inteso la qualità mia, « Io la voglio lavorare1 sanza pagarla»; e venutomi in casa, con le più dolci novellette mi interteneva che tu udissi mai: mi laudava, mi serviva, e cadendomi qualche cosa di mano, ricogliendola con la berretta in mano, la basciava e poi me la porgeva con uno inchino profumato2 ti so dire. E un dì, tenendomi in ciancia, disse: « Perché non ottengo una grazia dalla Signoria Vostra padrona mia, e poi morire? »; io gli dico: «Son per farvela; chiedete pure»; «Vi supplico» disse egli «a venire a dormire meco istanotte: e desidero questo perché Vostra Signoria pigli la possessione di una mia stanzetta che vi piacerà». Io glielo prometto, ma dopo cena, però che avea a cenare meco un mio amico; ed egli allegro, per vantarsi poi che neanco da cena mi avea dato. E venuto il tempo, andai e dormii seco; e appostando che su l'alba dormisse, e uditolo ronfare, gli lascio la mia camiscia da donna nel luogo della sua che mi misi, avendo fatto nei suoi lavori d'oro disegno un mese inanzi; e venuta la mia serva, esco fuora della camera: e visto in un cantone il goluppo3 di tutti quanti i panni suoi di lino4 che aspettavano la lavandaia, postigli in capo alla fante, me ne ritorno a casa con essi. Ciò che dovette dire svegliandosi, pensalo tu. ANTONIA. Questa è da sopportare. NANNA. Egli levatosi e accortosi della mia camiscia cuscita da tutti i lati, si pensò che io per errore la avessi scambiata; ma non si trovando gli altri panni sudici, mi fe' citare a Corte Savella: 5 e funne spacciato per uomo da poco. E così mi risi ·di quello che egli si voleva ridere di me. ANTONIA. Suo danno. NANNA. Ascolta questa. Io avea un certo innamorato mercatante, buona persona, che non pure mi amava, ma mi adorava: e questo mi manteneva; e io certissimamente lo accarezzava, non essendo però guasta6 di lui. E di' a chi dice « La tale cortigiana è morta del tale», che non è vero, perché son capricci che ci entrano lavorare: usare (more uxon'o). 2. profumato: per il bel modo, s'intende. 3. goluppo: mucchio. 4. lino: stoffa molto pregiata all,epoca. 5. Corte Savelia: tribunale papale e prigione. (Si trovavano nel palazzo Savelli). 6. guasta: pazzamente innamorata (ed è parola di Crusca). 1.

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a dosso per beccar due o tre volte di un grosso manipolo; 1 i quali ci durano quanto il soarmi e le passioni d'amore,3 che io doveria lasciar di cantare per descrivere i gesti di quel Carlo Augusto4 che inalza più gli uomini a consentire che se gli dica uomo, che non abbassa gli dei a non sopportare che se gli dica iddio. E quando io non fosse degno di onor veruno mercé de le invenzioni con le quali do l'anima a lo stile, merito pur qualche poco di gloria per avere spinto la verità ne le camere5 e ne le orecchie dei potenti a onta de la adulazione e de la menzogna; e per non difraudare il mio grado, usarò le parole istesse del singulare6 messer Gian Iacopo7 imbasciadore d'Urbino: cc Noi che spendiamo il tempo nei servigi dei prencipi, insieme con ogni uomo di Corte e con ciascun vertuoso, siamo riguardati e riconosciuti dai nostri padroni bontà dei gastighi che gli ha dati la penna di Pietro».8 E lo sa Milano come cadde de la sacra bocca di colui9 che in pochi mesi mi ha arricchito di due coppe d'oro: «L'Aretino è più necessario a la vita umana che le predicazioni; -e che sia il vero, esse pongano in su le dritte strade le persone semplici, e i suoi scritti le signorili »; e il mio non è vanto, ma un modo di procedere per sostener sé medesimo osservato da Enea dove non era conosciuto.10 E per conchiuderla, accettate il dono che io vi faccio, con quel core che io ve lo appresento; e in premio di ciò, fate riverenza a don Pedro di Toledo, u marchese di Villa Franca e veceré di Napoli, in mio nome.

in un: in un solo. 2. fornisca: finisca. 3. i furori ... amore: le vicende cavalleresche di Marfisa. Cfr. la nota I a p. 540. 4. i gesti ... Augusto: le gesta di Carlo V. Quanto segue era già stato detto dall'Aretino per Francesco I: cfr. p. 48. 5. camere: salotti. 6. singulare: illustre. 7. Gian Iacopo Leonardi, conte di Monte l'Abate (ambasciatore a Venezia); il riferimento a lui, con altri brani, manca in alcune edizioni (anche nella scelta di R. Scrivano). 8. Pietro: lui stesso, Aretino. 9. colui: Antonio de Leyva, cfr. qui addietro la nota I a p. 50• . 10. e il mio . .• conoscirlto: allude probabilmente alPepisodio del I libro dell'Eneide, quando Enea, fortunosamente approdato ai lidi della Libia, cosl si presenta alla madre travestita da cacciatrice: « Sum pius Aeneas, ... / ... fama super aethera notus » (378-9), « Ipse ignotus, egens, Libyae deserta peragro • (384). 11. don Pedro di Toledo: il famoso personaggio (1484-1553), il cui nome è legato a Napoli per l'abbattimento delle mura e la grande via che popolarmente si chiama ancora col suo nome (ufficialmente via Roma). Sua figlia fu Eleonora, moglie di Cosimo I de' Medici. I.

IN QUESTA PRIMA GIORNATA DEL DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO LA NANNA INSEGNA A LA SUA FIGLIUOLA PIPPA L'ARTE PUTTANESCA

Che collera, che stizza, che rabbia, che smania, che batticuore e che sfinimento e che senepe1 è cotesta tua, fastidiosetta che tu sei? PIPPA. Egli mi monta la mosca," perché non mi volete far cortigiana come vi ha consigliata monna Antonia mia santola. 3 NANNA. Altro che terza bisogna per desinare.4 PIPPA. Voi sète una matrigna, uh, uh ... NANNA. Piagni su, bambolina mia. PrPPA. Io piagnerò per certo. NANNA. Pon giuso la superbia, ponla giuso dico: perché se non muti vezzi, Pippa, se non gli muti, non arai mai brache al culo ;5 perché oggidì è tanta la copia de le puttane che chi non fa miracoli col saperci vivere non accozza mai la cena con la merenda; e non basta lo esser buona robba, aver begli occhi, le trecce bionde: arte6 o sorte ne cava la macchia,7 le altre cose son bubbole. PIPPA. Si8 dite voi. NANNA. Cosi è, Pippa; ma se farai a mio senno, se aprirai ben le orecchie ai miei ricordi, beata te, beata te, beata te. PrPPA. Se vi spacciate a farmi signora, io le aprirò a fatto a fine. 9 NANNA. Caso che tu voglia ascoltarmi e lasciar di baloccare ad ogni pelo che vola, avendo il capo ai grilli come usi di fare mentre io ti rammento. il tuo utile, ti stragiuro per questi paternostri che io mastico10 tuttavia, u che fra .xv. di a la più lunga ti metto a mano. 12 NANNA.

1. senepe: senape (prurigine). 2. la mosca: s'intende, al naso. 3. santola: madrina. 4. Altro ••• desinare: « s'intende, non è ancora il tempo per questo tuo desiderio» (Scrivano). Terza è la u terza ora», quindi troppo presto. (La terza ora, citata anche da Dante, Par., xv, 98, corrisponde all'incirca alle 9 del mattino: si computa dal sorgere del sole). 5. non .•• culo: non farai mai fortuna. 6. arte: abilità. 7. ne cava la macchia: dà il miglior successo. (Seguiamo l'opinione di Ferrero e, con qualche lieve differenza, quelle di Scrivano e di Aquilecchia). 8. Si: cosi. 9. a fine: alla fine. 10. mastico: pronuncio in fretta. 11. tuttavia: sempre. 12. ti metto a mano: ti inizio al mestiere.

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PIPPA. Dio il volesse, mamma. NANNA. Vogli pur tu. PIPPA. Io voglio, mammina cara, mammina d'oro. NANNA. Se tu vuoi, anche io voglio; e sappi figliuola, che son più che certa del tuo diventar maggiore di qual sia mai suta1 favorita di papi, e ti veggo al Cielo: e perciò bada a me. PIPPA. Ecco che io ci bado. NANNA. Pippa, se bene ti faccio tener da la gente di .XVI. anni, tu ne hai .xx. netti e schietti, e nascesti poco doppo al roinare del conchiavi di Leone ;2 e quando per tutta Roma si gridava "palle, palle" ,3 io raitava4 "oimè, oimè": e appunto si appiccavano l'armi dei Medici su la porta di San Pietro quando io ti feci. PIPPA. E perciò non mi tenete più a vendemiar nebbia: che mi dice Sandra mia cugina che si usano di .XI. e di .xu.5 per tutto il mondo, e che l'altre non hanno credito. NANNA. Non tel nego, ma tu non ne mostri .XIV. E per tornare a me, dico che tu mi attenda senza trasognare, e fa' conto che io sia il maestro e tu il fanciullo che impara a compitare; anzi pensati che io sia il predicatore e tu il cristiano :6 ma se vuoi esser il fanciullo, ascoltami come fa egli quando ha paura di non andare a cavallo;7 se vuoi essere il cristiano, fa' pensiero di odirmi nel modo che ode la predica colui che non vuole andare a casa maladetta. 8 PIPPA. Cosi faccio. NANNA. Figlia, coloro che gittano la robba, l'onore, il tempo e sé stessi dirieto a le bagasce, si lamentano sempre del poco cervello di questa e di quella non altrimenti che il loro esser pazze gli roinasse; e non si avvedendo che le fanfalughe che hanno in capo sono la lor ventura, le vituperano e le minacciano. Onde io delibero che il tuo esser savia gli faccia toccar con mano che guai ai meschini che ci incappano, se le puttane non fosn,ta: stata. 2. roinare • •. Leone: finire del conclave da cui usci Leone X, Giovanni det Medici (II marzo 1513). 3. palle: che sono nello stemma dei Medici (e forse, in origine, erano pillole di speziale). 4. raitava: strillavo. 5. di .XI. e di .XII.: anni. 6. cristiano: nel senso usuale di a fedele ». 7. di non ... cavallo: di ricevere la punizione del «cavallo • (Cfr. Ragionamento della Na1111a e della Antonia, nota s a p. 98). Si noti la costruzione latina dei verbo timetidi. 8. casa maladetta: rinferno (già chiamato dall'Aretino casa calda: cfr. p. 176). I.

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ser ladre, traditore, ribalde, cervelline, asine, trascurate, manigolde, da poche, briache, lorde, ignoranti, villane e il diavolo e . peggio. PIPPA. Perché, voi ?1 NANNA. Perché s'elle avessero tanta bontà2 quanta hanno malizia, la gente che pure a la fine è ralluminata3 dai tradimenti e da le assassinarie che si veggano fare di di e di notte, doppo un sopportare di sei, sette e dieci anni, cacciatele a le forche, hanno più piacere di vederle stentare che non ebbero dispiacere di vedersi sempre rubar da loro: e non è altro il morirsi di fame di qualunche si sia, mentre saziano di sé stesse la lebbra, il cancaro e il mal francioso che le scanna, che il non esser mai state una ora in proposito.4 PIPPA. Io comincio a intenderla. NANNA. Odimi pure e ficcati nel capo le mie pìstole e i miei vangeli, 5 i quali ti chiariscano in due parole dicendoti: se un dottore, un filosofo, un mercatante, un soldato, un frate, un prete, un romito, un signore e un monsignore e un Salamone6 è fatto parer bestia da le pazzarone, come credi tu che quelle che hanno sale in zucca trattassero i babbioni ?7 P1PPA. Male gli trattarebbono. NANNA. E perciò non è il diventar puttana mestiere da sciocche, e io, che il so, non corro a furia col fatto tuo; e bisogna altro che alzarsi i panni e dir «Fa', che io fo », chi non vuol fallire il di che apre bottega. E per venir al midollo, egli interverrà, sentendosi che tu sei manomessa,8 che molti vorranno esser dei primi serviti; e io somigliarò un confessore che riconcili9 la ciurma, 10 coPerché, voi?: la Pippa chiede spiegazione alla madre, comprendendola nel novero delle puttane di tal sorta. 2. bontà: valentia. 3. ralluminata: illuminata (informata chiaramente). 4. Perché • .. proposito: « Il periodo è di struttura sintattica irregolare e difetta di chiarezza. Bisognerà forse ammettere una reticenza, o un'improvvisa deviazione del pensiero, dopo "quanta hanno malizia"; e intendere: "Se esse fossero così valenti e cosi accorte quanto sono malvage, non avverrebbe quel che suole avvenire, che la gente abbia piacere di vederle ridursi nell'indigenza ecc."• (Ferrero); il non esser ... proposito: il non averne mai combinata una giusta. 5. pistole . .. tJangeli: termini desunti dalla Messa (con la lettura dell'Epistola e del Vangelo). 6. un Salamone: un grande sapiente. 7. babbioni: sciocconi. 8. manomessa: emancipata, cioè professionista, con allusione parodica alla manumissio della legge romana. 9. riconcili: assolva (prima della comunione). 10. la ciurma: la massa dei fedeli. I.

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tanti pissi pissi1 arò ne le orecchie dagli imbasciadori2 di questo e di quello, e sempre sarai caparrata da una dozzina: talché ci verria bene che la stomana avesse più dl che non ha il mese; ma eccoti che io sto in su le mie, e rispondo a un servidor di messer tale: cc Egli è il vero che Pippa mia ci è stata colta, Iddio sa come (comar vacca, comar ruffiana, io te ne pagarò), e la mia figliuola, più pura che un colombo, non ci ha colpa; e da leal Nanna,3 una volta sola ha consentito, e vorria esser ben barba chi mi recassi a dargnele; 4 ma Sua Signoria mi ha incantata di sorte che io non ho lingua che sappia dirgli di no: sl che ella verrà poco doppo l'avemaria». E tu, in quello che il messo si move per trottare a portar la imbasciata, atraversa un tratto la casa, e fingendo che i capegli te si sleghino,5 làsciategli cader giù per le spalle ed entra in camera, alzando tanto il viso che il famiglia ti dia una occhiatina. PIPPA. Che importa il farlo? NANNA. Importa che i garzoni sono tutti frappatori6 e ciurmatori dei lor signori; e giugnendo questo che io dico dinanzi al suo, per furar7 le grazie ansciando8 e tutto affannato dirà: «Padrone, io ho tanto fatto che ho visto la putta: ella ha le trecce che paiano fila d'oro, ha due occhi che ne disgrazio9 un falcone; una altra cosa: io vi mentovai a posta per vedere che segno faceva udendo di voi; che più? ella mi è suta per abbrusciare con un sospiro». PIPPA. Che pro' mi faranno cotali bugie? 1. pissi pissi: sussurri di preci. 2. imbasciadori: sono i mezzani (e anche solo i ragazzi o le servette che portan notizie). 3. da leal Nanna: da quella leale che io, Nanna, sono. 4. voma .•. dargnele: e dovrebbe essere uno tanto valente che io mi inducessi a dargliela. Il passo è controverso nell'interpretazione: che mi recassi., del testo del I 584, è emendato in chi mi recassi - senza alcuna segnalazione - da Carraroli che, dietro una nota dell'ediz. 1660, spiega solo barba per «barbara• con ben poca consistenza. Il Ferrero, che già aveva emendato anch'egli in chi mi recassi e aveva illustrato accuratamente il significato del passo (cfr. gli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, edizione 1966), accoglie ora la stessa lezione dal testo Aquilecchia e così commenta: •e dovrebbe essere uomo assai valente chi mi inducesse a a concedergliela (barba, nel significato di: uomo valente, autorevole, ha esempi). Le edizioni del 1584 e del 1536 hanno: che mi recassi; e potrebbe anche stare, perché c/ie in luogo cli chi ha qualche esempio nella lingua del tempo•. Lo Scrivano conserva il che del 1584 (e del 1660), ma non commenta il passo. 5. sleghi110: allude ai nastri, che tenevano intrecciati i capelli. 6./rappatori: ciarloni. 7.Jurar: carpire. 8. ansciando: ansando. 9. ne disgrazio: ne considero vinto (per l'acutezza della vista: disgrazio = degrado). 14

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Ti cacciaranno in grazia di colui che ti desidera, facendogli parer mille anni lo aspettarti una ora: e quanti corrivi1 credi tu che ci sieno, i quali s'innamorano per sentire lodare da le fanti le lor padrone, e vengano in succhio2 mentre le bugiarde e infingarde le pongano sopra il ciel del forno ?3 PIPPA. Le fanti 4 ancora sono de la buccia dei servidori? NANNA. E peggio. Or tu te ne andrai a casa de l'uomo da bene che io ti do per essempio, e io con teco; e subito arrivata a lui, ti verrà incontra o in capo la scala o fino a l'uscio: férmati tutta in su la persona, che potria sgangararsi5 per la via; e rassettate le membra sul dosso e guardati un tratto sottomano i compagni che ragionevolmente gli staranno poco di lungi, affige umilmente i tuoi occhi nei suoi, e sciorinata che tu hai una profumata riverenzia, sguaina il saluto con quella maniera che sogliono far le spose e le impagliate6 (disse la Perugina),7 quando i parenti del marito o i compari gli toccano la mano. PIPPA. Io diventarò forse rossa a farlo. NANNA. E io allegra, perché il belletto, che ne le gote de le fanciulle pone la vergogna, cava l'anima altrui. PIPPA. Basta dunque. NANNA. Fatte le cerimonie secondo che si richiede, quello col quale tu hai a dormire, 8 la prima cosa te si farà sedere a lato, e nel pigliarti la mano accarezzarà me che, per far correre il volto dei convitati nel tuo viso, terrò sempre fitti gli occhi ne la tua faccia, facendo vista di stupire de le tue bellezze. E cosi cominciarà a dirti: « Madonna vostra madre ha ben ragione di adorarvi, perché le altre fanno donne, ed ella angeli»; e si9 avviene che dicendo simili parole si chini per basciarti l'occhio o la fronte, rivòlgetigli dolcemente e sfodera un sospiretto che appena sia inteso da lui: e si fosse possibile che in cotal atto tu ti facessi le guance del rosato10 che io dico, lo coceresti al primo. 11 NANNA.

1. corrivi: creduloni. 2. in succhio: in voglia. 3. sopra ... forno: molto in alto, quindi le lodano troppo. 4. Le fanti: le ancelle. 5. sgangararsi.: disordinarsi (nelle vesti). 6. le impagliate: cc le donne che, avendo partorito di recente, stanno ancora a letto» (Ferrero). 7. la Perugina: si tratta di qualche anùca della Nanna conosciuta col nome di origine (altre citazioni del genere sono nel corso dell'opera). 8. dormire: qui la Nanna, da buona madre, usa delicatezza nel parlare con la Pippa. 9. si: se. (E cosl subito sotto). 10. del rosato: del color cli rosa. 11. lo ••• prinw: lo innamoreresti pazzo al primo istante.

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Si, eh? NANNA. Madesi. 1 PIPPA. La ragione? NANNA. La ragione è che il sospirare e lo arrossare insieme, sono segni amorosi e un principiar di martello ;2 e perché ognuno si contiene stando in sul tirato, 3 colui che ha a goderti la seguente notte cominciarà a darsi ad intendere che tu sia guasta4 di lui: e tanto più il crederà, quanto più lo perseguitarai con gli sguardi ; e ragionando tuttavia teco, ti tirarà a poco a poco in un cantone: e con le più dolci parole e con le più accorte che potrà, entraratti su le ciance. Qui ti bisogna risponder a tempo; e con boce soave sforzati di dire alcuna parola che non pizzichi del chiasso.5 Intanto la brigata, che si starà giorneando6 meco, si accostarà a te come bisce che si sdrucciolano su per l'erba; e chi dirà una cosa e chi un'altra, ridendo e motteggiando: e tu in cervello ;7 e ta-cendo e parlando, fa' si che il favellare e lo star queta paia bello ne la tua bocca; e accadendoti di rivolgerti ora a questo e ora a quell'altro, miragli senza lascivia, guardandogli come guardano i frati le maniche osservantine ;8 e solamente lo amico che ti dà cena e albergo pascerai di sguardi ghiotti e di parole attrattive. 9 E quando tu vuoi ridere, non alzar le boci puttanescamente spalancando la bocca, mostrando ciò che tu hai in gola: ma ridi di modo che niuna fattezza del viso tuo non diventi men bella; anzi accrescile grazia sorridendo e ghignando, e lasciati prima cadere un dente che un detto laido; non giurar per Dio né per santi, ostinandoti in dire «Egli non fu cosi», né ti adirare per cosa che ti si dica da chi ha piacere di pungere le tue pari : perché una che sta sempre in nozze debbe vestirsi più di piacevolezza che di velluto, mostrando del signorile in ogni atto; e ne lo es-sere chiamata a cena, se bene sarai sempre la prima a lavarti le PIPPA.

1. Madesi: cfr. la nota 7 a p. 151. 2. martello: cfr. la nota 10 a p. 157. 3. stat1do in sul tirato: facendo lo spilorcio. 4. guasta: presa, innamorata. 5. che non pizzichi del chiasso: che non sappia del linguaggio dei chiassi (sede di lupanari), quindi che non sia triviale. Si profila in queste e nelle seguenti parole il carattere della e honesta » meretrice che deve far fortuna nella vita senza cedere al cattivo gusto. 6. giorneando: parrebbe, parlando con sussiego, con autorità. (Da giornea, veste indossata nelle soleruùtà, per cui affibiarsi la gior11ea è «far cadere le cose dall'alto»). 7. in cervello: cioè pronta a capire le cose. 8. 11101,iche osservantÌtle: monache dell'osservanza (con una regola molto severa). 9. attrattive: attraenti.

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mani1 e andare a tavola, fattelo dire più d'una volta: perché se ringrandisce ne lo umiliarsi. 2 PIPPA. Lo farò. NANNA. E venendo la insalata, non te le avventare come le vacche al fieno: ma fa• i boccon piccin piccini, e senza ungerti appena le dita p6ntigli in bocca; la quale non chinarai, pigliando le vivande, fino in sul piatto come talor veggo fare ad alcuna poltrona :3 ma statti in maestà,4 stendendo la mano galantemente; e chiedendo da bere, accennalo con la testa; e se le guastade sono in tavola, tòtene5 da te stessa; e non empire il bicchiere fino a l'orlo, ma passa il mezzo di poco: e ponendoci le labbra con grazia, noi ber mai tutto. PIPPA. E s'io avessi gran sete? NANNA. Medesimamente beene poco, acciò che non te si levi un nome di golosa e di briaca. E non masticare il pasto a bocca aperta, biasciando6 fastidiosamente e sporcamente: ma con un modo che appena paia che tu mangi; e mentre ceni favella men che tu puoi: e se altri non ti dimanda, fa' che non venga da te il ciarlare; e se te si dona o ala o petto di cappone o di starna da chi siede al desco dove tu mangi, accettalo con riverenzia, guardando perciò l'amante con un gesto che gli chiegga licenza senza chiederla; e finito di mangiare, non ruttare, per l'amor d'Iddiol PIPPA. Che saria se me ne scappasse uno? NANNA. Ohibò! Tu caderesti di collo a la schifezza, non che agli schifi.7 PIPPA. E quando io farb quello che mi insegnate e più, che sarà? NANNA. Sarà che tu acquistarai fama de la più valente e de la più graziosa cortigiana che viva; e ognuno dirà, mentovandosi8 l'altre, « State queti, che val più l'ombra de le scarpe vecchie de la signora Pippa che le tali e le cotali calzate e vestite»; e quelli che ti conosceranno, restandoti schiavi, andran predicando de le 1. lavarti le mani: con l'uso di allora, alla bacinella tenuta da servi, nell'andare a tavola. 2. se ... umiliarsi: frase derivata dal Vangelo («chi si umilia sarà esaltato•). 3. poltrona: dappoco, malcostumata. 4. in maestà: con decoro e dignità. 5. tòtene: prenditene (cioè prendi per te da bere). 6. biasciando: biascicando. 7. caderesti ••• schifi: tu saresti disapprovata dalla schifiltosità e dagli schifiltosi. (Si noti questa ripetizione per dare maggiore autorevolezza all'asserzione, come se fosse un proverbio). 8. mentovandosi: quando si citassero come esempio.

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ZIJ

tue vertù; onde sarai più desiderata che non son fuggite quelle che han i fatti 1 di mariuole e di malandrine: e pensa s'io ne gongolarò. PIPPA. Che debbo io fare cenato che aremo? NANNA. Intertienti un pochettino con chi sarà dove te, non ti levando mai da canto al drudo; e venuta l'ora del dormire, lasciaraimi ritornare a casa; e poi, riverentemente detto « Buona notte a le Signorie Vostre», guardati più che dal fuoco di non esser veduta né udita pisciare, né far tuo agio,2 né portar fazzoletto per forbirtela: perché cotali cose farieno recere i polli, che beccano d'ogni merda. Ed essendo serrata in camera, guarda pure se tu vedi sciugatoio o scuffia che te si atagli e, senza chiedere, va' lodando i sciugatoi e le scuffie. PIPPA. A che fine ? NANNA. A fine che il cane, che è a la cagna,3 ti proferisca4 o l'uno o l'altra. PIPPA. E se egli me le proferisce? NANNA. Piantagli un bascio con una punta di lingua, e accetta. PIPPA. Sarà fatto. NANNA. Poi, mentre egli si corcarà a staffetta,5 vatti spogliando pian piano, e mastica qualche parolina fra te stessa mescolandola con alcun sospiro: per la qual cosa sarà di necessità che ti dimandi, nel tuo entrargli allato: « Di che sospiravate voi, anima mia?»; allotta squinternane un altro e di': «Vostra Signoria mi ha amaliato »; e dicendolo abbraccialo stretto stretto; e basciàtelo e ribasciàtelo che tu lo arai, fatte il segno de la croce, fingendo di essertene scordata a lo entrar giù :6 e se non vuoi dire orazione né altro, mena un pochetto le labbra acciò che paia che la dica per esser costumata in ogni cosa. Intanto il brigante,7 che ti stava aspettandoti nel letto come uno che ha fame bestiale e si è posto a tavola senza esserci ancor suso né pan né vino, ti andrà lisciando con la mano le pocce,8 tuffandoci tutto il ceffo per bersele, e poi il corpo, calandola a poco a poco a la monina; e dato che le arà parecchi mostacciatine, verrà a maneggiarti le cosce: e perché le chiappettine son di 1. i fatti: le opere. 2. agio: comodo (nel senso di a:andar di corpo•). 3. è a la cagna: cioè in calore (detto anche, crudamente, per gli esseri umani). 4. proferisca: offra. 5. si. ••• staffetta: si coricherà di gran fretta (con impazienza). 6. giù: cioè in letto. 7. brigante: qui nel senso solito che spesso è nell'Aretino (come già nel Boccaccio e in altri novellieri), di a:compagnone ». 8. pocce: poppe.

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calamita, tiraranno a sé la mano che io ti dico; e festeggiatole al.. quanto, cominciarà a tentarti, con lo intermetterti il suo ginocchio fra le gambe, di voltarti (non si arrischiando di chiedertelo cosi a la prima): e tu soda; e caso ch'egli imiagolando faccia il bamboli... no cadendo nei vezzi salvatichi, non ti voltare. PIPPA. E se mi sforzasse? NANNA. Non si sforza niun, matta. PIPPA. E che è il lasciarselo far più dinanzi che dirieto? NANNA. Scimonita, tu parli propio da sciocca come tu sei; dimmi: che val più, un giulio o un ducato ? PIPPA. lo v'ho: 1 l'ariento è da men che l'oro. NANNA. Pure il dicesti. Ora io penso a un bel tratto ...2 PIPPA. Insegnatemelo. NAJ."lNA. • .. bello, bellissimo. PIPPA. Deh si, mamma. NANNA. Se pur pure egli ti va ponendo la leva3 fra le cosce per volgerti a suo modo, atasta4 si egli ha catenine al braccio o anelli in dito; e secondo che il moscone ti si raggira intorno per la tentazione che gli dà l'odore de l' arosto, prova s'egli se gli lascia tbrre: se lo fa, lascialo fare; e svalisciàtelo de le gioie, lo truffarai per lettera ;5 quando no, digli a la libera: « Dunque Vo ... stra Signoria va dirieto a cosi fatte ribaldarie ?». Cib detto, ti re.. carà a buon modo; e montandoti a dosso, fa' il tuo debito, figlia: fallo, Pippa, perché le carezze con le quali si fanno compire i giostranti son la rovina loro, il dargliene dolce gli ammazza; e poi una puttana che fa ben quel fatto è come un merciaro che vende care le sue robbe: e non si ponno simigliare se non a una bottega di merciarie le ciance, i giuochi e le feste che escano da una put... tana scaltrita. PIPPA. Che similitudine che voi fate. NANNA. Ecco un merciaro ha stringhe, specchi, guanti, coro.. ne, nastri, ditali, spilletti, aghi, cinte,6 scuffioni, balzi,' saponetti, olio odorifero, polver de Cipri,8 capelli9 e centomilia di ra... gion cose. 1° Cosi una puttana ha nel suo magazzino parolette, risi, basci, sguardi; ma questo è nulla: ella ha ne le mani e ne la ca1. tJ'ho: vi tengo (v'ho capita). 2. tratto: astuzia. 3. la leva: il ginocchio, di cui sopra. 4. atasta: tasta (tocca con cura). 5. per lettera: abilmente. 6. cinte: cinture. 7. balzi: «berrette» (nota dell'ediz. 1660). 8. polver de Cipri: cipria. 9. capelli: per fare posticci. 10. centomilia ... cose: cose di centomila generi.

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stagna i rubini, le perle, i diamanti, gli smeraldi e la melodia del mondo. PIPPA. Come? NANNA. Come, ah? Non è niuno che non tocchi il ciel col dito quando l'amica che si ama, mentre ti dà la linguina per cantone, ti grappa il cotale, e, stringendolo due o tre volte, te lo rizza, e, ritto che te Io ha, gli dà una menatina, e poi il lascia in succhio: 1 e stata cosi un poco poco, ti si reca i sonagli su la palma crivellandogli con essa soavemente; doppo questo ti sculaccia, e grattandoti fra i peli ritorna a rimenartelo: talché la pinca, che è in sapore,2 pare un che vuol recere e non pò; ma lo imbertonato3 a cosi fatte carezze si sta badiale,4 e non cambiaria il suo spasso con quello d'un porcellin grattato; e quando si vede cavalcare da colei che egli sta per cavalcare, va in dolcezza come un che compisce. 5 PIPPA. Che odo io? NANNA. Ascolta e impara a vendere le merci tue: a la fede, Pippa, che, se una che sale il suo6 amoroso fa una particella di quello che ti dirò, ella è atta a cavargli i denari degli stinchi, con altra astuzia che i dadi e le carte non gli cavano di quelli dei giuocatori. PIPPA. Io vel credo. NANNA. Tienlo pur per certo. PIPPA. Volete che io faccia ciò che voi dite con chi io vado albergo?7 NANNA. Sì, fallo. PIPPA. Come il posso io fare, standomi sopra? NANNA. Ci mancano vie da farlo saltare! PIPPA. Mostratemene una. NANNA. Eccola. Mentre egli ti gualca,8 piagni, diventa ritrosa, non ti movere, ammutisci; e se ti domanda ciò che tu hai, rugnisci9 pure; e ciò facendo, è forza che si fermi e dicati: « Cor mio, fovvi io male? avete voi dispiacer del piacer che io mi piglio ?»; e tu a lui: «Vecchietto caro, io vorrei ... » (e qui finisci) ; ed egli 1. in succhio: in voglia. 2. in sapore: in fregola. 3. lo imbertonato: Pammaliato (l'innamorato pazzo). 4. badiale: qui, solenne e contento (come in una badia). 5. un che compisce: uno che orina. 6. sale il suo: sale sul suo. 7. vado albergo: ho rapporto carnale. 8. gualca: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 7 a p. 75. 9. rugnisci: grugnisci (lamentandoti).

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dirà: «Che ?»; e tu pur mugola; a la fine, tra parole e cenni, chiariscilo che vuoi correre una lancia a la giannetta. 1 PIPPA. Or fate conto che io sia dove voi dite. NANNA. Se tu sei con la fantasia a far quel che io vorrei che tu facessi, acc6nciati bene adagio; e acconcia che sei, fasciagli il collo con le braccia e bascialo dieci volte in un tratto; e preso che gli arai il pistello con mano, strìngegnelo tanto che si finisca di imbizzarrire: e infocato ch'egli è, ficcatelo nel mozzo e spigneti inver lui tutta tutta; e qui ti ferma e bascialo; stata un nonnulla, sospira a la infoiata2 e di': «Se io faccio, farete?»; lo stallone risponderà con voce incazzita: « Sì, speranza»; e tu, non altrimenti che il suo spuntone fosse il fuso e la tua sermollina la ruota dove ella si rivolge, comincia a girarti; e s'egli accenna di fare, ritienti dicendo: «Non anco, vita mia»: e datogli una stoccatina in bocca con la lingua, non ischiodando punto de la chiave che è ne la serratura, rispigni, rimena e rificca; e piano e forte, e dando di punta e di taglio, tocca i tasti da paladina. E per istroncarla, io vorrei che facendo quella faccenda tu facessi di quelli azzichetti3 che fanno coloro che giuocano al calcio mentre hanno il pallone in mano: i quali schermiscano con artificio e, mostrando di voler correre or qua or là, furano tanto di tempo che, senza esser impacciati da chi gli è contra, danno il colpo come gli piace. PIPPA. Voi mi ammonite ne la onestade, e poi mi ammaestrate ne le disonestà a la sbracata.4 NANNA. lo non esco dei gangari punto, e vo' che tu sia tanto puttana in letto quanto donna da bene altrove: e fa' che non si possa imaginar carezza che non facci a chi dorme teco; e sta' sempre in su le vedette,5 grattandolo dove gli dole. Ahi ahi ahi PIPPA. Di che ridete voi? NANNA. Rido de la scusa che hanno trovata coloro ai quali non si rizza la coda. PIPPA. Che scusa è questa? I. correre ••• giannetta: il significato erotico ha molti esempi nel Vocabolario della Crusca, e anche di essi si vale, per la tradizione letteraria, l'Aretino, che pur tutto si ispira alla natura e alla lingua parlata. 2. a la infoiata: a modo di chi è in fregola. 3. azzichetti: •Mouimenti & dimenate di corpo• (nota dell'ediz. 16601 che dà il testo azziechetti). Da azzicare, a muo-. vere appena•• l'Aquilecchia interpreta azzichetto u piccolo movimento» (da parte della donna nel corso del coito). 4. a la sbracata: senza ritegno. 5. in su le vedette: molto attenta.

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NANNA. Il dar la colpa al troppo amore; e certo certo, se rion fosse il dir cosi, rimarrebbono più impacciati che non sono i medici quando lo ammalato, che domandano s' ei va del corpo, risponde cc Si», non sapendo dargli altro rimedio: onde si vergognano come i vecchi che, montatici a dosso, ci pagano di doppioni1 e di cantafavole.2 PIPPA. Appunto vi voleva dimandare come io mi ho ad arrecare3 sotto un bavoso correggero+ che puzza di sotto e di sopra, e in che foggia io mi ho a lasciar pestare dal suo starmi tutta notte a dosso: e mia cugina mi racconta che una non so chi venne meno in cotal novella. 5 NANNA. Figliuola, la soavità degli scudi non lascia arrivare al naso i fiati marci né la puzza dei piedi: ed è peggio il tòrsi una ceffata che il sopportare il cesso che è ne la bocca di chi spende comperando il patire che si fa dei lor difetti a peso d'oro. E stammi a udire, che ti vo' contare come hai a reggerti con ogni musico musicorum,6 e come tu maneggi le nature altrui: e che tu le voglia sopportare con pacienzia, tu sei più padrona di quel che loro hanno che non sono io tua e mia. PIPPA. Entratemi un poco in su questi vecchi. NANNA. Eccoti a cena con quei lussuriosi che hanno buona volontà e triste gambe. 7 Pippa, le vivande ci sono a sbacco,8 i vini a l'ordine, 9 le ciance a la signorile; e chi gli ode frappare10 diria « Questi tali andranno .xv. migliau per ora»: e se le prove del letto si assimigliassero a quelle che fanno intorno ai fasciani 12 e a la malvagia, ne incacarebbero13 Orlando.14 Ma se contentassero !'amiche in chiavarle come le contentano in darle dei buon bocconi a tavola, beate loro I I boriosi e volonterosi, sperando nel pevere,15 doppioni: nel senso generico di «denari•· 2. cantafavole: qui, nel significato di «chiacchiere». 3. a"ecare: comportarmi. (Il testo del 1584 e quello del 1660 danno: areccare). 4. bavoso co"eggero: vecchiaccio bavoso, buono solo a menar scorregge. s. venne .•• novella: svenne in tale contingenza. 6. musico musico"'m: il latino in bocca della Nanna sa di parodia, anche se ripete inconsciamente formule di ecclesiastici e di causidici. 7. triste gambe: cioè in fatto d,amore non son capaci a niente. 8. a sbocco: a iosa. 9. a l, ordine: di ottima qualità. I o. frappare: ciarlare. 11 . •XV. miglia: cioè a staffetta (per stare ad allusioni erotiche negli scrittori satirici del Rinascimento). 12.fasciani: fagiani. 13. ne incacarebbero: supererebbero svergognandolo. 14. Orlando: Peroe paladino, di cui nei poemi cavallereschi italiani oltre che nei Reali di Francia. 15. pevere: pepe (come afrodiasiaco, al pari di altri cibi e medicamenti, subito dopo citati). I.

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nei tartufi, nei cardi e in certi lattovari calidi che vengano di Francia, ne fanno maggiori scorpacciate che i contadini de l'uva; e inghiottendo l'ostrighe senza masticarle, vorrebber pure far miracoli. A cosi fatte cene puoi tu manicare quasi senza ceri. monte. PIPPA. Perché? NANNA. Perché il piacer loro è d'imboccarti come si imboccano i bambini: e hanno più sollazzo che si mangi a l'affamata che non ha il cavallo del sufolare del famiglio che lo abevera; e poi i vecchi son nimichi de le sposarie. 1 PIPPA. Si che io potrò, mangiando seco, rendere i coltellini a le continenze dette di sopra. NANNA. A 2 la croce d'Iddio che tu mi riesci: e se vai di bene in meglio, !'altre restaranno come il prete da le poche offerte. Mi era smenticato di avvertirti che non ti netti i denti col tovagliuolo, risciacquandogli con l'acqua pura, tosto che arai cenato coi vecchi (come farai nel tuo cenar coi giovani): perché potrebbero schifarsi, con dir seco stessi «Costei dileggia i nostri, che si dimenano standoci in bocca appiccati con la cera». PIPPA. Io me li voglio forbire a lor posta. NANNA. Faccende. PIPPA. Orsù, io non me gli nettarò. NANNA. Tu puoi ben razzolargli intorno con uno stecco di ramerino3 ascosamente. PIPPA. Veniamo al coricarsi seco. NANNA. Ah! ahi ahi lo non mi posso tener di ridere, perché bisogna che si guardino di non andar al destro4 come ho detto che te ne guardi tu: oh che vesce, oh che loffe che trannol I mantici dei fabri non soffiano si forte; e mentre torcendo il muso si sforzano di cacare stroppelli, 5 tengano in mano uno scartoccio di peneti6 per racquetar la tossa che gli crocifigge. È ben vero che, spogliandosi in giubbone, son vaghi da vedere. Come si sia, essi, che si ricordano de la gioventudine come dei sermenti verdi gli asini e le micce, 7 stanno in zurlo8 con più appetito che mai; e abbracciando la ninfa, non ti patria dire con che filastroccola la 1. sposarie: • gentilezze di spose» (nota dell'ediz. 1660). 2. A: per. 3. ramerino: rosmarino. 4. destro: cesso. 5. stroppelli: probabilmente II sterpi• (o II cordame», da stroppo) : oggi si direbbe «stoppini». 6. peneti: cfr. la nota 3 a p. 200. 7. micce: asine. 8. zurlo: bramosia.

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lusingano; e quelle cianciarelle che le balie usano ai fanciulli che non sanno ciò che si voglino, sono i confetti loro. Ti mettano lo spaviere in pugno, ti suggano le pocce, salgonti a dosso a cavalcioni e ti voltano di qua, ti aggirano di là; onde tu, solleticandogli e sotto le braccia e nei fianchi, méttetegli intorno: e come l'hai fatto risentire, ripiglialo e diguazzalo con tanti arzigogoli che egli alzi la testa balordon balordoni. PIPPA. Anco quei dei vecchi si levano in superbia? NANNA. Qualche volta, ma l'abbassano tosto; e se tu vedesti tuo padre buona memoria, quando ne la sua malatia si sforzava di levarsi a sedere sul letto ricadendo subito a ghiacere, vedi la menchia d'un simile, la quale è de la natura dei lombrichi, che rientrano in sé stessi e risospingansi in fuora caminando. PIPPA. Mamma, voi mi avete insegnato gli atti che io ho a fare stando di sopra e ogni cacariuola che ci accasca, 1 ma non come io l'ho a conchiudere. NANNA. Non dire altro, che io ti afferro: e mi cresce di sorte l'animo, vedendoti stare a casa, che io vado in cimhalis;,,, e tornando indrieto, dico che tu vuoi dire che io ti dica a che ti hanno a servire i savoretti3 che tu farai standoti sopra il fottente (parlando a l'usanza). PIPPA. Voi l'avete pel ciuffetto. NANNA. Non ti ricordi tu, Pippa, quando il Zoppino4 vendette in banca5 la leggenda di Campriano ?6 PtPPA. Mi ricordo di quel Zoppino che quando canta in banca tutto il mondo corre a udirlo. NANNA. Quello è desso. Hai tu in mente il ridere che tu facesti, sendo noi dal mio compar Piero, mentre con la Luchina e con la Lucietta sue lo ascoltavate? PIPPA. Madonna si. NANNA. Tu sai che 'l Zappino cantò come Campriano cacciò r. cacariuola che ci accasca: cosetta che càpita. 2. in cimbalis: in allegria. (Propriamente in cymbalis, dal salmo 1501 s; in Toscana anche in cimberli). 3. savoretti: piccoli sapori (delizie). Il Carraroli legge nel testo: favoretti. 4. Zappino: libraio ed editore di grande notorietà nel Cinquecento. 5. in banca: alla fiera. 6. la leggenda di Campriano: la storia favolosa di Campriano contadino, di cui in pubblicazioni popolari dell'epoca. Sull'astuzia di lui si veda la Ston·a di Campriano contadino, a cura di Albino Zenatti (Bologna, Romagnoli, 18841 «Scelta di curiosità letterarie inedite o rare», 200: con ristampa anastatica, ivi, Commissione per i testi cli lingua, 1968).

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tre lire di quattrini nel forarne del suo asino : e menollo a Siena e lo fece comperare a due mercatanti cento ducati, dandogli ad intendere che egli cacava moneta. PIPPA. Ahi ahi ahl NANNA. Poi seguitò la storia fino a la metà: e come ebbe adescata la turba ben bene, voltò mantello; 1 e inanzi che si desse a finirla, volse spacciar mille altre bagattelle. PIPPA. La non mi va. NANNA. Sai tu, baston de la mia vecchiezza, quello che ti interverrà lasciandomi finir di favellare ? PIPPA. Che? NANNA. Quello che interviene a chi mira un che si tuffa sotto acqua notando: che sempre il vede apparire dove mai non pose mente. Dicoti che, come l'arai messo in dolcezza coi tuoi atti di sorte che stia per isputar la lumaca senza guscio, férmati con dire « Io non posso più»; prieghi a sua posta,2. di' pure « lo non posso». P1PPA. Dirò anco (( Io non voglio». NANNA. Dillo: perché, dicendolo, verrà in quella volontà che ha chi, ardendo di sete per la febbre che il fa bollire, si vede strappar di mano una secchia d'acqua fresca che la compassione del suo famiglia, traendola del pozzo allotta alletta, gli aveva data. E nel tuo far vista di smontar da cavallo ti prometterà cose grandi: e tu in contegno. 3 A la fine, lanciatosi a la borsa, ti gli darà tutti mentre, fingendo tu di non gli volere, stenderai la mano per torgli: perché il dire «non voglio » e «non posso » in sul bel del fare, sono le recette che vende il Zappino, nel lasciare in secco la brigata che smascellava, stroncando4 la novella di Campriano. PIPPA. Gli è fatto il becco a l'oca. Ora al vecchio. NANNA. Al vecchio che, sudando e ansciando più che non suda e non anscia uno al quale fa il culo lappe lappe, 5 ti stemperarà tutta quanta nel fartelo noi facendo, è forza dar la baia; e ponendogli il viso sul petto, dire « Chi è la vostra putta ? chi è il vostro sangue?» e cc Chi è la vostra figlia? Pappà, babbino, babbetto, non sono io il vostro cucco?»; e grattandogli ogni bruscolino e ogni rughetta che gli trovi a dosso, digli (e ninna, ninna», cantando an1. volti, mantello: cambil> modo. 2. prieghi a sua posta: preghi (invochi) pure fin che vuole. 3. e tu in contegno: e tu sta' contegnosa. 4. stro11ca11do: interrompendo 5. lappe lappe: tremolio in segno di paura.

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cora una canzoncina sottovoce trattandolo da rimbambito: e so eh' egli ti si rivolgerà con atti bambineschi e chiamaratti «mammina, mammotta » e «mammetta». In questo affrontalo, e atasta se la scarsella è sotto il piumaccio: ed essendoci, non ce ne lasciare uno; e s' ella non ci è, faccela essere. E cotale arte bisogna usare, perché i miseroni lambiccano un danaio quattro ore quando non si trastullano: e se ti promettano veste o collane, non te gli spiccar da le spalle finché non si ordina il dono. Poi, o co le dita o con quello che gli pare, mettinlo pure nel dritto e nel rovescio, che non te ne darei un pistacchio. PIPPA. Non dubitate. NANNA. Odi questa: eglino son gelosi, ed entrano sul gigante1 menando le mani con le parole a la bestiale: ma se gli vai ai versi, oltre che pioveranno i presenti, ne cavarai uno spasso de raltro mondo. E mi par vedere uno più scaduto che il bisavolo de rAnte-cristo, con i calzoni e il giubbone di broccato tutto tagliuzzato, con la berretta di velluto impennacchiata, coi puntali e con un martello di diamanti in una medaglia d'oro, con la barba d'ariento di coppella, 2 e le gambe e le mani tremolanti, la faccia guizza; caminando a schincio 3 spasseggiarà fin entro4 al dl intorno a casa, fischiando, abbaiando e ronfiando come i gatti di gennaio. E sto per iscompiscianni sotto per le risa pensando a una berta che rifaria il millesimo.5 PIPPA. Ditemela. NANNA. Un ceretan poltrone6 gli diede ad intendere che aveva una tinta da barbe e da capegli, si nera e si morata che i diavoli son bianchi a comperazione.7 Ma la voleva vender sl cara che lo fece stare parecchi e parecchi di a dargli orecchie. A la fin fine, parendogli che la sua testa di porro e la sua barba di stoppa gli scemassi reputazione con l'amore, contò .xxv. ducati vineziani al ceretano; il quale, o fosse per burlarlo o fosse per giuntarlo,8 gli fece i capegli e la barba del più azzurro turchino che dipignesse mai coda di cavallo barbaro9 o turco: di modo che bisognò 1. entrano sul gigante: cfr. la nota 2 a p. 146. 2. di coppella: finissimo. (La coppella è un crogiuolo, dove si affinano l'oro e Pargento). 3. a schincio: per traverso. 4.fin entro: .fino. 5. berta ••• millesimo: 11burla che farebbe ridere mille persone» (Carraroli, in parte dietro una nota dell'ediz. 1660). 6. poltrone: malfattore. 7. comperazio1ze: paragone. (Si noti la forma popolare). 8. giuntarlo: truffarlo. 9. barbaro: cfr. la nota 2, a p. 63 •

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raderlo fino a la cotenna, onde ne fu favola del popolo un tempo; anzi se ne ride ancora. PIPPA. Ahi ah! ah! Me lo par vedere, vecchio pazzo. Ma se me ne dà alcuno ne l'unghie, voglio che sia il mio buffone. NANNA. Anzi fa' il contrario; né lo soiare1 per conto alcuno, e massimamente dove son brigate: perché la vecchiezza dee riverirsi; poi saresti tenuta una sciagurata e una scelerata a dar baie a un cotal uomo: io voglio che tu dimostri di averlo nel core, inchinandotigli per ogni paroluzza che ti dice; onde nascerà che degli altri vecchi ringiovaniranno amandoti : e se pur pur vuoi tortene riso, fallo qui fra noi. PIPPA. A farlo, se facendolo ho a far bene. NANNA. Entriamo ne le signorie. 2 PIPPA. Entriamoci. NANNA. Ecco un signore ti richiede: e io ti mando o tu vai, tanto è. Qui ti conviene dar del buono, perché sono avvezzi con gran donne, e più si pascano di ragionamenti e di chiacchiare che d'altro. Sappi favellare, rispondi a proposito, non iscappare trasandando di palo in frasca: perché i servidori suoi, non pur Sua Signoria, ti faranno drieto i visacci; non ti recar là da goffa né da civetta, ma gentilmente. E se si sana o canta, tieni sempre tese le orecchie al suono e al canto, lodando i maestri de l'uno e de l'altro, benché tu non te ne diletti e non te ne intenda; e se ci è alcun vertuoso, accòstategli con faccia allegra, mostrando di apprezzar più loro che (mi farai dire) il signor ch'è ivi. PIPPA. A che fine? NANNA. Per buon rispetto. PIPPA. Suso!3 NANNA. Perché non ti mancarebbe altro se non che un tale ti facesse i libri contra, e che per tutto si bandisse di quelle ladre cose che sanno dir de le donne: e ti staria bene che fosse stampata la tua vita come non so chi scioperato ha stampata la mia,4 come ci mancassero puttane di peggior sorte di me: e se si avesse a squinternare gli andamenti di chi vo' dir io, si oscurarebbe il sole. E quanti abbai sono suti fatti sopra il fatto mio! Chi riprende ciò che io ho detto de le suore, dicendo «Ella mente d'ogni 1. soiare: burlare. 2. ne le ngnorie: in quanto riguarda i signori (nobili). 3. Suso/: sul 4. come ••. la 111ia: allusione al Ragionamento della Nanna e della Antonia.

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cosa», non si accorgendo che io lo dissi a l'Antonia per farla ridere e non per dir male, come forse arei saputo dire: ma il mondo non è più desso, né ci pò più vivere una persona che ci sa essere. PIPPA. Non collera. 1 NANNA. Guarda, Pippa: io son suta suora, e ne uscii perché ne uscii: e s'io avessi voluto informar l'Antonia come elle si maritano, e chiamano il frate "la mia amicizia", e il frate chiama la suora "la mia amicizia", lo arei molto ben saputo dire. E solamente a contare le cose che i brodai2 raccontano a le sue amicizie quando tornano da predicare di qualche lato, faceva stupire le stigmate: perché io so ciò che fanno con le vedove che gli presentano di camisce, di fazzoletti e di desinari; e le tresche e i guazzabugli. E fu pur grande quella di colui che mentre si scagliava in sul pergamo come un drago, mettendoci tutti per perduti, gli cadde fra il popolo, che a la moccicona3 lo ascoltava, la berretta che si teneva ne la manica; onde viddero i ricami ascosti: nel mezzo del di drento stava un core di seta incarnata che ardeva in un fuoco di seta rossa; e intorno a rorlo, di lettere nere si leggeva: Amor vuol fede, e l'asino il bastone;4 talché la turba, scoppiata nel tuono de le risa, la riposono5 per reliquia. E circa le figure di santa Nafissa e di Masetto da Lampolecchio,6 non è ver nulla; e certissimamente in cambio dei cotali7 ci sono appiccati per le mura cilici, discipline con le punte di agora,8 pettini aguzzi, zoccoli con le guigge, 9 radici che testimoniano il digiuno che esse non fanno, ciottole di legno con le quali si misura l'acqua che si dà a chi fa astinenzia, capi di morti10 che fanno pensare al fine, n ceppi, corde, manette, flagelli: le quali cose impauriscano chi le guarda, e non chi erra, né chi ce le appicca. 1. Non collera: non t'arrabbiare. 2.. i brodai: qui sono i frati in genere. 3. a la moccicona: al modo dei babbei. 4. 1 Sembra essere una parafrasi scherzosa del proverbio "Amor vuol fede, e fede vuole fermezza"» (Aquilecchia, nell'Indice dei capoversi e dei versi. citati, p. 515, con vari riferimenti a Proverbi volgari, a un motto quattrocentesco e a Luca Pulci). (Fede = a fedeltà»). 5. riposano: riposero. 6. santa •.• Lampoleccliio: si ricordino gli accenni del Ragionamento della Nanna e della Antonia (a p. 60, nota I e a p. 61, nota 8). 7. cotali: cfr. pp. 58-9. 8. agora: aghi. 9. guigge: la parte di sopra degli zoccoli (o delle pianelle), o come spiega Carraroli: « strisci e di cuoio per tenere gli zoccoli al piede •· I o. capi di morti: teschi. I I. al fine: cioè alla morte.

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È possibile che sieno tante novelle ?1 NANNA. Ci sono anche di quelle che io non mi ricordo. Ma che averebbono detto alcune ignorantuzze, alcune fiuta-stronzi, se io avesse publicato2 in che modo la maestra de le novizie si avvede3 quando suora Crescenzia e suora Gaudenzia è al cane ?4 Petegole di feccia di birro, che voi siate scopate,5 poiché date di becco fino al favellare de chi ve ne terria a scuola. PIPPA. Che, non si pò favellar, come altri vole? NANNA. Tanto abbin fiato le scimonite come esse non fanno mai altro che appuntare6 ciò che si favella a la usanza del paese, minuzzando le lor dicerie come si minuzza il radicchio: e ti prego, figliuola mia, che non eschi de la favella che ti insegnò màmmata, lasciando lo "in cotal guisa" e il "tantosto,, a le Màdreme;7 e dagliene vinta quando elleno con alcune voce nuove e penetrative8 dicano «Andate, che i Cieli vi sieno propizi e l' ore propinque», dileggiando chi favella a la buona, dicendo "vaccio", "a buonotta', ,9 "mo' mo'" , "testé testé" , "alitare" , "acorruomo" , "raita", 10 "riminio,,, 11 "aguluppa" ,1 2 "sciabordo", "zampilla", "cupo", "buio", e cento mille d'altre parole senza fette. 13 PIPPA. Cornacchie. NANNA. Tu l'hai battezzate bene, poiché vogliano che si dica "tosto" e non "presto", "in molle" e non "in macero"; e se dimandi loro perché, rispondano: «Perché "porta" e "reca" non è di regola»; di modo che è un pericolo di aprirci più bocca. Ma io, che sono io, favello come mi pare e non con le gote tronfie, sputando salamoia; vado coi miei piedi e non con quelli de la grue; e do le parole come elle vengano, e non me le cavo di bocca con PIPPA.

nooelle: novità (cose del genere). 2. p"blicato: reso di pubblica ragione. 3. si afJfJede: s'avvide. 4. l al cane: cfr. p. 213 e la nota 3. 5. scopate: fustigate pubblicamente. 6. appuntare: biasimare. 7. Màdreme: cortigiane letterate sul tipo di Lucrezia Màdrema-non-fJole: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota s a p. 127. Sul termine generico cfr. Ragionamento predetto, nota 3 a p. 136 anche per "in cotal guisa" e "tantosto" quali forbitezze di lingua e per voci che seguono quali "vaccio" e "sciabordo". 8. penetrative: acute (nel senso dell'acutezza, della sottigliezza preziosa). g. "buonotta": buonora. 10. "raita": cfr. la nota 4 a p. 207. Il raitare è causato dal dolore: è una forma aretina fra le diverse usate dall'autore. II. ccriminìo": rimenlo. È dato dall' Aquilecchia come esempio di lessico colloquiale toscano. 12. "aguluppa": avviluppa. È un esempio di lessico popolare toscano. 13.fette: fronzoli (originariamente nastri); «senza uerun buon boccone, insipide & senza gusto» (nota dell'ediz. 1660). I.

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la forchetta.X Perché son parole e non confezioni; e paio, favellando, una donna e non una gazzuola:z e perciò la Nanna è la Nanna; e la genia che va cacando verbigrazie, apponendo al pelo che non fu mai ne l'uovo, non ha tanto credito che gli ricopra il culo; e in capo de le fini, chi tutto biasima senza far nulla, non fa mai sbucare il suo nome de3 le taverne: e io ho fatto trottare il mio fino in Turchia. Si che, cibeche,4 io voglio ordire e tessere le mie tele a mio senno; perché so dove trovarmi l' accia5 per le fila che ci vanno, e ho molti gomitoli di refe per cuscire e ricuscire i miei6 sdrusciti e tagliati. PIPPA. Le sfatate7 vanno stuzzicando il formicaio: e scoppiàno8 se un di non gli facciamo le fica9 a occhi veggenti, da che cincischiano il nostro favellare. NANNA. Gliene farem certo. To' su questa: una sibilla, una fata, una beffana che insegna a cinguettare ai pappagalli, mi dimandò non ier l'altro quel che vuol dire "anfanare", "trasandare", "aschio", 10 "ghiribizzo", "merigge", "trasecolo", "mézza",11 "moscia", "sdrucciola" e "razzola"; e mentre io le chiariva le cifere, 12 l'andava scrivacchiando: e mo' se ne fa bella come fosse sua farina. Ma io, che vivacchio a la schietta, non me ne curo; e non mi dà noia se "covelle" è più goffo che "nulla". PIPPA. Non baloccate più con le punteruole, 13 perché il cervello mi s'ingarbuglia: onde mi si scordarà tutto quello che importa al caso mio. NANNA. Tu hai ragione; e la stizza che io ho de le alfane14 che stanno in sugli archetti15 facendo insalatucce e salsette di pa1. me le ..• forchetta: si veda Pespressione •parlare in punta di forchetta•, cioè forbitamente. 2. gazzuola: gazza. 3. sbucare .•. de: uscire da. 4. cibeclie: «gufe e goffe che uoi sete» (nota dell'ediz. 1660 che ha Cibecche). 5. l'accia: la matassa. 6. i miei: i miei panni. 7. sfatate: disgraziate. 8. scoppiàno: intendiamo «scoppiamo» (come forma popolare, con pronuncia scoppiàno, senza emendare in scoppiamo, come fa Ferrero, che interpreta: «non possiamo più contenerci»). 9.facciamo le fica: in segno di dispregio. (Cfr. Dante, Jnj., xxv, 2). 10. ascliio: astio (invidia). II. "mézza": seguiamo l'interpunzione e l'accentazione date da Ferrero che interpreta: «mézza, troppo matura, vicina a marcire». Aquilecchia dà "mezza moscia" (dove mezza, indicata come parte, non sembra aver motivo di essere un vocabolo citato dall'Aretino nella sua critica linguistica). 12. le chiariva le cifere: le interpretavo le parole che le erano come scritture segrete (appunto da decifrare). 13. puntemole: puntigliose. 14. alfane: «donne spilunghe » (Carraroli). La Crusca reca l'esempio di alfana « ch'era una gran cavalla, e valorosa» dell'Orla11do innamorato del Boiardo. 15. stan110 • • • archetti: fanno le difficili.

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roline affamate, e con ostinazione di zecche e di piattole la voglion vincere, mi ha fatto uscir del seminato. Pure io mi rammento che ti diceva come devi accarezzare i vertuosi che il più de le volte si ritrovano a le tavole dei signori. PIPPA. Cotesto mi diciavate di bel punto. NANNA. Accarezzagli, ragiona con loro; e per parere che tu ami le virtù, 1 chiedegli un sonetto, uno strambotto, un capitolo e simili pazzie: e quando te gli danno, basciagli e ringraziagli non altrimenti che tu avessi ricevuto gioie. E tuttavia che ti picchiano a l'uscio, aprigli sempre: perché sono discreti; e se ti veggano occupata, senza altro cenno se ne andranno, corteggiandoti doppo le spedizioni.2 PIPPA. E se pur pure io non avessi fantasia d'aprirgli, che sarebbe? NANNA. Saresti zombata3 da le più crudeli villanie che s'udisser mai: per che, tra il cervello che gareggia seco a ogni punto di luna e lo sdegno che pigliarieno per ciò, guarda la gamba. E perché egli è propio costume di donna il non appiccar mai una parola con l'altra, prima che io ritorni al signore col quale sarai, vo' dirti un trattetto4 che favellandoti dei vecchi m'era uscito di mente. PIPPA. Debbe esser galante, poiché ritornate indrieto per dirmelo. NANNA. Ah! ah! Io voglio, Pippa, che di quei confetti che si spargeranno per tutta la tavola levata la tovaglia, che tu ne pigli .v. grani e che, bugliandoli, 5 tu dica: «S'essi fanno bella croce, il mio vecchio caro e dolce non ama se non me; se la croce è sgangherata, egli adora la tale». Pippa, se la croce stia bene, alza le mani al cielo; poi, allargate le braccia, legalo tutto con esse e dagli un bascio con tante cacabaldole6 quante ti sai imaginare: intanto lo vedrai cader giuso come uno che crepa de caldo dove fiata un poco di ventarello. Caso che la croce venga male, lasciati scappare, se si può, due lagrimucce accompagnate da due sospiri ladri; e lèvati da sedere e vanne al fuoco, facendo vista di stuzzicarlo con le molli7 perché te si trapassi la collera: in questo il co1. le virtù: le cose eccellenti (da cui vertuosi di sopra, detto nel medesimo significato di oggi: «virtuosi del canto», e simili). 2. doppo le spedizio11i: dopo le loro imprese (dopo aver sbrigato le loro faccende). 3. zombata: colpita (originariamente, «picchiata»). 4. trattetto: una piccola astuzia. 5. bugliandoli: mescolandoli. 6. cacabaldole: moine. 7. le molli: le molle.

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glion bue te si avventarà a dosso, rimbambitamente giuracchiandoti per corpi e per sangui che madesl; e tu, andandotene in camara, affrontalo fin d'un non so che prima che tu facci la pace. PIPPA. Io vi servirò, mamma. NANNA. Non ho altra fede, figlia. Eccoti al signore, eccoti a lui che frappa 1 d'amori dicendo cc La signora tale, madama cotale, la duchessa, la reina » (e la merda che gli sia in gola) (< mi diede questo favore, e questo altro quella altra»; e tu lauda i favori, e stupisciti come tutte le belle di Tunisi non si battezzano per tirarselo a dosso ; e mentre egli entra in su le prove che ha fatto ne lo assedio di Firenze e nel sacco di Roma, 2 accòstati a quello che ti è più presso e digli, che il giorneon3 ti intenda, «Oh, che bel signore! La grazia sua mi cava di sesto»; ed egli, fingendo di non intendere, si pavoneggiarà tutto. E sappi che chi non usa seco le astuzie che usano i cortigiani del mal tempo4 con i monsignori, ponendo sopra de le gerarchie le lor gaglioffarie, 5 gli diventa nimici. PIPPA. lo l'ho inteso. NANNA. Adulazione e finzione son la pincia6 dei grandi: cosi si dice; e perciò sbalestra la soia con7 tali, se vuoi carpirne qualche cosa; altrimenti tu mi ritornarai a casa con la pancia piena e con la borsa vota. E se non che la loro amicizia ha de l'onorevole più che de l'utile, ti insegnerei a fuggirgli: perché vorrebbero esser soli al pacchio ;8 e perché son signori, che altri non ne desse ad altri; e han per manco, come non vieni o non gli apri, di mandar gli staffieri a bravar la porta, la strada, le finestre e la fante, che di sputare in terra. E paiono quei cagnacci che si imbattono dove molti cagnoletti montano una cagnola: che, sbranando questi e quelli coi rinchi9 e coi morsi, tengano tutta la via; e non ci è dub1. frappa: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 4 a pp. 109. assedio ••• Roma: uno del 1530 e l'altro del 1527. 3. il giorneon: que-

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gli che si sta giorneando (dando dell'importanza solenne), cioè il vanaglorioso. 4. del mal tempo: «intenderei: del tempo avverso (quando i Signori sono maldisposti)» (Ferrero). 5. sopra . .. gaglioffarie: «pare certo che gerarchia qui valga: gelarchia, fantasia strana, capriccio; e perciò tutta la frase significherà: ponendo sopra le loro fantasie strane le proprie buffonerie (divertendoli con le buffonerie)» (Ferrero). Forse gerarchie indica le «grandigia» dei Signori. 6. la pincia: la predilezione (letteralmente: la favorita). 7. sbalestra la soia con: loda senza misura. (Erroneamente il Carraroli: «Pratica con tali persone», certo per aver frainteso una nota dell 'ediz. 1660 al termine sbalestra: «scocca, usa, adopra»). 8. al pacchia: a mangiare (si veda oggi: pacchia). 9. rinchi: ringhi.

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bio che tal pratica dà la fuga a chi ha paura di concorrer con loro, ed è perfetta per quelle che han più caro il fume 1 che l'arosto. PIPPA. Dio mi aiuti con questi signori. NANNA. Ma io ti vo' donare un colpetto che, se i villani crepassero, gli costarà. Come Sua Altezza si comincia a spogliar per corcarsi, togli la sua berretta e pontela in capo; poi ti vesti il suo saio, e da' due spasseggiatine per camera: subito che il messere ti vede diventata di femina maschio, te si avventarà come la fame al pan caldo; e non potendo patire che tu vada a letto, ti vorrà fare appoggiar la testa al muro o sopra una cassa. Quello che io ti vo' dire è che tu ti lasci prima squartare che tu gliene dia, s'egli non ti dà la berretta e il saio per venir poi a lui con l'abito che più diletta ai signori. PIPPA. La vacca è nostra. 2 NANNA. Ma sopra tutte le cose, studia le finzioni e le adulazioni che io ti ho detto, perché sono i ricami del sapersi mantenere. Gli uomini vogliono essere ingannati; e ancora che si avveghino che si gli dia la baia e che, partita da loro, gli dileggi vantandotene fin con le fanti, hanno più caro le carezze finte che le vere senza ciance. Non far mai carestia di basci né di sguardi né di risi né di parole; abbi sempre la sua mano in mano, e talvolta di secco in secco strigneli i labbri coi denti si che venga fuor quello "oimè" troppo dolcemente fatto nascere da chi si sente traffigere con dolcezza: e la dottrina de le puttane sta nel saper cacciar carote a' ser corrivi.3 PIPPA. Voi noi dite a sorda né a muta. NANNA. Io penso •.. PIPPA. A che? NANNA. . .. a me, che voglio insegnarti i modi che debbi tenere per riuscir dove io spero vederti; e io, insegnandotigli, metto ne la via coloro che aranno a far teco: perché, sapendosi ciò che io ti dico, saprassi anco, non ti credere, quando usarai le tue arti; e cosi i miei avvedimenti simigliaranno una di quelle dipinture che da tutti i lati guardano chi le mira. PIPPA. Chi volete voi che lo bandisca? i.fume: fumo. 2. La ••• nostTa: •Stà bene il negotio, io l'intendo, & non ci mancherò» (nota dell'ediz. 1660). 3. cacciaT • •• corrivi: piantar carote (dar a intendere cose non vere) ai messeri (ser è piuttosto titolo dovuto a notai ed altri personaggi di riguardo) creduloni.

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Questa camera, quel letto quivi, le seggiole dove sediamo, e quella finestrella colà, e questa mosca che mi si vuol manicare il naso (diavol, pigliela): le son pur prusuntuose, le vincano le importunità dei gelosi che vengano in fastidio fino a lor medesimi con le spigolistrarie1 che usano in guardare colei che non si può guardare quando la se delibera di accoccargliene. Con bestia di cotal buccia sappiti governare da savia; e fagli più tosto le corna che i cenni. Vien qua: tu sarai amica d'uno che si recarà ad uggia2 uno che ti accommodarà, non come lui, ma di maniera che il perderlo ti nocerebbe assai assai. Costui ti comandarà che non gli apra, non gli parli, né che accetti niuna cosa del suo: qui bisognano giuramenti diabolici, fronte sfacciata, scrollature di capo, voci a l'aria e alcuni gesti che si maraviglino di lui che si crede che tu lo cambiasse per cotal pecora; e soggiugnendo: «Stiam freschi se si crede che io mi gitti via con quel cera-di-asino,3 con quel viso-di-mentecatto»; e chiedi tu stessa i guardiani, salariandogli le spie; e tenendoti serrata, stavvi pure; se il sospetto gli si scema punto, non perder tempo. Ma quello che tu gli furi, spendalo ne le contentezze del pover foruscito: tirandolo in casa quando il geloso n'esce, o ne lo scarcarsi de le legne, o nel portare il pane al forno. Se il farnetico gli cresce, ordina che di notte venga drento, e nascondalo nel camerino de la fante, dove fa' che stia sempre la predella4 da fare i tuoi fatti; e a posta mangia la sera cose che ti movino il ventre, o finge 5 doglie di fianco, e scappagli da canto tuttavia6 lamentandoti: e vanne là da colui che, per aspettarti col pifero in mano, farà due chiodi a una calda;7 e la dolcitudine che piacendo ti solleticarà tutta, ti farà fare altri "oimè" e altri "i' moio", e con più gran ramarico che il mal del madrone. 8 Compito il servigio, rivientene a lui scarica d'ogni pena: e questa è la ricetta da salvar la capra e i cogli9 ( diceva lo spenditor de l' Armellino ). 10 NANNA.

I. spi"golistrarie: finzioni (da spi"golistro, «ipocrita»). 2. si recarà ad uggia: avrà in odio, in antipatia. 3. quel • •• asino: quella faccia d'asino. 4. predella: di legno (contenente un orinale). 5. finge: fingi (la forma dell'imperativo, già usata nel Ragionamento). 6. tutta'Via: sempre. 7.farà ••• calda: godrà «due volte nel corso dello stesso atto sess. » (Aquilecchia, sub fare; si noti che calda è r« operazione di riscaldamento cui si sottopone un pezzo metallico», Aquilecchia sub caldo). 8. del madrone: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota I a p. 67. 9. cogli: cavoli. xo. lo spendi tor de l' Armellino: il dispensiere del cardinale Francesco Armellini (Aquilecchia, Indice dei nomi, p. 588, con rinvio a V. Rossi, Pasquinate).

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PIPPA. Si farà. NANNA. Accadendo che lo sp1ntato ne abbia qualche fume,1 mano a2 negare; e con viso sicuro di' sempre «Forbici»;3 e si egli sfuria, e tu ti umilia con dire: «Adunque mi tenete per una cli quelle, ah? E se vi è suto detto, posso io tener le lingue? Se io avessi voluto altri, non arei tolto voi né mi sarei fatta monica per amor vostro»; e così schiamazzando ficcategli più sotto che tu puoi; e se qualche pugno andassi in volta,4 pazienzia: perché tosto ti saranno pagati i medici e le medicine, e tutte le muine5 che farai a lui per radolcirlo, farà a te per racconsolarti; e il "perdonami" e il "feci male a crederlo,, ti stuzzicaranno in modo che sarai la buona e la bella: perché se tu confessassi il peccato o volessi vendicarti di quattro pugni che vanno e vengano, potresti o perderlo o sdegnarlo di sorte che ella non andria ben per te. Ed è chiaro che la fatica sta nel mantenersi gli amici, e non in acquistarsegli. PIPPA. Non ci è dubbio. NANNA. Volgi carta :6 e trovarai un che non è geloso e pure ama, al dispetto di chi non vuole che amore sia senza gelosia. A l'uomo intagliato in tal legname ci è un lattovaro7 che, pigliandone una o due imbeccate, si ingelusiarebbe il bordello. PIPPA. Che lattovaro è questo? NANNA. Fatti scrivere una letterina, da qualcuno che tu te ne possa fidare, come questa che io già imparai a mente: Signora, io non vi posso salutare nel principio de la lettera, perché in me non è salute ;8 e allora ci sarà che la vostra pietade si degnarà che io, in quel luogo che più commodo vi paia, potrò dirvi ciò che non ardisco di farvi noto per iscritti né per imbasciate: e perciò vi supplico per le vostre divine bellezze, le quali ha ritratte la natura, col consenso d 1 lddio, da quelle degli angeli, che vi degnate che io vi parli: che v'ho a dir cose, che beata voi; e più beata sarete quanto più tosto averò la udienzia che io inginocchioni vi >; e qui tacendose, gli dirai: >; e pigliandomi la mano, me la basciucchiava bavosamente. E postosi a giornear meco, stato cosi un terzo d'ora, 3 la putta ne veniva a me con la sirocchia4 de la scodella rotta; e dicendomi « La vado a riporla in camera vostra», le diceva: « Che hai tu ? che vuol dir che tu sei tutta accigliata?»; e la ghiottoncella marioletta lo accennava che non me dicessi la trama. PIPPA. Infine lo esser cortigiana va più oltre che il dottore. NANNA. E cosi, accoccandola a ognuno che veniva, tenendo ora un bicchiere, ora una tazza e ora un piattello in mano, traendo e quando due e quando quattro e quando cinque giuli di questa borsa e di quella, le spese minute de la mia casa facevano di belle sdravizze. 5 Ora a la grande.6 P1PPA. Ecco che io me la beo prima che la cominciate. NANNA. Un officiale, un che d,uffi.ci aveva presso a duemilia ducati di camera7 d'entrata, era innamorato di me sl bestialmente che ne purgava8 i suoi peccati. Costui spendeva a lune :9 e bisognava strologare, ti so dire, chi ne voleva cavare, quando egli non era in capriccio di darti. E quello che più importava, la bizzarria10 nacque il dì che egli venne al mondo; e per ogni paroluzza non ispiccata a suo modo entrava su le furie; e il cacciar mano al pugnale e accostartelo fino in sul viso col taglio era la minor paura che ti facesse: e perciò le cortigiane lo fuggivano, come i villani la piova. n lo che ho dato la tema a rimpedulare, 12 mi stava con lui a tutto pastretto .•. pugno: quindi, avarissimo. 2. dandola giù: scendendo di corsa. 3. terzo d'ora: si veda anche, per un uso consimile, un ottavo d'ora nella Vita del Cellini. (Oggi si dice solo: una mezz'ora, un quarto d'ora). 4. sirocchia: sorella (una scodella consimile). 5. sdravizze: stravizzi (spesacce), conviti grossi. Cfr. BRUNO MIGLIORINI, Lingt1a d'oggi e di ieri, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1973, pp. 301-4. 6. Ora a la grande: veniamo ora alla truffa maggiore. 7. camera apostolica. 8. ne purgava: ne scontava (con quell'amorazzo). 9. a lune: cioè da una lunagione all'altra (molto di rado, una volta al mese). 10. bi::zarria: iracondia (connesso originariamente con bizze). I I. piova: pioggia. 12. ho .•. rimpedulare: ho mandato la paura a farsi rifare il pedule (cioè non ho per niente paura). I.

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sto; e benché mi facesse dei suoi scherzi asinini, mi riparava1 saviamente, pensando sempre a fargliene una che scontasse il tutto. A la fine tanto pensai che io la trovai: e che feci? Io mi fidai d'un dipintore: di maestro Andrea,a io il dirò pure; e gliene diedi alcune fettucce,3 con patto che egli stesse a l'ordine :4 e nascoso sotto il mio letto, con i colori e coi pennelli mi scolpisse un fregio nel viso quando fosse il tempo. Mi apri' anco con mastro Mercurio5 buona memoria: so che lo conoscesti. PIPPA. Conobbilo. NANNA. E gli dissi che, mandando per lui la tal sera, venisse a me con stoppa e uova: ed egli, per servirmi, non usci di casa il dì de la festa che io voleva fare. Ora eccoti che maestro Andrea è sotto il letto, e mastro Mercurio in casa, e io con l'ufficiale a tavola; e avendo quasi finito di cenare, io gli mentovai un camarier del Reverendissimo, al qual non voleva che io favellasse per nulla, appunto per farlo uscire :6 né bisognò troppo7 levatura al levato, 8 e dicendomi « Slandra, sfondata, bandiera », 9 nel volere io cacciargliene in gola con la mentita, 10 mi diede in una gota una cotal piattonata col pugnale che me la fe' sentire. E io, che ne la gaglioffau aveva non so che lacca oliata datami da maestro Andrea, me ne imbratto le mani e fregomele al viso: e con le più terribili strida che cacciasse mai donna di parto, gli feci credere al fermo1 a che il colpo fosse giunto di taglio. Onde spaurito come uno che ammazza uno altro, datala a gambe, se ne fuggi al palazzo del cardinal Colonna; e serratosi ne la stanza d'un cortigiano suo amix. riparava: nel valore di ripagava (deformazione popolare). 2. maestro Andrea: cfr. Ragionamento della Nanna e della Anto11ia, nota 8 a p. 139. 3. gliene ..• fettucce: lo favorii moderatamente delle mie grazie. 4. ordine: per eseguire quel che lei voleva. 5. mastro Mercurio: il Ferrero, allo scopo di mostrare il ritorno dei nomi di personaggi nelle opere dell'Aretino, ricorda che «uno dei personaggi della Cortigiana, ccil miglior compagno e il più gran baion di Roma", ha tal nome: si finge medico per beffare messer Maco senese (atto III, scena 14•; atto IV, scena x•) ». Il baion o baione è burlatore e la Crusca registra esempi dal Varchi e dal Davanzati (nella traduzione da Tacito). 6. uscire: dai gangheri, cioè dare in escandescenze. 7. troppo: troppa. (Troppo è forma antica per i due generi; Ferrero mette: troppa). 8. levatura al levato: intelligenza a lui levato di sotto (con gioco di parola). 9. « Slandra, sfondata, bandiera•: tutte offese (in parte gergali ed erotiche) adatte a una cortigiana, in questo caso, sleale (almeno nella finzione). 10. con la mentita; con l'accusa di menzogna. 11. gaglioffa: saccoccia (gergale: in molti dialetti settentrionali indica «bocca larga per prendere»). 12. al fermo: sicuramente.

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co, gridava pian piano: « Oimè, che io ho perduto la Nanna, Roma e gli uffici». 1 Intanto mi rinchiudo in camera con la mia fante vecchia solamente; e maestro Andrea, scovato del2 nido, in un tratto mi dipinse un fregio a traverso la guancia dritta, che, guardandomi io ne lo specchio, fui per cascar in angoscia del triemito. In questo mastro Mercurio, chiamato da la trufaruola da la scodella spezzata, vien dentro con dir: «Non dubitate, che non ci è mal niuno »; e dato agio a lo asciugar dei colori, acconciata la stoppa con olio rosato e chiara, e così fasciata la ferita con grazia e previlegio, 3 e uscito in sala dove era concorso gran brigata, dice: «Ella non può campare»; e corsa la voce per tutta Roma, ne viene il sentore al micidiale4 che piangeva come un fanciul battuto. Vien la mattina: ecco il medico, che, tenendo una candeluzza da un danaio accesa in mano, leva la cura ;5 talché non so quante persone che avevano messa la testa drento a l'uscio de la camera, che aveva serrate tutte le finestre, ne lagrimarono; e non so chi, non gli bastando l'animo di veder sì crudel ferita, stramorti vedendola: e così il romore era publico de la mia faccia, a la più trista,6 guasta per sempre. E il malfattore, mandando denari, medicine e medici, cercava pure di ripararsi dal bargello,7 non si assicurando a fatto del favor colonnese. 8 Passati otto dl, faccio dar nome che io scampo: ma con un segno9 più aspro, a una cortigiana, che la morte; e l'amico a volerla acquetar con gli scudi; e mettendo mezzi1° di qua e mezzi di là, tanto adoprò amici e padroni che io venni a lo accordo, non mi lasciando mai vedere se non da un certo monsignor di fava sbaccellata11 che il praticava. Insomma, cinquecento ducati si sborsarono per il danno e cinquanta tra medico e medicine; e io gli perdonai, cioè promessi di non perseguitarlo col governatore, 12 volendo da lui pace e mallevadore: e questi furono denari che io spesi1 3 in questa casa, senza il giardino che io ci ho aggiunto di poi. PIPPA. Voi foste un valente uomo, mamma, nel farne una cosi fatta. gli uffici: il mio posto. (Era appunto officiale, funzionario). :i. del: dal. 3. previlegio: grande cura. 4. micidiale: omicida. s. cura: medicazione. 6. a la più trista: alla peggio. 7. ripararsi dal bargello: sottrarsi alla cattura (il bargello era il capo dei birri). 8. colonnese: dei Colonna (presso i quali si era rifugiato per aver protezione). 9. segno: sfregio. 10. mezzi: intermediari. 1 1. di fava sbaccellata: quindi, di nessun valore. I 2. col governatore: col chiamare in giustizia il violento. 13. spesi: impiegandoli all'acquisto. 1.

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Ella non è anco a le alleluia, 1 e non ne verrei a capo uguanno2 se io te le volesse contar tutte: che in buona fé io non ho scialacquato il tempo che io son vissa; meffé no, che io non lo ho scialacquato. Or va'. PIPPA. Ce si conosce a l'uscio. 3 NANNA. Or via: non mi parendo che i cinquecento con i cinquanta appresso avesser tocco il palato al mio appetito, trovai una malizia puttanesca, puttanissimamente: e a che modo, tu ?4 lo feci nascere5 un N apolitano mariuolo dei mariuoli: e con nome di aver un segreto da levare ogni segno cli taglio che nel volto altrui fosse stato lasciato per ricevere di ferita, venne a me dicendo: « Quando sia che si dipositino cento scudi, io farò sì che vi apparirà tanto d'immargine6 quanto ne appare qui»; e aprendo la palma de la mano, la mostrò. Io mi scontorco, e dico con un sospir finto: «Andate e contate questo miracolo a chi è cagione che io non sia ... », e volendo dir «più dessa » mi volto in là piagnendo gatton gattone. Il mariuolo, con troppo onorevoli drappi a torno, si parte e va a l'ufficiale condotto fra male branche:7 e pongli inanzi la prova ch'egli frappa cli fare. Or pensai tu se il crocifisso, nel disperar di non mi aver mai più a godere, depositò il centinaio. Ma a che fine alungartela? Il segno che non ci era se ne andò con l'acqua santa che sei volte mi spruzzò nel viso, con alcune parole che, parendo che dicessero mirabilium,8 non dicevan nulla: talché i cento piaceri9 (disse il Greco )1° vennero in man mia. NANNA.

I. a le alleluia: cioè al finale. 2. uguanno: quest'anno (latino hoc anno). 3. a l'uscio: a prima vista. 4. a che modo, tu?: in re]azione a quanto ha già detto in precedenza (e noi abbiamo riportato), il Ferrere osserva: n Una postilla dell'ediz. del 1660 [a p. 225] spiega: ucioè, tu mi domandi", intendendo coteste parole come rivolte alla Pippa, e ammettendo una reticenza dopo tu. Ma è da credere che sia anche qui una domanda che la Nanna rivolge a se stessa, accompagnandola con un ghigno furbesco». 5. nascere: quasi « saltar fuori». 6. immargine: segno (per la presunta cicatrice). 7. male brauche: l'espressione è dantesca (episodio dei barattieri, lnf., XXI, 37, « Malebranche »). 8. mirabilium: cose meravigliose (espressione latina= ndelle cose mirabili»). 9. piaceri: cioè gli scudi. 10. il Greco: «Da identificare con il Rosso?» (Aquilecchia, Indice dei nomi, p. 593, con rinvii alla Cortigiana. Cfr. nell'Indice dei wellerismi, p. 518, sub Greco). Si può ricordare che in CHARLES SPERONI, The ltalian Wellerism to the End of the Seventeenth Century cit., al n. 0 140, p. 35, si legge per un omonimo Greco un altro detto tolto dal Domenichi, Facetie, motti, et burle con aggiunte di Tommaso Porcacchi (Venezia, G. B. Bonfadino, 1609).

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PIPPA. Benvenuti e buono anno. NANNA. Aspetta pure. Sparso il romor del mio esser rimasta senza un segno al mondo, ognun che aveva fregi sul mostaccio correva a la stanza del mariuolo come le sinagoghe correrebbono intorno al Messia s'egli fosse smontato in piazza giudea;' e il traditore, empita piena la borsa d'arre,2 tolse su i mazzi :3 parendogli che la discrezione che doveva avere io in premiarlo dei ducati che mi fece guadagnare, avessi avuto altri. PIPPA. L'ufficiale seppelo, inteselo e credettelo? NANNA. Lo seppe e non lo seppe, lo intese e non lo intese, il credette e noi credette. PIPPA. Basta dunque. NANNA. Ne la coda sta il veleno. PIPPA. Che, ce n'è anco? NANNA. E del buono ci è. Il mestolone,4 doppo tanti sborsamenti, per i quali si disse che vendette un cavalierato, si riconcilib meco per mezzo dei mezzani e per via de le sue lettere e imbasciate che mi cantarono il suo passio ;5 e venendo a me per gittarmisi ai piedi con la coreggia al collo,6 componendo per la via alcune parole da rificcarmisi in grazia, passb da la bottega del dipintore che mi aveva dipinto la tavoletta7 col miracolo, che io diceva di portare in persona a Loreto: e affisandoci gli occhi, si vidde ritratto ivi col pugnale in mano, e sfregiar me poverina; e questo era niente, se non avesse letto di sotto: IO SIGNORA NANNA ADORANDO MESSER MACO, BONTÀ DEL DIAVOLO CHE GLI ENTRÒ NEL BICCHIERE, IN PREMIO DEL MIO ADORARLO, EBBI DA LUI IL BARLEFFO CHE MI HA GUARITO QUELLA MADONNA A LA QUALE IO APPICCO QUESTO BOTO.

I. piazza giudea: presso Campo dei Fiori, nel rione di Sant'Angelo abitato da Ebrei. 2. arre: caparre. 3. tolse su i ·mazzi: se la svignò. (Cfr. Aquilecchia, Glossario, p. 559, con un rinvio a una definizione del TOMMASEOBELLINI per i mazzi delle gualchiere). 4. mestolone: sciocco. 5. passio: il solito termine (desunto dalla Messa). 6. co,, . .• collo: come un condannato che chieda pietà. 7. tavoletta : quadretto per grazia ricevuta.

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PIPPA. Ahi ahi NANNA. Altro viso fece egli leggendo il caso suo, che non fanno i vescovi ai patafi, 1 sotto i piedi dei demoni che gli bastonano, quando sono scommunicati: e ritornatosi a casa tutto fuor dei gangari, con una vesta mi fece consentire a levare il suo nome de la tavoletta. PIPPA. Ahi ahi ahi NANNA. La conclusione è questa: il bravo-a-suo-costo mi diede anco i denari per andare là dove io non mi botai :2 né bastò che io non ci volsi andare, che gli fu forza di farmi assolvere dal papa. PIPPA. È possibile ch'egli fosse si insensato che, venendo a voi, non vedessi che nel vostro viso non ci fu mai fregio? NANNA. Io ti dirò, Pippa: io tolsi non so che cosa, simile a la costala d'un coltello, e me lo fasciai ne la gota stretto stretto; e ve lo tenni suso la notte, e tosto che egli comparse me la sfasciai. Onde per un pezzo tu ti aresti creduto, vedendo il livido ch'era intorno a la carne infranta, che fosse stato un taglio risaldato. PrPPA. Cosi si. NANNA. Ti vo' dir quella da la grue, e poi ti finirò il proposito che ti ho a finire. PIPPA. Ditela pure. NANNA. Io finsi di volerla far segnata3 per la volontà di mangiare una grue con le pappardelle; e non se ne trovando da comperare, fu forza che uno mio innamorato mandassi a mazzarne una con lo scoppietto :4 e così l'ebbi. Ma che ne feci io? La mandai a un pizzicagnolo, il quale conosceva tutti i miei suditi (o "vasalli,, che5 Gian Maria Giudeo chiamassi quei di Verucchio e de la I. patafi: iscrizioni dei condannati. (Come si è già detto in precedenza per le mitrie pitturate con fiamme e diavoli, i condannati alla pena capitale o alla gogna portavano scritte infamanti). 2. botai: votai. 3. segnata: cfr. Ragionamento della Nanna e della Anto11ia, nota 5 a p. 104. 4. scoppietto: schioppetto, schioppo. 5. che: il Ferrero, che, riguardo al passo, aveva fatto utili congetture negli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, ediz. 1966, cosi commenta nella sua antologia aretiniana del 1970: cr Dalla lezione dell'ediz. del 1584: che Gian Maria Gilldeo chiamossi che di veruccliio e della scorticata mi era scordato, apparirebbe che quel pizzicagnolo avesse nome Gian Maria Giudeo. Ma non vi è dubbio che Gian Maria Giudeo sia da identificare col liutista menzionato nella Cortigiana, atto terzo, scena 11 • [...]. Da Leone X, nel 1513, costui fu creato castellano di Verrocchio, in Romagna; ma, dopo la morte di Leone X, perdette il suo feudo (la Scorticata era un borgo della Romagna, non lontano da Verrucchio). La lezione dell'ediz. del 1584 ci sembra inaccettabile; e accogliamo la lezione del-

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Scorticata). Mi era scordato: io feci giurare a colui che me la donò di non dir nulla; ed egli dimandandomi ciò che importassi il dirlo, gli riposi che io non voleva esser tenuta ghiotta. PIPPA. Gli facesti il dovere. Ora al pizzicagnolo. NANNA. Io gli feci intendere che non la vendesse se non a chi la comparassi per me; ed egli, che mi aveva servito in cotal vendite de l'altre volte, mi intese a la bella prima: e a pena l'appiccò in bottega che un di quelli che sapevano la mia impregnaggine le fu a dosso con dirgli: « Quanto ne vuoi?»; «Ella non si vende», rispose il trincato per fargliene venir più voglia, anzi perché gli costasse cara; ed egli a scongiurarlo con dir «Costi ciò che vuole»; a la fine ne ritrasse un ducato. E mandatemela a casa per il famiglio, si credette che io mi credessi che gliene avesse donata un cardinale: e io, facendone festa, la rimando, partito che si fu, a rivenderla. Che più? La grue fu comperata da tutti i miei amici, e sempre un ducato: e poi mi rivenne a casa. Or pàrti, Pippa, che sia burla il sapersi mantener puttana? PIPPA. Io stupisco. NANNA. Veniamo ormai a la via che tu debbi tenere in pigliar pratiche. PIPPA. Si, che importa il tutto. NANNA. Verranno a te cinque o sei uccelli1 nuovi, e saranno in compagnia di qualche tuo domestico; fagli una accoglienza signorile: ponendoti seco a sedere, entrando in ragionamenti piacevoli e quanto più onesti che tu puoi; e mentre favelli e ascolti, squadra i garbi loro, e ritrae dai modi che tu gli vedi tenere quel che se ne può ritrarre; e scantucciato con galantaria il tuo conoscente, dimanda de la condizione di ciascuno; poi ritorna a bomba, e al più ricco affige il guardo, e con gesto lascivo il vagheggia facendo il morto di lui; e non levar mai i tuoi occhi dai l'ediz. del 1534-36: che Gian Matteo Giudeo chiamassi quei di Verucchio e de la Scorticata, intendendo: che ••• chiamassi, come ••• chiamava. La Nanna chiama i suoi clienti: i tniei mdditi, o vassalli, e si paragona per gioco a quel singolare castellano che fu Giammaria Giudeo (il quale diceva suoi sudditi e vassali gli abitanti di Verrucchio e della Scorticata). Le parole: 111i era scordato (mi era passato di mente) pare certo che si debbano unire con quel che segue. (Questa mia nota, anteriore alla pubblicazione dell'ediz. laterziana, è sostanzialmente confermata dal testo e dall'apparato critico dcll'Aquilecchia alle pp. 189 e 491-92) •· Cfr. qui addietro p. 175, nota 3. 1. uccelli: gonzi. (Si veda anche uccellare, «beffare•).

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suoi senza sospiri; e imparato solamente il nome suo, nel dipartirsi digli «Io bascio la mano a Vostra Signoria tale»; agli altri « Io mi vi raccomando ». E fatti a la gelosia tosto che ti escano di casa, né ti lasciar rivedere se non quando egli si rivolge indrieto donneandoti ;1 e in quello che stai in perderlo di vista, spigneti tutta tutta fuore; e mordendoti il dito minacciandolo, fagli segno che ti abbia insaponato il core con la sua divina presenzia; e vedrai che ti ritornarà a casa solo, con altra sicurtà che non venne accompagnato: e fa' tu, Pippa, poi. PIPPA. Bello vedervi favellare. NANNA. Ti vo, dire una cosa ora che io l'ho ne la mente: non rider mai col parlare ne l'orecchia a chi ti siede a lato, né a tavola, né al fuoco, né altrove; perché è una de le cattive pecche che possino aver le donne, e da bene e puttane; né si cade mai in cotal menda che ognuno non sospetti che tu ti facci beffe di lui: ed escene spesso di matti scandoli. Doppo questo, non comandare a le fanti in presenzia de la gente, facendo la reina; anzi quello che puoi far da te, fallo: che ben si sa che tu hai de le serve e che, avendole, gli puoi comandare; e non gli comandando con grandezza,2 ne acquisti benivolenzia; e chi ti vede, dice cc Oh che gentil creatura, con che grazia ella si adatta a fare ogni cosa». Caso che ti sentano fumare 3 e minacciarle, non si spacciando in ricoglierti uno stecco che ti sia caduto di mano o in forbirti una pianella, fanno giudizio che guai a chi tu ti cogli sotto, mostrandosi l'uno a l'altro la tua superbia coi cenni. P1PPA. Ricordi santi, ricordi buoni. NA1'1NA. Ma dove lascio io il tuo sapere essere a un convito dove sarà una mandra di cortigiane, la natura de le quali fu sempre invidiosa, ritrosa, scandolosa e fastidiosa? Tu mi conoscerai quando tu non mi averai. PIPPA. Perché mi dite voi cotesto ? NANNA. Per non te lo avere a dire, te lo dico. Eccoti a un pasto dove sono invitate, sendo il carnasciale, parecchi4 e parecchi signore: le quali compariscano in sala tutte in mascara, ballano, seggano e parlano senza volersela cavar dal viso; e fan bene a star cosi mentre la turba che non ha a cenar con loro si sta godendosi del suono e del ballo ; ma fanno poi male, quando si lava le mani, I. donneandoti: vagheggiandoti amorosamente. 2. grandezza: grandigia. 3.fumare: sbuffare incollerita. 4. parecchi: parecchie.

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a non voler mangiar a la tavola apparecchiata per ognuno, e chi va in qua e chi va in là; e bisognaria fare le camere per negromanzia1 per contentar tutte quelle che vogliono mangiar sole con gli amorosi, scompigliando la cena, la festa, la casa, i servidori, gli scalchi,2 i cuochi e il malanno e la mala pasqua che Iddio gli dia: e ogni di sia anno e pasqua per loro. PIPPA. Fastidiose. NANNA. Speranza, io ti vo' insegnar qui a cavar con la tua gentilezza il core a ognuno. PIPPA. Certo? NANNA. Certissimo. PIPPA. Ditemi come e pagatevi. NANNA. Spiegati là, senza fartene punto pregare, e assèttati in quel luogo che ti si mostra; e di': «Eccomi qui, tale quale mi ha fatto chi mi fece»; tu toccarai così dicendo il ciel col dito, bontà de le laude che ti daranno fino agli spedoni3 di cocina. PIPPA. Perché si fuggano elleno per le camere? NANNA. Perché si vergognano dei paragoni. Chi è grimma4 non vuol parer d'essere; chi è brutta non patisce che una bella gli stia presso; chi ha i denti fracidi non vuole aprir la bocca dove sia chi gli abbia scasciati ;5 altra, che non ha la veste, la collana, la cinta e la scuffia che ha questa e quella, parendole essere il seicento6 e da più di tutte ne l'altre cose, starebbe prima a patto di morire che farsi vedere in publico. Alcuna il fa per dapocaggine, altra per pazzia, e altra per malizia; e più oltra ti dico che, staendosi da loro stesse, dicano il peggio che sanno o che possono l'una de l'altra: e «Quella filza di perle non è la sua, quella cotta7 è de la moglie del tale, quel rubino è di messer Picciuolo,8 e del Giudeo la cotal cosa»; e così si imbriacano di maldire e di più ragion° vino. Ma se gli rende agresto per prugnole10 da chi cena dove te: 11 alcuno dice « La signora tale fa bene a nascondere la sua malagrazia»; altri grida « O signora cotale, quando pigliate voi l'acqua del leI. per negromanzia: con arte di negromanzia (detto genericamente per arte magica). 2. scalchi: quelli che ordinano il convito e mettono in tavola le vivande (e anche quelli che trinciano le carni). 3. spedoni: spiedi. 4. grimma: rugosa. 5. scasciati: bianchissimi (come cacio). 6. il seicento: eccezionale (stimandosi, oltre il conveniente, con molte arie). 7. cotta: veste. 8. messer Picciuolo: «nome fittizio» (Aquilecchia, con riferimento erotico). 9. ragion: qualità. 10. agresto per prognole: pan per focaccia (agresto= uva acerba; pmgnola = susina selvatica). 11. dove te: dove ceni tu.

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gno? »; 1 altri ride a più potere del marchese ch,egli ha conosciuto negli occhi di colei e di costei ;2 altri loda per uomo d,un grande animo il buon lasciami-stare per arrischiarsi a dormire a canto de la sua diva più simile al satanasso che a la versiera :3 a la fine, voltandosi tutti a te, ti afferiranno l'anima e il corpo. PIPPA. Io vi ringrazio. NANNA. Quando tu sarai dove ti dico, fatti onore: che a te facendolo, a me lo fai. Accaderà che andrai al Popolo, a la Consolazione, a San Pietro, a Santo Ianni e per !'altre chiese principali e d.14 solenni: onde tutti i galanti signori, cortigiani, gentiluomini, saranno in ischiera in quel luogo che gli sarà più commodo a veder le belle, dando la sua a tutte quelle che passano o pigliano de l'acqua benedetta con la punta del dito, non senza qualche pizzicotto che cuoca.5 Usa, in passare oltra, gentilezza: non rispondendo con aroganza puttanissima; ma o taci, o di' con reverenzia o bella o brutta: «Eccomivi servitrice»; che, ciò dicendo, ti vendicarai con la modestia. Onde, al ritornare indirieto, ti faranno largo e te si inchineranno fino in terra: ma volendo tu dargli risposte brusche, gli spetezzamenti6 ti accompagnerebbeno per tutta la chiesa, e non ne saria altro. PIPPA. lo ne son certa. NANNA. Nel pòrti poi inginocchioni, sta' onestamente suso la predella del più guardato altare che ci sia, col libricino in mano. PIPPA. A che fare il libriciuolo, se io non so leggere? NANNA. Per parer di sapere: e non importa se tu lo voltassi ben sottosopra,7 come fanno le romanesche perché si creda che elle sien fate, e son fantasime. 8 Orsuso mo' ,9 a le qualità dei giovanastri :10 nei quali non porre speranza, facendo disegno ne le promesse loro, perché non sono istabili e, aggirando tuttavia come il cervello e il sangue che gli bolle, si innamorano e snamorano secondo che si imbattano a innamorarsi; e se pur pure gliene dai talvolta, fatti pagare inanzi. E trista a te se ti incapestri, né in loro né in altri: perché innamoracchiarsi sta bene a chi vive di rendita, e non a del legno: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota sa p. 52. ch'egli .•• costei: per i segni di stanchezza lasciati dal mestruo. 3. versiera: diavolessa (cioè u avversaria», come equivalente femminile del diavolo). 4. e dì: i dl. (Ed. 1536 e' di). 5. cuoca: infiammi (innamori). 6. spetezzamenti: per significare spregio. 7. sottosopra: al contrario. 8. e so11 f antasime: e invece sono spiriti malefici e vani. 9. Orsuso tno,: or dunque (1110' è il latino modo nel senso di« ora»). 10. giovanastri: cfr. la nota I a p. 141. 1. 2.

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chi ha da vivacchiare di di in di; e quando non fosse mai altro, tosto che sei impaniata, sei disfatta: perché l'animo che è fitto a un solo, dà licenzia a tutti quelli che solevi accarezzar del pari. Onde puoi far conto che una cortigiana ammartellata1 d'altro che de le borse, sia uno tavernaio ghiotto e imbriaco: il quale si mangia e si bee ciò che doveria cavarsi di corpo per vendere. PIPPA. Voi le sapete tutte tutte tutte. NANNA. Mi par sentire sfracassarti la porta da un capitano (o lddio, oggidl ognun si chiama "il capitano", e mi par che fino ai mulattieri salgano al capitaniato): dico sfracassare, perché le fanno picchiare con bravaria, per parer di esser bestiali, parlando tuttavia con alcuni dettaregli2 spagnuoli, mescolandoci dei franciosi ancora. Non dare udienzia a cotali tentenna-pennacchi; e se pur gli ami, fidati di loro come ti fideresti dei zingani, perché son peggio che i carboni, che o cuocano o tingano: gran gracchiare che fanno con lo aspettar de le paghe; e chi vuole esser pagata del calare che vogliano che faccia il re e de le vincite che farà la madre Chiesa, dlegli da far la ninna; ma chi brama denari, lodagli per3 Orlandi dal quartieri,4 e tiri via: altrimenti ne portarà la testa rotta, come farà anco dai gavinelli giovanacci mattacci, che il maggiore onor che ti faccino è il bandire i difetti del tuo diritto e del tuo roverscio,5 vantandosi che ti fanno trarre e menar. di bello. PIPPA. Baionacci. 6 NANNA. In gran pelago si arrischia di notare chi diventa puttana per cavarsi la foiaccia7 e non la fame: chi vuole uscir di cenci, dico, chi vuol distrigarsi dagli stracci, sia saviolina, e non vada zanzeoni8 coi fatti né con le parole. Eccoti una comparazioncina calda calda: perché io favello a la improvisa, e non istiracchio con gli argani le cose che io dico in un soffio, e non in cento anni come fanno alcune stracca-maestri-che-gli-insegnano-a-fare-i-libri, togliendo a vittura il "dirollovi", il "farollovi" e il "cacarollovi", facendo le comedie con detti più stitichi che la stitichezza; e per1. ammartellata: •Gelosa ò desiderosa& bramosa• (nota dell'ediz. 1660). Il testo del 1584 dà scartellata. 2. dettaregli: • dettarelli • (nota dell'ediz. 1660, cioè motti). 3. per: come. 4. Orla11di dal quartieri: cfr. Ragionamento della Na11na e della Antonia, nota 8 a p. 85. 5. diritto: ••• roverscio: con significato erotico. (Da notare che l'edizione 1660 dà nel testo: del tuo dirieto, e del tuo rouerscio). 6. Baionacci: pessimi scialacquatori, fannulloni. Cfr. baione, qui addietro, nota sa p. 248. 7. lafoiaccia: la maledetta libidine. 8. za11zeoni: «sventatamente• (Aquilecchia). 17

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ciò ognuno corre a vedere il mio cicalare, mettendolo ne le stampe come il Verbum caro. 1 PIPPA. A la comperazioncina. NANNA. Un soldato che è valente in isgallinare i pollai dei villani e in dilungare i canonici dei prigionia solamente, passa per poltrone e a malo stento ha la paga: cosi mi dice un de la guardia; dice anco che chi combatte e fa de le prove, è cercato da tutte le guerre e da tutti i soldi del mondo. E così una puttana che sa farsi lavorare e non altro, non esce mai d'un ventaglio spennacchiato e d'una vesticciuola di ser ermisino. 3 Si che, figliuola, o arte o sorte bisogna: e quando io avessi a chiedere a bocca,4 non ti nego che io non volessi più tosto sorte che arte. PIPPA. Perché? NANNA. Perché ne la sorte non è fatica niuna; ma ne l'arte si suda, ed è forza strolagare e viver d'ingegno, come mi pare aver detto. E che sia il vero che ne la sorte non ci sia scropoli, guarda quella furfanta gaglioffa lendinosa de la tu-m'intendi, e chiarisciti. PIPPA. O non è ella ricca a macca ?5 NANNA. E perciò ti dico io: ella non ha grazia, non ha vertù, non ha fattezza niuna che le stia bene a dosso; non ha persona, è goffa, passa la trentina: 6 e con tutto questo par che ella ci abbia il mèle, sl le corre ognun drieto. Sorte, ah ? sorte, eh ? dimandane i famigli, i ragazzi, i ruffiani, e noi mel far dire, poiché la sorte gli fa signori e monsignori: e ciò vediam noi tuttodì. Sorte, eh? sorte, ah? Messer Troiano7 scarpellava i mortai, e ora ha il bel I. come il Yerbum caro: cioè come cosa pregevolissima. L'espressione è tolta dalla liturgia (cfr. loann., 1, 14). Qui l'Aretino nuovamente allude al Ragionamento della Nanna e della Antonia. 2. dilungare ••• prigioni: non ci è chiara l'allusione (prigioni = prigionieri). 3. ser ermisino: al ser (detto in senso satirico) si unisce il nome dell,ermisino (o er111en110), su cui cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 6 a p. 154. 4. a bocca: di persona, direttamente. 5. a macca: a iosa. 6. passa la trentbza: cioè è vecchia. Cfr. la nota 4 a p. 96. 7. Troiano: Ferdinando Pandolfini, vescovo di Troia, favorito di Leone X e noto come un gran mangione. Al pari di Accursio e Serapica che seguono, è argomento di satire aspre da parte dell'Aretino e di altri poeti dell'epoca: naturalmente si tien conto di loro nelle pasquinate, specialmente in quelle connesse con la morte di Leone X, loro protettore. L'Aretino lancia loro sanguinose frecciate anche nelle commedie. I loro nomi sono uniti in un'unica riprovazione (nel disprezzo della corte papale di cui son tipici rappresentanti) in una sua lettera al Guidiccioni, in data di Venezia, 15 gennaio 1535 (nelle Lettere, voi. 11 edd. Flora-Del Vita, 1960, alle pp. 54-5).

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palazzo; sorte, eh? sorte, ah? Sarapica1 stregghiò3 i cani, e poi fu papa; sorte, ah? sorte, eh? Acursio3 era garzone di uno orafo, e diventò lulio secondo;4 sorte, eh? sorte, ah? E certo, quando la sorte e l'arte sono in una puttana, susum corda :5 perché cotal cosa è più dolce che quel "costi costi" che si dice allor che il dito, il qual ti gratta, doppo il "più giù, più su, più là, più qua", trova il bruscolino che ti rode; ed è beata chi ce le coglie tutte due. Arte e sorte, ah ? sorte e arte, eh ? PIPPA. Tornate dove mi lasciasti. NANNA. lo ti lasciai al disconfortarti de la amistà dei giovanacci budelloni, e da quella dei capitani nel pennacchio; ti diceva che gli sfuggissi, come anco ti dico che corra dietro a le persone riposate: perché non ti daranno men denari che costumi. PIPPA. Un poco più baiocchi, e manco gentilezze. NANNA. Egli è così; tuttavia le persone riposate danno del continuo di questi e di quelli: e perciò chi è di si dolce natura è il fatto nostro, perché in mantenersi con tali si ha il piacere d'una balia che dà il latte, governa e alleva un cittino6 senza rogna, il quale non piagne mai né di né notte. Volgiti poi ai fastidiosi: misericordia, con simili spògliati la superbia che noi donne puttane portiamo da la potta che ci cacò; e quando i rincrescevoli ritrosescamente ti favellano, ti gridano, ti rimproverano e motteggiando ti offendano, sta' in quella scrima che usa chi scherza con l'orso: e sappi fare in modo che gli asinacci non ti giunghino7 coi calci, e fa' che ti lascin sempre del suo pelo8 in mano.

1. Sarapica: Giovanni Lazzaro de Magistris, detto Sera pica (cioè • zanzara»), che da strozziere (custode dei cani e dei falchi della Corte papale) divenne favorito di Leone X e tanto ricco da far prestiti anche a lui. Morto il protettore, cercò di tornare in possesso dei 18.000 scudi a lui prestati; ma, avendo cercato di impadronirsi impunemente di oggetti dell'appartamento papale, venne imprigionato. C'era anche un altro Serapica, suo familiare, alla Corte papale, di nome Gian Pietro; cfr. G. B. PICOITI, La giovi11ezza di Leo11e ~Y. (Milano, Hoepli [1928]), p. 550. (La frase e poi fu papa, al pari di quella che segue e diventò lulio secondo, è da considerare iperbolica per indicare il favore ottenuto nell'ambiente papale; o è più semplicemente uno sproloquio messo in bocca alla Nanna). z. stregghiò: strigliò. 3. Acursio: prima di essere un favorito di Giulio II era stato "fattore" dell'orefice Caradosso. Era poi diventato cubicolario segreto, e intimo di Leone X. 4. lulio secondo: papa dal 1503 al 1513 (Giuliano della Rovere). 5. su.rum corda: corruzione popolaresca del latino della messa. 6. cittino: bambino. 7. giunghino: raggiungano. 8. pelo: cioè soldi.

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S'io nol faccio, che mi dipinghino. NANNA. Doppo a cotali fère, vengano gli spadaccini: quei bravi-in-casa-e-intorno-al-boccale, e poi non darebbero nel culo a Castruccio ;1 e non restando mai di far tagliate, ti porranno il mare in un bicchiere. O non sarai tu da più che l' Ancroia2 se gli fai stare fin del vestitello di maglia e de la spada che portano senza proposito3 a lato ? PIPPA. Sarb. NANNA. Tra l'una e l'altra spezie sono i mattacchioni, i quali hanno sempre le risa in sommo :4 e con quello "ah, ah, ah,, che gli rovescia indrieto spensieratamente, diranno a lettere di speziale5 ciò che ti han fatto e cib che ti voglian fare; e siaci pur chi vuole, che allotta alzano le boci quanto più gente veggano, e lo fanno per natura e per mostrare il buon compagno; e aran per manco6 di alzarti i panni in presenzia di chi si sia che di sputare in terra. E tu a dirgli villania, scapigliandoli con la sicurtà che essi scapigliano te: e lo puoi fare, perché non pongano mente a cosa niuna, vivendo a la libera. PIPPA. Crederesti voi che simili brigate mi garbano? NANNA. Tu me ti simigli avendoci il gusto. Ma dimmi, non ti ho io ditto che i bizzarri sono come le scimie, le quali si racquetano per una nocciuola, perché anche il mare, che è sì gran bestia, passatagli la stizza, fa men rimore d'un fossatello? PIPPA. Mi par de sl. NANNA. Sl che io te ne ho favellato; ma degli ignorantacci no: infine, con tali che sono peggio dei poltroni, degli asini, dei miseri, dei bestiali, degli ipocriti, dei savi, dei taccagni e de il resto dc le generazioni, non so regolarti. Essi hanno sempre a schifo il meglio; e ogni piacer che gli fai, son le tre acque perdute:7 i zoticoni te si avventano a dosso con niuna avvertenza; e in ciascuno atto, con tuo danno e vergogna, fan fede de la lor castronaria. PIPPA. Perché con mio danno e vergogna? PIPPA.

1. non . •. Castruccio: come in precedenza a p. 175, nota 2. L'ediz. 1660 commenta: •Non farabbono [sic] la minima attione del mondo, sono gran poltroni». 2. l'Ancroia: cfr. Ragionamento della Na11na e della Antonia, nota 3 a p. 64. 3. sen%a proposito: senza ragion veduta. 4. in sommo: a fior di pelle (pronte). 5. di speziale: cfr. la nota 1 a p. 103. 6. per ma1Jco: per minor cosa. 7. le tre acque perdr,te: cfr. Pulci, M organte, xxvn, 276, 1 -8 : •Sai che si dice cinque acque perdute: /conche si lava an•asino la testa• ecc.

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NANNA. Perché, sendo senza costumi e senza sugo, siedano di sopra ai più degni, favellano quando hanno a tacere e stan queti dovendo favellare: onde son cagione dil privarti de l'amicizia de le persone da bene. Ed è chiaro che chi gli ha visti fra le dame facendo gli amori, vede tanti porci fiutar rose in un giardino: e perciò rompegli l'ossa col bastone de la prudenzia. PIPPA. Gli romperò anche il core. Ma i bizzarri e i fantastichi, non son tutti uno ? NANNA. Appunto: 1 i fantastici son peggio che oriuoli stemperati,3 e son più da fuggire che i pazzi scatenati; e voglion e non vogliono, ora son muti, ora assordano con le chiacchiere; e il più de le volte hanno la luna, né sanno perché. E santa Nafissa, 3 che fu la pacienzia e la bontà istessa, non saperebbe essere coi grilli loro: e perciò il primo dì che gli conosci, fa' seco fave e fagiuoli. 4 PIPPA. Ubidirovvi. NANNA. Che di' tu dei sali-sapienzia-in-bocca-al-mammolo? Che crudeltà, che penitenza è a regnare con gli arcisavi: i quali, per non ispiegare le labbra che essi acconciano a lo specchio, non parlano mai; o se pur parlano, aprano la bocca con una diligenzia che rincastra le labbra ne le pieghe di prima; e sempre interpetrano le tue parole al contrario, mangiano per dottoraria, sputano tondo, guardano basso; vorrieno esser visti con puttane e non vorebbono che si sapesse; si guardano a darti in presenzia del servidore e han caro che sappino che ti dona. PIPPA. Che uomini son dunque questi? NANNA. S 'alcun viene mentre ti sono in casa, si ascondano in camera: e facendo il bau5 ai fessi de l'uscio, crepano sino a tanto che non ti fanno dire a chi è cagione del loro appiattarsi: «Messere è in camera». Doppo questo misurano il sonno, il vegghiare, il cibo, il digiuno, lo andare, lo stare, il far quel fatto, il noi fare, il favellare, lo star queto, il ridere, il non ridere; e cotante cacarie fanno ogni atto che le donne novelle ne perderebbero: e questo anco si comporta. Ma è pur troppo6 quando ti stuzzicano tanto che è forza dargli conto di quel che tu hai e di ciò che tu fai dei tuoi avanzi. E perché un savio, o che si tiene per dir meglio, ha 1. Appunto: tutt'altro (ironico). 2. stemperati: guasti. 3. santa Nafissa: cfr. la nota I a p. 60. 4./a' .. . fagiuoli: compòrtati con loro alla peggio. 5.facendo il bau: facendo capolino (cfr. la nota 3 a p. 150). 6.pur troppo: troppo.

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de lo avaretto, lambiccando la fatica che è il guadagnargli, arteggia sempre col senno loro: e fingendo ogni tuo andamento, fa' che tu sia la Sapienzia Capranica1 in fare scappucciar Salamone. E ho di buon luogo che non ci sono le più insalate2 pazzie di quelle che a la fine fanno i savi non amando : or pensa ciò che son quelle che gli sbucano del capo quando sono innamorati morti. PIPPA. E che gli farò io, dando ne le mie ragne cotali barbagianni! NANNA. Hotti io detto nulla degli ipocriti? PIPPA. Madonna no. NANNA. Gli ipocriti, che non sei toccano mai se non col guanto, e i veneri3 di marzo e le quattro tempora hanno in divozione de le divozioni, vengano a te guatton guattoni; e se gli dici, richiedendoti de l'onor drietovia, « Co' 4 cosi, drieto? », ti risponderanno «Noi siamo peccatori come gli altri». Pippa, sorellina, tien secreto il fatto di costoro, né scargagliare, 5 con il non poter tener l'olio, la lor poltroneria, che buon per te: i ribaldi, i nimici de la fede, poppano, pescheggiano e trapanano i buchi e le fesse al par di qualsivoglia gaglioffo; e trovando persone che sappino sepellire le tristizie di che si dilettano, danno senza misura; e rinodatisi la brachetta, sempre cincischiano col menar de le labbra il miserere, il domine ne in furore e lo exaudi orationem,6 avviandosi passo passo a grattare i piedi agli incurabili.7 PIPPA. Che sieno atanagliati.8 NANNA. Saranno anche peggio un di,9 non dubitare; e le loro animucce si calpestaranno dai piedi di quelli avaroni, miseroni, porconi che fin col chiavare stanno in sugli avanzetti :10 con questi traditori bisognaria, per fargli uscire, l'arte che essi hanno in sapere metter da canto. Oh che penitenzia che è il cavargli i denari di mano I Né ti credere che il lor pero se le lasci tòrre per iscrollare: una mamma amorevole più di tutte l'altre non fa tante bagattelline Sapienzia Capranica: espressione già usata in precedenza. (Cfr. p. 84 e la nota 3). 2. insalate: salate. 3. veneri: venerdì. 4. Co': come. 5. scargagliare: divulgare. 6. miserere ••• orationem: qui la Nanna snocciola tutto il latino che sa dagli usi religiosi (soprattutto da quanto ha sentito cantare in chiesa). Si vedano i salmi 50; 37 e 101. 7. grattare .•• ùicurabili: «far mostra di assistere gli i. (variaz. di "grattare i piedi alle dipinture", fare il "graffiasanti") » (Aquilecchia). 8. atanagliati: con riferimenti alla tortura giudiziaria in uso nell'epoca. 9. un di: cioè all'inferno. 10. stanno in mg/i avanzetti: fanno gli spilorci. 1.

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al figliuolino che non vuole addormentarsi né mangiar la pappa, quanti bisogna fare atti intorno a uno avaro; e mentre ne cava fuora uno, il parletico' gli vien fra le dita; e ogni moneta scarsaa adocchia per darti. Con i traditori tendi i lacciuoli, e piglia i merloni a la trappola come si pigliano le volpi vecchie; e quando vuoi che venghino via, non chiedere a la grossa, ma beegli il sangue a ciantellini a ciantellini, dicendo: «lo non la posso fare a petizione di3 cinque ducati tignosi». PIPPA. Che, la veste ? NANNA. La vesta, sl. E cosi dicendo lo vedrai storcere come un che vorria fare il suo bisogno e non sa dove; e storcendosi masticare, grattarsi la testa, pigliarsi la barba e far di quei voi ti di matrigna che fa un giocatore che non ha né buon né tristo ed è invitato del resto: pur te gli darà rimbrontoloni. Avuti che tu gli hai, dagli una frotta di basci con mille muine; e stata cosl un tre dì, soffia, morditi le dita, e non gli far cèra :4 e si egli ti dice « Che hai ?», rispondegli: « Una pessima sorte ho, e di qui nasce che son nuda e cruda, e ciò mi avviene per essere troppo buona: che, se io fosse altrimenti, men di quattro scudi non mi terrebbero con questa gonnelluccia ». Ed eccoti a mal partito il misero poltrone, con dirti: «Tu non ti empisci mai, tu gli gitti nel fango; to' qui, e non mi romper più il capo, che non te ne darei un minimo»; e riserrando la scarsella andrà di subito a trovare il modo di rubàgli5 o a questo o a quello. PIPPA. Perché non gliene chiedere tutti in un tratto? NANNA. Per non lo spaventare con la quantità. PIPPA. Vi intendo. NANNA. Coi liberali, mo', non accade6 astuzia asinina, ma leonesca: e quando se gli chiede, chieggasegli corampopolo, perché i boriosi crescano un somesso come gli publichi7 per grandi: che da grandi è il dare, se bene i grandi non l'usano; e senza che gli dimandi, tosto che entri in dire «Io voglio fare una robba in su le forge »,8 diranti: «Purché ci sia brigata, va': che te la vo' fare io». A costoro, figliuola cara, sia liberale tu ancora, e assèttati come ti 1. parletico: tremore nei vecchi alle mani e al capo. 2. scarsa: di poco valore. 3. a petizione di: per (perché mi mancano). 4. cèra: buon viso. 5. rubàgli: rubargli. 6. accade: occorre. 7. crescano • •• publichi: si fanno grandi appena li vanti pubblicrunente; somesso è a propriam.: lunghezza del pugno col dito pollice alzato• (Aquilecchia). 8. in su le/orge: di moda (foggia).

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recano, e non gli disdir mai la cosa che ti chiede il loro appetito. PIPPA. È onesto che io il faccia. NANNA. Avvertisci a certi che non ti darebbero un curiandolo, chiedendolo tu; altri non ti servirieno d'un danaio, se tu non gli fosse con gli spiedi ai fianchi. Ai cortesi non dar legge, ma lascia fare a la lor natura, la quale sguazza donandoti del continuo; e pargli, dando senza richiesta, non ispendere puttaneggiando, ma guadagnare signoreggiando: perché, come ti ho detto, i signori doverebbero donare. Onde con simili non hai a fare altro che compiacergli e stimargli; e non solo dirgli «Datemi e fatemi»; ma dandoti e facendoti, finge di non voler che ti dieno né che ti fac. c1no. PIPPA. Molto bene. NANNA. Ai somari (disse la Romanesca) non lasciar mai di non perseguitargli col "dammi" e "fammi": perché i villancioni vogliono esser trafitti da cotali pungoli; ed essendoci gente quando gliene dici, l'hanno stracaro, acciò che paia che sien pratichi e non corrivi ;1 oltra questo gli par pizzicar di gran baccalario2 facendosi pregare da la signora; e benché sieno parenti dei formiconi di sorbo,3 se scoppiassero, escano per bussare. 4 PIPPA. Usciranno o morranno. NANNA. Non vo' che mi si scordi: ancora che io dica e "tu" e "voi" nel favellar mio, fa' che tu dica "voi" a ogni uomo, e giovane e vecchio, e grande e piccolo; perché quel "tu" ha del secco e non garba troppo a le persone. E non ci è dubbio che i costumi sono buon mezzani a farsi in suso: e perciò non esser mai prosuntuosa nei tuoi andari, e atienti al proverbio il qual dice «Non motteggiar del vero e non ischerzar che dolga». Quando sei e con gli amici e con i compagni di chi ti ama, non ti lasciare scappar cose di bocca che pungano; né ti venga mai voglia di tirare capegli o barba, o di dar mostacciate, 5 né pian né forte, a niuno: perché gli uomini sono uomini, e, toccandosigli il muso, torcano il ceffo, e sbrufano come son punto punto offesi; e ho visto far di co"ivi: creduloni. 2. gran baccalario: gran personaggio (baccelliere; cfr. Ragio11amento della Nanna e della Antonia, nota 6 a p. 63). L'espressione deriva letterariamente dal «gran bacala re» dal Boccaccio usato per uno • scarabone Buttafuoco » nella novella d' Andreuccio da Perugia (Decam., II, 5, 52). 3.formico11i di sorbo: avaroni. 4. escano per bussare: escono (da dove stanno rintanati) per il fatto di essere richiesti. 5. mostacciate: gotate (schiaffi). 1.

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bestiali cenni, e fatti ancora, ad alcuna fastidiosa che piglia sicurtà fin di tirar le orecchie altrui: e ognun le dice «Ben ti sta». PIPPA. Meffé si, che le sta bene. NANNA. Una altra cosa ho da rammentarti: esci de la via de le puttane, che il non osservar mai fede è la lor fede; e sta' prima a patto di morire che di piantare alcuno; prometti quello che tu puoi mantenere, e non più; e vengati che partito si voglia, non dar la cassia1 coi piantoni2 a chi merita di dormir teco, salvo se venisse il Francioso che ti ho detto. 3 E venendo, chiama colui che dee venir la sera, e digli: «Io vi ho promessa questa notte, ed è vostra, perché io son vostrissima; ma io potrei guadagnare con essa una buona mancia: si che prestatemela, che ve ne renderò cento per una. Un monsignor di Francia la vuole, e gliene darò se vi piace; e se non vi piace, eccomi al comando di Vostra Signoria». Egli, vedendosi stimare, per donarti come savio quello che non ti può vendere, chinandosi al tuo utile, oltra che ti fa la grazia, te ne resta schiavo; ma se tu senza fargliene motto lo piantasse, andaresti a rischio di perderlo: e più anco che, lamentadosi de la villania che gli faresti, ti metteria in uggia di tutti quelli che ti avevano in fantasia. 4 PIPPA. Onde sarebbe male sopra male, volete dir voi. NANNA. Tu l'hai detto. Or scrivi questa: egli avverrà che tu sarai fra tutti i tuoi amanti; per la qual cosa debbi pensare che, se i favori non vanno del pari, la mostarda sale al naso di chi ne ha meno. E perciò pesagli con la bilancia de la discrezione; e caso che l'animo vada più a uno che a un altro, fingi, mostralo coi segni e non con gesti sbracati; e fa' si che questo o quello non se ne parta adirato e con teco e col favorito: ognuno che spende merita; e se chi più ne dà più ne doveria avere, facciasi con bel modo, la via ci è per andare in tutti i paesi del mondo: si che sap-pi fare, sappi vivere, sappici essere. PIPPA. Lo farò per eccellenza. NANNA. Or questo è il punto: non ti dilettare di scompigliare le amicizie con il riportar di ciò che tu odi; sfugge gli scandoli; e dove tu puoi metter pace, fallo. E intervenendo che la tua porta dar la cassia: mandar via (si allude all'erba cassia, leguminosa). 2. coi piantoni: qui lasciandolo «in asso» (Aquilecchia), coi polloni della pianta (appunto da trapiantare). 3. il Francioso •.. detto: cfr. qui addietro p. 240. 4. i,i fantasia: cioè in buona opinione. I.

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sia impeciata o arsa, ridetene: perché sono i frutti che nascano degli arbori che gli ammartellati piantano nei giardini puttaneschi; né per villania che te si faccia o te si dica, non metter mai a le mani coloro ai quali puoi comandare. S'un ti fa dispiacere, tace; e non correre a dirlo piagnendo a chi muor per te e ha il cervello che gli fuma. E quando ti viene in casa uno di questi spassa-martello, 1 non dir male di colei con la quale egli è in uno di quei corrucci che si ripacificano con tutte le vergogne e con tutti i danni di chi sbrascia ;2 anzi riprendalo e di': «Voi avete torto ' adirarvi con lei, perché ella è bella, vertuosa, da bene e aggraziata al possibile»; e qui verrà che egli, che de l'altro dì ritornarà a la mangiatoia, te ne arà obligo; ed ella che lo intenderà, te ne renderà il cambio, caso che alcuno dei tuoi pigli ombra teco. PIPPA. Io so che voi sète fina. NANNA. Figliuola, vattene con questa: se io che sono stata la più scelerata e ribalda puttana di Roma, anzi d'Italia, anzi del mondo, con il far male, con il dir peggio, assassinando gli amici e i nimici e i benvoglienti a la spiegata, 3 son diventata d'oro e non di carlini,4 chi sarai tu vivendo come io ti insegno? PIPPA. Reina de le reine, non pur signora de le signore. NANNA. E perciò ubidiscimi. PIPPA. Io vi ubidirò. NANNA. Fallo, non ti perdendo nel giuoco; perché le carte e i dadi sono gli spedali di chi ce si ficca drento: e per una che ne porti nuova la sbernia,5 e ne son mille che ne van mendicando. Il tavoliere e lo scacchiere ti ornino la tavola; e quando si giuoca un giulio o due, ti bastano per le candele: perché il poco che si vince tutto è de la Signoria Vostra; e non si giocando a la condennata né a la primiera,6 non si sente mai uno scorruccio, né si dice mai parola che non si convenga; e quando sia che uno appassionato ne' giocacchiamenti ti voglia bene, chiedegli di grazia, ma che ognuno oda, che non giuochi più: e mostra di farlo perché egli non si rovini, e non perché gli dia a te. PIPPA. Io v'ho pel becco. NANNA. Riprendalo anco del suo darti troppo da mangiare: spassa-martello: innamorati pazzi. :2. sbrascia: • fa il grande, il bravo • (Carraroli). 3. a la spiegata: manifestamente. 4. carlini: moneta di poco valore. 5. sbernia: bemia (mantella da donna). 6. conde,,nata . .. primiera: giochi di carte d'azzardo. 1.

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fingendo di farlo per non ti dilettare, e non perché tu gli voglia per moia. 1 E sopra ogni ricordo, ti do per ricordanzia che ti diletti di avere in casa persone degne: che, se ben non sono innamorate di te, te acquistano amorosi con la lor presenzia, facendoti onorare dagli altri. Il tuo vestire sia schietto e netto; ricami2 per chi vuole gittar via l'oro e la manifattura, che vale uno Stato: e volendosi rivendere, non se ne trova nulla; e il velluto e il raso segnato dai lavori dei cordoni che ci sono suso, è peggio che di cenci. Sl che sta' in su l'avanzare per cotal modo, perché in capo de le fine le robbe nostre si convertano in danari. PIPPA. Sta bene. NANNA. Ci resta mo' le vertù, de le quali naturalmente le puttane son nimiche come di chi non gli porge a man piene. Pippa, niuno è atto a negarti uno stormentino; e perciò a uno chiedi il liuto, a l'altro l'arpicordo, a colui la viola, a costui i fiuti, 3 a questo gli organetti e a quello la lira: che tanto è avanzato. E facendo venire i maestri per imparare le musiche, tiengli in berta,4 e fagli sonare a stracci, pagandogli di speranze e di promesse, e di qualche pasto a cavallo a cavallo.5 Doppo gli stormenti, entra ne le pitture e ne le sculture; e carpisce6 quadri, tondi, ritratti, teste, ignudi e ciò che tu puoi: perché non si vendano manco che i vestimenti. PIPPA. Non è egli vergogna a vendere i panni di dosso? NANNA. Come vergogna? Non è più strano il giocargli nel modo che fur giocati quelli di messer Domenedio? PIPPA. Voi dite il vero. NANNA. Certo il giuoco ha il diavolo nel core; e perciò ritorno a dirti che non tenghi carte né dadi in casa: perché basta vedergli, ed è bello e spacciato chi se ne consuma. Io ti giuro per la vigilia di santa Lena da l'Olio7 che atoscano le brigate che le guatano, non altrimenti che si ammorbino altrui i panni apestati che si toccano dieci anni da poi che sono stati rinchiusi. PIPPA. Carte e dadi, in là. NANNA. Ascolta, ascolta quel che io ti dico circa la boria de la pompa de le feste. Pippa, non ti aguluppare in cacce di tori, né in correre di inguintane né a l'anello;8 perché ne escano di per nioia: a per avidità• (Aquilecchia). 2. ricami: con ricami. 3. fiuti: flauti (dal francese jlute). 4. in berta: in chiacchiere. 5. a cavallo a catJallo: di tanto in tanto. 6. carpisce: carpisci. 7.santa Lena da l'Olio: cfr. la nota 6 a p. 143. 8. non ti ... anello: non ti avviluppare (immischiare) in corride, né in corse di quintane o di giostre. 1.

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mortali inimicizie, né son buone ad altro che a dare spasso ai putti e a la canaglia: e se pure hai volontà di vedere ammazzarne e del correre a queste e a quello, va' e vede cotali giuochi a casa d'altri. E accattando tu sai, robboni 1 o cavalli di pregio da mascararti, fanne quello conto che ne faresti essendo tuoi; e rendendogli non gli rimandare senza nettargli, come usano le puttane, ma forbitissimi e ripiegati nel modo che stavano in prima: perché i padroni te ne portano odio bestiale, facendo altrimenti; e spesso spesso si adirano con chi è stato cagione che te gli prestino. PIPPA. Non mi avete per sl trascurata, e son micce2 chi noi fa. NANNA. Propio micce. Or s'io ti volesse dire in che forgia ti hai a conciar le trecce, e come trarne fuora una ciocchetta che ti forcheggi per la fronte o intorno a l'occhio, onde si chiuda e apra con la capestraria de la lascivia, bisognaria cicalar fino a notte; cosi volendo insegnarti a tener le pocce in seno con un modo che chi le vede fare a lo sportello de la camiscia gli affisi il guardo ficcandolo drento a quel tanto che se ne scorge: facendone più carestia che non ne fanno divizia alcune, le quali par che le voglino gittar via col farle saltar fuora del petto e del vestimento. Ora io me ne spedisco in uno o due fiati, o in tre al più. PIPPA. Io vorrei che voi durasse di favellare un anno. NANNA. Quello che io mi scordo a dirti, e quel che io non so, ti insegnarà il puttanesimo da per sé; perché i punti suoi stanno in sé stessi, e nascano in un tratto non aspettato d'altrui e non pensato da lei :3 onde suplisci col tuo naturale a la mia naturaccia smemorata. Ma non t'ho io a dire? PIPPA. Che? NANNA. I preti e i frati mi volevano sdruscire il cervello, e uscirsene per le maglie rotte.4 PIPPA. Guata ribaldi. 5 NANNA. Anzi ribaldoni e ribaldacci. PIPPA. Come mi avete detto ne la maniera che io ho a vivere con loro, vo' sapere che male mi farà il tormi de la verginità. NANNA. Nulla, poco. PIPPA. Farammi gridare con le strida d'un che si taglia l'anghio?6 I. accattando: prendendo in prestito; robboni: vesti signorili. 2. micce: asine. 3. da lei: cioè dalla puttana. 4. mi .•• rotte: cioè passare di mente. 5. , I 5. rompere: sbaragliare. 1.

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adocchiava le tane per nascondersi. In questo il romore si lieva al monte di Santo Spirito ;1 e i nostri belli-in-piazza nel primo assalto fecero come un che s'imbatte a fare una cosa che mai più la fa sl buona: dico che ammazzàr Borbone ;z e guadagnati non so quante banderiuole,3 le portarono a Palazzo con un "viva, viva" che assordava il cielo e la terra; e mentre gliene pareva aver vinta, ecco rotte le sbarre del monte: e fatto pasticcio di molti4 che non avevano né colpa né peccato ne le battaglie, scorsero 5 in Borgo. Onde alcuni dei nimici passarono il ponte6 e, andato fino in Banchi, ritornarono indrieto; e dicesi che la buona memoria di Castello, nel quale era scampato l'amico, non gli sbombardò per due conti: uno per miseria di non gittar via le pallottole e la polvere; l'altra per non fargli adirare più che si fossero; attendendo a mandar giù corde, tirando in sacrato i gran baccalari7 i quali avevano la stipa al culo.8 Ma ecco venir la notte; ecco le botti guardiane9 di ponte Sisto10 che si sbarrattano ;11 ecco lo essercito che di Trastevere si sparpaglia per Roma: già i gridi si odano, le porte vanno per terra, ognun fugge, ognun si asconde, ognun piagne. Intanto il sangue bagna lo spazzo, la gente si ammazza, i tormentati raitano, 12 i prigioni pregano, le donne si scapegliano, i vecchi tremano: e vòlta la città coi piedi in suso, 13 beato è quello che muor tosto o, indugiando, trova chi lo spaccia. Ma chi patria dire il mal di così fatta notte? I frati, i monaci, i cappellani e !'altre ciurmaglie, armati e disarmati, si appiattavano ne le sepolture più morti che vivi: né ci rimase grotta, né buca, né pozzo, né camI. mo11te di Sa11to Spin"to: la famosa banca del papato. Il Ferrero specifica: «Al di là dell'ospedale e della chiesa di Santo Spirito, tra il Vaticano e Castel Sant'Angelo». 2. Carlo duca di Borbone (1490-1527), connestabile di Francia, ricordato dal Cellini nella Vita (e qui continua la narrazione del sacco di Roma, fatta in modo popolaresco con grande perizia descrittiva). 3. banderillole: come trofei della vittoria sui vinti nemici. 4./atto ... molti: « malmenando molta gente» (Ferrero). 5. scorsero: fecero scorreria. 6. il ponte: dell'Angelo (cioè di Castel Sant'Angelo). 7. in sacrato igran baccalari: in luogo sacro i gran personaggi. 8. avevano ••. culo: avevano il fuoco al sedere. 9. le botti guardiane:« Intenderei: le genti dappoco che facevano la guardia» (Ferrero). 10. ponte Sisto; «Il ponte Sisto dava accesso da Trastevere alla via Giulia e al centro della Roma cinquecentesca» (Ferrero). 11. si sbarrattatio: si disuniscono, si rompono. 12. raitano: gridano per il dolore. 13. la città .•. suso: la chiama appunto il Ferrere «un'efficace immagine plebea» (e fa presente come lo scrittore non secenteggia « negli argomenti che non ammettono lo scherzo, e dove non mira a fare più appariscenti e più lucrose le sue adulazioni»).

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panile, né cantina, né lato alcuno secreto che non fosse subito pieno di ogni sorte di persone. Erano tambussati1 gli spettabili viri e, con i panni stracciati indosso, dileggiati e sputacciati. Né chiese, né spedali, né case, né altro si riguardava; e fino nei luoghi dove non entrano uomini, entrarono coloro : e per dispregio cacciarono le lor femine dove si scomunica ogni femina che vi va. Ma la compassione era a vedere il fuoco ne le logge d'oro2 e nei palagi dipinti; il cordoglio era a udire i mariti che, fatti rossi dal sangue che gli usciva da le ferite, chiamavano le mogli perdute con una voce da far piangere quel sasso di marmo del Coliseo il quale si atiene senza calcina. Il barone contava a la signora ciò che io ti conto; e volendo entrare nel lamento che faceva il papa in Castello, maladicendo non so chi che gli aveva rotto la fede, 3 lasciò scapparsi tante lagrime dagli occhi che l'ebbero ad affogare: e non potendo più isputar parole, rimase come muto. PIPPA. Come può essere che egli piangesse il mal del papa, essendo nimico dei preti ? NANNA. Perché noi siamo pur cristiani, ed eglino son pur sacerdoti: e l'anima dee pur pensare al fatto suo. E perciò il barone venne quasi in angoscia: talché la signora si levò suso, e pigliatelo per mano, con istringergliene due voltarelle, lo accompagnò fino a la camera; e lasciatolo con la buona notte, se ne andò a riposare. PIPPA. Voi avete fatto bene a stroncarla,4 perché io non poteva più udirvi senza doglia. NANNA. Io te ne ho racconto uno straccio5 a calzoppo,6 e dettane una parolina in qua e l'altra in là: che, a dirti il vero, io ho dato la memoria a rimpedulare;7 e poi non se ne verria mai a capo, tante crudeltà furono nel sacco. E se io ti volesse dire le rubarie, gli assassinamenti e gli sforzamenti di quelli ne le case dei quali si credette salvar chi vi fuggì, portarci pericolo di nimicarmi con alcune persone che si credano che non si sappia come assassinarono gli amici. PIPPA. Lasciate andar le verità e datevi a le bugie: e metteracci più conto. NANNA. Io lo farb un di a ogni modo. 1. tambussati: percossi. 2. d'oro: dorate. 3. rotto la fede: infranti i patti della tregua. 4. stroncarla: terminare il vostro dire. 5. uno straccio: un pezzetto. 6. a ca/zoppo: a saltelloni. Cfr. G. ALESSIO, in u Lingua nostra», XXXII (1971) 1 p. 121. 7. rimpedulare: rimettere in sesto («rifarle il pedule»).

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Fatelo, e noi dite. NANNA. Tu 'l vedrai. Ora a noi: la signora, presa a la pania di che amore imbrattò la presenzia e la maniera1 del barone, era tutta di fuoco; e il suo core le brillava in seno non altrimenti che fosse di ariento vivo; e pensando al grandissimo onore de la generazion2 sua e a le prove che ella stimava che egli avesse fatto in cotal notte, giostrava3 per il letto come persona che ha uno aghiadato4 e cocente martello ;5 e standole fitto nel pensiero la faccia e le parole del cicalone, 6 faceva poco guasto del sonno.7 Già il di seguente con i colori di messer Sole aveva dato il belletto a le gote di monna Aurora: onde ella se ne andò a la sorclla,8 e doppo il contarle uno sogno a strapiè,9 le disse: « Che ti pare del peregrino10 giunto a noi? Vedestù mai il più bello aspetto del suo? Che miracoli devé fare con l'arme in mano mentre si combatteva Romal Non pò essere che non sia nato di gran seme: certamente se io, da poi che la morte mi furò il primo consorte,1 1 non avessi fatto boto di vedovanza, forse forse che io mi sarei vòlta a questa colpa e a costui solo; e certo, sorella, io non mi ti nascondo, anzi ti giuro per la nuova affezione che io porto a la nobiltà del forestiero, che poi che egli mori, il mio core è stato scarsissimo d'amare; e ciò mi avviene per conoscere i segni de la fiamma antica, 12 la quale mi consumò tutta in un tratto e non a poco a poco. Ma prima che io faccia disonestade alcuna, aprisi la terra e inghiotti scarni viva viva, o saetta dal cielo mi subissi nel profondo; io non son per istracciar le leggi de l'onore: colui che ebbe l'amor mio se lo portò seco ne l'altro mondo, e là ne goderà in sea,lorum secula»; 13 e qui fornendo il favellare, si diede a piangere che parea battuta. P1PPA. Poveretta. PIPPA.

la maniera: l'agire. 2. generazion: schiatta. 3. giostrava: si rivoltolava. 4. aghiadato: agghiacciato. 5. martello: arrovellamento. 6. del cicalone: di quel chiacchierone. 7. faceva ••• sonno: dormiva ben poco. 8. sorella: è Anna nel racconto virgiliano. 9. a strapiè: alla rinfusa. I o. peregrino: pellegrino. 11. primo consorte: Sicheo. 12. co11oscere ••. antica: si noti come nella tradizione l'Aretino non possa non ricalcare letteralmente Virgilio, Aen., 1v, 23: aagnosco veteris vestigia flammae» e Dante: « conosco i segni dell'antica fiammai• (Purg., xxx, 48), ma muti l'ordine delle parole per immettere anche la famosa citazione nel suo contesto. 13. in ••. secu/a: altra terminologia tolta ai canti liturgici. La narrazione dell'Aretino messa in bocca alla Nanna in quest'ultimo capoverso ricalca, con notevoli effetti realistici, il testo virgiliano. Si veda, per l'innamoramento di Didone, Aen., 1v, 1-53. 1.

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La sorella1 che non era ipocrita e pigliava le cose pel dritto, facendosi beffe del suo boto e del suo pianto, le rispose con dire: (< È possibile che tu non voglia imparare quanto sieno dolci i figliuoletti e quanto sieno melati i doni di madonna Venere? Che pazzia è la tua, se ti credi che l'anime dei morti non abbino altri pensieri che de le mogli che si rimaritino o no: ma voglio che tu abbia questa vittoria di non ti esser piegata a tòrre uno di cotanti prencipi i quali ti hanno voluta. Vuoi tu contrastare con quella fraschetta di Cupido ?2 matta noi fare, perché ne andarai col capo rotto; oltra di questo, tu hai tutti i vicini per nimici: si che sappi conoscere la Ventura3 che ti ha messo il crine in mano; e caso che il nostro sangue si mescoli con il romano, qual cittade aggiugnerà a la nostra? Or faciam fare orazione a tutti i monasteri acciò che il Cielo ci conduca a bene; in questo mezzo noi averemo agio di ritardarlo qui: e forse lo averà di grazia per essere sfracassato e deserto,4 e anco per l'asprezza del freddo che esce del cor del verno ». Tu vai cercando, Pippa: ella le seppe si ben cantare il vespro che ella diede la stretta ai boti e a la onestà; e gittatasi l'onor drieto le spalle, se sta, se va, vede e ode il barone. Vien la notte, e quando fino ai grilli dormano, ella vegghia: e scagliandosi da questo a quel lato, favellando di lui seco stessa, arde con uno affanno solamente inteso da chi si corea e leva secondo che il martel che lavora5 vuol che altri si corchi e levi. E per chiarirtela, ella che aveva l'animo in compromesso, fece con l'amico le maladette fini: ella le fece, figlia. PIPPA. Saviamente. NANNA. Anzi pazzamente. PIPPA. Perché? NANNA. Perché dice il canto figurato che NANNA.

Chi s'alleva il serpe in seno le intervien come al villano: I. La sorella: la già menzionata Anna della narrazione virgiliana. (Di qui alla fine del capoverso, per il racconto della Nanna, l'Aretino ha presente Aen., IV, 3 I sgg.). 2. quella fraschetta di Cupido: quel vagheggino di Cupido: la stessa immagine si trova nella parodia macaronica del Folengo, Baldus, I, 160: «Protinus ante illam volitans fraschetta Cupido», dove illam è Baldovina, figlia del re di Francia, innamorata di Guidone. 3. la Ventura: la Fortuna (col tradizionale ciuffo). 4. deserto: abbandonato.5. il martel che lavora: il cruccio che tormenta.

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come l'ebbe caldo e sano, lo pagò poi di veleno. 1 Ti dirò ben poi del traditore. Tosto che la signora ebbe messe le corna a la buona memoria de lo andato a porta inferi-z un tempo prima, la fama cicala, la fama scioperata, la fama malalingua3 l'andò bandendo per tutto: talché i signori che la avevano chiesta in matrimonio, ne diedero l'anima a Satanasso con le maggior braverie del mondo; e dissero del Cielo e de la fortuna mille mali. Intanto il gaino, 4 il qual si vede sfamato, rivestito e rifatto a suo modo, chiama i compagni e gli dice: «Fratelli, Roma mi è apparsa in visione, e mi comanda da parte d'ogni santi che io mi parta di qui ; perché io sono deputato5 a rifarne una altra molto più bella: perciò mettetevi a ordine queti queti; e mentre farete ciò che io vi dico, trovarò qualche destra via da licenziarmi da la signora». Ma chi pò gittar la cenere negli occhi degli innamorati, i quali veggano quello che non si vede e odano quello che non si sente ? Prima ella vidde le cose sottosopra, onde si accorse che la buona limosina6 voleva fare con la sua nave il leva ei,us: 7 e posta

Aquilecchia, nell'Indice dei capoversi. e dei versi. citati, p. 515, fa un riferimento a Serafino Aquilano, Canzona sopra ingratitudine, vv. 1-4 e 61-4. Il proverbio è documentato da più componimenti popolari, dal Rinascimento alla Raccolta di proverbi toscani del Giusti come il Ferrero ricorda anche dietro alcuni esempi fatti da Vittorio Cian nelle sue ricerche sul Bembo. 2. andato a porta inferi: andato alle porte dell'inferno (cioè all'al di là). 3. la fama cicala ..• malalingua: «Extemplo Libyae magnas it Fama per urbes; / Fama, malum qua non aliud velocius ullum » (Aen., IV, 173-4). I versi che seguono sono alla base del racconto dell'Aretino. 4. il gaino: sempre Enea in veste di crudele assassino (da caino, come è anche scritto più avanti). In questo luogo Aquilecchia pensa che il termine derivi da Gano e valga «traditore», come da vari riferimenti della critica. Ma la pronuncia - indubbiamente gaìno, come caìno - avrà facilitato pur nella deformazione il fondamentale valore di crudeltà. Il Ferrero scrive, senz'altro, Caino. 5. dep1ttato: incaricato. 6. la buona limosina: «quella buona lana, quel briccone 11 (Ferrero, che così propone con varie osservazioni). 7. / are ... leva eius: svignarsela. L' Aquilecchia, Glossario, sub leva eius fa riferimenti al Ca11tico dei Cantici, 2, 6: « Laeva eius sub capite meo », e rinvia al levamilli dal latino levamen. Cfr. p. 137 e la nota 2. Il Ferrero riporta alcuni esempi dalla Cortigiana e dal Filosofo, dei quali almeno uno mostra che il darsi alla fuga è accompagnato da parte di quanto si è potuto rubare. Si aggiunga che forse l'espressione si collega a quella di cui nel Morgante, xv111, 177, J: «ire in Levante» (levare, cioè rubare, andare a far fortuna). J.

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in furor per ciò, senza lume e senza animo correva per la terra come insensata; e giunta inanzi al barone col viso smorto, con gli occhi molli e con le labbra asciutte, snodò la lingua ingroppata nei lacci de la passione lasciandosi cader di bocca cotali voci : «Credesti, disleale, trafugarti di qui senza mia saputa, ah ?1 E ti basta la vista che l'amor nostro, la fede promessa e la morte a la qual son disposta non possa ritenerti del partir deliberato? Ma tu sei pur crudele ancor inverte stesso, da che vuoi navicare or che il verno è ne la maggior furia de l'anno; dispietato che non solamente doveresti cercare i paesi strani, ma non ritornare a Roma per tali tempi, se bene ella fosse più in fiore che mai: tu fuggi me, crudo; me fuggi, en1pio. Dehl per queste lagrime che mi si movano dagli occhi, e per questa destra che dee por fine al mio martire, e per le nozze cominciate da te, e se per le dolcezze in me gustate merito nulla, abbi pietà del mio stato e de la mia casa che, tu partendo, cade; e se i preghi che piegano fino a lddio hanno luogo nel tuo petto, spogliati questa volontà di partire: già per essermiti data in preda son venuta in odio non solo ai duchi, ai marchesi e ai signori dei quali refutai il matrimonio, ma mi hanno a noia i propi miei cittadini e vasalli; e mi par tuttavia esser prigiona di questo o di quello. Ma ogni cosa si potria sopportare se io avessi un figliuol di te; il qual giocando mostrassi ad altrui le tue fattezze e la tua faccia propia ». Cosi ella gli disse singhiozzando e piangendo. Il simulatore, il maestro de le astuzie, ostinato ne l'albagia del sogno fatto, non batte punto gli occhi, né si volge al pregare né al piangere suo: simigliando un avarone miserone al tempo de la carestia, il qual vede morire i poveri per le strade e non vuol dare un boccone a la fame che gli manuca. 2 A la fine, con poche parole disse che non negava gli oblighi che aveva seco, e che sempre era per tenergli ne la mente, e che non pensò mai di partirsi senza dirgnele; negando con volto invetriato3 di averle promesso di tor la per moglie, dando la colpa del suo andarsene a celi celorum :4 e le giurò che l'angelo gli era apparito e comandatogli gran faccende. Ma predicava ai porri, perché ella già lo guardava con occhio con1. Credesti ••. ah?: • Dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum / posse nefas tacitusque mea decedere terra?» (Aen., IV, 305-6). Anche la narrazione che segue in bocca alla Nanna si adegua al testo virgiliano con un vigoroso travestimento realistico. 2. manuca: divora. 3. invetriato: impassibile. 4. celi celorum: latino di fonte liturgica, qui parodico.

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trario; e la rabbia, che fuor del cor di fuoco gli moveva il giusto sdegno e il duolo, le usciva per gli occhi e per la bocca. Per la qual cosa se gli voltò e disscgli: «Tu non fosti giamai romano, e menti per la gola di essere di cotal sangue: Testaccio, uomo senza fede, ti ha creato di quei cocci di che si ha fatto il monte, 1 e le cagne di quel luogo te han dato il latte: perciò non hai fatto niuno atto compassionevole mentre ho pregato e pianto. Ma dinanzi a chi contarò io i miei casi, poiché lassuso non par che ci sia niuno che ri• sguardi i torti con dritta cagione? Certamente oggi non è più fede alcuna; e che sia il vero, io ricolgo2 costui sconquassato dal mare, io gli faccio parte d'ogni mia cosa, io me gli do e dono: e non basta a far si che egli non mi abandoni tradita e vituperata; e per più strazio mi vuol far credere che il messo gli sia venuto dal Cielo riferendogli i secreti di Domenedio, il quale non ha a far altro che pigliare i tuoi impacci. Ma io non ti tengo: va' pur via e séguita le pedate3 dei sogni e de le visioni, che certo certo tu rifarai il popolo d'Israelle; ma ho speranza, se vai, che ne patirai le pene tra gli scogli, onde chiamarai il mio nome, augurando la gentilezza e la bontà mia più di sette volte; e io ti seguirò come nimica, e con fuoco e con ferro farò le mie vendette, e quando sarò morta ti perseguitarò con l'ombra, con l'anima e con lo spirito ... »; non poté dire, perché la passione le serrò la via de le parole, talché lasciò il parlare nel mezzo; e come inferma, perduta la vista, non potendo tenersi in piei, si fece letto de le braccia de le sue donzelle: le quali la portarono a giacere, lasciando il barone non senza la faccia vituperata dal rossore de la vergogna del tradimento che faceva a la meschina ... ; tu piangi, Pippa? PIPPA. Che sia ucciso il poltronel 4 NANNA. E squartato possa essere, poiché egli doppo il lamento de la signora si dispose a la partita. E menando le sue genti la nave a riva, parevano formiche 5 le quali si forniscano di semi pel verno: alcun di loro portava acqua dolce, altri rami con le frondi, altri i guai che lo piglino. PIPPA. Che faceva la sventurata in quel mentre? NANNA. Gemeva, sospirava, si pelava6 tutta quanta; e ne l'udire 1. il monte: appunto il Testaccio, una collina fatta di cocci (tutae), ammucchiati da secoli. 2. e che ••. n·colgo: e che questo sia la verità è prova quanto ora dico: io raccolgo ecc. 3. le pedate: le orme. 4. poltrone: ribaldo. s. pareva110 f or111iclze ecc.: cfr. Aen., 1v, 402-7. 6. ri pelatJa: si strappava i capelli.

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i gridi dei marinai sfamati1 e il rimescolamento de la ciurma e de l'altra brigata, spasimava, scoppiava e moriva: ahi amor crudele, perché ci crocifiggi tu sl aspramente e per tante vie? Ma ecco la signora che, avendo anco un poco di speranza, parla con la sorella dicendole: « Sorella, non vedi tu che gli se ne va via, e già la nave si acconcia per moversi? Ma perché, o cieli ingrati, s'io potei sperare cotanto affanno, noi posso io patire ?2 Pur, sorella, tu sola mi aiutarai, poiché quel traditore ti fece sempre segretaria dei suoi pensieri e sempre fidassi di te: onde va' e parlagli, e parlandogli cerca di umiliarlo, con dirgli per mia parte che io non fui compagna di coloro che col nome di accordo posero in rovina la sua patria; e che io non trassi de la sepoltura l'ossa di suo padre: e se cosi è, piacciagli di ascoltarme quattro parole prima che io moia; diragli che faccia a me che l'adoro sventuratamente questa sola grazia, che non se ne vada ora, ma quando il camino sarà più navicareccio. 3 Io non gli voglio esser moglie, poiché mi disprezza, né meno che resti qui, ma un poco d'indugio che sia spazio al duolo: e ciò desidero per imparare a sopportarlo». E qui si tacque lagrimando. PIPPA. Il cor me si spara.4 NANNA. La misera sorella sua, Pippa mia, ripo1ta le parole, il pianto e la disperazione in su e in giù; ma il crudo non si rinteneriva punto, anzi pareva un muro percosso da le palle a vento :5 a la fine la signora, risoluta de la sua partita, provò di fargli uno incanto, ancora che ella se ne avesse sempre fatto coscienza. 6 PIPPA. Giovolle? NANNA. Appunto!' Ella chiamò streghe, fantasime, demoni, versiere, fate, spiriti, sibille, lune, sole, stelle, arpie, cieli, terre, mari, inferni e altri diavolamenti; sparse acque nere, polvere di defunti, erbe secche a l'ombra; disse parole intrigate,8 fece segni, caratteri, visi strani, bisbigliò con seco medesima: e non fu mai santo che

1. sfamati: «qui, nel contesto, sarà da intendere: diffamati, infami: perché ubbidiscono a così tristo padrone!» (Ferrero). 2.s'io •.. patire?: «Hunc ego si porui tanrum sperare dolorem, / et perferre, soror, potero » (Ae11., 1v, 419-20). Altri numerosi riferimenti sono resi pressoché alla lettera dall' Aretino. 3. navicareccio: atto alla navigazione. 4. spara: spacca. 5. palle a vento: palloni fatti con vesciche gonfie d'aria. 6. ancora ... coscienza: « sebbene si fosse sempre fatto scrupolo di valersi delle arti magiche» (Ferrero). 7. Appunto!: per nulla! 8. intrigate: farfugliate.

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mostrasse di aver cura degli amanti falsi. r Era mezzanotte quando incantava a credenza :2 e i gufi, gli alocchi e le nottole dormivano sonnacchiando; solo ella non poteva carpire il sonno con gli occhi, anzi amore tuttavia la tormenta più. E doppo lo esser stata un pezzo muta, comincia a favellare dicendo a sé stessa: «Or che faccio io trista? Richiederò io per marito qualunche si sia di quelli che io ho disprezzati ? Seguirò io le voglie romane ? Sl, perché mi sarà utile per averle sovvenute, e per esser cotal gente riconoscitrice dei benefici. Ma chi mi accettarà, se ben volessi andare ne la nave superba? E poi non conosco io gli spergiuri di quei Romani, i quali si farien beffe di me, andando a loro? Oltra questo, debbo io comportare che essi faccino vela e al presente entrino in mare? Deh! mori, mori, misera, e col ferro scaccia il tuo dolore. Ma tu, sorella, mi spingesti contra al mio male: tu mi proferisti al mio nimico; tu mi facesti tradire la cenera del mio marito e il boto de la mia castitade, disleale e rea femina che io sono». 3 PIPPA. Che bel lamento.4 NANNA. Se ti commovi udendolo raccontar da me, che non ne dico straccio che bene stia e lo scompiglio ne lo raccontarlo pietosamente, che aresti tu fatto udendolo da la sua bocca? PIPPA. Io mi sarei dileguata dirieto al dolore suo. NANNA. Cosi sarebbe stato. Ora il barone diede i remi a l'acque: e scarpinando via, 5 si voltava spesso indrieto, parendogli aver tuttavia il suo popolo a le spalle. E spuntando fuora l'alba, la sconsolata, a la quale parse che quella notte fosse rinterzata6 come le messe di Natale, si fece a la finestra; e vedendo la nave lontana dal suo porto, battendosi il petto, graffiandosi il volto e squarsciandosi i capegli, piglia a dire: « O Iddio, andrassene costui a mio dispetto, e un forestiero spregerà la mia signoria, e le mie forze non hanno a poter nulla seco e noi seguiranno per tutto il mondo ? Su, portate arme e fuoco! Ma che dico io ? e dove sono? e chi mi toglie la mente dal suo luogo? Ahi, infelice, la tua fortuna crudele I. e non fu ... falsi: dice il Ferrero: « È da intendersi come una riflessione della Nanna, che si inserisce nella narrazione». In realtà, si tratta di un pensiero di Virgilio: cc tum, si quod non aequo foedere amantis / curae numen habet iustumque memorque, precatur » (Aen., 1v, 520-1). 2. a credenza: con fede (sull'efficienza degli incantesinù). 3. u Or che faccio . .. sono»: cfr. Aen., IV, 534-52, quasi alla lettera. 4. lame11to: che è il termine usato dai cantastorie dell'epoca. 5. scarpinando via: andando via in fretta. 6. ri11terzata: replicata tre volte.

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è poco lungi: io doveva far ciò quando io poteva, e non ora che non posso. Ecco la fede di costui che ha salvate le reliquie romane ;1 ecco il pietoso de la patria: eccolo là, che mi viene incontra con le spalle,2 e con quelle mi paga la benivolenza mia e la mia cortesia. Ma perché, tosto che io seppi la sua fellonia, non lo avelenai ? o vero, facendolo minuzzare, non mi mangiar la sua carne tremolante e calda? forse che il farlo era dubbioso o con pericolo: e quando pur ci fosse suto, poteva io venire a peggio di quel che son venuta? e avendo a morire, era pur meglio affogargli prima o ardergli insieme con la lor nave». Ciò detto maladisse il seme, il sito, i passati, i presenti e gli avvenire di Roma: e pregò il Cielo e lo abisso che facesse nascere, de l'ossa dei suoi, uomini di vendetta e di nimicizia; e poi che ebbe detto quello che le usci di bocca, mandata una sua balia a far non so che servigio, dispose di ammazzarsi. 3 PIPPA. Come ammazzarsi? NANNA. Ammazzarsi. PIPPA. In che modo? NANNA. Ella, tutta smarrita nel viso, con le gote macchiate del livido de la morte, con gli occhi spruzzati di sangue, se ne entra in camara; e messa in furore da le lusinghe de la disperazione, sfoderò non so che spada donatale dal caino ;4 e volendosi senza dire altro trapassar con essa il petto, le venne inanzi agli occhi tutti rannuvolati alcune veste romane e il letto nel qual giacque col giuda: onde si ritenne alquanto. 5 E ritenendosi per !'ultime parole, fece quasi queste propie, le quali, da che un pedagogo me le insegnò,6 ho sempre tenute nel cervello come il pane nostrum quotidiano: «Spoglie che fosti dolci quando lddio e la sorte volsero che voi fosse, pigliate, io ve ne prego, questa anima disciolta dal

1. le reliquie Tornane: i resti di Roma (aEn dextra fidesque, / quem secum patrios aiunt portare penatis •, Aen., 1v, 597-8). 2. con le spalle: cioè fugge. J. E spuntando .•. ammazzarsi: cfr. Ae11., 1v, 584-632. 4. caino: assassino. (Come si è già detto, la grafia, che richiama direttamente Caino, sembra escludere il riferimento, per tradimento, a Gano di Maganza, visto dal1'Aquilecchia nel gaino di p. 291). 5. Ella • •• alquanto: cfr. Aen., 1v, 642-50. 6. da c/ze ..• insegnò: « Qui la Nanna confessa per metà il suo plagio» (Ferrero). Ma s'intende che è un accorgimento dello scrittore per spiegare, in certo modo psicologicamente, con una narratrice di quella fatta, l'andamento scolastico di quest'ultima parte e l'aderenza al testo latino originario.

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suo fuoco. lo, che ho visso il tempo il qual debbo, me ne vado sotterra con la imagine; io ho fatta cittade di assai gran nome; ho visto i miei edifici, e hommi vendicata contra il fratel del marito che ebbi: onde sarei stata oltra le felici felice, se la nave romana non fosse capitata a le mie rive». 1 Ciò detto scompiglia il letto col capo, e tutta rabbiosa lo calca in giuso; e battendo i denti dice stridendo: « Noi non perdaremo perciò la vita senza vendetta; perché tu, ferro, passandomi il petto, ucciderai quel romano crudo che mi sta vivo nel core :2 si che moriamo così, poiché cosi convien morire». Appena fornita la dirieta3 parola, che le altre sue compagne viddero fitta in lei la spada micidialissima. PIPPA. Che disse il barone quando lo seppe? NANNA. Che era stata una mattacciuola. Ora ella andò a dare una voltarella ne l'altro modo ne la forgia4 che hai udito: e ciò le avvenne per i gran piaceri fatti ad altrui. Uomini, ah ? uomini, eh? Per Dio che sono un zuccaro gli assassinamenti che facciamo a loro, considerando quelli che fanno a noi. E perché mi si creda, veniamo a la berta5 che a una tirata6 puttana fece so ben chi scolare e so ben chi cortigiano. PIPPA. Voi non mi avete insegnato come io ho a vivere con gli scolari e con i cortigiani. NANNA. Queste due ribaldarie te lo insegnaranno per me: e fa' che da un solo scolare e da un solo cortigiano tu impari tutte le cose. PIPPA. Benissimo; ma fermatevi ancora, fermatevi. NANNA. A che effetto? PIPPA. Io feci istanotte due sogni, e hovvene conto uno. NANNA. Io non viddi mai fanciulla che avesse più de la bambina di te: e perciò esci del manico7 per dir la tua. PIPPA. Udite quel che io sognai doppo la camera parata. NANNA. Dillo, che sarà mai? PIPPA. Mi pareva che tutta Roma gridasse a la strangolata: Spoglie ..• n've »: cfr. Ae11. 1 IV, 651-8, quasi alla lettera. 2. ucciderai •.• core: «Una argutezza barocca, inserita per gioco nella parafrasi virgiliana: un'eccezione, in questo testo» (Ferrero, con particolare riferimento ai versi 659-60 del IV dell'Eneide). Ma forse è solo un'espressione vivace nel suo immediato carattere popolare. 3. fornita la dirieta: finita l'ultima. 4.forgia: maniera. 5. berta: beffa. 6. tirata: qui evidentemente «abile•. 7. esci del manico: fai più di quanto suoli. 1.

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PIETRO ARETINO cc Pippa,

o Pippa, tua madre ladroncella ha furato il Quarto1 di Vergilio, e vassene facendo bella». NANNA. Ahi ahi ahi Un gocciol gocciolo più ti faceva trasandare più oltre. Che domin so io chi cotestui si sia? Ma senza intendere altro, egli debbe essere un badalone, lasciandosi tòrre il quarto di sé stesso: e pò securamente gittar il resto ai cani, se così è. PIPPA. A lo scolare e al cortigiano. NANNA. Uno scolare afinato ne le capestrarie più che nei libri, astuto, sagace, vivo, soiatore2 e cattivo superlativo grado,3 se ne va a Vinegia; e statoci sopiattoni tanti dì che gli bastarono a infarmarsi de le più ladre e più ricche puttane che vi sieno, chiama in secreto un coglione che lo alloggiava in casa, al quale aveva dato ad intendere come egli era nipote di un cardinale, e venuto ivi in mascara per darsi piacere un mese e per comprar gioie e drappi a suo modo; e chiamatolo gli dice: « Fratello, io desidero di dormir con la tal signora: va' a lei e dille chi io sono; ma con giuramento che ella non mi scopra: e ciò facendo vedrà la bellezza del mio animo». Il nunzio4 trotta via; e giunto a la sua porta, con un ticche tocche tacche fa comparir la massara5 al balcone (dicano elleno) :6 e conosciuto il sensale de la mercatanzia de la padrona, tira la corda7 senza farne altrimenti imbasciata; ed egli, raguagliata l'amica del tutto, conduce in isteccato8 il nipote posticcio di monsignore reverendissimo: il quale va salendo le scale con maestà pretina. E la signora, fattasigli incontra, prima squadra come egli signoreggia bene in campo accotonato, 9 e in giubbone di raso nero, e in berretta, e in scarpe di terziopelo10 il Quarto: il quarto libro dell'Eneide. Abilissima questa confessione delrAretino nei confronti della Nanna (facendo parlare la Pippa). Segue una riflessione scherzosa. 2. soiatore: adulatore. 3. superlativo grado: in modo superlativo (ablativo di qualità alla latina). 4. Il nunzio: il messaggero. 5. massara: fantesca. 6. elleno: esse, cioè quelle («le cortigiane che pretendono di parlare alla moda», come osserva il Ferrero). 7. la corda: per aprire la porta (di solito, dal piano superiore, o nobile, della casa: a esso si accede da una scala, spesso ripida, direttamente dalla strada). 8. in isteccato: «nello steccato, nella piazza del torneo (detto per gioco: vedi più sotto in campo)» (Ferrero). In realtà la cortigiana condusse il cliente in casa a giostrare con lei secondo l'immagine dello scrittore. 9. accotonato: 11 rivestito di panno "accotonato" (di pelo lungo e arricciolato)» (Aquilecchia). 10. terziopelo: velluto (ispanismo, che si troverà anche nel Tassoni, La secchia rapita, II, 30, 5). La Nanna dice ci:spagnolescamente parlando» per tercio pelo. 1.

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(spagnolescamente parlando); e poi gli porge la mano e la bocca con la più onesta puttanaria1 che si possa fare; ed entrato a parlar seco, in ogni proposito gli udiva adattar2 "monsignor mio zio": egli dimenava la testa con certi cadimenti3 oltra il signorile signorili, e pareva che ogni cosa gli puzzasse, e parlava adagio, soave, onesto ; e, con alcuni sputi fatti al torno, si ascoltava sé medesimo. PIPPA. Io lo veggo con la fantasia. NANNA. Che vai tu carendo ?4 La Viniziana stava a l'erta, e a ogni laude che il ribaldo gli dava, rispondeva "moia'1,5 "basta", "fazende" .6 Io non ti so dir tante ciance: il dormire insieme si concluse; onde lo scolare accenna colui che n'è mezzano, e gli dà due zecchini, con dire "spendi" e "fa' tu"; il ser bestia va, spendacchia, e spendacchiando trafuga marchetti,7 soldi, marcelli, e manda le cose da vivere8 per9 un facchino a casa de la diva. PIPPA. Par che voi ci siate stata, in modo favellate di facchino e di cesto. NANNA. Noi sai tu, se io ci sono stata? PIPPA. Sl, sl. NANNA. La cosa venne a lo andarsene a letto: e spogliandosi il dottore a venire, 10 doppo il "non voglio" e il "non fate", soggiugnendo «Vostra Signoria è troppo cortese», lasciò aiutarsi a trar di dosso un giacchetto di tela marcia, 11 greve e sconcio bonI. onesta puttanan·a: il Ferrero, con più diffusi particolari che non nell'antologia arctiniana del 1970, negli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, edizione 1966, fa rinvio, come già in precedenza, al saggio di ARTURO GRAF, U11a cortigiana fra mille: Veronica Fra11co, in Attraverso il Cinquecento [nuova ed.], Torino, Chiantore, I 926, « Opere critiche di Arturo Graf », pp. 175-295, e cosi dice: «Al lettore d'oggi potrà sembrare che sostantivo ed epiteto facciano a pugni: ma nei testi latini e volgari del tempo si incontrano non di rado meretrices lzo11estae e cortigiane oneste: che facevano con una certa dignità, in casa propria, il loro mestiere». 2. adattar: menzionare. 3. cadimenti: letteralmente cadute, ma forse nel senso di abbassamenti della testa in segno di omaggio alla spagnola. 4. carendo: cercando. 5. "moia": come il Ferrero ricorda, l'edizione del 1660 in una postilla dice: « moia: madesl, è una interiezione di maraviglia alla veneziana», ed è usato dall'Aretino nella Ta/anta, e dal Calmo nelle Lettere e nelle commedie, e cosl dal Ruzzante nelle com.medie, talvolta nella forma mogia, come annotava Vittorio Rossi appunto nella sua edizione delle Lettere del Calmo. 6. ''faze,,de": sciocchezze. 7. marchetti: monete veneziane, al pari dei marcel/i citati subito dopo dal nome del doge: Nicolò Marcello (1473-1474). 8. le cose da vivere: i viveri. 9. per: mediante. 10. a venire: futuro. Cfr. la nota 3 a p. 185. u. marcia: di dubbio significato in questo contesto, come dice il Ferrero («forse: morbida, cedevole»). Potrebbe anche significare « pesante e madida di sudore».

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PIETRO ARETINO

tà del peso1 che facevano duemilia dei ducati che intenderai. PIPPA. Sta' pure a vedere. NANNA. Quando la puttana sente cadersi giù la mano dai cusciti-nel-vcstitello,2 parse un mariuolo che adocchia uno di quei moccoloni3 che si lasciano tòr la borsa da canto al pinco :4 e posatelo su la tavola, fa vista di non si accorgere di nulla, attendendo ad accecarlo con le carezze e con i basci, e con il fargli pala, 5 sendo colcata seco, de le mele e del finocchio. Vien la mattina, e il ragazzo del traforello6 entra in camera con inchini nuovi; e lo scolar maladetto gli avventa la borsa, la qual cadendo in terra fece poco rimore, con dir: ,e Va' per malvagìa e marzapani»; né stette molto che i marzapani e la malvagia vengano, e uova fresche appresso. Si desina pur per via del comprator de la cena; e ridormesi e rilevasi cinque notti e cinque mattine a la fila: e fa' conto che il malandrino ci stesse7 a un .xv. scudi vel ci.rea ;8 e cosi fece uno amorazzo e una amicizia da buon senno, e tuttavia lo scolar cattivo-di-nido9 alzava le voci dicendo: «Perché non ingravido io la Signoria Vostra d,un maschio, che gli rinunziarei10 il priorato, la pieve e la badia?»; ed ella: ,e Magari». « Ora non bisogna perder tempo», disse il fàlla-a-chi-le-fa; 11 e che fece egli? Si cavò il giacco, e tenendolo in mano, vede là una cassa ferrata e serrata diabolicamente; onde

1. sconcio •• • peso: sformato a causa del peso. 2. dai cruciti-nel-vestitello: dal peso degli scudi cuciti nel vestito. 3. moccoloni: scemi. 4. da canto al pinco: il Ferrero avverte: • modo di dire scurrile: dalla cintola». (Lo Scrivano nel suo commento in modo allusivo dice: «pinco: cintola»; si pensi però al pinco 1'itto della traduzione della Lisistrata di Aristofane apprestata da Ettore Romagnoli). L'edizione 1660 commenta: «vicino al cotale» (col termine del Boccaccio, usato a tutto spiano dall'Aretino). 5.fargli pala: fargli offerta. È modo di dire furbesco (originariamente: «mostrare, manifestare•, dal latino palam facere). Come riferisce il Ferrero che aggiunge: «Le sconce metafore che seguono (mele,finocchio) si intendono abbastanza dal contenuto». E valga questa, con altre poche note illustrative, per dire, che, nel mare magnum delle immagini sessuali dell'Aretino, non è sempre possibile, in un commento, mettere in evidenza le sue doti. C'è tutta una trasformazione linguistica e artistica di un mondo equivoco nel suo stesso polemico naturalismo, anzi nelle continue affermazioni dello scrittore in merito a una completa libertà della parola. Un lessico dell'Aretino, come documento rinascimentale, sarebbe molto interessante. 6. traforello (o piuttosto trafurello, come in Crusca): ladruncolo, raggiratore. 7. ci stesse: avesse concordato l'appuntamento. 8. tJel circa: o all'incirca. 9. cattitJo-di-nido: malvagio fin dall'infanzia, come Margutte nel Pulci (Morgante, XVIII, 141, 8) era cattivo «insin nell'uovo». 10. gli rinunziarei: gli cederei. 1 I. il f àlla-a-cl,i-le-fa: il truffatore.

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la pregb che le piacesse riponerci drento i denari i quali aveva confitti e appiattati per buon rispetto: 1 ella gli chiude e dà la chiave a lui, pensando certissimamente di averne avere almeno uno o due centinaia. Intanto il mala-lana e la trista spezie dice: «Io vorrei comperare una catena da donna di un centocinquanta pezzi d'oro di valore; e perché io non son pratico, fatemela portar qui oggi o domane, che la comprarò subito». La corre-in-posta,a credendosi che il presente avesse a toccare a lei, finse di mandare per il tale, anzi per il cotale, e fece venir catene e catenelle di minor prezzo; e non si accordando, tolse la sua che pesava ducento ducati d'oro larghi,3 e fecela portare, ivi a poco, da un che pareva orafo, a Sua Altezza; e mostrategliene con dirgli «Che fin oro, e che manifattura miracolosa», fece sl che si venne al mercato. E serrossi la compra a .ccxxv.: e la signora allegra, dicendo fra sé stessa: «Oltra che sarà mia, io avanzarò i .xxv. de la fattura ».4 PIPPA. Io la veggo e non la veggo. NANNA. Lo scozzonato,5 tenendo la collana in mano, la lodava non altrimenti che l'avesse a vendere ad altri; e mentre la mirava e maneggiava, disse: «Signora, quando me ne facciate sicurtà,6 io darò quella cosa che vi ho data in serbo qui al mastro: perché vo' andare a mostrarla a un mio amico; e poi levarb la somma, che io debbo per il lavoro, di donde mi manda questa lettera di cambio »; e fattale vedere una scrittuccia, fece correre la non-insalata-a-fatto.7 PIPPA. Come correre? NANNA. Ella, per non si lasciare uscir de la cassa il giacca tempestato di ducati d'ottone,8 disse: «Portatela pure, che, la

1. per buon rispetto: per cautela. ~- La corre-in-posta: • la corriva• (Aquilecchia), cioè la credulona. Ferrero: eia frettolosa•. 3. dr,cati d'oro larghi: erano una moneta diversa dal consueto e coniata dapprima da Firenze a imitazione del ducato veneto, nel 14221 in modo che, più larga e più sottile, non potesse subire modificazioni da potentati o da privati. In genere si chiamarono con tal nome ducati di diametro maggiore del solito. Il Martinori ricorda che, nel 1540, i • Ducati larghi di oro in oro papali• equivalevano a • Ducati d'oro in oro di Camera [apostolica]». 4. io ••• fattura: risparmierò la spesa della confezione (o lavorazione). 5. Lo scozzonato: il furbo. 6. sicurtà: probabilmente •garanzia». 7. non-i11salata-a-fatto: sciocca del tutto. Il Ferrero con esempi ricorda che •insalato (condito di sale, sapido) è usato in altri luoghi dell'A. in senso traslato: saputo, accorto». 8. d'otto11e: appunto, non d'oro.

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Dio grazia, io ho credito per maggior quantità»; e voltatasi al suo secretario, lo mandò via con un cenno: e lo scolare tolse su i mazzi e sbucò 1 di casa. Vien la sera, ed ei non appare; vien la mattina, e non ci càpita; passa tutto il di, e non se ne ode novella; manda per colui che Io alloggiava, ed egli si stringe ne le spalle e accusa2 un paio di bisacce con una camiscia sudicia e un cappello rimastegli in camera, di suo: ed ella, ne lo udir ciò, si fece di quel colore del quale si imbiancano le facce di chi si accorge che il suo famiglia l'ha fatto rimanere in zero; e fatta sfracassare la cassa, fin coi denti squarciò il giacca: e trovatolo zeppo di fiorini da fare i conti,3 non si impiccò perché fu tenuta. PIPPA. Che diavolo fanno i bargelli per le mondora ?4 NANNA. Nulla, nulla, né ci è più giustizia per la ragion de le puttane; e non ci veggo la grascia5 che ci viddi già: ed era pur un bel mondo il nostro, al buon tempo. E me ne diede un galante essempio il mio buono compare Motta ;6 egli mi disse: «Nanna, le puttane d'oggidì si simigliano ai cortigiani dal di d'oggi, che per la divizia di loro stessi bisogna mariolare :7 altrimenti si moiano di stento; e per un che abbia pane in l'arca, ci son gli stuoli di accatta-tozzi. Ma il male sta nel gusto che hanno mutato i gran maestri :8 cosi sieno squartati i capretti e i caproni9 che ne son . cagione». PIPPA. Che sta a fare il fuoco ?1° Che balocca egli? NANNA. Il fuoco si sta scaldando i forni, e menasi l'agreston intorno agli arasti :12 sai tu perché? PIPPA. Non io. 1. tolse .•• sbucl,: si levò su e uscì. 2. accusa: indica. 3. fiorini ..• conti: erano quindi dei fiorini falsi, usati come gettoni per calcoli sul tavolo dei mercanti. 4. le mondora: i mondi, il mondo. 5. grascia: qui nel senso di «utile», per una «vita allegra e gaudiosa». (La Grascia era l'annona). 6. Motta: a: Sembra trattarsi di personaggio reale, da ricercare tra le conoscenze aretiniane del periodo romano » {Aquilecchia). 7. che per .•• mariolare: che per il loro grande numero debbono far mariolerie. 8. maestri: signori. 9. capretti . •• caproni: per capretti il Ferrero intenderebbe i ragazzi, i cinedi, mentre considera caproni peggiorativo di capretti; l'Aquilecchia intende capretto, deretano; caprone, amplificazione di capretto. 10. il fuoco: per i sodomiti. 11. agresto: vino asprigno, che serviva anche come salsa per gli arrosti. {Qui v,è allusione erotica: cfr. la nota 1 ·a p. 155). 12. arasti: con allusioni erotiche agli amori contro natura (quelli regolari sarebbero i lessi).

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NANNA. Perché il gaglioffo se ne diletta anche egli: e perciò dà miglior sapore ai quarti dirieto arostendogli che ai quei dinanzi lessandogli. 1 PIPPA. Che sia arso. NANNA. Qualcosa sarà, se ben non aviamo il manico da impregnargli, come i ragazzacci, famigliacci, poltronacci. Ascolta del cortigiano: o santa, dolce e cara Vinegia, tu sei pur divina, tu sei pur miracolosa, tu sei pur gentile; ma se non fosse mai per altro, io vo' digiunar per te due quaresime intere solo perché tu chiami i ghiotti, 2 gli sviati, i ladroncelli, gli sbricchi3 e simili taglia-borse "cortigiani"; e perché? Per i ribaldi effetti che escano dei loro andamenti. PIPPA. Adunque le cortigiane ancora sono peccatrici come loro. NANNA. Se eglino ci hanno dato il nome, è di necessità che ci abbino anco dato il viso: verbo et opere"' dice il Con.fttebor. Ma ecco.. mi a lui. Un messere signore-vive-in-tinello-e-more-in-paglia, un certo sputa-in-cantone, un cotal porta..berretta-in-torto, un mena-culo, un va-di-portante, 5 il più aguzzo e il più bel civettino che alzasse mai portiera, o portasse piatti, o votassi orinale; il suo pu.. gnal col fiocco, i suoi drappi forbiti intorno, e in ogni suo movimento fraschetta cicaluzza e poltroncino: frappò6 tanto ne le orec.. chie d'una disgraziata che ella si cosse al fume de le sue chiacchiare ben bene. Egli durò un quattro mesi a donarle alcune coselline: come saria a dire anelluzzi, pianellette di raso e di velluto frusto, guanti ingarofanati,7 velaregli,8 scuffiette e, una volta in dieci, un paio di capponi magri, una filza di tordi, un baril di còrso e cotali presentuzzi da fotti venti :9 e ci spese, fa' conto, venti scudi in tutto il tempo che la maneggiò come gli parve. Ella che era accommodata al par d'ogni altra, non si curando se non de la sua grazia pidocchiosa, 10 si lasciò uscir di sotto11 quanti amici che I. miglior ... lessa11dogli: anche qui l'Aretino eccelle nell'usare il gergo della malavita romana con allusioni riguardanti la sodomia. (Seguono lodi particolari alPospitale Venezia). 2. ghiotti: malviventi. 3. sbricchi: bric.. coni. 4. TJerbo et opere: latino desunto dal Confitebor, dice la Nanna, in luogo di Confiteor. 5. un va-di-portante: uno che cammina d'ambio, con sussiego. 6. frappò: si vantò. 7. ingarofa11ati: odoranti di garofano. 8. velaregli: piccoli veli. 9. fottiventi: vagheggini, vanesii (dal nome degli uccelli, su cui cfr. la nota 6 a p. I sI). 1 o. grazia pidocchiosa: favori da tirchio. I I. tucir di sotto: scappare.

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aveva; e solo attendendo al cortigiano, tanto ringrandiva quanto il vedeva grandeggiare. PIPPA. A che modo grandeggiava egli? NANNA. Del cardinal suo, la reverendissima Signoria del quale lo teneva in collo 1 ogni di due volte, né mangiava cosa che non la partissi seco, e tutti i suoi secreti gli sgoluppava ;2 e come aveva anfanato di regressi, conserve e spettative,3 mostrando avvisi di Spagna, di Francia e de la Magna, si dava a biscantare con voce di campana fessa: Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,4 e

Sì è de bile il filo, 5 o, avendo sempre piena la sacchetta del saio e il seno di madricali di mano dei poeti, i nonù dei quali contava nel modo che raccontano le feste i preti cli contado: e il calendario non le sa sì appuntino come gli sapeva già io; e gli imparai per cagion d'una certa comedia,6 e basta; e mi fecero utile, e basta; e feci credere a uno che io fosse poetessa, e basta. PIPPA. Insegnàtemegli anche a me: che, accadendomi di far quel che voi faceste, io possa farlo. NANNA. Coi nomi puoi tu ben praticare, ma con le persone no. PIPPA. Perché co' nomi, e non con le persone? NANNA. Perché i lor denari hanno la croce di legno, e pagano di gloria patri,1 e sono, perdonimi loro, una gabbia di pazzi; e come ti dissi ieri, aprigli, accarezzagli, mettegli in capo di tavola: ma non gliene dare, se non te ne vuoi pentirte. E per tornare al

I. lo .•. collo: «nel contesto sarà da intendere: lo abbracciava, lo accoglieva familiarmente; o anche: si occupava di lui» (Ferrere). 2. gli sgoluppava: gli palesava. 3. regressi, conserve e spettative: 1t termini giuridici, per indicare vari procedimenti di cessione di benefici da persona a persona» (Fcrrero). 4. Primo verso d'un sonetto del Petrarca, Rime, xc. 5. Col Ferrere modifichiamo il testo Aquilecchia che, secondo la stampa antica, unisce un oh all'emistichio del Petrarca (canzone Si è debile il filo a cui s'attene, in Rime, XXXVII) e, sempre col Ferrero, mettiamo o prima di avendo. 6. comedia: probabile allusione dell'Aretino alla sua opera di commediografo. 7. Perché • •• patri:« perché i denari dei poeti sono falsi, ed essi pagano soltanto con parole di lode» (Ferrero).

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cortigiano profumatino, mongrellino,1 anebbiatino, 2 eccolo una sera picchiar l'uscio a la sua signora; e messo il piè drento, spicca un te deum laudamus su le grazie; e salite le scale con quella sollecitudine che le sale un che porta buone novelle, bascia lei che gli è venuta incontra, e basciatala le dice: « Il diavolo ha pur voluto che io esca di povertà al dispetto de le Corti e de le lunghe, 3 le quali danno a chi serve i reverendi schiericati ». 4 La corriva tutta si scuote al suo parlare; e come colei che pensa di avergli dato a usura5 i piaceri fatti, con una sforgiata baldezza gli dice: «Che cosa hai tu di buono ?»; «Egli è morto quel mio zio riccone, il qual non aveva figliuoli né figliuole, né altro nipote che me»; «Ah, ah,» disse «la Signoria Vostra parla del vecchio misero6 che mi ha conto più volte»; «Cosi è», rispose egli. Ella, da cattiva,7 gli cominciò a dare del signor nel ceffo, tosto che intese de la redità; ed egli si arrischiò a darle del tu, paredogli che tale arte bastasse per farle credere la sua nuova grandezza. PIPPA. Vedi ghiottarelli. NANNA. La cosa andò dove il cortigiano pose la mira, ciurmandola di sorte che la fece andare sopra le vette de l'alboro.8 Egli le favellò tali chiacchiare: « Padrona mia, io non ho fin qui potuto mostrarvi con gli effetti l'amore che io vi porto, per avere speso l'anima in servigio di monsignore: spettando pure che la discrezione venisse da lui. Ora lddio ha voluto, col tirare a sé il fratello di mio padre, farmi conoscere che egli è, son suto per dire, tanto misericordioso quanto sono ingrati i ladroni. Quello che io ti vo' dire è che io sono ereditario di cinquantamilia ducati tra case, possessioni, argenti e contanti; e non ho padre, né madre, né fratelli, né sirocchie: per la qual cosa io eleggo te per legittima sposa, e perché io ti voglio remunerare, e perché io mi voglio

I. mongrellino: col Ferrero pensiamo che equivalga a mingherlino (francese antico: mongrelin). L' Aquilecchia intende «bardassa». 2. anebbiatino: effeminato. 3. le lunghe: gioco di parole con le Corti. 4. i reverendi schiericati: si allude ai preti con un termine popolare che ha l'equivalente, ad esempio, nello scappuccino per cappuccino del Ragionamento de le Corti (si veda qui avnnti alla p. 440). Non è escluso che vi sia unn punta negativa nel termine senza che si debba interpretare, come senz'altro fa il Ferrero: «schiericati: che non portano la chierica (intenderei: che si comportano come non dovrebbe chi porta la chierica) ». s. a usura: «con buon frutto» (Ferrero ). 6. misero: avaro. 7. da cattiva: perfidamente. 8. sopra ••. alboro: sulla cima dell'albero (cioè in brodo di giuggiole). 20

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contentare»; e ciò detto, il veramente degno famigliare d'un prete la basciò: e cavatosi uno anelletto di dito, lo mise nel suo. Or pensa tu se la trama la fece diventar lieta e rossa, e si,1 abbracciandolo, le lagrime stettero ferme a le mosse: ella voleva ringraziarlo, e non poteva. Intanto il traforello spiega la lettera de lo avviso2 fatto di suo inchiostro3 e a suo modo; e postosi a sedere, le disse: «Ecco la carta che canta»; e spianolle il tutto. PIPPA. Al verbo de lo al-quia4 (disse la Betta).5 NANNA. La signora, doppo il tirarselo a dosso un trattuccio, gli diede licenzia che egli andasse a mettersi a ordine di partir seco come le aveva intestata ;6 e non fu si tosto fuor de l'uscio che ella apre una cassetta dove, fra gioie, denari, collane e bacini,7 era il valor di più di trenta centinaia di scudi; e le sue vesti e massarizie passavano milleducento. E spalancato ogni cosa là, eccolo a casa; ed ella a lui: « Consorte mio, questa è la povertà mia, e non ve la do per dota, ma per un segno d'amorevolezza». Il traditoraccio prese le cose di valuta, e riposele nel luogo dove stavano e chiusele di man sua. La matta spacciata, che non sapeva che via trovarsi da ficcarsigli in grazia, volse che la chiave stesse appresso di lui; e mandati per i Giudei, 8 fece oro9 di qualunche robba e massarizia che aveva. Ed egli con i denari de la vendita si vestì da paladino; e comperati in Campo di Fiore due chinee 10 da camino, senza far motto, vestitela da uomo, la menò via: né volse in lor compagnia se non le gioie e l'altre importanzie de la cassetta. E avviatosi inverso Napoli ... 1. si: se. 2. la lettera de lo avviso: il significato (il tenore) dell'annunzio. 3. di suo inchiostro: cioè di sua penna (di sua mano). 4. al-quia: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 3 a p. 65. 5. disse la Betta: l'Aquilecchia registra il luogo nel suo Indice dei wellerismi, p. 518. Si veda in CH. SPERONI, Tlie Italian Wellerism to the End of the Seventeenth Ce11tury, cit., n. 0 29, p. 17, secondo i già citati Proverbi italiani di F. Serdonati, con rinvio al Giardino di ricreazione di G. Florio (Londra, Thomas Woodcock, 1591, e a G. Torriano, Piazza universale di proverbi italiani, Londra 1666). 6. come ..• intestata: «È frase di significato assai dubbio: forse, leggendo intestato, si potrebbe intendere: appena egli avesse intestato a lei la sua eredità» (Ferrero}. È certo detto ironicamente. 7. bacini: vasi preziosi di metallo. 8. Giudei: nel senso tradizionale di mercanti di oggetti usati e anche di usurai, essendo vietato ufficialmente ai Cristiani il prestare denaro. 9. fece oro: realizzò denaro (nella vendita). 1 o. chinee: cavalli bianchi. Celebre è la chinea offerta dal Regno di Napoli in atto di vassallaggio al pontefice per secoli (fino all'opposizione del ministro Bernardo Tanucci nel Settecento).

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PIPPA. Pur là/ mariuoli. NANNA. . .. per due o tre alloggiamenti la trattò da marchesana: e la notte la teneva in braccio con le maggior cacarie2 del mondo. A la fine egli la volse stroncare :3 e dandole non so che opio, che portò da Roma, nel vino, nel più bello del ronfare la piantò nel letto de l'oste cortigianescamente; e tolto il suo cavallo, ci fe' montar suso un ragazzo,4 che appunto ne lo spuntar de l'osteria vidde apparire: dandola per le peste5 di cosi fatta maniera che non si seppe mai più dove si fosse. PIPPA. Che fece la sventurata, desta che fu ? NANNA. Messi a rimore tutto quel paese, e corsa a la stalla, prese la cavezza de la sua chinea, appiccassi a la rastelliera de la mangiatoia: e si disse che l'oste, per guadagnare i panni, si stette a vedere. PIPPA. Chi è menchiona, suo danno. NANNA. Un di quelli che fa sacrificio giuntando6 una puttana: come le puttane avessero a esser tutte sante Nafisse; 7 e non altrimenti che8 le puttane non pagassero pigion di casa, né comprassero pan né vino né legne né olio né candele né carne né polli né uova né cascio né acqua e fin entro al sole9 andassero 10 ignude o, vestendo, i fondachi le donassero panni, sete, velluti e broccati; e di che hanno elleno a vivere, di spirito santo? e perché hanno esse a darsi in preda a ognuno in dono ? I soldati vogliono la paga da chi gli manda in campo; i dottori dicano de le parole per la lite bontà dei soldi; i cortigiani avelenano i lor padroni s'egli non gli provede di benefizi; i palafrenieri hanno il suo salario e la sua colazione, e perciò trottano a la staffa: e si ogni esercizio faticando è sodisfatto, perché doviam noi entrar sotto a chi ci richiede per nonnulla? Belle gentilezze, bei discorsi, bei trovati: al sacramento mio che ella è mal fatta; e doverla il governatore mandare un bando "a la pena del fuoco" a chi ci rubassi o piantasse. PIPPA. Forse che lo man daranno. 1. Pur là: vial 2. cacan·e: gentilezze (come in passi precedenti). 3. la volse stroncare: \'olle farla finita. 4. un ragazzo: in tal modo si poteva credere che avesse portato con sé la donna (che era vestita da uomo). 5. dandola per le peste: scappandosene in fretta. 6. giuntando: ciurmando. 7. esser •• • Nafisse: fare come santa Nafissa (su cui cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota I a p. 60). 8. non ••. che: come se. 9. entro al sole: all'aperto. 10. andassero: seguiamo l'emendamento del Ferrero. (Testo Aquilecchia: e andassero).

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NANNA. A lor posta. 1 Dico che fu uno di cotali truffa-femine, il quale si stava in casa come un signorotto: mangiava a la franciosa, beeva a la todesca; e in una sua credenzietta faceva mostra di un bacino e un boccale d'ariento molto bello e grande: e il bacino e il boccale stava in mezzo di quattro tazzoni pur d'ariento, di due confettiere e tre saliere. Costui saria morto se ogni stomana non avesse mutato puttana: e aveva trovata, per chiavar senza costo, la più nuova tresca e la più bella ragia2 che se pensasse mai da forca e da capestro3 che viva. Il poltrone in questo, ne l'altre cose persona da bene, aveva una veste di raso cremesi senza busti ;4 e subito che menava una signora a dormir seco, nel fin de la cena entrava a dirle: « Vostra Signoria ha forse inteso il piantone5 che mi ha dato la tale: al corpo, al sangue, che non si fa cosi, e meritaria altro che parole»; e non era mo' ver nulla di ciò che diceva. La buona donna, dando ragione al frappatore, si sforzava tuttavia di fargli credere di non esser di quelle; e giurando di non aver mai promesso cosa che non avesse osservata, il galante uomo le teneva la mano dicendo: « Non giurate, che io ve lo credo ; e so che sète una di coloro che non si trovano ». A la fine, chiamato un suo famiglia che era, figliuola mia, ti-so-dire, 6 faceva cavar del forzi ere la sopradetta vesta; e levatosi da tavola, la provava a la signora, dandole ad intendere che voleva donargliene a ogni modo. La vesta, per non aver i busti, stava dipinta7 in sul dosso d'ognuna: e perciò si confece benissimo a quello de la puttana che io dico; onde il fàlla-a-tutte grida rigogliosamente al famiglia, con dir: «Trotta per il mio sarto, e digli che porti da tòr la misura a la signora; e che venga mo' mo', perché io sono stracco di i suoi "testé testé" ». Il ragazzon vola, non pur trotta: e in men che non si sciuga una caccia,8 torna col maestro, 9 il quale era secretario10 de le burle de la vesta; e salito la scala con quello ansciare che fa chi I. A lor posta: a loro piacere. 2. ragia: astuzia ( da ragia: resina di pino e d'altra pianta). 3. da forca e da capestro: da delinquente. 4. busti: stecche al petto. 5. piantone: una nota dell'ediz. 1660 commenta: «il falso e inganneuole lasciamento ò abbandonamento ». Cfr. qui, in merito all'inutile attesa, Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 9 a p. 79. 6. ti-so-dire: cioè «tutto quello che ti posso dire» (un mariolo). 7. dipinta: bene, come dipinta. 8. si sciuga una caccia: « si asciuga una "cazza", ramaiuolo » (Aquilecchia). 9. col maestro: col sarto (che anche più avanti è chiamato maestro nella sua arte). 10. secretario: depositario (cioè al corrente).

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ha corso, dice con una sberrettatina: ,, Che comanda Vostra Signoria?». PIPPA. Odi baia. NANNA. «Voglio» risponde egli «che tu trovi tanto raso eremesi che faccia i busti a questa»: e mostragli la roba anco indosso de la cacozza; 1 il sarto mastica un dire: « Sarà fatiga a trovar di cotal raso; ma vo' servirvi, e credo far tanto che aremo di quel propio che è avanzato a le pianete di monsignore,2 le quali ha fatto per dar in gola3 ai suoi peccati; e quando pur pure non si potessi aver di quello, arò del taglio dei cappelli dei cardinali da le quattro tempora che vengano ».4 «Maestro, vi sarò schiava se lo farete», sfodera vezzeggiando madonna-da-la-gonnella-di-verde-indugio ;5 ed egli, lasciandola con uno "non dubitate", finge di portar la vesta a bottega, e vassene via. Ed ella rimane a stuccare de le sue frutta6 il baionaccio :7 la ciancia del quale, tenutola quanto gli pare con la speranza di "!stasera l'arete: se non, domattina senza niun fallo», piglia il tratto inanzi8 e corrucciasi con seco fuor di tutti i propositi; e fingendo collera grande: cc Presto,» dice al garzone « rimenala a casa; a questa forgia, ah? »; e, serratosi in camera, può gracchiare lo scusarsi di lei, che non ci si dà udienza. PIPPA. La mia secchia non atigne anco di questa acqua. NANNA. Mandala giuso ne la fonte, e l'empirai del sapere come egli faceva provare la veste e venire il detto sarto per tutte le puttane malmenate da lui in casa sua; e godutele lesse e aroste, 9 veniva con loro in corruccio a posta e le rimandava via senza dargli nulla: parendogli aver fatto assai a pagarle de la speranza de la veste, che a ognuna promesse e a niuna diede. PIPPA. Che razzal NANNA. Propio razza da non volerne poledro. Io ti vado toc-

1. cacozza: « detto di giovane scioccamente compiaciuta di sé e compiacente» (Aquilccchia). Il Ferrero emenda il testo in cocozza e interpreta: • la zucca, la zuccona». 2. monsignore: già citato a p. 305. 3. in gola: in compenso. 4. da le ... tJengano: da nominare alle Quattro Tempora. 5. madonna-da-la-gonnella-di-verde-indtlgio: nome-cartello (Aquilecchia). Vuol dire che la veste promessa non giungeva mai. Forse indugio ha avuto origine, in forma popolare, da «indaco». 6. frutta: doti (per traslato, a cominciare dalle pocce). 7. baionaccio: quel pessimo imbroglione, quel beffatore da galera (il vocabolo è di Crusca). 8. piglia il tratto inanzi: • egli cerca il modo di preuenirla » (nota dell'ediz. 1660). 9. lesse e aroste: nuova allusione ad atti erotici normali e contro natura.

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cando ciancette in qua e in là, perché le tristizie degli sputa-inferni e mangia-paradisi sono tali che non le ritrovarebbono le negromanzie, le quali ritrovano gli spiriti: oh che pericolose bestie, oh che mèle-in-bocca-e-rasoio-in-manical Noi donne, se ben siamo astute, cattive, tenaci, ladre e sfeducciate, 1 non usciamo di donnarie; e chi ci pon mente a le mani, ci conosce meglio che non conoscano i pratichi pel mondo gli ascondaregli2 di coloro che giocano di bicchieri e di pallottole di sugaro.3 E poi è da metterci la scusa: perché siamo avare per amor de la viltà de la natura nostra; e ci crediamo tuttavia morirci di fame, e perciò trafughiamo, chiediamo, tentiamo; e ogni piccola cosetta ci s' ataglia, e le formiche non procacciano come procacciamo noi : e così così ci va ella busa, de le cento volte, le novantanove. Ma gli uomini, che fanno miracoli con le lor vertù e diventano, di un pochetto di esser che gli è dato, "illustri" e "illustrissimi", "reverendi" e "reverendissimi", son sl disonesti che non si vergognano di furare per le nostre camere libri, specchi, pettini, sciugatoi, vasetti, una palla di sapone, un paio di forbicine, due dita di nastro e s' altro gli dà ne le dita che vaglia meno. PIPPA. Dite voi da vero? NANNA. Da verissimo. E quale è più gran vituperio che scorgere una meschina che ha solamente la ricchezza d'una botta scudaia,4 la qual si porta il suo avere a dosso: e doppo lo averle lograto 5 e l'orlo del pozzo e de la citerna, pagarla di un diamantino falso, di quattro giuli dorati e di una collanuzza d'ottone; e sperar poi, nel vantarsene, di avere a essere gonfaloniere di Gerusalemme ?6 Che crudeltà è egli a sentire uno salito in bigoncia7 sopra il fatto nostro, trovando cose che mai furono né nate né poste; essi dicano: «lo fui due dl fa a toccar la tale: oh che slandra,8 oh che solenne sudicia! Ella ha le groppe punteggiate come l'oca, un fiato di morto, un sudor di piei, una valigia di corpo,9 un pantano dinanzi e un profondo dirieto da far tornar casto non so chi »; saltano poi in quella altra, dicendo: « Che rozza, 10 che vacca, che 1. sfeducciate: infide. 2. ascondaregli: inganni. 3. coloro . .. sugaro: giocolieri, cerretani. 4. botta scudaia: «tartaruga,, (nota dell'ediz. 1660). 5. lograto: logorato. 6. di Gerusalemme: dei Templari. 7. in bigoncia: in importanza (come un oratore in bigoncia, a in cattedra»). 8. slandra: baldracca. 9. u11a tJaligia di corpo: un corpo sformato come una valigia. 10. roz::a: cavallaccia (ma anche nel senso di «carogna»).

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ladra, che troia: ella lo vuol tutto nel tondo, e ci fa suso scaramucce stupende; e nel cavarlo fuora lo lecca, lo palmeggia e lo netta in un modo non più pensato né visto»; e quanto più si veggano gente a torno, più alzano le boci: e la "coreggera", e la "fratiera" ,1 e la "bandiera". 2. E quando gli facciamo qualche sbarleffo ne lo andar giù per le nostre scale, non si ricordano di quelli che fanno a noi ne lo scendere giù per le loro: e bisogna ben che noi siamo tradite e assassinate, a trapassare il segno in dirne male; e quando ci scappa di bocca «Egli è un misero e uno ingrato» o vero, infiammate da una gran ragione, «un traditore», non si pò andar più suso; e se gli togliamo alcuna cosa, lo facciamo per fornirci di pagare: perché non pagaria l'onestà che ci tolgano, il tesoro dei tesori. PrPPA. Voi mi impaurite con le lor tristizie. NANNA. Io ti impaurisco perché tu impaurisca loro con le saviezze che io ti ho insegnate: e chi paragonasse le finzioni, le bugie, i pianti, i giuramenti, le promesse e le bestemmie, le quali usano per corsaletti3 nel volerci vincere, con le doppiezze, con le soie,4 con le lagrime, con gli spergiuri, col dargli la fede e con le maladizioni che gli esercitiamo contra, conoscerebbe chi sa meglio ingannare. Un gentiluomo (cancaro a le gentilezze), credo piamontese o savoino 5 (salvo il vero), un certo volto-di-lanterna, aveva, giocando, vinta una lettiera6 di noce profilata' d'oro, molto bella; e come entrava in parlamento con alcuna signora, faceva tornare a proposito la sua beata lettiera; e doppo il lodarla e stimarla i cinquanta ducati, la proferiva: e con simile ragia veniva a dormir seco. E datole in premio la lettiera, godeva di lei una decina di notti; e saziatosene a bello agio, pareva uno di questi sbriccarelli8 i quali vorrebbono acquistar nome di bivilacqui9 stando tuttavia in volere attaccarsi a quistione10 con le mosche: dico che si attaccava fin nel tagliar del pane per volerla rompere con lei: e venendogli fatta, si leva su con un cc Deserta, lendinosa, dammi la robba mia: se non, io ti farò la più malcontenta bordelliera; dammela, rendemela »; e sfoderando una coltella non atta a fare I. 0 coreggera,,: buona solo a menar scoregge; "Jratiera": frataia («concubina dei frati 1 1 Aquilecchia). 2. "bandiera,,: «detto di donna incostante» (Aquilecchia). La Crusca registra il vocabolo come «donna sregolata, sciamannata, e sconsiderata». 3. corsaletti: corazze. 4. soie: adulazioni. s. savoino: savoiardo. 6. lettiera: letto. 7. profilata: nel senso di «ornata• (e anche «orlata»). 8. sbriccarelli: masnadieri da strapazzo. 9. bivilacqui: cfr. la nota 2 a p. 80. 10. attaccarsi a quistione: litigare.

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un rigagnolo di sangue fra mille pecore, l'abarbagliava talmente che le pareva aver .xxx. soldi per lira1 a non sentire altro che di-schiodarla e riportarla altrove. PIPPA. Bella cosa il dare e ritorre come i fanciulli. NANNA. A una sessantina la donb e ritolse nel modo che io ti ho detto; e non se gli è mai levato il nome del "gentiluomo da la lettiera"; e tutte le puttane il mostrano a dito, come fanno anco a quello da la vesta senza busti: e Pontesisto2 non gli daria un bascio se credesse perdere la infamia che egli ha. PIPPA. Io gli vorrei così conoscere. NANNA. Di cotesto non mi curo io: e sappi che, tra il nome di gentiluomo e la presenzia de la lor cera, farebbero star forte me che ti insegno, nonché tu che impari. PIPPA. Potria essere. NANNA. Te nevo• dire una bella, ma non per chi l'ebbe a l'uscio. Stavasi là dal Popolo madonna nol-vo' -dire, una soda tacca3 di femina grandona, bellona, morbidona al possibile; e se puttana pub essere di buona natura, ella era di quelle: sollazzevole, tratenitrice, con ognun motteggiava e con tutti si afaceva4 con quella graziosa grazia che si porta da la culla. Costei fu invitata a cena a la vigna e a mangiar la fogliata 5 romanesca; e quelli che la invitarono non la pregàr molto, perché ella tanto sguazzava quanto si faceva dei compiacimenti di chi le pareva da bene: come le parvero gli sciagurati i quali, in su le .XXII. ore, in groppa d'una mula, la condussero a la maladetta vigna. Certamente la cena andb a piè pari : capretti, mongara,6 vaccina, starne, torte, guazzetti e ogni convenevolità di frutti; ma fecero il mal pro' a la troppo troppo servente madonna. PIPPA. Che, la tagliarono a pezzi? NANNA. A pezzi no, ma a quarti, nel modo che tu udirai. Era appunto il primo tocco de l'avemaria quando ella chiede in dono ai signori coi quali cenb che le dessero licenzia, perché voleva andare a dormire con colui che la manteneva. I briachi, i matti, i I. aver ••. lira: aver più del conto proprio (la lira essendo di zo soldi). z. Pontesisto: zona malfamata per i suoi lupanari (nei dintorni del ponte, in particolare nella parte della vecchia Roma, molto sviluppata nel Cinquecento con nuove costruzioni). 3. tacca: pezzo. (Letteralmente: «statura»). 4. si afaceva: s'intendeva di buon accordo. 5. fogliata: pastafoglia. 6. mongara: vitella (propriamente ,nongana, aggiunto a vitella, e equivalente a «vitella di latte», come la Crusca documenta).

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cattivi le fecero rispondere a uno buffon da scoreggiate, e dirle: «Signora, questa notte è obligata a noi e ai nostri famigli di stalla; e vogliamo che siate contenta di far sl che i trentuni ùgnoli1 diventin doppi: e cosi, mercé vostra, si chiamaranno arcitrentuni, onde sarà tra loro la differenzia che è tra i vescovi e gli arcivescovi; e se non sarete trattata secondo il merito, scusate il luogo». Non disse altro lo scribo, ma pigliata la tempella2 in mano venne via cantando: La vedovella quando dorme sola lamentasi di sé: di me non ha ragione. 3 La tradita de la sua bontà e da l'altrui tristizia, udendo cib, parve me quando, ne la selva di Montefiascone,4 in su l'alba del di, urtai con la spalla nel petto d'uno impiccato: e le venne un dolor cosi fatto che non poté scior parola. Intanto il porcaccio la stiracchia fino al ceppo di un mandorlo tagliato; e appoggiatole ivi la testa, le rovescia i panni in capo; e cacciatognele dove gli parve, la ringrazib del servigio con dui sculacciate de le più crudeli che si potesson sentire. E questo fu il cenno che si fece al secondo, il quale la travoltò sul ceppo; e facendolo a buon modo, aveva piacer grande de le punte del legno mal polito le quali le pungevano il sedere: onde ella, a suo dispetto, spingeva inverso colui che, nel compire, le fece fare il capotomolo scimiesco ;5 e il gridar che ella fece chiamò il terzo giostrante. Ma son gentilezze lo spasso che egli si pigliò del trarlo e rimetterlo che in ogni buco fece: la morte fu il vedere una rnandra di famigliacci, 6 di sottocuochi e di osterie, usciti de la casa de la vigna con quel rimore che escano i cani affamati di catena, e avventarsi al pasto come i frati al bruodo.7 Figliuola mia, I. trentuni rìgnoli: trentuno semplici (in contrapposizione, in senso erotico, a doppi che segue). Sul famigerato trentuno, cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 4 a p. 126. 2. tempella: strumento musicale. (Si veda tempellare, detto originariamente di campane: per suono interrotto). 3. «Principio di una canzone convenzionalmente intesa come l'annuncio di un "trentuno,,• (Aquilecchia, nell'Indice dei capoversi e dei versi citati, p. 516, con rinvio allaZaffetta del Veniero, 46, vv. 1-2, secondo l'edizione di Parigi, Jouaust, 1861, p. 32). 4. Montefiascone: presso Viterbo, e, quindi, non molto distante da Roma. 5. il capoto111olo scimiesco: un capitombolo da scimmia. 6. / am,"gliacci: infimi servi. 7. come •.• broodo: torna l'immagine che ha ispirato all'Aretino la satira dei brodaiuoli, u frati conversi• (cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota 4 a p. 134) e dei brodai, •frati• in genere (qui addietro, in questo Dialogo, nota 2, a p. 2,2,3).

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io ti farei piangere se ti contasse minutamente il fargnelo che fecero, e come la scompisciarono per tutto, e in che atto l'arrecava questo e quello, e gli storcimenti e i ramarichi de la malcondotta; e sia certa che tutta quanta la santa notte la tempestarono. E stracchi dal vergognarla a ogni via, la imitriarono di foglie di ficaia, 1 e con un vincastro di salcio la frustarono da ladro senno; e un giorneone2 ad alta boce lesse il processo da malefizio :3 e cantò i furti, i maliamenti, le truffe, le sodomitarie, i puttanesimi, le falsità, le crudeltadi e le ribaldarie che si ponno imaginare, mettendo ogni peccato a conto suo. PIPPA. Io mi trasecolo. NANNA. Venuta la mattina, cominciarono a darle una baia di fischi, di strida, di petate4 o di crocchiate, 5 con più strepito che non fanno i contadini vedendo la volpe o il lupo; ed ella, più di là che di qua, con le più dolci e piatose parole che si potessino udire gli pregava a lasciarla ormai stare. I suoi occhi infocati, le sue gote molli, i suoi capegli scompigliati, le sue labbra secche e le sue veste squarciate la facevano simigliare a una di quelle suore maladette dal babbo e da la mamma, date nei piei dei Todeschi ne lo andar a Roma: dove la mandarono pretorum pretarum.6 PIPPA. Io le ho compassione. NANNA. La finì anca peggio che non cominciò: solo perché la rimandarono a casa ne l'ora di Banchi7 e suso una cavalla da basto, simile a quelle bardellate8 le quali portano i trecconi9 al mercato del grano. E sappi che non si scopò 10 mai ladra che avesse la vergogna che ebbe ella; e perdette il credito di sorte che non fu più dessa: e mori di duolo e di stento. Si che considera che s'essi fanno di cotali scherzi a chi gli serve, quel che farieno a chi gli diserve. PIPPA. Uomini, ah? NANNA. Un signor capitano, bravo, famoso, grande e tristo (il dirò pure), venne a Roma per i fatti del soldo; e volse, sera I. di ficaia: di fico. 2. giorneone: bighellone, perditempo. 3. da malefizio: cioè criminale. 4. pelate: pernacchie (scorregge fatte con la bocca). 5. crocchiate: busse. 6. pretorum pretarum: parole qui senza senso, dette dalla Nanna, ma con una certa logica da latino da « cucina » o da a. goliardi». Significherebbero: «dei preti e delle prete», se è possibile dire, cioè • delle monache». 7. ora di Banchi: cioè del mercato (in Banchi). 8. bardellate: cavalle con basti contadineschi (per non rovinare il dorso coi pesi). 9. trecconi: rivenduglioli di erbe e grani. 10. scopò: fustigò in pubblico.

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e mattina, seco una cortigiana, non bella bella, ma cosl fatta che ci si poteva stare: ben vestita, assettatina in casa, tutta sugo e tutta saporita; e se bene ella faceva perdita d'amici col non si partir mai né di né notte da lui, non se ne curava, dicendo seco stessa: « Io guadagno più con questo che io non perdo con quelli». Or egli accade che il capitano dee partirsi il dl seguente a bonissima otta; onde la scempia' si credeva che Sua Signoria, che la teneva per mano, dicesse a un suo favorito, al quale parlava ne l' orecchia, «Dàlle cento scudi»: ed egli ordinò che le fossero legati i drappi in capo, e con due stivali da verno,2 in mezzo a due torchi3 accesi, stivalata4 per Borgo Vecchio e Nuovo, per Ponte e fino a la Chiavica. E cosi fu grappata ;5 e con una cinta di taffettà legate in cima del suo capo l'estremità de la vesta da piei, il suo sesso6 apparve tondo e bianco come la quintadecima:7 oh egli era sodo! oh egli era ben fatto! né grasso né magro, né grande né piccolo; e lo sostenevano due coscette sopraposte a due gambe afusolate, più galanti che non sono due colonnine di quello alabastro tenero il quale si lavora al torno in Firenze; e le propie vene che ha la pietra che io dico, si scorgevano per le coscettine e per le gambettine. E mentre ella drento i suoi panni gridava con la medesima boce che esce d'uno rinchiuso in qualche cassa, sendo i torchi appicciati8 e gli stivali a l'ordine, i famigli chiamati a lapidarla, stupefatti ne la bellezza del culiseo,9 vennero in capogirlo; e lasciatosi cader gli stivali di mano, rimasero incantati: onde fur desti da parecchi bastonate di zecca: di modo che gli ripresero; e avviatela fuor de la porta, si diedero a dargnele e tante e tante che il rosso venne in mostra, e poi il livido, e poi il nero, e poi il sangue; e nel far tuff toff taff degli stivali, la gentaglia e la non gentaglia alzava di quei propi taleni10 che alzano i fanciulli quando il manigoldou fa il suo debito col frustare i ghiottoni. E cosi la malla scempia: la sciocca. 2. da verno: da inverno. 3. torchi: torce (o lumi con più candele). 4. stivalata: presa a colpi di stivale. 5. grappata: afferrata. 6. sesso: « Il culiseo, ò le parti vergognose• (nota dell'ediz. 1660). 7. quintadecima: la luna piena. 8. appiedati: accesi. 9. del culiseo: il solito gioco di parola: che è anche registrato dalla Crusca (e già usato dall'Aretino - in precedenza, e come si è visto - e nello stesso commento dell'ediz. 1660). 10. taleni: sussulti (quasi altalene fatte incrocicchiando una trave sopra l'altra) secondo G. FoLBNA, "Taleuo" e "altalena", in « Lingua nostra», XXIX ( I 968), p. 109. Cfr. anche taleni in Aquilecchia, Glossario. 11. manigoldo: boia. I.

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capitata fu posta a casa sua, dove se ne stette un tempo, vituperata e disfatta per la baia datale da ognuno che lo intese. PIPPA. O pugnali, che state voi a vedere? Perché perdete voi tempo, spade ? NANNA. Io non so dove si venga questo mal nome, che noi abbiamo, di fare e dire agli uomini; e rinasco a non sentire chi conti i portamenti loro inverso de le puttane: che tutte son puttane le donne che si intabaccano seco. 1 Ma ponghinsi da un canto tutti gli uomini rovinati da le puttane, e da l'altro lato tutte le puttane sfracassate dagli uomini: e vedrassi chi ha più colpa, o noi o loro. lo potria anoverarti le dicine, le dozzine e le trentine de le cortigiane finite ne le carrette,2 negli spedali, ne le cocine, ne la strada e sotto le banche, e altrettante tornate lavandaie, camere-locande, 3 roffiane, accatta-pane e vende-candele, bontà de lo aver sempre puttanata col favor di colui e di costui; ma non sarà niuno che mi mostri a lo incontro persone che per puttane sien diventati osti, staffieri, stregghiatori4 di cavalli, ceretani, birri, spenditori e arlotti. 5 Almeno una puttana sa mantenersi un pezzo quello che per le sue fatighe riceve dagli uomini; ma gli asini scialacquano in un di ciò che ci furano e quello che le pazze a bandiera6 gli gittano drieto. PIPPA. Io mi pento de la voglia che mi è venuta più volte di essere uomo. NANNA. Una altra infamia ci è posta a tortissimo. 7 PIPPA. Quale è ? NANNA. La colpa che ci si dà quando si ferisce o ammazza insieme qualcuno che ci vien drieto: che diavolo potiam far noi de le lor gelosie e de le lor bestialità? E quando ben fossemo cagion degli scandali, dicamisi un poco qual son più: i fregi che si veggano ne la faccia de le puttane che stanno al comando degli uomini, o i tagli che appaiano nel volto degli uomini che si dilettano de le puttane? Oimè che ella non va come doverebbe andare. PIPPA. Non certo. NANNA. Il mal francioso ne vien via ora. 8 Io mi consumo quando sento dire ad alcun sorcone :9 cc Il tale è stroppiato bontà de la I. si. intabaccano seco: hanno una relazione con loro. 2. carrette: cfr. la nota 9 a p. 186. 3. camere-loca11de: affittacamere. 4. stregghiatori: strigliatori. s. arlotti: pezzenti. 6. a bandiera: senz'ordine, cioè II da legare». 7. a tortissimo: da notare questo superlativo. 8. ne vien via ora: è ora argomento nostro. 9. sorcone: « topicone, uomo cupo» (Aquilecchia).

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tale»; altro ci è che squarta e crocifigge con le bestemmie la puttanaccia, con dire: «Ella ha guasto il poverino». Io ho speranza, poi che s'è trovato che nacque prima la gallina o l'uovo, che si trovarà anco se le puttane hanno attaccato il mal francioso agli uomini, o gli uomini a le puttane; ed è forza che ne domandiamo un di messer san Giobbe, altrimenti ne uscirà quistione. Perché l'uomo fu il primo a stuzzicar la puttana, la quale si stava chiotta, 1 e non la puttana a stuzzicar l'uomo: e questo si vede tuttodi per i messi, per le lettere e per le imbasciate che mandano, e i Pontesisti2 si vergognano a correr drieto a le persone; e s' eglino sono i primi a richiederci, furono anco i primi ' attaccarcelo. PIPPA. Voi ne cavate la macchia per ogni verso. NANNA. Ritorniamo a le leggende3 che si potrebbero fare dei tradimenti che ci fanno. Una donzella di una gran gran signora, la più gentile e la più dolce cosetta che si vedesse ai nostri di, si stava servendo la sua madama, la quale non aveva il maggior piacere che vedersela raggirare inanzi, si erano cari i suoi modi e le sue acuratezze; e nel darle bere, nel vestirla e ne lo spogliarla mostrava una così aggraziata maniera che innamorava la gente, non senza invidia de l'altre cameriere infigarde. A costei pose l'occhio a dosso un conte di Feltro,4 il qual si portava tutta la sua entrata nei ricami del saio, ne le mercerie de la berretta, nei cordoni de la cappa e ne la guaina de la spada. Dico che il conte se ne imbriacò; e perché egli aveva domestichezza in Corte, le parlava spesso, e spesso ballava seco: e tanto parlò e ballò con lei che il fuoco appiedò l'esca. E avvistosene il conte da due bagari, 5 fece fare un sonetto in sua laude, e mandognele serrato in una letteruccia piena dei suoi sospiri, dei suoi guai, dei suoi fuochi e de le sue fornaci ;6 e puntellando le bellezze de la giovanetta con le frappe de le sue giornee, 7 diceva dei suoi capegli, del suo viso, de la sua bocca, de le sue mani e de la sua persona cose de l'altro mondo: ed ella, che aveva più de lo scemo che i granchi fuor di luna, 8 I. chiotta: tranquilla. 2. i Pontesisti: le prostitute di ponte Sisto e loro familiari. 3. leggende: narrazioni. 4. di Feltro: pare indichi un uomo da nulla («un conte decaduto, senza entrata», Aquilecchia). 5. bagari: monetuzze venete. 6. fornaci: è termine della poesia amorosa, raffinata e tendenzialmente barocca, con larghe radici nel petrarchismo. 7. con le frappe de le sue giornee: con le chiacchiere delle sue vesti più ricche (da cerimonia o da festa): è detto in traslato. 8. granchi ••. lu11a: « i granchi sarebbero pieni o vuoti secondo il crescere o il calare della luna» (Scrivano).

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gongolacchiava credendosi esser per ciò l'Angelica d'Orlando1 da Montalbano. PIPPA. Rinaldo voleste dir voi. NANNA. Io dico Orlando. PIPPA. Voi errate, perché Orlando fu d'uno altro paese. NANNA. Suo danno, s'ei fu; io, per me, ho studiato tutta la vita mia in avanzar denari, e non leggende e detti quisiti :2 e Orlando mi drieto; e ho mentovato Angelica e colui per avergli uditi cantare da un ragazzo che ogni notte a quattro ore passava dal nostro uscio. Come si fosse, la donzella, che sapeva de la scrittura, si imbertonava3 di sé stessa mentre leggeva le dicerie false come chi gnele mandava; e cosi standosi la cervellina, tanto si vedeva lieta quanto il vagheggiava e aveva dei suoi scartabelli. Talvolta egli veniva a Corte: e appoggiatosi al muro là in un cantone, stiracchiava il fazzoletto coi denti, e gittandolo un poco in alto, lo ripigliava con mano in atto di sdegno; e non altrimenti che la sorte facesse nottumia4 del suo fegato, minacciava il ciel con le fica. 5 Talora ballava con una altra, non facendo se non sospirare; e sempre era in campo un suo paggetto indivisato6 dei colori datigli da lei per favore. 7 Ma la fortuna traditora non si contentò fino a tanto che non gli condusse in uno modo strano ad aboccarsi insieme: onde ella, aguluppata da le promessioni, da lo amore e dal mondo che il dà, con un pezzo di fune datale da lui si spendolò giù da la finestra, a la qual faceva tetto lo sporto d'un verroncello che riusciva drieto il palazzo; e perché la fune non giugneva a un pezzo a terra, fu per fiaccarsi le gambe lasciandosi andar giù. Come ella scese, il conterello, il contuzzo, il contaccio se la fe' porre in groppa da un suo famiglia che, montato a cavallo, seguitò il padrone il quale staffetteggiava8 con la preda presa. PIPPA. Io sarei caduta, sendo in groppa del cavallo che correva. NANNA. Ella era atta come un ragazzino da barbari, 9 e cavaiOrlando: veramente doveva dir Rinaldo (da Montalbano), ma s'intende lo scherzo dell'Aretino in bocca della Nanna: e difatti la figlia la corregge, come in precedenza (cfr. p. 298) le aveva fatto notare che la fonte d'un suo vivace racconto era nel libro IV dell'Eneide. 2. quisiti: ricercati. 3. si imbertonava: si incapricciava, 4. nottumia: notomia, anatomia. 5. con le fica: il gesto è menzionato anche da Dante, Jn/., xxx, 2. 6. indivisato: variegato (vestito di vari colori), come più avanti è spiegato. 7. per favore: per un favore resole. 8. staffetteggiava: scorrazzava a staffetta (di gran carriera). 9. barbari: cfr. la nota 2 a p. 63. 1.

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cava meglio che non fa una saldata: e perciò giunse col poltrone, che tanto traversò di via in via che si assicurò da quelli che potevano corrergli dirieto. Il capo de la cosa è che in .XXII. dl ella gli venne a noia; e una sera, per due paroline date in risposta a un suo ragazzo che il governava, toccò il premio de le promesse speranzali, 1 cioè un monte di mazzate; e ivi a un otto dì la lasciò di secco in secco, con quella sottanella di raso giallo logaro, sfrangiato di ermisino verde, e con la cuffia da la notte che ella se ne portò. E cosi colei che da la sua padrona saria suta maritata a qualche degna e ricca persona, diede ne le mani di una brigata di giovanastri, i quali se la prestarono l'un l'altro: ma come fu vista tutta fiorita de le bolle2 attaccatele dal conte, non trovò mai più can né gatta che la fiutasse; e solo il bordello ne ebbe misericordia. PIPPA. Ch'ei sia benedetto. NANNA. Dice chi ce la vidde, che l'altre sue cittadine stupivano a sentirla favellare; e che quella certa onestà, portata seco da la corte ne la quale si allevò, faceva parere il bordello un convento: e non ci è dubbio che la onestà che acostuma una puttana, siede in mezzo del chiasso3 con più onore che non ha un prete parato4 posto fra le nozze de la sua messa novella. PIPPA. Se l'onestà è bella fra le puttane, che debbe essere fra le verginità? NANNA. Una dea de le dee, un sol del sole e un miracolo dei miracoli. PIPPA. Onestà buona, onestà santa. NANNA. Odi la crudeltà d'uno uomo mentovato, bontà de le sue vertù, di là da Caligutte5 un mondo di miglia: e l'ho cavata de la pentola or ora, onde è calda calda. L'uomo famoso che io vo' dire, per mala ventura vidde una giovane de .XVII. anni gittatasi con tutto il lato manco su la finestrella de la picciola casetta che sua madre teneva a pigione: la bona grazia de la quale valeva più che le bellezze di sei de le belle d'Italia; ella aveva gli occhi e i capegli sl vivi e sl biondi che averieno potuto ardere e legare altro core e altra libertà che d'uomini di carne; le dolcezze de' suoi movimenti ammazzavano altrui, né si potria stimare quanta 1. speranzali: date come speranze. 2. bolle: per malattie veneree. 3. chiasso: postribolo. 4. parato: ornato dei paramenti. 5. Caligutte: Calicut, sulle coste del Malabar (e non Calcutta): fu approdo delle spedizioni portoghesi. È citata anche dal Folengo nella Za11itonella e nel Baldus.

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vaghezza le aggiugneva la mansuetudine di che ella era composta; e la povertade la quale la vestiva d'una saia lionata1 (pare a me) listata di saia pure, ma gialla, campeggiava meglio, ne la persona de la poveretta, che non fanno i ricci sopra ricci e i panni di seta e d'oro fregiati di perle indosso a le reine. È ben vero che le fattezze de le sue membra, per il patire che ella faceva non mangiando né bevendo né dormendo a bastanza, non potevano dimostrarsi ne la perfezion loro: e quello che più la faceva rilucere, era la onestà che la guardava, standosi a la finestra o facendosi in su l'uscio. Di cotante sue qualità si invaghi l'amico, anzi s'impazzi (perdonami Sua Signoria); e non trovando luogo, si diede a trovar mezzani; e gli trovò con poca briga, mercé de la fama del suo nome e bontà de la superbia dei vestimenti che ogni dì si mutava: le quali mutazioni sono l'esche che infregiano le balorde. Tu vai cercando: egli si condusse a parlamento con una Lucia compagna de l'Angela (che cosi ha nome la buona fanciulla), e se non frappò seco, non vaglia. Ei la basciò, la tenne per mano, le donò le promesse; e per più farla sua, le diè la fede di cresemarle un sol figliuolino che ella ha: onde la camiscia non le toccava l'anche. 2 E cosi frastagliata da le promesse del compare, in due colpetti aterrò la sirocchia di colei che fiaccò il collo: come ella fu convertita, in un soffio si conchiuse il parentado. PIPPA. So che niuno ci aria colto me sì presto. NANNA. Colto te, ah? Santa Petornella3 non staria salda a le percosse de la sirocchia, quando ti mette in pugno le beatitudini, le contentezze e i denari; e chi non alzarebbe i panni udendo dirsi: «Egli è il più caro uomo, il più piacente, il più bello e il più liberale4 che sia; egli ti ama e ti adora, e hammi detto che val più una tua treccia e un tuo occhio che tutti i tesori; e giura che, tosto che si chiarisce che non gli vogli bene, che si farà romito »? PIPPA. Ed ella il credette ? NANNA. Dio non voglia che tu abbi gli sproni di simili roffiane ai fianchi, che vederesti se si crede o no: sorelle, vicine e speranza di arricchirsi e grandezza di uomini ? Cagna 1 PIPPA. Ditemi, prima che seguiate altro: fassene mai frate niuno per amor nostro? I. lionata: fulva (come la pelle del leone). 2. onde la . .• anche: per cui essa non stava in sé dalla gioia. 3. Petornella: Petronilla. 4. liberale: largo nel dare.

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NANNA. Il n1al punto che gli giunga: con le parole si impiccano, con i sagramenti si avelenano, con il ridersi di chi il crede piangono; essi fan vista di volersi uccidere col pugnale, accennano di trarsi de le cime dei tetti, di gittarsi nei fiumi, fingano di andarsene in luogo dove non si sappia mai novella di loro: e vorrei che tu gli vedessi inginocchiarsi ai piedi de le corrive, con la coreggia al collo e con pianti che gli affogano i singhiozzi. Ohi ohi ohi ribaldi, come sapete voi dar del capo nel muro per farci credere ciò che vi pare. PIPPA. Aprir gli occhi bisogna, sendo cosi. NANNA. Al parentado conchiuso: dico che la colomba fu cavata del nido e menata in casa d'una graziosa e gentile comare del valente Cesto, e postagli fino in grembo di propia mano de la sorella, sotto la parola de la fedaccia che la cosa andrebbe invisibile. PIPPA. Non andò segreta? NANNA. Se fosse andata segreta, come il saperei io? I trombetti,1 i campanai, i canta-in-banca, i mercati, la ruota/ i vespri, i cantarini e le fiere son più segrete che non fu egli; e qualunche bestia incontrava, a tutte diceva: « Non mi favellate, che io sono in paradiso: una puttetta di latte· e di sangue sta mal di me; e domattina inanzi dì consumaremo il matrimonio, perché la madre a cotal ora va per boto a San Lorenzo fuor de le mura». Ma todo è nada3 ( dice lo Spagnardo),4 a petto ai te deum laudamus che ei fece ritrovandosela in collo: e voleva far quistione con quel fremitar che fa il toro il quale ha visto la giovenca. PIPPA. Che noia gli dava il fremitare ? NANNA. Gli interrompeva, col non potere spiccar la favella, le frappe che voleva fare con le promessioni. E la sempliciona, toccandogli la veste di broccato, il saio fregiato d'oro massiccio, i coscioni di tela d'argento, e maneggiandogli la gran collana, pareva un contadino di quei salvatichi che hanno appena veduto i tabarri di grigio5 e i gonnellini di romagnuolo :6 il quale accostatosi, per gli urti de la turba che lo spigne, al domine7 che dà le can1. trombetti: banditori. 2. ruota: parrebbe la riunione dei dottori di legge per discutere cause a con ordine vicendevole•, come dice la Crusca (cioè la Sacra Rota). 3. todo è nada: a Tutto questo è niente• (nota dell'ediz. 1660); deformazione di todo y nada. 4. Spag,,ardo: Spagnolo, come in precedenza (p. 286). 5. grigio: panno bigello. 6. romagnuolo: panno rozzo di lana non tinta (da contadini). 7. domine: prete.. 21

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dele, sdrucciola e frega la man terrosa su per il morbido del piviale di vellutaccio che gli ha indosso. Tanto è: ella, doppo il giocarsi coi suoi ricami, si acconciò come altri volse; e consenti di suo consentimento a la tentazione più e più volte, di modo che il fuoco cominciò a lavorar drento al seno di tutti due: e pareva a la senza-un-vizio-al-mondo, avendo l'amicizia di cosi fatto personaggio, di essere da più che il settecento, non pur del sei. 1 Ma lo avanzo che ne fece la sua bontà, fu il demonio che prese per i capegli la bizzarria de lo innamorato, al quale non bastava averne, de le quattro parte, le tre: ma, volendola tutta, fece profetizzare al proverbio del "chi tutto vuol tutto perde". PIPPA. Ben gli stette. NANNA. Se Io dice egli che ben gli sta, lo puoi dire anche tu. Or per aprirti il tutto, la giovane aveva marito in questo modo: un garzonastro, già guasto2 d'una sorella sua, se l'aveva tolta per moglie, e impalmatala con pensiero di indugiar più che poteva a darle lo anello e a menarsela a casa; e il nome era più tosto che non la sposasse altrimenti che si, cavandosene la voglia come si usa oggidi: e te ne contarei assaissime de le tolte da chi se ne innamora per cotal via, e stucchi che ne sono, le piantano là senza darle pure un pane. La cosa si condusse a termine strano; e l'uomo che ne spasimava, credendosi insignorirsene a fatto, trovò una malizia, de la sciocchezza de la quale si saria vergognato un Milanese e un Mantovano. 3 PIPPA. Buono. NANNA. La pazzia fu che tenne per fermo d'inturbolare la fonte de lo sposalizio e far si che il marito, intendendo il suo esser mezza puttana e mezza donna da bene, la gittasse via; e gli veniva fatta se l'amor del m~rito non poteva più di quel de l'amante: non che ella gli volesse meglio, che, avendolo amato più de l'amante, non gli averia poste le corna; ma la paura del baston de la madre la trabalzò a suo modo. E cosi, ferneticato una notte sopra tal partito, mandò per il gramo donno novello, e gli spianò ogni cosa; e per fargli meglio toccar con mano la verità, gli disse fino a un minimo pelo, a un piccolo bruscolino, a un solo segnetto I. da più • .• sei: aumenta in forma popolare il riferimento al seicento (nel senso di «fare cose meravigliose»). 2. guasto: incapricciato. 3. un Milanese e un Mantovano: le solite frecciate dell'Aretino (come anche nei ricatti delle sue lettere), in aggiunta a quelle contro i Ferraresi.

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che ella aveva sotto panni; e di mano in mano, ogni parola, ogni corruccio e ogni pace di lui e di lei; poi venne a le cose che le aveva donate, e nominagliene tutte a una a una: onde il dolente cadde morto standosi anco in piei; e, stendendo il collo, simigliava la nostra scimiaI quando faceva i visacci; e diventato di sasso trasognava, rispondendo senza proposito «Ah ? Eh ?»; e dando il si per no e il no per sì, stralunando gli occhi e sospirando forte, si lasciò cadere il mento in seno: e le sue labbra parevano incollate insieme. A la fine, tremando pel freddo de la gelosia, staccò le parole; e con un di quei ghigni che fa chi si giustizia per parere animoso, disse: cc Signore, anche io, giovane come sono, ne ho fatto la parte mia; ma vi giuro per questo battesimo che io tengo in capo», e ponendoci la mano cercava per il cimiere, «che non la voglio: ella non è mia moglie, e mente per la strozza chi lo vuol dire»; e lo innamorato, galluzzando, gli diceva: «Tu sei uno uomo di quelli che non si trovano; e val più l'onor che tu apprezzi che una cittade; né ti mancaranno mogli: lascia pur fare a me». PIPPA. Pàrti che il poverino l'avesse colta? NANNA. Egli, per cagione del subito sdegno preso col mal far de la moglie, mostrava una allegrezza posticcia; e dicendo «Io mi vo' governar da vecchio», fu portato, non sapendo da quali piedi, a casa di colei che gli aveva fatte le fusa torte :2 e pènsati che le disse quello che direbbe ognuno che fosse stato ne lo esser suo. Ma le lagrime de la assassinata, i gridi e gli scongiuri, lo abarbagliarono in un tratto: e portate uova fresche, confortò lei che, gittatasi nel suo letticciuolo, pareva che si volesse uccidere; e perché il gentiluomo aveva detto di averla avuta prima di lui, e il beccarello3 credendolo, la madre se gli voltò raitando,• e con dirgli « O noi sai tu se l'hai trovata vergine ?», lo ammutl: come fosse una gran manifattura il ristringerla5 e il farle far sangue. PIPPA. Me lo avete detto. NANNA. Io non ti vo' dire altro: il pane-e-uva, tosto che si la nostra scimia: si vede che la Nanna ha una scimmia (e, questo, in relazione al fatto che appunto l'Aretino aveva il suo Monicchio: qui l'allusione serve per il particolare delle smorfie, i visacci). 2. gli • •• torte: lo aveva fatto becco. 3. beccarello: a sposo novello tradito dalla moglie» (Aquilecchia). 4. Taitando: gridando (come in precedenza). 5. Tistringerla: mediante allume di rocca o altre sostanze (come lo scrittore ha detto in pagine precedenti). I.

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avvidde di avere i grandi per rivali, non pure la refutò, ma, menatosela a casa, fece le nozze; e ci ebbe a morir suso, tante volte gnele fece; e vendendo alcuni stracci che aveva, si fece una vesta nuova acciò che ella gli portasse l'amore che egli portava a lei. PIPPA. Adunque il dirlo al marito, per la qual cosa la tolse, fu il suo bene. NANNA. La cosa durarà poco; perché il più de le volte, e quasi sempre, le donne prese per amore e senza dota càpitano male: perché l'amor di chi corre a furia a tòr moglie per rabbia amorosa è come il fuoco che abbruscia il camino, il quale fa un rimare da sbigottire il Tevere, e poi si lascia spegnere da due conche di ranno; e a la fine il non aver mai una ora di bene è il manco mal che elle abbino: rimbrottali, pugna, calci e bastonate in chiocca ;1 son serrate in camera, son confinate in casa, né son degne pur d'andare a confessarsi, e guai a le lor spalle se si facessero a la finestra. E se elle hanno cotal vita non errando, come credi tu che l'abbia colei il marito de la quale si è chiarito dei puttanamenti suoi? PIPPA. Pessima, non che trista. NANNA. Vado pensiereggiando a le trafolarie2 che gli uomini hanno per mezzane quando vogliono tradir le donne credule; e son baie quelle che dicano che noi sapiam finger divinamente. Ecco là, appoggiato a l'altare d'una chiesa, un gabba-femine; eccolo che cade tutto con la persona inverso colei adocchiata da lui: già odo i sospiri tratti de l'armario3 de la sua finzione. Egli è ivi solo, per parer d'esser segreto, e attende solamente a far si che la uccellessa gli presti gli occhi; e nel vagheggiarla si abandona con la testa indrieto, e mirando il Cielo, par che dica: cc Io son morto per colei che è uscita di mano ai tuoi miracoli>>; e ritiratola suso, con il rivolgerla di nuovo a lei, vedi alcune soavità di faccia, alcuni affisamenti di sguardi troppo ben cavati di pugno a la lor traditoraggine. In questo comparisce un povero, ed egli al famiglio: « Dàgli un giulio »; e il famiglia gliene dà. PIPPA. Perché non un quattrino? NANNA. Per parere di esser liberalissimo e d'avere il modo di spendere. 1. in chiocca: «in abbondanza» (nota dell'ediz. 1660). 2. tra/o/arie: finzioni. 3. armario: il vocabolo (cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota s a p. 114), già utilizzato con metafora sessuale, qui serve per uno dei barocchismi soliti ali' Aretino.

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Che cosa. NANNA. E non comandano ai servidori, quando sono uditi da coloro con le quali fanno a la civetta per cogliercele, con boce rubesta né con viso altiero, come usano di fare in casa; ma con quella piacevolezza che farebbono favellando con chi gli è compagno: e ciò fanno per acquistar nome di gentili creature, e non di terribili bestiacce. PIPPA. Cani. NANNA. E come comprano a peso d'oro una sberrettatina che gli è fatta da chi passa. PIPPA. Che giovamento gli fanno le sberrettate? NANNA. Gli dan credito appresso la dea, che vede apprezzarlo; e in quel suo rendere onor di capo a le brigate, scolpiscano nel viso con lo scarpella de la finzione una cera la quale par che gli proferiscaI a ognuno. PIPPA. I maestri son loro. NANNA. Quando entrano in ragionamento con alcuna in presenzia di coloro per via delle quali disegnano contentarsi, cicalano con quella grazia e con quella galantaria che mostra colui che vuol convertirci ne la sua amicizia; e nel più bello del dire si rizzano suso andandosene in sala, dando agio di parlar de le sue dabenaggini a le aggirate. PIPPA. Va' e nascici donna, va'. NANNA. Partiti di dove par che sia il lor paradiso, dicano a chi gli sta aspettando: « Che ruffianacce, che caccia-diavoli; pàrti che elle corrano al fischio ?»; e ritrovandosi in ciancia con altri posti in parlamento di dame, subito gli cade di bocca: « Io ho avuto stamattina a la messa lo spasso degli spassi: madonna tale si stava in orazione, e io ho finto l'amore seco; che vacca, che puttanaccia: io le voglio cavar de le mani certi soldi che ella ha, e poi bandirlo per le piazze». PIPPA. Bello. NANNA. Almen quando una puttana strazia costui e colui, si dee ametterle la scusa: perché lo fa per farsi grata a questo e a quello; ma a chi sodisfa il treccolare2 d'un uomo che vitupera una feminuccia dinanzi a le brigate ? PIPPA. A la coscia che possin :fiaccare sodisfanno. PIPPA.

1. proferisca: preferisco. di mercato (trecca).

2.

treccolare: parlare a modo d'una rivendugliola

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E perciò fatti savia, se vòi còrcegli1 senza che ti ci colghino. Si che becca su quest'altra. Uno (mi vien voglia di dirti chi) fece si pò dire andare un bando, come egli vorria trovare una giovane di diciotto o venti anni al più, per menarla a goder seco de la felicità ne la quale l'aveva posto il re di Sterlicche; 2 e che, quando ella fosse di quelle che oltra a qualche bellezza avesse alquanto di governo, farebbe tal cosa per lei, e basta: accennando quasi di torla, passato un poco di tempo, per moglie. Tosto che la trama si intese, le ruffiane cominciarono ' andare in volta :3 e bussando la casa di questa e di quella, appena potevano contare la ventura loro, sl le tritavano4 l'aver caminato in fretta. Onde ognuna si rincriccava, 5 credendosi esser quella che il signore desiderava; e accattata in presto o tolta a tanto il di una veste, una gorghiera,6 o simil bazzicature da ornar donne, tutte oneste trottavano inanzi a le conducitrici loro. E comparite al cospetto de la Signoria Sua, doppo la riverenzia, sedendo là, davano d'occhio a lui: che mentre con uno stricatoio7 d'avorio si abelliva la barba, fermatosi su le gambe con gagliardia, scherzava col servidore che gli leccava il saione, le calze e le scarpette di velluto con la spelatoia ;8 e fornito di assettarsi, dato uno scapezzane al famiglio pian piano, acciò che la schiattoncella9 venuta ivi per diventargli sposa giudicassi, col zurlar10 con lui, qual fosse la dolcezza de la sua piacevo! natura ... PIPPA. Eccoci pure a le nostre. NANNA. . .. levatosi a la fine da cotali cianciarelle, manda fuore ognuno, salvo la vecchia e colei che si credeva inghiottir la imbeccata; e sedendogli in mezzo, comincia a dire l'animo suo e come gli piaceva l'aria de la fanciulla, ma che non vorrebbe ritrosarie in casa né cervelline, e che in due dl dicesse: « Io me ne voglio andare, e non ci staria chi mi pagassi». A questo si leva suso la vecchia, dicendo: cc Signore mio, costei è una erba tagliata e un pesce NANNA.

còrcegli: per •coglierceli•· 2. Sterlicche: reame immaginario (da mettere in relazione con sterline, "sterling" degli Inglesi, e anche con l'• Osterlicchi» dantesco, lnf., xxxn, 26, da Osterreicli, «Austria»). Si menzionino, per la terminazione, il popolare Berlicche, cioè il diavolo, e l'espressione berlicche-berlocche. 3. 'andare in volta: a andare in giro. 4. sì le tritatJano: tanto dava loro affanno. 5. si rincriccava: probabilmente (come a p. 123, nota 12) «ringalluzziva•· 6. gorghiera: collaretto di bisso o di altra tela fine (nella Crusca gorgiera, chiamata anche lattuga per la forma). 7. stricatoio: pettine. 8. spelatoia: spazzola. 9. schiattoncella: «ragazzotta• (Aquilecchia). 10. zurlar: essere allegro (ruzzare). 1.

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senza lische, e le sue vertù si sgretolano in bocca di coloro che le assaggiano; e se la togliete, gli altri che cercan donne buone e belle ponno menarsi l'erpice; e non credendo a me, potete dimandarne il nostro vicinato, il quale si è dato a piagnere sentendo il suo doversi partire: ella è la pergamena de la conocchia e la conocchia de la pergamena, il fuso del fusaiuolo e il fusaiuolo del fuso; io vi dico che ella è la invoglia e la bandinella1 attaccata presso a l'acquaio, ne la quale si ripongano i coltelli, i pezzi del pane e i tavogliolini che si levano di tavola, altra che ci si sciuga le mani». PIPPA. Vecchia saporita, tu sapevi pur vantarla. NANNA. Cosl diceva la madricciuola; intanto egli razzolava con due dita fra le sue pocce, e con un risetto che teneva di sogghigno diceva: «Sète voi sana de la persona? avete voi rogna o altro difetto?»; e la vecchia rispondeva per lei a lui: «Toccate pure, sfibbiatela di grazia: rogna, ah? difetto, eh? Ella è sana come una lasca, e le sue carni son più nimiche de le bruttezze che non è ella degli sgherri; e vi so chiarire che con le seste3 si misurano le cose sue, e fa per voi come il trepiei per la tegghia3 dai migliacci; e sapiate che io non vi stropiccio con le muinelle4 perché la togliate, né per piluccarvi covelle :5 che certo i miei bicchieri non son da rinfrescatoio, e posso andare in sui tegoli e in su le lastre del tetto senza peduli». PIPPA. Che lingua. NANNA. Ella è la lingua del suo paese; e se vòi dir la verità, ti pare udir una di quelle vecchiarelle dal tempo antico,. le quali favellano a la buona e come si dee. PIPPA. Voi l'avete. NANNA. Vedrai pure che ritornarà l'usanza de la favella di prima, perché anco del vestire è ritornata: e incaparbischisi pur chi vuole, ecco le maniche strette hanno sbandite quelle a gonzi,6 le pianelle' non son più alte come i trampoli; e i telai de le favellatrici non vogliono più né ordire né tessere gli anfanamenti loro: perché son cruscate,8 fiori vani9 di sucìni verdacchi, 10 e meritarebbono di esser I. la invoglia e la bandi11ella: lo strofinaccio e l'asciugatoio. 2. con le seste: col compasso (qui per mostrare la regolarità delle sue membra). 3. tegghia: teglia. 4. muinelle: vezzose moine. 5. covelle: alcunché. Cfr. la nota 6 a p. 137. 6. a go,izi: larghe e a sbuffi. 7. pianelle: calzature cinquecentesche altissime di tacco e nella suola. Cfr. la nota s a p. 868. 8. cruscate: «parole e termini de' cruscanti• (nota dell'ediz. 1660). 9. vani: vuoti. 10. suclni verdacclii: •sorta di susine• (Aquilecchia); verdacchi = verdastri.

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poste in un truogo 1 dandole a succhiare ai porci come beveroni. Che forgia di chiappole,2 che tignuole, che trafalcione son quelle le quali abbaiano con le favelle nuove! Or lasciamo andare. Il signore ha maneggiato pelle pelle la colei, e, rivoltatosi a la vecchia, le dice: « Madre mia, quando ve ne contentiate, la faciulla si restarà qui con mia sorella»; e ciò diceva forte, perché la sirocchia da canto del cantone l'udisse; e col venir drento, pigliando la mezzana per mano, la sforzasse col pregare a lasciarla. Ed ella, racquetata con una favola, andava via: e così la sciocca, sfamato di sé stessa lo stallone, con un grembo pien di ben-faremo se ne ritornava donde si parti. PIPPA. Che poltroneria a non la pagare almeno. NANNA. Sai tu, Pippa, ciò che pareva la casa del tradisce-femine, tosto che si sparse il nome dei gran partiti, i quali metteva inanzi a chi voleva andar con lui ? . PIPPA. Che? NANNA. La piazza di Navona quando è folta di ronzini venderecci; e come i ronzini si stanno ivi con le code intrecciate, con le crina stricate, stregghiati ben bene, con le selle rassettate, con le staffe a la divisa, coi ferri rifatti e con le briglie racconce, spettando di andar di passo, di trottare e di correre me' che possano: cosi le creature, imbrunitesi3 più che non sogliono, rafazzonate con l'altrui robbe, facevano i loro atti in letto e fuor del letto con colui col quale si pensavano rimanere. Ma che t'ho io a dire? Egli, carico dei più maligni roviglion franciosi4 che avesse mai gran maestro, pose il frugatoio ne le tane di tutte, e con lo spazzatoio carnefice spazzò tutti i forni; e dandogli un cappio che lo appicchi, doppo uno, due, tre e quattro dì, le sbrigò da sé con dire: « Questa è troppo galluta,5 questa altra è malcreata, costei è sfatata, 6 colei sperticata de la persona»: a chi putiva il fiato, e chi non aveva grazia. Onde a le lor balle7 rimasero segnali crudeli; dico che a tutte diede parte de le sue gomme, 8 de le sue bolle e de le sue doglie in pagamento: ed era il male di cosi fatta condizione che pelava le ciglia, il pitignone, sotto le braccia e il capo, meglio che truogo: truogolo. 2. chiappole: sciocche. (Da chiappola, «coso di nessun pregio»). 3. imbrunitesi: che si erano fatte brune (con cosmetici). 4. roviglionfranciosi: «croste di ascessi luetici» (Aquilecchia). 5.galluta: baldanzosa. 6. sfa tata: mal formata. 7. a le lor balle: r ai loro corpi» (Aquilecchia). . 8. gomme: ascessi (luetici). 1.

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l'acqua bollita non pela i capponi; e senza un dente al mondo lasciava la turba errante. Sì che pàrti che gli uomini sieno uomini o che? PIPPA. Mi par che sieno il collo che se gli dinoccoli e ponen-dosi in una frombola se gli scagli a casa calda;' che si possa far lucignoli de la pelle, e succhielli de le gambe, e scudisci de le braccia loro: parlo di chi fa cotal tristizie, e non di chi non le fa. NANNA. Tu favelli bene; ma io t'ho pizzicato il gorgozzule con lo albume de l'uovo, nel contarti le gaglioffarie dei gaglioffi: spetta pure che io ti porga inanzi il tuorlo e che io attacchi agli uncinelli del tuo cervello i miei ditti, appuntando il saliscende de l'uscio de la mia memoria acciò che stia aperto, e racconti fino a una maglietta e a uno aghetto de la gonnella, la quale mi ho spogliata per mostrarti la verità ignuda nata. PIPPA. lo spetto. NANNA. Io vado ripescando con la fantasia la favella che io ho tralasciata nel mutar paese: e ho un dolor grande per essermi dimenticata quasi de le più sode parole che dice la nostra toscana; e la vecchia che favellò con il signor zugo, 2 favorito del duca di Sterlicche, o del re che si chiami, mi ha fatto venir voglia di spurar3 la lingua sputando le parole a nostro modo; e non mi tener fastidiosa se io entro e rientro tante volte ne le cose de la favella: perché non si può più viverci, si ci danno di becco le civettine a tutte l' ore. E benché io ti abbia detto del mio avermi più tosto dilettato di incassar denari che di bel dire, ti farei trasecolare da vero se io volessi parlarti inchinevolmente.4 So che in molti luoghi ho favellato di galanti parolette, massimamente nei lamenti de la signora abandonata dal barone ;5 e parte ne so da me stessa, e parte ne ho imparate: non da chi non sa la differenzia che è tra "stoppa'' e "capecchio", e "succiola"6 e "balocio" ,7 e se il "vinco" è giunco, e quel che si sia il "chiavistello" de l'uscio, l'"orliccio" 8 del pane, il "zaffo" 9 del tino, un "pignuolo" di lino, un "paniere" 1. a casa calda: all'inferno. 2. zugo: cfr. la nota 4 a p. 388, ma qui con allusione alla forma priapica della frittella. 3. spurar: purgare (pulire). 4. inchi1ievolmente: con uno stile da inchini. 5. So che . .• barone: cfr. pp. 282-97. 6. "succio/a": castagna cotta nell'acqua con la scorza. 7. "balocio": balogia (Crusca «lo stesso che succiola »). 8. "orliccio": come dice anche la Crusca, per un vocabolo disusato ma di significato evidente: d'estremità intorno del pane•· 9. "zaffo": turacciolo.

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di ciriege, uno "orcio" da olio, i "trecciuoli" del1 capo, le "fedre" dei guanciali, i "sarchielli" degli orti, i "tralci" de le viti, i "grappoli" d'uva; e il non esser tutto uno il "rastrello" che si chiude come porta e quel che rastrella il grano battuto ne l'aia; e si stuperieno udendo mentovare "randello" e mille altre nostre usanze di parole vecchie e nuove: le quali hanno fra noi addottorati fino ai contadini, dai quali le bergoliere2 vanno graspugliando3 i dettati, credendosi andare a Cielo per cotali cianciumi. PIPPA. Ritornate agli uomini, che mi par cosi udir darvi de la treccola4 pel mostaccio, facendosi rimore del vostro cercare i fichi ne le vette di quella ficaia dove saliste ieri o poco fa: poi riprendete il mio avere io de la bambina più che de la fanciulla. NANNA. A lor posta: io me ne faccio beffe, e le ho dove si soffia a le noci; e il mio culo suona il dolcemele5 meglio che le lor mani. Ora ai nostri nimici, anzi di chi non sa pelargli, e da buone massaie riponendo fino ai sorgi6 avanzati a le teste dei panni che fanno tagliare. Dico che quelle buone donne e altre sorti di puttane le quali ne danno più tosto a fattori, a staffieri, a ragazzoni, a ortolani, a facchini e a cuochi che a gentiluomini, signori e monsignori, han del buono e fanno una opra di pietà: e son sante, non pur savie e ingegnose. PIPPA. Perché dite voi cosi? NANNA. Perché i fattori, gli staffieri, i ragazzoni, gli ortolani, i facchini e i cuochi almen ti sono schiavi, e andrebbono a porre il capo nel fuoco e fra il ceppo e la mannaia per compiacerti; e se gli tritassi a minuzzoli, non gli cavaresti il segreto di bocca; e poi non si crederia, quando ben si dicesse « Lo spendi tor di messer tale gli soprescia7 la moglie». Oltra questo, simili gentarelle non sono svogliati, e pigliano il panno pel verso, e secondo che son recati si acconciano, né pigliano mai la lucerna in mano acciò che il suo lume gli faccia veder quanti borselli8 ha la tua fica, strur. del: correggiamo il dal delle edizioni originali e del testo Aquilecchia. 2. bergoliere: chiacchierone ( da mettere in relazione al noto bergolo, di origine veneziana e usato, anche dal Boccaccio, come aggettivo). 3. graspugliando: racimolando. 4. treccola: cfr. la nota 2 a p. 325. 5. dolcemele: da dolzaina, grosso & gran flauto che seruc di basso in un conserto [ = concerto] di strumenti 11 (nota del1 1ediz. 1660). 6. riponendo fino ai sorgi: • Guardando ò serbandose anche le cimosse ò capicciuoli di panno» (nota dell 'ediz. I 660). 7. soprescia: soverchia (in significato erotico). 8. borselli: borse.

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picciandole gli orli; né ti fanno alzare il culo in alto, sculacciandolo con la palma e graffiandolo con l'unghia; né ti fanno spogliare ignuda nel bel mezzodl, voltandoti ora di drieto e ora dinanzi ; né si curano, mentre ti sforicchiano il cioncio, 1 di alcuno azzichetto, a né che tu dica parole disoneste per crescergliene la volontà; né ti stanno quattro ore in sul corpo; né ti scommettano l'ossa col disnodarti tutta, ne le forge di alcuni "alza le gambe in suso e incavicchiale3 insieme", le quali essi trovano, hanno trovato e trovaranno per iscialacquarci le persone: ed è un zuccaro quei pascipecora4 e quelle altre poltronerie che ti dissi ieri, pare a me. PIPPA. Madonna si, ieri me lo diceste. NANNA. I porconacci ce lo mettano in bocca ... PIPPA. lo recerò. NANNA•••• ce la poppano .•. PIPPA. Reciarò, dico. NANNA. • •• e poi se ne empiano la bocca bandendolo come fosse una bella cosa. PIPPA. Che sieno impiccati. NANNA. E non si accorgano del vituperio loro: perché eglino ci hanno fatte puttane e insegnatici le sporcarie; e cotali vertù son venute dai ghiribizzi di questo e quel puttaniere; e ne mente e stramente chi vuol dire che il primo che trovò lo adoperarci per maschi, assaggiandoci col piuolo, noi fece sforzatamente: ed è chiaro che i denari maladetti incantarono colei che fu la prima a voltarsi in là; e io che ne ho fatto la mia parte, e son suta de le più scelerate, non mi ci recava se non per non poter più resistere al predicare di colui che mi infradiciava tanto che io gliene ficcava in grembo con dire: «Che sarà poi ?». PIPPA. Propio, che sarà poi ? NANNA. E che risa gli escano di gola nel vedercelo entrare e 1. cioncio: quel che la Crusca registra come la cioncia, • natura della donna•, data però come •voce bassa». Nota dell'ediz. 1660 per ti . •. ciancio: • pungono il culiseo •, con la solita espressione. 2. alcuno a%%ichetto: • piccolo movimento•, come spiega una nota dell'ediz. 1660. Cfr. qui addietro a p. 216. 3. incavicchiale: congiungile (da caTJicchia, •caviglia»). 4. pascipecora: per questo vocabolo (già citato genericamente con altre cr posizioni• erotiche a p. 237) si pub citare la pseudo-aretiniana Puttana errante in prosa: il quinto modo di congiungersi è "quando la donna tiene le mani in terra, e si chiama a pascipecora • (cfr. ed. di Batavia, s. a., p. 53). L' Aquilecchia riporta anche: • quando la donna volta le reni all'uomo», che si riferisce però al quarto modo.

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nel vedercelo uscire; e dando alcune spinte a schincio 1 e certe punte false, par che tramortischino per la dolcezza del farci male. Talotta tolgano uno specchio grande grande, e ispogliatici ignude, fanno starci nei più sconci modi che si sappino fantasticare: e vagheggiandoci i visi, i petti, le pocce, le spalle, i corpi, le fregne e le natiche, non potrei dirti come se ne sfamano il piacere che ne hanno. E quante volte stimi tu che faccino stare i lor mariti,2 i lor giovani ai fessi perché vegghino ciò ? P1PPA. Si, eh? NANNA. Cosi non fosse. E quante volte pensi tu che a l'usanza pretesca faccino ai tre contenti ?3 O abisso, apriti mai più, spalancati se vuoi! E ne ho conosciuti alcuni che hanno a tutti i partiti del mondo lusingate tanto le amiche che le han cacciate ne le carrette4 in presenzia del carattiere e ne la via dove passa ognuno: godendosi, mentre i cavalli son messi in fuga da le fruste, di quel saltellare de la carretta, onde ricevevano spinte non più provate. PIPPA. Che voglie. NANNA. Alcuno altro pattovisce con la sua signora, sendo là presso a l'agosto, i di piovaiuoli; e venuti che sono, bisogna che ella si calchi seco, e seco stia nel letto finché le burlate del piover5 durano: e pensa tu che fastidio sia quel d'un sano fatto stare fra i lenzuoli un di e due, mangiando e beendo ne la forgia6 degli amalati. PIPPA. Non ci potria mai durare. NANNA. Che crepaggine è quella de una femina occupata nel piacere che si piglia alcuno di farsi grattare e palluzzare i granelli; e che passione è lo aver a tener sempre desto il rosignuolo, e tuttavia7 le mani su le sponde del cessol 8 Dicami un poco, un di questi perseguita-puttane, che denari potria pagare una così lorda e puzzolente pacienzia. lo non dico questo, figliuola mia, perché tu te ne faccia schifa; anzi voglio che sappi farlo meglio d'ogni altra: ma gli ho tocchi, i tasti, per mostrare che noi non furiamo gli avanzi che si fanno de la merce che si mercata per mezzo de l' onestade sbarattata da le nostre miserie. Io do l'anima a Satanasso quando siamo battezzate per mancatrici di fede: e con effetto la rom pia1. a schincio: per traverso. 2. mariti: cinedi. 3. tre contenti: «la lingua, la mano e '1 cotale» (nota dell'ediz. 1660). 4. ca"ette: cfr. la nota 9 a p. 186. 5. le burlate del piover: «gli acquazzoni» (Aquilecchia). 6. forgia: maniera (foggia). 7. tuttavia: sempre. 8. su le sponde del cesso: • sulle natiche» (Aquilecchia).

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mo spesso; e che è perciò? non siamo noi donne, se ben puttaniamo? ed essendo femine e puttane, è sl gran cosa il fregarla a la fede che si dà per via di due mani insensate? Il fatto sta nel fracasso che ne fate voi altri uomini da sarti, 1 e non in quello che ne fa ci amo noi donne da scacchi,2 che per nonnulla la diamo e ridiamo, e per nonnulla la togliamo e ritogliamo: e ciò nasce perché i nostri cervelli non seppero mai qual vivanda gli andasse più a gusto. Alcuno dice che le vivande del gusto nostro si condiscano con l'oro e con l'ariento: noi siam rifatte, se gli uomini vogliono farci più -avari di loro; tu puoi contar col naso 3 le donne che per aver denari tradischino le rocche, le città, i padroni, i signori e dominusteco ;4 ma si anoverano ben con le dita, anzi con la penna, quelli che l'accoccano, hanno accoccato e accoccarebbono ai Padri santi, del mondo pastori. PrPPA. Voi sète in vena, e perciò cappate le più belle del sacco. NANNA. Lascia pur fare a fece, e dire a chi disse; e, tacendo, fatti beffe di chi la squacquara5 rimoreggiando :6 «La poltroncionaccia puttanissima mi ha pur mancato de la sua traditora ·promessa »; e se pur vuoi rispondere, dirai ad alta voce: «Ella ha imparato da voi mancatori». PIPPA. Gliene appiccarò con grazia. NANNA. Che bel fargli rosso il sedere con una sferza di sovatto,7 quando ci tassano del non contentarci di .xxv. innamorati, e ci dicano lupacce e cagnacce: non altrimenti che i luponacci e cagnonacci se ne stessero con una sola. Lasciando il fiutarne quante ne veggano, né gli bastando tutte, con ogni industria si cacciano a sbramar la lussuria fin coi guattari ·de le più sudice taverne di Roma: e se non fosse che si direbbe che noi vogliam male ai sodomiti perché ci tolgano i tre terzi del guadagno, te ne direi cose, dei gaglioffacci, te ne direi cose che te ne farei chiuder le orecchie per non udirle. I. uomini da sarti: manichini ( = senza cervello). 2. da scacchi: «leggere ( come i pezzi del giuoco degli scacchi) • (Aquilecchia). 3. col naso: cioè ancor meno che con le punta delle dita. 4. dominruteco: dal latino Dotninus tecum, usato a suo modo dalla Nanna, frequentatrice di chiese. s~ squacquara: disperde (come diarroico}, e quindi blatera dappertutto. 6. rimoreggiando: rumoreggiando. 7. sovatto: sogatto, specie di cuoio, con cui si fanno cavezze e guinzagli e legacci per libri di pregio. (Registrato anche come soatto dalla Crusca, che ricorda l'uso più comune di sovattolo).

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PIPPA. Vadinsi a sotterrare i tristi. NANNA. A le rovinate da le imbriacature degli uomini scoscienziati. PIPPA. A loro. NANNA. Accadde che una non-ci-fosse-mai-nata, doppo il sofferimento de le rabbie, de le villanie, degli spregiamenti, de le bestemmie e de le busse con le quali due anni di lungo la combatté il suo bertoncione,1 tolse suso :2 e sgombrando da lui solamente sé stessa, lasciandogli ogni mobiliuzza e datale da lui e fatta da lei, e ne l'andarsene fatto boto di non tornarci prima che ella diventasse cenere; e cosi si stava, e con ostinazion di femina ostinata si avventava con l'unghie al viso di qualunche le parlava di rimpiastrarsi con seco: onde egli ci messe amici, amiche, ruffiane, ruffiani e fino al suo confessore, né mai la poté convertire. È ben vero che le sue robbe non se gli rimandàr mai, perché pare a uno che ha perduta la sua donna, averla a ritrovare per il mezzo de le cose rimase ne le sue mani: or sì pure. Il ribaldo pensando continuamente al modo di riaver costei, passati alquante stornane, il trovò; e trovatolo, parendogli già vendicarsi con il suo non aver voluto ancora ritornargli in casa, si infocò tutto ne l'ira: e che fece? Finse una febbre subitana e un mal di petto crudele; e lasciatosi cader là, il rimor grande si sparse nel vicinato: e corsi a lui i servidori e le servidore, gli rammentarono l'anima, parendogli che il corpo, il quale non aveva male niuno, fosse spacciato. PIPPA. Chi non si pon mente ai piedi inciampa. NANNA. Il frate venne, e con « lddio vi renda la sanità» si gli pose a sedere allato; e confortatolo a star di bona voglia, gli entrò nei peccati grevi e mortali: e domandò gli se aveva ammazzato o fatto ammazzare. Il taccagno gittò fuora le lagrime, dicendo: « Io ho fatto peggio; e questo è il tradimento usato da la mia perversità a madonna ... »; e proferito tanto del suo nome che il frate lo intese, fece vista di venir meno: onde lo "aceto, aceto" s'udì per tutto; e bagnatigli i polsi con esso, si riebbe in un tratto. E ritornato a la confessione, con parole affannate disse: «Padre, io moio, io sento bene io ciò che io ho; e perché l'anima ci è, ed ècci anco l'inferno, io lascio il tal podere a colei che io vi ho detto: fategnele intendere come da voi; e caso che io migliori punto, farò distenderlo 1.

bertoncione: sciocco ganzo.

2.

tolse suso: se ne andò.

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dal notaio nel testamento»; e qui stroncassi la confessione. Assolvéllo la Sua Reverenzia, e andossene di lungo a trovare madonna, la quale tirò da parte e dissele lealmente de la lascita. PIPPA. Eccola rovinata. NANNA. Come ella senti il suono del podere, cominciò a ballarci suso col core, il quale gli galluzzò subito; ma storcendosi un poco, dimenava il capo con certi crolli e strigner di labbra che parca lo sprezzasse; e aprendo appena la boccuccia, disse: «Io non mi curo di poderi né di lasci te». Onde fe' stizzare il padre; e se le voltò dicendo: « Che matèria1 è la vostra? Hassi a beffeggiar la robba donatavi per domi·num nostrum a questa forgia? E poi qual paterina2 giudea sofferirebbe che si perdesse una anima? Recatevi la mente al petto, figliuola mia spirituale, e vestitivi adesso adesso e andatevene in un baleno a lui, che mi pare udir buccinarmi3 ne le orecchie "egli guarirà, s'ella vi va,,». Pippa, egli è il diàscane4 il sentir toccarsi da le redità: e per questo si crocifiggano insieme i fratelli, i cugini; e perciò la infregiata5 da Sua Paternità trottò via: e giunta a l'uscio, lo bussa con quella sicurtà che lo picchiano le padroni dei signori de le case ne le quali vanno. Tosto che si udi il tocche ticche, il messere, che si stava come morto in letto non avendo nulla, le fece aprire; ed ella, saliti gli scaloni6 in due passi ed avventatasigli a dosso, l'abbraccia senza dire altro: perché il pianto, il quale non era in tutto finto né in tutto da vero, le impediva la favella. PIPPA. Chi ne saperà più ? NANNA. Lo scariotto,7 lo scariotto ne seppe più, dormendo, che non fece ella vegghiando; e perciò, come la sua venuta lo avesse risuscitato, si levò suso: e posto nome a la sua visita "il miracolo", mostrò la sua sanità in quattro dl. Onde le disse: «Andiamo al podere che io ti lasciava morendo; perché te ne faccio donagione, poiché per tua bontà son ravisolato ». 8 Ella vi andò: e quando credette entrare in possessione de le terre, fu data per merenda a la fame di più di quaranta contadini i quali, per essere la festa di san Galgano, si stavano ragunati in una casaccia senza finestre I. matèria: pazzia. Cfr. la nota 4 a p. 621. (Aquilecchia, nel Glossario, accenta materia =«pazzia»). 2. paterina: patarina (nel senso tradizionale di «eretica»). 3. buccinanni: risonarmi. 4. diàsca11e: diavolo (registrato dalla Crusca insieme a diascolo ). s. infregiata: adescata a cosa non vera. 6. scaloni: scalini. 7. scariotto: traditore (da Giuda Scariotto). 8. ravisolato: ravvivato.

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e mezza rovinata: e chiacchiaravano appunto del farlo a le cittadine e a le puttane grandi, quando la manna gli cascb fra i denti. PIPPA. Adunque la fraga 1 si gittò in bocca a l'orso? NANNA. Cosi fu; e se io ti volessi fare una simiglianza dei cotali rugginosi che gli spuntar fuora de le brache, trovarci altro che le corna de le lumache: ma non è onesto. Neanco debbo dipignerti gli atti i quali facevano mentre davano il bottaccio de l'acqua al molino; basta che scotcvano il pesco a la contadina2 e, secondo che la tradita da la esortazion fratina ebbe a dire, che la puzza del sudiciume di che essi ulezzavano, i rotti di radici3 che travano, e con le coregge appresso, le fu di più noia che non furono li strazi del suo onore. PIPPA. Crédovelo. NANNA. Saziati quei contadini, che la fecero diventar botte de l'olio loro, mentre ella scarmigliata si graffiava tutta, fu lanciata drento una coperta coi manichi, e balzata4 dai medesimi trentu.;. nieri si alta che stava un terzo d'ora a ricaderci giuso; e la camiscia e i panni che nel volare suo si gavazzavano5 col vento, le facevano mostrare la luna al sole :6 e se non che la paura le mosse il corpo, onde la coperta e le mani attaccateci si invernicarono,7 ella si balzarebbe ancora. PIPPA. Balzato sia il capo a chi il consenti. NANNA. E perché gli pareva che il trentone8 l'avesse grattata e la coperta spassata, fece tbrre un fascettino di vincastri e levarla a cavallo in su le spalle d'un traferfero, 0 il quale la teneva sì forte che aveva agio di inaspare col dimenarsi· e col trar di calcio; ma ella adoperava al suo arcolaio una matassa d'accia troppo scompigliata: e perciò, dimenatasi un buon pezzo, si beccò sul culo tante vincastrate quanti dì ella si aveva fatto pregar di venire a lui; e perché non mancasse nulla a la neronaria10 del tristo doloroso, gli taglib i panni intorno a la centura e lasciolla andare con la sua benedizione. 1.fraga: fragola. 2. a la contadina: con forza. 3. rotti di radici: rutti dal profondo {dello stomaco). 4. balzata: come fecero appunto anche a Sancho Panza, amanteado nel Don QuiJote. s. si gaTJazzavano: si scomponevano. 6. mostrare •• . sole: cfr. Folengo, Baldus, 1v, 326-7: « fecit scoperto solem tenebrare quaderno, / contraque naturam superavit luna maritum ». 7. si invernicarono: si sporcarono. 8. trentone: accrescitivo da tre11tu110 {cfr. la nota 4 a p. 126). Poco sopra trentunieri. 9. tra/erfero: manigoldo. 10. neronaria: azione da Nerone.

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Lasciato sia egli a discrezion del maglio/ quando il mani .. goldo l'alza per mozzare il collo a chi il merita meno. NANNA. Si disse, e fu vero, che mentre ella andando volse coprirsi la vergogna con mano, che uno sciamo di api l'entrar fra le cosce, credendosi che ivi fosse la fabrica loro. 2 PIPPA. To' su il resto. NANNA. Sono schiava a una giovane de le scaltrite puttane di Roma, la quale fu alettata da trecento ducati lasciati a lei in un testamento fatto da uno che ne moriva. Ella si accorse come egli fingeva di star malissimo, e che il testamento, il qual cantava dei trecento, era per farla correre e per darle a vedere che pur poteva sperare secondandolo. Sai tu ciò che ella fece? PIPPA. Io non lo so, ma vorrei ben saperlo. NANNA. Gli diede un bocconcino di tosco e mandollo al palegro :3 e così il testamento sborsò i contanti. PIPPA. Io vo' dir la corona per lei; e voglio, per mezzo dei miei paternostri, che Domeneddio da Imola4 lasci stare il fiorir de le zucche, perdonandole un cosi galante 5 peccato. NANNA. Ma uno spino non fa siepe, né una spiga manna:6 e se quella seppe le sue, questa drizzò i papaveri nei gambi; e avendo a torto e a peccato ricevuto un fresciaccio7 dal suo amante più cotto che crudo, un fresciaccio di sette punti, per parecchi lagrimucce che egli gittò e per non so quanti sospiri, sotto la fede dei falsissimi giuramenti, avendo ancora la fascia al viso, non pur consentl a non gli voler male, ma si ridiede a dormir con seco quasi ogni notte; e quando si credeva di avere in ristoro del danno qualche gran presente da lui, si trovò una mattina peggio che la buona memoria di don Falcuccio :8 egli le nettò suso9 fino a un ditale di ariento, e lasciolla a darsi tanti pugna nel petto e tante pelature10 di capegli che più non se ne danno le figliuole nel serrar gli occhi de la madre. PIPPA.

maglio: qui per «scure». 2. la fabrica loro: cioè l'arnia. 3. al palegro: alla bara, & al sepolcro» (nota dell 'ediz. I 660). 4. Domeneddio da Imola: è furbesca irriverenza, coniata dalla toponinùa dei santi ma nei confronti di Dio (col riferimento che segue: «lasci stare il fiorir de le zucche»). s. gala11te: bel. 6. 111anna: covone. 7. fresciaccio: fregiaccio, segnaccio. 8. don Falcuccio: 11 Dal contesto: personaggio reale, allora defunto, vittima di un proverbiale furto» (Aquilecchia). 9. nettò suso: portò via. 10. pelature: strappi. I.

Cl

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PIPPA. Diàcene, che io non sappi uscir del buio, andandomi voi inanzi con il doppiere acceso ? NANNA. Pippa, ricorditi egli quando tu solevi levarti a pisciare mentre io dormiva? PIPPA. Si, madonna sl. NANNA. Non sai tu che, nel voler ricolcarti, il più de le volte non ritrovavi il letto, e più andavi a tastoni, più ti perdevi, né mai ti ci saresti imbattuta se non mi avessi desta? PIPPA. Vero è. NANNA. E perciò, se fin ne le cose minime non puoi far senza me, fa' anco che ne le grandi io ti sia a candellieri ;1 e in ogni tuo andare ricorditi di me, odi me, ubisci me e tienti a me: e non dubitare, 2 se lo fai, dei giganti, non che dei nani. 3 E certamente bisogna stare in cervellissimo, perché noi siamo come giocatori: i quali, se si vestano4 del carteggiare e del dadeggiare, 5 non se ne calzano ;6 e sia pur qual puttana si voglia, e ricca e favorita e bella, che tutto si assimiglia a un cardinale vecchio cascato,7 il quale non è papa perché la morte gli dà la sua boce.8 PIPPA. Voi favellate cupamente. NANNA. Io esco dei solchi per volergli far troppo diritti: e questo interviene anco a coloro che acoppiano le parolette come si acoppiano l'uve duràcini. Io vorrei tirarti a credere che la più felice e la più contenta puttana è infelice e scontenta: lascia pur treccolare a chi treccola9 e ciarlare a chi ciarla, che ella è cosi. Soleva dire lo scalco di Malfetta10 che la felicità e la contentezza d'una puttana erano sirocchie carnali de le speranze di quel cortigiano il quale tiene in mano lo avviso del tale che si more: e poi guarisce appunto in quello che ha ottenuto i suoi benefizi. n Ma dicanmi, quelle che se ne fanno belle: è felice una la quale, come ti ho narrato, se sta, se va, se dorme e se mangia, bisogna, o voglia o non voglia, che segga con l'altrui chiappe, vada con gli altrui piei, dorme12 con gli altrui occhi e mangi con l'altrui bocca? è contenta

I. a candellieri: da candeliere. 2. dubitare: temere. :3. giganti . .. nani: gente altezzosa e gente umile. 4. si. vestano: si rimettono nelle spese. s. carteggiare .•• dadeggiare: giocare a carte e coi dadi. 6. se ne calza110: fanno grandi guadagni. 7. cascato: giù di salute. 8. gli dà la sua boce: lo chiama a sé. 9. treccolare a c/zi treccola: ciarlare senza fine alle rinvendugliole. 10. Molfetta: Molfetta. II. benefizi: rendite feudali (per trapasso di poteri). 12. dorme: donna.

DIALOGO DELLA

NANNA E

DELLA

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colei, la quale mostrano tutti i diti per bagascia e per femina del popolo? PIPPA. O è femina del popolo ogni puttana? NANNA. Sì. PIPPA. Come si? NANNA. Ognun, che spende da contentarsene/ dee montar suso, sia pur ricco in fondo 0 2 pelacane3 e plebeo, a sua posta: perché i ducati tanto lucano ne le palme dei famigli quanto dei padroni; e si come gli scudi d'uno acquaruolo,4 rimescolati con quei d'un caca-spezie,5 son de la medesima valuta, e chi gli piglia non vantaggia questi da6 quelli, cosi, essendoci la pecunia, tanto si dee aprir al re quanto al servo. Per la qual cosa ogni puttana che vuol denari, e non ispade e bastoni,' è pasto del popolo. PIPPA. Non si pò dir meglio. NANNA. Dimandinsi i pergami, non pure i predicatori,8 se noi siamo felici e contente. Eglino si recano lassuso, e dannoci drento: ((Ahi! scelerate concubine del cento-paia,9 spose dei foletti, sorelle di Lucifero, vergogna del mondo, vitupero del sesso de lo in mulieribus :10 i dragoni de lo inferno vi divoraranno l'anima, ve l'abbrusciaranno, le caldaie del zolfo bollente vi aspettano, gli spedoni infocati vi chian1ano; i graffi dei demoni vi squartaranno; voi sarete carne degli uncini loro, e sarete scudisciate dai serpi: in eternum, i11, eternum ». Ecco poi il confessore: «]te in igne, 11 in igne dico, ribaldacce, valige da peccati, rovinatrici di uomini, maliarde, streghe, fatucchiaie, 12 spie del diavolo, luponacce »; 13 e non ci vogliono pure udire, non che assolverci. E venendo la stomana santa, i Giudei, i quali conficcarono in croce il nostro Signore, son meglio visti di noi ; e la coscienzia ci rimorde, e dicici (< Andatevi a sotterrare in un monte di litame, e non comparite fra i Cristiani». E 1. da contentarsene: Ferrero dee contentarsene. 2. o: seguiamo la proposta d'emendamento fatta dal Ferrero. Il testo Aquilecchia dà: e. 3. pelaca11e: un pelacani qualunque. 4. acquaruolo: venditore d'acqua. 5. cacaspezie: damerino (cacazibetto e simili). 6. va11taggia questi da: preferisce questi a. 7. ispade e bastoni: con riferimento al gioco dei tarocchi. 8. Dimandinsi ... predicatori: si interroghino i pulpiti, e non solo i predicatori. 9. del cento-paia: del diavolo. 10. in mulieribru: espressione dell'Avemaria (cfr. Luc., 1, 28). u. /te in igne: •andate nel fuoco• (avrebbe dovuto dire in i'gnem). 12.fatucc/1iaie: fattucchiere. 13. luponacce: puttanacce (meretrici da lupanare, cioè d'infimo rango).

PIETRO ARETINO 34° perché siamo condotte a sl rio partito ? Per amor degli uomini, per sodisfare a loro, e perché ci hanno così fatte. PIPPA. Perché non si grida agli uomini come a noi altre? NANNA. Questo voleva dire io: doverebbe la paternità de la Reverenzia di messer lo predicatore voltarsi a le Loro Signorie, dicendogli: « O voi, o spiriti tentennini, 1 perché sforzate, perché contaminate, perché piegate le donne puracce,2 le donne lascele-stare, le donne balocche ?3 e se pur le colcate donde vi pare, a che fine svaligiarle ? a che proposito sfregiarle ? e a che far bandirle? ». Il frataccio doveria far si che quei serpenti, quelle caldaie, quelli spedoni, quelle fruste di bisce, e i graffi e i satanassi si spedissero inverso le lor magagne.4 PIPPA. Forse lo faranno. NANNA. Non ci pensare, non te lo credere, non ci far disegno; perché tristo a chi manco ci può: e perciò gli uomini son grattati, 5 non isgridati, dai frati. Ora6 al farci pagare da chi ci trassina per in giù e per in su. PIPPA. Mi par che me ne abbiate favellato. NANNA. Non è vero; e poi le imbasciate che importano si replicano due e tre volte. Pippa, io vorrei saper da quelli belli-in-banca, i quali ci apongano solo perché cerchiamo il nostro utile facendoci pagare dei servigi che facciamo a chi ci comanda, per che conto, per qual ragione aviamo a servire altrui per i loro begli occhi. Ecco il barbiere ti lava e rade: e perché? per i tuoi denari; i zappatori non ficcarebbono zappa in vigna, né i sarti ago in calza, se i quattrini non gli balzassero nei borselli; amàlati e non pagare, e vedrai il medico doman da sera; togli una fante e non le dar salario, e farai tu l'ufficio suo; va' per la insalata, va' per le ramolacce, va' per l'olio, va' per la salina,7 va' per ciò che tu vuoi senza denari, e tornarai senza: si paga la confessione, la perdonanza ... PIPPA. Non si paga più, fermatevi. 1. tentennini: tentatori diabolici (perché tentennino è il Diavolo come si legge anche nel Morgante e nel Malmantile racqtlistato del Lippi, oltre che nel già citato Pataffio di Brunetto Latini). I diavoli sono detti tentem,ini per• ché« tentano altri» (nota delPediz. 1660). 2. puracce: troppo pure (e quindi ingenue). 3. balocche: sciocche. 4. si spedissero . .. magagne: si movessero contro i torti degli uomini. 5. grattati: nel senso di II vezzeggiati• (grattati dove hanno prurito), cioè adulati. 6. Ora: veniamo ora. 7. salina: «sale non raffinato» (Aquilecchia).

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NANNA. Che ne sai tu? PIPPA. Me lo ha detto il penetenzieri quando mi diede con la bacchetta in sul capo. NANNA. Può esser; ma pon mente al prete, o a chi ti ha confessato: quando non gli porge, vederai i bel viso che ti fa. Ma sia che vuole, le messe si pagano; e chi non vuole esser sepellito nel cemiterio o longo1 le mura, paghi il chirieleisonne, il porta inferi e il requiem eternam. Non te ne vo' dir più: le prigioni di Corte Savella, di Torre di Nona e di Campidoglio" ti tengano rinchiusi e stretti, e poi vogliano essere strapagate. lnfino al boia tocca i tre e quattro ducati per i colli che attacca e per i capi che mozza: né faria un segno ne le fronti ladre, né tagliaria un naso ghiotto, né uno orecchio traditore, se il senatore o il governatore, il podestà e il capitano non gli desse il suo dovere. Vattene a la beccaria e abbi quattro onciarelle di pecora più: e se ti son lasciate se non ci aggiugni il danaio, di' che io non sia dessa. E infine ai pretacchioni che benediscano l'uova tolgano la rata loro. Sì che, se ti par lecito di dar tutto il tuo corpo e tutte le tua membra, tutti i tuo sentimenti per un "gran mercé, madonna,,, fa' tu; e se ai mercatanti, i quali non guardano niuno in viso se non ne cavano usura, ti vuoi dare in dono, datti. PIPPA. Non io che non voglio. NANNA. E perciò intendimi bene; e intesa che tu mi hai, mette in apra i miei avvisi : e se lo fai, gli uomini non saperanno guardarsi da te, e tu ti saprai guardar da loro. Lasciagli pure civettare da le finestre de le camere rispondenti in quelle de la tua, con le collane in mano, coi zibellini, con le perle, con le borse piene, facendo sanare i doppioni che vi son drento col percuoterle con la mano. Baie, cacabaldole, arzigoghelarie e giuochi da puttini sono cotali zimbellamenti ;3 anzi arti per dileggiar coloro che ci porgano l'occhio: e tosto che si avveggano che ci fai l'amore credendoti che te le voglia donare, ti squadra le fica• dicendo: ,, Togli queste, carogna, scrofa, cioncola ». 5 I. longo: lungo. 2. le prigioni ... Campidoglio: prigioni pontificie (per Corte Savella e per Torre di Nona cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, rispettivamente alle note 5 a p. 161 e 10 a p. 148). 3. zimbellamenti: allettamenti. 4. ti squadra le fica: cfr. la nota 9 a p. 225. 5. cionco/a: da mettere in relazione a cioncia, come dice la Crusca: • voce bassa, Natura della donna». «Troia» (Aquilecchia),

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Se mi fanno di cotali cilecche, le vendette non si lasciaranno a fare ai miei figliuoli. NANNA. Pàgati ancora dei pignatti e dei pentolini di pece che ti avventano a le finestre per ardertele e per isconguazzartele, 1 con la giunta dei panni incerati coi quali ti disgàngarono la porta rivoltandola col capo in giuso. E per condir ben la fava menata, 2 ci vogliono essere i rimori, i gridi, i fischi, le baiacce, le villanie, le coregge, i rotti, le bravate che usano per destatoio quando dormi ed eglino ti fanno la processione intorno a la casa, bandendo i tuoi difetti ne la forgia che si doverebbono arcibandire i loro. PIPPA. Che gli venga il mal del petto. NANNA. Uno uccel perde-il-giorno trovò una solenne fantasia, anzi la più sciocca che mai si trovasse amante bugiardo, falso e alocco. PrPPA. Che fantasia fu la sua? NANNA. Per parere di vivere in isperanza de l'ottenere la donna de l'amor suo, e perché ella intendendolo cominciasse a far pensiero di contentarlo, si vesti tutto tutto di verde: la berretta verde, la cappa, il saio, le calze, il fodero, il puntale, il manico de la spada, la cintura, la camiscia, le scarpe; e fino al capo e a la barba pare a me che si facesse far verde: il pennacchio, la impresa, i puntali, le -stringhe, il giubbone e tutto. PIPPA. Che erbolatal3 NANNA. Ahi ah! ah! Egli non mangiava se non cose verdi: zucche, cidriuoli, melloni, minuto,4 cavolo, lattuche, borace, 5 mandorline fresche e ceci; e perché il vino paresse verde, lo poneva in un bicchiere di vetro verde; e mangiando geladìa6 succhiava solamente le frondi del lauro intermesseci drento; faceva fare il pane di ramerino pesto con l'olio, perché tenesse di lega verde; sedeva su gli scanni verdi, dormiva in un letto verde, e sempre ragionava di erbe., di prati, di giardini e di primavere. Se cantava, non si udiva se PrPPA.

isconguazzartele: sconquassartele. 2. fava menata: con allusione erotica (secondo la tradizione dei canti carnascialeschi). 3. erbolata: torta di erbe (nel senso di mescolanza di colori verdi). 4. minuto: « minestra d'erbe tagliate minutamente» (Aquilecchia). 5. borace: borrano (usata per insalate e minestre). 6. geladìa: gelatina (brodo di cappone rappreso per il freddo o il gelo, con sostanze naturali viscose, cotenne di porco e simili). I.

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non speranza inalborata1 nei campi da metere; e ingioncava i versetti con le pergole, con le pimpinelle e con le caccialepri ;2 e mandando lettere a la diva, le scriveva in fogli verdi: e credo che il suo andar del corpo fosse verde non altrimenti che la sua cèra e la sua orina. PIPPA. Che matto spacciato. NANNA. Matta spacciata era colei la qual si credeva ciò farsi per le sue divinitadi, e non per le cattivanze sue. Vuoi tu altro, che egli finse tanto la speranza e tanto la predicò che la buonaccia, la quale non la voleva far mentitrice, ci si lasciò còrre, parendole che il trovato del verde fosse a le sue bellezze un bel che: e il merito che le ne rendette il verderame3 fu il lasciarla svaligiata de la coltrice del letto. PIPPA. Ghiotto4 da forche. NANNA. Una certa monna Quinimina sgraziatella, a la quale la natura aveva dato un pochetto di viso e un poco di bella persona per farla :fiaccare il collo e per più suo disfacimento, a l'usanza di colui che sa tanto giocacchiare che gli basta a perdere, sapeva tanto di lettera che intese una lettera mandatale da un ciarlone. O Domenedio, dove diavolo si trova egli che Cupido colga la gente al buio? e come è possibile che un cacasi-sotto5 tiri l'arco e ferisca i cori? Egli ferisce ...6 il gavocciolo7 che venga a noi femine, da che diam fede a le ceretanarie,8 credendoci avere gli occhi di sole, la testa d'oro, le gote di grana, 9 i labbri di rubini, i denti di perle, l'aria serena, la bocca divina e la lingua angelica: lasciandoci accecare da le lettere che ci mandano i gabba-donne nel modo che si lasciò gabbare la sfatata10 che ti dico. Ella, per dar da favellare a

I. inalborata: « inalberata .•. : ma il significato complessivo della frase è dubbio: forse è da intendere: la parola speranza collocata a sproposito nei suoi canti, come il piantare degli alberi nei campi di grano» (Ferrero). 2. caccialepri: specie di erba. 3. il verderame: quel maligno, dannoso come il verderame. 4. Ghiotto: ribaldaccio. 5. un cacasi-sotto: un bambino che se la fa ancora addosso. 6. ferisce .•• : mettiamo i puntini di sospensione, come fa il Ferrero, per i-interruzione del discorso e l'imprecazione della Nanna. 7. gavocciolo: bubbone (della peste). Si pensi altermine di cui nella narrazione della peste nella cornice del Decameron. 8. ceretanarie: ciarlatanerie (come il petrarcheggiare del linguaggio, spesso satireggiato dall'Aretino maturo dopo le stesse sottili e letterarie prove della prima giovinezza). 9. di grana: color rosso cinabro (come le coccole dell'edera). 10. sfatata: qui «disgraziata».

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la brigata del suo saper leggere, ogni volta che poteva furare il tempo, si piantava in su la finestra con il libro in mano: onde la vidde un gracchia-in-rima; e avvisandosi che potria esser molto bene che per via di qualche cantafavola scritta d'oro 1 gnele accoccaria, tinse un foglio con il sugo di viole a ciocche, di quelle vermiglie; e intignendo la penna nel latte di fico, scrisse come ella faceva disperare con le sue bellezze quelle degli angeli, e che l'oro toglieva il lustro dai suoi capelli, e la primavera i fiori da le sue gote, facendole anco stracredere che il latte si fosse imbucatato2 nel candido del suo seno e de le sue mani. Ora stimalo tu se ella peccò in vanagloria udendosi millantare. PIPPA. Balorda. NANNA. Quando ella ebbe finita di leggere la sua disfazione, 3 da la quale si senti dar più laide che non si dà al laudamus,4 si rintenerl tutta quanta; e vedendosi scongiurare de la risposta, si gittò ne le braccia di quel "solo e segreto", il quale gli ingannatori fanno ne le lor dicerie a lettere di scatole, 5 acciò che noi gli porgiam l'occhio al primo;6 e ordinato il suo venire il terzo dì, perché in quella ora il suo marito andava a la villa, si stava spettando il tempo. PIPPA. Ella aveva marito, che? NANNA. Sì, in malora. PIPPA. E in mal punto. NANNA. Avuto che ebbe il messer-fa-sonetti il sì, trovò non so quanti sconquazza-carte e stiracchia-canzone, dicendo: « Io vo' fare le serenata a un puttanino maritato, assai gentil cosetta, la quale gualcarò7 tosto tosto; e che sia il vero, eccovi qui la posta manu propria». E mostrategli alcune righe scrittegli da lei, se ne risero un pezzo insieme; poi, tolto un liuto, accordandolo in un soffio, stroncò8 una calata9 assai contadinescamente; e doppo uno "ah! ah! ahl" a la sgangarata, si messe sotto la finestra de la ca-

cantafavola scritta d'oro: qui nel senso di composizione di nessun valore, fatta di parole artificiose. 2. imbucatato: reso candido come di bucato. 3. disfazione: disfacimento (ma qui la Nanna voleva dire «dissertazione• o qualcosa di simile). 4. laudamus: la Nanna, che ha ben sentito in chiesa il Gloria, se ne vale per le sue citazioni. 5. lettere di scatole: lettere capitali, tutte grosse. 6. al primo: di primo acchito. 7. gualcar: col solito riferimento alla gualchiera per pestar panni. 8. stro11cè>: strimpellò. 9. una calata: un'aria da ballo. 1.

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mera de l'amica, la quale rispondeva in un borghicciuolo1 dove passava una persona l'anno; e appoggiato con le rene al muro; adattatosi lo stormento al petto, porse il viso in alto; e mentre ella balenava2 lassuso, biscantb3 questo cotale: Per tutto l' or del mondo,4 donna, in lodarvi non direi menzogna, perché a me e a voi farei vergogna. Per Dio che non direi che in bocca abbiate odor d'Indi o Sabei, né che i vostri capelli de l'oro sien più belli, né che negli occhi vostri alberghi Amore, né che da quelli il sol toglie splendore, né che le labbra e i denti sien bianche perle e bei rubini ardenti, né che i vostri costumi5 faccino nel bordello andare i fiumi :6 io dirò ben che buona robba sète, più che donna che sia; e che tal grazia avete che, a farvelo, un romito scapparia.7 Ma non vo' dir che voi siate divina, non pisciando acqua lanfa8 per orina.9 PIPPA. Io per me gli arei gittato il mortaio in capo, gliene arei gittato per certo. NANNA. Ella, che non è cruda, come non sarai anche tu, se ne tenne ben bona e ben grande; e non pur aspettò il dileguarsi del

1. borghicciuolo: viuzzo. 2. balenava: apparendo e sparendo alla finestra. 3. biscantò: canterellò. 4. a Madrigale dell'A. • (Aquilecchia, con rinvio a Il terzo libro dell'opere burlesche cit. del Bemi ecc.). 5. costumi: vezzi. 6. faccino .•• firlmi: a frase di significato dubbio; si potrà intendere: i fiumi: le genti in gran quantità; andare nel bordello: darsi alla disperazione (disperando di ottenere i vostri favori)» (Ferrero). 7. scapparia: scapperebbe (dal suo ronùtaggio). 8. acqua lanfa: acqua odorosa, in origine per distillazione di fiori d'arancio. 9. per orina: alle svenevolezze petrarcheggianti (motivo di continua satira da parte dell'Aretino) si uniscono espressioni volgari, come sopra il riferimento al bordello; anche per il poetastro in questione la lingua batte dove il dente duole.

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marito: ma il di seguente se ne fuggi con seco in casa d'un fornaio amico del frappatoraccio, 1 al quale diede in serbo una cosa da cinger donne. Come il messere vidde la cintura, disse infra sé: «Gli ambracani saranno buoni per farmene una maniglia al braccio, e le galluzze2 d'oro per empirmi la borsa»; e questo dicendo, se ne andò a la zecca, e trasformò il metallo senza conio in metallo coniato: .XJCXVII. ducati larghi3 ebbe dei paternostri che tramezzavano l'ambragatta,4 i quali giocò allora allora. E venendosene senza essi a casa del fornaio, entrato in una di quelle rabbie che entrano ne la testa di coloro che son rimasti in asso bontà de l'asso, colta a la fegatella la cagion del petorsello (o "prezzemolo" che lo chiamino le savie sibille), 5 la ruppe tutta col bastone, e poi con una precissione6 di pugni la sospinse giù per la scala. PIPPA. Buon pro'. NANNA. Ora ella se ne stette in una stanzetta di non so qual lavandaia una notte senza dormire oncia;7 onde ebbe agio di pensare a la vendetta: e ci pensò nel modo che io ti dirò. La cinta,8 guasta da la mala persona, fu trafugata dal suo uomo di quella casa là dal cardinal de la Valle,9 la quale arse non è troppo : ed ella gliene robbò fuora d'un cofano. Ora, vedendosene rimasta senza, per vendicarsi contra colui che la pestò ben bene, non pensando a quello che ne potesse riuscire, andò al padrone de la casa abbrusciata, e gli disse come il tale aveva la sua cintola. Il gentiluomo, saputo il tutto, fece dar di grappo10 a chi gliene imbolò ;11 e credendosi il capitano di Corte Savella, 12 per cotale indizio, che egli avesse furate chiacchierone della malora e ciurmadore. :i. galluzze: gallozzole (che son della quercia e di altre piante). 3. ducati larghi: cfr. la nota 3 a p. 301. 4. a,nbragatta: che si riferisce con celia al precedente ambracane, «ambra»: non ci sembra che il vocabolo si ritrovi in altri scrittori. (È un gioco di parole come se ne trovano nel Galateo del Della Casa, col barbieri - per barbiere - e barbado,nani, e simili). 5. le savie sibille: le sapientone di cui sopra. (In realtà, prezzemolo ha poi preso il sopravvento nella lingua comune, allo stesso modo d'altre parole acerbamente criticate dall'Aretino). 6. precusione: processione. 7. oncia: cioè un istante. 8. cinta: cintola (cintura). 9. casa ... Valle: palazzo del cardinale Andrea della Valle. «Il cardinale era morto nel 1534. L'allusione è al palazzo situato nella via Papale (ora Corso Vittorio Emanuele Il), che era stato distrutto dai lanzichenecchi nel 1527 e poi riedificato• (Aquilecchia). 10. dar di groppo: aggrappare (cioè arrestare). 11. i,nbolè>: involò (rubò: ed è vocabolo usato dal Boccaccio nella famosa novella di Calandrino e del porco). 12. Corte Savella: cfr. Ragionamento della Namia e della Antonia, nota s a p. 161. I. frappatoraccio:

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de l'altre zaccare/ gli diede parecchi strappate di fune. E cosi la pecorella con danno vergogna sua e del marito si rimase; e quello che l'aveva trattata a suo modo, se ne uscì per il rotto de la cuffia. PIPPA. Ben gli sta a chi ci si lascia còrre. NANNA. Ma io fino a qui ti ho m6stro gli acini del pepe, del panico, de l'agresto, del grano e de le melagrane; ma ora ti spiego le lenzuola per in giù e per in su: e con una sola, ne la quale non è borra, 2 ti mando a spasso. E perciò ascoltami : e se puoi astenerti di piagnere, astientene. P1PPA. Che, sarà qualche donna ingrossata, e poi cacciata a le forche? NANNA. Peggio. PIPPA. Qualcuna tolta a la mamma e al babbo, e poi bastonata e abandonata nel mezzo de la via ? NANNA. Peggio che sfregiata, mozzo le il naso, lasciata in camiscia, svergognata, franciosata 3 e mal concia più che si possa. PIPPA. Dio aiutici tu. NANNA. Cosi va chi s'infregia a credenza.• PIPPA. Certo la cosa dee venire dai poeti, ai quali volete che io apra e me gli tiri a dosso. NANNA. Cotesto non ti ho detto io; io voglio che gli accarezzi senza dargnele mai fetta: e questo si fa perché non ti dileggino con la baia de le lor laude, e acciò che, beffeggiandoti con la poltroneria del biasimo, non paia che dichino a te. PIPPA. Cosi ci si pò stare. NANNA. Io non mi ricordo di quello che io ti voleva dire. PIPPA. Né io. NANNA. E perciò non mi romper la favella in bocca. PIPPA. Bisogna pure che io badi al fatto mio. NANNA. Io l'ho atinta: 5 un rei Un re, e non un dottoruccio, né un capo di squadra, un re ti dico: costui, con un mondo di gente a piedi e a cavallo, se ne andò a campo nel paese d'uno altro re suo nimico; e saccomannatolo,6 arsolo e disfattolo, si pose 1. zaccare: zacchere (pillacchere nel senso di II cosette•). 2. bo"a: cimatura o tosatura di pelo di panno (nel senso di cosa di nessun valore). 3.franciosata: appestata di mal francese. 4. s'infregia a credet1za: si lascia «adescare fidandosi di promesse• (Aquilecchia). 5. l'l,o atinta: l'ho attinta (la secchia), cioè •ricordo•· 6. saccoma1111atolo: messolo a saccomanno (saccheggiatolo).

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intorno a una grama città, dove colui che nol poté mai placare per via di accordo niuno, con la moglie e con una sola figliuola che aveva, s'era fuggito. Ora durando la guerra, il re che voleva pigliar la città si poteva dibattere :1 perché era si forte che il signor Giovanni di Medici, 2 iddio3 Marte, non l'averebbe presa, sbombarda, scoppietta, archibusa quanto sai. Ma che accasca? Il re che la combatteva faceva cose di fuoco ne le scaramucce: a chi fendeva il capo, a chi spiccava un braccio, a chi mozzava una mano, e chi gittava, d'uno incontro di lancia, in alto un miglio; di modo che amici e nimici ne avevano che dire. Onde la Fama prosuntuosa, fattasegli guida, menatolo pel campo trionfalmente, se ne andò drento; e trovò la figliuola del re sventurato, e le dice: «Viene in su le mura, e vederai il più bello, il più valente e il più bene armato giovane che nascesse mai ». Appena gnele disse, che ella ci corse sopra: e conosciutolo a le penne terribili che svolazzavano in sul cimiere e a le sopraveste di tela d'ariento le quali abagliavano i razzi4 del sole mentre lo splendor suo ci feriva drento, usci di sé stessa; e vagheggiandogli il cavallo, l'armadure e i gesti, eccolo fino in su le porte: e nel brandire la spada per uccidere un soldato che gli arancava inanzi, si ruppe la coreggia de l'elmo e sbalzògli fuor di capo. Per la qual cosa ella vidde quella faccia di rose, fatte tutte vermiglie nel combattere: e il sudore che ci spruzzava la fatica, simigliava la rugiada che le bagna quando l'alba incomincia ' aprirle. PIPPA. Scortiamola. 5 NANNA. Ella se ne infiammò cosi fattamente che ne divenne cieca; e senza più curarsi di quel che avesse fatto o volesse fare al padre, più lo amava che egli non odiava chi la ingenerò: meschina, che sapeva pure che tutto quel che luce non è oro. Come si fosse, amor la fece sl animosa che una notte apri lo sportello6 segreto del suo palagio; il quale sportello era fatto per i bisogni dei tempi, e potevasi andare e venire senza esser veduto: ella, che aveva le chiave di cotale uscietto, sbucò fuora e sola sola si condusse dinanzi a lo ingordo del sangue suo. PIPPA. Come trovò ella la via al buio ? dibattere: agitare quanto voleva. 2. Giova,rni di Medici: Giovanni dalle Bande Nere, tanto ammirato dall'Aretino che scrisse sulla sua morte una famosissima lettera. (Cfr. qui avanti, alle pp. 481-6). 3. iddio: il dio. 4. razzi: raggi. 5. Scortiamola: facciamola breve. 6. sportello: porticciola. 1.

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NANNA. Dicano che il fuoco del suo core le fece lume. 1 PrPPA. Ti so dire che ella ardeva come si dee. NANNA. Ella ardeva di sorte che, senza altro rispetto, non pur si diede a conoscere al perfido e disleale, ma giacque con lui, lasciandosi sciloppare2 dal suo dire: « Ecco, signora, io vi accetto per moglie, e voglio per mio socero e signore il padre vostro: con questo patto, che a me che, non per nimicizia, ma per brama di gloria, guerreggio con Sua Maestade, apriate le porte de la città; e subito che arò vinto il tutto, gli farò dono d'ogni mia vittoria e del mio reame ancora». PIPPA. Come ella svolse3 lui, ed egli lei, sarebbe stupendo a udirlo da lor medesimi. NANNA. Pènsate che ella, avvertita, consigliata e mossa da lo amore, formò, ritenne e disse tutto quello che le concesse formare, ritenere e dire; e si dee stimar che paresse non fanciulla inesperta e vile, ma donna cauta e ardita: usando ogni parola che rintenerisce i cori gentili, mescolando tra i detti alcune di quelle lagrime e alcuni di quei sospiri asinghiozzati e di quelle accoratagini per il mezzo de le quali si ottiene ciò che si desidera. E si dee anco credere che l'amico, pietoso di fuora e di drento crudele, il quale tanto more quanto vive suo padre, inzuccarasse la chiacchiara: e con giuramenti e con promessioni la conducesse a spalancargli quelle porte che la scempia gli spalancò. Onde il traditore la prima cosa prese il vecchio e la vecchia del qual seme ella nacque, scannando l'una e l'altro in sua presenzia. PIPPA. E non morì? NANNA. Non si mordi doglia. PIPPA. Avemaria. NANNA. Morti loro, cacciò fuoco a le case, a le chiese, ai palagi e a le botteghe; e parte del popolo lasciò abbrusciare, e parte mandò a fil di spade: non facendo differenzia da piccini a grandi, né da maschi a femine. 1. Dicano ••. lume: altra battuta barocca dello stile dell'Aretino, pur cosl legato al mondo della natura. (In realtà, come nella favolistica di più paesi, immagini meravigliose e fin astruse si trovano nel linguaggio popolaresco di tutti i tempi). Ad ogni modo, il cosiddetto secentismo delP Aretino nasce dal classicismo del suo tempo: e il petrarchismo stesso ha dato molti elementi per l'evoluzione di tale motivo, come si vede in modo particolare nella Spagna del Rinascimento. 2. sciloppare: sciroppare (cioè «infinocchiare»). 3. wolse: sedusse.

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PIPPA. Ed ella non si impiccava? NANNA. Non ti dico io che amore l'aveva accecata e tolta di sé per ogni verso ? e perciò come insensata ferneticava nei lamenti: e ogni volta che ella affiggeva gli occhi al suo più nimico che marito, non altrimenti che gli avesse obligo lo contemplava. PIPPA. La sua era pazzia e non amore. NANNA. Dio ne guardi i cani, Pippa, Dio ne scampi i Mori [ da cosi fatti casi; certissimamente amore è una bestiai novella: e credilo a chi lo ha provato, credilo, figliuola; amore, ah? lo per me vorrei prima morire che stare un mese nel tormento d'uno il quale non ha più speranza di riavere la donna che egli adora. Febbre a suo modo, il non si trovare un soldo, non è nulla; nimicizia, ciance: crudeltà si può chiamare quella d'un che amando non dorme, non bee, non mangia, non sta fermo, non siede; e con la fantasia sempre fitta a lei, si stracca in pensare come i suoi pensieri non si straccano nel pensamento. PIPPA. E pure ognuno si innamora. NANNA. È vero; ma ne cavano quel viso che, del puttanare, le mandre, gli stuoli e la infinità de le furiose. E si come de le cento le novantanove puttane son di prospettiva2 ( diceva Romanello ), 3 e il puttanesimo tutto insieme simiglia una speziaria fallita in segreto,4 la quale ha le sue cassette a l'ordine, i suoi vaselli in fila, con le lettere che dicano "treggea", 5 "anisi", "mandorle confette", "noci conce", "pepe sodo" ,6 "zafferano", "pinocchiati" ;7 aprendo poi quelle e questi, non ci è drento covelle: perché le catenuzze, i ventaglini, gli anelletti, le vesticciuole e i cuffioni de le più profumate, sono le scritte dei vaselli e de le cassette vòte che io ti dico. Cosi, per uno innamorato che riesca a bene de lo innamoramento, ce ne son millanta che ci si disperano. I. i Mori: cioè i nemici tradizionali della Cristianità (la Nanna parla nella Roma papale). 2. di prospettiva: « come cose dipinte per prospettiua, che non mostrano in tutto quel ch'esse sono» (nota dell'ediz. 1660). 3. Romanella: a Ebreo rigattiere di Roma, introdotto come personaggio nella Corti"giana, 1v, 15: aveva bottega in Borgo e provvedeva di calze la corte di Leone X" (Aquilecchia, con riferimento a G. A. CESAREO, Una satira, e a V. Rossi, Pasquinate). 4. in segreto: cioè senza pubblicazione (dichiarazione ufficiale). 5. "treggea": tregea, confetti di varie guise. 6. sodo: cioè in granelli. 7. "pi"nocchiati"": confetture di zucchero e pinocchi.

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Tornate ormai a la leggenda, 1 se non volete che si dica che la vostra accia sia liccio. 2 NANNA. Non si dirà miga: perché le donne son donne, e quando contrafanno la lor naturalità, 3 ponno dire a chi le riprende: «Voi ve lo beccate ».4 Orsù, la tradita fanciulla se ne va con colui che ha spianato il suo paese e ucciso il padre e la madre sua; e andandosene con seco, ecco venir il tempo che ella, gravida di lui, vuol partorire: intendendolo il dispietato comandò che fosse gittata ignuda sopra una siepe di spine, acciò che le lor punte stracciassero5 lei e il suo parto. Oimè che ella, assicurata ne la disperazione, si spogliò da sé stessa, con dire: ); e qui mozzo il favellare, e ciò faccio per farla consumare1 che io il seguiti; e doppo un poco del suo lasciarmi pregare, «••• egli ebbe ardire di richiedermi che io vi facessi una imbasciata». BALIA. O maestra de le scole, e scola de le maestre. COMARE. «"Come che io le faccia imbasciata?" gli rispondo io, "Sono io ruffiana? ed ella è ••• , ah? Vi staria molto bene che io lo dicesse al fratello; andate per i vostri fatti, andatici dico: se non, ve ne pentirete". Madonna, io vi sono schiava, e so' per fargli veder la bontà vostra e la mia». Ecco arrossarla ne lo averle conto il tradimento mio; e stata cosi un poco sopra di sé, mi dice: « Non dite nulla a veruno»; e io: « I vostri cenni mi sono ubedienzie, ma non ci si pò più stare; è parso a lui, per esser giostratore, saltatore, cantore, componitore, 2 ballarino, il trovator de le forge, il cassettino da le gioie, il cassettone dai denari, che gli doviate morir drieto: pazzo, semplice. Ora Vostra Signoria mi renda i ricci, perché la padrona manda o per quelli o per i soldi )). Ella non mi torna con la risposta al proposito; ma, rimasa in pensieri, guarda me che, visto il non-trova-luogo passar dal suo uscio, non rido più: ma 1. f aria consumare: farle desiderare. 2. componitore: probabilmente (nel linguaggio della Comare) compositore (di musica).

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con un viso da scommunicato piglio un mattone lasciato in su la finestra da la fante, che aveva scacciate' con esso le noci, e fo vista di volergli spezzare il capo; ed ella, con un « Non, per l'amor d'Iddio », mi tiene il braccio e sospira, e io dico a me stessa «Io ti ho»; e senza voler più ricci e star più con lei, la do giù per la scala fingendo di avermi smenticata di serrar la porta. E trovato colui che, dubitando di buone novelle e di triste, arebbe voluto aver cento orecchie per ascoltarmi ed esser sordo in un tratto, ma io col farmi lieta in faccia gli diedi la vita. E contatogli il tutto, il veggo sciorre il fazzoletto e darmi i ducati senza contargli, nel modo che al suo procuratore2 gli dà chi ha la sentenzia in favore. BALIA. Chi mi avesse detto, due dl fa, «Egli morirà la più savia testa di femina che viva», io credendo che toccassi a la mia, mi sarei andata a confessar di subito: ma a te toccava andarvi. COMARE. A me toccò di ritornar a la vedova: la quale, nel mio contarle le vertù e le ricchezze de l'amico con un modo che pareva si berteggiasse, 3 ci volse l'animo come lo volge uno ai ducati altrui che egli maneggia. E riconduttami a ragionar seco, ricomincio risa più ridicule che mai; e postole un poco giuso, le dico: «Non v'ho io a dire? II galante, il dio d'amore, mi voleva ficcare, anzi mi ficcò, una lettera in seno, la quale profumò tutta la chiesa dove io la gittai coi suoi odori; e che soprascritta d'oro che ella aveva! lo credo che non mi potrò tenere di non far qualche male: io sono a mal partito con costui; egli mi è drieto con le canne aguzze,4 e non posso mover passo senza aver cotal cane a la coda. Per questa croce, madonna, credetemelo quando io Io giuro, che fui per tarla e per farla ... io nol vo' dire»; ed ella: «Dovavate farlo; e se avviene che ve la voglia ridare, portatemela, che ne rideremo un poco insieme». Balia cara, io le portai la storia, e perché arìa mosso un monte, mosse ancora lei: e si conchiuse altro parentado che quello che si cercava di conchiudere per via di moltissimi mezzani. E così io con la destrezza vinsi la castità, ruffianando senza ruffianare: la quale arte è sottile più che quella de la seta, e dotta e laudabile e sicurissima. BALIA. Qui sta il punto. COMARE. Venne a me un gentil gentiluomo, il quale nel dar scacciate: schiacciate. 2. procuratore: avvocato. 3. si berteggiasse: lo beffeggiasse. 4. ca11ne agu:::ze: denti aguzzi (deformazione della Comare per « scane » o «zanne»: cfr. Dante, Inf., VI, 27 e xxx111, 35). 1.

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d'occhio a una pur cittadina,1 molto gran donna, se ne cosse senza spettare altro: e mi dice come io, volendo, posso metterlo in paradiso; e distesomi il che e il come de la sua volontà, mi dà un ducato, anzi due, e fa sì che io gli prometto di favellare a la sopradetta cittadina. E volendomi contare la chiesa dove va sempre a messa, e lo altare al qual si inginocchia, e la predella dove si siede, gli tolgo le parole di bocca con dirgli: «lo so bene chi ella è, e la chiesa e l'altare e la predella: ma io non son ruffiana; pure la presenziaa di Vostra Signoria mi pare uomo da servirla, e perciò non passarà doman vespro che vi saperò consolare con qualche novella». La da ben persona e il bel fante era forestiero, e non conoscendo a fatto noi altre ruffiane, si lasciò dare ad intendere che io le avesse parlato, e che ella mi avesse detto: «S'egli indugiava un poco più, era forza che io mandasse a far la imbasciata a lui, la quale ha mandata a me ». BALIA. Chi crede senza pegno non ha ingegno. COMARE. Pensalo tu, s'egli capiva ne la pelle, udensi amare da la amata: l'allegrezza teneva corte bandita ne la sala del suo petto, e il core ballava a le nozze del suo credersi le bugie. Intanto io, che l'aveva trovato bona persona, compongo una letterina in su le grazie, e dico in nome di lei : Signor mio, quando scontarò io mai l'obligo che io ho con la fortuna, con le stelle, coi cieli e coi pianeti, i quali mi han fatto degna di esser servitrice de la dolcezza vostra? Felice mi posso io ben chiamare, anzi beata, poiché la bontà di un tanto giovane consente che io l'adori. Oimè, misera me, se voi non fosse 3 pietoso come bello, e bello come cortese. Le signore de le cittadi mi doverebbero invidiare cotanto amore, del qual godendo non cambiaria sorte con la sorte imperiale.4 E caso che istanotte non veniate dove e a le quante ore vi dirà la fedele aportatrice di questa, ecco che io mi ammazzarò.

E perché paresse che la carta fosse molle de le sue lagrime, la spruzzai con l'acqua: e fattoci le cerimonie del soprascritto e del sottoscritto, gliene porto. BALIA. Ah! ah! ehi ehi r. cittadina: quindi con tutti gli onori e i benefìci legati al suo stato. 2. la presenzia: «l'aspetto (nota l'anacoluto)» (Ferrero). 3./osse: foste. 4. con .•• imperiale: col destino cli un'imperatrice.

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COMARE. S'io avessi avuti tanti scudi quanti ebbi laude e benedizioni, e la lettera basci, buon per me: egli tremava per la allegrezza, e non la poteva aprire; e, apertola, la leggeva, e sopra ogni parola si fermava con dire: «Comare, io non vi sarò ingrato; e a Sua Signoria farò conoscere chi io sono»; e io, ringraziatolo, gli fo sapere che a le otto ore venga nel tal luogo, e ivi mi spetti. E beccati due altri scudarelli, lascio il beatus viro 1 che manda per il barbieri, e fassi fare la testa antica2 coi panni e con i ferri caldi, i quali sempre portava seco; poi, mutatosi di camiscia, si profumò tutto quanto, e vestitosi un saio di velluto pavonazzo tempestato di ariento battuto, frangiato e sfrangiato per tutto, cenò3 solamente uova fresche e cardoni con pepe a furia; e ragionando con quella baldanza che si vede in quello il quale ha ricevuta la novella secondo il suo desiderio, fa stare uno a posta ad ascoltare l'oriuolo. E già sono le sei, onde non pò più tenersi in cavezza: ma piglia la cappa e la spada, dando prima uno sguardetto a una collana di dodici o quatordeci ducati incirca, la quale portava per donarla, con un rubinetto4 appresso di cinque in sei; la dà fuor5 de lo alloggiamento con un suo servidore valente seco. E portato dove gli diedi la posta, sona le sette, e io non vengo; sonano l'otto, e io non comparisco. BALIA. Lo aspettar de la colomba, volli dir del corbo,6 sarà il suo. COMARE. Ascolta pure. Egli cominciò, sonate che fur l'otto, a dire: >. BALIA. Egli se lo beccava. 1 COMARE. Standosi in cotal ferneticamento, ecco scroccar le nove, ed egli: e< Puttana vergine, s,io sono ingannato a lo onor del Cielo, se la ruffiana ladra mi ci ha fatto stare/' le darò tante ferite, le ne darò tante ••• spetta, spetta: adunque io sono uomo da soie,3 ah?»; e ritornatosi a spasseggiare, soffiava come uno che si accorge del piantone datogli.4 E parendogli pure che io non dovesse né potesse mancargli, tre passi faceva a lo inanzi per ritornarsi a casa, e quattro a lo indrieto per aspettarmi dove gli dissi; e così andando e venendo, pareva non uno di quei bufoli che correno il palio, ma uno che non sa qual sia il suo meglio, o l'andare o lo stare. Gianicco 5 intanto lo refrustava a suo modo, arostendogli con il sufolo6 suo le orecchie e il viso; e col mordergli le labbra, gli cavava di bocca bestemmie nuove di trinca. A la fine chiarito e da le otto e da le nove e da le dieci, gridando un pezzo per la via cc Oimè », se ne tornò donde si partì; e gittata la spada e la cappa in terra, diceva strignendo i denti: cc Che, non le mozzarò il naso ? non le darò ducento staffilate? non le mangiarò una gota coi morsi? Ruffianaccia traditora »; e colcandosi faceva croccare il letto con i suoi rivolgimenti; e recandosi ora in su quello e ora in su questo lato, squizzava come una biscia per i lenzuoli, si grattava il capo, si mordeva il dito, dava dei pugni al vento, e faceva un lamento crudele. E per ispassarsi il martello7 chiamò a dormir seco la sua alloggiatrice; e perché il fastidio che si ha, poi che l'hai fatto a una tocca da te acciò che te si passi il duolo che patisci per quella de la quale stai male, è incredibile, ficcata che l'ebbe, non se la potendo sofferire a lato, la cacciò da sé, spettando il giorno : che penò, a suo giudicio, un mese a farsi; e tosto che si apri, ecco saltarlo8 fuor del letto e correre a casa mia. E io, conosciutolo al picchiare se lo beccava: •si beccava il cervello, fantasticava• (Ferrcro). 2. mi ..• stare: «mi ha fatto credere alle sue bugie» (Ferrero). 3. da soie: da subir beffe. 4. del piantone datogli: dell'essere stato piantato in asso (come in altri passi, ma qui il significato è lampante). Cfr. Ragioname11to della Namra e della Antonia, nota 9 a p. 79 e nel presente Dialogo qui addietro, nota s a p. 308. 5. Gianicco: a: giannicco, il freddo pungente, il gelo: qui personificato• (Ferrero, con utili osservazioni; si ribadisce che non ha nulla da fare con Giannicco, servo II ragazzo» del Marescalco). 6. wfolo: delle frustate (per continuare col refrustava precedente). 7. ispassarsi il martello: farsi passare il cruccio. 8. ecco saltarlo: eccolo saltare. 1.

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a l'arrabbiata, ne rido da me a me; e apertolo, sento fulminare: «A questo modo, ah? Con chi ti pare aver a fare, eh?»; « Con un signore dei cortesi e da ben d'Italia» gli rispondo io, ((e mi meraviglio de la Signoria Vostra, che corra cosi a furia contra una sua affezionata. Infine io ne farò il boto, io il farò certo: va' e impàcciati coi gran maestri, va'! Io l'ho aspettato fino a l'alba, e mi sono aghiadata di freddo 1 per servirvi, e non ho fatto niente». BALIA. O questa è bella, che ti paressi anco aver ragione. COMARE. Ed egli a me: « Io ho conto le sei, le sette, l'otto, le nove e le dieci, e non sète venuta»; e io a Iui: «Quando vi partesti voi ?; « Finite che furono di sonare le dieci»; C< Appunto nel finire del sonare che fecero, comparsi ivi; e spetta spetta, poteva spettare! E per dirlo a la Signoria Vostra, io la lavai con queste mani, con l'acqua rosa,2 e non con l'acqua schietta; e mentre le spurava3 le pocce, il petto, le reni, il collo, stupiva de la sua morbidezza e de la sua bianchezza. Il bagnuolo era tepido e il fuoco acceso, e io sono stata la colpa d'ogni male: perché, nel lavarle le cosce, e le meluzze, e la catalina, mi venni meno per la dolcitudine del piacere. Oh che carni delicate, oh che membra candide, oh che spesa non più fatta da veruno: io l'ho palpata, l'ho basciata e maneggiata per una volta, sempre parlando di voi». A che fine sprolungarla? Io il messi in volontà :4 e rizzandosigli il piei-del-trespolo, 5 me si lascia cadere a dosso, e diemmene una che se gli poteva dir "arcivoi", non pur "voi". BALIA. Tu mi farai crepare, ahi ah! ah! COMARE. E quante ne ho beccate su ai miei di per cotal via: insomma tutti i buon bocconi son trangusciati dai cuochi; e noi ruffiane aviamo, ruffianando, il medesimo piacere che ha colui che fa le cialde, il qual si mangia tutte quelle che rompano; anzi quello dei buffoni, i quali vestano e mangiano de le robe e dei cibi dei signori. Sbizzarrito e sfoiato6 che fu sopra di me, prese tanto dispiacere vedendomi ghignare per ciò, che mi si dilequò dinanzi in quella ora e in quel punto, che nol viddi mai più. BALIA. E chi non si sarebbe dileguato? I. mi ... freddo: mi son presa un freddo da morire. 2. acqua rosa: acqua di rose. 3. spurava : nettava (« una delle parole che l 'A. trae dal vernacolo di Arezzo», Ferrero). 4. volontà: voglia (erotica). 5. piei-del-trespolo: piede del trespolo (metafora sessuale). 6. sfoiato: liberato dalla foia (libidine).

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COMARE. Io te ne vo' contare una, per via de la quale fu per uscire di sé un grande uomo. Costui che io ti dico s'innamorò di una vaga cosettina: non perciò sl diminutiva1 che non si trovasse in letto, ma gentiluzza, tutta spirito e tutta grazia; e con certi suoi occhietti, con certi suoi risetti, e con alcuni atti, gesti e modi trovati dai suoi andari, 2 aguzzava il core d'ognuno. Onde il personaggio dettoti se ne infiammò al primo ;3 e spendendo e con seco e con meco, prese la possessione di lei: e gliene lasciai avere cinque o sei volte a suo piacere; ma di giorno, quando a buonotta, quando al tardi, quando a nona4 e quando a vespro: di modo che quella ingordezza che mostrò nel principio de lo ottenerla, gli passò di tratto, e le faceva più tosto carezze per un bel parere che per un grande amore; e quasi per pigliarsene burla, la pregò che venisse a dormir seco, ed ella me ne fa segretaria.5 Onde risolvo che a fargliene carestia acconciarà i nostri fatti; e ordino che ella gli prometta di venire in casa d'una sua vicina a sei ore :6 e facciolo piantare' sei notte di lungo. La prima si trapassò con niun fastidio; la seconda, venne via un poco di voglia ;8 la terza, il forno comincia a scaldarsi, e i sospiri si mettano in ischiera ;9 la quarta, l'ira e la gelosia lo conducano in campo; la quinta, la rabbia e il furore gli pongano l'armi in mano; la sesta e ultima, ogni cosa va in fracasso: la pacienzia rinega, 10 lo intelletto impazza, la lingua taglia, il fiato coce, il cervello si sgangara; e rotto la briglia del rispetto, si dà drento, e con minaccia e con istridi e con pianti e con doglie e con disperazione si sta spettando; ma con altra passione che non provò quello il quale me la caricò mentre spettava chi mai non venne. 11 E credendosi che il mancar di lei venisse dal suo avermi dato troppo poco, me lo dice, mi dà, mi promette; e bravando mi accarezza. Parla a la innamorata e, lamentandosene, la vede giurare che non campa da lei, ma che sua madre la guarda: «E perché la bevanda che per farla dormire mi deste» gli dice ella, «ne l'assaggiarla le parse amara, ha preso sospetto; e non si addormentaria, I. diminutiva: piccola. 2. dai suoi andari: dai suoi movimenti. 3. al primo (tratto): subito. 4. a nona: sul mezzogiorno. 5. me ne fa segretaria: me lo con.fida. 6. a sei ore: dopo il calar del sole (e, quindi, di notte e di nascosto). 7. piantare: attendere. 8. un poco di voglia: con un po' di voglia. 9. in iscliiera: « È immagine petrarchesca e pctrarchistica, usata qui per gioco» (Ferrero). 10. rinega: con valore riflessivo: « si rifiuta». II. quello • .. non venne: si veda la narrazione che immediatamente precede questa parte.

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se non mi vedesse calcata, per tutto l'or del mondo». E promettendogli la notte avvenire di certo e di chiaro, e non venendo, era spasso e cordoglio a vedere un par suo farsi cento volte per attimo a la finestra, con dire: « Quante ore sono ? La viene, la non pò stare, e so che non mancaria, perché mi ha promesso su la fede sua»; e ogni nottola che volava gli pareva lei che venisse; e spettando anco un poco e un poco più, con una altra oretta appresso, sbuffava, si rodeva e smaniava come un che ode il bargello che gli dice (( Acconcia i fatti tuoi» e mostragli il confessore. Passato il termine di assai, si gitta vestito sopra i panni :1 né bocconi, né rovescio, né i sui lati trova tanto di riposo che gli faccia serrar gli occhi; e il pensiero è sempre fitto in colei che se ne ha fatto beffe. Si leva suso, spasseggia, ritorna a la finestra, si ricolca: e in quello che sta per addormentarsi per istracchezza, si sveglia, e sospirando si leva, essendo già il dì alto. Vien l'ora del mangiare, e puzzandogli l'odore de le vivande, ci torce il gusto :2 e assaggiatone un bocconcino, lo sputa come se fosse veleno. Fugge gli amici; s'un canta, gli par che lo trafigga; s'un ride, l'ha per male; non si pettina barba, non si lava viso e non si muta camiscia; va solo, e mentre i pensieri, il core, la mente, la fantasia e il cervello gareggia coi suoi fernetichi, cade là più morto che vivo. E facendo sempre giardini3 in aria, non conchiude mai nulla: scrive lettere, e poi le straccia; manda imbasciate, e poi se ne pente; or prega e or minaccia, mo' spera e mo' si dispera; e sempre il suo "ei si sia" è amannito.4 BALIA. Io mi risento tutta nel raccontarmi ciò che tu mi racconti; e tristo a chi prova cotali tormenti. Aspro è il martorio con che amore percote gli innamorati; o lddio, che animo è quello d'un tale: ogni cosa gli è a noia, il mèle gli pare amaro, il riposo fatiga, il mangiar digiuno, il ber sete, e il dormire vegghia. COMARE. In .x. di o .xu., se tu lo avesse veduto, ad ogni altra cosa che a uomo l'averesti simigliato: non si raffigurava da sé stesso ne lo specchio; e certamente io non gli diedi cotal fune 5 per volergli male, ma volsi provare una ricetta da martellare6 uomini. Si che, Balia, poiché la riesce, usala: e averai ciò che tu vuoi da le persone condotte a simile sorte. i panni: del letto. 2.. ci torce il gusto: ne torce la bocca. 3. giardini: castelli. 4. sempre ..• ama11nito: sempre è sciorinato il suo • Come volete•· Cfr. Ragioname11to della Nanna e della Anto,iia, nota 4 a p. 164. 5.fune: tormento. 6. da martellare: da far ingelosire. I.

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BALIA. Avestigli tu poi pietà? COMARE. Sì, ben sai che si. BALIA. L'ho caro. COMARE. Io la feci venire a dormir con seco più e più volte: e come lo vedeva stregnere il pugno' meco, io tirava la cavezza de la cavalla; e s'egli allargava, io allentava. BALIA. Anche io allentarò la briglia, se un tale allarga la mano. COMARE. Fàllo, se ci vuoi reggere. Ma è pur grande il miracolo che fa uno il qual racquista la donna sua; ed è pur vero che, tosto che la ribascia e abbraccia, gli torna il colore nel viso, le forze nel corpo, l'aria2 ne la fronte, il riso negli occhi, e ne la bocca la fame, la sete e la parola; il suo senno ritruova l'amicizia, piacegli i suoni, i balli e i canti: e per dirtela in un fiato, egli risuscita più tosto che non more. BALIA. O Amore, tristo a chi tu ti cogli a urto. COMARE. Veniamo in su le allegre. Un certo fiuta-cupidi, 3 il quale non averebbe dato la man dritta a la bellezza4 del Parmigiano cameriere di papa Giulio ;5 e perché un suo servidore gli disse che tutte le cortigiane e le gentildonne de la terra6 nel suo passare stavano per gittarsi de le finestre per amor suo, diede l'arra7 a quante coltrici e a quanti materazzi ci erano, con fantasia di farsegli portar drieto donde passava, acciò che le non si rompessero nel trarsegli a dosso. E con tutte rideva, con ciascuna faceva il morto, 8 sempre smusicava, a ogni ora scriveva lettere amorose, tuttavia9 leggeva sonetti, e a otta a otta'0 si spiccava da qualcuno e correva a favellare a le pollastriere ;" e come aveva chiavato tutte le donne con gli occhi, si finiva di chiarire' 2 drieto Banchi. 13 A costui ne feci io una dolce dolce. I.

stregnere il pugno: fare l'avaro.

2.

l'aria: la serenità.

3.fiuta-cupidi:

«fiutare sarà da intendere qui: seguire le orme. -cupidi: persone vogliose

di amori, uomini e donne. (L'Aquilecchia intende: fiuta-cllpidi: vagheggino)» (Ferrero). 4. dato ... bellezza: concesso preminenza alla bellezza. 5. Parmigiano ..• Giulio: a Può trattarsi di personaggio della corte di Giulio II o di Clemente VII (Giulio dei Medici)[•• ,] Da notare che nel 1538 l'A. inviava una lettera a Battistino da Parma, che si trovava in Roma presso la corte (cfr. Lett., 11, 37) » (Aquilccchia). 6. terra: luogo. 7. diede ra"a: fece avvertite. (Per arra nel significato di a notizia» cfr. TOMMASEO-BELLINI, sub arra). 8. il morto: il cascamorto. 9. tuttavia: sempre. 10. a otta a otta: di tanto in tanto (d'ora in ora). 11. le pollastriere: •le ruffiane» (Ferrero). 12. chiarire: sfogare. 13. drieto Bancl,i: cioè in un lupanare, nei vicoli dietro Via dei Banchi.

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BALIA. Ti sono schiava in catena, perché mi parrebbe esser contessa se ne vedessi trarre un dl uno di cotali sciagurati nel cesso, e quanti ce ne sono. COMARE. Egli veniva ogni mattina a la Pace, 1 e ponendosi sempre nei luoghi più onorati, con tutte la voleva; e aresti detto, vedendolo civettare: « Costui pone la sella a ciascuna». Onde io, poi che l'ebbi visto ascoltare quello che favellavamo, dico a la mia compagna: « Il barbagianni ci spia, non ti guastare,2 e stupisci del mio dire»; e ciò detto, alzo un poco più la favella e dico: «Io sono ormai fradicia per i rompimenti di cervello che mi fa quel dal Piombo, 3 il quale è sì gran dipintore: io gli ho mostro il dito, ed egli ha preso il dito e la mano»; «Come?» mi risponde ella; «lo gli feci l'altro dì ritrarre una, non bella, anzi miracolosa fanciulla, e con una fatiga da cani; e pagommi, il vero si debbe confessare. Ora mi è a le spalle per ritrarla di nuovo, non gli bastando averla avuta più volte: egli l'ha ritratta per l'angelo, per la Madonna, per la Madalena, per santa Apollonia, per santa Orsola, per santa Lucia e per santa Caterina; e gli ametto la scusa, perché è bella, ti dico». Il corrivo, che ci aveva spalancate le orecchie, partita che io fui dal chiacchiarare con l'amica mia, mi tien drieto: e s'io camino, camina, s'io vo adagio, va adagio, e s'io mi fermo, si ferma, tosse un pochetto, si rischiara ;4 saluta altrui con boce che io la sento, e fa mille movimenti acciò che io mi accorga che egli è lui. Intanto io mi lascio cascare la corona, 5 e passo via col fingere di non me ne essere avveduta: e il coglioncino spicca un saltetto e la ricoglie, e con cc Madonna, o madonna» mi fa voltare; e, porgendomela, dico: « Smemorata che io sono: gran mercé a Vostra Signoria; s'io posso nulla, Quella6 mi comandi». E volendo movere il passo, ecco che mi tiene; e tiratami da canto, comincia a dirmi il desiderio che ha di farmi piacere, e che per esser giovane non gli par prosunzione il richiedere il mio mezzo per acquistarsi una manza: 7 e che, bontà de le laude che mi ha sentito dare a colei più e più volte ritratta per lo angelo Gabriello, è caduto in un fuoco e in una fiamma che ne spasima. a la Pace: cfr. la nota 4 a p. 273. 2. guastare: scomporre. 3. quel dal Piombo: Sebastiano Luciani dal Piombo: il pittore era stato « piombatore » delle bolle papali sotto Clemente VII. 4. rischiara: la voce. 5. corona: del rosario. 6. Quella: in riferimento a Vostra Sig11oria. 7. una manza: una amanza (un'amica). I.

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Oh, tu il facesti uscir con grazia. 1 COMARE. Io gli rompo il parlar con quel "perdonatemi" che si usa quando altri vol cicalare anche egli; e rispondo a le partite,2 conchiudendo che il domesticarsi con colei saria impossibile, e gli allego i rispetti e i sospetti; e licenziatami da lui, faccio cinque o sei passi masticando il "pensatici suso" col quale mi aveva lasciato, e poi mi rivolto indrieto e lo accenno; ed egli a me: « Che comanda la mia madre?>>; «lo spero ben per voi, e mi son ricordata ... basta mo' : fate di essere istasera in su la mezza ora di notte in casa nostra, che forse forse ... State con Dio>>. BALIA. Che bei tratti. COMARE. Oh, se tu avesse veduto con che sbragiar3 di andar galante si parti il matto spacciato, ne aresti pur riso: se ne andò subito a veder a l'oriuolo quante ne son sonate; e ogni amico il qual trovava, poneva la mano in su la spalla e gli diceva pian piano: «!stasera toccarò una cosa che se ne terria buono un duca: non ne favellare, perché non ti posso dire altro». BALIA. Al goffo. COMARE. Ecco l'ora sona, ed egli viene; e io gli dico: «Non vi ho io a dire? Ella vi conosce, e perciò sta sopra di sé con buone ragioni »; «Come buone ?» risponde il zugo,4 «non sono io uomo, ah?»; «Signor si, non collera» gli dice la Comare, ) risponde ella, « lo da che vi entrai ne le mani, non ho mai posto mente a l'aria, non che a le persone che abbaiano ne la via: e veduto voi, ho visto ogni bene». Il sospettoso, contatole il tutto, mi viene a trovare e mostrami la magagna che gli apuzzava la bocca; e io la veggo, e vedutala dico : « Io non vorrei far torto a la avvocata dei denti, 1 e me ne faccio coscienzia; pure son per cavarvi il fastidio di bocca. Ma dove state voi?>,; ed egli più me lo dava ad intendere, più traeva di lungi. 2 A la fine mi mena seco, e fammi toccare la mano a colei che io doveva convertire per amore di •.. eccetera. BALIA. Tu ti domesticasti in casa sua per via di cotal tua malizia, non me ne dire altro. COMARE. Odi questa, e non più. BALIA. Di'. COMARE. lo ebbi tempo e arcitempo a ficcar in core a la madonna la morte che era lo star serrata e a petizione3 d'un fastidioso; e perché ella non usciva de il ragionevole, non mi tenne troppo a bada col pensarci suso: e non solamente consenti a un bel giovane, ma scampò4 via con seco. E non vo' dirti questo io, ma una burla. BALIA. Son contenta d'ascoltarla. COMARE. Il geloso poltrone non ebbe la doglia che soleva avere in forse un venti dì che io gli praticai per casa; e perché egli aveva paura di non me si perdere, con doni, con promessioni e con cicalamenti mi cavò la orazione che guariva i denti del segreto :5 cioè si credette cavarla. Ma io, che non aveva orazione né leggenda, apposto l'ora che quella che egli teneva fuggi; e trovatolo in una chiesa, nel vederlo favellare con un suo amico, me gli accosto e gli do suggellato come lettera: La mia donna è divina, 6 perché piscia acqua lanfa7 e caca schietto belgivi,8 muschio, ambracane e zibetto; la awocata dei denti: la protettrice dei malati di denti. 2. traeva di lungi: mi allontanavo. 3. a petizione: a causa. 4. scampò: scappò. 5. del segreto: dall'intimo. 6. «Madrigale dell'A. • (Aquilecchia, loc. cit., p. 516, con rinvio a Il terzo libro dell'opere burlesche del Berni, ecc.). 7. acqua lanfa: acqua odorosa, già menzionata. 8. belgivJ: benzoino (nella Crusca belgiuinot •sorta di ragia odorosa»). Il testo Aquilecchia dà: «belgiuh. I.

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e s'ella a caso pettina i bei crini, giù a migliaia piovano i rubini. 1 Stilla da la sua bocca tuttavia nettare, còrso, ambrosia e malvagia; e in quella parte u' son dolci i bocconi, stanno smeraldi invece di piattoni.2 Insomma, s'ella avesse oggi fra noi un buco solo, come n'ha sol doi, direbbe ognun che venisse a vederla: «Ella è propio una perla». Tu pòi pensar, Balia, quello che restò e ciò che disse il geloso arrab-_ biato, quando lesse la baia e quando non trovò l'amica in casa. BALIA. Io l'ho bello che pensato. COMARE. È un pezzo che io ti volsi dire de la fatiga d'una ruffiana in fare alzare i panni a quelle fila-lana e innaspa-seta e agomitola-accia e tessitrici e cusce-ad-altri. 3 Sappi che, se noi potessimo andare per le case de le gran maestre4 come potiamo per le loro, parlandogli con la medesima scigurtà, le acconciaremmo a nostro modo senza un disconcio al mondo. 5 Le poverine stanno in quello "io mi mariterò" ostinatamente; e gli pare, avendo marito, poter comparir per tutto; e per non essere avezze a ber vino, e a mangiar carne rade volte, non si curano degli agi i quali posseno avere dandosi altrui: e stansi là ignude e scalze, dormendo ne la paglia, vegghiando tutte le notti del verno e de la state, guadagnandosi a fatiga il pane. E quando ci si recano,6 il nostro tempestar le madri, le nonne, le zie e le sorelle le sforza; e ne conosco assai che, se bene i mariti, perduto che hanno e imbriacati che sono, le bastonano, le pestano e le tranno giù per la scala, sopportano ogni male per viversi con l'onestà di aver pur marito. BALIA. Certamente egli è ciò che tu conti. COMARE. l\1a l'altre ruffiane non sono la Comare, a la quale basta la vista di corrompere le verginità di ferro, di acciaio e di i rubini: cioè i lendini (uova di pidocchi).

a,-

piattoni: piattole. 3. sce-ad-altri: cuci-ad-altri. (Cusce è il solito imperativo in -e, alla seconda persona singolare). 4. gran maestre: gran dame. 5. le acconciaremmo • .• mondo: « riusciremmo a far fare ad esse quel che vogliamo sem'.a alcun disagio nostro• (Ferrero). 6. ci si reca110: fanno quanto consigliamo. 1.

2.

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425

porfido, non che quelle di carne. Serra a tua posta gli usci e gli orecchi: ogni cosa apre la chiavicina del mio ingegnuzzo, per poco che sia. La Comare, ah? Non ne nasce ogni di, non per la fede mia; e son grazie che si colgono al nascere; e cicali chi vòle, che non cambiaria arte con qualsivoglia artigiano: e se la non ci fosse stata robbata dai tabacchini1 che io ti ho detto, i capitani e i dottori ci starebbono di sotto. E s'io ti volesse dire quanti grandi uomini e quanti bei garzoni si lasciano cadere sopra i nostri corpi, non fornirei in un mese; tutte quelle che vengano buse, 2 si sfogano sul fatto nostro :3 e cosi godiamo, senza sospiri e senza pianti, di quello che se ne poterebbero tener bone le prime de la terra.4 BALIA. Io compresi il resto da quella che ti diede colui il qual mettesti in succhio nel contargli come era fatta sotto panni colei che gli facesti credere che saria venuta a trovarlo se il marito, o chi si fosse, non tornava di villa. COMARE. Pò essere che io te lo abbia detto. Ma io lavo' mozzare con gli incanti: e ti dirò prima che ciancia usava per certificare la donna pregna se sarà maschio o femina; se le cose perdute si deon trovare; se il matrimonio andrà inanzi o no; se il viaggio si farà; se la mercatantia guadagnarà; se il tale ti ama; s'egli ha più innamorate; se lo scorruccio si paci.ficarà; se l'amante tomarà tosto, e altre simile frascarie di donne pazzerelle. BALIA. Ho caro di sapere cotali inganna-balorde-e-balordi. COMARE. Io aveva sculpito uno angioletto di sugaro piccin piccino, e colorito benissimo; e nel mezzo del fondo d'un bicchier forato stava un perno, cioè uno stiletto sottile, sopra del quale si fermava la pianta del piè de l'angiolo: onde si voltava con il soffio. Il giglio che teneva in mano era di ferro, e ne lo incantarlo pigliava5 una bacchetta, ne la cima tutta di calamita: e ne lo accostarla al ferro, si volgeva dove voleva la bacchetta; e quando una o uno desiderava sapere s'era amato o se rifaria la pace con lui e con lei, io scongiurando e borbottando parole infrastagliate,6 faceva il miracolo con la bacchetta, a la calamita de la quale il giglio di ferro veniva drieto: e cosi l'angiolo mostrava la bugia per verità. BALIA. Chi non ci starebbe saldo? COMARE. E perché mi imbatteva talvolta a dire il vero, e per1. tabacchini: cfr. la nota 4 a p. 282. 2. buse: vuote (con insuccesso). 3. sul fatto 11ostro: su noi. 4. de la terra: della città. s. pigliatJa: pigliavo. 6. infrastagliate: farfugliate (dette a vanvera).

PIETRO ARETINO

ché la cosa pareva pur grande a chi non sapeva il tradimento, ci erano molti i quali credevano che tutti li demoni mi rendessero ubidienzia. Ma al gittar de le fave. BALIA. Io non ho mai visto cotale sciocchezza, ma io intendo che se ne vede le maraviglie. COMARE. lo ti dirò : lo incanto loro è trovato da poco in qua, e s'usa a Vinegia; e ci è chi gli dà fede come i Luterani a fra Martino eretico traditore. 1 BALIA. Che fave son queste? COMARE. Si piglia il numero di .XVIII., nove fave femine e nove fave maschi; e con il mordere dei denti se ne segna due, cioè una donna e uno uomo ;2 e si accompagnano con un poco di cera benedetta, di palma e di sale bianco :3 le quali cose mostrano il martello4 degli amanti. Appresso si toglie un carbone, che significa il corruccio de lo innamorato; e togliesi anca de la calcina del camino per conoscere quando verrà a casa; e dove lascio io il pane? a le ciance sopra dette si aggiunge una fettuccia di pane, il quale dinota la robba che se le dee portare. Doppo questo, si piglia una mezza fava oltra il numero de le5 .XVIII.: e cotal mezza fa segno del bene e del male. Come si è ragunato in uno e fave e cera e palma e sale e calcina e pane, si rimescolano le cose insieme, e con tutte due le mani si diguazzano6 e ventilano7 leggermente, e si segnano con la bocca aperta :8 e caso che la bocca la quale ci sta sopra sbadigli, è buon segno, perché gli sbadigli certificano la cosa. Segnate che altrui l'ha, se gli dice queste parole: Ave, madonna santa Lena9 reina, ave, madre di Costantino imperadore. Madre foste e madre sète; al santo mare voi andaste: con un-decimilia10 vergini vi mescolaste, e con più d'altrettanti cavalieri vi 1. fra ... traditore: dietro il testo del I s84 («fra Martino buon Cristiano») l'ediz. 1660 commenta il passo: «come i Luterani danno fede à Lutero)». 2. una ..• uomo: una fava indica la donna e una l'uomo. 3. bianco: forse quel che oggi è «raffinato». 4. mostra110 il martello: denotano l'affannoso rovello. 5. de le: di (come di sopra; è uso antico, testimoniato da Dante col anumer de le trenta», Rime, LII, sonetto, Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io, al v. 10). 6. si di'guazzano: si agitano. 7. venti/atto: con la ventola. 8. e si .•• aperta: «intenderei: e si fa coi denti, sulle fave, una tacca che raffiguri una bocca aperta» (Ferrero). 9. Lena: Elena. 10. u11decimilia: in realtà si trattava di undici. Si era inteso come abbreviazione di mille un segno - forse macchia - della scrittura antica. Ma delle undicimila vergini, a com'è noto, si parla nella leggenda di sant'Orsola, non in quella di

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accompagnaste; la beata tavola voi dirizzaste; con tre coricini di mille foglie la sorte gittaste; la degna croce voi trovaste; al monte Calvario voi andaste, e tutto il mondo alluminaste.

E rimescolando e squassando e ventilando le fave e l'altre cose, e risegnatele di nuovo con gli sbagli in mezzo,1 si dice: Per le mani che l'han seminate, per la terra che l'ha nutricate, per l'acqua che l'ha bagnate, e per lo sole che l'ha sciugate, vi prego che mi mostriate la verità: e se il tal le voi bene, fate che io il trovi appresso di lei su queste fave; se le parlarà tosto, fate che io lo ritrovi a bocca a bocca con seco; e se verrà presto, fate che caschi di queste fave; se le darà denari, fate che io trovi de le fave in croce appresso di lei; o vero, se mi mandarà qualcosa, mostratemi il vero in questo pane.

Si tolgano poi le fave e si legano con tre nodi in una pezza lina,2 e per ogni nodo si dicano queste parole: Non lego queste fave, ma lego il cor del tale: che non possa aver mai bene né riposo né requie in verun luogo; né mangiare né bere, né dormire né vegghiare, né caminare né sedere, né leggere né scrivere, né con donna né con uomo parlare né praticare, né far cosa né dire, finché non viene a lei e che non ami se non lei.

Poi si aggira la pezza, ne la qual son le fave, tre volte sopra il capo, e lasciasi cadere in terra: e se rimane con il nodo in su, significa amore ne Io amante. Fatte tutte le bagattelle che io ti ho detto, si legano a la gamba mancina de la donna che fa gittar Io incanto; e quando va a dormire, se le mette sotto il capezzale: e così dà martello a colui, ed ella si certifica dei suoi dubbi. BALIA. Io non intendo quel "fate che io il trovi appresso di lei a bocca a bocca; e se verrà presto, fate che caschi di queste fave". COMARE. Ella dice: fate che la fava maschio si tocchi con la fava femina; e nel cader suo, nel rimescolare, dimostra il venire a lei. BALIA. La intendo, si, sì: e per mia fé che ella mi va. COMARE. Si dice che santa Lena si leva da sedere tre volte, sant'Elena; forse l'A. ha raccolto qui qualche credenza popolare del tempo; o ha inventato di suo» (Ferrero). I. con . •. mezzo: «Intenderei: e dopo aver fatto di nuovo delle tacche nel mezzo delle fave, come se fossero bocche che sbadigliano» (Ferrere). 2. pezza /ina: pezza di lino.

PIETRO ARETINO

mentre si incanta1 con la sua orazione: ed è un peccato che non lo cancellaria le stazzoni2 di dieci quaresime; e ho visto credergli da persone che non lo crederesti. E penso ... BALIA. Che? COMARE •••• che io ne lo incanto de l'angiolo di sugaro ho smenticato l'orazione la quale si dice cinque volte prima che si porga la bacchetta al giglio. BALIA. lVli pareva pure che ci mancasse non so che: or dilla. COMARE.

Angiolo buono, angiolo bello, messer santo Rafaello, per le vostre ali d'uccello intendete ciò che io favello: se colui la colei strazia, volgetevi in là, di grazia, e in qua s'altra noi sazia.3 Quante cantafavole si dicano e si credano. Co MARE. Se si dicano e credano, ah ? Non si patria stimare la semplicitade altrui: e sia certa che, chi contasse i tristi e i goffi, non trovarebbe molto meno scempi che cattivi. BALIA. Non ne faccio dubbio. COMARE. Ne lo incanto de la cera se piglia quattro soldi di cera vergine e una pentola nuova, e si mette al fuoco con detta cera; e secondo che si comincia a scaldare, si dice la scongiurazione; e poi si toglie un bicchier non più adoperato, e gittasegli drento la cera distrutta :4 e tosto che è fredda, si vede tutto quello che tu sai dimandare. BALIA. Dimmi la scongiurazione. COMARE. Una altra volta. BALIA. Perché non ora? COMARE. Ho in boto di non dirla in questo di 5 che noi siamo; e ti insegnarò quello6 dei paternostri, la malia de l'uovo, e fino a la staccia7 da cernere la farina, ne la quale si ficca le forbici, con BALIA.

I. si incanta: si fa l'incantesimo. 2. stazzoni: visite alle chiese (stazioni). 3. Versi popolari (cantafavole, come la Balia li definisce subito dopo); nol sazia: non lo appaga. L'espressione è dantesca (Purg., XIV, 18), passata nella letteratura amorosa del Quattro e del Cinquecento. 4. distrutta: fusa per il calore (sciolta). 5. di: di mezza festa (religiosa). 6. quello: l'incantesimo. 7. staccia : setaccio.

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lo scongiuro del san Pietro e del san Pavolo; ma tutte son tresche e trappole e gabbamenti, e tengano parentado 1 con le tristizie di chi fa cotali ribaldarie; ma perché ognun crede senza fatiga ciò che gli torna bene, la ruffiana spaccia le menzogne degli incantesimi per verità: e lo imbattersi che ha fatto alcuna nel vero, ci fa stare l'altre sgraziate. BALIA. La mi par la novella dei boti. COMARE. Non poniam la lingua nei boti, perché si dee scherzar con i fanti e non con i santi: e fai bene a darti ne la bocca,2· dicendone tua colpa come tu fai. Ma io sono ormai stracca di favellare; e mi incresce a dirti come io, non avendo altro a fare, appostava le case dei forestieri a una ora o due di notte, e picchiavagli le porte, non rispondendo mai al "chi è là giù?". Vero è che, venendo il servidore, diceva: «Non sta qui la Signoria di messer tale?»; ed egli, veduta balenare o questa o quella lordarella3 che io soleva menar meco, mi risponde: «Madonna si, venite suso, che vi ha spettata due ore». E ciò diceva per credersi di avermi colta, 4 e per dare da trastullarsi al padrone, il quale si dilettava di puttanine: e di ciò era io informata, onde io veniva a lui a posta fatta ;5 e passata drento, mi si serrava la porta perché io non me ne potessi andare; e giunta di sopra, poteva6 esclamare con il ramaricarmi di non esser la casa di colui che mi aspettava! Anzi eravamo messi in capo di tavola; e si altro altro,7 la cena e il rimandarci accompagnate a la stanza non ci mancava; e anco lasciava la baldracca seco a dormire: dico qualche volta, beccando su e giuli e ducati. BALIA. Non mi dispiace questa sorte d'astuzia. COMARE. Talora andava a trovare uno, il quale erano passati due anni che non lo aveva veduto; e facendo stare aguattata8 la ninfa che io menava a vettura,9 picchiava l'uscio suo; e sendomi riposto, io diceva: «Dite a messere che io son la tale»; ed egli venutomi incontra in persona, dice: « Io mi credeva che fosse altri; la luna da Bologna, 10 ti si pò dire; ma che è di te?»; e io: «Bene, per servirI • tengano parentado: stanno insieme, fanno il paio. 2. a darti ne la bocca: non parlandone. 3. lordarella: sgualdrinella. 4. colta: beffata. 5. a posta fatta: come su appwttamento. 6. poteva: avevo un bel. 7. n altro altro: • se non altro 1 (Aquilecchia). 8. aguattata: rannicchiata in un angolo. 9. a vettura: a mercede. 10. la luna da Bologna: • Cosa non vista in molto tempo» (nota dell'ediz. 1660). cFrase proverbiale• (Aquilecchia, con rinvio a • Si vede una volta al mese• del Salviati e a un contributo di F. Ageno).

43°

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vi; io passando di qui vi ho voluto visitare: e ci son voluta venir cento volte, e poi non mi sono arrischiata per non vi dar noia». E con queste berte lo appiccava con la diva che io menava meco per tutto. BALIA. Or non ti straccar più: e detto che tu mi hai come io ho a nascondere questo segno1 di mal francioso, che io ho in cima a la fronte, e il taglio che mi vedi nel mezzo de la gota ritta, finiamola. COMARE. Come a scondere il segno e il taglio ? Io voglio che tu te ne tenga ben buona: domine è, che te ne dèi tenere, perché il fregio e il segno significano e dimostrano la perfezione de l'arte ruffianesca; e si come le ferite che i soldati beccano su ne le battaglie gli fanno parer più valenti e più bravi, cosi i segnuzzi del mal francioso e i fregetti2 de le coltellatine chiariscano altrui de la sufficienzia3 de la ruffiana: e cotali cose son perle le quali ci omano. E lasciamo andar questo; non si conosceria la differenzia da una a una altra speziaria e taverna, se non fossero le insegne: lo speziai "dal moro", il "bonadies" ,4 lo speziai "da l'angelo", "dal medico", "dal corallo", "da la rosa" e "da l'uomo armato". Ecco l'osteria "de la lepre", "de la luna", "dal pavone", "da le due spade", "da la torre" e "dal cappello"; e se non fossero l'armi5 le quali sono ne le valige portate d'alcuni6 disgraziati sopra un cavallaccio pien di crusca e bolso, chi conoscerebbe i padroni dei poltroni che le portano ? E perciò i segni e i fregi son necessari a la ruffiana, come anca i merchi7 ai cavalli: e non si sapria di qual razza fossero, non avendo il merco ne la coscia; e più ti dico, che non sarebbero in prezzo se venissero in mostra8 senza segnale. Qui terminò la Comare: e levatasi susa, fece rizzare anco la Balia, la Pippa e la madre: e vista la colazione apparecchiata, immolla un poco la lingua e le labbra secche per cotanto favellare. Intanto porge !'orecchie a la Nanna, la quale commenda la sua diceria9 e con istupirne confessa che tutte le ruffiane del mondo insieme non ne sanno quanto ne sa ella sola; e voltatasi a la Balia 1. segno: cutaneo. z.fregetti: fregi (o, piuttosto, sfregi). 3. nljficienzia: importanza. 4. "bonadies,.: «buon giorno» (•insegna di farmacia», Aquilecchia). 5. l'armi: gli stemmi gentilizi. 6. d'alcuni: da alcuni. 7. merchi: marchi, segni di proprietà, fatti a fuoco (sul pelo dell'animale, di solito a una coscia). 8. in mostra: al mercato (per la vendita). 9. comme11da la sua diceria: loda la sua chiacchierata.

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disse: ,, Questo pesco che ha udito il bel discorso, potria tenere scola dei suoi ricordi: or pensa quel che doveresti far tu »; poi ammoni la figliuola a tenere a mente ciò che ella ha udito. Intanto monna Comare spesseggia il bere, dando gran laude a chi lo trovò; e perché il còrso peloso, 1 mordendola e basciandola le aveva fatto venire la lagrimetta a l'occhio, andava in estasis, non dando cura a la Nanna che, per essersi scordata nel primo suo ragionamento2 un punto solo, cioè d'insegnare a la Pippa il modo de lo intertenere quelli che falliranno o per suo conto o per il loro, e perché ogni femina gli caccia a le forche non se ne ricordando più né più volendo vedergli, le pareva cosa importante a dirne due paroline. Pure le lasciò stare, perché la Comare, avviatasi per l'orto, cominciò a vagheggiarlo tutto, dicendo: cc Nanna, il tuo robba-fastidio è un vago spassa-tempo»; replicando: cc Oh il bello orto; certo certo egli pò disgraziarne3 il giardino del Chisi4 in Trastevere e quello de fra Mariano5 a monte Cavallo.6 È un peccato che quel susino si secchi; guarda guarda, questa pergola ha i fiori, lo agresto7 e l'uva; quanti melagrani, lddio, e dolci e di mezzo sapore :8 io le conosco, e si vogliano ormai còrre acciò che non sieno colte. Oh bella spalliera di gelsomini, oh bei vasi di bosso; che bel muricciuolo di ramerino.9 To' su questo miracolo: le rose di settembre, misericordia. Fichi brogiotti, 10 ah? Infine, io delibero di venirci fra l'aprile e il maggio; e voglio empirmi il seno e il grembo de le viole a ciocche che io veggo qui. Oh quanti testin di viole da Dommasco! Per conchiuderla, le bellezze di questo paradisetto mi aveva fatto smenticare che egli è già sera: e perciò monna menta, 1. còrso peloso: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota I a p. 148. 2. nel . •• ragionamento: nella Prima giornata del presente Dialogo. 3. disgraziarne: degradarne (fame stimare meno). 4. Chisi: il banchiere Agostino Chigi, su cui cfr. la nota 9 a p. 239. Il giardino è quello della Farnesina. 5.fra Mariano: cfr. la nota 4 a p. 245. 6. monte Cavallo: Quirinale (nel ricordo dei cavalli dei Dioscuri, sulla piazza dinanzi al palazzo: la residenza papale venne cominciata solo nel 1574 dal Ponzio, e continuata da D. Fontana, dal Maderna, dal Bernini e dal Fuga. Incisioni e quadri dell 1 epoca mostrano nella zona larghi spazi per giardini, prima della costruzione del palazzo e di minori edifici adiacenti). 7. agresto: uva selvatica. 8. mezzo sapore: sapore asprigno. 9. ramerino: rosmarino. 10. brogiotti: neri e di grossa buccia, maturi verso la fine di settembre (come la Crusca spiega con un esempio del Bellincioni). n. testi: vasi di terracotta. (Le viole di Damasco sono del tipo di quelle che si coltivano in vaso, come le violacciocche, per ornamento; non sono per nulla del tipo delle mammole, come qualche volta è stato detto per errore).

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PIETRO ARETINO

madonna magiurana, 1 madama pimpinella e messer fiorancio perdoneranno al mio non più far l'amor seco; e per mia vita, che ogni cosa ride quinci ;2 che ventarello che trae, e che aria, e che sito. Per questa croce,3 Nanna, che se qui fosse una fontanella la quale zampillasse l'acqua in suso, o che fuor degli orli versasse e a poco a poco innaffiasse rerbe per i suoi viottoli, tu gli potresti por nome il giardino dei giardini, non che l'orto degli orti». Cosi disse la Comare; e parendole l'ora di ridursi a casa, basciata che ebbe la Pippa, con una "buona sera,, e "buona sera e buono anno", si redusse con la Balia dove avevano a ridursi.

I. magiurana: maggiorana. Comare aveva con sé.

2.

quinci: in questo luogo. 3. La croce che la

AL NOBILISSIMO LIONARDO PARPAGLIONI 1 LUCCHESE MESSER FRANCESCO COCCIO 3

lo vorrei, gentil messer Lionardo, clze voi e messer Agostin Ricchi,3 figliuoli in amore del divino uomo,4 avesse veduto il miracolo che, compo11endo la presente opra in un mese, a due e tre ore di studio per mattina, ha fatto: per vertù di quello -ingegno, il quale ne ha partoriti cotanti degli altri, e in vostra presenzia e nel cospetto di qualunche, mentre scrive, viene a lui. Gra11. cosa e da non credersi, se ben si vede che un volume cosl lungo, cosl vivo e cosl nuovo ntl$ca improviso prima che ne sia gravida la mente: e ntl$cendo in un tratto, senza punto rivederne, mandarlo a le stampe forestieri; e più parole mette insieme z'n .x. di egli, che gli impressori in .xx.,· ed è si veloce il suo fare che, rz·tor11a11dogli in mano, lo riconosce nel modo che si riconosce ciò che si sogna 11el sentir ricordare o quella cosa propia o ima altra simile. Ma chi sarà colui che, nel leggere cotali piacevolezze, non comprenda in loro quello che ce si desidera, non pure quello che ci dee essere? Oltra questo, clzi co11sidera le /emine introdutte a parlare, vedrà nei vocaboli che elle usano, e ne lo scompigliare dei. ragionamenti, z-Z decoro del decoro: perché è tanta la felicità che a l'operare suo ha dato la natura, che non solo il replicar d'una materia, e il proporla e 11011 seguitarla in tutto, che egli per correre e non rivedere la composizione ci ha fatto, ma gli è venuto a proposito fino a la trtl$CUratezza de la impressione, la quale ha lacerate le sentenze col troncare via le parole z'ntere e con i"nterponerle al rovescio, discordando per più crudeltà il singulare dal plurale: 110n per altro che per esser proprio de le donne z"l cominciare e non finire, il dir due volte una ciancia, il n'tornare con la favella indietro e il mescolare i11sieme la unione dei Lionardo Parpaglioni: era lucchese, «creato ed anche ganimede dell' A. • (Del Vita, che rimanda a un sonetto di Niccolò Franco). 2. Francesco Angelo Coccio da Narni è ricordato come poeta petrarcheggiante e come traduttore di autori antichi. È comunque un letterato del Cinquecento, il cui nome è legato alle testimonianze dell'Aretino. Per la famosa scena del bacio dell' Aminta di Torquato Tasso vengono difatti citati, come fonte diretta, gli Amori di Clitofonte e Leucippe. d'Achille Tazio, in parte volgarizzati dal Dolce e, per intero, dal Coccio. Il Coccio è l'interlocutore del Ragionamento de le Corti, di cui è dato più avanti l'inizio della parte I: cfr. pp. 436 sgg. e in particolare la nota 2 di p. 436 per ulteriori e particolari notizie sul personaggio e sulla vita delle Corti. 3. Agostino Ricchi (1512-1564) fu in origine segretario dell'Aretino e divenne archiatro pontificio. Cfr. 1 per altre notizie, la nota 4 a p. 439. 4. divi110 uomo: l'Aretino. I.

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numeri. Onde egli è quel dipintore 1 che avventò la spugna molle di colori ne la bocca al cavallo, il qual fece fare a la disavertenza del caso quella schiuma che non aveva saputo ritrare la diligenzia de l'arte. Ma poco stima messer Pietro la lode de le rime e del prose con cui fugge l'ozio, perché son fumi da maestri di scola invecchiati in sui libri: il bel suo vanto è lo avere trionfato de l'alterezza dei. prencipi, facendosi tributari"2 coloro che son tributati dal mondo. E non per odio ha contrastato con l' altezza3 di questo e di quello, ma perché la vertù si glorificasse per mezzo suo come si è glorificata: e perciò tutti quelli che si godano del nome di vertuoso doverebbono rendergli grazie immortali, poiché la sua ardita bontà ha militato per il comun benefizio, non parlando per enigma né sotto i veli, anzi nel volto dei. pontifici, degli imperadori, dei. re e dei. duchi: le Santità, le Maestà e l'Eccellezie dei quali ormai si sono ravvedute, dando parte di ciò che debbeno a la vertù; e perciò esso gli celebra e adora. Ma veniamo a la 1naraviglia del suo dar di piglio a tanti subietti diversi, e come sia forte a pensare che d'un medesimo autore sieno le opre sacre e le lascive che di suo si leggano e leggeransi: perché tosto comindarà e finirà un Trattato de la libertà e de la servitù,4 il quale ha promesso di fare al magnifico e dottissimo giovane messer Domenico Bolani, signor de la casa dove egli abita; 5 ed esercitinsi cotali scritti per norma de la vita, perché gi'ovano, e non nuocano, ai buoni costumi; e mentre vi mostra le malizie altrui, vi insegna a schifarle: che anco del tòsco, del fuoco e del ferro si trae costrutto salutifero, benché paiano e sieno sì fiera materi·a. Ora io lodo lddio poiché mi pasco di lezioni fuora de le imitazioni trite, e d'un modo satirico non usato ancora; ed è un peccato che Sua Signoria non abbia acumulato tanta moltitudine di gentilezze che egli ha composte: è ben vero che non son perdute, e che il duca di Mantova6 ne ha gran copia; ma il male sta quel dipintore: il greco Apelle; sull'aneddoto cfr. Dione Crisostomo, Orat., 63, 4. 2.Jacendosi. tributari: con lusinghe e minacce. 3. altezza: alterigia. 4. Trattato . .. servitù: l'opera venne vagheggiata dall'Aretino, ma resta solo il rimpianto che di tale materia nutri in non poche delle sue lettere (libri I e II). Qualche riflesso sarà pure da cogliere nel Ragionamento de le Corti uscito nel I 538, a non molta distanza di tempo dalla presente epistola. Cfr. G. INNAMORATI, Pietro Aretino. Studi e note critiche, cit., pp. 224-5. 5. Domenico ••. abita: è il padrone d'una casa abitata a Venezia dall'Aretino, sul Canal grande, e descritta in una delle più vivaci lettere (più avanti alle pp. 524-6). 6. il duca di Mantova: Federico Gonzaga, già citato dall'Aretino nella lettera al Valdaura (qui addietro, p. 202; cfr. la nota 9 ivi), è lodato con qualche riserva per la protezione data a poeti ritenuti dal1.

DIALOGO DELLA NANNA E DELLA PIPPA

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che molti, i quali vogliano farsi, credito, pongano il nome suo ne le sciocchezze loro. Pure Michelagnolo, il Sansavino 1 e fra Sebastiano piombatore2 risplendercbbono fin ne le tenebre; e non vo' che mi si scordi il giudizio Aretino in aversi, saputo eleggere ima bella e nu(J'l)a 'llia: ecco il famoso pittore cerca di ritrare persone note, e non ·ignote, acciò che ognun possa discernere la per/ezione del suo stile; e cosl egli ragiona di cose provate da tutti, onde tutti giudicano il merito suo, e senza stitichezza di parole. E se due donnicciuole toscane f avellassino, non f avellarebbeno altrimenti che si abbia favellato la Nanna, la Pippa, la Comare e la Balia: e se la sua patria, madre degli i"ngegni, se Arezzo, già capo di Toscana, fu inanzi3 a la città4 da cui si tolgono le leggi del parlare, perché non gli è lecito usare la lùzgua del paese ?5 Come si, sia, andate altero, poiché il folgore6 di verità e di poesi·a fa ombra, con l'ali de la sua fama, a lo esser vostro; e verrà tosto il tempo che i guiderdoni7 aparecchiatigli dal Ci"elo e da la Fortuna vi f eli'citaranno, onde poterete vivergli gloriosamente apresso. VALETE

l'Aretino-e, per lui, dal Coccio-di scarso valore. Per i rapporti fra l'Aretino e il Gonzaga, «che fu uno dei suoi maggiori protettori prima del periodo veneziano», l'Aquilecchia rimanda ad A. BASCHET, Documents concernants la personne de M. Pietro Aretino, in 11Archivio storico italiano», ser. III, t. 111, parte n [per evidente errore di stampa in Aquilecchia: 1] (1866), pp. 104-30, e a A. Luz10, Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga (Torino, Loescher, 1888). 1. Sansavino: Iacopo Tatti detto il Sansovino. L' Aquilecchia, Indice dei nomi, p. 599, per documentare i rapporti avuti con lui dall'Aretino rimanda alle Lettere sull'arte, voi. 111, t. n, alla voce compilata da Fidenzio Pertile con aggiunte di Ettore Camesasca per la sezione Biografie degli artisti, specialmente alle pp. 454-60. Cfr. più avanti la nota 3 a p. 562. 2.fra Sebastiano piombatore: cfr la nota 3 a p. 387. 3.fu ina11zi: con Guittone e Ristoro (per la Composizione del mondo). 4. città: Firenze. 5. la lingua del paese: usando forme che, all'Aretino più familiari, meglio rispondevano al suo concetto d'arte (per vocaboli non impoveriti da leggi accademiche e per una narrazione di tipo popolare). 6.folgore: fulgore. 7. guiderdoni: premi.

DAL «RAGIONAMENTO DE LE CORTI» PRIMA PARTE DEL RAGIONARE DI MESSER LUDOVICO DOLCE,1

DI MESSER FRANCESCO COCCI02 E DI MESSER PIETRO PICCARD03 1. Ludovico Dolce (1508-1568), fecondo poligrafo veneziano, il cui nome è legato a traduzioni e a parafrasi da autori classici (e anche dallo spagnolo Me..x.ia) e a molte opere di volgarizzazione. Nobiluomo decaduto, fatti gli studi a Padova con l'aiuto dei Corner, a dovette acconciarsi ai servigi dei Giolito e lottar tutta la vita contro la fortuna, attendendo ad un lavoro ingrato, faticoso, sterile il più delle volte». Cosi dice appunto il Flamini nel suo Ci11quecento (Milano, F. Vallardi [1902]), p. 412. Il giudizio che segue è, a tutt'oggi, esatto nelle sue linee fondamentali: 11 D'ingegno non mancava; e certo, se non avesse dovuto comporre frettolosamente e raffazzonare, a qualche cosa di buono il nome suo sarebbe legato tuttora. Invece, il men peggio delle sue scritture sono le commedie e le Prime imprese d'Orlando [•..] ; ché gli altri quattro lunghi poemi romanzeschi, le tragedie, le poesie d'occasione, i poemetti mitologici e biblici, i trattati Dei colori, Delle pietre preziose, Della memoria, Dell'instituzione delle donne, Della pittura generalmente mancano di originalità, di nervo e di vivezza. Come volgarizzatore, una cotale importanza, non foss'altro per la copia di scritti da lui voltati in prosa o in rima, non gli si può disconoscere». Dcli' Aretino il Dolce fu molto amico, curò anche una ristampa del secondo libro delle sue Lettere: e di lui riecheggiò varie idee sulParte figurativa e, in particolare, sulla pittura nel dialogo a lui intitolato, e già citato in alto dal Flamini: L'Aretino, ovvero Dialogo della pittura. 2. Francesco Angelo Coccio, letterato, su cui cfr. Dialogo nel quale la Nanna ecc., lettera «Al nobilissimo Lionardo Parpaglioni Lucchese messer Francesco Coccio», nota 2 a p. 433. Il Ragionamento de le Corti (è qui dato il solo inizio della prima parte, con un breve sunto alla fine del brano) mostra come interlocutore il Coccio che vorrebbe farsi cortigiano: gli altri due interlocutori Pietro Piccardo e Ludovico Dolce espongono opinioni contrarie al suo proposito. Una lettera dell'Aretino al Coccio, molto significativa, alla data di Venezia, 24 dicembre 1537, si trova nel primo libro delle Lettere. Vi è lodata la sua determinazione di darsi pienamente agli studi e di non curarsi più delle Corti. (u Io molto laudo perché a me assai piace, l'esservi voi, fratel mio, in tutto discluso dal desiderio de le corti, con la conclusione di porvi ne le braccia de gli studi, le cui promessioni sono (a le speranze de le persone pazienti e savie) utili e gloriose; e la virtù de lo istesso sudore vi favorisce in acquistar la ricchezza e la lode» ecc. (Cfr. ARETINO, Lettere, voi. I, edd. Flora-Del Vita, 1960, pp. 416-7: molto interessante è, a p. 1089, il commento del Del Vita: « Sembra dunque che questi [il Coccio] avesse dato retta ai suggerimenti del dialogo, se l'Aretino inizia la presente lettera rallegrandosi con lui che sia "in tutto discluso dal desiderio de le corti"»). 3. Pietro Piccardo: personaggio, anziano di età e vivace di animo, e tutto incline a cogliere della vita tutti i beni. A lui è diretta una bella lettera dell'Aretino, in data di Venezia, 26 novembre 1537 (Lettere, voi. I, edd. Flora-Del Vita, 1960, pp. 316-7; col Del Vita è opportuno fare riferimento ad una lettera precedente, da Venezia, 22 novembre 1537, a Giovanni Bolani; in essa - ed. cit., voi. I, pp. 302-3 - si parla di vari aneddoti del Piccardo, con particolari che si trovano nello stesso Ragionamento de le Corti).

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[L,inutile e vana 'lJita delle Corti.] Noi potremmo chiamare questo giardinetto del Marcolino1 ventaglio de la state, poi che il respirare del suo vento, l' ombra del suo verde, la soavità dei suoi fiori e il canto dei suoi augelli petrarchevoli rinfresca, ricopre, diletta e adormenta, e tanto più giova il passeggiarci ora quanto meno il caldo del suo agosto fa bollire la nona2 d'oggi che quella d'ieri; per ciò, sedendo, aspettaremo il Piccardo, che dee venir qui. Coccio. Il galante uomo ci fece l'altro di strignere le pugne3 per le risa. Egli ci raccontò d'un cameriere di non so chi papa4 il quale, non sapendo il caso de la rotta del suo campo, 5 se ne andava bel bello a cinque ore di notte per il corridore di palazzo, biscantando :6 - O mia cieca e dura sortel7 - Onde Sua Santità, parendole che Io spensierato se ne rallegrasse, scappò de l'uscio mezzo ignudo e mezzo vestito, e senza ascoltare uno8 che, percotendogli i fianchi coi punzoni,9 diceva: - Padre santo, andatene a letto -, ruppe il bastone che teneva in mano in su la testa calva de lo scalco secreto, 10 corso al romore. DOLCE. Ah, ah, ah!

DoLCE.

1. Marcolino: Francesco Marcolini, originario di Forll. È il celebre stampatore veneziano, molto runico dell'Aretino: di lui impresse varie opere, come risulta anche dalla nostra Nota bio-bibliografica. 2. la nona: la nona ora secondo il computo antico (corrisponde alle 15 di oggi). 3. striguere [o serrare] le pugne: morire. 4. papa: Giulio II della Rovere. (Testo Battelli: « Cameriere di papa Giulio»). 5. rotta • •• campo: l'n aprile 1512 a Ravenna l'esercito francese inflisse una grave sconfitta alle truppe di Giulio II. (Testo Battelli: «del suo campo a Ravenna»). 6. biscantando: cantarellando. 7. O mia ••• sorte: è un motivo solito alla poesia lirica amorosa (con riferimenti anche al Petrarca). 8. uno: è l'Accursio già citato nel Dialogo nel quale ecc., qui a p. 259, e nelle Lettere. Fu cortigiano di Giulio II, come è specificato nella stessa narrazione, e, quindi, anche di Leone X. Dice l'Aretino al Guidiccioni alla data di Venezia, 15 gennaio 1535: «E vorrei più tosto essere confinato in prigione per dieci anni che stare in palazzo come ci stette Accursio, Sarapica e Troiano; che val più ciò che gli amici mangiano in casa mia che tutto quello che io sperai già ne la corte, e porto più in dosso che non vede costi un ganimede» (Lettere, II, 44, in ARETINO, Lettere, voi. I, edd. Flora-Del Vita, 1960, p. 55). (Testo Battelli: «senza ascoltare Accursio »). 9. prm:::oni: pugni. 1 o. lo scalco secreto: lo scalco particolare (quello che era al suo diretto e unico servizio a tavola col porgergli e tagliargli le vivande). Una narrazione, in gran parte simile a questo aneddoto, si trova in una lettera a Giovanni Balani a proposito di Pietro Piccardo, da Venezia, 22 novembre 1537 (in Lettere, vol. I, edd. Flora-Del Vita, cit., 1960, pp. 302-3).

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Coccio. Or lasciamo andare le favole; che vi pare del mio volere tormi agli studi per darmi a le Corti ? DOLCE. Parmi che siate una bestia, se la resoluzione dei vostri pensieri è si fatta. Coccio. Madonna sì, che ella è tale. DOLCE. lVIessere, voleste dire. Ecco la parola che, errando nel genere, mostra la pazzia che voi, savio, pensate di fare. Oltra ciò è di pessimo augurio il traviare de la lingua nel prendere i partiti. Coccio. A sua posta. 1 DOLCE. Non è cosa degna di persona saputa il gittare dietro a le spalle de lo «a sua posta» i casi dei fatti suoi; certo chi fu autore di cotal parola ebbe poca pratica con la prudenza, ma gran conversazione2 con la trascuratezza. Coccio. A me pare che chi prima lo disse fosse uomo risoluto. DOLCE. Chi prima lo disse fu un cervello da fare statuti, 3 per ciò che ne le occasioni de le cose importanti non si debbe dire« a sua posta», perché essi4 si rimangono poi da sua posta, e nel modo che tale disprezza è desprezzato. Coccio. Voglio che ne facciamo un dl una disputa de lui e de lo « e' si sia», 5 poiché siate il mastro de le temologie6 dei vocaboli. DOLCE. Veniamo pure al fatto de la Corte, la tristizia de la quale fa il peggio che si può ai suoi, con dire: - A ogni modo essi non sanno dove andarsi. Coccio. Veniamoci. DOLCE. Ditemi di grazia, che cosa sarete voi, che parrete e che farete essendo servidore di Corte ? Coccio. Di grazia, ditemi ciò che io sarò, ciò che parrò e ciò che farò sendo schiavo de le scuole ? DOLCE. Sarete immortale, parrete un dio, e farete il tutto. Coccio. Sarò un presuntuoso, parrò un pazzo e farò un capotomelo7 in greco ed uno scambietto8 in latino pedantissimamente. 9 I. A sua posta: a suo piacere; si noti il gioco di parola che si sviluppa nelle linee seguenti: (a sua posta / da sua posta). 2. conversazione: pratica, familiarità. 3. da/are statuti: cioè importante. 4. essi: se si riferisce a statuti, è da osservare il tono ironico del ragionamento dell'Aretino. 5. «e' si sia»: cfr. la nota 4 a p. 164. 6. temologie: etimologie. (Testo del 1538 Tltemologie). 7. capotomelo: capitombolo. 8. scambietto: saltello che si fa nel ballare. 9. pedantissimamente: è l'immancabile sottolineatura della polemica dell'Aretino e altri (ad esempio, di Anton Francesco Doni) contro i «pedanti», intesi soprattutto come maestri di scuola, • gramatici » e simili, ma

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DOLCE. Che odo io? Coccio. Udite il mio animo che delibera di arischiare tanti anni servendo quanti ne ho spesi studiando. DOLCE. Voi cercate una morte disperata. Coccio. Anzi fuggo una vita pazza. DOLCE. Quando ciò fosse, non è più tolerabile la pazzia che la desperazione, per essere il pazzo trastullo del popolo e il disperato terrore? Coccio. Voi non dite che negli scherni di quello c'è l'infinito, e nei tormenti di questo il finito, e la differenza che è tra l'immortale e il mortale comparte1 il fernetico de l'uno da la crudeltà de l'altro. DOLCE. Date diecimillia strappate di fune a la Corte, e se ella confessa mai due parole de la ragione con cui defendete il proposito vostro, starò a patto di essere suo sottocredenziere in vita, e parendole grado troppo onorato, mi recarò là~ sottoguattaro; e perciò datevi a la scienza, ché val più l'ombra de la sua fama che la spettativa di quei vescovadi che ti occidano3 con la speranza. Coccio. Sì, in quanto al mondo, ma non in quanto a la fame. DOLCE. Dove è dottrina è convito. Coccio. Se così fosse, i librai, tosto che l'appetito gli assale, deverebbono fare dei volumi che essi vendano tavole apparecchiate. DOLCE. Anche il Ricco4 vostro entrò nel gigante5 vedendo in Bologna dietro a l'imperadore6 e al papa7 l'altiero dei favori, il supremo de le grandezze, il grave de le riputazioni, il largo de le pompe; onde posto a monte il greco e il latino, datosi a lo spagnuolo e al cortigiano, oltre il parergli un bel che la conoscenza di signor costui e di monsignor colui, imbertonatosi8 de le sberrettate e de le anche, in genere, come uomini di cultura classica e comunque erudita e, a maggior ragione, negata all'esame e alla valutazione del mondo contemporaneo. I. comparte: divide. 2. là: testo del 1538 al. 3. occidano: uccidono. È la forma aretina già notata in precedenza nel Ragionamento della Nanna e della Antonia e nel Dialogo nel quale ecc. 4. il Ricco: Agostino Ricchi, da Lucca, già citato nella lettera di Francesco Coccio che chiude il Dialogo nel quale ccc. (cfr. p. 433 e nota 3). Fu amico dell'Aretino che ebbe varia corrispondenza con lui, come è documentato dalle Lettere. È ancora ricordato nella storia letteraria del Cinquecento e, in particolare, nella storia del teatro per la commedia J tre tiranni che venne rappresentata in Bologna nel marzo del I 530 alla presenza del papa, dell'imperatore e di illustri personaggi delle Corti italiane. 5. entrò nel gigante: assunse arie grandiose. 6. imperadore: Carlo V. 7. papa: Clemente VII. 8. imbertonatosi: incapricciatosi, invaghitosi.

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riverenzic ch'ognun faceva al Molza, 1 al lovio,2 al Tolomeo,3 al Cesano4 e agli altri de l'Academia5 di Ippolito dei Medici, 6 il cui nome è vita de la memoria, vendendo da trascurato, impegnando da giovane, e consumando da prodigo, se Dio non gli dava di mano, si risolveva nei suoi fumi. Coccio. Diceva lo scappuccino che impauriva le mascare a Padova7 che noi siamo sottoposti a la predestinazione; perciò altri si ritira di dove io mi voglio spignere. DOLCE. Cosi lo sfrati la peste, come Dio non predestinò mai cosa che non fosse di sua potenza il permutarla, piacendoli.8 Si che masticatela adagio, pensatela bene, dormiteci suso, consigliatevene con chi l'ha provata, informatevene con chi la cognosce e risolvetene con chi n'è tradito; altrimenti la vergogna vi perpetuerà dove vi strascina il ghiribizzo. Coccio. I pareri altrui sono il giuoco dei bisogni d'altri. Francesco Maria Molza, citato nel Dialogo nel quale ecc. Cfr. la nota 2 a p. 204. 2. lovio: Paolo Giovio. Vedi la nota 2 a p. 537. 3. Tolomeo: Claudio Tolomei. Vedi la nota 3 a p. 204. 4. Gabriele Cesano (Pisa 1490Saluzzo 1568). A lui il Tolomei dedicò un Dialogo, appunto intitolato Il Cesano, che è stato illustrato con nuove ricerche e edito criticamente da Ornella Castellani Pollidori (CLAUDIO TOLOMEI, Il Cesa1zo de la lingua toscana, Firenze, Olschki, 1974, «Accademia Toscana di scienze e lettere "La Colombaria" », serie Studi, x:x>..'V). Il nome del Cesano è stato spesso fatto nella questione della lingua, come osservava FRANCESCO FLAMINI, Il Cinquecento, cit., p. 136: « Tanto i fiorentini Gio. Battista Gelli, nel Ragionamento intorno alla lingua (1551), e Benedetto Varchi nell'Ercolano (1570, ma già composto dieci anni prima), i quali dichiararon fiorentina la lingua da usarsi nelle scritture, quanto il senese Tolomei, nel Cesano (1555, ma scritto poco dopo il Polito), il quale, fatte esporre dal Bembo, dal Trissino, dal Castiglione, da Alessandro de, Pazzi e da Gabriel Cesano da Pisa le varie opinioni circa il nome spettante a codesta lingua, dimostrò per bocca dell'ultimo doversi chiamare toscana, pretendevan d,imporre ai letterati di tutta Italia, come precipua guida nello scrivere, l'uso vivo delle persone colte della loro città o provincia». 5. Academia: riunione di dotti e di letterati. 6. Ippolito dei Medici: nato a Urbino nel 15u (e creduto figlio naturale di Giuliano II de' Medici), mori nel 1535, ancora in giovane età. Nel 1527 era stato scacciato da Firenze col cugino Alessandro e nel 1529 era stato fatto cardinale. Brillò per ambizione e gusto delle lettere e delle arti. Fu probabilmente avvelenato da suoi nemici. 7. lo scappuccù,o . .. Padova: evidentemente Bernardino Ochino, in origine frate cappuccino (a cui sono attribuite dall'Aretino riflessioni sulla predestinazione che potrebbero essere generiche, ma anche mostrerebbero una traccia della pubblicistica calvinista nel territorio veneto). 8. Dio .•. piacendoli: correzione degna di un teologo più che ortodosso che segnala la prudenza con cui l'Aretino affronta, a modo suo, alcuni dei più gravi problemi religiosi dell'epoca. I.

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DOLCE. Anzi i pareri d'altri sono le colonne de le rovine altrui, perciò ristorate lo studio tralasciato, con il radoppiargli le ore, dilettandovi dell'onorevole utile che se ne ritrae. Che letizia crediamo noi che abbia la natura quando gli intelletti filosofici trasformano gli spiriti de le loro avertenze in chiavi che aprano le porte dei secreti celesti! Coccio. Fatemi un piacere. DOLCE. Due. Coccio. Deh, non mi rompete il cervello con le filosofie! DOLCE. Guardate pure che non ve lo fracassiate con le cortigianle. Coccio. Ella è una disonesta presunzione quella di coloro che vogliono spiare i fatti di Dio. 1 Chi non sa che la filosofia è simile a uno che favella sognando? Ella è una speculativa confusione che cinguetta in essempio e in oscurità, scrivacchiando in figure e in chimere, come le rivelazioni divine piovessero negli ingegni umani a vanvera; fratellin mio caro, cotal grazia è propria dei profeti di Domenedio; gli altri gracchiano de le idee e de le cose formate e create d'una sola sustanzia e d'una sola disposizione, dandogli il sole per padre e la luna per madre. DOLCE. Bisognarà legarvi. 2 Coccio. Legato sarete voi che intisichite in comprendere in che maniera il fuoco, fattore de la terra, si divide di lei, per essere la materia sottile più degna che la grossa, la chiara più eccellente che la densa, affermando che chi con savia discrezione lo considera, alza i panni a le virtù di sopra e apre le cosce a quelle di sotto, onde signoreggia il lassuso e il quaggiuso. DOLCE. Inacquarlo dico. Coccio. Io son certo che Dio creò il cielo e la terra facendo l'uomo a sua imagine e similitudine, e non so già niente che egli formasse in prima la sustanzia semplice e spirituale col fine de la perfezione e col finimento de la bontà, includendoci la stampa di tutte le cose, battezandola intelligenzia vera e da vero, la quale ne partorisce una minore che poi genera l'anima, di donde esce il lungo, il largo e il profondo. DOLCE. Beete meno. J. disonesta •. . Dio: anche qui si nota la prudenza dell'Aretino (questa volta per bocca di un altro interlocutore del dialogo). 2. legarvi: citarvi (allegarvi). È gioco di parola con legato.

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Coccio. Che ho io a fare dei nove cieli l'uno sopra a l'altro? Dio il sa se la terra è in mezzo, o ne le sponde degli elementi; chi diavolo ha visto mai le sfere muoversi in giro ? giurareste voi che alquante siano in alcune, e alcune in alquante? DOLCE. Lo imbriacamento del nuovo capriccio è dei potenti. COCCIO. La dottrina cortigianesca non mescola il caldo col freddo, né l'umido col secco, per condire col temperamento de la varietà le insalate sue, né sentenzia la lite che ha la state col verno e il verno con la state, sostenendo che le proprietà, non pure dei cieli, dei pianeti e dei segni, ma degli animali, vegetabili, originali' e minerali, sono ne l'uomo, perciò si dee chiamare minor mondo; insomma il filosofo imita il Burchiello,2 il quale par che dica gran cose dicendo niente. DOLCE. Taccisi dei filosofi, perché solo il suo senno è solo; la sua semplicità pensa a la bontà di Dio e, preponendola ad ogni altro bene, chiedendogli sempre grazie oneste, la riverisce sopra tutte le maraviglie. Coccio. Faccio conto che i miracoli che fanno dentro agli estremi i loro beati mezzi, non si possino mentovare invano; bene abbia la cortigianla, che, tendendo a due fini soli, non si consuma dietro a la cagione che accende il lume a le notti e spegnelo ai giorni. DOLCE. Quali sono questi fini? Coccio. Speranza e sorte, l'una intertiene e l'altra rafferma, e nel chiudere gli occhi di quello e di questo si sta la beatitudine nostra. DOLCE. Non dite nostra, ché ci è di mali passi. Coccio. Terminiamola qui: io me ne andrò volando a tentar il fato col piede de lo sperare; ma ecco il Piccardo. DOLCE. Pur veniste. PICCARDO. Io son stupito nel vedere la luna che stava in cima de la moschea di Brovazzo, 3 tenuta per bella reliquia; ma che ragionamento è il vostro ? DOLCE. Io ragiono e costui strasogna. Coccio. Anzi voi trasognate, ed io ragiono. PICCARDO. Accordativi. DOLCE. Non vi voglio dire altro; egli, per andarsene a Roma, I. originali: probabilmente sostanze originarie. 2. il Burchiello: il famoso poeta giocoso e barbiere Domenico di Giovanni (morto nel 1448). 3. mosclua di Brovazzo: ci sfugge l'allusione, forse gergale.

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pianta Padova, diventando di scolare cortigiano; ora giudicate in coscienza del suo cervello. PICCARDO. Cosi farò, se mi assicurate che il Marcolino non pigli la copia delle mie chiacchiere stampandole. DOLCE. Sarebbe un dare che rodere ai pedanti, i quali spesso spesso s'impicano a le forche del dire «Egli non ha lettre». Coccio. Dio il volesse che s'imprimessero a loro scoppiacuorel DOLCE. Chi le terrà. Coccio. Voi vedrete disperargli. Il fatto 1 dei cavalli non istà nella groppiera, e cotali bestie sono destatoi de la fama, perciò è infamia a parlarne. PICCARDO. Ora credetemi che niuno, eccetto messer Fabricio · da Parma, 2 può informarvi degli andamenti de la Corte meglio di me, perché io, sebbene mi faccio di sessanta anni, ne ho una dozzina che va e viene, come quegli de le puttane, e l'adopro secondo il proposito de le donne ch'io amo e degli uomini che servo. DOLCE. Pur Io dicete. Coccio. La bugia negli interessi de l'importanzie, se non è virtù, non e' VlZlO. PICCARDO. Figliuolo, il gricciolo3 de la volontà che vi trasporta, vi mena a la mazza: io ho inteso da le croniche che la Corte si chiamava Morte, e perché la ciurma impaurita da si crudel suono non si poteva far trottare a servirla, la Riverenzia Sua messe il C in luogo de lo M; e più vi dico che Roma si chiamava Doma, e un traditore scambiò il D ne lo R, assasinandoci con la falsità del vocabolo. DOLCE. Che direte qui? Coccio. Invenzioni piccardesche. PICCARDO. Fossero elleno invenzioni mie e non vangeli d'altri; ascoltatemi pure se volete una scorpacciata dei suoi portamenti. DOLCE. Eccoci attenti. PICCARDO. È necessario ch'io vi dica prima che cosa è Corte, di ciò che si diletta, a quello che attende e che natura ella ha. Coccio. Il Piccardo diffinisce la cosa di che egli vole ragionare, inanzi che si ficchi ne la materia. 1. Il fatto: a: l'importante• (TOMMASEO-BELLINI, sub fatto, che cita questo motto dalla Raccolta di proverbi toscani di Giuseppe Giusti). 2. Fabricio da Parma: è citato dalP Aretino nel primo libro delle lettere (Lettere, voi. I, cdd. Flora-Del Vita, 1960, p. 302, alla data del 22 novembre 1537) come un vecchio conigiano della Corte papale. 3. gricciolo: ghiribizzo.

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DOLCE. Gli accorgimenti de la natura furono prima che quegli de l'arte. PICCARDO. La Corte, messeri miei, è spedale de le speranze, sepoltura de le vite, baila1 degli odii, razza de !'invidie, mantice de !'ambizioni, mercato de le menzogne, serraglio dei sospetti, carcere de le concordie, scola de le fraudi, patria de l'adulazione, paradiso dei vizii, inferno de le virtù, purgatorio de le bontà e limbo de le allegrezze. Coccio. Voi avete mangiato noci l2 DOLCE. Andate pur di lungo. 3 PICCARDO. Non so quel che mi fare; se ne dico, io me la nimicarò per un non nulla, se non ne dico, faremo un non niente; conosco che a me non istà bene il por bocca nei piaceri che ella si piglia degli stenti dei migliori e de le miserie dei più solleciti, ma attenda a lussuriare, a rapinare, a manicare4 ed a tracannare quanto sa, ché non sono per dirne parola; e del suo essere naturalmente avara, superba ed ingrata, favelline Pasquino, 5 perché è più uffizio suo che mio. DOLCE. Voi le ne6 accoccate senza accoccarlene. Coccio. Così fanno i maestri de l'artificio. PICCARDO. Essendo io il Cornucopia, è forza abondare in nominativi; ora, con sopportazione de le degnità, de la prosopopea dei ciambellotti,7 dicovi che subito giunto in Corte trovi quella sciaguratella de la Pacienza, non dissimile da una frittatina di tinello ;8 la cocozza9 urtata da il qua, da il là, da il giù, da il su si ristrigne ne le spalle dando luogo a Io sfacciato de la Presunzione, la quale, entrando ed uscendo dove le pare d'entrare e d'uscire, si allarga la via con le punte dei gomiti, e mentre dà le specie a l' Ambizione, s'accosta al volpino de l'Adulazione, il cui volto d'Arpia 1. baila: balia. 2. mangiato noci: registrata dalla Crusca è l'espressione mangiar le noci col mallo, detto di a: Quelli, che dicon male de' più maldicenti di loro». (Tra gli esempi ne è riportato uno dall'Ercolano del Varchi). 3. Andate ... lungo: proseguite. 4. manicare: testo 1538 maricare (con evidente errore di stampa). 5. Pasquino: la famosa statua romana, già citata nel Ragionamento della Nanna e della Antonia (cfr. p. 79, noto s) e in altre opere dell'Aretino, autore di celebri pasquinate. 6. le ne: gliene. 7. ciambellotti: qui evidentemente è deformazione satirica di cianrberlani (cembarlani). Il ciambellotto è una tela fatta di pelo di capra. 8. tinello: la stanza dove mangiano i piccoli cortigiani della Corte papale. 9. cocozza: testa (anche cocuzza e cocuzzolo), in relazione con cocozza, «zucca•· Testo I 538 cacozza.

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è imbelettato del giocondo de la Letizia. Ella che sa tutte le fogge

de l'umiliarsi, esalta, accresce, onora ed ammira i modi de la Corte, e compiacendole è da lei abbracciata, premiata ed inalzata, non senza smania de la gaglioffa Invidia che, ritiratasi in un canto sospirando, attosca fino a le mura col bieco degli sguardi; stassi con seco lo scellerato de la Bugia, che, mentendo sempre di ciò che ella afferma, cela l'Inganno ne le parole e nel giuramento; eccoti l'Avarizia, buona memoria, che mettendo la Carestia in ciò che la mira, in ciò che pensa ed in ciò che parla ed in ciò che tocca, raccolta ne l'istessa miseria, impoverisce, ruba ed affama; intanto la Ingratitudine vigliacca con la cèra' asinina calcitra inverso i benemeriti. COCCIO. Poeta nascitur et orator fit. 2 Ah! Eccovi nel discorrere di costui il medollo del morale de la nativa filosofia. Altro è l'orazione che circonstanzia de le sue parti; vorrei sapere da chi insegna cotal mestiero tosto che s'impara che cosa è esordio, argomentazione, narrazione, confutazione, epilogazione,3 ciò che ci dirà poi dentro. Il Pordenone,4 pittore eccellente, voltatosi a un goffo che apponeva al corto di non so che figure, allegando che gli antichi, se bene le naturali sono di nove teste, le facevano di più di dieci, 5 per crescergli vaghezza con lo svelto, disse: - Voi che avete l'arciproporzione ne le misure, disegnatemi un zugo ;6 non basta il sapere, né il dire, bisogna fare. DOLCB. Se si negasse ch'un uomo non possa essere dotto senza precettore, i contadini se ne appellarebbero, perché essi sono tutti Gaurichi, 7 ed è chiaro che, dove non è concetto di natura, non è senso d'arte. PICCARDO. Come io ho fornito di confabulare, inghirlandatemi

la cèra : il volto. 2. Poeta ••• fit: «Poeta si nasce e oratore si diventa •· Famosa definizione latina (più precisamente: «Orator fit, poetn nascitur»), connessa con la retorica antica. 3. esordio •• • epilogazione: clementi della tradizione oratoria classica canonizzata soprattutto nel De oratore di Cicerone. 4. Porde,rone: Giovanni Antonio de' Sacchis o Sacchiense (nato a Pordenone nel 1484 circa e morto a Ferrara nel 1539). Il testo del 1538 dà Pordono11e. È lodato nella Cortigiana (a. III, se. 7 1). 5. se bene • •• dieci: si allude a un canone artistico dell'antichità classica. Cfr. Vitruvio, 111, I, 2. 6. un ::ugo: uno sciocco, o meglio un e minchione•· Cfr. Dialogo nel quale ecc., nota 4 a p. 388. 7. Gaurichi: si allude all'astrologo Luca Gaurico che l'Aretino, col nome di Garico strolaga in bocca della Comare, menziona nel Dialogo nel quale ecc. (cfr. la nota 9 a pp. 365-6). 1.

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con le foglie di quella :ficaia là, poi che sono filosomo 1 e non l'ho mai saputo; ma è ben bue, è ben bufolo, è ben babbuasso chi non diventa di ventiquattro carati in Corte, nido de la superbia che tronfia e gonfia, pesando e misurando i passi, non degna il guardo se non a chi se gli inginocchia. DOLCE. Voi vedete, misser Francesco, la qualità degli intertenitori de la Corte, si che potete eleggervi un vivere felice fra sl eletta . compagnia. Coccio. Chi ha paura dei volti non ha viso. PICCARDO. Potrebbe essere che i diavoli non hanno sì brutte le cere come si dipingono, ma non sarà giarnai che gli andari de la Corte non siano peggio che non si racconta. DOLCE. Il sozio2 qui, non io, è eretico circa ciò. Coccio. Non già. PICCARDO. Tenete per fermo che ci si muore o santo, o disperato; né ermo, né bosco, né caverna, né tomba, né cilizio, né di-sciplina, né digiuno, né orazione, né penitenzia sia pur quanto si voglia orrida, aspra, profonda, scura, pungente, cruda, lunga, di-vota e bestiale non aggiugne a3 la metà de le sue maladizioni. Se il demonio, quando Giobbe si faceva beffe di lui, lo conduceva in Corte, si disperava di primo volo; chi vuole la man dritta4 da Ila-rione5 e dagli altri padri romiti vada a la Corte, perché chi ci sta e non crepa, salV1JS est. DOLCE. Ella è cosi. PICCARDO. Se non fossero le ostinazioni de la speranzaccia, morta di fame, le cui lusinghe mai non si staccano da le orecchie dei meschini, 6 si farebbe una crociata solamente di cortigiani rinegati, che altro saria che giannizzari, sangiacchi e bascià,7 ed anche 1.filosomo: deformazione per «filosofo». 2. sozio: socio (compagno). 3. aggiugne a: raggiunge. 4. [a man dritta: la mano che salva, cioè un aiuto. 5. Sant'llarione (291-371). A lui si deve l'organizzazione della vita monastica in Palestina. Era di Tabatha (Gaza). Qui è citato simbolicamente. 6. meschini: nel senso originario di «servi n (in arabo). 7. gia11nizzari .•• bascià: giannizzeri ( (( nuova milizia n, in turco: cioè, in origine, cristiani rinnegati e forzati dai sultani a combattere), sangiacchi (in turco: sa11dgiak, a capo dell'antica circoscrizione amministrativa turca sangiaccato), pascià (padiscià o bascià: grandi funzionari dell'antica Turchia, fra cui celebri sono le cariche di vizir, «ministro», e di gran vizir, a primo ministro» o e gran cancelliere n con diritto al titolo di altezza). Si può ricordare, per curiosità, che si chiamavano giannizzeri nella Curia romana i revisori e correttori delle bolle del papa.

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da lor medesimi se ne impiccariano, se ne trarrebbero da le finestre, se ne amazzarebbero e se ne avelenariano le centinaia. Sappiate che la ragione ha il torto a castigare altrui con le prigioni, con la corda, con le galee, con le forche, col fuoco, con le tanaglie, con la manaia e con le ruote, perché in un batter d'occhio si levano dinanzi al tormento; confininsi in Corte e saranno puniti dal perpetuo martiro di mille croci, né si dubiti che l'infamia di chi ci sta non sia la miteraI di chi non se ne parte. Coccro. Squinternatene ogni partita, fino che mi tocca a dirne quello ch'io ne veggo, con quello che n'ho sentito. PICCARDO. Sarà buono che cominciate voi, che sète dottore. Coccro. Seguitate pur voi, che sète prelato. DOLCE. Usciamo de le digressioni. PICCARDO. Ecco a la Corte fanciulli e giovani, i quali allettati da la vanità de la sua prospettiva, le corrono in grembo a la sbracata.2 DOLCE. Voi avete dato di becco a una viva comparazione, perché io non la saprei somigliare se non a la prospettiva, e chi le sta lontano discerne ne la sua magna apparenza infino a Cardinalia queque :3 accostandotele poi, non vedi più le colonne, i cornicioni, i fregi, gli architravi e l'altre grandezze de Pedificio, ma una macchia di chiaro e d'oscuro, ed un contermine di linee corrispondenti al punto di cotale arte. PICCARDO. Tu dinsti. 4 Se ne va in Corte un fanciullo simile a una perla nel bambagio,5 ornato di grazia, pieno di gentilezze e sempliciotto, tutto modestia e tutto purità, con i suoi vestimenti doppi ed ùgnoli, 6 secondo che la facultà e la magnificienza del padre comporta, e, salendo le scale, chi lo squadra di dietro e chi lo squadra dinanzi, ed egli ne la inocenzia nativa pare un agnusdeo.7 I. mitera: mitria. Cfr. la nota a p. 353. 2. a la sbracata: espressione non registrata dalla Crusca; equivale all'avverbio sbracatamente: «spensieratamente D. Anche sbracato, «senza brache 11, è usato figuratamente («sbracata vita D è in una lettera di Annibal Caro). 3. Cardinalia queq11e: « tutti gli elementi architettonici principali D, con peroclico riferimento a quei personaggi tanto determinanti in una Corte. 4. Tu dixisti: in relazione all'ipse dixit riferito ad Aristotele. 5. bambagia: bambagia. (La Crusca registra tanto bambagia quanto bambagia come «cotone filato•• e quindi «bambagino », come cr tela fatta di fil di bambagia». Modernamente - e cosi nel RIGUTINI-FANFANI - si ha anche bambagi,ia). 6. ùgnali: semplici. 7. un agnusdeo: un candido agnellino.

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Mi par vedere un'anima che scesa dal cielo viene a imprigionarsi dentro al muro de la carne, onde si smentica le intelligenzie di vine nel recarsi in memoria le terrene. PICCARDO. Dico che egli, fatto rosso da la nobiltà de la vergogna, timido e pauroso, bascia la mano del nuovo padrone, il quale, datogli un'occhiatina sotto coperta, lo ricoglie con due risa mascoline, e, venutogli a noia in tre dì, è dedicato al vòtare dei cessi, al brunire1 degli orinali, a lo accendere de le candele, a lo spazzare de le camere ed a lo sponsalizio dei cuochi e dei canovai,2 la bontà dei quali lo ricama e trapugne di lebra e di mal francioso; in questo mezzo le camisce sudice non se gli imbucatano, 3 le calze stracciate non se gli acconciano, le scarpe rotte non se gli rinuovano, ed il capo lendinoso4 non se gli lava, onde il tanfo del lezzo che amorbaria dieci stufe5 fa segno col molesto del suo odore che la pidocchieria va in corso, ed il buon putto, tacendosi e ristringendosi, non è differente da un pomo che, gittato via con due fitte di denti suso, se lo mangiano le mosche. Coccio. Che ne direbbe un frate, dicendone ciò un prete? DOLCE. Il rispetto non torce gli uomini diritti. PICCARDO. Torniamo al garzoncello; egli, tolto di collo ai vezzi e posto in braccio a la crudeltà, divorandolo il disagio e la maninconia, gittatosi i costumi e le delicatezze dietro le spalle, in un soffio si fa tale che, guardandosi ne lo specchio, non riconosce sé stesso, perciò che il tempo che invecchia i cortigiani è di peggiore spezie che quello che logora chi non è cortigiano. Coccio. Adunque la natura ha un tempo in campo e l'altro in chiesa? DOLCE. E forse anche. PICCARDO. Messer Ludovico, il tempo ch'io dico è tanto più presto del tempo che intende egli, quanto è più veloce il barbaro6 che Io stallone, e con la perversità che un governatore di Romagna ed un vecelegato de la Marca stangheggia i popoli per iscorticargli, si esercita sopra gli anni7 dei predetti sventurati. DOLCE.

brunire: pulire (nel senso di dare il lustro, pulire alla perfezione). canovai: cantinieri. 3. imbucatano: lavano (cioè II imbiancano »; ma ~ detto - come avverte la Crusca - solo dei panni lini). 4. lendinoso: sporco di uova di pidocchi. 5. stufe: cfr. la nota 7 a p. 187. 6. barbaro: cavallo da corsa. 7. sopra gli a11ni: sulla vita. (Il Battelli dà il testo sopra gli animi). 1.

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DOLCE. Il tempo ordinario è signore dei nostri giorni, e Io straordinario tiranno dei lor di. COCCIO. Di bel punto. PICCARDO. Che sia il vero, noi vediamo in Corte i fanciulli barbuti ed i giovani canuti; io voglio essere castrato, nonché lapidato, se la Venere di Belvedere1 (non vo' dire l'Apollo) si conduce in palazzo2 col darle il nome di sua servitrice, non mette la barba in tre ore. DOLCE. Non me 'l giurate. Coccio. Mattelica, 3 diocesi della Signoria Vostra, si raccomanda a Quella. 4 PICCARDO. Ella mi è per ricomandata, come anche voi, stando ne l'albagia de le Corti, sète per ricomandato a le sue ciance, a le sue lunghezze, 5 a le sue facchinerie6 ed al suo strano appetito, il quale tosto che vede uno senza veste, senza crianza, senza cognome, senza grazia, senza previlegio, lo fa monarca del gusto, del tatto, del viso, del pensiero, de l'imaginazione, de le visioni, del fare, del dire, de l'andare e de lo star suo, ed egli, presane la possessione, signoreggia con tanta insolenzia che non pure il popolo minuto, ma le camere, le stalle, le dispense e le cocine non lo possono sofferire; il furfante con la sua arroganza dà legge, rabuffa e discaccia; e ciò sarebbe una ventura se le bagasce ed i ganimedi' che egli tiene non . . . . s1 avess1no a nvenre. DOLCE. Ho sempre inteso che la Corte è saccomanata8 da cotali ribaldoni, e le fedi, le virtù, gli ingegni, le dottrine, le nobiltà ed i meriti sono predominati dal villano, dal ritroso, da l'ostinato, dal disonesto, dal rigido, dal crudele, dal bugiardo dei si fatti. Coccio. Èccene più? PICCARDO. Partisi un giovane da la comodità, da la facultade e da la patria, e tutto delicato e tutto gentile trotta in Corte, il suo ronzino guarnito, il suo saio di velluto, venticinque ducati in borsa, la medaglia9 ne la berretta, il catenina al collo, l'anello in dito, il I. Belvedere: famoso giardino vaticano: la statua più famosa è quella del!' Apollo, subito dopo citata. 2. palazzo: il Vaticano (con la Corte pontificia). 3. Mattelica: oggi Matelica. È nelle Marche, presso Macerata. 4. a Quella: cioè a Lei. s. lu11ghezze: lungaggini. 6. / acchinerie: letteralmente « fatiche da facchino» (senza che vi sia estraneo un significato deteriore dal francese f aquin, «cialtrone», e anche I mascalzone•, conservato nel siciliano faccliino). 7. ganimedi: nel senso che è specifico sotto la penna dell'Aretino, come cinedi. 8. saccomanata: saccheggiata. 9. medaglia: con cui si ornavano le berrette. Alcune di queste medaglie erano dovute a insigni artisti.

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paggio apresso e, perché si diletta di cacce, s'intende di falconi, giuoca di scrima, balla, suona, smusica a libro, 1 è di persona destra e d'aspetto signorile, muove a compassione quei pochi buoni che sono ne la Corte, non altrimenti che muova a pietà la gente colui che splendidamente e graziosamente comparisce ne lo steccato/i ne lo spazio del quale tradendolo la sorte, in meno che non lo dico, resta morto. DOLCE. Me lo par vedere. PICCARDO. Dove era io? CoccIO. Al giovane profumato, comparito in Corte. PICCARDO. Il disgraziato, allegro di ciò che dovria piagnere, è accettato, messo in ruoto lo, 3 consegnatogli una mezza stanzetta, un bocconcino di stalla, e tinello per una natica; ma egli che è uso a mangiare a scotto, a dormir solo e a dare de le provende al destriero, torce il grifo, borbotta, passeggia, si morde il dito, si gratta il capo, sospira, maladicendo chi mai ne fece motto: e chi lo vedesse raggirare, vedrebbe, questo e quello sfratatosi e fattosi frate, l'uno assalito da tutti i rimproveri de la vergogna e l'altro da tutti i ramarichi del pentimento. Egli si pone a tavola e, guardato il tondo, mezzo di vacca invisibile,4 mastica pane e sputaccio, e nel porre le labbra a la tazza di stagno abboccato dal vulgo, bee senza bere, perché lo schifo del vaso e l'odore de la vineca 5 torrebbe la sete a la scalmana,6 fornendosi di consumare nel ricordarsi degli intingoletti e dei vini casalenghi, onde si truova ne lo stato di chi ha la febbre calda, che non lascia fonte che non ci tuffi dentro la fantasia de lo abbeverarcisi. Vassene a la stalla e trova il cavallo col muso in suso, in foggia di poeta che pesca i versi ne l'aria, chiama il famiglio che, ramentandosi l'alzare del fianco sul fondo de la botte, non pare più desso; vien poi che si colca ne l'ora stradebita, ché a la debita non si colcò mai cortigiano alcuno, né potendo patire il compagno che non conosce, né il duro del matarazzo, né il pungente de le lenzuola, né il ruvido de la coperta, dormito un pezzo desto, si leva con il cancaro che mangi le Corti, chi ci sta, chi 1. a libro: cioè con le note segnate. 2. Piazza o luogo chiuso da steccato, dove si facevano tornei, duelli e combattimenti. 3. in ruotalo: nell'elenco (dei cortigiani al servizio del papa). Letteralmente ruoto/o o rotolo è il 1 volume», il «registro». Si ricordino i rotuli delle antiche «condotte» e i moderni I ruoli». 4. il tondo •.• invisibile: «il piatto appena per metà coperto da una sottilissima fetta di lesso» (Battelli). 5. tJÌneca: forse «residuo di vino». 6. scalmana: febbre.

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le brama, chi ne fu inventore, chi le mantiene, chi le serve e chi non l'abruscia; e parendogli che i danari tratti del grano patrimoniale siano tesori, comincia a mandare a l' ostaria; ma, essendo più potente la spesa che la borsa, vende le spoglie paterne ed i trofei materni, intertenendo meglio che può il cavallo, che, sferrato e spelato, in un tratto si congratula con quello de la Morte,1 e non lo vende, ché non merta il pregio a comperarlo. Intanto l'amico, che si credeva che i suoi saltetti ed il suo adimandar pietà in solfa, con il resto de le sue merde, lo facessero tenere a destram patris,2 ponendo giuso la bravura de l' « lo me ne voglio andare» e de lo« Io posso starmi al par d'un altro», con l'aggiunta de lo «Io ne incaco il mondo», dimesticatosi a poco a poco, s'aviene che sia lontano da la mangiatoia, tosto che sente le campanelle,3 nunzie de la sazietà de la fame, lasciatosi cadere di bocca il ragionamento preso, come fosse un boccone caldo, messasi la via fra le gambe, simiglia una staffetta pedestre, e, non giugnendo a otta,4 non saria bono a fargli dare la sua parte la Corte propria; e tutto saria niente se il padrone, che gongola de lo stentare d'ognuno, gli desse un ghigno la settimana. DOLCE. Ghigno, ah? Coccio. Se la Corte fosse l'esempio di quel baccano5 di già, non ne dovereste dire ciò che ne dite. PICCARDO. O Id dio, perché la menzogna non è verità? perché non è ella Dio ? Coccio. Che sarebbe poi? PICCARDO. Saria che il vero, che è un serpente schifato da ognuno, diventerebbe bugia, che è mandragola donneata6 da tutti. DOLCE. Chi sa mentire sa regnare, e chi noi fa non ha. PICCARDO. Or fosse egli ch'io tramentissi per l'arcicanna di mille gole, fusse pure che 'l mio evangelizzare intoppasse ne l'apposito, ché or ora caminarei, galopparci, correrei e volarci a diventare guattaro dei guattari de la Corte; se ella si fa mai il roverscio di 1. quello de la Morte: il cavallo tradizionale dei Novissimi e delle raffigurazioni artistiche (per la danza dei morti ecc., soprattutto nel Tre e nel Quattrocento). 2. a destram patris: cfr. Dialogo 11el quale ecc. (nota 6 a p. 356). 3. campanelle: con cui i cortigiani minori son chiamati a mangiare nel tinello a loro riservato. 4. a otta: a tempo. 5. baccano: luogo di perdizione (per vita di meretricio e simili) con vocabolo in uso in tal senso nel Cinquecento, e registrato dalla Crusca. 6. donneata: corteggiata.

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sé stessa, 1 voglio che l'Ognisanti2 mi consegni la mia parte del paradiso in Corte. Coccio. Sustine et abstine3 è l'incanto che la trasforma nel celi celorum che voi desiderate. DOLCE. La magica4 sola è atta a fare che la vi si mandi buona. PICCARDO. lo la scargaglio, 5 sì come in Corte s'invecchia col tempo d'un altro tempo, cosi ci si amala con l'infirmità d'un'altra infermità, e ci si muore con la morte d'un'altra morte. Coccio. Voi sète spiritato. DOLCE. Spiritato ? PICCARDO. Io ve lo pruovo con que' paracismi6 secreti, con quelle ambastie occulte, con quei colici7 incogniti, con quelle doglie mute, con quelle asime ascose e con quegli sparapetti8 taciti, causati dal riscaldarsi e dal raffreddarsi nel viaggio che fa il core mentre vede salire in catedra M oysi 9 la poltroneria d'ogni musico musicorum, disse la Nanna: 10 il IVIacerata che ci levò dinanzi Adriano, u ed il Corte12 che mandò a porta in1. si. fa ••. stessa: per un significato erotico cfr. il Dialogo nel quale ecc., p. 257 e la nota 5 ivi. 2. l'Ognisanti: cioè Dio. 3. Sustine et abstine: a sopporta e astienti », massima della filosofia stoica. La formula latina volgarizzò il pensiero espresso dal filosofo di origine greca Epitteto (secolo I d. C.), autore del famoso Manuale. 4. magica (sottinteso arte): magia. 5. scargaglio: «faccio palese» (Battelli). 6. paracismi: parossismi. 7. colici: sta certo per coliche. (La Crusca registra colico, solo come 1Colui, che ha la colica»). 8. asime: asme; sparapetti: crepacuore. 9. in ... Moysi: «sulla cattedra di Mosè» (cioè ad alte cariche ecclesiastiche). 10. musico • .• Nanna: si veda un preciso riferimento del Dialogo nel quale ecc. (qui addietro nota 6 a p. 217). I 1. il Macerata . .• Adriano: non comprendiamo a quale medico curante di papa Adriano VI si alluda. LoRENzo GuALINO, Storia medica dei romani pontefici (Torino, Edizioni Minerva Medica, 1934), parla della malattia e della morte del papa fiammingo alle pp. 225-7 (con documentazione alle pp. 250-1), e fa presente che erano state fatte lodi all'archiatro Giovanni Antracino, non senza che alla morte del pontefice alcuni burloni pasquineggiassero con la significativa scritta: «Liberatori Patriae S.P.Q.R. 11. 12. Corte: Si tratta di Matteo Corti, medico personale di papa Clemente VII. Si veda GuALINO, op. cit., alle pp. 165-6: cr •.. in mancanza di più sicuri indizi, dell'infausto evento s'incolparono i medici curanti, fra loro sicut Casandrae contendenti; s'incolpò soprattutti il galenico Matteo Corti, sia ch'egli invertisse le radicate consuetudini del Santo Padre prescrivendogli una cena più lauta del desinare, sia che gli propinasse una pillola di rabarbaro proprio quando l'infermo rinsaniva in virtù della quinta essenza per Lui da un certo frate di San Grisogono appositamente lambiccata. E la mozza statua deU-implacabile Pasquino echeggiava pur essa a questa micidiale imperizia del disgraziato sanitario: Curzio uccise Clemente; a lui dovute / Son ricche ojferte, a

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/eri' Clemente,2 con i reci.pi3 di tutte le spezierie di levante, non gliene fariano vomitare, né digestire una. Intanto si basisce. DOLCE. Che vi pare? Coccio. Quello che non pare a voi. PICCARDO. Ad rem nostram.4 Eccoti spuntare in Corte uno dipinto di scienze, come l'arcobaleno di colori, che certo certo smaniava se non alleggeriva il grave de le sue sapienzie, con l'averlo stoppato di5 chi gli dà ricapito, e perché la Corte, che non intende un'acca, vuole essere da più che la Bibbia, nel patteggiar seco mette in sui capitoli la tavola reverendissima, la sua parte in cella, trecento scudi di beneficii primi vacanti, la provisione che corra,6 cavalcare se gli piace, e simili ingannuzzi, onde è il primo giorno di doppioni, il secondo di ducati, il terzo di giuli, il quarto di grossi, il quinto di baiocchi, il sesto di soldi, il settimo di quattrini e l'ultimo di piccioli.' Coccio. Eccolo disgradato. DOLCE. Egli disgrada coi detti, e la Corte coi fatti. PICCARDO. Che direste vedendolo zimbello dei palafrenieri e d'ogni ciurmaglia? Che chiacchiarareste vedendo8 nel chieder bere, mangiando con Sua Signoria, temperarsigli il vino con l'acqua calda, con la derrata d'una coperta coi manichi, che lo balza9 fino al cielo? Coccro. Essi veggano10 a chi lo fanno. DOLCE. Anzi, nol veggano, o per dir meglio non lo vogliono vedere. PICCARDO. Un certo Urbinate, nigromante filosofico, fratello in Cristo de la Corte, allora che si stimava che lo facesse canonizzare per uffiziale, lo pose nel catalogo dei pazzi, menandolo in publico con un tappeto adosso in foggia di sbemia. u Io ho veduto in castello, 12 giù dal pozzo, mangiandoci Leone, 13 essere dato a un monsignore da una persona dotta un memoriale, perché rammentasse non so che servigio a Sua Santità, ed egli, lettolo, fingendo metterlui che ci diè in do110 / La pubblica salrlte ». (Si vedano sul Corti, alla p. 202, alcune note illustrative da relazioni di ambasciatori mantovani del 1534). 1. a porta inferi: all'aldilà. Cfr. la nota 1 a p. u3. 2. Clemente: Clemente VII. 3. recipi: ricette. (Recipi è plurale popolare da recipe, imperativo latino nel valore di «prendi»). 4. Ad rem nostram: «veniamo al nostro argomento». 5. cotz l'averlo stoppato di: per il fatto che gli vien tenuto in non cale da parte di ecc. 6. co"a: sia regolarmente pagata. 7. piccioli: cfr. la nota 7 a p. 358. 8. vedendo: vedendolo. 9. balza: cfr. la nota 4 a p. 336. 1o. veggano: vedono. 11. sbernia: bernia, veste di donna a guisa di mantello, usanza dismessa. Anche il Bemi venne satiricamente chiamato Sbernia, pure dall'Aretino, suo acre nenùco. 12. castello: Castel Sant'Angelo. 13. Leone: Leone X.

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gli la mano in sulla spalla, gliene appiccò dietro con la cera che lo suggellava. Fu forse ciancia il dare al Barignano, 1 uomo onestissimo e di gran faina, dopo il rimanere stroppiato nel correre le poste per la Corte, dieci fiorini di pensione, non sapendo, né potendo vituperarlo con altro? La Corte, recatosi in dispetto il Sarafino,2 in quel tempo d'ingegno, di maniera e di discrezion rara, amato in Roma, desiderato in Italia e laudato dai dotti, gli antiponeva un cane al quale mangiando faceva far luogo, comandandogneli col cenno, e spregiando il suo comporre ed il suo cantare, non consenti va che egli, poco meno che in camiscia, stesse con la infinità dei principi che lo chiamavano. Il Pistoia3 ancora nol vantaggiava di troppo; io non mi intendo di versi, ma dice chi n'ha pratica che l'uno che componeva sopra una mosca, sopra una lettera, sopra una maniglia e sopra ogni impresa ebbe facilità ed invenzione, e l'altro arguzia e prontezza, ma un carlino non mai; e ciò dicano i sonetti contra tinelli, camere locande e letti a vettura.4 DOLCE. Una de le nocive virtù che abbia chi va in Corte, è la poesia, la cui vanità è come l'ariento vivo, che non può star ferma, onde l'intelletto, vago di spregnarsi dei suoi concetti, canta a la spiegata. PICCARDO. Solo i poeti non arrabbiano in Corte. Coccio. La ragione? PICCARDO. Il potere sfogarsi in leggende lo chiarisce. DOLCE. Chi può dir ciò che vuole, fa quasi quel che gli piace. Coccio. Mi perdoneranno i mirti ed i lauri, essi meritano di andare scalzi ed ignudi, poi che mettano la lingua non in ciò che veggano e odano, ma in quello che gli par vedere e udire. Non può il padrone gittare e donare a suo beneplacito ?5 non può il padrone accarezzare ed esaltare questo e quello? non può il padrone farsi compagno e commensale costui e colui? non può egli trarre un peto e starci ?6 non può egli leggere la Pippa7 ed intitolarla8 l'Uffizio? non può egli pisciare nel letto e dire che è sudato? I. Pietro Barignano: poeta pesarese (bresciano secondo altri) alla Corte papale di Leone X; fu ricordato dall'Ariosto nell'Orlando ju,·ioso (XLVI, 16, 7-8). 2. Sarafino: Serafino Aquilano. Cfr. la nota 9 a p. 277. 3. Il Pistoia: Antonio Cammelli detto il Pistoia dal luogo di origine (1436-1502): uno dei migliori poeti giocosi del suo tempo. Alcuni dei componimenti suoi mostrano le misere condizioni in cui visse. 4. camere ••. vettura: camere e letti in affitto. 5. Non •.• beneplacito: eco di Matth., 20, 15 (parabola dei vignaiuoli). 6. starci: starne pago. 7. la Pippo: cioè il Dialogo 11el quale la Nanna insegna a la Pippa ecc. (qui addietro, alle pp. 202 sgg.). 8. intitolarla: farla passare per.

RAGIONAMENTO DE LE CORTI

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Chi vi tirasse un poco suso, confessareste in che modo avete trafugato de !'unghie a la Corte l'entrata, di che godendone ne la incacate. PICCARDO. Che ben ch'io viva, di mille un ne scampa. DOLCE. A la condizione dei voti esauditi e non esauditi, sono quegli che ne grappano la pagnotta. Coccro. Vi paiano pagnotte i gradi di tanti uomini egregi che risplendano ne la congregazione ecclesiastica con terrore del Concilio; parvi che la Corte che li ha sollevati sappia far ricapito dei buoni? parvi che la Corte in avergli raccolti sappia eleggere i saputi? parvi che la Corte in avergli onorati sappia glorificare la religione? DOLCE. I voti dico. PICCARDO. Non vi riscaldate nel dire, ché tutto vi si cede, ed i prefati personaggi sono vasi di elezione1 dopo l'Apostolo a Corintios, ma rimirategli dietro e vedretene dodicimilia segnati2 di scienza, di continenza e di conscienza, i quali non cercano sottane di tabl3 e soprane4 di ciambellotto, essi porgano suppliche per impetrare vitu et vestitu, s né ci è chi gli ascolti, né chi gli metta inanzi, né chi gli voglia guardare, e patta che me la farete appiccare, è egli de iure canonico che il Bembo,6 vecchio venerabile, uomo gentile ed ingegno glorioso, indugi a fare perfetto il numero dei Contarini, 7 dei Sadoleti,8 dei Brindizi, 9 dei Monti,1° dei Simonetti e dei Ranaldi? 11 dove è la pari bontà, dove è la simile virtù, dove è la uguale prudenza? Coccio. Taccio a cotesto essempio. DOLCE. La Corte facendolo guadagnarebbe assai. vasi di elezione: come san Paolo (cfr. Act., 9, 15), il cui nome è poi fatto attraverso l'intestazione delle sue due lettere ad Corinthios 2. dodicimilia segnati: è ovvio il riferimento all'Apocalissi, 7, 5-8. 3. tabi: specie di stoffa non specificata dalla Crusca (che solo dice « Sorta di drappo, con esempi dal Varchi, dai Canti can,ascialeschi e dal Malmantile racquistato del Lippi). 4. soprane: sopravvesti (in relazione al precedente sottane). Soprano e sottano sono regolari termini di Crusca. 5. vitu et vestitu: «(con) il vitto e il vestito». (Victu e non vittl si dovrebbe dire in latino). 6. Pietr0Bembo(14701547) era stato segretario di Leone X; dal 1529 storiografo di Venezia e bibliotecario di San Marco, cardinale solo dal 1539. 7. Gasparo Contarini (1483-1542), dal 1535 cardinale e vescovo: nel 1541 fu legato pontificio alla dieta di Ratisbona. 8. Sadoleti: Iacopo Sadoleto (1477-1547), vescovo di Carpentras e dal 1536 cardinale e diplomatico. 9. Brindizi: non comprendiamo a chi si alluda. (Battelli scrive: Brandfai). 10. Monti: non sappiamo a chi si riferisca l'allusione. Forse essa riguarda il cardinale Giovan Maria de' Ciocchi, detto del Monte (1487-1555), che poi fu papa nel 1550 col nome di Giulio III e diede all'Aretino il titolo di cavaliere di San Pietro (e forse a lui fece balenare la speranza della nomina a cardinale). 1 r. Certamente il fanese Cesare Simonetti, madrigalista al pari del Ranaldi, il bolognese Cesare Rinaldi. I.

PIETRO ARETINO

Sia pure che ella ci cavi la lingua con una cosa cosi ben fattal Coccio. Io l'ho pescato: il Guidiccione, 1 vescovo di Fossombrone, non è poeta elegante? E Sebastiano, frate dal piombo,z non è pittore eccellente ? DOLCE. Un bel premio per mia fé hanno da la Corte le virtù di sì ottima persona e la servitù di quaranta anni del zio: per le quali cose il cappello gli sarebbe si può dire ingratitudine, e fra' Sebastiano, mettendo il suo stato a la ventura, ha colto ne la benefiziata: or vedete che diavoleria è l'aspettare d'essere quell'uno fra cotanta moltitudine. PICCARDO. Egli se ne va, preso a le grida. Coccio. Io da che nacqui ho sempre inteso che la Corte è figura 3 de la Fortuna; perciò non ha contrasto, ella abbraccia nobili e plebei, dotti ed ignoranti, Italiani e Francesi, Tedeschi e Spagnuoli, né fu mai niuno che non ci vivesse, un poco meglio o un poco peggio non importa, e come a la fonte del battesimo ciascuno piglia il nome, cosi al fiume de la Corte ognuno acquista la fama, ed i litterati, gli scultori, i musici, i cortesi ed i faceti che non ci sono stati, paiano bravi4 che mai non viddero la guerra. Michelangelo,5 bontà de la Corte, ha dato la immortalità a le pitture di Capella, 6 onde il miracoloso del saper suo dispera la natura ed innanimisce l'arte; Raffaello,' mercé de la Corte, essercitò il mirabile del suo stile ne le istorie de le sue sale, de le sue camere e de le sue logge. Quante ville, quante castella, quante terre, quante città e quante province ha illustrate la Corte! Quanti sangui, quante case e quante PICCARDO.

I. Guidiccione: monsignor Giovanni Guidiccioni di Lucca (r500-1541), vescovo di Fossombrone; famoso come petrarchista. 2. Sebastiano ••. piombo: più volte ricordato dall'Aretino, sia nella sua qualità di «piombatore• delle bolle papali, sia come pittore. Cfr. la nota 3 a p. 387. 3. figu,-a: raffigurazione (simbolo). 4. bravi: nel senso generico di «soldati». 5. Miche~ /angelo: allo scopo di illustrare con opportuni riferimenti il mondo culturale dell'Aretino e il suo interesse vivacissimo per le arti figurative si tengano presenti, oltre le varie opere, le diverse testimonianze di lui raccolte nelle Lettere sull'arte di Pietro Aretino, commentate da Fidenzio Pertile e rivedute da Carlo Cordié, a cura di Ettore Camesasca (Milano, Edizioni del Milione, 1957-1960, collana «Vite lettere testimonianze di artisti italiani», 3, in tre volumi, di cui l'ultimo in due tomi). Si noti come l'Aretino nei confronti dello stesso Michelangelo (che aveva ben altro in testa che seguire i suoi consigli e tanto meno di rispondere alle sue osservazioni e richieste) si mostri a volte interessato, e quindi impudente e sfacciato in vari casi. 6. Cape/la: la Cappella Sistina. 7. Raffaello Sanzio, qui con speciale riferimento (da parte dell'Aretino) per l'opera del pittore in Vaticano.

RAGIONAMENTO DE LE CORTI

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famiglie ha ella ornate di cognome, di degnità e di rendite I Come averiano fatto gli avoli, i zii, i padri, le madri, le sorelle, i frategli, i figliuoli, i nepoti, i cugini, i parenti e gli amici altrui, se la Corte non gli faceva ufficiali, piovani, abbati, canonici, decani, arcipreti, protonotari, vescovi, arcivescovi, patriarchi, cardinali e papi? PICCARDO. Memori·a locanda. 1 Coccio. Ella fa cavalieri, signori, conti, marchesi, principi, duchi e gonfalonieri, ed imparenta le sue fatture con gli imperadori e coi re, ella clarifica la fede, inalza il battesimo e riverisce il sacramento, crea santi, publica beati, ed accresce i tempii. Ella è a simiglianza del sole e de la luna i cui raggi ed i cui lumi si dilatano in ogni generazione; sl che, messer mio, non la vogliate trafiggere a petizione d'alcune civettine, di meno levata che un grillo, ch'altro non sanno fare che pettinare barbe, arricciare capegli, trovare fogge, passeggiare in contrapunto,2 dimenar capi, cavalcare in isquadra e formare inchini; niuno uomo da bene doveria servirsi di famigli che dicano male del padrone dal quale si partano, ed anco i frati, che non ricusano alcuno, farebbono il lor debito a non accettare cortigiani scortigianati, perché diranno di loro peggio che de la Corte. Parlate adesso voi. [•..]3 Memoria locanda: forse per memoriae locanda, «da affidare alla memoria». i11 contrapunto: a passettini. 3. La prima parte del Ragionamento de le Corti continua con molte informazioni sulla vita del Rinascimento: accanto alla gloria delle lettere e delle arti sono messi in evidenza le invidie, i rancori e gli odi dei cortigiani. Con speciale riguardo la Corte pontificia è esaminata nei suoi difetti a cominciare da quelli del papa (ad esempio, Leone X, che si diverte coi suoi buffoni a deridere personaggi e studiosi). La parte prima tennina con un'osservazione del Dolce: che bisogna darsi alla vita della scienza e del bello anche se con sacrifici che solo il Cielo saprà riconoscere. La seconda parte, che ha per interlocutori il Giustiniano, il Coccio e il Dolce, mostra una volta di più lo splendore ingannevole delle Corti e invita ad ammirare l'onestà e la schiettezza di artisti e letterati che perseguono un loro sogno. La fortuna, che si può ottenere in una Corte, ha per contrappeso anche la disgrazia; e qui l'Aretino, per motivi personali, denunzia i vizi della Corte pontificia a lui ben noti. Non inventa i particolari, ma li divulga con vivacità e ardire, fino a suscitare scandalo nel lettore. Il Coccio si convince, davanti a fatti cosi evidenti, che il voler entrare, dopo tanti studi e tante meditazioni, nel mondo falso e corruttore d'una Corte, è un vano tentativo di fortuna; anzi, per un carattere onesto, equivale a una strada che conduce alla disgrazia e al «disfavore » dei potenti. Rinuncia quindi al suo primitivo intento, mentre giunge il Marcolino, padrone del giardinetto con l'accenno al quale s'era aperta la prima parte dell'opera. Il Ragio11amento de le Corti si chiude con spirito sereno e si formula la speranza di una vita di lavoro e di onestà, degna di essere premiata dall'Onnipotente. I. 2.

DA «LE CARTE PARLANTI» DIALOGO NEL QUALE SI PARLA DEL GIOCO CON MORALITÀ PIACEVOLE I

[La fortuna. dei tre scolari.] CARTE. 1 [ • • •] Si stavano in Padova tre scolari2 alloggiati insieme, un toscano, un del Regno 3 e un lombardo; e, se mai fu gagliardia di cervelli, quella dei loro fu dessa. PADOVANO. Ella fa grillare4 il mio. CARTE. E, benché la professione di tali fusse diversa, erano sl uguali di volontà e di natura che parevono nati con uno animo solo. PADOVANO. I capricci scolareschi nacquero tutti a un corpo. 5 CARTE. Il napolitano era mandato ..• PADOVANO. Per che? CARTE. Per dar opra a la filosofia. PADOVANO. Il toscano? CARTE. Per attendere a le leggi. PADOVANO. Il lombardo? CARTE. A lo imparare de la medicina. E, per dirtelo, il minor pensiero che avesse la gioventù loro era lo studio di sl fatte novelle. PADOVANO. Qual fu mo' il maggiore? CARTE. Quel di noi Carte. PADOVANO. Ditene dunque bene. CARTE. Se Galeno,6 Aristotele' e Bartolo8 avessero talora inteso ciò che essi dicevano dei libri loro, si sarieno djsperati; e se non che di giorno in giorno se ne prevalevano ai Giudei,9 il fuoco, il destro e la tonnina se ne prevalevano in breve. 10 Le carte da giuoco parlano col Pado'Vano, il cartaro padovano. 2. scolari: dell'Università (il Bò). 3. Regno di Napoli. 4. grillare: ghiribizzare, o piuttosto, qui, esultare. 5. a un corpo: a un parto, assieme. 6. Claudio Galeno (secolo II), di Pergamo: medico che lasciò preziosi dettami in medicina e in filosofia. Ebbe fama durante la peste del 166 in Roma. 7. Aristotele: si tenga conto dell'ambiente padovano e del modo con cui la filosofia aristotelica vi veniva insegnata nel Rinascimento. 8. Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), famoso professore di diritto romano n Bologna, Pisa e Perugia. Da lui ebbe inizio una scuola giuridica che superò appieno quella dei glossatori medievali. 9. Giudei: nel valore tradizionale di prestatori su pegno e usurai. I o. e se non che • .• breve: • e se quotidianamente non ne avessero tratto lucro vendendoli ai Giudei, quei libri sarebbero andati a finire nel fuoco, o nel cesso, o a incartare salumi» (Ferrero); tonnina: salame fatto della schiena del tonno. I.

LE CARTE PARLANTI

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Aspetta i dottori a casa. CARTE. Eglino in men di due mesi si mangiorno, si giocorno, s'impegnorno di sorte che a pena ce ne restò un con tanto di straccio indosso che gli ricopriva le carni. PADOVANO. Me ne sa male. CARTE. Gli altri, isdruscita la coltrece del letto, vendute le camisce, ci si sepellirono dentro, tenendo solamente di fuora il capo. PADOVANO. Ah, ah, ah, ah! CARTE. Intanto il sozio in arnese, come Iddio voleva, con alcuni soldi trafugati di rimbalzo, 1 procacciava pane e speranza a sé e a loro. PADOVANO. Che cosa potevano eglino sperare in cotale stato ? CARTE. Da casa denari, e caldo da la piuma, de la cui minutezza avevano ismollato2 il capo e la barba. PADOVANO. Ah, ah! CARTE. Il bello era che quando agli ignudi veniva il gricciolo 3 d'un pocolin di esercizio, il ratacconatosi suso4 entrava in luogo di colui che, adobbato dei suoi cenci, dava due spasseggiatine tra l'una ora e mezza di notte. PADOVANO. Otta da falliti. 5 CARTE. E cosi a vicenda si stettero incoltrecciati, con la testa fuor del guscio a guisa di tartarughe, fin che la nostra misericorclia6 fece che uno d'essi diè di calcio' ne la ventura di tutti tre. PADOVANO. La veggo riuscir bene. CARTE. Il dottore, il medico e il filosofo in erba, ancora che non avessero altro che il lor poco pensiere, per una certa benivolenzia portataci, tratte fuora le braccia de la penna, al disonore8 del9 freddo che gliene refrustava, 10 e al dispetto del disagio nel quale stavansi, giocavano le belle ore del non niente. PADOVANO.

di rimbalzo: nel valore di «per incidenza» (come è anche registrato dalla Crusca). 2. im,ollato: insaponato (cioè ammollato come si fa coi panni, strofinandoli con sapone: le piume, come scagliette di sapone, stavano sui capelli e sulla barba). Il testo del 1545 dà erroneamente innoltato. 3. gricciolo: capriccio. 4. il ratacconaton suso: chi •s'era coperto alla meglio con qualche straccio• (Ferrero). 5. Otta da falliti: ora da falliti, da gente scioperata, quella di far • due spasseggiatine tra l'una ora e mezza di notte 11 (dopo il tramonto del sole, secondo l'uso di computare il tempo nel Cinquecento e nei secoli seguenti). Così il pubblico non li vede mal conciati. 6. la nostra misericordia: la misericordia che Dio ha di noi. 7. dii di calcio: s'imbatté. 8. al disonore: in barba. 9. del: ed. 1545 e del. 10. che gliene refrostava: che gliele pungeva. (L'immagine del refrustare si trova anche nel Dialogo nel quale ecc.: cfr. qui addietro alla p. 382). 1.

PIETRO ARETINO

PADOVANO. E vanne via n1alinconia. CARTE. Parveci che, in premio di tanta lor fortezza di animo e di corpo, che il toscano studiante1 istendesse il piede, e che razzolando con esso trovasse una certa cosa dura; onde, per non ci aggiugner con mano, tuffatosi dentro al cupo de la coltrece, presa la cosa atastata,2 con uno isbruffare da notatore, spruzzizante stille piumarie, 3 cavb fu ora il grifo, con allegrezza simile a quella di colui che spunta al sommo del pelago con un pesce groppato.4 PADOVANO. Che novelle del Novellinol 5 CARTE. Cinquecento ducati da la navicella con l'arme di Alessandro,6 ingoluppati in un fazzolettaccio, erano nel groppo tolto su da messere. PADOVANO. Cazzical CARTE. La qual cosa vedendo i compagni, non altrimenti che se la state gli fusse comparsa intorno, cosi scalzi e ignudi, con il mezzo vestito, durarono fino a notte di ballare in moresca. 7 PADOVANO. Chi non avrebbe ballato? CARTE. Per quel che si puoté comprendere, i danari furono appiattati in detta coltrece da una vecchia che la fece, la cui decrepitudine, venendo a sbasirla, non lascib testargli ;8 tal che le Lor Reverenzie (eh' erano rovinate, se noi non gli rovinavamo)9 gli ereditorono. PADOVANO. Buon pro'. CARTE. Tosto che gli spettabili viri se ne furono raffazzonati, fecero indorare un paio di carte, e con una lampada accesa di continovo le tenevano in un tabernacolo.

studiante: studente. 2. atastata: che aveva toccato tasteggiando. 3. spruzzizante stille pir,marie: «è immagine giocosa, di schietto gusto aretinesco » (Ferrero, che per spruzzizante osserva che equivale a spruzzicante. "se pure non è da emendare in tal senso 1>: proposta che è degna di riguardo). 4. groppato: «inviluppato. afferrato 11 (Ferrero, che aggiunge: C[Non mi pare necessario emèndare, con l'ediz. 1650. grappato », correzione che, invece, ci sembrerebbe più pertinente al contesto). 5. Novellino: con riferimento alla famosa raccolta medievale (non all'omonima opera di Masuccio Salernitano). 6. Alessandro VI (con riferimento ai ducati d'oro che avevano nel rovescio la simbolica figura di Pietro che. in una navicella. tira a sé le reti). 7. in moresca: con ballo vivacissimo (e anche smodato). 8. la cui ••. testargli: la cui decrepitezza, conducendola a morte, non le concesse di lasciarli per testamento. 9. ch'erano ... rovinavamo: «ch'erano rovinati se noi, col condurli a rovina, non gli avessimo fatto trovare quella fortuna D (Ferrero). I.

LE CARTE PARLANTI II

[Madame d'Étampes alla Corte di Francia.] CARTE. Da che siamo trascorse in Gallia, 1 per esser tutto il suo regno a la divozion nostra, te ne vogliam parlare reverentissimamente. PADOVANO. Che bramo io altro? CARTE. Presupponti che la Corte francesca, in quanto al giuoco, sia la fiera di Lanciano, di Foligno, di Ricanati e di Lione insieme; e aggiugnici anco la piazza giudea2 di Roma, il ghetto di Venezia, con tutti i monti de la pietà de le terre che gli usano, e ogni altro luogo che presta, che mercata e che contratta; né ti pensare che la parola dei mercanti più creduti sia del pregio eh' è quella di coloro che ne la Corte regia giocano in su la fede. PADOVANO. Piacemi che ci sia chi pure vi osservi3 con la dignità che vi si dee. CARTE. Da che la Corte fu Corte, non si udi mai che in lei si facesse mai altra truffa di quella che fece il detto Nicolò, veramente infamia di questa città. PADOVANO. Mi maraviglio che il re, sendo la trama in vergogna del suo dono, non ne facesse dimostrazione. CARTE. Sua lVIaestà non guarda si basso. PADOVANO. Non è anco onesto. CARTE. Non volge tanti danari la Fiandra mercantile, né l'Italia mercantesca, quanti ne volgono in giuoco le signore e monsignori, i quali corteggiano la sua corona; dei gentiluomini tacciamo e dei capitani il medesimo. PADOVANO. Ci si debbono spacciar le carte come le armadure. CARTE. Si certo. PADOVANO. Me ne vado un giorno là. trascorse in Gallia: passate in Francia. (In pagine precedenti il Padovano e le Carte avevano ricordato un fatto clamoroso: che un Niccolò Gadcli aveva barato in Francia moltissimi scudi a Gian Ambrogio degli Eusebi. Costui, • creato II dell'Aretino, era stato inviato al re Francesco I e al cardinale di Lorena per riscuotere 800 scudi promessi allo scrittore, ma. li perse al gioco, specialmente ad opera del baro. L'Aretino, in più lettere a vari personaggi, si dolse amaramente del fatto e non mancò di scagliare contumelie insieme alle sue proteste). 2. piazza giudea: era nei pressi di Campo dei Fiori. 3. vi osservi: vi rispetti. I.

PIETRO ARETINO

CARTE. Che apparenza di celeste divinità, che spettacolo di mirabile gentilezza, che piacere di pura modestia è il mirare con che vaghe maniere, con che innate attitudini e con che alte magnificenzie gioca la eccelsa, la singulare e la immortale Tampes. 1 PADOVANO. Si lauda per una fenice. CARTE. Vaneggiano i lumi dei torchia ripercossi da la luce che folgora d'intorno agli occhi de la inclita madama. PADOVANO. Mi abbagliano fin di qua. CARTE. Il venerabile viso di lei, colorito dal candido del latte e dal vermiglio de le rose, risplende con tanta giocondità di grazia soave che non pur la gente intenta al veder come ella si trastulla nel giocare, ma noi che siamo carte ci perdiamo là dentro. PADOVANO. Io stimo che aviate un gran piacere mentre sentite rimenarvi, palparvi e ispiegarvi da le manine dolci, come belle e bianche, come morbide, di questa madonna e di quella signora. CARTE. I testi3 de le viole di Damasco si risentono al4 lor odore di garofani; i guanti profumati dimostrano d'essere stati fatti tali dal muschio del quale spirano; e anche l'ampollette e le cassettine, benché ne sien vòte, ritengon in sé del fiato de l'ambracane e de la polver de Cipri. 5 PADOVANO. Ne disgrazio6 i discorsi del mio compatriota Titolivio.7 CARTE. Mentre la grandissima e tanto felice quanto formosa donna, tutta astretta e tutta raccolta ne le sue virtù e ne le sue grazie, si vede ne l'esercizio del giuoco, non si desidera altro, né altro s'imagina che di contemplarla giocando. 8 PADOVANO. Fussimo noi da lei. CARTE. Ed è ben degno, da che ella in cotale spazio insegna a chi le sta presso come dee giocare una creatura eletta e una anima santa. PADOVANO. Io la riverisco col pensiero. 1. Tampes: è Madame d'Étampes, di cui parla a lungo nella Vita il Cellini, convinto di averla per nemica nel favore del re Francesco I di Francia. 2. Vaneggiano .•• torchi: perdono d'intensità le luci dei candelabri (il torchio era una «torcia» grossa o fatta di più candele). 3. J testi: i vasi {latinismo). 4. si risentono al: danno sentore del. 5. ambracane . .. Cipri: si veda qui addietro il Ragionamento della Nanna e della Antonia, rispettivamente a p. 54 1 nota 4, e a p. 110, nota 3. 6. disgrazia: discredito. Cfr. il Dialogo nel quale ecc., nota 9 a p. 209. 7. Titoli'Vio: lo storico latino era appunto di Padova. 8. giocando: nell'atto di giocare (mentre gioca).

LE CARTE

PARLANTI

CARTE. Ella, nel prendere de le carte, gli dà un guardo con una certa eleganzia di gesto, che si paragona con quello che agita l' onestà nel mantenere del suo decoro. 1 PADOVANO. I costumi vagliono il tutto. CARTE. E s'egli avviene2 che, benché sien buone, voglia ad arte pur simularlo,3 lo fa in modo che il vero si reca in dubbio del non essere menzogna. PADOVANO. Cosi4 difficile a molti. CARTE. Dipoi, senza nulla mancare de la maestà che le reggono i moti che 'l vago spirto di lei induce ne la adatta persona sua, l'escano5 de la soave bocca gl'inviti in suono d'una nuova armonia. PADOVANO. « Grazie date a credenza»,6 disse il Carafulla.7 CARTE. Intanto forma un si umano, si divino sorriso che par più tosto prometter di donare la posta ch'ella mette che aspettare di tirarla. PADOVANO. Senza quale8 non l'adorate voi, sire. CARTE. Ella, che procede ne la maniera che tu intendi, disprezzareb be le vincite come dispregia le perdite, se non fusse che il sesso femineo è composto d'una si fatta alterezza che guarda sempre al superare altrui. PADOVANO. So bene che egli ha vaghezza di sgarar la gara, e poi recarsi come altri vuole. 9 CARTE. Certo che tal signora non si studia in permutare i suoi vantaggi in coloro che si stan seco giocando. PADOVANO. Perché non dà ella la sua ventura a chi non l'ha? I. con quello ••• decoro: • con un atteggiamento simile a quetlo che prendono le persone onorate nel voler mantenere il proprio decoro • (Ferrero, che fa presente come, nelle edizioni del 1545 e del 1650, si legga del mantenere nel che non dà senso; seguiamo la sua correzione). 2. E s'egli at1t1iene: e se ecc. Il Ferrero scrive: E cosi avviene. 3. simularlo: cioè far credere che non siano buone. 4. Cosi: Ferrero: Cosa. 5. l'escano: le escono (la solita forma popolare aretina). 6. a credenza: a credito. 7. Carafulla: personaggio a cui dall'Aretino e da altri vennero attribuite strane idee, ad esempio, in fatto di etimologie (cfr. anche qui avanti, p. 700). Di un personaggio di tal nome, che non si esita a chiamare buffone con tanti altri del suo tempo, oltre il Doni nei Marmi (dove è interlocutore in più dialoghi) tratta anche il Varchi netl' Ercolano (dove si parla delle sue bizzarre etimologie). Aveva nome Antonio e per soprannome Piedoca. 8. Senza quale: senza di che. Si legge qtlale nel testo del 1545. Il Ferrero corregge in quare (che, al pari di altre consimili, mette in corsivo come espressione latina) e interpreta cr senza ragione ». 9. Ira vaghezza ••• v11ole: ha desiderio di vincere la gara e poi comportarsi secondo che altri vuole.

PIETRO ARETINO

CARTE. Perché è cosa degna di nobile commendazione il cercar, in qualunche impresa si prenda, di mostrar il suo ingegno. PADOVANO. A cavar le paglie del pagliaio si usa anco cotesto. CARTE. E perciò la di lei eccellenza affisa l'occhio de lo intelletto in noi altre con generosa sagacitade: e perché ella sa essere con tale sagacità generosa, e dove importa e quando importa, è fatica di conoscere se il suo procedere è artificioso o naturale. PADOVANO. Chi non vuole errare, tenghila per l'uno e per l'altro.

III

[I due doni.] CARTE. Dice Platone' .•• PADOVANO. In qual libro? CARTE. In un dei suoi. PADOVANO. Basta d'avanzo. CARTE. Che certi popoli, concorrendo insieme, circa il volere vincersi l'un l'altro in presentare il2 lor principe indiano, mandarono a lui due diversi doni. PADOVANO. Quali furono? CARTE. Essi gli fecero presentare dai loro ambasciadori le lettere e il giuoco. PADOVANO. Guardate che non devette esser così. CARTE. Perché? PADOVANO. Perché né 'l giuoco né le lettere si possono mettere in un piatto, come le pesche e i fichi. CARTE. Diciamo dunque che gli mandarono a donare un pedante, che insegnava le scienze, e un maestro che faceva le carte. PADOVANO. Cotesto sl. CARTE. Venne via il filosofo, spelato, macilento, barbuto, orrido, collerico, e con le cervella in la sembianza ;3 onde in la stranezza de la faccia mostrava il lunatico de la fantasia. PADOVANO. Dovea simigliarsi a una visione d'un sonno rotto.4 CARTE. Egli, carico di scartabelli asinescamente, per sublimare I. Dice Platone: cfr. Phaedr., 274c-275b (il Doni amplifica). 2. in presentare il: nel fare dono al. 3. con le • •• sembianza: stralunato e smorto. 4. una • .. rotto: reminiscenza dantesca (lnf., IV, 1: «Ruppemi l'alto sonno nella testa JI).

LE CARTE PARLANTI

il dono con la chiacchiara, era entrato ne le parti de r orazione; le cui novelle gli ruppe il re con dirgli: - Che frutto si trae di queste lettre beate? - Onde il trasognato gli rispose che per lor mezzo si scoprono i secreti de la natura, si divien capace de la ragion de le cose, e s'intendono le cause del perché il di è cacciato da la notte e la notte dal di. PADOVANO. Vado pensando al donde venga che tali, che paion la morte, vogliano fare altri immortale. CARTE. Quei crediti che si danno ai congelatori del mercurio, 1 nel vedergli cosi male adobbati, dette il re al ciaramellare del sapiente; e ne l'udir poi lo stento, con il quale appena s'impara un'acca,2 senza altro si rivolse al cartaio, e iscorgendolo in ordine, robusto, allegro, piacente, garbato, e con il senno in la berretta, per la qual cosa la giocondità de la vista discopriva la dilettazione de la mente, lo domandò a che fusser buone le carte sue. PADOVANO. Qui lo voglio. CARTE. - Al recreare ranimo oppresso dai fastidi, a intertenersi con le dame, e a darsi con esse un bel tempo - rispose il compare. PADOVANO. Breve e buona fu la risposta. CARTE. Infine il barba re3 disse: - Io accetto il giuoco, e rifiuto le lettre, da che quello è di spasso e queste son di stento; avenga che i nostri pari han bisogno di vivere, non d'impazzire. PADOVANO. Elezione eletta. IV

[Il testamento,] "' uomo, il quale doppo di sé lasciò cinque figliuoli dai vinticinque anni ai trenta. CARTE.

ai congelatori del mercurio: cioè agli alchimisti. 2. lo stento ••. acca: «È la consueta irrisione dell•uomo di vivido e facile ingegno, insofferente di disciplina, contro chi vorrebbe sostituire i doni che non ha da natura con le sue pedantesche fatiche» (Ferrero, negli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, ediz. del 1966: tale nota, forse per ragioni di spazio tipografico, non è stata accolta al pari di altre nell'edizione 1970 degli Scritti scelti dell'Aretino che fondamentalmente seguiamo nel riportare il pensiero del critico). 3. il barba re: quel re valente. 4. : queste parole mancano nel passo tipograficamente scorretto (c. 63, in fine) delPesemplare Lan1.

30

PIETRO ARETINO

Bella famiglia. CARTE. Un prodigo, uno avaro, un puttaniere, un tavernaio e un giocatore. PADOVANO. Sobri estote et vigilate. 1 CARTE. Venendo a morire, il vecchion detto, lasciò in testamento che la facultà sua ereditasse il men vizioso. PADOVANO. Ci sarà da dire. CARTE. Sotterrato che ei fu, i buoni fratelli convennero in giudizio; e perché il prodigo aveva l' ab on danza ne la lingua come ne le mani, cominciò il parlar prima d'ogni altro. PADOVANO. Lasciate! fare. CARTE. - Ecco - dice egli - che io merito la roba paterna, però che la bontà mia a tutti dona, per tutto spande e del tutto si spoglia, e senza forse, senza che e senza ma, a verun nega, a niun si storce, e ad alcun non indugia; subita è la mia mercede, ratta la mia dispensa, e presta la mia cortesia; sì che dìamisi ciò che mi si dee. PADOVANO. Non avea miga il filello. 2 CARTE. Levatosi in piè l'avaro, disse a pugni stretti: 3 - L'erede son io; avenga che da l'avarizia nasce la copia de le richezze; ella le guarda, ella le regge, ella le stima, né so come si facesse le necessità del mondo, se non fusse il risparagno dei miseri ;4 vengono le guerre, vengono le carestie; onde in virtù de le casse piene, quelle si anullano e queste si spengono; e però il dovere vuol che io possegga ogni cosa che ci è. PADOVANO. Anco questo non è goffo. CARTE. Il feminiere con viso ridente e con volto lascivo, disse: - Io, o giudici, amo le donne, e amandole seguito l'ordine de la PADOVANO.

dau Finaly del 1545 (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). Seguiamo per comodità il testo dato, con rinvio alla predetta edizione del 1545, dal Ferrero nella sua antologia. Esso corrisponde a quello che si trova in ristampe posteriori dell'operetta dell'Aretino ed è anche riprodotto nell'edizione moderna de Le carte parlanti, a cura di F. Campi, Lanciano, Gino Carabba, 1926, p. 102. 1. Sobri • •. vigilate: «siate sobri e vigilate». Dice opportunamente il Ferrero: • Questa frase della Sacra Scrittura (Ep. I di S. Pietro, v, 8) manca nell'ediz. del 1650; nella quale sono state soppresse tutte le citazioni giocose dei testi sacri: non consentite nel clima della Controriforma•· 2. filello: filetto, cioè scilinguagnolo che si usava tagliare ai bimbi quando tardavano a parlare. 3. a pug11i stretti: «Pare reminiscenza dantesca: gli avari "risurgeranno del sepulcro - col pugno chiuso": In/., vn, 56-57• (Ferrero, che mette «dah in luogo di «del»). 4. il risparagno dei miseri: il rispamùo dei parsimoniosi.

LE CARTE PARLANTI

natura, e osservo le instituzioni umane e i decreti divini; come uomo cerco le donne, e come cristiano cresco e multiplico, e imitando gli avi, i padri e i zii dei zii, dei padri e degli avi nostri, pretendo non solo che la facultà mi si dia, ma spetto una statua dal publico, perché da l'atto meritricio 1 son nati di gran baccalari.a PADOVANO. Breve e sustanzievole. CARTE. Il tavernaio giocondo e festeggiante esclamò: - Io mi stupisco, o voi eletti a giudicarci, perché non piegate dal mio solamente a vedermi; non dico perché ad ognun piaccia la baccanal bevanda, ma per concorrere io con Alessandro il Magno,3 il quale, doppo lo avere vinto il mondo, consenti al restare prigione del vino, risuscitatore degli spiriti e dei polsi basiti ;4 ecco il triconcio, 5 per bersene le bigonce, ascese al consolato, o poco meno; e perché nulla manchi, Noè arcipatriarca si lasciò convincere6 dal frutto, che convince me, che debbo ereditare il tutto. PADOVANO. Non parlò già da briaco. CARTE. Il giocatore, con cera non aspra, stitica e ruvida, come lo avaro, né con aria inconsiderata, volubile e a caso, come il prodigo, ma con aspetto moderato, con sembianza accorta, e con guardo nobile, disse: - Signori,7 i miei fratelli hanno più parole che ragione; e sanno ben dire e mal meritare, e gli mettaria meglio a cedermi la eredità che a litigarla,8 imperoché il giocatore si dee proporre ai baroni de la Tavola ritonda,9 o almeno locare10 tra loro. - Ma perché andiamo noi prolongandolo? egli non lasciò indietro niuna laude, né alcuna preminenzia assistente nel grado del 1. meritricio: cioè considerato di essere null'altro che da meretrici. 2. gran bacca/ari: gran dotti (grandi personaggi). Per il termine baca/aro, cfr. il Ragio11ame11to della Nanna e della A11to11ia, nota 6 a p. 63 e, per gran bacalario, il Dialogo nel quale ccc., nota 2 a p. 264. 3. Alessandro il ii!agno: anche il riferimento pressoché scherzoso che segue fa parte della sua leggenda, dall'antichità al Rinascimento; molti riferimenti del Cinquecento sono, per altro, desunti da enciclopedie medievali e da narrazioni favolose e leggendarie. 4. basiti: privi di vita. 5. triconcio: «nel contesto, pare significhi: inzuppato di vino, ubriaco fradicio: ma non s'intende l'allusione• (Ferrero). Forse triconcio si collega con bigonce che segue come gioco di parola. 6. convincere: vincere. 7. Signori: il testo del 1545 dà Signore; ma, trattandosi certo di un errore di stampa, scriviamo Signori col Ferrero. 8. litigarla: porla in discussione con liti legali. 9. Tavola ritonda: o di re Artù, con un ciclo famoso anche per traduzioni e compilazioni del Rinascimento. 10. Il testo del 1545 dà locale, evidente errore di stampa: diamo locare col Ferrero, e lo interpretiamo « collocare 1, «porre».

PIETRO ARETINO

giocatore integro in tutte le parti ;1 e dimostratosi in persona de la magnanimità che si trae da la grandezza del gioco, ammutl di sorte i sentenzieri2 che mancò poco che non gli dicessero: - Sentènziati da te medesimo. PADOVANO. S'io fussi stato in loro, davo da fare al giocatore. CARTE. Il caso è l'aver potuto. PADOVANO. A la fede, ch'io non solo lo intrigavo circa l'eredità, ma mettevo in compromesso quel ch'egli avea di suo. CARTE. Al quia3 dicesti tu. PADOVANO. Io gli provava per ragion che i fratelli erano da per sé e prodighi e avari e puttanieri e tavernai; ma che egli, essendo uomo di giuoco, era tutto insieme persona e da taverna e da ponte Sisto4 e da miseria e da prodigalità. CARTE. Fu però bene che tu non ci fusse. PADOVANO. In nome di Dio. CARTE. Tacendosi poi la brigata, i sedenti pro tribunal, 5 comprese l'eccellenti qualità del giuoco osservate6 con i modi debiti e le degne onoranze dal7 giocatore ornato dei costumi dovuti, lo insignorirono de l'avere legittimo. PADOVANO. Ne furono essi lodati? CARTE. Sl. PADOVANO. Perché? CARTE. Secondo che udimmo da certi nostri istudianti, le ragioni e legali e naturali vogliono che il vizio del giuoco, appresso de la ebriezza, del postribolo, de l'avarizia e de la scialacquaggine, sia virtù. PADOVANO. Che dissero eglino de la prodigalitade? CARTE. Ch'ella simiglia la ficaia posta in una rupe, i cui frutti son più tosto mangiati dai rubbi che dagli uomini. 8 PADOVANO. De l'avarizia? 1. alcrma ••• parti: a né alcun motivo di preminenza che procuri gradimento al giocatore perfetto 11 (Ferrero, che spiega anche assistente = a presente 11). 2. sentenzieri: giudici. 3. Al quia: cfr. Ragionamento della Nanna e della Anto11ia, nota 3 a p. 65. 4. ponte Sisto: presso il ponte si trovavano le dimore delle cortigiane della peggio1· specie. 5. i sede11ti pro tribunal: i giudici. (Si sarebbe dovuto dire pro tribunali: ma, se non è una deformazione popolare dovuta allo scrittore, può anche essere un conio su forma latina legittima tipo proco1uul). 6. osservate: rispettate. 7. dal: ed. 1 S4S del. 8. i cui .•• uomini: a il concetto è che delle largizioni dei prodighi si giovano più spesso i meno degni» (Ferrero, che intende mbbi per a rigogoli, beccafichi •, con rinvio al garfagnino rubbio/o).

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CARTE. Che non solo guasta ogni solenne uffizio e santo; ma rovina la fede e la bontade. PADOVANO. De l'ebrietà? CARTE. Che confunde il senno, che contamina i sensi, che rimuove lo appetito, che discatena le membra, che distrugge il fegato, che stempera la complessione, che incita la lebbra e che vitu pera ogni cosa. PADOVANO. De la lussuria? CARTE. Ch'ella, oltra il mettere in compromesso e la vita e la sanità (per ostare a l'una il ferro e a l'altra la pelaruola), 1 infama, isvaligia, perversa, affligge, corrompe, consuma e manda a lo spedale. PADOVANO. E del giuoco? CARTE. No istà bene a dirlo a noi. PADOVANO. Non tante cerimonie. CARTE. Essi, dopo il commendare il giocatore saggio e nobile, conchiusero in generale che egli è primavera di chi se ne intende, state di chi ci s'incaparbisce, autunno di chi ci si regge, e verno di chi ci si dirompe. PADOVANO. Come è egli primavera di colui che ne sa? CARTE. Ne lo ornarsi di puntali,2 di medaglie e di catene. PADOVANO. In che modo, state? CARTE. Nel restarsi in camicia, come un saltamartino. 3 PADOVANO. A qual foggia, autunno? CARTE. In ricogliere i frutti del giuocar suo. PADOVANO. A che maniera, verno? CARTE. Per troncarla con il domine, repulisti me. 4 PADOVANO. Chi ne dubita ve lo contradica.

1. pelaruola: pelatina (specie di malattia della pelle connessa con infezione venerea e avvelenamento del sangue). 2. puntali: intesi come ornamenti, al pari di fibbie e simili. 3. saltamartino: •qui significherà: un uomo da nulla, un fallito» (Ferrero). 4. domine, repulisti me: • Signore, mi hai respinto». La forma regolare è reppulisti, ma Puso popolare ancor oggi dà repulisti in forma sostantivale e, in dialetti settentrionali, rept1lis. La fonte della frase è in Ps., 42,2: • Quia tu es, Deus, fortitudo men, quare me reppulisti? ».

PIETRO ARETINO

V

[ La torcia 'lJoti'lJa.]

CARTE. Non è molto che un tal giovanaccio andava a Loreto, portandogli venti ducati, e un torchio1 di dodici libbre di cera bianca tempestata di pezzi d'incenso; e, perché il buon grullo promise, guarendo, non solo di andarci a piedi, ma di portarlo in collo, se ne veniva via con esso, da paladino. 2 PADOVANO. Doveva parer un guattaro vestito da processione. 3 CARTE. Mentre costui se la pigliava pian piano, eccolo ragiunto da un baratto dal porto,4 che, avendo presentito la sua andata, deliberò di fargli compagnia; il più tristo che non è buono il zuccaro di tre cotte. Tosto che gli fu appresso, lo salutò con dirgli: - Che ciò vi si rappresenti a l'anima. 5 p ADOVANO. Vattici scalzo. CARTE. E, avendogli il divoto pellegrino risposto: - Dio il faccia -, l'accettò ne la sozietà6 del camino; la qual cosa ottenuta, detto baratto gli fece grande istanzia nel volere aiutargli a portare un pezzo il suo torchio. PADOVANO. Che volpe! CARTE. Era di giugno; quando la perversità del caldo gli diè licenzia che si riposassero in la casipula d'un villano, che in quanto al buon vino, ch'egli aveva, meritava il titolo d'un mezzo oste. PADOVANO. Lo corrà qui certo.7 CARTE. La bevanda, che basciava, mordeva, e traeva di calcio, col suo claretto8 brillante, gli fece sì grata accoglienza che si degnarono di porsi a sedere. Cantavano le cicale, mormoravano l' acque d'un fiumicello, su la riva del quale era il tugurio; e già un poco I. torchio: torcia (di più candele su un piatto). 2. da paladino: con la solennità di un paladino. 3. un • •. processione: uno sguattero che faccia la comparsa in una processione e sia, quindi, vestito con panni da repertorio. 4. baratto dal porto: un truffatore, come se ne incontrano nei porti. (Cosl intende il Ferrero che accoglie la correzione dell'edizione del 1650 - baratto - in luogo, qui e sotto, di Buratto dell'edizione del 1545). 5. Che ciò . •• anima: «intenderei: che questo (il portare la torcia votiva al santuario) giovi all'anima vostra» (Ferrero). 6. sozietà: compagnia. 7. Lo • .. certo: gliela farà di certo, soggetto il baratto; oppure a: meriterà qui certamente il nome di oste (intendendosela col "baratto" ai danni del pellegrino: la malafede e l'avidità degli osti era passata in proverbio)» (Ferrero). 8. claretto: chiaretto.

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di ventarello si udiva tra le foglie degli arbori, nei cui rami sentivasi qualche uccelluzzo, come accade. PADOVANO. Mi par vedergli sbadigliare, e chinarsi col capo per appoggiarlo du,x ben gli viene. CARTE. Dormivano una vesprata,z se Baratto3 non ci provedeva con lo squadernare di un paio di carte. PADOVANO. Destatoio da risvegliare i tassi e i ghiri. CARTE. Guardolle l'amico con un ghignetto consenziente. Intanto il porto dice: - Fratello, il tòr di due bocconcini non guasta i digiuni, né il giocare d'altretanti soldarelli non rompe i voti. PADOVANO. Ragioni prontissime. CARTE. Stavasi il sozio tra il voglio e il non voglio d'una sposa donzella, quando il villano, al quale fece d'occhio il ghiottone, disse: - Meglio è giocar tutto dì che dormire una ora, perché il sol lione vi potrà far beccar suso una terzana che vi rovinarebbe. PADOVANO. Maestro Elia ebreo e messer Dionigi Capucci,4 primi fisici del mondo, se fusse stato il mese d'agosto, non gli avrien dato il miglior consiglio. CARTE. La conclusione fu che dai trionfetti da beffe si venne a la condennata da senno ;5 e dàlle e percuote,6 il dl lungo gli parve uno attimo; e perché colui dal torchio, messo suso da lo avergli già persi tutti, non ci essendo né lucerna, né candela, l'appicciò7 di subito. · PADOVANO. Forse che gli mancò remedii. CARTE. Il mezzo oste e tutto rustico, 8 eletto da loro a dire il I. du': dove. 2. una vesprata: una parte del pomeriggio (per il tempo in cui si cantano i vespri in chiesa). 3, Baratto: qui, e sotto, è nome proprio. L'ed. 1545 dà, qui e sotto, Buratto. 4. Elia . .. Capucci: Elia Alfan, fisico (cioè medico) valente, a cui l'Aretino invia una lettera, da Venezia, alla data del 16 luglio 1542 (cfr. Lettere, voi. 1, edd. Flora-Del Vita, 1960, pp. 908-9). In essa è menzionato anche « il Capuccio », cioè Dionigi Capucci, o piuttosto Cappucci, più volte citato nelle sue lettere dallo scrittore. A lui è indirizzata una lettera del 15 dicembre 1537 (Lettere, voi. 1, edd. Flora-Del Vita cit., pp. 368-9): in essa l'Aretino critica duramente l'arte medica. Il Del Vita nel commento mondadoriano (voi. I cit., p. 1083) de.finisce il Cappucci: a alchimista che preparava filtri per la cura delle varie malattie e che perciò aveva contro di sé gran parte dei medici ». 5. dai ..• senno: • dal giocare per p3ssatcmpo si giunse ad un gioco fatto sul serio» (Ferrero, che ricorda come trionfetti e condem,ata fossero giochi di carte). 6. percuote: percuoti. 7. l' appicciò: l'accese. 8. nutico: aveva detto prima villano, « contadino 1. (Non è da escludere anche qui un'eco della solita satira contro il villano la quale ha remote origini nel Medioevo).

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giuoco, parendogli che i due fussero quegli da la pistola e dal vangelio ed esso il candelliere tenente il cero pasquale, 1 crepavasici de le risa. PADOVANO. Villan traditore. CARTE. A la fine, fatto fuora del tutto, gridò lo avotato :2 - Mi sa peggio che io non posso sodisfar il voto che di quanti danari sono al mondo. - La qual cosa udendo Baratto, disse in voce sacerdotale: - Va', che ti assolvo io [.•.] . VI

[L'oriolo del re Luigi di Francia.] Disse uno di sì fatti straccafuochi (parliamo di coloro che, ne le stanze dove si giuoca, si riducano per via di tratenimento) che un barone3 francese, avendo giocato fino al credito ch'egli aveva in su la fede, per busca~ danari fece il più bel tratto che si udisse mai. PADOVANO. Son maliziosi d'avanzo cotesti vostri Galli di Galilea.5 CARTE. Essendo egli ne la camera del re Luigi,6 insieme con una gran frotta di signori, i quali dovevano far compagnia a Sua Maestà a un vespro solenne, adocchiato sopra una tavoletta uno orriuolo fornito d'oro massiccio, si recò nel gesto che fa l'uccello vista la civetta.7 PADOVANO. Perché non dicesti voi: «In quel che fa la civetta veduto l'uccello»? CARTE. Perché il dorato degli occhi di lei tira inverso la sua ·vaghezza il visivo8 di lui. PADOVANO. Taccio. CARTE. Ma, per non ci essere i migliori custodi de la robba loro che i padroni propii, il re si accorse che il cotal monsignore gliene CARTE.

r. parendogli ••• pasquale: •Questa curiosa immagine gioconda fu soppressa nelPediz. del 1650, come poco reverente alle cose sacre» (Ferrero, che ha già menzionata l'epurazione effettuata in tale edizione in merito n riferimenti a cose di Chiesa). 2. afJotato: colui che aveva fatto il voto. 3. barone: nobile. 4. buscar: cercar (e trovar). 5. Galli di Galilea: •È un bisticcio verbale, che non pare abbia nessun significato particolare• (Ferrero). 6. re Luigi: probabilmente Luigi XII (1462-1515). Gli orioli compaiono ai primi del secolo XVI. 7. civetta: correggiamo ciueta (ed. 1565). 8. il visifJo: la vista.

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voleva carpir susa; per la qual cosa, fingendo di por mente altrove, vede che l'amico se lo mette destramente in la manica. PADOVANO. Dice il Morgante 1 che chi non ruba è chiamato rubaldo. CARTE. Visto tal novella, il re, ritenendo a pena le risa, se ne usci de la camera, e, dato mezza volta per sala, si pose con le spalle appoggiate al muro di quella porta per cui si scendeva giuso la scala, e messosi a parlar con un suo, attendeva con l'orecchie tese il sonare de le cotante ore. PADOVANO. Ecco a te, barone. CARTE. 2 Passeggiava egli con la turba de l'altra baronia, quando il tin tin tin fece ristringere le brigate in sé stesse, e continuando il suono del replicato tintino, ognuno si guardava intorno a le mani e ai piedi. PADOVANO. Io divento bianco in suo servigio.3 CARTE. Il valente uomo, isbigottito da senno, stringeva pure il braccio, mentre l' ore non restavon di sonare, e perché il suo stringerselo al petto non acquetava l' oriuolo, entrò in un tremito di vergogna si mescolata di paura che pareva nel viso e di terra e di fuoco. PADOVANO. L'esser chiappato col furto sotto4 è una mezza impiccatura. CARTE. Se la brigata ne lo accorgersene ne rise e stupl, crediamo che tu ce lo creda. PADOVANO. Avete buon parere. CARTE. Cotale suo stupore allegro fu attonito e ridicolo in un tratto; attonito per non comprendere così al primo di donde venisse il suono, e ridicolo per la piacevole novità di sl bel caso. PADOVANO. Se non fu bel, non vaglia. CARTE. Ma quel che accresceva la festa in ciascuno, era la tosse venuta al re per le risa, che non lo lasciava parlare. PADOVANO. Se io sapessi comporre, come sa il Gello 5 e il Lasca, 6 1. Morgante: «non pare sia un preciso riferimento ad un luogo del poema del Pulci 11 (Ferrero). 2. Carte: il Ferrero, anche nell'edizione 1970, dà Barone come interlocutore. 3. in suo servigio: al posto suo. 4. col fi,rto sotto: cioè a rubar sul fatto. 5. Gello: Giambattista Gelli (1498-1563), di Firenze, autore della Circe e dei Capricci del bottaio. 6. Lasca: Anton Francesco Grazzini, anch'egli di Firenze (1503-1584), autore delle famose Cene e di varie commedie. Fondò con altri l'Accademia degli Umidi (dove egli assunse il soprannome del pesce lasca) e quindi l'Accademia della Crusca.

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ingegni nobili e belli, metterei cotal baia in uno atto di commedia. CARTE. Il francese, trattosi in ginocchioni, cominciò: - Sire, gli stimoli de la forza del giuoco sono si possenti che spingono altri a ogni villana codardia - ; né seguitò più oltre, perocché la magnanima Sua Maestade gli ruppe1 le parole dicendo: - Monsignore, il piacere che noi aviamo sentito avanza in modo il danno che2 voi ci avete fatto che l' oriuolo è vostro. VII

[I servi gz"ocano a carte il padrone.] I garzoni del tu ci intendi3 giocarono una notte i suoi danari e lui. p ADOVANO. Troppo fu. CARTE. Ha per natura, il detto, di adormentarsi subito che si calca, e, dormito due ore, non ci chiude più occhio fino a la mattina; la qual cosa avertita da le sue brigate, lo mettevano giuso e poi correvano a le carte. PADOVANO. Scannapagnotte.4 CARTE. Ma egli, che si accorse del tratto, bisbigliando essi una sera tra loro, si recò là con la :finzione di un dormir sodo e d'un russar forte: onde le Lor Signorie, senza serrare altrimenti la camera, ciuffàr su le carte. PADOVANO. Veggo che ciò gli farà il mal pro'. CARTE. Levatosi l'amico pian piano, ecco che si accosta a poco a poco a l'uscio di cucina, e, stando col pie sospeso e col fiato a freno, gli sente e vede con lume basso e con la voce fioca. PADOVANO. Mi fate ricordare de la mia infanzia. CARTE. Poi che i ribaldi ebber giocato i danari rubati a lui, che non gli apprezza ora, né gli apprezzarà mai, cacciòr5 mano a certe CARTE. [ ••• ]

1. ruppe: interruppe. 2. in modo .•• che: tanto ... che. 3. del tu ci inte11di: dell'Aretino stesso (che tante volte nelle sue lettere si è rammaricato della propria accondiscendenza, anzi debolezza di padrone, nei confronti dei servitori). 4. Scannapag11otte: gaglioffi, ribaldi. (Come nel Cellini e in altri autori, è deformazione popolare di scannapane, dal francese che11apan, « brigante a cavallo,,, «masnadiero»). Per analogia, si nota nell'Aretino anche scanna-minestre (cfr. a p. 138). 5. cacciòr: è forma sincopata (quanto cacciàr). Ferrero scrive cacciar.

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medaglie, che de la sua testa aveva fatte Alfonso del cardinal de' Medici, cioè di Ippolito. 1 PADOVANO. Non me lo ramentate, se volete che io non pianga. CARTE. Tu hai ragione. PADOVANO. Però che, se Tiziano avesse avuto a ritrarre uno angelo, toglieva lo esempio da la sua forma, avenga che ella era tale. CARTE. Se non fusse suto quel che tu dici, non che il paradiso si fusse posto a ritorselo, l'avrebbe lasciato per sempre a Roma. PADOVANO. O gloria de la tua prosapia (dopo Giovanni2 e Cosi .. mo), 3 il mondo ti è pur divoto. CARTE. Lo scultore ritrasse il tale in cera; dal qual impronto se ne gittò, non che di metallo, ma di argento e di oro. PADOVANO. Ne ho visto d'ogni sorte. CARTE. Benché4 le venute in preda dei suoi erano di rame. Essi le giocavano per due mozzinighi5 l'una, e nel metter le poste quel da la chiesta6 diceva: - Asso a un terzo del padrone. P ADOVAi'l0. Ah ah ah! CARTE. E nel perderla soggiugneva: - Taci, Aretino; taci, dico - ; e nel cosi dire gli poneva il dito sul viso. PAoovANO. Cose ladre. CARTE. La qual baia vedendo egli, sciorinò un grido con dire: - Io ho taciuto nel vedermi giocare la robba; ma nel sentirmi far del resto a la persona7 voglio dirvi che voi siate una frotta di tra.. ditori. PADOVANO. Pur troppo8 onesto parlò. CARTE. Se tu mai vedesti alcune fanciulle sopraprese9 nel più bello dello scherzare, da l'orrore d'una paura sùbita, onde gli cade la lingua e l'animo in un tratto, vedi i gaglioffi tramutati in tanti voti di cera. PADOVANO. Una processioncella di mazzate gli avria renduto lo spirito. I. Ippolito de' Medici: cfr. le note 2 a p. 50 e 6 a p. 440. 2. Giovanni de' Medici, dalle Bande Nere (alla cui memoria l'Aretino è sempre stato devoto; cfr. pp. 481-6). 3. Cosimo: si allude indubbiamente a Cosimo I de' Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere. Venne per vario tempo chiamato « Cosimino n per distinguerlo dal grande avo Cosimo il Vecchio. 4. Be11clzé: nondimeno. 5. mozzinig/zi: mocenighi (monete cosi denominate dal doge Pietro Mocenigo, 1474-1476). 6. chiesta: qui «giocata». 7.far •.. persona: giocare come ultima posta la mia persona. 8. Pur troppo: troppo. 9. sopraprese: sorprese.

PIETRO ARETINO

VIII

[Le tentazioni del romito e il diavolo.] PADOVANO. Nei conventi vi veggo ristorare. 1 CARTE. Ci rincresce di por bocca nei frati, che in vero le Lor Riverenze oggidl sono in credito grandissimo. p ADOVANO. Pure? CARTE. Il nostro tacere ti risponde. PADOVANO. E poi? CARTE. Standosi a r olio santo un di loro, il superiore comandò che lo veggiassero quattro dei più giovanastri, 2 iscambiandosi a vicenda a due per volta; ma essi, che avevano più voglia di giocare che di dormire, diedero subito in le carte ;3 tal che il padre, che sbasiva,4 nel sentire rimescolarci, prese tanto meglioramento che usci del letto in tre di. PADOVANO. Voi sète diventate troppo rispettose. CARTE. Chi non riguarda i religiosi non ha religione. PADOVANO. Ai garzoncelli. CARTE. Essi, che giuocano i quattrinuzzi datigli da la mamma per fargli più tristi, ricolteci di dove ci gettano coloro che doppo l'aver perduto ci stracciano, fatto che ci hanno con tali pezzi un pezzo, 5 ci riducono in minuzzoli. PADOVANO. Che è tanto e quanto il riammazzare un morto. CARTE. Vedi mo'. PADOVANO. Non vi dimando de le suore, perché si ...6 CARTE. Ci fai piacere a tacerne, se ben talora peccano con un poco del nostro ispasso, giocando, come sarebbe a dire, d'una discrezione.7 ristorare: far baldoria. (Il Ferrero ricorda che alcune parti cd espressioni del racconto sono soppresse nell'edizione castigata del 1650 e osserva per le pagine che precedono nella compagine complessiva dell'opera: cr Le Carte e il Padovano stanno discorrendo del vario modo di condursi dei giocatori secondo la loro condizione sociale e il loro mestiere»). 2. giovanastri: cfr. la nota 1 a p. 141. 3. diedero . •. carte: intavolarono subito una partita a carte. 4. sbasiva: era moribondo. 5. pezzi un pezzo: si noti la ripetizione, che forma un gioco di parole (coi pezzi delle carte e il pezzo del tempo). 6. perché si ••• : osserva il Ferrero: « Cosi Pediz. del 1545 (mancano naturalmente i punti di sospensione, che non erano nell'uso dell'ortografia del tempo). Escluderei che si debba leggere, come nell'ediz. del I 6 so: perché si: che non dà senso •· 7. discrezione: somma da fissare a discrezione di chi perde. I.

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Cose che accascano. CARTE. Non ci terrebbono le catene circa il non contartene una. Il Brandana fu non meno scellerato che giocatore, e, per non sapere altro mestiero, faceva l'arte dei vizii; e ritrovandosi una notte in giuoco, il vento de la carta data giù con furia gli spinse1 il lume; e, spegnendogliene, corso al fuoco che si stava ricoperto de la sua cenere, venutogli a le mani certo solfanello, credendosi che gli occhi de la gatta che si giacca sul focolare fossero carboni isfavillanti, gliene ficcò dentro: in modo ch'ella se gli aventò al collo con i graffi e al volto con i morsi. PADOVANO. Doveva essere in amore. CARTE. Nel gridare egli, che si sentiva lacerare: - lo son morto -, fece tutto iscuoter colui che lo stava aspettando con le carte; intanto alcuni, che vegghiavano in una stanza appartata, udito il grido bestiale, corsi là con un pezzo di torchio ardente, veduto il gatton vecchio e nero nero che malmenava il Brandana, credendolo il demonio, lasciatosi cadere il torchio, che non si spense giù in terra, la dierno a gambe. PADOVANO. Chi non saria fuggito? CARTE. Parendo al graffiato e morduto di averne andare ne lo inferno di peso, promesse a Dio di farsi romito casalingo, iscampando. PADOVANO. Cioè di questi che non escano de la città. CARTE. Sai tu chi fu costui? PADOVANO. Mi pare e non mi pare. CARTE. Quello, eh' entrato ne le botteghe che ci vendono, con il bastone in la cui cima stavasi ritratto ci gittava tutte via; onde i furfanti che si tirava drieto, ricolteci suso, si giocavano fino a le brache. PADOVANO. Se innanzi che morisse mi capitava innanzi, facevo la vendetta di Cartagine, non che di Cartagena.2 CARTE. Si fatto brigante, tre sere in prima de l'intravenir del caso, dovendo contare una de le sue baie in certo luogo, che si tace per bene, avendo la mano de la sua amicizia3 in mano, disse che il PADOVANO.

1. spi11se: spense. 2. Cartagine ••• Cartagena: la città spagnola è menzionata quasi a rimorchio per la citazione dell'africana e punica Cartagine: questo modo di esprimersi fa parte del gusto della parola, fin con mosse cerretanesche, che fu proprio dell'Aretino. 3. amicizia: amica.

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Satanasso si dava al diavolo, bontà d'un padre solitario che non istimava punto le sue tentazioni. PADOVANO. Un altro Rodamonte. 1 CARTE. Onde tutto l'inferno si era messo a la prova per farlo prevaricare: ma il reverendo non si movea per mostra di tesoro, né per offerta di gradi, né per volontà di libidine. PADOVANO. Gl'infreddati non senton gli odori. CARTE. A la fine un gaglioffuzzo, ischiuma2 de le fraude degli spiriti maligni, disse: - Ride, Plutone, che non giugne l'alba che l'amico è dei nostri. PADOVANO. Lascia pur fare al diavolo. CARTE. Ciò detto, ecco trasformarlo in un pastorcello più presso a la età di fanciullo che di garzone; né sl tosto fu in cotal figura che se ne venne a la cella de l'uomo mezzo santo, con il maggior fracasso di vento, di pioggia e di grandine che mai si udisse. Intanto, accostatosi a l'uscettino del romitorio, cominciò a bussarlo, con un fremito di denti, con un tremito di membra e con un langor di voci che avria fatto pietosa la sua propria crudeltade. PADOVANO. Libera nos, Domine. 3 CARTE. Sentiva Sua Paternitade il pianto tutto, e se gli apriva il cuore di compassione; ma temea in modo !'insidie diaboliche che si stava sospeso tra il «Vado a aprirgli» o il (( Pongomi in orazione». PADOVANO. Sempliciotto. CARTE. A l'ultimo, l'amor del prossimo togliendolo fuora de l'ambiguità, lo condusse a lo sportello, con un lumicino, che ispentosi in prima che l'aprisse, ritornò per uno istizzolo di fuoco ;4 il quale, sentito il Borea,5 faceva l'uffizio d'una facola ardente. PADOVANO. Verrà tempo che tutto 'l studio dei studiosi ingegnarassi di parlar come voi, avenga che altri intenda questo ragionamento. CARTE. Era cosa da notare e da riderne insieme, il vedere come il nimico stava a l'erta circa il por mente al romito; e ne l'alzar egli Rodamonte: il personaggio famoso dell'Orlando innamorato del Boiardo (a meno che non si alluda, con la stessa forma Rodamonte, al Rodomonte dell'Orlando furioso dell'Ariosto: cosa che parrebbe probabile, data l'ammirazione che l'Aretino ebbe per l'Ariosto stesso). 2. ischimna: nel senso ironico di «fior fiore». 3. Libera nos, Domine: il Ferrero ricorda come l' ediz. del 16 50 riporti: Guardici. Dio. 4. ritornò .•. fuoco: ritornò per prendere un tizzone acceso. 5. il Borea: vento gelido. (Ma per l'espressione sentito il Borea e per il resto della frase si veda la riflessione che segue del Padovano e l'espressione ricercata che usa a sua volta: 'l studio dei studiosi). 1.

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il braccio, ser diavolo chiudea gli occhi per non aver a fuggire il segno de la croce. PADOVANO. Che ladrone! CARTE. Aperto che gli ebbe, la creatura ottima non s'accorse che il traditore si serrava !'orecchie con le dita, dubitando che non si ricordasse il nome del Signore. PADOVANO. Affibbiati su1 quest'altra. CARTE. Una brancata di sermenti secchi secchissimi acquetò il pastorcino2 tremante, che, fingendo che gli fusse ritornata la favella, contò il come si era ismarito, de le pecore disperse, e il dolore che del suo non esser a casa avria la mamma, e tutto. PADOVANO. Ci avrebbe colto ognuno. CARTE. Il romito, fattogli parte del pane con cui rompeva il capo al digiuno e ristoratolo con una ciotola di vino assai buono, non dava cura a lui che, ristrettosi in sé stesso, pareva la purità postasi là in gesta3 semplice. PADOVANO. Iscelerato. CARTE. Da una sua berrettaccia, rotta nel mezzo, germogliavano alcune ciocche4 di capegli splendidi come lo oro filato; e le macchie de l'ermo, dove egli era, non produssero mai vermiglie rose, né bianche, che pareggiassero il bianco e il vermiglio de le sue guance tenere e tuffolotte. 5 PADOVANO. Voi mi parete il colorire di messer Tiziano. CARTE. Gli stracci che gli ricoprivan le gambe, per non poterne far altro, lasciavano discoperte le lor polpe, come se la necessità fusse arte; e la gonella, cinta d'un vincastro, campeggiava si bene in su la sua isvelta personcina che, se Cupido si vestisse sì fatto abito di bisgello,6 non sarebbe altrimenti. PADOVANO. Perin del Vago7 e Francesco Salviati8 lo dipignerieno di bel punto cosi. 1. Affibbiati su: pìgtiati. z. pastorcino (e sopra pastorcello): pastorello. 3. gesta: qui «atteggiamento•. 4. Diamo ciocche come è nel testo del 1545 (esemplare Landau Finaly della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). Il Fcrrero dà cocche e commenta: •Non direi che equivalga a cioccl,e, né che sia da emendare in tal senso; forse wol suggerire, pii1 ingegnosamente, un'altra immagine: le cocche di un fazzoletto, di una sciarpa, o simili•· 5. tuffolotte: rotondette, paffutelle. 6. bisgello: bigello. 7. Peri11 del Vago: o piuttosto Perin del Vaga (1499-1547), pittore fiorentino della scuola di Raffaello Sanzio. Il suo vero nome era Pietro Buonaccorsi. 8. FTancesco Salviati: Francesco dc' Rossi (1510-1563) 1 detto il Salviati, o il Salviatino, imitatore di Michelangelo. Lavorò alla Corte di Francia per invito del cardinale di Lorena.

PIETRO ARETINO

CARTE. Il tentatore, che aveva i denti e le labbra simiglianti gli acini dc le melagrane acerbe e mature, per esser isfibiato dinanzi, mostrava nel petto candido duo pomi lattei, ch'era un pericolo a guardargli. PADOVANO. Si ritrasse dunque in forma di donna? CARTE. Egli nel di fuora si fece maschio e nel di dentro femina, e ciò gli parve perché il romito non gli averebbe aperto ne la sembianza muliebre. PADOVANO. Non bisogna insegnare a lui. CARTE. Gli occhi eremitani, senza mai porre il casto del mirar loro ne le vaghezze de lo aversario, per esserne più che r ora si gettò1 in un letticciuolo di foglie; e, perché il pastorcello si riposasse anch'egli, se lo fece colcare ai piedi, cosi se1nplicemente, come si fusse stato un bambino. PADOVANO. Che sarà? CARTE. Il maladetto non fu si tosto giù che cominciò a strugiolarsegli2 tra le dita in modo che il romito, a lume spento e a fuoco ricoperto, vedeva e sentiva quel certo che, da cui l'uomo, se ben lo comprende, non sa perciò guardarsene. PADOVANO. Il lacciuolo iscrocca. CARTE. Che ti aviamo noi a dire? il penitente, persuaso da lo stimolo del pensarci e da le lusinghe del non ci pensare, cadde in quella cosa ch,è innanzi ai libera nos a malo. 3 PADOVANO. Infine, a ognuno iscappa l'asino. CARTE. Subito che il diavolo fu venuto a le sue, ispiccato là un salto, disse con uno iscoppio di risa: - Sappi, padre, ch,io sono il fistolo, 4 che ti ci ho pur colto. PADOVANO. La baia avanza lo scandolo.5 CARTE. - Adunque tu, che mi hai fatto iscappucciare, sei il demonio? - gridò il romito. - Si - rispose egli. - Se cosi è, soggiunse il valente uomo - io ci ho pur chiappato te, col ficcarti tra le gambe tutta la mia conscienzia. PADOVANO. Ah, ah, ahi Gli occhi ••• si gettò: «Nota l'anacoluto, e intendi: l'eremita, senza che i suoi occhi ccc., essendo ormai più che giunta l'ora di andare a letto, si gettò ..• • (Ferrero). 2. strugio/arseg/i: strusciarglisi. 3. cadde . •• malo: cioè «in tentazione». 4. il fistola: cioè il diavolo (chiamato anche il diascane; cfr. inoltre, nelle esclamazioni, diattcine e simili, per non pronunciare il nome di diavolo). 5. La baia afJa11za lo scandalo: la beffa supera il fatto scandaloso. 1.

LETTERE DAL LIBRO PRIMO

I A MESSER FRANCESCO DEGLI ÀLBIZI 1

Ne l'appressarsi l'ora che i fati con il consenso di Dio avevano prescritto al fine del signor nostro, rAlterezza Sua2 si mosse con la solita terribilità inverso Governo,3 nel circuito del qual si erano fortificati i nimici; e travagliandosi intorno ad alcune fornaci, ecco (oimè!) un moschetto che gli percuote quella gamba già ferita d'archibuso. 4 Né sì tosto il colpo fu sentito da lui che ne l' essercito cadde la paura e la maninconia, onde mori l'ardire e la letizia nel cor di tutti. E ognuno, scordatosi di sé proprio, pensando al caso, piagneva, ramaricandosi che la sorte avesse senza proposito5 fatto morire cosi nobile e sopra ogni secolo e memoria eccellentissimo duce, in tanto principio di fatti sopraumani e nel maggior bisogno d'Italia. I capi che con carità e venerazione lo seguitavano, rimproverando a la Fortuna i danni loro e la temerità sua, intraducevano6 nei lamenti la sua età a fatica7 matura, la quale era sufficiente in ciascuna impresa e d'ogni difficultà capace. Essi sospiravano la grandezza dei suoi pensieri e la ferocità del suo valore. Né potevano 1. Francesco degli Àlbizi (ora Àlbizzi) era amico di Giovanni dalle Bande Nere e suo tesoriere. La presente lettera è la più famosa di quelle scritte e pubblicate dall,Aretino. Essa narra dell'eroica morte del condottiero colpito da un falconctto del duca di Ferrara, mentre si opponeva ai Lanzichenecchi imperiali in difesa del territorio di Mantova. Trasportato nella città, vi morì il 30 novembre 1526. Era nato nel 1498 da Caterina Riario Sforza e da Giovanni de' Medici, il Popolano, appartenente a un ramo cadetto della potente casata fiorentina. Capitano di ventura dotato di grande coraggio e abilità (fu il primo a vestire sé e i suoi soldati di regolari divise), oltre che dotato di eccezionali qualità di organizzatore militare, partecipò a varie campagne, sia contro i Francesi, sia contro gli Imperiali. Fu molto stimato dal Machiavelli. Figlio suo fu Cosimo, primo granduca di Toscana. 2. Alterezza Sua: « è, se non erro, una trovata verbale dell' A.: in luogo di Altezza» (Ferrero). 3. Govenzo: Governolo, alla confluenza del Mincio col Po. (Anche Dante scrive Goven,o nell'episodio di lVlanto: crFino a Governo, dove cade in Po», lnf., xx, 78, detto appunto del Mincio). 4. arc/zibruo: archibugio (e si veda la differenza - nel campo delle anni da fuoco - col moschetto, in realtà col falconctto, che immediatamente precede nel racconto della tragica morte dell'eroe). 5. se11za proposito: senza motivo. 6. intrad11cevano: portavano. 7. a fatica: appena.

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PIETRO ARETINO

raffrenar le voci nel ramcntarsi con che domestichezza se gli era fatto compagno fin con l'abito,1 e, non tacendo l'acuta providenza del suo ingegno né l'astuzia del suo animo, riscaldavano con il f uoco de le querele la neve,2 che smisuratamente fioccava, mentre in lettiga si condusse a lVlantova in casa del signor Luigi Gonzaga. 3 Dove la sera medesima venne a visitarlo il duca d'Urbino, 4 il quale l'amava, perché egli l'adorava; e l'osservava di sorte che temeva fin di parlare in sua presenza; e di ciò era cagione il merito di lui. Tosto che lo vidde, mostrò gran consolazione; ed egli, con sincero modo, vista la commodità, 5 disse: - Non basta l'esser voi chiaro e glorioso nel mestier de l'armi, se non rilevate cotal vostro nome6 con la religione, sotto le cui osservanze siamo nati. - Ed egli, inteso che si fatto parlare tendeva a la confessione, rispose: - Io, come in tutte le cose sempre feci il debito mio, bisognando, il farò anco in questo. - E cosi, partito lui, si mosse a ragionar meco, chiamando Lucantonio7 con estrema affezione; e dicendo io: - Noi mandaremo per esso -, Vuoi tu - disse - che un par suo lasci la guerra per vedere amalati? - Si ricordò del conte di San Secondo,8 dicendo: -Almen fusse egli qui, che gli restarebbe il mio luogo. 9 Talvolta si grattava la testa con le dita; poi se le metteva in bocca, con dire: - Che sarà? - replicando spesso: - Io non feci mai tristizia niuna. - Ma io, esortato dai medici, vado a lui, dicendogli: - Io farei ingiuria al vostro animo, se con parole dipinte10 volessi persuadervi che la morte sia la curatrice dei mali e più paurosa che grave. Ma perché è somma felicità il fare ogni cosa liberaI. l'abito: le bande nere assunte dalle stesse milizie. Nell'intendimento di Giovanni erano in origine segno di lutto sulle insegne bianche per la morte di Leone X e lo furono poi anche per la morte del loro capo. 2. riscaldavano ••• neve: • Immagine petrarchistica-secentesca: che pare una stonatura, tra la risolutezza stilistica, a forte rilievo, di questa lettera» (Ferrero). 3. Luigi Alessandro Gonzaga (morto nel 1548), appartenente a un ramo collaterale dei Gonzaga; partecipò alla battaglia di Governolo. ( F cderico I I, marchese di Mantova, si era tenuto neutrale). 4. duca d'Urbino: Francesco Maria I della Rovere (1490-1538), capitano generale dei Veneziani e comandante supremo delle forze confederate nella lega di Cognac (1526): il Medici, come comandante delle fanterie italiane, gli doveva obbedienza. Il duca aveva espletato le sue funzioni con fiacchezza e senza un sicuro comando nella condotta della guerra. 5. commodità: opportunità. 6. nome: fama. 7. Lucantonio: il capitano Lucantonio Cuppano, molto amato dal Medici. Era di Montefalco. 8. conte di San Secondo: Pier Maria Rossi di San Secondo, capitano dell'esercito francese: era figlio di una Riario, sorellastra del Medici. 9. luogo: incarico di comandante. 10. dipinte: folse, finte.

LETTERE• LIBRO I

mente, lasciativi tòr via il guasto de l'artellaria, 1 e in otto giorni potrete far reina Italia, che è serva;2 e sia il zoppo, con cui rimarrete, in vece de l'ordine del re, 3 che mai non voleste portare al collo, perché le ferite e la perdita dei membri sono le collane e le medaglie dei famigliari di Marte. - Facciasi tosto - risposemi egli. In questo entrarono i medici, ed esaltando la fortezza de la liberazion4 sua, terminàr per la sera l'ufficio che dovevano; e, fattogli pigliar medicina, andarono a ordinare strumenti per ciò. Era già ora di mangiare, quando il vomito lo assali; ed egli a me: - I segnali di Cesare! 5 Si che bisogna pensare ad altro che a la vita. E, ciò detto, con le man giunte, fe' voto di andare a l'apostolo di Galizia.6 Ma venendo il tempo e compariti i valorosi uomini con gli artifici7 atti al bisogno, dissero che si trovassero otto o dieci persone che lo tenessero, mentre la violenza del segare durava. - N eanco venti - disse egli sorridendo - mi terrebbero. Recatosi là con fermissimo volto, presa la candela in mano nel far lume a sé medesimo, io me ne fuggii; e, serratemi !'orecchie, sentii due voci sole, e poi chiamarmi. E, giunto a lui, mi dice: - Io son guarito I - e, voltandosi per tutto, ne faceva una gran festa. E, se non che il duca d'Urbino non volse, si faceva portare oltra il piede con il pezzo de la gamba, ridendosi di noi, che non potevamo sofferire di veder quello che egli aveva patito. E altro fu la sofferenza sua che quella di Alessandro e di Traiano, che fecer lieto viso nel cavarsi gli il ferro piccolissimo de la freccia ;8 questo rise nel tagliarsi il nerbo. Insomma il dolore, che gli era scemato, due ore inanzi giorno ritornò in lui con tutte le spezie dei tormenti; e, odendomi io percuotere in fretta la camera, mi si trafisse l'anima, e, vestito in un tratto, corro a lui. Ed egli, tosto che mi vidde, co1. il guasto de l' artellaria: • La parte maciullata da un colpo di falconetto • (Scrivano). 2. rei,ia • •• serva: •Pensieri ed immagini che si incontrano spesso nei testi del '500: ma troppo spesso ripetuti per consuetudine letteraria, senza intima partecipazione dell'animo• (Ferrero). 3. re: Francesco I, re di Francia. 4. liberazion: decisione (di fare amputare la gamba). 5. segnali di Cesare: •forse è un'allusione ai segni e presagi che annunziarono la prossima morte di Cesare, secondo la narrazione di Plutarco, ben nota ai cinquecentisti. O forse, Cesare è l'imperatore, Carlo V? Ma, in tal caso, non è facile spiegare l'allusione 11 (Ferrero). 6. a z,apostolo di Galizia: a Santiago di Campostella (alla tomba dell'apostolo san Giacomo). Il santuario era molto venerato dai pellegrini fin dal Medioevo. 7. artifici: strumenti (chirurgici). 8. Alessa11dro .• • freccia: famosi aneddoti, connessi con la storia dell'eroe macedone e con quella dell'imperatore romano e diventati, con altri, esemplari nella stessa educazione della gioventù.

PIETRO ARETINO

minciò a dirmi che più fastidio gli dava il pensare ai poltroni che il male, cianciando meco in francar, 1 col non dar cura a la sua disgrazia, gli spirti circundati da l'insidie de la morte. Ma, ne l'alzarsi il d.1, le cose peggiorarono di modo che egli fece testamento, nel qual dispensò molte migliaia di scudi in contanti e in robbe fra quegli chel 'avevano servito e quattro giuli per la sua sepoltura; e il duca ne fu essecutore. Venne poi a la confessione cristianamente, e, vedendo il frate, gli disse: - Padre, per esser io professor d'armi,3 son visso secondo il costume dei soldati, come anco sarei vivuto come quello dei religiosi, se io avessi vestito l'abito che vestite voi; e, se non che non è lecito, mi confessarei in presenza di ciascuno, perché non feci mai cose indegne di me. - Era passato vespro, quando la innata benignità del marchese, 3 mossa da sé stessa e dai miei preghi, venne a lui, basciandolo tenerissimamente, con parole, ch'io, per me, non averei mai creduto che niun principe, salvo Francesco Maria,4 avesse saputo formarle. E con questi propri detti conchiuse Sua Eccellenza: - Da che la terribilità de la natura vostra non si è mai degnata di mettere in suo uso ogni mia cosa, a ciò sia noto che cosl era come io desiderava, chiedetemi una grazia che si convenga a la qualità vostra e a la mia. - Amatemi, quando sarò morto - rispose egli. - La vertù, con cui vi avete acquistata cotanta gloria, - dice il marchese - vi farà da me e dagli altri adorare, nonché amare. - A la fine egli mi si voltò e comandommi ch'io facessi che madonna Maria5 gli mandasse Cosimo. 6 In questo, la morte, che lo citava7 sotterra, gli raddoppiò le tristezze. Già la famiglia tutta, senza osservar più la modestia del rispetto, gli ondeggiava, rimescolata coi suoi maggiori, intorno al letto, e adombrata da una fredda maninconia piagneva il pane, la speranza e la servitù, che ella con il padrone perdeva, sforzandosi ciascuno di riscontrare gli occhi con gli occhi suoi, per dimostrargli il tedio de l'afflizione. In cotali raggiramenti, 8 egli prese la mano di Sua Eccellenza,9 dicendogli: - Voi perdete oggi il più grande ami1. in francar: per rinfrancare. 2. per •• . armi: per aver professato l'arte (il mestiere) delle armi. 3. marchese: Federico II Gonzaga. 4. Fra,icesco Maria: il citato duca d'Urbino. 5. madonna Maria: Maria Salviati, sua moglie. 6. Cosimo: allora fanciullo di sette anni; dal 1537 fu duca di Firenze. 7. citava: chiamava. (Ferrero: a Quando vuol nobilitare il suo stile, l'A. sa usare qualche elegante latinismo»). Forse citava è nel significato di u sollecitava 11. 8. raggiramenti: nel valore generico di «circostanze 11. 9. Sua Eccellenza: il marchese di Mantova. (Si può ricordare che dal 1530 egli fu duca).

LETTERE• LIBRO I

co e il meglior servitore che aveste mai. - E Sua Signoria illustrissima, contrafacendo la lingua e la fronte, dipignendo la sembianza di letizia finta, tentava pur di fargli credere che guarirebbe; ed egli, che per il morir non si spaventava se ben ne aveva la certezza, entrò a parlargli del successo de la guerra: cose che sarebbono state stupende, sendo egli tutto vivo, nonché mezzo morto. E così si rimase travagliando fin presso a le nove ore de la notte, vigilia di santo Andrea. 1 E perché la sua passione era smisurata, mi pregava che io lo fa cessi adormentare con leggere; e, ciò facendo, il vedeva consumar di sonno in sonno. A la fine, dormito ch'ebbe un quarto d'ora, destassi, dicendo: - lo sognava di testare,2 e son3 guarito, né mi sento più niente; e, se vado megliorando così, insegnarò ai Tedeschi e come si combatte e come io so vendicarmi. - Ciò detto, il lume intrigandogli le luci,4 cedeva a le tenebre perpetue; onde, da sé stesso chiesta la estrema unzione, ricevuto cotal sacramento, disse: - Io non voglio morire fra questi impiastri - ; onde fu acconcio un letto da campo, e, ivi posto, mentre il suo animo dormiva, fu occupato da la morte. 5 Cotale fu il successo6 del gran Giovanni dei Medici, il quale ebbe da le fasce quanto aver si poteva di generosità. Il vigor de l'animo suo era incredibile. La liberalità fu in lui maggior del potere, e più donò ai soldati che per sé, soldato, non ritenne. La fatica sempre sostenne con grazia de la pazienza, l'ira noi signoreggiava più, e aveva trasformato il suo fare in dire. Egli apprezzava più gli uomini prodi che le ricchezze, le quali desiderava per isfamarne loro. Ed era difficile a conoscere, da chi noi conosceva, e ne le scaramucce e negli alloggiamenti i suoi da lui: perché, combattendo, si dimostrava sempre ne la persona dei privati e dei gradati ;7 e, standosi in pace, mai non fece differenza da sé stesso agli altri, e ne la viltà dei panni, con cui disornava la persona, era il testimonio de l'amore che portava a la milizia, ricamandosi le gambe, le braccia e il busto con i segni che stampavano l'armi.8 Fu cupidissimo di lode e di gloria, ma col fingere di sprezzarle le desiderava. E quel che tirava a sé il core de le genti sue era il dire nei pericoli: - Veniti.mi I. santo Andrea: 30 novembre (1526). 2. testare: fnre testamento. 3. e son: e invece sono. 4. le luci: gli occhi (perché, nell'avvicinarsi della morte, già fa vista gli si conturbava). 5./u ... morte: cfr. Terenzio, Andria, 2.97: • mors continuo ipsam occupati. 6. successo: decesso, fine. 7. ne la ••• gradati crnell'aspetto di chi non avesse comando o avesse comando di grado inferiore• (Ferrero). 8. i segni ••. armi: le ferite.

PIETRO ARETINO

drieto -, e non: - Andatimi innanzi. - Né si dubiti che le vertù fur de la sua natura e i vizi de la sua giovanezza. lddio volesse che fusse visso i debiti giorni! che ognuno l'averebbe conosciuto de la bontà che l'ho conosciuto io. E certo che avanzb di amorevolezza tutti gli amorevoli. Il suo fine era la fama e non l'utile; le possessioni, vendute al suo figliuolo 1 per supplire dove mancavano le paghe, sanno che io lo vanto con i meriti e non con l' adulazioni. Fu sempre il primo a montare a cavallo e l'ultimo a scendere; del combatter solo godeva l'ardore de la sua audacia. Egli proponeva ed essequiva, egli ne le consulte non si faceva altiero, con dir: - Le imprese si governano con la riputazione -, ma poneva a sedere il consiglio2 dove faceva di mistier la spada. Ed era sl propria sua l'arte de la guerra che la notte metteva su la dritta strada le scorte, che si smarrivano guidandolo. Fu mirabile nel tenere pacifiche le discordie dei soldati, soprastandogli sempre con l'amore, con la paura, con la pena e col premio. Né mai uomo meglio di lui seppe dispensare gli inganni e la forza ne lo assaltare i nemici; né armava il core con terribilità mendicata, ma con l'ardire naturale fulminava detti spaventosi. L'ozio fu suo capitai nemico. Né alcuno inanzi a lui adoperb cavalli turchi. 3 Egli introdusse la commodità degli abiti ne le facende militari. Ebbe sommo piacere de la copia de le vivande, non dilettandosene; con l'acqua tinta di vino si spegneva la sete. Insomma ognuno il pub invidiare, e niuno imitare. E Fiorenza e Roma (Dio voglia che io mental) tosto saprà cib che sia il suo non esserci. E già odo i gridi del papa, che si crede aver guadagnato nel perderlo.4 Di Mantova, il 10 di decembre I 526. vendute al mo figliuolo: vendute privandone il figlio (Ferrero e Scrivano). 2. poneva ••• consiglio: • Intenderei: il senno, la prudenza; e perciò tutta la frase significherà: faceva tacere ogni prudente riflessione quando occorreva agire• (Ferrero). 3. cavalli turchi: cavalli che andavano a briglie lente, come quelli dei Francesi, secondo la testimonianza di Marco Polo nel Livre des meroeilles. Erano quindi sul tipo di palafreni, non di destrieri da combattimento. 4. E già ••• perderlo: è stato notato dalla critica, anche recente, come questa sia una delle varie previsioni dell'Aretino. Se non si vuole pensare, senz'altro, anche all'assedio di Firenze (1530), si menzioni almeno il sacco di Roma (1527). Ma, anche per la finzione delle date delle Lettere dell'Aretino e il valore allusivo della composizione, vale ottimamente quanto è stato detto: • Questa chiusa è stata giudicata come una sorta di profezia del sacco di Roma (maggio 152,7); ma non sarà una profezia post factum? Bisognerebbe poter vedere l'originale di questa let1.

LETTERE· LIBRO

I

II A LO IMPERADORE 1

Egli è ben vero, Cesare,2 che la felicità cresce con più vemenzia che ella non comincia; e ciò si vede ne la Maestà Vostra, nel cui arbitrio la fortuna e la vertù ha posto la libertà del pontefice, non essendo ancor ben rinchiuso il carcere del qual traeste il re, per vincerlo con la pietà sl come lo vinceste con l' arme. 3 Veramente si confessa per4 ciascuno che voi sète cosa di Dio, la cui bontade vi fa essercitar la sua clemenza; perché niun altro potrebbe durare in sl fatto mestiero; solo voi avete l'animo capace a ricevere la grantera; la prima stampa che ne abbiamo (gennaio I 538) è posteriore di undici anni alla sua data; ed è cosa accertata che l'A., come molti altri epistolografi, ritoccò spesso le sue lettere, prima di metterle a stampa• (Ferrero). L'allusione al papa è ben chiarita da quanto dice il Del Vita nel citato commento mondadoriano, vol. I, p. 985: •L'A. aveva ben capito come per Clemente VII il nipote focoso e sempre più potente fosse una preoccupazione, che con la sua morte veniva a sparire. Anche il Varchi (Storie fiorentine, lib. 11, p. 84) non esitò a scrivere che la morte di Giovanni dei Medici "non dispiacque a Papa Clemente •.• avendolo egli tanto altamente, e con si manifesto torto ingiuriato e conoscendo il valor suo"». L'Aretino scrisse anche a Maria Salviati una lettera di condoglianze (che, nelle Lettere, segue subito dopo): la gentildonna rispose in data 23 dicembre 1526 con una lettera, raccolta con altre nelle Lettere scritte a Pietro Aretino, emendate per cura di Teodorico Landoni, voi. I, parte I (Bologna, Romagnoli, 1874), p. 9. È stato fatto notare come l'Aretino, morto il suo grande protettore, in quel momento si sentisse incerto per il proprio avvenire, e cercasse quindi una nuova sistemazione. I. imperadore: Carlo V. Lo scrittore lo invita a liberare Clemente VII dopo il sacco di Roma: il papa era rinchiuso in Castel Sant' Angelo. Come dice il Ferrero, al' A. ha appreso assai bene il linguaggio dei moralisti, e lo sa usare con destrezza». Si aggiunga che lo scrittore in una lettera a Clemente VII, del 31 maggio, implora da lui perdono per l'imperatore. (La lettera, nelle raccolte, segue subito dopo). Dopo queste lettere si effettuarono varie trattative fra il papa e l'imperatore e poi si addivenne alla nota alleanza. È da tener presente che l'Aretino, che aveva verso il papa sospettosi rancori per il tentato omicidio perpetrato da Achille della Volta sulla sua persona, si era nel frattempo sfogato contro Clemente VII e la •brigata» dei cardinali con lui rinchiusi in Castello con la feroce pasquinata Pax vobis. (La si veda, fra l'altro, tra i documenti pubblicati da A. Luz10, Pietro Aretino nei moi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga, Torino, Loescher, 1888, pp. 69-70, Mastro Pasquino). 2. Cesare: il solito appellattivo dell'imperatore. 3. non essendo .•• arme: Francesco I, re di Francia, era stato liberato dalla prigionia col trattato di Madrid del gennaio 1526. 4. si con/essa per: si ammette da.

PIETRO ARETINO

dezza de le sue compassioni, 1 le quali sono i flagelli de la umiliata superbia dei perversi che si veggan2 punire da la lor mansuetudine. 3 In qual mente, in qual core, in qual pensiero, eccetto la mente, il core e il pensier vostro, saria mai caduta la volontà di liberare il suo4 aversario ? Chi averia, se non voi, fidata la sorte sua ne le promesse, ne la instabilità e ne l'alterezza d'un principe vinto, essendo proprio dei perdenti il gittar dietro a la vendetta l'anima e il corpo, non pure i tesori e le genti ? Ha ben potuto vedere il mondo in tal atto quanto possa nel cesareo petto e la generosità de la misericordia e la sicurezza del valore. Ha compreso anco che in quella è da sperare e in questo da temere, e come non è dato a noi il poter fuggire né l'una né l'altro. Oltra di questo, dove si udì mai che nel colmo de le vittorie un uomo, salvo Carlo, riconoscesse e lddio e sé stesso ?5 Come voi riconosciate lddio, il sanno le grazie che per ciò gli rendete; qual sia il conoscimento di voi medesimo, il vostro tenersi mortale lo dimostra. Quante lampe che vi accende dinanzi a la imagine del nome cotal conoscenza! Perché il riconoscere Iddio ne le felicità è uno stabilirsi in perpetua beatitudine: certo chi conosce sé stesso ne le prosperità dei desideri si fa conoscer da Dio, e chi da Dio conosciuto piglia de le sue qualità; onde mette in opera la benignità de la clemenza che io dico, senza la quale la fama si rimane spennata e la gloria spenta. E, per esser ella la corona del trionfo di chi trionfa, la cagion del suo perdonare è più degnità che la vertù del suo vincere, e la vittoria si può chiamar perdita, non essendo accompagnata da lei. Ma se questa clemenza, ombra de le braccia di Dio, è tutta piovuta ne la vostra mente, chi dubita che il pastor de la Chiesa non sia libero di dove è stato posto, non da la ragione, 6 che ha usata seco la insolenzia de la guerra, ma dal cielo, il quale ha spirato sopra il capo de la Corte un vento di aversità, permettendo ciò che Roma ha sofferto ? Ma perché la giustizia de la vostra misericordia non paia crudeltade, piaccia or a voi che la rovina non proceda più oltre. Ecco in vostro arbitrio la pietà e il de le me compassioni: della misericordia divina. 2. vegga,z: vedono tJeggon). 3. i flagelli .•• mansuetttdine: col suo stile contorto per la ricerca di una solennità tutta particolare, dinanzi a così tragico avvenimento quale fu il sacco, l'Aretino vuol indicare che i perversi sono umiliati e quindi in ciò puniti dalla stessa misericordia di Dio. 4. il mo: il proprio. 5. riconoscesse ••• stesso: • non smarrisse il timor di Dio e il senso della misura nel valutare se stesso» (Ferrero). 6. la ragione: • la giustizia degli uomini, che contro di lui si sono valsi dell'aggressività della guerra» (Ferrero). 1.

(=

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papa: ritengasi lei e lascisi lui, donando al favor, concesso da Cristo a la vincita vostra, il vicario suo, non consentendo che la letizia de la vittoria impedisca l'ufficio del vostro divin costume; che certissimamente, fra tutte le corone che avete acquistate, e in quelle che Dio e la sorte debbono al rimanente de la vostra illustre vita, non si vedrà mai atto di più degna ammirazione. Ma che non puote la speranza ne la ottima, religiosa e cortese Maestà di Carlo quinto, Cesare sempre augusto ?1 Di Vinezia, il 20 di maggio 1527. III AL SERENISSIMO ANDREA GRITTI 2

DOGE DI VENEZIA

lo, sublime principe, ho due oblighi con Cristo, i quali pareggiano il grado nel quale mi conserva Iddio. L'uno è il trasferirmisi, che qui feci, con la sua volontà; l'altro il farvi grata la mia condii. In queste riflessioni intorno alle conseguenze e agli sviluppi politici del sacco di Roma, non si dimentichi l'odio dell 1Aretino verso il datario Giberti, il maggior consigliere di Clemente VII in quel cruciale periodo storico: lo riteneva fautore della sua disgrazia presso il papa. 2. Andrea Gritti: al Gritti (1454-1538), doge di Venezia dal 1523, l'Aretino scrive lodando la città e la libertà che si gode in essa. In particolare il doge, considerando il vantaggio che poteva venire a Venezia dal pubblicista, favori i suoi soggiorni e protesse ogni suo atto. Era così intervenuto presso Clemente VII, e anche con l'aiuto di altri {specialmente di Girolamo da Schio, vescovo di Vaison, e di Federico II Gonzaga, marchese e poi duca di Mantova) era riuscito nello scopo di favorire lo scrittore già osteggiato dalla Curia. Come il Del Vita dice nel commento mondadorfano, "tale intervento va anzi considerato come il primo segno palese ed ufficiale della protezione, rimasta fino allora tacita, del governo di Venezia sull'A.: protezione che ne spiega in gran parte sia la libertà di azione che la potenza•· Si aggiunga che lodando la libertà di Venezia, patria universale, lo scrittore aborrisce una volta di più il mondo fallace delle Corti, con speciale riguardo a quella papale dove aveva fatto cosi cattive prove. La lettera, senza data, è del 1530 (come aveva opinato A. Luz10, P. Aretino 11ei suoi primi a11ni a Venezia e la Corte dei Gonzaga, cit., p. 36, nota 1: icÈ senza data e il Mazzuchelli, e dietro lui la turba pappagallesca, la dà come del 1527. Ma è chiaro che è scritta nel 1530, dacché l'Aretino ringrazia il Doge d'averlo difeso "riducendolo in gratia di Clemente"»). A sua volta Fausto Nicolini (ne Il primo libro delle lettere dell'Aretino a sua cura, Bari, Laterza, 1913, p. 434) aveva specificato doversi trattare del settembre del medesimo I 530 (•perché dal contesto si desume evidentemente che dové precedere di poco la lettera XXI n [secondo la numerazione della raccolta: la lettera in oggetto è la xx]). In più il Ferrero ricorda che la lettera •nell'ediz. del 1542 è posta al principio del volume, dopo la lettera di dedica al duca di Urbino 11 (in Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, Torino, U.T.E.T., 1951 e 1966).

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zione: onde io confesso aver per ciò salvato l'onore e la vita. Ma la credenza, che sempre dedi1 al grido di sl fatta terra e a la fama di sl degno doge, ha gustati i frutti del suo giusto sperare. Tal che debbo celebrar lei2 e reverir voi: lei, per avermi accettato; voi, per avermi diffeso da l'altrui persecuzioni, riducendomi in grazia di Clemente con piacere degli sdegni de la Sua Beatitudine e con iscarico de la mia ragione, 3 la quale è sl buona, che, nel mancar de le promesse papali, osserva il silenzio .che la Serenità Vostra mi impose. E ben si vede la differenza che è tra la fede d'un vertuoso a quella d'un grande. Ma io, che, ne la libertà di cotanto Stato, ho fomito4 d'imparare a esser libero, refuto la Corte in eterno, e qui faccio perpetuo tabernacolo agli anni che mi avanzano: perché qui non ha luogo il tradimento, qui il favore non può far torto al dritto, qui non regna la crudeltà de le meretrici, qui non comanda l'insolenza degli effeminati,5 qui non si ruba, qui non si sforza e qui non si ammazza. 6 Perciò io, che ho spaventati i rei e assicurati i buoni, mi dono a voi, padri dei vostri popoli, fratelli dei vostri servi, figliuoli de la verità, amici de la vertù, compagni degli strani,7 sostegni de la religione, osservatori de la fede, esecutori de la giustizia, erari de la caritade e subietti de la clemenza.8 Per la qual cosa, principe inclito, raccogliete l'affezion mia in un lembo de la vostra pietà, a ciò ch'io possa lodare la nutrice de !'altre città e la madre eletta da Dio per far più famoso il mondo, per radolcire le consuetudini, per dare umanità a l'uomo e per umiliare i superbi, 1. dedi: diedi. 2. lei: Venezia. 3. CMI iscarico de la mia ragione: ccon soddisfacimento del mio buon diritto• (Ferrero). 4. fonzito: finito. 5. effeminati: nel valore di «ganimedi», uamasii ». 6. perché qui non . •• ammazza: molto spesso nelle lettere e nelle opere (ad esempio, qui addietro nel Dialogo nel quale ecc., p. 242) l'Aretino fa l'elogio della libera città di Venezia. Opportunnmente il Ferrero ricorda a questo proposito le stanze del I 527 in lode della città conservate in un codice marciano e già edite in parte dal Luzio (nel cit. Pietro Aretino 1iei moi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga, pp. 37-40 1 Pietro Aretino in laude di Venezia) e, nella loro interezza, da Guido Antonio Quarti (Quattro secoli di vita veneziana, nella storia dell'arte e nella poesia. Scritti rari e curiosi dal z500 al I900, prefazione di Renato Simoni, vol. 1, Milano, Gualdoni, 1941 1 pp. 26-8: il testo è alle pp. 27-8 con alcune note illustrative del curatore; segue, del novembre I 532 1 un anonimo Capitolo contra Pietro Aretino posto sopra una colonna a Rialto). 7. strani: stranieri. 8. padri .•• clemenza: la critica ha notato come l'Aretino si ammanti di parole solenni e morali che non corrispondono al fondo più vero della sua natura sensuale, e individualistica fino al cinismo e al ricatto; e ha anche valutato che l'ideale della libertà per lo scrittore è una licenza senza freni per la sua attività di uomo e di pubblicista.

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perdonando agli erranti.' E cotale essercizio è proprio suo, come il dare a le paci principio e a le guerre fine. Onde gli angeli guidano i loro balli e fermano i lor cori e ruotano i loro splendori sopra il campo de l'aria che le sta sopra, tal che passa, 2 sotto gli ordini de le sue leggi, con la lunghezza de la vita, i termini prescrittici da la natura. O patria universale! o libertà comune! o albergo de le genti disperse! quanti sarebbero i guai d'Italia maggiori, se la tua bontà fusse minore( Qui è il rifugio de le sue nazioni, qui è la sicurtà de le sue ricchezze, qui si salvano i suoi onori; ella l'abraccia, s'altri la schifa; ella la regge, s'altri l'abatte; ella la pasce, s'altri l'affama; ella la riceve, s'altri la caccia, e, nel rallegrarla ne le tribulazioni, la conserva in carità e in amore. Si che inchinisi a lei, e per lei porga preghi a Dio, la cui maestà, per mezzo dei suoi altari e dei suoi sacrifici, vole che Venezia concorra d'eternità con quel mondo che si stupisce come la natura le abbia fatto luogo miracolosamente in un sito impossibile e come il cielo le sia tanto largo de le sue doti che ella risplende ne le nobiltà, ne le magnificenzie, nel dominio, negli edifici, nei tempii, ne le case pie, nei consigli, ne la benignità, nei costumi, ne le vertù, ne le ricchezze, ne la fama e ne la gloria più che altra che mai fusse. Taccia Roma, perché qui non son menti che possino né che vaglino tiranneggiare la libertà, fatta serva dagli animi dei suoi. Onde io con più riverenza saluto e osservo la sincerissima Clarità Vostra, posta in sede, come termine3 de la publica unione, che non salutarci e osservarci qualunche re o imperadore del tempo degli antichi; e non men bramo che la generosa vita sua entri con i previlegi di Dio nel secondo secolo4 che il trapassar tanto oltre de la mia. E, poi che altro premio per me non si pò rendere ai beneficii coi quali m'avete sostenuto, la sublimità di Quella5 si paghi con l'augurio con che tento di allungarle i giorni, che saranno lunghissimi, perché Ella sa usargli.6 Di Vinezia [1530.] 1. umiliare . .. e"anti: cfr. Virgilio, Aen., VI, 853. 2. passa: oltrepassa. 3. come termine: come segno e simbolo. 4. nel secondo secolo: nell,immortalità. 5. Quella: Lei (con formula derivata dal linguaggio cancelleresco dell,età umanistica). 6. •Venezia era l'unico stato italiano veramente potente e libero e non asservito alln politica della Spagna o della Francia, il cui gioco dominava le azioni e la vita stessa degli altri stati italiani» (Del Vita). Poco prima, con l'invito all'Italia - inchinisi a lei-, l'Aretino aveva vaticinato il momento in cui l'Italia, per la libera politica di Venezia, a essa si inchinasse in segno di omaggio e per essa porgesse preghiere a Dio.

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IV

A PAPA CLEMENTE 1

Né al grado né al sangue di Quella si confaceva la crudeltà de l'ostinazione;'- perciò la Beatitudine Vostra mi si è mostrata più facile negli effetti che ne le intercessioni. 3 Monsignor Girolamo da Vicenza,4 vescovo di Vasone, suo maggiordomo, qui in casa de la reina di Cipri, 5 sorella di Cornaro,6 mi ha posto in man propria il breve.7 E perché a lui lo imponeste con i comandamenti, mi ha

1. L'Aretino ringrazia Clemente VII per il breve della stampa della sua Marfisa e chiede scusa per quanto ha scritto di lui mentre era prigioniero in Castel Sant'Angelo. La riconciliazione col papa era stata anticipata con abile stratagemma pubblicistico dalla lettera (a cui abbiamo accennato in precedenza; cfr. la nota I a p. 487) al papa durante la sua prigionia: l' Aretino si destreggiava fra il papa e Carlo V nella ricerca di una propria duratura sistemazione e nelt>esigenza, non sempre disinteressata, di un superiore equilibrio nelle dolorisissime vicende della politica italiana. Per molteplici accenni all'importanza di questa ultima lettera si veda A. DEL VITA, L 1 Aretino. Le cause della sua potenza e della Sila fortuna, Arezzo, Edizioni della Casa Vasari, 1939, pp. 80-91, Relazioni con Clemente VII. 2. Né al grado .•. ostinazione: il papa non aveva voluto per vario tempo riconciliarsi con lo scrittore sfrontato e ricattatorio, ma poi aveva ascoltato le intercessioni di potenti protettori di lui. 3. negli . •• intercessioni: •Per ricavare un significato soddisfacente da cotesta frase [ ...] bisognerà forse intendere: effetto, esito favorevole, giovamento; e intercessione, interdizione (cfr. il lat. intercessio; l' A., nelle lettere di parata, non rifugge dall'usare qualche latinismo) :11 (Ferrero). 4. Girolamo da Vicettza: Girolamo Bencucci o da Schio (1481-1553) già menzionato alla nota 2 a p. 489 (Vasone è Vaison). Anche per la sua carica di maggiordomo pontificio era riuscito a riconciliare Clemente VII con J»Aretino. 5. reina di Cipri: la regina di Cipro, Caterina Comaro o Corner (1454-1510), della quale si parla negli Asolani del Bembo. Rimasta vedova nel 1473 di Giacomo II, bastardo dei Lusignano, re di Cipro, poté conservare la corona grazie alla protezione di Venezia, malgrado gli intrighi di altri aspiranti alla successione. Nel 1489 Venezia la costrinse ad abdicare in suo favore. 6. Cornaro: crediamo si tratti di Giorgio Cornaro (o Corner), abile e potente politico, chiamato in Venezia •padre della patria:11. 7. il breve: secondo il Nicolini (seguito dagli altri studiosi) era il breve o privilegio per la stampa della Marfisa. Tale poema doveva essere dedicato al marchese di Mantova, che, man mano che l'opera procedeva, inviava al poeta doni e sovvenzioni. Ma l'Aretino, indubbiamente per insoddisfazione verso l'opera sua troppo prolissa e generica, pare abbia bruciato varie migliaia di stanze. Rara è l'edizione che poi ne fu fatta senza indicazione di stampatore e nemmeno di anno: Al gran Marchese del Vasto. Dei primi canti di •Marpliisa:11 del Divino Pietro Aretino. Si noti il mutamento della dedica: lo scrittore poté cosi usufruire,

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detto che gli diceste che mi dicesse: 1 come né de l'esser di forier di Rodi2 divenuto pontefice e di pontefice prigione, vi siate tanto stupito quanto de l'avervi lacerato il nome con i miei scritti, massimamente sapendo io perché non puniste altrui de lo assassinamento esperimentato sopra la persona mia. 3 Padre santo, in tutte le cose, che io mai dissi o composi, sempre a la lingua fu conforme il core ;4 ma, nel toccarvi l'onore, la fedeltà sua le ha ogni or protestato di non aver colpa nel suo proverbiarvi. Ma se quegli, i quali son giunti al sommo de le grandezze mercé vostra, vi hanno oltraggiato con le lance,5 qual maraviglia se io vi ho ingiuriato con le ciance?6 Io ho pentimento e vergogna di due cose. Mi pento di aver biasimato quel papa, la gloria del quale mi fu sempre più cara che la vita; e vergognomi che, volendolo pur biasimare, l'ho fatto ne lo ardore degli infortunii suoi. Ma non saria stata pessima la sorte, che vi serrò in Castello,' se non vi inimicava me ancora.8 Ora io ringrazio Iddio che a voi ha tolto de l'animo le durezze degli sdegni, e a me de la penna le dolcezze del vendicarmi. E per lo avenire vi sarò quel buon servo che vi fui, quando la mia vertù, che si pasceva de la laude vostra, si armò contra Roma nel vacar de la sede di Leone ;9

in certo modo, di quanto rimaneva della distruzione dell'intero poema valendosi della protezione (timorosa di sue critiche) del marchese del Vasto. I. mi ha ••• dicesse: il Ferrcro vi vede una scimmiottatura del dantesco crCred'io ch'ei credette ch'io credesse» (lnf., XIII, 25). 2.forier di Rodi: Giulio de' Medici prima di essere cardinale era stato gran priore di Capua dell'ordine dei Cavalieri di Rodi. 3. assassinamento .•• mia: si allude alle cinque pugnalate infertegli da Achille della Volta. 4. sempre ... core: questa massima ha probabilmente origini letterarie classiche. 5. vi hanno . .• lance: col sacco di Roma (1527). 6. qual maraviglia . •. ciance: anche se il papa si era messo dalla parte dei nemici dichiarati dell'Aretino, qui lo scrittore mette in secondo piano ogni suo risentimento e mostra solo dolore per le gravi vicende del papato e del pastore della Cristianità in particolare. 7. Castello: Castel Sant'Angelo. 8. se non ..• me ancora: gravi sono stati comunque gli atti dcli' Aretino contro il papa prigioniero e il collegio dei cardinali: dalla pasquinata Pax vobis ad altri scritti satirici. Potevano anche essere collegati col piacere di veder punire il papato dei misfatti commessi nella politica contemporanea e col gusto delle profezie di un pubblicista personale e ricattatore come l'Aretino. Il Del Vita nel commento alla lettera osserva che, a perseverando nella sua linea di condotta, l'A. non si peritava di far rilevare il danno che aveva recato al pontefice la sua inimicizia; della qual cosa del resto, a giudicare almeno dalle informazioni che dava all'A. Sebastiano del Piombo [...], si rendeva perfettamente conto anche il papa». 9. Leone: Leone X. Nel conclave (in cui fu eletto papa il fiammingo Adriano VI, austero e severo, con grande di-

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e farò si che il serenissimo Gritti, la cui intera modestia si è interposta fra la vostra pacienza e il mio furore, 1 mi avrà più tosto a dar premio che gastigo. Intanto la mia ottima volontade bascia a la Santità Vostra i piedi sacri con quella tenerezza di core con la quale soleva basciargli già. Di Vinezia, il 20 di settembre I 530. V AL RE DI FRANCIA:&

Egli è, sire, tanto proprio del cristianissimo 3 Francesco il donare, ed è si propria sua la natura de la liberalità che, in quanto a le cose terrene, concorrerebbe in far grazie con Iddio, se l'accompagnasse con la prestezza; perché la cortesia vera trotta con i suoi piedi e la finta zoppica con quegli de l'ambizione. Gli uomini rotti in mare e percossi in terra ricorrano a Cristo; e la sua bontà, che gli vede i cori ardenti di zelo e pieni di fede, subito gli scampa dal pericolo: onde i voti loro ornano i tempii suoi. Se alora che la necessità se gli divora, i vertuosi, che si rivolgono a la Vostra Maestade, fussero aiutati, ella saria il secondo lddio de le genti; ma i doni son si tardi che fanno, a chi gli riceve, quel pro' che fa il cibo a colui che è stato tre di senza mangiare, che, alterandosi il digiuno, nel sentir ciò che non può più gustare, o si muore o ne sta in forse. Ecco tre anni sono che mi prometteste la catena di cinque libbre d'oro; e non credo che sia più dubbio ne la venuta del Messia dei Giudei,

soppunto della Corte pontificia e di tutta Roma) l'Aretino aveva favorito Giulio de' Medici. Ma costui ascese al papato solo più tardi. 1. Gritti ... furore: • Con queste frasi di apparente convenienza l' A. faceva notare al papa che una garanzia della propria futura fedeltà verso di lui veniva ad esser rappresentata dallo stesso doge Gritti » (Del Vita, che rinvia alla lettera precedente, senza data ma da riferire al 1530, e riprodotta qui addietro a pp. 489-91). 2. re di Francia: Francesco I. Lo scrittore ringrazia il re per il dono, veramente spiritoso, d'una collana d'oro composta di anelli a forma di lingua. Fiero di averla ricevuta come segno del favore del re, l'Aretino se ne valse anche per ottenere doni dall'imperatore Carlo V. È stato fatto osservare il tono di condiscendenza (non insolito in ringraziamenti del genere) con cui il dono viene accettato. Con un modo che è in lui tipico, l'Aretino non nasconde frizzi e riflessioni sottili anche nei confronti del magnanimo donatore. 3. cristianissimo: è l'appellativo che compete al re di Francia.

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poi che pur venne, di lingue smaltate di vermiglio e con brevi, 1 nel cui bianco è scritto: LINGVA EIVS LOQUETVR MENDACIVM.z

Per Dio! che la bugia campeggia cosi bene in bocca a me come si faccia la verità in bocca al clero. Adunque, se io dico che sète ai vostri popoli quello che è Iddio al mondo e il padre ai figliuoli, dirò io la menzogna? Dicendo che avete tutte le rare vertù, la fortezza, la giustizia, la clemenza, la gravità, la magnanimità e la scienza de le cose, sarò io bugiardo ? Se io dico che sapete regger voi stesso con istupor d'ognuno, non dirò io il vero? Se affermo che i suditi che tenete sentano3 più de la vostra possanza con i beneficii che con la ingiuria, parlarò io male? Se io grido che sète padre de le vertù e primogenito de la fede, non dirò io bene? Se io predico che il gran merito del vostro valore, per vertù di sé medesimo, mosse l'amor d'altri a farvi erede del regno, potramisi oporre? È ben la verità che, volendo io vantare il presente de la collana per presente, mentirei, perché non si pub chiamar dono quello che, mangiatasi la speranza di averlo in erba, è prima venduto che visto. Se non che la bontà vostra è smisurata e innocente, e se non che son risoluto che quella si credeva che io l'avessi avuta, sciorrei tutte le lingue che son legate a la catena, e farei squillare di modo che i ministri dei tesori reali se ne risentirebbero per qualche dl, onde

1. brevi: cartigli di pergamena. z. Questo motto è stato variamente commentato dai critici. Anzitutto si è pensato che, in un proprio dono all'Aretino, il re non volesse dir altro che questo: che le numerose lodi, da lui dirette alla sua persona, erano eccessive, quindi false. Il Luzio (nel suo lavoro su P. Aretino 11ei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga cit., p. 53, nota 83, e p. 54 in nota) aveva chiarito che il motto era diverso in una lettera inedita del 1533 a Pier Paolo Vergerio il Giovane da lui pubblicata: • lingua eius loquetur iudicium •· In tal caso, sotto tale forma, in accostamento coi famosi pronostici dell'Aretino, il motto sarebbe stato un e riconoscimento ufficiale del giornalista che si era eretto a giudice di tutto e di tutti•. (La lettera era stata pubblicata dal Luzio dietro l'originale dell'Archivio di Stato di Firenze). Il Ferrero dice al riguardo: e Ma perché in questa lettera al re di Francia l'A. avrebbe offerto al gran pubblico de' suoi lettori una lezione inesatta del motto che nel testo genuino era un solenne riconoscimento della sua potenza? •· l.VIa si tenga presente il seguito della lettera e si ricordi il testo originale del salmo 36, 30: • Os iusti meditabitur sapientiam, et lingua eius loquetur iudicium •· 3. sentano: sentono (e cosi altrove): la solita fonna aretina propria dell'autore.

PIETRO ARETINO

imparerieno a mandar tosto ciò che il re dona subito. 1 Ma, non sendo inganno ne la lealtà vostra, non debbe essere sdegno ne la vertù mia, la qual è e sempre sarà umil favellatrice de la ineffabile benignità de la Sua Maestà, ne la cui grazia serbimi Cristo. Di Vinezia, il 10 di novembre 1533. VI AL GRAN CARDINALE IPPOLITO DEI MEDICI 2

Essendo io, signore, obligato a la cortesia del re Francesco e del cardinale Ippolito, che mi han rilevato alquanto da la necessità in cui sono per quella invidia con la quale i miei nimici vinsero la bontà di Sua Beatitudine, non ardirei movermi per Constantinopoli, dove mi tira la liberalità del Gritti3 e dove mi trascina la povertà mia,4 se prima non ve ne facessi motto, come ho mandato a farne a Sua Maestà; che, degnandosi comandarmi cosa alcuna in quelle parti, vi servirò con quel core che un giusto serve Iddio. E cosi l'Aretino, uomo verace, eccetto nei biasimi che le troppo aspre cagioni mi hanno fatto dare a Nostro Signore, 5 misero e vecchio, se ne va a procacciarsi il pane in Turchia, lasciando fra i Cristiani

I. onde • .. mbito: nel principio della lettera l'Aretino ha rivolto un velato rimprovero al re per il ritardo con cui aveva mandato il dono, e ora ne fa colpa ai cortigiani infedeli o almeno pigri. È uno dei soliti modi che lo scrittore ha nel mitigare le sue accuse verso il finale di una lettera. « Non manca qui - come in altri casi - la minaccia finale smorzata dall'abilissimo periodo di chiusura della lettera D (Del Vita). 2. Ippolito dei Medici: il cardinale, più volte menzionato (cfr. le note 2 a p. 50 e 6 a p. 440) e sempre citato per la sua vita lussuosa e gli atti di mecenatismo verso letterati e artisti.L'Aretino allude a un proprio minacciato viaggio in Oriente per poter procacciarsi da vivere, allontanandosi per sempre dall'Italia. Cosl vanta a maggior ragione la sua ricerca di indipendenza morale e la sua esigenza di verità. Ma è stato osservato come questa lettera non fosse altro, in sostanza, che un metodo per spillare denari e aiuti dai protettori e specialmente dal cardinale Ippolito. Andare dai Turchi avrebbe potuto significare un affronto alla Cristianità tutta. 3. Gritti: è Luigi, figlio del doge Andrea Gritti (1454-1538): era inviato del re di Ungheria a Costantinopoli. 4. povertà mia: il solito lamento dell'Aretino per ottenere di più dai potenti, a parte i momenti di disordinata prodigalità per cui impegnava o addirittura vendeva i doni ricevuti. 5. Nostro Signore: il papa Clemente VII. (Si noti la definizione di uomo verace che l'Aretino dà a sé stesso).

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felici i roffiani, gli adulatori e gli ermafroditi, corgnuole dei principi, 1 che, chiudendo gli occhi a lo essempio che gli pone inanzi la vostra real natura, tanto vivono quanto veggano mendicare quei buoni, ai quali allargate la mano a tutte l'ore e in ogni luogo. Ora, con licenza vostra, io, che ho ricomperato il vero col proprio sangue, 2 me ne andrò là; e nel modo che altri mostra i gradi, le entrate e i favori acquistati ne la Corte di Roma per i suoi vizi, mostrerò le offese ricevute per le mie vertù, il cui spettacolo, che mai non ha mosso a pietà questi signori, moverà a compassione quelle fere. E quel Cristo, che a qualche gran fine mi ha campato tante volte de la morte, 3 sarà sempre meco, perché io tengo viva la sua verità, e ancora per esser io non pur Pietro, ma un miracoloso mostro4 degli uomini. E per fede di ciò, solo io ho il core ne la fronte; onde può vedere il mondo con che effetto io vi osservi. Ben so che io faccio ingiuria a la grandezza vostra col partir mio, disperando di quella sua grazia, con la quale consola gli afflitti. Me n'è cagione la paura che mi fanno gli anni e il sospetto che io ho de la malignità di alcuni, che, non mi potendo perdonare per avermi offeso, vi potrebbero raffreddare il caldo voler di farmi bene. E poi delibero di predicarvi ne lo Oriente, sì come l'ho predicato fra noi, onde vi reveriranno le genti che non conoscono la riverenza. Io, nel divorzo che faccio da la Italia forse per sempre, non piango le cagioni del mio esilio, ma il non le aver lasciato testimonio de l'amore che io vi porto, come le lascio de l'odio che io porto agli altri; benché mi conforta la speranza, che io ho, di suplire ne la nuova sorte al mancamento de la vecchia fortuna. E consenta Dio, prima che io muoia, che possa pagare quella vostra propria cortesia, che, mosso inverso me, volontariamente venne ad aiutare i bisogni miei. Io parlo con l'anima sincera, svelata da la fraude e d'ogni adula-

J. corgnuole dei principi: corniole (pietre in quel tempo pregiate), cioè persone predilette dai principi nelle Corti. 2. col proprio sa11gue: con riferimento alle pugnalate ricevute in Roma nel 1525. 11L,A. attribuiva le ferite più volte ricevute alle verità dette. È noto il motto da lui fatto porre in una delle medaglie coniate in suo onore: veritas odium parit » (Del Vita). Che a la verità generi odio» era quindi un vanto dello scrittore, non sempre capace di differenziare i suoi interventi personali (per odi, rancori e ricatti) con la ricerca della verità nel campo politico e morale. 3. campato ••• morte: più volte l'Aretino venne ferito o anche minacciato di morte, come si desume da testimonianze delle stesse Lettere. 4. mostro: prodigio (dal latino monstrum).

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zione, le quali fanno me misero per aborrirle e altri beato per osservarle.1 Di Vinezia, il 19 di decembre 1533. VII AL MAGNO ANTONIO DA LEVA a

Non avendo, signore, fino a qui la Vostra Eccellenza pretermessa cosa che si appartenga a un capitano degno, volete ancora osservare, per esser voi e l'uno e l'altro, tutto quel che si conviene a un principe buono, il qual dona per misericordia e non per vanto. Il signor don Giovanni Caraffa, onor de la nobiltà sua, mi ha data la gran coppa con il coperchio, la quale mi donate non perché io vi laudi, ma perché io vi dica il vero; ché ben sapete che i re hanno abbondanza dei tesori e carestia de la verità, le cui voci sono l'obietto de le vostre orecchie, le quali tuttavia intendano da lei l'istoria, che canta come la persona vostra è afflitta per essere stata il carro di tutti i trionfi di Cesare.3 Ma Ella è per acquistar più vittorie in letto che gli altri combattendo,4 perché è più potente e più feroce la providenza del duce che la mano e il volto de lo essercito che egli guida. O glorioso uomo, oltra il dono de la tazza d'oro in questa età di ferro, 5 mi scrivete che io vi tansi6 in quel ch'io voglio, che

J. e altri • •• osservarle: si allude, come è stato detto dai critici, al Bemi, acre nemico dell'Aretino e cortigiano del cardinale Ippolito de' Medici. L'Aretino più volte gli ricambia con pari fiele la sua inimicizia. 2. Antonio da Leva: Antonio de Leyva (1480-1536), della Navarra, generale di Carlo V e governatore di Milano, più volte menzionato dall'Aretino (cfr. pp. 50, 202 e 543). Il personaggio aveva fatto dono allo scrittore di una coppa d'oro e gli aveva promesso - sui fondi dello Stato di Milano - una pensione annua. La accompagnava una lettera di Giambattista Castaldo, letterato e uomo di guerra, segretario del marchese di Pescara (lettera raccolta fra quelle dei corrispondenti dell'Aretino in Lettere scritte a Pietro A.retino, ed. Landoni cit., voi. 1, parte 1, 1874, pp. 199-201). Da tale lettera, utilmente riesumata dal Del Vita, in rapporto alla presente si desume che il de Leyva per e accaparrarsi la buona grazia e soprattutto il silenzio del1'A. sulle sue malversazioni governatoriali • faceva significare allo scrittore •ch'egli aveva più caro "di averlo per suo amico e fratello, che non di guadagnar una terra, per buona che fusse" e di pregarlo di voler "tassarlo un tanto lo anno"•· 3. Cesare: Carlo V imperatore. 4. più vittorie • •• combattendo: il de Leyva era malato di gotta, e, quando doveva accompagnare le truppe, andava in lettiga. 5. d'oro • • . ferro: uno dei soliti bisticci dell'Aretino. 6. tansi: il Ferrero ricorda che le edizioni del '500 e l'edi-

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qui mi si pagarà in un banco d'anno in anno.1 lo non taglieggio la cortesia di niuno, e siami la pensione, che mi offerite, la grazia vostra; che, avendola, sono d'ogni disaggio securo. Ma io ti ringrazio, Cristo, di aver tu sopportato che io sia mendico ne la servitù di due papi,2 perché cotal loro ingratitudine è il testimonio ch'io son buono. Perciò Vostra Signoria illustrissima non si sdegna dirmi ne la sua lettera che stima più la mia amicizia che una cittade,3 e che, fin che vi dura la vita, volete che ella duri. Onde io delibero bere al nappo, che io terrò per ricordanza sua, l'acqua de la oblivione, acciò che mi si scordi il nome di ciascuno altro, vantandosi la vertù mia che ne la punta de la spada vostra sieno gli alimenti suoi. Ma, benché ella sia piccola, non è che, dandole voi il pane venti o trenta anni che lddio mi conceda vivere, non le basti l'animo spenderne più di mille in pascervi il nome. Or veggasi con quanta usura si avanza con i vertuosi, non come io sono, ma quale io vorrei essere per compiacere agli onori di quella vostra altezza, che mi solleva da terra ne lo inchinarmele. Di Vinezia, il 6 di giugno 1534.

zione del 1609 hanno tansi e che così leggono il Nicolini e il Flora nelle loro edizioni delle lettere; e corregge però in tassi. L'edizione mondadoriana Flora-Del Vita, da noi seguita, reca tansi, e nel commento (voi. I, 1960, p. 1004), nella parte linguistica dovuta al Flora, questi osserva: «L'A. scrive utansi,, e usa un latinismo da 11 ta11gere" e da "taxare" •· 1. si pagarà • •• an110: il de Leyva, come l'imperatore, pagava in effetto una sovvenzione annua allo scrittore. 2. due papi: Leone X e Clemente VII. Da loro l'Aretino aveva cavato meno di quanto sperava, e da ciò il suo continuo non celato risentimento, espresso sia in lettere sia soprattutto in satire. 3. cittade: la •terra», di cui nella lettera già riferita del Castaldo.

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VIII A MESSER GIORGIO D'AREZZO 1 PITTORE

S'eravate, figliuolo, quando Paolo2 mandò agli Ateniesi per un filosofo che gli amaestrasse i figliuoli e per un pittore che gli ornasse il carro,3 gli averiano inviato voi e non Metrodoro,4 perché sète istorico, poeta, filosofo e pittore. E ci son di quelli che gli par esser il seicento5 fra gli spiriti famosi, che non acozzerebbono in mille anni l'ordine del trionfo cesareo, né la pompa de le genti e r. Giorgio d'Arezzo: Giorgio Vasari (15n-1574), celebre pittore, architetto e storico dell'arte nelle Vite. Amico dell'Aretino (a cui doveva favori in Venezia per commissioni di ritratti e opere d'arte), aveva allestito l'apparato della recita della Talanta nella stessa Venezia. Nella lettera si parla dell'apparato trionfale fatto allestire da Alessandro de' Medici per la venuta a Firenze di Carlo V. Il Vasari stesso (che ne parla anche nella propria biografia, nella vita del Tribolo e in quella di Cristoforo Gherardi, detto Dioceno) aveva descritto tali preparativi in una lettera all'Aretino che è stata pubblicata nel carteggio suo e in quello dell'amico. Oltre quanto è registrato dalla critica sui rapporti fra lo scrittore e il pittore, si veda utilmente LIONELLO VENTURI, Pietro Aretino e Giorgio Vasari, in Pretesti di critica (Milano, Hoepli, 1929), pp. 53-72, quale IV saggio della parte 1, Critica della critica. Da considerare nella conclusione: « E dunque palese l'influsso delle idee dell'Aretino su alcuni giudizi di Giorgio Vasari: su pochi giudizi, eppure essenziali per il valore critico delle Vite [...] Alla concezione teologica dell'arte è sostituita la concezione storica. Naturalmente perché tutte le Vite avessero potuto elevarsi al grado di storia, sarebbe stato necessario che per tutti gli artisti il Vasari si fosse posto il problema critico, come se lo pose nel r 568 per Michelangelo, Raffaello e Tiziano: ma per tutti gli altri il Vasari non sentiva un interesse critico così appassionato, né aveva ricevuto l'impulso chiarificatore di un ingegno più acuto e più profondo del suo, qual era l'ingegno di Pietro Aretino». 2. Lucio Paolo Emilio, che vinse a Pidna (168 a. C.) Perseo, re di Macedonia. Nella I edizione del volume: De le lettere di m. Pietro Aretino libro primo (In Vinetia, per Francesco Marcolini da Forll, MDXXXVIII) si leggeva: « Se, dapoi che Xerse re fu vinto, voi foste stato quando» ecc., ma il riferimento erroneo a Serse fu espunto dall'edizione del I 542 che è ora tenuta per base come definitiva. 3. gli ornasse il ca"o: gli dipingesse con scene di guerra il carro trionfale. 4. Metrodoro: di Atene, pittore e filosofo della prima metà del secolo II a. C. Di lui parla appunto Plinio il Vecchio nella Naturalis historia, xxxv, r35. 5. che gli . .. seicento: che si danno grandi arie. (L'espressione venne spiegata dal Borghini con l'allusione storica ad un cavallo « per correre,,, cioè un barbero pagato seicento fiorini d'oro dalla famiglia Benci, e ne nacque il proverbio, dato allora dal letterato «ancora in uso, di chi, per bellezza di veste e di ricchi drappi che egli abbia intorno, si pavoneggia, e 1 gli par di essere il secento »).

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degli archi, con la destrezza de le ornate parole, come m'avete scritto. 1 Io, per me, veggo ne la vostra lettra le due gran Colonne:& con il Plus ultra che le attraversa; veggo i mostri dipinti nei basamenti; veggo l'epigramma con l'aquila di sopra e quella Bugia3 che si morde la lingua mentre sostiene l'arme di Sua Maestà. Veggo l'edificio de la gran porta e la diligenzia del Barticino ;4 veggo il tumulto che ne lo entrarvi fanno gli inumerabili principi drieto a CarloAugusto.5 Veggo i reverendissimi pontificalmente con Alessandro6 signor nostro, che '1 vanno a incontrare. Veggo anche con che destrezza smonta da cavallo, presentandoli il core e le chiavi di Fiorenza. Sento dirgli di7 Sua Altezza: - E queste e quel ch'io tengo è vostro. - Veggo lo stuolo dei paggi sopra i cavalli imperiali, e mi abbaglio la vista nel tremolar dei puntali d'oro, di cui erano tempestati i drappi de la gioventù fiorentina. Veggo i due mazzieri, che usa di menarsi inanzi l'imperadore, e il cavallerizzo con la spada de la sua giustizia; e m'inchino a Sua Eccellenza, mentre con gli occhi de la mente8 la scorgo in mezzo al duca 1. come m'avete scritto: si fa riferimento alla lettera scritta appunto dal Vasari ali' Aretino e pubblicata fra le opere del Vasari stesso (Le opere di Giorgio Vasari, a cura di Gaetano Milanesi, VIII, Scritti minori, Firenze, Sansoni, 1882, pp. 254-60: lettera senza data, ma del 30 aprile 1546) e in IL carteggio di Giorgio Vasari, edito e accompagnato di commento critico dal Dott. Carlo Frey (Miinchen, Georg Miiller, 1923, pp. 52-62 con commento e con la data • 1536.28.(?)1v»): il Frey a pp. 70-3 pubblica anche la lettera dell'Aretino secondo il testo dell'edizione marcoliniana del 1538 in alto citata, del 7 giugno 1536, con commento e varianti. 2. Colon11e: quelle di Ercole, col motto Plus ultra: esse formavano un'impresa dell'imperatore (con diretta e adulatoria allusione ai possedimenti americani). 3. Bugia: si tratterà di una« impresa» raffigurante la Fama menzognera. 4. Barticino: Antonio Particini, «maestro di legname» (carpentiere, falegname) fiorentino . . 5. Augusto: imperatore. 6. Alessandro de' lvledici (1510-1537), primo duca di Firenze. Venne ucciso, con l'aiuto del servo Scoronconcolo, dal cugino Lorenzino dopo essere stato attirato in un convegno amoroso con la moglie di Leonardo Ginori. Lorenzo si vantò, nella sua Apologia, di aver operato per amore della libertà cittadina al fine di sollevare il popolo fiorentino contro la tirannia medicea. Successore fu invece il diciottenne Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e futuro granduca di Toscana. Alessandro era figlio naturale di Lorenzo duca d'Urbino. La venuta di Carlo V in Firenze dava lustro e valore ufficiale al fidanzamento di Alessandro con la principessa Margherita d'Austria, figlia naturale dell'imperatore. 7. di: da. 8. con gli occlii de la mente: forse l'Aretino ha presente il petrarchesco • con le ginocchia de la mente» (Rime, cccu."Vr, 63). Egli stesso non si peritò di scrivere in una sua composizione poetica a con le ginocchia de l'anima umili n e precisamente nella Canzone alla V ergine: questa canzone • si tro-

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d'Alba1 e al conte di Benevento.2 Non veggo già drieto a Cesare i prelati, perché non ho occhio che possa veder preti, salvo la grazia del mio Marzi. 3 Veggo l'arco del Canto a la Cuculia.4 Veggo la lllarità Augusta5 e leggo i titoli di tutte le machine. Veggo tutte le imprese del suocero6 del signor nostro. Veggo la figura de la Pietà coi bambocci adattatile addosso. Veggo la Fortezza, e intorno a lei le corazze e gli elmi; e sopra ogni invenzione mi piace la liberalità del corno de la quale escono le corone, cioè quella del re dei Romani7 e quella del re di Tunisi :8 ma l'altra, che appar mezza di fòre, sia pure ai di nostri.9 Veggo la Fede con la croce in mano e con il vaso ai piedi, e le parole sono divine; e parrai stupendo l'arco, che ha l'aquila con l'arme per il breve che si legge. È unica la istoria dove si figura la fuga dei Turchi, e la incoronazione di Ferdinando10 è bellissima, e più bella è per esservi Cesare presente. Veggo da l'altro lato i prigioni legati, con quelle cère barbare e con quegli abiti strani in testa, in vari gesti; e do gran laude al padre e al figliuolo, 11 va in fondo alla rara stampa della Passi"one di Gesù, che il Marcolini mandò fuori nel 1534, ed è - dice il Luzio - un pasticcio di motivi danteschi e petrarcheschi 1, come osserva Gaetano Sborselli che la raccoglie nella sua edizione delle Poene di Pietro Aretino, vol. II, Poesie serie (Lanciano, Gino Carabba, 1934, a Scrittori italiani e stranieri»), p. 271. Alla base dell'immagine dell'Aretino, e, a maggior ragione, in quella del Petrarca, sta l'Epistola I di san Pietro (1, 13), con «succincti lwnbos mentis vestrae ». 1. di,ca d'Alba: Fernando .Alvarez de Toledo (1508-1582) 1 poi tristemente noto per le repressioni nei Paesi Bassi (1567-1573), si era distinto sin da giovane nelle campagne militari di Carlo V, tra cui rassedio di Tunisi. 2. Conte di Benevento: Antonio Pimentel, sesto conte di Benavente (1514-1575), aveva preso parte a fianco di Carlo V a numerose campagne militari. 3. Ser Agnolo Marzi, vescovo di Assisi. 4. l'arco . •• Cuculia: «Era un grande arco trionfale fatto a quel Canto» (Del Vita). Per gli accenni toponomastici e le rappresentazioni allegoriche cfr. le due lettere del Vasari di cui sopra. 5. !Ilarità Augusta: una grande statua, opera di Giovanni Agnolo, detto il Montorsoli (« movendo il passo et ridendo in verso Sua Maestà, faceva segno di reverentia •, come scriveva il Vasari). 6. suocero: Carlo V (cosi chiamato per il consacrato fidanzamento della figlia). 7. re dei Romani: Ferdinando, di cui alla nota 10. 8. re di Tunisi.: al Hasan, della dinastia degli Hafsidi. Sloggiato dal Barbarossa (di cui alla nota I di p. sg.), riottenne il trono grazie alla spedizione di Carlo V, divenendone però praticamente vassallo. 9. l'altra ..• nostri: diceva il Vasari: a un'altra per uscir fuori appariva mezza, mostrando che di Toscana doveva essere investito re il duca Alessandro•· 10. Nel 1529 a Vienna e poi, nel 1532, in Ungheria, con l'intervento di Carlo V, i Turchi erano stati ricacciati; Ferdinando I d'Asburgo {1503-1564), poi imperatore: era fratello minore di Carlo V. Incoronato re dei Romani nel I 5 J 1. II. padre •.. figliuolo: Baccio d'Agnolo (1462-1543), architetto e intagliatore, e suo figlio Giuliano.

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che hanno messo insieme sl gentilmente la gran mole. Ma quella fuga di cavalli ne la facciata a San Felice è maravigliosa. Veggo la Fede e la Giustizia con le spade ignude in mano, le quali cacciano Barbarossa.' Veggo i morti in scorcio sotto i terribili cavalli. Veggo la pittura che disegna rAsia e la scoltura che abozza l'Africa. Veggo nel basamento il carro pieno di spoglie e di trofei. Veggo sudare quei putti, che portano la barella a usanza degli antichi. Veggo il re di Tunisi, ne l'istoria, che s'incorona. Veggo le Vittorie con gli epigrammi graziosissimi, con tutto il bello, eh' è di sopra, di sotto e da canto; e mi par essere un di quegli fermatisi là col viso in suso, mirando la fabrica miracolosa. Veggo via Maggia,2 il ponte a Santa Trinita e la strada del Canto a la Cuculia, tutta piena di turbe arecate in bizzarra attitudine. Oltra ciò, vi veggo condurre a perfezione la nuova fabrica. Veggo il legname, bontà del vostro pennello, non differente da le pietre diverse. Veggo Ercole che amazza l'idra, e so che il vivo non fu sl robusto, né si corto di collo, né sl pieno di nervi, né sl spesso di muscoli come quello che è uscito de le dotte mani del mio Tribolo. 3 Veggo appresso al ponte Santa Trinita il fiume d'Arno simile al bronzo, e gli veggo piovere dai capegli le istesse acque. Veggo gli altri fiumi, e Bagradas4 d'Africa, e Ibero d'Ispagna. La spoglia del serpe menato e portato a Roma è naturale, e i corni de la copia5 e le lettre; ma basta che si sappia che sien di man del Tribolo. Voglio che diamo la seconda palma al frate de' Servi,6 sl per essere stato discepolo del maestro,7 I. Il pirata Khair-ad-Din Barbarossa: impadronitosi di Tunisi nel I S34, ne venne cacciato l'anno seguente da Carlo V, e, per creare un impedimento a una espansione araba, Ferrante Gonzaga fu fatto viceré di Sicilia, isola intesa come baluardo della Cristianità contro gli Infedeli. 2. via 1.l1aggia: via l\llaggio, cioè Maggiore (di là dal ponte di Santa Trinita). 3. Nicolò Pericoli (1500-1558), detto il Tribolo, idraulico e scultore fiorentino, scolaro di Andrea e di Iacopo Sansovino: è autore di numerose fontane, ancora conservate nelle ville e nei palazzi fiorentini. Fu amico del Cellini, che lo ricordò nella Vita. 4. Bagradas: fiume della Tunisia, con allusione alla spedizione di Carlo V. L,opera è del Tribolo. 5. i corni de la copia: la cornucopia. 6. frate de' Servi: Giovanni Angelo detto il Montorsoli, dal luogo natio presso Firenze (dove mori nel 1563), autore dell,Arno sopra citato. Fu allievo di Michelangelo e lavorò con lui alla Sacrestia nuova e alla libreria di San Lorenzo. Entrò come frate nei Servi di Maria della Santissima Annunziata di Firenze. Sua è la statua di san Cosimo nella Sacrestia nuova di San Lorenzo. Lavorò in Roma, con Michelangelo, alla tomba di Giulio II, a Genova, a Venezia, a Messina (Fontana di Orione nella piazza del Duomo). 7. maestro: Michelangelo.

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sl per esser proprio dei frati di non saper far altro che scannar minestre.1 Ora il lVlonte Lupo2 nel fiume di Germania e di Pannonia non s'è portato se non da valentuomo, e i basamenti de sl delicate maniere non mi son nuovi. Duolmi che il raro Tribolo sudetto non ebbe tempo, che certo avria fatto la forma del cavallo3 di sorte che quel di Lionardo a Milano4 non si mentovava più. Veggo la Vittoria con la palma in mano e con l'ali di nottole al Canto degli Strozzi; e se non c'ho fatto buono stomaco ne le cose vostre, vomiterei vedendo quel volto di fava menata de la Vittoria5 col braccio enfiato. E più vi dico che colui, che l'ha fatta, ne va più superbo che l'imperatore, a l'onor del quale son sute fatte tante maraviglie. Ed è pur vero che sempre i più goffi vanno a man ritta,6 per aver7 più soldi che nome. Veggo il colosso vestito de la pelle del tosone,8 e mi fa paura la sua spada folgorante. Veggo i trofei, e leggo l'istorie dipinte nel basamento con il lason Argo, 9 impresa di Sua Maestà: ma scoppiava il fratacchione, se non chiariva altri che era frate in questo suo Morgantaccio. 10 Veggo sopra a la porta di Santa Maria del fiore lo epigrammau messo in mezzo de le due grandi aquile con le grottesche; 12 e so quanto meritano lode, per essere venute da Giorgio, 13 pellegrino intelletto. lo mi perdo, entrando in chiesa, ne lo splendore dei lumi riverberanti ne14 l'oro dei drappelloni. Vegscannar minestre: la solita frecciata delPAretino ai frati conversi, da lui chiamati spesso a brodaiuoli » nel Ragionamento della Nanna e della Antonia e altrove. 2. il Monte Lupo: Raffaello da l\ilontelupo (1505 circa - 1566 circa), che era stato scolaro di Andrea Sansovino e di Michelangelo. Sue erano le statue dell'Ibero e del Danubio, non quella del Reno che era del Tribolo, di cui è anche la Pace nominata a p. sg. 3.fonna del cavallo: in altorilievo nel basamento. 4. quel ... Milano: la celebre statua equestre di Francesco Sforza che non venne gettata in bronzo: il modello in creta fu distrutto dai soldati francesi quando invasero Milano. 5. fava menata: cfr. la nota 2 a p. 342; Vittoria: venne fatta da a un Cesare scultore», come dice il Vasari che la dichiarò difettosa. Era di Cesare da Vinci. 6. vanno a man ritta: ottengono i primi posti. 7. per aver: per il fatto di aver. 8. il colosso .•. tosone: Giasone (statua del MontorsoJi). 9. Argo: dell'impresa degli Argonauti (con la nave Argo). 10. Morgantaccio: riferimento al personaggio del poema del Pulci ricordato per la sua altezza e corpulenza a proposito dell'enorme statua in onore dell'imperatore. 11. lo epigramma: la scritta. 12. grottesche: motivi ornamentali, con animali e fiori bizzarramente disegnati e venuti di moda nel Rinascimento dalle grotte riesumate nei dintorni di Roma (come è anche testimoniato dal Cellini nella Vita). 13. Giorgio: il Vasari stesso. 14. riverberanti 11e: che riflettono. Il Ferrero dà rinverbe,·ati, a riflessi» e commenta: 11 È la lezione dell'editio pri11ceps: come appare dalla fedele trascrizione del Frey. La marcolininna terza (1542) ha: rinverberanti, che il Nicolini corregge in: 1.

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go la Giustizia e la Prudenza1 ne la via dei Martelli molto malconce da chi gli ha dato l'essere; cosi il mondaccio, benché stia meglio di loro. Benché mi recreo la vista ne la Pace posta al palazzo dei Medici, veggendola abrusciare l'arme con la sua fiaccola; ed era ben ragione che nel più degno luogo de la città fusse la più lodata opra. Fu bel pensato l'ornare di verdure2 l'onorata casa, onde simigliava la stanza e' hanno di state eletta per loro stessi gli dei silvestri; e le frondi ben compartite han non so che di sacro e di religione: poi si convien molto a l'ardor del caldo. E, per conchiuderla, io ho veduto ne l' essemplare de la vostra il tutto. Ma chi è capace de la grandezza del duca nostro, vede cotali apparati. Insomma non saria possibile di trovar cose più belle né più a proposito dei titoli e dei distichi in laude de l'imperadore. 3 Di Vinezia, il 7 di giugno 1536. IX A MESSER NICOLÒ BUONLEO4

Da che io, fratello, seppi quel che è fidanza e da che conobbi ciò che son principi, ho sempre guardata la mia affezione dal porre l'amor suo ai gran signori, perché sendo io facilissimo in donar me stesso, donandomi ad alcuno non me ne avessi a pentire seguitandone poi la mia disperazione e la lor vergogna. Ma da le dolcezze de la sincerità vostra mi lasciai pigliare senza altramente pensarci, onde mi diedi per le parole ch'io viddi uscirvi del core al vostro duca,5 de la qual cosa voi ringrazio e me lodo. Ringrazio voi, che riverberanti (che è la lezione dell'ediz. del 1609) » (in Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, edd. citate del 1951 e del 1966). Il testo Flora-Del Vita dà riverberanti, da noi seguito. I. la Giustizia e la Prudenza: opere di Francesco da Sangallo (1494-1576), scultore e architetto. 2.. verdure: verzure. (In tal valore il termine è documentato dalla stessa poesia lirica delle origini). 3. titoli • •. imperadore: come si usava in sinùli festeggiamenti, per Carlo V furono esposti diversi titoli celebrativi delle sue grandezze militari e politiche e versi in onore del personaggio. 4. Nicolò Buonleo: • uno dei segretari del duca di Ferrara» (Del Vita, con rinvio alle Lettere scritte a P. Aretino, cit., voi. I, parte II, 1874, pp. 86-9). 5. duca: Ercole II d'Este (1508-1559): era figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia e fratello di Ippolito (cardinale dal 1538). Sempre utile è lo studio del marchese GIUSEPPE CAMPORI, Pietro Areti110 ed Ercole Il duca di Fe"ara, in 1t Atti e memorie delle R.R. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi», voi. v, Modena, Per Carlo Vincenzi, 1870, pp. 29-37 (studio apparso nel fascicolo I, del 1869).

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m'avete dato a un duca cosi degno; e lodo me, che ho saputo credervi che egli fusse tale. Il diamante legato in uno anello e la veste di raso nero, ornata di liste larghe di velluto, compartita tutta di cordoni e foderata di pelo di velluto, molto signorilmente portatami dal capitano Francesco Beltrami, persona gentile1 e valorosa, cominciarono a farmi conoscer il costume de la Sua Eccellenza. E ora i cinquanta scudi contatimi dal Savana, solo perché io mi intertenga quindici giorni che indugia quella a venir qui, confermano le vostre promesse a la mia credenza. Starò dunque aspettando la sua venuta, parendomi ogni ora un anno di abbracciar voi che sapete con si cara maniera procacciare ai gran maestri, servitori, e ai vertuosi, padroni. Di Vinezia, il 20 di settembre 1536. X

A L'ARCIVESCOVO SIPONTINO 2

Se l'animo mio fusse stato assente da Vostra Signoria reverendissima, a la bontà de la quale tanti e tanti anni fa che io mi diedi in preda, si come è suto lontano da Quella3 il mio scrivere, non averei minor vergogna ne l'indrizzarvi questa lettera che io mi abbia avuto in fino a qui del non ve ne aver mai indrizzate. Ma, perché egli è stato sempre e sempre sarà presente ai meriti vostri, ardisce mosso da una propria sua naturale affezione di salutarvi, e dopo i saluti pregar la singular vostra benignità che mi ristituisca il luogo che l'antica servitù mia soleva avere ne la memoria vostra; e i segni veri che ella rientri ne la possessione di prima sieno il degnarsi di comandarmi. E perché gli uffici che si fanno per i vertuosi son quasi conformi ai servigi che si fanno a Dio, supplico quella magnanima cortesia (che Roma, a onta de l'abito4 sotto i cui lembi si strangola e la cortesia e la pietà, ognora conobbe in voi) che abbia compassione a la povertà che aduggia i fiori de la vertù di Giovanni 1. gentile: di animo nobile. 2. sipontino: di Siponto (in Puglia, a tre chilometri da Manfredonia). • Il cardinale Giovanni Maria Ciocchi dal Monte a San Savino di Arezzo (1487-1555), eletto poi papa con il nome di Giulio III, si ricordò dell' A. dopo la sua assunzione al soglio pontificio, creandolo cavaliere di San Pietro e favorendolo in molti modi, ma non sino al punto come forse aveva sperato lo scrittore - di farlo cardinale» (Del Vita). 3. Quella: cfr. la nota s a p. 491. 4. abito: quello dei religiosi.

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scultore, 1 per Dio, giovane costumato e buono; la pura mente del quale ha tanta fede e tanto spera ne la gentilezza2 che racconta di voi che, s'egli una parte di cotal fede e speranza avesse in Cristo, saria a quest'ora sopra le stelle. 3 Perciò la provisione assegnatagli già da la vostra pietosa mercede,4 pur per il mezzo suo, si gli5 confermi; e cosi sarete cagione che il bello ingegno datogli da la natura e da lo studio adornarà Italia dei suoi parti. E io, ottenendo egli quel che per lui vi chieggo, entrarò in sicurtà de l'eterno obligo che arà con voi. E piaccia a Dio che egli non gitti le speranze e io i prieghi. Di Vinezia, il 9 d'ottobre 1536.

1. Giova1111i scultore: non è stato identificato. 2. gentilezza: nobiltà d'animo. 3. sopra le stelle: nel senso che avrebbe ricevuto ogni sua soddisfazione. 4. mercede: grazia. 5. si gli: gli si.

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XI A COSIMO DUCA DI FIORENZA 1

Il misero fine, signore, de la Sua Eccellenza2 e il felice principio de la Vostra mi sono stati come due folgori caduti a un tempo presso al pastore, che uno il trae di sé stesso e l'altro in sé lo ripone. L'udire il suo caso m'accorò, e l'intendere il vostro succedergli mi ravviò; onde ho provato in un tratto che cosa è dolore e allegrezza. Certamente non poteva morir duca che più m'increscesse 1. Cosimo duca di Fiorenza: Cosimo I de' Medici (15x9-r574), figlio di Giovanni dalle Bande Nere. È anche detto il Grande, per distinguerlo dall'avo, Cosimo il Vecchio. Era stato proclamato nel 1537 duca di Firenze dal Consiglio dei Quarantotto e, data la sua giovinezza, si pensò che ne sarebbe stato facilmente influenzato. Invece fin d'allora mostrò straordinario senno e prudenza negli affari dello Stato. Nel 1548 acquistò l'isola d'Elba e muni Portoferraio (altre parti dell'isola erano soggette ad altri Stati) e nel x557 si impossessò di Siena. Nel 1564 lasciò la maggior parte del potere al figlio Francesco riservandosi la prerogativa di influenzare ancora le somme questioni dello Stato. Nel 1569 ebbe dal papa il titolo di granduca di Toscana. L'Aretino, che era stato familiare del padre, cerca di ingraziarsi Cosimo e gli dà intanto consigli di prudenza, oltre che di moderazione (nei riguardi di nemici, di fuorusciti e di stranieri: la politica fiorentina non si presentava delle più facili in quel momento). Il Del Vita fa presente il buon senso popolare del Cellini che deride quei fuorusciti fiorentini che in Roma gli avevano detto che il nuovo duca «non harebbe potuto isvolazzare a suo modo» e quindi sentenzia beffardamente osservando che a le legie non si possono dare a chi è padrone di esse». Ricorda altresì che Cosimo poté consolidare il suo governo anche coi consigli della madre, donna pratica e abilissima, e definisce la lettera dell'Aretino «importante per più riguardi, e soprattutto per i consigli che in essa si danno, dettati dalla profonda conoscenza dell'anima umana e della vita del tempo». È da tener presente un biglietto di Cosimo, seccamente scritto in risposta a richieste dell'Aretino che reclamava anzi tempo per la dote d'una figliola (con la lettera, alla data « Di Marzo, in Vinetia. MDXLVI », Al dvca di Fiorenza, nella raccolta parigina del 1609, lib. IV, cc. 1r-2r). Tale biglietto del sovrano mediceo si trova nelle Lettere di Cosimo I de' Medici, a cura di Giorgio Spini, con prefazione di Antonio Panella (Firenze, Vallecchi, 1940, « Centro nazionale di studi sul Rinascimento n), a p. 113: è I dal Poggio», alla data del a III di fcbraro • 1548/1549. Dice lo studioso che « Cosimo dei Medici ha conservato con l'Aretino le cordiali relazioni che aveva già suo padre Giovanni delle Bande Nere. Né mancano talora nel suo carteggio con messer Pietro lettere che testimoniano di curiosi episodi nelle relazioni del duca col maledico poeta•· Quanto ai consigli politici che l'Aretino si permetteva di dare al giovane duca e all'azione oculata e forte di lui nella difficile situazione contemporanea, si veda del medesimo Spini l'organico lavoro su Cosimo I de' Medici e la i11dipendenza del principato mediceo (Firenze, Vallecchi, 1945, 11 Collana storica», LII). 2. Sua Eccellenza: il duca Alessandro (su cui cfr. la nota 6 a p. 501), ucciso dal cugino Lorenzino la notte dal s al 6 gennaio 1537. Era di un altro ramo dei Medici da cui discendeva Cosimo I, suo successore nel ducato.

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d'Alessandro, né era possibile che nascesse duca che più mi piacesse di Cosimo. Perché io son quello che servii il vostro gran padre vivo e lo sepelii morto. lo son quello che in Mantova lo feci onorare e piangere da chi forse non l'averebbe onorato né pianto. 1 Io son quello che ha tratte le lodi sue da la bocca di coloro che per invidia il biasimavano. Io son quello che ho posto in mano degli increduli i torchi de la sua gloria. 2 Io son quello che l'ho tanto più d'ogni altro amato e celebrato, quanto l'ho più d'ogni altro conosciuto degno d'amore e di memoria. Io trastullava le sue fatiche, confortava i suoi fastidi e temperava le sue furie. lo gli fui padre, fratello, amico e servo. E da che lddio, per punire gli errori d'ltalia3 con il flagello dei Barbari, ce lo tolse, con la vertù ho fatto quella compagnia al suo nome che feci con la persona a la sua vita, e, adorandolo, ho sempre detto che il vero onore de l'altissima casa Medica è nato da le sue armi e non da le mitree dei papi. Onde il frutto dei meriti di lui è il grado in cui vi perpetuò il Cielo, il giorno che ci foste eletto mercé de la providenza de le stelle e de la fede degli amici. Ma quelle e questi ingiuriavano il proprio potere e l'istesso volere, non vi ci eleggendo, perché avete adorna la presenza e l'animo di cotante grazie e vertù che ardisco dire che vi hanno fatto poco o niente di dono. Ma da voi medesimo per l'avvenire allargate i termini del vostro Stato, e il non aver saputo signoreggiare né vivere de lo sfortunato4 vi ha insegnato signoreggiare e a vivere. Per Dio, che merita la morte del nome e de l'anima chi ha più caro un appetito che sé stesso, mettendo per ciò a si gran rischio e città e popoli. Ma il suo non più essere è l' essempio che vi farà sempre essere, pur che sotto il timor di Dio e a l'ombra di Cesare vogliate per guardia la continenza, la quale è più fedele e più sicura che quella degli armati, perché ella dorme nei suoi letti, mangia a le sue tavole, spasseggia per le sue sale, e, standosi ne le sue onestà, non dà in preda i secreti, né il favore, né i danari, né la persona agli altrui I.

da chi •.• pianto: cioè da Federico II Gonzaga, marchese di Mantova, che

non voleva inimicarsi lJimperntore contro cui Giovanni dalle Bande Nere combatteva. 2. i torchi ••. gloria: le torce, le fiaccole: • immagine barocca» (Ferrero, negli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, edd. citate del 1951 e del 1966). 3. gli errori d'Italia: come dice il Del Vita, «l'A. lucidamente prevedeva quali terribili conseguenze quella morte avrebbe potuto avere per il papato e per l'Italia; e infatti la scomparsa di quel condottiero - che le truppe tedesche avevano soprannominato Gran Diavolo - fu uno degli elementi che resero possibile il sacco di Roma D. Cfr. la fine della lettera a Francesco degli Àlbizzi, qui a p. 486. 4. /0 sfortunato: Alessandro de' Medici.

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veleni, né si lascia scannare per le camere, sola e di notte, dai ferri, che la pessima volontà de l'invidia e de l'ambizione porge a le mano de l'inganno, onde rovina chi ben siede. Domesticativi con quegli che hanno il core ne la fronte, e la valorosa signora Maria, vostra madre, stiavi intorno, levandovi e calcandovi. 1 Mangiate e bevete con il suo gusto, e non con quello dei buffoni e degli adulatori. L'onore de la stirpe Vitellesca,2 valoroso e sincero, vi stia sempre a lato. Adormentatevi con gli occhi del buono Ottaviano, 3 e lasciatevi destare da tutti quegli che vi hanno preso il piede, acciò che lo fermiate. Siavi tuttavia grato il consiglio del cardinal Cibò,4 perché son chiaro che non ha le voglie conformi a quelle di chi vi consigliò a lasciar quella cittade, 5 che qualunche più spasima de la sua libertà appetirebbe, pur che la speranza e la sorte gli aprisse qualche vietta che gli promettesse dominarla. Perché chi non sa desiderar la signoria merita d'essere schiavo, ed è meglio esser padron di Fiorenza che compagno del mondo. La viltà de l'animo e non la santità de la mente mosse Celestino a refutare il papato.6 E tanto più dovete confermarvi ne l'impero, quanto senza violenza alcuna ci sète pervenuto. Chi è offeso, chi è rubato, chi è cacciato, chi è vituperato e chi è minacciato da voi ? È maligno colui che non confessa che Iddio vi ha posto in alto come legittimo erede de la grandezza, in cui viverete e regnarete genero d'Augusto.7 La feroci1. colcandovi: quando vi coricate. 2. L'onore . .. Vitellesca: Alessandro di Paolo Vitelli (morto nel 1556), luogotenente e governatore che ebbe grande importanza nelfinnalzamento di Cosimo al ducato e nella conservazione dello Stato nei primissimi tempi del suo governo, molto difficili nelle condizioni dell'Italia dell'epoca. Aveva avuto grandi uffici già col duca Alessandro. 3. Ottaviano de' Medici (1482-1546), connestabile dei Fiorentini, consigliere del duca Alessandro: aveva sposato Francesca Salviati, sorella della madre di Cosimo. 4. Cib~: Innocenzo Cybo (1491-1550), figlio di Franceschetto e di Maddalena di Lorenzo de' Medici. Era nipote di Leone X. Aveva consigliato Cosimo a non palesare il desiderio di essere signore di Firenze e quindi, con questa ricerca di modestia, ne aveva facilitato l'ascesa ad opera dell'elezione del Consiglio dei Quarantotto. 5. di chi . .• cittade: come spiega il Del Vita, qui si allude certamente al cardinal Giovanni Salviati (figlio di Lucrezia de' Medici, sorella di Leone X) che, d'accordo coi fuorusciti fiorentini, consigliava Cosimino - come Cosimo I era chiamato prima di esser duca - a non accettare l'elezione offertagli dal predetto Consiglio. Al che, da saggio politico, Cosimo fece notare che nell'interesse della città accettava un'elezione che lo dimostrava chiamato dai suoi concittadini. 6. Celestino .•. papato; Celestino V fece rinuncia al papato e favori quindi l'ascesa di Bonifacio VIII nel 1294. Cfr. Dante, In/., III, 60. 7. genero d'Augusto: Cosimo avrebbe desiderato sposare la vedova di Alessandro de' Medici, Margherita d'Austria, figlia di Car-

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tà, con la quale per voi militò il tremendo vostro genitore, basta a farvi temere come siate amato. E mentre in voi con gli anni cresceranno le magne qualità vostre, sarete cercato da ognun che vi fugge; onde la clemenza, che vi adorna, averà campo di farsi conoscer da chi non la voi conoscere. Intanto io le raccomando la mia servitù. Di Vinezia, il 5 di maggio 1537. XII A MESSER FRANCESCO MARCOLINI 1

Certo, compare, che, se io mi beccassi2 il cervello, come si becca ogni pedante,3 per essermi suto apiccato a le spalle del nome il cognome di cc divino »,4 crederei senza dubbio, sendo costume antico l' offerire ai dei le primizie dei frutti de la terra e de le greggi, essere, se non un mezzo, almeno un terzo iddio; e in cotal fernetico mi porrieno i continui presentini,5 che mi fate de le prime cose che escono di mano a la buona natura e a l'arte ancora. Ma, conoscendo io che la poca vertù, ch'io ho, mi adacqua6 la Divinità Sua,7 acciò che io non me ne embriachi, metto i doni a conto del vostro esser troppo umano. Voi cominciaste con i fiori degli aranci ad aguzzarmi l'appetito, nel condirgli come le mie fanti8 condiscono i caccialepri, 9 la pempinella, il dragone, 10 con l'altre di più di cento ragioni erbe, che mi si appresentano in alcune panerette e in alcuni canestrelli sl ben tessuti coi giunchi che è forza, ne l'accettar de la lo V. Sposò invece Eleonora, figlia di don Pedro di Toledo, grande dignitario spagnolo e uno dei favoriti dell'imperatore. J. Francesco Marcolini: il più volte ricordato stampatore forlivese (nato all'inizio del secolo XVI morto dopo il 1559), amico dell'Aretino e editore delle sue opere (comprese edizioni delle presenti Lettere). Qui l'autore lo ringrazia per il dono di alcune primizie e si effonde in vivacissime descrizioni di natura. 2. beccassi: cioè stillat.:.i (detto del cervello, quindi nel valore di «arzigogolare»). 3. pedante: frizzo contro i freddi eruditi, grammatici privi di intelligenza e solo dotati di aride nozioni. 4. a.divino»: intorno a questo appellativo (che ha indotto contemporanei e posteri a scandalizzarsi fieramente perché dato a un carattere infido come quello dell'Aretino) lo scrittore ride piacevolmente. 5. prese,itini: piccoli doni. 6. adacqlla: cioè diminuisce. 7. Divinità Sua: altro scherzo dell'autore, che usa il Sua come se si riferisse a un titolo sul tipo di Signoria, Beatitudine, Celsità e simili, da lui usati a tutto spiano per carpire dal prossimo benevolenza e doni. 8. fanti: le donne di casa (che non rare volte sono anche le sue amanti). 9. caccialepri: caccialepre o terracrepolo, erba comune che si mangia in insalata. 10. dragone: «basilico» (Ferrero).

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mescolanza, tòrvi e le panerette e i canestrelli; onde la donna vostra ne debbe far tanto romore in non riavergli quanta festa ne fanno le mie in torvigli. Io non so dove vi cogliate le varietà dei fiori, de le viole 1 e dei garofani, che, quando non pur accennano di spuntare fuora de la boccia, mi mandate tutti fioriti e tutti odoriferi. Ecco a me i mazzetti de le viole mammole inanzi aprile; eccomi pieno il grembo di rose alora che non se ne vede una per miracolo. E che dico io de le mandorle tenerine, che mi piacciono come a le femine gravide ? A pena le ciriege cominciano a far le gote rosse, che mature me ne fate assaggiare. Ma dove lascio le fragole sparse di grana2 naturale e di moscado 3 nativo ? e i cedriuoli che a pena avevano spuntato il fiore, vedendogli, faceste saltar la Perina e la Caterina ?4 Chi non berebbe ai becchieri brillanti ne la novità de la lor foggia? e chi non si ungeria la barba e lavarebbe le mani con l'olio e coi saponetti che spesso mi date? e chi non si stuzzicaria i denti con gli stecchi vostri ? Io posso arischiarmi a metter pegno con qualunche volesse dire ch'io non sia stato il primo a vedere i fichi di questo anno, colti nel vostro dilettevole giardino. E così sarò a gustar le pere moscatelle, le arbicocche, i melloni, le susine, l'uve e le pesche. l\'Ia dove si rimangano i carcioffi, che sl per tempo m'avete portato in tavola? e dove le zucche, che fritte e ne la scodella ho mangiate, allora ch'io arei giurato che non fussero a pena fiorite? Dei bacelli non parlo, che era per farla segnata, s se voi non eravate. E perché in tutte le cose che m'avete donate ho visto il vostro core, io tengo li stessi doni fattimi in mezzo del core. E, che sarà tosto, ogni ciocca di viola bianca, vermiglia e gialla, con cui mi confortate e dilettate, vi pagarò quanto mi si conviene. Di Vinezia, il 3 di giugno 1537. I. viole: violacciocche o viole di coccio. 2. grana: rosso vivo. 3. moscado: muschio. 4. la Perina e la Caterina: Perina Riccia (Ricci) e Caterina Sandella, le due note amanti delP Aretino. La prima viveva in casa di lui col marito, Polo Bartolini, «creato» dell'Aretino che ebbe per lei quattordicenne una forte passione. Fuggita con un amante e da lui abbandonata, fu ripresa in casa dallo scrittore molto malata e morì fra le sue braccia nel 1541. La Sandella è la madre d'una figliola naturale dell'Aretino -Adria-, della quale sarà fatto ricordo più avanti. 5.farla segnata: cfr. Ragionamento della Nanna e della Antonia, nota sa p. 104. Il Del Vita, per questo luogo, nel citato commento mondadoriano, voi. 1, p. 1039, riporta il testo del Florafar /a segnata e interpreta, senza riferimenti ad esempi di altri autori: « farci un segno di croce, pensando di non poterli avere». Qui l'Aretino scherza.

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XIII A SEBASTIANO PITTORE FRATE DEL PIOMBO 1

Ancora, padre, che a la fratellanza nostra non bisognasse altre catene, ho voluto cingerla con quelle del comparatico,z acciò che la sua benigna e santa consuetudine sia ornamento de l'amicizia che la vertù istessa ha stabilita fra noi due eternamente. Piacque a Dio che fusse femina la creatura, ch'io, per non traviare da lanatura dei padri, aspettava pur maschio, come non fusse il vero che le femine, dal sospetto de l'onestà in fuora, la quale ben guarda chi è ben buono, ci sieno di più consolazione. Ecco: il maschio nei dodici e nei tredici anni comincia a rompere il freno paterno, e, toltosi a la scuola e a l'ubidienza, è cagione che chi l'ha generato e partorito ne languisca. E quel che più importa sono le villanie, le minacce, con le quali il di e la notte assalgano e i padri e le madri; onde ne seguita le maladizioni e i gastighi de la giustizia e di Dio. Ma la femina è la sede ove si adagiano gli anni canuti di chi la creò; né passa mai ora che i suoi genitori non godino de l'amorevolezza sua, la quale è una sollecita cura e una frequente sollecitudine inverso l'uso dei lor bisogni. Tal che non viddi si tosto il mio seme con la mia simiglianza che, sgombrato dal core il dispiacere che altri si piglia per ciò, fui vinto in modo da la tenerezza de la natura che in quel punto sentii tutte le dolcezze del sangue. E il dubitare che ella morisse senza assaggiare dei giorni de la vita fu cagione che le feci dare il battesimo in casa: per la qual cosa un gentiluomo, in cambio vostro, la tenne secondo il costume cristiano. Ma io non ve ne ho fatto più tosto motto, perché d'ora in ora abbiam creduto che ella se ne volasse al paradiso. Ma Cristo me l'ha riserbata per trastullo de l'ultima vecchiezza e per testimonio de l' essere, che altri a me e io a lei ho dato: onde lo ringrazio, pregandolo 1. Sebastiano ••• del Piombo: il pittore e piombatore papale Sebastiano Luciani (1485-1547) era stato veramente amico dell'Aretino: e lo aveva informato degli sfoghi contro di lui espressi da papa Clemente VII prigioniero in Castel SaneAngelo. Lo scrittore si rivolge a lui con teneri pensieri sulle proprie figlie. 2. comparatico: condizione di compare (padrino). Sebastiano dal Piombo doveva essere padrino per il battesimo della prima figlia di Pietro, Adria, nata dai suoi amori con la già menzionata Caterina Sandella, una delle «Aretine». Si spiega come ali 'improvviso, per il pericolo di morte della neonata, le sia stato impartito il sacramento con un gentiluomo (non identificato) per padrino alla funzione. 33

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che mi conceda il vivere fino al celebrar de le nozze sue. In questo mezzo bisognarà ch'io diventi il suo giuoco, perché noi siamo i buffoni dei nostri figliuoli. La lor semplicità tuttavia ci calpesta, ci tira la barba, ci percuote il volto, ci sveglie1 i capegli; onde ci vendano i basci, con cui gli suggiamo, e gli abbracciamenti, con che gli leghiamo, per cotale moneta. Ma non è diletto che aguagliasse un tanto piacere, se la paura dei sinistri loro non ci tenesse ognora gli animi inquieti. Ogni lagrimuccia che essi versano, ogni voce, ogni sospiro che gli esce di bocca o del petto, ci scuoteno l'anima. Non cade fronda né si aggira pelo per l'aria che non ci paia piombo che gli caschi sopra il capo uccidendogli; né mai la natura gli rompe il sonno o gli sazia il gusto che non temiamo de la lor salute.2 Sl che il dolce è straniamente mescolato con l'amaro; e, quanto più vaghi sono, più acuta è la gelosia del perdergli. lddio mi guardi la mia figliuola; che certo, sendo ella di una indole graziosissima, mancarci, s' ella patisse, non pur morisse. Adria3 è il suo nome, ché ben doveva cosi nominarla, poi che in grembo de le sue onde per volontà divina è nata. E me ne glorio, perché questo sito è il giardino de la natura: onde io, che ci vivo, ho provato, dieci anni che ci son visso, più contentezze che chi è stato costl, in Roma, disperazioni. E quando la sorte m'avesse concesso lo starci insieme con voi, mi terrei felice; benché, ancor4 stiamo assenti, io tengo un gran dono l'esservi amico, compare e fratello. Di Vinezia, il I 5 di giugno I 537.

1. meglie: svelle, strappa. :z. Ogni •• • salute: allo scopo di mettere in evidenza le doti di schietta umanità dello scrittore e il suo amore alla vita semplice e sincera della famiglia si ricordino alcune osservazioni del Fcrrero: • Le iperboli semischerzose si appropriano assai bene a dire quello che c'è - o ci può essere - di eccessivo e di irragionevole nelle ansie e nelle tenerezze paterne. Concetti e immagini simili a queste sono in un'altra lettera del settembre '49 (ediz. di Parigi, 1609, libro v, c. 154v) •· 3. Adria: per il nome di questa figliola (ritrovato in onore di Venezia, dominatrice dell'Adriatico) e per quello dell•altra figlia Austria molte sono state le rampogne dei critici, pronti ad accusare l'Aretino di ricercatezze pretenziose e magari (anche in relazione alle proprie creature) ricattatrici nel riguardo dei potenti dell'ospitale Venezia o della corona imperiale. 4. ancor: ancorché.

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XIV A LA MAGNANIMA ISABELLA IMPERATRICE 1

Benché a la Maestà Vostra, per esser voi tanto ancilla di Cristo quanto moglie di Cesare, non bisognino laude, avendo io ricevuto il suo dono per le man del perfetto don Lope,2 per non mi publicar per ingrato, dico che egli è peccato a non credere ed errore a non dire che voi non siate stata concetta inanzi ai secoli e riserbata ne la mente di Dio, fino che la sua volontà vi congiungesse con Augusto, perché non era lecito dare a lui, che è uomo immortale, donna che sopraumana non fusse. Perciò sète più eccellente di vertù, più degna di gloria, più pura di mente, più tenera di core e più casta di corpo d'ogni altra, di qualunche età si sia. Voi, ornata di leggiadria e di bellezza, con la semplicità de la fronte rasserenate gli animi rannuvolati ne l'afflizioni. Quella tranquillità, che acqueta le tempeste dei cori, vi gioisce fra le ciglia, le quali ha miniate l' onestà con lo stile de la gravitade. I vostri occhi, girati da vergognosi3 movimenti, consolano l'anima di chi gli mira, e ne la lor dolcezza, piena d'amore e di grazia, si recreano le viste, quasi miras 7 sero il verde degli smeraldi. Le vostre guance son fiorite da le speranze nostre. Con il guardo alettate i buoni e col cenno ammonite i rei. Negli atti vostri si imparano i costumi santi e nel vostro sembiante si discerne la vera beatitudine. La Carità vi apre le mani e la Misericordia vi move i piedi. La Constanzia, l'U miltade e la Concordia vi sono compagne e ministre; ne lo andare e ne lo stare sempre scopri te il favor del Cielo. La Fede e la Religione vi mostrano a dito al vostro proprio senno e al vostro istesso valore. E, per più pompa de le vertù che vi fregiano, non vincete meno con la cortesia che si vinca l'imperador con l'armi. Onde il mondo è mezzo vostro I. Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V (1526) e imperatrice. In questa lettera l'Aretino si mostra abile adulatore ed eccede in giochi di stile che finiscono con l'importunare per le ricercatezze leziose e le vuote acutezze. 2. don Lope: don Lope de Soria, già menzionato nel Dialogo nel quale ecc. (cfr. qui addietro a p. 203). Era oratore (ambasciatore) cesareo a Venezia. L'imperatrice aveva fotto pervenire per mezzo suo una collana per premiare lo scrittore della dedica delle Stanze per madonna Angela Sirena che l'Aretino le aveva mandato per mezzo di don Gonzalo Pérez (al quale invia appunto una lettera da Venezia, 8 aprile 1537: la si veda nelle Lettere, voi. I, edd. Flora-Del Vita, 1960, pp. 139-40). 3. vergognosi: verecondi.

PIETRO ARETINO

e mezzo suo. E mentre usate il solenne ufficio de la liberalità, egli stupisce di voi come di lui; e ha ben ragione di stupirne, poiché Carlo e Isabella, guardati da Dio e adorati dagli uomini, vivono e regnano per onor di Gesù e per salute de le genti. Ora io ringrazio quel divin favore, che, nel mandarmi la collana, voi, che sète la prima signora de l'universo, avete fatto non ai meriti miei, ma a le castissime e venerabili qualità de la Serena: 1 onde tutte le madonne italiane s'inchinano al suono del nome de la inclita Serenità Vostra, le cui sacrate mani bascio insieme con quelle del santissimo e cristianissimo suo consorte. Ed è ben debito d'ognuno il dirgli cosi, poiché la religiosa bontà sua si ha tirato sopra le catoliche spalle il peso di l'un titolo e de l'altro. Di Vinezia, il 20 di agosto 1537.

xv AL DIVINO MICHELAGNOL0 2

Sì come, venerabile uomo, è vergogna de la fama e peccato de l'anima il non ramentarsi di Dio, così è biasimo de la vertù e Serena: si noti il riferimento ad Angela Serena, amata dall'Aretino. Nei componimenti poetici in sua lode egli petrarcheggja abilmente. 2. Al divino Miclielagnolo: questa è una lettera famosissima, perché mostra l' Aretino nell'atto di suggerire - con non poche pretese di consigliere nell'àmbito della creazione artistica - le grandi figurazioni del Giudi::io universale della Cappella Sistina, o, come lo scrittore diceva, del Fin de l'universo. Si sa che, in tutta Italia, vivissima era l'attesa per la prova che il pittore stava per dare. Era anche costume dei letterati suggerire temi per pitture e illustrarne i significati. L'artista, tutt'altro che incline a ricever consjgli, scrisse di aver ricevuto la lettera troppo tardi : il che poteva essere vero per i cartoni, ma non per l'esecuzione dei lavori che gli prese ancora quattro anni. Si veda la sua lettera del 20 novembre del medesimo 1537 (in Lettere scritte a Pietro Aretino cit., voi. I, parte u, 1874, pp. 334-5). Lo scrittore, quando non fu più in buoni rapporti con l'artista, scrisse una lettera criticando il Giudizio universale, ma ebbe l'accortezza di non includerla con l'intestazione dell'artista nel suo epistolario. Essa è del novembre 1545 e riguarda le nudità di cui negli affreschi della Sistina. Apparsa nel Carteggio inedito d'artisti dei secoli XIV-XV-XVI, pubblicato ed illustrato con documenti pure inediti dal Dott. Giovanni Gaye con fac-simile, tomo II [non 1, come dice il Ferrero], I500-I557 (Firenze, Presso Giuseppe Molini, 1840), pp. 332-7, va menzionata perché, come avverte provvidadamente il Ferrero stesso, l'Aretino u l'aveva rimaneggiata, togliendone il post-scriptum, e l'aveva inserita nel libro IV delle sue lettere, intitolandola ad Alessandro Corvino, con la data: luglio '46 •· Si veda la lettera nella raccolta J.

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disonor del giudizio di chi ha vertù e giudizio di non riverir voi, che sète un bersaglio di maraviglie, nel quale la gara del favor de le stelle ha saettato tutte le frecce de le grazie loro. Perciò ne le man vostre vive occulta l'Idea d'una nuova natura, onde la difficultà de le linee estreme (somma scienza ne la sottilità de la pittura) vi è sl facile che conchiudete ne l'estremità dei corpi il fine de l'arte: cosa che l'arte propria confessa esser impossibile di condurre a perfezione, per ciò che l'estremo, come sapete, dee circondar sé medesimo, poi forni re in maniera che, nel mostrar ciò che non mostra, possa promettere de le cose che promettano le figure de la Capella1 a chi meglio sa giudicarle che mirarle. Or io, che con la lode e con l'infamia ho spedito2 la maggior somma dei meriti e dei demeriti altrui, per non convertire in niente il poco ch'io sono, vi saluto. Né ardirei di farlo, se il mio nome, accettato da le orecchie di ciascun principe, non avesse scemato pur assai de l'indegnità sua. E ben debbo io osservarvi con tal riverenza, poi che il mondo ha molti re e un sol Michelagnolo. Gran miracolo che la natura, che non pò locar si alto una cosa che voi non la ritroviate con l'industria, 3 non sappia imprimere ne le opre sue la maestà che tiene in sé stessa l'immensa potenzia del vostro stile e del vostro scarpella: onde chi vede voi, non si cura di non aver visto Fidia, Apelle4 e Vitruvio, 5 i cui spiriti fur l'ombra del vostro spirto. Ma io tengo felicità quella di Parrasio6 e degli altri dipintori antichi, da poi che il tempo non ha consentito che il far loro sia visso fino al dì d'oggi: cagione che noi, che pur diamo credito a ciò che ne trombeggiano le carte, sospendiamo il concedervi quella palma, che, parigina del 1609, lib. IV, cc. 86,-87,, A M. Alessandro [Contino]. Un interesse particolare ha la vivace nota di SERGIO ORTOLANI, Pietro Aretino e Michelangelo, ne «L,arte», xxv (1922), pp. 15-26 1 dove, per altro, è da vieppiù corroborare la conclusione con le osservazioni di Lionello Venturi (da noi citate alla nota I di p. 500). Il giudizio dell'Ortolani, a p. 26, dice: « Ma quale fu dunque il concetto totale di Pietro Aretino sull'opera di l\1ichelangclo? Per quanto sia difficile raccoglierlo dai vari spunti dei suoi scritti, nei quali è disseminato, esso ci appare molto prossimo a quello che aveva il Vasari». Il Venturi afferma appunto l'influsso delle intuizioni dell'Aretino sul Vasari critico e storico dell 'artc. 1. Capella: Sistina. 2. spedito: espedito (sbrigato, cioè esaminato). 3. industria: abilità. 4. Fidia, Apelle: grandi artisti greci, il primo scultore (del secolo V a. C., di Atene) e il secondo pittore (del secolo IV a. C.). 5. Marco Vitruvio Pollione, architetto latino, di Verona (fu ingegnere militare sotto Cesare e Augusto e scrisse il De architectura). 6. Parrasio: pittore greco, nato ad Efeso (secolo V a. C.): fu capo della scuola ionica.

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chiamandovi unico scultore, unico pittore e unico architetto, vi darebbero essi, se fusser posti nel tribunale degli occhi nostri. Ma, se così è, perché non contentarvi de la gloria acquistata fino a qui ? A me pare che vi dovesse bastare d'aver vinto gli altri con l'altre operazioni. Ma io sento che con il Fin de l'universo, che al presente dipignete, pensate di superare il Principio del mondo, che già dipigneste, 1 a ciò che le vostre pitture, vinte da le pitture istesse, vi dieno il trionfo di voi medesin10. Or chi non ispaventarebbe nel porre il pennello nel terribil suggetto? Io veggo in mezzo de le turbe Anticristo, con una sembianza sol pensata da voi. Veggo lo spavento ne la fronte dei viventi. Veggo i cenni che di spegnersi fa il sole, la luna e le stelle.2 · Veggo quasi esalar lo spirto al fuoco, a l'aria, a la terra e a l'acqua. Veggo là in disparte la Natura esterrefatta, sterilmente raccolta ne la sua età decrepita. Veggo il Tempo asciutto e tremante, che, per esser giunto al suo termine, siede sopra un tronco secco. E mentre sento da le trombe degli angeli scuotere i cori di tutti i petti, veggo la Vita e la Morte oppresse da spaventosa confusione, perché quella s'affatica di rilevare i morti e questa si provede di abbattere i vivi. Veggo la Speranza e la Disperazione, che guidano le schiere dei buoni e gli stuoli dei rei. Veggo il teatro de le nuvole colorite dai raggi, che escano dai puri fuochi del cielo, sui quali fra le sue milizie si è posto a seder Cristo, cinto di splendori e di terrori. Veggo rifulgergli la faccia, e, scintilando fiamme di lume giocondo e terribile, empier i ben nati di allegrezza e i mal nati di paura. Intanto veggo i ministri de l'abisso, 3 i quali con or1. che già dipigneste: nella volta della medesima Cappella Sistina. 2. lo veggo in mezzo . .. stelle: 1 Nell'immaginazione dell'A. il dipinto avrebbe dovuto avere due temi: la fine del mondo e il giudizio universale. Assai difficile, se non impossibile, fondere in una sola composizione due temi cosl vasti. In questa lettera, e specialmente dove suggerisce la figurazione dell'Anticristo fra le turbe, l'A. forse ebbe presenti alla memoria gli affreschi di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto,, (Ferrero). 3. i ministri de l'abisso: i diavoli d'inferno. La I edizione marcoliniana del 1538 (libro I delle Lettere) reca: « de l'inferno•· Anche allo scopo di mostrare un testo quale poteva essere stato quella della lettera originariamente inviata a Michelangelo, o almeno a essa più vicino, pur nel seguire la marcoliniana 111 di cui nel testo Flora-Del Vita, riportiamo col Ferrero - da Intanto TJeggo a carri - il testo di tale editio princeps: « Intanto vcggio i ministri de l'inferno, che, per aver ristituite !'anime, che tormentavano, ai lor corpi con orrido aspetto, armati di crudeltà, scherniscano la Fama, proverbiata da la Vanagloria. Ed ella, con le sue corone e con le sue palme sotto i piedi, con le ali spennacchiate, si gitta fra le ruote dei suoi carri».

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rido aspetto, con gloria dei martiri e dei santi, scherniscano Cesare e gli Alessandri, ché altro è l'aver vinto sé stesso che il mondo. Veggo la Fama, con le sue corone e con le sue palme sotto i piedi, gittata là fra le ruote dei suoi carri. E in ultimo veggo uscir da la bocca del Figliuol di Dio la gran sentenzia: io la veggo in forma di due strali, uno di salute e l'altro di dannazione; e, nel vedergli volar giuso, sento il furor suo urtare ne la machina elementale,1 e con tremendi tuoni disfarla e risolverla. Veggo i lumi del paradiso e le fornaci de l'abisso, che dividono le tenebre cadute sopra il volto de l'aere; tal che il pensiero, che mi rappresenta l'imagine de la rovina del novissimo die, mi dice: - Se si trema e teme nel contemplar l'apra del Buonaruoti, come si tremarà e temerà quando vedremo giudicarci da chi ci dee giudicare? - Ma crede la Signoria Vostra che il voto, che io ho fatto di non riveder più Roma, non si abbia a rompere ne la volontà del veder cotale storia? Io voglio più tosto far bugiarda la mia deliberazione che ingiuriare la vostra vertù, la qual prego che abbia caro il desiderio ch'io ho di predicarla. Di Vinezia, il 16 di settembre 1537. XVI AL RE FRANCESCO PRIMO 2

La Maestà Vostra ha pure inteso la religiosa, l'ottima e la magnanima deliberazione fatta dal debito e dal costume dei religiosi, ottimi machina eleme11tale: l'universo, in relazione ai quattro elementi del mondo. 2. In questa lettera l'Aretino tocca un luogo solito alla pubblicistica del tempo: quello dell'empia alleanza della Francia coi Turchi. È una delle più importanti sue lettere in campo pubblicistico e, come tale, apprezzata dalla Corte imperiale: è scritta indubbiamente nell'interesse precipuo di Venezia in un periodo di grande indecisione degli Stati italiani nella politica del momento. Il Ferrero, che ricorda le pagine dedicate dal Luzio a questa lettera, dice che l'Aretino non fa altro se non «ripetere con una certa dovizia di immagini iperboliche e ingegnose, concetti vulgatissimi nel suo tempo» (in Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, edd. citate del 1951 e del 1966) e cita quindi Mario Battistini che ha rintracciato e pubblicato un manoscritto, da lui ritenuto una minuta autografa, nel cr Giom. stor. d. lett. it. », xcvu (1931), alle pp. 301-3. Si tratta della minuta di questa lettera n Francesco I. (È pubblicata, alle pp. 303-4, anche la minuta di una lettera del 21 settembre 1537 al marchese del Vasto in merito alla politica imperiale). Il Del Vita (che ha illustrato gli intendimenti della lettera politica dell'Aretino in L'Aretino, •uomo libero per grazia di Dio•, I.

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e magnanimi Veniziani. Voi sapete come essi, sprezzando le lor ricchezze in Levante, i tesori che ne traevano, la perdita del sangue istesso e le inaudite offerte del Turco, hanno, insieme con Pietro e con Cesare, rivoltate le forze del mare e de la terra in servigio di Cristo. 1 Per la qual cosa il mondo si risolve a dimandarvi qual possa più ne l'altissimo petto vostro: o l'odio che portate ad altri, o l'amore che dovete a Dio. S'è più forte l'odio, riguardate al titolo «Cristianissimo»; che, se non si conviene a chi si adorna del segno de l'ordin vostro il venirvi contra, non è lecito di assalir lui con il favore de le sue degnità. S'è più grande l'amore, ecco la lega sacrosanta, che non pur vi fa luogo, ma con somma preminenza vi abbraccia. E perciò ricogliete voi medesimo in voi stesso, e pensate che Iddio, il quale vi ha dato il più bel regno che sia, la più generosa natura che viva, il maggior conoscimento che s' oda e la più affabil grazia che si vegga, non merita che vi disepariate dai famigliari suoi per unirvi coi suoi avversarii; onde pare a le genti che le vertù de la bontà regia sieno vinte da la perfidia de l'ostinazione. La f ortuna rompe il vetro di tutte le teste che urtano nel suo diamante. E di qui nasce che ella, rivolgendovi ogni pensiero in contrario, si ride di due milioni d'oro che ha spesi la Francia per far tregua con una donna, 2 e di trecentocinquanta vele ottomane, che hanno preso Castro.3 lo vi dico, sire, che cosl premettano i fati: sì che, cedendogli, riconciliativi col gran cognato vostro4 per mezzo de l'occasione che vi mette inanzi Iddio proprio, a ciò che participiate de l'acquisto del sepolcro suo. Movavi l'essempio di Pipino, di Carlo e di chi gli successe prima e doppo, da le cui armi fu ri-

Arezzo, Edizioni Rinascimento, 1954, pp. 93-4 e passim) segnala la lettera stessa - destinata a essere diffusa in copia e a stampa - come «uno dei primi esempi di giornalismo politico» e rammenta che essa • raggiunse il suo scopo per i riflessi che ebbe in Francia e in altre nazioni». Molto interessante la documentazione in Lettere, voi. 1, edd. Flora-Del Vita, 1960, p. 1063). 1. hanno •• . Cristo: Venezia si era alleata col papa e con l'imperatore contro i Turchi nel settembre 1537. 2. due milioni ... donna: allude alla clausola del trattato di pace concluso a Cambrai nel 1 529 tra Luisa di Savoia, madre di Francesco I, e Margherita d'Austria, zia di Carlo V (•trattato delle due dame,,), secondo la quale Francesco I si impegnava a pagare la detta somma in riscatto dei suoi due figli lasciati in ostaggio in sua vece dopo che era stato fatto prigioniero nella battaglia di Pavia (1525). 3. Castro: i Turchi nel luglio 1537 avevano occupato Castro sulle coste della Puglia. 4. gran cognato vostro: Francesco I nel I 530 aveva sposato la sorella di Carlo V, Eleonora d'Austria.

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posto in sede il quinto e il quarto Stefano, il terzo Leone, Urbano, Pasquale e Gelasio secondo, Eugenio terzo, con il quarto Innocenzo• e altri pontefici, dispersi dal furore di questo e di quello orgoglio. Ma non vi turba il core la fidanza, che bisogna che abbiate ne la sospezione degli Infedeli ?2 Stimate voi che due diverse credenze, rimescolate insieme da la rabbia del vendicarsi, faccin buon fine? Credete voi dimesticare la feritade turca con l'umanità gallica? Se ponete mente a la temerità di Solimano, 3 vituperato in Ongaria e disfatto in Persia, ditemi: che premio rende egli a la concordia di quaranta anni, dimostratagli da questa cittade4 onnipotente? E pur dee rammentarsi del suo essergli stato a Rodi, si può dir, prigione. 5 Deh riguardate, inclito re, al vostro grado e a l'ufficio che tenete; né si arischi l'anima nei pericoli, ché va la fama. Dispiaccia a l' orecchie reali il grido de la irreligione, che accenna di esclamarvi il nome,6 caso che restiate congiunto con colui che si disgiugne per natural superbia da sé stesso, in tanta insolenza il pone la magnitudine de l'impero e l'infinito numero dei suoi cani,7 le cui armi son prive de l'arte, de la ragione e del consiglio, principali spirti de la milizia. Or depositate gli sdegni ne le salde mani de la fede nostra, legando l'animo con gli animi dei seguaci di Gesù; che è più gloria il perder la vita e il regno per il suo battesimo che non è vituperio il sempre vivere e il continuo regnare per l'altrui circuncisione. Perciò disbrigàtivi dal gran monstro, la possanza del quale più spaventa che non offende; e chi in lui si confida, di Dio si diffida, e più tosto si può chiamar disperazione8 che confederazione quella di 1. Pipino • •• Innocenzo: l'Aretino con abilità mette in evidenza personaggi celebri come esempio tanto per la Casa di Francia quanto per il papato. 2. ne la sospezione degli Infedeli: nella diffidenza dei Turchi (gli Infedeli). 3. Solima110: Suleiman I il Magnifico (1495-1566), sultano turco dal 1520. Conquistò Belgrado nel 1521 e Rodi l'anno dopo, sconfisse quindi gli Ungheresi nel 1526; ma non riusci a conquistare Vienna, pur avendo preso nel 1529 Ofen (Buda). Nel 1533-1536 fece anche guerra alla Persia. Mori in battaglia. 4. questa cittade: Venezia, che non aveva reagito all'espansione turca per non compromettere i propri interessi commerciali. 5. Solimano aveva assaltato Rodi che era difesa dni Cavalieri con l'aiuto dei Veneziani. (Prigione perché costretto a un assedio durato parecchi mesi). 6. di esclamarvi il nome: a reclamarvi l'appcllnttivo (di cristianissimo), dato il suo comportamento con l'alleanza del Turco. 7. cani: i khan, cioè i vassalli del sultano. 8. disperazione: separazione (con un bisticcio solito all'Aretino con disperazio11e, da disperare). Il Ferrero al termine cli una dotta nota su una correzione del Nicolini (diseparazione) - ora non seguita dall'edizione Flora-Del Vita - fa notare come il Battistini nel manoscritto da lui rintracciato legga desparazione.

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coloro che se gli accostano, ed è atto più conveniente ai ribelli del Cielo che ai principi de l'universo. Oltra di questo, la sua arroganza tiene per ischiava l'amicizia vostra, vantandosene come di cosa domata da lui; e ben dee farlo, poi che l'insegne, che tante volte han fatto temere e tremar l'Oriente, s'inchinano ai gonfaloni di Macometto. Ahi pessima volontà di regnare! tu, tu debbi ingombrare la mente del più candido e del più nobil re che fusse mai ? Dove è, Francesco, la prudenza valorosa, che, per esser nata fra le vittorie, vi ha arricchito di tanti trionfi? Ella è pur con voi. Perciò essaudite le supplicazioni de la Chiesa e i voti del suo popolo. Ecco Paolo che vi chiama, ecco Carlo che vi accetta, ecco Marco1 che vi esorta a far sl che più tosto vi abbiate a lodar de la prestezza che a pentir de la tardità, risolvendo che ogni ragion, che vi pare aver con gli uomini, è un torto che si fa a Cristo. Di Vinezia, il 18 di settembre 1537.

XVII A MESSER BERNARDO TASS0 2

Quante volte, onorato fratello, mi sono io riso e maravigliato degli intrighi venerei3 del Molza4 nostro ? Io me ne son riso, vedendogli vari, e sonmene maravigliato per i miracoli che per ciò ha fatti la vaghezza del suo sacro ingegno. Io non ho mai veduto 1. Paolo .•• Marco: Paolo III, Carlo V e Venezia. 2. Berna,rdo Tasso: in questa lettera al padre (1493-1569) di Torquato Tasso l'Aretino accenna agli intrighi venerei del Molza e si effonde a parlare della vecchiaia e dell'amore. Sui rapporti fra l'Aretino e Bernardo Tasso, o almeno su un loro contrasto nel campo delle lettere, si veda la nota di LUIGI GALANTE, Una scaramuccia letteraria nel secolo XVI (Pietro Aretino e Bernardo Tasso), Cagliari, Tipografia dell'•Unione Sarda•, 1899, estratto dal n. 0 17-18 della •Piccola Rivista• di Cagliari (esemplare nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, alla segnatura: Rinascimento, A. 205). 3. intrighi ve11erei: sono gli I errori amorosi• tradizionali nella letteratura erotica del secolo con una mescolanza di petrarchismo idealizzante e di paganesimo. Il Molza è noto per le sue varie avventure erotiche in Roma e altrove. Qui si fa osservare che il desiderio d'amore è un tormento per quanto dilettevole, e tanto più nella vecchiaia: su questo tema, l'Aretino, che per conto suo ebbe a provare più di una volta dolori amorosi, anzi strazi, fa le sue osservazioni lungo tutto il suo epistolario. 4. Francesco Maria Molza (su cui cfr. Dialogo nel quale ecc .• nota z a p. 204).

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scender la neve dal cielo senza dire: - Gli amori del tale vincan1 il numero di queste falde -, giurando che Cupido, avendo spese per conto suo tutte le saette, era sforzato a bastonare i cori con l'arco e con la faretra. Sonmi anco stupito a pensare come il gentile de l'animo di cotanto uomo, uscendo dei santi tempii e dei gran palazzi, avesse dato di petto ne le sinagoghe, impaniandosi d'una Ebrea conosciuta da l'immortale2 per ciò. Ma ora ch'io comincio aver qualche notizia di quel che sono, mi rido e maraviglio di me stesso, perché, entrando d'un fernetico ne l'altro, dubito che i miei innamoramenti non sieno eterni. Ecco il secondo che succede al primo, e il quarto al terzo, raggroppandosi insieme come i debiti de la mia prodigalità. Certo è che nei miei occhi abita un furor si tenero, che, traendo a sé ogni beltade, non si può mai saziare de la bellezza. E bene spesso ho dubitato che ciò non mi avenga per le bestemie dei preti; risolvendomi poi a laudarne Iddio, da che la natura mi mostra più tosto subietto de l'amore che materia de l'odio, ringraziando la sorte, che m'ha fatto amante e non mercatante. E, se non ch'io debbo essercitar cotal mestiero ne l'età greve, mi terrei beato, da che il desiderio amoroso è un dilettevol tormento, e i denti de la voluptà trafiggano con morsi soavi e dolci: per ciò che in cotale impaccio speri ciò che tu brami e godi di quel che consegui, non prendendo men piacere de la gioia futura che del gioco presente, rallegrandoti con la memoria fin del diletto passato. Se io, per via di qualche negromanzia, potessi scaricarmi del peso d'otto o dieci anni, trionfarei3 de la saviezza del mio costume, che, mutando di mese in mese amorose, simiglia un cortigiano scarso4 e astuto, che, per iscambiare ogni quindici dì famiglia, si trova ben servito e non paga salaro. Ma egli è il diavolo a far le mutazioni ch'io dico ne la vecchiaia, la quale ha buono animo e triste gambe. Ed è un peccato che la poverina5 non possa mai serrar occhio né a mezza notte né a l'alba, sofferendo le passioni e le gelosie giovenilmente,

1 • vincan: vincono. 2. immortale: cosi nelle edizioni marcoliniane I e 111 (del 1538 e del 1542), come avverte il Ferrero, che cita la congettura del Nicolini uriiversale e l'accoglie. Il Flora nel suo testo lascia immortale, ricordando che la congettura rmiversale non soddisfaceva allo stesso Nicolini, e commenta: « Il testo reca appunto: "da l'immortale"; e si dovrebbe riferire al Molza "immortale", che ben sapeva di avere a che fare con una ebrea. Ma è una stiracchiatura». 3. trionfarei: godrei. 4. scarso: di scarsi mezzi. 5. la poverina: la vecchiaia, di cui poco prima.

PIETRO ARETINO

sempre affissando i pensieri, che doverebbe voltare a la morte che l'ha per i capegli, a quella diva che si fa beffe de le sue sollecitudini e de le sue cure. Certo, si becca il cervel101 chi crede che i doni e l' opre, che se gli fanno in laude, giovino ai vecchi. L'offese e i vituperi, con cui gli sbarbati l'oltraggiano e infamano, sono più grate a le madonne che quanta fama e quanta gloria le patria mai dare colui che trovò la gloria e la fama. E io lo so, che, per aver rasserenato il cielo col nome di colei da me amata con santissima e con castissima affezione, ne ho avuto in premio la sua disgrazia. 2 Di Vinezia, il 21 di ottobre 1537. XVIII A MESSER DOMENICO BOLANI3

Egli, onorando gentiluomo, mi parrebbe peccare ne l'ingratitudine, se io non pagassi con le lodi una parte di quel che son tenuto a la divinità del sito, dove è fondata la vostra casa, la quale abito con sommo piacere de la mia vita, per ciò che ella è posta in luogo che né 'l più giuso, né 'l più suso, né '1 più qua, né 'I più là ci trova menda. Onde temo, entrando nei suoi meriti, come si teme a entrare in quegli de l'imperadore. Certo, chi la fabricò le diede la preminenza del più degno lato ch'abbia il Canal grande. E per esser egli il patriarca d'ogni altro rio, e Venezia la papessa d'ogni altra cittade, posso dir con verità ch'io godo de la più bella strada e de la più gioconda veduta del mondo. Io non mi faccio mai a le finestre ne ho .• • disgrazia: si allude all'infelice amore per Angela Sirena, già ricordata in precedenza. Al termine della lettera si può menzionare quanto dice il Del Vita nel commento mondadoriano: « I tratti di spirito che si trovano in questa lettera sulle debolezze amorose del Molza possono anche avere riferimento al fatto che il Tasso e il Molza erano stati a distanza di tempo entrambi nelle grazie della cortigiana e poetessa Tullia d'Aragona. Nell'ultimo periodo della sua permanenza veneziana, il Tasso aveva ripreso con Tullia la relazione che fra loro era stata stretta in Ferrara 11, 3. Dome,rico Bo/ani: è il padrone della casa che l'Aretino abitava allora: era sul Canal grande e ora, come il Del Vita ricorda, non esiste più. Il Ferrero riporta utili notizie sulla casa che lo scrittore abitò fino al I ss1 : era fra il rio di San Grisostomo e il rio dei Santi Apostoli, e dalle sue finestre si vedeva il ponte di Rialto coi suoi edifici famosi. Il Ferrero fa quindi un rinvio alla nota di G. TASSINI, Delle abitazioni in Venezia di P. Aretino (in crArchivio veneto», xxxr, 1886, pp. 205-8) e rammenta che nel 1551 lo scrittore si trasferì in casa di Leonardo Dandolo, sulla riva del Carbon. 1.

si becca il cervello: cfr. qui addietro la nota 2 a p. 511.

2.

LETTERE • LIBRO I

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ch'io non vegga mille persone e altretante gondole su l'ora dei mercatanti. Le piazze del mio occhio deritto sono le Beccarie e la Pescaria; e il campo del mancino, il Ponte e il Fondaco dei Tedeschi; a l'incontro di tutti due ho il Rialto, calcato d'uomini da faccende. Hocci le vigne nei burchi, 1 le cacce e l'uccellagioni ne le botteghe, gli orti ne lo spazzo.2 Né mi curo di veder rivi che irrighino prati, quando a l'alba miro l'acqua coperta d'ogni ragion di cosa che si trova ne le sue stagioni. E bel trastullo, mentre i conduttori de la gran copia dei frutti e de l' erbe le dispensano in quegli che le portano ai luoghi deputati! Ma tutto è burla, eccetto lo spettacolo de le venti e venticinque barche con le vele, piene di melloni, le quali, ristrette insieme, si fanno quasi isola a la moltitudine, corsa a calculare, e col fiutargli e col pesargli, la perfezion loro. De le belle spose relucenti di seta, d'oro e di gioie superbamente poste nei trasti, 3 per non iscemar la reputazione di cotanta pompa, 4 parlo. Dirò ben: io mi smascello de le risa, mentre i gridi, i fischi e lo strepito dei barcaiuoli fulmina dirieto a quelle che si fan vogare da' famigli senza le calze di scarlato. E chi non s'averia pisciato sotto, vedendo nel cor del freddo rovesciarsi una barca calcata di Tedeschi pur alora scappati de la taverna, come vedemmo io e il famoso Giulio Camillo ?5 la cui piacevolezza mi suol dire che l'entrata per terra di si fatta abitazione, per essere oscura, mal destra e di scala bestiale, simiglia a la terribilità del nome acquistatomi ne lo sciorinar del vero. Poi soggiugne6 chi mi pratica punto, trova ne la mia pura, schietta e naturale amicizia quella tranquilla contentezza, che si sente nel comparir nel portico e ne l'affacciarsi ai balconi sopradetti. Ma, perché niente manchi a le delizie visive, ecco ch'io vagheggio da un lato gli aranci, che indorano i piedi al palazzo dei camerlinghi, e da l'altro il rio e il ponte di San Giovan Grisostomo. Né il sol del verno ardisce mai di levarsi, se prima non dà motto7 al mio letto, al mio studio, a la mia cocina, a le mie camere e a la mia sala. E quel che più stimo è la nobiltà dei vicini. Io ho al dirimpetto l'eloquente magnificenza de l'onorato Maffio I. burchi: barche a fondo piatto (a remi, a vela e ad alzata). 2.. spazzo: spazio nel valore di «suolo• e anche di «pavimento• (terraferma). 3. trasti: sedili delle gondole sull'asse centrale. 4. : è aggiunto per congettura dall'edizione Flora-Del Vita. 5. Giulio Camillo Delminio (1485 circa I 544), «letterato di versatile ingegno, che è menzionato anche nella Cortigiana» (Ferrero, con rinvio ad una propria nota illustrativa). 6. soggiugne: sottinteso« che». 7. non dà motto: non parla (cioè non si fa vedere).

PIETRO ARETINO

Lioni, 1 le cui supreme vertù hanno instituito la dottrina, la scienza e i costumi nel sublime intelletto di Girolamo, di Piero e di Luigi, suoi mirabili figliuoli. Hovvi anco la Sirena, vita e anima dei miei studi.2 Hovvi il magnanimo Francesco Moccinico,3 la splendidezza del quale è continua mensa de4 cavalieri e di gentiluomini. Veggomi a canto il buon messer Giambattista Spinelli, ne la cui paterna casa si stanno i miei Cavorlini, che Iddio perdoni a la fortuna il torto fattogli da la sorte.5 Né mi tengo piccola ventura la cara e costumata vicinanza de la signora lacopa. Insomma, s'io pascessi così il tatto e gli altri sensi come pasco il viso, la stanza ch'io laudo mi saria un paradiso, per ciò ch'io lo contento di tutti gli spassi che gli ponno dare i suoi obietti. Né mi si scordano i gran maestri forestieri e de la terra, che frequentano di passarmi d'intorno a l'uscio; né l'alterezza, che mi solleva al cielo ne l'andar giù e su del buccentoro ;6 né _del corso de le barche, né de le feste, per cui de continuo7 trionfa il Canale, signoreggiato da la mia vista. Ma dove si rimangano i lumi, che dopo la sera paiano stelle sparse, u' 8 si vende la robba necessaria ai nostri desinari e a le nostre cene? dove le musiche, che la notte poi mi grattano l' orecchie con la concordia de le lor consonanze? Prima si esprimerebbe il giudizio profondo che voi avete ne le lettre e nel governo publico, ch'io potessi venire al fine dei diletti ch'io provo ne le commodità del vedere. Per ciò, se qualche spirto ne le ciance da me scritte respira con fiato d'ingegno, vien dal favore che mi fanno, non l'aura, non Pombre, non le viole e non il verde, 9 ma le grazie, ch'io ricevo da la felicità ariosa di questa vostra magione, ne la qual consenta lddio ch'io annoveri con sanità e vigore gli anni che doverebbe vivere un uomo da bene. Di Vinezia, il 27 di ottobre 1537. 1. Maffeo Lioni: letterato valente dell'epoca. 2. la Sirena •. . st11di: quest'espressione si trova nella marcoliniana 111 (1542). Nelle precedenti edizioni v'era un riferimento a « il Serena, in sacramento e in amore mio compare e figlio», cioè a Giannantonio Sirena, marito di lei. Fanno notare tale differenza il Nicolini, il Ferrero e il Flora, pur seguendo lezioni diverse. 3. Moccinico: Mocenigo. 4. de: di. (Ferrero di; Flora-Del Vita de'). 5. Cavorlini • •• sorte: i Cavorlini, gioiellieri veneziani, avevano fatto una grave perdita, in quanto un vascello con loro preziose merci era caduto in mano dei Turchi. 6. buccentoro: il famoso Bucintoro dei Veneziani. 7. de continuo: continuamente. 8. u': dove. 9. le viole ••• il verde: il Ferrero nota un evidente richiamo con l'espressione del Petrarca: de violette e ,1 verde» della canzone In quella parte (Rime, cxxvu, 32).

LETTERE • LIBRO I

XIX AL TRIBOL0 1 SCULTORE

Messer Sebastiano:i architettore, con piacere del molto diletto e del mediocre giudizio3 ch'io ho de la scultura, m'ha fatto vedere con le parole in che modo le pieghe facili ornano il panno de la Vergine, che l'ingegno vostro, mosso da la sua volontade, lavora a mio nome. Hammi detto ancora come languidamente caschino le membra del Cristo, che morto le avete posto in grembo, con l'attitudine de l'arte: onde io ho veduto l'afflizione de la madre e la miseria del figliuolo prima ch'io l'abbia vista. Ma ecco,4 nel raccontarmi egli il miracolo che nasce da lo stile de la vostra industria, l'autore di quel San Pietro Martire, 5 che, nel guardarlo, converse e voi e Benvenuto6 ne l'imagine de lo stupore; e, fermati gli occhi del viso e le luci de l'intelletto in cotal opra, comprendeste tutti i vivi terrori de la morte e tutti i veri dolori de la vita ne la fronte e ne le carni del caduto in terra, maravigliandovi del freddo e del livido che gli appare ne la punta del naso e ne l'estremità del corpo; né potendo ritener la voce, lasciaste esclamarla, quando, nel contemplar del compagno che fugge, gli scorgeste ne la sembianza il bianco de la viltà e il pallido de la paura. Veramente, voi çleste dritta sentenza al merito de la gran tavola nel dirmi che non era la più bella cosa in Italia. Che mirabil groppo di bambini è ne l'aria, che si 1. Tribolo: di lui si è già detto in precedenza (cfr. p. 503 e la nota 3). Si aggiunga, data l'importanza di questa lettera, che son sempre da ricordare le ariose e vivaci pagine con cui il Cellini nella sua Vita descrive un viaggio fatto con lui nel 1535 a Venezia. Va ricordato, perché non risulti disperso nella collezione di un quotidiano, l'articolo di A. DBL VITA, Il viaggio del Tn"bolo (nel « Giornale d'Italia» del 7 maggio 1938: è menzionato dallo stesso autore nel commento mondadoriano, voi. I, delle Lettere, 1960, p. 1068). Nella presente lettera i-Aretino descrive una Pietà del Tribolo e il San Pietro Martire di Tiziano. 2. Sebastiano Serlio (1475-1554), architetto e teorico deWarchitettura. Lavorò a Pesaro, a Roma (sotto la guida di B. Peruzzi), a Venezia. Famoso è il suo trattato di architettura, pubblicato in più volumi: esso illustra i vari ordini dell'architettura. Fu architetto di Francesco I e lavorò per lui a Fontainebleau. Sue costruzioni furono eseguite a Lione. 3. gir,dizio: nel senso di «intendimento 11, e conoscenza•· 4. Ma ecco: s'intende, «venire, sopraggiungere 11. 5. « Il Martirio di S. Pietro Martire era una grande pala, dipinta per la chiesa di S. Giovanni e Paolo: andò distrutta in un incendio, nel 1867 » (Ferrero). 6. Benvenuto: è il Cellini, delle cui relazioni col collega si è detto.

PIETRO ARETINO

dispicca dagli arbori che la spargono dei tronchi e de le foglie lorol che paese raccolto ne la semplicità del suo naturale! che sassi erbosi bagna l'acqua, che ivi fa corrente la vena uscita dal pennello del divin Tizianol 1 La modesta benignità del quale caldissimamente vi saluta, e afferisce sé e ogni sua cosa, giurando che non ha pari l'amore che la sua affezione porta a la vostra fama. Né si potria dire con quanto desiderio egli aspetti di vedere le due figure, che, sl come dico di sopra, per elezion di voi medesimo deliberate mandarmi: dono che non passarà con silenzio né con ingratitudine. State sano. Di Vinezia, il 29 di ottobre 1537.

xx A LA MARCHESA DI PESCARA 2

Il nostro secolo,3 signora, che non ha più di che maravigliarsi, tali son l'apre che avete prodotte con l'ingegno, si vorrebbe stupire di quelle che partorite con lo spirito. Ma per esser fuor d'ogni comperazione4 più degna l'anima che l'intelletto, non sa come si incominciare ad aprir bocca od alzar5 ciglio. Due cose non I. Che mirabil •.• Tiziano!: •Qui, come in molti altri luoghi, l'A. rivela la sua pronta sensibilità visiva per le opere della pittura veneziana; certe sue impressioni sono di una nitidezza ed esattezza ammirevoli 1> (Ferrero, con riferimento speciale alle lettere della sua stessa raccolta del 23 maggio I 537 a Iacopo del Giallo e del 9 novembre dello stesso anno a Tiziano; quest'ultima è compresa anche nella nostra scelta). 2. marchesa di Pescara: la famosa Vittoria Colonna (1492-1547), vedova del marchese di Pescara. La lettera dell'Aretino, pur nel tono adulatorio, ha sforzature che si direbbero perfino caricaturali e che forse sono unicamente frutto del linguaggio letterario dell'autore. Sono state largamente studiate le relazioni fra la Colonna e l'Aretino. Si tenga presente la lettera scritta dalla poetessa all'Aretino (in risposta alla presente) alla data del 6 novembre 1537: la si veda nelle Lettere scritte a Pietro Aretino cit., vol. 11, parte 11, 1874, pp. 28-9, e nel Carteggio di Vittoria Colonna, raccolto e pubblicato da E. Ferrero e G. Milller, II ed. con Supplemento raccolto ed annotato da D. Tordi (Torino, Loescher, 1892), pp. 150-1: la lettera dell'Aretino è alle pp. 148-50. Un saggio ben informato - e con continue frecciate all'Aretino come autore impudente e ricattatore - è quello di una studiosa di Vittoria Colonna e del suo ambiente: GIUSEPPINA SASSI, Figure e figuri del Cinquecento: Pietro Aretino, Vitton·a Colonna e il Marchese del Vasto, nella «Nuova rivista storica», XII (1928), pp. 554-88. 3. secolo: nel senso generico di •tempo», «età». 4. comperazione: comparazione (paragone). 5. od alzar: il Ferrero (che scrive o ad alzar) osserva: «ad alzar è correzione del Nicolini, in luogo di d'alzar» che si legge nelle edizioni marcolininne I e III, del

LETTERE • LIBRO I

più vedute né più comprese ha visto e compreso il mondo: l'una fu l'invitto de l'animo del sommo vostro consorte,1 l'altra è l'invincibile de l'alta mente vostra; bontà de la quale vi si dona la palma, per ciò che egli con tali forze vinse le battaglie de le genti, e voi con sì fatto valore vincete le guerre dei sensi. E mentre la purità de le fiamme, di che ardano gli angeli, vi accende il core, sète vantata dal grido vero de la fama santa; onde il Cielo vi serba altre palme e altre corone che non son le mortali. Ben fu augurio di beatitudine il dl che foste battezzata Vittoria. Ben fu fatale cotal nome, poi· che, vincendo, quasi in fatto d'arme, tutte le vanità mondane, vi ornate delle spoglie e dei trofei che s'acquistano ne le sconfitte date da la fermezza del ben fare e da la constanzia de la fede agli inganni terreni. Voi, non per iscemare il grado del gran marito vostro, avete ritrovata la milizia spirituale, le cui sacre schiere vengano in campo sotto l'insegne de la ragione, la quale, per onor cli Gesù e in servigio de l'anima, trionfa degli avversari de !'ottime operazioni; ma per mostrar che, sì come egli pose in uso, per domare l'inespugnabile, ciò che mai seppero le scale di Marte,a cosi voi ponete in opra, per soggiogar l'abisso, 3 quel che si può ritrare dagli studi di Cristo, tenendo a vile quegli che hanno più animo in acquistar la gloria de l'universo che quella del Cielo, monstrando più core in farsi signori de le città de la terra che del regno del paradiso, spargendo con più lealtà il sangue per gli uomini che le lagrime per lddio, e ne lo sperar de la laude o del guadagno reputano la morte vita, impaurendo poi fin de l'ombre, nel servire al Redentor nostro. Per ciò i dominatori d'ogni clima non portàr mai diadema che splendesse come splende quello che folgora nel capo di colui che ha saputo sottometter sé stesso, perché la difficultà de la fortezza e de la prudenzia sta in far ciò e non in debellar gli imperi.4 E se cosi è, che carro, che ghirlanda si debbe a la giusta bontà vostra, poi che ella, 1538 e 1542. In realtà, si tratta di particolarità grafica degli stampatori dell'epoca. Anche il testo dell'edizione Flora-Del Vita nel dare come lezione «o d'alzar» non tien conto di tali norme d'uso nel Cinquecento. 1. 'Vostro consorte: il marchese di Pescara, Ferdinando Francesco d'Avalos. morto nel I 525 a Milano; ebbe grande parte nella vittoria imperiale di Pavia nello stesso anno. Aveva sconfitto nel 1513 l'Alviano a Creanzo presso Vicenza e nel 1522 il Lautrec alla Bicocca. Nel 1512 era stato ferito alla battaglia cli Ravenna e fatto prigioniero. 2. le scole di Marte: le arti della guerra. 3. l'abisso: al solito, l'inferno. 4. Per cii> ••• imperi: •L'A. ha appreso assai bene il linguaggio della moralità classica e cristiana, e lo sa usare con destrezza» (Ferrero). 34

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PIETRO ARETINO

che sempre tiene la conscienzia in pubblico, né mai fugge il conoscimento de l'errore, anzi, avendo tuttavia guerra coi vizi e pace con le vertù, ha fatta prigione sé medesima di sé propria? O donna eletta, voi sola sapete vivere a la mensa celeste, cibandovi di vivande cotte dal fervore al fuoco de la carità, la quale nel saldo vostro petto trova tutti gli alberghi dei suoi diletti, casti, soavi, dolci, netti, sacri e santi. E perché i suoi veraci desiderii non sanno udir altro che le parole di Dio ascose dentro al seno de le Scritture, avete cambiato lezione, e, trasformando i libri poetici nei volumi profetici, studiate Cristo, Paolo, Agostino, Girolamo e l'altre squille1 de la religione. Onde, lieta per l'utile memoria che lasciate quaggiuso e per la patria eterna procacciatavi lassuso, avete compassione, essendo tale, a chi è altrimenti, solo per conoscer voi (che sète ristretta nei paterni costumi e adorna de le materne grazie)2 che tutto il mortale non è pur breve e poco, ma comune agli animali ancora; e, schifa dei doni che ubbidiscono a la fortuna e al tempo, procacciate per l'anima perpetua cose sempiterne, sodisfacendo a Dio, che sempre fu, e a lei, che sempre sarà. Ma sarien pur eccellenti le magnifìcenzie terrestri, se i principi, che ne son monarchi, ci ponessero inanzi una norma di ben vivere come ci avete posto voi. Di Vinezia, il 5 cli novembre 1537. XXI A TIZIANOl

Egli è stato savio l'avedimento vostro, compar caro, avendo voi pur disposto di mandare l'imagine de la Reina del cielo a l'imperadrice de la terra.4 Né poteva l'altezza del giudizio, dal qual trae1.

squille: nel senso di 1r grandi autori», «autorità».

2.

paterni ••. grazie:

Vittoria era figlia di Fabrizio Colonno, connestabile del reame di Napoli, e di Agnese di Montefeltro, figlia minore del duca di Montefeltro e di una Sforza di Pesaro. 3. A Tizia110: si parla, in questa lettera, dell'Annunciazione, inviata in dono all'imperatrice Isabella, e ben nota agli studiosi d'arte. (Col Ferrero si ricordino due altre Annunciazioni di Tiziano: quella del duomo di Treviso e quella della Scuola di San Rocco, e si osservi a proposito delle lettera: • La descrizione muove dal concetto assai trito dell'arte, che, imitando la natura, la uguaglia: ma, pure nella ridondanza elogiativa, abbonda di schiette impressioni visive•). 4. imperadrice de la terra: Isabella, su cui si veda qui addietro la nota I a p. 515.

LETTERE• LIBRO I

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te le maraviglie de la pittura, locar più altamente la tavola in cui dipigneste cotal Nunziata. Egli s'abbaglia nel lume folgorante che esce dai raggi del paradiso, donde vengano gli angeli, adagiati con diverse attitudini in su le nuvole candide, vive e lucenti. Lo Spirito Santo, circondato dai lampi de la sua gloria, fa udire il batter dc le penne, tanto somiglia la colomba, di cui ha preso la forma. L'arco celeste, che attraversa l'aria del paese scoperto da l'albore de l'au-rora, è più vero che quel che ci si dimostra doppo la pioggia inver la sera. Ma che dirò io di Gabriele, messo divino? Egli, empiendo ogni cosa di lume e rifulgendo ne l'albergo con nuova luce, si inchina sì dolcemente col gesto de la riverenza che ci sforza a credere che in tal atto si appresentasse inanzi al conspetto di Maria. Egli ha la maestade celeste nel volto, e le sue guance tremano ne la tenerezza, composta dal latte e dal sangue, che al naturale contrafà l'unione del vostro colorire. Cotal testa è girata da la modestia, mentre la gravità gli abbassa soavemente gli occhi: i capegli, contesti in anelli tremolanti, acennano tuttavia di cadere da l'ordine ]oro. La veste sottile di drappo giallo, non impacciando la semplicità del suo involgersi, cela tutto l'ignudo senza asconderne punto, e par che la zona, 1 di che è soccinto, scherzi col vento. Né si son vedute ancor ali che aguaglino le sue piume di varietà né di morbidezza. E il giglio, recatosi ne la sinistra mano, odora e risplende con un candore inusitato. Insomma par che la bocca, che formò il saluto che ci fu salute,2 esprima in nota angeliche Ave. Taccio de la Vergine, prima adorata e poi consolata dal corrier di Dio, perché voi l'avete dipinta in modo e con tanta maraviglia che l'altrui luci, abbagliate nel refulgere dei suoi lumi pieni di pace e di pietade, non la posson mirare. Come anco, per la novità dei suoi miracoli, non potremo laudare l'istoria, che dipignete nel palazzo di San Marco3 per onorare i nostri signori e per accorar quegli, che, non potendo negar l'ingegno nostro, danno il primo luogo a voi nei ritratti e a me nel dir male, come non si vedessero per il mondo le vostre e le mie opre ? Di Vinezia, il 9 di novembre 1537. J. sona: fascia che si cinge attorno ai fianchi. z. saluto ••• salute: gioco di parole di origine stilnovistica. 3. San Marco: • Secondo il Vasari. "una storia grande della battaglia di Ghiaradaddau, che Tiziano dipinse nella sala del Gran Consiglio, nel Palazzo Ducale. "Non la battaglia di Ghiaradodda - annotò il Milanesi - ma raltra di Cadore ...... Cotesto dipinto andò distrutto in un incendio, nel 15771 (Ferrero).

S3 2

PIETRO ARETINO

XXII A MESSER FRANCESCO ALUNNO 1

Ai prieghi, fratello, coi quali altri move me, agiungo i miei, e, legategli tutti insieme, gli mando al conspetto vostro, pregandovi che vogliate far sì ch1io abbia gli essempi d'ogni sorte di lettra che fate. Benché mi potreste rispondere che la mia richiesta ricerca la fiera di Ricanati,2 sapendosi pure che sapete formarne mille migliaia, e la torre di Babel non fu si varia di lingue quante son diverse le maniere dei caratteri composti e ritratti da la diligenzia del vostro paziente ingegno, la penna del quale dipigne le cose minute e scolpisce le grandi. E lo imperadore magno in Bologna3 spese tutto un giorno in contemplare la grandezza de l'arte vostra, maravigliandosi di vedere scritto senza abreviature il Credo e l' In principio• ne lo spazio d'un danaio, ridendosi di ser Plinio, che favoleggia di non so che Iliade d'Omero rinchiusa in un guscio di noce. 5 Stupi anche papa Clemente6 ne lo spiegargli voi i cartoni mirabili; onde Iacopo Salviati,' adocchiando alcune maiuscule adornate di fogliami, disse: - Padre santo, mirate queste dai pennacchi l - Io desidero sopra ogni altra quella foggia di lettre tonde e antichette, che piacque tanto a la Maestà cesarea, onor del mondo; e ciò ricerco per uno dei tanti signori che mi rompon continuamente la testa con le visite, talché le mie scale son consumate dal frequentar dei lor piedi, come il pavimento del Campidoglio da le ruote dei carri trionfali. Né mi credo che Roma per via di parlare vedesse mai sl gran mescolanza di nazioni come è quella che mi càpita in Francesco Alunno da Ferrara (morto nel 1556) è un famoso calligrafo, autore anche di varie opere lessicografiche edite a Venezia : Le osservazio11i sopra il Petrarca (1539), Le ricchezze della lingua volgare sopra il Boccaccio (1543) e Lafabrica del mondo, libri X, ne' quali si conte11gono le voci di Dante. del Petrarca, del Boccaccio, del Bembo e di altri buo,ii ailtori ( 1548). Nella presente lettera, l'Aretino domanda copia delle lettere dell'alfabeto dn lui disegnate, e nel frattempo parla della gente che viene a trovarlo. 2. ricerca la fiera di Ricanati: cerca troppe cose come alla .fiera. (La .fiera di Recanati, al pari di quella di Lanciano, era molto nota). 3. in Bolog11a: nel 1530, in occasione della sua incoronazione, erano stati presentati all'imperatore lavori calligrafici e di minio dell'Alunno, come il Del Vita ricorda. 4. l' In principio: cioè l'inizio del vangelo di Giovanni (1, 1-14) che si leggeva un tempo alla fine della messa. 5. ser Pli11io ..• noce: cfr. Plinio, Nat. hist., vn, 85. 6. Clemente: Clemente VII. 7. Jacopo Salviati:" Segretario pontificio, cognato di Leone X, del quale aveva sposato la sorella Lucrezia» (Del Vita). 1.

LETTERE • LIBRO I

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casa. A me vengono Turchi, Giudei, Indiani, 1 Franciosi, Todeschi e Spagnuoli: or pensate ciò che fanno i nostri Italiani. Del popol minuto non dico nulla, per ciò che è più facile di tòr voi da la divozione imperiale che vedermi un attimo solo senza soldati, senza scolari, senza frati e senza preti intorno. Per la qual cosa mi par esser diventato l'oracolo de la verità, da che ognuno mi viene a contare il torto fattogli dal tal principe e dal cotal prelato: onde io sono il secretario del mondo, 2 e cosl mi intitolate ne le soprascritte.3 Or io spetto le mostre,• anzi le perle, ch'io vi chieggo con paura di non l'avere, non perché non siate l'istessa cortesia, ma perché, oltre a la fama de la professione in cui sète unico, volete ancora, mentre vi fate onore col molto disegno, la gloria de la poesia, fa.. cendo nuove regole de la sua locuzione, 5 non dando punto di cura al concorso de le generazioni,6 che vi tempestano la fantasia solo per vedere l'opere, che vi rubano con gli occhi i volenterosi d'im-pararle a fare. Sì che ponete da parte una de le tante vertù datevi di sopra, e servite me, che son per sempre servirvi. Di Vinezia, il 27 di novembre 1537. XXIII

A LA SIGNORA SUOR GIROLAMA TIEPOLA 7

Dolce e caro, reverenda madre, mi è suto l'intendere8 il desiderio c'ha la bontà vostra di udirmi parlare, poi che non vi è lecito il potermi vedere. La qual cosa mi piace e dispiace. Piacemi, perché l'imaginazione non mi torrà ciò che mi scemaria la presenzia; e spiacemi, perché non potrò veder quella venerabile madonna c'ha saputo disprezzare il mondo e vincer la fortuna. La perdita del marito, del figliuolo e de la signoria v'ha dato una ricompensa, mercé de la sofferenza di cotanto danno, non atta a esservi concessa da veruno imperadore, però che il cerchio, nel qual rinchiudete la saIndiani: certo nel valore di a Americani». 2. il secretario del mondo: si noti la famosa definizione. 3. soprascritte: indirizzi (delle lettere). 4. le ·mostre: i modelli delle lettere alfabetiche. 5. facendo ... loct1zione: con i suoi scritti e, tra l'andar degli anni, con le opere a cui si è già accennato. 6. generazio11i: genti. 7. Tiepola: più comunemente, oggi, Tiepolo. La lettera è tutto un elogio della vita claustrale. 8. intendere: il Ferrero, dietro un'indicazione del Nicolini 1 ricorda che nella marcoliniana III non. si trova più un preciso accenno: • da madonna .Francesca Serlia, mia comare e sorella• (accenno che è fin dalla marcolini~a 1). I.

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PIETRO ARETINO

era persona, è di più spazio che il campo de la luna. Egli, se ben par piccolo, è il modello del paradiso che vi sapete acquistare, a le mura del quale non si possono accostare né gente né armi. Costl non ha che fare il veleno né il tradimento; costl la tirannide non comanda e non isforza; costi perde ogni ragione il tempo e la morte, perché l'invecchiare e il morire non incresce e non vi dole. Felice voi, che vi sapeste procacciare la quiete del corpo e la salute de l'animai Signoreggino quegli che sanno sopportare i sospetti, le cure, le guerre e le crudeltà; e tolgasi da noi chi vole godere de la sicurezza, de la libertà, de la pace e de la pietade. La stanza dei mondani è una imagine de l'abisso: 1 e, come voi non sentite mai punto di fastidio, cosi noi mai non proviamo ora di riposo. Stanno lontani da la vostra cella gli inganni, l'invidia non vi lacera, i peccati non vi stimolano, i desideri non vi infiammano e l'avarizia non vi tormenta. L' ore che rubate al sonno, il pasto che ascondete a le fami e i piaceri di che private la voluptà, per esser il far ciò elezion di voi stessa, vi adormentano, vi pascano e vi contentano. Di poca cosa si sodisfa la natura: fino a2 l'erbe e a !'acque la sustentano. Ella non ha colpa de lo studio3 de la gola: i fagiani e i pavoni son pompe del cibo. Con altro pro' si resta colui che piglia domestici alimenti, che quello che si empie di varie vivande, perché i desinari suntuosi e le cene magnifiche sono i padri e le madri dei morbi. Per ciò statevi pure nei vostri panni, e uno abito solo vi ricopra le carni ornai schife de le porpore e degli ori. Le spose di Cristo non usano perle né anelli. Esse non ritranno dal lor sempiterno Amante né sospiri né gelosia né infamia. Le feste loro sono !'allegrezze del core, che gli scorge la beatitudine de l'anima. Solo i canti degli offici vi dilettano e i suoni degli organi salmeggianti. Non penetra ne le vostre orecchie il rumore degli esserciti né i gridi de le rovine altrui. Voi non vedete i sangui, gli incendi, le rapine e gli adulterii; anzi coi preghi fate si che lddio non ci corregge con le sue ire né ci gastiga coi suoi furori. Guai a noi, se le vostre lagrime e le vostre voci non fosser de l'autorità che voi Gesù che elle sieno I Ecco: le fughe infedeli4 e gli accordi cristiani5 derivano dai meriti de le vostre sincere menti: il Ciel non voi negarvi niuna de le abisso: come altra volta, l'inferno. 2. fino a: perfino le sole. 3. str,dio: inclinazione. 4. le fughe infedeli: la ritirata degli Infedeli. 5. gli accordi cristiani: le alleanze fra principi cristiani. 1.

LETTERE • LIBRO I

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grazie che gli sanno chiedere i vostri cori. Io non entro mai ne le chiese aministrate da la diligenzia de le nuore1 di Maria Vergine ch,io non senta la soavità de l'odore che spira la santitade e la castità loro.2 Si che locatevi nel numero de le beate; da che, sazia de le miserie che, in apparenza di gradi e di onori, ce si appresentano inanzi, vi eleggeste un dominio sicuro e una vita laudabile. Onde, per la fede e per la speranza ch'io ho nel fervore dei voti e nel merito de l'opere, con le quali placate e servite lddio, vi suplico a impetrar sanità e lunghezza dei giorni a l'esser che egli mi diede. Di Vinezia, il 13 di decembre 1537.

XXIV A LA SIGNORA ANGELA ZAFFETTAl

Da che la Fama, mettendosi la giornea,4 andb trombeggiando per Italia che Amore m'avea malconcio dei fatti vostri, ho sempre tenuto per un bel che cotanto favore, perché i modi, coi quali pronuore: in quanto spose di Gesù. (Si noti l'insolita immagine). 2. ch 1io ..• loro: dinanzi a questa perentoria affermazione il Ferrero esclama: «Meravigliosa impudenza di chi in quegli stessi anni descriveva con oscena inesauribile immaginazione la vita licenziosa delle monache nella Giornata prima della Prima parte dei Ragionamenti• (cioè nel Ragionamento della Nanna e della Antonia). A sua volta il Del Vita commenta con distacco da storico della società del Rinascimento e da intenditore del costume dell 1epoca: e Se non fosse ormai conosciuto il sistema di sdoppiamento spesso adottato dall' A. come scrittore, questo elogio della vita monastica, fatto in forma alta e nobile, sarebbe motivo di meraviglia, specialmente se messo a confronto con la descrizione della vita dei chiostri fatta nei Ragionamenti•· 3. Angela Zaffetta: è la famosa cortigiana, più volte menzionata nel Dialogo nel quale ecc. (cfr. qui addietro p. 418, nota 2., e p. 419, nota 1). Come cortigiana perfetta essa lascia da parte le meschinità di mestiere delle compagne di vita e procede a la reale. Si chiamava Angela del Moro. Il soprannome di Zaffetta venne a lei dal fatto di essere figliastra di uno :zaffo, cioè di un birro. Per composizioni dedicate a lei si veda qui addietro a p. 419, nota 1. Una densa nota del Del Vita nel commento mondadoriano alle Lettere dell'Aretino, voi. 1, a p. 1083, ne illustra l 1attività professionale. Viene ricordato anche lo spietato «trentuno• a istigazione del Veniero che lo cantò (come il Del Vita documenta in Galanteria e lussuria nel Rinascimento, Arezzo, Edizioni Rinascimento, I 952, pp. 55-67, Il« Trentuno•); ma, anziché cedere allo smacco, l'avvenente e volitiva donna riprese la sua« arte• con nuovo successo. Fra i suoi protettori era il cardinale Ippolito de' Medici. L'Aretino, che le si mostrò sempre amico, la ricorderà ancora in una sua lettera del 1545: quando, essa, • anche in età matura, seppe tener la sua linea ed era spesso compagna ed ospite • di lui. 4. mettendosi la giornea: dandosi delle arie. 1.

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PIETRO ARETINO

cedete, son lontani da ogni fraude. Io vi do la palma di quante ne fur mai, poiché voi più ch'altra avete saputo porre al volto de la lascivia la mascara de l'onestà, procacciandovi per via de la saviezza e de la discrezione robba e laude. Voi non esserci tate l'astuzia, anima de l'arte cortigiana, col mezzo dei tradimenti, ma con si fatta destrezza che chi spende giura d'avanzare. 1 Non si potria dire con che attitudine vi stabilite gli amici nuovi, né in qual maniera vi tiriate in casa quegli che il dubbio va dimenando tra 'l si e 'l no. È difficile d'imaginarsi la cura che usate in ritener2 coloro che son diventati vostri. Voi compartite sì bene i basci, il toccar de le mani, i risi e le dormiture che non si ode mai querelare né bestemiare né lagnar niuno. Voi, usando la modestia in ogni affare, togliete ciò che vi si dà senza saccheggiar quel che non vi si dona. I vostri corrucci s'adirano a tempo, né vi curate d'esser chiamata maestra di lusinghe, né di tenere in lungo, avendo in odio quelle che studiano i punti de la Nanna e de la Pippa. 3 Voi non mettete la sospezione dove ella non è, convertendo in gelosia chi non ci pensava. Voi non traete de la tasca i guai e le consolazioni, né, fingendo l'amore, non morite né resuscitate quando vi piace. Voi non tenete ai fianchi dei corriyi4 gli sproni de la fante, insegnandole a giurare come non bevete, non mangiate, non dormite e non trovate luogo per lor causa, facendola affermar che poco mancò che non v,impiccaste per esser egli stato a visitar la tale. Maffenò che non siate5 di quelle che han le lagrime in sommo, e, mentre piangono, ci mescolano certi sospiretti e alcuni singhiozzi troppo bene tratti dal core, con ladroncellaria del grattarsi il capo e del mordersi il dito, con quello «Ei si sia », 6 minuzzato dal fioco de la voce; né ritenete con la industria chi· si voi partire, facendo andar via chi vorrebbe stare. Non son dal vostro animo cotali. ingannuzzi. Il vostro saper donnesco procede a la reale, né vi vanno a gusto le ciancette feminili, 1. aTJanzare: risparmiare. :z. ritener: trattenere. 3. i punti ••• Pippa: si allude al Dialogo nel quale ecc. (qui addietro alle pp. 202 sgg.). 4. corrivi: creduloni. 5. Maffenò clze non siate: in mia fede, no, non siete. (Per la forma vernacola - di origine aretina, ma frequente anche nel fiorentino di oggi - il Ferrero, negli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, edd. citate del 1951 e del 1966,.nel commento a questo luogo diceva di rilevarla solo ogni volta che, nel contesto, potesse I essere facilmente scambiata con la forma del congiuntivo»). 6. a Ei si sia»: sia pure. L'espressione si trova anche nel Ragionamento della Nanna e della Antonia (cfr. qui addietro, p. 164) .e nel Dialogo nel quale ecc. (cfr. p. 385).

LETTERE • LIBRO I

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né vi si raggirano intorno frasche né milantatori. Pratiche onorevoli godano de la gentil bellezza, che vi fa splender rarissimamente; ferme son le speranze de Io stato, in cui trionfate degli ordini che csseguite. 1 La bugia, l'invidia e la maladicenza, quinto elemento de le cortigiane, non vi tengano in continuo moto l'animo e la lingua. Voi accarezzate la vertù e onorate i vertuosi: cosa fuor del costume e de la natura di coloro che compiacciono ai prezzi de l'altrui volontà. Perciò mi son dato a Vostra Signoria, parendomi che Quella ne sia degna. Di Vinezia, il 15 di decembre I 537.

xxv AL VESCOVO DI NOCERA 2

Ancora che l'età nostra, monsignor reverendo, sia per sé stessa i.ferme . .• eseguite: «Pare voglia dire: i vostri amanti hanno sicura speranza di poter conservare i vostri favori; e voi traete profitto (trionfate) della vostra docilità» (Ferrero). 2. vescovo di Nocera: Paolo Giovio (14831552), di Como, vescovo di Nocera dei Pagani dal 1529. È autore delle famose (e spesso incomprese) Storie, uscite in latino col titolo Historiarum sui temporis libri XLV e tradotte in volgare da Lodovico Domenichi. Lo storico, giudicato come venale e impreciso per vario tempo, è stato rivalutato come autore serio ed esatto tanto da Benedetto Croce quanto da Federico Chabod. Si veda del primo La grandiosa aneddotica storica di Paolo Giovio, in Poeti e scrittori del pie110 e del tardo Rinascimento, voi. II (Bari, La.terza, 1945, « Scritti di storia letteraria e politica n, X.': perciò. 9. il più antico: nel senso dell'eccellenza dell'arte valutata con spirito rinascimentale (col ritorno all'antico e al culto della natura).

I MARMI • 111 PARTB

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FIORENTINO. Eccoci qua a punto da Orsanmichele ;1 guardate questo san Giorgio.2 PEREGRINO. Oh bello! oh che bella figurai oh l'è mirabile! ell'è delle belle3 cose che io vedessi mail FIORENTINO. La favellò una volta questa statua. PEREGRINO. Come parlò ?4 che era forse qualche idolo inanzi? FIORENTINO. Messer no: il caso fu d'una certa sorte, che egli ve lo dirà di nuovo e lo potrete dire ancor voi cosi veramente e affermare come me; ma bisogna che voi gli domandiate la cagione per che egli favellò. PEREGRINO. Dimandategnene pur voi per me, ch'io non voglio che voi vi ridiate del fatto mio. FIORENTINO. Di grazia, figura mirabilissima, a onore di chi diede sì bella scienza a colui che ti ridusse a perfezione, fa' sapere la cagione a questo gentiluomo per che la prima volta tu parlasti. LA STATUA DI MARMO DI MANO DI DONATELLO PARLA

Egli è non so quanti anni che morì uno scarpellino da Fiesole, il quale non sarebbe stato mai di che non mi fusse venuto a vedere la sera e la mattina per tutto l'oro del mondo, e faceva con meco i più bei ragionamenti che si potessino udire: egli mi lodava di prontezza, di attitudine, di vivacità, di lavoro ben condotto, e mille altre lodi mi dava; e poi rispondeva per me e diceva: - Perché non vuoi tu che io sia bella? Egli era impossibile che Donatello mi facesse altrimenti: non sai tu quanto egli era valente? Va', vedi il Zuccone5 del campanile, se gli manca altro che 'l fiato. - Ed egli replicava: 1. Orsamnichele: ed. 1552-53 OrzanMicl,ele (secondo la pronuncia popolare). È J-Orto San Michele, di cui sopra. 2. san Giorgio: l'espressione del santo guerriero è stata lodata per la sua spiritualità fin dai tempi dell'autore, e anche nelle pagine del Doni v'è qualche eco di tale giudizio. 3. delle belle: oggi: delle più belle. 4. Come parlò?: •Come avvenne che potesse parlare?» (Ferrero, che non accetta da parte del testo del Chiòrboli l'aggiunta di un interrogativo dopo Come; cfr. l'ed. 1552-53, parte III, p. 1 o: u Come parlò che era forse qualche Idolo inanzi?•). Nel Cinquecento la collocazione degli interrogativi si faceva in modo arbitrario: si usavano perfino nelle proposizioni interrogative indirette. 5. il Zuccone: la famosa statua posta in una nicchia del Campanile di Giotto. Si veda opportunamente quel che dice il Doni nella Zucca (con nuove bizzarrie a proposito, appunto, di zucca). Cfr., qui addietro, p. 6o4.

ANTON FRANCESCO DONI

- Tu di' il vero; e per segnale, quando egli l'ebbe fatto, dandogli uno scapezzone1 disse: cc Parla, parlai». - Ora egli accadde che fu fatto un Ercole che amazza Cacco, un bellissimo colosso,2 il quale voi vedrete inanzi alla porta del palagio de' Signori. Quando questo povero scarpellino vedde quelle figure ... , quando egli le vedde, fu per cascargli gli occhi di testa per il dolore. Oh che passione ebbe eglil oh che affannol Subito e' corse qua da me, come s'io l'intendessi o come l'avessi propriamente udito, e mi disse: - O caro il mio figurone bello e mirabile, io ho pur oggi avuto per te il mal dì! Egli s 1 è scoperto due figure grande in piazza e ognuno dice: cc Oh belle, oh belle!». Io, che sono avezzo a veder te del continuo e ho asuefatta la vista a te, son di contraria opinione; anzi il Davitte di Michel Agnolo mi par più bello assai, perché tiene della tua maniera ;3 talmente che io rispondo a tutti: cc Voi non ve ne intendete»; e gli apongo, al mio giudizio, mille difetti. E il mio dolore non è questo, ma il veder te in questo luogo da parte e quello nel principale e universale bellissimo sito. - E così durò parecchi dì a venire a dirmi queste parole e andava a veder quello e tornava a veder me. Una volta fui forzato a rispondergli, perché, venuto di piazza e rimirandomi con gran dolore e cordoglio, gridò forte: - Tu mi pari ogni dì più bello, ma fàtti pur bello a tuo4 posta, che tu non avrai si bel luogo. - Io, per consolarlo, gli risposi subito: - A me basta di meritarlo quel luogo meglio di lui, se ben la Fortuna e la Sorte v'ha condotto quelle5 e per buona ventura m'abbia occupato il mio sito: datti pazienza, perché io non reputo manco meritare un seggio, non vi essendo, che esservi posto e non esser degno; anzi più. - Il buon uomo a questa risposta si rallegrò tanto che fu per impazzare; e mi fu più affezionato che mai. Quest'è un caso non più udito, che voi altri Fiorentini facciate parlare i marmi; volete voi altro ? che poche persone lo vorranno credere. PEREGRINO.

1. uno 1cape1111one: •t narrato dal Vasari, nella vita di Donatello. Ma lo scapezzane è un'aggiunta del Donil • (Ferrero). 2. colosso: l'Ercole e Caco del Bandinelli (opera della quale parla pittorescamente, nella sua violenta acredine, il Cellini nella Vita, lib. n [xci e xcvn1]). 3. maniera: si tenga conto di questa testimonianza che sta alle origini della tendenza tanto studiata dalla critica moderna, cioè il manierismo. 4. a tuo: al solito per a tua, secondo l'uso dell'epoca. (Nell'ed. 1552-53, per errore di stampa, o tuo posta). 5. quelle: Chiòrboli quello. (Con quelle intendiamo figure).

I MARMI • III PARTE

Ciascuno creda a modo suo. Ma, oltre al favellare, che è cosa stupenda, egli s'impara ancora qualcosa utile per noi: vedete che un pezzo di marmo ci ha fatto conoscere come talvolta noi non ci dobbiamo disperare se noi vediamo salire un uomo in qualche grado più degno di lui. 1 A questo proposito mi ricordo che Giovan Bandini,2 vedendo un soldato valente portarsi in molte scaramucce mirabilmente, gli disse: - Perché non lasci tu i pericoli manifesti tentare a chi tocca de' tuoi maggiori, senza far più che il tuo debito ? pensi tu forse che ti mettino per un segno celeste gli astrologi o fra le stelle ch'io mi voglia dire? E' v'hanno messo un altro armato, 3 si che il tuo luogo è preso. - Per questo - rispose il soldato - non resterò io di acquistarmi il merito di quel luogo delle stelle con la mia virtù,4 se bene gli astrologi v'hanno posto un armato dipinto. PEREGRINO. Non voglio dire in questo punto quel che mi soviene alla me1noria, anzi lo voglio tacere, né mi piace affermar quello che molti dicono, che tale è oggi posto inanzi da' Signori che non è degno e tale è inalzato che non lo merita; no certo, perché credo che ciascuno che viene all'altezza di qualche dignità vi sia posto meritevolmente. Ma dirò bene, e l'affermerò, che la ricca Fortuna ha messo l'oro in mano a tali, e gli fa chiamar Signori, che meriterebbono d'esser posti in estrema miseria e che s'avessero a mendicare il pane con il sudor proprio; perciò che simil uomini ricchi, ignorantissimi, non conoscano la virtù, non degnano i virtuosi, non accettano in casa grado di virtù, ma tutto il loro avere è distribuito da' lor ministri, equali d'animo e di pensieri, in giochi, in femine, FIORENTINO.

1. in ... lui: in qualche posizione (ufficio, onore) superiore a quel che valga effettivamente. :z. Giovan Bandini: fautore dei Medici, era stato con gl'Imperiali all'assedio di Firenze. Nella Zucca il Doni accenna al fatto di essere stato familiare con lui in quel tempo, appunto nel campo imperiale. (Si veda difatti l'edizione originale dell'opera, nella parte I cica/amenti de la Zvcca del Doni [In Vinegia, Per Francesco Marcolini] M.D.LI, parte che ha numerazione propria di pagine nell'opera complessiva), pp. 5-6 al « Cicalamento un»: « Per l'assedio di Fiorenza; il Signor Giouan Bandini & io, andauamo cosl à spasso alquanto lontano da gli squadroni, & mi venne in terra veduto una palla, & raccogliendola la gittai dentro da le trincee dicendo, come i soldati non auranno che fare, potranno giocare vn pezzo; risposemi subito il Bandini come huomo viuace, arguto, & molto mirabile; bisognaua trarla dentro alle mura di Firenze, che ne hanno maggior carestia; & io dissi per la fede mia, che anchora nel campo, non ce n'è quelPabbondanza, che bisognerebbe» ecc. 3. un altro armato: il Sagittario, costellazione dello Zodiaco. 4. virtù: valore.

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ANTON FRANCESCO DONI

in gola, in cani, in buffoni, in ruffiani e pollacchine ;1 la vita loro è sonno, lussuria e ignoranza. FIORENTINO. Che volete voi fare ? E' non credono che sia altra virtù che il ventre né altra dignità che l'esser ricco avaro; basta che sia detto al virtuoso : - Tu saresti degno della ricchezza del tale; tu meriteresti un regno, uno Stato, eccetera - ; e poi dar di penna alla partita.2 Voi ne vedete assai salire a tal grado ? Nessuno; e se pur è dato loro qualche intratella, o ella è a tempo3 o la vien tardi, o la gli è tolta o ei si muore. Pierino di Baccio degli Organi nostro, ora che egli s'era fatto un poco d'entrata buona e cominciava a mietere il frutto della sua virtù (oh che mirabil giovane ha perduto il mondo!), la morte gli ha troncato la strada. Di questi esempi ne direi mille, cosl antichi come moderni: se fosse stato qualche ignorante, e' ci viveva tanto che tutti si stomacavano4 del fatto suo. PEREGRINO. Oh che bella razza di ricchi poltroni ho io nel capo e su la punta della lingua I Perché non è egli lecito a far un bando5 della lor gaglioffa6 vita? E7 sarebbe ben fatto, acciò che, spauriti gli altri, si volgessino a virtuosi fatti e i virtuosi si rincorassino vedendo bastonare il vizio, la poltroneria e l'insolenza, che è cagione che vanno mendicando il pane. Or non più di questo; andiamo in piazza a veder quei colossi, affermando8 esser vero quel che ha detto il vostro marmo, parlando di chi è posto in luogo che non merita e abassato tale che meriterebbe d'essere essaltato, e che egli è meglio, ultimamente, esser degno di stare in capo di tavola e tenere il luogo da piedi che indegno di quella testa e possederla; perché i nostri savi antichi dissero che l'uomo onora il luogo e non il luogo l'uomo.9 1. pollacchine: « Portapolli, Ruffiane, Donne vecchie che menano alla mazza le giovani» (Fanfani). È un po' l'equivalente di «tabacchine», termine più usato, nel senso di « ruffiane abusive, clandestine». 2. dar ... partita: cancellare il debito. 3. a tempo: l[Per un dato tempo, Non a vita» (Fanfani). 4. stomacavano: ed. 1552-53 stomacauamo. 5. far ttn bando: far sapere a tutti. 6. gagliof]a: sciagurata. (Termine ingiurioso che corrisponde a poltronaccia e simili, e suona molto più forte che non sia oggi). 7. E: Chiòrboli E'. (Ed. 1552-53 &). 8. affermando: confermando. 9. i nostri .•• tlomo: il Ferrero ricorda la risposta data da Aristippo a Dionisio di Siracusa che per punizione l'aveva fatto sedere all'ultimo posto (cfr. Diogene Laerzio, Vitae phil., u, 73) e fa presente che il motto era già menzionato dal Doni nella Zucca: lo si veda difatti nella citata edizione del 1551-52 (ne Le thiachiere della Zvcca del Doni con numerazione propria di pagine) al termine della « chiachiera XII», a p. 21: «Soggiunse il S[ignore] Luigi Quirino dottore virtuosissimo, Egl'è vero la sentenza che si dice:/ L'huomo honora il luogo, / & non il luogo t>huomo ».

I MARMI · III PARTE

La favola della bugia. FIORENTINO. Fia meglio per ora ritrarsi a cena: noi andremo a udir qualche ragionamento de' Marmi, e domattina, con più comodità, andremo a vedere i Giganti1 e la Sagrestia. PEREGRINO. Sia fatto come vi piace, andiamo; e ditemi intanto una novelletta. FIORENTINO. Al tempo del duca Borso,2 dice che fu un suo scalco, il quale aveva gran diletto di dire e far credere, a ciascuno che gli favellava, bugie, di quelle marchiane e stupende. Talora diceva che aveva veduto caminare un uomo in piedi sopra una corda, ora di-ceva che sapeva portare un trave di cento libbre su' denti e spesso affermava di saltare tutti i fiumi da un canto all'altro in un salto. Parte di queste cose facevano maravigliare una certa sorte di brigate, parte se ne ridevano e alcuni pochi lo credevano; e, per maggior fede della cosa, egli faceva che 'l servitor suo con un «si» raffermava. Avenne che, partendosi uno de' suoi testimoni di san Gennaio, 3 egli ne tolse per sorte• uno Greco, molto astuto e sagace, il quale gli raffermava sempre le sue bugie con un'altra bugia maggio-re: come dire, egli dice che, correndo un cavallo a tutta briglia, gli pigliò la coda nel corso e lo ritenne; subito il famiglio diceva: - Cosi fu; e lo tiraste più di sei braccia inanzi che si potessi tenere in piedi, sì gagliardamente facesti quell'atto. - Una mattina lo scalco disse un bugione, di saper fare dell'acqua vino perfettissimo, e che aveva veduto un uomo in una campagna sopra un bel cavallo, il quale lo faceva a ogni suo piacere saltare cento braccia in aere e che metteva l'alie5 là su alto e, quando ritornava in terra, le sparivano; e il famiglia disse prestamente: - Queste saranno bugie - onde egli non ebbe credito. La sera, a casa, il padrone chiamò il servi-tore e gli fece un'agra riprensione e gl'impose che mai più gli contradicesse. - Messere, - rispose il servitore - io son contento, ma fate che ancor io ci possa stare :6 bisogna, quando voi volete dir di quelle grande grande, che voi mi doniate la sera inanzi qualche i Giga11ti: cioè il David di Michelangelo e l'Ercole e Caco del Bandinelli. 2. Il famoso duca Borso d'Este (1413-1471), uno dei più grandi signori del Rinascimento, già citato in precedenza dal Doni. 3. testimoni di san Gennaio: «coloro che testimoniavano per vere le cose più assurde• (Fanfani). 4. tolse per sorte: prese a caso. 5. alie: ali. 6. ci possa stare: ci possa guadagnare. I.

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cosa, altrimenti non ne fi.e nulla. - Son contento - disse lo scalco. E seguitò di dire le sue bugiette e il famiglio a testimoniare il fatto di si. Accadde che una mattina il padrone si determinò di dirne una che passasse tutte, e chiamò il servitore quando se ne andava al letto: gli fece sapere come la sequente mattina egli voleva squadernare un gran bugione; e acciò che egli gnene avesse da raffermare, 1 gli faceva un presente; e quivi, cavatosi un paio di sudice e sporche brache, ricamate di zafferano di Culabria, tessute per mano di Tamagnino e cucite da Metamastica sua sorella,2 mirabili, ma non finite, perciò che ve ne mancava molti pezzi per segnai d'esser nuove, il servitore le prese con un dire: - A buon renderei - Eccoti il giorno seguente che 'l buon bugiardone si messe a dire come egli aveva fatto prove grande in lanciare un palo di tremila libre, che il suo servitore da una testa non lo poteva alzare, non che levare per trarlo. 3 In quello che egli aspettava d'essergli raffermata la cosa, e che dicesse: - Egli è vero, né ancor dieci uomini lo alzerebbon di terra - ei rispose con dire: - Che palo è cotesto che voi dite? Ricordatevi bene che ieri voi non traeste palo altrimenti. - Egli accennava di si e il famiglio di no; onde la bugia cominciò a pigliare il volo; talmente che 'l padrone, stizzatosi, disse: - Di' che l'è vera, poltrone! - Alla fé, messere, - rispose il famiglio - che l'è troppo sconcia bugia a raffermare, questa; per si cattivo paio di brache far vergogna al mio paese! - e gnene gettò là in presenza di tutti in terra, dicendo: - Trovate un altro, che per sì poco pregio4 facci simil ufficio, ché io per me non ci son buono. PEREGRINO. Oh l'è bella ed è fatta a mio proposito. Se voi volete che io affermi che favellino le figure di marmo, fate conto di darmi qualche cosa; altrimenti a posta di nonnulla non giurerò5 sì fatta bugia. FIORENTINO. Avete ragione: qualche cosa sarà; intrate in casa.6

I. raffermare: confermare. 2. ricamate ... sorella: alle allusioni burlesche s'uniscono anche i nomi di origine faceta e non privi di doppisensi. 3. trarlo: lanciarlo. 4. pregio: prezzo (cioè il valore del dono). 5. non giurerò: non confermerò con un giuramento. 6. Sempre nella terza parte dei Marmi, nell'ed. 1552-53, segue la Dic/ziaratione, delle nvove / lnuentioni: nella .ij. parte scritte a faccie 54 [ = Chiòrboli, pp. 223-9 del volume 1], con un dialogo fra «Neri Paganelli, Michel Panichi, / et Giorgio calzolaio• (pp. 16-22).

I MARMI · III PARTE

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ACADEMICI PEREGRINI E FIORENTINI E L'AURORA DI MICHEL AGNOLO BUONARUOTI

Lo aver veduto tante belle cose di questa città ha da farmi più e più giorni maravigliare. Come è egli possibile che un uomo facesse cosi bene in gioventù e ora sl mirabilmente in vecchiezza? Io credo che quella statua di quella Nostra Donna1 sia la più bella scoltura del mondo. FIORENTINO. Non era egli un peccato che quel gigante gli fussi stato rotto un braccio ?2 PEREGRINO. Veramente grandissimo. Ma donde s'entra egli in questa sagrestia3 si mirabile? FIORENTINO. Di qua, per chiesa;4 andate là ed entrate dentro, con patto che voi non facciate come un altro. PEREGRINO.

1. NostTa Donna: si allude alla statua della Madonna col Bambino eseguita da Michelangelo per la Sacrestia nuova di San Lorenzo, a Firenze. Nel 1521 Michelangelo inviava a Carrara le misure per varie statue che aveva in mente di eseguire. Fra esse era appunto la Madonna, che venne poi collocata nel loculo di fronte all'altare (sede delle spoglie di Lorenzo il Magnifico e di Giuliano, suo fratello). Fra le statue di Michelangelo per la Cappella, fra le più famose del mondo, ha un suo delicato rilievo questa Madonna col Bambino, citata con ammirazione dagli interlocutori delle presenti pagine dei MaTmi e, in particolare, dal Peregrino (che impersona l'opinione del Doni stesso). La grazia della madre e, insieme, il movimento che si collega col volgersi del bambino verso di lei documentano, nel loro insieme, la complessità dei motivi dell'arte michelangiolesca e il tendere verso nuove forme. Nel 1534 la statua fu lasciata nello stato presente di incompiutezza, per quanto eccezionalmente già espressiva nel suo insieme. 2. quel gigante . .. braccio: si tratta del David che, posto davanti all'ingresso del Palazzo Vecchio (o della Signoria) in Firenze, vi rimase per tre secoli prima di essere collocato meno bene spazialmente nella Sala grande dell'Accademia. Era stato messo nel 1504 al posto della Giuditta di Donatello (che allora venne spostata nella Loggia dell'Orcagna: di recente, è stata collocata nuovamente di fronte alla facciata di Palazzo Vecchio). L'esecuzione della base del David venne affidata a Simone del Pollaiolo e ad Antonio da Sangallo: tale base fu colpita da un fulmine nel 1512, senza danno alla statua. Qui si allude, per i danni al braccio sinistro, ai disordini avvenuti alla cacciata dei Medici nel 1527: per una panca precipitata da una soprastante veranda del palazzo fu danneggiato, con la rottura in tre pezzi, tale braccio che venne ricomposto mercé 1•opera di Giorgio Vasari e di Francesco Salviati. 3. sagrestia: la Sagrestia nuova o Cappella medicea. Era stata costruita da Michelangelo per impegno assunto nel I 520 col cardinale Giulio de' Medici (poi papa Clemente VII) per collocarvi i sepolcri di Giuliano e di Lorenzo de' Medici, il Magnifico, di Lorenzo duca d•Urbino, di Giuliano duca di N emours e, nel progetto, dello stesso cardinale. 4. per chiesa: attraverso la chiesa di San Lorenzo. (Ora invece si entra di-

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PEREGRINO. Oimè I FIORENTINO. Non vi spaventate così tosto; fatevi prima da un capo e cominciate a rimirar questi capitanoni, questi figuroni, queste arche e queste femine, e poi stupite. Quando ravrete considerate, allora potrete dire stupefatto: «Oimè! ». Ma, ditemi, che avete voi, che state sì fisso a rimirar questa Aurora ?1 Voi non battete occhio ;2 vi sareste mai convertito in marmo ? L'AURORA PARLA

E' non sono molti anni, nobilissimi signori, che, venendo a vedermi un altro ingegnoso spirito in compagnia di Michel Agnolo, che, avendo egli guardato e riguardato ogni cosa, affissb poi la vista nella mia sorella Notte3 che voi vedete, e tanto diede forza a' suoi spiriti di fermezza che si fece immobile. Onde, accorgendosi Michel Agnolo di questo, non lo sveglib dal fisso rimirare, perché non aveva autorità sopra la figura che Dio aveva fatto, ma sopra la sua; e, acostatosi a lei, la sveglib, e la fece alzar la testa. Onde colui che s'era trasmutato in quella fermezza, sentendo e vedendo muover quella, si mosse anch'egli; e cosi per la virtù del divino uomo ritornò in sé medesimo: e la Notte ripose giù la testa e, nel muover che la fece, la guastb la prima attitudine del sinistro braccio che Miche! Agnolo gli aveva sculpito; così fu forzato a rifarne un altro, con1e voi vedete, in un'altra attitudine che stessi più vaga, più comoda e meglio che da sé aconciata non s'era. Il simile ho avuto paura che intervenga a questo gentiluomo che sì fermo mi rimira; onde sono stata forzata, non ci essendo chi m'ha fatta, a muovermi alquanto, accib che egli torni in sé medesimo dall'estasi della mia contemplazione. FIORENTINO. Chi crederà mai, signor Peregrino, che questa Aurora v'abbi dato spirito? Saravvi egli prestato fede, quando affermerete che la v'abbi favellato? Voi eri4 pur diventato immobile come lei; e si potrà pur veder sempre che la s'è ritornata freddo rettamente dalla strada, essendo l'antica Cappella Medicea considerata come museo). 1. Aurora: la famosa statua di Michelangelo che si trova sul mausoleo del duca Lorenzo (col Vespero). :z. occhio: oggi si direbbe piuttosto ciglio. 3. Notte: essa è posta sul mausoleo del duca Giuliano (col Giorno). 4. eri: eravate.

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marmo con la parola mezza in bocca; l'ha pure il moto; chi negherà, vedendola, che la non si muova ancora? PEREGRINO. Io son tanto rimasto maravigliato della forza che ha avuto questo marmo in me che a pena posso esprimer la parola. Se la figura divina, fatta per mano d'un Angelo, non parlava, io era sempre pietra. Oh che stupende cose son queste( Io la tocco sasso, e mi muove la carne e mi diletta più che se viva carne io toccasse; anzi io son marmo ed ella è carne. FIORENTINO. Ecco qui il luogo dove questa figura della Notte aveva il suo primo braccio accomodato; e perché la non si posò in quella medesima attitudine, ecco l'altro che egli sculpl di poi. Parvi egli un maestro, questo, a rimutare tutto un braccio da la spalla a una figura finita e stabilita si mirabilmente come questa ? PEREGRINO. In questo cassone macchiato1 chi ci diace ?2 FIORENTINO. Le ceneri del gran duca Alessandro3 ci furon poste. PEREGRINO. Dignissima urna a tanto principe. Questo figurone armato qua su di sopra? FIORENTINO. Questo e l'altro di là sono stati sculpiti uno per il magnifico Giuliano4 e l'altro per il duca Lorenzo.5 PEREGRINO. Che stupende bozze6 di terra son queste qui basse? FIORENTINO. Avevano a esser due figuroni di marmo che Michel Agnolo voleva fare. PEREGRINO. Perché non si dava egli grado, ancora che non se ne curi, e stato e ricchezze e palazzi e possessioni a un tanto uomo e che tutto il bello che egli ha fatto a Roma fosse stato fatto qua in questa città fior del mondo ? Voi avete pure gli animi feroci inverso i vostri sapienti, inverso i vostri compatrioti mirabili! Mentre che son vivi, voi gli sprezzate, offendete e perseguitate: onde quel che fanno, lo fanno con un animo carico di mille fastidii; che se potes1. macchiato: screziato. 2. ci diace: vi giace (è sepolto). 3. gran duca Alessandro: il duca Alessandro de' Medici (1510-1537). Qui gran ha il solo valore elogiativo e generico di •grande». Si noti nel Doni un continuo lodare la Casa Medici, anche se con disinvoltura si menziona, in più luoghi delle sue opere, Iacopo Nardi, che, con altri, fu fuoruscito repubblicano in Venezia. Si tenga anche conto della posizione di Benvenuto Cellini che, a Venezia, non se la sente di occuparsi di politica e che fa presente, per un artista, la necessità di lavorare per il pane. 4. Giuliano de' Medici (1479-1516) 1 duca di Nemours. 5. Lorenzo de 1 Medici (14921519), duca d'Urbino. 6. bozze: opere non rifinite (come è spiegato subito dopo).

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sino godere la patria con quiete e fossero riconosciuti, meglio assai opererebbono. Il vostro Dante dove è? il vostro Petrarca? il Boccaccio come si sta ? Ottimamente stanno certo, perché godano1 il privilegio delle virtù loro; ma non gli mancaron già mai travagli. Leggete la vita di Filippo di ser Brunellesco scritta da messer Giorgio Vasari, e vedrete quanta fatica egli durò a mostrar la sua virtù a dispetto degli invidiosi vostri. Qual maggior pittore arete voi mai d'Andrea del Sarto? dove diaciono2 le sue ossa? Il vostro gran Rosso 3 perché non lo aver mantenuto qua? Perin del Vaga ?4 O Dio, che voi abbiate si fatta dote dal Cielo e l'uno l'altro ve la conculchiate e cerchiate di ficcarla sotto terra •.. I Perché non ci sono le statue di Pier Soderino, di Cosimo vecchio, di Lorenzo, del signor Giovanni, 5 d'Anton da San Gallo, del Ficino, del Poliziano, e tanti altri infiniti in ogni scienza e arte ornati? Quanti anni è stato il vostro Bandinello6 fuori ? quanti Ben1. godano: godono. 2. diaciono: giacciono. 3. Rosso Fiorentino: Giovan Battista di Iacopo (1494-1540). Nativo di Firenze, lavorò in Francia per Francesco I, in particolare nella reggia di Fontainebleau. È menzionato più volte dal Cellini nella Vita. Ragguardevole, anche per motivi di proporzione geometrica dei personaggi, è il suo dipinto di argomento biblico Mosè che difende le figlie di letro (Firenze, Uffizi). 4. Perin del Vaga: Pietro Bonaccorsi detto Pierino - o piuttosto Ferino - del Vaga. Nato a Firenze nel 1500 o 1501, mori in Roma nel 1547. Era stato aiutante di un pittore detto il Vaga, da cui ebbe il soprannome. Si fece notare per l'abilità con cui disegnava «anticaglie » in Roma: fece copie da Michelangelo e da Raffaello. Fu familiare di Giulio Romano e lavorò alle Logge Vaticane. Fatto prigioniero al sacco di Roma, fu riscattato col pagamento della taglia. Esegui anche vari lavori a Genova, nel palazzo Doria. 5. del signor Giovanni: di Giovanni dalle Bande Nere (padre di Cosimo I). 6. Bandinella: Baccio Bandinelli (Firenze, 1488-1560). Scultore, nato di padre orefice. Fu molto valente in disegno e, quanto alla scultura, anche per le contumelie espresse dal Cellini in pagine famose della Vita contro il gruppo di Ercole e Caco (Firenze, Piazza della Signoria), è stato sottovalutato come costruttore di giganti maestosi ma privi di armonia umana. Il ritorno dei Medici in Firenze (1512) favori la sua fortuna nel campo dell'arte, data anche la sua versatilità nel realizzare progetti monumentali e celebrazioni varie, specialmente mediante la scultura. Il complesso colossale (e simbolico) di Ercole e Caco era destinato alla «ringhiera» (posto degli oratori) di Palazzo Vecchio e voleva indicare, nell'elogio dell'ordine recato da Casa Medici nelle cose di Firenze, il trionfo della ragione sulla forza bruta. Del Bandinelli (in Firenze, Piazza di San Lorenzo) è la base del monumento a Giovanni dalle Bande Nere: al patronato di suo figlio Cosimo I sulle arti contemporanee lo scultore fu legato quanto il Cellini, meno fortunato nelle grazie del duca, o meno soddisfatto della sua oculata magnificenza di protettore, ma anche di sagace amministratore della cosa pubblica e delle sua cassetta privata. Notevoli sono del Bandinelli i bassorilievi nel recinto del coro di Santa Maria del Fiore. Ma-

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venuto ?1 dove è Francesco Salviati? dove Giovann' Angelo ?2 dove Michel Angelo? dove è il Nardi, Luigi Alamanni, dove lo Strozzi ?3 Se Fiorenza godesse i suoi figliuoli, qual sarebbe più felice patria? Il difetto non vien da' governi, ma da la malignità di molti, che tutti s'uniscano a porre a terra un bello intelletto, e io ne so qualche cosa. Non patisce maggioranza4 il sangue d'Arno, mi pare a me, e s'acceca da sé medesimo e non vede il suo male: però dicevano i vostri nimici « Fiorentini ciechi >>, non dal non veder voi le colonne affumicate, ma dal non vedere i vostri mali, diceva il Guicciardini, le vostre rovine e il perseguitarvi l'uno l'altro, distruggervi e rovinarvi. FIORENTINO. lo sono stato a scoltarvi5 come s'io fossi stato una statua di marmo. Oh, voi sapete cosi bene i fatti nostri? PEREGRINO. Ringraziato sia Dio! voi le fate tanto coperte e si secrete le vostre faccende che ci va gran difficultà a conoscerle! Come voi avete l'arme, tutti, intendo che ogni di siate a duello, vi ferite e amazzate; e, quando si ragunano, secondo che si dice, le vostre milizie, non c'è mai altra faccenda che correre a veder combattervi insieme! Ma non più di questo: mostratemi la sepoltura onorata che voi avete fatta al vostro Verino,6 si gran filosofo. Dio sa come tratterete il Vittoril 7 Fate che io vegga l'orazion funerale8 fatta per9 messer Francesco Campana e il suo sepulcro: egli governatore d'uno Studio pisano, egli primo uomo del duca vostro, egli litterato e dignissimo prelato. Va', ritrovane altro nome che questo poco che io ne ragiono! Messer Francesco Guicciardini, dalla sua fama in fuori (oh quello era un intelletto I) che ne appanierato, pur con grandi qualità tecniche, fu scarso di inventiva creatice e mediocre nel complesso di tutta la sua attività. Ebbe, comunque, dal suo tempo ragguardevoli onori e guadagni. 1. Benvenuto: Cellini. 2. Per il Salviati vedi la nota 8 a p. 479; Giovann' Angelo: Giovan Angelo da Montorsoli scultore (nato a Montorsoli, morto a Firenze nel 1563). Era stato dell'Ordine dei Servi di Maria alla Santissima Annunziata di Firenze (come era stato il Doni stesso, che ne era fuggito). Del Montorsoli è la famosa fontana di piazza del Duomo a l\llessina (1550), oggi restaurata. (Chiòrboli scrive Giovan Angelo; l'ed. 1552-53 dà Gi11ovann' A11gelo). 3. lo Strozzi: a: Forse quel Francesco traduttore famoso di Tucidide, quello a cui più lettere scrisse il nostro Doni? o Piero più assai celebre nell'armi?» (Chiòrboli). 4. Non patisce maggioranza: non sopporta eccellenza (d'ingegno e di valore). 5. a scollarvi: ed. 1552-53 ascoltarui, Fanfani e Chiòrboli ascoltarvi. 6. Ugolino Verina (1438-1516), poeta e filosofo. Per Chiòrboli è Francesco Verino, il Vecchio, filosofo. 7. Vittori: il celeberrimo letterato e filologo Pier Vettori (1499-1585). ~8./unerale: funebre. 9. per: da.

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risce? Se l'arcivescovo Antonino1 non era frate e da, frati onorato, anche egli andava, da !'opere in fuori, a monte.2 Fatemi veder l'urna di Donatello? di Luigi Pulci, del Pollaiuolo pittore, di Lionardo3 e di fra Filippo ?4 In duomo son due cavalli e quattro teste, Giotto, il Ficino, eccetera. 5 Con qual animo volete voi che la gioventù si metta a opere egregie, all'imprese immortali, ai fatti eterni? Io stupisco che alcuni eccellenti stieno e sieno stati tanto: il Tribolo,6 il Pontorrno,7 il Bronzino, il Vittori, il Bandinello, Benvenuto, il Varchi; ma questo viene dalla nobiltà del principe, che gli ha per figliuoli. Vedete (non l'abbiate per male, io non son parziale), quando le città son ben governate, le terre, i castelli, le ville, e i virtuosi aiutati, i poveri sovenuti, e che la giustizia sia rettamente aministrata, o sia uno o due o tre o sette o mille che governino, non mi dà nulla di fastidio. Ma io non m'accorgo che gli è ora di uscir di qua: andiamo; e, lasciato da parte questi modi di ragionamenti, mettete mano a una novella e avianci. FIORENTINO. Il vostro discorso m'è piaciuto, e piacemi ancora che non m'andiate su quelle parzialità: lodare il bene sempre e biasimare il male quando fa bisogno. Ora, per compiacervi, metterò mano a una favoletta, tanto che passiamo il tempo infino a casa.

I. l'arcivescovo Antonino: sant'Antonino, arcivescovo di Firenze, dove era nato, nel 1389, da ser Niccolò Pierozzi, notaio del Comune: morl nel 1459 a Montughi, nelle vicinanze della città. Uomo di grande probità e liberalità, combatté anche i Medici, in particolare Cosimo il Vecchio, ogni volta che facevano una politica personale e familiare pur nella forma repubblicana della loro intraprendenza di banchieri e di signori dell'attività commerciale cittadina. Domenicano, trasferl i confratelli del suo Ordine da Fiesole a San Marco, in Firenze (1436} 1 e fu priore di tale importante comunità. lvi diresse l'opera pittorica del beato Angelico e di fra Benedetto, miniaturista. Fu nominato arcivescovo di Firenze da papa Eugenio IV. Venne sepolto in San Marco. Fu canonizzato da Adriano VI nel 1522. Per la sua saggezza venne soprannominato «Antonino dei consigli». 2. a monte: cioè in nonnulla. Il Fanfani (che poco prima aveva scritto: «Molte statue ai nominati, ed altre memorie sono state poste dal secolo XVI in qua; ma i Fiorentini son sempre quali gli dipinge qui il bravo Doni») commenta non senza lepidezza: «Anch'esso ha ora la statua sotto gli Ufizj; ma molti dei nominati aspettano ancora•· 3. Lionardo: Leonardo da Vinci {però morto e sepolto in terra di Francia, ad Amboise: le sue ceneri vennero disperse durante la Rivoluzione francese). 4.fra Filippo Lippi. 5. eccetera: Chiòrboli eccetera eccetera; ed. 1552-53, &c. 6. Tribolo: vedi la nota 3 a p. 503. 7. Pontormo: l'ed. 1552-53, per errore, dà Pontorno.

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Novella della gentildonna. 1

Questa volta io posso dirvi di veduta con mano,2 in questo caso. Egli è forse tre anni ch'io era fuori a un mio loghetto3 alla vi11a di Scandicci,• dove molte delle nostre cittadine il tempo delJa state alle loro possessioni spesse volte si riducono. Io, che son pur giovane, andava cosi occhiando, come spensierato giorneone, 5 e attendeva a uccellare, andare a caccia e altri passatempi, e, quando mi veniva bene, facevo lo spasimato. Volete voi altro ? che io trovai in poco tempo quello che io andava cercando. Egli vi venne una cittadinotta fresca, maritata di pochi mesi, una misalta,6 vi so dire, che si sarebbe strutta in bocca; e non accadeva' dir «carne tirante fa buon fante»8 altrimenti; ell'era una carne stagionata che ne sarebbe ito la maladetta spalla.9 Di questa, adunque, mi tirò l'apetito e, senza verzuè, 10 o senza altra salsa di san Bernardo, 11 n'avrei fatto una satolla. Ella aveva poi un'aierotta 12 dolce, uno sguardo che feriva con due occhi di falcone che volta per volta io ne toccavo un batticuore di parecchi male notti. Non voglio ora, per al1ungar la cosa, starvi a dire di mano bianca o leggiadro piede e gamba o ciglia arcate, perle, rubini, viole o gelsomini; basta che una Venere dipinta da Tiziano non gli avrebbe fatto carico13 1. Questn novella (che il Doni mette in bocca ad un accademico fiorentino) è da tempo stimata come una delle migliori dello scrittore: il Croce in particolare ha messo in evidenza, come in altri luoghi di opere del Doni, umanità e schietta visione della vita (Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, I, Bari, Laterza, 1945, pp. 266-9). Il Ferrero (dopo aver riferito un giudizio limitativo espresso da LETTERIO DI FRANCIA, Novellistica, voi. (1), Dalle Origini al Bandella, Milano, F. Vallardi, 1924, p. 614, per cui la novella parve tolta •si può dire, di peso dai Va,i componimenti di Ortensio Lando 11), osserva: • Ma il Doni ha saputo tradurre in rappresentazione d'arte, umana ed arguta, quello che nel Lando era una narrazione piatta e insignificante 11. 2. di veduta con mano: di cosa • toccata con mano 11. 3. loglzetto: piccoln proprietà. 4. Scandicci: nei pressi di Firenze. 5. gionieone: 1tbighellone » (Ferrero). 6. misalta: «carne insalata di porco avanti ch'ella sia e rasciutta, e secca» (Crusca), quindi un buon bocconcino per lo spasimante. 7. non accadeva: non occorreva. 8. «carne ••. fante»: • i cibi grossi, e non delicati fanno la complessione altrui più robusta» (Crusca; tira,rte è appunto detto di carne dura e tigliosa). 9. clze ••. spalla: dal contesto il Ferrero interpreta: • che ognuno se ne sarebbe fatta volentieri "una satolla"», come è detto subito dopo. 10. verzrtè: salsa piccante (francese verjus). n. salsa di san Bernardo: cla fame» (Ferrero). 12. aierotta:. arietta (aiera è forma antica di aere). 13. fatto carico: recato biasimo (nel confronto).

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alcuno. Come io fussi concio1 dall'amore e tartassato da Cupido, Dio ve lo dica per me: egli ci mancò poco che io non facesse le matèrie. 2 Io lasciai l'uccellaia de' tordi e attesi a tender panioni per pigliar costei; non cacciava più lepre con cani, ma seguiva lei con pollastriere e presenti.3 Madesl, per la mia fede! che la non restò mai, per cosa che io le offerisse o volesse donare, d'andare dietro al suo naturale, che era esser gentildonna da bene. Ma il mio dispetto era questo, che sempre la viddi a un modo: mai si crucciò meco, mai s'intrinsicò ;4 ma in quel modo e quella forma che io la vidi il primo giorno, sempre stette salda e faceva, per suo grazia, tanto conto di me come s'io stato al mondo non fusse. Alla fine mi deliberai di tendergli molti lacciuoli e tessergli tanti viluppi che io ne cavassi qualche sugo; perché, in verità, da cordiale amico, io vi giuro che la passione grande che io aveva non mi lasciava avere un'ora di riposo: io durai parecchi anni, non mesi, forse cinque anni, e la vidi sempre equale di fatti, d'atti, di cenni e di parole; come ho detto, gentildonna da bene. Deh, udite che occasione, in ispazio di tanti anni, mi venne alle mani; occasion debole certo, ma a proposito. Ella si storse una mano in cadere a terra d'una pianella :5 onde, non vi essendo chi gnene mettesse in assetto, toccò per sorte a me, che un poco me ne intendo; e per la mia lavoratora6 le feci saper questo. Pensate che 'l dolore e la necessità la fece esser contenta che io gli rassettasse quell'osso della mano, che era fuor del luogo suo. Quella medesin1a cera allegra, bella e piacevole mi fece ella che sempre era il solito suo, cioè gentildonna da bene. La mia lavoratora era pur alquanto più adimesticata7 seco che inanzi; onde talvolta la se ne veniva, quando era a Firenze, con una sua fante a spasso da lei, ma di rado, e poi a casa se ne tornava. lo, che moriva di spasimo, che da «buon dl » e « buon anno» in fuori, non sapeva che la sapesse dir altro, 1. concio: conciato, ridotto. 2. le matèrie: le pazzie. Cfr. la nota 4 a p. 621. 3. pollastriere e presenti: mezzane e donativi. 4. mai si • •• s'intrinsi.cò: non si comportò mai in modo aspro, né in modo familiare. (Rimase cioè sempre in rapporti sociali di convenienza). 5. pianella: le pianelle, calzari o zoccoli molto alti, erano in uso a Venezia. Le donne che le portavano, di solito di notevole condizione, si facevano accompagnare da ancelle per essere sorrette in caso di bisogno, cioè di cadute. La gentildonna fiorentina segue quindi una moda veneziana. Su un particolare connesso con la Clizia del Machiavelli si può vedere la nota di C. CoRort, Pianelle, in •Lingua nostra•, XXI (1970) 1 p. 61. 6. /avoratora: contadina. 7. adimesticata: divenuta familiare.

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e due parole di cc gran mercé», quando gli messi la mano in essere, onde mi deliberai, con questa mia vecchia contadina, venire in ragionamento e scoprirgli questo mio amore: e cosi feci e la pregai che mi aiutasse o consigliasse. Ella, quando ebbe udito quanto buono io avevo in mano, ch'era un nonnulla, conobbe veramente che la gentildonna non era terreno da porvi vigna; pur disse: - Chi sa che costei non volesse più tosto arrosto che fumo, come dir fatti e non parole. - E si risolvé che io l'acchiapasse fra l'uscio e 'I muro alle strette a solo a solo. Cosi mi diede il modo, e fu questo: - Tu farai - disse ella - vista d'andartene a Firenze e cavalca via alla scoperta, e la sera per lo sportello1 vientene qui, e io ti nasconderò in casa, e stara' ci tanto che la ci venga, come ella è solita, una volta; quando la sarà in casa, mettegli le mani adosso o fa' come ti vien meglio a taglio. - Cosi feci. Un di, essendo in casa e in camera rinchiuso, e la vecchia stando alle velette2 a vederla venire, me lo fa intendere, ed ella si nasconde nel canneto dietro alla casa. La gentildonna viene ed entra liberamente dentro e cerca e chiama, e nessuno gli risponde; la fante si ferma su l'uscio e lei, come più di casa, ne vien difilata difilata insino in camera. Come ella fu dentro, io, che era dietro all'uscio, la presi per un braccio. Oh gran cosa, grande certamente I La non temé e non si scosse o spaurì in cosa nessuna; anzi con quella sua grata cera, disse: - Il ben trovato! Oh come hai tu mai - disse ella ridendo - fatto tanto bene a lasciarti godere? - E, come aveduta e sagace gentildonna e che antivedde l'ordine in un subito, seguitò il parlare: - S'io non dava - disse ella - l'ordine alla vecchia, tu non saresti mai stato da tanto di farmi un giorno lieta: pur tanto ho desiderato questo giorno che felicemente m'è succeduto. - Io, come amante afflitto, vedendola, aveva quella forza o quell'ardire che ha un pulcino né sapeva dir altro né che fare se non guardarla. Ella allora, conoscendomi mezzo vivo, mi fece animo con dirmi: - Ritorna in te, amoroso giovane, e aiutami cavare questo cangiante3 di dosso ché io voglio starmi buona pezza teco sul letto a sollazzarmi; aiutami sfibbiar qua sotto il braccio. - Io, subito lasciatala, mi diedi, da queste parole assicurato, a sfibbiarla e cosi l'aiutai cavar la cotta.4 Io, quando la viddi 1. sportello: porticina. 2. alle velette: in vedetta. (Al pari del Ferrero non accogliamo la virgola messa dal Chiòrboli dopo vecchia e dopo velette). 3. ca11giante: specie di vestito di seta di colore cangiante. 4. Jo • •. cotta: nel passo un po, sconnesso dell,ed. 1552-53 (parte 111, pp. 29-30: 1110 su-

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passar tanto inanzi, l'ebbi, come dire, per mia. Ella, affaldellatola su e cavatesi le pianelle, la messe sopra d'una seggiola e acostossi inverso il letto (pensate s'io dissi questa volta «io l'ho nella scarsella»I) e a un tempo mi dice: - Nasconditi dietro al letto, tanto che io facci venir qua la fante mia a tòr queste cose e mandarla a casa. - Io l'ubidi'; ella, subito chiamatola, gli dice: - Tògli quella vesta e le mie pianelle e vattene a casa e quivi m'aspetta; e tira a te l'uscio di camera, ché io voglio un pezzo dormire; poi me ne verrò in faldiglia1 con la vecchia a casa. - Oh che allegrezza ebb'io quando udi' dir cosi! lo non l'avrei data per mille ducati quella giornata; pensate che 'I mio cuore batteva come un martello: io era mezzo fuor di me. Considerate voi l'amor di cinque anni, ottener l'impossibile e vedermi la cosa in manol 2 Oimè che dolcezza, che felicità e che contento! La fante, tolto il cangiante e l'altre cose, s'aviò fuori della camera e cominciò a serrar l'uscio; ma, perché l'era impaniata di quelle cose e se gli aveniva male,3 disse ella: - Va' là, ché io serrerò da me. - E levatasi di su la cassa del letto, s'aviò inverso l'uscio, dicendomi: - Amante dolcissimo, esci fuori. - E tutto a un tempo, in quello che io levo su, in quattro salti la raggiunse la fante e se ne usci di casa. Ond'io restai uno stivale, una bestia insensata e uno sciocco; e con la solita allegrezza sua se ne andò. Né mai si seppe questo caso; mai più venne dalla vecchia, mai restò di farmi la solita cera e io mai più sopportai passione simile a quella di quel giorno. Così, considerando la nobiltà dell'animo suo, la virtù del suo ingegno e la generosità dell'intelletto, mi disposi a quietarmi e darmi pace. Oh che gran gentildonna da bene! oh come v'uccellò ella bene! oh come facesti bene a levarvi da tappetol 4 e come abbiàn fatto bene ad arrivare a casa, ché egli è appunto l'ora del medicol 5 So che cotesta figura non fu di marmo; se l'era di marmo, la non saltava via. PEREGRINO.

bito lasciatami si diede da queste parole assicurato, a sfibbiarmi et cosi m'aiutò cauar la cotta»), accogliamo le correzioni del Chiòrboli, compresa quella di l'aiutai in luogo di 11m'aiutò•: il Ferrero, nel suo commento, esprime un dubbio su tale ultimo emendamento del Chiòrboli, da lui seguito nella lezione del proprio testo. I./aldiglia: «era una veste con cerchi e funicelle, su per giù come quelle che usano ora; salvo che portavasi senza nulla sopravi • (Fanfani). 2. in mano: sul punto di riuscire. 3. se . •• ,nale: non le riusciva. 4. levaroi da tappeto: togliervi da quella pratica. 5. l'ora del medico: ul'un'ora di notte• (Fanfani, senza determinare se il

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FIORENTINO. Non altrimenti. Andate là inanzi, entrate in casa. PEREGRINO. Cosi fosse entrata nel letto la vostra amorosa e voi dietrogli, 1 si come farete a venire in casa dietro a me. FIORENTINO. Or cosi, che io abbi il male e le beffe I State cheto nel nome di Dio, altrimenti voi non avrete più favole. PEREGRINO. Son contento: ecco che io mi cheto, e do al ragionamento fine. 2 RAGIONAMENTO DI DIVERSE OPERE E AUTORI FATTO AI MARMI DI FIORENZA PECORINO DALLE PRESTANZE E CHIMENTI BICCHIERAIO E UN PEDANTE3

PECORINO. E' mi vengono certi libri nelle mani, Chimenti mio caro, che io non gli so leggere: mio padre gettò via i danari a mandarmi alla scuola; e non so scrivere, ti dico, ancora, come costoro al dì d'oggi. CHIMENTI. Dite voi de' libri in penna o in forma ?4 modo di contare le ore moderno corrisponda a quello antico, collegato col tramonto del sole stagione per stagione). I. dietrogli: dietro a lei. 2. Sempre nella parte 111 dei Marmi seguono, nell'ed. 1552-53, Varie et diverse/ materie dette/ da gli Academici Fiorentini, Jet Peregrini, coi seguenti dialoghi: uno fra «Peregrini [per errore: Peregini]: et Fiorentini• (pp. 32-40), una Favola del lione di marmo {pp. 40-1), una Allegoria sopra / la nave / scritta nella Seconda parte, afaccie 58 [ = Chiòrboli, pp. 226-8 del volume 1], con un dialogo fra «Giorgio, et Neri Paganelli- [per errore: «Giorgio Neri: et Paganelli»] (pp. 42-50), alcuni Ragionamenti de cibi / fatti a tavola / da dve Academici Peregrini, con un dialogo fra «L'Ardito: et il Qvieto: et vn / servitore II e anche la « Favola del serpente I e un «Giove di Marmo parla 11 (complessivamente pp. 51-8), un Ragionamento di/ diversi affanni humani; I con alcvne poesie, de gli/ Academici Peregrini, con un dialogo fra «Il Disperato: l'Adormentato: / et il Negligente• con una Pastorale e versi vari (complessivamente pp. 59-70), un altro fra « Pedone sensale, Santi Bvglioni, / et Giorno pollaivolo • (pp. 71-9), e un Ragionamento / di sogni, I de gli Academici / Peregrini, con un dialogo fra • Francesco pelacane: et Michel sellaio• (pp. 80-91) e, in fine, un Ragionamento di/ diverse opere, et I avtori: fatto / a i Marmi di Fiorenza, con un dialogo fra "Lo Stucco, et il Satio academici » con la novella del barone (pp. 92-101), e un altro dialogo fra • Stvcco, et Satio • (pp. 101-5), dove sono riferimenti a •Martin Lutera [sic]• alle pp. 104-5. 3. La satira tradizionale contro i pedanti o maestri di scuola (satira largamente documentata nel Cinquecento da tutta una letteratura) si unisce alla trattazione di questioni di ortografia, e specialmente delle sue riforme al tempo del Doni. Il Pedante è preso in burla dagli altri due interlocutori. - Per Prestanze (da cui il soprannome del personaggio) cfr. la nota 2, a p. 844. 4. in /orma: in stampa.

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PECORINO. In forma, di queste stampe1 nuove. CHIMENTI. Anch'io sul principio mi ci acconciavo mal volentieri. PECORINO. Vedestù mai quel libro dell'Italia i,i prigione, volsi dir liberata? 2 che aveva quell'è, quell'ò, quell'l, quell'à, quell'ù; quell'e quell'e quell'e quell'e quell'altra lettera in greco e in diritto e in traverso ? Io per me non la potetti mai leggere. CHIMENTI. Quel Comento 3 di Marsilio Ficino anch'a me mi faceva un certo masticamento, d' à, 8, d' è, I, ò, zeta quadro e non quadro, mezzo, intero, piccolo, grande: belle baie per noi altri antichi! Ma come la fate voi, ora, con i libri ? PECORINO. Bene bene, io non gli leggo altrimenti: come io gli veggo quella battaglia nuova, che una lettera porta la coraza, un•altra l'elmetto, chi la spada, chi lo strascico, chi la lingua fuori, chi la tien dentro, subito dico al libraio: - Ha'ci tu meglio? Una volta io mi feci difinire al maestro del mio fanciullo le lettere d'un di quei libri e compresi che tutta era fava.4 CHIMENTI. In che modo? PECORINO. Io te lo dirò; ma non dir poi che 'l Pecorino stia su queste cetere5 e su questi andari, perché non ti sarà creduto, per la prima, poi, si rideranno del fatto tuo. Ma ecco il maestro, s'io non m'inganno. Ben giunto sia la Vostra Riverenza, a tempo più che rarrosto. MAESTRO. Quen queritis ?6 CHIMENTI. Cercavo di saper il modo della cosmografia che costoro scrivono in questi A B C di nuovo. MAESTRO. Ortografia, volete dir voi, che vien da ortus, che vuol dir nascimento d'umore che vien nel capo alle erudite memorie.

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1. stampe: stamperie. 2. Italia • •• liberata: l'Italia liberata dai Goti del Trissino (con accenno particolare alle riforme ortografiche propugnate dallo scrittore). 3. Con,ento: il Commentarium in Convivium, volgarizzato dal Ficino stesso, e pubblicato col titolo Sopra lo Amore aver Convito di Platone, a Firenze, nel 1544, da Neri Dortelata. (Costui - come il Ferrero ricorda a complemento della notizia - adottò in tale stampa vari segni ortografici da lui stesso proposti). 4. tutta era /ava: era tutta una stessa cosa. 5. stia • •• cetere: si perda in quisquilie simili (cetere = cetre). 6. Quen queritis 1: • Chi cercate ? •· Regolarmente, si sarebbe dovuto scrivere Quen, quaeritis 1, come lo stesso Chiòrboli riporta; il Fanfani ha Qtle,n queritis 1 Sono parole di Gesù (loann., 18, 4 e 7).

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PECORINO. Voi siate su la buona pesta: toccatemi la derivazione secondo la vostra teologia. CHIMENTI. Non favellate, però/ tanto in aere che2 anch'io non possi trarvi la berreta, se non agiugnerla con mano. 3 MAESTRO. Secondo Averrois,4 in duodedmo Phisicorum, e Servio,5 De quantitate sillabarum •.• CHIMENTI. Oimè, dove son io condotto I MAESTRO. . .. le parole vogliano essere intese, o sien mezze o sien mozze o sien in un mazzo, sicut in Cato scrittum est.6 PECORINO. Date in terra, messere maestro, e non entrate in ]a.. nua1 rudibus altrimenti. MAESTRO. Il fondamento della loquela è sempre buono, perché fundatio habet duas partes.8 CHIMENTI. Mi raccomanderò alla Signoria Vostra. MAESTRO. Voi sète impazienti : che vorresti voi saper breviter ?9 PECORINO. Come si scrive « nequitiam », 10 «nuotiate»; se la va in ; e pur non si scrive «simpless ». MAESTRO. Voi dovete aver letto l' Acabala5 o la Clavicula di Salamone,6 sl ben mi soprarivate ai passi. Ma io credo che agli eruditi, nelle locuzioni filosofi.ce, non sormonti unquanco7 a trovare scritto «essercito », «exercitio » o > per t non debbe darvi molta noia. MAESTRO. Si bene: quell'«ignoranza» importa a noi altri precettori che abbiamo a disciplinare le piante tenere. CHIMENTI. « Raperonzolo» va egli per un z o per due? MAESTRO. « Napuculus »,8 rapa piccola, con due «zeti », per amor I. Asinus .•. bestia?: crAsino è uomo o bestia?». 2. t: per errore nell'ed. 1552-53 p. 3. lta est: cosi è. 4. e: Chiòrboli ch'è e già Fanfani che è; l'ed. 1552-53 ha fs. 5.l'Acabala: la Cabala. (Ferrero: ccma qui sta a significare, genericamente, libri di astrusa e riposta dottrina»). Al tempo del Doni si era perso il valore delle ricerche del Pico della Mirandola e di altri autori del secondo Quattrocento. 6. ClafJicula di Salamone: opera fantasiosamente attribuita a Salomone. Trattava di negromanzia. Se ne parla ancora, ai tempi del pieno Settecento. Salamone è forma popolare fin dal Medioevo. 7. non sormonti unquanco: non importi mai. 8. uNapuculus»: è il •Napocaulis » (una specie di cavolo-rapa) attestato da Isidoro, Etym., XVII, x, 9. Non è necessario l'emendamento del F errero Rapuculus.

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della mezza dizione, 1 perché le quattro lettere,2 secondo il costume di noi altri precettori, richiedon due z. PECORINO. «Stronzolo » va pur con un ;2 e gli diedero sul capo come si fa alle bisce. DONI. Ci mancano gli essempi moderni! INQUIETO. Pochi giorni fa io fui menato a vedere uno scrittoio d'anticaglie; 3 e colui che mi vi menò, al mio parere, è più pazzo che non son io, se già io non sono come la maggior parte degli altri, che credano esser savi soli loro. Egli mi cominciò a mostrare una testa di marmo e a lodarmela (le son tutte albagie che si mettano in fantasia gli uomini) per la più stupenda cosa del mondo, poi certi busti, certi piedi, certe mani, certi pezzi, un sacco di medaglie, una cassetta di bizzarrie, un granchio di sasso, una chiocciola convertita in pietra, un legno mezzo legno e mezzo tufo sodissimo,4 certi vasi chiamati lacrimarii, dove gli antichi, piangendo i lor morti, riponevano le lor lagrime, certe lucerne di terra, vasi di ceneri, e altre mille novelle. 5 Quando io fui stato a disagio quattr'ore e che io veddi che tanto tanto teneramente era inamorato di quelle sue pezze di sassi, con un sospiro io gli dissi: - Oh se voi fosti stato padrone di queste cose tutte quando l'erano intere, eh? - O Dio, che piacere avrei io avuto! - rispose egli. - Se poi voi le aveste vedute come ora? - Sarei morto - disse il galantuomo. - O che direste voi che se ne farà del gesso ancora! perché fia manco fatica che di pezze le diventin gesso6 che non è stata di bellissime statue diventar pezzi brutti. - E mostratogli il sole, gli disse: 7 - Fratello, quello è una bella anticaglia, e ce n'è per qualche anno, e non queste scaglie, boccali, lucerne e novelle, che si rompono e vanno in mal punto e in malora: io vorrei avere in casa quello; e non !'avendo veduto mai più, mostrandotelo, ti farei stupire. Lascia andar coteste novelle, vattene a Roma, ché per un mese tu ti sazierai; e quando tornerai a casa e che tu rivegga queste tue cose, te ne riderai come fo io. Per me non trovo cosa che mi diletti più d'un giorno, io I. De Senettute: si noti anche qui la scrittura aderente alla pronuncia in luogo di De Senectute. La citazione che segue ci sembra a senso e può anche essere stata inventata: non abbiamo comunque trovato la fonte nell'opera latina. 2. debbe stornare: deve tornare indietro (cioè va rifatto). 3. uno scrittoio d'anticaglie: che fungeva anche da museo (per analogia con scrittoio, stanza dove si scrive e anche si conservano vecchie carte e documenti). 4. una chiocciola ••. sodissimo: cioè una conchiglia e un pezzo di legno fossili. 5. nooelle: bazzecole. 6. di pe:,::e . . . gesso : che da pezzi di marmo, come sono, diventino gesso (o calcina). 7. disse: dissi.

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sono instabilissimo, inquieto e non cappio1 in me medesimo. Guardate ora voi, Doni, se mi sapeste trovare qualche ricetta che mi stagnasse il sangue. DONI. Per ora non vo' dir altro, perché la vostra diceria è stata sì lunga che io mi sono scordato il principio; tosto vi farò risposta, perché lo raccapezzerò, ricordandomi del mezzo e del fine. IL PELLEGRINO IL VIANDANTE E IL ROMEO ACADEMICIPELLEGRINI

VIANDANTE. Voi che sapete la lingua todesca dovesti aver più piacere assai che il Romeo,2 udendo favellare quel re di Boemia3 e quegli altri gran maestri. Come fece Mantova gran festa per la sua venuta? ROMEO. Bella, per tal cosa all'improvista. VIANDANTE. Non accadeva far feste, perché era un passaggio; e poi di queste visite la città n'ha spesso. PELLEGRINO. Che cosa n'avete voi riportato, di quella Corte, che vi sodisfacesse ? V!ANDANTE. Un certo rallegramento che fanno insieme una volta il mese, mi cred'io, o quando piace al re e alla reina. PELLEGRINO. Che rallegramento? Questo è un nuovo modo di piacere: cene, banchetti, musiche o donne e uomini a balli o giochi? V I ANDANTE. In quel modo che noi dopo cena con le donne troviamo de' giochi e gli facciàno, loro n'hanno uno, ma non so se sempre usano il medesimo. PELLEGRINO. Avrò caro d'intenderlo. VIANDANTE. E io di dirvelo. Una sera, circa a un'ora di notte,4 si adunarono in una bellissima stanza e bene ornata, con il re e la regina, tutti i primi signori e gran baroni della Corte; nella quale stanza v'erano, come in cerchio di luna, sederi5 per tutti, molto non cappio: non sto. 2. il Romeo: cfr. p. 794. 3. quel re di Boemia: Massinùliano d'Asburgo (1527-1576), in visita a l\1antova il 9 giugno 1548. Nel 1549 fu riconosciuto futuro re di Boemia, e fu incoronato come tale nel 1562. Dal 1564 imperatore come Massimiliano II. Cfr. ROMOLO QuAZZA, Mantova attraverso i secoli (Mantova, Tipografia editoriale de« La Voce di Mantova 11, 1933), p. 125. 4. circa •. • notte: dal calar del sole. 5. sederi: sedie (sedili). 1.

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comodi e pomposi; e quivi da ... (chi fosse che lo facesse non m' accorsi) ... il re o da altri fu dato un luogo a una donzella e a un gentiluomo; e cosi di mano in mano, secondo che pareva a lui, diede da sedere: cosi in un subito furon tutti posati e si vedevano in viso l'uno Paltro, perché era mezzo cerchio. La reina disse al re, che era in piedi, che dovesse andare a sedere dove gli piaceva più. Quivi non v'era alcun seder vacuo: 1 il re si parti e a un gran barone che stava a canto alla reina s'aprossimò e quivi cominciò con grandissime ragioni a mostrare che quel luogo si perveniva2 a lui e che dovesse andare a cercar d'altra donna. Il barone con altre bellissime ragioni lo ricusava e non voleva cedere; ultimamente, il re vinse con somma eloquenza, ed egli gli cedé con somma riverenza il luogo. Il barone, levatosi, se n'andò da un gentiluomo, il quale aveva a canto una donzella, e mostrò come quel luogo non era il suo con ottime parole, ed egli rispondendo e fortificando il dir suo, non si potevan cedere, tanto ben diceva ciascuno: la differenza3 fu rimessa nella reina, la quale, replicate brevemente le ragioni di ciaschedun signore, si risolvé che quello ch'aveva il luogo lo tenesse e che il barone dovesse andar a cercar la sua donna, ché quella non era dessa. Fu bell'udire il lamento che fece il barone, avendo d'abandonare4 sì bella donna e a provedersi di nuova donna. Poi fu bellissimo a sentirlo mutar nuova invenzione e materia per voler cacciar un altro del seggio, con mostrare che non meritava quel luogo e che la bella donna che gli stava a canto aveva da esser amata da altro uomo: e là vi furon gran parole onorate; alla fine il barone vinse, ed egli cedé il suo luogo, e andò via fuori della stanza. La donna, di questo, ne fece un piatoso lamento, e il barone la confortò da poi; onde, insieme disputando, fecero bellissimi discorsi, né mai la donna volle accetta'tlo per amante, ma con gran ragione mostrò che 'l suo amore era uno, né mai altro amor voleva che quello, vivendo o morendo. Levassi il barone e n'andò da un altro e lo vinse; onde il vinto gli chiese in dono la perdita, ed egli gnene fece un dono: la donna lo ringraziò con tal parole che io stupiva e stava attonito, pensando come fosse possibile che all'improviso uscisse di bocca a tutti tanta eloquenza. PELLEGRINO. Certo che cotesto è un bellissimo gioco; ma egli I. vacuo: vuoto. 2. si perveniva: era dovuto, competeva. 3. la di.fferenza: la lite (cioè la questione da dirimere). 4. d'abandonare: Chiòrboli da aba,idonare.

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doveva esser composto e ciascuno doveva sapere le sue risposte a mente. VIANDANTE. Potrebbe essere. Tutti gli udienti1 che intendevano erano per uscir di loro: ma la bella cosa fu questa, che voi sentivi un abattimento 2 in lingua spagnola, uno in lingua toscana, uno in francese, un latino e un todesco. PELLEGRINO. Tanto più mi certifico3 che la cosa era fatta per arte ;4 ma veramente, se la si facesse in una lingua sola fra noi all'improviso, che la sarebbe bella cosa. VIANDANTE. Noi ci abbiamo tali spiriti di donne e d'uomini oggi al mondo che io credo che facilmente la si farebbe e bene. PELLEGRINO. Quanto duraron coteste dicerie? VIANDANTE. Più di quattro ore; e a me parvero quattro quarti d'ora, si eccellentemente si favellò e con si belle ragioni, detti, proposte e risposte. RoMEo. Io mi parti' e andai a un'altra festa particolare, dove si faceva un altro gioco, pur d'eloquenza. V IANDANTE. Ancor quello era bello? PELLEGRINO. Fate ch'io n'odi due parole. ROMEO. Per la mia fede, che egli era difficilissimo e bello. Ciascuno de' nobili e delle donne, che fossero eloquenti, si presero una parola per nome che s'apartenesse a un lamento d'amore: onde uno tolse Sventurato, l'altro Dolore e un altro Lasso; ed erano forse, se ben mi ricordo, da5 nove che facevano questo. Un di loro cominciò a fare il lamento, e, quando non voleva più dire, metteva nel fine del suo ragionamento Lasso o Dolore, eccetera; colui che aveva tal nome seguitava, apiccando nuove parole e nuove invenzioni; chi fallava, cioè che non sapesse dire, usciva di gioco e v'entrava un altro che gli bastasse l'animo di dire: onde facevano bel sentire. Quello che io dico del lamento d'amore, dico ancora d'una disperata, d'un ringraziamento, d'una allegrezza, eccetera. PELLEGRINO. Ancor questo era un bellissimo gioco. VIANDANTE. Ditemi ora a me: la nostra Academia che ha ella fatto di nuovo da poi in qua che noi ci partimmo? Noi abbiamo veduto La zucca, Le foglie, I fiori e I frutti, 6 i quali son letti molto volentieri.

1. udienti: astanti. 2. abattimento: contesa (discussione). 3. mi certifico: mi rendo certo, mi convinco. 4. per arte: con artificio (cioè non improvvisata). 5. da: circa. 6. La zucca •.. frutti: cfr. pp. 597 sgg.

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PELLEGRINO. Egli c, è meglio. ROMEO. Come si cava tante cose colui del capo? VIANDANTE. Se seguita, penso che ne farà le centinaia. Ma che c,è egli di meglio? I mo11di1 gli abbiamo veduti. PELLEGRINO. Il seme della zucca. VIANDANTE. Come? Il seme della zucca? Che fine è il suo? sapetelo voi? PELLEGRINO. Una parte. Ditemi: avete voi mai letto il secondo libro di Luciano Delle vere narrazioni ?2 VIANDANTE. Messer sl, ch'io l'ho letto. PELLEGRINO. Che dice egli di bello? VIANDANTE. Egli dice una certa sua stravagante navigazione e racconta quel che egli vedde, 3 e, fra l'altre, racconta d'aver trovato, in certo suo mare, zuccacorsari, come dir fuste, brigantini, galere e altri legni da corsari di mare; e dice che sono uomini feroci, questi zuccacorsari, e che eglino hanno le navi loro grandissime fatte cli zucche, e che le son lunghe più di sessanta braccia, e che delle foglie della zucca ne fanno le vele, de' gambi della zucca antenne, e che con il seme delle zucche ferivano bestialmente. Or vedete dove diavolo egli va a cavar l'invenzione d'una cosa! Egli ha fatto questo Seme della zucca che colpo per colpo offende; dà a questo, dà a quell'altro, e di tal sorte ch'io vi prometto che mai udi' le più terribil cose, le più bestiali né le più capricciose. PELLEGRINO. Li Semi di questa Zucca si stamperanno tosto, adunque?4 VIANDANTE. Non ve lo so dire: di questo non ha egli ancor voglia, se già qualche stampatore non gnene facesse venire, con donargli qualche bei libri per fornire il suo scrittoio che egli ha cominciato, che sarà un'arca di Noè, cioè d'ogni libro n'ha un per sorte. PELLEGRINO. Poca fatica. VIANDANTE. E molta spesa. PELLEGRINO. Ha egli altro di nuovo? ROMEO. Uno libro che si ha da stampare presto presto: ecco ap1. I mondi: altra opera del Doni (cfr. qui avanti, pp. 927 sgg.). 2. Delle vere narTazioni: è la Vera historia di Luciano di Samosata, di cui, per quel che segue, cfr. il libro II, 37-8. 3. vedde: ed. 1552-53 e Fanfani vede. 4. Li ... adunque ?: l'annuncio dei Semi della zucca è molto significativo, e si aggiunga, subito dopo, un altro elemento di propaganda editoriale molto disinvolta, quello degli Inferni.

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punto che io n'ho in seno una parte che mi è stata data perché io la mandi al Marcolini che la stampi. VIANDANTE. Fate ch'io gli dia un'occhiata. INFERNI DEL DONI ACADEMICO PEREGRINO 1 SETTE INFERNI

I. Inferno degli scolari e de' pedanti.

Dove son puniti della negligenza gli uni e gli altri dell'ignoranza, con le pene appropriate a ciascun vizio del cattivo scolare e i pedanti tormentati, per ogni tristizia fatta in questo mondo, sette volte il giorno. II.

Inferno de' mal maritati e degli amanti.

In questo, Radamanto,:i dopo molti gastighi per gli errori comessi, gli pone in libertà: parte ne tornano al mondo e parte si nascondono; e si vede i successi3 di tutti finalmente. III. Inferno de' ricchi avari e poveri liberali.4

Nuovi gastighi agli avari, premii infiniti a' liberali, secondo il luogo; e si vede con gli effetti e per essempi antichi e moderni quanto dispiaccia l'avarizia, perché hanno pene grandissime; nell'ultimo i liberali cavalcano gli avari e se ne servano per cavalli, muli e asini. IV. Inferno delle puttane e de' ruffiani.

Qua son converti5 i ruffiani in puttane e le puttane in ruffiani, e si gastigano l'un l'altro di tutte le tristizie che hanno fatte e fanno insieme e fatte fare. 1. Nell'ed. 1552-53 (parte IV, p. 81) è riprodotto a piena pagina il frontespizio figurato dell'opera con l'indicazione: o: In Vinegia per Francesco Marcolini. /MDLIII.». 2. Radamanto: giudice dell'Inferno insieme con Minosse e Eaco. 3. i successi: l'esito. 4. liberali: larghi, generosi. 5. con'Verti: così l'ed. 1552-53 1 e può stare in quanto participio contratto. (Chiòrboli e Fanfani hanno convertiti).

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V. Inferno de' dottori ignoranti, artisti e legisti. 1

Tutti coloro che hanno adottorato queste bestie son puniti delle medesime pene, che son tante che non v'è tante caute rie nel Cipolla2 né tante diavolerie ne' Dartoli e ne' Baldi. 3 Oh che pazzo inferno è questo! oh che gran bestioni di dottoresse si vede egli dentro, che mai, oltre all'altre cose, fanno altro del continuo che mangiar libri e inghiottire scritture I VI. Inferno de' poeti e componitori.

Chi vuol veder tutte le disgrazie, tutte le girelle che si possino imaginare e le malizie che ha poste in uso l'ignoranza, legga questo inferno e noti ben tutte le pene de' poeti, che gli avrà buona memoria, s'egli le terrà tutte a mente. VII. Inferno de' soldati e capitani poltroni.

O Dio, che grand'essercitol quel di Xerse è un'ombra. Leggete pure, e vedrete quanti e quanti, e le pene bizzarre che patiscono del continuo. Uomini che son guida a 11' aut or e ad andar e a 11' inferno.

VIRGILIO, DANTE, MATTEO PALMIERI, 4 MENIPP0, 5 LA SIBILLA DA NORCIA, LA FATA FIESOLANA e ORFEO. Academici Pellegrini andati ali' inferno.

IL PERDUTO, Lo SMARRITO, IL PAZZO, IL SAvio, L'ARDITO, IL VELOCE e L'OSTINATO, MoMo va con tutti, riferisce insegna, loda, biasima, accusa, sentenzia e fa ogni male contro ai dannati. VIANDANTE. Questo è un terribile inventore, un gran cervello astratto. artisti e legisti: delle facoltà delle arti e di diritto. 2. Bartolomeo Cipolla di Verona (XV secolo), giurista, autore del Tractatus cautelaruni: furono chiamate allora « cautelae Coepollae » le malizie per sfuggire alle maglie della legge. 3. Bartoli . .• Baldi: famosi"giuristi: Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), professore di diritto romano a Bologna, Pisa e Perugia, e Baldo degli Ubaldi (nato a Perugia circa 1319, morto nel 1400), allievo di Bartolo e suo degno emulo come professore di diritto romano a Bologna, Perugia, Pisa, Firenze, Padova (per diritto civile), e infine Pavia. Autore di ampi commentari al Corpus iuris civilis. 4. Matteo Palmieri, di cui subito dopo pare si citi qui un'altra volta La sibilla: cfr. la ·nota s a p. 647. 5. Menippo: personaggio dei Dialoghi di Luciano, già menzionato dal Doni. I.

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ROMEO. Egli mi piace perché si serba sempre un colpo maestro per sé. PELLEGRINO. E di che sorte l Ei fece I mondi, e riserba a fare Il mondo nuovo, che è la chiave; e' fece Le zucche, e riserbasi Il seme; egli fa Gl'inferni, e riserbasi a scriver L'inferno de' prosontuosi e arroganti; ha scritto già i tre libri di Medaglie, 1 e serba il quarto libro delle False;" cosi de' Marmi la quinta parte vuol che si chiami Lo scarpe/lo de' Marmi: 3 e cosi piace a me stare a vedere quel che si dice, conoscere inanzi la gente e poi fare quel che è il dovere: e la fine del gioco sarà il libro del Giornale de' debitori e creditori. Talmente che, quando avrà dato fuori tutti i suoi libri, ve ne resteranno sei da stampare, cioè: M 011do nuovo; Seme della zucca; Inferno degli arroganti; Medaglie false; Lo scarpe/lo, cioè quinta parte de' Marmi, e Giornale de' debitori e creditori.

VIANDANTE. Chi avrebbe mai creduto che costui facessi tante cose? Lui se ne va sempre a spasso, ha studiato poco e legge manco; dove si ragiona, ed egli cheto: e cosi mi fa stupire. PELLEGRINO. Aspettate un bellissimo libro, diviso in due parti, che lo intitola I cieli, e poi vi segnerete. VIANDANTE. Sia con Dio. Ritirianci, adunque, aspettando tempo più comodo a fare alcuni altri nostri ragionamenti, ché in verità e' non è più ora di stare a perdere il tempo intorno ai Marmi. . PELLEGRINO. Lasciatemi prima leggere una lettera scritta al Doni e la sua risposta, che penso certo che non vi dispiaceranno. VIANDANTE. Or su, cominciate, presto, ché è tardi. PELLEGRINO. •, uniformemente agli altri volumi delle opere dell'Aretino già pubblicate dall'Editore. Alcune differenze di testo nel brano da noi accolto nella presente silloge (differenze indicate in nota) inducono a pensare che non è stata sempre seguita l'edizione del 1538, ovvero che è stato tenuto per base un esemplare a noi sconosciuto, diverso da quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in alto segnalato. John Wolfe si valse dello pseudonimo di Andrea del Melagrano. Il dialogo è intitolato •al Signor don Luigi d'Avila, ornamento de la gentilezza e pompa de la cortigiania •· Nella Prima parte del ragionare ha per interlocutori (come risulta dal nostro brano) Lodovico Dolce, Francesco Coccio e Pietro Piccardo, e, nella Seconda parte, il «Giustiniano» (cioè Giovanni Giustiniano, di Candia, lodato nelle Carte parla11ti, come • mirabile traduttore delle Comedie di Terenzio, dei libri di Virgilio, e dell'Orazioni di Cicerone»), il Coccio e il Dolce. Per le cosiddette Carte parlanti (titolo che non si trova nelle edizioni originali) è stata seguita l'edizione che si ritiene l'ultima fatta vivente l'autore: Dialogo di / Pietro Aretino / nel qvale si / parla del gio/co con mora/lita [sic] piace/vole. / Con privilegio./ (In Vinegia per Bartolomeo detto l'lmperador. / Ad instantia di messer Melchior Sessa. Ne l'anno / del Signore .M.D.XLV, di cc. 227). Esemplare Landau-Finaly 355 (già Landau 8098), entrato da alcuni anni nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Cfr. anche il Catalogue des livres 1nanuscrits et imprimés composa11t la bibliothèque de M. Horace de Landau. Deuxième partie, Florence [Prato, Impr. Giachetti, Fils et CieJ, 1890, p. 265: secondo la descrizione il volume dovrebbe anche contenere il Ragionamento de le Corti nell'edizione di Novara 1538, ma di esso non è traccia nel volume, da secoli legato in cartapecora. L'opera è dedicata - a c. iir-v - a a l'ottimo principe di Salerno», cioè a Ferrante Sanseverino, con una lettera datata • di Vinetia, il xxv. di Marzo M D XLIII ». (Numerose missive dirette a lui - ad esempio, ad accompagnamento della Talanta, in data del 12 marzo 1542- si trovano nelle Lettere

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dell'Aretino: si veda l'edizione parigina del 1609. Si noti in modo particolare il Secondo libro, alla Tavola, sub Al Principe di Salerno: alla c. 253r-v si trova la lettera di dedica della commedia). La scelta di brani delle Carte parlanti fatta dal Ferrero nella sua citata antologia di scritti dell'Aretino e del Doni è esemplare: ed è stata da noi utilizzata col commento. I brani della nostra silloge sono stati collazionati sull'esemplare fiorentino del 1545, di cui sopra. (Lo studioso si era valso di un esemplare della Biblioteca Universitaria di Bologna}. Abbiamo consultato anche noi, per alcune parti mancanti nell'opera e per modificazioni varie, l'edizione cli Venezia, Ginammi, 1650 (Le carte parlanti. Dialogo di Partenio Etiro. Nel quale si tratta del gioco con moralità piacevole) e abbiamo consultato per completezza la successiva edizione del 1651 presso lo stesso Ginammi. Ci siamo valsi per le due edizioni degli esemplari della Braidense (B.IX.4.651, e B.Xl.5.122), e, inoltre, di quelli della Marucelliana (6.H.VI.60; e 61). Il Ferrero ricorda che «la prima edizione di cui dà incerta notizia il Brunet, sarebbe stata pubblicata a Venezia "per Giovanni de Farri,,, nel 1543 • (e aggiunge: •ma non mi risulta che ne esista alcun esemplare nelle maggiori biblioteche pubbliche italiane•: si veda perciò l'esemplare L. 1020 della Trivulziana che da alcuni decenni fa parte delle Raccolte Civiche di Milano). Col Ferrero osserviamo che un'edizione registrata dal Mazzuchelli e dal Brunet per il già citato anno 1545 di quella del Sessa, col medesimo stampatore e col titolo Le carte parlanti. Dialogo ecc., può ben essere la stessa, con mutamento del frontespizio e di alcune carte al principio del volume; e ripetiamo, con allargamento anche alla edizione 1651, che nell'edizione del 1650 «sono soppressi gli accenni alle cose della religione, le citazioni giocose dei testi sacri, alcune punte satiriche contro gli ecclesiastici, e qualche passo licenzioso•· Per il testo della nostra scelta delle Lettere seguiamo per i primi due libri l'edizione a cura di Francesco Flora con note storiche di Alessandro Del Vita (Lettere. Il primo e il secondo libro, Milano, Mondadori, 1960, « I classici Mondadori •, sezione Tutte le opere di Pietro Aretino). Per i libri dal terzo al sesto ci siamo valsi del testo di Giuseppe Guido Ferrero, che ci è stato molto utile anche per il commento: solo abbiamo messo, come ha fatto l'edizione Flora, le intestazioni originali dell'Aretino. Sempre ci è stata comoda per riferimenti e controlli la nota edizione delle Lettere apparsa a Parigi nel 1609, in sei libri. Il Ferrero, per i primi due libri, ha seguito l'edizione laterziana curata da Fausto Nicolini (subito sotto menzionata): per i successivi si è valso della prima ed unica edizione del Cinquecento: Il terzo libro de le lettere di messer Pietro Aretino (In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1546); Il quinto libro de le lettere per divina gratia huomo libero (In Vinegia, per Comin da Trino di Monferrato, l'anno 1550); Ecco che al come magno magna11imo Hercole Estense ha dedicato Pietro Aretino per divina g,atia huomo libero il sesto delle scritte lettere volume ecc. (In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1557). Per il quarto libro, per il fatto di non trovare alcun esemplare dell'unica edizione cinquecentesca, menzionata dal Mazzuchelli e dal Bongi (quella uscita a Venezia, Cesano, 1550, mancante

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PIETRO ARETINO

nella Marciana a un riscontro fatto nel 1917), il Ferrero si è valso, con emendamenti congetturali spiegati in nota, della raccolta parigina del 1609. Le lettere dell'Aretino uscirono la prima volta (esclusa quella presunta del 1532, registrata per un errore di stampa al posto di 1537) col primo libro: De le lettere di M. Pietro Aretino libro primo (ritratto dell'Autore senza leggenda). Con previlegii (e in fine:) Impresso in Vinetia per Francesco Marcolini da Forll, apresso a la chiesa de la Temeta, nel anno del Signore MDXXXVIII. Il mese di Genaro. Con gratis. Questo esemplareda indicare con M 1 - si trova nella Biblioteca Universitaria di Pisa. Tale edizione ebbe ristampe veneziane nel medesimo 1538 (la Roffinelli, di cui andò distrutto, per cause belliche nel 1943, l'esemplare dell'Ambrosiana; un'altra dello Zoppino; un'altra anonima e un'altra di Giovanni Padovano, rintracciata da F. Flora, Archiginnasio di Bologna, segnatura: Landoni 444).

Una nuova marcoliniana (da contrassegnare M2) usci nel settembre 1538 (esemplari nella Bibliothèque Nationale e nel British Museum). Come il Flora illustra nella sua nota al testo (edizione mondadoriana citata delle Lettere. Il primo e il secondo libro, a p. 976) «sono aggiunte venticinque lettere, diciotto delle quali passano anche in Ml [cioè la marcoliniana del 15421 che l'editore chiama seconda], sei invece entreranno a far parte del libro secondo, mentre una sola delle venticinque, e precisamente la lettera del 6 agosto 1538 ad Agostino Ricchi (uAmbrogio, mandandolo io") non apparirà in alcun'altra raccolta•· Per altro, sei lettere passarono nel libro secondo e il Flora le indica nella sua nota a p. 977. M2 fu ristampata a Venezia nel 1538 dal Roffinelli (esemplare perfetto in carta azzurrina, Archiginnasio, Landoni 428: alla fine del volume è l'anno 1538, ma nel frontespizio l'editore aveva messo il successivo 1539) e nel 1539 dal Padovano (oltre l'esemplare ricordato da F. Nicolini si veda quello mutilo dell'Archiginnasio, Landoni 463) e da Alvise Tortis (Biblioteca Civica di Padova, n. 1403). Utilmente il Flora, fra altre notizie, rammenta che «all'edizione Padovano del 1538, che riproduce M 1 , nell'esemplare bolognese (Landoni 444) è aggiunto dal legatore un fascicolo di sedici carte non numerate, la prima delle quali fa da frontespizio: Le lettre di messer Pietro Aretino nuovamente per esso aggionte al primo volume: con diligenza ristampate. Il medesimo ritratto nell'ovale che s'è trovato nella Padovano 1538; ma qui la data che è sotto il ritratto reca MDXXXIX. Non c'è il nome dell'editore•· Il Flora avverte che il Nicolini non era riuscito a vedere un esemplare di questo fascicolo che citò dal Mazzuchelli, ma che felicemente congetturò dovesse a: contenere soltanto le diciotto lettere che passarono anche nella Padovano del 1539 •• Ml è l'edizione del 1542 che il Marcolini chiamò seconda: Del primo libro de le lettere di M. Pietro Aretino Edizione seconda. Con giunta de lettere xxxx1111 scrittegli da i primi spirti del mondo. Con Privilegio MDXXX.XII. (In fine:) In Vinetia per Francesco Marcolini da Forll. Nel MD XXX.XII del Mese di Agosto. Di questa edizione si ebbe una ristampa nella già ricordata edizione dei sei libri delle lettere: Del primo libro delle lettere di M. Pietro Aretino (In Parigi, Apresso Matteo il Maestro, nella strada di S. Giacomo, alla insegna de i quattro elementi .M.DC.IX. Con 0

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Privilegio). E così si citino fin d'ora i cinque libri success1v1. Una ristampa - con vari tagli per la censura e omissione di varie lettere - è quella dedicata a monsignor Leonardo Severoli, canonico di Faenza e vicario di Ragusa (Lettere di Partenio Etiro, In Venetia .MDCXXXVII: esemplare anche in Marucelliana). Da registrare è l'edizione de Il primo libro delle Lettere di Pietro Aretino (Milano, G. Daelli e C. Editori, 1864, « Biblioteca rara•: all'Avvertenza degli editori seguono Notizie bibliografiche intorno alle lettere dell'Aretino, dal Brunet, Manuel du Iibraire, v edizione, 1860 sgg., e dalla Vita di Pietro Aretino scritta dal conte Giammaria Mazzuchelli). Di notevole importanza, basata su MI, ma tenendo conto di M2 e attingendo a entrambe (•in guisa da stabilire un testo che, pure rispettan-do l'ultima volontà letteraria dell'autore, non facesse perdere alle singole lettere il loro valore documentario, e che quindi restituisse in ciascuna, per quanto era possibile, la data e il destinatario genuini, e quei brani o parole, che soltanto ragioni d'indole pratica avevano potuto indurre l' A. a mutare o sopprimere») è l'edizione laterziana a cura di Fausto Nicolini. Sono usciti i due soli primi libri curati dal compianto studioso: Il primo libro delle lettere (Bari, Laterza, 1913, «Scrittori d'Italia•, 53) e Il secondo libro delle lettere (ivi, I 916, in due parti, ai numeri 76 e 77 della collezione). Il Flora ha posto a fondamento del suo testo la Ml «che rappresenta l'ultima volontà dell'autore, sia pure attraverso la mediazione di chi curò la stampa (quasi certamente Lodovico Dolce)»: e ha citato in nota quanto fu soppresso o mutato nel passaggio dalla prima alla terza marcoliniana. Ha indicato anche le poche differenze della seconda. Rimandiamo alla sua nota (pp. 979-82) per quanto riguarda l'uso di esemplari diversi fra di loro in alcune parti, la cronologia di alcune lettere in disaccordo col testo (benché all'Aretino la cronologia, di solito fittizia, fosse un mero pretesto per la confezione della lettera) e anche per il ritrovamento di un'edi-zione originale della Marcolini 1542, non rinvenuta dal Nicolini. (E doppio fu il ritrovamento: all'Archiginnasio di Bologna, Landoni 388, e alla Bi-blioteca Universitaria di Padova, Rari, N. S., 8, con alcune differenze fra di loro: quest'ultimo testo, posteriore, rappresenta, per le aggiunte e correzioni, l'estrema volontà dell'autore). Più di una volta nella manipolazione delle sue lettere l'Aretino ha lasciato sussistere particolari che risultano in contraddizione con le aggiunte o che non si accordano con la modificazione della data. Sui mutamenti di data si veda la citata nota del Flora a p. 979, e si confronti in due casi il nostro commento, p. 486, nota 4, e p. 539, nota 4. Con Francesco Flora si ricordino le ristampe di M'-: anzitutto quella fatta da Giovanni Padovano nel 1547 indicata dal Casali, ma il Nicolini pensa che quest'ultimo non l'avesse veduta. Il Nicolini viceversa trovò un esemplare dell'anonima stampa del 1547 nella Marciana (26.D.175), mutilo del foglio di stampa segnato CC, e se ne valse come base della sua edizione. E tenne naturalmente conto della ristampa del libro nella silloge parigina del 1609.

ANTON FRANCESCO DONI

ANTON FRANCESCO DONI Per il reperimento e l'esame delle edizioni delle opere del Doni si è tenuto presente l'ottimo volume di CECILIA R1coTTINI MARSILI-LIBELLI, Anton Francesco Doni scrittore e stampatore. Bibliografia delle opere e della critica e Annali Tipografici (Firenze, Sansoni Antiquariato, I 960, • Biblioteca bibliografica italica • diretta da Marino Parenti, 21). Anche se bisogna tener conto della volontà dell'autore in ristampe, sia pur frettolose, delle sue opere, sono valutate come migliori, per accuratezza editoriale e grafica, specialmente dove ci sono illustrazioni nel testo, le prime edizioni. Di alcune ristampe postume, del Seicento (anche se, nelle correzioni arbitrarie, documentano che alcune parole usate dal Doni erano state modificate per maggior comprensione da parte dei lettori), abbiamo fatto menzione solo per quanto concerne la censura ecclesiastica e, in qualche caso, anche politica: in modo da fornire alcuni elementi per lo studio della fortuna delle opere dell'autore. (Tali testi sono stati malamente usati dai lessicografi, anche di recente, perché manipolati e arbitrari). Per la scelta della Zucca ci siamo sostanzialmente valsi per la sua correttezza dell'edizione principe del 1551-1552 secondo le varie parti registrate e descritte (in C. RICOTTINI MARSILI-LIBELLI, op. cit., n. 0 34) e tutte pubblicate a Venezia dal Marcolini: La/ Zvcca /del/ Doni./ (in fine: Jn Vinegia, per Francesco Marcolini 1 M.D.LI); Fiori/ della I Zvcca /del/ Doni. / (in fine: come sopra, L'anno M D L II); Foglie / della / Zvcca / del / Doni. I (in fine: come sopra, M D L Il, Con Privilegii); Frvtti / della I Zvcca / del / Doni. I (in fine: In Vinegia, per Francesco Marcolini, M D L II). Per la disposizione complessiva della materia dell'opera, oltre che per particolari del testo, abbiamo seguito l'edizione del 1565, curata però con superficialità dall'autore preso da varie altre iniziative letterarie ed editoriali. Essa, per la sua compagine, è da considerare completa e definitiva: La ZtJcca I del Doni I Fiorentino./ DitJisa in cinqve libri/ di gran ualore, sotto titolo di I poca consideratione. / Il Ramo, di Chiacchiere, Baie, f5 Cica/amenti. / I Fiori, di Passerotti, Grilli, f5 Farfalloni. / Le foglie, di Dicerie, Fauole, ~ Sogni. / I Frutti, Acerbi, Marci, f5 Maturi. f5 / Il Seme; di Chimere, f5 Castegli in aria. I Con pritJilegio [marca tipografica: cavallo alato], In Venetia, / Appresso Fran. Rampazetto, ad instantia di / Gio. Battista, & Marchio Sessa fratelli. [in fine: M D LX V.] (Per una completa descrizione, C. R1coTTINI MARSILI-LIBELLI, op. cit., n. 0 57). Si è tenuto conto della volontà dell'autore relegando in nota alcuni passi che, nell'ed. 1551-52, recavano giudizi ritenuti nell'ed. 1565 ormai superati, come nella nostra p. 669, nota 2, quanto riguarda Francesco Sansovino, e, nella seguente p. 670, nota 8, Pietro Aretino. Anche per la « baia ultima 11, originariamente diretta al solo Cornieri da Cometo, a p. 630 abbiamo riportato le lievi variazioni dell'inizio della diceria. Dall'edizione principe della Zucca abbiamo desunto l'illustrazione dell'uomo dal cappuccio fiorentino, cioè del non nominato Burchiello, e l'abbiamo inserita nel testo a p. 639. Tale illustrazione, oltre che nell'edizione delle Rime del Burchiello

NOTA CRITICA AI TESTI

curata dal Doni (cfr. p. 638, nota 7) 1 si trova anche nei Mondi, lib. r, 155z, c. 192v, in un fregio uguale a quello in cui gli è messo di fronte, alla c. 193,, il ritratto del Machiavelli della cosiddetta «testina•: i due autori non sono menzionati col loro nome. Per il brano della Moral filosofia abbiamo usato l'edizione principe, da valutare la più autorevole: La moral Jfilosop/iia del Doni, / Tratta da gli antichi scrittori;/ Allo lllustriss. S. Don Fe"ante Caracciolo dedicata. J [xilografia con sfera armillare e sei globi con medaglie, figure allegoriche e un re; su una lista svolazzante è una scritta in greco]. Con Privilegio, Jn Vinegia per Francesco Marcolini, M D LII. (Per una completa descrizione, C. R1C01TINI MARSILI-LIBELLI, op. cit., n.0 36, anche per il testo che segue: Trattati/ diversi/ di Se11debar Indiano Jfilosopho morale./ Allo lllvstriss. et Eccellentiss. S. J Cosimo de Medici dedicati./ [stemma mediceo sorretto da due figure di donna, con l'iscrizione: FIORENZA], Jn Vinegia / Nell'Academia Peregrina / M D L Il). Per i brani dei Marmi, pur tenendo presente l'edizione a cura di Ezio Chiòrboli, Bari, Laterza, 1928 1 «Scrittori d'Italia•, 106 e 1071 si è seguita l'edizione principe del 1552-1553: I Marmi/ del Doni, I Academico Peregrino. J Al Mag.co et Eccellente S. Antonio da Feltro Dedicati. / [xilografia]. Con privilegio Jn Vinegia per Francesco/ Marcolini MD LII]. [in fine: In Vinegia / per Francesco Marcolini / M D LIII.]. (Per una completa descrizione: C. RICOITINI MARSILI-LIBELLI, op. cit., n. 0 40). Da tale edizione abbiamo tratto tre illustrazioni, inserendole nel testo alle pp. 826, 827 e 841. Essa è da ritenere la più rispondente alla volontà dell'autore, in quanto posteriormente dovette cedere a necessità prudenziali, come già fu segnalato dal Fanfani (cfr. la nota I a p. 842). Per i brani dei Mondi, anche per la cura editoriale connessa con le illustrazioni dell'opera, e la correzione tipografica, indubbiamente effettuata a cura dello stesso autore, abbiamo seguito l'edizione principe del 1552-1553: I Mondi/ del Doni/ Libro primo. / [xilografia], Jn Vinegia / Per Francesco Marcolini, / con privilegio M D L II. e Inferni / del Doni / Academico Pellegrino. / Libro secondo de Mondi [xilografia], In Vinegia per Francesco Marcolini nel M D L III. / (per una completa descrizione: C. R1co1TINI MARSILILIBELLI, op. cit., n. 41). Per il rimaneggiamento della compagine (anche nei titoli delle parti) che rispecchia la volontà dell'autore, ci siamo invece valsi della seguente edizione fatta vivente il Doni, anche se da lui certo non curata direttamente: Mondi I celesti, terrestri,/ et i,ifernali, de gli I Academici Pellegrini./ composti dal Doni;/ Mondo Piccolo, Grande, Misto,/ Risibile, lmaginato, de Pazzi, fs Massimo./ 11,jerno de gli scolari I de mal maritati, delle Puttane, f5 Ruffiani, Soldati, / fs Capitani poltroni, Dottor cat.tiui, Legi-/sti, Artisti, de gli Vsi,rai, de Poeti/ f!:J Compositori ignoranti./ Di nuouo ristampati, &J con molta diligenza / riuisti, (!J ricorretti. / [marca tipografica col motto: TARDE SED TVTO]. In Venetia, / Appresso Georgio de' Caualli. / MD LXVIII. (Per una completa descrizione: C. RICOTTINI MARS1L10

ANTON FRANCESCO DONI

LIBELLI, op. cit., n. 0 62). Dall'ed. 1552-53 abbiamo tratto due illustrazioni, inserendole nel testo a pp. 961 e 968. Come si è detto, si sono registrate alcune varianti di edizioni del Seicento solo in quanto documentavano la manipolazione di opere del Doni nello spirito della Controriforma. Le edizioni usate a tale scopo sono le seguenti: per la Zucca quella, del 1607, «espvrgata, corretta, riformata, con permissione de' Superiori. Da Ieronimo Gioannini da Capugnano Bolognese [marca tipografica], In Venetia, M D CVII, Appresso Daniel Bissuccio •; per la Filosofia morale del Doni, come ora ha titolo, l'edizione del 1606, 11 Di nuouo Ristampata, & di molte Figure ornata. Al Clariss. Sig. il Sig. Anzolo Mosto. Con licenza de' Superiori, & Priuilegio [xilografia: ritratto del Doni], In Venetia, Appresso Gio. Battista Bertoni, Libraro, Al segno del Pellegrino, MD CVI•: e, per i Mo11di, l'edizione del 1606: Mondi celesti, terrestri, et infernali, de gli Academici Pellegrini. Composti da M. Anton Francesco Doni Fiorentino Espurgati con permissione de' Superiori, & da quel che in loro offender poteua il Lettore. Con licentia de' Superiori, & Priuilegio [xilografia: ritratto del Doni], In Venetia, Appresso Gio. Battista Bertoni, Libraro, Al segno del Pellegrino, M.D.CVI. Non abbiamo invece segnalato le varianti dell'edizione dei Marmi, In Venetia, Presso Gio. Battista Bertoni, M.DC.IX, Libraro al Pellegrino. Per una accurata descrizione delle quattro edizioni si veda C. RICOTTINI MARSILI-LIBELLI, op. cit., rispettivamente ai nn.i 90, 87, 88 e 92. Per il commento ci siamo serviti, per i brani compresi nella silloge, degli Scritti scelti di Pietro Aretino e Anton Francesco Doni, a cura di Giuseppe Guido Ferrero [nuova edizione] (Torino, U. T.E. T., 1966, a Classici italiani•). Per quanto riguarda il commento dei Marmi abbiamo seguito in vari luoghi I Marmi di Antonfrancesco Doni ripubblicati per cura di Pietro Fanfani con la vita dell'Autore scritta da Salvatore Bongi (Firenze, G. Barbèra, 1863, in due volumi), e, per alcune sue indicazioni di cui nella Nota finale e nell'Indice dei nomi, la citata edizione a cura del Chiòrboli.

AGGIUNTA BIBLIOGRAFICA Del testo laterziano delle Sei giornate citiamo la nuova edizione: P. ARETINO, Sei giornate. Reprint a cura di Giovanni Aquilecchia (Bari, Laterza, 1975, •Biblioteca degli Scrittori d'Italia degli Editori Laterza•, Reprint z), con alcune pagine di commento e con una Introduzione (pp. v-xxx), una Nota al testo (xxx1-xxxv11) e una Nota bibliografica (xxxix-XL). Interessa qui l'ultima pagina della Nota al testo. Vi si dice che un contributo testuale successivo all'edizione critica è quello relativo a «Sasso» in luogo di «Saffo•, già anticipato da comunicazione dello studioso: cfr. il presente tomo, p. 399, r. 8 e la nota I. Nel seguire dichiaratamente una congettura del Ferrero (Scritti scelti dell'Aretino e del Doni, I 970) si corregge cr: dianzi Din II dianzi», correzione che non ci sembra necessaria (cfr. qui addietro p. 239, r. 20 e la nota II). Si elencano quindi alcuni ritocchi puramente formali, «conforme ai criteri di trascrizioneD dell'edizione: «uomo a casoD invece di «uomo, a caso, D (cfr. qui addietro p. n2, r. 8: correzione già da noi effettuata per snellimento della frase); e materia» in luogo di «materia• (qui addietro p. 335, r. 10: ma cfr. la nostra nota I ivi per la scelta di • matèria » come è confermato anche dai testi del Doni contro la medesima interpretazione del Chiòrboli); a: de là via» - che, senz'avvertire per dimenticanza, segue in parte il Ferrero che dava • di là via• - in luogo di e de la via• (cfr. qui addietro p. 359, r. 6 e la nota 3); «và » in luogo di II va» (cfr. p. 383, r. 6: e va'», come in altri luoghi dove Aquilecchia usa l'accento e non l'apostrofo per l'imperativo); e il piei-del-trespolo • in luogo di e il-piei-deltrespolo » (qui addietro p. 383, r. 22: semplice errore di stampa): evo'• in luogo di «vò D (qui addietro p. 384, r. 1). Altri usi, non conformi alla grafia fissata dagli editori moderni, si notano nell'edizione al pari di alcuni errori di stampa. Tra gli studi critici vanno segnalate le note di PIETRO AzZARONE, Cristo i11terpretato dal/' Aretino, in • Studi Urbinati di storia, filosofia e letteratura», a. XLVII, Nuova Serie B, N. 1 (1973), pp. 61-72 (su L'Umanità di Cn'sto, riedita presso la Casa Colombo di Roma nel 1945), e, per le pagine dedicate all'esame dell'Orazia, il volume di MARCO ARIANI, Tra classicismo e manierismo. Il teatro classico del Cinquecento (Firenze, Olschki, 19741 • Accademia Toscana di scienze e lettere "La Colombaria" •, Studi, xxv), pp. 187-96. Utili citazioni riguardanti l'Aretino, il Tiziano, l'imperatrice Isabella e l'ambasciatore Lope de Soria, oltre Carlo V, si trovano in Tiziano e la Corte di Spag,,a nei documenti dell'Archivio Generale di Simancas, con prefazione di LUIGI F'ERRARINO, Madrid, Istituto italiano di cultura, 1975 (e Collana cc Documenti e ricerche" », 11): si vedano la lettera di Domingo de Gaztelu a Francisco de los Cobos y Molina, p. 14, da Venezia, 26 novembre 1536 ( a Tambien he dado sus despachos al Aretino y Ticiano, los quales besan las manos de V. S. mii vezes •) e, p. 16, la lettera di Carlo Va Lope de Soria, da Valladolid, 2 giugno 1537 (« Nuestro embajador en Genova os embiara nuestros regalos los quales dareis al Aretino de parte de la emperatriz en senal de reconocimiento de cierta cosa che le enbi6 y vereis ai seri mas conveniente

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AGGIUNTA BIBLIOGRAFICA

hazer alcuna joya o darselos en dinero para hazerlo corno mejor os paresciere »). In aggiunta nlle annotazioni sul Carafulln e le «carafullerie 11 ( qui addietro, p. 463, nota 7, e luoghi di cui all'indice dei nomi), si veda FRANCA AGENO, Un personaggio proverbiale: il Cara/ulla, in a Lingua nostra 11, xx (1959), pp. 1-3. E si consulti J. R. WoonHOUSE, «Caraf11lleria», ivi, XXXI (1970), pp. I 10-1: anche per il termine carafullo, di cui nelle Carte parlanti, in un brano non riportato nella presente scelta. Per quanto riguarda agli occhi de la mente• dell'Aretino (qui addietro, p. 501, nota 8) le osservazioni e le fonti citate si possono aggiungere alle note di Gumo MARTELLOTII, •Le ginocchia della mente», in •Lingua nostra•, XXII (1961), pp. 71-3. Quando ormai il volume era in corso di stampa è uscita una nuova edizione delle Sei giornate, a cura cli Guido Davico Bonino (Torino, Einaudi, 1975, collana• I Millenni»), di cui tuttavia ci siam potuti servire per la nota 8 a p. 80 e per la nota 4 a p. 186.

INDICE DEI NOMI

INDICE DEI NOMI (e delle opere anonime o di dubbia attribuzione)

Ab Avibus (Gaspar), vedi Uccello (Gasparo) A ca demo (eponimo dell'Accademia di Atene), 713 n. Acarisio (L'), vedi Accarisio (Alberto) Accademia degli Alterati (di Firenze), 767 n. Accademia degli Infiammati (di Padova), 671-2 e n. Accademia degli Intronati (di Siena). 603 n., 658 n., 671 e n. Accademia degli Ortolani o Ortolana (di Piacenza), 582 Accademia degli Umidi, poi Fiorentina o Accademia Grande (di Firenze), 583, 603 n., 672, 691 n., 719 n., 763, 766 n., 767 n., 784, 804-13 Accademia dei Peregrini o Pellegrini (di Venezia), 583, 59S, 601, 603, 667-71 e n., 672-3 e n., 6878 e n., 804-13, 854 n., 927 n., 936 e n., 952 Accademia Fiorentina, vedi Accademia degli Umidi ecc. Accademia Grande, vedi Accademia degli Umidi ecc. Accademici Fiorentini (interlocutori nei Marmi), 804-13 e n., 854-60, 861-71, 871 n. Accademici Ottimi, 603 e n. Accademici Peregrini o Pellegrini (interlocutori nei Marmi), 80413, 854-60, 861-71 Accarisio [o degli Accarigi] (Alberto), autore della Grammatica vulgare chiamata L'Accarisio [o L'Acarisio], 766 e n. Acciaiuoli (Donato), 640 n. Accio (Lucio), 556 n. Accursio [o Acursio], favorito del papa Giulio Il, 258 n., 259 e n., 437 n. Acta Sanctorum, 106 n. Adamo, 45, 70, 393, 673, 829, 842 e n., 846, 847, 954

Addormentato (l'), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 871 n. Adonibezech (re dei Cananei), 879 e n. Adria (figlia naturale dell'Aretino), 512 n., 513 n., 514 e n., 559 n., 560 e n. Adriana (nome generico di amasia), 365 n. (Adria,ie) Adriano (musicista), vedi Willaert (Adriaan) Adriano VI, papa (Florent da Utrecht), 14, 15, 23, 34, 139 n., 452 e n., 493 n., 866 n. Adriano da Perugia (uomo d'arme), 552 e n. Ageno (Franca), 24, 59 n., 429 n., 691 n., 986 Agide (re spartano), 646 e n. Agnelli (Benedetto), ambasciatore mantovano, 347 e n., 548 e n. Agnese (Giovanni), 244 e n. Agostini (Ludovico), S74, 585 Agostini (Niccolò Ugo), 617 n., 768 n. Agostino (Aurelio), santo, 530, 608 e n., 609 e n., 628 e n., 843 n., 9S5 e n., 960 Agresto da Ficaruolo (ser), pseudonimo burlesco di A. Caro, 599 n., 975, 976 Alamanni (Luigi), 719 n., 865 Alanaro (Bartolomeo), 549 n. Alatici (figlia del sultano di Babilonia nel Boccaccio), 635 e n. Alba (pastorella), 750-2 Alba (duca d•), Fernando Alvarez de Toledo, vedi Alvarez de Toledo (Fernando) Alberti, 600 (t1n degl' A.) Alberti (Leon Battista), 645 Alberto dal Carmine (fra), astrono-mo, 701 e n. Alberto d'Ognissanti (fra), astronomo, 701 e n.

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Àlbizzi (Francesco degli), 15, 481 e n., 509 n., 539 n. Alciato (Andrea), 602 e n., 642 e n., 827 e n. Alcibiade, 797 Aldo [il Giovane], vedi l\llanuzio (Aldo), il Giovane Aldo [il Vecchio], vedi Manuzio (Aldo), il Vecchio Alessandro (fiorentino), 636 Alessandro formaritratti (interlocutore nei MaT1111.), vedi Sandro (formaritratti) Alessandro VI, papa (Rodrigo Lançol Borgia), 460 e n. Alessandro de' Medici (primo duca di Firenze), 37, 202 e n., 440 n., 500 n., 501 e n., 502 n., 505, 508 e n., 509 e n., 510 n., 582, 759 e n., 863 e n. Alessandro Magno, 467 e n., 483 e n., 519 (gli Alessandri), 542, 556, 566, 698, 726, 797 Alessio (Giovanni), 288 n. Alfan (Elia), medico, 471 (maestro E. ebreo) e n. Alfonso (interlocutore nei Marmi), vedi Pazzi (Alfonso de') Alfonso (medaglista), 475 Alfonso I d'Este (duca di Ferrara), 481 n., 505 n. Alfonso II d'Este (duca di Ferrara), 592 (il d. di F.) Alighieri (Dante), 5S n., 57 n., 65 n., 78 n., 83 n., 100 n., 1S5 e n., 156, 183n., 185n., 194n.,206n., 225 n., 234 n., 242, 250 n., 289 n., 318 n., 326 n., 354 n., 361 n., 379 n., 404 n., 426 n., 428 n., 464 n., 466 n., 481 n., 493 n., 510 n., 541 n., 590, 593, 599, 600, 601 n., 605, 606 n., 629 e n., 631 n., 632 n., 637 n., 640 e n., 644 n., 645, 648 n., 660 n., 668, 669, 670 e n., 671 n., 680 n., 698 n., 699 n., 741, 746 n., 752 n., 835 n., 837 n., 844 n., 864, 876 e n., 879 n., 881 n., 902 n., 920, 930 n., 948, 950 n., 953, 956 n., 962-71 (interlocutore nei Mondi) e nn. Alione (Giovan Giorgio), 590 Allegrezze della V ergine (Le sette), 367 e n. Allodoli (Ettore), 24, 28, 45, S94

Allori (Alessandro), detto il Bronzino, 734 n. Alterati, vedi Accademia degli Alterati (di Firenze) Altobcllo (eroe cavalleresco), 600 e n. Alunno (Francesco), 532 e n., 550 e n., 876 n. Alvarez de Toledo (Fernando), duca d'Alba, 501-2 e n., 511 n. Alvarez de Toledo (Pedro), marchese di Villa Franca e viceré di Napoli, 205 e n. Alviano (Bartolomeo d'), condottiero, 203 n., 529 n., 616 (Bartolomeo) e n. Amaltea (mitologia), capra, 599 n. Ambrogini (Agnolo), vedi Poliziano Ambrogio (santo), 651 Ambrogio, vedi Eusebi (Gian Ambrogio degli) Ambrogio da Milano (personaggio fittizio), 780 (Ambros), 781 Ambrogiuolo da Piacenza (personaggio del Boccaccio), 637 e n. Amelia (vescovo d'), 392 (da 'Melia) e n. Amelia (lacobaccio d'), 392 n. (da Melia) Amelia (Martin d '), personaggio proverbiale, vedi Martin d'Amelia Arnmone (elefante), :23 A.more (personificazione mitologica), 345, 404 e n., 409, 417, 419, 53S, 750, 751, 752, 818, 833. Vedi anche Cupido Amos (profeta biblico), 628 e n., 710 e n. Vedi anche Profezia di Amoi Anacarsi (filosofo), 713 n. Anastres Castrì (re orientale), 675, 676, 677 Anatarso (forse in luogo di Anacarsi), 713 e n., 714, 715 Ancroia (l'), eroina saracena nella letteratura cavalleresca, 64 e n. Andrea (maestro), rimatore burlesco e pittore, 139 e n., 187 e n., 248 e n., 249 Andrea (santo), apostolo, 485 e n. Andreuccio da Perugia (personaggio del Boccaccio), 264 n. Anechino, vedi Anichini (Luigi}

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Angela (conoscenza della Nanna nell'Aretino, probabilmente da identificare con Angela cortigiana), 320 Angela (cortigiana), 187 n. Angela Greca (cortigiana romana), 274-5 e n. Angelica (personaggio dell'Aretino), 24 Angelica (personaggio di poemi cavallereschi), 3 18 Angelico (fra Giovanni da Fiesole, detto il Beato), 866 n. Angelico (Libro di fra), cioè i Sogni di frate Angelico di Salvestro del Berretta, di cui nei Marmi, 735, 740 Anguillara, vedi Dell'Anguillara Anguissola (famiglia piacentina), 582 Anichini (Francesco di Lorenzo), 563 n. Ani chini (Luigi), 563 (Anechino) e n. Anna (sorella di Didone), 289 (la sorella), 290 e n. Annibale, 698 Antenore (traditore troiano), 726 Anticristo [o Antecristo], 49 (Antecristi) e n., 70, So (generico), 221, 518 Antonia (personaggio dell'Aretino), 47-201, 242 (sa,itola di Pippa) e n., 245 Antoniade (Constantin), 35-6 Antonino (santo) [Pierozzi], arcivescovo di Firenze, 866 e n. Antonio (santo), probabilmente del deserto o del porcello, 185 e n. Antonio (Marco), triunviro, 814 n. Antracino (Giovanni), archiatro pontificio, 452 e n. Apelle, 434 (quel dipintore) e n., 517 e n. Apocalisse di san Giovanni, 455 n., 631 e n. Apollinaire (Guillaume), 16, 17, 46, 56 n., 67 n., 234 n., 274 n., 975, 976 Apollo, 52 n., 147 e n., 541 n. Apollonia (santa), 373 (Pollonia) e n., 387 Apollonio (Mario), 31 Appiano, 733 n.

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Appio Pulcro, vedi Claudio Pulcro (Publio) Apuleio, 678 n., 791 n. Aquilano (Serafino de' Ciminelli, detto), 277 (Sarafino) e n., 291 n., 732 e n. Aquilecchia (Giovanni), 3, 7, 8, II-2, 21 1 22, 27, 45, 46, 47 n., 54 n., 56 n., 60 n., 61 n., 67 n., 71 n., 76 n., 80 n., 82 n., 87 n., 88 n., 95 n., 96 n., 98 n., 122 n., 126 n., 127 n., 128 n., 131 n., 139 n., 140 n., 143 n., 145 n., 157 n., 162 n., 164 n., 170 n., 172 n., 174 n., 175 n., 180 n., 181 n., 185 n., 187 n., 189 n., 191 n., 194 n., 195 n., 198 n., 200 n., 201 n., 203 n., 206 n., 209 n., 216 n., 223 n., 224 n., 225 n., 229 n., 232 n., 234 n., 239 n., 240 n., 244 n., 245 n., 250 n., 251 n., 253 n., 255 n., 257 n., 262 n., 263 n., 265 n., 267 n., 270 n., 274 n., 275 n., 276 n., 277 n., 282 n., 283 n., 284 n., 285 n., 291 n., 296 n., 298 n., 301 n., 302 n., 304 n., 305 n., 306 n., 307 n., 308 n., 309 n., 311 n., 313 n., 315 n., 317 n., 323 n., 326 n., 327 n., 328 n., 330 n., 332 n., 333 n., 335 n., 337 n., 339 n., 340 n., 341 n., 342 n., 345 n., 346 n., 347 n., 350 n., 353 n., 3S9 n., 362 n., 363 n., 364 n., 365 n., 368 n., 369 n., 370 n., 373 n., 386 n., 388 n., 389 n., 392 n., 395 n., 397 n., 398 n., 399 n., 400 n., 402 n., 403 n., 405 n., 407 n., 409 n., 413 n., 416 n., 417 n., 418 n., 419 n., 420 n., 421 n., 423 n., 429 n., 430 n., 43S n., 519 n., 973, 974, 97S, 976, 977, 985 Aquino (Tommaso d'), santo, vedi Tommaso d'Aquino (santo) Aragona (Maria d'), vedi Avalos (Maria d'), marchesa del Vasto Aragona (Tullia d'), 275 (la signoTa T., per congettura) e n., 524 n. Arcadelt (Jakob), musico fiammingo, 579,589 Arcolana (l'), conoscenza della Nanna, 88 e n.

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Ardisio [Ardis], figlio di Gige, 712. e n. Ardito (l'), accademico peregrino nel Doni, 790-6, 871 n., 920, 948 n. •Aretine• (le), cortigiane, già « massare • dell'Aretino, 513 n., 556 Aretino (Pietro), 3-22 (Nota introduttiva), 23-46 (Nota bio-bibliografica), 575, 583, 592, 598, 614 n., 634 n., 670 n., 671 n., 672 n., 719 n., 729 n., 748 n., 767 n., 785 n., 801, 812 n., 832 n., 835 e n., 841 e n., 850 n., 877 n., 898 n., 932 n., 973-81 (Nota critica ai testi), 982, 984, 985-6 (Aggiunta bibliografica) Argentino (Bernardino), canonico del Duomo di Padova, 687 n ... 889 n. Ariani (Marco), 985 Arianna (mitologia), 828 n. Ariosto (Lodovico), 29, 65 n., 81 n., 128 n., 154 n., 234 n., 454 n., S49 n., S99, 602 n., 636 n., 642, 668, 801 I 834, 897 fl, Aristide il Giusto, 904 n. Aristippo di Cirene (filosofo), 858

n. Aristofane, 300 n., 72.8 n. Aristotele, 447 n., 458 e n., 564 n., 600, 604, 608 e n., 611 e n., 645, 687 n., 701 n., 709, 797 Arlecchino (maschera della Commedia dell'Arte), 97 n. ArHa (Costantino), 39, 591 Arlotto (piovano), vedi Mainardi (Arlotto) Armano (mercante tedesco), 604 Armellini (Francesco), cardinale, 229 e n. Arpia (mitologia), 444 Arrighi (Benedetto), 610. Vedi anche Arrighi (Betto) Arrighi (Betto), interlocutore nei Marmi, forse da identificare con Arrighi (Benedetto), 770-7 Arrigo IV (imperatore), 649 n. Artù (re), 467 n. Ascanio (cardinale), vedi Sforza (Ascanio), cardinale Ascanio (vescovo d'Avellino), vedi Libertino (Scanio [Ascanio]) Asinelli (Giovan Battista), 626

Astolfo (personaggio dell'Ariosto), 642 n. Astratto (accademico peregrino), 740 n., 763 n. Atropo (mitologia), vedi Parca Atteone (mitologia), 632 (Ateone) e n. Atti degli Apostoli, 4S5 n., 956 (Fatti d. A.) Attila (re degli Unni), 698 Augusto (nel valore di «imperatore»), 510 (con riferimento a Carlo V, imperatore) e n., 515. Vedi anche Cesare (autorità imperiale) Augusto (Gaio Giulio Cesare Ottaviano), imperatore romano, 726, 902 Aurora (mitologia), 100 e n., 289, 752 e n. Austria (figlia naturale dell' Aretino), 514 n., 559 n., 560 e n. Avalos (Alfonso Id'), marchese del Vasto, 40, 50 e n., 202, 492 n., 493, 519 n., 539 (Avolos) e n., 540 n., 550 e n., 551 n. Avalos (Alfonso II d'), marchese del Vasto e di Pescara, 851 n. Avalos (Ferdinando Francesco I d'), marchese di Pescara, 498 n., 528 n., 529 e n. Avalos (Maria d'), marchesa del Vasto, 40, 539 n. Averlino [o Averulino] (Antonio Francesco), detto il Filarete, 937

n. Averroè, 797 e n., 873 e n. Aversa (conte d'), vedi Belprato (Giovan Vincenzo), conte d' Aversa Avicenna, 7 54 Avila (don Luigi d'), 978 Azla (Giovan Maria d'), vedi D' Azìa (Giovan Maria) Azzarone (Pietro), 985 Babilonia (sultano di), nel Boccaccio, 635 e n. Baccelli (il Fava di Pier), con accostamento tradizionale satirico del cognome e dell'eventuale soprannome, 820 Bacci (Luigi), nobiluomo, presunto padre dell'Aretino, 13, 36 Baccini (Giuseppe), 591

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Baccino, vedi Bandinelli (Baccio) Baccio d'Agnolo (architetto), 502 e n. Baccio degli Organi, vedi Organi (Baccio degli) Baccio del Sevaiuolo (interlocutore nei Marmi), 825-36 Baccio del Tavolaccino, vedi Scoronconcolo Bacco (mitologia), 631, 755, 785 Bagattino (scimmiotto dell' Aretino), 48 e n., 49, 203 e n., 323 (Monicchio) Baiante (in citazione proverbiale), 234 (da B. a Ferante) e n., 598 (tra B. e Ferrante) e n. Baldassarre (re di Babilonia), 955 e n. Baldo (giurista), vedi Ubaldi (Baldo degli) Baldo (mazziere), interlocutore nei Marmi, 741 n. Baldovina (personaggio del Folengo ), 290 n. Balmas (Enea), 936-7 n. Bandello (Matteo), 585 Bandinelli (Baccio), 404 (Boccino) e n., 595, 854 n., 864 e n., 866 Bandini (Giovanni), fautore dei Medici, 582, 857 e n. Bano (santo), 416 e n. Baratto (l\!Iario), 8, 37, 39 Barbagianni (dottor), nome fittizio, 664 Barbagrigia (stampatore), nome fittizio, 16, 974, 975, 977. Vedi anche Ubaldini (Petruccio) Barbaro (Daniele), 671 n. Barbarossa (soprannome del pirata turco Khair-ad-Din), 241 e n., 502 n., 503 e n. Bàrberi Squarotti (Giorgio), 38. Vedi anche BATTAGLIA Barberino (Andrea da), 709 n. Barberino (Francesco da), 110 n. Barbi (Michele), 965 n. Barbieraccio (ser), padre della Nanna, 54 Bardi (Donato de'), detto Donatello, 603, 604 n., 623 n., 738 e n., 854 e n., 855, 856 n., 866 Bargiacca (il), coltellinaio, 814 · Barignano (Pietro), 454 e n. 63

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Barlacchia (banditore), interlocutore nei Marmi, 741 n. Barocchi (Paola), 43, 577, 580, 586, 589, 832 n. Barone (interlocutore nei Marmi), 824 n. Barticino, vedi Particini (Antonio) Bartoletti (Maria A.), 584 Bartoli (Adolfo), 590, 837 n. Bartoli (Cosimo), 645, 766 n. Bartolini (il), non identificato, 693 e n. Bartolini (Polo), s I 2, n. Bartolo da Sassoferrato (giurista), 458 e n., 920 (ne' Bartoli) e n., 969 (i Bartoli) e n. Bartolomeo (santo), apostolo, 145 n., 541 e n. Baschet (Armand), 435 n. BATIAGLIA ( = Grande dizionario della lingua italiana, diretto da Salvatore Battaglia e, dopo la sua scomparsa, da Giorgio Bàrberi Squarotti; in corso di stampa, Torino, U.T.E.T., dal vol. 1, 1961, al vol. 1x, 1976), 704n., 765 n., 772 n., 877 n., 946 n., 977 Battaglia (Salvatore), 42. Vedi anche BATTAGLIA Battelli (Giuseppe), 45 Battelli (Guido), 24, 25, 45-6, 366 n., 437 n., 448 n., 450 n., 452 n., 455 n., 977, 978 Battistini (Mario), 519 n., 521 n. Battistino da Parma (corrispondente dell'Aretino), 386 n. Bayle (Pierre), 33 Beatrice (cortigiana), 187 (citazione dal Lamento della cortigiana Jerrarese) e n. (per identificazione con Beatrice De Bonis), 275 n. Beatricicca («nome esemplificativo di cortigiana benestante», secondo Aquilecchia), 275 (signora B.) e n. Becatti (Giovanni), 43 Beccacci (famiglia), 637 e n. Beccatello (Lodovico), 674 n. Beccheria (quel di), personaggio di Dante, vedi Tesauro de' Beccheria Becchi (famiglia), 637 e n. Becchini (famiglia), 637 e n. Becco (mitologia), secondo una ci-

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tazione burlesca del Doni, 638 Beccopappataci (personaggio proverbiale), 800 Bella (santa), vedi Isabella (santa) Bella Fra11cesc/1ina (La), canzone, 60 Belli (Giuseppe Gioachino), 42 Bcllincioni (Bernardo), poeta, 431 n. Bellini (Bernardo), vedi TOMMASEO-BELLINI

Bellocchi (Ugo), 578, 586, 590 Bellonci (Goffredo), 575, 585 Bellorini (Maria Grazia), 59S Belprato (Giovan Vincenzo), conte d,Aversa, 624, 770 n. Beltrami (Francesco), capitano, 506 Bembo (Pietro), 291 n., 440 n., 455 e n., 492 n., 668, 689 n. Benavente (Antonio Pimentel), conte di, 502 (Benevento) e n. Benci (famiglia), 500 n. Bencucci (Girolamo), vedi Schio (Girolamo Bencucci da) Benedetto (fra), miniaturista, 866 n. Benedetto (santo), 910 Benedetto (Luigi Foscolo), 592, 594 Beneventano (il), vedi Franco (Nicolò) Benevento (conte di), vedi Benavente (Antonio Pimentel), conte di Bentivoglio (famiglia bolognese), 668 n. Bentivoglio (Annibale), 668 n. Bentivoglio (Ercole), 668 e n. Benvenuto (firenzuolese), personaggio del Doni, vedi Gian Benvenuto (firenzuolese) Beolco (Angelo), detto il Ruzante [o Ruzzante], 8, 31, 63 n., 299 n., 272 n., 672 n. Berchem (Jakob), musico fiammingo, 579 Berlicche (appellativo popolare del Diavolo), 326 n. Bemabò da Genova (personaggio del Boccaccio), 637 e n. Bernardino di Giordano (interlocutore nei Marmi), 842-8 Bernardo di Chiaravalle (santo), 867 (in frase proverbiale) e n., 960 Bemardone (gioielliere), interlocutore nei Marmi, 876-88

Bcrni (Francesco), detto anche Sbernia, 45, 60 n., 172 n., 186 n., 345 n., 453 n., 549 n., 668 n., 729 n. Bernini (Giovanni Lorenzo), cavaliere, 43 1 n. Berozias (ministro orientale), 675, 676, 677 Berta (del contado di Padova), 649 n. Berta (madre del paladino Orlando), 649 n. Berta (moglie di Pipino il Breve), 649 n. Berta (personaggio proverbiale), 611, 648 e n. Berta di Savoia (moglie di Arrigo IV), 649 n. Bertana (Emilio), 28, 573, 577, 588, 935 n. Bertani (Carlo), 35, 39 Berto gobbo (citato nei Marmi), 711, 713 Bertolini (Ottorino), 411 n. Betta (la), personaggio proverbiale, 306 e n. Bettarini (Rosanna), 832 n. Betussi (Giuseppe), interlocutore nei Marmi, 825-36 Beverland (Adrianus), 4S Bevilacqua [o Bivilacqua], uomo d,arme, So e n. Biagio (santo), 799 e n. Bianchi (fazione dei Guelfi fiorentini), 640 Bianchini (figliolo del), amasio non identificato dcli' Aretino, 15 Bianco (Simone), pittore, 567 e n. Bigio (personaggio fittizio del Doni), 742 Bindoni (Francesco), tipografo-editore, 669 n. Bing (Gertrud), 595-6 Biondo (Michelangelo), 577 Bissi (Francesco), 769 Bivilacqua, vedi Bevilacqun Bizzarro (il), accademico peregrino, 688 n., 790-6 (interlocutore nei Marmi) e n., 952 e n. Blado (Antonio), tipografo romano, 975 Bobi, vedi Fabene (Zanobi) Bocca (Andrea), conte, 973 Boccaccio (Giovanni), 11, 18, 54

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n., 61 n., 63 n., 66, 68 n., 73 n., 84 n., 87 n., 91 n., xo6 n., 107 n., 109 n., 126 n., 134 n., 172 n., 213 n., 264 n., 277 e n., 300 n., 330 n., 343 n., 346 n., 416 n., 550 n., 590, 599, 603 e n., 622, 626, 635 e n., 637 e n., 638 n., 641, 652 n., 661 n., 668, 669, 696 n., 715 n., 734 n., 741 e n., 766, 787 e n., 801, 802 e n., 836, 837 n., 852 n., 864, 902 n. Boccadoro (san Giovanni), vedi Giovanni Crisostomo (o Grisostomo), santo Boemia (re di), vedi Massimiliano II d'Asburgo (re di Boemia) Boezio (Anicio Manlio Torquato Severino), 600 e n., 960 n., 961 Boffito (padre Giuseppe), 593, 701

n.

Boiardo (Matteo Maria), 225 n., 408 n., 768 e n. Boine (Giovanni), 594 Bolani (Domenico), 434 e n., 524 e n. Bolani (Giovanni), 436 n., 437 n. Bologna (Francesco da), tipografo, vedi Griffi (Francesco) da Bologna Bonanni [o Buonanni] (Filippo), musicologo, 706 n. Bonci [o Del Boncio] (Fabbiano), 13 Bonci [o Del Boncio] (Nicolò), 13 Bonci [o Del Boncio] (Tita [o Margherita]), madre dell'Aretino, 13 Bondone (Angiolotto o Giotto di), vedi Giotto Bonghi (Ruggiero), 29 Bongi (Salvatore), 575, 578, 590, 591, 592, 614 n., 625 n., 767 n., 979, 984 Bonifacio VIII, papa (Benedetto Caetani), 510 n., 558 n. Bonifacio IX, papa (Pietro Tomacelli), 623 n. Bonora (Ettore), 29-30, 576, 588 Bontempelli (Massimo), 27, 28, 34, 46 Bontempi (Francesco), 13 Bonzotto (Bastiano), 614 n. Borbone (Carlo di), duca, connestabile di Francia, 177 n., 287 e n. Bordone (il), accademico peregrino, 907 n.

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Borea (vento), 478 e n. Borghini (Vincenzio), 500 n. Borgia (Cesare), 185 e n. Borgia (Lucrezia), 505 n. Borgo (tintore), interlocutore nei Marmi, 708-18 Borlenghi (Aldo), 31 Bornato, 626 (cavallier B.) Bornier (Henri de), 38 Borrino («zaffo•), 418 n. Borso d'Este (duca), 157 n., 607 e n., 859 e n. Bortolon (Liana), 26 Bosco (Umberto), 590, 593, 837

n. Bosello (Giovambattista), 626 Bragaglia (Anton Giulio), 31 Bramante (Donato), 669 n., 771 Bramanti (Vanni), 580, 586-7, 625 n., 647 n., 648 n. Branca (Vittore), 37, 106 n., 584, 635 n., 715 n. Brandana (il), giocatore di carte, 477 Brandano (romito), vedi Carosi (Bartolomeo) Brandizi, vedi Brindizi Brenzone (Agostino), 45 Brevio (Giovanni), 594 Brighella (maschera della Commedia dell'Arte), 97 n. Brigida (santa), 395 Brindizi [Brandizi, secondo Guido Battelli], personaggio non identificato, 455 e n. Brocardo (Antonio), 41 Broit (musico francese), 813 (Bruett) e n. Bronzino (il), vedi Allori (Alessandro) Bronzino (Angelo), 734 e n. Brucioli [Del Bruciolo] (Antonio), 541 e n., 712 n. Bruett (musico), vedi Broit Brunelleschi (Filippo), 771, 864 BRUNET ( = Jacques-Charles Brunet, Ma1111el dll libraire et de l'amateur du livre, Paris, FirminDidot, 1860-1864, in 6 tomi, con Supplément, a cura di P[ierre] Deschamps e Gustave Brunet; stesso editore, 1878-1880, in 2 tomi), 17, 979, 981 Brunet (Gustave), vedi BRUNBT

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INDICE DEI NOMI

Brunet (Jacques-Charles),vedi BauNBT

Bruni (Leonardo), 639 (Lio11ardo Aretino) e n., 640 n. Bruno (Giordano), 22 Bruto (Marco Giunio), 726, 913 Buglioni (Santi), interlocutore nei Marmi, 871 n. Buonaccorsi (Pietro), detto Perin Del Vaga [o Del Vago in Aretino], 479 e n., 864 e n. Buonanni (Filippo), musicologo, vedi Bonanni [o Buonanni] (Filippo) Buonarroti (Michelangelo), 5, 9, 21, 43, 44, 393 n., 456· e n., 479 n., 500 n., 503 e n., 504 e n., 516 e n., 517 e n., 518 e n., s19, 538, 542 e n., 543 n., 5S3 e n., 554 n., 589, 667 n., 737,738 e n., 771, 832 n., 854 e n., 856, 861 e n., 862 e n., 863, 864 n., 865 Buonarroti (Michelangelo), il Giovane, 611 n., 728 n. Buonleo (Nicolò), segretario di Ercole II, duca di Ferrara, 505

e n. Buovo d' Antona (opera cavalleresca), 709 e n. Buovo d' Antona (personaggio di poemi cavallereschi), 64 e n., 709 n. Burchiello (Domenico di Giovanni, detto il), 59 n., 93 e n., 442 e n., 600 e n., 638 e n., 639 (suo ritratto xilografico), 642 e n., 754, 982 Buttafuoco (personaggio del Boccaccio), 264 n. Buus (Jakob), musico fiammingo, 579

Cabala (La), 874 (L' Acabala) e n. Caccini (Biagio), interlocutore nei Marmi, 741 n. Caco (mitologia), 638 Caino, 296 n. Calamandrei (Piero), 562 n. Calandrino (personaggio del Boccaccio), 346 n. Calepino fJulgare ( = Dizionario della lingua latina compilato da Ambrogio Calepino [o dei conti di Caleppio, Bergamo], con l'ag-

giunta delle voci italiane corrispondenti), 766 Caliari (Paolo), vedi Paolo Veronese Caligola (Gaio Giulio Cesare Germanico), imperatore romano, 556 n., 726 Calligaris (Giuseppe), 592 Calmo (Andrea), 139 n., 246 n., 299 n. Calvino (Giovanni), 936 n. Camerini (Eugenio), anche con pseudonimo Carlo Tèoli, 25, 592-3 Camesasca (Ettore), 8, 17, 25, 26, 32, 43, 435 n., 456 n. Camillo (maestro ferraio), 703 Cammelli (Antonio), detto il Pistoia, vedi Pistoia (Antonio Cammelli, detto il) Campana (Francesco), 865 Campanella (Tommaso), 588, 592, 593, 935 n. Campani (Niccolò), vedi Strascino (lo) Campbell (Oscar James), 46 Campi (F.), 24, 466 n. Campori (Giuseppe), 505 n. Campriano contadino, «leggenda• di Zoppino, vedi Storia di Campriano contadino Cane della Scala, vedi Scala (Cangrande della) Cantagalli (Roberto), 22-3 Canti carnascialeschi, 792 n. Cantico dei cantici, 291 n. Canto de' pescatori senza frugatoio, vedi Pescatori senza frugatoio (Il canto de') Capparozzo (Andrea), 591 Cappelletto (fra), vedi Ciappelletto (ser) Cappino (mitico signore di Firenze in una citazione burlesca del Doni), 638 Capponi (Luigi), scultore, 411 n. Cappuccia (mitica figlia di Cappino), 638 Capua (Giovanni da), 675 Capucci [o piuttosto Cappucci] (Dionigi), 471 e n. Carabba (Gino), 24, z5 Caracalla (Marco Aurelio Antonino), imperatore romano, 732 e n. Caracciolo (don Ferrante), 769, 983

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Caradosso (Cristoforo Foppa), orefice, vedi Foppa (Cristoforo), detto il Caradosso Carafa [o Caraffa] (Diomede), corrispondente dell'Aretino, 203 e

n. Carafa [o Caraffa] (don Ferrante), 769 Carafa [o Caraffa] (Gian Pietro), vedi Paolo IV, papa Carafa [o Caraffa] (don Giovanni), 498 Carafulla (Antonio), detto Piedoca, 463 e n., 593, 609, 700-5 e n., 708, 740 n., 763 n., 986 Caravia (Alessandro), 96 n. Carducci (Giosue), 585, 7n n. Carilao [o Carillo], re spartano, 645 e n. Carlo Augusto (titolo imperiale), vedi Carlo V (imperatore) Carlo Magno (imperatore), 408 n., 520 Carlo V (imperatore), 3, 23, 24, 50 n., 202 e n., 205 (Carlo Augusto) e n., 285 n., 394 n., 439 e n., 483 (per congettura controversa di segnali di Cesare) e n., 487 e n., 488, 489, 492 n., 494, 498 e n., 500 n., 501 e n., 502 e n., 503 n., 505 e n., 510 (Attgusto), 510-1 n., 515 (Cesare) e n., 516, 520 n., 522 (Carlo) e n., 532 e n., 539 e n., 542 e n., 552 n., 553 (Carlo Augusto) e n., 557, 558 e n., 560 n., 622 n., 706 n., 807 n., 808 n., 894 e n., 985 Carlo IX (re di Francia), 624 n. Caro (Annibale), 22, 60 n., 123 n., 447 n., 599 e n., 975. Vedi anche Agresto (ser) da Ficaruolo Caronte (mitologia), 619 e n., 835, 948 n. Carosi (Bartolomeo), detto Brandano, 286 (un romito) e n. Carraroli (Dario), 24, 27, 52 n., 64 n., 71 n., 81 n., 88 n., 101 n., 102 n., 104 n., 123 n., 127 n., 129 n., 154 n., 158 n., 160 n., 168 n., 170 n., 209 n., 219 n., 221 n., 223 n., 225 n., 227 n., 240 n., 266 n., 976, 977 Carrucci (Iacopo), detto il Pontormo, 866 e n.

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Casali (Scipione), 591, 805 n., 974, 981 Casanova (Giacomo), 62 n., 174 n., 187 n. Cassandra, 178 (Cassandre, generico) Castaldo (Giambattista), uomo d'arme, 203 e n., 498 n., 499 n. Castellani Pollidori (Ornella), 440 n. Castello (Alessandro da), 645 Castello (Dionisio da), 645 Castiglione (Baldassarre), 440 n., 772 e n. Castore (mitologia), vedi Dioscuri (i) Castruccio (personaggio proverbiale), 175 e n. Caterina (amante dell'Aretino), vedi Sandella (Caterina) Caterina d'Alessandria [d'Egitto] (santa), 24, 387, 551, 558 Caterina de' Medici (regina di Francia), 24, 624 n. Catilina (Lucio Sergio), 726 Catone (Marco Porcio), il Censore, 901 (Marco Porzio) Cavalletti (Gianiacopo), 626 Cavallino (Antonio), 234 n. Cavorlini {gioiellieri veneziani), 526

e n. Cavriola (Giovan Paolo), conte, 625 Cecchi (Emilio), 29, 588 Cecchi (Giovan Maria), 575, 734 e n., 772 e n. Cecco (nome generico), 730 e n. Cecco d'Ascoli, vedi Stabili (Francesco) Cecco di Sandro (interlocutore nei Marmi), 888 n. Cecilia (cortigiana), 187 {dal Lamento della cortigiana ferrarese) Celestino V, papa (Pietro da Morrone), 510 e n. Celio Rufo (Marco), 901 ('l R.) Cellini (Benvenuto), 39, 177 n., 247 n., 287 n., 404 n., 462 n., 474 n., 503 n., 504 n., 508 n., 527 e n., 832 n., 856 n., 863 n., 864-5 e n., 866 e n., 941 n. Cellini (Iacopo), mercante romano, 553 (il Cellina) e n. Cellino (il), vedi Cellini (Iacopo) Cerbero (mitologia), 379 n., 549 (Cèrbaro), 948 n., 950 e n. Cerboni Baiardi (Giorgio), 973

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INDICE DEI NOMI

Cerrotn (tomiaio), interlocutore nei Marmi, 741 n. Cervantes Saavedra (Miguel de), 649 n. Cesano (Gabriele), 440 e n. Cesare (cioè l'autorità imperiale, simboleggiata nel nome di Cesare), 489 (C. sempre augruto, con riferimento al nome di Augusto), 509 ( con allusione a Carlo V imperatore), 515, 520, 553 e n., 625 e n., 838 (i Cesari) Cesare (Gaio Giulio), 47, 483 (per congettura controversa} e n., 519, 556, 726, 797, 903, 905, 913 e n. Cesare da Vinci (scultore), 504 n. Cesareo (Giovanni Alfredo), 24, 37, 245 n., 350 n., 362 n. Cesari (i dodici), 797 Cesariano (Cesare), 669 n. Cesto (personaggio dell'Aretino), 321 Chabod (Federico), 537 n. Chalon (Philibert de), principe d'Orange, vedi Orange (principe d') Charles (musico francese), 813 (Ciarles, scritto secondo la pronuncia) e n. Chasles (Philarète), 26, 32, 33, 38, 40 CHERUBINI [ = Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Dall'Imp. Regia Stamperia, 1839-1843, 4 voll., e un v, Sopraggiu11ta, ivi, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1856; e ristampa anastatica complessiva, ivi, Martello, 1968], 780 n. Chiappelli (Fredi), 574, 576, 586, 588 Chiara (cortigiana, già « massara • dell'Aretino), 556 Chiarino, vedi Toro (personaggio della Moral filosofia) Chiepina, 176 (santa C., cioè «chietina, bigotta») e n. Chigi [o Chisi] (Agostino), 14, 44, 239 e n., 431 e n. Chigi [o Chisi] (Sigismondo), 239 n. Chilone (filosofo), 797 e n. Chimenti (bicchieraio), interlocutore nei Marmi, 871-6

Chimenti (santo), 800 Chiòrboli (Ezio), 417 n., 572, S73, 575-6, 585, 595, 596, 621 n., 689 n., 697 n., 705 n., 707 n., 708 n., 712 n., 715 n., 720 n., 724 n., 726 n., 727 n., 730 n., 731 n., 733 n., 741 n., 742 n., 744 n., 746 n., 747 n., 751 n., 753 n., 754 n., 761 n., 763 n., 766 n., 774 n., 776 n., 780 n., 781 n., 785 n., 788 n., 789 n., 796 n., 797 n., 801 n., 814 n., 816 n., 817 n., 818 n., 819 n., 820 n., 821 n., 838 n., 839 n., 840 n., 841 n., 844 n., 846 n., 851 n., 852 n., 855 n., 856 n., 858 n., 865 n., 866 n., 869 n., 870 n., 871 n., 872 n., 873 n., 874 n., 889 n., 890 n., 891 n., 893 n., 900 n., 908 n., 909 n., 911 n., 912 n., 913 n., 916 n., 919 n., 924 n., 983, 984, 985 Chisciotte (don), personaggio del Cervantes, 649 n. Chisi, vedi Chigi Chubb (Thomas Caldecot), 36 Ciampolina (zia della Nanna), 55 Cian (Vittorio), 29, 291 n. Ciano (interlocutore nei Marmi), 741 n. Ciappelletto (ser), personaggio del Boccaccio, 107 n., 172 (fra Cappelletto) e n. Ciarles (musico francese), vedi Charles Cibeschino (Giovanni Antonio), 669 Cibò, vedi Cybo Cicerone (Marco Tullio), 112 (Cicerchione) e n., 556 n., 609 e n., 641 (un T.) e n., 679 e n., 730 (un T.) e n., 786, 797, 901 e n., 913, 926 n., 978 Cimicioni (capitano de'), nome evidentemente burlesco, 614 n. Ciminelli (Serafino de'), PAquilano, vedi Aquilano (Serafino de' Ciminelli) Cino da Pistoia (Guittoncino de' Sinibaldi), 590, 837 n., 902 n. Ciocchi del Monte (Giovan Maria de'), cardinale, vedi Giulio III, papa Cipolla (fra), personaggio del Boccaccio, 84 n., 638 n.

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Cipolla (Bartolomeo), 920 e n. Cipriano (musico), vedi Rore (Cipriano) Cipriano (santo), padre della Chiesa, 801 Ciro (re di Persia), 698, 797 Clario (Benedetto) [in Chiòrboli, Indice dei 110111i dei Marmi: Giovanni Antonio], 768 e n. Claudio Pulcro (Publio), console romano, 617 n. Clavicula di Salamone, 874 e n. Clemente VII, papa (Giulio de' Medici), 3, 14, 15, 23, so n., 203 n., 244 e n., 245 n., 284 n., 286 n., 386 n., 387 n., 394 n., 439 e n., 452 n., 4S3 e n., 487 n., 489 n., 492 e n., 493 n., 494 n., 496, 499 n., 513 n., 532 e n., 560 e n., 861 e n. Cleopatra VII (figlia di Tolomeo XII Aulete), 814 n. Cles (Bernardo), cardinale, principe-vescovo di Trento, 203 e n. Cobos y l\tlolina (Francisco de los), 985

Còccheri (abbreviativo di Niccolò; cfr. Còcco), 726 e n. Coccio (Francesco Angelo), 41, 433 e n., 435 n., 436-57 e n., 670 e n., 672 n., 804 n., 978 Còcco (abbreviativo di Niccolò), 726 n. Cola di Rienzo (tribuno romano), 244 (R., nel senso generico di a un Romano ») e n. Colle (Francesco da), letterato, 806 Colleoni (Bartolomeo), 66 (Bartolameo Coglioni) e n., 635 n. Colonna (cardinale), 248 Colonna (Agnese), nata dei duchi di Montefeltro, 530 n. Colonna (Fabrizio), 530 n. Colonna (Vittoria), marchesa di Pescara, 36, 528 e n., 529, 530 e n., 540 e n., 542 n.

Compagni (Dino), 56 n. Consacrata (il), vedi Mazzuoli (Giovanni), detto lo Stradino Contarini (Gasparo), 455 (i C.) e

n. Conte (il), interlocutore nei Marmi, vedi Martinengo (conte Fortunato)

999

Conti (signori), 626 Conti (Giovanni), «amico servente• del Doni, 623 Contrasto di Carnovale e della Quaresima, 600 e n. Contucci (Andrea), detto il Sansovino, 503 n., 504 n., 562 n. Cordié (Carlo), 8, 17, 21, 25, 27, 76 n., 399 n., 456 n., 584, 588, 662 n., 868 n., 976 Cornaiuoli (famiglia), 637 Cornaro [o Corner] (famiglia veneziana), 436 n. Cornaro [o Corner] (Caterina), regina di Cipro, 492 e n. Cornaro [o Corner] (Francesco), 626 Cornaro [o Corner] {Giorgio), 492 (per congettura) e n. Cornaro [o Corner] (Giovan Paolo), 626 Cornazzano (messer), 635 e n. Cornazzano (Antonio), 635 n. Cornegli (famiglia), 637 Corneille (Pierre), 38 Cornelia, 178 (Cornelie, generico) Cornelius (musico), 813 (Cornelio) e n. Corner, vedi Comaro Cornieri (nome di famiglia usato burlescamente dal Doni), 634 Carnieri da Cometo (personaggio del Doni), 630, 982 Cornioli (famiglia), 637 Cortese {accademico peregrino, interlocutore nei Mondi e da identificare con G. B. Cortese), 92834 e n.

Cortese {Giovanni Battista), 928 n. Corti (Matteo), medico di Clemente VII, 452-3 n. Corvino (Alessandro), 516-7 n. Cosimino, vedi Cosimo I de' Medici Cosimo [Cosma o Cosrnio] (santo), 275 (Cosmio) e n., 503 n. Cosimo I de' Medici (duca di Firenze e poi granduca di Toscana, soprannominato dapprima Cosimino e poi chiamato Cosimo il Grande), 23, so e n., 202 n., 205 n., 481, 484 e n., 508 e n., 509, 510 e n., 623 e n., 651 e n., 672 n., 720 n., 736 n., 753 e n.,

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INDICE DEI NOMI

756, 758 e n., 759, 778 n., 781 e n., 864 n., 865, 983 Cosma [o Cosmio] (santo), vedi Cosimo (santo) Costnbile (Mario), 594 Costantino I il Grande (imperatore romano), 426 Cremonesi (Carla), 31 Crescenzia (suor), personaggio dell'Aretino, 224 Creso (re di Lidia), 712 e n., 713, 715, 716, 717, 913 Cristina (suor), nome conventuale della Nanna, 63 Crivello (Paolo), interlocutore nei Marmi, 804 n. Croce (Benedetto), 4-5, 8, 9, 11, 12, 18, 26, 39-40, 537 n., 544 n., 576, 588, 592, 867 n. Croco (personaggio bucolico), 750 n., 751 Cronaca (il), vedi Pollaiolo [o Pollaiuolo] (Simone del) Crusca, vedi Vocabolario della Crusca Cupido (mitologia), 91, 290 e n., 343, 417, 523, 868. Vedi anche Amore Cuppano (Lucantonio), capitano, 482 (Lucantonio) e n. Curcio (Carlo), 573-4, 577, 585, 588, 935 n. Curiazi, 557 Curzio Rufo (Quinto), 797 Cybo [o Cibò] (Franceschetto), 510 n. Cybo [o Cibò] (Innocenzo), cardinale, 510 e n. Cybo [o Cibò] (Maddalena), nata de' Medici, s10 n. Dafne (ninfa), 750 n., 752 Dalla Casa (Giovanni), vedi Della Casa (Giovanni) Dalla Volpaia (Fruosino), fabbro ferraio, 703 Dalle Pozze (Simone), vedi Pozze (Simone dalle) D'Ambra (Francesco), commediografo, 765 n. Dameta (personaggio bucolico), 750 n., 751 Damiano (santo), 275 D'Amico (Silvio), 31

D'Ancona (Alessandro), 20 Dandolo (Leonardo), 524 n. Danese (scultore), 670 Danese da Forll (letterato), 923 e n. Daniele (profeta biblico), 619 e n., 955 e n. Vedi anche Profezia di Daniele Daniello (Bernardino), 670 e n., 801, 802 n. D'Annunzio (Gabriele), 667 n. Dante, vedi Alighieri (Dante) Da Pero [o Dal Pero] (Giovan Iacomo), 626 e n. Datini (Marco), 35 Dattero Giudeo (interlocutore nei Marmi), 770-7 Davanzati (Bernardo), 248 n., 767 (per congettura) e n. Davico Bonino (Guido), 9, 30, 80 n., 186 n., 986 Davide (re d'Israele), 16, 392 e n., 628 e n., 957 e n. Vedi anche Salmi D' Azla (Giovan Maria), 769 Debenedetti (Santorre), 689 n. De Benedictis (Iacopo), vedi lacopone da Todi De Bonis (Beatrice), cortigiana, 187 n. De Caprariis (Vittorio), 4, 39 Dedalo (mitologia), 971 e n. Degli Uccelli (Gasparo), vedi Uccello ( Gas paro) Del Beccuto (famiglia), 637 e n. Del Berretta (Salvestro), 691-700 e n., 708, 789 e n., 802 Del Boncio, vedi Bonci Del Bruciolo, vedi Brucioli (Antonio) Delfino (probabile nome del Gobbo di Sarzana), 606 Del Garbo (Dino), 692 (maestro D.)

e n. Del Garbo (Tommaso), 692 n. Della Beccheria (famiglia), 637 e n. Della Casa (Giovanni), 346 n., 621

e n., 682 n. Della Gherardesca (Ugolino), personaggio di Dante, 354 n., 654 n. Dell' Anguillara (Giovanni Andrea), 617 e n. Dell'Anguillara (conte Orso). senatore di Roma, 837 e n., 839

INDICE DEI NOMI

Della Patria (Girolamo), personaggio fittizio del Doni, 628 Della Patria (Vitellozzo), personaggio fittizio del Doni, 628 Della Rovere (Giuliano), vedi Giulio II, papa Della Terza (marchese), 769 Della Valle (Andrea), cardinale, 346 e n. Della Volta (Achille), 15, 23, 487 n., 493 n. Del Maino (Giasone), giurista, 602 n. Delrninio (Giulio Camillo), 525 (G. C.) e n., 801 (id.), 802 n. Del Monte (Baldovino), 851 n. Del Monte (Giovanni Battista), 851 e n. Del Moro (Angela), vedi Zaffetta (la) Del Sarto (Andrea), 734 n., 738, 864 Del Tura (Luca), 13 Del Vaga [o Del Vago, in Aretino] (Perin), vedi Buonaccorsi (Pietro) Del Vita (Alessandro), 3, 7, 22, 25, 28, 36, 37, 42, 50 n., 187 n., 258 n., 366 n., 392 n., 433 n., 436 n., 437 n., 443 n., 487 n., 489 n., 491 n., 492 n., 493 n., 494 n., 496 n., 497 n., 498 n., 499 n., 502 n., 505 n., 506 n., 508 n., 509 n., 510 n., 512 n., 515 n., 518 n., 519 n., 520 n., 521 n., 524 n., 525 n., 526 n., 527 n., 529 n., 532 n., 535 n., 538 n., 539 n., 540 n., 543 n., 548 n., 559 n., 562 n., 974, 977, 979 De Magistris (Giovanni Lazzaro), vedi Serapica Demostenc, 679 n. De Nores [o Noris] (Giasone), 671 e n., 672 n. De Sacchis (Giovanni Antonio), detto il Pordenone, vedi Pordenone (il) De Sanctis (Francesco), 3, S, 18, 26, 28, 32, 33, 40, 592 De Sanctis (Giovanni Battista), 32 Desiderio (vescovo di Vienne), 186 e n. Deucalione (mitologia), 631 e n., 689 n., 791 n.

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Devoto (il), accademico peregrino nel Doni, vedi Divoto (il) Diana (mitologia), 632 n., 818 (le Diane) Didone (personaggio di Virgilio), 30, 283 (una signora)-97 e n., 329 n. Diego (don), nome per indicare genericamente uno Spagnolo, 363 e n. Di Filippo Bareggi (Claudia), 672 n., 831 n. Di Francia (Letterio), S94, 675 n., 678 n., 867 n. Dino (maestro), vedi Del Garbo (Dino) Dioceno, vedi Gherardi (Cristoforo) Diogene di Sinope, 650 e n. Diogene Laerzio, 650 n., 858 n., 904 n. Dione Cassio Cocceiano, 733 n. Dione Crisostomo, 434 n. Dioneo (personaggio del Boccaccio), 652 n. Dionigi l'Areopagita, Pseudo, 95S e n. Dionisio I, tiranno di Siracusa, 858 n. Dioscoride (Pedanio), 604 e n. Dioscuri (i) [Castore e Polluce] (mitologia), 431 n. Disperato (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi e personaggio nei Mondi, 871 n., 948-51 (sua lettera a Plutone) e n., 958 n., 960, 962-7, 967-70 (risposta di Plutone a lui) Distic/1a Catonis, 788 e n., 873 e

n. Divoto [e Devoto] (il), accademico peregrino nel Doni, 794, 951 Dobelli (Ausonio), 593 Doglio (Federico), 32 Dolce (accademico peregrino, interlocutore nei Mondi e probabilmente da identificare con Ludovico Dolce), 928-34 e n. Dolce (Ludovico), 10, 44, 433 n., 436-57 e n., 4S7 n., S44 e n., 617 n., 669 e n., 672 n., 767 e n., 768 n., 928 n., 978, 981 Domenichi (Ludovico), 250 n., 537 n., S75, 582, 591, S93, 646 n.,

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673 n., 768 e n., 783 n., 789 n., 804 n., 812, 831 e n. Domenico di Giovanni, vedi Burchiello (Domenico di Giovanni, detto il) Donatello, vedi Bardi (Donato de') Donati (Forese), 78 n. Donato di Cartagine, 797 (per Chiòrboli, Indice dei nomi dei Marmi, è Donato grammatico, congettura non plausibile dal contesto) Donatus minor (grammatica), 785 n. Doni {Anton Francesco), 4, 8, 22, 27, 39, 42, 167 n., 393 n., 438 n., 463 n., 489 n., 505 n., 509 n., 519 n., 549 n., 564 n., 565 n., 571-81 (Nota introduttiva), 58296 (Nota bio-bibliografica), 832 n., 907-15 (come diretto interlocutore nei Marmi), 976, 977, 979, 982-4 (Nota critica ai testi), 985 Doni (Giovan Battista), presunto parente del Doni che lo cita nella Zucca), 608 e n. Doni (Lorenzo), personaggio probabilmente fittizio, 629 e n. Doni (Silvio), figlio di Anton Francesco, 583 Donini (Pierluigi), 678 n. D'Oria (marchese Bonifacio Giovanni Bernardino), 626, 93S n. Dortelata [o D'Ortelata] (Neri), 766 e n., 872 n., 873 n. Dottore (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 907 n. Dottrina del ben vivere, 709 Dragoncino [o Dragonzino] (Giovambattista), 549 e n., 550 n. Drusiana (personaggio cli opere cavalleresche), 64 e n. Drusio Germanico, vedi Germanico (Giulio Cesare), figlio di Druso Druso (Nerone Claudio), 696 e n. Dubbioso (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi e nei Mondi, 700 n., 740 n., 763 n., 948 n., 965 (sua Dichiarazione) Dublin (P. G.), 3S Duglioli (beata Elena), vedi Lena dall'Olio Durnesnil (Alfred), 33

Duns Scoto (Giovanni), 778 n. Durantino (Francesco Luzio), 669 n. Eaco (mitologia), 919 n., 948 n. Ebc (mitologia), 752 n. Ecclesiastico, vedi Libro dell' Eccle-

siastico Echimenedo Covidolo (pseudonimo anagrammatico di Ludovico Domenichi), 789 n. Eco (mitologia), 762 (Ecco) e n. Einstein (Alfred), S79, 589 Elena [o Lena] (santa), madre dell'imperatore Costantino, 426 (L.) e n., 427 (L.) e n. Eleonora d'Austria (regina di Francia), 520 n. Eleonora di Toledo (moglie di Cosimo I de' Medici), 205 n., 51 In., 837 n. Elevato (l'), accademico peregrino, 794, 95 I Elia (mastro), vedi Alfan (Elia) Elia (profeta biblico), 897 n. Eliogabalo (Marco Aurelio Antonino, soprannominato), imperatore romano, 726 Elisabetta I (regina d'Inghilterra), 624 n. Elpino (personaggio bucolico), 750 n., 751 Elwert (Wilhelm Theodor), 541 n. Emanuele I il Grande (re del Portogallo), 34 Enea (messer), vedi Vico (Enea) Enea (personaggio di Virgilio), 30, 282 (un barone romanesco, non romano)-97 e n., 329 n. Ennio (Quinto), 70 n., 797 Enrico III (re di Francio), 583 Epistole di san Paolo, 455 n., 610 n., 613 n., 629 n., 631 n., 648 n., 673 n., 845 e n., 942 n. Epistole di san Pietro, 466 n., 502 n., 846 n. Epitteto, 452 n. Erasmo da Rotterdam, 768 e n. Ercole (mitologia), 501 n., 503, 541 e n., 634 e n., 638 e n., 646 Ercole II d'Este (duca di Ferrara), 202 e n., 505 e n., 979 Eriugena ( Giovanni Scoto), 778 n. Ermagora (retore greco), 797 Ermicle (supposto storiografo anti-

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co, menzionato dal Doni), 797 Erode il Grande (re della Giudea), 109 n., 956 n. Erodoto, 905 n. Esaù (personaggio biblico), 364 (lsdraiì) e n. Eschine, 679 e n., 901 Esodo, vedi Libro dell'Esodo Esopo, 370 n. Este (Casa d'), in Ferrara e altri domini, 635 n. Este (Ippolito II d'), cardinale, 505 n. Étampes (Anne de Pisseleu, duchessa d 1 ) , 462 e n. Etrusco (L'), vedi Pazzi (Alfonso de') Ettore (eroe troiano), 726 Eugenio III (papa), 521 Euridice (mitologia), 950-1 e n. Euripide, 913 n. Euripontidi (dinastia spartana), 645

n. Eusebi (Gian Ambrogio degli), 401 n., 545 (Ambrogio) e n., 980 Eva, 45, 70, 152 n., 393 Ezzelino da Romano, 583

F abato

(Calpurnio), prosuocero di Plinio il Giovane, 731, 732 n., 902 e n. Fabene (Zanobi, detto Bobi), personaggio del Doni, 6 5 1-5 Fabi (Massimo), 26, 27, 32, 33 Fabris (Giovanni), 596 Fabrizio [Fabricio] da Parma (cortigiano papale), 443 Fabrizio Luscino (Gaio), 605 Fagotto (Virginio), 586 Falaride (tiranno d'Agrigento), 776 (congettura per Fallari) e n. Falconio (Pompeo), corrispondente di Plinio il Giovane, 902 e n. Fnlcuccio (don), personaggio proverbiale, 337 e n. Faldossi (Guasparri), interlocutore nei Marmi, 824 n. Fallari, vedi Falaride Fama (personificazione), 348, 501 n., 518 n., 519, 535, 539 Fanfani (Pietro), S75, 590, 596, 701 n., 705 n., 708 n., 709 n., 7II n., 713 n., 715 n., 718 n., 719 n., 720 n., 72,1 n., 722 n.,

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724 n., 72S n., 726 n., 727 n., 728 n., 729 n., 730 n., 731 n., 733 n., 735 n., 736 n., 741 n., 742 n., 744 n., 748 n., 751 n., 753 n., 754 n., 765 n., 766 n., 776 n., 778 n., 779 n., 780 n., 781 n., 782 n., 785 n., 788 n., 789 n., 793 n., 797 n., 813 n., 814 n., 815 n., 816 n., 817 n., 819 n., 820 n., 823 n., 831 n., 837 n., 838 n., 839 n., 840 n., 842 n., 844 n., 852 n., 858 n., 859 n., 865 n., 866 n., 870-1 n., 872 n., 873 n., 874 n., 878 n., 889 n., 890 n., 891 n., 893 n., 899 n., 900 n., 908 n., 909 n., 910 n., 911 n., 913 n., 918 n., 919 n., 922 n., 924 n., 983, 984. Vedi anche R1CUTINI-FANFANI Fanfera (il), interlocutore nei Marmi, 801-3 Fantino da Ripa (pseudonimo di Ludovico Domenichi), 789 n. Farnese (Alessandro), vedi Paolo III, papa Farnese (Alessandro), cardinale, nipote di papa Paolo III, 204 n. Farnese (Ottavio), duca di Parma e poi anche di Piacenza, 557 e n. Farnese (Pier Luigi), duca di Parma e Piacenza, 204 n., S57 e n. Farri (Giovanni de), stampatore, 979 Fata fiesolana (la), 920, 948 n., 971 n. Fatini (Giuseppe), 28, 678 n. Fava (Giovan Francesco), 625 Fava (leronimo), 625 Fava di Pier Baccelli (il), vedi Baccelli (il Fava di Pier) Favilla (Agnolo del), interlocutore nei Marmi, 824 e n., 888 n. Fazio (fra), personaggio delr Aretino, 135 Federico di Montefeltro (duca d'Urbino), 530 n. Federico II Gonzaga (marchese e poi duca di Mantova e, quindi, marchese di Monferrato), 14, 15, 202 e n., 434 e n., 43S n., 482 n., 484 e n., 489 n., 492 n., 509 n., 808 n. Federico III (imperatore), 607 n. Fedro, 370 n.

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Feliciano (Bernardino), 670 e n., 672 n. Feltro (Antonio da), 687, 770 e n., 803, 983 Feltro (Beatrice da), vedi Pellegrina [Pellegrino] (Beatrice) Feltro (Marco da), 688 Ferante [o Ferrante], in citazione proverbiale, 234 (da Baiame a Ferante) e n., 598 (tra Baiante e Fe"ante) e n. Ferdinando I d'Asburgo (imperatore), 202 e n., 502 e n., 769 Ferrarino (Luigi), 985 Ferrero (Ermanno), 528 n. Ferrero (Giuseppe Guido), 8, 22, 27, 53 n., 54 n., 56 n., 77 n., 78 n., 79 n., 80 n., 81 n., 96 n., 97 n., 98 n., 107 n., 109 n., I IO n., 122 n., 123 n., 124 n., 125 n., I33 n., 134 n., 135 n., 136 n., 138 n., 141 n., 142 n., 149 n., I 50 n., 151 n., 162 n., 179 n., 180 n., 181 n., 183 n., 185 n., 206 n., 208 n., 209 n., 210 n., 225 n., 227 n., 239 n., 241 n., 243 n., 245 n., 246 n., 248 n., 252 n., 27 5 n., 281 n., z8 5 n., 286 n., 287 n., 291 n., 294 n., 295 n., 296 n., 297 n., 298 n., 299 n., 300 n., 301 n., 302 n., 304 n., 305 n., 306 n., 307 n., 309 n., 339 n., 343 n., 345 n., 358 n., 359 n., 36I n., 362 n., 365 n., 367 n., 369 n., 380 n., 381 n., 382 n., 383 n., 384 n., 386 n., 388 n., 391 n., 393 n., 394 n., 424 n., 426 n., 427 n., 459 n., 460 n., 463 n., 465 n., 466 n., 467 n., 468 n., 469 n., 470 n., 471 n., 472 n., 473 n., 476 n., 478 n., 479 n., 480 n., 481 n., 482 n., 483 n., 484 n., 485 n., 486 n., 487 n., 488 n., 489 n., 490 n., 492 n., 493 n., 495 n., 498 n., 504 n., 505 n., 509 n., 511 n., 516 n., 518 n., 519 n., 521 n., 523 n., 524 n., 525 n., 526 n., 527 n., 528 n., 529 n., 530 n., 531 n., 533 n., 535 n., 537 n., 538 n., 539 n., 544 n., 545 n., 546 n., 549 n., 552 n., 553 n., 555 n., 556 n., 557 n., 558 n., 559 n., 560 n., 561 n.,

562 n., 563 n., 564 n., 565 n., 566 n., 574, 585, 599 n., 600 n., 601 n., 614 n., 616 n., 620 n., 621 n., 623-4 n., 626 n., 636 n., 637 n., 638 n., 640 n., 641 n., 642 n., 643 n., 652 n., 654 n., 655 n., 689 n., 690 n., 701 n., 702 n., 703 n., 728 n., 729 n., 730 n., 732 n., 733 n., 771 n., 772 n., 773 n., 774 n., 775 n., 776 n., 782 n., 783 n., 785 n., 786 n., 791 n., 792 n., 793 n., 796 n., 805 n., 812 n., 843 n., 844 n., 845 n., 846 n., 855 n., 856 n., 858 n., 867 n., 869 n., 870 n., 872 n., 873 n., 874 n., 889 n., 890 n., 891 n., 892 n., 898 n., 899 n., 902 n., 907 n., 908 n., 909 n., 910 n., 913 n., 927 n., 928 n., 929 n., 935 n., 938 n., 939 n., 940 n., 945 n., 946 n., 976, 977, 979, 980, 984, 985 Fetti (fra Mariano),« frate dal Piombo», 24, 29, 245 e n., 431 e n., 560 e n. Ficino (Marsilio), 864,866, 872 e n. Fidia, 517 e n. Fiegiovanni (il), interlocutore nei Marmi, 741 n. Fiesolana (la fata), vedi Fata fiesolana (la) Filarete (il), vedi Averlino [o Averulino] (Antonio Francesco) Filippino (Giovan Battista), 626 Filippo (bottaio), interlocutore nei Marmi, 888 n. Filippo (fra), vedi Lippi (fra Filippo) Filippo (santo), apostolo, 273 Filippo II, il Grande (re di Macedonia), 566 e n. Fior di virtù, 696 e n. Firenzuola (Agnolo), 565 n., 585, 652 n., 675 n., 678 e n., 679, 715 n. Firpo (Luigi), 577, 588, 935 n. Flamini (Francesco), 28, 436 n., 440 n., 549 n., 593, 793 n. Flamminio (personaggio dell'Aretino), 541 n., 552 n. Flavio Giuseppe, vedi Giuseppe Flavio Fleuret (Femand), 975

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Flora (Francesco), 7, 22, 2s, 37, 41, 42, 50 n., 258 n., 366 n., 392 n., 436 n., 437 n., 443 n., 471 n., 499 n., 505 n., 512 n., 515 n., 518 n., 520 n., 521 n., 523 n., 525 n., 529 n., 538 n., 539 n., 559 n., 562 n., 576, 587-8, 977, 979, 980, 981 Floriana [Floriani] (Elena), 670 n. Florio (John), 306 n., 595. Vedi

anche FLORIO-ToRRIANO FLORIO-ToRRIANO ( = Vocabolario Inglese fs Italiano [di John Florio e Giovanni Torriano ... ], London, Martin J a. Allestry and Th. Dicas, 1659), 87 n., 286 n. Focione (filosofo), 599 n., Foglietta (Uberto), 574, 585 Foix (Odet de), sire de Lautrec, vedi Lautrec (Odet de Foix, sire de) Folena (Gianfranco), II, 21, 22, 38, 195 n., 315 n., 697 n., 906 n. Folengo (Teofilo) [Merlin Cocai], 52 n., 60 n., 64 n., 70 n., 96 n., 100 n., 123 n., 147 n., 150 n., 154 n., 202 n., 290 n., 319 n., 336 n., 579, 639 n., 768 n., 774 n., 808 n., 814 n., 815 n., 820 n., 93 I n., 934 n.

Fontana (Domenico), architetto, 431 n. Fontana (Lorenzo), 41, 4S Fontanini (Giusto), 591 Foppa (Cristoforo), detto il Caradosso, orefice, 259 n. Foroneo (re d'Argo), 901 e n. Fortini (Pietro), 592 Fortunato (conte), vedi Martinengo (conte Fortunato) Fortunio, vedi Spira (Fortunio) Foschini (Antonino), 36 Fracastoro (Gerolamo), 52 n. Fradeletto (Antonio), 40 Francesca da Rimini (personaggio di Dante), 234 n. Fra11cescliina (La bella), canzone, vedi Bella Franceschina (La) Francesco (pelacane), interlocutore nei Marmi, 871 n. Francesco (santo), vedi Francesco d'Assisi (santo) Francesco I de' Medici (granduca di Toscana), 508 n.

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Francesco I di Valoia (re di Francia), 3, 15, 23, 26, 49 e n., 205 n., 367 e n., 394 n., 461, 462 n., 483 e n., 487 n., 494 e n., 495 n., 496, 519 e n., 520 n., 527 n., 539 e n., 541 e n., 542 n., S49, 848 e n., 851 e n., 864 n. Francesco I I Gonzaga (marchese di Mantova), 202 n., 807 n. Francesco da Bologna (tipografo), vedi Griffi (Francesco) da Bologna Francesco da Colle (letterato), vedi Colle (Francesco da) Francesco d'Assisi (santo), 142 n., 910

Francesco Maria I della Rovere (duca di Urbino), 24, 203 e n., 482 e n., 483, 484 e n., 489 n., 552 n. Francia (regina di), cantata dal1'Aretino, vedi Caterina de' Medici (regina di Francia) Franciotto (Niccolò), capitano lucchese, corrispondente dell' Aretino, 245 n., 559 e n., 561 n. Franco (Nicolò), 4, 34, 41, 433 n., 544 e n., 545 e n., 556 e n., 577 Franco (Veronica), 299 n. Fresco (Ulisse), 38 Frey (Carlo), 501 n., 504 n. Fubini (Mario), 8 Fucci (Vanni), personaggio di Dante, 640 n. Fuga (Ferdinando), architetto, 431

n. Fuscello (•cavalcatore • in Puglia, nel Doni), 743 Fuscello («vantatore •, anzi • frappatore • nel Doni), ciabattino, 742, 743

Gabardi (Domizio), vedi Gavardi (Domizio) Gabardi (Giovambattista), vedi Gavardi (Giovambattista) Gabardi (Lelio), 670 n. Gabriele (angelo dell'Annunciazione), 531, 643 (l'Agnolo) e n. Gaddi (Niccolò), 461 e n. Galante (Luigi), 522 n. Galasso (fra), personaggio dell' Aretino, 75 Galeno (Claudio), 458 e n., 7S4

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INDICE DEI NOMI

('l Pergamese) e n., 797 (Galieno) Galgano (santo), 335 Galilei (Galileo), 593, 701 n., 705 n. Galletti (Alfredo), 595 Gallo (personificazione di Pitagora), 47 n. Gallo (servitore di Venere e di Marte), mitologia, 893 Galloria (beccaio), interlocutore nei Marmi, 888 Ganimede [e anche Canimedo] (mitologia), 74 (con valore generico), 188 (C. o G.), 631, 691 e n. Gano di Maganza, 171 n., 291 n., 296 n. Gardane (Antonio), stampatore francese, 546 n. Garfagnino (il), vedi Porta (Giuseppe) Gargàno (Giuseppe S.), 594 Garico (astrologo), vedi Gaurico (Luca) Garin (Eugenio), 577, 588 Garzoni (Tommaso), 112 n. Gasparini (Giammaria), 27 Gaspary (Adolf), 39, 592 Gaudenzia (suor), personaggio del1' Aretino, 224 Gaurico (Luca), astrologo, 365 (Garico) e n., 366 n., 445 (Garichi) e n. Gaurico (Pomponio), umanista, 366

n. Gauthiez (Pierre), 35, 38 Gavardi [Gabardi o Guardi] (Domizio), 670 e n. Gavardi [Gabardi o Guardi] (Giovambattista), 617 n., 670 n. Gavardi (Ottaviano), 670 n. Gaye (Giovanni), 516 n. Gaztelu (Domingo de), 985 Gedeone (personaggio biblico), 956

n. Gelasio Il (papa), 521 Gelli (Giovan Battista) [il Gello], 44-0 n., 473 e n., 585, 626 e n., 645 e n., 693 e n., 709, 802 e n. Gellio (Aulo), 599 (Aulogellio) e n., 797 (id.) e n. Generi, vedi Libro della Genesi. Gennarini (Edoardo), 38 Gennaro [Gennaio] (santo), 859 e n. Genovese (la), collega o conoscenza della Nanna, 180 e n. Gerace (Alfredo), 591, 974

Gerber (Adolf), 973 Gcrbi (Antonello), 45 Geremia (profeta biblico), 73 e n. Vedi anche Profezia di Geremia Germanico (Giulio Cesare), figlio di Druso, 696 (Drusio G.) e n. Gerolamo [Girolamo o leronimo] (santo), 107,359,530,606,607 n., 628 e n., 643, 797, 957 e n. Gesù Cristo, 81 n., 134, 176 e n., 194,270,381,453,489,494,496, 497,499, 507, 513, 515, 516 (G.), 518, 519 (Figliuol di Dio), 520, 521 (G.), 522, 527, 529 (G. e anche C.), 530, 534 (G.), 535 n. (id.), 539, 540, 542 (G.), 558 (G. C.), 599 n., 798 n. (G.) 845 (Cliristus) e n., 846 (il Maestro), 878 (il Salvatore) e n., 879 (il nostro Salvatore), 955 (C. G.), 985 Getto (Giovanni), 576, 59S Gherardi (Cristoforo), detto Dioceno, 500 n. Gherardi (Gherardo), 545 (il Gherardo) e n. Gherardo (Quinto), 547 n. Ghetto (sensale), personaggio del Doni, erroneamente chiamato Pazzi di casato dal Boffito e dal Chiòrboli, 593, 700-5 e n., 740 n., 763 n. Ghioro (rigattiere), interlocutore nei Marmi, 708-18 Ghirlandaio [o Grillandaio] (Domenico), 734 n. Ghirlandaio [o Grillandaio] (Ridolfo), interlocutore nei Marmi, 708 (R. del Grillandaio), 734-40 (id.) e n. Ghislieri (Michele), vedi Pio V, papa Giacomino da Verona, 416 Giacomo (santo), apostolo, 483 e

n. Giacomo II (re di Cipro), 492 n. Giacoponc da Pietrapiana (fra), 395

e n. Giambullari (Pier Francesco), 645, 766 e n. Giampolo, vedi Zuan Polo Gian Benvenuto (firenzuolese), personaggio del Doni, 618, 630 (B.) e n. Gian da Turino (capitano), vedi

INDICE DEI NOMI

Turrini (capitano), detto Gian da Turino Giangiovacchino (signor), non identificato, 549 e n. Gianiacopo (ambasciatore d'Urbino), vedi Leonardi (Gianiacopo) Gian Maria da Verucchio e de la Scorticata (liutaio), 175 (G. M. Giudeo), e n., 252 e n., 253 n. Gian Maria Giudeo, vedi Gian Maria da Verucchio e de la Scorticata Gian Matteo, vedi Giberti (Giovanni Matteo) Giannicco (personaggio dell' Aretino), 382 n. Gian Pietro Serapica [cioè «zanzara•, per soprannome], vedi Serapica ( Gian Pietro) Giason del Maine, vedi Del Maino (Giasone) Giberti (Giovanni Matteo), datario pontificio, 15, 284 (Gian M.) e n., 489 n. Giganti (mitologia), 773-6 Gige (re di Lidia), 712 n. Gigli (Silvestro), decano di Lucca, 670 n. Gilbert (Gabriel), 38 Gimignano (santo), 84 Ginevra (personaggio poetico), 750 Ginguené (Pierrc-Louis), 33 Ginori (Leonardo), 501 n. Giobbe (personaggio biblico), 129 e n., 160 (in questa, e nelle tre segnalazioni immediatamente successive, chiamato «santo• da personaggi dell'Aretino), 18 5 e n., 317 e n., 359 e n., 446, 612 e n., 628. Vedi anche Libro di Giobbe Giolito (editori), vedi Giolito de Ferrari Giolito dc Ferrari (famiglia di tipografi-editori), 436 n., 591-2, 767

n. Giolito de Ferrari (Giovanni Gabriel [detto Gabriel]), IJ 1, 580, 583, 669 n., 767 e n., 768 n., 801 Giolito de Ferrari (Giovanni il Vecchio), tipografo-editore, 767 n. Giorno {pollaiolo), interlocutore nei Marmi, 871 n.

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Giordano dei figli di Orso ( cavaliere, senatore di Roma), 837 Giordano Orsini, vedi Giordano dei figli di Orso Giorgio (calzolaio), interlocutore nei Marmi, 824 n., 860 n., 871 n. Giorgio (santo), 643 Giorgio d'Arezzo, vedi Vasari (Giorgio) Giotto (Angiolotto di Bondone), 604 n., 705 n., 855 n., 866 Giovan Battista (in citazione generica fatta dal Doni), 780 (Zannibattista), 781 Giovan Battista di Iacopo, vedi Rosso Fiorentino (il) Giovan Maria, vedi Cecchi (Giovan Maria) Giovanna (nome generico di amasia), 565 (Giovanne) Giovanna (papessa leggendaria), 185 (la papessa) e n. Giovanni (diceria dei), nella Zucca del Doni [di essi non è dato l'elenco completo nel presente Indice dei nomil, 617-27 Giovanni (papa), forse Leone X (vedi) Giovanni (santo), apostolo, 258 n. Vedi anche Apocalisse e Vangelo secondo Giovanni Giovanni (scultore non identificato), 506, 507 n. Giovanni (signor), vedi Medici (Giovanni de'), dalle Bande Nere Giovanni XXIII, antipapa (Baldassarre Cossa), 623 (quondamlohannes papa) e n. Giovanni Boccadoro (santo), vedi Giovanni Crisostomo [o Grisostomo] (santo) Giovanni Crisostomo [o Grisostomo] (santo), 359 (san G. Boccadoro) e n., 630, 960 Giovanni da Capua, 595 Giovanni da Fiesole (fra), vedi Angelico (Beato) Giovanni dalle Bande Nere, vedi Medici (Giovanni de'), dalle Bande Nere Giovanni da Udine [Giovanni Recamador], pittore, 622 e n. Giovanni di Brunacciono (fìrenzuolese), 618

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INDICE DEI NOMI

Giove (mitologia), 574 (come personaggio del Doni), 585 (id.), 631, 632, 633, 871 n. (effigiato in statua, parla nei Marmi), 891, 892, 935. Vedi anche Zeus Giovenale (Decimo Giunio), 48 (Giovinale), 114 n. Giovio (Benedetto), 669 n. Giovio (Paolo), vescovo di Nocera dei Pagani, 22, 45, 204 e n., 440 e n., 537 (vescovo di Nocera) e n., 538 n., 539 n., 582 Giraldi (Giovanni), 592

Girella (personaggio del Giusti), 778 n. Girolamo (santo), vedi Gerolamo (santo) Girolamo da Vicenza, vedi Schio (Girolamo Bencucci da) Giuda Scariotto, 335 n. Giudici (/), vedi Libro dei Giudici Giugurta (principe di Numidia), 726 Giulia, 178 (Giulie, generico) Giulia (personaggio dello pseudoAretino), 977 Giuliano (figlio di Baccio d'Agnolo), 502 e n. Giuliano (santo), 73 e n., 852 e n. Giuliano Il de' Medici (duca di Nemours), vedi Medici (Giuliano Il de') Giulio (speziale firenzuolese), personaggio del Doni, 630 e n. Giulio Il, papa (Giuliano della Rovere), 259 e n., 386 e n., 437 e n., 668 n., 737 Giulio III, papa (Giovan Maria de' Ciocchi del Monte, già detto cardinal di Monti e già arcivescovo di Siponto), 22, 24, 455 n., 506 (arcivescovo sipontino) e n., 627 e n., 851 n. Giulio Camillo, vedi Delminio (Giulio Camillo) Giulio Romano ( = Giulio Pippi), 15, 864 n. Giunta (Lucantonio), editore, 793

n. Giunta [o Giunti] (editori), 541 n., 583, 831 n. Giuseppe (nome generico), 798 (quei Giuseppi) Giuseppe (santo), 359, 956

Giuseppe Flavio, 797 e n. Giusti (Giuseppe), 291 n., 443 n., 778 n. Giustiniani (Pietro), 642 n. Giustiniano (Giovanni), detto di Candia, interlocutore del Ragionamento de le Corti e lodato nelle Carte parlanti, 457 n., 978 Giusto, 411 n. Gnoli (Aldo), 37 Gnoli (Domenico), 37, 544 n. Gnoli (Umberto), 275 n. Gobbo (sargiaio), interlocutore nei Marmi, 824 n. Gobbo da Sarezzana [ = Sarzana] (il), 606 e n. Goldoni (Carlo), 8 Gonnella (buffone alla Corte di Ferrara al tempo del duca Borso), 157 n. Gonnella (buffone alla Corte di Ferrara al tempo di Obizzo Il), 157 n. Gonnella (con citazione generica per i due buffoni di cui in precedenza), 157 e n., 817 e n. Gonzaga (Ferrante), viceré di Sicilia, 503 n., 687 n., 807 e n., 854 n. Gonzaga (Luigi Alessandro), 203 e n., 482 e n. Gottifredi (Bartolomeo), interlocutore nei Marmi, 582, 782-90 Gozzadini (Tommaso), 696 n. Gozzo (taverniere), interlocutore nei Marmi, 796-801 Gradana (il), vedi Gardane (Antonio) Graesse (J ohann Georg Theodor), vedi GRAESSE GRAESSE [ = J. G. Th. Graesse, Trésor de livres rares et précieu.t: ou Nouveau diction11aire bibliograpliique • •. , Dresde, R. Kuntze, 18591869, in tomi 6 di cui il 6° in due parti, et. 7° di Supplément, 1869], 17

Graf (Arturo), 3, 12, 35, 37, 39, 41, 45, 139 n., 187 n., 245 n., 290 n., 564 n., 572 Gran Diavolo (soprannome di Giovanni dalle Bande Nere) vedi Medici (Giovanni de'), dalle Bande Nere

INDICE DEI NOMI

Granza (Rocco), compare del Doni, 597 e n. Grassi (Luigi), 577, 580, 589 Grasso (Diodoro), 38 Grazie (le), mitologia, 926 Grazzini (Anton Francesco), detto il Lasca, 473 e n., 575, 585, 594, 672 n., 799 n., 801-3 e n, Greca (Angela), cortigiana romana, vedi Angela Greca Greco (il), forse da identificare col Rosso, 250 e n. Greco (il), omonimo del precedente, 250 n. Gregorio I, papa (santo), detto Gregorio Magno, 106 e n., 411 e n., 756 e n. Grendler (Paul F.), 576-7, 588-9 Griffi (Francesco) da Bologna, tipografo, I 50 n. Grifone, vedi Tamburino (Grifone) Grillandaio (del), vedi Ghirlandaio (del) Gritti (Andrea), doge di Venezia, 16, 489 e n., 494 e n., 496 n, Gritti (Luigi), 496 e n. Gruaro (Quinto), 545 e n., 547 n. Gruff Marit (Giovanni), forse nome inventato dal Doni, 622 e n. Grullonc (il), personaggio proverbiale, 735-7 Gualino (Lorenzo), 452 n. Guardati (Tommaso), detto Masuccio Salernitano, 460 n. Guardi (Domizio), vedi Gavardi (Domizio) Guardi (Giovambattista), vedi Gavardi (Giovambattista) Guarini (Giovambattista), 671 n. Guastalla (contessa Lodovica), 143 ( V astalla) e n. Guevara (Luis Vélez de), vedi Vélez de Guevara (Luis) Guglielminetti (Marziano), 675 n., 799 n. Guglielmo (sarto), interlocutore nei Marmi, 728-33 Guicciardini (famiglia), 614 n., 634 Guicciardini (Francesco), 286 n., 614 n., 865 Guicciardini (Luigi), vicario di Arezzo, 582, 614 e n. Guidetti (il), menzionato nei Marmi, 818

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Guidiccioni (Giovanni), corrispondente dell'Aretino, 258 n., 417 n., 437 n., 456 e n. Guidone {personaggio del Folengo), 290 n. Guidotti (Migliore), 691-700 Guidubaldo II della Rovere (duca d'Urbino), 24, 552 e n., 563 e n., 583 Guittone d'Arezzo, 435 n., 741 n. Hasan (al), sultano di Tunisi, 502 e n. Hauvette (Henri), 38 Henry (Aurelia), 46 Herolt (tipografo), 669 n. Historia Augusta, 732 n. Hosle (Johannes), 7, 21 Hurtado de Mendoza (Diego), ambasciatore imperiale e scrittore, 550 e n., 624 (chiamato Giooanni dal Doni) e n. Hutton (Edward), 35 Iacopo de' Servi (maestro), 749 e n, lacopone da Todi (Iacopo De Benedictis), 136 n., 621 n. lanua (riduzione del Donatw mi1,or), 785 n., 873 e n. leronimo (santo), vedi Gerolamo (santo) Ignazio di Loyola (santo), S57 n. Ignorante (l'), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 907

n. Ilnrione (santo), 446 e n. Impaziente (l'), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 889-907 Imperia (cortigiana), 37 Inaco (nùtologin), 901 n. Infiammati, vedi Accademia degli Infiammati (di Padova) Infradicia (1 1 ) , probabile soprannome di un interlocutore dei Marmi, 719 e n. Inghilterra (re d'), non identificato, 636 Innamorati (Giuliano), 6-7, 13, 15, 17-21, 24, 25, 39, 40, 46, S9 n., 434 n. Innocenzo III, papa (Giovanni Lotario dei conti di Segni), 6 s1 e n. Innocenzo IV, papa (Sinibaldo Fie-

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INDICE DEI NOMI

schi dei conti di Lavagna), 521 e n. Inquieto (l'), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 90715 Intelligenza (d'ignoto Autore), 642

n. Intronati, vedi Accademia degli Intronati (di Siena) loia (per Chiòrboli, Indice dei nomi dei l\1armi, è un pastore), 750 Iopa (citaredo nell'Eneide), 284 n. Iovio (Paolo), vedi Giovio (Paolo) Ippocrate, 754 Isabella (santa), 388 (Bella) e n. Isabella d'Este-Gonzaga, 35, 807 n. Isabella di Portogallo (imperatrice, moglie di Carlo V), 239 (imperadrice) e n., 515 e n., 516, 530 n., 985 Isaia (profeta biblico), 957 e n. Vedi anche Profezia di Isaia lsella (Dante), 7 Isidoro di Siviglia (santo), 651 e n., 874n. Isotta [la Bionda] (regina), moglie di re Marco di Cornovaglia, 275 e n.

Jonson (Ben), 46 Khair-ad-Din, vedi Barbarossa Kurz (Otto), 589 La Fontaine (Jean de), 594 Laini (Giovanni), 18 Lamentazioni di Geremia, 73 n.

Lamento della cortigiana ferrarese (attribuito a maestro Andrea, ma rivendicato a sé dall'Aretino), 88 n., 187 n. Lamia (mitologia), 776 e n. Landau (Horace de), 978 Landau (Marcus), 592, 593 Landi (conti), di Piacenza, 582 Landi (Antonio), 777 Landino (Cristoforo), 640 e n., 712

n. Lando (Ortensio), 577, 767 n., 867 n., 935 n. Landoni (Teodorico), 22, 487 n., 498 n., 544 n. Lapa (monna), personaggio proverbiale, 652

Larivaille (Paul), 21 Larivey (Pierre de), 594 Lasca (Anton Francesco Grazzini, detto il), vedi Grazzini (Anton Francesco) Lascaris (Giovanni), 602 n. Latini (Brunetto), 340 n., 416 n. Laura (cantata dal Petrarca), 818, 895 Laura, 178 (Laure, generico), 187 (citazione dal Lamento della cor-

tigiana ferrarese) Lautrec (Odet de Foi.x, sire de), 529 n. Lavandiera (La), canzone, 814 Lazzerini (Lucia), 550 n. Legge (cavalier Giovanni da), conte di Santa Croce, 203 e n. Legge sante (Le), libro posto in mano di Borgo tintore, interlocutore nei Marmi, 710 sgg. (con citazione dei brani, dati come desunti dall'opera suddetta) Lelio (Gaio), il Minore, 797 Lena (santa), vedi Elena (santa) Lena dall'Olio (beata Elena Duglioli), 143 e n. Lenzoni (Carlo), interlocutore nei Marmi, 708, 724, 741 n. Leonardi (Gianiacopo), ambasciatore d'Urbino a Venezia, 205 e

n. Leonardo da Vinci, 504, 670 n., 866 e n. Leone (personaggio della Moral filosofia), 680 e n., 681, 683, 685 Leone III (papa), santo, 521 Leone X, papa (Giovanni de' Medici), 14, 23, 34, 118 (per congettura: papa /anni) e n., 175 n., 203 n., 207 e n., 245 n., 252 n., 258 n., 259 n., 350 n., 437 n., 453 e n., 454 n., 455 n., 457 n., 482 n., 493 e n., 499 n., 510 n., 532 n., 557 e n., 560 e n., 660

(Leo Decimus) e n. (Leo Denills per correzione controriformistica), 661, 749 e n. Leoni (Leone), 37 Leopardi (Giacomo), 54 n., 611 n. Leopardo (personaggio della Moral filosofia), 686 n. Lesage (Alain-René), 690 n.

INDICE DEI NOMI

Leto (Pomponio), 669 n. Leva (Antonio de), vedi Leyva (Antonio dc) Levi (Cesare), 17, 38 Levitico (Il), vedi Libro Levitico Lcyva (Antonio de), so e n., 202 e n., 498 e n., 499 n., S43 e n. L'Hopital (Michel de), 38, 624 n. Libertino (Scanio [Ascanio]), vescovo d'Avellino, 687 n., 769, 804 n. Libri dei Re, 365 n., 879 n. Libro dei Giudici. 879 n., 956 e n. Libro dei Numeri, 955 e n. Libro della Genesi, 842 n., 881 n. Libro dell'Ecclesiastico, 846 e n., 955 e n. Libro deW Esodo, 631 n., 879 n. Libro di Giobbe, 612 e n., 628 e n. Libro Levitico, 629 e n. Licaone [Licaonio], 720 (censore giudice in Roma), 721, 723, 725 Licurgo (legislatore di Sparta), 646 n., 726, 732, 902 e n., 941 (Licurghi) Lino (papa), 284 e n. Lionardo Aretino, vedi Bruni (Leonardo) Lione (monsignor), non identificato, 547 e n. Lioni (Girolamo), figlio di Maffio, 526 Lioni (Luigi), figlio di Maffio, 526 Lioni (lVIaffio), 525-6 e n., 547 n. Lioni (Piero), figlio di Maffio, 526 Lippi (fra Filippo), 866 e n. Lippi (Lorenzo), 340 n. Lippotopo, vedi Vita di Lippotopo (La) Lisabetta (probabile soprannome di interlocutrice dei Marmi), 719 Liviano (non identificato), 787 Livio (Tito) [e anche: Titolivio], 30, 354 n., 462 e n., 612 n., 617 n., 797, 801 Livio Liviano (figlio di Bartolomeo d'Alviano), 203 e n. Lodovico (puttaniere), 97S Logistilla (personaggio dell 'Ariosto), 642 n. Lollio (Alberto), 625 e n., 626 n., 767 n., 782-90 e n., 804 n. Longo (Giuseppe Gasparo), pittore, 561 e n.

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Lopes Soria (don), vedi Soria (Lope dc) Lorena (cardinal di), Giovanni (vescovo di Tout e favorito di Francesco I), 203 e n., 461 n., 479

n. Lorenzina (cortigiana romana), 88 (alle Lorenzine) e n., 187 (citazione dal Lamento della cortigiana ferrarese) Lorenzo (santo), 541 Lothian (John Maule), 46 Louys (Pierre), 1 50 n. Loyola (Ignazio di), vedi Ignazio di Loyola (santo) Lualdi (Maner), 32 Luca (santo), apostolo, vedi Vangelo secondo Luca Lucano (Marco Anneo), 797 Lucantonio, vedi Cuppano (Lucantonio ), capitano Luchina (personaggio dell' Aretino), 219 Lucia (conoscenza della Nanna), 320 Lucia (santa), 387 Luciani (fra Sebastiano), detto Sebastiano dal Piombo, 387 (quel del P.) e n., 435 e n., 456 e n., 493, 513 e n. Luciano di Samosata, 47 n., S47 e n., 643 n., 689 e n., 774 n., 791 n., 918 e n., 920 n., 923 e n., 962 n., 971 n. Lucietta (personaggio dell'Aretino), 219 Lucifero (il demonio e personaggio dei Mondi), 71, 339, 962-5 Lucilio il Giovane, 828 e n. Lucrezia, 178 (Lucrezie, generico) e n. Vedi anche Lucrezia Porzia e M àdrema-no11-vole Lucrezia (moglie di Colla tino), 726, 818 (le Lucrezie, generico) Lucrezia Porzia («patrizia romana»), nome arbitrariamente assunto dalla cortigiana Lucrezia, 185. Vedi anche Lucrezia e Màdrema-non-vole Lucullo (Lucio Licinio), 733 n. Luigetto (personaggio dell' Aretino), 112 Luigi XII (re di Francia), 472 (per congettura) e n.

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Luisa di Savoia (regina di Francia), 520 n. Lusignano (famiglia di Cipro), 492 n. Lutero (l\1artin), 426 (fra Martino) e n., 871 n. (Martin Lutera), 882 n. Luzio (Alessandro), 3, 20, 24, 34, 3S, 37, 45, 52 n., 143 n., 203 n., 234 n., 366 n., 435 n., 487 n., 489 n., 490 n., 495 n., 502 n., 519 n., 544 n., 593 Maccari (Mino), 595 Maccarrone (Nunzio), 25 Macerata (medico non identificato), 452 e n. Machiavelli (Niccolò), 31, 81 n., 86 n., 138 n., 481 n., 556 n., 593 (per Belfagor arcidiavolo), 556 n., 594, 612 n., 624 n., 734 e n., 764 (il Macchiavello), 793 n., 798 n., 868 n., 977, 983 (per il M. della «testina») Maco (personaggio dell'Aretino), 31, 248 n., 251 Maddalena (personaggio dello pseudo-Aretino), 977 l\'1addalena (santa), vedi Maria Maddalena (santa} Madema (Carlo), architetto, 431 n. Màdrema (generico), da Màdremanon-vole, 136 e n., 224 (le màdreme) e n. Màdrema-non-vole [o M àdremano-vole], soprannome di Lucrezia, cortigiana romana, 127 e n., 136 e n., 186 (essa si sottoscrive Lucrezia Porzia, patrizia romana), 187 (citazione dal Lamento della cortigiana ferrarese) e n., 224 n. Maestro (interlocutore nei Marmi), vedi Pedante (un) Magagnò (il), vedi Maganza (Giovambattista) Maganza (Giovambattista), detto il Magagnò, 672 n. Magi (tre re), 150, 643 Magi (Ludovico dei), tesoriere dello Stato di Milano, 542 e n. Magliabechi (Antonio), 948 n. Mainardi (Adotto), il pievano Arlotto, 85 e n., 696 e n., 697

n., 782 e n., 801 e n., 906 e n. Mainoldo dn Mantova (il), personaggio proverbiale, 1 1 8 e n. Malcontento (accademico peregrino), 708 Malebranche (diavoli dell'Inferno di Dante), 250 n., 285 n. Malipiero (Gian Francesco), S77, 579, 586, 589 Malon (Benoit), 592 Mamiani della Rovere ( conte Terenzio), 54 n. Manacorda (Giuseppe), 785 n. Mancini (Faustina), 204 n. Mantelli (Emilio), xilografo, 585 Manto (indovina, fondatrice di Mantova), 481 n. Manuzio (Aldo), il Giovane, 767 n. Manuzio (Aldo), il Vecchio, 767 e n., 801 Manuzio (Paolo), 767 e n. Maometto [o Macometto], 198 e n., 522, 633 Marbodo (agiografo e poeta, vescovo di Rennes), 642 n. Marcantonio Bolognese, 623 n. Marcello (Nicolò), doge di Venezia, 299 n. Marchetti Ferrante (Giulio), 36 Marco (re di Cornovaglia), sposo di Isotta la Bionda, 27 5 n. Marco Antonio da Urbino, 610 Marco Aurelio Antonino (impera-tare romano), 726 Marco di Niccolò (gioielliere), 203 e n. Marcolini (Francesco), editore e disegnatore, 21, 22, 437 e n., 443, 4S7 n., 502 n., 511 e n., 545 n., 548 e n., 555 e n., 580, 591, 617 n., 671 e n., 672 n., 713 n., 727 n., 773 n., 786 n., 801, 809 e n., 825 e n., 826, 832, 890 n., 921, 926 n., 974, 977, 980-1 Marcane (pace di), espressione idiomatica, 236 e n. Marco Porzio, vedi Catone (Marco Porcia), il Censore Marfisa ( eroina di poemi cavallereschi), 205 n., 841 Margarita (cortigiana, già «massara » dell'Aretino), 556 Margherita d'Austria (figlia natura-

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le dell'imperatore Carlo V e duchessa di Firenze), 202 n., 501 n., 510 n. Margherita d'Austria (zia di Carlo V), 520 e n. Margutte (personaggio del Pulci), 83 n., 163 n., 170 e n., 171 n., 300 n., 371 e n., 372 e n., 616 n., 620 n., 873 n. Mari (Giovanni), 38, 39 Maria (madre di Gesù Cristo, con gli epiteti di: Nostra Donna, Maria Vergine, la Nunziata ecc.), 24, 65 n., 93 n., 352 e n., 367 n., 387, 391 e n., 527, 530-1, 535, 558, 643, 661 e n. Maria (nome generico), 145 (M. per Ravenna) e n. Maria Maddalena (santa), 53 e n., 387 Mariano (fra), «frate dal Piombo•, vedi Fetti (fra Mariano) Marietta (madre di Pera amante dell'Aretino), vedi Riccia [Ricci] (Marietta) Marietta (monna), madre della Nanna, 54 Marino (messer), personaggio del Burchiello, 642 n. Marino (Giambattista), 20 Marino di Tiro (geografo), 797 Mariotto (barbiere di Casa Medici), 560 n. Marmi (Anton Francesco), 948 n., 954 n. Marquale (Giovanni), 626 Marsia (mitologia), 541 e n. Marte (mitologia), 348, 529 e n., 622 (generico), 646, 690, 706, 850 (generico), 885, 893 Martelli (Nicolò), dcli' Accademia degli Umidi di Firenze, interlocutore nei Marmi, 708, 719-27 e n., 742-63 e n. Martelli (Ugolino), 671 n. Martello (editore fiorentino), 727

e n. Martellotti (Guido), 986 Martin d'Amelia (personaggio proverbiale), 392 n. Martinengo (Casa bresciana), 625 (i signori Martinenghi) Martinengo (conte Fortunato), «il Risoluto», interlocutore nei Mar-

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mi, 624 e n., 672 n., 700 n., 740 n., 763-70 e n. Martini (Francesco di Giorgio), architetto, 937 n. Martini (Giovanni) da Udine, 622 n. Martino (fra), vedi Lutero (Martin) Martino (santo), 279, 652, 666 e n. Martino V, papa (Ottone Colonna), 623 n., 733 n. Martinori (Edoardo), 301 n., 364 n., 643 n. Marzi (vescovo de'), forse da identificare col susseguente, 753 Marzi (ser Agnolo), vescovo di Assisi, 502 e n. Marziale (Marco Valerio), 48 Masinissa [o Massinissa], re di Numidia, 557 Masino (personaggio proverbiale per la sua gatta), 88 e n. Maso [o Masetto] da Lamporecchio [in Aretino Lampolecchio], 61 e n., 62 Massimiliano Il d'Asburgo (re di Boemia), 915 e n. Mastrelli (Carlo Alberto), II3 n. Masuccio Salernitano, vedi Guardati (Tommaso) Matteo, vedi V angelo secondo Matteo Mattio (orafo), 705 e n. Maurici (Andrea), 45 Maurizio da Milano (ser), cancelliere del Magistrato degli Otto, 721 e n. Mauro (Bono), 669 n. Mauro d'Ognissanti (fra), astronomo, 701 e n. Maylender (Michele), 595, 603 n., 672 n., 673 n. Mazuchelli [nelle citazioni di G. Apollinaire], vedi Mazzuchelli (Gian Maria) Mazzeo (maestro), medico, interlocutore nei Marmi, 824 n. Mazzola (Ubertinus), nome probabilmente fittizio, 201 e n., 973 Mazzoni (Guido), 45 Mazzuchelli (Gian Maria), 8, 16, 17, 26, 32-3, 489 n., 979, 980, 981 Mazzuoli (Giovanni), detto lo Stradino e anche il Consacrata e il

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Pagamortn, interlocutore nei Marmi, 673 n., 708 e n., 719-27 e n., 742-63 Medea (mitologia), 726 Medici (Casata dc'), in Firenze, 207 e n., 509 (casa Medica), 668 n., 719 n. Medici (Cosimo de'), il Vecchio, 475 n., 508 n., 623 n., 864, 866 n. Medici (Francesca de'), nata Salviati, 510 n. Medici (Giovanni de'), cardinale e poi papa, vedi Leone X, papa Medici (Giovanni de'), dalle Bande Nere, 14, 15, 348 e n., 475 e n., 481-6 e n., 487 n., 501 n., 508 n., 509 n., 622 e n., 850 e n., 864 e n. Medici (Giovanni de'), il Popolano, 481 n. Medici (Girolamo), 925 Medici (Giuliano I de'), 560 e n., 861 n. Medici (Giuliano II de'), duca di Nemours, 440 n., 861 n., 862 n., 863 e n. Medici (Giulio de'), cardinale e poi papa, vedi Clemente VII, papa Medici (Ippolito de'), cardinale, 50 e n., 139 n., 204 n., 440 e n., 475 e n., 496 e n., 535 n. Medici (Lorenzino de'), 421 n., 501 n., 508 n., 759 n. Medici (Lorenzo I de'), il Magnifico, 560 e n., 861, 864 Medici (Lorenzo II de'), duca d'Urbino, 501 n., 861 n., 862 n., 863 e n. Medici (Lucrezia de'), vedi Salviati (Lucrezia), nata de' Medici Medici (Maddalena di Lorenzo de' Medici), vedi Cybo [o Cibò] (Maddalena), nata de' Medici Medici (Maria de'), nata Salviati, 484 e n., 487 n., 510 Medici (Ottaviano de'), conestabile dei Fiorentini, 510 n. Medin (Antonio), 594 Medusa {mitologia), 563 n. Melagrano (Andrea del), stampatore, vedi Wolfe (John) Melchisedech (personaggio biblico), 89 (generico), 284 (id.) e n. 'Melia (vescovo da), vedi Amelia (vescovo d')

'Melin [od' Amelia] (Iacobaccio da), vedi Amelia (lacobnccio d') Mclzi (famiglia), 670 n. Mcndozza (don Diego di), vedi Hurtado de Mcndoza (Diego) Menippo di Gàdara, 643 e n., 920 e n., 948 n., 953 e n., 962 n. Meo dal presto (interlocutore net Marmi), 824 n. Mercati (Angelo), 544 n. Mercurio (maestro), personaggio dell'Aretino, 248 e n., 249 Mercurio (mitologia), 631 e n. Merlin Cocai, vedi Folengo (Teofilo) Messalina (Valeria), 114 n. Messedaglia (Luigi), 923 n. Messia (Pedro), vedi Mexìa (Pero) Messina (Michele), 576, 582, 583, 584, 590, 837 n. Metamastica (nome burlesco d'una cucitrice di brache), 860 Metrodoro (di Atene), 500 e n. Mexìa (Pero), 436 n. Michelangelo, vedi Buonarroti (Michelangelo) Michele (sellaio), interlocutore nei Marmi, 871 n. Michelozzo (architetto e scultore), 623 n. Migliorini (Bruno), 45, 119 n., 247 n., 585 MIGNE, P. G. ( = Patrologiae cursus completus. Series II, Patrologia Graeca, dal tomo I, Excudebatur et venit apud J .-P. Migne editorem [in Parigi], 1857, e tomi sgg.), 955 n. MIGNE, P. L. ( = Patrologiae cursus completus. Series 1, Patrologia Latina, dal tomo I, Parisiis, Excudebat Migne, 1844, e tomi sgg.), 607 n., 609 n., 628 n., 651 n., 9S5 n., 957 n., 960 n. Mignon (Maurice), 793 n. Milanesi (Gaetano), 501 n., 531 n., 622 n. Mille e una notte, 686 n. Minerbetti (arcivescovo), 660 e n., 661 Minestrone (fra), soprannome satirico usato dall'Aretino, 135 e n. Minosse (mitologia), 919 n., 948 n. Minotauro (mitologia), 129 n.

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Mirto (figlia di Aristide il Giusto), 904 n. Mitridate VI Eupatore o il Grande (re del Ponto), 733 e n. Mocenigo (Francesco), 526 (Moccinico) e n. Mocenigo (Pietro), doge di Venezia, 475 n. Molièrc (Jean-Baptiste Poquelin, detto), 35, 590, 593 Molini (Giuseppe), 975 Molmenti (Pompeo), 37 Molza (Francesco Maria), 204 e n., 440 e n., 522 e n., 523 n., 524 n., 600 n., 975. Vedi anche Siceo (padre) Momigliano (Attilio), 41, 571, 5723, 584, 587, 889 n., 927 n. Momo (personificazione del biasimo nella mitologia greca e personaggio del Doni), 574, 585, 935, 948 n., 962-71 (interlocutore nei Mondi) e n. Monicchio (scimmiotto dell'Aretino), vedi Bagattino Montano (personaggio bucolico), 750 n., 751 Monte (Giovan Battista), capitano, 851 e n. Montefeltro (Agnese dei duchi di), vedi Colonna (Agnese), nata dei duchi di Montefeltro Montelupo (Raffaello da), 504 e n. Monterosso Vacchelli (Anna Maria), 579, 589 Monti (cardinal di), quindi papa, vedi Giulio III, papa Monti (personaggio non identificato), 455 e n. Montorsoli (Giovanni Agnolo, detto il), scultore, 502 n., 503 e n., 504 n., 582, 626 e n., 865 e n. Mopso (personaggio bucolico), 749 (Mosso) e n. Morando (Giovannantonio), 626 Moreni (Domenico), 831 n. Morgana (fata), 143 Morgantaccio, vedi Morgante Morgante (personaggio del Pulci), 371 e n., 504 (Morgantaccio) e n., 620 n. Moro (Tommaso), vedi Tommaso Moro (santo) Morosini (casata), in Venezia, 811

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Morosini (Cipriano), 601 (C. Mori.sini) e n., 810 (C. Moresini) e n. Morvile (Giovanni di), vedi Morvilliers (Jean de) Morvilliers (Jean de), 624 (Giovanni di Morvile) e n. Moschino (interlocutore nei Marmi), 734-40 Mosè [o Moise], 45:1. e n., 63 I e n., 754, 849, 879 e n., 901 n. Mosto (Angiolo), 984 Motta (compare), probabile conoscenza dell'Aretino, 302 n. Miiller (Giuseppe), 528 n. Mulo [e anche; Mulaccio] (personaggio della Moral filo.sofia), 680, 683, 686 e n. Muse (mitologia), 926 Mutinelli (Fabio), 805 n.

N afissa

(presunta protettrice delle cortigiane), 60 (santa N.) e n., 61, 261 e n., 307 (.sante Nafis.se) e n. Nani Mirabelli (Domenico), 793 n. Nanna (personaggio dell'Aretino), 47-201, 202-435, 536 e n., 977 Nannini (Remigio), detto Remigio Fiorentino, 674 n. Narciso (mitologia), 74 (con valore generico) Narciso (personaggio bucolico), 750 n., 751 Nardi (Iacopo), 542 e n., 550 e n., 668 e n., 672 n., 801, 863 n., 865 Negligente (il), interlocutore nei Marmi), 871 n., 965-6 (sua Dicl1iarazio11e) Negri (Giulio), 591 Nembrot (personaggio biblico), 599, 726 e n., 881 n. Neri (fazione politica dei Guelfi fiorentini), 640 Neri (Ferdinando), 30, 38 Nerone (Claudio Cesare), imperatore romano, 336 n., 726 Nesso (mitologia), 541 n. Nestore (eroe greco), 618 e n. Nettuno (mitologia), 632 Niccolò (nome indicato per esemplificazione), 726 n. Niccolò V, papa (Tommaso Parentucelli), 364 (papa Nicola) Nicola (papa), vedi Niccolò V, papa Nicolini (Fausto), 7, 22, 25, 46,

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489 n., 492 n., 499 n., 504 n., 521 n., 523 n., 526 n., 528 n., 533 n., 977, 979, 980, 981 Nicolò (maestro), medico del Castellaccio a Firenze, 703 Nicolò (ser), vedi Franco (Nicolò} Nidiaci (famiglia inventata dal Doni), 637 Nino (re assiro), 57 n., 698 e n. Nisa (pastorella), 752 Nissim (Lea), 594 Nobile (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 889 n. Noè, 188 n., 381 n., 393 Nofri (Luisa), 574-5, 594-5 Norchiati (Giovanni), citato nella Zucca e interlocutore nei Marmi, 612, 741 n. North (Thomas), 595 Novellino (di Anonimo medievale}, 460 e n. Nucci (Medoro}, 37 Numa Pompilio (re di Roma), 726 Numeri (J), vedi Libro dei Numeri Nuto (pescatore), interlocutore nei Marmi, 742-63

Obizzo II (marchese d'Este), 157

n. Occasione (personificata), moglie del Tempo, 889 n., 891,894,895, 896 Ochino (Bernardino}, 440 n. Ojetti (Ugo), 573 Omero, 204, 532 e n., 542 e n., 641, 797 Onesta (monna) [la tradizionale «onesta-da-campi»], 59 n., 130 n. Onofrio (santo), 86 (Nofrio) e n. Orange (Philibert de Chalon, principe d'), 807 n. Orano (Paolo), 46 Orazii, 557 Orazio (eroe romano), 558. Vedi anche Orazii Orazio Fiacco (Quinto), 564 n., 599 e n., 605 e n., 776 n., 797, 830 n. Orfeo (mitologia), 920,948 n., 951 n. Organi (Baccio degli), 857 Organi (Pierino di Baccio degli), 858 Oria (marchese Bonifacio Giovanni Bernardino d'), vedi D'Oria

(marchese Bonifacio Giovanni Bernardino) Orlandino (Pollo degli), interlocutore nei Marmi, 848-53 Orlando (paladino), 85 (O. dal qr,artiere} e n., 173 n., 217 e n., 318 (O. da Monta/bano, secondo la Nanna) e n., 408 n., 615 (nome generico), 649 n., 659 (id.), 743 Orsilago (poeta), 752, 753-6 Orsini (Giordano), 847 (G. dei figli d'Orso cavaliere) Orsini (Giovanni), 31 Orsini (Leone), vescovo di Fréjus, 671 n. Orso (cavalier), di Roma, 837 Orsola (santa), 142, 387, 426 n. Ortolani, vedi Accademia degli Ortolani o Ortolana (di Piacenza) Ortolani(Sergio), 7, 26, 43, 44,517 n. Ossola (Carlo), 43, 595 Ostinato (l'), accademico peregrino, 920, 948 n. Ottaviano (ser), 619 Ottaviano, vedi Augusto (Gaio Giulio Cesare Ottaviano), imperatore romano Ovidio Nasone (Publio), 48 e n., 57 n., 114 n., 354 n., 617 n., 631 n., 632 n., 636 n., 689 e n., 791 n., 891 n., 954 n. Oza (personaggio biblico), 879 e n. Ozia [o Azarìa], re di Giuda, 712 Padovano (cartaro), interlocutore nelle Carte parlanti dell'Aretino e corrispondente dello scrittore, 458-80 Padovano (Giovanni)/ stampatore, 980, 981 Pagamorta (il), vedi Mazzuoli (Giovanni), detto lo Stradino Paganelli (Neri), interlocutore nei Marmi, 824 n., 860 n., 871 n. Paganini (Alessandro), tipografoeditore, 150 n. Pagnina (la), cortigiana romana entrata nelle Convertite, 54 e n. Palazzi (Fernando), 573, 585, 594 Paleologa [Paleologo] (Margherita), duchessa di Mantova, 202 n. Pallucchini (Anna), 577, 589 Pallucchini (Rodolfo), S77, 589

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Palmieri (Matteo), 580, 647 e n., 648 n., 920 e n., 948 n. Pan (mitologia), 631 e n., 759 Panciatantra, 67 S n. Pancrazi (Pietro), 46, 59S Pandolfini (Ferdinando), vescovo di Troia, 258 (messer Troiano) e n., 437 n. (Troiano) Pandolfino (interlocutore nei Marmi), 741 n. Panella (Antonio), 508 n. Panichi (Michele), interlocutore nei Marmi, 824 n., 860 n. Panzer (Georg Wolfgang), 975 Paoli (mendicanti), 80 (beatiP.) e n. Paoli (Martin), 38 Paolo («creato II dell'Aretino), 542 Paolo (santo), apostolo, 413 (Pavolo), 455 (l'Apostolo) e n., 530, 610 e n., 613 e n., 629 e n., 673 e n. Vedi anche Epistole di san Paolo Paolo II, papa (Pietro Barbo), 607 n. Paolo III, papa (Alessandro Farnese), 366 n., 394 n., 522 e n., 539 e n., 557 e n. Paolo IV, papa (Gian Pietro Carafa), 540 n. Paolo Emilio (Lucio), 500 n. Paolo Veronese (Paolo Caliari, detto), 44 Papini (Giovanni), 709 n. Parabolano (personaggio dell' Aretino), 552 n. Paratore (Ettore), 8, 30-1, 42,283 n. Parca [che spezza lo stame della vita, cioè Atropo] (mitologia), 762 Parenti (Marino), 46, 982 Parentucelli (Tommaso), vedi Niccolò V, papa Parini (Giuseppe), 284 n. Parmigiano (il), cameriere della Corte papale, 386 e n. Parodi (Tommaso), 8, 38 Parpaglioni (Leonardo), lucchese, 433 e n., 436 n. Parrasio (Aulo Giano), 517 e n., 602 n. Partcnio Etiro (pseudonimo anagrammatico usato, in età controriformistica, per edizioni di opere dcli' Aretino), 979, 981 Particini (Antonio), 501 (Barticino) e n.

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Paschini (Pio), 37 Pasifae (mitologia), 129 n. Pasini (Maffeo), editore, 669 n. Pasquale I (papa), 521 Pasqualigo (Marco), protonotario, 667 Pasquazi (Silvio), 783 n. Passarini (Ludovico), 730 n. Passero (Mare' Antonio), 769 Pasti (Matteo dei), 149 n. Patrizi (Francesco), da Cherso, S74, 585 Paulo (messer), vedi Manuzio (Paolo) Pausania, 901 n. Pazzi (famiglia fiorentina), 700 n. Pazzi (Alessandro de'), 440 n. Pazzi (Alfonso de'), detto l'Etrusco, interlocutore nei Marmi, 740 n., 763-70 e n. Pazzi (Ghetto) [con erroneo casato in G. Boffito e E. Chiòrboli], vedi Ghetto (sensale) Pazzo (accademico peregrino, interlocutore nei Mondi), 571, S73, 672 n., 888 n., 920, 935-46 e n., 948 n., 954 Pecorino dalle Prestanze (interlocutore nei Marmi), 871-6 Pedante (domestico addottorato), interlocutore nei Marmi, 871 n. Pedante (un), col nome di Maestro (interlocutore nei Marmi), 871-6 e n. Pedone (sensale), interlocutore nei Marmi, 871 n. Pègaso (mitologia), 599 n. Pellegrina [Pellegrino] (Beatrice), nata dei conti da Feltro, 688 Pellegrini [o Peregrini], vedi Accademia dei Peregrini o Pellegrini (di Venezia) Pellegrini (Caterina), vedi Peregrina [o Peregrini] (Caterina) Pellegrini (Giovan Battista), 119 n., 416 n. Pellegrini (Giuliano), 97S Pellegrino (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 794, 915-26 Pellegrino (Giovan Iacopo), 688 Penna (Camilla da), 688 Pentesilea, 178 (Pantanlee, generico) e n.

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Pepe (l\1ario), 577, 580, 586, 595, 647 n. Pera [o Perina], vedi Riccia [Ricci] (Pera o Perino) Perceau (Louis), 976 Pèrcopo (Erasmo), 366 n., 593 Perduto (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 718-9, 728, 889 n., 920, 948 n., 954 Peregrina [o Peregrini] (Caterina), 927 n. Peregrini [o Pellegrini], vedi Accademia dei Peregrini o Pellegrini (di Venezia) Pérez (don Gonzalo), 515 n. Pergamese (il), vedi Galeno (Claudio) Pericoli (Nicolò), detto il Tribolo, interlocutore nei Marmi, 500 n., 503 e n., 504 e n., 527 e n., 602 e n., 708 e n., 734-40 e n., 866 e n. Pericon da Visalgo (personaggio del Boccaccio), 635 e n. Perin Del Vaga [o Del Vago in Aretino], vedi Buonaccorsi (Pietro) Perina, vedi Riccia [Ricci] (Pera o Perina) Perito (Enrico), 38 Perotto (Niccolò), 599 n. Perret (J acques), architetto, 937 n. Perseo (re di Macedonia), 500 n. Pertile (Fidenzio), 8, 17, 25, 26, 32, 43, 404 n., 435 n., 456 n., 561 n. Perugina (la), conoscente della Nanna, 210 e n. Peruzzi (Baldassarre), architetto, 527 n. Peruzzi (Emilio), glottologo, 75 n. Pescara (marchesa di), vedi Colonna (Vittoria) Pescara (marchese di), vedi Avalos (Ferdinando Francesco I d'), marchese di Pescara Pescatori senza frugatoio (Il canto de'), «canto per carnasciale », 814 e n. Pesci (Biagio), speziale, interlocutore nei Marmi, 888 n. Petraglione (Giuseppe), 593 Petrarca (Francesco), 54 n., 127 n., 150 n., 155 e n., 156, 194 n., 277, 304 e n., 399, 437 n., 501 n., 502 n., 526 n., 583, 590, 599,

6n e n., 613 e n., 628 e n., 636 e n., 637 n., 641, 666 e n., 668, 670 e n., 692 n., 741, 743 n., 748 n., 783 n., 802, 818 e n., 819, 823 n., 836 e n., 837-40 e n., 864, 894, 895 e n., 902 n. Petrco (Giunio), corrispondente dell'Aretino, 785 n. Petrocchi (Giorgio), 5-6, 7, 17, 19, 21, 32, 41-2, 50 n., 590 Petronilla (santa), 320 (Petornella) e n. Philippi (Johann), detto Sleidanus [Sleidano], 789 n. Piccardo (Pietro), corrispondente dell'Aretino e interlocutore nel suo Ragionamento de le Corti, 366 n., 436-57, 978 Picciolo (messer), nome fittizio, 255 e n. Piccioni (Luigi), 593 Piccolomini (Alessandro), lo a Stordito» fra gli Intronati di Siena, 672 n. Piccone Stella (Antonio), 27, 41-2, 976 Pichois (Claude), 33 Pico della Mirandola (Gianfrancesco), 166 n. Pico della Mirandola (Giovanni Il), 612 e n., 622 e n., 874 n. Picotti (Giovanni Battista), 259 n., 560 n. Pidocchio (personaggio della Moral filosofia), 684, 685 Piedoca, vedi Carafulla (Antonio), detto Piedoca Pierino di Baccio degli Organi, vedi Organi (Pierino di Baccio degli) Piero (compar), personaggio dcli'Aretino, 219 Pierozzi (Antonino), vedi Antonino (santo) Pierozzi (ser Niccolò), 865 n. Pietro ( con citazioni dell'Aretino riguardo sé stesso), 205 e n., 497,

548, 556 Pietro (santo), apostolo, 148 e n., 460 n., 502 n., 520 (come simbolo dell'autorità pontificia), 725, 878, 956. Vedi anche Epistole di sa,a Pietro Pietro (signor), vedi Strozzi (Pietro) Pigro (il), accademico peregrino,

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uno dei soprannomi del Doni, 678 e n. Pilato (Ponzio), 879 e n. Pinello (Giovan Francesco), 626 Pino (Paolo), 10, 577, 589 Pio IV, papa (Giovanni Angelo de' Medici), 767 n. Pio V, papa (Michele Ghislieri), 202 n., 544 n., 767 n. Pipino il Breve, 520, 521 n., 649 n. Pippa (personaggio dell'Aretino), 202-435, 536 e n., 977 Pippi (Giulio), vedi Giulio Romano Piramo (mitologia), 57 e n., 798 n. Vedi anche Pirri Pirra (mitologia), 63 I e n., 689 n., 791 n. Pirri (generico, con deformazione da Piramo), 798 e n. Pirro (re dell'Epiro), 698 e n., 726, 797, 798 n. Pisanello (Antonio Pisano, detto il), 149 n. Pisano ( Giovanni Antonio), 770 Pistoia (Antonio Cammelli, detto il), 454 e n. Pitagora, 47, 900 e n. Pizzi (Italo), 593 Plaisance (Miche(), 672 n. Plataristotele (messer), personaggio dell'Aretino, 135 n. Platone, 464 e n., 611, 687 e n., 689 e n., 713 n., 786, 797, 872 n., 903 e n., 904 n., 935 n., 941 Plebei (interlocutori nei Marmi), 813-24 Plinio il Giovane (Gaio Plinio Cecilio Secondo), 731, 732 e n., 902 e n. Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo), 43, 500 n., 532 e n., 642 n., 712 e n., 902 n., 923 n. Plutarco, 566 n., 669, 733 n., 797, 902 e n., 904 Pluto (mitologia), vedi Plutone Plutone [o Pluto] (mitologia), re dell'inferno e personaggio dei Mondi, 478, 835 e n., 948-51 (lettera inviata a lui) e n. Poeta forestiero (interlocutore nei Marmi), 796-801 Poggiali (Cristoforo), 783 n. Poliziano {Agnolo Ambrogini, detto il), 54 n., 864

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Pollaiolo [o Pollaiuolo] (Piero del), 866 (Po/laiuolo pittore) Pollaiolo [o Pollaiuolo] (Simone del, detto il Cronaca), 861 n. Pollonia (santa), vedi Apollonia (santa) Polluce (mitologia), vedi Dioscuri (i) Polo (Marco), 486 n. Polone (Giovan Livio), 626 Polverini (Giuseppe), 59 n. Pompeati (Arturo), 574, 585, 587 Pompeo Magno (Gneo), 903 Pontormo (il), vedi Carrocci (Iacopo) Ponzetta (il), vedi Ponzetti (cardinal Ferdinando) Ponzetti (cardinal Ferdinando), detto il Ponzetta, 362 e n. Ponzio (Flaminio), architetto, 431 n. Porcacchi (Tommaso), 250 n. Porcellana (privilegi del), invenzione faceta d'origine boccacciana, 638 e n. Porcellino (speziale), interlocutore nei Marmi, 741 n. Pordenone (Giovanni Antonio de' Sacchis o Sacchiense, detto il), 445 e n. Porta (Giuseppe), detto il Salviati [o il Salviatino o il Garfagnino], 670, 671 n. Portier (Lucienne), 654 n. Portogallo (re del), vedi Emanuele I il Grande (re del Portogallo) Porzia, 178 (Porzie, generico) Pozze (Simone dalle), interlocutore nei Marmi, 730, 888 n. Pozzi (Mario), 10, 44 Praz (Mario), 46 Prezzolini (Giuseppe), 45 Priapo (mitologia), 48 n., 63z Procaccio (Giovanni), 625 Profezia di Amos, 710 n. Profezia di Daniele, 617 n., 879 n. Profezia di Geremia, 73 n. Profezia di Isaia, 957 e n. Properzio (Sesto), 3S4 n. Proserpina (mitologia), 948 n., 951

e n. Prospero d'Aquitania (santo), 797 Prudenzia, 178_ (Pmdenzie, generico) Pucci (Giampiero), 41 I n.

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Puccini (combattente), vedi Puccini (Rodolfo), capitano Puccini (l\1ario), 572, 585, 587, 595 Puccini (Rodolfo), capitano [congettura del Chiòrboli, l11dice dei nomi dei Manm], 851 (P"cci11i e 'l Puccino) Pulce (personaggio della Moral filosofia), 684, 685 Pulci (Luca), 223 n. Pulci (Luigi), 59 n., 83 n., 163 n., 170 371 620 873

n., 173 n., 260 n., 300 n.,

n., 473 n., 504 n., 616 n., n., 768 (Morga11te) e n., 866, n. Puttana errante (La), opera in prosa, attribuita all'Aretino, 56 n., 62 n., 331 n., 976

Puttana errante (La), opera in versi pseudo-aretiniana, ma di L. Venier, 16, 56 e n., 313 n., 549 n. Quadrio (Francesco Saverio), 928 n. Quarti (Guido Antonio), 490 n. Quazza (Romolo), 915 n. Quieto (il), accademico peregrino nel Doni, 871 n. Quinimina (monna), 343 Quintazzo (signor), da identificare con Quinto Gherardo o con Quinto Gruaro, 547 n. Quirino (Luigi), 858 n. Rabelais (François), 105 n., 593, 600 n., 774 n., 937 n. Rabizzani (Giovanni), 45 Radamanto (mitologia), 919 e n., 948 n. Raffaele (arcangelo), 428 (Rafaello) Raffaello, vedi Sanzio (Raffaello) Ragiona111ento de lo Zoppino, scritto pseudo-aretiniano, 161 401 274 n., 974, 975

Ragni (Eugenio), 715 n. Raimondi (Marcantonio), 15 Ramirez de Arellano (Maxine), 730 n. Ranaldi (Cesare), vedi Rinaldi (Cesare) Rangoni [Rango ne] (Claudio), 203 e n. Rangoni [Rangone] (Guido), conte, 203 e n. Razzolina (moglie di Tofano, in-

terlocutore nei Marmi), 728-9 Re (/), vedi Libri dei Re Rea Silvia (mitologia), madre di Romolo e di Remo, 712 (R.) Reali di Francia (J), 173 n., 217 n. Recamador [o Ricamatore o dei Ricamatori] (Giovanni), vedi Giovanni da Udine Redi (Francesco), 775 n. Rees (D. G.), 595 Reggio (Ercole), 595 Regler (Gustav), 36 Regolo (Attilio (per storpiatura voluta nel Doni: Catulo]), 726 e n. Remigio Fiorentino, vedi Nannini (Remigio) Renier (Rodolfo), 52 n. Renzo da Ceri (capitano), 286 n. Rezasco (Giulio), 820 n. Riario (padre del conte Pier Maria Rossi di San Secondo), 482 n. Riario Sforza (Caterina), 481 n. Ricchi (Agostino), 433 n., 439 (il Ricco), 980 Ricci (Corrado), 590, 837 n. Ricci (Giuliano de'), 977 Riccia [Ricci] (Giulia), 550 Riccia [Ricci] (Marietta), madre di Pera o Perina, 556 (M.) e n. Riccia [Ricci] (Pera o Perina), amante dell'Aretino, 512 e n., 556 n. Ricciardi (Giovanni Battista), 59 n. Ricco (il), vedi Ricchi (Agostino) Ricettario fiorentino, 78 n., 92 n. Ricottini Marsili-Libelli (Cecilia), 577-8, 583 I 584, 590, 591, 592, 593, 595, 600 n., 614 n., 617 n., 625 n., 647 n., 662 n., 674 n.,

687 n., 982, 983, 984 Ridolfi (menzionato nei Marmi e non identificato), 693 Ridolfi (Niccolò), cardinale, 605 (il reverendissimo R.) e n. Ridolfi (Roberto), 59 n. Rigutini (Giuseppe), vedi RIGUTINI-FANFANI

RIGUTINI-FANFANI ( = Vocabolario italiano della lingua parlata, nuovamente compilato da Giuseppe Rigutini [...] e da Pietro Fanfani [... ], Firenze, G. Barbèra, 1910-1911), 88 n. Rinaldi (Cesare), madrigalista, 45S (Rana/di) e n.

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Rinaldo da Montalbano (paladino), 318 n. Vedi anche Orlando (paladino) Risoluto (il), vedi Martinengo (conte Fortunato) Ristoro d'Arezzo, 435 n. Roberto d'Angiò (re di Sicilia), 244 n., 839 e n., 851 Robusti (Iacopo), detto il Tintoretto, 44, 558 (I. Tintore) e n. Rocco (santo), 185 Rochon (André), 672 n. Rodamonte (dell'Innamorato e forse, nella citazione dell'Aretino, del Furioso: in luogo di Rodomonte), 478 e n. Rodomonte (in stanze attribuite dal Doni all'Aretino), 834-5. Vedi anche Rodamonte Roeder (Rulph), 36 Roffinelli (Venturino de), stampatore, 980 Roggero (Egisto), 33-4, 419 n. Romagnoli (Ettore), 300 n. Romanello (rigattiere ebreo di Roma, personaggio dell'Aretino), 350 e n. Romanesca (la), conoscenza della Nanna, 264 Romanesco (il), personaggio proverbiale, 1 27 Romani (re dei), vedi Ferdinando I d'Asburgo (imperatore) Romeo (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 794, 915-26 e n. Romito di Monte Morello (interlocutore nei Marmi), 842-8 Romolo (fondatore di Roma), 712 (Ramulo), 722 (id.), 723 Rore (Cipriano), musico, 761 e n. Rosa (la), conoscenza della Nanna, 87, 88 n. Rossi (Filippo), 589 Rossi (Francesco de'), detto il Salviati o il Salviatino, 479 e n., 671 n., 734 e n., 861 n., 865 e n. Rossi (Giovanni de'), 591 Rossi (Vittorio), 23, 34, 35, 37, 139 n., 175 n., 187 n., 229 n., 299 n., 350 n., 362 n., 592, 593 Rossi di San Secondo (Pier Maria), 482 (conte di S. S.) e n.

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Rosso (il), buffone del cardinale Ippolito de' Medici, 139 e n., 250 n. Rosso Fiorentino (il) [Giovan Battista di Iacopo], 864 e n. Rota (Diotallevi), 560 n. Roversi (Renato), 42 Roy (Émile), S93 Rucellai (famiglia di Firenze), 817 (orto de' R.) e n. Ruffo (Vincenzo), musico, 761 e n. Rufino di Aquileia (scrittore ecclesiastico), 797 (Ruffino) Rufo, vedi Celio Rufo (Marco) Ruggiero (eroe cavalleresco, in versi attribuiti all'Aretino dal Doni), 834 Ruini (Carlo), giurista, 602 n., 970 (Ruino) e n. Ruju (Salvatore), 43 Russo (Luigi), 26, 42-3, 587, 590 Ruzante [o Ruzzante], vedi Beolco (Angelo) Sacchetti (Franco), 73 n., I 57 n., 692 n., 780 n., 792 n., 875 n. Sacchetti (Giovan Antonio), 626 Sacchiense (il), vedi Pordenone (Giovanni Antonio de' Sacchis o Sacchiense, detto il) Sadoleto (Iacopo), 455 e n. Saffo (erroneo per: Sasso), 399 n., 976, 985 Saitta (Giuseppe), S73, 577, 588 Salamone, vedi Salomone Salerno (principe di), vedi Sanseverino (Ferrante), principe di Salerno Sallustio Crispo (Gaio), 797 (Salustio) Salmi, 76 n., 91 n., 219 n., 262 n., 284 n., 362 n., 377 n., 392 e n., 469 n., 495 n., 628 n., 845 n., 957 n. Salomone [e popolarmente Salamone], re d, Israele e anche nel senso generico di giudeo prestatore su pegno o di sapiente, 78 e n., 189 e n., 190, 208 e n., 262, 356 e n., 365 e n., 874 e n. Salvatore (santo), 39S n. Salviati (Francesca), vedi Medici (Francesca de'), nata Salviati Salviati (Francesco de' Rossi, detto

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il), vedi Rossi (Francesco de'), detto il Salviati Salviati (cardinal Giovanni di Iacopo), 5 IO (per congettura) e n., 621 e n. Salviati (Giuseppe), vedi Porta (Giuseppe), detto il Salviati Salviati (Iacopo), segretario pontificio, 532 e n. Salviati (Leonardo), 429 n. Salviati (Lucrezia), nata de' Medici, 510 n., 532 n. Salviati (Maria), vedi Medici (Maria de'), nata Salviati Salviatino (il), vedi Porta (Giuseppe) e Rossi (Francesco de') Salvietti (Vico), interlocutore nei Marmi, 848-53 Salvioli (Carlo), 17 Salvioli (Giovanni), 17 Salza (Abd-el-Kader), 39,593,812 n. Sancho Panza (personaggio del Cervantes), 336 n. Sandclla (Caterina), amante del1' Aretino, 512 e n., 513 n., 560 n. Sanders (Nicholas), 767 n. Sandro (formaritratti), interlocutore nei Marmi, 876-88 Sanesi (Giuseppe), 45 Sanesi (Ireneo), 28, 590, 593 Sangallo (Antonio da), 771, 861 n., 864 Sangallo (Francesco da), 505 n. Sanio (manigoldo), 547, 548 Sannazaro (Iacopo), 668 Sanseverino (Ferrante), principe di Salerno, 50 e n., 202 e n., 807-8 e n., 978, 979 Sansot-Orland (Ed.), 592 Sansovino (Andrea Contucci, detto il), vedi Contucci (Andrea), detto il Sansovino Sansovino (Francesco), 562 n., 669 e n., 672 n., 982 Sansovino (Iacopo), vedi Tatti (Iacopo), detto il Sansovino Santippe (moglie di Socrate), 904 n. Sanzio (Raffaello), 9, 14, 23, 239 n., 456 e n., 479 n., 500 n., 738, 864 n. Sapegno (Natalino), 29, 587, 588 Sapori (Giuliana), 976 Sardanapalo (re degli Assiri), 712 (Sardanapallo)

Sartore (Giovaniacopo), 626 Sassi (Giuseppina), 36, 528 n. Sasso (Panfilo) [originariamente Sasso de' Sassi], 399 e n., 976, 985 Satana [o Satanasso], 71 e n., 366, 478, 967 Savana (il), pagatore, 506 Savino (Ezio), 595 Savio (il), accademico peregrino, interlocutore nei Mondi, 571, 573, 888 n., 920, 935-46 e n., 948 n. Savonarola (fra Gerolamo), 695 e n., 697 e n., 710 n. Sazio (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 871 n. (Satio) Sbernia (soprannome di Francesco Berni), vedi Berni (Francesco) Sborselli (Gaetano), 23, 25, 46, 502 n., 547 n. Scala (Cangrande della), 644 e n. Scala (Lorenzo), interlocutore nei Marmi, 741 n. Scalandrone (arrotarasoi), interlocutore nei Marmi, 700 n., 740 n., 763 n. Scappella (Francesco), interlocutore nei Marmi, 824 n. Scartazzini (Giovanni Andrea), 837 Schio (Girolamo Bencucci da) [o Girolamo da Vicenza], vescovo di Vaison, 489 n., 492 e n. Schlosser (Julius von), 577, 589 Schneegans (Heinrich), S93 Scilla (mitologia), figlia di Niso, re di Megara, 354 n. Sciolla (Gianni Carlo), 937 n. Scipione (ser), notaio, interlocutore nei Marmi, 876-88 Scipione Africano Maggiore (Publio Cornelio Scipione), 696 n., 797 Scipione Africano Minore (Publio Cornelio Scipione Emiliano), 696

n. Scipioni (famiglia romana), 696 e n. Scolare (lo), accademico peregrino, 961

Scoronconcolo (Baccio del Tavolaccino, detto), servo di Lorenzino de' Medici, 501 n., 759 n. Scorticata (Gian Maria da Veruc-

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chio e de la), vedi Gian Maria da Verucchio e de la Scorticata Scoti-Bertinelli (Ugo), 36 Scotto [Scoto o Scotti] (famiglia di tipografi di Venezia), 768 n. Scotto (Girolamo), editore e compositore veneziano, 579, 768 n. Scotto (Paolo e Ottaviano iunior), stampatori in Venezia, 768 e n., 778 e n. Scrivano (Riccardo), 21, 27, 52 n., 180 n., 203 n., 206 n., 209 n., 276 n., 300 n., 317 n., 371 n., 483 n., 486 n., 574, 586, 587, 935 n. Sebastiano (messer), vedi Serlio (Sebastiano) Sebastiano da Pesaro (pagatore), 542 Sebastiano dal Piombo, vedi Luciani (fra Sebastiano) Secilio (citato dal Doni e non identificato), 797 Segni (Bernardo), 645, 721 n. Segre (Cesare), 9, 45, 66 n. Selvaggio (pastore bucolico), 750 e n., 751 Semenza (soprannome del Doni nell'Accademia degli Ortolani di Piacenza), 673 n. Semiramide [Semiramis] (regina assira), 698 e n., 726 Sendebar (filosofo indiano nel Doni), 696 n., 983 Seneca (Lucio Anneo), 630 e n., 709 e n., 713 e n., 797, 828 e n. Senofonte [Xenofonte], 712 e n., 797, 904 n. Serafino Aquilano, vedi Aquilano (Serafino de' Ciminelli, detto) Serapica ( = zanzara), soprannome di Giovanni Lazzaro De Magistris, 258 n., 259; (Sarapica) e n., 437 n. Serapica (Gian Pietro), familiare del precedente e con lo stesso soprannome, 259 n. Serdonati (Francesco), 157 n., 306 n., 691 n., 799 n. Serena (Giannantonio), 526 n. Serena-Sarra (Angela), cantata dal1'Aretino, 24, 26, 515 n., 516, 524 n., 526 e n. Serlia [Serlio] (madonna Francesca), 533 n. (m. F. Serlia)

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Serlio (Sebastiano), 527 (messer S.) e n., 548 e n. Serse [Xerse], 500 n., 920 Servio, 873 e n. Servolini (Luigi), 591, 974 Sessa (Melchior), stampatore, 979 Sette allegrezze della V ergine (Le), vedi Allegrezze della V ergine (Le sette) Settembrini (Luigi), 3, 33, 592 Severoli (Leonardo), canonico di Faenza e vicario di Ragusa, 981 Sferza de' villani (La), 73 1 Sforza (Casa), 635 n., 937 n. Sforza (Ascanio), cardinale, 185 e n. Sforza (Battista), duchessa d'Urbino, 530 n. Sforza (Caterina), vedi Riario Sforza (Caterina) Sforza (Francesco), duca di Milano, 504 n. Sforza (Sforza), conte di Borgonuovo, 624 Sibilla Cumana [di Virgilio], 953 Sibilla di Norcia (menzionata dal Doni), 920, 948 n. Sicardi (Enrico), 34, 35, 544 n., 547 n. Siceo (padre), pseudonimo del Molza, 600 n., 975, 976 Sicheo (marito di Didone), 289 e n. Sifilo (personaggio del Fracastoro), 52 n. Signorelli (Luca), 518 n. Silenzi (Fernando), 23 Silenzi (Renato), 23 Silla (Lucio Cornelio), 726, 733 n. Silvio (scultore), interlocutore nei J.Warmi, 782-90 Simiani (Carlo), 544 n. Simonetti (Cesare), madrigalista, 455 e n. Simoni (Renato), 490 n. Sinigaglia (Giorgio), 34 Sirena (signora), cantata dall' Aretino, vedi Serena-Sarra (Angela) Sirena (Giannantonio), vedi Serena (Giannantonio) Siringa (ninfa), 750 n., 752 Sleidano [Sleidanus], vedi Philippi (Johann) Smarrito (lo), nome del Doni come accademico peregrino nella forse

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fantomatica accademia veneziana, 707-8 e n., 920, 948 n., 954 Socrate, 797, 903 n., 904 e n. Soderini (famiglia), 634 Soderini (Pier), 864 Sofferoni (l\tlatteo), interlocutore nei l\1armi, 824 n. Sofonisba (nobile cartaginese), 557 Sog11i difrate Angelico, vedi Angelico (Libro di fra) Soldo (maniscalco), interlocutore nei Marmi, 824 n. Solimano [Suleiman] I (sultano turco), detto il Magnifico, 521 e n. Solone, 667 n., 900, 901 Sonaglio delle donne (Il), 73 1 Soncino (marchese di), 582 Soria (Lope de), ambasciatore imperiale a Venezia, 203 (Lopes S.) e n., 515 (don Lope) e n., 551 e n., 985 Spantina (madonna), nome fittizio, 369 e n. Spatola (Adriano), 32 Spedato (lo), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 77782, 888 n., 954 Spensierato (lo), accademico e cancelliere dell'Accademia dei Peregrini di Venezia, 707 Speroni (Charles), 65 n., 157 n., 250 n., 306 n., 368 n., 596, 691 n., 719 n., 799 n., 801 n. Speroni (Speron), 35, 672 n. Spinelli (Giambattista), 526 Spingarn (Joel Elias), 39 Spini (Giorgio), 508 n., 541 n. Spira (Fortunio), 548 e n., 549 n. Spirito (Francesco), da Verona, personaggio del Doni, 924 Squitti (lo), interlocutore nei Marmi, 824 n. Stabili (Francesco), detto Cecco d'Ascoli, 692 n. Stacchiotti (Fernando), 38 Stampa (conte Massimiano), 50 e

n.,

202

n.,

203

Stampone (non identificato), 549 e n. Stefano IV (papa), 5:u Stefano V (papa), 521 Steinmann (Ernst), 586 Stevanin (Silvio), 592 Stocchi (Bice), 38

Stoppa, 284 (papa S., con bisticcio equivoco col nome di papa Lino) en. Stordito (lo), vedi Piccolomini (Alessandro) Storia di Campriano contadino, cc leggenda» di Zoppino, 219 e n., 220 Strucco (lo), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 777-82 Stracurato (lo), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 907 Stradino (lo), vedi Mazzuoli (Giovanni), detto lo Stradino Straparola (Giovan Francesco), 585 Strascino (Niccolò Campani, detto lo), 14, 139 n. Strozzi (lo), di congettura incerta, sia per Francesco (vedi), sia per Pietro (vedi), 865 e n. Strozzi (Francesco), traduttore di Tucidide, 86 5 (per congettura controversa di Chiòrboli) e n. Strozzi (Pietro), capitano al servizio di Francia, 851 (signor P.) e n., 865 (per congettura controversa di Chiòrboli) e n. Strozzi (Rinaldo), autore fittizio, 59 n. Stucco (lo), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 708, 794 e n., 871 n. Stufa (Enea della), interlocutore nei Marmi, 848-53 Sturel (René), r 50 n. Sulpicio (Giovanni), da Eroli, 669 n. Susanna (personaggio biblico), 619 e n. Suttina (Luigi), 592 Svegliato (lo), accademico peregrino, 689 e n., 705-7 e n., 728 e n. Svetonio (Gaio Tranquillo), 556 n. Swift (Jonathan), 774 n. Tacito (Publio Cornelio), 248 n., 602 n., 767 n. Tamagnino (nome burlesco d'un tessitore di brache), 860 Tamburino (forse uno scroccone), 779 e n. Tamburino (Grifone), 881 Tanucci (Bernardo), 306 n. Tariffa de le cortigiane di Vinegia [= Tariffa delle puttane ovvero

INDICE DEI NOMI

Ragionamento del Forestiere e del Gentil'liuomo, stampato a Venezia nell'agosto 1535], attribuito a Antonio Cavallino, 234 n. Tarpea, 354 n. Tarquinio (Sesto), figlio di Tarquinio il Superbo, 726 Tassini (Giuseppe), 524 n. Tasso (Bernardo), 522 e n., 524 n., 808 n. Tasso (Torquato), 410 n., 433 n., 522 n., 783 n., 808 n. Tassoni (Alessandro), 298 n. Tatti (Iacopo), detto il Sansovino, 44, 435, 503 n., 548 e n., 562 e n., 563 n., 565 e n., 566 e n., 669 n., 670 Tazio (Achille), 433 n., 670 n. Tazio (Tito), re sabino, 354 n. Tebaldeo (Antonio Tebaldi), 399 ( Tibaldeo) e n. Tedaldi (Papi), interlocutore nei .Jltfarmi, 842-8 Templari, 310 n. Tempo (personificato), interlocutore nei Marmi, 518, 667 e n., 738-40 e n., 889-907, 926 n. Teodoro (Giovan Paolo), 769 Tèoli (Carlo), vedi Camerini (Eugenio) Terenzio Afro (Publio), 485 n., 741 n., 978 Terzi (Filippo), architetto e ingegnere militare, 668 (F. Terzo) e n. Tesauro de' Beccheria (abate di Vallombrosa), 637 e n. Tessalo (medico greco), 797 (Tesalo) Textor Ravisius (Iohannes), vedi Tixier de Ravisy (Jean) Ticpola [Tiepolo] (suor Girolama), 533 (suor G. Tiepolo) Timoteo (personaggio del Machiavelli), 138 n. Tina (la bella), soprannome di monna Marietta, madre della Nanna, 54,55 Tintoretto (il), vedi Robusti (Iacopo), detto il Tintoretto Tiraboschi (Girolamo), 591 Tirsi (personaggio bucolico), 750 n., 751 Tisbe (mitologia), 57 e n., 798 e

n. 65

1025

Tito (Tito Flavio Vespasiano), imperatore romano, 726 Titone (mitologia), 100 e n., 752, e n. Tixier de Ravisy (J ean) [Iohannes Ravisius Textor], 792-3 n. Tiziano, vedi Vecellio (Tiziano) Tizzone, 144 (beatissimo T.) e n. Toccio (personaggio proverbiale), 799 Tafano (interlocutore nei Marmi, marito di Razzolina), 728-33 Tafano (personaggio proverbiale), 637 Toffanin (Giuseppe), 28, 594 Tolda (Pietro), 594 Toledo (Pedro de), vedi Alvarez de Toledo (Pedro) Tolomei (Claudio), 204 e n., 440 e n., 873 n. Tolomeo (Claudio), geografo e astronomo, 701 n., 797 Tombio (Giovan Battista), 626 Tombolo (Gian Maria), milanese, 618 Tomitano (Bernardino), 672 n. Tommaseo (Nicolò), vedi TOMMASEO-BELLINI

TOMMASEO-BELLINI ( = Dizionario della lingua italiana, nuovamente compilato dai signori Nicolò Tommasèo e cav. professore Bernardo Bellini ... , Torino, Dalla Società L'Unione TipograficoEditrice, 1865-79, 4 voll. con 2 parti ciascuno), 25 I n., 386 n., 406 n., 443 n., 621 n., 652 n., 706 n., 720 n., 794 n., 797 n., 852 n., 887 n., 946 n., 977 Tommaso d'Aquino (santo), 16, 24, 558

Tommaso Moro (santo), S74, 903 n., 93S n. Tonello (Mario), 38 Tordi (Domenico), 528 n. Tarentino (Lorenzo), vedi Torrentino (Lorenzo) Tomiaino (il), 813, 814 Toro (personaggio della Moral filosofia: di nome Chiarino), 680, 686 e n. Torrentino (Lorenzo) [Laurens Leenaertz van der Beke], tipografo-editore, 768 n., 831 (Tore11tino) e n.

1026

INDICE DEI NOMI

Torriano (Giovanni), 306 n. Vedi anche FLORIO-TORRIANO Tortis (Alvise), 980 Traiano (Marco Ulpio), imperatore romano, 483 e n., 726, 797 Trattato del ben morire, 709 e n. Treni [o Lamentazioml di Geremia, vedi Lamentazioni di Geremia Tribolo (il), vedi Pericoli (Nicolò) Trissino (Gian Giorgio), 440 n., 557 (Tressino) e n., 689 n., 766 e n., 872 e n., 873 n. Tristano (amante della regina Isotta la Bionda), 275 n. Troiano (messer), vedi Pandolfini (Ferdinando), vescovo di Troia Trotti (Antonio), 582 Tucci (Agnolo ), interlocutore nei Marmi, 824 n. Tucidide, 865 n. Tullia, vedi Aragona (Tullia d') Tullio, vedi Cicerone (Marco Tullio) Turrini (capitano), detto Gian da Turino, S59 n. Ubaldi (Baldo degli), giurista, 920 (Baldi) e n., 970 (Baldi) e n. Ubaldini (Petruccio), 975 Uccello [o Degli Uccelli o Ab Avibus] (Gasparo), pittore, 561 e n. Ugo di San Vittore [Hugues de Saint-Victor], 630 (U.) e n., 960 Ugolino della Gherardesca (conte), personaggio di Dante, vedi Della Gherardesca (Ugolino) Ulisse, 204, 698, 726, 797 Umidi, vedi Accademia degli Umidi, poi Fiorentina o Accademia Grande Unghero (Giovanni o Nonni), interlocutore nei Marmi, 770-7 Urbano II (papa), 521 (U.) Urbino (duca d'), lodato in vita (1526) e in morte (1534) dal1'Aretino, vedi Francesco Maria I della Rovere Urbino (duca d'), lodato in vita (1553) dall'Aretino, vedi Guidubaldo II della Rovere U rtado di Mendozza ( Giovanni [per errore, invece di: Diego] in Doni), vedi Hurtado de Mendoza (Diego)

Vngn

(Pcrin Del) [o Del Vago, in Aretino], vedi Buonaccorsi (Pietro) Valdaura (messer Bernardo), 202 e n., 434 n., 974 Valentino (duca), vedi Borgia (Cesare) Valerio (frate), nome di religione del Doni fin che fu dei Servi di Maria, a Firenze, 575, 582, 610 e n. Vnlgrisi [Vaugris] (Vincenzo), detto Erasmo dalla sua insegna di libraio-editore in Venezia, 768 n. Valori (Francesco), 574, 585 Van Bever (Adolphe), 592 Vangelo secondo Giova1111i, 258 n., 846 n., 872 n., 878 n. Vangelo secondo Luca, 130 n., 339 n., 879 n. Vangelo secondo Matteo, 271 n., 362 n., 454 n., 512 n., 606, 607 n., 631 n., 655 n., 879 n., 956 n., 960 n. Varchi (Benedetto), 172 n., 248 n., 440 n., 444 n., 463 n., 487 n., 645, 672 n., 683 n., 802 n., 809 n., 866 Varlungo (il), calzolaio, interlocutore nei Marmi, 742-63 Varrone (Marco Terenzio), Reatino, 797 Vasari (Giorgio), 9, 36, 43, 44, 500 (G. d'Arezzo), 501 n., 502 n., 504 n., 517 n., 531 n., 589,622 n., 832, 856 n., 861 n., 864 Vasto (marchese del), vedi Avalos (Alfonso I d'), marchese del Vasto Vecellio (Pomponio), figlio di Tiziano, 554 n. Vecellio (Tiziano), 5, 9, 13, 17, 26, 35, 44, 45, 204 e n., 475, 500 n., 527 e n., 528 e n., 530 e n., 53 I n., 548, 552 e n., 554-5 e n., 561 n., 563 n., 565 e n., 566 e n., 670, 738, 867, 985 Vélez de Guevara (Luis), 690 n. Veloce (il), accademico peregrino, 920 Vendicativo (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 889-907

INDICE DEI NOMI

Vendramin (Gabriel), 625 (G. Vendramino) Venere (mitologia), 205 n., 290, 632, 633, 706, 755, 867, 893 .. Veniero [o Venier] (Lorenzo), 16, 37, 56 n., 313 n., 53S n., 549 e n. Venturi (Lionello), 9-10, 43, 44, 500 n., 517 n. Verato (Battista), attor comico, 671

n. Verdelotto (musico), interlocutore nei Marmi, 813-24 Verdiana, 107 (santa V.) Vergerio (Pietro Paolo), il Giovane, 366 n., 495 n. Verini (Giambattista), 187 n. Verino (Francesco), il Vecchio, filosofo, 86 s (congettura del Chiòrboli per V. sl gran filoso/o) e n. Verino (Ugolino), 865 e n. Verucchio e de la Scorticata (Gian Maria da), vedi Gian lvlaria da Verucchio e de la Scorticata Verzone (Carlo), 799 Vesta (mitologia), 732 Vettori (Pier), filologo, 865 (Vitton) e n., 866 (id.) Viandante (il), accademico peregrino, interlocutore nei Marmi, 706, 888 n., 915-26 Vico (Enea), 622-3 n., 670 e n. Vigliena (Giovan Vincenzo), 626 Villani (Filippo), 639 n. Villani (Giovanni), 639 e n., 692 n. Villani (Matteo), 639 n. Villanti (Giovanni), 36 Viniziana (la), conoscenza della Nanna, 299 Virgili (Antonio), 30 Virgilio Marone (Publio), 9, 30, 48, 205 n., 283-6 n., 289-98 n., 491 n., 599 n., 641, 751 n., 873 n., 920,926 n., 948 n., 951 n., 954 n., 962 e n., 978 Virginia, 178 (Virginie, generico) Visconti (Dante), 539 n. Visino (merciaio), interlocutore nei Marmi (e dn Chiòrboli, nell'Indice dei nomi dei Marmi, chiamato Migliore), 708, 719-27 e n., 74263, 802 Vita di Lippotopo (La), attribuita all'Aretino nel Cinquecento, ma certamente di G. B. Dragoncino

1027

o Dragonzino, 549 e n., 550 n. Vita spirituale (La), 709 Vitelli (Alessandro di Paolo), 510

e n.

Vitruvio Pollione, 445 n., 517 e n., 669 e n., 937 n. Vittori (Pier), vedi Vettori (Pier) Vittorio (interlocutore nei Marmi), 824 n. Vocabolario della Crusca ( = Vocabolario degli Accademici della Crusca, v impressione, In Firenze, Nella Tipografia Galileiana, 18631923, interrotta al vol. XI, alla parola ozono, e, fra le precedenti edi~ zioni complete, la II edizione veneta, In Venezia, Appresso Francesco Pitteri, MDCCLXIII, s voll.), 78 n., 79 n., 100 n., 104 n., 105 n., 110 n., 126 n., 134 n., 136 n., 158 n., 161 n., 165 n., 171 n., 172 n., 177 n., 216 n., 225 n., 241 n., 273 n., 277 n., 300 n., 309 n., 311 n., 312 n., 315 n., 321 n., 326 n., 329 n., 333 n., 335 n., 341 n., 368 n., 388 n., 406 n., 41 s n., 416 n., 421 n., 423 n., 431 n., 444 n., 447 n., 448 n., 45z n., 4S9 n., 597 n., 598 n., 603 n., 606 n., 611 n., 612 n., 620 n., 626 n., 634 n., 637 n., 640 n., 641 n., 648 n., 682 n., 683 n., 693 n., 708 n., 749 n., 773 n., 778 n., 788 n., 792 n., 796 n., 798 n., 799 n., 809 n., 810 n., 815 n., 819 n., 820 n., 823 n., 849 n., 867 n., 898 n., 899 n., 91 I n., 913 n., 941 n., 942 n. Vocabolario di Mantova ( = Vocabolario universale della lingua italiana. Edizione eseguita su quella del Tramater di Napoli con giunte e correzioni. Mantova, Presso gli editori Fratelli Negretti, 1845-1856, voli. 8), 406 n., 748 n., 830 n., 946 n. Volpe (Giovan Antonio), 626 Vossler (Karl), 4, 9, 39, 44 Vulcano (mitologia), 705 Vulpizio (menzionato dal Doni e non identificato), 797

W eise (Georg),

9, 42

1028

INDICE DEI NOMI

Wiese (Berthold), 593 Willaert (Adriaan), musico fiammingo, S79, 761 (Adn"ano) e n. Wittc (Knrl), 837 n. Wittkower (Rudolf), 586 Wolfe (John), editore inglese, 975, 978 (sotto il nome di Andrea del Melagrano) Woodhouse (John Robert), 986

Zaffetta (la), opera attribuita al1' Aretino, ma invece del suo« creato• L. Venier, 16, 549 n. Zaffetta (la) [Angela Del Moro], 418 e n., 419 e n., 53S e n. Zanni (maschera della Commedia dell'Arte), 97 n. Zenatti (Albino), 219 n. Zeno (Apostolo), 572

Zeus (mitologia), 691 n., 712 n. V cdi anche Giove Zilioli (Alessandro), 583 Zingarelli (Nicola), 837 e n. Zinzera [o Zinzara] (la), interlocutrice nei Marmi, 813-24 Zoppino (Nicolò), cantastorie e editore, 13, 18, 219 e n. (per la Storia di Campriano contadino), 220 (id.), 974, 975, 980 Zoppo (il), accademico peregrino, 741 Zuan Polo (buffone veneziano), 96 e n., 97 n. Zucca (il), pallaio, 813, 814 a Zucca-al-vento» (monna), 603, 604 n. Zuccherino (zanaiolo), interlocutore nei Marmi, 741 n.

INDICE

PIETRO ARETINO NOTA INTRODUTTIVA

3

NOTA DIO-BIBLIOGRAFICA

13

RAGIONAMENTO DELLA NANNA E DELLA ANTONIA FATTO IN ROMA SOTTO UNA FICAIA COMPOSTO DAL DIVINO ARETINO PER SUO CAPRICCIO A CORREZIONE DEI TRE STATI DELLE DONNE

Pietro Aretino al suo Moniccliio

47

Giornata prima La seconda giornata del capriccio aretino nella quale la Nanna narra alla Antonia la vita delle maritate La ultima giornata del capriccio aretino nella quale la Nanna narra alla Antonia la vita delle puttane

sI 100

[Lettera di Ubertinus Mazzo/a]

201

DIALOGO

DI

MESSER

PIETRO ARETINO

NEL

148

QUALE LA

NANNA IL PRIMO GIORNO INSEGNA A LA PIPPA SUA FIGLIUOLA A ESSER PUTTANA, NEL SECONDO GLI CONTA I TRADIMENTI CHE FANNO GLI UOMINI A LE MESCHINE CHE GLI CREDANO, NEL TERZO E ULTIMO LA NANNA E LA PIPPA SEDENDO NE L'ORTO ASCOLTANO LA COMARE E LA BALIA CHE RAGIONANO DE LA RUFFIANIA

Al gentile e 011orato n1esser Bernardo Valdaura reale essempio di cortesia Pietro Aretino

In questa prima giornata del Dialogo di messer Pietro Aretino la Nanna insegna a la sua figliuola Pippa l'arte puttanesca In questa seconda giornata del Dialogo di messer Pietro Aretino la Nanna racconta a Pippa sua le poltronerie degli uomini inverso de le donne In questa terza e ultima giornata del Dialogo di messer Pietro Aretino la Comare espone a la Balia presente la Nanna e la Pippa il modo del ruffianare Al nobilissimo Lionardo Parpaglioni lucchese messer Francesco Coccio

202

206

281

356 433

INDICE

1030

DAL « RAGIONAMENTO DE LE CORTI»

Prima parte del ragionare di messer Ludovico Dolce, di messer Francesco Coccio e di messer Pietro Piccardo

436

[L 1inutile e vana vita delle Corti]

437

DA

« LE CARTE PARLANTI». DIALOGO NEL QUALE SI PARLA

DEL GIOCO CON MORALITÀ PIACEVOLE

[La fortr,na dei tre .rcolanl [Madame d'Étampes alla Corte di Francia] 111. [I due doml IV. [Il testamento] v. [La torcia votiva] VI. [L'oriolo del re Luigi di Francia] vn. [J servi giocano a carte il padrone] VIII. [Le tentazioni del romito e il diavolo]

I. II.

458 46I 464 465 470 472 474 476

LETTERE

Dal Libro Primo I. II. III. IV.

v. VI.

VII. VIII. IX.

x. XI.

XII. XIII.

XIV.

xv. XVI.

xvn.

A messer Francesco· degli .Àlbizi. Di Mantova, il 10 di decembre 1526 A lo imperadore. Di Vinezia, il 20 di maggio 1527 Al serenissimo Andrea Gritti doge di Venezia. Di Vinezia (1530] A papa Clemente. Di Vinezia, il 20 di settembre 1530 Al re di Francia. Di Vinezia, il 10 di novembre 1533 Al gran cardinale Ippolito dei Medici. Di Vinezia, il 19 di decembre 1533 Al magno Antonio da Leva. Di Vinezia, il 6 di giugno 1534 A messer Giorgio d'Arezzo pittore. Di Vinezia, il 7 di giugno 1536 A messer Nicolb Buonleo. Di Vinezia, il 20 di settembre 1536 A l'arcivescovo sipontino. Di Vinezia, il 9 d'ottobre 1536 A Cosimo duca di Fiorenza. Di Vinezia, il s di maggio 1537 A messer Francesco Marcolini. Di Vinezia, il 3 di giugno 1537 A Sebastiano pittore frate del Piombo. Di Vinezia, il I s di giugno 1537 A la magnanima Isabella imperatrice. Di Vinezia, il 20 di agosto 1537 Al divino Michelagnolo. Di Vinezia, il 16 di settembre 1537 Al re Francesco primo. Di Vinezia, il 18 di settembre 1537 A messer Bernardo Tasso. Di Vinezia, il 2,1 di ottobre 1537

481 487

489 492 494 496 498 500 505 506 508 SII 513 515 516 519

522,

INDICE

A messer Domenico Bolani. Di Vinczia, il 27 di ottobre 1537 xix. Al Tribolo scultore. Di Vinezia, il 29 di ottobre 1537 xx. A la marchesa di Pescara. Di Vinezia, il 5 di novembre 1537 XXI. A Tiziano. Di Vinezia, il 9 di novembre 1537XXII. A messer Francesco Alunno. Di Vinezia, il 27 di novembre 1537 XXIII. A la signora suor Girolama Tiepola. Di Vinezia, il 13 di decembre 1537 xxiv. A la signora Angela Zaffetta. Di Vinezia, il 15 di decembre 1537 xxv. Al vescovo di Nocera. Di Vinezia, il 23 di decembre 1537

IOJI

XVIII.

524 527 528 530 532 S33 S35 S37

Dal Libro Secondo I.

n. III. IV.

v. VI.

A la marchesa di Pescara. Di Vinezia, il 9 di genaio 1538 A messer Lodovico dei Magi. Di Vinezia, il 10 di genaio 1538 Al gran Michelagnolo Buonaruoti. Di Vinezia, il 20 di genaio 1538 A messer Lodovico Dolce. Di Vinezia, il 7 di ottobre 1539 Al marchese del Vasto. Di Vinezia, il 27 di febraio 1540 A don Lope di Soria. Di Vinezia, il 20 di marzo 1542

540 542 542 544 550 551

Dal Libro Terzo 1. II.

III. IV.

A A A A

messer Tiziano. Di Verona, di luglio 1543 Michel'Agnolo Buonarroti. D'aprile, in Vinezia, 1544 messer Tiziano. Di maggio, in Vinezia, 1544 messer Francesco Marcolino. Di Vinezia, di gennaio

1545

552 553 554

55S

Dal Libro Quarto 1.

n.

In.

Al nostro Signore. Di gennaio, in Vinezia, 1547 A Iacopo Tintore. Di aprile, in Vinezia, 1548 Al Franciotto. Di aprile, in Vinezia, 1548

S57 558 S59

Dal Libro Quinto 1.

n. III.

Al Longo. Di gennaio, in Vinezia, 1548 Al Sansovino. Di ottobre, in Vinezia, 1549 Ai pedanti. Di agosto, in Vinezia, 1550

Dal Libro Sesto I. II.

A messer Iacopo. Di casa, di gennaio 1553 A messer Tiziano. Di decembre, in Venezia [1553]

565 566

INDICB

1032

ANTON FRANCESCO DONI NOTA INTRODUTTIVA

571

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

582

DA

« LA ZUCCA»

Il Prologo sopra la Zucca del Doni. Al signor Rocco Granza Ai lettori

591 602

Libro Primo. Il Ramo, di Chiacchiere, Baie e Cicalamenti CICALAMENTI, BAIE B CHIACHIERE DEL DONI

Cicalamento Cicalamento Cicala,nento Cicalamento Cicalame11to Cicalamento Cicala,nento Cicalamento Cicalamento Cicalamento Cicalamento lara

Primo 11

III V

VI VIII IX XIX XX XXI

60 S 606 607 607 608 609 610 6n 612 614

Ultimo. All'eccelente signor Giovan Andrea Anguil617

BAIE DEL DONI

Baia Prima Baia 11 Baia Ultima. A Comieri da Cometo, Giulio speciale e Benvenuto firenzolesi

627 628 630

CHIACHIERE DEL DONI

Chiachiera Prima Chiachiera 111 Chiachiera xv

644 645 646

Libro Secondo. I Fiori, di Passerotti, Grilli e Farfalloni Preambulo generale ai lettori GRILLI, PASSEROTTI E FARFALLONI DEL DONI

Grillo Primo PASSEROTTI DEL DONI

Passerotto 1111

651

FARFALLONI DEL DONI

Far/al/on Primo

655

1033

INDICE

Farfallon 11 Farfallon 111 Farfallon 1111 Farfallone Ultimo

659

662 664 666

DA « LA MORAL FILOSOFIA»

Proemio LA FILOSOFIA DE' SAPIENTI ANTICHI, TRADOTTA NELLA LINGUA TOSCANA DAI NOBILISSIMI SIGNORI ACADEMICI PERJ!GRINI.

OPERA TRATTA DA LA

LINGUA

INDIANA, PERSICA,

ARABICA, EBREA, LATINA, SPAGNOLA E ALTRE DIVERSE LINGUE

Libro secondo Il Pigro academico peregrino ai lettori DA

« I MARMI »

[Prima Parte] Al magnifico e nobilissimo signore il signor Anto,rio da Feltro nostro amicissimo gli Academici peregrini salute Lo Svegliato academico peregrino ai lettori

687 689

RAGIONAMENTO PRIMO

Miglior Guidotti e Salvestro del Berretta Carafulla e Ghetto, pazzi Lo Svegliato

691 700 705

RAGIONAMENTO SECONDO FATTO AI MARMI DI FIORENZA

Discorso dello Smarrito academico peregrino Il Ghioro e Borgo

707 708

RAGIONAMENTO TERZO FATTO AI MARMI DI FIORENZA

Il Perduto academico peregrino Nicolò Martelli, Visino e lo Stradino RAGIONAMENTO QUARTO FATTO AI MARMI DI FIORENZA

Il Perduto academico peregrino Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina Moschino, Tribolo e Ridolfo del Grillandaio RAGIONAMENTO SETTIMO FATTO AI MARMI DI FIORENZA

Lo Stucco academico peregrino Visino, Nuto pescatore, il Varlungo calzolaio, Niccolò Martelli e lo Stradino Alfonso e il Conte Betto Arrighi, Nanni Unghero e Dattero Giudeo Lo Stracco e lo Spedato, academici peregrini Alberto Lollio, Bartolomeo Gottifredi e Silvio scultore Il Bizzarro academico peregrino e l'Ardito

741 742 763 770 777 782 790

1034

INDICE

Poeta forestiero e Gozzo tavernieri Il Fanfera e il Lasca

796 801

Seconda Parte RAGIONAMENTO DELLA STAMPA FATTO Al MARMI DI FIORENZA

Academici fiorentini e peregrini La Zinzera, Verdelotto e Plebei

804 813

RAGIONAMENTO DELLA POESIA FATTO AI MARMI DI FIORENZA

Baccio del Sevaiuolo e Giuseppe Betussi Il privilegio della laurea di messer Francesco Petrarca la quale onoratamente gli fu donata a Roma i11 Campidoglio alli IX d, aprile

825

MCCCXLI

837

RAGIONAMENTO DI DIVERSE ETÀ DEL MONDO FATTO AI MARMI DI FIORENZA

Papi Tedaldi, Bernardino di Giordano e Romito di Monte Morello Vico Salvietti, Pollo degli Orlandini, ed Enea della Stufa

842 848

Terza Parte ACADEMICI FIORENTINI E PEREGRINI

La Ventura o la Fortuna o la Sorte fa occupare il luogo talvolta a tale (mettendolo inanzi) che non lo merita, e chi è degno d'onore bene spesso si rimane da parte e adietro Peregrino e Fiorentino e una figura di Donatello La statua di marmo di mano di Donatello parla La favola della bugia Academici peregrini e fiorentini e l'Aurora di Michel Agnolo Buonaruoti L'Aurora parla Novella della gentildonna

854 8 S5 859 861 862 867

RAGIONAMENTO DI DIVERSE OPERE E AUTORI FATTO AI MARMl DI FIORENZA

Pecorino dalle Prestanze e Chimenti bicchieraio e un Pedante Bernardon gioiellieri, Sandro formaritratti e sere Scipione notaio e un Pedante domestico adottorato Quarta Parte Il Tempo, l'Impaziente e il Vendicativo academici peregrini Diceria dell'Inquieto, academico peregrino, al Doni Il Pellegrino, il Viandante e il Romeo academici pellegrini DA

« I MONDI»

Libro Primo MONDO RISIBILE

Due Academici con alcuni discorsi ragionando dimostrano quatito

87 I 876

889 907 91 S

INDICE

IOJ5

sieno da stimar poco le cose umane di questo risibil Mondo; e quanto ci doviamo ridere della maggior parte de' fatti degli uomini, e de' vani loro pensieri

927

[Ragionamento primo] Cortese e Dolce

928

MONDO SAVIO

Il Pazzo e il Savio academici, per una visio11e mostrata da Giove e da Momo in forma di peregrini, veggono un nuovo mondo, il quale da un di loro è detto pazzo e da un altro savio mondo Savio e Pazzo

93S

Libro Secondo PRIMO MONDO INFERNALE DEL DISPERATO, ACADEMICO PE• REGRINO

Alla spaventevol gra11dezza e stupenda corona del gran Plutone, principe de' dannati Ai lettori

948 952

INFERNO PRIMO DEGLI SCOLARI IGNORANTI E DE' PEDANTI

Prima visione Dichiarazione della prima visione Lo Scolare academico peregrino agli Scolari ignoranti

958

960 960

INFERNO DEGLI SCOLARI DEL DISPERATO, ACADEMICO PERE· GRINO

Dante, il Disperato e Momo Seconda visione Dichiarazione del Dubbioso Dichiarazione del Negligente lVIomo solo Lettera di Plutone. Al Disperato, nei lt,1ondi de' vivi, Scrittor dell' lnferno degli Scolari, molto reale Momo solo

962 963 965 965 966

967 971

NOTA CRITICA AI TESTI

Pietro Aretino Anton Francesco Doni AGGIUNTA BIBLIOGRAFICA

973 982 985

INDICE DEI NOMI (E DELLE OPERE ANONIME O DI DUBBIA ATTRIBUZIONE)

989

IMPRESSO NEL MESE DI MAGGIO MCMLXXVI DALLA STAMPERIA VALDONEGA DI VERONA