La letteratura italiana. Storia e testi. Opere [Vol. 51.2]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI

VOLUME SI • TOMO

Il

UGO FOSCOLO · OPERE TOMO 11

UGO FOSCOLO

OPERE TOMO II

A CURA DI FRANCO GAVAZZENI

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RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO • NAPOLI

TUTTI I DIRITTI RISERVATI • ALL RIGHTS RESERVBD PRINTBD IN ITALY

UGO FOSCOLO· OPERE TOMO Il

SCRITTI STORICO-POLITICI ,, IL MONITORE ITALIANO» ( 1798)

1023

ESAME DI NICCOLÒ UGO FOSCOLO SU LE ACCUSE CONTRO VINCENZO MONTI ( 1798)

1043

ISTRUZIONI POLITICO-MORALI ( 1798)

1063

DISCORSO SU LA ITALIA ( 1799)

1089

ORAZIONE A BONAPARTE PEL CONGRESSO DI LIONE ( 1802)

1099

FRAMMENTI SUL MACHIAVEL~I ( 1810-1811)

1131

DELLO SCOPO DI GREGORIO VII ( 1811)

1159·

DELLA SERVITÙ DELL•ITALIA. DISCORSI ( 1815)

1191

SCRITTI LETTERARI [FRAMMENTI SU LUCREZIO] ( 1803)

1231

LA CHIOMA DI BERENICE ( 1803)

1247

DELL•ORIGINE E DELL'UFFICIO DELLA LETTERATURA (1809)

1281

TRADUZIONE DE' DUE PRIMI CANTI DELL'ODISSEA DI IPPOLITO PINDEMONTE ( 1810) ESSAY ON THE PRESENT LITERATURE OF ITALY ( 1818)

1329 1397

NARRATIVE ANO ROMANTIC POEMS OF THE ITALIANS (1819)

1565

THE L YRIC POETRY OF TASSO ( 1822)

1729

A PARALLEL BETWEEN DANTE AND PETRARCH ( 1823)

1755

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE ( 182S)

1811

ANTIQUARII E CRITICI DI MATERIALI STORICI IN ITALIA PER SERVIRE ALLA STORIA EUROPEA NEL MEDIO EVO (1826)

1901

1018

UGO FOSCOLO

I

OPERE

LETTERE LETTERE

1935

NOTA AI TESTI

2175

ERRATA CORRIGE

2206

INDICE DEI NOMI E DELLE FONTI

2211

INDICE

2269

SCRITTI STORICO-POLITICI

DA « IL MONITORE ITALIANO» (1798)

NOTA INTRODUTTIVA

All'impresa del (( Monitore Italiano» di cui furono pubblicati quarantadue numeri dal I piovoso al 24 germinale dell'anno VI repubblicano (20 gennaio 1798 - 13 aprile 1798), (e cinque numeri per decade», come era annunciato nel numero 2 del 3 piovoso (22 gennaio 1798) 1 collaborarono inizialmente Balocchini (presente, volta a volta, come Balochini, Balochino, Ballocchino), Giacomo Breganze (presente anche come Braganze), Ugo Foscolo, Melchiorre Gioia, Jerpi, Carlo Lauberg, componenti la società del « Monitore I t~liano ». A causa di un articolo di ispirazione antifrancese, comparso _anonimo nella rubrica Cenni politici del numero 14 del 27 piovoso (15 febbraio 1798), il Breganze, autore dello stesso, era costretto ad abbandonare Milano per rifugiarsi a Roma, così che il Foscolo (estensore di una lettera al Capitano di Giustizia in difesa del Breganze, pubblicata nel numero 20 del « Monitore Italiano >>, 9 ven~oso [27 febbraio 1798], la si veda in Epistolario, 1, pp. 60-2, a sua volta preceduta da un'analoga protesta del Gioia, inserita nel numero 18 del s ventoso [23 febbraio 1798]), già redattore dei resoconti delle assemblee legislative, si accollò anche il compito di stendere i Cenni politici, e i notiziari di politica estera. L'acquisizione di Pietro Custodi alla redazione del giornale data dal numero 26, del 2 I ventoso ( 1 I marzo 1798). In esso infatti lo stampatore Andrea Mainardi, prevenuti gli associati al « Monitore Italiano» che la società istitutrice del suddetto foglio gliene aveva ceduto la proprietà, aggiungeva che: « I cittadini Pietro Custodi, estensore del cessato TRIBUNO DEL POPOLO ed exRedattore al Gran Consiglio, Melchiorre Gioia, autore della Dissertazione premiata dalla Società di pubblica Istruzione: Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell'Italia, e Niccolò Ugo Foscolo noto nella Repubblica delle lettere per varie applaudite composizioni in verso e in prosa, ed in particolare per la celebre Tragedia il T1ESTE, saranno in avvenire i soli estensori di questo foglio». Dopo la tragedia Tieste (1797), e le odi Ai novelli repubblicani (1797), e Bonaparte liberatore (1797 e 1799), grazie alle quali il pressoché sconosciuto Foscolo si era imposto all'attenzione dei cultori delle patrie lettere e dei "democratici", l'onerosa e assorbente collaborazione, unico letterato stricto sensu, all'impresa del « Monitore Italiano», ad un giornale cioè esclusivamente politico, oltre a provare concretamente la determinazione dell'impegno civile foscoliano, costituisce anche un fatto cui, a quella data, non sapremmo quali altri contemporanei esempi accostare, o quali antecedenti ritrovare.

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SCRITTI STORICO-POLITICI

Il « Monitore Italiano,, nasceva in un momento di particolare inasprimento dei rapporti tra la Cisalpina e il Direttorio francese, e tanto nei confronti dell'una, quanto dell'altro, il giornale del Gioia_ e del Foscolo svolse una costante, ferma e talvolta aspra critica (fatale infine alla sua sopravvivenza), sempre rivolta, attraverso il resoconto fedele di quanto accadeva nelle massime assise cisalpine, e l'immediato commento, a illuminare presso la pubblica opinione le ragioni, spesso tortuose, attraverso le quali andava maturando il disegno direttoriale di mantenere la Repubblica soggetta alla Francia, impedendone l'emancipazione in Stato sovrano. Tale il senso del trattato d'alleanza e commercio stipulato tra la Francia e la Cisalpina il 21 febbraio 1798, e, più ancora, della nuova Costituzione imposta dal Direttorio francese allo Stato italiano il I settembre dello stesso anno. Pur nella diversità di formazioni e storie individuali, e nella varietà delle singole specializzazioni, quanti collaborarono alla redazione del foglio milanese si ritrovarono sul terreno di un moderatismo che se da un lato si presentava forte di una sua coerente armatura ideologica, dall'altro non riusciva a trovare adeguato sbocco politico. Non a caso la responsabilità del precario stato di cose in cui versava la Repubblica Cisalpina era imputato dagli uomini del « Monitore Italiano>> a colpa di una classe politica, oltre che inetta, conservatrice e corrotta, fautrice degli interessi del Direttorio francese in Italia, e da quello ricompensata con l'appalto delle scarse risorse economiche del giovane Stato. Risolvere il nodo di tale equivoca connivenza significò sostanzialmente impegnarsi in una difficile, per non dire impossibile, battaglia per la realizzazione di uno Stato nazionale autonomo. Impossibile in quanto il successo del disegno unitario non poteva certo valersi di un sincero avvallo democratico, dato che, nella Cisalpina, l'applicazione del concetto di sovranità popolare al testo della Costituzione era stata ben lungi dal conoscere pratica attuazione. Se in essa l'equilibrio politico risultava finalmente minato dalla contrapposizione di ricchezza e povertà, frutto di una libertà comperata presso chi in effetti l'aveva conquistata, da parte di chi ne aveva i mezzi, e teneva a goderne esclusivamente i privilegi, tanto da istituzionalizzarsi in governo, esponenti della tirannide economico-religiosa, e popolo, ciò era dovuto al fatto che l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge non poteva dirsi altro che una mera aspirazione, stante che i legislatori dello Stato cisalpino provenivano, generalmente, dalla classe abbiente, e non potevano quindi essere annoverati tra i più convinti assertori della sovranità popolare.

DA •IL MONITORE ITALIANO• [I] [CONSIGLIO DE' SENIORI 1



SESSIONE 11 PIOVOSO

( 30 GENNAIO 1798) • PRESIDENTE BECCALOSSI]z SoMACLIA: 3 [ ••• ]Nulla

di veracemente importante vi si scorge4 se non se l'idea opportuna di scegliere fra i tributi introdotti in Francia sulle tasse mobiliari, sulla carta bollata, sui contratti, sulle patenti delle arti, e de' traffici ec. quelli che men pesanti si fossero di alcuni de' tributi attuali. Ciò presenta un giusto e non difficile mezzo di sollevare l'utile classe de' poveri, rip~rtendo l'aggravio maggiore sui cittadini più facoltosi che potranno più agevolmente contribuire ai nccessarii dispendii della repubblica e ridurre anche in tal modo utili le loro ricchezze alla società.• [••.]

• Seppure le somme ricchezze potranno ritorcersi mai a vantaggio d'una società che ha una democratica costituzione. Sino che la repubblica avrà molti che hanno bisogno di esser corrotti, e pochi che possedono i mezzi di corrompere, la libertà non sarà che un nome. Noi prima d'essere cittadini siam uomini: i bisogni di na-tura che sono altrettanti doveri traggono l'artigiano, l'agricoltore e il domestico ad una superstiziosa ubbidienza verso il ricco che gli somministra il pane. D'altronde l'amor proprio principale passione dell'uomo, l'amor del potere principale passione del forte, il rancore della perduta possanza ferocissima passione degli otti• mati, useranno dell'oro per comprare la libertà del popolo. Già il lusso, la libidine, il despotismo .•. Legislatori! badate che le tacite Per l'ordinamento dei consessi della Repubblica Cisalpina vedi Orazion~ a Bonaparte pel Congresso di Lione, la nota 2 a p. 1104, la J a p. 1106 e In 2 a p. 1127. 2. Il barone bresciano Giuseppe Becca/ossi del Dipartimento del l\ilella, ebbe gran parte nella vita pubblica della sua città. Laureato a Padova in giurisprudenza, intelletto forte e preparato, ricoprì varie cariche sino a diventare presidente del Consiglio dei Seniori dal 1798 e membro del Corpo legislativo dal 1802. 3. Gaetano Cavazzi della Somaglia (Piacenza 9 ottobre 1752-l\-lilano 23 settembre 1837), già appartenente al Consiglio degli Anziani sotto il governo austriaco, fece poi parte del Corpo legislativo fra i Seniori per il Dipartimento dell'Olona nel 1798. Fu deputato alla Consulta straordinaria lionese nel 1802, quindi chiamato nel Corpo legislativo della Repubblica italiana e nel Collegio elettorale dei possidenti. 4. Il Somaglin fa riferimento all'opuscolo Osseroazio11i da 1,n cittadi110 al Corpo legislativo sopra le finanze e le contrib11.:rioni della Repubblica Cisalpina, l\•lilano, anno VI Repubblicano (l\ilDCCXCVII. V.S.), Per Giuseppe Galeazzi Stampatore e Libraro. J.

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SCRITTI STORICO-POLITICI

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trame degli opulenti non vi balzino da quel seggio ove rappresentate una nazione costretta a comprare colle proprie sostanze una libertà che calò dall 1Alpi accompagnata dalle desolazioni e dal terror della guerra, e seguita dall'orgogliosa avidità della conquista: una nazione la quale, colpa forse de 1 tempi, non per anco ha partecipato dei beni della libertà. Legislatori! Mentre voi ritardate il rimedio il male cresce in ragion progressiva: l'onnipotenza dei sacerdoti, l'ambizione dei grandi, l'avarizia del ministero, l'attaccamento alle antiche abitudini, la miseria del popolo, tutto congiura al soqquadro d'una troppo nuova costituzione. cc Le ricchezze e la povertà sono le più antiche, e mortali infermità delle repubbliche ». PLUTARCO in Licurgo. 1 [II] [ CONSIGLIO DE' SENI ORI · SESSIONE 17 PIOVOSO

( S FEBBRAIO 1798) • PRESIDENTE BECCALOSSI]

I due messaggi3 sono di già noti al consiglio: la commissione ne fece rapporto in comitato secreto: d altronde io son d'avviso che se il prospetto esibito dal ministro della guerra s'appoggia a dati certi,• è indispensabile che non si differisca I'approvazione del mensuale assegno. FoRMIGGINI : 2

1

•È fama che Catone il censore dicesse al Senato di Roma: « Imponete al questore, e a suoi dipendenti di presentarci di frequente il rendimento de' conti. Quanto più si permette la dilazione, tanto più cresce la brama e l'occasione di defraudare la repubblica colla speme di nascondere il defraudo nell'immenso inviluppo dell'azienda ».4 Legislatori! non isdegnate di ripetere a voi stessi le massime del senatore romano. 1. La citazione non è puntualmente reperibile. Potrebbe tuttavia compendiare quanto indica G. GAMBARIN: « 11 F. fa riferimento al passo seguente (cap. 8): 11 Licurgo ebbe in animo di estirpare le cause della superbia, de!Pinvidia, della cattiveria, della lussuria e delle due peggiori malattie dello stesso, la ricchezza e la povertà, e perciò persuase i cittadini a mettere in comune tutti i loro beni"» (Edizione Nazionale, VI, p. 55 1 nota 1). 2. Moisè Formiggini, banchiere a Milano, deputato del Dipartimento del Panaro, membro del Consiglio dei Seniori e, più tardi del Corpo legislativo. Il 26 gennaio 1801 fu eletto membro del Collegio elettorale dei commercianti. 3. I due messaggi: provenienti dal Direttorio ingiungevano un ulteriore tributo per il mantenimento delle truppe e altre necessità militari, da aggiungere al milione mensile già convenuto fra il Direttorio e il Gran Consiglio. 4. È fama ..• azienda: né Plutarco nella vita di Catone, né la

« IL MONITORE ITALIANO» (1798)

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Badate, cittadini rappresentanti, che la frequenza ornai troppa, de' comitati secreti sporge qualche diffidenza al popolo.•• TOMINI : 1

••«Et ne gli ultimi anni quando era mente de' cittadini più ricchi et superbi la clausura del maior conseglio non più si disputavano li negozii comuni alla presenzia del popolo, ma ciò ch'era di ragione universale, i pochissimi deliberavano clandestinamente. Tanta arrogantia dispiacque ai plurimi, e già i più saldi cittadini volevano con la mano domare questi più ricchi; annonché2 il populo era facto inerte e non estimava la cognizione dclii negozii suoi. Preludio fu questo del prossimo servaggio che pur vergognosamente venne, et non era tal danno reparabile ». SANUTO SENI ORE in CRONICA SEPTIMA delle cose Venetiane. 3 Cittadino Tomini! Felice la repubblica se il popolo diffidasse de' proprii rappresentanti! Fatto sta che i più raccolta dei frammenti delle sue orazioni, né altri accenni presso Livio e Cicerone recano una citazione testuale (cui il Foscolo stesso non volle, forse, prestassero fede i suoi lettori, se il discorso è introdotto da un È fama). Non è tuttavia da escludere che il Nostro abbia equivocato tra Catone il Censore e Catone Minore (o Uticense), nella cui vita plutarchea (capp. 17-18), in margine alla sua "questura,., si leggono aneddoti e riflessioni che il Foscolo, o la sua fonte, può avere liberamente compendiato, sotto forma di un discorso in Senato o di un appello al Senato. 1. Francesco Tomini, membro del Consiglio dei Seniori e del Collegio elettorale dei possidenti. 2. annonché: sennonché. J. Et ne ... Venetiane: si esclude che il Foscolo citasse direttamente dagli autografi del Sanudo. Il passo riferito potrebbe avere relazione con quanto si legge in un verbale della sessione 4 vendemmiatore (25 settembre 1797) della Società di Istruzione Pubblica di Venezia: 11 Il Cittadino Studita combatte una proposizione del Cittadino Michel, che i preti furon cagione della schiavitù de' Veneziani. Legge uno squarcio della Cronaca del Sanudo, in cui si descrivono le orribili fila della trama di escludere dal Maggior Consiglio la maggiorità de' cittadini. Fa poscia vedere essere questa stata opera di alcuni potenti ambiziosi 11 (Edizione Nazionale, VI, p. J 1). In tale occasione il Foscolo potrebbe aver trascritto o memorizzato la citazione sanudiana. Al riguardo G. GAMBARIN scrive: • Ma il caso forse più notevole (di dubbia autenticità delle citazioni foscoliane] è dato [... ] dalla citazione di una Clironica septima delle cose veneziane di Sanrdo Seniore, ben noto per altre opere storiche, ma non come autore di quella cronaca inesistente• (Edizione Nazionale, VI, p. xxxv111). Ma vedi anche I diarii di MARINO SANUTO, Prefazione di Guglielmo Berchet, Venezia, Visentini, 1903, pp. 61-2, in nota, dove sono menzionati, fra gli altri, i seguenti manoscritti del Sanudo: •Sommario di storia t:ene::iana [cod. 157, cl. vn], tratto dalla cronaca di Pietro Dolfin; Repertorio di cronaca veneziana [cod. 158, cl. vn]; Cronaca di Marino Sanuto dal 42r al r503 [cod. 520, cl. v11]. Comincia coi casati di nobili veneti [... ]. Segue [... ] la Cronaca che in gran parte è la prima fattura della Vita dei dogi o un compendio di essa, e per l'ultima parte un'aggiunta•·

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ancora dormono. E se pure il terror della guerra, e il totale soqquadro delle cose gli ha svegliati, sono ancor sonacchiosi: come persona che per forza è desta. 1

Quind'è ch'io tremo del preludz"o di Sanuto. [III] [CONSIGLIO DE 1 SENIORI • SESSIONE 18 PIOVOSO ( 6 FEBBRAIO 1798) • PRESIDENTE BECCALOSSI]

Non conosco la determinazione del gran consiglio, ma è fuori di dubbio che i cambi2 non possono, né devono più aver luogo, e che la guardia nazionale dev'esser formata di tutti i citta-dini convinti dell'obbligo, e del vantaggio di farla. Il cittadino as-soldato non è vera guardia nazionale, e non è già il miglior servizio quello che vien pagato coll'oro.• TOMINI: [ ••• ]

•« Colui che ti difende mercanteggiando la sua libertà e la sua vita per dieci danari ti tradirà per quindici ». 3 Macchiavelli. Citta-dini legislatori, sino che voi stabilirete non come glorioso dovere il difender la patria, ma come una venale speculazione, voi non avrete che de' pretoriani o de' schiavi. Sino che il ricco potrà col danaro esentarsi dalla fatica; sino che il povero dovrà traficare vilmente se stesso facendo ciocché il ricco sdegna di fare; sino ... voi insensibilmente consegnarete la repubblica in mano de' Luculli Cisalpi-ni che sapranno occuparla pagando degli uomini avvezzi a essere comprati.

1. DANTE, In/., 1v, 3. :z. cambi: «dicesi [...] alla sostituzione che si fa d'un altro a vece sua nella milizia» (TOMMASEO-BELLINI). 3. a Collli ••• quindici»: non è citazione puntuale del Machiavelli. Nelle Istruzioni politicomorali, senza più ascriverle al Machiavelli, il Foscolo ripete le stesse parole: • bada che chi ti difende per dieci ti vende per quindici [...] • (qui a p. 1067). Il concetto è tuttavia machiavellico. Vedi, ad esempio, L'arte della guerra: u Perché le città hanno bisogno delle armi; e quando non hanno armi proprie, soldano delle forestiere: e più presto noceranno al bene pubblico l'armi forestiere che le proprie, perché le sono più facili a corrompersi [.•.] » (Tutte le Opere di N1ccoLÒ MACHIAVELLI, a cura di F. Flora e C. Cordié, Milano, Mondadori, 1, 1949, p. 467).

« IL MONITORE ITALIANO» (1798)

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[IV] [CONSIGLIO DE' SENIORI • CONTINUAZIONE DELLA SESSIONE 18 PIOVOSO ( 6 FEBBRAIO 1798) • PRESIDENTE BECCALOSSI]

La comune di Rimino s'è di prese_nte trovata nella necessità non solo d'imporre su tutte le corporazioni ecclesiastiche, ma ben anche su tutti i cittadini un'anticipazione di sei mesi per mantenimento delle truppe cisalpine colà mandate senza cassa, senza provigioni, e foraggi, e senza commissarii. TURCHI : 1

Ciò che asserisce il cittadino Turchi è egli vero? e, se è pur vero, i ministri del pote~e esecutivo restano ancora impuniti? PuffendorfP ci presenta nella Storia della Svezia sì terribili esempii. I monarchi mandavano dalla capitale le orde de' loro satelliti che privi di vesti e di pane erano astretti a procacciarseli colla spada ne' paesi dov'essi erano nati, e donde sortivano per difendere un imbecille, o per cingere d'allori insanguinati le teste de' despoti. Ma questi delitti sono odiati persino dai re; non perché i re ab borrano le scelleraggini, ma perché scelleraggini di tal fatta non servono che a procacciarsi l'odio de' popoli. E si dovranno soffrire da un popolo libero? ·E le città che formano parte integrale della repubblica dovranno essere esposte al sacco delle legioni o ammutinate, o sedotte, o astrette dalla necessità a trattare ostilmente la loro patria? Se in ciò non vi fosse che errore, l'ignoranza stessa dovrebbe essere punita di morte. Legislatori! Io vi parlo con la franchezza dell'uomo libero che ha consacrato i suoi giorni alla verità: o togliete gli arbitrii, o scendete da quel seggio, ove rappresentate una nazione oppressa e delusa da suoi stessi n1inistri. Se il danno ricade sul popolo, la vergogna si ritorce tutta su voi: Se voi non chiedete esatto conto dell'operazioni del direttorio esecutivo: Se noi censurate ove ha mancato al proprio dovere: Se noi 1. Giacomo T11rchi (Savignano 28 maggio 1754-Milano [?] 11 novembre 1801). Discepolo di Pasquale Amati, fu, a Roma, segretario di monsignor Giuseppe Albani. Alla costituzione della Cisalpina, ritornnto in Alta Italia, veniva eletto membro del Corpo legislativo del Consiglio dei Seniori. 2. Samuel Ptife,,dorf (Flohe [Sassonia] 8 gennaio 1632-Berlin 25 ottobre 1694). Le opere relntive alla storin svedese sono i Comme,itaria de rebus Suecidis ab e.\·peditione Gustavi Ado/pl,i 11sq11e ad abdicatio11em Christi11ae (Utrecht 1686), e De reb"s gestis Caro/i Gustavi Sueciae regis (Nilrnberg 1695).

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SCRITTI STORICO-POLITICI

mettete in istato di accusa ove o per inganno o per malizia ha abusato della sua autorità: Se al ministro della guerra non si chiede il rendimento de' conti: Se non è riordinata la finanza, massime colla dimissione di que' ministri che per proprio interesse tramano forse di deludere le vostre leggi: Se la polizia non usa d'un braccio robusto pari a quello della romana censura: Se ad alcuni commissarii del potere esecutivo che sono ornai fatti altrettanti Verri 1 non s'impone di rigurgitare ciò che hanno divorato a' dipartimenti: Se la legge non costituisce infami i mal-versatori del pubblico erario: Se la milizia non è subordinata alla costituzione: Legislatori! La repubblica crolla; e le sue rovine saranno eterno monumento della vostra ignoranza, e terribile esempio ai popoli, i quali tremeranno di redimersi a una libertà peggiore della schiavitù. [v] [CONSIGLIO DE' SENIORI • SESSIONE 21 PIOVOSO ( 9 FEBBRAIO 1798) · PRESIDENTE BECCALOSSI]

Si legge risoluzione del gran consiglio, che accorda per urgenza la dimissione ai rappresentanti Estore MARTINENco,2 e Leopoldo C1COGNARA3 nominati ministri della repubblica l'uno a Napoli, l'altro a Torino.

E' pare che il direttorio cisalpino abbia adottato il sistema del senato di Venezia nell'inviare ambasciadori i personaggi d'illustri I. Verri: allude a Gaio Verre, questore accusato dai Siciliani presso il Senato romano di concussione. Come è noto l'accusa fu sostenuta da Cicerone. 2. Giovanni Estore Martinengo Colleoni (Brescia 1763-ivi 1832). Entrato nel 1785 al servizio del re di Prussia quale alfiere nel x reggimento degli Ussari, nel 1789 faceva ritorno in Italia. Fu tra i primi bresciani ad abbracciare le idee repubblicane, organizzando, con Giovanni Caprioli e Francesco Gambara, le milizie cittadine. Ministro plenipotenziario della Cisalpina a Napoli, generale di brigata e comandante la milizia nazionale dopo Marengo, inviato straordinario del viceré Eugenio a Parigi nel 1807, senatore del Regno nel 1809, alla caduta di Napoleone si ritirò a vita privata. 3. Leopoldo Cicog11ara (Ferrara 2 novembre 1767-Venezia 5 marzo 1834). Ispettore generale a Bologna nel 1796, il 21 novembre dell'anno successivo veniva chiamato a Milano a far parte del Corpo legislati\'o, e il 30 gennaio 1798 era nominato ministro plenipotenziario n Torino. Coinvolto in una presunta congiura intessuta dal prefetto l\1agento, dul Ceroni e dal Teulié, veniva privato del suo grado. Esiliato il 12 aprile 1803, si recava a Firenze. Riabilitato, l'u maggio 1804 rientrava a Milano, riassumendo le cariche precedentemente ricoperte.

« IL

MONITORE ITALIANO» (1798)

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e di ricche famiglie. Coprivano gli oligarchi quest'arbitrio col pretesto che per sostenere dignitosamente la rappresentanza erano necessarii nomi già conosciuti, e famiglie che potessero versare le proprie sostanze. Il fatto scopriva la falsità del pretesto, perché i ministri di qualunque ordine si fossero ripatriavano sempre più ricchi che prima. Calcolata la somma che la repubblica dà per indennizzazione ad un ministro egli è evidente che un uomo anche non ricco potrebbe mantenersi decorosamente. D'altronde egli è forse d'uopo che i ministri democratici si presentino ai re con lo sfarzo de' satrapi, e con la corruzione de' luculli? Aggiungi che i più ricchi appartenenti ad illustri famiglie non sono i più illuminati e i più saggi, e, quel che è più, non sono i più caldi propugnatori della sovranità popolare. Perché dunque conformarsi a tale sistema? Forse privati interessi, e forza d'antiche abitudini hanno diretto queste prime elezioni. Tuttavolta i Veneti aveano l'avvedutezza di presidiare gli ambasciadori con degli esperti secretarii di legazione. È incerto se il direttorio abbia profittato di questo utile mezzo. [VI] [ CONSIGLIO DE' SENIOR! • SESSIONE 24 PIOVOSO ( 12 FEBBRAIO 1798)]

È urgentissimo di deviare dalle forme costituzionali per salvare la vita ad un solo cittadino, che senza difesa potrebbe essere sacrificato. MELACINI: 1

All'ipotesi del cittadino MELACINI si oppone un'altra. Coll'accordare la libera delazione delle anni3 si renderà anzi più facile l'attentare alla vita de' cittadini.• 0NGARONI : 2

• Ciò è falso, perché i scelerati che attentano contro la vita de' cittadini non attendono di essere autorizzati dalla legge a portar r. Rocco Atlelacini o Melancini: • Medico Veneziano, grande fautore della rivoluzione del 1797, giacché era stato dianzi vittima degli inquisitori di Stato. Fu membro del corpo legislativo della Repubblica Cisalpina. Seguì il destino delle nrmntc francesi, e morì fedele alla causa» (Storia dell'ammitristra:sione del Reg110 d'Italia durante il domi11io francese [••. ] del Signor FEDERICO CORACCINI, Lugano, Vcladini, 1823, p. cv). 2. Aureliano Ongaroni, membro del Consiglio dei Seniori, del Dipartimento del Ticino. 3. la libera delazione delle armi: il porto d'armc affrancato da ogni limitazione legale.

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SCRITTI STORICO-POLITICI

liberamente il pugnale. Falso, perché l'onesto cittadino atterrito della pena di tre mesi di carcere contro i delatori d'armi, s'espone inerme al furore dell'assassino che avvezzo al delitto non cura l'infamia e l'afflizione d•una pena sì tenue poiché l'interesse del malfattore è maggiore del castigo che gli si minaccia. Falso, perché coloro che s'armano contro la vita e la proprietà de' cittadini, nella certezza che la legge vieta le armi corrono più sicuramente al misfatto; mentre più cauti sarebbero sapendo che ognuno ha i mezzi di difesa e di resistenza. Ma il rigettare l'urgenza di questa risoluzione non è soltanto un delitto contro la sicurezza individuale, ma una violazione solenne de• principii generali. O il portar l'armi ridonda in utilità universale e perché non si accorda? O ridonda in danno e perché si accorda a chi ha più danaro ? hanno forse i magistrati d'un popolo libero i vizii degli oppressori d'un vulgo che applaudiva per terrore ai tiranni quando si comprava il delitto, quando l'oro bilanciava i misfatti, quando il nobile poteva impunemente commettere quelle colpe che il povero scontava sopra il patibolo? Rappresentanti seniori ! Tutte le volte che voi vorrete rigettare una legge perché non vi sembra perfetta rammentatevi le parole che Solone ripeteva agli indocili Ateniesi. cc Non v'attendete da un legislatore ottime leggi. Un uomo che detta ad uomini non giungerà alla perfezione giammai. lo cerco il migliore, e il più delle volte vi propongo un cattivo rimedio per isfuggire un pessimo danno». PLATO in Repub. 1 E si potranno nella democrazia tolerare i privilegi di portar armi, privilegi mercati coll'oro dell'aristocratico, privilegi BU1TURINI :2

1. «Non • •• Repub. »: la citazione non è reperibile nella Repubblica, cosi come in alcun altro luogo platonico. È forse il caso di un lapsr,s niemoriae: il Foscolo poteva forse ricordarsi che, sia pure in contesto affatto diverso, Solone è menzionato da Platone all'inizio sia del Timeo che del Crizia, come il poeta avrebbe potuto anche desumere da un testo a lui ben noto: il Voyage dujeune Anacharsis en Grèce di J. J. Barthélemy (cfr. ed. Paris, Belin, 1813, I, p. 246). 2. Mattia Butturini (Salò 26 giugno 1752-Pavia s agosto 1817). Studiò a Padova col Cesarotti, ma ufficialmente fu dottore in giurisprudenza e professionalmente avvocato a Venezia e oratore della Serenissima. Esule da Venezia, durante la prima Cisalpina fu rappresentante del popolo e, dopo Marengo, ottenne la cattedra di letteratura greca a Pavia. Di tale magistero resta felice memoria nella sua prolusione: Omero pittore delle passioni umane. Dal 1809 al 1814 insegnò procedura civile a Bologna, ritornando poi alla cattedra di greco di Pavia. Uno

« IL MONITORE ITALIANO» (1798)

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odiosi del pari a coloro che ne usano ? In tal modo il ricco è impune, il povero è malfattore: l'oggetto dell'urgenza è di togliere queste ineguaglianze degne solo dei governi tirannici ove il popolo è costretto a baciare il flagello de' ricchi e de' nobili, perché costoro onnipotenti per le loro dovizie violano le leggi, corrompono i magistrati, vantano scelleraggini che per contratto comprano dal governo.••

••« Il genio di libertà chiede vittime, e le prime sacrificate deon essere le teste de' più potenti. Ov'è ricchezza è vizio, ov'è vizio è schiavitù». Così dicea Robespierre alla convenzion nazionale. lo più moderato vi dirò: Se non volete opprimere i nobili togliete almeno loro quei mezzi co' quali essi potrebbero opprimere la repubblica. [VII] [ CONSIGLIO DE' SENI ORI • SESSIONE 26 PIOVOSO ( 14 FEBBRAIO 1798) • PRESIDENTE BECCALOSSI]

Si legge altro messaggio del direttorio, che dà notizia della sommossa seguita a 1\/Iantova tra le truppe francesi, che hanno esatto violentemente da quella comune la somn1a di 400. m. franchi.•

•«E più volte le romane legioni gettando le insegne, maladivano la patria, e saccheggiavano le città federate; né ciò a torto; poiché gl'imperatori dilapidando l'erario abbandonavano le truppe alla fame e alla disperazione. Aggiungasi l'avarizia de' capitani che per arricchir se medesimi incitavano la soldatesca all'ammutinamento, facendo poscia morire i capi, onde scolparsi dalla taccia che si meritavano. lVIa ciò non avveniva ai tempi di vera libertà. Per maggior nostra vergogna Roma serba il nome ancora di repubblica infamandosi coi delitti dei re »1 (TACITO A1111al. lib. x111).

svelto e nutrito profilo del Butturini, con esaurienti riferimenti bibliografici si legge in Lo studio dell'Antichità Classica ,,ell'Ottoce,ito, a cura di P. Trcves, volume 72 di questa collana (1962), pp. 149-58. 1. «E più volte ... dei re•: il passo non è citazione puntuale di TACITO, A,in., XIII. Vnri luoghi di tale libro (vedi 35 e 54), e, in genere, del racconto tacitiano della campagna pnrtica di Corbulonc, sembrano avere suggerito la materia ad una sorta di parafrasi musiva, che il Foscolo può avere creduto di Tacito (ove attingesse da altri), o, più probabilmente, intendeva far passare per Tacito agli occhi dei suoi più o meno esperti lettori.

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[VIII] [ GRAN CONSIGLIO • SESSIONE 4 VENTOSO ( 22 FEBBRAIO 1798) • PRESIDENTE BRUNETTI] 1

Si legge lettera dell'amministrazione centrale dell' Alpi Apuane accompagnata da parecchi allegati. Si duole altamente del commissario di polizia LEONI, specialmente per l'arbitrio d'intercettare le lettere, non solo dei semplici cittadini, ma quelle eziandio de' rappresentanti del popolo.•

[1.] •Quel delitto che deve scontare un semplice cittadino con pena di carcere, dovrebbe essere da un'autorità costituita scontato con una pena maggiore. 2. L'intercettare le lettere è lo stesso che attentare alla libertà individuale, alla sicurezza dei cittadini; e talvolta anche alla proprietà. 3. Il governo può limitare i diritti degli individui per la salute generale: ma tali restrizioni non si possono fare se non con una legge. 4. Quell'autorità costituita, che senza espressa legge, rapisce ai cittadini quei diritti che deve proteggere di qual pena dev'essere punita? [IX] GIUDIZIO DEL POEMA « BONAPARTE IN ITALIA» OPERA DI FRANCESCO GIANNI 2

Art. I. La rivoluzione italiana non accrebbe lustro alle lettere. I dotti se amici della libertà attesero alla politica pratica, se nen1ici si ascosero. Né la guerra protegge gli ozii sacri della filosofia, né il soqquadro de' governi che agita le passioni, e accende i partiti, seconda il genio delle muse. Opera di ingegno sommo, e di sommo 1. Vincenzo Brunetti (Bologna 23 febbraio 1761-ivi 17 ottobre 1839). Eletto commissario della Cispadana nel 1797, alla costituzione della Cisalpina assunse le cariche di membro del Corpo legislativo, presidente del Consiglio degli luniori, ministro della polizia ed infine membro del Di-rettorio esecutivo. Partecipò alla Consulta straordinaria lionese e nel 1802 fu segretario agli uffici del Primo Console, e, successivamente, membro del Collegio elettorale dei dotti e del Corpo legislativo. 2. Francesco Gian-ni (Roma 14 novembre 1750-Parigi dopo il 9 marzo 1822). Il poema Bonaparte in Italia consta di cinque canti in terzine (lo si veda in Raccolta delle poesie di FRANCESCO GIANNI, Milano, Silvestri, 1807 1 1v, pp. 57-106). L'edizione cui si riferisce il Foscolo è però la seguente: Bonaparte in Italia. Poema di FRANCESCO GIANNI, Milano, Civati, s. a. (ma 1798), canti 1-v.

> non già nella qualità dell'erudizione del commento (tutta sicuramente di seconda mano), ma, sia pure con espressione non perfettamente adeguata all'impegno foscoliano, nel felice contemperamento di erudizione e filosofia. Osserva Piero Treves: «È certo la prima volta, nonostante l'esempio eminente dell'edizione viscontina delle Inscrizioni triopee, che d'uno scritto si offrono l'inquadratura storica, la determinazione cronologica (e poco importa che confessatamente il Foscolo derivasse qui dal Lamberti e dal Visconti, la cui esegesi a stampa sarebbe apparsa solo parecchi anni più tardi, l'identificazione dei personaggi, la "chiave" aneddotica, il senso dell'immediatezza e il "clima" ambientale). Il razionalismo e vichismo del Foscolo, le teorie neo-evemeristiche sull'origine della religione, il senso concreto della numinosità del Princeps, operi o non operi la suggestione bonapartesca, la stessa polemica contro l'Arcade bifolco in favore della serietà e spontaneità della poesia (pur nell'errore implicito di ritenere seria e spontanea, anzi che letteraria e cortigiana, la Musa callimachea), soprattutto ed infine la consapevolezza dei limiti e valori della traduzione poetica, sicché il Catullo foscoliano è un poeta che interpreta, legge e trasmette un poeta, non un grammatico, un erudito, un pedante: tutti questi elementi congiuntamente conferiscono alla resurrezione d'un mondo, all'unitaria interpretazione d'un componimento che, in fatto di alessandrinismo, ha del simbolico, del programmatico e dell'esemplare: né direi sia stato meglio colto dai successivi esegeti, nemmeno dal Wilamowitz [ ••• ] » (Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, a cura di P. Treves, volume 72 di questa collana, 1962, pp. 244-5). Nella Chioma il ricorso a varie discipline, dalla storia, alla filosofia, alla filologia, per cc far intendere la lettera e lo spirito dell'autore », onde appurare in ogni singolo testo quelle « verità universali e perpetue rivolte alrutilità dell'animo alla quale mira la poesia», non solo tornava producente nei confronti di un'originale lettura del poemetto carnmacheo, ma soprattutto era considerevole nella misura in cui consentiva al Foscolo di chiarire, per la prima volta, concetti relativi alla poesia, alla sua storia e funzione politico-sociale che, variamente ripresi e rielaborati nel tempo, permarranno altrettanti capisaldi della sua concezione storiografica. Filologia e storia convergevano infatti nell'ipotesi cc che i simboli fossero scrittura compendiosa della storia la quale era trasferita dalla terra al cielo », e ciò grazie al fatto che la «lingua de' simboli, usitata presso molte nazioni, fu, inventati gli alfabeti, politicamente riserbata come eredità propria a' sacerdoti, ed a' principi i quali nascondevano al volgo la filosofia della storia». Tanto gli risultava chiaramente dal testo della Chioma: • Il re la fece egli stesso rapire per maggiormente persuadere alle

LA CHIOMA DI BERENICE (1803) · NOTA INTRODUTTIVA

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suddite genti la divina origine della famiglia de' Tolomei, e la possanza in cielo della prima Berenice, diva associata a Venere: e si valse della mano sacerdotale, della fama di Conone, e dell'ingegno di Callimaco». Ma l'impegno a fondare nella storia la propria filologia, a garanzia della verosimiglianza dell'esegesi, comportava necessariamente l'estensione del campo di ricerca dal testo callimaco-catulliano alla poesia classica in genere, implicando conseguentemente le dottrine poetiche dell'antichità, attualizzabili solo grazie alla loro storicizzazione. Così concetti largamenti vulgati in ambito classicistico, come quello attinente al «mirabile 11, potevano riacquistare originalità in virtù della loro motivazione storica: 11 Ma questo mirabile riescirebbe nullo ove non fosse appoggiato alla religione di que' popoli, e poco efficace se la religione non lusingasse le loro passioni, e non ridestasse nell'immaginazione simolacri non solamente divini, ma simili a quelle cose che sono care e necessarie a' mortali», ragion per cui « questa sorte di meraviglia chiude in se stessa anche una certa passione 11, che sarà tensione conoscitiva, inerente alla partecipazione al processo di mitizzazione, in cui alla «moltitudine», alla quale si rivolge la poesia, era dato riconoscersi collettivamente nell'universale come particolare. La connessione tra politica e poesia, secondo il Foscolo consisteva dunque nel fatto che « La favola degli antichi trae l'origine dalle cose fisiche e civili che idoleggiate con allegorie formavano la teologia di quelle nazioni; e nella teologia de' popoli stanno sempre riposti i principii della politica e della morale», essendo che «l'umana mente [ha] bisogno di cose soprannaturali, e quindi i popoli di religione,,. Religione intesa non alla stregua di misticismo e rinuncia alla vita (u sebbene le religioni nascano dalla tempra de' popoli, e si stabiliscano per le età e le circostanze degli stati, i popoli ed i tempi prendono in progresso aspetto e qualità dalle religioni ,,), bensì come interpretazione della storia in funzione del progresso. Nel canone degli esempi di religiosità, al «cielo» della tragedia greca si affiancano infatti le «streghe» di Shakespeare, i a prestigi» della Semiramide e del Maometto, la «fatalità» della Mi"a, l'«ira divina» del Sa11l. Che poesia e scienza battessero strade differenti era già stato affer-mato dal Conti; quanto il Foscolo aggiunge, alla luce di una più vasta comprensione storica, è che nascendo dalla teologia, e non andando disgiunta da un corrispondente ideale religioso, proprio per essere strumento di conoscenza della «moltitudine», e non degli scienziati, la «poesia deve per istituto cantare memorabili storie, incliti fatti ed eroi, accendere gli animi al valore, gli uomini alla civiltà, le città all'indipendenza, gl'ingegni al vero ed al bello», perseguendo il fine immediato di colpire «le menti col meraviglioso» (tratto a Dal cielo 79

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poiché la natura e l'educazione hanno fatto elemento delPuomo le idee soprannaturali»), e «il cuore con le passioni» (tratte dalla società, stante che «quello più doma e vince le menti che più percuote i sensi», e però gli uomini delle società primitive « Magnificavano le passioni umanizzando gli Dei, e divinizzando i mortali»). Tra "meditare e sentire,,, tra percepire e rappresentare, tra la cosa e il suo riflesso linguistico, in tanto poteva istituirsi un moviinento dialettico, prodursi un'energica sintesi formale che si sottraesse alla presa d'ogni manierismo (cui era soggiaciuta la poesia latina, cui soggiaceva infine ogni poesia immediatamente frutto di un piano razionale), in quanto agli estremi si collocavano una concezione immanente nel tempo (cioè nella storia della civiltà) dell'uomo quale ente naturale (alla cui definizione, più di Locke e dei sensisti, oltre al Machiavelli, avrà pur contribuito la dottrina della socialità delle passioni in Hobbes), e il suo progressivo e molteplice organizzarsi sociale in mutati contesti storici. A quella data, la sfiducia nell'ottimismo rousseauiano non poteva non apparire motivata dai fatti, dal fallimento, conseguente all'indiscussa affermazione del cesarismo napoleonico, non solo degli ideali rivoluzionari, ma di quelli stessi, moderati, che avevano dettato l'azione degli estensori del « Monitore italiano». Il poeta divulgatore delle verità di ragione diveniva in tal modo persuasore delle certezze che trovano riscontro nella storia. Al modello illuministico di affermazione e sviluppo della ragione veniva idealisticamente sostituendosi la concorrente prevedibilità della storia che, schematizzata dal Vico nella dottrina dei corsi e dei ricorsi, assumeva nel Foscolo le forme di un immanentismo, in cui la condizione umana, perennemente uguale a sé stessa nelle sue fondamentali urgenze, si rivelava tale solo allorquando le si presentava l'occasione di sottrarsi alla costante modificazione del tempo, dislocandosi nella dimensione del mito, cioè della poesia. Era una risposta inequivocabilmente aristocratica ad un quesito che tale inizialmente non era, e che nasceva dall'esigenza di assicurare universalità, cioè "popolarità,, (e in simile identificazione, di stampo classicistico, consisterà l'aristocraticismo foscoliano), alla poesia, a un esercizio in cui a chi non era concesso di « altamente oprar •, fosse almeno possibile conseguire fama tramite le «libere carte ».

DA «LA CHIOMA DI BERENICE•

[1] A GIO. BATTISTA NICCOLINI 1 FIORENTINO

Ho tentato di po"e in tutto il suo lume il poema di Callimaco per la chioma di Berent"ce,2 e mando a te il mio lavoro come premio della tua devozione a' poeti greci, e come nuovo testimonio della nostra amicizia. 3 Veramente questa impresa presume maggiori studii di quelli che la fortuna, e la giovinezza passata fino ad ora fra le armi e l'esilio, mi possono aver conceduto. Pure se confronterai questo commento e la mia traduzione con quelle degli altri, non avrai, spero, a vergognare per l'amico tuo. E se tu trovassi ch'io possa essere superato da chi verrà, no11. troverai certamente ch'io non abbia aooanzato chi mi ha preceduto. Però dove io avessi mancato, altri più dotto, e più curioso di si,ffatti studii supplisca; ch'fo per me ho decretato di usare dell'·ingegno pi'ù a fare da me, che a mortificarlo sulle opere altrui. Né mi sarei. accinto a farla da commentatore se in questa infelice stagione non avessi bisogno di distrarre come per medicina la mente ed il cuore dagli argomenti pericolosi• a' quali attendo per istituto. Così Catullo sebbene per la tristez:1a allontanato dalle vergini Muse, 4 tentava nondimeno l'obblia della sua sciagura, traducendo per Ortalo5 questo medesimo poemetto. b E me pure confortò la brevità di questi versi; e mi strinse la loro meramgliosa bellezza. Non credo che l'antichità ci abbia mandata poesia lirica che li sorpassi, e niuna abbiano le età nostre che li pareggi. Però dopo averli illustrati, come io so, a) Lucrezio lib. I vers. 42. 6 b) Nella dedica ad Ortalo. Cann. LXIV. 7 1. Gio. Battista Niccolini: vedi nel tomo I Poesie (1803), la nota 2 a p. 169. Berenice: vedi nel tomo I, p. 263, La chioma di Berenice, la nota al v. 11. 3. nuovo testimonio •.• amicizia: al Niccolini, il Foscolo aveva infatti dedicato anche la stampa milanese (Destefanis, r803) delle Poesie (vedi tomo I, p. r69). 4. Catullo . •. Mwe: vedi nel tomo 1, p. 257, La chioma di Berenice, la nota al v. 2. 5. Ortalo: vedi ivi, p. 259, la nota al v. 19. 6. Vedi De rer. nat., 1, 41-2: •Nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo / possumus aequo animo [...] •. 7. Ma ora LXV, 1-3: • Etsi me assiduo confectum cura dolore / sevocat a doctis, Hortale, Virginibus; / nec potis est dulceis Musarum expromere foetus » (vedi nel tomo 1, La chioma di Berenice, p. 256). 2.

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mandandoli a te, intendo di mandarli, senza lusinga di gloria, a tutti i giovinetti tuoi pari, come tentativo del metodo di studiare i classici, sole fonti di scritti immortali. Posterius graviore sono tibi musa ]oquetur nostra: dabunt cum securos mihi tempora fructus. a

Se non che de' nostri studii, come di tutte le mortali cose, tocca a decidere più alla fortuna che a noi. Onde accogli frattanto questo piccolo dono, e vivi memore dell'amico tuo, com'io vivo sempre pieno di te. Milano 30 luglio I803. UGO FOSCOLO

a) Virg. in Culice vers. 9. 1

1. Culex, 8-9 («A suo tempo la mia musa ti parlerà con più nobile tono: quando i tempi mi concederanno sicura ricompensa»).

[11] DISCORSO PRIMO

Editori, Interpreti, e Traduttori. Interpretando un antico poeta fabbro di arte bella, per cui usa di modi figurati, e di peregrine parole, che tocca fatti di principi e di nazioni onde ritorcerli alla istruzione degli uomini, il commento. deve essere critico per mostrare la ragione poetica; filologico per dilucidare il genio della lingua e le origini delle voci solenni; istorico per illuminare i tempi, ne' quali scrisse l'autore, ed i fatti da lui cantati; filosofico acciocché dalle origini delle voci solenni e da' monumenti della storia tragga quelle verità universali e perpetue rivolte all'utilità dell'animo alla quale mira la poesia. Chi più congiunge queste doti quegli a mio parere consegue l'essenza d'interprete ch'io definisco: far intendere la lettera e lo spirito dell'autore. Perciò primo de' commentatori a' poeti latini reputo l'inglese Tommaso Creecha degnamente seguace anche sotterra IX.

a) Lucretius cmn interpretatione et notis Thom. Chreech Collegii omnium animarum Socii. Oxonii 1695. 1 1. Thomas Creech (Blandford [Dorsetshire] 1659-\Velwyn [Hertfordshire] giugno I 700). Valente studioso e traduttore di classici latini e greci la sua fama crebbe notc\:olmente dopo la traduzione di Lucrezio. l\llorì suicida. Il Foscolo cita: TITI LucRETll CARI De Rerum Natura libri se.-.:: quibus i'1terpretatio11em et 11otas addidit THO:\IAS CREECH, Oxonii, e Theatro Sheldoniano, lmpensis A. Swall et T. Child, 1695 (la prima traduzione di Lucrezio del Crecch risale al 1682). Nell'esemplare della Chioma postillato dal Foscolo, e giacente presso la Biblioteca ìVlarucelliana di Firenze (per il quale vedi Edizione Nazionale, VI, p. CIV), è aggiunta la seguente nota: 11 Taluno di quegli uomini letterati che scriveano il Diario ltalia110, nel dicembre del 1803, mi appose la mia feroce ammirazione pel suicidio; e trasse l'accusa forse da questo passo e dall'altro ov'io lodo Pier delle Vigne. ìVla se io e per natura e per destino sono astretto a reputar veramente libero e sapiente chi sa morire a tempo, a che non piuttosto compiangermi s'io deliro in questo error malinconico, a che non convincermi prima di rinfacciarmi? Letterati godenti! né so né posso viYcre·con voi né per voi: e più m'insegnano l'ultimc ore del suicida, che tutta la vostra cortigiana filosofia. È da forte il sostenere la sciagura, mn l'accoglierla spensieratamente è debolezza e follia. Sfugge l'uomo alla tirannia della onnipotente fortuna, se sa come e quando morire. E poiché i lieti letterati de' miei giorni non mel possono insegnare, io vivo con gli uomini morti con generosR laude antica, e gl'intcrrogo, e mi rispondono. I'épwv yépovTL y"Awaaa.v ~ò(aniv qe:1., / mxtç 1ta.t8l, xa.t yuva.1.xt 1tp6ac;>opov )'UV'I, / voawv ·r' «VlJP voaoùvTt, xOe:lç brw,òoç èaTt. TCÌ> ne:tpwµévw.. Al vecchio la li11g11a senile è giocondissima: I ben si sta il fa11ci11/lo colfa nefollo, la femmina co,1 la femmina, / e il

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del suo poeta, e per me onorato e caro come fosse vivo e presente. Ma esaminando con queste norme gli espositori della Chioma di Berenice troveremo: che il Conti' fu critico in ciò solo che contempla l'architettura del poema, ed il Volpi2 ove intende di mostrare le imitazioni; di che vive un meraviglioso esemplare nel Virgilio malato col malato: e l'uomo rotto dai guai f è conforto di chi è sbattuto dalla sciagura. Menandro [ma si tratta di frammento adespoto di tragico: vedilo nei TGF del Nauck] ». I. Antonio Conti (Padova 22 gennaio 1677 - ivi 6 aprile 1749). Filosofo e letterato di eccellente cultura, curioso altresi di matematica e di astronomia, dopo aver abbandonato l'abito ecclesiastico visse a lungo a Parigi, soggiornò in Inghilterra, visitò l'Olanda, la Germania e altre contrade europee. Conobbe e discusse con Malebranche, intrattenne rapporti di amicizia con Newton e non mancò di incontrare Leibniz. Autore, fra l'altro, del Globo di V ,mere. Sogno, poemetto « tessuto con le dottrine platoniche e abbellito con le astronomiche conghietture n, ideale antecedente delle Grazie foscoliane; del Proteo, di alcune traduzioni dal greco, dal latino, dall'inglese e dal francese, tra le quali particolare valore hanno quelle della Chioma callimachea, di The Rape of the Lock del Pope e dell' Athalie di Racine. Molto importanti per originalità e finezza speculativa, anche se incompiuti o in stato d'abbozzo, i suoi saggi filosofici e le lettere. E vedi rEsame di Niccolò Ugo Foscolo su le accuse contro Vincenzo Mo11ti, la nota 2 a p. 1052. Le sue opere furono pubblicate nelle Prose e Poesie del Signor Abate ANTONIO CONTI Patrizio Veneto, Venezia, Pasquali, in due tomi: 1739 e 1756 (postumo). La traduzione della Chioma è nel tomo I. Cosi ne scrive il FosCOLO, La chioma di Berenice, Milano, Dal Genio Tipografico, 1803 1 Discorso Primo, Editori, Interpreti, e Traduttori, pp. 15-6: a:[ •••] Antonio Conti tradusse il poemetto e lo corredò di osservazioni che se anche fossero state pubblicate senza il nome di tanto filosofo e letterato, vi si scorgerebbe nondimeno l'autore del Cesare, tragedia, e della eroide di Elisa [ma evidentemente Eloisa] ad Abelardo, unica poesia elegiaca da contrapporre con fiducia agli stranieri e agli antichi,. 2. Giovanni Antonio Volpi (Padova 10 novembre 1686-ivi 25 ottobre 1766). Con il fratello Gaetano, nel 1717, in casa propria, diede vita a una tipografia, affidata, per la parte tecnica, a Giuseppe Comino. Introduzioni, commenti e note alle edizioni "cominiane'' di molti classici furono opera sua. L'edizione catulliana vide la luce a Padova nel 1737: C. VALERIUS CATULLUS Veronensis,· et in eum lo: ANToNII VuLPll Eloquentiae professoris in Gymnasio Patavino novus commentarius locupletissimus. Cosi ne scrive il FoscoLo, op. cit., Discorso Primo, p. 14: • Non molto dopo [la pubblicazione dell'edizione catulliana del Voss (vedi la nota 3 a p. sg.)] pubblicando Giovannantonio Volpi ancor giovinetto [nel I710] le sue postille sopra i tre poeti [Catullo, Tibullo e Properzio], osservò anche il nostro poemetto lasciando a divedere ch'ella non era soma dalle sue spalle. Di che vergognando, stampò ventisette anni dopo quel suo commentario copiosissimo, di cui tanto concetto corre per l'Italia; e tanto ne deve pur correre: poich~ lo studio de' classici è confinato ne' semina rii, e i libri, anziché alla dottrina, servono alla pompa delle biblioteche. Non ha nuova lezione il Volpi, né arcana dottrina che non sia tutta del Vossio: né le virtù sole, ma i vizii adotta del precettore. Lussureggia la mole del suo commento di citazioni importune che prendono occasione non dalle viscere del soggetto, ma da nude parole•·

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di Lacerda. 1 Tutti sono filologi, ma più per emendare inopportunamente il testo che per notomizzare la lingua. Partenio,2 il Vossio,3 ed il Valckenario4 si mostrano talora storici ma con tanto disordine Lacerda: Juan Luis de la Cerda (Toledo 1560 circa-Madrid 6 maggio 1643). Professore di teologia, logica ed eloquenza, era entrato nella Compagnia di Gesù nell'ottobre del 1574. L'edizione virgiliana del la Cerda, non comprendente però gli ultimi sei libri dell'Eneide, apparve a Madrid nel 1608, completa a Lione fra il 1612 e il 1619: P. Vmmu1 MARONIS Priores se."I: libri Ae,zeidos argumentis, explicationibus, noti.s illustrati, Auctore IoANNE Lunov1co DE LA CERDA [, ..]. Cum indicibus necessarìis, Lugduni, Sumptibus Horatii Cardon, 1612; i Posteriores libri sex furono pubblicati dallo stesso editore nel 1617; i Bucolica et Georgica [.•.]. Editio cum acctlrata, tum locupletata, indicibw necessariis insignita, nd 1619 sempre presso il Cardon. 2. Antonio Partenio (Lacisius) fece parte dell'Accademia Romana di Pomponio Leto a cui dedicò la sua edizione di Catullo: Cannina CATULLI cum commentario ANTONII PARTHENII, Brixiae, per Boninum de Boninis de Ragusia, 1485. Il FOSCOLO, op. cit., p. 9, segnala anche quattro edizioni successive. E vedi la citata edizione catulliana del VOLPI, p. x. Così ne scrive il FoscoLo, op. cit., Discorso Primo, p. 9: a Primo commentatore del poemetto di Callimaco fu Partenio Lacisio veronese dottissimo per que' tempi [..•] •· 3. Vossio: lsaac Voss (Leiden 16 I 8-London 1689). Letterato e erudito olandese, figlio del noto teologo calvinista, e filologo, Gerhard Johannes, fu, chiamato dalla regina Cristina, bibliotecario e professore di letteratura greca in Svezia. Caduto in disgrazia si stabili in Inghilterra dove ebbe buona accoglienza daWallora re Carlo II. Scrisse anche di questioni geografiche e di cronologia biblica (De vera mzmdi aetate, 1659, e De septuaginta interpretibus eommque translatione et chronologia, i:66I). Vedi CAJUS VALERIUS CATULLUS et i11 ewn IsAcn Vossn observationes, Lendini, apud J. Littleburii, 1684 (nello stesso anno una edizione Lugduni Batavorum, apud D. a Gaesbeeck). Così ne scrive il FoscoLo, op. cit., Discorso Primo, p. 13: a Ben risente della filosofia del suo secolo il commentario d'Isacco Vossio, figliuolo dell'infaticabile Gherardo, uomo a cui poco delle antichità orientali, greche o romane stava nascosto. Troppo bensl compiaceva al proprio ingegno, e pescava nelle tarlature de' codici nuove lezioni per adornarle quindi del suo tesoro•· E in una chiosa aggiunta nel citato esemplare della Marucelliana: «Lo storico Gibbon, nell'estratto della dissertazione di Isacco Vossiq, de antiquae urbis Romae magnitudine, lascia questa memoria: "Fu pur singolare il genio del Vossiol Lettura vasta, vivacità ed invenzione; ma io non conobbi ingegno più falso, né più esagerato ne' giudici, né più presto sedotto dalle lusinghe delle sue fantasie. Era poi uomo tristo, e di vita macchiata". Gibbon, Opere postume, all'estratto delle letture: 3 ottobre 1763 •. 4. Valckenario: Ludwig Caspar Valckenaer, per il quale vedi, nel tomo 1, il Ragguaglio d'un'ad,manza dell'Accademia de' Pitagorici, la nota 4 a p. 719. L'edizione cui il Foscolo si riferisce è la seguente: CALLIMACHI Elegiamm fragmenta, cum elegia Catulli Callimachea. Collecta atque i/lustrata a Luoov1co-CASPARO VALCKENAER. Edidit, praefatione atque indicibus instruxit JoANNES LUZAC, Lugduni-Batavorwn, in Officina Luchtmanniana, 1799. Cosi ne scrive il FoscoLo, op. cit.• Discorso primo, pp. 17-8: u Forse più commentatori avrà avuto Callimaco, e più che altrove in Germania, dove que' letterati si procacciano averi. e tentano fa1.

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che fuggono dall'attenzione del lettore. Niuno filosofo; si predica la poesia maestra degli uomini, ma pochi poeti lo mostrano praticamente, e niuno interprete.

ma facendo commercio de' classici. E noi siam pure costretti, reputandoli poco, a rmgraziarneli: ché senz'essi né greco né latino scrittore correrebbe più per l'Italia la quale rari a' miei giorni, cd indisciplinati vede gli antichi dalle proprie tipografie. Era bensì prezzo dell'opera lo svolgere le illustrazioni del Valckenario pubblicate postume da Giovanni Luzac. Involte in continua e discordante erudizione richiedono uomini istituiti appositamente per intenderle. Preoccupato vedendosi il campo, dovea pure sgombrarsi lo stadio immaginando nuove e strane lezioni, e chiamando in aiuto Lorenzo Santeno, ed Ildebrando Withofio de' quali divolga cd illustra le congetture e i capricci. Né questo lungo commento passa il segno delle varianti, se non raramente e per incidenza ».

[111] DISCORSO TERZO

Di Conone, 1 e della Costellazione Berenicea.

metamorfosi della chioma di Berenice in costellazione a noi giunta con tanti documenti storicia dalla men remota antichità, acquista fondamento questa opinione: che i simboli fossero scrittura compendiosa della storia la quale era trasferita dalla terra al cielo; onde più si conoscerebbe l'età del mondo chiamatafavolosab se si potessero sapere tutti i simboli delle costellazioni. La quale lingua de' simboli, usitata presso molte nazioni,c fu, inventati gli I. DALLA

a) Vedili citati alla pag. 47. 2 b) Varrone divide gli annali degli uomini 1n incerti, favolosi, ed i.storici. 3 e) Hyeronimus in evangelio Matth. cap. 18 - Pherecides (antichissimo autore) apud Clem. Alexand. lib. v. 4 Co11011e: vedi FOSCOLO, op. cit., Discorso Terzo, Di Conone, e della Costellazione Bere11icea, pp. 39-40: u Conone fu Samio e celebre matematico 1.

dell'età sua che viene a cadere verso l'olimpiade cxxx. Tolomeo Filadelfo lo ricettò con gli altri nobili ingegni che con la scuola alessandrina restituirono all'Egitto l'astronomia; [... ] viaggiò in Italia ove fece osservazioni su le fasi delle stelle fisse [... ]. De' suoi studii matematici resta il teorema della coclea dimostrato poi con mirabile costruzione, ed applicato a' grandi effetti utili anche a' dì nostri da Archimede che altamente reputava Conone, e lo pianse con la riconoscenza del dotto e con la pietà dell'amico. Dagli encomii di Callimaco appare che Conone fosse famigliare a questo principe delle lettere, e che si giovassero scambievolmente de• proprii studi». lVla vedi tutto il Discorso 111 della Chioma foscoliana; e nel tomo 1, p. 263, La chioma di Bere11ice, la nota al v. 9. 2. Qui p. 1262, e per i quali vedi la nota a) del Foscolo e la nostra nota 5 ivi. 3. Vedi La istoria universale provata con monumenti, e figurata co11 simboli de gli A11tichi, e dedicata ali' Emi11e11tiss. e Revere11diss. Principe Pietro Ottliobo11i [ ...] da FRANCESCO BIANCHINI Vero11ese [... ], In Roma, Stampata a spese deli»Autore nella Stamperia di Antonio de Rossi [... ], 1697, p. 18: « L'occasione di così nominarle [l'età del mondo] si è presa da Varrone [e in nota: "Varro apud Ccnsorin. Dc die nat. cap. 8,,]: il quale volendo rappresentare in ristretto l'ordine, e 1•istoria dc' tempi, divise tutto il passato in tre parti, e le chiamò tempo l11cerlo, tempo l\1itico, e tempo ]storico. Quello, che scorse dalla creazione al diluvio, era così oscuro [...] ch'egli non dubitò di appellarlo &8l)Àov, cioè l11certo, ed l11cog11ito [...]. L'altra parte di tempo, che dal diluvio si estende al principio delle Olimpiadi, da Varrone fu detta temp11s M31t/iicum, cioè tempo favo/oso: [ •.. ] Finalmente que' secoli, che dal principio delle Olimpiadi succedono fino alretà di Varrone, e di Augusto [... ] stimò conveniente di rappresentarli col nome di tempo ]storico». Per il Bianchini vedi qui la nota a) del Foscolo a p. 1260, e la nostra nota 1. 4. Vedi F. BIANCHINI, op. cit., p. J: u I Fenicii altresì conservarono in

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alfabeti, politicamente riserbata come eredità propria a' sacerdoti, ed a' principi i quali nascondevano al volgo la filosofi.a della storia.• Varranno queste sentenze a confermare ciò che diremo intorno alle deifi.cazioni.b Trovo rastronomia negli antichi tempi utile alla navigazione,c ed alla agricoltura.d Lascierò a' professori di questa madre delle scienze il disputare se quello fosse più studio di stagioni e di meteore, che scienza di moti celesti. Affermo bensi, che non senza disegno politico i savi ed i governi consegnavano all'ammia) Diodoro Siculo lib. III cap. 3. 1 b) Considerazioni al vers. 54.2 e) Dionisio il geografo vers. 232 e seg. 3 - Virg. Georg. I vers. 137.4 d) Ovidio, all'età di Saturno, i\lletam. lib. I vers. 137. 5 quel costume di parlare con similitudini, che San Girolamo [e in nota: "S. Hieron. in Evang. Matth., cap. I 8,,] afferma essere famigliare n' Si rii, ed a gli Orientali, un idioma, per così dire, di simboli n; u E de gli Scitii ancora addomesticati ne' tempi di Dario all,umanità degli stuclii, narra Ferecide [e in nota: uPherecid. apud. Clem. Alex. Strom. lib. 5, pag. 567,,], che si valessero di figure misteriose per ispiegarsi 11. Ferecide di Siro (intorno alla metà del VI secolo a. C.) fu tra i primi prosatori in lingua greca. Scrisse l' 1 E1tTciµuxo; (Le sette caverne), un,opera in cui descrive in chiave mitologica l'origine del mondo. 1. Vedi F. BIANCHINI, op. cit., pp. 2-3: « Gli Egiziani [e in nota: "Diod. Sicul. lib. 3, num. 3 ") la tennero in tale stima, che comunicate al volgo le lettere, riserbarono la lingua de' simboli, come propria eredità a' Sacerdoti, ed a' Principi 11. In una chiosa aggiunta nell'esemplare della Marucelliana si legge: a Le tribù Erniari ti, abitatrici di una parte dell'Arabia felice, aveano un dialetto lor proprio (gli òµ."t)pt't'CXL di Tolomeo). Se s'ha a credere ad Abou-1-Jeda geografo arabo, queste tribù regnarono quasi sopra tutta l'Arabia e la Persia sino da 1698 anni innanzi l'èra di Cristo. Sino all'età di Maometto il dialetto degli Emiariti fu per antichissime leggi vietato alla conoscenza del volgo e degli stranieri, cd i caratteri non erano scritti e letti se non dai primati delle tribù. (Décade Egyptienne, num. 8, voi. I, pag. 27 5). Così oggi il dialetto comune de' Turchi è da lunga antichità diverso da quello con cui scrivono i principi; e questo pure de' principi ha nel serraglio molte dizioni e cifre recondite e riserbate a quei che tengono la somma del governo•. 2. Vedi FoscoL0, op. cit., pp. 110-1. 3. Vedi F. BIANCHINI, op. cit., p. 102: «Così finalmente Dionisio il Geografo [e in nota: "Dionys. perieg. vers. 232"]. [...] Parlando egli del Nilo scrive in tal guisa [... ] : Sta presso a questo l'onorata gente, / Che pria d'ogn'altra diè leggi alla vita. / La prima fu, clu del gradito aratro / Provò l'ajuto, e che di grano asperse I I rettissimi solchi. La prima fu, che a misurare il polo/ Con linee alzò sua mente, onde l'obliquo/ Corso del Sol quasi di siepe ha cinto». 4. • Navita tum stellis numeros et nomina fecit •· 5. Vedi F. BIANCHINI, op. cit., p. 101: e Dell'Agricoltura cantò Ovidio [e in nota: "Ovid. Metam. lib. I. vers. 123"] [..•]Semina tmn primum longis Cerealia sulcis / Obrota sunt, pressisque jugo gemuere juvenci •· Il Foscolo riporta erroneamente un altro rinvio alle Metamorfosi, citato alla stessa pagina, ma per altro argomento.

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rando e perpetuo corso degli astri la memoria delle gesta e delle arti più chiare. Onde non mai uomo mi persuaderà che per odio o invidia di cittadini, o per incuria di sacerdoti siesi perduta la chioma dal tempio. Era ella cosa sl preziosa da far affrontare la vendetta de' principi, ed il sacrilegio contro gli Dei? E sl agevole al furto era il luogo del tempio ove si consecrò una chioma regale, e di maravigliosa bellezza? Il re la fece egli stesso rapire per maggiormente persuadere alle suddite genti la divina origine della famiglia de' Tolomei,a e la possanza in cielo della prima Berenice, diva associata a Venere: e si valse della mano sacerdotale, della fama di Conone, e dell'ingegno di Callimaco.

v. Ma il nostro Conone con quella sua adulazione della chioma spacciata quando le discipline astronomiche prevalevano, somministra argomento per indagare le storie antichissime. Ben più doveansi giovare di queste apoteosi, e di questi simbolici monumenti i popoli, i quali o fossero, siccome io penso, usciti appena della barbarie prodotta dal diluvio, dal foco, e da siffatte universali rivoluzioni del globo, quando per la legge del perpetuo moto e cangiamento della natura rapirono agli uomini le arti e le scienze che, come oggi noi, essi allor possedevano ; o fossero, secondo la comune tradizione, nella prima civiltà che l'umano genere abbia mai avuta dopo lo stato ferino; è certo che le loro fantasie non ancora domate dall'esperienza e da' vizii de' popoli dotti, dovean essere percosse dalla meraviglia di que' mondi celesti calcati dalle orme degli Dei che dalla speranza e dal terrore sono posti nel cielo, donde ci benefica il sole, e ci spaventano i fulmini. Questa ricerca delle costellazioni, ove fosse ostinata e d'uomo che alla dottrina di tutte le storie congiungesse sapienza politica ed altissima mente, potrebbe avverare le congetture del Vico sul ricorso de' secoli e delle nazioni e trarre dalla lunga notte le storie ignote del genere umano. E fu con grande ardimento e pari sapere tentata da un ingegno franceseb per provare, con troppo amor di sistema, l'origine di tutte a) Teocrito idil. XVII vers. 16 e seg. 1 Considerazioni nostre al verso 54 e seg.~ b) Dupuis, Origine de tous les cultes. 3 1. -rijvov xcd µc-txapeaaL 1r«nip òµ6·nµov t-8-r)xf:\J / clhvci-to~, xotl ol xpuae~ &p6voc; iv ALÒc; ofx / 8t8µ7>'totr. [.•• ]. 2. Vedi FoscoLo, op. cit., pp. 10811. E Discorso Secondo, Di Berenice, ivi, pp. 2.3-36. 3. Chorles-François

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le religioni: idea ch'egli (forse m'inganno) ricavò dalla Istoria universale di Francesco Bianchini• veronese, libro massimo, indegnaa) Grand'uomo; astronomo ed antiquario onorato altamente da' re e dalle università dell'Europa. Nacque nel 1669, e morì d'anni 67.1 Vedi Maffei Verona illustrata verso la fine. 2 Si dirà forse, contro al mio sospetto, che il Bianchini non è conosciuto in Francia per la sua storia. Credat iudaeus . .. non ego. 3 Egli fu uno dell'accademia delle scienze in vece di Bernoulli,4 morto negli ultimi mesi del 1705 (vedi anche Fontenelle Elogi.o al Bianchini), 5 e la seconda edizione dell'Istoria Universale fu dedicata a Luigi XV. 6 Ma moltissimi de' nostri in Francia non si conoscono, molti non si vogliono conoscere; pari a' benefattori temuti da' beneficati. -Ab uno disce multos.1 Delille Dupuis (Trye-Chateau [Oise] 16 ottobre 1742-Is-sur-Tille [Cote d'or] 29 settembre 1809). Eccellente latinista, si diede con fervore agli studi matematici e astronomici e dell'antichità. Grande scalpore suscitò l'opera Origine de tous les cultes, ou Religion universelle. Par Durms, Citoyen François. A Paris, chez H. Agasse, L'An III [1795] de la République, une et indivisible, in 4 tomi, dove l'autore con la chiave deU-astralismo spiegava 1•intera mitologia classica, ed anche il cristianesimo. E vedi più oltre, in Antiquarii e critici di materiali storici in Italia ecc., quanto ancora scriverà il Foscolo intorno a lui e al Bianchini. I. Francesco Bianclzi11i (Verona IJ dicembre 1662 [e non 1669] - Roma 2 marzo 1729). Studiò teologia. anatomia. botanica, matematica, fisica e astronomia, prima a Bologna, nel Collegio di San Luigi, e successivamente a Padova sotto la guida del matematico Geminiano Montanari. Trasferitosi a Roma (1689) attese allo studio dell'ebraico, del greco e del francese, dedicandosi nel contempo all•archeologia e alla storia. Vestito l'abito ecclesiastico, fu protetto dal cardinale Ottoboni, eletto papa nel 1689 con il nome di Alessandro VII, che lo nominò suo cameriere, e gli conferì un canonicato nella basilica Liberiana. Morto l'Ottoboni (1691), sotto Innocenzo XIII, Bianchini ricoprì la carica di primo storiografo. 2. Scipione Maffei (Verona I giugno 1675 - ivi II febbraio 1755). Verona illustrata. Contiene l'istoria della città e ù1sieme dell'a11tica Venezia dall'origine fino alla venuta in Italia di Carlo Magrro, In Verona, per J. Vallarsi e P. Berno, 1732, voli. 4. Vedila in Opere del MAFFEI, VII, Venezia, presso Antonio Curti Q. Giacomo, 1790, pp. 209-25. 3. ORAZIO, Serm., 1, 5, 100-1: « [ ••• ] Credat ludaeus Apella / non ego [...] n, e si dice di cose cui solo un credulone potrebbe prestar fede. 4. Jacob Bernoulli (Basel 27 dicembre 1654 - ivi 16 agosto 1705), matematico, fondatore del calcolo delle probabilità, fu nominato associé étranger deWAcadémie des Sciences di Parigi nel 1699. Il Bianchini, membro corrispondente dal 1699, ne divenne associéétra11gcr il 9 gennaio 1706. 5. Bcrnard le Bovier dc Fontenelle: vedi nel tomo 1, Ragguaglio d'un'adrmanza dell'Accademia de' Pitagorici, la nota 2 a p. 732. Per l' Éloge de Monsieur Bianchi11i, vedi (Euvres de Monsieur DE FONTENELLE [ ...], Paris, Chez Bernard Brunet Fils, 1742, v1, pp. 401-27. La prima edizione delle Oiuvres apparve a Londra (P. e I. Vaillant) nel 1707. 6. La seconda edizione apparve II in Roma, Nella Stnmperia di Antonio de' Rossi» nel 1747, « dedicata alla Sacra Maestà Cristianissima di Ludovico XV. Re di Francia e di Navarra 11. 7. Vedi VIRGILIO Aen., 11,

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mente dimenticato da noi, settatori di ciò che viene da lontani paesi, ed incuriosì de' nostri tesori. Assai per avventura ne' libri e ne' nella prefazione di certo suo poema georgico, L' Homme des Champs espressamente asserisce (pag. 1v) 1 che les Géorgiques et le poi!Tne de Lucrèce chez les anciens sont les seuls monumens du second genre (il didattico) ... Panni les modernes nous ne connaissons guères que les deux poemes des saisons anglais et fran;ais, l'Art poétique de Boileau, 2 et l' admirable essai si,r l' Homme de Pope 3 qui aient obtenu et conservé une piace distinguée parmi les ouvrages de poésie. Ed Esiodo,4 Teognide, 5 Focillide,6 Opiano, 7 Manilio, 8 per non dir di tant'altri antichi? E la Sifilide di Fracastoro, 9 la Scaccheide e la Poetica del Vida, 10 La Coltivazione dell 'Alemanni scritta e stampata in Francia, e dedicata a Francesco I, 11 65-6: « Accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno/ disce omnis [...]». 1. Jacques Delille (Aigueperse [Auvergne] 22 giugno 1738 - Paris I maggio 1813), celebre traduttore delle Georgiche (1770), e autore di alcuni poemi di gusto arcadico. L'opera citata dal Foscolo è L'homme des champs, ou /es Géorgiquesfrançoises, par ]ACQUES DELILLE, Strasbourg, De Levrault, An VIII [1800], ma p. VII. 2. Nicolas Boileau-Déspreaux. (Paris 1636 - ivi 1711). L'Art poétique fu pubblicata la prima volta a Parigi nel 1674. 3. Alexander Pope (London 1688 -Twickenham 1744). Il lungo poema didascalico An Essayo11 lvlan.Address'd to a Friend, London, F. Wilford, [17321734], 4 volumi in uno, apparve anonimo. 4. Esiodo: attivo intorno alla fine dell'VIII secolo a. C. ad Ascra in Beozia. Due sole opere ci restano di sicura attribuzione: "Epycx xcxt i)µépcxt (Le opere e i giorni) e la 0eoyov(cx (Teogonia). 5. Teognide: nato a Megnra Nisea, vissuto fra la fine del VI e i primi del V secolo a. C. Sotto il suo nome si conservano 1389 versi in due libri. 6. Focillide: Focilide, poeta elegiaco nato a l\!lileto, visse verso la metà del VI secolo a. C. La sua fama è legata ad una serie di precetti e osservazioni morali. 7. Opiano: Oppiano di Apamea in Siria (prima metà del III secolo d. C.). Di lui ci restano i Cynegetica, in quattro libri, dedicati all'imperatore Caracalla. 8. l\!Iarco Mani/io: poeta latino, attivo verso la fine del regno di Augusto. La sua opera Astronomica venne pubblicata a Norimberga, presso il Milller, per la prima volta, nel 1473. 9. Girolamo Fracastoro (Verona 1478 - Incaffi 8 agosto 1553). Studiò medicina a Padova: notevolissima la sua attività di scienziato e di medico. La sua opera letteraria più nota è il poemetto Syphilis, sive morb11s gal/icw, Veronae, s. e., 1530 (scritto nel 1521). 10. Marco Girolamo Vida (Cremona 1485 - Alba 27 settembre 1566). Vescovo di Alba per trentatré anni, partecipò al Concilio di Trento dove si distinse per nobiltà e dottrina. Vedi MARCI HrERONIMI VIDAE [ ••• ] De arte poetica lib. lll. Ejusdem De Bombyce lib.11. Ejwdem de Ludo scacchomm lib. I. Ejusdem Hymni. Ejusdem B11colica, Romae, apud Ludovicum Vicentinum, 1527. 11. Alemam,i: Luigi Alamanni (Firenze 28 ottobre 1495 -Amboise 18 aprile I 556). Frequentatore degli Orti Oricellari, Machiavelli dedicò a lui e a Zanobi Buondemonte la Vita di Castruc~ cio. Esule a Venezia e poi in Francia dopo la congiura antimedicea del 1522; caduti i Ivledici, nel I 527 tornò a Firenze, ma si stabili definitivamente in Francia, dopo la restaurazione, al servizio di quel paese. La sua opera let-

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monumenti rapiti dai lunghi secoli anteriori a Mosè parlavasi delle costellazioni, da poi che della Berenicea tante memorie ci restano.• Né fu senza influsso su le fortune mortali, ed a' tempi de' XII Cesari Le Api,' il Riso dello Spolverini,z le Filosofie di monsignor Stay3 dove domò con versi virgiliani il rigor matematico (taccio i minori) non hanno fama fra' poemi didattici ? Delille è il sommo verseggiatore fra i viventi francesi! Questo merito del guercio fra ciechi gli permette forse di giudicare di quel ch'ei non sa, o se pur ha letto i poeti da noi rivendicati, presume che la loro fama, già celebrata da tante età, debba cedere al suo privato decreto ? Potea pur condannarli, e concedesi a tant'uomo il condannarli senza ragionare, ma non di dissimulare la voce universale che li esalta. Abbiansi questa nota non i francesi poiché so che sua cuique placet Helena, 4 ma quegli italiani che non sanno leggere se non francese. a) Eratostene in catasterismo Leonis cap. 12. - Igino Astronom. poet. lib. II cap. 24 in Leone. - Achille Tatio Isagoges in Arati Phaenom. pag. I 34. - Esichio. - Teone Scoliaste arateo Phaenom. vers 146. - Lo Scoliaste di Germanico in Leone. - Proclo De sphaera cap. ultim. 5 - Ed altri forse a me ignoti.

teraria più conosciuta è il poema didascalico in esametri sciolti La Coltivazione[••• ]. Al Christianissi.mo Re Francesco Primo, Parigi, R. Stephano, 1546. 1. Giovanni Rucellai (Firenze 1475 - Roma 1525). Figlio di Bernardo e cli Nannina, sorella di Lorenzo de' Medici, divenuto ecclesiastico ebbe importanti incarichi da Leone X e poi da Clemente VII. Autore fra l'altro di due tragedie classicheggianti (Rosmunda e Oreste), la sua fama è dovuta soprattutto al poemetto in versi sciolti: Le Api di M. G10VANNI RucELLAI, [••• ]le quali compose in Roma ne l'anno MDXXIII/, essendo quivi castellano di Castel Sant'Angelo. In Vinegia, per Giovanni Antonio di Nicolini da Sabio [.••], 1539. z. Giovan Battista SpoltJerini (Verona 1695 - ivi 1763). Autore di una raccolta di rime; in particolare è ricordato per il poemetto in quattro canti, in versi sciolti: La Coltivazione del Riso del Marchese GIAN BATrlSTA SPOLVERINI. Al Catholico Re Filippo V, Verona, Agostino Carattoni, 1758. 3. Benedetto Stay (Ragusa di Dahnazia 1714-Roma 1801). Gesuita, filosofo e conoscitore di matematica; trasferitosi a Roma nel 1746 occupò la cattedra di eloquenza alla Sapienza. Qui si tratta del poema, ispirato alla filosofia di Cartesio, Pliilosophiae a BBNBDICTO STAY Ragr,sino fJersibus traditae libri sex, Venetiis, Coleti, 1744. 4. sua ••• Helena: l'espressione si ritrova in L. C. VALCKENAER, op. cit., p. 50, e in lettera del Foscolo ad Isabella Teotochi Albrizzi del I s ottobre 1812 (in Epistolario, IV, p. 177). 5. Per i rinvii bibliografici vedi L. C. VALCKENAER, op. cit., pp. 3S, 37, 4z, 43, 44. Per Eratostene, Igino, gli scoliasti di Arato e di Germanico vedi ERATOSTHENIS CatMterismomm Reliquiae. Recmmit CAROLUS RoBERT, Berolini, Apud Weidmannos, 1878, pp. 98-9.

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un tiro de' tali1 chiamavasi• Berenice Eù1tÀ6x«µ.o~. 2 Avremmo anche tradizioni teologiche se quelle età non fossero state addottrinate, e se la barbarie che le seguì non fosse stata occupata da nuove e diverse religioni. Non potendo Conone collocarla fra i segni già celebrati del zodiaco la pose nella parte del cielo più nobilitata per le costellazioni cantate più sovente da' poeti. Ha la Vergine a mezzogiorno, all'oriente Boote, tocca all'occidente la coda del Leone. Nella fascia del zodiaco che ci.nge il globo mondano preposta dal Vico alla scienza nuova compariscono in maestà i soli due segni del Lione simbolo de' tempi erculei nell'età del mondo eroico, e della Vergine simbolo dell'aurea età di Saturno, la prima celebrata nelle storie poetiche. 3 Anzi le stelle della chioma, pria che Conone le adornasse di questo nome, eran parte della Vergine vicino a cui pone Arato la Giustizia salita al cielo per l'abborrimento dell'umana schiatta.b La quale allegoria, sebbene abbia diversa applicazione da Dupuis,4 panni una memoria di antichissime e generali rivoluzioni politiche quando per la sovversione di tutte le leggi più crudelmente l'umano genere usava della reciproca inimicizia, istinto primo ed eterno della nostra natura. Cosi è allegoria della violazione d'ogni a) Meursio De Iudis graecorum. 5 b) In catasterismo Virg. 6

tiro de' tali: "lancio di dadi", e vedi la nota s qui. 2. Eòn).6x«µoi;: dalla bella chioma. 3. Nella ... poetiche: vedi Pri11cipj di scienza nuova. Idea dell'opera, § (3], in G. B. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, volume 43 (1953) di questa collana, pp. 368-9. E vedi nel tomo 1, pp. 273-4, La chioma di Berenice, 81-2, e le note relative. 4. La quale • •• Dupuis: vedi op. cit., III, pp. 51-3. 5. Vedi JoANNIS MEURSII De ludorum apud Graecos generibus variis Liber Singularis, in Thesaurus Graecarum Antiquitatum, contextus et designatus ab }ACOBO GRONOVIO, Venetiis, Typis Jo: Baptistae Pasquali, vn, 1735, pp. 850-1: 11 BEPONIKH:E IIAOKAMO:E. Hesyc/iius [...] Beronices crinis,· Jiu11c in stellamm numerum relatum esse dicit Conon,· jactus autem quidam talomm etiam ita vocatur ». Jan van Meurs (Loosduinen [Aia] 1579 - Soro [Danimarca] 1639). Filologo olandese, professore di greco e storia all'Università di Leida (dal 1610), di storia e politica a Soro (dal 1625). La prima edizione dell'opera del van l\1eurs fu pubblicata nel 1622 (De ludis Graecorum liber singularis, Lugduni Batavorum, apud lsaacum Elzevirium); il Thesaurus nella stessa città, dal 1697 al 1702, in 13 volumi. 6. Arato di Soli, amico di Callimaco, nativo forse di Tarso in Cilicia (3 I s - dopo il 240 à. C.). Delle sue opere resta soltanto il poema in I I 54 esametri Cl>cu'J6µr;v«, di cui i vv. 99-136 si riferiscono alla costellazione della Vergine (Catasterismw Virginis). 1.

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religione nella comune calamità degli stati questa passionata sentenza di Teognide:• Tutti i Numi salendo all'olimpo gli infelici, mortali abbando,iano: la Speranza sola rimane buona Dea. 1 [ • • • ] • a) Vers. J 17.

1. T1ltti ••. Dea: vedi nel tomo relativa.

1,

pp. 293-4, Dei Sepolcri, 16-7, e la nota

[1v] DISCORSO QUARTO

Della ragione poetica di Callimaco. l'economia di questo componimento risalendo alla natura della poesia, e specialmente della lirica. Questo poema che per lo suo metro corre sotto il nome di elegia, racchiude quasi tutti i fonti del mirabile e del passionato. È mirabile una chioma mortale rapita da Zefiro alato per comando di una novella deità da pochi anni fatta partecipe del culto di Venere. Mirabile che sia locata fra le costellazioni, che sovr'essa passeggino gli Dei, che all'apparire del sole ritornisi anch'ella in compagnia di Tetide, 1 e fra i conviti e le danze delle fanciulle oceanine. Ma questo mirabile riescirebbe nullo ove non fosse appoggiato alla religione di que' popoli, e poco efficace se la religione non lusingasse le loro passioni, e non ridestasse nell'immaginazione simolacri non solamente divini, ma simili a quelle cose che sono care e necessarie a' mortali. Onde questa sorte di meraviglia chiude in se stessa anche una certa passione diversa da quella di cui parleremo da poi. 1. EsPORRÒ

Leggeri conoscitori dell'uomo sono que' retori che disapprovando la favola e le fantasie soprannaturali, vorrebbero istillare ne' popoli la filosofia de' costumi per mezzo di una poesia ragio-natrice, la quale si pub usurpare bensì nella satira, ove l'acre malignità cara all'umano orecchio quando specialmente è condita dal ridicolo può talor dilettare! Ma non diletterebbe un poema che II.

a)

- Nisi quod pede certo differt .sermoni, .senno merus. Horat. lib.

I

sat. 4 vers. 77.2

V erba togae sequeris, iunctura callidus acri ore teris modico: pallentes 'l'adere mores doctus et inge,mo culpam defigere ludo.

Persius sat. v vers.

14.3

1. una chioma ..• Tetide: vedi nel tomo 1, pp. 273, 275, La chioma di Berenice, 78-80 e 86-8, e le note relative. 2. Ma vv. 47-8 («pura e semplice prosa, salvo che dalla prosa si distingue per il ritmo uniforme 11). 3. vv. 146 («A pacato parlar tu drizzi il telo: / Acre, unito, rotondo, e certo scocca / Tuo stil, radente i rei costumi, e fiedi / La colpa d'uno stral che scherza e tocca•, traduzione di Vincenzo Monti, in MONTI, 11, vv. 18-21, p. 355).

So

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proceda argomentando, e che non idoleggi le cose ma le svolga e le narri. La favola degli antichi trae l'origine dalle cose fisiche e civili che idoleggiate con allegorie formavano la teologia di quelle nazioni;• e nella teologia de' popoli stanno sempre riposti i principii della politica e della morale: però nel corso del commento andrò estendendomi per provare con gli esempii questa sentenza, la quale dà lume a quel passo del filosofo: Essere i poeti ispirati da' Numi, e i loro tJersi fJenire da Dio. b - Onde se la poetica è tutta quanta enigmatica ciò avviene perché no,i sia conosciuta sapientemente dal fJolgo. Non è colpa delle favole né degli antichi se la loro religione è per noi piena di capricci e d'incoerenze, bensì dell'estensione di quella religione quasi universale, delle vicende de' secoli, e della 111.

a) Per questo anche i dottori cristiani stimano probabili testimoni i poeti. Lactan. Div. istit. lib. I cap. I I. - Lib. II cap. I 1. - Augustin. De consens. Evangel. lib. I cap. 24. 1 b) Plato in Ione."' - Id. in Alcibiade poster. 3

1. Vedi F. BIANCHINI, op. cit., pp. 102-3: « Che se taluno giudicasse mal fondate su l'autorità de' poeti le congetture d'istoria, sappia che Censorino [e in nota: cccensorin. de die nat. cap. 2"] appellò i racconti della prima poesia non favole intieramente; ma istorie variate con favole Jabulares poitarum historias: oltre di che ancora i filosofi principali [ ..•] si vagliono de' loro detti in pruova di quelle tradizioni, che sapevano avere tratte i poeti dalle istorie di Egitto, e d'Asia. Ond'è che Lattanzio [e in nota: 11 Lactan. div. instit. lib. I, cap. 11. S. Aug. de conscns. Evang. lib. 1, cap. 24. to. 4. pag. 165. edit. Lovan. "] e Sane Agostino in trattare argomento gravissimo di religione contro i Gentili, per convincerli dc' fatti indegni del Giove idolatra, stimarono sodo argomento l'autorità de' Poeti, dicendo: Non igitur a poitis totum ficttlm e.st: aliq11id fortasse trad11ctum et obliqua figuratione obscuratum, quo veritas involuta tegeretu,, sicut illud de 10,titione regnorum; onde conchiude: V era sunt, quae /oquuntu, Poctae, 1ed obtentu aliquo, specieque velata [..•]. E più strettamente Sant'Agostino argomenta [e in nota: 11 De consensu Evang. lib. I, cap. 13. tom. 4, p. 165"] Nunquid et Capitolia Romanorum opera sunt Poitarum 1•. Del Bianchini il Foscolo non rileva l'errore relativo al capitolo (24 in luogo di 13) nella citazione del De consensu Evangelistarum agostiniano, e materialmente riproduce il probabile refuso tipografico, nel testo dell'Istoria, sopra correttamente citato. 2. Vedi S33 e: IlcivT~ ycxp o( TE Tc';)v mc7>v 'Tt'OLl)Totl ol ciycx8ol oòx be ffXVTJt; cill' lv8EOL ~vT~ xcxl XotTEX6µ.evot mfv-rct -rotuTa. d xoc).à: ~ouat 7tOL7JfJ,CXTa., xa.l ol µt:Ào7toLol ol clycx8ol ~aotÒTc.>c; [••.]. 3. Vedi Alcibiade Secondo, 147b: "'Ecn-1. u ycìp cp6ae:L 7tOL1JTLX~ i> croµffllaot cxl-

VLYl'(IT6>31Jt; xatl 06 -rou npoarux6v-roç clv3pbc; yvc.>ptacc,.

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nostra ignoranza. Che l'umana mente abbia bisogno di cose soprannaturali, e quindi i popoli di religione, è massima celebrata dall'esperienza e dagli annali di tutte le generazioni. Anzi è di tanta preponderanza questa umana necessità che sebbene le religioni n~scano dalla tempra de' popoli, e si stabiliscano per le età e le circostanze degli stati, i popoli ed i tempi prendono in progresso aspetto e qualità dalle religioni. Ora la poesia deve per istituto cantare memorabili storie, incliti fatti ed eroi, accendere gli animi al valore, gli uomini alla civiltà, le città all'indipendenza, gl'ingegni al vero ed al bello. Ha perciò d'uopo cli percuotere le menti col meraviglioso, ed il cuore con le passioni. Torrà le passioni dalla società, ma d' onde il meraviglioso se non dal cielo? Dal cielo poiché la natura e l'educazione hanno fatto elemento dell'uomo le idee soprannaturali. Quel meraviglioso che non è tratto dalle inclinazioni e dalle nozioni umane, o riesce ridicolo come le poesie e i romanzi del seicento; o incredibile e balordo come le frenesie degli incliti ciurmadori de' miei tempi, non dissimili a quegli statuarii e pittori che rappresentassero mostri e chimere rimote dalle idee di tutte le genti; onde né pittori sono, né scultori, né poeti quei che abbandonano la imitazione madre delle arti belle. Fortunati dunque que' popoli a' quali toccava in sorte una religione che a tutte le umane necessità, a tutti gli eventi naturali assegnava un Id dio. 1 • Così il sapere, il coraggio, l'amore, l'acre, la terra, le cose inson1ma tutte quante erano in tutela di un nume lor proprio che avea propria storia, e proprie forme. Così i benefattori degli uomini venivano colPandare degli anni ascritti al coro de' celesti. Così i poeti traeano da tutti i più astratti pensieri allegorie e pitture sensibili più de' sillogismi e de' numeri preste a persuadere: quello più doma e vince le menti che più percuote i sensi. Magnificavano le passioni umanizzando gli Dei, e divinizzando i mortali. La fantasia inclina ad abbellire i numi; e siccome fra gli antichi i numi erano in tutte le passioni, e in tutti gli effetti naturali, così l'uomo, e la natura erano luminosamente rappresentati. E quando le nostre azioni si attribuiscono agli Dei, noi ci compiacciaIV.

1. Fortunati ••• lddio: nel citato esemplare della Marucelliana è aggiunta la seguente nota: • Ragioni di questa religione del politeismo troverai nell'Emilio di Rousseau, verso la fine del libro quarto•·

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mo perché ci sembra che contraggano del divino. Chi de' Greci e de' Troiani di Omero non aspirava a' baci di Venere poiché li avevano conseguiti Adone ed Anchise? Ché se taluno opponesse, queste cose non essere vere, non gli domanderò io che mai sappia egli di vero, anzi dirò che ben mi si oppone giacché la nostra poesia è voto suono e lusso letterario. Ma se ella fosse teologica e legislatrice come l'antica, assai meglio torrebbero i pastori de' popoli di descrivere al volgo la sera dicendo col poeta Stesi coro: Che il Sole figliuolo d'lpperione discendeva nell'aureo cocchio, acciocché traversando l'oceano pervenisse a' sacri profondi vadi della notte oscura, onde abbracciare la madre, la virginale consorte ed i cari figliuoli.a La qual dipintura più agevolmente le virtù domestiche persuadeva a' mortali, ch'ei le vedeano sì care al ministro maggiore della natura che in sì poca ora traversava splendidamente l'oceano. Non so se le scienze abbiano cooperato a far meno malvagia o più lieta l'umana razza, ch'io né dotto sono né temerario da giudicarne. Questo vedo; che essendo destinate a pochi, ove questi volessero rompere a noi popolo il velo dell'illusione da cui traspare un mondo di belle e care immaginazioni, ci farebbero essi più sovente ricordare la noia e le ansietà della vita, dove niuno va lieto senza il dolore dell'altro. Né mi smoverò da questa sentenza se prima non mi abbiano compiaciuto di due discrete domande: Le arti veramente utili sono figlie del caso o delle scienze? E questi chiamati comodi ed utilità perfezionati dalle scienze han questo nome per intrinseca qualità, o per la nostra opinione?

v. Tornando dunque alla poesia la quale non è per gli scienziati che tutto veggono o credono di vedere discevrato dalle umane fantasie, bensì per la moltitudine, parmi provato ch'ella non possa stare senza religione. Nondimeno quel poeta che volesse usare di una religione involuta da misterii incomprensibili, che rifugge dall'amore e da tutte le universali passioni dell'uomo, a) Frammenti de' lirici greci stampati le più volte dopo Pindaro. 1 I. Vedi STESI CORO, frammento 6 D, Hyperion, 1 -4: •AéÀLoc; 8' '"f1tepLo\1(8cxc; 8é1tcxc; laxcxtt~CXtV& / xpuaeo\l, ~cppcx a,· '!lxecxvoto 1te:p«crcxc; / cicp(xotO' lepric; no-rl ~l:-.,8ecx wx-ròc; ipe:µv&c; / no-rt µcxdplX xoupc.8{cxv T aJ..oxov mit8a.c; u cpl>.ouc;. Stesicoro, poeta della Magna Grecia, visse verso la fine del VII secolo e la prima metà del VI a. C. 1

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che tutti i piaceri concede alla morte, ma scevri di sensi, nulla fuorché meditazioni e pentimenti alla vita, che poco alla patria ed alla gloria, poco al sapere, è prodiga a sottili speculazioni, ed avarissima al cuore, che per l'ignoranza o il cangiamento di una idea, per la lite di una parola produce scismi, ed attira le folgori celesti, quel poeta procaccerebbe infinito sudore a se stesso, e scarsa fama al suo secolo. Che ove cotal religione fosse poetica chi potea meglio maneggiarla di quell'ingegno sovrano 1 il quale dopo avere dipinta tutta la commedia de' mortali dove la religione prende qualità dalle azioni ed opinioni volgari, non sì tosto arriva allo spirituale2 ch'ei s'inviluppa in tenebre ed in sofismi i quali se mancassero del nerbo dello stile, e della ricchezza della lingua, e se non fossero interrotti dalle storie de' tempi, sconforterebbero per se stessi gli uomini più studiosi. Nel che fu più avveduto Torquato Tasso prendendo a cantare le imprese di una religione allora armata, e riferita ad una età eroica quando le idee delle cose sono per i governi e per le nazioni assai men metafisiche. 3 Pur gli fu forza ricorrere ad incantesimi e macchine d'altre religioni, e sotto nomi diversi rappresentare le fantasie greche e romane. Non v'ha greca tragedia senza il cielo: delle moderne certamente le streghe in Shakespeare,4 i prestigi nella Semiramide e nel Maometto di Voltaire,5 l'Ata/i"a di Racine, la fatalità nella Mirra alfieriana, e molto più l'ira divina nel Saulle grandissima fra le tragedie ci percotono più di quelle che hanno per soggetto memorandi casi, e passioni scevre di religione. l\tla quale delle religioni reca uso stabile e continuato nella poesia? La greca; perché ha che fare con tutte le passioni e le azioni, con tutti gli enti e gli aspetti del mondo abitato dall'uomo. Testimonio il perpetuo consentimento di tutte le moderne letterature le quali dal diradamento della barbarie hanno richiamati gli Dei di Virgilio e di Omero. Lucrezio che appositamente persuadeva la materialità dell'anima, e la impassibilità degli lddii invoca VI.

1. q"eWingegno sovrano: Dante. 2. allo spirituale: nel Paradiso. 3. Nel che ... 1netafisiclre: nella Gerusalemme liberata. 4. le streghe in Shakespeare: vedi Macbeth, atto 1, scena I e 111; atto n, scena v; atto IV, scena 1. 5. Segnatamente nella Sémiramis, atto 111, scena I. Nel Fa,ratisme ou .NIahomet le prophète non si ritrovano prodigi apparenti, ma è sovente menzione di falsi prodigi.

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sua musa la natura, a ma idoleggiandola con le sembianze, le tradizioni, e le passioni di Venere, e mentre pur vuole dissipare lo spavento del Tartarob illustra la sua filosofia spiegando le allusioni teologiche. La religione ebrea che può conferire alla poesia minacciosa e terribile fugge ogni altro argomento; e perché non fu celebrata da molti e grandi popoli con diverse storie e varii costumi, e perché il terrore senza la pietà derivante dalle altre soavi passioni ignote a quella religione, si converte agevolmente in ribrezzo. S'io potessi domandare alle genti che verranno qual utile e quanto diletto trarrebbero dal poema della Germania,1 e se la Messi.ade2 può somministrare argomenti di tragedia e di pittura come l'Iliade, forse saprei che la curiosità di quel poema grande per questi tempi, e grandissimo per l'età morte, sarà rapita con le rivoluzioni le quali porteranno nuove religioni e nuove favèlle alla terra. Così il Petrarca che dell'avvanzo della cavalleria errante, e delle fantasie platoniche riferite sino dagli antichi cristiani alla religione, sì gentilmente adornava il suo amore, non ebbe imitatori se non puerili tostoché quelle usanze, e quelle idee soprannaturali non fondate sul cuore umano sono state relegate ne' romanzi de' Caloandri, 3 e nelle biblioteche claustrali. Che se nella sua terra natia e con la stessa sua lingua non felici seguaci Ebbe quel dolce di Calliope labbro4

il quale narrò con tanto pianto soave la passione universale del cuore, solo perché è riferita a scaduti costumi e ad idee celesti a) Aeneadum genetrix . .. sino al vers. 41. 5 b) Lib. III vers. 990 e seg. 6 poema della Germania: appunto il Messias. E vedi la nota seguente. :z. Il Messias di Friedrich Gottlieb Klopstock (Quedlinburg 2 luglio I 724 Hamburg 14 marzo 1803) 1 in venti canti in esametri, e trattante la passione, morte, resurrezione e trionfo di Cristo, fu composto tra il 1748 e il li72. 3. ne' ••• Caloandri: tra i romanzi eroico-galanti di Giovanni Ambrogio Marini (Genova I S94 - Venezia circa il 1650), particolare fortuna ebbe il Calloandro di G10. MARIA INDRIS, traslato di tedesco in italia110 da GIROLAMO B1sn, Bracciano, Fci, 1640 1 unitamente alla Parte seconda del Calloandro di DARIO GRISIMANO, olim G10. MARIA INDRIS, Bracciano, Fei, 1641. La vasta fortuna del romanzo è attestata dnllc numerose ristampe. 4. Vedi nel tomo 1, p. 315 1 Dei Sepolcri, 176: adesti a quel dolce di Calliope labbro», e la nota relativa. 5. De rer. nat., 1, 1-41. 6. lvi, 111, 966-1023. 1.

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poco sensibili, come può l'uomo nato fra popoli da gran tempo usciti dello stato eroico e sotto il beato cielo d'Italia imitare la magnifica barbarie d'Ossian 1 e tentare di trasportarne nelle sue solitudini? Ben io volando con l'immaginazione a que' tempi guido fra le sue montagne quel cieco poeta, e siedo devoto su la sua tomba; ma io grido ad un tempo agli italiani: Lasciate quest'albero nel suo terreno poiché trapiantato tralignerà; simile a que' fieri animali, che dalla libertà delle selve tratti fra gli uomini, appena serbano vestigii della loro indole generosa. Ardiremo noi far soggetto di poema quella religione e quelle storie se il solo dubbio che l'autore viva nell'età nostra, scema gran parte della meraviglia? La poesia non aspira ad accendere soltanto gli ingegni che hanno l'esca in se stessi, ma a cangiare in fervidi anche i più riposati, al che non giunge se non toccando gli stati della società ne' quali gli uomini vivono, e tutte le passioni come sono modificate da' costumi. Ma (pur troppo!) la nostra poesia non può avere né lo scopo né i mezzi de' greci e delle nazioni magnanime; perocché non potendole conferire le moderne religioni, né il sistema algebraico de' presenti governi, poco può ella conferire alla politica. Massimi fatti e straordinarii destano la poesia storica, face illuminatrice dell'antichità. La navigazione degli Argonauti e la confederazione di tutta la Grecia sotto Troia hanno dato luce a' lor secoli per avere eccitati i poeti a cantar quella impresa. 2 Che se non a nazioni vere, ma a regali famiglie, ed a grandi volghi tende il canto del poeta, allora pare giusto l'esilio che decretava Platone. 3 II decadimento della poesia storica s'incomincia a travedere sino· da' tempi di Virgilio. Ma se i secoli gotici non ci avessero invidiate le poesie di Alceo4 forse l'amor della patria e delle virili virtù suonerebbe più VII.

1. Per l'Ossian vedi Essay on the Present Literature o/ ltaly, la nota 3 a p. 1410. 2. La 11avigazio11e • •• impresa: si tratta delle Argo,iauticlie di Apollonio Rodio (nato ad Alessandria d'Egitto all'inizio del III secolo a. C.) e dell'Iliade omerica. Ma qui il Foscolo allude soprattutto ai mi-ti e alrattuazione poetica (poesia ciclica, corale, tragica) di tali miti. 3. allora • •• Platone: vedi Rep., x. In 595b, nd esempio, si considera il poeta come corruttore delle menti degli uomini che non hanno abbastanza dottrina, come antidoto (cpapµcxxov) da apporre agli effetti negativi della poesia. 4. Alceo: nativo di Mitilene, visse tra il VII e il VI secolo a. C.

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dalla lira di quel capitano odiator de' tiranni,a di quel che suoni dalle imitazioni di un cortigiano che lusinga il suo signore confessandogli di essere fuggito dalla battaglia, estremo esperimento degli ultimi Romani contro la fazione di Cesare,b e fa aiutatore un lddio del suo tradimento. È da badare che di tutte quasi le reliquie di Alceo restate presso Eraclide Pontico, 1 ed Ateneo, 2 si trova non dirò l'imitazione, ma la traduzione letteralec in Orazio. Che s'ha a) Quintil. lib. x. 3 - Orazio lib. II od. x vers. 26 e seg. - Lib. IV ode VIII vers. 8 ed altrove.4 b) Lib. II ode VII vers. 14. - Lib. III ode IV vers. 27 5 - E ne' Sermoni.6 e) Paragona fra gli altri le prime due strofe od. x lib. I e l'ode xv vers. s e seg. con i frammenti d'Alceo stampati fra' lirici greci. 7 I, Eraclide Pontico (fra il 390 e il 310 a. C.). Filosofo e scienziato, originario di Eraclea sul Mar Nero. La sua importanza è soprattutto legata alle sue ipotesi fisiche e cosmologiche. 2. Ateneo: di Naucrati in Egitto, erudito dell'età imperiale (Il o III secolo d. C.), la cui opera principale ~er.1tVoao.. 2 dove è citato un frammento della Melanippe captiva (492 N] di Euripide, ai cui versi 2-5 fa riferimento il Foscolo: [... ] tyw 8é 7t'ç / µtCJoo ycì.olouç, ot't"tVEWV / CÌ:(CXÀtV, exouCJt CJ't"6µot-rot· xciç civ8pwv µèv oò / TEÀOÙCJtv cipt&µ6v, Èv yéÀTL 8è eùnpe7t'Ei:'ç. 1. Il rinvio bibliografico potrebbe derivare da EuRIPIDIS Quae extant omnia[ . •. ] Praemittitur Euripidis Vita ex variis autlroribus accr,ratir,s descripta [... ] Opera et st11dio IOSUAE BARNES S. T. B. ecc., Cantabrigiae, lohan. Hayes, 1694 1 dove, alla p. xxxi, si legge: "Obiit enim septuagesimo fcre quinto aetatis anno, cum [e in nota: ccMnrmore Oxon. Tlzom. Magister in Ellripidis Vita"] Antegenides archon vixdum desierat, quo anno Callias archon erat. Cuius ad nuntium Sopl,ocles fabulam acturus, mimos suos pullatos et sine coronis, ipse pulla indutus in sccnam produxit ». 2. Nel Lexico,r di Suida, alla voce cit., non è traccia di quanto è qui affermato.

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Genio mi consentì questa proprietà di oratore; perché né quando mi opposi solo alle crudeltà dell'oligarchia, né quando in democrazia per non violare il pubblico giuramento negai d'approvare nel senato una sentenza che mi pareva non giusta, né adesso né mai avrei detto parola se la voce del Genio m'avesse, come suole talvolta, disanimato. Or, poiché quei trenta si sono cangiati, ma non i modi della città, io mi vedo assai vicino alla morte. E veramente Omero attribuì ad alcuni nella fine della loro vita certa prescienza dell'avvenire; e piace anche a me di emettere un vaticinio: lo mo"ò ingiustamente. 1 Se il vivere o il morire sia miglior cosa, è a tutti incerto fuori che a Dio; questo so che di me faranno testimonianza il tempo passato ed il futuro. E morì; e un retore ordì la calunnia,2 e un ricco fazioso 3 pagb lo spergiuro de' testimonii e de' giudici, e un poeta4 d'inette tragedie perorb contro Socrate, e trecento Ateniesi lo condannarono, e la sapienza fuggì dal governo, e Peloquenza ammutì, e Atene fu serva de' retori che fecero esiliare tutti i filosofi,• e Italia pure li vide espula) Vedi Bruckero Storia filoso/. alla vita di Teofrasto; 5 e l'Enciclopedia, articolo Aristotélisme.6

Cfr. PLATONE, Apol., 41 b (non letterale). 2. un retore .. . calrmnia: Licone. Vedi in PLATONE, Apol., 23e. 3. un ricco fazioso: il ricco mercante di pelli e uomo politico moderato Anito accusò, con Meleto e Licone, Socrate di ateismo e corruzione della gioventù. 4. tm poeta: Meleto, del domo di Pitto, per il quale vedi PLATONE, Eutlzyplzron, 2b sgg., e Apol., 23 e sgg. 5. I. BRUCKERI Historia critica philosophiae ecc., cit., 1, parte 11, p. 842: • Etsi vero Athenis quoque cedere cum aliis philosophis cogebatur, Sophocle Amphiclidae filio Olymp. cxv111. 2 legem ferente, qua omnes philosophos publicas habere scholas vetabat, nisi, si quibus eius rei senatus populusque licentiam dedisset; si quis sccus faccre dcprchensus fuissct, ei mortis poena dieta essct [...] •· Ma la proposta fu bocciata. 6. Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers ccc., Livoume, lmprimerie des Éditeurs, 1, 1770, Aristotélisme, p. 628: • Pendant que Théophraste se distingoit ainsi à Athenes, Sophocle fils d'Amphictide porta une loi, par laquelle il étoit défendu à tous les philosophes d'enseigner publiquement sans une permission expresse du sénat et du peuple. La peine de mort étoit meme décernée contre tous ceux qui n'obéiroient point à ce réglément. Les philosophes indignés d'un procédé si violent, se retirerent tous d 'Athcnes, et laisserent le champ libre à leurs rivaux et à leurs ennemis, je veux dire aux rhéteurs et aux autres savana d'imagination •· 1.

ORIGINE E UFFICIO DELLA LETTERATURA (1809)

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si quando Domiziano insigniva un retore del consolato,• il retore Quintiliano che nelle Istituzioni ov'ei prèdica la lealtà indispensabile agli oratori, parlando di Domiziano, di quell'ingrato insidiatore di Tito, di quell'invido tiranno d'ogni virtù, di quel carnefice industrioso, lo chiama censore santissimo de' costumi, e in tutto e nelle lettere emi,ientissimo.b xv. Così l'arte andò deturpando sino a' dì nostri le lettere: non però valse ad annientare il decreto della natura che le destinò ministre delle immagini, degli affetti e della ragione dell'uomo. E mentre Isocrate pronunziava dopo dieci anni di squisitissima indua) Tacito, Vita d'Agricola sul principio ;1 Svetonio in Domi:liano:z ed Enrico Dodwello A11nales Quintilianei. 3 b) bistitut. Orat. lib. 4, nel proemio. 4

1. De vita et moribus Iulii Agricolae liber, 2: u Legimus, cum Aruleno Rustico Paetus Thrasea, Herennio Senecioni Priscus Helvidius laudati essent, capitale fuisse, ncque in ipsos modo auctores, sed in libros quoque eorum sacvitum, delegato triumviris ministerio ut monumenta clarissimorum ingeniorum in comitio ac foro urerentur. Scilicet ilio igne vocem populi romani et libertatem senatus et conscientiam generis humani aboleri arbitrabantur, expulsis insuper sapientiae professoribus atquc omni bona :utc in exilium acta, ne quid usquam honestum occurrerct 11, 2. Domit., x, J: « [ ••• ] Iunium Rusticum, quod Paeti Thraseae et Helvidi Prisci laudcs edidisset appellassetque eos sanctissimos viros; cuius criminis occasione philosophos omnis urbe I taliaque summovi t 11 • J. Si tratta degli A11nales Velleiani, Qflintilianei ecc., Oxonii, E Theatro Sheldoniano, 1698, che il Foscolo probabilmente conobbe nell'edizione quintilianea del Burman: Ivi. FABJI QurNCTILLIANI De institutione oratoria libri duodecim cum notis et animadversionibus virorum doctorum [... ] eme1rdati per PETRUM BURMANNUM, Lugduni Batavorum, apud I. de Vire, 1720, dove, in appendice (pp. 1117-71), del Dodwell sono riprodotti gli Anna/es Quintilianei, seri Vita M. Fabii Quintilioni per A,males disposita, dei quali, relativamente alla dignità consolare di Quintiliano (il cui conferimento il Dodwell attribuisce tuttavia ad Adriano), si vedano le pp. 1155-9, e, per l'espulsione dei filosofi, le pp. 1147-8. Henry Dodwcll (Dublino ottobre 1641-Shottesbrooke [Berkshire] 7 giugno 1711), storico e studioso di archeologia e teologia. 4. lnst. or., 1v, Prol1oemium, J: « Quis enim mihi aut mores excolendi sit modus, ut eos non immerito probaverit sanctissimus censor, aut studia, ne fefcllisse in iis videar principem, ut in omnibus, ita in eloquentia quoque emincntissimum ? •· Marco Fabio Quintiliano, nato a Calaguris (Calahorra) in lspagna fra il JS e il 40 d. C., e morto verso la fine del secolo, fu da Vespasiano insignito della cattedra di eloquenza, che tenne fino al1'88, esercitando contemporaneamente l'avvocatura. L' lnstitutio oratoria vide la luce fra il 93 e il 96 d. C.

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stria un panegirico della repubblica,1 ove intendendo d'esaltarla con l'eloquenza, vituperavala col raziocinio;• e mentre verseggiatori e sofisti trafficavano l'ingegno e le muse, Tucidide, Demostene e Senofonte apparecchiavano esempii immortali d'elevata, di maschia e di affettuosa eloquenza. La storia di Plinio e i versi di Giovenale e di Persio insegnarono a' declamatori e a' poeti di Roma come le lettere giovino alle scienze, e consacrino gli adulatori ed i vizii all'infamia. Anzi Tacito impose sì fattamente rispetto a quei retori, che, non attentandosi di nominarlo, lasciarono scritto ne' loro libri: Che l'alto spirito e la verità perigliosa degli annali d'un loro contemporaneo, benché meritevoli della memoria de' secoli, non conseguirebbero imitatori. b Dai mezzi con che gli egregi letterati di tutte le età ottennero fama ed amore nel mondo, appare ornai Pufficio della letteratura; appare che la natura, creando alcuni ingegni alle lettere, li confida all'esperienza delle passioni, all'inestinguibile desiderio del vero, allo studio dei sommi esemplari, all'amor della gloria, alla indipendenza dalla fortuna ed alla santa carità della patria. Qualunque manchi di queste proprietà negli uomini letterati, niun'arte mai, niun istituto d'università o d'accademia, niuna munificenza di principe farà che le lettere non declinino, e che anzi non cadano nell'abbiezione ove tutte o in gran parte mancassero queste doti. O Italiani! qual popolo più di noi può lodarsi de' benefizii della natura? ma chi più di noi (né dissimulerò ciò che sembrami vero quando l'occasione mi comanda di palesarlo), chi più di noi trascura o profonde que' benefizi i? A che vi querelate se i germi dell'italiano sapere sono coltivati dagli straa) In quell'orazione Isocrate piantò per assioma che l'eloquenza debba magnificare le minime cose, ed impicciolire le grandi; e procede esaltando i benemeriti degli Ateniesi. Vedi Longino, Del sublime, cap. 38, 2 che da quell'assioma desume il vituperio d'Atene. b) Quintiliano, lstituz. lib. x, cap. 1. 3

1. Isocrate . •. repubblica: il Panegirico di Isocrate (nato ad Atene nel 436 e. C. e morto nel 338) fu composto nel 380. Per dieci anni in effetti (tra il 403 e il 392), a causa dell'insufficienza e della nervosità della sua voce, Isocrate compose numerosi discorsi per altri. 2. De sr,b/., 38, 2. 3. Il passo, in in cui il Foscolo attribuisce a Quintiliano l'allusione a Tacito, è il seguente: « Superest adhuc et cxornat aetatis nostrae glorinm vir sacculorum memoria dignus, qui olim nominebitur, nunc intelligitur 11 (lnst. or., X, 1, 104).

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n1en che ve gli usurpano ?• meritamente ne colgono il frutto: la letteratura che illumina il vero, fa sovente obbliare gli scopritori e lodare con gratitudine chiunque sa renderlo amabile a chi lo cerca. Pochi, è vero, in Italia levarono altissimo grido, non perché soli filosofassero egregiamente, ma perché egregiamente scrivevano le loro meditazioni, e perché amando la loro patria, si emanciparono dall'ambizioso costume di dettare le scienze in latino, ed onorarono il materno idioma: quindi le opere del Machiavelli e di Galileo risplendono ancora tra i pochi esemplari di faconda filosofia; e lo stile assoluto e sicuro del libro de' delitti e delle pene, 1 e l'elegante trattato del Galiani su le monete2 vivranno nobile ed eterno retaggio tra noi; e mille Italiani sanno difenderlo dalla usurpazione e dalla calunnia. Ma poiché oggi gli scienziati non degnano di promuovere i loro studii con eloquenza, poiché non si valgono delle attrattive della loro lingua per farli proprietà cara e comune agl'ingegni concittadini, non sono essi soli colpevoli se pochi si curano, se pochissimi possono vendicare la loro fama, e se tutti corrono a dissetarsi ne' fonti, i quali se non sono più salutari, sembrano almeno più limpidi? Quanti dotti non serbano ancora in Italia con sudori e con zelo la riverenza e l'amore alla lingua e alle opere greche? e chi di loro non ci esalta Tucidide che fu esempio al sommo degli oratori3 e alla velocità di Sallustio4 e alla fede di Tacito? chi non ci esalta Senofonte, pregno di socratica virtù e di passione e di storia e di militare scienza e di soavissimo stile? e Polibio insigne maestro di governo e di guerra? ma chi mai dotto di greco a) Leggi l'orazione inaugurale Intorno al debito di onorare i primi scopritori del vero, di Vincenzo Monti, che in questa cattedra nell'università di Pavia fu mio predecessore. 5 de' delitti e delle pene: l'opera di Cesare Beccaria (Milano 15 marzo 1738ivi 28 novembre 1794) vide la luce a Livorno nell'estate del 1764. 2. l'elega11te ... monete: il trottato Della nio11eta di Ferdinando Galiani (Chieti 2 dicembre 1728 - Napoli 30 ottobre 1787) vide la luce a Napoli nel 1751. 3. Trlcidicle . .. oratori: cioè a Dcmostene (384-322 a. C.), secondo un aneddoto trascrittore sette volte di Tucidide. 4. velocità di Sallustio: vedi QUINTILIANO, lnst. or., x, 1, 102: « ldeoque illam immortalem Sallusti velocitatcm diversis virtutibus consccutus est o. 5. La si veda in Prolusioni agli studii dell'Università di Pavia per l'anno r804. Recitate da V. MONTI professore d'eloquenza e membro dell'Istituto, Milano, Sonzogno, 1804, Anno III, Dell'obbligo di 011orare i primi scopritori del vero in fatto di scienze. Prolusione agli studii dell'Università di Pavia recitata il gior,ro :26 nOtJembre 1803, pp. 1-49. 1.

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diffonde le loro ricchezze? chi li traduce con amore uguale alla loro fama? Giacciono que 1 solenni scrittori nell'obblio de 1 volgarizzatori imprudenti e venali dei secoli scorsi, e ad ogni Italiano educato è pur forza di studiarli in lingua straniera e comperare a gran prezzo i barbarismi che vanno ognor più deturpando la nostra. Io vedo cinquanta versioni delle lascivie di Anacreonte, e non una de' libri filosofici di Plutarco, non una degna di palesar que' tesori di tutta la filosofia degli antichi. Volgetevi alle vostre biblioteche. Eccovi annali e commentarii e biografi ed elogi accademici, e il Crescimbeni1 ed il Tiraboschi2 ed il Quadrio ;3 ma dov'è un libro che discerna le vere cause della decadenza dell'utile letteratura, che riponga l'onore italiano più nel merito che nel numero degli scrittori, che vi nutra di maschia e spregiudicata filosofia, e che col potere dell'eloquenza vi accenda all'emulazione degli uomini grandi? Ah le virtù, le sventure e gli errori degli uomini grandi non possono scriversi nelle arcadie e nei chiostri! 4 Eccovi da altra parte e cronache e genealogie e memorie municipali, e le congerie del benemerito Muratori, ed edizioni obbliate di storici di ciascheduna città d'Italia; 5 ma dov'è una storia d'Italia? E come oserete lodare senza rossore gli esempii di Livio e di Niccolò Machiavelli, se voi potete e non volete seguirli? Come ricambierete le vigilie de' nostri padri se non profittate de' documenti che vi apprestarono ? È vero; niuno rammemora senza lagrime le liberalità della famiglia de' Medici verso le arti belle e le lettere; ma si aspettò che un Inglese, disotterrando i tesori de' nostri archivii, rimeritasse i principi ita1iani d'un esempio che illuminò la barbarie dell'Europa: si aspettò che la storia de' secoli di Lorenzo il magnifico e di Leone X ci venissero di là dal1 1oceano.6 O Italiani, io vi esorto alle storie perché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dalla obblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri. Io vi esorto alle storie, perché il Crescimbeni: vedi più oltre la nota I a p. 1909. 2. il Ti,aboschi: vedi le note 3 a p. I I 33 e I a p. 1134. 3. il Qlladrio: vedi più oltre la nota I a p. 1909. 4. Ah le vi,tiì ... chiostri!: su tutto ciò vedi la Nota introduttiva al saggio Antiquarii e critici ecc., e la nota 3 a p. 1909. 5. Su Mllratori e i Rerum lta/icarum Scriptores vedi più oltre la nota I a p. 1907. 6. un Inglese . .. oceano: William Roscoe. E vedi più oltre la nota z a p. 1905. 1.

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angusta è l'arena degli oratori; e chi ornai può contendervi la poetica palma? Ma nelle storie tutta si spiega la nobiltà dello stile, tutti gli affetti delle virtù, tutto l'incanto della poesia, tutti i precetti della sapienza, tutti i progressi e i benemeriti dell'italiano sapere. Chi di noi non ha figlio, fratello od amico che spenda il sangue e la gioventù nelle guerre ? e che speranze, che ricompense gli apparecchiate? e come nell'agonia della morte lo consolerà il pensiero di rivivere almeno nel petto de' suoi cittadini, se vede che la storia in Italia non tramandi i nobili fatti alla fede delle venture generazioni? Forse la sola poesia e la magnificenza del panegirico potranno rimunerar degnamente il principe che vi dà leggi e milizia e compiacenza del nome italiano? Oh come all'esaltazioni con che Plinio secondo si studia di celebrare Traiano, 1 oh come il saggio sorride! ma quando legge le poche sentenze di Tacito, adora la sublime anima di Traiano, e giustifica quelle vittorie che assoggettarono i popoli all'imperio del più magnanimo tra i successori di Cesare.• a) E che dirò io di quegli scrittori che senza celebrità letteraria, senza onore domestico, senza amore agli studii e alla patria s'accostano a celebrare le glorie del principe? Infami in perpetuo, se la loro penna potesse almeno aspirare ad una infame immortalità! Ma vili e ignoranti ad un tempo hanno per principio e fine d'ogni linea che scrivono, il prezzo della dedicatoria. 2 Sapientemente Ottaviano 1. esalta::ioni ... Traiano: il Panegyricus Traiano imperatori dictus di Gaio Plinio Cecilio Secondo il Giovane (nato a Como intorno al 62 d. C. e morto a Roma circa il 114). 2. Allude a Pietro Giordani, autore del Panegirico a Napoleo11e (1807). Al Foscolo, che aveva accompagnato con lettera non pervenutaci un esemplare della prolusione, il Giordani rispondeva da Bologna il 27 marzo I 809 con la seguente lettera: 11 Signore - Stamane dal comune amico Rosaspina ho avuto la vostra de 1 16, e l'orazione di nobilissimo argomento. lo l'avevo già letta, e senza commozione veduto il vostro sdegno contro i panegirici: tanto sono persuaso e contento della pienissima libertà de giudizi; la quale, se non si esercitasse nelle opere dell'arti, che farebbe, poiché in ogni altra parte è imbavagliata? Né però credetti che principalmente o particolarmente miraste a me, non avendo in me né viltà da disprezzare, né ambizione da temere, né fortuna da invidiare. Ora voi allontanate le interpretazioni altrui, che non m'avrebbero fatto pena: ma pur mi dà piacere che vi gradisca chiunque trovate ama tor vero d'Italia. Che importa se non siamo tutti d'un colore? non è possibile, non sarebbe utile. Ivlolti sono e i pregi e gli usi e gli aspetti del buono. Prende ciascuno quello che più gli si confà. Io vi posso promettere che chiunque farà onore all'Italia, io l onorerò e l'amerò di cuore. E per verità pochi siamo che abbiamo drizzati gli animi a ciò: e tristo ludibrio sarebbe che c'invidiassimo, ci lacerassimo. Questi sono comuni sensi a voi e a me; 1

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Quali passioni frattanto la nostra letteratura alimenta, quali opinioni governa nelle famiglie? Come influisce in que' cittadini collocati dalla fortuna tra l'idiota ed il letterato, tra la ragione di stato che non può guardare se non la pubblica utilità, e la misera plebe che ciecamente obbedisce alle supreme necessità della vita, in que' cittadini che soli devono e possono prosperare la patria, perché hanno e tetti e campi ed autorità di nome e certezza di che era in necessità di alimentare le lettere e di rispettare gl'ingegni, spediva decreti perché gli scrittori d'ignobile fama non lo lodassero: lngenia seculi sui omnibus modis Augustus fovit. Recitantes et benigne et patienter audivit: nec tantum carmina et historias, sed et orationes et dialogos. Componi tamen aliquid de se, nisi et serio et a praestantissimis offendebatur; admonebatque praetores, ne paterentur nomen suum commissi.onibus absolefieri. Sveton. lib. 2, c. 111.1 e basta; le altre differenze non possono rompere il vincolo onde ci legano le simiglianze. Sarò sempre vostro estimatore sincero, e vi auguro gloria e contentezza de' vostri generosi studi» (Epistolario, III, pp. 108-9). La lettera, pubblicata dapprima da II li Facchino Giornale di Scienze, Lettere ed Arti,,, a. II, n° 27, 4 luglio 1840, p. 209, recava di seguito (pp. 20910) la Nota che qui si riproduce: «Queste sono le uniche parole che mai il Giordani mandasse al Foscolo: e direbbe gran falso chi dicesse altro. Il Foscolo, di natura ambiziosissimo e invidiosissimo, e d'altra parte assai esperto ne' volgari artifizi di volgersi a lucro e lode l'alternare delle adulazioni e delle insolenze; quando stampò come Professore d'eloquenza in Pavia una sua orazione - dell'Uffizio della letteratura - vi pose una nota contro gli scrittori di panegirici, tacciandoli di mercenaria viltà. E parve subito di Milano ch'egli avesse unico scopo d'insultare al Giordani; il quale aveva pubblicato il panegirico a Napoleone; e viveva in Bologna senza fortuna; e non però senza molestie da tali che forse temevano sin d'allora ch'egli potesse uscire dall'oscurità. Parve di maligno e vile animo quello spontaneo insulto persino ai potenti in governo, favoreggiatori del Foscolo; e tutti lo maledicevano. Dai quali rimproveri commosso, mandò l'orazione al Giordani, con lettera a persuadergli che non ebbe intenzione di provocarlo,,. e, Il Facchino II si stampava in Parma, presso la Tipografia Rossetti, e si dispensava ogni sabato presso il negozio Piani. - Sulla questione vedi G. GAMBARIN, Ancora del Giorda11i, del Foscolo e del Capponi, con lettere inedite, in "Giorn. stor. d. lett. it. », 461 ( 1971 ), pp. 82-90, e quanto decisamente osserva C. DIONISOTTI, Discorso introd11ttivo, in Pietro Giordani nel Il centenario della nascita, Atti del convegno di studi, Piacenza, 16-18 marzo 1974, Cassa di Risparmio di Piacenza, 1974, p. 9, nota 16. 1. SVETONIO, Div. Aug., LXXXIX, J («Augusto favorì in tutti i modi possibili gli ingegni del suo secolo. Ascoltò benignamente e pazientemente non solo chi gli recitava poesie e fatti storici, ma anche orazioni e dialoghi. Tuttavia non amava si scrivesse nulla su di lui, se non seriamente e dai più illustri; e ammoniva i pretori affinché non permettessero che il suo nome venisse abbassato da discorsi di parata»).

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eredità, e che quando possedono virtù civili e domestiche, hanno mezzi e vigore d'insinuarle tra il popolo e di parteciparle allo stato? L'alta letteratura riserbasi a pochi, atti a sentire e ad intendere profondamente; ma que' moltissimi che per educazione, per agi e per l'umano bisogno di occupare il cuore e la mente sono adescati dal diletto e dall'ozio tra' libri, denno ricorrere a' giornali, alle novelle, alle rime; così si vanno imbevendo dell'ignorante malignità degli uni, delle stravaganze degli altri, del vaniloquio de' verseggiatori; così inavvedutamente si nutrono di sciocchezze e di vizii, ed imparano a disprezzare le lettere. Ma indarno la Ciropedia' e il Telemaco,2 tramandatici da due mortali cospicui nelle loro patrie per dignità e per costumi, ne ammoniscono che la sapienza dètta anch'essa romanzi alla Musa e alla Storia; indarno il viaggio d'Anacarsi3 ci porge luminosissimo specchio quanto possa un romanzo senza taccia di menzogna iniziare i men dotti nel santuario della storica filosofia; indarno e i Germani e gl'Inglesi ci dicono che la gioventù non vive che d'illusioni e di sentimenti, e che la bellezza non è immune dalle insidie del mondo; e che, poiché la natura e i costumi non concedono di preservare la gioventù e la bellezza dalle passioni, la letteratura deve, se non altro, nutrire le meno nocive, dipingere le opinioni, gli usi e le sembianze de' giorni presenti, ed ammaestrare con la storia delle famiglie. Secondate i cuori palpitanti de' giovanetti e delle fanciulle, assuefateli, finché son creduli ed innocenti, a compiangere gli uomini, a conoscere i loro difetti ne' libri, a cercare il bello ed il vero morale: le illusioni de' vostri racconti svaniranno dalla fantasia con l'età; ma il calore con cui cominciarono ad istruire, spirerà continuo ne, petti. Offerite spontanei que' libri che se non saranno procacciati utilmente da voi, il bisogno, l'esempio, la seduzione li procacceranno in secreto. Già i sogni e le ipocrite virtù di mille romanzi inondano le 1. la Ciropedia: di Senofonte, romanzo storico in otto libri sulla vita di Ciro il \'ecchio, re dei Persiani. 2. il Telemaco: il romanzo di Fénelon (Fénelon [Périgord] 6 agosto 1651 -Cambrai 8 gennaio 1715) vide la luce a Parigi nel 1699, per i tipi della V."e de C. Barbin, con il titolo Sr,ite du quatrième livre de u l'Odyssée » d' Homère, Otl /es Ava11t11res de Télémaque, fils d' Ulysse. 3. Il Voyage d" je,me AnacJ,arsis e,r Grèce ccc., citato qui alla nota di p. 1287, di Jcan-Jncques Barthélemy (Cassis [Provence] 20 gennaio 17 16 - Paris 30 gennaio 1795), al quale lavorò dal 17 57 al I 788, fu pubblicato la prima volta a Parigi nel 1788, per i tipi di de Bure ainé.

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nostre case; gli allettamenti del loro stile fanno quasi abborrire come pedantesca ed inetta la nostra lingua; la oscenità di mille altri sfiora negli adolescenti il più gentile ornamento de, loro labbri, il pudore. E trattanto chi de' nostri contemporanei va fingendo novelle su gli usi, lo stile e le fogge dell, età del Boccaccio; chi segue a rimare sonetti; né l'ingegno eminente né la sublime poesia di que' pochi che custodiscono la riputazione degli stati e dei principi basta per avventura a serbare inviolato il Palladio della patria letteratura. Ah! vi sono pure in tutte le città d'Italia uomini prediletti dalla natura, educati dalla filosofia, d,incolpabile vita e dolenti della corruzione e della venalità delle lettere; ma che, non osando affrontare l'insidie del volgo dei letterati e le minacce della fortuna, vivono e gemono verecondi e romiti. O miei concittadini! quanto è scarsa la consolazione d,essere puro ed illuminato senza preservare la nostra patria dagl'ignoranti e dai vilil Amate palesemente e generosamente le lettere e la vostra nazione, e potrete alfi.ne conoscervi tra di voi, ed assumerete il coraggio della concordia; né la fortuna né la calunnia potranno opprimervi mai, quando la coscienza del sapere e delPonestà v'arma del desiderio della vera ed utile fama. Osservate negli altri le passioni che voi sentite, dipingetele, destate la pietà che parla in voi stessi, quella unica virtù disinteressata negli uomini; abbellite la vostra lingua della evidenza, dell'energia e della luce delle vostre idee, amate la vostra arte, e disprezzerete le leggi delle accademie grammaticali ed arricchirete lo stile; amate la vostra patria, e non contaminerete con merci straniere la purità e le ricchezze. e le grazie natie del nostro idioma. La verità e le passioni faranno più esatti, men inetti, e più doviziosi i vostri vocabolarii; le scienze avranno veste italiana, e l'affettazione de' modi non raffredderà i vostri pensieri. Visitate l'Italia! o amabile terrai o tempio di Venere e delle Muse! e come ti dipingono i viaggiatori che ostentano di celebrarti! come t'umiliano gli stranieri che presumono d,ammaestrartil Ma chi può meglio descriverti di chi è nato per vedere fino eh' ei vive la tua beltà? chi può parlarti con più ferventi e con più candide esortazioni di chiunque non è onorato né amato se non ti onora e non t'ama? Né la barbarie de' Goti, né le animosità provinciali, né le devastazioni di tanti eserciti, né le folgori de' teologi, né gli studii usurpati da' monaci, spensero in quest'aure quel fuoco immortale che animò gli Etruschi e i Latini, che animò Dante nelle calamità dell'esilio, e il Ma-

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chiavelli nelle angosce della tortura, 1 e Galileo nel terrore della inquisizione, e Torquato nella vita raminga, nella persecuzione de' retori, nel lungo amore infelice, nella ingratitudine delle corti, né tutti questi né tant'altri grandissimi ingegni nella domestica povertà. Prostratevi su' loro sepolcri, interrogateli come furono grandi e infelici, e come l'amor della patria, della gloria e del vero accrebbe la costanza del loro cuore, la forza del loro ingegno e i loro beneficii verso di noi. XVI. Queste cose (considerando, come ho saputo, la natura dell'uomo e le storie) ho meditate e scritte intorno all'origine e all'ufficio della letteratura. Ché se le giudicherete di vostro profitto, io l'ascriverò alla efficacia meravigliosa del vero il quale, benché taciuto per lunghissima età ed acremente impugnato dagli uomini, si vendica per sé stesso deu» obblivione de' tempi e della pertinacia delle opinioni. Se non ch'io pure non avrò forse difesa che la mia propria opinione; ma tolga il cielo che quanto io scrivo, possa riescire mai di alcun danno alle lettere ed all'Italia.

1. il Machiavelli . .. tortura: scoperta la congiura di Pietro Paolo Boscoli nel febbraio I s13, il Machiavelli, come presunto congiurato, veniva arrestato e sottoposto ad alcuni tratti di corda. Prontamente liberato, era poi graziato il successivo 4 aprile.

TRADUZIONE DE' DUE PRIMI CANTI DELL'ODISSEA DI IPPOLITO PINDEMONTE (1810)

NOTA INTRODUTTIVA In una nota autografa che si conserva presso la Biblioteca Labronica (voi. xv, sez. B, 1v), il Foscolo, a più di un anno dalla pubblicazione dell'esplosiva recensione al saggio pindemontiano di versione dell'Odissea, da Borgo Vico, il 9 settembre 1811, dopo avere annotato: 11 E il lago è in tempesta, e tutto Como teme d'innondazione: Di, prohibete ruinas! », forse stimolato dallo spettacolo naturale che gli si parava dinnanzi, malinconicamente riandava con la memoria alla per lui ben più tormentosa bufera del 1810, e, come tra sé e per sé, ricordava: cc A dir le brighe, gli schiamazzi e gli scandali nati da questa tiritera su l'Odissea; che la è un'Odissea per l'appunto, tanto va ramingando per la venale, sciocca, codarda città letteraria. lVla la prima colpa mia presso a' letterati fu l'Orazione Dell'on"gine e dell'Ufficio della Letteratura; che ha due capitali difetti, ma che non pertanto è profondamente, nuovamente e caldamente pensata; e, per quanto a me pare, è la prosa da me scritta il meglio che potessi allora, e che potrò forse per l'avvenire. Or dell'Orazione, perché fu altamente applaudita in Pavia, ov'io vidi gli ascoltanti spesso con gli occhi pregni di lacrime, mormorarono appena; - ma quando io pazzamente, ed essendo anche infermo, mezzo scrissi, mezzo dettai all'assistente del mio medico questo articolo, la vendetta, che aspettava tempo, scoppiò; e preti, retori, frati, cortigiani, ruffiani e mercanti di letteratura, bibliotecari, vocabolaristi, pedanti, fiorentini sconosciuti, ciarlatani e impostori insomma, aizzati, ispirati e presieduti da una vecchia antisibilla, mi vennero addosso, e m'uccidevano quasi, e mi proverbiavano con gazzette quotidiane per le taverne e i crocchi e i caffè; e le calunnie mi afflissero, e me ne accorai - di ciò mi vergogno - ma me ne accorai; e risposi; ma la dignità dell'anima mia risorse, e non mi sono avvilito a pubblicar la risposta: - ora per [s'inte"ompe] » (Edizione Nazionale, vu, p. 197, nota b). Del resto già il 14 maggio dello stesso anno, all'amica Isabella Teotochi Albrizzi, cui sembrava che le «guerricciuole letterarie» non finissero di disgustarlo, il poeta, pur ammettendo tutto il proprio tardivo rammarico per le pagine inserite nel fascicolo di aprile degli «Annali» del Rasori, insisteva sul fatto che l'articolo incriminato aveva costituito un mero pretesto, e che l'Emmcomachia incubava dal tempo della prolusione pavese (vedi, nel tomo 1, la Nota introduttiva al Ragguaglio, p. 707). Che l'orazione inaugurale, ben oltre quella del Giordani, gli avesse procurato l'inimicizia di quanti si erano identificati con gli • e delle cc Considerazioni di Ugo Foscolo sulla battaglia di San Gottardo, estratto dal voi. 11 delle Opere di Raimondo Montecuccoli 11, A questo proposito vedi alcune lettere del Nostro, da Milano, 25 dicembre 1809 1 a Giovanni Paolo Schulthesius: cc[ ••• ] mando a lei ed al signor Palloni un mio discorso militare che una Società letteraria ristampò nel suo giornale; v'è anche aggiunto un estratto del mio lavoro sopra Montecuccoli: ella perdoni agli errori miei, e a quelli dell'autore dell'estratto; gli uni e gli altri accresciuti dalla negligenza dello stampatore: non v'è pagina dove non m'abbiano fatto scrivere un solecismo. !Via io non ho saputo di questa ristampa se non quando stava per pubblicarsi 11 (Epistolario, 111, pp. 330- 1); da Milano, J I dicembre I 809, a Isabella Teotochi Albrizzi (cc[ ••• ] ricevete per la posta un estratto del mio !Vlontecuccoli, scritto non so da chi [ ... ] »), ivi, p. 336; da Milano, I gennaio 181 o, a Carlo ì\tlarenco e Giuseppe Grassi (1c Eccovi un estratto del mio Montecuccoli, fatto non so da chi [ ...] ; è tutto pieno d'errori sì dell'autore, sì del compilatore e dello stampatore [ ... ] 11), ivi; e dello stesso giorno a Giambattista Giovio: u [ ••• ] aggiungo un magro estratto del Montecuccoli, che que' dell'Incoraggiamento m'hanno dissanguato, spolpato, e scannato, non già smidollato; onde chi si diletta d'ossame, roda quell'articolo ma non si lusinghi di trarne succo. Hanno voluto ristampare quella mia diceria militare; ho detto di sì, e mi sta bene [... ] 11 (ivi, p. 337). Circa gli epiteti che il Foscolo usa contro gli scienziati ciarlatani è utile ricordare alcuni scritti apparsi nel tomo VIII, n. II (novembre 1809, ma pubblicato nell'aprile 1810) del nGiornale »: sugli scarnificatori di pesci, l'cc Estratto della 1Wemoria Sul veleno de' Pesci Del Sig. Dott. C. Chilson. (Monthly Magazine, Oct. et Nov. 1809) •, firmato C[arlo] A[moretti] (pp. 154-61); sui manigoldi ("aguzzini", "torturatori") d'anima/etti, il cc Saggio di osservazioni sugli animaletti infusorj dell'acqua marina. Del Soc. Sig. Jsp. Brocchi già Profess. di Storia naturale nel Dipartimento del Mella, ec. ,, (pp. 177-201); sui negromanti e rabdomanti, l'n Analisi d'zma miniera di ferro magnetica. Del Sig. Dott. Cerioli Prof. di Chimica, e di Storia naturale nel Liceo di Cremona,, (pp. 214-7): l'analisi doveva determinare, secondo le parole dell'autore del saggio, 1c la natura d'una miniera di ferro che supponevasi magnetica, e che volevasi unire con parti uguali d'oro, d'argento, di mercurio, di rame, di ferro, di stagno, e di piombo; la qual amalgama assicurata in una sfera di legno, doveva servire di palla, che chiamerò divinatrice, o divinatoria; giacché pretendevasi di scoprire con essa l'esistenza delle sostanze metalliche, anche sepolte a mediocre profondità» (la u Nota del Red. ,,, in calce allo scritto, circa la plausibilità dell'esperimento, è certamente dcll'Amoretti); sui ceraunagirti - termine di conio foscoliano, sul modello di "ceraunomante"

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dove il professore e gli scolari non s'addormentano, sono piene degli esempi di Angelo di Costanzo 1 che faceva sillogismi in sonetti, e dell'eloquenza dell'Orazione a Carlo V del Casa2 (il Casa nel resto era bellissimo ingegno), e della sapienza poetica del Muratori,3 e via così. Così s'accresce o almeno si mantiene il numero della folla de' ciechi credenti e paganti. Il Salvini disse nella sua prefazione: Le mie traduzioni sono serrate ad un tempo ed eleganti :4 le Accademie e le (da "ceraunomanzia,,, divinazione per mezzo dei fenomeni che accompagnano la caduta dei fulmini): vale per sacerdoti che imbrogliano mediante arte divinatoria (>u-r6", o( µtv lq>'r]'VIXV, frammento citato anche da L. C. VALCKENAER, op. cit., p. 55. z. «Tutta, per Diol de' Calibi la razza/ pera, e le vene a sviscerar sotterra / e chi a foggiar del ferro la durezza / a principio studiò [...] » (traduzione del Foscolo, qui nel tomo 1, p. 271, vv. 60-3).

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E qui si vede, nota il Sig. Pindemonte, che il traduttore passò dai Calibi agli uomini in generale senza uno scrupolo al mondo. 1 Ma si vede altresì che il frammento greco è composto d'un emistichio pentametro e d'un esametro al quale doveva succedere tutto affatto connesso un pentametro, dove forse si sarebbe anche veduta l'idea intorno a coloro che, oltre i Calibi scopritori del ferro, seppero scavarlo, temprarlo e far l'arte de' fabbri-ferrai, maniscalchi, armaiuoli, tutti brutti Ciclopi. La conclusione di queste inezie si è, che non neghiamo né il diritto né il fatto della libertà di Catullo e de' traduttori latini, e che solamente ci meravigliamo come un uomo dotato di spirito poetico giuri nelle parole de' commentatori ed interpreti. Notino, così alla sfuggita, i Sigg. Gambaretti e Comp.02 d'essere o più liberali o più cauti co' lor correttori di stampe; ed è pure la grande miseria che non si possa più citare un vocabolo greco senza temere che il compositore, il correttore e il tipografo non lo abbelliscano di tre spropositi almeno! Nel secondo frammento greco, trascritto dal nostro Autore, trovansi per bontà della stampa in due parole tre lettere diverse da quelle che ci andavano, xa:y_o'I per XtXXO\I, e cpuy6v per cpu-ro\l. Più deplorabile è quest'altra miseria, che, appena uno stampatore si mostra dotto da giovare a' libri e alla fama de' letterati, questi gli danno addosso ingratissimi come se avesse rotto il confine. Senz'altro i lettori di tanti episodi nel nostro articolo piangeranno i minuti che vanno perdendo: ma s'ei sono un po' generosi, si sentiranno questa volta stringere di pietà considerando come uno stampatore il quale (quantunque né disegni né incida né fonda caratteri) avea pur tanto da far bene il mestiere, siasi, per l'onesto piacere di pa~oneggiarsi tipografo-letterato, aizzata contro l'invidia de' dotti. 3 E il cuore si stringe più a noi che 1. E qui ... mondo: vedi Traduzione de' due primi canti dell'Odissea, cit., p. 38. 2. Gambaretti e Comp. stampatori in Verona della Traduzione pindemontiana. 3. rmo stampatore . .. dotti: il Foscolo allude agli scritti denigratorii che seguirono alla pubblicazione da parte del Bettoni dell 1Alceste alfieriana: di Aimé Guillon sul « Giornale Italiano., del 3 e 21 maggio 1807, e di anonimo apparso sul fascicolo di giugno 1807 (tomo xvu, pp. 212-8) del « Giornale dell italiana letteratura», rivista che si stampava a Padova. Il tipografo-letterato rispose con le Lettere sulla Alceste seconda, tragedia postuma di Vittorio Alfieri, Brescia 1808. Su Nicolò Bettoni vedi le varie lettere del Foscolo che lo riguardano nei volumi II e 111 dell' Epistolario, e nel nostro tomo I il Ragguaglio, p. 720 e la nota 2 1 e pp. 746-50, l'Hypercalypseos liber singularis, pp. 963, 964 e 1002 con la relativa nota; 0 :

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vogliamo bene al tipografo, e che per difenderlo ci crediamo obbligati a ridire con molte parentesi tutto il male che tanti hanno detto di lui. 1 Dicesi - non lo accertiamo perché l'abbiamo letto in una gazzetta di novelle politiche - che quando il tipografo ristampava in 4. 0 l'Alceste seconda, l'Ombra dell'Alfieri, evocata da lui con la dedicatoria,2 gli apparisse nel sonno. Era già stata avvertita da Tiresia profeta che il tipografo radeva dal volumetto quelle otto pagine di schiarimento ai lettori le quali il poeta scrivea sorridendo sul codice e la versione della tragedia; e le radeva perché al ti pografo parve indecente un sorriso su le labbra dell'Alfieri, massimamente contro a' dotti di Lipsia. Tiresia inoltre avvertì l'Ombra del Tragico che il tipografo, per sospetto che i lettori rimanessero tutti ingannati, e conoscendosi più acuto di tutti i lettori, stava per accusare d'apocrifa la versione. 3 L'Ombra dunque apparve in sogno al tipografo e disse- ma qui il gazzettiere assicura cc che l'Alfieri avnel volume VII dell'Edizione Nazionale, pp. 298 e 305-12, l'Ultimato nella guerra contro i ciarlatani, e infine la Lettera apologetica (Edizione Nazionale, XIII, parte II, pp. 143-4, 147, 150-1, 153, 161). Il Bettoni pubblicò in risposta a queste pagine del Foscolo un libretto intitolato Alcune verità a Ugo Foscolo, Brescia 1810 (20 maggio) dove puntualmente sono confutati, a volte con qualche efficacia, i non lievi attacchi di queste pagine foscoliane; il Nostro, a sua volta, replicava nelle sopra menzionate pagine dell'Ultimato. Si ricorda che il Bettoni in questi anni era proprietario di tre tipografie: a Brescia ( 11 Per Nicolò Bcttoni »), a Padova (la sua II diletta tipografica colonia», come scrive nelle Lettere sulla edizio11e patavina-bresciana delle Opere di Vittorio Alfieri, Padova 1809, p. 26: "Per Nicolò Zanon [il nome della madre, figlia del noto industriale cd economista Antonio] Bettoni 11)1 ad Alvisopoli (uPer Nicolò e Giovanni [il fratello] Bettoni»). 1. E il cuore . .. di lui: vedi Alcune verità a Ugo Foscolo cit., p. 4. 2. il tipografo ristampava ... dedicatoria: vedi Alceste, tragedia postflma di VITTORIO ALFIERI, Brescia, Per Nicolò Bettoni, 1807, p. [5], Al Ge11io di Vittorio Alfien·, Nicolò Bettoni: 11 Ricevi Ombra onorata, questo tributo di te degno, perché è cosa tua». E Alcune verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 8-11, anche per quanto scrive in seguito il Foscolo sull'edizione deWA/ceste. 3. che il tipografo ..• versione: nella Nota dell'editore, a p. 94 della citata edizione bettoniana deWAlceste, si legge: 11 Nel Volume primo dell'edizione che porta la data di Londra 1804 delle Opere postume di VITTORIO ALFIERI, dopo la traduzione dcli' Alceste d'Euripide trovasi questa Tragedia col titolo di Alceste seconda di Euripide con uno Schiarimento in fine sulla pretesa traduzione, in cui l'autore narra di averla eseguita su di un testo greco che dopo si è smarrito. Ben si conosce esser questa una poetica finzione, né alcuno porrà mai in dubbio, che l'Alceste seconda non sin una composizione originale dell'immortale Alfieri. Riputai pertanto di ammettere l'accennato Schiarimento che l'autore medesimo avrebbe forse soppresso, se vivente avesse data alla luce questa Tragedia. E tanto più volentieri a ciò mi determinai quanto che parmi, che l'anima libera e franca d 1Alfieri mal dovesse tolle-

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vedutosi dallo stile dell'evocazione quanto poco il tipografo sapesse di toscano, né l'Alfieri sapendo di veneziano, né volendo parlare in francese, e congetturando che il tipografo, quando il tipografo andava a scuola, avesse imparato un po' di latino, e in Padova, ove il tipografo fu forse addottorato in ambe le leggi, 1 viveva ancora lo schietto latino ... » - Dio ci guardi da queste sintassi delle gazzette negli articoli varietà dove spesso vanno sfoggiando eloquenza! Insomma la gazzetta, dopo un'altra pagina e mezza, conclude che l'Alfieri parlò in latino al tipografo e dissegli: Doctor: quid tibi rei mecum est? nosti quis sim? Licet ne tibi in Alcestim meam debachari pro qua laborem, noctes, lacrymas dedi? Responde. - 2 Qui la gazzetta non dice più nulla, nemmeno il solito sarà continuato; e forse per lasciar credere che il tipografo, non intendendo, non rispondesse. A che, invece di questa reticenza maligna, che il tipografo smentirà scrivendo e stampando prefazioni ciceroniane, a che non dire con più verità ch'ei non rispose perché non è uomo da credere a' sogni, né d'avere paura de' morti? Or perché vi sono di molti che a' novellisti credono tutto, ed altri che non credono un iota, noi non negheremo né confermeremo racconto alcuno di gazzettiere. Per altro molti letterati che ambiscono la gloria si pongano la mano sul petto, e confesseranno che dal sognare al vegliare non corre divario. Ma se una nitida edizione in 4. 0 , carta velina, cilindrata,3 cc. può aggiungere qualche secolo d'immortalità - ed il tipografo è ministro d'immortalità - 4 non è poi gran fallo se il nostro tipografo volle in premio della toilette che le regalò, sbizzarrirsi con l'amabile Alceste. Leggesi in un giornale letterario il seguente squarcio - non rare anche una innocente letteraria menzogna•. E vedi anche Alcune verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 1 o- I. 1. ove ... le leggi: il Bettoni aveva frequentato per un solo anno la facoltà di giurisprudenza all'Università di Padova. 2. a Dottore, che cos'hai con me? sai chi sono? Ti sembra giusto infierire contro la mia Alceste, per la quale spesi fatica, notti e lacrime? Rispondi•. E vedi Alcmie verità a Ugo Foscolo, cit., p. 10. 3. carta ve/i,ia: a così detta perché imita )a bianchezza e levigatezza deUa pergamena» (TOMMASEO-BELLINI). Latinismo da vellus, e cfr. l'inglese vellum paper; cilindrata: appiattita col cilindro per togliere II al foglio già stampato [... ] ogni scabrosità )asciatavi dall'impressione delle lettere» (TOMMASEO-BELLINI). 4. Vedi Alceste, cit., p. [s]: a Io non sono che un artista, ma coltivatore di un'arte ministra d'immortalità, di un'arte trionfatrice del tempo, e con questa oso innalzarti il monumento». E anche Alcune verità a Ugo Foscolo, cit., p. 12: « Non ho mai detta, né immaginata la sciocchezza di essere tipografo ministro dell'immortalità, ho bensì detto e ho detto bene, né sono io il primo, che l'arte mia è ministra d'immortalità». 87

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abbiamo il giornale e citiamo a memoria; avvertendo che, per quanto la fede di citato re il consente, ci studieremo di temperare lo stile troppo avventato del giornalista1 - Ommissis . .. cc A chi l'ha già udito e a chi non vorrebbe più udirlo si chiama innamorato dell'arte sua ministra d'immortalità, e t'inorpella i libri con dedicatorie piene d'interiezioni, le quali non lasciano in pace nemmen l'ombre de' morti, e di prefazioni in ira alla verità, alla grammatica, ed alla logica. E tanto ci si gloria de' suoi bei parti, che ristampa per prolegomeni le sue circolari d'associazione (vedi la versione dell'Aristippo).2 Anziché fare del letterato, e far correre proclami e manifesti con lodi smaccate agli autori, e con tante promesse di sé e de' suoi torchi, e de' suoi amici, i quali forse non hanno colpa né pena, farebbe assai meglio a stampare con meno errori e con più puntualità. Le dedicatorie, le interiezioni, gli sgrammaticamenti, le promesse, le sguaiataggini, le lodi smaccate non carpiscono il giudizio del pubblico; e poiché paga i libri lasciate ch'egli possa screditarli e lodarli; né il pubblico s'inganna sì spesso come a molti giova di credere. 3 Dal dì che Mercurio ancora bambino rubò i bovi ad Apollo, la letteratura e la mercanzia cozzarono sempre tra loro :4 e certo fu decreto di nume, che le lettere, le quali tendessero solamente al danaro, divenissero fa/se e sguaiate come la beltà vendereccia. Né ci vuole poca ricchezza d'ingegno a farle, malgrado sì brutto vizio, parere oneste: appena il fragore degli equipaggi 5 e lo splendore de' diamanti bastano a confondere gli oziosi, fra' quali gli amici nostri Accademici Pitagorici,• che vorrebbero trovar a ridire sopra a) L'autore anonimo delParticolo che stiamo citando è forse membro dell'Accademia de' Pitagorici. 6 Quest'Accademia è in Milano.

1. lo stile ... giornalista: il carattere fantastico del personaggio (donde l'identificazione del giornalista con il Foscolo stesso), è chiarito dal riferimento all'Accademia de' Pitagorici nella nota a) del Foscolo qui. 2. Aristippo ed alcuni suoi contemporanei di C. M. WIELAND recato dal tedesco in italiano da MICHELANGELO ARCONTINI, Padova, Per Nicolò Zanon Bettoni, 1809-1810, volt. 4. In verità il tipografo sembra solo autore della dedica: All'amico suo Francesco Deciani, NicoliJ Bettoni. Ma vedi, dello stesso, le Lettere sulla edizione patavùra-bresciana delle Opere di Vittorio Alfieri, cit., p. 27 1 dove è annunciata la prossima pubblicazione dell'Aristippo. 3. Anziché fare . .. credere: vedi A/erme verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 13-4. 4. Dal dJ che Mercllrio . .. loro: vedi nel tomo 11 pp. 926-7, l'Hypercalypseos liber singlllaris. E A/erme verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 15-6. 5. eq"ipaggi: carrozze. 6. Accademia de'

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di tutto e perfino sulle belle dame corteggiate dai ricchi. E a chi domandasse alcuni saggi della letteratura di questo mercante ministro d'immortalità, eccoli. L'Alfieri scrisse con brevità e proprietà italiana : Vita di Vittorio A [fieri scritta da esso; e il tipografo corresse Non ha biblioteca, né archivio, né sala, né casa, né cassa, né corrispondenti, né statuti, né carta, né penna, né calamaio. Non fa elezioni, non dà patenti, non manda inviti, non pubblica memorie, non diffonde programmi, non promette medaglie né premii. S'aduna da più anni tutte le sere. Siede pubblicamente. Ha un presidente, un contropresidente, un secretario perpetuo, un archivista, un tesoriere, due uscieri, un capo d'opposizione, un araldo, e un geografo che fa bene il caffè. Tutti questi per altro sono, tranne il geografo, sì poco autorevoli e necessari che l'Accademia s'aduna sovente senz'essi. Tratta di scienze, di lettere, d'arti, d'anneddoti, e d'uomini; spesso benissimo, spesso malissimo, ma non mai mediocremente, e per lo più schiamazzando. Chi più interrompe si concilia assai più gli uditori: e chi non sapesse leggere sarebbe tenuto più veritiero. Dagli uomini gravi, che desideravano un po' di silenzio, l'Accademia fu ironicamente detta de' Pitagorici: e perché da molti anni non avea nome veruno, accettò questo dagli uomini gravi. Il suo stemma, benché non disegnato né inciso, rappresenta un branco di cagnuoletti levrieri che saltano, e schiattiscono, e guizzano intorno a certi vecchi cagnacci sdraiati per poltroneria, e che fingono gravità; ma i levrieri non toccano mai l'osso che i cagnacci stanno rodendo. Le questioni nell'Accademia nascono a caso, e al dì seguente sono obbliate. Si trattano seriamente, ma non finiscono se non quando tutti i membri si danno a ridere. Ridono di tutto e di cuore; e quando ne' pochi minuti di silenzio si guardano tra loro, ridono di sé stessi. Si proverbiano l'un l'altro, e si tramano celie da fame libretti d'opera buffa: ma non si sa che niun accademico abbia malignato il compagno dietro le spalle, né brogliato acciocché sia lodato nelle gazzette. Il numero de' membri è illimitato. Chiunque volesse ascriversi ali' Accademia, vadavi, e sieda insalutante ed insalutato nel primo seggio accademico che gli si para vacuo dinanzi. Gli obblighi d'accademico pitagorico sono sette: 1. Che parli più che non ascolti. 2. Che sia ridicolo, o faccia gli altri ridicoli. 3. Che si puntigli nelle opinioni, ma non mai per le burle che gli fossero dette o fatte. Pitagorici: vedi nel tomo cit., p. 16.

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pp. 711-58. E Alcune verità a Ugo Foscolo,

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e stampò: scritta da lui medesi'mo. 1 L'Alfieri notò al capo de' margini delle pagine della sua vita Panno del secolo in cui que' fatti, ch'egli racconta, avvenivano; espediente comodissimo per chi legge: ed il 4. Che alla sua volta scommetta, perché l'adunanza goda di più sorbetti. 5. Che, senza esagerare, né susurrare all'orecchio degli uomini gravi, ridica dappertutto ciò che s'è fatto e s'è detto nelPAccademia. 6. Che, s'egli è in amore, non ne faccia vista nell'Accademia; non ne scriva in rime alla sua innamorata, e non faccia in pubblico da servente. 7. Ch'ei possa tempestare in favore d'ogni umana colpa e miseria, foss'anche per l'impresa degli spettacoli; ma che non apra mai labbro a discolpa 1. de' vendifumo; 2. di chi sa bene un mestiere e lo esercita male; 3. di chi sa male un mestiere e sa farsi pagare e .lodare come se ne fosse maestro. L'Accademia ha riconosciuto che la bile, · commossale da queste tre pesti del mondo, le ha talvolta impedito di ridere. I. L'Alfieri ... medesimo: vedi Alcmze verità a Ugo Foscolo, cit., p. 16: "Qual delitto, eterni dei! ... Sappiate però che non è mio, ma d'un altro che non voglio nominarvi per non esporlo ai vostri implacabili sdegni 11. E la lettera del Foscolo al Bettoni nell'Ultimato tiella guerra contro i ciarlatani: cc oggi anche i vostri celebri amici che vi consigliarono a cangiare il testo alfieriano vi compiangono come sciocco>• (Edizione Nazionale, VII, p. 306). Il Bettoni nelle citate Lettere sulla edizione patavi11a-bresciana delle Opere di Vittorio Alfieri, a p. 6, annunciava che la stampa sarebbe avvenuta, con la pubblicazione di due volumi al mese, presso la tipografia di Padova delle opere pubblicate in vita dall'Alfieri, e presso la tipografia di Brescia di quelle postume; a pp. 20- I, in risposta a una lettera del 7 ottobre 1809 dell'abate Angelo Dalmistro all'abate Giuseppe Codognato, correttore della tipografia Bettoni, illustrava il piano e i criteri dell'edizione che si completò in tre anni: Le Opere di V1TT01uo ALFIERI, Padova 180918 I I, voli. I 2, più due col titolo Appendice alle Opere di Villoria Alfieri, che sono una e, raccolta di componimenti critici» intorno alle sue opere, fra i quali si ricorda la « terza edizione II della Dissertazione critica sulle Tragedie di Vittorio Alfieri dell'avvocato GIOVANNI CARMlGNANI professore

dell'Accademia di Pisa coronata dal'Accademia Napoleone in Lucca li XVIII maggio MDCCCVI ecc. (e vedi la Lettera apologetica, Edizione Nazionale, XIII, parte 11 1 p. 147). Le Opere postume di VITTORIO ALFIERI, Brescia I 809-I811, voli. 22, più uno di scritti di vari autori fra i quali (pp. 57-132) le Quattro lettere del signor Conte e Senatore OTTAVIO FALLETTI di Barolo indirizzate al signor Prospero Balbo rettore dell'Accademia di Torino intorno ad alcune opere postume di Vittorio Alfieri 11ltimame11te stampate (pubblicate la prima volta a Torino, presso Vincenzo Bianco, nel 1809, e vedi la Lettera apologetica, loc. cit., p. 147), comprendente anche l'Indice generale diviso per materie di tutte le opere, e i Nomi degli Associati che onorano l'edizione patavina-bresciana delle Opere di Vittorio Alfieri,

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ministro d'immortalità sdegnò sì misera diligenza,1 benché abbia ristampati nella stessa edizione due volte i pareri dell'Autore su le tragedie - due volte? Nessuno lo crederà se non all'aprire dell'edizione; e grillo indovini il perché; forse - Dio ci perdoni il temerario giudizio sul prossimo - forse per ingrossare il volume dei volumi ed il prezzo dell'edizione. 2 E quando l'Alfieri deplorava la propria borsa, divoratagli da' stampatori e librai, 3 era forse pieno di spirito profetico, da che le opere sue, poiché egli è morto, pare che servano più al mercimonio che al traffico. 4 Udite il tipografo anche nello stile magnifico: I cultori e gli amatori delle nobili arti formano quasi una sola grande famiglia sparsa sulla superficie delle nazioni. Che gli artisti e i dilettanti sovrastino al volgo delle nazioni, ognuno lo sa; ma si ringrazi il tipografo, poiché ci dà la notizia che una grande famiglia va camminando su per le teste incipriate, imparruccate, imberrettate, scodate, delle nazioni. Stile scientifico del tipografo: La più modica offerta moltiplicata sopra una massa d'individui, può dare u1, ragguardevole prodotto: videlicet: che ciascheduno de' molti individui, dando una modica offerta, può far crescere una ragguardevole somma. Stile oratorio del tipografo: dove, a p. 24, compare anche il nome di Ugo Foscolo. Questo volume era dal Bcttoni « offerto qual tenue dono agli Associati che onorarono col loro nome la mia intrapresa» (ivi, p. III); e vedi anche Alcune verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 18-9. La Vita comprende i primi due volumi delle Opere postume; la prima edizione era apparsa nei tornì x11-x111 delle Opere postume, Londra 1804 [ma Firenze, Piatti, 1806]. 1. L'Alfieri 11otò ... diligenza: vedi Alcmre verità a Ugo Foscolo, cit., p. 17. 2. be,zché abbia ... edizione: vedi [N. BEITONI], Lettere sulla edizione patavina-bresciatra delle Opere di Vittorio Alfieri, cit., pp. 23-4: « Altra innovazione introdotta nella mia edizione si è di aver aggiunto alla fine di cadauna tragedia il parere su di essa dell'autore, che nell'cdizioni tutte a me note trovasi soltanto dopo tutte le tragedie. [... ] Siccome però al parere sopra cadauna delle sue tragedie sono unite alcune considerazioni generali sulla invenzione, sulla sceneggiatura, e sullo stile, in modo che il tutto forma, direi volentieri, una Poetica dell'arte tragica, così riputai di conservare unito quel lavoro, ben certo, che i miei Associati di questa ripetizione di poche pagine non si lagneranno, non portando che il tenuissimo aumento di alcuni centesimi »; e anche Alc1me verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 17-8, dove riproduce tra virgolette il brano citato. Nel volume VII delle Opere, Padova 1809, le pp. 289-438 ristampano infatti tutti i II pareri» dell'Alfieri. 3. E quando .•. librai: vedi quanto narra a questo proposito l'Alfieri nella Vita (Epoca quarta, capitolo vr"gesimottavo). 4. E quando l'Alfieri . .. traffico: vedi Alerme verità a Ugo Foscolo, cit., p. 19. E la lettera foscoliana al Bettoni nell'Ultimato nella guerra contro i ciarlatani, paragrafo 2 (Edizione Nazionale, vu, p. 307).

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SCRITTI LETTERARI

Cultore di un'arte sorella diletta di quella che professano i Bartolozzi, 1 i Morghe11, 2 i Longo,3 i Rosaspina,4 è questo il titolo che giustifica il mio spontaneo impulso, e tanto più ec. Questi ed altri generi diversi di stile con mill'altre eleganze di lingua si trovano in una circolare stampata a Padova, li 12 marzo 1810. 5 Con tutto questo noi stimia1. Francesco Bartolozzi (Firenze 21 settembre l 728 - Lisboa 7 marzo 1815). Perfezionatosi a Venezia alla scuola di incisione di Joseph Wagner, nel 1764 si recò a Londra, invitatovi da Richard Dalton, bibliotecario di

Giorgio Ili, del quale divenne in seguito l'incisore ufficiale, raggiungendo in breve un'alta reputazione grazie al sapiente uso della maniera punteggiata (stipple engravi11g), di cui si valse con grande abilità nell'incidere opere di pittori, quali Thomas Gainsborough e Joshua Reynolds. 2. Raffaello Morglze11 (Portici 14 giugno 1761 - Firenze 8 aprile 1833). Formatosi in una famiglia di disegnatori e incisori, dal 1788 fu a Roma in qualità di disegnatore di Giovanni Volpato, trasferendosi a Firenze nel 1794, dove tenne una scuola sino alla morte. Tra le sue incisioni più note si segnalano la Madonna della seggiola da Raffaello (1794), la Vergine con Gesù dormiente da Tiziano (1797), la Ce11a da Leonardo (1800) e la Trasfigurazione da Raffaello (1811). 3. Giuseppe Longhi (Monza 13 ottobre 1766- Milano 2 gennaio 183 1 ). Allievo di Giuliano Traballesi e Domenico Aspari, grazie al ritratto di Napoleone ottenne la direzione della scuola d'incisione riproducendo i Fasti napoleonici che Andrea Appiani aveva affrescato nel Palazzo Reale di Milano. 4. Francesco Rosaspina (Monte Sendolo [Rimini] 2 gennaio 1762 - Bologna primi di settembre 1841). Allievo del Nerozzi a Bologna, imitatore di Francesco Bartolozzi, amico di letterati quali Pietro Giordani e Giovanni Battista Casti, di Giambattista Bodoni, dei quali incise i ritratti, nel l 801 fece parte del Collegio dei Dotti della Cisalpina, e fu membro della Consulta cisalpina al Congresso di Lione ( 1 802). 5. Udite il tipografo ... marzo I8ro: per intendere il brano e per sottolineare anche la non trascurabile "abilità" del Bettoni di fronte ai suoi lettori, riportiamo un passo da Alcune verità a Ugo Foscolo, cit., pp. 19-20: a Ma chi avrebbe immaginato mai che perfino una mia lettera privata meritar potesse di essere sminuzzata e notomizzata quasi linea per linea? Credete voi che tutte le vostre lettere private siano scritte con buona sintassi e tali da resistere a qualunque urto di critica? In verità, Signore, che qualche vostro corrispondente potrebbe provarvi, e ben facilmente, il contrario. Qualche inesattezza di frase nel commercio epistolare non fu mai scritta a colpa, e conosco uomini insigni che sono negligentissimi nello stile, e nelle frasi delle loro lettere. Ma voi soggiungerete che la mia è stampata. Sì Signore, è stampata; ma non è una lettera pubblica. Dir voleva le stesse cose a quasi mille persone: perché non poteva io approfittare della facilità che offre la stampa di moltiplicare il medesimo esemplare? A torto pertanto, si a torto m'intentate accuse in faccia al pubblico delle frasi di quella lettera. lo l'abbandono tuttavin intieramentc nl bisogno che mostrate di lacerar qualche cosa, ed invece di giustificare o scusare l'ine·sattezza di alcune frasi, permettetemi che in pochi cenni esponga il contenuto della da voi tanto dilaniata lettera, il di cui scopo era non già di far pompa di bel dire, ma un desiderio vero di ben fare; e voi, Signore, meritato avreste l'applauso de' Buoni se nel vostro articolo aveste invece ri-

TRADUZIONE DELL'ODISSEA DEL PINDEMONTE (1810)

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mo il tipografo; e chi non desidera l'immortalità? Ma poiché molti hanno più volte trattata presso di lui in camera caritatis la causa del giusto e del pubblico, e indarno; poiché il pubblico, che ha il vizio di comperar libri, non ha né bargello, né uomini d'arme che facciano stare a segno gli stampatori e i librai; poiché col tipografo resta ancora questo partito d'eccitarlo coram populo alla erubescenza, ci parve di dire queste poche e discrete parole. E tempo è ornai che le ciarlatanerie letterarie finiscano; e se la scabbia in certi malaugurati è insanabile, noi li piangeremmo tacitamente, ove non fosse più vantaggioso di mostrarli ad altissima voce perché non torni contagiosa agli incauti: Maledictus qui errare facit caecum in itinere, et dicet omnis populus: Amen ». 1 - A queste sofisticherie declamate più lungamente dal citato giornale risponderemo: 1. che ormai lo stampare un nome d'autore vivente senza ornarlo di lodi è delitto; e l'uomo savio deve spesso secondare l'abuso; 2. che le superficialità sopra le nazioni civilizzate sono di moda, né mancano gl'esempi d'illustri scrittori: 3. che tutti i letterati pigliano granchi, onde questa non è prova che il tipografo non sia letterato: 4. che dove trattasi o d'esattezza d'idee o di stile patetico-epistolare la lingua italiana non basta: verità provata dalla pratica di molti scienziati e di molti traduttori di romanzi. Finalmente, onde non si dica che il tipografo fa quel che non sa, o fa quel che sa, bensì ch'ei sa quel che fa; finalmente, se l'autorità di un giornale e d'una gazzettuccia condanna il tipografo, l'autorità di molte altre lo esalta; e, senza rileggere le lettere de' dotti dirette a lui dotto,2 né la portato il soggetto di quella lettera eccitando i vostri concittadini ad un atto generoso verso la consorte d'un sommo artista. È questa la signora Bartolozzi, moglie del celebre vivente incisore di questo nome. Essa manca quasi affatto di mezzi di sussistenza, perché da molto tempo il marito che soggiorna in Lisbona non ha potuto farle pervenire i consueti assegnamenti in Venezia, per le interrotte comunicazioni a motivo della guerra u. E a p. 21 il Bettoni continua nella sottolineatura della sua « buona azione» contro il "cinismo,, del Foscolo. I. Vedi Deut., 27, 18 (« Maledetto chi ha fatto sì, che il cieco smarrisca la sua strada e tutto il popolo dirà: Così sia 11 1 traduzione di A. Martini). 2. le lettere ... dotto: nelle cicitate Lettere sull'edizione patavina-bresciana, pp. 15-61 Angelo Dalmistro scriveva all'abate Giuseppe Codognato, correttore della tipografia Bettoni: « lo non intendo di derogar nulla al merito degli impressori nostri passati e presenti: ognuno esercitò il suo mestiero secondo sua possa ed intelligenza, e ognun si credette di avere sugli altri la preminenza. Fatto sta che ci mancava un Genio che i Basckerville emulando e i Bodoni, alzasse la fa~e infra noi ad illuminare coloro che giacciono nelle tenebre della tipogta-

SCRITTI LETTERARI

gazzetta del dipartimento del Mella, 1 basterà il Gior11ale italiano,2 di cui gli articoli letterari si ristamperanno un dì forse per appendice alle istituzioni rettoriche ad uso delle scuole, e segnatamente gli articoli comunicati com'esemplare di spassionatezza. E basterà al nostro argomento una linea di quel giornale: Il celebre Signore N. N. ec. Aldo. Né importava ribattezzarlo. Aldo, Stefano, Nicolò, fica mediocrità, e diciam pure ignoranza. Nel signor Nicolò Bettoni apparve un tal Genio, il quale, come nelle altre sue stampe, così in questa dell'Alfieri, ch'io con impazienza mi attendo farà vedere quant'oltrc si estenda il suo buon gusto, e il suo sapere nell'arte nobilissima [...] ». A proposito di queste lodi del Dalmistro al Bettoni, vedi nel tomo I, p. 749, il Ragguaglio: cc L'Accademico - [...] Né io avrei parlato mai del Tipografo, se un vecchio letterato, ch'ebbi per maestro e di cui serberò memoria finché avrò vita, non avesse in istampa lungamente e pomposamente lodato il Tipografo come prossimo alla dottrina d'Aldo e all'arte mirabile del Bodoni,,. E la lettera del Foscolo allo stesso Dalmistro, da :Milano, s giugno 1810: 11A pagine .... del romanzetto su l'Accademia de' Pitagorici ho inteso di parlare di voi; non vi ho nominato perché mi parevate caduto in fallo. Se vi pare ch'io abbia ragione, ascoltatemi; diversamente, sgridatemi; bench'io forse mi rimarrò nella stessa sentenza,, (Epistolario, 111, p. 393). Ma questo del Dalmistro non fu il solo elogio pubblico che il Bettoni si meritò con l'annuncio dell'edizione alfieriana: si veda, ad esempio, l'Epistola wlla nuova, e completa edizione delle Opere di Vittorio Alfieri, Padova, Per Valentino Crescini, 1809, 12 pagine di versi scritti da Francesco Pimbiolo degli Engelfreddi (Padova 1753-ivi 1823). 1. gazzetta .. . Mella: si tratta del u Giornale ufficiale del Dipartimento», stampato a Brescia dal Bettoni e da lui diretto. 2. Il cc Giornale Italiano", stampato da Federico Agnelli, uscì a Milano, dal 2 gennaio 1804 1 ad opera di Vinccnco Cuoco, che lo diresse fino al 1806; in questo stesso anno (27 maggio) ne assunse praticamente la direzione l'abate francese Aimé Guillon, con la collaborazione di Giovanni Gherardini e di Francesco Cherubini. Cessò le sue pubblicazioni nell'ottobre del 1815 quando il governo austriaco, volendo potenziare la II Gazzetta di Milano,,, lo soppresse unitamente al II Corriere Milanese n. Vedi, come esempio delle lodi del cc Giornale• al Bettoni, quanto si legge nel numero del 18 agosto 1809 fra gli Annunzj tipografici: Agli amatori dell'immortale poeta Astigiano, a firma A. C.: 11 Grazie alle indefesse cure del chiarissimo sig. Nicolò Bettoni, altro degli Elettori nel Collegio dei Dotti, che colle recenti sue tipografie, erette in Padova, ed in Brescia, emulando i Didot, i Basckerville, i Bodoni, ha già arricchita la letteraria repubblica di eccellenti edizioni, le quali tutte sono altrettante riprove de' suoi talenti e del suo finissimo gusto nella più scelta letteratura, vede ora il pubblico riprodursi da' suoi non meno eleganti, che correttissimi tipi un nuovo monumento alla fama dell'immortale tragico italiano Alfieri; monumento tanto più pregiabile, quanto che, non dovendo l'esistenza sua alle speculazioni d'un sordido interesse, e presentando la più completa collezione di quanto è uscito da penna cotanto illustre, poiché contiene ben anche alcune sue produzioni sinora inedite, non lascia nulla a desiderare ad ogni più colto e illuminato leggitore [ ... ] ».

TRADUZIONE DELL'ODISSEA DEL PINDEMONTE (1810)

1385

sono in fine tutt'uno: battezzatelo Calandrino, 1 Falannana,Z Crispino, 3 e' si rimarrà quell'uomo ch'egli è; e noi gli rimarremo amicissimi sempre, e difensori privati e pubblici anche a costo di battere il seminato e di parere troppo indulgenti. 4 L'altra considerazione, a cui ci chiamò la prefazione del Sig. Pindemonte, ed è un po' meno scolastica della precedente intorno a' frammenti, darà la prova su gli elogi letterari promessa poc'anzi ai lettori. lo prendo, scrive il nostro Autore, un esempio (sul modo di tradurre letteralmente) dal nostro Brazzolo, 5 tanto più volentieri quanto più il veggo lodato da un uomo di così fino e limato ingegno come certo fu l'Algarotti. 6 Dopo di che l'A[utore] prova evidentemente che il Brazzolo, quantunque lodato dal fino e limato ingegno dell' Algarotti, 7 tradusse a sproposito l'idilio di Mosco. Ma se, conchiude il Sig. Pindemonte, se l' Algarotti loda a cielo il Brazzolo, Calandrino: protagonista di quattro novelle del Decameron (giornata novelle 111 e VI, giornata IX, novelle 111 e v). 2. Mariotto detto Falanam,a, protagonista della novella II della Cena II di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca (Firenze 1503-1584). 3. Crispino: servo furbo e imbroglione della commedia dell'arte, passato poi nel teatro comico spagnolo e francese. 4. e noi ... indulgenti: vedi Alcune verità a Ugo Foscolo, cit., p. 4. 5. Brazzolo: vedi nel tomo 1, il Ragguaglio, p. 724 e la nota 2. 6. Vedi Traduzione de' due primi ca,zti de/l'Odissea, cit., Prefazione, p. 10. Per l'Alga rotti vedi nel tomo I Ortis ( I 802), p. 602 e la nota I. Invitato da Federico II alla corte di Potsdam vi rimase dal 1740 al 1742 e in seguito tranne un lungo soggiorno in Italia e a Dresda nel 1749 - dal 1746 al I 753. Nominato Ciambellano dal re di Prussia, eletto Cavaliere dell'Ordine del l\llerito gli fu conferito il titolo di conte trasmissibile ai suoi eredi. E vedi nel tomo I il Ragguaglio, p. 720. 7. L'Algarotti loda i saggi di traduzione dell'Iliade nelle due citate lettere al Brazzolo, del 9 gennaio e 12 marzo 1747 (vedi la nota I a pp. 1343-4), e in quest'ultima scrive: «Ella farà conoscere più che mai con la bella traduzione sua, che dalla più perfetta ragione, non dal caso, è nata la più bell'opra dell'ingegno umano in fatto di poesia» (cd. cit., pp. 110-1); « La sua Iliade [... ] è cosa di lungo studio, elaboratissima, castigata ad unguem. Alcuni squarci di essa, che le è piaciuto comunicarmi, io gli ho paragonati con l'originale, e ci ho trovato una eleganza e fedeltà maravigliosa. Niente di duro; tutto è pastoso e morbido, e rende l'antico sapore. La nostra lingua maneggiata da lei garegg_ia con la greca, e s'inalza quasi sino ad Omero, "Attingit solium Jovis, et coelestia tentat" [... ]. Troppo il gran peccato sarebbe ch'ella non conducesse a fine una cosi bella opera, un monumento che sarà aere perennius • (pp. 115-6). In quella del 9 gennaio 1747, sulla traduzione di Mosco: «ma in vano cerca di essere appuntato chi fa cose inappuntabili; che tale veramente è la sua traduzione dell'idillio di Mosco» (p. 90), e cita come esempio, nella stessa pagina, i tre versi riportati dal Pindemonte qui a p. 1391. La Traduzione dell'idillio di Mosco, Europa, fu pubblicata a Padova nel 1757. 1.

VIII,

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SCRITTI LETTERARI

ciascuno sa qua1zto il Conte largheggiasse co11 tutti d'incenso, e non gli bastava di far del cortigia110 solamente in Posdammo. 1 Or noi chiediamo licenza di ridire che i fasti della nostra letteratura sono spesso affumicati di questo incenso. Né l'Algarotti a' suoi giorni godeva di quella fama che, derivando dalla stima e dalla riconoscenza della nazione, promette di stabilirsi nelle seguenti generazioni e di crescere. Era letterato di partito, ed aveva per lodatori dalle cattedre i Gesuiti ch'egli lodava in istampa, i giornalisti ch'ei temeva moltissimo e regalava, i letterati stranieri ch'egli adulava e imitava, i cortigiani eh' ei corteggiava, i nostri letterati più addomesticati co' loro studii che con le cose del mondo, e che stando romiti nelle loro cellasside sul trono della luce; e con eterna colle nebbie de' boschi e de' torrenti: eran quete le selve, eran dell'aure qucti i sospiri; ma lugubri e cupi s'udian gemiti e grida in lontananza di languenti trafitti, e un calpestio di cavalli e di fanti, e sotto il grave peso de' bronzi un cigolio di rote che mestizia e terror mettea nel core.

Con il gusto raffinato che gli riconosciamo, anche in questo poema l'autore si è valso d'altri poeti, dell'Ossian del Cesarotti, della traduzione in prosa francese delle odi del Gray, e di Shakespeare. Di quest'ultimo è poi incondizionato ammiratore, pur non conoscendo l'inglese, come lo è di Dante. Chi scrive l'ha udito affermare con tono incontestabile che il mondo ha avuto tre soli poeti nel vero senso della paroia: un triumvirato propriamente, composto da Omero e da quei due di cui s'è appena proferito il nome. E si veda, nelle due stanze che seguono, come l'autore si sia giovato del discorso di Ulisse, nel Troilo e Cressida, laddove la necessità di un regime monarchico è fatta discendere dalla supremazia che ha il sole sopra le stelle: Delle stelle monarca egli s'asside sul trono della luce; e con eterna 1. Il Bardo della Selva Nera, 1, 421-38. 2. Monti ... Cesarotti: per la traduzione cesarottiana vedi nel tomo I la nota 1 a p. 345. 3. The t•wo ... Cressida: W. SHAKESPEARE, Troylus and Cressida, a. 111, se. 111, 147 sgg.

ESSAY ON THE PRESENT LITERATURE OF ITAL Y (1818)

ISI I

unica legge il moto, e i rai divide ai seguaci pianeti, e li governa. Per lui Natura si feconda e ride; per lui la danza armonica s'alterna delle stagion; per lui nullo si spia grano di polve che vital non sia. E cagion sola del mirando effetto è la costante eguale unica legge con che il raggiante imperador l'aspetto delle create cose alto corregge. Togli questa unità, togli il perfetto tenor de' varii moti, onde si regge l'armonia de' frenati orbi diversi, e tutti li vedrai confusi e spersi. 1

Monti undertook a translation of the Iliad ;2 and he undertook it confessing that he knew nothing of Greek, but copied after the literal interpretations in Latin, the various commentators, and the poetical versions of ali his predecessors. He depended solely upon his talents for versification, and the charms of his style. His readers were equally confident with himself: and unica legge il moto, e i rai divide ai seguaci pianeti, e li governa. Per lui Natura si feconda e ride; per lui la danza armonica s'alterna delle stagion; per lui nullo si spia grano di polve che vita) non sia. E cagion sola del mirando effetto è la costante uguale unica legge con che il raggiante impcrador l'aspetto delle create cose alto corregge. Togli questa unità, togli il perfetto tenor de' varii moti, onde sì regge l'armonia de' frenati orbi diversi, e tutti li vcdrni confusi e spersi.

Monti si cimentò anche in una versione dell'Iliade e vi si accinse senza conoscere il greco, come lui stesso confessa, avvalendosi delle versioni letterali in latino e di quelle poetiche dei suoi predecessori, non che dei vari commentatori. Per la versificazione s'affidò interamente al suo talento e all'incanto del suo stile. I suoi lettori, quanto lui stesso, in lui fiduciosi,

J. Il Bardo della Selva Nera, vr, st. 27-8. 2. Monti ... 1/iad: dopo l' Espen'mento, condotto a fianco del Foscolo, e stampato a Brescia dal Bettoni nel 1807, la versione completa dell'Jliade fu pubblicata per la prima volta a Brescia, ancora dal Bettoni, nel 18101 in tre volumi.

SCRITTI LETTERARI

their previous persuasion secured him the first applauses with which his translation was welcomed even by the Greek scholars, who were happy to accept of so powerful an ally in their contest with Cesarotti. It was, however, discovered, that a translation made by one who was ignorant of the originai could not be depended upon. The distrust spread even to those who were themselves equally unacquainted with the Greek text; and the censures of the learned were heard and multiplied in every quarter. They have by degrees been pushed to an extreme equally unjustifiable with the first praises of this translation. Monti had heard of the simplicity of Homer: he wished to imitate this quality, which is so much eulogized, and so little capable of definition. To accomplish this project, he sprinkled his phrases with Italian idiotisms, and he moreover was prodigai of words from the Lati11, which, although they have a certain classica! air, and are well chosen, expressive, and clear, and enrich the language, give, however, a prosaic and pedantic air, that renders his manner disagreeable and dry. He has almost always faithfully given the meaning of Homer, but he has frequently omitted to lay hold of those minute and accessory beauties which form in fact the exclusive merit of great writers, and which, as they are rather felt than seen, are the despair of the most expert translator. con la loro prestabilita disponibilità gli assicurarono i primi consensi, cui si aggiunse anche il riconoscimento dei grecisti che furon lieti di accogliere un così potente alleato nella loro controversia col Cesarotti. Venne tuttavia in luce che non ci si poteva affidare a una traduzione compiuta da chi non sapeva leggere il testo originale. La diffidenza prese così a diffondersi anche tra coloro che non conoscevano, come il Monti, il greco, mentre da ogni dove echeggiava e andava aumentando la condanna dei dotti: poco alla volta i dinieghi raggiunsero una ingiustificabile violenza che ricordava i primi gratuiti e accesi elogi. Monti aveva udito discorrere della semplicità di Omero e si era proposto di imitare una qualità tanto lodata seppur tanto difficile da definire. Nel dare vita a tal disegno, cosparse il suo dettato di parecchi idiotismi, un prodigo soccorso richiedendo inoltre ai latinismi che, pur vivi di un loro classico sentimento, scelti alla perfezione, nitidi e in grado di sovvenire alla ricchezza del linguaggio, finiscono per produrre anche un effetto prosaico e pedante che conferisce aridità allo stile e alcunché d'ingrato. Ha quasi sempre fedelmente reso il significato della frase di Omero, ma spesso gli sono sfuggite le minute bellezze, i pregi dei particolari che sono l'eccellenza dei grandi scrittori, cosi come sono la disperazione dei più esperti traduttori, giacché si intuiscono bensl, ma non si lasciano cogliere.

ESSA Y ON THE PRESENT LITERATURE OF ITALY (1818)

1513

Monti has given an agreeable colouring to the pictures of the /liad; but he has not always been sufficiently exact in his representation of him, who is, as it were, the master of design, and the father of all the great artists. He is simple and he is easy, but he is not natural: he has moré fire than strength. It must still be allowed, that the verses and style of Monti render his Iliad more agreeable than it appears in the meagre translation of Saivini, 1 or in the rifacimento of Cesarotti. He may at least pretend to the double merit of having done better than others, and of having excited others to do better than him. As to the generai method, his style if founded upon the exquisite example furnished by Virgil in his imitations of the Greek poet; and, as far as respects the versification, he has studied the translation of the Eneid by Hannibal Caro, which Monti considers as the purest model of blank verse, and the true depositary of the riches and the elegance of the ltalian language. His version, like that of his prototype, is, in fact, invariably flowing, and derives its chief excellence from periods well rounded, and a cadence always agreeable. The numbers and the accents of each verse are comparatively neglected. This manner of writing flatters the ear, Monti ha conferito un grato colore alle descrizioni dell'Iliade, ma non ha reso fedelmente il disegno di quelle immagini, quel disegno in cui Omero è maestro e padre d'ogni grande artista. Riesce semplice, riesce facile; ma non naturale; ha più fuoco che forza. Nondimeno il verso e lo stile del Monti ci offrono un'Iliade assai più piacevole di quella che si legge nella scarsa traduzione del Salvini, o nel n'facimento del Cesarotti, per cui questo doppio merito gli dev'esser almeno riconosciuto: d'aver fatto meglio degli altri e d•esser stimolo a far meglio in futuro. In generale il suo stile s•ispira all'esempio squisito offertoci da Virgilio nella sua imitazione del poeta greco, mentre per il verso il Monti ha studiato a fondo la traduzione deU- Eneide di Annibal Caro, insuperabile modello dell'endecasillabo sciolto e verace miniera di tutte le ricchezze e le eleganze della lingua italiana, secondo il giudizio dello stesso Monti. Sull'esempio di tale modello, la sua versione scorre via senza inciampi. gradevole nelle cadenze e pregevole per la rotondità dei periodi. Solo una relativa trascuratezza affiora a proposito del metro e degli accenti dei singoli versi. È un modo di scrivere che lusinga 1•orecchio, non troppo va-

1. the meagre . .. Sa/vini: per la traduzione salviniana dell'Iliade, vedi qui, pp. J 342 sgg., la recensione foscoliana alla Trad"zione de' due primi canti dell'Odissea del Pindcmonte, e le note relative.

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and is not so varied as to be fatiguing, but it is liable to the monotony which offends us in Ovid, and is still more striking in a language more melodious and less sonorous than the Latin, and whose heroic verses have not the advantage of the hexametral length. Monti has also translated Persius, 1 and has given to him a clearness of idea and a softness of expression not to be found in the most obscure and the harshest of all the ancient poets. Yet he has rendered some satires line for line, and bound himself by the test before applied by Davanzati to Tacitus. 2 This translation has ceased to be spoken of, except to cite those notes which were composed by the author in 1803, in the height of his enthusiasm for republics, and of his detestation of the vice and tyranny of the Roman Emperors. The talents of Monti were devoted, with a constancy proportioned to the duration of the French power, to the praise of Napoleon, his unwearied patron. But neither the attachment of the poet, nor the liberality of the Emperor, contributed, in the expected degree, to the reputation of the author, or to the glory of his imperial Mecaenas. When Napoleon, after the battle of riato da ingenerare fatica, ma anche partecipe di quella monotonia che ci offende in Ovidio, e colpisce maggiormente in una lingua più melodiosa e meno sonora della latina, e il cui verso eroico non si avvantaggia della più lunga cadenza dell'esametro. Il Monti ha tradotto anche Persio, conferendo a quell'opera una chiarezza di idee e una dolcezza espressiva che il più oscuro e aspro poeta dell'antichità non conobbe; in qualche satira cimentandosi in una traduzione verso per verso, impegnandosi così in una prova simile a quella che il Davanzati tentò con Tacito. Più non si parla di questa traduzione, se non per citare alcune note che l'autore vi appose nel 1803, quando il suo entusiasmo per la repubblica toccava i vertici, e altresì l'odio contro i vizi e la tirannia degli imperatori romani. I suoi talenti il Monti dedicò, con una costanza misurabile sull'arco di tempo che descrisse la potenza francese, alla glorificazione di Napoleone che gli fu indefatigato patrono. Ma non la devozione del poeta, non la liberalità dell'imperatore, valsero, nella presunta misura, alla fama dell'autore e alla gloria del suo imperiale mecenate. Quando Napoleone, dopo la 1. Monti . .. Persius: si tratta delle Satire di A. PERSIO FLACC0, pubblicate per la prima volta a Milano, Dal Genio Tipografico, 1803, con dedica a Francesco Melzi d'Eril. 2. Davanzati to Tacitus: olla traduzione degli Annali di Tacito, Bernardo Bostichi Dnvanzati (Firenze 1 J agosto I 529 - ivi 29 marzo 1606) attese dal 1596 al 1600.

ESSAY ON THE PRESENT LITERATURE OF ITALY (1818)

Jena,

1515

sent the sword of Frederic II to Paris, Monti wrote a poem in one canto, and called it the Sword o/ Frederic. But La Spada di Federico2 had some defects, not only of composition of style, but even in the versifi.cation, which ihe partisans of Bonaparte themselves could not pardon, and, accordingly, attacked with a success dangerous to the superiority of Monti, who ran a second risk of losing his pre-eminence, by a poem which he published two or three years afterwards, and called the Palingenesis. 3 This Regeneration was the system of Pythagoras demonstrated in the metamorphoses produced in the world by the genius of Bonaparte; and the apparent object of Monti was to rivai the Pronèa of Cesarotti. 4 Monti had not the same excuse as the Paduan poet: he was not very aged, nor did he write at the express order of the Emperor. But his Palingenesis was not more fortunate than the Pronèa. The odes published by Monti on the usual occasions of victories and treaties of peace, on the marriages and the births of princes, and which he struck off at a heat with inconceivable rapidity, are most of them finished to perfection. Even those which are on 1

battaglia di Jena, inviò a Parigi la spada di Federico Il, scrisse il Monti, per quell'occasione, un poemetto in un solo canto, che intitolò La Spada di Federico. L'opera ha difetti di stile e di composizione e la versificazione stessa lascia a desideriire; se ne avvidero gli stessi fautori del Bonaparte che non rimasero quieti e anzi l'attaccarono con un successo che mise in pericolo la superiorità stessa de Il 'autore; rischio che il Monti corse anche due o tre anni dopo, allorché pubblicò un poema intitolato La Palinge11esi; una rige11erazio11e che allineava il pensiero di Pitagora con le metamorfosi introdotte nel mondo dal genio di Bonaparte. Apparentemente l'intenzione del Monti era quella di rivaleggiare con la Pronèa del Cesarotti, sennonché n suo favore non militavano le giustificazioni del poeta padovano: non era così attempato come il suo rivale e non scriveva per esplicito ordine dell'imperatore. N.é ebbe più fortuna La Palingenesi della Pro11èa. Le odi che il Monti regolarmente componeva in occasione delle vittorie e dei trattati di pace, dei matrimoni e delle nascite dei principi e che stendeva di getto, con sorprendente rapidità, presentano il più delle volte i caratteri di una perfetta elaborazione. E pur quelle che sono considerate

battle of Jtma: 14 ottobre 1806, che determinò la disfatta prussiana. 2. Monti ... Federico: il poema venne pubblicato, per la prima volta, a Milano, per Cairo e Compagni, nel 1807. 3. La Pali11genesi Politica venne pubblicata, per la prima volta, a :Milano, per il Sonzogno, nel 1809. 4. the Pronèa of Cesarotti: il poemetto epico cesarottiano venne pubblicato, per la prima volta, a Brescia, per il Bettoni, nel 1807. 1.

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the whole but middling performances, contain stanzas cited by the Italians as masterpieces in this way of writing. Lassù, dov'anco il muto arriva gemer del verme che calcato spira; del N urne al fianco siede una Diva che chiusa in negro ammanto scrive i delitti coronati, e all'ira di Dio presenta delle genti il pianto. 1

The series of Monti's poems would not be completely cited without mentioning three of considerable length; Il Prometeo,2 La Musogonia 3 and La Feroniade, 4 of which he has published only the first cantos and some fragments. The second of these is an imitation of Hesiod. The allegory of Prometheus furnishes a clear and poetical development of the merit and the perilous course of that superior order of beings who dedicate their lives to the enlightening of the human race, and displays the ingratitude of the people towards the defenders of their liberty, and the despotism which is the closing scene of every political drama. La Feroniade, di mediocre riuscita, contengono stanze che gli Italiani citano come capolavori del genere : Lassù, dov'anco

il muto arriva gemer del verme che calcato spira; del Nume al fianco siede una Diva che chiusa in negro ammanto scrive i delitti coronati, e all'ira di Dio presenta delle genti il pianto.

La produzione poetica del Monti non sarebbe completa se non si citassero ancora tre composizioni di notevole ampiezza: Il Prometeo, La Musogonia e La Feroniade, delle quali ha pubblicato solo i primi canti e qualche frammento. La Miuogonia è un'imitazione da Esiodo. L'aJlegoria del Prometeo è un poetico e nitido discorso sulle virtù e sui perigliosi travagli di quegli esseri superiori che dedicano la loro vita a illuminare il cammino della umanità, e va qui mostrando l'ingratitudine degli uomini verso i difensori della loro stessa libertà con il conseguente trionfo del dispotismo, scena conclusiva di ogni storico dramma. La Feroniade, che riprende il nome da

Il Bardo della Selva Nera, 1, 126-33. 2. Per il Prometeo vedi qui, a p. 1 o s3, l'Esame ecc. e la nota 3 ivi. 3. Per La M usogonia vedi qui, a a p. 1056, l'Esame ecc. e la nota 2 ivi. 4. Per La Feroniade vedi qui, a p. 1054, l'Esame ecc. e la nota I ivi. 1.

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a name borrowed from that of the nymph cited by Virgil and Horace, and who was one of the Roman deities that had a tempie in the Pontine Marshes, was a poem composed for Pius VI, who had undertaken to drain and cultivate, and people those marshes. The enemies of Monti republished some passages of these three poems, to shew that he had substituted the eulogy of his new protectors by the erasure of those originally inserted in praise of the Pope.' The prose of Monti is distinguished for the ease, the clearness, the harmony, and the metaphorical richness which characterise his verses: but the style is unequal, and now and then infected with Gallicisms. The poetical diction of Italy has, by the efforts of many great writers, retained its purity through the revolutions of five centuries; but the prose has been subject to the changes of time, and to the invasion of foreign arms and foreign literature. Monti has been lately occupied with a laborious work, meant to supply the void left by the Cruscan academicians in their dictionary, and to counteract the prejudices of the too rigorous adherents of the old school, and the bold dogmas of licentious innovators.2 It is thought that in this work, the offspring of his cooler reflection, una ninfa ricordata da Virgilio e da Orazio, una divinità cui i Romani consacrarono un tempio nelle Paludi Pontine, fu composta in onore di Pio VI che aveva iniziato la bonifica e dato inizio alle coltivazioni e agli insediamenti umani in quelle paludi. Non tralasciarono quindi i nemici del Monti di pubblicare alcuni passi dei tre poemi, al fine di mostrare che l'autore altro non aveva fatto che mutare il destinatario mediante una rasura, al panegirico del papa sostituendo la lode dei novelli protettori. Nella prosa del Monti si ritrovano la facilità, la chiarezza, l'armonia e la ricchezza metaforica così felicemente presenti nei suoi versi; non altrettanto si può dire dello stile che è invece ineguale e inquinato di gallicismi, e questo perché, se la lingua poetica italiana, grazie agli sforzi di molti grandi scrittori, si è conservata pura attraverso i rivolgimenti di cinque secoli, la prosa ha invece sofferto dei mutamenti del tempo e delle invasioni di armi e di letterature straniere. Da ultimo, il Monti s'è dedicato a un'opera laboriosa, intesa a colmare le lacune lasciate dagli Accademici della Crusca nel loro dizionario, in tale lavoro impegnandosi a combattere i pregiudizi dei troppo rigorosi seguaci della vecchia scuola, e i novelli dogmi dei troppo liberi innovatori. E si crede che in quest'opera, frutto di una più matura riflessione e indirizzata a più utili scopi, egli saprà evitare le 1. he had substituted . .. Pope: segnatamente nella Musogonia. 2. Monti, •• innovators: si tratta della Proposta di alcune correzio11i e aggiunte al Vocabolario della Crusca (Milano, Regia Stamperia, I 817, voli. 4).

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and directed to aims more useful, he will avoid those inaccuracies of baste and passion which disfigured his previous performances, and degraded them into mere personal controversies. An exception should be made· in favour of two or three discourses, published when he was professor at Pavia. 1 One of them is much praised, and perhaps not a little owing to the subject of which it treats, namely, O/ the scientific discoveries which f oreigners have usurped to themselves, in prejudice o/ the ltalian inventors. 2 Monti shewed his patriotism in this treatise, but much could not be said of his knowledge or of his equity. Even his eloquence was more lively than vigorous. He threw down his glove in defiance of all foreigners, but more especially of the French, and was backed by his countrymen, who have fallen into the absurdity of depreciating the present merit of other nations, by comparing it with the past glories of their ancestors. Monti has never been wise enough to laugh at silly criticism, nor was he ever known to spare a powerless adversary. Having been rudely attacked he has always defended himself rudely. He seems to bave looked upon a censure of his writings as an obstacle thrown maliciously in the way of his fortune. In this temper he inaccuratezze dovute alla fretta e agli umori che hanno fatto più di un guasto ai precedenti scritti, degradati come sono a controversie meramente personali. Due o tre discorsi, pubblicati quando era professore a Pavia, meritano tuttavia altra attenzione. E uno fra questi è assai lodato, non poco forstanco per l'argomento di cui tratta, vale a dire il discorso Delle scoperte scientifiche che gli stranieri hanno rivendicato ~ome proprie, a danno degli inventori italiani, dove il Monti dimostra tutto il suo patriottismo, ma minor sapere e minore equità, e dove l'eloquenza ha bensì vivacità, ma non vigore. Gettò il suo guanto di sfida a tutti gli stranieri e in particolare ai Francesi con tale discorso e ritrovò il consenso plenario dei suoi connazionali, pervenuti come sono all tassurdo di deprezzare i meriti presenti delle altre nazioni nel confrontarli con le glorie passate dei loro antenati. Monti non è mai stato troppo saggio per ridersela delle critiche sciocche, né seppe mai risparmiare un nemico seppur impotente. Alle ingiurie ha sempre opposto l'ingiuria. E una critica che s'opponesse ai suoi scritti era per lui un atto malvagio compiuto al fine di intralciare il suo successo.

two or tl,ree ... Pavia: si tratta delle due orazioni Dell'obbligo di onorare e Della necessità dell'eloquenza (le si veda in Prolusioni agli studii dell'Università di Pavia per l'a,mo 1803, Milano, Sonzogno, 1804). 2. Si tratta della prima delle due orazioni citate alla nota precedente. 1.

i primi scopritori del Vero in fatto di scie11za,

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told the Abate Bettinelli, It is not the poet that these people want to attack; no, it is the historiographer o/ Napoleon,· and they consp,.'re to make me appear in his eyes a contemptible writer.• He tried, therefore, to persuade the court and the ministers to prosecute his adversaries: but it should be told, that he employed the same influence in the promotion of his friends. Towards them Monti is truly the warmest and the most devoted of men, and is ready for every generous sacrifice as long as he feels assured that he has no reason to suspect the loyalty of their attachment. His violent literary disputes with his distinguished cotemporaries, with Mazza, Cesarotti, and Bettinelli, have all terminated by a solicitation of their friendship; and he has not refused to restore his confidence to others who, having grievoulsy offended him, have intreated to be reconciled. I t has happened to him to quarrel with, and to pardon, the same individuai several times. The habit of writing on temporary topics may explain, perhaps, the care which he takes to acquire renown by efforts which, in the end, frequently terminate in the loss of it. He is afraid of the very a) Lettera all'Abate Bettinelli, Milano, 1809. 1 Così scriveva all'abate Bettinelli: « Non è il poeta che costoro vogliono attaccare: no, è lo storiografo di Napoleone; tramano costoro per fanni apparire ai suoi occhi uno scrittore spregevole•· S'adoprò dunque a far persuasi corte e ministri a perseguire i suoi avversari, come, per ragioni opposte, e va pur detto, ricorse a quelle stesse influenze per aiutare gli amici. Nei loro riguardi è il Monti l'uomo più affettuoso e disponibile, purché non lo turbi ombra di sospetto circa la loro lealtà e la loro devozione. Dopo le dispute letterarie più violente ch'ebbe con i più eminenti tra i suoi contemporanei, il Mazza, il Cesarotti, il Bettinelli, fu sempre portato a risollecitarne l'amicizia, né mai si sottrasse alla ripresa dei buoni rapporti con chi l'avesse pur gravemente offeso, solo che ne fosse stato richiesto. Così gli è occorso d'aver più volte conteso con una stessa persona e d'essersi altrettante volte con la stessa rappacificato. La consuetudine a scrivere dei fatti del giorno può forse spiegare l'assillo che lo spinge a coltivare la sua nomèa impiegando mezzi che si rivelano alla fine contrari a quel proposito. I gazzettieri gli fanno paura, ma pur ne J. Lettera di VINCENZO MONTI al Sig. Abate Saverio Bettinelli, Milano, Cairo e Compagni, 1807. Nota C.FOLIGNO:1111 F. non traduce alcuna frase della lunga lettera; ne riassume con queste parole quello che gliene pare il costrutto» (Edizione Nazionale, XI, parte u, p. 465, nota a).

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newspaper writers, and is ambitious of their suffrages. He keeps up a regular correspondence with all the men of letters in I taly, and barters with them the usual commodity of mutual adulation. He is, however, sincere enough with those young writers who ask his advice, and contrives to encourage them without flattery, and to instruct them without arrogance. He repeats verses inimitably; he is eloquent in his conversation, which is generally of the softer kind; but the slightest contradiction provokes him to a vehement defence of positions which he abandons the next day with perfect indifference. It is probable that the inconstancy, as well as the momentary eagerness of certain individuals, is to be attributed less to education than to nature. The life of Dryden1 can scarcely be compared in a single instance with that of Monti; nor is the poetry, nor even the character of the English laureate at all similar to that of the Italian. The above disgraceful quality they have, however, in common with each other. Both of them have degraded the literature to which they owe their fame, by making it subservient to their private interests, at the expense of truth and of honour. Both of them have been systematic flatterers of the powerful. and the great, ambisce il suffragio; e con tutti i letterati d'Italia mantiene un regolare commercio epistolare, barattando con essi la solita merce della mutua adulazione. È tuttavia abbastanza sincero con i giovani scrittori che lo richiedono di consigli, e senza lusingarli gli riesce di incoraggiarli, così come senza arroganza perviene a educarli. Inimitabile nel recitar versi, è un conversatore eloquente ma pacato e gentile, seppur la minima contraddizione lo provochi a difendere aspramente posizioni che l'indomani lascerà cadere nella più totale indifferenza. È probabile che l'incostanza di alcuni individui al pari dei loro momentanei scatti d'impazienza siano da imputare piuttosto che alla educazione al loro carattere. E, se la vita di Dryden in nessun caso è paragonabile a quella del Monti, né simiglianza alcuna né affinità hanno i versi e il carattere del poeta laureato inglese con quelli dell'italiano, la sfortunata disposizione cui s'è qui sopra accennato li accomuna e a suo modo li assimila. L'uno e l'altro hanno infatti degradato l'arte letteraria, cui devono la loro stessa fama, asservendola ai particolari loro interessi, a spese della verità e dell'onore; l'uno e l'altro hanno adulato senza riserve i grandi e i potenti

John Dryden (Aldwinkle All Saints [Northampton] 9 agosto 1631 • London I maggio 1700). 1.

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and both of them have wanted the requisite consolations of old age. Monti had pursued the Austrians with the war of words, after each of their repeated defeats. When they re-appeared as conquerors, they deprived him of almost all his pensions; but they bargained at the same time for a cantata from his pen, which was set to music and sung in the theatre, to welcome their return to ltaly. 1 I t is nei ther a hazardous nor a severe reflection to assert, that this poet must look back with feelings of bitter regret upon sixty years of laborious and brilliant exertions, which are about to end for ever; and which have left him in the enjoyment neither of an independent fortune nor of a spotless reputation; nor of those fixed principles without the possession of which no one can, without trembling, dare to contemplate the dose of his career. A splendid example and a warning for an apostate generation Petite hinc iuvenesque senesque finem animo certum, miserisque viatica canis. 2 della terra, e a entrambi sono venute a mancare le necessarie consolazioni della vecchiaia. Più volte sconfitti gli Austriaci, a ogni loro disfatta li andò perseguendo il Monti con una guerra di parole. Ritornati vincitori, gli tolsero quasi tutti i benefizi; ma nello stesso tempo pattuirono con lui la composizione di una cantata che, musicata, fu poi eseguita a teatro come celebrazione del loro ritorno in Italia. Non ci pare dunque azzardata o severa riflessione che questo poeta si ritrovi a evocare sessant'anni di attività brillante eppur faticosa e ormai prossima a spegnersi, con amaro rimpianto, tanto tempo non essendo valso ad assicurargli la garanzia dal bisogno, né una reputazione priva di macchie, non la consolazione d'aver onorato quei fermi princìpi senza l'assistenza dei quali nessuno può, senza sgomento, contemplare la fine della propria carriera. Esempio insigne e ammonimento per una generazione di apostati Pctite hinc iu,•enesquc scnesque finem animo certum, miserisque viatica canis.

Monti ... ltaly: si tratta della cantata Il ritorno di Astrea, rappresentata al Teatro alla Scala di l\1ilano, con musica di Joseph Weigl, il 16 gennaio 1816, alla presenza dell'imperatore Francesco I. 2. PERSIO, Sat., v, 1.

64-5 («Qui qui cercate, garzonetti e vecchi/ dell'animo l'indrizzo, adesso, adesso / parate il vitto ai crin canuti e secchi•, traduzione del Monti).

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HUGO FOSCOLO

When the revolution of 1795 gave a shock to principles for ages established in ltaly, and set in motion the spirits and the interests of the inhabitants of every province, the writers before mentioned had all of them published those works which gave them a fixed reputation with their countrymen. Hugo Foscolo was at that time a youth, but not too young to profit by the friendship and the example of his distinguished cotemporaries. The total change in the political condition of his country, his military education, and the part which he played in public affairs, developed however his talents, and formed his character, in a manner qui te different from that of his predecessors: besides, the circumstances under which he wrote arri ved too late to form their style; and being now gone by, may perhaps require a course of ages to reproduce. Foscolo laid it down for a principle, that ltalian poetry had expired with Tasso, and had been re-resuscitated only in the present day. Hear his own words-uSenza l'Ossian del Cesarotti, Il Giorno del Parini, Vittorio Alfieri, e Vincenzo Monti, la nostra poesia si giacerebbe tuttavia sepolta con le ceneri di Torquato UGO FOSCOLO Quando la rivoluzione del 1795 sconvolse i princìpi da secoli stabiliti in Italia e andò agitando animi e interessi delle popolazioni di ogni provincia, gli scrittori di cui abbiamo discorso avevano già pubblicato quelle opere che assicurano la loro fama presso i loro compatrioti. Ugo Foscolo, a quel tempo, era molto giovane, ma non tanto da non saper trarre vantaggio dall'amicizia e dall'esempio di tali illustri suoi contemporanei. Le condizioni politiche del suo paese erano tuttavia radicalmente mutate, e la stessa educazione militare da lui ricevuta, la sua partecipazione alla vita pubblica fecero sì che il talento e il carattere suo maturassero in un modo del tutto diverso da quello dei suoi predecessori; per cui le circostanze che lo fecero scrittore non poterono agire sullo stile di quelli, nati prima di un tempo pur anco già concluso e di cui solo il trascorrere dei secoli ne ripeterà forse le occasioni. È certezza del Foscolo che la poesia italiana, morta col Tasso, solo oggi sia ri-resuscitata. Ascoltiamo le sue parole: u Senza I'Ossian del Ccsarotti, Il Giorno del Parini, Vittorio Alfieri, e Vincenzo Monti, la nostra poesia si giacerebbe tuttavia sepolta con le ceneri di Torquato Tasso. Da indi in qua

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Tasso. Da indi in qua un secolo la inorpellò, e l'altro la immiserl. L'Ossian può far dare nello strano; il Parini nel leccato; l'Alfieri nell'aspro; e il Monti nell'ornato: ma le umane virtù non fruttano senza l'innesto d'un vizio. I grandi ingegni emuleranno: i mezzani scimiotteranno: e coloro che esplorano i propri meriti nelle altrui colpe, si getteranno simili a corvi sovra le piaghe de' generosi cavalli". This passage, extracted from his Preface to an experiment for translating the Jliad, printed at Brescia in 1807,a may serve for a specimen of his style and of his literary opinions. He commenced his career a year before the fall of the Venetian republic, with a tragedy called Thyestes. 1 Being angry at the little attention paid by the Venetians to the tragedies of Alfieri, and at the corrupted taste which made them prefer and applaud those of the Marquis Pindemonte and of Count Pepoli, he resolved that a) Esperimento di traduzione dell'/liade. 2 un secolo la inorpellò, e l'altro la immiserì. L'Ossian può far dare nello strano; il Parini nel leccato; l'Alfieri neWaspro; e il ì\llonti neWomato: ma le umane virtù non fruttano senza l'innesto d'un vizio. I grandi ingegni emuleranno: i mezzani scimiotteranno: e coloro che esplorano i propri meriti nelle altrui colpe, si getteranno simili a corvi sovra le piaghe de' generosi cavalli 11. Un tale passo, tolto dalla sua Prefazione all'Esperime11to di trodu::ione dell'Iliade, stamp~to a Brescia nel 1807, può servire quale esempio del suo stile e delle sue opinioni letterarie. La sua carriera iniziò con una tragedia intitolata Tieste, un anno prima della caduta della Repubblica Veneziana. Offeso dalla tiepida accoglienza serbata dai Veneziani alle tragedie dell'Alfieri, dal corrotto gusto che li spingeva ad applaudire quelle del Marchese Pindemonte e del Conte Il Tieste (per il quale vedi nel tomo I la Nota introduttiva allo stesso, pp. 43-8) venne replicato per dieci sere consecutive. Tra le ragioni di tale successo, l'estensore delle Noti::ie storico-critiche fatte seguire alla stampa della tragedia foscoliana nel tomo x del Teatro moderno app/011dito (Venezia, aprile 1797), annoverava cc[ ••• ] la prevenzione svantaggiosa ch'erasi sparsa innanzi che comparisse sulla scena questo componimento per l'età dell'autore, per la qualità del soggetto, e più ancora pel troppo ristretto numero dei personaggi. Il concorso alla prima recita del solo partito favorevole al teatro S. Angelo cd nl poeta, trovandosi impegnati i partiti contrarii negli altri teatri che diedero nuove rappresentazioni in quella sera stessa [ ... ] il sommo valore della giovine attrice [Anna Fiorilli Pellandi] che sostenne ln parte di Erope [... ] » (p. 57, nota 2). 2. Con varianti. Lo si veda in Edizione Nazionale, 111 1 parte I, pp. 9-10. 1.

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bis drama sbould bave only four personages; and that the simplicity and severity of his whole composition sbould rivai Alfieri and the Greek tragedians. With this hardy project, he contrived that bis play should be acted on the same night when two new pieces from the pen of the above Marquis and Count were to be represented at other theatres of the same town. 1 The courage and the youth of the author enabled him to triumph over his rivals, and his Thyestes received more applause than perhaps it deserved. The actors published it in the tenth volume of the Teatro Italia,io Applaudito, subjoining to it an account of its great success, and a criticism written in favour of the author. Foscolo himself adopted the extraordinary proceeding of pu blishing a severe censure of bis own work, the success of which he attributed solely to its conformity with the great models of antiquity. The pamphlet2 was ili received by the public, and the Venetians painted the portrait of Pepoli, si determinò a scrivere una tragedia di solo quattro personaggi onde ricreare la semplicità e la severità necessarie a rivaleggiare con l' Alfieri e con i tragici greci. A perfezionare poi Pardito disegno ottenne che la sua tragedia si rappresentasse la sera stessa in cui due nuovi drammi, dovuti alla penna del suddetto Marchese e del suddetto Conte, venivano rappresentati in altri teatri della città. La baldanza e la gioventù lo fecero trionfare dei rivali, e il suo Tieste s'ebbe forse più applausi di quanto meritasse. Gli attori stessi lo vollero pubblicato nel decimo volume del Teatro Italiano Applaudito, con una cronaca del grande successo e alcune delle critiche favorevoli all'autore. Mentre, da parte sua, il Foscolo, con insolita decisione, pubblicava un severo giudizio sull'opera, il cui successo imputava all'essersi rifatto ai grandi modelli dell'antichità. L'opuscolo fu male accolto dal pubblico; e i Veneziani fecero dipingere il volto del giovane

1. on the same .•. town: il mercoledì 4 gennaio 1797, oltre al Tieste ,furono rappresentati gli Orazi e Curiazi di Antonio Simone Sografi, musica di Domenico Cimarosa, al teatro della Fenice, in replica; L'amante servitore, pure del Sografi, musica di Ferdinando Paer, al San Moisè, in replica; il Furbo contro il furbo di anonimo, musica di Valentino Fioravanti, al San Samuele, in replica; Donna Caritea regina di Spagna di Luigi Millo (Giovanni Pindemonte) al San Giovanni Crisostomo, in prima rappresentazione; i Giochi di Cori11to di Antonio Valle, al San Luca, in prima rappresentazione; e Quanto ingan11ano gli indizi! ossia il fortrmato e lo sfortunato non fortunato facchino del conte de Perclada al San Cassiano in prima rappresentazione. 2. The pamphlet: si tratta, probabilmente, delle Notizie storico-critiche s11l Tieste, pubblicate in appendice allo tragedia foscoliana nel volume x del citato Teatro moderno applaudito (pp. 57-67).

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the young poet in the drop curtain of the Fenice Theatre, amongst those who had a better claim to this distinction. The Thyestes is still occasionally acted, and is sustained by the warmth of the dialogue, and the strength of the dramatic passions, but the style is so harsh as to be insupportable to the reader. The learned of Italy speak neither well nor ili of the Letters o/ Ortis, which, .however, has been more frequently reprinted in his own country than any other of Foscolo's works, and is certainly much more known on the other side of the Alps. The Germans have exhausted upon this little book all the metaphysics of criticism: they have translated it twice ;1 and a certain professor Luden has accompanied his version with a whole volume of dissertations.2 After ali, it is but an imitation of Werther. There is however this striking difference, that the object of the ltalian is solely political. There is indeed something for all tastes in the politics, and the poetry, and the love of Ortis. The allusions to the downfall of the Venetian republic, and the introduction of living interlocutors, such as Parini at ivlilan, give a reality to the fable which must be highly interesting to the Italians, and is attractive even to poeta sul sipario del Teatro La Fenice, tra quelli di coloro che ben più diritto avevano a tanto onore. A volte il Tieste si rappresenta ancora e reg• ge per il calore del dialogo e la drammatica forza delle passioni, se pure lo stile è così aspro che la lettura ne risulta insopportabile. Delle Ultime lettere di Jacopo Ortis i dotti italiani non dicono né bene né male, ancorché sia l'opera del Foscolo più ristampata nel suo paese e di certo risulti meglio conosciuta al di là delle Alpi. I Tedeschi poi intorno a questo libretto hanno sprecato tutta la loro dottrina metafisica, l'hanno tradotta due volte e un tal professor Luden, alla sua traduzione, ha fatto seguire un volume intero di commento. Non è dopotutto che un'imitazione del Werther, ma pur tuttavia con una cospicua differenza, giacché per l'autore italiano l'interesse politico è capitale. Ma v,è nell'Ortis da soddisfare tutti i gusti: sua è la politica, la poesia e l'amore. Le allusioni alla caduta della Repubblica di Venezia, l'introduzione di personaggi viventi, quali il Parini a l\tlilano, conferiscono al racconto una realtà che riscuote profondo interesse negli Italiani, e ha pure la forza di colpire l'attenzione dei lettori

1. they . .. twice: oltre a quella citata alla nota seguente, nel 1817 vedeva la luce la traduzione di Johann Caspar von Orelli, a Zurigo, con falsa in• dicazione di Londra, per i tipi di Orell e Filssli. 2. a certain ... dissertations: si tratta di Heinrich Luden che pubblicò a Gottinga, nel 1807, Die letzen Briefen des Jacopo Ortis e Kleine Aufsiitze meist historischen lnhalts.

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strangers. There is a melancholy patriotism in every word in which he mentions Italy, that makes the author respectable in the eyes of every generous reader. There are some pictures of small objects that evince a considerable knowledge of the human heart, and are extremely affecting. The little dog of the lady who falls in love with Ortis may be mentioned as one. 1 The author is in his proper element when he breaks forth into his ethical reflections: how truly he says, "That we are too proud to give our compassion when we feel we can give nothing else". 2 The love of Ortis is, perhaps, the least interesting portion of the work; there is not importance enough attached to his existence, to make it natural that so much importance should be attached to his end. It was difficult, perhaps, to give many attractions to the adventures of an obscure politician; but it is still possible that those of an age and sex more accessible to the tender feelings may be touched by the misfortunes and the heroic despair of the I talian Werther. But Ortis may boast of having been the first book that induced the females and the mass of readers to interest themselves stranieri. V'è un amor di patria che gronda rimpianto in ogni parola che menzioni l'Italia e che infonde rispetto, nell'animo generoso di chi legga, verso l'autore. Vi sono tratti rivolti a cogliere piccoli particolari che rivelano una conoscenza approfondita delle umane passioni e sono di toccante effetto. La descrizione del cagnolino appartenente alla donna che si innamora di Ortis è ben uno di questi tratti che si vogliono ricordare. Ed è poi nella riAessione morale dove l'autore si dimostra più a suo agio, allorché ad esempio scrive: «come l'uomo va superbo di concedere la sua compassione, quando sa di non poter dare nulla di più! 11. La parte meno interessante dell'opera è forse quella riguardante l'amore di Ortis: al suo esistere non si concede bastevole importanza perché troppa se ne possa poi conferire alla sua fine. La difficoltà, forse, fu quella di rendere attraenti le vicende di un oscuro uomo politico; ma è pur possibile che· quanti siano per età e per sesso più sensibili alla tenerezza dei sentimenti, vengano presi dalla sfortuna e dalla eroica disperazione del \Vcrther italiano. E dell'Ortis è pur sempre vanto d'esser stato il primo libro capace d'indurre le donne e il gran pubblico all'attenzione delle cose politiche.

The little dog ... one: si tratta dell'episodio di cui è cenno nella lettera da Padova dell'u dicembre, qui nel tomo 1, alle pp. 586-8 (e vedi anche la nota 2 a pp. 587-8). 2. Nelle varie edizioni ortisiane non mi è stato possibile rinvenire la frase citata. Potrebbe essere citazione compendiosa di quanto si accenna all'inizio della -Storia di Lauretta, là dove il Foscolo cita anche Epitteto (vedi nel tomo I le pp. 606-7). 1.

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in public affairs. This was a mighty exploit in a country where one maxim had been for ages the ground-work of education for all classes of society, De Deo parum, de Principe nihil. 1 It is difficult at this day to find in ltaly an edition of the Letters o/ Ortis altogether exempt from those mutilations which the revisors of one kind or another have inflicted on this romance. In spite, however, of all their prudent efforts, it has been found _impossible to emasculate every page which launches forth invectives against the corruption of the old government, against the foreign usurpation of the new, and lastly against the treachery with which the French generai bought and sold the republic of Venice. 2 Chiari 3 and Piazza,4 and other common writers, had before published some hundreds of romances, which had been the delight only of the vulgar reader; for those of a more refined taste had resorted to the foreign novels. The Letters o/ Ortis is the only work of the kind, the boldness of whose thoughts, and the purity of whose language, combined with a certain easy style, have suited it Gran riuscita, in un paese dove da secoli una massima ha imperato nell'educazione dei cittadini d'ogni classe, De Deo parum, de Pn'ndpe nihil. Non è facile, di questi tempi, trovare in Italia un'edizione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis immune da mutilazioni, perpetrate sul romanzo da revisori di ogni parte. Ma a loro dispetto e a quello dei loro calcolati interventi, non si è riusciti a evirare tutte le pagine che scagliano invettive alla corruzione del vecchio governo, all'usurpazione del nuovo e al tradimento di cui si macchiò il generale francese che comprò e rivendette la Repubblica di Venezia. Centinaia di romanzi, dal Chiari e dal Piazza e da altri mediocri scrittori, si erano pubblicati per la delizia dei lettori volgari, mentre ai lettori di gusto più raffi.nato non soccorreva altro che il romanzo straniero. Furono le Ultime lettere di Jacopo Ortis la sola opera del genere che per l'audacia delle idee, la purezza della lingua, la chiarezza scorrevole dello stile ha sa-

J. a Poco di Dio e del Principe niente». 2. lt is di'fficult . .• Venice: vedi la prima lettera dell'Ortis (tomo I, p. 569 e la nota 2). 3. Pietro Chiari (Brescia 1711 - ivi 1785), oltre che drammaturgo, fu fecondissimo romanziere. Dei quaranta romanzi pubblicati si segnalano la Filosofessa italiana (1753), la trilogia di argomento teatrale (La ballerina 011orata e La cantatrice per disgrazia del 1754 e La commediante infortrlna dell'anno successivo); L'ilomo d'im altro mondo (1760) e La donna che no11 si trova (1762). 4. Antonio Piazza (Venezia 1742 - Milano 1825), oltre che autore di numerosissimi romanzi, fu giornalista e commediografo. La prima delle sue commedie L'amicizia in cimento, composta nel 1773, vide la luce a Torino nel 1775.

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to the taste of every reader. lt cannot be too often remarked, that it is principally the style which in all works attracts the admiration of the Italians; and it may here be mentioned, that their critics have laid it down as a rule, that the elements of their prose are to be collected only in the period between Dante and lvlachiavelli. This is the opinion of Alfieri.• . Foscolo has followed this rule in his Ortis,1 and more scrupulously still in the Sentimental Jour1,ey, 2 which he has translated with the words and phrases of the fourteenth century; not, however, to the prejudice of the conversational ease of our Yorick. This work, so popular in all foreign countries, had been twice before translated into ltalian ;3 but the torpidity of their style, and their repeated Gallicisms, had consigned these preceding versions to contempt. Foscolo published his translation under the name of Didimo Chierico; and in one of his many notes he gives us the following remarks on his native language. Le donne gentili insegnarono al a) See his answer to Calsabigi, in the edition of bis tragedies by Didot. 4 puto contentare il gusto di tutti. E poiché non sarà mai bastevolmente detto che soprattutto lo stile è in grado di provocare 1•ammirazione degli Italiani per qualsivoglia lavoro, ci pare opportuno a questo punto ricordare una massima fondamentale dei critici italiani, quella appunto per cui i pregi della loro prosa si raccolgono solo nel tempo trascorso da Dante a Machiavelli. Ed è l'opinione dell'Alfieri. Il Foscolo a tal norma s'è attenuto nell'Ortis e, con maggior scrupolo, nel Viaggio se,itimentale tradotto con l'esclusivo impiego di parole e frasi del quattordicesimo secolo, senza recar per altro pregiudizio alla fluente discorsività del nostro Yorick. L'opera, assai diflusa in tutti i paesi stranieri, era pur stata tradotta, e ben due volte, in Italia, ma sempre in uno stile fiacco e ridondante di gallicismi che ne decretarono il rifiuto. La versione del Foscolo apparve con lo pseudonimo di Didimo Chierico, e in una delle numerose note consegna le seguenti osservazioni sulla sua lingua natale: a Le donne gentili insegnarono al Parroco Y orick, e a me suo Chierico, a 1. in his Ort,'s: qui nel tomo I, pp. 567-703. 2. and more . .. Journey: qui nel tomo I alle pp. 771-902. 3. This work ... ltalian: le due traduzioni, anonime, videro la luce a Venezia, nel 1792 (s. t.), e a Milano, nel 1812, per i tipi di Giovanni Giuseppe Destefanis. 4. Nota C. FOLIGNO: 11 Precisamente l'Alfieri aveva scritto: " ... questo è il secolo che veramente balbetta, ed anche in lingua assai dubbia ... il seccnto delirava, il quattrocento sgrammaticava, cd il trecento diceva". Cfr. la lettera al Calsabigi nell'ed. cit. [Piacenza, Del Maino, 1810], voi. xxu, p. 105 » (Edizione Nazionale, Xl, parte 11, p. 470, nota a).

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Pa"oco Yorick, e a me suo Chierico, a sentire, e quindi a parlare men rozzamente; ed io per gratitudine aggiungerò questo avviso per esse. La lingua Italiana è un bel metallo che bisogna ripulire della ruggine dell'antichità, e depurare della falsa lega della moda; e poscia batterlo genuino in guisa che ognuno possa riceverlo e spenderlo con fiducia, e dargli tal conio che paia nuovo e nondimeno tutti sappiano ravvisarlo. Ma i letterati vostri non raccattano dagli antichi se non se il rancidume, e gli scienziati vi parlano franciosamente. I primi non hanno mente, gli altri non hanno cuore; e per quanti i'diomi e' si sappiano, non avranno mai stile. 1 The preponderance of French power during the reign of Louis XIV and even in that of Louis XV, had infected the ltalian language with an infinity of French phrases and idioms. The consciousness of the extreme corruption induced by the revolution has given rise to a zealous spirit of reform, which has itself degenerated into a superstitious worship of the ancients, and has rather augmented than diminished the licence of the apposite writers. We consequently find many works composed solely of phrases almost or entirely obsolete, and distinguished neither for the energy of the old writers, nor for the sentire, e quindi a parlare men rozzamente; ed io per gratitudine aggiungerò questo avviso per esse. La lingua italiana è un bel metallo che bisogna ripulire della ruggine dell'antichità, e depurare della falsa lega della moda; e poscia batterlo genuino in guisa che ognuno possa riceverlo e spenderlo con fiducia, e dargli tal conio che paia nuovo e nondimeno tutti sappiano ravvisarlo. Ma i letterati vostri non raccattano dagli antichi se non se il rancidume, e gli scienziati vi parlano franciosamente. I primi non hanno mente, gli altri non hanno cuore; e per quanti idiomi e' si sappiano, non avranno mai stile>>. Il predominio francese durante il regno di Luigi XIV, che non s'attenuò neppure col potere di Luigi XV, aveva corrotto la lingua italiana con un infinito numero di parole e di frasi francesi, e la consapevolezza di tal corruzione, insorta con le vicende della rivoluzione, aveva infine provocato l'insorgere di uno zelante riformismo. Sennonché rapidamente è andato esso stesso degenerando in una superstiziosa venerazione degli antichi e, lungi dal diminuirla, ha piuttosto accresciuto la libertà licenziosa degli oppositori. Di conseguenza molte sono le opere scritte con frasi vetuste e cadute dall'uso, lontane sia dal vigore raggiunto dagli scrittori

1. Vedi la nota foscoliana al capitolo pp. 880-1).

LVIII

del Viaggio se11timentale (tomo

1,

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ease of the new. Others, and they are the majority, terrified by the study of a language the abundance of whose words, and the variety of whose combinations, render it almost insuperable, affect that sort of style now so common throughout Europe, which they are pleased to call philosophical, and which, in fact, is but a jargon neither ltalian nor French, but a bad mixture of both. If therefore, good writers are rare in all countries, they are more especially so in ltaly; for they have to connect the generic characteristics constantly inherent for five centuries in the I talian language, with the specific characteristics of their own times: and this amalgamation, not depending upon any fixed rules, must be contrived solely by the individuai talents of each author. This accounts for the surprising diversity which foreigners are apt to observe in the manner of writing employed by the various authors of the same age; and perhaps this same diversity is more remarkable in the prose of Foscolo than of other writers. The Italian author also makes it an article of faith to vary his style according to his subject. Thus there is no less a difference between the letters, the romances, and the orations, than between the history and the epic or lyric poetry of these varied compositions. The Ortis arid the Sentimental Journey resemble each other very little; notwithstanding that the author has followed the same rules of composition, and has always antichi che dalla facilità dei moderni. E ve ne sono altre, la maggioranza invero, scritte da quelli che s'arrendono di fronte alle difficoltà di una lingua tanto ricca di parole e di varietà di combinazioni, e incapaci d'impadronirsene affettano quella sorta di stile, tanto diffusa in Europa, da loro compiaciutamente detto stile filosofico: non altro che un gergo, né francese né italiano, una pessima miscela delle due lingue. S'è pur vero che i buoni scrittori sono rari in tutti i paesi, ancor più rari sono essi in Italia, dove loro compete di concordare i caratteri generali di una lingua affermatasi durante cinque secoli con i caratteri specifici del tempo nostro; un'amalgama senza prestabilite ricette, ottenibile di volta in volta solo ed esclusivamente dal talento di ciascun autore. Ne prendano atto gli stranieri, sorpresi come sono di notare modi tanto diversi di scrittura in molti scrittori dello stesso tempo. Diversità quanto mai evidente nelle prose del Foscolo più che negli altri, giacché questo autore s'è fatto un articolo di fede d'impiegare in ogni componimento quello stile che convenga al soggetto. Onde tra le composizioni del Foscolo non è minore la diversità riscontrabile tra le sue lettere, i romanzi e le orazioni, di quella che divida la storia dall'epica e dalla lirica. Ben poco si rassomigliano dunque l'Ortis e il Viaggio sentimentale, se pure l'autore ha obbedito alle medesime regole della composizione e sempre ha conservato i caratteri

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preserved the traits peculiar to his style. As for his Discourse /or the Congress of Lyom, 1 it appears evidently written by the same man, but in a different language. He wrote this Discourse at the injunction of his government, when Bonaparte, in the year 1801, convoked at Lyons the Notables of the Cisalpine Republic. The directions given to the orator were to pronounce a panegyric; but Foscolo adopted a different course. He presented a moving picture of the wretched state of the laws, of the armies, of the finances, and of the moral condition of the new republic. The sects, both old and new, that distracted their country-the priests, the nobles, the democrats, the partisans of foreign usurpation, the adulatory writers, the libelists, the defrauders of the public revenue, the monopolists, who profited by the sale of the national property, are ali handled with the same severity. The following description of the masters of the republic, if it degrades the nati on in one respect, exalts it on the other hand; for there must be something great in a people which can produce a single man who dares, in the cause of virtue, to paint his countrymen in such colours. Uomim: nuovi ci governavano, per educazione né politici, né guerrieri (essenziali doti ne' capi delle republiclze); antichi schiavi, novelli tiesclusivi del suo stile. Così l'Orazione pel Congre1so di Lione appare chiaramente scritta dalla stessa mano, ma la lingua è pur differente. Il Foscolo scrisse l'Orazione su incarico del governo, allorché, nel 1801, Bonaparte convocò a Lione i notabili della Repubblica Cisalpina. L'impegno ero quello di pronunciare un panegirico; ma il Foscolo prese altro partito, illustrando in una commossa orazione lo stato deplorevole della giurisdizione, dell'esercito, della finanza e delle condizioni morali della nuova repubblica. Le sette, le antiche e le nuove, che portavano il paese alla rovina, il clero, la nobiltà, democratici, partigiani dell'usurpazione straniera, scrittori adulatori, libellisti, frodatori dell'erario, monopolisti approfittatori delle vendite dei beni nazionali, tutti trattò con esemplare severità. La descrizione che segue, dei padroni della repubblica, se da un lato degrada la nazione dall'altro la esalta, giacché deve pur conservarsi della grandezza in un popolo dal cui seno esca anche un sol uomo che, per amore della virtù, osi dipingere di quei colori i propri connazionali. "Uomini nuovi ci governavano, per educazione né politici, né guerrieri (essenziali doti ne' capi delle republiche); antichi schiavi, novelli tiranni,

1. Per l'Orazione a Bo11aparte pel Congre110 di Lione vedi qui la Nota introduttiva olle pp. 1099-100.

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ranni, schiavi pur sempre di sé stessi e delle circonstanze che né sapeano né voleano domare;fra i pericoli e l'amor del potere ondeggianti, tutto perplessame,ite operavano; regia autorità era in essi, ma per inopia di coraggio e d'ingegno, né violenti né astuti; conscii de' propri vizii e quindi diffidenti, discordi addossantisi scambievoli vituperii; datori di cariche, e palpati, non temuti: alla plebe esosi come potenti,· e come imbecilli, spregiati: convennero con iattanza di publico bene e li'bidine di primeggiare, ma né pensz"ero pure di onore; vili con gli audaci, audaci coi vili, spegneano le accuse coi beneficii e le querele con le minaccie; e per la sempre imminente rovina, di oro puntellati con la fortuna, di brighe con i proconsoli, e di t1'adimenti con i principi stranieri. 1 The chief cause of this general depravity he attributes to the absence of Bonaparte in Egypt, which allowcd the French Directory to tyrannise over ltaly, and to pillage her provinces, not only by their own missions and generals, but by the appointment of magistrates, timid, ignorant, and avaricious, some of whom were to be found in that government which had assigned to Foscolo the pleasing duties of pronouncing their panegyric. a a) See his Dedication-.,Ai Membri del comitato del Govemo". 2 schiavi pur sempre di sé stessi e delle circonstanze che né sapeano né vo]eano domare; fra i pericoli e l'amor del potere ondeggianti, tutto perplessamente operavano; regia autorità era in essi, ma per inopia di coraggio e d'ingegno, né violenti né astuti; conscii de' propri vizi i e quindi diffidenti, discordi addossantisi scambievoli vituperi i; datori di cariche, e palpati, non temuti: alla plebe esosi come potenti; e come imbecilli, spregiati: convennero con iattanza di publico bene e libidine di primeggiare, ma né pensiero pure di onore; vili con gli audaci, audaci coi vili. spegneano le accuse coi beneficii e le querele con le minaccie; e per la sempre imminente rovina, di oro puntellati con la fortuna, di brighe con i proconsoli, e di tradimenti con i principi stranieri». Attribuiva all'assenza di Bonaparte, allora in Egitto, la causa di tanta generale depravazione. avendo essa permesso al Direttorio francese di tiranneggiare l'Italia e di saccheggiarne le province, non solo con le sue missioni e i suoi generali, ma anche con l'imposizione di magistrati paurosi, avidi e ignoranti, di cui alcuni facevano parte di quel governo che aveva affidato al Foscolo il grato compito di pronunciare il loro panegirico.

1.

Qui a p.

1114.

2.

Qui a p.

1101.

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The praises bestowed by the orator upon the hero who was to remedy their national wrongs, magnificent as they are in some respects, are stili associated with the boldest maxims, and with predictions which are seldom hazarded in the hour of victory. With what satisfaction may Foscolo now look back upon the following prophetic warning! A ciascuno di tuoi pregi la storia contrappone e Tiberio solenne politico, e Marco Aurelio Imperadore filosofo, e Papa Leone X ospite delle lettere. Che se molti di questi sommi, scarchi non vanno di delitti, uomini e mortali erano come sei tu, e non le speranze o il tremore de' contempora11ei, ma la imperterrita posterità le lor sentenze scriveva su la lor sepultura. Infiniti ed illustri esempii hanno santificata oramai quella massima de' sapienti: niun uomo doversi virtuoso predicare e beato anzi la morte. 1 After describing the distress of his country, the speaker, who calls himself Giovine non affatto libero, 2 proposes certain remedies, and those he would apply not only to ltaly, but to maintain the renown of that hero whose future glory he declares to depend principally on the durable independence of a nation which he had rescued from the slavery and disgrace of ages. Foscolo afterLe lodi che l'oratore tributava all'eroe destinato a porre fine a tanta nazionale vergogna, magnifiche per qualche rispetto, si accompagnavano nondimeno ad ancor più audaci affermazioni e predizioni che non sempre si osano proferire nell'ora della vittoria. Con quale soddisfazione può il Foscolo, oggi, ricordare la seguente profetica ammonizione! « A ciascuno di tuoi pregi la storia contrappone e Tiberio solenne politico, e Marco Aurelio Imperadore filosofo, e Papa Leone X ospite delle lettere. Che se molti di questi sommi, scarchi non vanno di delitti, uomini e mortali erano come sei tu, e non le speranze o il tremore de' contemporanei, ma la imperterrita posterità le lor sentenze scriveva su la lor sepultura. Infiniti ed illustri esempii hanno santificata oramai quella massima de' sapienti: niun uomo doversi virtuoso predicare e beato anzi la morte». Dopo aver descritto la desolazione del proprio paese, l'oratore, che di sé diceva essere un II Giovine non affatto libero•, proponeva alcuni rimedi validi non solo ad assicurare l'Italia, ma la reputazione stessa dell'eroe, la cui gloria futura egli dichiarava dipendere principalmente dal perdurare dell'indipendenza di una nazione da lui riscattata dalla schiavitù e dalle

1. Qui a pp. 1103-4 e la nota I a p. 1104. 2. Qui a p. 1102: • [ •••] per quanto può la voce di giovine e non affatto libero scrittore [...] ».

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wards published this Discourse, with the following motto from Sophocles:-MY SOUL GROANS FOR MY COUNTRY, FOR MYSELF, AND ALSO FOR THEE. 1

This discourse is not more than eighty pages: and notwithstanding it is an historical composition, maintains a certain impetuosity and gravity of style which overwhelm and fatigue the attention. The events are hinted at, not detailed; the development concerns only their causes and their results. This brevity might be agreeable to those who had been spectators of, or actors in, the short and transitory scene; but foreign readers, and even those Italians removed by time or piace from the originai action, are left in the dark. It would be difficult to prove that the style of Tacitus, which Foscolo has not only copied but exaggerated with the devotion of a youth enchanted by his model, can be well adapted to this sort of composition. The English, who have perhaps run into the apposite extreme, will be astonished to hear that this Discourse was particularly esteemed by the critics, on account of its dose resemblance to the Latin. We should call this pedantry: but it appears a meritorious exploit in the eyes of a nation, which, havving for two hundred years diluted its language to insipidity, now lays it down far a maxim, that for the graces of style, the early secolari infamie. L'Orazione che poi il Foscolo stampò reca questo motto sofocleo: GEME L'ANIMA MIA PER LA PATRIA, PER ME STESSO E ANCHE PER TE. Il discorso si compone di un'ottantina di pagine; e benché si tratti di opera di storia non vengono meno né l'impeto né la gravità di uno stile che affatica e opprime. Ai fatti si accenna; non sono descritti nei particolari; sulle cause e sui risultati ci si sofferma. Tale concisione può riuscire gradita agli spettatori o ai protagonisti di quegli episodi brevi e fugaci, lascia invece all'oscuro i lettori stranieri e anche gli stessi Italiani se lontani dai luoghi e dai giorni di quegli eventi. Sarebbe forse difficile dimostrare che lo stile di Tacito, dal Foscolo non solo imitato ma anche esagerato come accade a un giovane fedele, affascinato dal suo modello, possa convenire al genere di questo componimento. E gli Inglesi, che sono forse incorsi nell'estremo opposto, saranno sorpresi di sapere che l'Orazione è stata dai critici soprattutto lodata per la sua stretta affinità col latino. Gli Inglesi la direbbero pedanteria, mentre appare invece impresa meritoria agli occhi di una nazione che, avendo diluita durante duecento anni la sua lingua sino alla insipidezza, ora s'impone come regola che si debbano consultare gli antichi scrittori toscani per le grazie dello stile, mentre

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Tuscan authors are to be consulted; and for the strength, and, if the word may be used, the nobility, of the language, the Latins are the only safe model. It must be confessed, that the origin of the language admits of this union. I t is not unnatural that when they would discourse of liberty, they should have recourse to the manner of their Roman ancestors. Bonaparte, at the congress of Lyons, changed the name of the Cisalpine into that of the Italian Republic. He appointed himself president of this new state, and promulgated a constitution which he continued to violate at will up to the other change which converted the Republic into a Kingdom, and placed the administration of Upper Italy in the hands of a French viceroy. 1 The only effect of Foscolo's discourse was to stop his own military promotion: but the loss of fortune was more than compensated by the public gratitude, which pointed to him as the man who had spoken the sense of the people, ~ho had told the courageous truth, and had sto od forward as the champion of national independence. I t seems, however, that he continued in the army some time after this effort. The date of the preface to his Sentime,ztal Journeyz shews that he was, in 1805, at Calais with one of the Italian regiments which per il vigore e, se così possiamo dire, per la nobiltà della lingua, solo e sicuro modello sono i Latini. E dovendosi infine pur riconoscere che l'origine della lingua conferma tale unione, non sarà innaturale che gli Italiani, quando tornino a dire della libertà, ritornino ai modi dei loro antenati romani. Al Congresso di Lione Bonaparte mutò il nome della Cisalpina in quello di Repubblica Italiana, del nuovo stato si nominò presidente e promulgò una costituzione che continuò a violare a piacer suo sino alla successiva trasformazione della Repubblica in Regno, mettendo in tal modo l'amministrazione dell'Italia settentrionale nelle mani di un viceré francese. Il discorso del Foscolo sortì il solo effetto di precludergli ogni promozione militare; ma la perdita di fortuna gli fu più che ricompensata dalla pubblica gratitudine che lo propose come colui che aveva dato voce al sentimento del popolo, che aveva avuto il coraggio di proclamare la verità, come un vero campione dell'indipendenza nazionale. Sembra, tuttavia, ch,egli continuasse per qualche tempo a servire nell'esercito, dopo quella impresa; dalla data alla Prefazione del suo Viaggio sentime11ta/e si ricava infatti che nel 1805 si trovava a Calais con uno dei reggimenti italiani che

1. French viceroy: Eugenio di Bcauharnais. lais, 21 settembre 1805 » (tomo I, p. 772).

2.

Tl,e date ... Journey: a Ca-

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Bonaparte had united to this Army of England. His dedication of the works of Montecuccoli, published in 1808 and 1809, which is addressed to General Caffarelli,1 minister of war of the ltalian kingdom, tells us that he was aid-de-camp to that officer. Foscolo published his edition of Montecuccoli in two volumes, in/olio, from the manuscripts discovered in the archives of the last Prince Trivulzio, 2 by Serassi, 3 the biographer of Tasso; and more recently, by other enquirers. These manuscripts were more complete than those of the old incorrect edition, made just after the death of the author, 4 which had never been reprinted, and was so Bonaparte aveva unito al suo Esercito d'Inghilterra. E anche la dedica delle opere del Montecuccoli, pubblicate nel 1808 e nel 1809, indirizzata al Generale Caffarelli, ministro della guerra del Regno d'Italia, conferma ch'egli era aiutante di campo di quell'ufficiale. Il Foscolo pubblicò la sua edizione del Montecuccoli in due volumi ,. in folio, avendola tolta dai manoscritti che il Serassi, biografo del Tasso e, più di recente, altri ricercatori avevano trovato negli archivi dell'ultimo Principe Trivulzio. Erano tali manoscritti più ricchi rispetto al testo della vecchia e scorretta edizione uscita poco dopo la morte dell'autore; edizione caduta nell'oblio per non essere stata in seguito mai ristampata, per cui il 1. François-Marie-Auguste Caffarelli (La Falgue [Haute Garonne] 7 ottobre 1766 - Paris 23 gennaio 1849). Dapprima ufficiale nell'esercito sardo, in seguito agli eventi rivoluzionari passò nell'esercito francese come semplice dragone, e dopo l'avvento del Consolato, ottenne la carica di capo di Stato Maggiore della Guardia dei Consoli, e, alla proclamazione dell'Impero, quella di governatore del palazzo imperiale, unitamente al grado di generale di Divisione. Dopo Austerlitz fu inviato da Napoleone a Milano quale ministro della Guerra del Regno d'Italia. Durante i cento giorni assunse il comando della piazza di Metz, ritirandosi quindi a vita privata. 2. in thè archives ... Trivulzio: benché il primo nucleo della Trivulziana sia più antico, la sua fondazione è da ascriversi ai fratelli Alessandro e Carlo Trivulzio (nati rispettivamente nel 1694 e nel 1715). Alla morte di Giorgio Teodoro (1802), le raccolte vennero divise tra i due figli Gian Giacomo (Milano 1774-1831) 1 cui il Foscolo allude, e Gerolamo. La parte di quest'ultimo venne esitata all'estero dalla marchesa Maria Trotti, sua crede, mentre il fratello aumentò considerevolmente il patrimonio della raccolta stessa. Anche il figlio Giorgio (1803-1856) seguì l'esempio paterno e, inoltre, sposatosi a una Rinuccini, veniva ad acquisire un considerevole fondo di autografi e incunaboli. Il figlio Gian Giacomo (1839-1902), unitosi in matrimonio con una Belgioioso, poté aggiungere anche il fondo librario di quell'illustre famiglia. Nel 1935 il comune di Milano, col concorso di alcuni privati, acquistava l'intera raccolta, impedendo in tal modo la sua dispersione. 3. L'abate Pier Antonio Serassi (Bergamo 17 febbraio 1721 - Roma 19 febbraio 1791) 1 autore della Vita di Torquato Tasso, Roma, Pagliarini, 1785. 4. the old . .. a11tlzor: si tratta delle Memorie del principe RAIMONDO MoNTECUCCOLI ecc., Colonia, presso

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much forgotten that Montecuccoli was known only through the French and German translations. 1 The object of Foscolo was more than literary: he wished by the example and precepts of an illustrious fellow citizen, to inspire the Italians with a portion of his martial spirit, as well as to replace the author in his due rank amongst the best classical writers. He placed Montecuccoli by the side of Machiavelli, and the compressed commanding style of the great rivai of Turenne2 facilitated the labours of his editor in filling up the many blanks of the manuscript. Foscolo was commended for these supplements, and for his happy imitation of the originai style; but he was accused of having been too licentious in his emendations of the text. a a) Ha supplito alle lacune con lo stile del Montecuccoli: ma Monte-

cuccoli 1iel proprio testo parla spesso con lo stile di Foscolo. See-Giornale della Società d'Incoraggiamento, an. 1809.3 Montecuccoli si leggeva solo nelle traduzioni francesi e tedesch. L'intento del Foscolo non fu solo letterario: proponendo ttesempio e i precetti di quell'illustre italiano, ebbe chiaro in mente il disegno di risvegliare negli Italiani un poco dello spirito marziale dell'autore insieme restituendogli quel posto che lo scrittore si meritava tra i classici migliori. Collocò infatti il Montecuccoli accanto al Machiavelli, e lo stile energico e conciso del grande rivale di Turenne gli giovò nel colmare le frequenti lacune del manoscritto. Per queste aggiunte il Foscolo fu molto lodato e altresì per la riuscita imitazione dello stile dell'originale, se pure lo si accusò di essersi prese troppe libertà nell'emendare il testo. la Compagnia dei Librai, 1704 1 ad opera del Consigliere Heinrich von Huyssen. 1. was known • .. translations: la prima traduzione francese vide la luce a Parigi nel 1712 con dedica al principe di Conti. Nel 1769 1 sempre a Parigi, usciva un'altra edizione a cura del conte Lancelot Turpuy de Crissé. La prima edizione tedesca vide la luce a Lipsia, per i tipi del Weidmann, nel 1736. 2. Henry de la Tour D'Auvergne, visconte di Turenne (Sédan II settembre 1611 - Sassbach 27 luglio 1675). Sceso per la prima volta in Italia col maresciallo di Caumont, prese parte all'assedio di Casale. Maresciallo di campo nel 1635, partecipò alle battaglie di Landrecies, Maubcuge e Breisach. Nuovamente in Italia, nel 1640, alla presa di Torino. Luogotenente generale nel 1642, l'anno successivo gli fu concesso il bastone di Maresciallo di Francia. Moriva nello scontro di Sassbach contro l'esercito imperiale comandato dal Montecuccoli. 3. La citazione foscoliana non si ritrova nell'articolo sulle Opere di R. M0NTECUCCOLI del« Giornale della Società d'incoraggiamento delle Scienze e delle Arti stabilita in Milano», tomo vu, n. vn-1x, Milano, Per Giuseppe Marelli sulla Corsia del Broletto, 1809 1 pp. 77-88. Tuttavia potrebbe riferirsi al seguente passo: • Un giornale, che nel mese di maggio dell'anno scorso diede l'estratto del primo 97

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Montecuccoli wrote his commentaries and his military aphorisms when the use of artillery was but imperfectly known, and when a great part both of the infantry and cavalry fought with pikes and halberds, and the principal object of every war was the attack and defence of fortified towns. Foscolo illustrated his author with notes of two kinds; some of them consisting of passages from the classics, serving to show the Greek and Roman art of war, and the others relating to the system of Frederic II and of Napoleon. By this pian the editor meant to apply each precept of Montecuccoli to the three principal epochs in the history of military art: the ancient, the middle, and the modern period. To each volume he subjoined dissertations written with precisely the same object: he calls Napoleon il maggiore guerriero delle età moderne, an eulogium which must be allowed far from extravagant, at the time that the two senates of France and of ltaly declared him the Thunderer o/ the Earth ("Jupiter foudroyant sur la terre,,) and all the kings of Europe confessed the title to be fairly earned and duly bestowed. The Viceroy Eugene had about this time won a battle of no great importance, against the Archduke John, in Hungary. 1 The Il Montecuccoli scrisse i suoi commentari e i suoi aforismi militari quando l'uso dell'artigliera era poco conosciuto e la gran parte della fanteria e della cavalleria combatteva ancora con lance e alabarde, né lo scopo precipuo della guerra era altro da quello di attaccare e di difendere città fortificate. A due separati modi di annotazione ricorse il Foscolo per illustrare il suo autore: le une riferite ai passi intorno all'arte bellica degli autori classici greci e romani, le altre riferite al metodo di Federico II e a quello di Napoleone. In tal modo l'editore intese applicare ciascun precetto del Montecuccoli alle tre epoche principali dell'arte bellica, l'antica, quella di mezzo e quella moderna. Nel medesimo intendimento, alla fine di ciascun volume aggiunse delle dissertazioni dove Napoleone vien riconosciuto come il a maggiore guerriero delle età moderne»; una lode per nulla eccessiva a quel tempo, quando il Senato francese e quello italiano lo dissero «Fulminatore della terra» («Jupiter foudroyant sur la terreu) e tutti i re d'Europa assentivano sul merito e sul conferimento di un tale titolo. Non lungi da quel tempo il viceré Eugenio aveva vinto in Ungheria una battaglia di scarsa importanza contro l'Arciduca Giovanni. I Francesi

volume, conchiude con questo paragrafo: 11 11 sig. Foscolo adattò il colore del suo stile agli argomenti di cui tratta, ma serbando la rapidità e la forza che lo caratterizzano, e quell'aria severa e metafisica [... ]" 11 (pp. 85-6). 1. The Viceroy ..• Hungary: scoppiata la guerra tra Francia ed Austria

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French chose to exalt this victory to a parallel with that of Montecuccoli, who after two years of perseverance, and with an army of seven thousand men, had defeated seventy thousand Turks at a time when they were yet formidable in the field: this was at the famous battle of San Gothard. 1 The bulletins observed that the Viceroy had been victorious on the same spot already illustrated by the exploits of Montecuccoli, and had rivalled the skilful manoeuvres of the ltalian marshal. Foscolo devotes one of his dissertations to refute this encomium, and proves that neither the circumstances, nor the position, nor the piace were the same; and he concludes by insinuating that such exaggerations might be injurious to the merit actually acquired by the Viceroy. Foscolo was now sent as professor of literature to Pavia, to replace Monti who had been appointed historiographer. 2 The new professor opened his course of lectures by an essay on the Origin esaltarono quella vittoria paragonandola a quella del Montecuccoli che, dopo due anni di inesauribili sforzi, con un esercito di settemila uomini, aveva sconfitto sul campo di battaglia settantamila Turchi ancora invitti, in quella famosa battaglia del San Gottardo. I bollettini rendevano noto che il viceré aveva vinto proprio nel luogo reso famoso dalle imprese del Montecuccoli, e che, con le sue abili manovre, aveva rivaleggiato col maresciallo italiano. Una delle dissertazioni del Foscolo è dedicata a smentire tale elogio e vi si dimostra che non le circostanze, non le posizioni, non il luogo sono tra loro comparabili, onde l'autore concludeva chiedendosi se tali esagerazioni non potevano sortire l'effetto di nuocere ai meriti acquisiti dal viceré. Il Foscolo venne allora mandato a Pavia come professore di letteratura a sostituirvi il Monti nominato storiografo. Il nuovo professore iniziò il suo corso di lezioni con la prolusione Dell'origine e dell'ufficio della lette-

nel 1809, l'arciduca Giovanni mosse alla volta dell'Italia. A fronteggiarlo, alla testa dell'esercito franco-italiano, Napoleone mandò Eugenio che, sulla Livenza, fu battuto dagli Austriaci e costretto a ripiegare sulla linea deWAdige. Le vittorie napoleoniche in Germania indussero tuttavia l'arciduca Giovanni a rientrare in soccorso di Vienna, cosicché Eugenio, sconfitti gli Austriaci sul Piave, e raggiunto l'esercito imperiale presso la capitale absburgica, il 14 giugno otteneva In vittoria sull'arciduca Giovanni a Raab. 1. this was . •. Sari Gothard: quale comandante in capo degli eserciti imperiali e degli alleati cristiani, nella campagna contro i Turchi del 1663-1664, il Montecuccoli inflisse agli Ottomani una sanguinosa sconfitta al passaggio della Raab (I agosto 1664). 2. Foscolo . •. liistoriographer: per le vicende relative alla cattedra pavese, vedi qui, alle pp. 1281-4, la Nota introduttiva all'orazione inaugurale Dell'Origi,re e dell'Ufficio della letteratura.

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and the Duties of Lz'terature.• lt was his grand pos1t1on, that "as society could neither be formed originally, nor afterwards kept together, except by the use of words, every abuse of this distinctive human faculty, must tend necessarily to the corruption of all social ties. Consequently, that the men of letters, being especially endowed with the power of words, are traitors to their duty whenever they neglect by their writings to excite the generous passions, to demonstrate useful truths, to add charms to virtue, and to direct the public opinions to the promotion of national prosperity" .1 He goes on to piace his men of letters as independent mediators between the government which applies to force alone, and has a natural tendency to despotism, and the people, who have no less a natural inclination towards licentiousness and slavery. He looks for the proof of these principles in the history of all nations; and the more he exults in the utility of literature, the more he declaims against the vanity and the baseness both of those who sell their a) Dell'Origine e dell' Uffido della Letteratura. - Milano, I 809. lt was translated and commented upon by the celebrated Ginguené. 2 ratura. Capitale momento del suo discorso è che: « non potendo la società nascere formata dalle origini né in seguito mantenersi unita se non mediante l'uso della parola, ogni abuso di questa esclusiva facoltà dell'uomo reca necessariamente a corruzione tutti i vincoli sociali. Onde sono gli uomini di lettere; proprio perché dal potere della parola maggiormente dotati, traditori dei loro doveri ogniqualvolta vengono meno nei loro scritti al compito di suscitare generose passioni, mostrare l'utilità del vero, aggiungere attrattive alla virtù, indirizzando la pubblica opinione all'accrescimento della prosperità nazionale 11. Prosegue poi col porre gli uomini di lettere quali indipendenti mediatori tra il governo, che si regge per necessità sulla forza inclinando naturalmente al dispotismo, e la popolazione, che non meno naturalmente inclina alla licenza e alla schiavitù. Indaga la verità di tali princìpi nella storia di ogni nazione e quanto più esalta l'utile funzione della letteratura, più violenta gli si fa l'invettiva contro la vanità e la bassezza di coloro che vendono il

1. Il passo è citazione compendiosa di concetti che si ritrovano nell'orazione inaugurale per la cattedra pavese (qui alle pp. 1285 sgg.), in particolare nei paragrafi v e xv. 2. Pierre-Louis Ginguené (Rennes 25 agosto 1748- Paris II novembre 1816). Nota C. FOLIGNO: «[.••] si allude certamente all'articolo di P. L. GINGUENÉ nel Mercure de France del 24 febbraio 1810 11 (Edizione Nazionale, XI, parte 11, p. 477, nota b). Il passo (lt was translated ••. Ginguené) è aggiunto nella seconda edizione.

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abilities to a tyrant, and of those who employ them in administering to the odious passions and the capricious follies of the multitude. It was an old and constant practice in Italy to insert an eulogy of the actual government in the opening discourses of every professor. Foscolo departed from this ceremony, and subjoined a note, saying, that it belongs to history alone to speak in a becoming manner o/ great so'lJereigns. He then cited a decree of Augustus Caesar, which forbad the small poets and orators to disgrace his name by their ephemeral praises. 1 The professorships of literature not only at Pavia, but also at Bologna• and Padua, were forthwith suppressed by the government. Many other professorships underwent the same fate; namely, those for the Greek and for the Orientai languages, for history, a) On this occasion the celebrated Mezzophanti, professor of Orientai languages, and the most _extraordinary linguist in existence, was deprived of his chair, and reduced to an income of 750 francs. 2 loro talento al tiranno, oppure lo piegano al servizio delle odiose passioni o a quello delle stoltezze capricciose della moltitudine. Era pratica antica e costante, in Italia, che il professore, nella prolusione, non tralasciasse l'elogio del governo al potere. Il Foscolo si astenne da questa ceripionia, ma aggiunse una nota dove si dice « che appartiene alla storia solamente parlar degnamente dei grandi sovrani •, e quindi aggiungeva la citazione di un decreto di Cesare Augusto che faceva divieto ai poeti e agli oratori di mediocri qualità di disonorare il nome dell'imperatore con lodi effimere. Le cattedre di \etteratura, non solo a Pavia, ma anche a Bologna e a Padova in breve volger di tempo vennero soppresse, e molti altri insegnamenti subirono la medesima sorte; così fu per il greco, per le lingue orien-

1. 2.

He then cited .. . praises: vedi qui, a p. 1321, la nota foscoliana a.

ca In questa occasione il famoso Mezzofanti, professore di lingue orientali e il più straordinario linguista vivente, fu allontanato dall'insegnamento e ridotto a campare con 750 franchi l'anno•· Giuseppe Gaspare Mezzofanti (Bologna 17 settembre 1774 - Roma 15 marzo 1849). Ordinato professore di lingua araba presso l'Università di Bologna il 15 settembre 1797, in seguito al riassetto degli studi universitari nel 1803 veniva creato docente di lingue orientali. Con la soppressione della cattedra (15 novembre 1808), il Mezzofanti venne rimosso dall'insegnamento, pur restando professore emerito. Il 28 aprile 1814 Gioacchino Napoleone lo reintegrava nelle sue mansioni, e l'anno seguente, ricostituitosi il governo pontificio in Bologna, oltre all'insegnamento delle lingue orientali, gli venne affidato anche quello della lingua greca.

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for the knowledge of medals, and, in short, forali those branches of study not strictly belonging to medicine, to jurisprudence, and to the mathematics. Foscolo retained his chair only two months; and about twenty-four other professors, who had not involved themselves in the guilt of preaching his principles, were also deprived of their emoluments, after many years of literary labour. It would be hazardous to say whether the discourse of Foscolo provoked this measure, or whether it had been some time in agitation, but, at ali events, the ltalians were struck with the verification of the words of their own Alfieri, who had told them that absolute monarchs hate the historian, and the poet, and the orator, and give preference to the sdences.a Perhaps it may not be uncharitable to add, that the scientific, compared with the literary writers of every nation, repay with corresponding submission the partiality of royal patronage. Padua, Pavia, and Bologna, beheld the sudden decline of the institutions, which had been the ancient ornament of their towns. Four and twenty lyceums were founded in the respective departments of the Kingdom, with the pretext of reinstating some of the professors ejected from the three universities; but it was impossa) See the article on Alfieri. 1 tali, per la storia, per la numismatica: in breve, per tutte le discipline non direttamente legate allo studio della medicina, della giurisprudenza e della matematica. Il Foscolo aveva occupato la sua cattedra per due soli mesi, e con lui altri ventiquattro professori, non di certo macchiatisi della colpa di proclamare i suoi princìpi, vennero dopo molti anni di attività letteraria privati dei loro emolumenti. Non facile cosa è stabilire se tale disposizione già fosse allo studio o conseguì al discorso pronunciato dal Foscolo; certo è invece che gli Italiani furono colpiti dal verificarsi delle parole del loro Alfieri che li aveva pur avvertiti che II i monarchi assoluti odiano lo storico, il poeta e l'oratore, e preferiscono gli scienziati 11, Né sarà forse prova di mancanza di carità soggiungere che, al confronto dei letterati di ogni paese, gli uomini di scienza ripagano con proporzionata sottomissione la parzialità della protezione regale. Padova, Pavia e Bologna videro il rapido declino di istituzioni che di quelle città erano state antico ornamento, e si fondarono ventiquattro licei nei rispettivi dipartimenti del Regno allo scopo di occupare alcuni dei professori espulsi da quelle università. Ma tanti istituti che abbracciavano

1.

Vedi qui, a pp. 1461-2, il passo The second .•. jurisprudence.

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ible to find a sufficient number of learned individuals, or adequate salaries for all these establishments, in every branch of science and of literature; and the consequence of this dispersion, as well as of the multiplied foundations, was, that the piace of professor was degraded from those high privileges and that respectability of character which had made it for centuries an object of ltalian ambiti on. Those who bave criticised Foscolo's discourse on the origin and the duties of literature, have found ali the beauties and ali the defects of this author more strongly displayed in the discourse than in any other of his prose works. A strict propriety in the words, a severe grammatical exactness, and a scrupulous rejection of every thing not absolutely inherent in the genius of the language-these meritorious characteristics are apparent in every page: but on the other band, the same composition is remarkable for an unusual method of connecting the phrases; for the perilous boldness of the metaphors; for the over-nice discrimination of the expressions, and the use of them in the primitive Tuscan sense in contradistinction to their modern acceptation; fora certain confusion of imagery with argument, a continuai struggle between the natural impetuosity and the affected calm of the writer; for a union of objects very different in themselves, which are distinguished by a variety of colouring that dazzles and confounds the eye; and, lastly, for the tutti i rami della scienza e della letteratura non trovarono né un bastevole

numero di dotti, né i fondi bastevoli per gli emolumenti. La posizione del professore, in conseguenza di tale dispersione e del moltiplicarsi degli istituti medesimi, andò così perdendo quel carattere di alto privilegio e di riconosciuta dignità che, per secoli, l'aveva resa tanto ambita agli Italiani. Coloro che hanno mosso critiche al discorso del Foscolo sull'origine e l'ufficio della letteratura, più che in ciascuna delle altre opere in prosa, vi hanno qui scorto la messe più completa dei pregi e dei difetti dell'autore. La padronanza completa della lingua, il controllo grammaticale più severo, l'esclusione di qualsivoglia elemento non pertinente al genio della lingua queste le qualità meritorie che hanno spicco in tutte le pagine -, ma da un opposto verso ecco apparire l'inusitata maniera di legare tra di loro le frasi, l'audacia arrischiata delle metafore, l'elezione di espressioni affettate, trascelte dal primitivo uso toscano, n contrasto con quanto si vuole dall'uso moderno, l'ordine dell'argomentazione sconvolto dal prevalere fantastico, quasi a significare un mai placato contrasto tra la naturale esuberanza e la ostentata misura dello scrittore; e ancora, una mistione di cose scompaginate che col loro mutare di tono e di colore finiscono per abbagliare e

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crowd of ideas which together with the rapidity of expression overwhelm and fatigue the attention. 1 The Cavalier Lamberti,2 a declared adversary of this writer, and one of those before alluded to, who possess the reputation of great scholars, examining the works of Foscolo, calls them, tenebrose per certo stile lor proprio di oscurità misteriosa e d'idee affollate e appena accennate, e d'eloquenza compressa sdegnosamente; quasi che questo autore non voglia per lettori che i suoi pari. a Hippolitus Pindemonte reproaches him with the same defect, but in the tone more of a poet than a critic, and less of a censor than of a friend. "Your style", he says, "resembles the Rhone, which flows rapidly from the limpid lake of Geneva, and is lost under the Alps, to the regret of the traveller, who knows not how it has disappeared, and who finds himself obliged to wander on for some distance before he again beholds its azure current, and hears the sound of its rapid stream". b The politica} topi es which have a) See-in the Milanese Review- the Poligrafo, the articles signed Y. 3 b) See-Pindemonte's epistle in verse addressed to Hugo Foscolo. 4 confondere il lettore, e infine l'affollarsi stesso delle idee vieppiù compromesso dalla brevità dell'espressione che affatica e sopraffà l'attenzione. Il Cavalier Lamberti, nemico dichiarato dello scrittore, e uno di quelli cui si è alluso più sopra, del numero dunque di coloro che hanno reputazione di grandi dotti, neWesaminare le opere del Foscolo le definisce: « tenebrose per certo stile lor proprio di oscurità misteriosa e d'idee affollate e appena accennate, e d'eloquenza compressa sdegnosamente; quasi che questo autore non voglia per lettori che i suoi pari 11, Ippolito Pindemonte gli rimprovera il medesimo difetto, ma con un tono più di poeta che di critico, più d'amico che di censore. • Il tuo stile• gli dice • somiglia al Rodano che rapido scorre dal limpido lago di Ginevra e si perde sotto le Alpi con rammarico del viaggiatore che non sa come sia scomparso e si vede costretto a vagare per certo tratto prima che egli di nuovo contempli l'azzurra corrente e ne ascolti il suono del rapido flusso•· I. Il passo Tl,ose wl,o have criticised ... attention è aggiunto nella seconda edizione. 2. Per Luigi Lamberti vedi, nel tomo I, p. 1003, l'Hypercalypsis e la nota 4 ivi. 3. Nel a Poligrafo», al luogo citato, non risulta quanto è riportato dal Foscolo. 4. Cioè I Sepolcri. A Ugo Foscolo, 335-43: a cosl quel fiume che dal puro laco, / onde lieta è Ginevra, esce cilestro, / poscia che alquanto viaggiò, sotto aspri / sassi enormi si cela e su In sponda / dolente lascia il pellegrin, che il passo / movea con lui; ma dopo via non

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been gener~lly selected for the subject of his performances, have, perhaps, induced this writer to leave usto guess that which he did not like to say openly. It is, however, equally true that the constant intensity of thought which he requires of his readers must be traced either to the peculiar mode in which his ideas are originally conceived, or to his wish to give them a new turn. Indeed ali his writings bear the mark of meditation, although much forethought cannot be discovered in his familiar conversation, in which he gives a loose to all his ideas as they first present themselves. A literary lady has described him as parlatore felicissimo e fecondo,• and this copious eloquence is accompanied with an incessant agitation of limb and body; which, however, is, when he harangues in public, converted into an absolute inactivity. It is told of him that he has spoken for hours at the councils of war with his hands fixed on the back of a chair, without indulging in the slightest action. This fact, incredible as it may be to such as have seen Mr. Foscolo only in private society, will not be lost upon those who please themselves with discriminating between the different modes a) Ritratti scritti dalla Contessa Isabella Albriz:n. 1 Gli argomenti politici, che egli ha generalmente scelto a soggetto dei suoi lavori, hanno forse indotto lo scrittore a lasciare a noi suoi lettori il compito di indovinare quanto non volle apertamente dire. Nondimeno è altrettanto vero che la costante tensione di pensiero richiesta al lettore si lega a quel suo particolar modo di concepire originalmente le idee e di dare loro un nuovo indirizzo. E tutti i suoi scritti invero recano l'impronta della meditazione, mentre altrettanta riflessione non mostra nelle sue conversazioni familiari in cui dà libero sfogo a tutte le sue idee come spontaneamente gli si presentano. Una dama assai colta lo ha descritto come «parlatore felicissimo e fecondo» la cui copiosa eloquenza s'accompagna ai continui movimenti di tutta la persona, mentre quando parla al cospetto del pubblico quell'agitazione vien costretta in un comportamento quasi immobile. Di lui si dice infatti che nei consigli di guerra abbia parlato per ore, le mnni ferme allo schienale della seggiola, senza indulgere mai ad alcun gesto. Questo fatto, che non parrà credibile a coloro che hanno conosciuto il Foscolo delle private conversazioni, non sarà affatto trascurabile per coloro che si dilettano a confrontare i diversi atteggiamenti di chi fa professione molta / sbucare il vede dalla terra, il vede / fecondar con le chiare onde sonanti / di nuovo i campi e rallegrar le selve•. 1. Ritratti icritti da ISABELLA TEoTOCHI ALna1zz1, Padova, Per Nicolò Zanon Bettoni, 1808, p. 28.

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of intellectual exertion, and who will be obliged to account for so singular a discrepancy by recollecting that Fosco lo may have deliberately preferred this motionless eloquence. The truth is, as we find in his Discourse upon Literature, that he decries the quackery of the latter orators of Athens by praising the more ancient speakers, who harangued in the manner of Pericles, wrapped up in their clamys, without gesture or melody: Peroravano avvolti, all'uso di Pericle, nella clamide, senza gesto né melodia. 1 The published poetry of this writer is confined to two odes,2. and a little work called J Sepolcri,3 written when it was forbidden to bury the dead in family tombs. Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti contende.•

According to the provisions of this new law, all bodies, without distinction, were to be interred in public cemeteries without the towns, and the size of the sepulchral stone was prescribed, and the epitaphs were subject to the revision and approvai of the magistrates. The aim of Foscolo in this poem appears to be the proof d'intellettualità, giacché saranno ricondotti, nel rendersi conto di tali discrepanti atteggiamenti, a ricordare come egli di proposito abbia scelto questo stile di immobile eloquenza. La cagione sta infatti, come si legge nella sua orazione sulla letteratura, nel biasimo di cui ricopre la ciarlataneria dei più tardi oratori ateniesi, allorché loda invece i più antichi che a Peroravano avvolti, all'uso di Pericle, nella clamide, senza gesto né melodia•· L'opera poetica dello scrittore data alle stampe si riduce a due odi e a un breve carme intitolato I Sepolcri, che egli compose quando si proibl di seppellire i morti nelle tombe di famiglia: Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti contende.

Secondo la nuova legge, i cadaveri tutti, senza distinzione, dovevano essere sepolti in pubblici cimiteri, fuor dalle mura delle città; stabilita era pure la dimensione delle pietre tombali, e gli epitaffi soggetti alla approvazione dei magistrati. L'intento del carme par bene essere quello di manifestare 1. Vedi qui, a p. 1314, l'orazione inaugurale per la cattedra pavese. 2. two odes: A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e Alla amica risa11ata (vedi il tomo I, pp. 175-87 e 189-97). L'omissione dei dodici sonetti, pubblicati fra il 1802 e il 1803, quattro volte, a Pisa e a Milano (tomo 1, pp. 200-50), è relativa a questo solo luogo. 3. Qui nel tomo 1, pp. 291-336. 4. Sepolcri, 51-3, tomo 1, pp. 299-300.

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of the influence produced by the memory of the dead on the manners and on the independence of nations. I t may be sufficient to quote a specimen which will be more easily understood by those who bave visited the church of Santa Croce at Florence. lo quando il monumento vidi ove posa il corpo di quel grande che temprando lo scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue,• e l'arca di colui che nuovo Olimpo alzò in terra a' celesti;b e di chi vide sotto l'etereo padiglion rotarsi più mondi, e il Sole irradiarli immoto, e onde ali' Anglo che tanta ala vi stesed sgombrò primo le vie del Firmamento; te beata! gridai, per le felici aure pregne di vita, e pe' lavacri che da suoi gioghi a te versa Apennino: lieta dell'aer tuo, veste la Luna di luce limpidissima i tuoi colli per vendemmia festanti; e le convalli popolate di case e d'oliveti mille di fiori al Ciel mandano incensi:

a) Machiavelli.

b) Michael Angelo.

e) Galileo.

d) Newton.

l'influsso che la memoria dei defunti esercita sui costumi e sulla indipendenza delle nazioni. Potrà bastare la citazione di un passo, che più facilmente intenderanno coloro che hanno visitato la chiesa di Santa Croce a Firenze: lo quando il monumento vidi ove posa il corpo di quel grande che temprando lo scettro a• regnatori gli all6r ne sfrondo. ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che Hnaue, e l'arca di colui che nuovo Olimpo alzò in terra o' celesti; e di chi vide sotto l'etereo podiglion rotoni più mondi, e il Sole irradiarli immoto, onde ali' Anglo che tanta ala vi stese sgombrb primo le vie del Firmamento; te beata! gridai, per le felici aure pregne di vita, e pe' lavacri che da suoi gioghi a te versa Apennino: lieta dell'aer tuo, veste la Luna di luce limpidissima i tuoi colli per vendemmia festanti; e le convalli popolate di case e d'oliveti mille di fiori al Ciel mandano incensi:

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e tu prima, Firenze, udivi il carme che allegrò l'ire al Ghibellin fuggiasco ;a e tu i cari parenti e l'idioma desti a quel dolce di Calliope labbrob che Amore in Grecia nudo, e nudo in Roma d'un velo candidissimo adornando rendea nel grembo a Venere Celeste. Ma più beata che in un tempio accolte serbi le ltale glorie (ultime forse!) da che le malvietate Alpi e l'alterna onnipotenza delle umane sorti armi, e sostanze t'invadeano, ed are e Patria, e, tranne la memoria, tutto. 1

This poem contains only three hundred lines, 2 but it called forth pamphlets and criticisms in every shape, and from all quarters. The younger writers tried to imitate it: the critics pronounced it to have brought about a reform in the lyrical poetry of Italy. The academy of Brescia proposed a prize for the best Latin translation, and awarded their premium to the professor Frederic Borgno, 3 a) Dante.

b) Petrarch. e tu prima, Firenze, udivi il canne che allegrò l'ire al Ghibellin fuggiasco; e tu i cari parenti e l'idioma desti a quel dolce di Calliope labbro che Amore in Grecia nudo, e nudo in Roma d'un velo candidissimo adornando rendea nel grembo :t Venere Celeste. Ma più beata che in un tempio accolte serbi le Itale glorie (ultime forscl) da che le malvietatc Alpi e l'alterna onnipotenza delle umane sorti anni, e sostanze t'invadeano, ed are e Patria, e, tranne la memoria, tutto.

Questo carme, di soli trecento versi, provocò libelli e critiche d'ogni genere e da ogni parte: gli scrittori più giovani si provarono a imitarlo, i critici affermarono che una riforma della lirica italiana era cominciata. L'Accademia di Brescia offrì un premio per la migliore traduzione latina: premio attribuito al professore Federico Borgno, il quale poco dopo pub-

1. Sepolcri, 154-85, tomo 1, pp. 311-7 (ma, nell'editio princeps, v. 160: •alzò in Roma [...] »; v. 174: «allegrò l'ira [ .•. ] »; v. 181: •serbi l'ltale glorie, uniche forse n). 2. I Sepolcri constano di 295 versi. 3. Gerolamo Federico Borgno (Bubbio [Alessandria] 1761 - Brescia 1817), valente latinista, il 29 luglio 1812 dava lettura nell'Ateneo bresciano della sua versione latina dei Sepolcri (la si veda in Opere italiane e latine di G. F. BoRGNO,

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who soon after published his version in hexameters, accompanied with a dissertation, a passage of which may be quoted to shew the tone of Italian criticism. lt is the business of lyrical poetry, properly so called, to present to us interesting facts so as to excite our strongest feelings, and to promulgate those opinions which tend to the prosperity of nations. Any ten verses which do not furnish the painter with images sufficient to compose an historical picture, which do not shake the soul by the nob/e recollections they recai, by the generous passions they awaken, which do not engrave in luminous characters some useful truth upon the mind-these verses may, I confess, be admirable in their kind, but they do not belong to lyrical poetry. The prophetic portion of the Bible, some of the hymns attn"buted to Homer, Pindar, Catullus in his marriage of Peleus, the sixth eclogue of Virgil, the episodes in the Georgics, a dozen of the odes of Horace, six of the canzoni o/ Petrarch, a f ew of Chiabrera, o/ Guidi, of Fili'caja, those of Dryden, and ttuo of Gray, are really lyrical. All the other poetry o/ Petrarch, and of those called lyrical, may be justly praised, and may charm a greater number of readers even than those above cited, but it is necessary to adopt the division of Cicero, in his distinction between blicò una versione in esametri, accompagnandola con un saggio, di cui si cita qui un passo a dimostrazione del tenore della critica italiana: « È ufficio della poesia propriamente chiamata lirica di presentare fatti interessanti in modo da eccitare i nostri più forti sentimenti, e da promuovere quelle opinioni che tendono alla prosperità dei popoli. Dieci versi che non somministrino al pittore immagini sufficienti a formare un quadro storico, non muovano l'animo con i nobili ricordi ch'essi rievocano e le generose passioni ch'essi destano, e che non incidano a caratteri luminosi qualche utile verità, sarebbero versi che concedo possano essere nel loro genere ammirevoli, ma non appartengono alla poesia lirica. I libri profetici della Bibbia. taluni inni che si attribuiscono a Omero, Pindaro. Catullo nelle nozze di Peleo, la sesta ecloga di Virgilio, gli episodi delle Georgiche, una dozzina di odi di Orazio, sei canzoni del Petrarca, poche del Chiabrera, del Guidi e del Filicaia, le odi del Dryden, e due del Gray, sono poesia lirica propriamente. Tutti gli altri versi del Petrarca e dei poeti detti lirici possono meritamente lodarsi, e attrarre un maggior numero di lettori che non le composizioni citate, ma è necessario di adottar

Brescia, Nicolò Bettoni, 1813, pp. 76-105), facendola precedere da una Dissertazione (la si veda nell'edizione dei Sepolcri ecc., Milano, Per Giovanni Silvestri, 1822, pp. 69-103).

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poetae lyrici et melici. Pindar belongs to the first ,· Sappho, Anacreon, and Simonides, to the second. 1 The Italians are fond of these classifications, and indulge in them more than we should esteem profitable to the study of language. But it is also true, that their critics seldom praise even their favourite authors with the indiscriminate fury of our eulogists. Mr. Borgno subjoins to his notice of Chiabrera, Guidi, and Filicaja, a list of exceptions to their merits which might surprise a foreigner, accustomed to think of the name, rather than the works of their authors. According to this authority, sonorous words, and a magnificence of verse and of phrase, are substituted by these writers for the requisite variety of harmony and of imagery, whilst they are totally deficient in the chiaroscuro of poetry, and have chosen subjects which either are not national, or, what is as bad, are totally incapable of interesting their nation. Mr. Borgno quotes other poetical works of Foscolo, which appear to be in the same style, and, amongst others, his Alceus, which describes the political vicissitudes of Italian poetry from the fall of the eastern empire to the present day. He alludes, also, to The la distinzione che Cicerone fa tra poitae lyrici e poetae melici. È Pindaro tra i primi, Saffo, Ancreonte e Simonide sono tra i secondi 11, Piacciono agli Italiani tali classificazioni e vi indulgono più di quanto a noi parrebbe vantaggioso allo studio della lingua. Ma è pur vero che di raro accade che i critici italiani serbino ai loro autori prediletti l'entusiasmo senza discriminazione degli elogiatori nostri. Alle sue notizie sul Chiabrera, sul Guidi e sul Filicaia, il Signor Borgno fa seguire una serie di riserve circa i loro meriti che potrebbe stupire lo straniero, abituato a pensare più al nome che alle singole opere degli autori. A giudizio del critico, questi scrittori, alla necessaria varietà di immagini e di armonia hanno sostituito la sonorità dei vocaboli e del verso e la magnificenza delle frasi, a scapito totale del chiaroscuro poetico, ed hanno inoltre scelto argomenti che non sono nazionali, perché incapaci, e perciò biasimevoli, a suscitare l'interesse della loro nazione. Il Borgno cita altre opere del Foscolo che gli appaiono condotte con il medesimo stile, l'Alceo, tra queste, dove si descrivono le vicissitudini politiche della poesia italiana dalla caduta dell'impero d'oriente fino ai giorni nostri, senza tralasciare d'alludere a un carme in tre canti, Le Grazie, che

1. Il passo non è citazione puntuale dal Borgno. Il Foscolo riassume qui brevemente quanto costui scrive intorno alla poesia lirica (si veda G. F. BoRGNO, op. cit., pp. 70-9 e 89-96 e le relative note).

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Gracu, a poem, in three cantos. Both the one and the other are, however, inedited, and are known only by some fragments. 1 The blank verses of Foscolo are totally different from those of any other author. Each verse has its peculiar pauses and accents placed according to the subject described. His melancholy sentiments move in a slow and measured pace, his lively images bound along with the rapid march of joy. Some of his lines are composed almost entirely of vowels, others almost entirely of consonants; and whatever an Englishman may think of this imitation of sense by sound (a decried effort since the edict of Dr. Johnson), the Italian poet has at least succeeded in giving a different melody to each verse, and in varying the harmony of every period.2 se pur inedito come il precedente Alceo è anch'esso noto per alcuni frammenti apparsi. Gli sciolti del Foscolo non hanno nulla da dividere con quelli degli altri autori: ciascun verso ha una sua inconfondibile misura e accenti che si convengono ali 'argomento. La melanconia del sentimento è regolata da misure lente e spaziate, mentre le immagini vivaci corrono con il passo svelto della gioia; a volte nei versi è predominante il susseguirsi delle vocali, a volte sono privilegiate le consonanti, e checché possa pensare un inglese di tale imitazione del senso per mezzo del suono (un riprovato esperimento dopo l'editto del Dottor Johnson), al poeta italiano si deve il meritato riconoscimento, se non altro, d'aver conferito a ciascun verso una sua melodia, così come ciascun periodo è retto dalla sua propria armonia. He all11des . . . f,agments: oltre ai quattro frammenti pubblicati nel 1803 nella Chioma di Be,e11ice (qui nel tomo 1, pp. 477-80), nello stesso anno del presente saggio nella "Biblioteca italiana», t. Xl, a. 111, luglio-agosto-settembre, 1 818, pp. 199-204, vedeva la luce un altro gruppo di versi delle Grazie (qui nel tomo 1, pp. 485-90). 2. and whatever ... period: nell'Essay on Criticism Alcxander Pope (per il quale vedi qui la nota 3 a p. 1261) aveva affermato che: itThe So,md seems an Echo to Sense» (v. 365). Samuel Johnson nella vita del Pope (in Lives of the English Poets, London-New York-Toronto-Melbourne and Bombay, Oxford University Press, 1912, Il, pp. 329-30), a commento del passo citato, scriveva: •This notion of representative metre, and the desire of discovering frequent adaptations of the sound to the sense, have produced, in my opinion, many wild conceits and imaginary beauties. Ali that can furnish this representation are the sounds of the words considered singly, and the time in which they are pronounccd. Every language has some words framcd to exhibit the noises which .they express, as tlmmp, rattle, growl, hiss. These, however, are but few, and the poet cannot make them more, nor can they be of any use but when sound is to be mentioned. The time of pronunciation was in the dactylic measures of the learned languages capable of considerable variety; but that variety could be accomodated only to motion or duration, and different degrees of motion were perhaps expressed by verses rapid or 1.

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It is perhaps necessary to be an Italian to feel the full effect of these combinations; but the scholar of every country ·may perceive that Foscolo has formed himself on the Greek model, not only in this particular, but in other branches of his art. In fact he was born in the Ionian islands, as he himself tells us in some beautiful verses at the end of one of his odes. Fra l'lsole che col selvoso dorso rompono agli Euri, e al grande Ionio il corso, ebbi in quel mar la culla: ivi erra ignudo spirito di Faon la Fanciulla; e se il notturno Zefiro blando sui flutti spira suonano i liti un lamentar di lira. 1

Two tragedies, the Ricdarda2 and the Ajax, 3 by the same author, È forse necessario essere Ita1iani per apprezzare il felice risultato di tali combinazioni; ma ben riconoscono i dotti d'ogni paese che il Foscolo s'è formato sui modelli greci, e non solo per questo particolare impegno dell'arte sua, ma anche per altri aspetti. Il Foscolo per altro era nato nelle isole Ionie, come egli stesso ci dice nel bel finale di una delle sue odi : Fra l'Isole che col selvoso dorso rompono agli Euri, e nl grande Ionio il corso, ebbi in quel mar la culla: ivi erra ignudo spirito di Faon la Fanciulla; e se il notturno Zefiro blando sui flutti spira suonano i liti un lamentar di lira.

Due tragedie dello stesso autore, la Ricciarda e l'Aiace, furono proibite

slow, without much attention of the writer, when the image had full possession of his fancy; bu t our language having little flexibili ty, our verses can differ very little in their cadence. The fancied resemblances, I fcar, arise sometimes merely from the ambiguity of words; there is supposcd to be some relati on between a so/t li ne and so/t couch, or betwecn hard syllables and hard fortune». 1. Alla amica risanata, 82-90 (ma v. 82: • [ .•.] e l'isole » -e· punto dopo corso al v. 94), nel tomo I, p. 196. 2. the Ricciarda: rappresentata per la prima volta a Bologna, al Teatro del Corso, il 17 settembre 1813, con esito contrastato (vedi quanto ne scriveva il Foscolo stesso alla contessa d'Albany, da Bologna, il 19 settembre, Epistolario, IV, pp. 349-52, qui lettera so), verrà pubblicata a Londra da John Murray nel 1828. 3. the Ajax: rappresentato per la prima volta a Milano, al Teatro alla Scala, il 9 dicembre 1811, con mediocre successo, e sospeso per

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were stopped by the government after the first representation. They excited a great curiosity from motives not altogether poetical. It was reported that Moreau1 was his Ajax, that Napoleon was to figure in his Agamemnon, and that his holiness the Pope would be easily recognised in Chalcas. The known principles of Foscolo facilitated the recognition of these originals, who, after ali, perhaps, never sat to the poet for their likenesses. Whatever were bis intentions, he received immediate orders to quit the kingdom of Italy, and to reside in some town of the French empire. He accordingly fixed his abode at Florence, at that time a department of France. Foscolo has lived and written in a state of open war with the writers of the day, and the reigning political parties. It is not surprising, therefore, that he has been severely handled in publications of every kind, and particularly in the journals, which will be found to contain imputations against him not confined to his literary life. 2 dal governo dopo la prima rappresentazione. Suscitarono una grande curiosità, seppur non dipendente da ragioni esclusivamente poetiche. Si diceva infatti ch cra l\1oreau il suo Aiace, che Napoleone era raffigurato da Agamennone. mentre Sua Santità il pontefice appariva nei panni di Calcante. Le ben note opinioni del Foscolo davano esca al riconoscimento di tali personaggi che dopotutto il poeta forse non si era proposto quali modelli. Quali che fossero le sue intenzioni, l'ordine gli fu comminato di lasciare il Regno senza interporre tempo, e di prendere dimora in qualche città dell'Impero. Scelse adunque Firenze, che a quel tempo era un dipartimento francese. Il Foscolo è vissuto e ha scritto in condizioni di aperta guerra sia con gli scrittori del suo tempo sia con i partiti politici imperanti. Non fa dunque meraviglia ch'egli sia stato trattato duramente in ogni genere di pubblicazione, e dai giornali in particolare, che contro di lui hanno elevato accuse che travalicano le sue attività di letterato. Al contrario il Fo1

ordine del viceré il 13 dicembre, verrà pubblicato a Napoli (Borel e Comp.), con osservazioni critiche di Urbano Lampredi, nel 1828. 1. Moreau: vedi qui la nota J a p. 1103. 2. It is 11ot ••. /ife: nota C. FOLIGNO: •Può darsi che qui il F. scrivendo per Inglesi, pensasse al violento attacco contro di lui con il quale il periodico londinese L'Italico, 11 maggio 1813, volle contraddire alle lodi, apparse nella Q11arterly Review del dicembre 1812 per l'Ortis. L'articolo della Q11arterly fu probabilmente scritto dal fedele amico W. S. Rose; l'attacco dell'Italico si dovette quasi certamente al Pananti e non ad Augusto Bozzi Granville. Cfr. la nota di E. R. VINCENT, An Attack on Foscolo, in Modern Langr,age Review, giugno 1937 D (Edizione Nazionale, x1, parte 11, p. 485, nota a).

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He was never persona! in his first attacks; and he never replied to the personalities of others. He evcn affected so complete a contempt for them as to republish and distribute some of the libels written against himself. Perhaps he is not aware that this apparent moderation is any thing rather than a proof of his indifference to attack. In England these demonstrations of contempt would be suspected, and would be ridiculous: and even in ltaly Mr. Foscolo has been justly charged with pushing them to an unjust exposure of men who were thc most disposed to be his literary friends and admirers. He published nearly 300 pages in large octavo, upon the translated elegy of Catullus, De Coma Berenices: the whole lucubration being a grave and continued irony on the verbal criticisms of the commentators. Some of the learned fell into the snare; and Foscolo, who had issued only a few copies, now added a Farewell to bis readers, in which he repays their praises by exposing the mysteries and the abuses of the philological art. 1 Those whom he had deceived must bave been not a little irritated to find that his frequent citations were invented for the occasion, and that his commentary had becn purposely sprinkled with many of the grossest scolo non ha mai sferrato attacchi personali, né ha reagito a quelli che gli venivano portati; affettò anzi un tale disprezzo nei confronti di queste operazioni da far ristampare e distribuire alcuni libelli ch'erano stati scritti contro di lui. Ma forse non s'avvede che tanta apparente moderazione è tutt'altro che una manifestazione della sua indifferenza agli attacchi. In Inghilterra tali dimostrazioni di disprezzo riuscirebbero sospette oltreché ridicole, e anche in Italia il Foscolo è stato, a ragione, accusato di averle spinte oltre il lecito, fino ad esporre ingiustamente uomini che erano disponibilissimi a essergli amici nel campo letterario e suoi ammiratori. Pubblicò quasi trecento pagine in ottavo grande, sulla traduzione dell'elegia di Catullo De Coma Berenices, l'intera elucubrazione non essendo altro che una ponderosa e persistente ironia intorno alle verbose critiche dei commentatori. Alcuni dotti caddero nell'inganno; e il Foscolo, che ave~ va stampato solo un numero limitato di copie, v'aggiunse un Commiato ai lettori, dove li ripaga delle lodi tributategli, svelando loro i misteri e gli abusi dell'arte filologica. Non lieve sarà pur stata l'ira degli ingannati, allorché scoprirono che le numerose citazioni erano state create per l'occasione e che, a bella posta, il commento era stato intriso di grossolani e vo-

1. added •.. phi/ological art: per tutto ciò vedi la Nota introduttiva alla Chioma di Berenice, qui alle pp. 1247 sgg.

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faults. Neither the merit nor the success of such a pleasantry can be intelligible to an English reader: but it should be told that Foscolo, with the same patriotism which seems the devouring passion of his soul, contrived this deception partly to warn the commentators that it was their duty also, as well as that of other writers, to devote themselves to the excitement of generous sentiments in the bosom of their countrymen. a Foscolo is an excellent scholar: his knowledge of Greek is far superior to that of many of his most distinguished fellow-countrymen: he writes Latin with facility and elegance. A little book in that language, called Didymi Clerici Prophetae Minimi Hypercalypseos, liber singularis, 1 has been attributed, and, it is believed, justly, to his pen. It appears to be a satire against the journalists, the learned pensioners of the court, the Royal Institute,2 and the senate of the kingdom of Italy; but it is an enigma from beginning to end to any one not furnished with the key to the individuai a) See-La Chioma di Berenice, Milano, 1803. La Bibliothèque /talienne, a French review, published at Turin, and Il Dian·o Italiano for November and December of the same year. 3 luti errori. Non può, il lettore inglese, cogliere il merito né il successo di tale scherzo, ma devesi altresì tener presente che il Foscolo, per quello stesso patriottÌSrt).O che par ben essere la passione divorante della sua anima, ideò tale inganno per ammonire i commentatori che era anche loro dovere, come pur degli altri scrittori, dedicarsi a suscitare generosi sentimenti nei cuori dei loro concittadini. Il Foscolo è un eccellente studioso: conosce il greco assai meglio di molti affermati grecisti del suo paese e scrive il latino con elegante scorrevolezza. Della sua penna, e pare senza possibilità di equivoco, è una breve operetta in latino dal titolo Didymi Clerici Prophetae Minimi Hypercal-ypseos liber singularis. Si tratta di una satira contro i giornalisti, i dotti pensionati della corte, l'Istituto Reale e il senato del Regno d'Italia; ma a chi non possegga la chiave per decifrarne le allusioni personali resta, da cima a fondo, un 1. Vedi nel tomo 1, pp. 917-20, la Nota introduttiva allo stesso. 2. the Royal lnstitute: allude al « Reale Istituto di Scienze, Lettere ed Arti•, istituito da Napoleone a Bologna il 19 brumaio, anno VI (9 novembre 1797) e, dallo stesso, trasportato a Milano, nel 1810, con sede nel palazzo di Brera. 3. L'articolo, di Luigi Rossi, comparve nella • Bibliothèque Italienne ou Tnblcau dcs progrès des sciences et des arts en ltnlie 11, IV, r.. 10, a. Xli (1804). Secondo A. OrroLINI (Bibliografia foscoliana ecc., Venezia, La Nuova Italia Editrice, 1928, p. 14) il • Diario Italico• (1803) era diretto dal Foscolo in collaborazione con Aimé Guillon.

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allusions. 1 This obscurity sbewed at least, tbat be did not care to engage tbe multitude on bis side, and tbat be was indifferent as to tbe dispersion of bis own feelings of contempt for the men of letters of tbe I talian court. Tbe lady whose opinions have been before quoted, 2 talks of the literary intolerance of Foscolo as the offspring of bis reflection, not of bis disposition. "A warm friend, but sincere as the mirror itself, that neitber deceives nor conceals. Kind, generous, grateful; his virtues appear tbose of savage nature, when seen in the midst of the sopbisticated reasoners of our days. He would tear his heart from his bosom, if be thought tbat a single pulsation was not the unconstrained and free movement of his soul" .a Althougb Foscolo had studied under Cesarotti, and bad been encouraged by the voice of tbat generous master, he loudly disapa) Intollerante più per riflessi.one che per natura: amico fervido,· ma

sincero come lo specchio, che non inganna, né illude. Pietoso, generoso, riconoscente, pare un selvaggio in mezzo a' filosofi de' nostri dì. Si strapperebbe il cuore dal petto se liberi non gli paressero i risalti tutti del suo cuore. See-Ritratti scritti dalla Contessa Isabella Albrizzi.3 vero enigma. Tanta oscurità, se non altro, prova che il Foscolo non si preoccupava di procacciarsi il favore dei più, ed era imparziale nel regalare del suo disprezzo i letterati della corte italiana. La dama di cui già si sono citate alcune opinioni, di tanta intolleranza non fa carico alPindole dello scrittore, bensì crede sia figlia della sua riflessione. u Intollerante più per riflessione che per natura: amico fervido; ma sincero come lo specchio, che non inganna, né illude. Pietoso, generoso, riconoscente, pare un selvaggio in mezzo a' filosofi de' nostri dì. Si strapperebbe il cuore dal petto se liberi non gli paressero i risalti tutti del suo cuore n. Sebbene il Foscolo avesse studiato sotto la guida del Cesarotti e da tanto generoso maestro avesse ricevuto vivo incoraggiamento, non tra-

I. but it is ... allusions: dodici dei centoquattro esemplari dcli' Hypercalypsis recavano una Clavis interpretativa dei nomi dei personaggi storici ivi citati, e furono dal Foscolo destinati ad altrettanti amici (nove delle dodici dediche sono riportate in Edizione Nazionale, VIII, pp. I 14-5, e per la Clavis vedi nel tomo I le pp. 992-1010). 2. The lady . .. quoted: Isobella Teotochi Albrizzi, per le quale vedi nel tomo 1, p. 719, il Ragguaglio ecc., e la nota 2 ivi. 3. Ritratti scritti da ISABELLA TEOTOCHI ALBRIZZI, cit., p. 28.

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proved of the translation of Homer,1 and more decidedly still of the Pronèa.2 He was a long time nearly connected with Monti, who frequently mentions him with applause; and, in his illustrations of Persius, foretells that his young friend will, one day or the other, be the first poet of the age. 3 In the last years of the French government, an intimacy with Foscolo was not favourable to court promotion. Monti and the future Corypheus of the poets became cool to each other, and would not willingly meet in the same society; but either reciprocai fear, or the memory of their ancient alliance has not allowed any written attack from either adversary. An Englishman wished, when at the Scala theatre at Milan in 1816, to give the Death of Ortis as a subject for an improvisatore; but a friend said to him, It will not be chosen: Monti is behind the scenes, and will hear nothing said in favour of Ortis or of Foscolo. The same influence, joined to that of the police, was pronounced lasciò di disapprovare severamente la sua traduzione d'Omero e ancor più la sua Pronèa. Col Monti per lungo tempo fu strettamente legato, e il Monti che sovente lo cita in modo assai lusinghiero, nel commento a Persio ebbe a predire del suo giovane amico che diventerebbe, prima o poi, il migliore poeta del suo tempo. Sennonché, negli ultimi anni del governo francese, essere amici del Foscolo non facilitava l'ottenere vantaggi a corte, e fu così che il Monti e il futuro corifeo dei poeti videro raffreddarsi i loro rapporti, disertando l'uno e l'altro la cerchia dei rispettivi amici. Ma fosse reciproco timore o il ricordo dell'antica amicizia, mai nessuno dei due trascese a un attacco scritto. Nel 1816 un inglese, trovandosi al Teatro alla Scala di l\1ilano, propose come tema all'esibizione di un improvvisatore la Morte di Ortis; allora un amico gli disse: • Non sarà approvato; dietro le scene v'è il Monti che nulla vuole ascoltare in pro' dell'Ortis o del Foscolo•· La stessa influenza, congiunta a quella della polizia, risultò fatale anche 1. he lolldly ... Homer: vedi la recensione foscoliana alla Traduzione de' due primi canti dell'Odissea del Pindemonte, qui alle pp. 1360-7. 2. Contro la Pronèa del Cesarotti, il Foscolo, in lettera a Isabella Teotochi Albrizzi da Milano, 15 novembre 1807, indirizzò questo Epigramma: •Andò in Parnaso l'Epica Pronea / tutta melodrammatiche cadenze / visioni e sentenze; / e il coro de, poeti / rimandò a' metafisici la Dea; / ma una causa minor trovò per via, / che la condusse ai preti; / fu dai preti a guarirla d'eresia / mandata allo spedale, / e un pedante le fe' la notomia / tanto che l'ammazzò: vedi il Giornale• (Epistolario, II, p. 294; e vedi, per le vicende del componimento, Edizione nazionale, n, pp. cxx1-xx11). 3. Joretells ..• age: circa l'elogio montiano della Chioma di Bere11ice, contenuto nella nota al v. 39 della Satira VI (Satire di A. PERSI0 FLACCO, traduzione di V. Monti, Milano, Dal Genio Tipografico, 1803, p. I 16), poi soppresso nelle stampe successive, vedi la Nota introduttiva alla Chioma di Berenice, qui a p. 1247.

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fatai also to the Apotheosis of Alfieri.• There is a story current respecting the last interview of these two poets, which may illustrate and contrast the character of both. They were dining at the house of Count Veneri, minister of the public treasury; 1 Monti, as usual, launched out against Alfieri, according to the court tone of the day: "All his works together", said he, "are not worth a song of Metastasio"-Stop there, Sir, interrupted Foscolo, or I will twirl round you and your party as well as ever top was whipped by a school-boy. As far as respects his other great cotemporaries, he has never spoken of Pindemonte but with esteem, nor ever names Alfieri without admiration. The instructions he rea) See-note to Stanza

LIV

of Childe Harold, Canto

IV

page

152. 2

alt' Apoteon dell'Alfieri. Corre poi un aneddoto sull'ultimo incontro del Foscolo con il Monti che illumina e evidenzia il carattere dei due scrittori. A un pranzo, in casa del Conte Veneri, ministro del pubblico tesoro, il Monti, assecondando gli umori della corte, prese a inveire, come per altro al solito faceva, contro l'Alfieri. 11 Tutta l'opera sua 11 disse "non vale una lirica sola del Metastasio n. a Finitela; Signore! 11 lo interruppe il Foscolo a o io m'avvinghierò girando intorno a voi e al partito vostro con la velocità di una trottola sotto la frusta di un fanciullo,,. Degli altri suoi contemporanei, sempre con stima ha parlato del Pindemonte, né mai ha proferito il nome dell'Alfieri senza ammirazione. I consigli poi che gli vennero dal

J. They were ... treasury: vedi la lettera a Vincenzo Monti del 13 giugno 1810, da Milano (lezione II): 11 M'avete, in casa Veneri alla presenza del senatore Stratico, detto, ch'io m'accorgerò forse un giorno quale amico io mi abbia perduto in voi» (Epistolario, 111, p. 407, qui lettera 46). 2. Historical Notes to tl,e Canto the Fourth, in The Complete Works of LORD BYRON, ecc., Paris, Baudry's Europcan Library, 1847, 1, nota 28, p. 205: • [... ] In the autumn of I 816, a celebrated improvvisatore exhibited his talents at the Opera-house of Milan. The reading of the thescs handed in for the subjects of his poetry was received by a very numcrous audience, for the most part in silence, or with laughtcr; but when the assistant, unfolding one of the papers, exclaimed, "The apotlreosis of Victor Alfieri", the whole theater burst into a shout, and thc applause was continued for some moments. The lot did not fall on Alfieri; and the Signor Sgricci had to pour forth his extemporary common-placcs on the bombardment of Algiers. The choice, indeed, is not left to accident quite so much as might be thought from a first view of the cercmony; and the police not only takes care to look at the papers beforehand, but in cose of any prudential afterthought, steps in to correct the blindness of chance. The proposal for deifying Alfieri was received with immediate enthusiasm, the rather because it was conjectured there would be no opportunity of carrying it into effect ».

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ceived from Parini have mingled a tender recollection with the reverence with which he dwells upon his character, in the Ietters of Ortis. 1 In spite of his opposition to the French, and of his repeated declaration, that the representative rights belong only to the landed proprietors, it is easy to discern that Foscolo is a pupil of the Revolution. In truth, he imputes the misfortunes of Italy to the cowardice, the ignorance, and the egotism of the nobles. He owes his popularity rather to his conduct than to his maxims, or even to his works; for the first are not qualified to obtain the favour of the majority, and the second are above the common class of readers. The admirers of N apoleon may behold in this author a rebellious subject, but a sincere eulogist wherever he has thought fitto praise. He was confined five months, and suffered other persecutions, which did not, however, make him lose sight of the distinction between the judicious administrator and the oppressive usurper of his country. 2 The truth is, that Napoleon conferred upon Italy all the benefit that a country divided and enslaved could possibly expect from a conqueror. To him she owed her union; to him, her Parini son divenuti tenerissimo ricordo e devozione insieme per quel gran carattere, come si legge nelle lettere dell'Orti.s. Nonostante la sua opposizione ai Francesi e le ripetute affermazioni che i diritti rappresentativi appartengono ai soli proprietari terrieri, facilmente s'indovina nel Foscolo un figlio della rivoluzione. Delle disgrazie dell'Italia egli accusa infatti la viltà, l'ignoranza, l'egoismo dei nobili; mentre la popolarità egli la deve piuttosto alla sua condotta che non ai princìpi suoi e alle sue opere: i primi non essendo princìpi che ottengono favore presso i più, le opere superando le capacità del lettore comune. Gli ammiratori di Napoleone potrebbero vedere in questo autore un suddito ribelle, ma pur un lodatore sincero ogniqualvolta ritenne giusto lodare. Fu confinato durante cinque mesi e subì altre persecuzioni che non gli fecero tuttavia perder di vista la distinzione tra il giudizioso amministratore e l'oppressivo usurpatore del suo paese. Ed è vero che Napoleone concesse all'Italia tutti i benefici che un paese schiavo e diviso poteva attendersi da un conquistatore: a lui fu debitrice della sua unificazione, delle sue leggi, del suo esercito, per cui da quell'ordinamento pervenne a 1. The instructions ... Orti.s: vedi la lettera di Jacopo da Milano, del 14 dicembre», dove è narrato l'incontro col Parini (tomo I, pp. 651-7). 2. He wa.s confined . •• country: questo passo è aggiunto nella seconda edizione.

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laws and ber arms: ber new activity, and ber recovered martial spirit, were inspired by his system. But Foscolo was a citizen of the Venetian republic which Napoleon destroyed, and there exists in Italy a very numerous class, who consider the independence of their country as the first indispensable step towards ber regeneration. Foscolo, as well as some otbers, wbo, when tbe ltalian republic was degraded into a subsidiary kingdom, were named amongst the electoral colleges, contrived never to attend, because be would not take the oath of allegiance. But he did not find it impossible to live under the dominion of the Frencb. The Austrians in their tum required from him personally an oatb of fidelity to their Emperor. Foscolo refused to them what he would not grant to Napoleon. But be could not breathe under their depressive system. He became a voluntary exile, and his adieus to his countrymen are couched in the language of proud resignation. Let 1iot the minister o/ the Austria1i police continue to persecute me in my S·wiss asylum,· teli him that I am far /rom wishing to exci.te the hopeless pasnom o/ my fellow citizem. JVe were in want o/ arms,· they were given to us by France, and I taly had again a name amongst the natiom. In the accesso/ our infiammatory fever, the loss of blood could not harm us, and the death of a single man would have inevitably produced changes f avourable to ali the nations who should have courrinnovare le sue attività e a rinvigorire lo spirito militare degli Italiani. Ma il Foscolo era cittadino della Repubblica Veneziana, che Napoleone distrusse, e sono in Italia assai numerosi coloro che considerano l'indipendenza del proprio paese come il primo e irrinunciabile passo verso la rigenerazione. Il Foscolo che, come taluni altri, era stato nominato nei collegi elettorali quando la Repubblica Italiana fu abbassata a regno sussidiario, ebbe cura di sottrarsi al mandato perché non volle pronunciare il giuramento di fedeltà; tuttavia non gli riusci impossibile vivere sotto il dominio francese. Gli Austriaci, a loro volta, pretesero da lui personalmente un giuramento di fedeltà al loro imperatore. Foscolo si rifiutò a quell'atto che non aveva concesso a Napoleone; ma in quel deprimente ordine non poteva respirare; divenne cosi esule volontario e il suo addio ai concittadini espresse con tale orgogliosa rassegnazione: « Non permettete che il ministro della polizia austriaca continui a perseguitarmi nel mio rifugio svizzero; ditegli che son lontano dal volere eccitare le disperate passioni dei miei concittadini. Mancavamo di armi, ci vennero date dalla Francia e di nuovo l'Italia ebbe nome tra le nazioni. In quell'accesso di febbre d•infiammazione non ci poteva recar danno la perdita di sangue, e In morte d'un solo uomo avrebbe inevitabilmente prodotto cambiamenti favorevoli a tutte le nazioni che avessero il coraggio d'approfittare della felice occasione.

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age to profit by the happy juncture. But it was ordained otherwise: the affairs of the world have been turned into another and an unexpected channel. The actual disease of ltaly is a slow lethargic consumption, she iuill soon be nothing but a lifeless carcass; and her generous sons shou/d only weep in silence, without the impotent complaints and the mutuai recrimination of slaves. a CONCLUSION

It is hoped that the preceding pages may have furnished a generai notion of the state of literature in Italy during the last fifty years. More extensive limits would have comprised more copious extracts from the cited authors, would have noticed other writers, and would have included not only a view of the education of the Italians, but of their style and taste, and present productions in ali the branches of literature; little indeed has been done in comparison of what remains to do, but on the reception of what a) Senza querele impotenti, né recriminazioni da Servi. This was inserted in the Lugano Gazette, for Aprii 14, 1815, in an article written to answer a book with the title Memoria storica della Rivoluzione di Mila110, seguita il 20 Aprile I8I4, Parigi 1815. Published by some senators of the kingdom of ltaly. 1 Ma era diversamente ordinato: le cose del mondo si volsero per un diverso e inatteso cammino. La vera infermità dell'Italia è lenta consunzione di letargo, e presto altro non sarà che un cadavere senza vita; e i suoi figli generosi debbono solo piangere in silenzio senza querele impotenti, né recriminazioni da servi •·

CONCLUSIONE ~ nostra speranza che le pagine precedenti riescano a una generale vi-

sione delle condizioni della letteratura italiana negli ultimi cinquant'anni. Un più ampio spazio ci avrebbe concesso più estese citazioni dalle opere degli autori discussi, notizie di altri scrittori e anche uno sguardo generale non solo sul livello d'istruzione degli Italiani, ma sul loro stile, il loro gusto, e le produzioni attuali nei ranù diversi della letteratura. Quanto s'è detto è poco a confronto di quanto resta da dire, ma dall'accoglienza di quel

La citazione bibliografica foscoliana relativa alla • Gazzetta di Lugano• non corrisponde a verità. 1.

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has been already offered will depend whether any thing more shall be attempted. A great question at this moment divides the learned world in Italy into the partisans of classica! poetry, and of the poetry of romance. The first, of course, range Homer in the front of their battle; and the others, who have adopted the division of Madame de Stael, 1 and talk of a literature of the North, and a literature of the South, have stili the courage to depend upon Ossian for their principal champion. The first would adhere solely to the mythology of the ancients; the other party would banish it totally from ali their compositions. It would not be very difficult to state the true merits of this idle enquiry, on the decision of which may, however, depend the turn taken by the literature of the next half century. But this also must be left for another opportunity. In the mean time it may be allowed to mention, that the Italians themselves are far from ungrateful to those foreigners, especially the English, who evince a desire to be acquainted with their literature: but that they are for the most part surprised at our originai misconceptions, and do not a little complain of the false impressions communicated by the ignorance of those, even amongst their expatriated countrymen, who have presumed to be our instructors. che qui si è offerto, dipenderà un eventuale più ampio tentativo. Una grossa questione divide attualmente il mondo dei dotti italiani divisi in fautori della poesia classica oppure della poesia romantica. Naturalmente i primi pongono Omero in prima fila, discorrono gli altri, seguendo la divisione fatta da Madame de Stael, tra una letteratura del Nord e una letteratura del Sud, e hanno tuttora l'audacia di eleggere Ossian a loro campione. I primi vorrebbero attenersi esclusivamente alla mitologia degli antichi, i secondi son pronti a bandirla del tutto da ogni loro opera. Non sarebbe infine troppo arduo stabilire cosa s'asconda in una tale oziosa questione, dalla cui soluzione è pur possibile che il corso della letteratura del prossimo cinquantennio dipenda. Ma anche tale argomento si deve rimettere a altra occasione. Per ora ci sia concesso ricordare che gli I tal ioni non sono affatto ingrati verso quegli stranieri, e in particolare gli Inglesi, che dimostrano interesse alla loro letteratura, seppur nel contempo dimostrano molta sorpresa di fronte ai nostri impropri e tradizionali giudizi, rammaricandosi inoltre delle false impressioni determinatesi per l'ignoranza di coloro che, anche tra i loro concittadini immigrati, hanno presunto di farsi nostri informatori. r. Anne-Louise-Germaine Necker, baronessa di Stall-Holstein (Poris aprile 1766 - ivi 14 luglio 1817).

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NARRATIVE AND ROMANTIC POEMS OF THE ITALIANS (1819)

NOTA INTRODUTTIVA

II saggio

prende le mosse da uno spunto occasionale. La recensione a due opere, rispettivamente ispirate ai poemi del Casti e del Pulci, a due autori che, pur distanti nel tempo, sembrano omogeneamente rientrare in quella corrente d'interesse per il genere cavalleresco e i suoi derivati eroicomico e satirico, che è un tratto tipico della voga italianizzante della cultura inglese nel tomo di tempo immediatamente antecedente, e poi concomitante, l'affermazione del romanticismo byroniano. L'estensione della recensione dalle opere del Rose e del Frere ai capisaldi storici del genere, agli episodi costitutivi della tradizione cavalleresca quattro-cinquecentesca, fu certo dovuta, più che a specifica volontà del poeta, a richieste di tipo editoriale, a loro volta sollecitate dal risalto non solo del genere, ma anche del quadro storico complessivo in cui quello era nato e si era sviluppato. La comprensione dell'Umanesimo e del Rinascimento italiani, la loro penetrazione e diffusione in area inglese avvennero infatti tramite opere in cui a una solida erudizione di base si accompagnava un accattivante metodo espositivo, peculiare di una storiografia, eminentemente rappresentata, a quell'altezza, dal Roscoe e dalle sue opere dedicate a Lorenzo il Magnifico e a Leone X. In esse la suggestione intera di un ambiente sociale, politico, religioso, economico, morale e letterario era ricreata per via di una vivace partecipazione narrativa, capace di trascendere i limiti di una storiografia meramente antiquaria, e tale da convenire anche ad un pubblico più largo e diverso da quello esclusivamente ristretto agli addetti ai lavori, provocando recuperi certo difficilmente spiegabili da un punto di vista propriamente storico (come, ad esempio, quello del Pulci), e contemporaneamente avviando, attraverso la fortuna di opere nate in circostanze quasi fortuite, generi che solo a posteriori si sarebbero riconosciuti in un panorama comune. Non era questo il tipo di interesse che poteva avvicinare il Foscolo alla tradizione cavalleresca, nei cui confronti, per differenti motivi, anche i romantici italiani non nutrirono altro che un esemplare distacco, non esente da disprezzo. L,antitassismo manzoniano e portiano è, al riguardo, eloquente. Così il saggio foscoliano sembra negativamente risentire da un lato del suo carattere occasionale, dall,altro, e per converso, della necessità di ampliare e motivare il quadro storico del genere, tessendone sinteticamente la storia per sommi capi. Il suo disegno si presenta infatti disorganico, sia dal punto di vista cronologico,

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che da quello della calibratura dei singoli episodi nell'economia generale dello scritto. Anche diseguale appare l'impegno rispetto alle opere e agli autori presi in esame. Del tutto inconsistenti le pagine che trattano del Tassoni, del Forteguerri e del Casti. Relegato ad una funzione scenografica, meramente ornamentale, il Tasso, d'obbligo, si direbbe, in tale parata. Senz'altro più notevoli le parti dedicate al Pulci, al Boiardo e ali' Ariosto, segnatamente quella relativa al secondo (se pure visto attraverso la lente deformante del Bemi), a quella data ancora vittima del trionfo rinascimentale del Furioso. E tuttavia occorre distinguere quanto originalmente spetta al Foscolo da quanto gli deriva invece dalle mature pagine dello Ginguené, cui il Nostro si rifà, oltre che per l'informazione erudita di cui suole, con la consueta tecnica musiva, infiorare il proprio discorso, anche per lo sviluppo, di primaria importanza, del rapporto Boiardo-Ariosto, che, presente quale constatazione di fatto nella precedente tradizione storiografica, aveva trovato nella Histoire littéraire d' ltalie un'ampia e dettagliata trattazione, proficua tanto sul versante boiardesco che su quello ariostesco, nel senso di una più storica caratterizzazione delle peculiarità dei singoli poemi. Ciò che, se limita, non annulla la rilevanza del saggio foscoliano, i cui pregi sembrano piuttosto consistere nell'organico rapporto tra istituti linguistici, materia cavalleresca e struttura del genere, colto nella sezione d'arco (PulciBoiardo) immediatamente precedente la culminazione del Furioso.

NARRATIVE ANO ROMANTIC POEMS OF THE ITALIANS

Prospectus and Specimen of an intended National Work, by William and Robert Whistlecraft, o/ Stowmarket, Suffolk, 1-/artiess and Collar Makers, intended to comprize the most interesting particulars relating to King Arthur and his Round Table.-London, 1818. 2. The Court o/ Beasts, freely translated /rom the Animali Parlanti of Giambattista Casti, a Poem, in seven Cantos. By William Stewart Rose. London. 1819.1 ART. IX.- I.

Giambattista Casti published his Animali Parlanti 2 in 1802: Mr. Rose 3 has therefore taken the most recent narrative poem of the POEMI NARRATIVI E ROMANZESCHI ITALIANI Art. IX. - 1. Prospectus and Specimen of an lntended National Work, di William e Robert Whistlecraft, di Stowmarket, Suffolk, fabbricanti di finimenti per cavalli, inteso a contenere i particolari più interessanti su Re Artù e la sua Tavola Rotonda. Londra 1818. 2. The Court of Beasts, liberamente tradotto dagli A11imali parlanti di Giambattista Casti. Poema in sette canti di William Stewart Rose. Londra 1819.

Giambattista Casti pubblicò i suoi Animali parlanti nel 1802: il Rose ha dunque scelto, come testo su cui lavorare, il più recente dei poemi narra1. La traduzione del Rose era stata pubblicata anonima, per la prima volta, a Londra nel 1816. 2. Animali Parlanti: poema in ventisei canti in sesta rima, nel quale sono adombrate le vicende storiche della Rivoluzione francese. 3. William Stewart Rose(Gundimore [Hampshire] 1775 -ivi 3 aprile 1843). In Italia, dove si era recato nel 1814, conobbe la contessa veneziana Marcella Maria Condulmer Zorzi, alla quale si unì in matrimonio nel 1835. Amico di Walter Scott, Samuel Taylor Coleridge e John Hookham Frere, nel 1824, con una pensione di mille sterline annue, si ritirava a vita privata. La sua fama d'autore è affidata, tra l'altro, alle versioni della Court and Parliament of Beasts (dagli Animali parlami del Casti, 1816 1 , 18191 ), a quella in prosa dell'Orlando innamorato (1823) e poetica del F11rioso (1825-1831). Il Foscolo, che lo aveva conosciuto durante il suo viaggio in Italia, gli dedicò l'Hypercalypsis zurighese (qui, nel tomo 1, pp. 921-1010), sotto il nome di Iulius Richard Worth, e il Rose lo contraccambiò dedicandogli, a sua volta, la libera traduzione dell'opera del Casti.

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Italians as his text-book. On the other hand, the unknown poet1 who comes forward disguised in the working jacket of the Whistlecrafts, has imitated the earliest of the I talian romantic poems, the Morga1zte Maggiore, which was written by Pulci about the year 1470.2 If these two writers wished to employ their talents in copying from Italian models, models, too, very susceptible of improvement, the choice could not have been made with greater judgment. Casti, like most modern Italian writers, is often meagre and diffuse; and the energetic lay of Pulci is stamped with the rudeness and severity of antiquity. Mr. Rose has condensed his originai. The pseudo-Whistlecraft has refined on what he has imitated. But in order to appreciate the Court of Beasts, and the Tale of Ki'ng Artliur, it is absolutely necessary that our readers should be enabled to form a just idea of their Italian prototypes. tivi italiani. Lo sconosciuto poeta che lo segue, celato nei panni dei Whistlecrafts, ha invece imitato il più antico dei poemi romanzeschi italiani, il Morgante maggiore, che il Pulci scrisse intorno al 1470. Se l'intento dei due scrittori è stato quello di impiegare il proprio talento nell'imitazione di modelli italiani, modelli tra l'altro molto suscettibili di miglioramento, la scelta non avrebbe potuto essere più appropriata. Il Casti, come la maggior parte dei moderni italiani, dà infatti nel fiacco e nel prolisso; mentre l'energico canto del Pulci è improntato dalla rudezza e dalla severità dei tempi antichi. E il Rose ha condensato il suo originale, lo pseudo-Whistlecraft ha invece affinato il suo modello. Ma, per poter apprezzare The Court of Beasts e The Tale of King Arthur, è affatto necessario che i nostri lettori abbiano una idea piuttosto esatta dei due originali italiani.

the unknown poet: si tratta del diplomatico John Hookham Frere (London 21 maggio 1769 - La Valletta 7 giugno 1846), noto soprattutto per il poema The A1onks and the Gia11ts e per una traduzione di Aristofane che vide la luce a Malta nel 1839. In una lettera da Turnbridge Wells, 8 maggio 1818, il Frere, a proposito del suo lavoro, scriveva al Foscolo: 11 [ • • • ] in fact the attempt itself originated in reading Ginguené's account of Pulci in which some extracts are inserted as characteristic of bis style, I was so struck with them that though it was late at night when I carne homc and accidentally took up the book I could not go to bed till I had translated them, and for a week after could neithcr think nor dream of any thing but Pulci [...] 11 (Epistolario, VII, p. 319). 2. t/re earliest ... 1470: come è noto, nel 1472 la composizione del Morgante era già avanzata. Nel 1478 iniziarono ad essere dati alle stampe e diffusi i primi ventitré cantari, mentre la prima stampa nota (la cosiddetta Ripolina) risale al 1481. Successivamente ai ventitré canti originali ne venivano aggiunti altri cinque (pubblicati nell'edizione del 1483). 1.

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The narrative poems of the I talians, which in other countries would be ali grouped together as epics, have been classed with great nicety by their litterati. The Orlando Furioso, according to their poetical nomenclature, is their chief romantic, and the Gerusalemme Liberata their first heroic poem. 1 The Secchia Rapita of Tassoni is accounted a chef-d'reuvre in the heroic-comic style. 2 Burlesque poetry is exemplified in the Ricdardetto, 3 and the Animali Parlanti is considered wholly as a satire. The Ultramontani cry out against these subtle classifications, as not existing in nature. We content ourselves with stating the ltalian theory as a matter of fact: and perhaps some other facts which we intend to bring forward may tend to elucidate the question, 'whether it be right or wrong to arrange the different species of poems under distinct names, and according to laws supposed to be essential to each class ?'. It is possible that the Italians may have been compelled to I poemi narrativi italiani, che nelle altre nazioni sarebbero tutti detti epici, sono stati classificati, dai letterati, con molta sottigliezza. L'Orlando furioso, secondo la loro terminologia poetica, è il più importante dei poemi romanzeschi, la Gerusalemme liberata il primo poema eroico. La Secchia rapita del Tassoni è considerata il capolavoro del genere eroicomico. La poesia burlesca è poi esemplata nel Ricciardetto, mentre gli Animali parlanti sono considerati una satira in tutto e per tutto. I critici d'oltr' Alpe protestano contro tali classificazioni minuziose, affermando che non sono affatto naturali. Noi ci contentiamo di enunciare tale italiana teoria cosi come vien data, e chissà che qualche fatto che abbiamo intenzione di produrre non possa risolvere il problema use mai si debba o non si debba classificare i poemi con nomi specifici secondo le leggi considerate essenziali per ciascuno dei loro generi''. È possibile che gli Italiani siano stati costretti

1. Tlie Orlando F11rioso ... heroic poem: la distinzione di poema romanzesco ed eroico, più che alla trattatistica settecentesca (Giovan Mario Crescimbcni, Vincenzo Gravina, Gerolamo Tiraboschi, Francesco Saverio Quadrio, Giovanni Andres), risale a P1ERRE-Lou1s G1NGUENÉ 1 Histoire littéraire d'ltalie, Paris, l\ilichaud, 1811-1819 1 IV, parte II, cap. 111 1 pp. 116 sgg.; e v, parte li, cap. Xlii, pp. 116 sgg. 2. Tlie Secchia Rapita ... heroiccomic st)1le: di Alessandro Tassoni (l\1odena 28 settembre 1565 - ivi 25 aprile 1635). Steso fra il 1614 e il 1615 in dicci canti in ottava rima, nel 1617 constava di dodici canti avendone il poeta inseriti due nuovi, tra il IX e il x. Nel 1622 veniva stampato a Parigi per la prima volta e sotto il falso nome di Androvinci Melisone. 3. the Ricciardetto: di Niccolò Forteguerri (Pistoia 6 novembre 1674 - Roma 17 febbraio 1735). Iniziato nel 1716 e terminato nel 173 s il poema, in trenta canti in ottave, fu pubblicato, dopo aver circolato manoscritto, per la prima volta, con falsa data di Parigi, a Venezia nel 1738.

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sort their epics into families, in order to assist themselves in making way through the multitude: for during the fifteenth, sixteenth, and seventeenth centuries, the narrative poems published in Italy nearly egual in bulk and number the volumes of voyages, and travels and history which have appeared in England during the present reign. Every line of the Animali Parlanti discloses the object of the author. Satire was his only aim. He does not ridicule the religion, or the politics, or the ethics of any peculiar sect or nation; he laughs at all faith, and all patriotism, and all morality; yet his satire has not been always understood: and politicians and partymen have been so simple as to quote the verses of Casti, imagining that the laughers would be on their side. Casti was born in the Papal dominions, about the year 1720. 1 He was a priest and a professor of rhetoric ;2 but he soon quitted his college, and turned his back upon the altar. He rambled through most of the continental courts as a professional bel-esprit. Poor, yet independent, he was the guest of the great; and he died in 1803, full of years, as he was leaving an entertainment. 3 Casti never a suddividere l'epica in diverse famiglie per potersi orientare in quella gran messe, giacché, durante i secoli XV, XVI e XVII, i poemi narrativi pubblicati in Italia per il numero dei volumi e la fittezza delle pagine eguagliano quasi la produzione di libri di viaggi, d'esplorazioni e di storia apparsi in Inghilterra durante il presente Regno. Ogni verso degli Animali parlanti rivela chiaramente che l'intento dell'autore è stato uno soltanto: la satira. Ma il Casti non mette alla berlina la religione o la politica o la morale di una setta o di una nazione presa singolarmente, bensì se la ride di tutte le fedi, d'ogni patriottismo, di qualsivoglia morale. E forse per questo la sua satira non è stata sempre capita, se è pur vero che politici e uomini di partito hanno avuto la dabbenaggine di citare i versi del Casti nell'illusa credenza che coloro che avrebbero riso sarebbero stati dei loro fautori. Il Casti nacque nello Stato Pontificio verso il 1720. Fattosi prete e divenuto professore di retorica, abbandonò presto la scuola e volse le spalle all'altare pregrinando quindi da una corte all'altra d'Europa in qualità di bel esprit di professione. Povero, fu nondimeno indipendente e ospite dei potenti; morì carico d'anni, nel 1803, all'uscita da un banchetto. Il Casti r. Casti ... i7ao: Giovanni Battista Casti nacque ad Acquapendente (Viterbo) il 29 agosto 1724. 2. professor of rhetoric: daU•età di sedici anni, sino al 1764, il Casti insegnò eloquenza nel seminario di Montefiascone. 3. Poor ... entertainment: invitato a Vienna da Giuseppe Il nel 1769, il

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praised any one of the kings and princes who protected him in their turns; but he successively ministered a more poignant treat to their vanity by ridiculing their royal neighbours. 1 As soon as he was out of the reach of the claws of one sovereign, he immediately satirized his discarded patron at the court of another. When his royal protectors read his verses, and enjoyed the satirical portraits of their compeers, they laughed at each other, and the world at large laughed more heartily at them ali. The Casti breed is no rarity in common life; but the individuals who compose it excite little attention, because they do not write, and because they carry on their operations in private sets and circles. They existed in ages less civilized than our own: such was the Thersites of Homer. Awed by no shame, by no respect control'd, in scandal busy, in reproaches bold: mai si è preso cura di tessere le lodi dei principi e dei re che presero a proteggerlo; ridicolizzò invece di volta in volta i regali vicini dei suoi protettori, offrendo di conseguenza un ben più intenso piacere alla vanità di costoro. Prese le necessarie precauzioni perché gli artigli di un sovrano non lo raggiungessero, passava senza trascorso di tempo alla satira di costui, standosene alla corte di un altro. Quando i suoi regali protettori leggevano quei versi, godendo dei satirici tratti con cui venivano dipinti i loro pari, non facevano che ridere reciprocamente uno dell'altro, mentre era poi il mondo intero a ridersela di cuore di tutti loro. Non sono una rarità gli uomini come il Casti nella vita comune, ma generalmente non destano grande attenzione, innanzitutto perché non sono scrittori e poi perché per lo più fan parte di ambienti e di circoli esclusivi. E esistevano anche in tempi meno civilizzati dei nostri: prova ne sia l'omerico Tersite: [••.) il sol Tersite di gracchiar non si resta e Ca tun,ulto, parlator petulante. A\·ea costui di scurrili indigeste dicerie

Casti godette il favore del Kaunitz, accompagnandone il figlio nelle princi• pali capitali d'Europa. Nel 1778 si trasferiva a Pietroburgo, alla corte di Caterina Il, satireggiata nel Poema Tartaro (pubblicato successivamente, in dodici canti in ottava rima, nel 1787), ciò che gli alienò il favore di Giu• seppe II, obbligandolo a lasciare Vienna, dove aveva fatto ritorno nel 1782. Doveva rientrarvi in qualità di poeta Cesareo nel 1790 e restarvi sino al 1796. Dal 1798 alla morte (s febbraio 1803) soggiornò a Parigi e frequentò la famiglia Bonaparte, pur restando sostanzialmente avverso a Napoleone. 1. but Jie ••. ,reigl,bours: ciò che, relativamente a Giuseppe II e Caterina II, non risponde a verità.

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with witty mnlice studious to defame, scorn ali his joy, and laughter all his aim. But chief he gloried, with licentious style, to lash the great, and monarchs to revile. His figure such as might his soul proclaim.-J/. b. ii. 1

Casti was even uglier than the Grecian. Partly through disease, and partly through the doctor, be had lost a picee of his nose, and his palate. He snuffied out his licentious verses: and the unblushing cynical impudence with which he recited his metrica} bawdry, formed a whimsical contrast to his name, and a hideous one to his sacerdotal character, for he never ceased to reckon himself an Abbé, the petit collet being always accepted in continental society as an apology for plebeian extraction. Casti acquired great celebrity by his Novelle Galanti.2 There are few men so graceless as to confess that they have read the book; yet the French and ltàlian booksellers continue to make money by reprinting it in secret. Since the days of Boccaccio, I taly has been infested by works of this description. Yet with the pieno il cerebro e fuor di tempo, e senza e ritegno e pudor le vomitava contro i re tutti: e quanto a destar riso infra gli Achivi gli venia sul labbro, tanto il protervo bcffator dicca. Non venne a Troia di costui più brutto ceffo [...]

li., lib. n

Il Casti era ancor più brutto del suo modello greco: le morbose affezioni che lo affliggevano e gli interventi dei medici gli avevano devastato parte del naso e del palato. Recitava i suoi versi con pronuncia nasale, e la cinica e sfrontata impudenza con cui esponeva la sua oscena rimeria, oltre a contrastare col suo casto nome, stridentemente e odiosamente faceva pariglia col suo atteggiamento sacerdotale: non aveva infatti mai tralasciato di considerarsi un abbé, anche per la ragione che, nella società continentale, il petit col/et è giustificazione indispensabile dei natali plebei. Il Casti divenne famoso con le sue Novelle galanti. Sono pochi i lettori che osano confessare la loro volgarità dicendo di aver letto quel libro, ma i librai francesi e quelli italiani non smettono di arricchire con le ristampe clandestine di quelle novelle. Dai tempi del Boccaccio l'Italia pullula di opere d'un tale genere; eppure non pare che, fatta eccezione appunto

1. JI., n, 250-8 della traduzione del Foscolo (e vedi anche Edizione Nazio• nale, 111, parte I, pp. 294-5 e 364-5; parte 11, pp. 479-84; parte 111 1 pp. 1075-6 e 1450-1), corrispondente a OMERO, Il., 11, 211-6. 2. NotJelle Galanti (1778-1802), quarantotto novelle in ottava rima.

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exception of Casti, and the infamous Aretine, a these authors do not appear to have written with the deliberate intent of corrupting the morals of their readers; and greatly as they have degraded themselves, they only participated in the common pollution of the times. Ariosto only versified the table-talk of the Italian nobles, a) The real name of Aretino, who acquired the epithet of the Infamous, was Pietro Bacci. Another Aretino, Leonardo Bruni, was called 'the Historian'. Both were bom at Arezzo; the historian in 1369 1 1 and Peter the lnfamous in 1492. 2 The bones of the historian rest at Florence, near the remains of Galileo and Michael Angelo. Peter died at Venice, but where he is buried no one knows, or wishes to known. Madame de Stael3 and the Rev. Mr. Eustace4 were ignorant of the existence of the historian, and therefore they imagined they saw the tomb of the infamous Aretine by the side of the tombs of Galileo and Michael Angelo, and they bave moralized thereon. The learned lady and the reverend gentleman saw the tomb of Boccaccio in the same church. lt happens, however, that the tomb is twelve miles off. 5 per il Casti e per l'infame Aretino, gli altri autori abbiano scritto col preciso intento di corrompere la morale dei lettori. Hanno bensì avvilito il loro talento, ma dopotutto altro non han fatto che seguire la corrente della comune degenerazione dei costumi del tempo. E l'Ariosto stesso ~ltro

the historian in r369: Leonardo Bruni (Arezzo 1370 - Firenze 9 marzo 1444). 2. and Peter . .. r492: Pietro Aretino (Arezzo 19 aprile 1492 - Venezia 21 ottobre 1556). 3. La Staèl (vedi qui la nota a p. 1562) in Corinne, or, l'Jtalie, Limoges, Chez Barbou, 1840, tomo 1v, lib. xv111, cap. 111, p. 97, scriveva, a proposito delle tombe di Santa Croce: «[ ...] l'Arétin, cet homme qui a consacré ses jours à la plaisanterie, et n'a rien éprouvé sur la terre de serieux quc la mort. Boccace, dont l'imagination riantc a résisté aux fléaux réunis de la guerre civile et de la peste [...] 11. 4. John Chetwood Eustace (lreland 1762 [ ?] - Napoli I agosto 181 s), al cui Classica[ Tour tlirough ltaly Foscolo si riferisce: vedi più oltre, in Antiquarii e critici, la nota in proposito. 5. TJ,e real name . .. off: vedi anche quanto aveva scritto precedentemente il FoscoLo nelle Lettere dall'lngl,i/te"a (Edizione Nazionale, v, pp. 363-4). - (« Il vero nome dell'Aretino che ebbe l'appellativo di cc Infame", era Pietro Bacci. Un altro Aretino che era Leonardo Bruni, fu detto 10 Storico". Entrambi nacquero ad Arezzo, l'uno nel 1492, l'altro nel 1369. Le ossa dello Storico riposano a Firenze, accanto a quelle di Galileo e di Michelangelo. Pietro morì a Venezia, ma nessuno sa, né vuole sapere dove sia sepolto. l\1adame de Stael e il Rev. Eustace ignoravano l'esistenza dello Storico, e quindi credettero di aver visto la tomba dell'Infame accanto a quelle di Galileo e l\1ichelangelo, rimanendo assai scandalizzati. La dotta Signora ed il reverendo gentiluomo videro anche la tomba del Boccaccio nella stessa chiesa. Si dà il caso che questa invece sia a dodici miglia di U 11). 1.

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nay of the Italian pontiffs. In the 16th century the sp1nt of chivalry was blended with the spirit of licentiousness. A thousand such contradictions may be found in the history of civilized society, and they must be carefully observed by him who wishes to study human nature. The nobles of the court of Elizabeth broke their spears in honour of their royal mistress, or they fought around the fortress of Beauty, besieged, and besieged in vain, by Love, and Wantonness, and Desire. At the same time, Sir John Harrington1 dedicated his version of Ariosto to the Virgin Queen. The loose yet romantic poetry of Ariosto agreed with the manners of the age. The good knight therefore did not scruple to translate the licentious passages of his originai word for word. He professes indeed to apologize for the indelicacy of Ariosto, but the apology is a curious specimen of the mock-modesty which it was then usual for authors to affect. lt may be, and is by some objected, that although Ariosto wrote Christianly in some places, yet in others he is too lascivious, as in that of .. Alasi if this be a fault, pardon him this one fault, though I do not doubt but that too many of you, gentle readers, will be too cxorable on this point; yea, mcthinks I see some of you searching already for those places of the non fece che mettere in versi il conversare abituale della nobiltà italiana e degli stessi alti prelati. Nel XVI secolo spirito cavalleresco e licenziosità convivevano senza scandalo, e a mille si ritrovano similari contraddizioni nella storia della società civile che devono pur essere attentamente vagliate da parte di chi si attenta a studiare la natura umana. Così, mentre i nobili della corte di Elisabetta spezzavano lance in onore della loro regale signora e facevano scudo intorno alla fortezza della Beltà assediata, ma vanamente assediata, da Amore, Dissolutezza e Desiderio, in quello stesso tempo, Sir John Harrington dedicava alla Regina Vergine la sua versione dell'Ariosto. La poesia libera eppur cavalleresca dell'Ariosto ben si conveniva allo spirito del tempo. Quel bravo cavaliere non si fece dunque scrupolo di tradurre parola per parola i passi più audaci del suo autore. Ed è ben vero che si scusa per le licenziosità dell'Ariosto, ma sono giustificazioni che illustrano piuttosto una pretestuosa modestia che gli autori avevano allora la civetteria di affettare. Può darsi, come taluno allega, che sebbene l'Ariosto scrivesse da cristiano in alcuni luoghi, egli riesca in altri troppo lascivo, come in quello ... Ahimè, se questo sia fallo, perdonategli quest'unico suo, sebbene io non abbia dubbio che troppi di \'Oi, gentili lettori, sarete anche troppo facilmente convinti di questo; sl, mi par giù di vedere alcuni

1. La traduzione dell'Orlando furioso di Jolm Harrington (1561 - Kclston 20 novembre 1612), figlioccio della regina Elisabetta I, vide la luce nel 1591 con una Prefazione intitolata An Apologie of Poetrie.

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book, and you are half offendcd that I have not made some directions, that you might find out and read them immediatcly; but I bescech you stay awhile, and as the Italian saith, pian piano, fair and softly, and take this caveat with you, to read them as my author meant them, to breed detestation and not delectation.

We are far from suspecting the 'gentle readers' of our days, like Sir John Harrington: but his apology, as well as his good advice at the end, is fallacious. The tone taken by Ariosto at the opening of the adventure plainly proves that he felt he was somewhat guilty. Y ou ladies, ye that ladies hold in prize, give not (perdie) your eare to this same tale, the which to teli mine host doth here devise to make men thinke your vertues are but small: though from so base a tongue there can arise to your swet sexe no just disgrace at all; fooles will find fault without the cause disceming, and argue most of that they have no learning. Turn o'er the leaf, and Jet this tale alone, if any think the sex by this disgraced, I write it for no spite, nor malice none; but in my author's book I find it placed. My loyal love to ladies all is known, in whom I see such worth to be imbraced, di voi ricercare quei luoghi nel libro, e già vi sentite un poco irritati che non v'abbia dato qualche indizio per cui li possiate trovare e leggere immediatamente, ma vi supplico, posate un momento~ e come l'italiano dice pian pi'ano, accogliendo questo avviso, leggeteli 1econdo intese l'autore. per provarne ripugnanza e non diletto.

Noi siamo lungi dal sospettare i ..gentili lettori" dei nostri giorni, come faceva Sir John Harrington: e ci corre di dire che la sua apologia come i suoi buoni consigli finali sono alquanto sofistici. Il tono stesso con cui I'Ariosto stesso dà inizio ad una delle avventure che sta per narrare, è la prova manifesta che si sentiva un poco colpevole: Donne. e voi che le donne avete in pregio1 per Dio non date a questa istoria orecchia. a questa che l'ostier dire in dispregio e in vostra infamia e biasmo s'apparecchia: ben che n6 macchia vi può dar n6 freaio lingua si vile, e sia l'usanza vecchia. che 'I volgare ignorante ognun riprenda e parli più di quel che meno intenda. Lasciate questo canto, ché senz'esso può star l"istoria, e non sarà men chiara• .Mettendolo Turpino 1 anch'io l'ho messo, non per malivolenzia né per gara: ch"io v1 ami 1 oltre mia lingua che l'ha espresso, che mai non fu di celebrarvi avara,

SCRITTI LETTERARI that theirs I am, and glad would be therefore to shcw thcrcof a thousand proofcs and more. Peruse it not; or if you do it read, esterne it not, but as an idlc bable; rcgard it not, or if you take some heed, be lieve it not, but as a foolish fable. 1

This is a very pleasing specimen of the happiness of the old translator. The originai is equally characteristic of the jocundity of Ariosto. lt must be recollected that his errors are somewhat more venial than they would have been, had he Iived in the present age. We cannot judge of ancient decency by a modern standard. The Queen of Navarre imitated the Decameron; 2 and Boileau, the stern guardian of public morals, drew a parallel between La Fontaine3 and Ariosto, and invited the French public to the perusal of an indecent novel. 4 Such levity, to give it no harsher name, could n'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro ch'io son, né potrei esser se non vostro. Passi chi vuol tre carte, o quattro, senza leggerne verso, e chi pur legger vuole gli dia quella medesima credenza che si suol dare a finzioni e fole.

È codesto un bell'esempio della felicità dell'antico traduttore, come l'originale bene rappresenta la caratteristica giocondità dcli' Ariosto, i cui "errori" sono poi più veniali di quanto non lo sarebbero se fosse vissuto ai giorni nostri. Non è infatti possibile giudicare del senso della decenza degli antichi secondo la sensibilità di noi moderni. La regina di Navarra imitò il Decamerone, e Boileau, l'austero censore della morale pubblica, scrisse un parallelo tra La Fontaine e l'Ariosto e sollecitò il pubblico francese a leggere una novella indecente. Tanta leggerezza, per dirla eufemi1. Orl.fur., XXVIII, st. 1-2; st. 3, 1-4. Il testo di questi versi dato nella traduzione a piè di pagina, è ripreso da una nota apposta all•originale inglese. 2. The Queen .•• Decameron: Margherita d,Angouleme, regina di Navarra (Angoulème 11 aprile 1492 - Odos - en Bigorre 21 dicembre 1549) con l'Heptameron imitò il Boccaccio. Francis Cohen, autore della traduzione inglese del presente saggio, in calce all'originale francese del Foscolo (vedi Edizione Nazionale, x1, parte 11, p. 12 1 riga 3: 11 La Reine de Navarre traduisoit Boccacce») segnalava infatti: cc No, she imitated him ». E la correzione fu accettata e inserita nel testo della cc Quarterly Review », 3. Jcan de La Fontaine (Chateau-Thierry [Champagne] 8 luglio 1621 - Paris 13 aprile 1695), nella fattispecie citato per le Nouvel/es en vers tirées de Boccace et de l'Arioste (1665), cui fece seguito la De11xième partie des Co11tes en vers (1666) e Contes en vers, troisième partie (1671). Surrettiziamente, e di tono più licenzioso, nel 1674 videro la luce i Nouveaux corrtes, di cui il 5 aprile veniva impedito lo smercio per intervento del luogotenente di polizia. 4. and Boi/eau • •. indecent nove/: nel 1688 un editore olandese aggiunse ai

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not now be tolerated. We may or may not be purer in our morals than our ancestors were; but it is quite evident that our taste is more chaste. I t therefore becomes the duty of every writer to avoid offending delicacy; and if he sins against the feeling of the age, the genius which he prostitutes will not redeem him from contempt. The turpitude of Casti is rendered stili more conspicuous by another circumstance. He wrote at a period when moral feeling was just dawning in ltaly; and this feeling he laboured to extinguish. He does not wanton like Boccaccio or Ariosto; he spits his venom at virtue and religion, seeking to degrade them, as the sole expedient by which he can palliate his own immorality. Had Casti's morals been correct, he might bave been denominated a wit, 1 according to the true import of the term. His common conversation resembled the dialogues of his comic operas. Of these he composed but few; and they are the only ones of which the text pleases sticamente, oggi non sarebbe tollerata. Sia più o meno profondo di quello dei nostri predecessori, il nostro sentimento morale, il nostro gusto è chiaramente più castigato. Non recare offesa al sentimento del pudore è quindi dovere di ogni scrittore, per cui se pecca contro la sensibilità del suo tempo, non gli basterà il genio, che in tal modo avvilisce, a salvarlo dal pubblico dispetto. La turpitudine del Casti è poi resa ancor più cospicua da un 'altra circostanza: scrisse infatti in un periodo in cui un nuovo sentimento morale stava nascendo in Italia, e fece egli di tutto per soffocarlo. Non si tratta di scherzose licenze, come in Boccaccio o nell'Ariosto; il Casti sputa vero veleno sulla religione e sulla virtù, col proposito di vituperarle, giacché è questo l'espediente di cui dispone per scusare l'immoralità sua propria. Se il Casti avesse posseduto un sentimento morale meno corrotto, egli sarebbe stato quel che dicesi un wit, con quel che significa rotondamente questo termine. I dialoghi delle sue opere buffe rispecchiano la sua abituale conversazione: ne scrisse poche ma sono pur le sole composizioni in cui, senza accompagnamento musicale, il puro testo offre

Contes et Nouvelles en vers de M. DE LA FoNTAINE una Dissertation sur Joco11de, anonima. Attribuita a Nicolas Boileau (Paris I novembre 1636 ivi I J marzo I 71 I), essa tratta dei meriti di due traduzioni dell'episodio ariostesco (Ori. fur., xxv111) 1 rispettivamente dovute al poeta Bouillon e a La Fontaine. La dissertazione fu restituita a Boileau dal Brossette nell'edizione delle opere di quello nel 1716. Va tuttavia ricordato che nella decima Satira (1694), il Boileau definì Joconde: "Un conte odicux » (v. 52). Dello scritto del Boileau tratta P. - L. G1NGUENÉ, op. cit., IV, parte 11, cap. VIII, pp. 431-2. 1. wit: termine che sta ad indicare l'uomo d'ingegno, il bel esprit: in questo senso l'O:\.ford E11g/ish Dictio11ary registra esempi fin dalla fine del XVII secolo (n.d.t.).

SCRITTI LETTERARI

without the fiddle. King Theodore is a master-piece. The subject is taken from Candide; but Casti enhanced the humour of Voltaire's outline, by introducing certain traits which he had copied from nature, from a contemporary monarch, 1 more remarkable for his quixotism than his power; and whose character, according to his usual practice, he had studied with the intention of turning him into ridicule when the good time should arrive. He made just as free with the great names of antiquity. In an opera buffa, entitled Catilina, he plays the fool with Cicero and Cato. This opera has never been published; but we venture to prophesy that it will soon be given to the world. 2 There are a great many pretended apostles of truth, who maintain that our happiness is promoted by dispelling all illusions, even those which incline us to believe that human nature has been ennobled by its virtues: some of these will print the Catilina of Casti. After amusing himself with kings in comedy and heroes in gratificazioni. Il Re Teodoro è in specie un capolavoro. L'argomento è tratto dal Candide, ma il Casti ha rafforzato lo humour del disegno volterriano aggiungendovi tratti presi dal vivo, còlti in un monarca contemporaneo più famoso per le sue caratteristiche di Don Chisciotte che per il suo potere. E questo personaggio, come gli accadeva, l'aveva studiato attentamente con l'intenzione di farlo oggetto del suo riso, non appena l'occasione gli si fosse presentata. La stessa libertà egli si è preso con i grandi dell'antichità. NelJtopera buffa intitolata Catilina ride alle spalle di Cicerone e di Catone; l'opera non è stata ancora pubblicata, ma siamo in grado di poter predire che il mondo ne avrà presto contezza. Sono numerosissimi quei falsi apostoli della verità che predicano che col dissiparsi delle illusioni, e in specie di quelle che inducono a credere che la virtù giovi a far nobile la natura umana, s'accrescerà la felicità nel mondo: ebbene, qualcuno fra costoro darà alle stampe il Catilina del Casti. Dopo essersi divertito con i re nella commedia e con gli eroi nella tragedia,

1. contemporary monarch: nelle peripezie di Teodoro di Neuhoff. sono infatti adombrate le vicende di Gustavo di Svezia. 2. 0/ these he composed ... world: per la musica di Giovanni Paisiello il Casti scrisse Lo Sposo burlato, rappresentato a Pietroburgo nel 1779, e il Re Teodoro ;,, Venezia, rappresentato a Vienna nel 1784. Per la musica di Antonio Salieri La Grotta di Trofonio (1784). Prima la musica poi le parole (1785) e, dal canto Xl del Poema Tartaro. il Kublai Gran Can de' Tartari (1786), mai rappresentato. Nel 1792 compose la tragicommedia Cati/ì,ia. parodia del Voltaire. anch'essa mai rappresentata. Inoltre alla Biblioteca Nazionale di Parigi si conservano. tra i manoscritti del Casti, i seguenti libretti: Orlando furioso, Rosmunda, Teodoro in Corsica e fincompiuto Bertoldo.

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tragedy, he renewed his satires upon royalty in the person of Catherine the Second; with whom he made free in a very long poem entitled Tartaro.• Casti succeeded the Abbate Metastasio as Poeta Cesareo, 2 and lived at Vienna in high favour with Joseph the Second, who used to set him on against the monks and friars. When the Poema Tartaro appeared the Emperor Joseph was on very ill terms with the Empress Catherine; but when each had got a slice of the kingdom of Poland, 3 they made up their differences. The Czarina insisted that the Poeta Cesareo should be turned away; and Casti was banished from Vienna :4 but the Emperor directed that the poet's pension should continue payable during the remainder of bis life. 5 Casti, with a spirit which would have honoured a better man, refused the gift, and when Joseph remitted the money to him, he would not touch it. 6 The pecuniary losses consequent upon the publication of the Tartaro were not made up in fame. Foreigners did not relish it, and the Italians did not understand it; for they knew nothing of the court of St. Petersburgh beyond what they read in the newspapers. Neither did it add much to ltalian il Casti riprese la satira della sovranità nella persona di Caterina Il, che tratta alla buona in un lungo Poema Tartaro. Il Casti era succeduto, in qualità di poeta cesareo, all'abate l\1etastasio e viveva a Vienna, godendo del pieno favore di Giuseppe II che di lui si giovava per mettere in berlina monaci e frati, e quando il Poema Tartaro apparve, i rapporti tra l'imperatore e Caterina imperatrice erano pessimi. Sennonché, a rappacificazione avvenuta, subito dopo che entrambi si presero una fetta di Polonia, la zarina insistette perché il poeta cesareo fosse allontanato dalla corte. Il Casti fu così bandito da Vienna. Tuttavia l'imperatore diede ordine che la pensione di poeta cesareo gli fosse pagata vita natural durante. Il Casti allora, con un gesto che avrebbe fatto onore anche a un uomo migliore, rifiutò il dono e non volle saperne di toccare il danaro inviatogli da Giuseppe Il. Né la fama lo compensò delle perdite che la pubblicazione del Poema Tartaro gli aveva procurate: gli stranieri non l'apprezzarono, né gli Italiani erano in grado di capirlo poiché della corte di San Pietroburgo non sapevano più di quanto leggessero nelle gazzette. Né il poema aggiunge molto alla let1. long poem . .. Tartaro: vedi la nota 3 a p. 1570. 2. Casti • •. Cesareo: il Metastasio morì nel I 782, e il Casti ottenne la propria nomina solo nel 1790. J. Whe11 . .. Poland: il Casti si recò in Russia nel 1778, dopo la prima spartizione della Polonia tra Russia, Prussia ed Austria (1772), mentre la seconda, tra Russia e Prussia, venne attuata nel 1793. 4. The Czarina ... Vie1111a: vedi la nota J a p. I 570. 5. but tlie Emperor .•• life: il Casti fu allontanato dalla corte di Vienna in seguito alla pubblicazione del Poema Tartaro (1787), e dotato di 300 zecchini per il viaggio. 6. Casti ••• touch it: l'episodio non è altrove attestato.

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literature. The style is unimpassioned, and the diction without grace or purity. But the poem abounds with point, and it succeeded amongst certain readers, in the same way that small wits take in society. They amuse for a moment because they flatter the bad passions of the human heart, and they end by becoming tedious. Casti employed the last years of his life in the composition of the Animali Parlanti. He had been an acute observer both of the follies of the multitude and of the absurdities of their rulers; and he brings his knowledge in full play against mobs and courtiers, against the sottishness of the demagogue and the ravings of the tyrant. Professing to be a lover of liberty, he mocks at popular freedom as a thing which cannot exist in reality: he attacks monarchy and religion with less ambiguous irony, but always by insinuating that it is impossible to change the nature of the human species; and that man is created to be ever bulli ed by the strong, and cheated by the crafty. Yet what is the result of such principles? They cause the multitude to lose themselves in Pyrrhonism, or to sink in the 'slough of despair' ; and no situation can be more productive of wretchedness to the individuai, and of mischief to society at large. Ridicule is not so powerful a weapon against tyranny as it is usually su pposed to be. A nation accustomed to laugh at every thing is exactly that which a government teratura italiana, freddo com'è nello stile, priva inoltre la lingua di grazia e di purezza. Tuttavia è ricco d'arguzia e godette del favore di alcuni lettori; fu un successo simile a quello che in società riportano gli small wits che per un po' divertono, abili come sono nell'adulare le tendenze maligne del cuore umano, ma che alla fine diventano noiosi. Casti passò gli ultimi anni della sua vita a comporre gli Animali parlanti. Acuto osservatore qual era delle follie delle nazioni e delle assurdità di chi le governa, egli si giova di tutta la sua acquisita esperienza per attaccare la plebe e la corte, la stupidità del demagogo e i deliri del tiranno. Fa professione d'amar la libertà, ma dell'idea di una libertà popolare ride come di cosa che non possa ottenere concreta realtà. Con diretta ironia attacca monarchia e religione, ma va pur sempre insinuando che è impossibile mutare la natura dell'umana specie, fatta per subire la tirannia di chi è più forte e patire l'inganno dei più astuti. Da tali principi cosa può avanzare? Non altro che una sorta di pirronismo in cui i più finiscono, cadendo in una "indolente disperazione", stato più di ogni altro capace di rendere l'individuo a un infelice naufragio di sé e la società in generale a una funesta e maligna condizione. Ma l'arma del ridicolo non è poi così potente contro la tirannia, come si suol credere: i popoli che ridono di tutto sono poi quelli che dai loro governanti sono più impunemente offesi. Così nel mentre

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may insult with the greatest impunity. At the time when Didot printed the Animali Parlanti, and when the military court of King Lion amused the Parisians, Buonaparte proclaimed himself consul for life. • In the name of Liberty and Equality he surrounded himself with ali the giare of monarchy, and he summoned round him those praetorian bands which were soon to be transformed into the imperial guard. Casti's poem is an Aesopian fable spun out into three volumes. In a short apologue, the fiction which gives speech and reason to animals is accompanied by a sort of propriety and probability; they are made to express themselves conformably to their nature and their habits. The contrast between the practical wisdom of animals and human folly is impressive; we feel that the example may be applied to us: our curiosity is roused by the allegory, and our reason is satisfied when we discover the truth which it veils. The charms of the apologue appear to arise from these causes, but if they do not act simultaneously, rapidly and gracefully, the pleasure is lost. Friend Bee, exclaimed a Fly, pray teli the means you use to look so well? With a mere scanty summer fare Didot stampava appunto gli A,rimali parlanti e nel mentre la corte militare di Re Leone divertiva i parigini, il Bonaparte si proclamava console a vita, e in nome della Libertà e della Uguaglianza si circondava del fasto delle corti monarchiche, raccogliendo intorno a sé quelle bande di pretoriani che presto si trasformarono negli uomini della Guardia Imperiale. Il poema del Casti è propriamente una favola esopiana che si dilunga in tre volumi. In un breve apologo, quella finzione che dà voce e intelligenza agli animali ci colpisce per l'apparente naturalezza e verisimiglianza: si esprimono secondo la loro natura e le abitudini che loro riconosciamo, per cui il contrasto tra la pratica saggezza degli animali e l'umana follia veramente ci sorprende, e altrettanto bene ci calza. L'allegoria stimola felicemente la nostra curiosità e quando rivela la verità nascosta, la nostra ragione è ovviamente soddisfatta. Questo è il fascino dell'apologo, ma se tali cause non intervengono simultaneamente, con la rapidità e il garbo richiesti, il piacere è perduto: Ape cara, chiese la mosca, vuoi tu dirmi come fai a mostrar si buono aspetto? Ti basta poco cibo nell'estate

1.

Buonaparte • •• life: nel maggio del

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SCRITTI LETTERARI you're fat and sleek throughout the year, whilst we. who eat much more than you, can never live the winter through. Wc Bees, replied the other, eat the sweetest 1 most delicious meat. whilst you, and ali the race of Flies, will feast on every dog that dies. 1

Whatever moral may be appended to our little fable, it has tbe characteristics wbicb are indispensable in tbis species of composition. In the poem of Casti tbe cbaracter of the fable is exactly tbe contrary. Tbe animals do not occupy tbemselves according to their real babits; tbey are introduced as actors in political scenes, and placed in situations for wbich nature never intended tbem. Tbey debate about laws with which they bave nothing to do, and they prate about the pope and tbe mufti, although tbey do not want any one to take care of their souls. Tbe fiction is destitute of probability. King Lion is a despot; Queen Lioness is no better tban she should be, and betrays ber husband into ad esser grassa e liscia tutto l'anno, e noi, mangiando di te più assai, mai non possiamo sorpassar l'inverno. Ma noi - l'ape rispose - noi mangiamo soli i più dolci cibi e prelibati, mentre tu, come ognuna delle mosche. ti fai tuo cibo d'ogni can che muoia.

Qual sia la morale che si ricava dalla breve favoletta, le caratteristiche essenziali che in tal genere di componimenti si richiedono, vi compaiono tutte. Ma nel vero e proprio poema che segue, tale favolistico carattere è invece capovolto. in quanto gli animali non più si comportano secondo la loro indole verace, ma son fatti invece attori di una scena politica dove agiscono entro situazioni per le quali la natura non li ha di certo configurati. Discutono di leggi che non si addicono assolutamente a loro, blaterano del papa e del muftl ancorché non desiderino che alcuno si prenda cura delle loro anime. L•invenzione perde così verosimiglianza. Re Leone è un despota; la Regina Leonessa né più né meno di quel che è una regina con 1•aggiunta

1. Nota C. FOLIGNO: « La versione inglese della favola è del Hobhouse, il quale, a richiesta del F., la tradusse e gliela fece avere con la lettera dell'8 aprile 1819; cfr. VINCENT, Byro11, Hobhouse and Foscolo cit. [Cambridge, University Press, 1949] 1 pp. 99 e 101. La favoletta risale a quella di Esopo ricordata in Gazzettino del bel mondo cit., n. 12 (3), nel voi. v di questa Ediz. Nazion., p. 447 » (Edizione Nazionale, Xl, parte 11. p. 19 1 nota a). Diamo la versione italiana di questi versi secondo il testo offerto dalla redazione francese dell'articolo (Edizione Nazionale, loc. cit., p. 18).

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the bargain. Cub-Lion is a stupid 'crown prince'; the Dog preaches democracy, and sells himself to the ministry; Jack Ass becomes prime minister, and so on. After we have made out this fine-drawn allegory the spirit of the poem flags. It could only have been sustained by inducing us to take an interest in the actions of the personages; but their actions can excite none: they are mere abstract ideas, merely the generalizations of the characters of despots, and ministers, and courtiers. The events of the time gave a literary importance to the poem, which it lost when those events lost their novelty. Every body endeavoured to recognize a leading personage of the day in the disguise of some one brute or another. Occasionally right guesses were made. But the allusions of Casti begin even now to become enigmatica!. In the course of half a century no creature will be able to expound them without the help of a commentary; and the commentators, as usual, will work to no purpose, because many of the characters are persons whom history will forget; and those whose actions deserve the notice of posterity will certainly not be judged according to the malignant caricatures of the satirist. At the time of the publication of the Animali Parlanti, Buonaparte had put an end to the revolutionary struggles between parties and factions, but he had not silenced them. They busied themd'essere adultera. Il Piccolo Leone un coronato principino stupidello. Il Cane poi predica la democrazia, ma si vende al governo; Messer l'Asino diventa primo ministro, e così via. Ma scoperto che sia questo disegno allegorico, lo spirito del poema si illanguidisce. Il poema non regge perché le azioni di quei personaggi non ci possono avvincere, prive di interesse come sono, in quanto sono ridotte a mere astrazioni, alle generiche illustrazioni dei soliti despoti, ministri e cortigiani. Se gli eventi del tempo diedero rinomanza letteraria al poema, questa s'estinse non appena quegli avvenimenti ebbero fatto il loro tempo e più nessuno fu stimolato a riconoscere sotto il pelo dei diversi animali i personaggi in vista di quei giorni; e non di rado azzeccavano; ma ora le allusioni del Casti cominciano a farsi enigmatiche anche per noi, e da qui a cinquant'anni, senza l'aiuto di qualche commento, nessuno sarà più in grado di intenderle. Ma come spesso accade, i commentatori lavoreranno nel vuoto giacch~ molti di quei personaggi non son degni che la storia s'interessi a loro, mentre quelli che ne son degni non saranno poi giudicati secondo le maligne caricature dell'autore. Gli Animali parlanti apparvero allorché il Bonaparte aveva messo fine alle contese dei partiti e delle fazioni rivoluzionarie, senza tuttavia aver fatto sì che il silenzio calasse sulle ultime dispute. Da una parte e dalJtal-

SCRITTI LETTERARI

selves in disputing whether Buonaparte was bound to maintain the republic, or whether he had the right of re-establishing the monarchy. Casti kept clear of all subtle reasoning. In politics the war of words has tluee stages which succeed each other at short intervals. At the outset of a revolution, disputes increase its fury, and they are too serious to admit of pleasantry: but when one faction has gained the victory, the conquered continue skirmishing in print, and the conquerors laugh at their arguments and lamentations. Thus Butler1 ridiculed the presbyterians and the independents when the civil wars had ceased; and Casti, whether by chance or by design, profited, in like manner, by the interval of peace. Lastly, the generation which has beheld a revolution, drops off; the political disputes and arguments which agitated the combatants are buried in their graves; and the fame of political or party poetry will then depend upon its intrinsic worth. Casti bantered ali parties alike; and this boldness contributed greatly to the success of the poem. When Buonaparte became an emperor he suppressed the French translation, and prohibited the tra si disputava se il Bonaparte avesse il dovere di conservare la repubblica o se invece avesse il diritto di ristabilire la monarchia. Casti si tenne fuori da tali ragionamenti sofistici. La guerra delle parole, in politica, attraversa tre stadi che rapidamente si susseguono: allo scoppio di una rivoluzione le dispute infuriano, ma sono di solito troppo funeste per lasciar adito a delle piacevolezze; una fazione è poi vincitrice e allora i vinti continuano le loro schermaglie a mezzo della stampa, mentre i vincitori se ne ridono degli argomenti e dei lamenti di quelli. Alla fine delle guerre civili tra Indipendenti e Presbiteriani, in tal modo li metteva il Butler in ridicolo, e lo stesso fece il Casti che, sia stato calcolo o caso, approfittò in quello stesso modo di un intervallo di pace. E infine la generazione che hn vissuto una rivoluzione sparisce; le dispute e le polemiche politiche che agitarono i combattenti scendono con loro nella tomba, per cui alla poesia politica e a quella di parte a serbarne la fama penserà solo il suo intrinseco valore. Il Casti s'era invece preso gioco d•ogni causa e partito, e fu proprio questa sua impudenza a creare il successo del poema. E quando poi il Bonaparte divenne imperatore e soppresse la versione francese del poema impedendo 1. Samuel Butler (Strensham (Worcester] febbraio 1612 - Covcnt Garden [London] 25 settembre 1680). Il primo volume del poema eroicomico in metro ottosillabico Hudibras, cui il Foscolo allude, avente per soggetto le avventure del presbiteriano Hudibras e del suo scudiero Ralpho, uscì nel 1663, anonimo. La seconda parte Panno appresso e la terza nel 1678.

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reprinting of the originai in ltaly; this 'coup de police' reminded the people of the existence of a satire which they had almost forgotten. The poetry of Casti is poor and spiritless; he never paints, he describes. We shall hereafter explain the meaning which we affix to these words. He treats upon his subject, and it seldom happens that a sentence of his rhymed dissertations remains fixed in the memory of the reader. His jokes are destitute of urbanity, his expressions of propriety, and there is no variety of harmony in his verse. He employed the sesta rima, 1 a system of versification which, not being as short, or linked as closely as the terza rima2 of Dante, conveys the ideas of the poet with less energy. The ottava rima,3 the stanza of Ariosto, seems less monotonous because its cadences recur at longer intervals; and its length assists the development of poetical imagery. No one but Casti ever adopted the sesta rima in a long poem. It is an easy measure, agreeing with the garrulity of old age, and well adapted to one who wishes to gossip in verse, and whose enfeebled faculties cannot sustain much mental labour. Casti drawls, and he attempts to gain the altresì la ristampa dell'originale in Italia, fu proprio questo coup de police a ricordare ancora al mondo l'esistenza di una satira che aveva pressoch~ dimenticato. Tuttavia la poesia del Casti è povera e senza stile; non dipinge mai, descrive solamente; e meglio spiegheremo in seguito il significato di queste due parole. Argomenta e discute, ma è poi raro che una sola sentenza delle sue rimate dissertazioni si imprima nella memoria del lettore. Le sue facezie sono grossolane, e. ineleganti i suoi giri espressivi, senza armonia i versi assai monotoni. Ha impiegato la sesta rima, un metro che, non essendo breve e concatenato come la terza rima dantesca, toglie forza alle idee del poeta. Meno monotona è invece l'ottava rima, impiegata dall'Ariosto, perché qui la cadenzo fruisce di più lunghi intervalli idonei al pieno sviluppo delle immagini poetiche. D'altra parte nessuno prima del Casti ha adottato la sesta rima in un lungo poema: una misura facile, che si conviene al cicaleccio dei vecchi e al pettegolezzo in versi, una misura per chi non ha più vigore mentale sufficiente per le fatiche dell'arte. La sua poe-

1. sesta rima: strofa di sei versi endecasillabi, di cui quattro a rima alterna, il quinto e il sesto a rima baciata. 2. terza rima: l'effetto cioè di stretto aggancio derivante dal legame di rima fra il secondo endecasillabo della terzina e il primo della terzina seguente. 3. ottava rima: strofa di otto versi endecasillabi, di cui sei a rima alterna, il settimo e l'ottavo a rima baciata. 100

SCRITTI LETTERARI

semblance of vigour by the help of points and epigrams: but he resembles a withered beauty who flirts in the dance, exciting sensations which are at once ludicrous and mournful. Mr. Rose speaks too modestly, we might almost say that he misleads his readers, in producing his Court of Beasts as a translation from the Animali Parlanti. In his introduction he apologizes for the liberties which he has taken.-'I bave let go', he says, --'my author's skirt whenever he has plunged through filth and dirt' . 1

And he has condensed the twenty thousand lines of his originai in seven hundred English verses. 2 Mr. Rose is too well acquainted with the classical authors of Italy not to despise the coarseness with which Casti burlesqued Aesop: but we regret that Mr. Rose has followed the measure of Casti instead of employing the stanza of the older poets. 3 However, he has purified his satire. He has omitted whatever might offend delicacy, 'in rejecting the gallantries of the Lion court, and whatever is or might be considered as a satire on a subject on which the public has a right to be sia avanza strascicando e tenta di sostenersi con l'aiuto delle arguzie e degli epigrammi: ma suscita piuttosto il ricordo di una appassita civetta che ancora s'abbandona alla danza, motivo a un tempo di riso e di pietà. Il Rose infine è troppo modesto e diremmo che fa torto ai suoi lettori quando asserisce che la sua Court of Beasts è una traduzione degli Animali parlanti. Nell'introduzione si scusa delle libertà che si è preso. - a Ho tralasciato D egli dice u la veste del mio autore, ogniqualvolta nel sudicio e nell'osceno se l'è imbrattata». L'originale poi di ventimila versi lo ha condensato in settecento. Il Rose è troppo buon conoscitore dei classici italiani per non sentir dispetto della rozzezza con cui il Casti mette in parodia Esopo, ma ci rammarichiamo ch'egli abbia tuttavia seguito lo schema metrico del Casti piuttosto che ricorrere alla stanza di più antichi poeti. La sua satira è però riuscita del tutto purificata, avendo omesso quanto poteva offendere il pudore, « col rifiuto delle immoralità della Corte di Re Leone e di tutti quei luoghi satirici o apparentemente tali che toccano sentimenti di cui il pubblico ha diritto di esser geloso». Non sappia-

The Cou,t of Beasts, London, Murray, 1819 1 st. s dell'Introduzione. 2. And he ... English tJerses: nota C. FOLIGNO: 11 Il conteggio è certo errato, i versi del poemetto son 1700 più sci dell' EntJoye » (Edizione Nazionale, XI, parte 11 1 p. 25 1 nota b). 3. the stanza • •. poets: cioè l'ottava rima. 1.

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jealous'. We do not know whether he has introduced any politica( anecdotes; but he never adopts the principles of any party in politics, though he often amuses himself at the expense of partymen. The eloquence of the Mob of Beasts is copied from real life. The Tyger first was put in nomination: his tait, pied coat, the lightning of his pat, but for the Dog's insidious intimation, had told. 'But he- he's after all a cat, a better breed of cat'. Here lay the sting, for who is there would choose a cat for king? A mountain democrat propos'd the Bear: on this the Dog: 'I honour his long pole; 1 I own him first jack-pudding of the fair; a rogue in spirit, while he plays the droll. But shall we choose a king, to make us laugh, and change the sceptre for the ragged staff?'. 2 To him the Bear. 'Who better plays his part on this wide stage, it matters not two grains, I a buffoon by nature, you by art, mo se egli avesse qualche mira politica, ma non va illustrando di certo i principi di alcun partito politico, ancorché sovente si diverta alle spalle degli uomini di parte. L'eloquenza che scorre tra il Popolino delle Bestie pare colta dal vero : Per primo il Tigre venne messo ai voti e la sua coda, il manto a strisce, la fulminea zampa l'avrebbero spuntata, se l'intimidazione insinuante del Cane non fosse intcn·cnuta: • Di razza superiore certo, ma non è infine più che un gatto•. E qui stava la frecciata, pcrch6 chi mai un gatto si vorrebbe per re? Un montagnardo democratico propose l'Orso; al che il Cane: • Al suo lungo palo m'inchino, e riconosco eh 'egli è il più grande buffone della fiera, un gran furfante vestito da pagliaccio. Ma dobbiamo sceglierci un re perch~ ci faccia ridere? e scambiarne lo scettro con una rustica mazza ? •. E l'Orso a lui: • Chi sia il miglior Bttore su questa vasto scenB non importa un fico, se io per natura pagliaccio e tu per arte, ma se fallisci tu, non sarà perché non ti ci sei consuma-

his long pole: nei combattimenti del bear-baiting un orso veniva attaccato per una zampa o per il collo ad un'asta (po/e) e gli venivano scagliati contro i cani. Questo tipo di divertimento, in auge nel XVI secolo, fu messo permanentemente fuori legge dn un atto del Parlamento, nel 1835, a causa dell'eccessiva crudeltà. Gli spettacoli di solito si svolgevano di domenica in arene apposite chiamate bear garde11s. L'uso era comunque andato declinando dalla fine del XVII secolo. Una nota di costume: T. B. l\llACAULAY, nella sua History of E11gland, 1, 161 (1849), afferma: a:The Puritan hated bear-baiting not becausc it gave pain to the bear, but because it gave plcnsure to the spectators » (n. d. t.). 2. ragged staff: l'orso rampante incatenato al bastone nodoso compare nell'emblema dei duchi di \Varwick (citato esplicitamente in SHAKESPEARE, Enrico VI, parte 11 1 a. v, se. 1, 203-4) (n. d. t.). 1.

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SCRITTI LETTERARI at least you will not fail for want of pains'. Although the assembly laugh at Bruin,s sally, the barren jest procured him not a tally. The previous sarcasm on the Bear's unfitness laid the foundation of eternai hate. Though Hockley1 is no more, you still may witness th' effect in sore and sanguinary bait. The Bull was next expos,d to nomination, with many more brute beasts of straw and lath, successively rejected in rotation; and last the Mule, oh! teli it not in Gath! 2 put up tbe Ass 'mid laugbing, scraping, A.eering, but be was hooted off on half a bearing. My Ass, console thyself; the time is coming, when thou, blest beast, like Dog shalt bave thy day; wben kings, thy grave and modest merits summing, council and court shall echo to thy bray, and puissant peers thy proud pretensions own, and thou be held best bulwark of the throne.J

His allusions to the foibles of individuals are poignant without being ill-tempered. In complaining of the frivolousness of society, and the ennui of a town life, be makes us smile at the vacant indolence of a lounging man of letters. If the cap fits any one of our friends in particular, they must take their share of the verse to •· Rise ben l'assemblea a un tal motto dell'Orso, ma, sterile arguzia, non gli valse un punto. Solo, il sarcasmo del Cane all'inettitudine dell'Orso fu il fondamento di un odio sempiterno. E se pur Hockley non è più, gli effetti di quell'odio puoi ancora vedere in ferite e sanguinolente esche. Ad affrontare il voto vennero poi il Toro ed altre più brutte bestie da strame e da frusta, una dopo l'altra tutte rifiutate. E il Mulo finalmente, ohi, non lo dite in Gaza, tra risa, sbeffi e stropiccii, propose il Ciuco che venne nel bel mezzo a fischi rimandato. Consolati, mio Ciuco, la tua ora verrà quando, o bestia benedetta, il tuo gran giorno come il Cane avrai. Terranno allora in considerazione i re i tuoi gravi e modesti pregi, ed eco avranno nel Consiglio e a Corte i ragli tuoi, e i potenti pari ammetteranno le Ne aloriose pretese, e il miglior baluardo del trono sarai considerato.

Le allusioni del Rose alle debolezze umane sono assai pungenti, ma non sono mai velenose. Quando denuncia le assurde frivolezze della società e la noia della vita cittadina, ci porta a sorridere della vacua indolenza di un uomo di lettere. Se il ritratto è la copia di qualcuno dei nostri amici,

1. Hockley: probabilmente uno dei luoghi in cui si svolgevano i combattimenti del bear-baiting (n. d. t.). 2. teli it not in Gath!: frase biblica, II Sam., 1, 20 (n. d. t.). 3. The Court oj Beasts, cit., 1, st. 21-26, pp. 12-4.

NARRATIVE AND ROMANTIC POEMS (1819)

without being angry at the Poet, for we may be quite sure that he has not spared himself. Or if foul fiends and phantoms will intrude with reason, or upon perverse pretences, and I must pass a melancholy mood, through all its vast varieties of tenses, it is some consolation, when they work ill, to pin my devils in their own small circle. 1 But this I see is clear, and glad return to thee, gay Gundimore, thy flowers and fountain, statue, relief, or cinerary urn. lt seems as if thy genius took a mountain from off my breast, I feel repriev'd from death, I move more lightly, breathe with other breath. Blest spot! within thy walls I never hear that Mr. - - - 's, with lady- - -a sinner: nor what Sir- - -What d'ye call him? has a year. I never sit ten minutes after dinner. Nor when digestion has her hands full, piece a half concocted meal with tea and grease. No common jokes I heed, or friends who bring 'em, such as, I lzave not room to swing a cat ;2 I recollect I never want to swing 'em, and then the poison'd dart falls blunt and flat. essi devono accettarlo senza stizzirsi, poiché, siamo certi, il Poeta non ha risparmiato mai neppur sé stesso: O se sconci nemici e fantasmi a ragione s'intrudano oppur con perversi pretesti, e io dovrò tollerare il mio malinconico umore in tutta l'ampia gamma dei suoi modi, mi è pur di conforto, quando i miei demonietti mi tormentino, rinchiuderli nel loro cerchiellino. Ma questo vedo ch'è chiaro, e a te lieto ritorno, gaio Gundimore, ai tuoi fiori e alle fontane, statue, rilievi e urne cinerarie. Par che il tuo genio una montagna m'abbia tolto dal petto, mi par d'essere graziato mentre più leggero mi muovo, e respiro con ben ben altro respiro. Oh luogo benedcttol Tra le tue mura d'altro non odo che d'un peccato del Signor ••• con la Signora ... , Che Sir ... come lo chiamano? ha la mala annata. Dieci minuti non rimango seduto a pranzo finito, né, quando la digestione m'opprime, rimedio a un pasto con un intruglio di tè e di grassi. Non mi curo degli scherzi grossolani, né degli amici che li riferiscono, del tipo Non ho spano da do11dolaroi un gatto, perché rammento di non desiderare mai di dondolarne, per

to pin ... circle: era credenza comune nel XVI e XVII secolo che streghe, fate e diavoli danzassero in cerchio nei prati. Una delle pratiche seguite per evocarli consisteva nel tracciare sul terreno segni circolari (n. d. t.). 2. I have not .•. cat: proverbio attestato fin dal XVII secolo. Come tale, viene ripreso nel verso successivo « I never want to swing 'em •· L'espressione è intraducibile in italiano (n. d. t.). 1.

SCRITTI LET~ERARI The worst I do by them, as stories say, is give thcm pepper on a rainy day. a I shun whatever causes bile or vapours, upon one level runs my lazy life; I hear not of the stocks, nor read the papers, and vote ambition but a name for strife. Y et rise one point above mere passive pleasure; for there I mooncalf, mooncalf without measure. 1 But what is mooncalf?' a strange voice may cry. I answer, mooncalf's easy contemplation, or vacant action: lose no time, but try; you'll fìnd it a delightful recreation. But definition, though precise and ampie, is dark without the daylight of example. Berni illustrates it in [the] choicest measure; he tells you he was box'd up with a parcel of lords and ladies, and some fays of pleasure, in what may be entitled Lazy Castle. Ali guests an amorous fairy ran to earth, and bagg'd, to make ber prison'd gallant mirth. While these their time in feasts and fooling .fleeted, he (for all had their will) bade make a bed, spacious and comfortable, and well sheeted, a table by its side; and thus be fed, and slept, by turns. Another was possess'd by a congenial and well-natured guest.

a) Administered in sandwiches with a small bonus of beef, it produces a slight galvanic effect. 1 cui il dardo velenoso non punge e cade. Il peggio che posso fare nei riguardi loro, come dicono le storie, è di dar loro del pepe in un giorno piovoso. Tutto ciò che irrita la bile e gli altri umori io lo evito e senza scosse meno la mia pigra vita. Dei listini di borsa non mi occupo, né leggo i giornali, e l'ambizione ho concetto sia un sinonimo di litigio, ma al di sopra del passivo piacere m'innalzo, siacché io luneaaio, luneggio oltre misura. Potrebbe pur chiedermi una sconosciuta voce: • Ma che mai vuole dire luneggiare l •• Rispondo: luneggiare è contemplar con agio, nel vuoto. Non perder tempo, provai e troverai che il divertimento è delizioso. Ma la definizione, ancorch~ ampia e precisa, senza il diurno lume dell'esempio resta oscura. Berni, sceltamente lo illustra; quando ti racconta come rimase imprigionato in mezzo a un branco di dame e cavalieri e certe fate di piacere in quel Castello che si potrebbe dir della Pigrizia. Una fata per sé volle ciascuno, e l'acchiappò per dare alla prisioniera amoroso diletto. E mentre costoro se la spassavano in feste folleggiando, eeli (poiché si viveva colà a capriccio) chiese che gli venisse preparato un letto, un letto comodo, ampio, di fini lenzuoli, e un tavolo accanto; cosl ora mangiava, ora dormiva. In un altro letto si stava altro ospite, a lui conaeniale e di natura gentile. 1. • Somministrato in 1andwichu con poca carne produce un leggero effetto galvanizzante».

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Nor lack'd they matter for their waking dreams: one pleasure was to lie upon their back, to lie at gaze, and count the ceiling beams, and mark in which was nail-hole, ftaw, or crack; and which worm-eaten were, and which were sound, and if the total sum was odd or round. Then, when they had for somewhile slept and eat, the one perhaps would stretch himself, and say, 'D'ye hear those fools above? they're needs well met; I mean those rogues and trulls who dance the hay'. The other then would cease awhile to chew, yawn down bis soup, and say '1-th ... ink-so too'.a But other mooncalf's mine. By Chewton's dingle, or Hordle's cliff, where peevish sea-fowl screech, I love to pace the solitary shingle, what time tall breakers tumble on the beach, without a book or thought; such rolling base, fills ali my mind, and serves me in their piace. More picturesquely rapt, I sometimes range and see the mighty stage of ocean clear'd, as nature were preparing for a change; mark the beach'd buss and fish-boat homeward steer'd, and listen in the distant din and bluster

a) Those who desire to see what use Mr. Rose has made of the autographic portrait of Bemi may consult the Orlando Innamorato (lib. 3. cant. 7. st. JS, &c.) and the life of Leo X 1 (vol. iii.) where it has been quoted by Mr. Roscoe, whose observations are extremely judicious.2 Per sognare a occhi aperti non mancavano a loro gli argomenti: godevano a starsene sdraiati e supini, e cosi giacendo in contemplazione contavano le travi del soffitto, notavano quanti fossero mai i buchi dei chiodi, le fessure e le crepe, quali le travi tarlate e quali le sane, e se la somma del tutto riuscisse pari oppure dispari. Poi, dopo aver per qualche buon tratto e mangiato e dormito, l'uno fone stiracchiandosi diceva: • Li senti quei pazzi di sopra? Bene accudiscono ai loro bisogni i intendo quei gaglioffi e quelle sgualdrine che van scuotendo il fieno ■; quell'altro allora smetteva di masticare e tra uno sbadiglio e un sorso di brodo diceva:• Penso, penso ... quel che pensi tu•· Ma quanto diverso è il luneggiare che tengo io: presso la vallecola boscosa di Chewton, e lo scoglio di Hordle, dove stridono i queruli uccelli marini, amo percorrere quel solitario greto, senza un libro e un pensiero, mentre sulla spiaggia si abbattono gli alti frangenti; quel luogo e il rotolare delle onde tutta la mente mi colma e a me basta. Talvolta in più pittoresco rapimento, ancor vago guardo l'immenso teatro dell'oceano illuminarsi come se natura s'apparecchiasse a un mutamento; noto la paranza tirata in secco e il peschereccio che ritorna verso terra; e pongo mente, nel lontano fragore 1. the /ife of Leo X: vedi qui la nota 2 a p. 1905. 2. «Coloro che desiderassero conoscere l'uso che Mr. Rose ha fatto dell'autoritratto del Berni, possono consultare l'Orlando innamorato, libro 3, canto 7, st. 35 ecc., e la Vita di Leone X, voi. 111, dove è ricordato da Mr. Roscoe, le cui osservazioni sono oltremodo acute •·

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LETTERARI

to th' e_lements in arms, their march and muster; see Solent• tossing in distemper'd sleep, breathe hard and long, his bosom heaving slow, save where to shore the curling waters creep, there work and whiten, though no tempest blow, while hatching secret mischief, like a spy, th' unsettl'd wind veers restless round the sky. Last, from the south forth sallying, sweeps along the billows, mixing seas and skies together. I muse meantime, and mutter from old song such snatches, as best sort with the wild weather: unti), self-fool'd, I almost think my )ore 'hath set the troubled waters in a roar'. Then seek my cell and books, and trim my hearth, and call to Cali han, 1 to fetch in firing, a crack-bran'd knave, that often makes me mirth: but when stern Winter, from our seas retiring, 'hath broke his leading staff', I play no more at Prospero,2 upon the sea-beat shore: but give my fountain vent, and set it spouting, or scheme a freeze for some exotic's tub; or measure myrtles, which persist in sprouting without a sun; or murder obvious grub; or beat and hammer some reluctant rhyme; and so •mid nothings fleet away my time.3

a) The Solent, or Solent-sea, is the channel between the Isle of Wight and mainland.4 del vento, agli elementi che s'apparecchiano in armi, avanzano e di sé fan mostra. Guardo al Solent che si agita in un sonno perturbato, dai lunghi respiri faticosi che il petto solleva lentamente, ma non là dove le onde increspate scavalcano la riva e si rompono e s'imbiancano, sebbene non soffi la tempesta, ma già il vento covando segreti malestri, come una spia, inquieto muta senza sosta i suoi giri nel ciclo. Finalmente, balzando fuori dal sud, spinge avanti i marosi, mescolando insieme e cieli e mari. Io intanto m'abbandono al passato e vado mormorando ricordi di vecchie canzoni che meglio s'accordano col tempo selvaggio, finché nel mio incantamento quasi mi pare che il mio canto • abbia provocato quel mugghiare di acque turbate•. Poi torno alla mia cella e ai miei libri, assetto il focolare e chiamo Calibano, un garzonaccio mattocchio che sovente mi dà allegria, perché mi rechi la legna. Ma quando il riaido Inverno, ritirandosi dai nostri mari, • ha spezzato lo scettro•, più non giuoco a far Prospero sulla spiaggia battota dal mare. E do libero sfogo alla mia fonte e la lascio zampillare, o invento un fregio per il vaso di qualche esotica pianta, oppure regolo le mortelle che, senza un filo di sole. persistono a gettare, o distruggo le inevitabili gramignc, oppur ecco che forgio qualche rima riluttante e la ribatto, il mio tempo sciupando tra queste inezie. 1. Caliban: personaggio della Tempesta di Shakespeare. 2. Prospero: altro personaggio della Tempesta. 3. The Court o/ Beasts, cit., 111, st. 3-5, e 7-19, pp. 40-5. 4. o: Il Solent, o Mare-Solent, è il canale fra l'Isola di Wight e la terra».

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Mr. Rose has infused a new Iife into his model, but he is endowed with such a happy vein of originality, that we sincerely regret that he has chosen rather to be an imitator than an inventor, particularly as the species of composition which he has copied, however ably executed, can only be considered as marring the beauty, and destroying the utility, of the fictions of Aesop. Somewhat similar is The H1."nd and the Panther. 1 Nothing can surpass the admirable versification of that poem, yet Dryden has denaturaHzed the character of the apologue and of the animals which appear in it; and his talents have not protected him against the criticism which he deserves. Voltaire has justly censured La Fontaine himself, whose later fables2 are expanded to a greater length than his earlier ones. Besides, the poet must write without shewing himself on the stage, and without any tincture of ridicule or sarcasm. Aesop is neither laborious, nor witty,3 nor impassioned: he observes the scenes which nature has presented to him, and he reports them with the impartiality of nature. It will appear from our observations on the Animali Parlanti, Il Rose ha infuso nuova vita al suo modello, e lo ha fatto con si originale ispirazione che si rimpiange abbia egli preferito farsi imitatore piuttosto che inventore, e non da ultimo anche per la ragione che le sue pur ingegnose imitazioni compromettono e tolgono non poco all'incanto e agli ammaestramenti della favola esopiana. Qualcosa di simile accade col Tlie Hind and tlie Panther: dove pur essendo lo stile della versificazione insuperabile, Dryden ha pur maturato il carattere dell'apologo e quello degli animali che vi agiscono; né tanta bravura è andata esente da censure. Lo stesso La Fontaine d'altra parte incorse nei rimproveri di Voltaire per aver perso in brevità nelle sue ultime e più lunghe favole. D'altra parte il poeta, in questo genere di componimenti, non deve mai mettersi in scena, non deve concedere nulla al comico come al sarcasmo. Esopo scrive senza pretese, ignora il t4'it, non sa dove stia la passione: osserva le scene che la natura gli offre e le ritrae con la stessa imparzialità della natura. Dalle nostre osservazioni sugli Animali parlanti apparirà chiara.mente 1. TJ,e Hind and the Panther (1687) di John Dryden (vedi qui la nota a p. 1520), dove la Chiesa di Roma, in forma di «cerbiatta candida come il _latte», discute con la Chiesa anglicana «la più nobile delle creature chiazzate».• 2. ruhose later fables: probabilmente le Fables choisies (1694), dove sono raccolte quelle pubblicate nel 1685 1 tre altre uscite nel «Mercure Galant » del 1690 e del I 69 I, quella per la raccolta del padre Bouhours, e dieci inedite, cui La Fontainc aggiunse la Matrone d'Ep/,èse e Belphégor (1682). 3. witty: il ruit, qui, ha accezione differente da quanto indicato nella nota I di p. I S77.

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that, according to the ltalian classification, the satirica! poem neither seeks to surprize us by varied incident, nor to move us by exalted sentiments. It is a poem in which the action and the personages are only subservient instruments employed to lead usto despise the opinions which we venerate, and to laugh at events in which we sympathise. Therefore the persons speak more than they act. On the contrary, it is the end and object of romantic poetry, that, through its medium, this rude world may appear more interesting than it actually is. The romantic poet seeks to astonish his readers by marvellous adventures, by human characters which range above mortality, by chivalrous exploits, by excessive tenderness and heroism, sometimes exaggerated even into absurdity. Poets of this class profit by any theme which presents itself: they are capable of bestowing animation upon any object, therefore they do not reject the ludicrous scenes which happen to fall in their way; but they never go a step out of it to search for them. Such are the poems on Charlemagne and his Peers by Pulci, Boiardo, Berni, and Ariosto. The 'Prospectus and Specimen of the N ational Work by William and Robert Whistlecraft' has undoubtedly been suggested by these poems, and most particularly by the Morgante Maggiore, of which we shall speak anon; but there· is one important cosa intendano i critici italiani per poema satirico, una composizione che non vuole né stupire per lo svariato intreccio delle sue avventure, né commuoverci con la rappresentazione di sentimenti elevati. L'azione e i personaggi vi si danno come strumenti passivi la cui funzione è quella di condurre il lettore al disprezzo e al riso delle opinioni che comunemente godono del più profondo rispetto, e di quei casi che risvegliano la umana simpatia. A tale fine basta che gli attori della vicenda parlino, invece di agire. Ben diverso l'intento del poema romanzesco che si propone al contrario di impiegare tutti i suoi mezzi per esaltare la realtà di un mondo altrimenti rozza e piatta. Deve qui il poeta stupire i suoi lettori, di conseguenza riricorrendo a avventure meravigliose, a personaggi che ben poco tengono del mortale, a gesta cavalleresche dove Paltezza delle passioni e degli eroismi tocca a volte l'assurdo. I poeti di questo genere di poesia, di tutto quel che si presenti loro fanno tesoro, e essendo dotati di una immaginazione capace d'animare tutto quel che tocca, non tralasciano neanche le scene burlesche quando si presenti loro l'occasione, ma mai dimostrano di volerle intenzionalmente ricercare. Tali i poemi del Pulci, del Boiardo, del Berni e dell'Ariosto su Carlomagno e i suoi paladini. William e Robert Whistlecraft per il loro Protpectus and Specimen of tlie National Work si sono indubbiamente ispirati a questi poemi, e soprattutto al Morgante maggiore, di cui diremo tra poco, ma con una differenza assai notevole:

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difference between them. The English author has filled bis poem with sprightly humour, whilst the Italian romantic poets only laugh now and then. In examining the four cantos which bave been published of the 'Specimen', we shall discover wbether this alteration has succeeded. The poem opens, like the Morgante Maggiore, and the Orlando Innamorato, with a scene of holy-tide festivity at the court of the king of chivalry. The great King Arthur made a sumptuous feast, and held his royal Christmas at Carlisle. 1

To those who do not understand Italian, the following stanzas will afford an accurate idea of the interest which Pulci's vivacity gives to the most triviai scenes, and of the easy grace which Berni contrives to bestow upon them. The noise and uproar of the scullery tribe, ali pilfering and scrambling in their calling, was past all powers of language to describe the din of manful oaths and female squalling; the sturdy porter, huddling up his bribe, and then at random breaking heads and bawling, outcries, and cries of order, and contusions, made a confusion beyond all confusions. l'autore inglese ha fatto del suo poema un continuo divertimento giocoso, mentre i poeti cavallereschi italiani, ridono sì, ma solo di tanto in tanto. Orbene, esaminando i quattro canti pubblicati dello Specimen, vedremo se tale innovazione sia o non sia riuscita. Il poema si apre, come il Morgante maggiore e come l'Orlando innamorato, con una scena di corte in occasione di una regale festa natalizia: Il grande re Arturo indisse una festa auntuosa, e celebrò il auo regal Natale a Carlisle.

A coloro che non conoscono l'italiano, le stanze che seguono possono dare un'idea abbastanza precisa di come il Pulci sappia trattare anche le scene più volgari grazie alla sua spiritosa vivacità. e come il Bemi s'affidi al dono di saperle ingentilire: Il chiasso e il fracasso della tribù dei lavapiatti. tutti intesi a rubacchiare e a arraffare, superano a dirvele le passe della lingua; l'incalzare delle bestemmie maschili e lo strepito vociante delle donne; il vigoroso portinaio che raccattava la sua mancia e poi a caso fracasaava teste e sbraitava; lamenti, ordini e contusioni facevano una confusione da confondere tutte le confusioni.

The Monks and the Giants, edited by R. D. Waller, Manchester, University Press, 19261 canto 1, st. 2, p. 68. 1. JoHN HooKHAM FRERE,

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Beggars and vagabonds, blind, lame, and sturdy, minstrels and singers with their various airs, the pipe, the tabor, and the hurdy-gurdy, jugglers, and mountebanks with apes and bears, continued from the first day to the third day an uproar like ten thousand Smithfield fairs; there were wild beasts and foreign birds and creatures, and Jews and foreigners with foreign features. 1

The portraits of the British knights and British beauties of the court of King Arthur are painted with the bold decided pencil of Ariosto. They look'd a manly, generous generation; beards, shoulders, eye-brows, broad and square, and thick, their accents firm and loud in conversation, their eyes and gestures eager, sharp, and quick, shew'd them prepar'd, on proper provocation, to give the lie, pull noses, stab and kick; and for that very reason it is said they were so very courteous and well-bred. The ladies look'd of an heroic race, at first a generai likeness struck your eye, tall figures, open features, ovai face, large eyes, with ampie eyebrows arch'd and high; their manners had an odd peculiar grace, neither repulsive, affable, nor shy; majestical, reserv'd, and somewhat sullen, their dresses partly silk, and partly woollen. 2 Straccioni, vagabondi, ciechi, storpi e forzuti, menestrelli e cantori di varie melodie, il piffero, il tamburo e l'organetto; giocolieri e saltimbanchi, le loro scimmie e i loro orsi insieme, dal primo al terzo giorno andarono frastuonando come diecimila fiere di Smithfield; v'erano bestie feroci, uccelli e altre creature straniere, Ebrei e altri foresti dalle forestiere fattezze.

I ritratti dei cavalieri e delle bellezze inglesi alla corte di re Artù sono dipinti con il tratto fermo e disteso dell'Ariosto: Si davano a vedere come una stirpe generosa e maschia; di barba, di spalle, di sopracciglia, ampie quadrate e spesse; i loro accenti decisi e alti nel conversare, gli sguardi e i gesti ardenti, acuti, rapidi, li dimostravano pronti, se appena provocati, a smentire, a torcer nasi, infilzare e tirar calci; tutte buone ragioni perché si dica ch'erano tnnto cortesi e bennati. Di stirpe eroica parevano le dame; ti colpivano a tuttaprima per unn stessa aria di famiglia, alta statura, viao nperto, volto ovale, grandi occhi, lunghe e ben arcuate sopracciglia, e i modi d'una grazia tutta peculiare, non distante, non lusinghevole, non timida, maestosa, contegnosa e eolo un po• scontrosa; le vesti erano di seta oppur di lana. 1. The Monkt and the Giants, cit., 1, st. S, 6, p. 69. Giants, cit., 1, st. 11, 12, pp. 70-1.

2.

The Monlu and the

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N ear Carlisle was a valley inhabited by a race of giants, from which they sallied forth for the purpose of carrying off the ladies. This adventure was the beginning of a furious war. The author traces the characters of his personages with consummate art. Sir Tris tram was prepared to sing and play, not like a minstrel earnest at his task, but with a sportive, careless, easy style, as if he seemed to mock himself the while. From realm to realm he ran - and never staid; kingdoms and crowns he won-and gave away; it seem'd as if his labours were repaid by the mere noise and movement of the f ray; no conquests nor acquirements had he made; his chief delight was on some festive day to ride triumphant, prodigai and proud, and shower his wealth amidst the shouting crowd. His schemes of war were sudden, unforeseen, . inexplicable both to friend and foe, it seem'd as if some momentary spleen inspir'd the project and impell'd the blow; and most his fortune and success were seen with means the most inadequate and low; most master of himself, and least encumber'd, when overmatch'd, entangled, and out-number'd. Sir Gawain may be painted in a word, he was a perfect loyal cavalier; his courteous manners stand upon record a stranger to the very thought of fear, Nei pressi di Carlisle è una valle popolata da una razza di giganti e da quella si dipartono allo scopo di rapire le dame. È l'inizio di una furiosa guerra e l'autore dipinge i caratteri dei personaggi con arte consumata: Tristano era disposto a cantare e a suonare, non come un menestrello del suo c6mpito .zelante, bensl con stile facile, scanzonato e noncurante, come se volesse di sé stesso prenderai gioco. Di reame in reame pareva volasse, né si fermava mai i regni e corone conquistava e donava e pareva ripagarsi delle sue fatiche col solo rumore e il movimento della battaglia; nulla aveva conquistato, nulla aveva per sé trattenuto; In sua vera gioia era, in un dl festivo, cavalcare in trionfo, prodigo e fiero, e le sue ricchezze rovesciarle sulla folla schiamazzante. Improvvisato e imprevedibile era il suo modo di combattere, per amici e nemici un problema senza soluzione i pareva che qualche suo improvviso umore lo ispirasse a escogitare e a piazzare il colpo; le sue fortune e il successo li aveva raggiunti coi mezzi più comuni e inadeguati, e più sicuro di •~ e meno imbarazzato era se più forti e numerosi i nemici da combattere. Sir Gawain pub ben essere presentato con un tratto: un perfetto e leale cavaliere i cortesi i modi oltre ogni paragone, insaputa a lui l'idea del timore• dice il proverbio valoroso

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the proverb says, As brQfJe as his own sword; and like his weapon was that worthy peer; of odmiroble temper, clear and bright, polish'd yet keen, though pliant, yet upright. A word from him set every thing at, rest, his short decisions never fail'd to hit; his silence, his reserve, his inattention, were felt as the severest reprehension. In executing schemes that others plann'd, he seem'd very Caesar or a Marius; take his own plans, and piace him in command, your prospect of success becamc precarious. Adviser generai to the whole community, he serv'd his friend, but watch'd his opportunity. 1

Whenever the author composes in a serious strain, he becomes poetica! in no ordinary degree. As a specimen of his success when he is in this mood, we shall quote his description of the valley of the giants. Huge mountains of immeasurable height

encompass'd all the level valley round with mighty slabs of rock, that slop'd upright, an insunnountable and enormous mound. The very river vanish'd out of sight, absorb'd in secret channels under ground; that vale was so sequester'd and secluded all search for ages past it had eluded. A rock was in the centre, like a eone, come la sua spada, e tal qual la sua spada era quel prode pari: d'ammirabile umore, schietto e sereno, raffinato e pur acuto, portato a compiacere ma sempre giusto. Una sua parola metteva a posto ogni cosa, n~ il suo breve decidere mancò mai il segno; se tacito, se in sé racchiuso, se distratto, il mondo era giudicato. Pareva Cesare o Mario nel portare a compimento i piani dagli altri ideati, ma lui a capo dei suoi stessi piani diventova il successo più precario. Consigliere in tutto della intera comunità, serviva l'amico senza perder d'occhio la sua occasione.

Ogni qualvolta l'autore prende la strada della poesia alta, il suo tono è pari a quell'altezza. Come esempio della sua riuscita quando veste tali abiti, leggiamo la descrizione della valle dei giganti: Monti immani di smisurata altezza cingevano d'intorno la valle, col precipitare di quelle enormi lastre di roccia formando vasti e impervi bastioni. Anche il fiume aporiva alla vista da segreti canali sotterranei ingoiato. Era quella valle tanto chiusa e erma che per secoli aveva eluso ogni ricerca. Al suo centro si drizzava una roccia a forma di cono che sorgeva da uno stagno melmoso:

1. The Monks and the Gianu, cit., 1, st. 18, 20, 21, 23, 24, 26, pp. 73-5.

NARRATIVE AND ROMANTIC POEMS (1819)

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abruptly rising from a miry pool, where they beheld a pile of massy stone, which masons of the rude primaeval school had rear'd by help of giant hands alone, with rocky fragments unreduc'd by rule. lrregular, like nature more than art, huge, rugged, and compact in every part. A wild tumultuous torrent rag'd around, of fragments tumbling from the mountain's height; the whistling clouds of dust, the deaf'ning sound, the hurried motion that amazed the sight, the constant quaking of the solid ground, environ'd them with phantoms of affright; yet with heroic hearts they held right on, till the last point of their ascent was won. 1

Whoever com pares this passage with any long prosaic descri ption of mountain-scenary will be convinced that poetry is best calculated to represent the works of nature with effect, as well as with precisi on. The simplicity of style of some descriptive travellers passes almost into silliness; and the turgid eloquence of others wearies without impressing the imagination. In the vicinity of the Giant's Valley was a convent of Benedictine monks, who had long enjoyed themselves in peace and quietness. However they nearly brought destruction upon themselves dove videro un ammasso di pietre massicce che muratori d'una rozza e primitiva scuola &\'evano alzato col solo aiuto delle gigantesche mani, fatto di spezzoni di roccia da nessuna arte riquadrati. Senza disegno, più prossimo alla natura che all'arte, enorme, aspro, in ogni sua parte compatto. Un torrente selvaggio e twnultuoso infuriava all'intorno in un dirotto precipitar di detriti dall'alto del monte; le sibilanti ondate di polvere, il fracasso assordante, il rapido moto che sorprendeva la vista, lo scuotere continuo del solido terreno ti circondavano con paurosi fantasmi; pure con eroico cuore tirarono dritto finché della loro asces11 l'eetremo traguardo fu domo.

Chi vorrà mettere a confronto questo passo con una ampia descrizione in prosa d'un alpestre paesaggio, si convincerà che la poesia rappresenta con maggior efficacia e migliore esattezza le opere della natura; e che il semplice stile dei viaggiatori portati a metter in carta i loro viaggi, sfiora la scipitaggine, come la turgida eloquenza di altri stanca, senza poter per altro colpire l'immaginazione. Nei pressi della Valle dei Giganti, eravi un convento di monaci benedettini che da tempo vivevano in pace e in tranquillità e che per un novello motivo suonato dalle loro campane, e che non piacque alle orecchie

1.

The Monks and the Giants, cit.,

11,

st.

12, 15,

37, pp. 79, 80, 86.

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SCRITTI LETTERARI

by starting an entire new ring of bells, by the noise of which the giants were mightily offended. This episode was partly suggested by Pulci; but the English author, availing himself of its capability, has developed it by the introduction of more humorous scenes, and more pertinent allusions. The war had scarcely begun, when the abbot died suddenly of a fit of the gout. The convent was ali going to the devii, whilst he, poor creature, thought himself belov'd for saying handsome things and being civil; wheeling about as he was pulled and shoved, by way of leaving things to find their level. t

At this crisis, one Brother John (who had hitherto lived almost unnoticed) becomes a man of consequence- he exhorts the monks to defend themselves against the giants, and he ends by taking the supreme command. All this however is to be considered as poetry, and not by any means as politics. The author does not deviate into reflexions or expositions- he presents us with a sample of the natural course of human affairs, and with characters faithfully copied from mankind; and he leaves it to his readers to reflect, or to seek for the application. We presume that there are living poets who chuse to say that they have behaved like dei giganti, corsero un gran brutto rischio. L'episodio è in parte suggerito dal Pulci, l'autore inglese ha saputo tuttavia coglierne tutte le ulteriori possibilità di sviluppo cui diede vita con un incalzare di scene ricche di brio e aperte alle più efficaci allusioni. La guerra è da poco iniziata, quando l'abate viene a morire per un attacco improvviso di gotta. Il convento intero se ne andava al diavolo, mentre egli, poveraccio, si credeva benvoluto, poiché diceva belle cose con bel garbo, destreggiandosi mentre era tratto e spinto, per modo che le cose da sole si assestassero.

Al tempo di tale crisi conventuale, un certo frate Giovanni (vissuto fino allora pressoché ignorato) diventa un uomo importante, e coll'esortare i fratelli alla difesa contro i giganti finisce per impadronirsi del potere. Ma la vicenda è sentita come momento poetico e non già con intento politico. Non vi sono né lunghe descrizioni né lunghe riflessioni e l'autore offre un saggio di come umanamente vanno le cose del mondo, di personaggi che paion tratti dalla stessa storia dell'umanità: il compito di riflettere e di trarre le conseguenze egli lo lascia ai suoi lettori. È presumibile che oggigiorno ci siano dei poeti che non si dispiacciono a confessare di non essere 1.

The Monlu and the Giants, cit.,

1v,

st.

20,

p. 117.

NARRATIVE AND ROMANTIC POEMS (1819)

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cowards on the field of battle, and who compare themselves to the lyric poets of antiquity. We cannot give any other interpretation of the following lines. Poets are privileg'd to run awayAlcaeus and Archilochus could fling their shields behind them in a doubtful fray; and stili sweet Horace may be heard to sing his filthy fright upon Philippi's day. (You can retire, too-for the Muse's wing is swift as Cupid's pinion when he flies, alarm'd at perriwigs and human eyes). This practice was approv'd in times of yore, though later bards behav'd like gentlemen; and Garcilasso, 1 Camoens, 2 many more disclaim'd the privilege of book and pen; and bold Aneurin,l all bedripp'd with gore, bursting by force from the beleagueed glen, arrogant, haughty, fierce, of fiery mood, not meek and mean, as Gray4 misunderstood,S

One allusion, indeed, is clear. The ancient hard concludes his lay: At ego ipse bardus Aneurin sangui·ne rubens; a/iter ad hanc stati coraggiosi sul campo di battaglia, mettendosi al fianco dei lirici delle antiche età, poiché non sapremmo altrimenti trovare la chiave per leggere i versi che seguono:

t privilegio dei poeti la fuga. Nella incerta mischia poterono Alceo e Archiloco gettare lo scudo, e l'ottimo Orazio ancora a noi canta della sua sordida paura nella giornata di Filippi. (E pur tu puoi ritirarti, poiché l'ala della Musa è veloce quanto quella di Cupido quando vola impaurito da parrucche e dagli sguardi umani). Quest'uso fu nei tempi antichi accetto, sebbene i più recenti bardi si comportassero da cavalieri; e Garcilasso, Camòes e molti altri i privilegi di carta e penna disdegnassero. e anche Aneurino, il prode, di sangue tutto cosparso che irrompe dalla valletta assediata. altiero, arrogante, focoso e feroce, non già mite e fiacco come il Gray male intese, Qui l'allusione è molto chiara: così infatti termina il vecchio bardo quel suo canto: cr At ego ipse bardus Aneurin sanguine rubens; aliter ad

I. Garcilasso: Garcilaso de la Vega (Toledo 1503 - Nice 14 ottobre 1536), poeta spagnolo, incarnò il tipo perfetto del cr cortegiano •· Alla sua poesia è legata l'affermazione in Spagna della maniera petrarchesca. La raccolta delle sue rime fu pubblicata dal Boscan, insieme alle proprie, a Barcellona nel 1543. 2. Camoens: Luiz Vaz de Camòes (Lisboa o Coimbra circa il 1524 - Lisboa 8 giugno 1580). Si allude qui alla vita avventurosa, e alle peregrinazioni in Africa e in India dell'autore di Os Lusiades (1572). 3. Anetlrin: vedi la nota 2 a p. 1602. 4. Thomas Gray: vedi qui la nota J a p. 1482. 5. The Monks and tlie Giants, cit., 111, st. 53, 54, pp. 109-10. 101

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cantilenam f aciendam tn'Uus non fuissem. 1 Gray has given a kind of sentimental modesty to his hard, which is quite out of piace. And I the meanest of them all who live to sing and wish their fall. 2

The allusions, however, are sometimes so delicate, that it is not easy to seize them. We shall indicate a few lines which we think we bave guessed. The absurd employment of Latinisms and GallicismsDear peoplel if you think my verses clever, preserve with care your nobler parts of speech, and don't confound the language of the nation with long-tailed words in asity and ation.3

Violent personifications in poetryMeanwhile the solemn mountains were surrounded; the silent valley, where the convent lay, with tintinnabular uproar was astounded, when the first peal burst forth at break of day. hanc cantilenam faciendam vivus non fuissem 11; e a questa conclusione Gray attribuisce una sentimentale modestia che a noi pare affatto fuori posto: Ec:I io il pib vile di tutti che vivo per cantare e fare lamento sulla loro caduta.

Le allusioni, in questo poema, sono tuttavia così sottili che non è cosa da poco afferrarle. Ecco qualche verso che ci sembra di aver ben interpretato. Contro l'uso assurdo dei latinismi e dei gallicismi: Cara gente, se giudicate abili i miei veni, abbiate cura delle più nobili parti del diacono e non corrompete la nostra madre linaua con parole dalla lunga coda latina.

E le violente prosopopee: Frattanto erano stati circondati i monti solenni: la valle silenziosa dove giaceva il convento fu atordita dal tintinnabulante tumulto, allo spuntar del giorno, quando esplose il 1. •Ma

io, bardo Aneurin, son tutto insanguinato, né in altra guisa avrei potuto esser qui a cantare questa lamentela D. 2. Nota C. FOLIGNO: • Per le disavventure militari d'antichi poeti può pensare ad Orazio, Odi, 1v, 9; 11, 7; Ars Poetica, 79. Aneurin è un poeta gallese del VI secolo; la citazione latina forse deriva da EVANS, Specimens o/ tl,e We/sh Poetry, che il F. ripro-duce a memoria con qualche inesattezza. L'incidente era stato male inteso da THOMAS GRAY in the Death of Hoel, d'onde son tolti i due versi [23--24, ma v. 24: "that live to weep and sing their fall 11 ] » (Edizione Nazionale, x1 1 parte 11, p. 45, nota a). 3. The Mo11ks and t/1e Giants, cit., Proe,n., st. 6, p. 66.

NARRATIVE AND ROMANTIC POEMS (1819)

Feeling their granite ears severely wounded, they scarce knew what to think or what to say; and ( though large mountains commonly conceal their sentiments, dissembling what they feel, yet) Cader-Gibbrish from his cloudy throne to huge Loblommon gave an intimation of this strange rumour, with an awful tone, thund'ring his deep surprise and indignation. The lesser hills, in language of their own, discussed the topic by reverberation; discoursing with their echoes ali day long, their only conversation was •ding-dong' . 1

We fear that generai readers are not sufficiently informed to be able to relish the poignant wit of these and similar passages. lndeed, it is not very easy to understand the nature of the part which the poet is acting; nor do we always know how to take him. Sometimes he is really Mr. Whistlecraft, the harness and collar-maker; and in this character his digression upon Pericles and the Elgin marbles is a chef-d'1) . 2. Ger. lib., x, J, 8. 3. Ae,i., VIII, 19. 4. Il passo non si ritrova puntualmente in alcuna opera del Tasso. Il Foscolo potrebbe tuttavia riferirsi al seguente passo del Discorso terzo dei Discorsi del'Arte Poetica: 11 È ben vero che, quando d'altra qualità sono i concetti, d'altra le parole o l'elocuzione, ne nasce quella disconvenevolezza che si vederebbe in uomo di contado vestito di toga lunga da senatore. Per ischivnre adunque questa sconvenevolezza, non deve chi si piglia a trattare concetti grandi nel sonetto [ ... ] vestire quei concetti di umile elocuzione, come fece pur Dante» (T. TASSO, Discorsi dell'Arte Poetica e del Poema Eroico, a cura di L. Poma, Bari, Laterza, I 964, p. 49).

A PARALLEL BETWEEN DANTE AND PETRARCH (1823)

Parla, e sie breve e arguto. - 1 Speak; and be brief, be sub ti le in thy words.

He says to his readerOr ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, dietro pensando a ciò, che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima, che stanco. Messo t'ho innanzi,· amai per te ti ciba. Now rest thee, reader, on thy bench, and muse anticipati ve of the feast to come; so shall delight make thee not feel thy toil. Lo! I Jzave set before the; for thyself f eed now. CARY'S Transl. 2

As to their versification, Petrarch attained the main object of erotic poetry; which is, to produce a constant musical flow in strains inspired by the sweetest of human passions. Dante's harmony is less melodious, but is frequently the result of more powerful artIV.

S' i' avessi le rime e aspre e chiocce, come si converebbe al tristo buco, sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce, Parla, e sic breve e arguto.

E al lettore: Or ti riman, lcttor, sovra 'I tuo banco, dietro pensando a ciò, che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima, che stanco. Messo t'ho innanzi; omai per te ti ciba. IV. Riguardo al loro verseggiare, Petrarca raggiunse il fine essenziale della stessa poesia erotica, ch'è quello di una costante effusione di musicalità ispirata dalla più dolce delle passioni umane. L'armonia di Dante, meno melodiosa, è spesso il frutto di un'arte più potente:

S'i' avessi le rime e aspre e chiocce, come si convcrebbc al tristo buco, sovra 'I qual pontan tutte l'oltre rocce,

I. Purg., XIII, 78. 2. Par., x, 22-5. Henry Francis Ca,y (Gibraltar 6 dicembre 1772 - London 14 agosto 1844), pubblicò la sua traduzione dell'Inferno nel 1805-1806, e nel 1814 The Visio11, or Hell, Purgatory, and Paradise o/ Dante. Successivamente tradusse anche Aristofane e Pindaro.

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i' premerei di mio concetto il suco più pienamente: ma perch' i' non l'abbo, non senza tema a dicer mi conduco: che non è impresa da pigliare a gabbo, descriver fondo a tutto l'universo, né da lingua, che chiami mamma o babbo. Ma quelle donne aiutino 'l mio verso, eh' aiutaro Anfione a chiuder Tebe, sì che dal fatto il dir non sia diverso. Oh! had I rough hoarse thunder in my verse, to match this gulph of woe on ali sides round o'erbrow'd by rocks, then dreadfully should roar the mighty torrent of my song: such powers I boast not; but with shuddering awe attempt the solemn theme. The world 's extremest depth requires no infant babbling, but the choir of tuneful virgins to assist my strain, by whose symphonious aid Amphion raised the Theban walls, - but truth shall guide my tongue. N. HOWARD'S Transl. 1

Here the poet evidently hints that to give colour and strength to ideas by the sound of words, is one of the necessary requisites of the art. The six first lines are made rough by a succession of consonants. But when he describes a quite different subject, the words are more flowing with vowelsi' premerei di mio concetto il suco più pienamente: ma perch'i' non l'abbo, non senza tema a dicer mi conduco: che non è impresa da pigliare a gabbo, descriver fondo a tutto l'universo, né da lingUa, che chiami mamma o babbo. Ma quelle donne aiutino 'I mio verso, ch'aiutaro Anfione a chiuder Tebe, al che dal fatto il dir non sia diverso.

Qui il poeta suggerisce con forte rilievo che il dare calore e forza alle idee mediante il suono delle parole è uno dei requisiti necessari dell'arte. I primi sei versi sono fatti aspri dalla successione delle consonanti; ma quando affronta un tema affatto diverso, ecco che le parole, più ricche di vocali, scorrono fluidamente: 1. lnf., XXXII, 1-12. The Inferno of DANTE ALIGHmRI, Translated into Eng/ish Blank V erse, with Notes, Historical, Classica/ and E,."J)/a,iatory, and a Life of the Author by NATHANIEL HowARD, vide la luce a Londra, per i tipi del Murray, nel 1807.

A PARALLEL BETWEEN DANTE AND PETRARCH (1823)

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O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega. Quali colombe dal desio chiamate, con l'ali aperte e ferme al dolce nido, volan per l'aer dal voler portate. 1

"O wearied spirits! come, and hold discourse with us, if by none else restrain'd". As doves by fond desire invited, on wide wings and firm, to their sweet nest returning home, cleave the air, wafted by their will along. CARV'S

Transi.

This translator frequently contravenes the position of his author, who, chiefly depending upon the effect of his versification, says, that "nothing harmonized by musical enchainment, can be transmuted from one tongue into another, without destroying all its sweetness and harmony".8-The pian of Dante's poem required that he should pass from picture to picture, from passion to passion. He varies the tone in the different scenes of his journey as rapidly as the crowd of spectres flitted before his eyes; and he adapts the syllables and the cadences of each line, in such an artful manner as to give energy, by the change of his numbers, to those images which he intended to represent. For in the most harmonious lines, there is no poetry, whenever they fail to excite that a)

DANTE,

Convito. 2 O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega. Quali colombe dal desio chinmate, con l'ali aperte e ferme al dolce nido, volan per l'aer dal voler portate.

Il Cary, traduttore inglese di Dante, sovente contravviene a una delle asserzioni del suo autore che, intento soprattutto all'effetto della sua versificazione, dice che e, nulla cosa per legame musaico armonizzata, si può de la sua loquela in altra transmutare, sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia». Il disegno del poema di Dante richiedeva ch'egli passasse di pittura in pittura, di passione in passione. Nelle differenti scene del suo viaggio il poeta ne varia il tono con la stessa rapidità con cui quegli affollati spiriti volteggiano davanti ai suoi occhi, e adatta sillabe e cadenze di ogni verso con tanto arte da conferire forza alle immagini, che intende rappresentare, col solo mutare del ritmo: poiché nei versi più armoniosi non si dà poesia 1. Jnj., v, 80-4 (ma v. 83: «con l'ali alzate[ ... ]», e v. 84: •vegnon per l'aere [... ] »). 2. 1, vii, 14.

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glow of rapture, that exquisite thrill of delight, which arises from the easy and simultaneous agitation of all our faculties-this the poet achieves by powerful use of imagery. v. IMAGES in poetry work upon the mind according to the process of nature herself;-first, they gain upon our senses-then, touch the heart-afterwards strike our imagination- and ultimately they imprint themselves upon our memory, and cali forth the exertion of our reason, which consists mainly in the examination and comparison of our sensations. This process, indeed, goes on so rapidly as to be hardly perceived; yet all the gradations of it are visible to those who have the power of reflecting upon the operations of their own minds. Thoughts are in themselves only the raw materiai: they assume one form or another; they receive more or less brilliancy and warmth, more or less novelty and richness, according to the genius of the writer. It is by compressing them in an assemblage of melodious sounds, of warm feelings, of luminous metaphors, and of deep reasoning, that poets transform, into living and eloquent images, many ideas that lie dark and dumb in our mind ; and it is by the magie presence of poetica} images, that we are suddenly and at once taught to feel, to imagine, to reason, and to meditate, with all the gratification, and with none of the pain, se non pervengono a stimolare quel caldo rapimento, quel brivido squisito di letizia che nasce dalla naturale e simultanea commozione di tutte le nostre facoltà: cosa che il poeta ottiene con l'uso potente delle immagini. v. In poesia le immagini si elaborano nella mente umana secondo la progressione stessa della natura; dapprima seducono i sensi, poi toccano il cuore, colpiscono quindi l'immaginazione, e impresse che sono nella memoria sollecitano l'intervento della ragione che consiste, più che altro, nell'esame e nel confrbnto delle sensazioni. Questa progressione è in verità cosi rapida che difficilmente la si percepisce, eppure tutti questi graduali passaggi sono avvertibili da chi ha la capacità di riflettere sul lavoro della propria mente. I pensieri in sé altro non sono che materia grezza, passibili di assumere questa o quest'altra forma e di assumere più o meno splendore e calore, più o meno ricchezza e novità, secondo il genio dello scrittore. Col farne una compatta composizione di suoni melodiosi, di caldi sensi 1 di metafore luminose, di profondo raziocinio, è possibile ai poeti trasformare molte idee giacenti oscure e mute nella mente dell'uomo in immagini vive e eloquenti, e proprio con la magica presenza di tali immagini poetiche i poeti ci insegnano a sentire subitamente, a immaginare prontamente e a ragionare e a meditare con grato piacere senza alcuna di quelle pene che

A PARALLEL BETWEEN DANTE AND PETRARCH (1823)

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which commonly attends every mental exertion. The notion, "that. memory and the art of writing preserve all human knowledge" the notion, "that hope forsakes not man even on the brink of the grave, and that the expectations of the dying man are still kept ali ve by the prospect of a life hereafter" - are truths most easy of comprehension, for they are forced upon us by every daf s experience. Stili the abstract terms in which every generai maxim must inevitably be involved, are incapable of creating the simultaneous excitement by which all our faculties mutually aid each other: as when the poet addresses MEMORYAges and climes remote to thee impart what charms in Genius, and refines in Art; Thee, in whose hands the keys of Science dwell, the pensi ve portress of her holy celi; whose constant vigils chase the chilling damp, Oblivion steals upon her vestal lamp PLEASURES OF MEMORY 1

with the metaphysical expressions of Ge11ius, Art, Science, are interwoven objects proper to affect the senses, so that the reader sees the maxim set before him as in a picture.-By means of images only, poets can claim the merit of originality; for by the multiplied comsogliono accompagnare ogni sforzo mentale. Il pensiero .. che la memoria e l'arte dello scrivere conservano tutto il sapere umano", il pensiero "che la speranza non abbandona l'uomo neppure sull'orlo della tomba, e che le aspettative di chi sta per morire sono tenute vive dalla prospettiva di una vita futura", sono verità assai facili a comprendersi perché inculcate dall'esperienza quotidiana. Eppure i termini astratti in cui di necessità ogni massima generale viene espressa, non riescono a creare quel simultaneo eccitamento grazie al quale le nostre facoltà vicendevolmente si sorreggono, come quando il poeta apostrofa la MEMORIA: I secoli e i remoti climi a Te donano / quello che grazie al Genio ci ammalia e grazie all'Arte si sublima./ Tu, nelle cui mani le chia,·i del Sapere dimorano,/ Tu, della sua sacra cella custode pensierosa: / le tue costanti vigilie disperdono il gelido vapore / che l'Oblio stende furtivo sulla tua lampada di Vestale I piaceri dtlla Memoria

dove appunto espressioni astratte come Ge,iio, Arte, Sapere, si trovano frammiste a cose atte a colpire i sensi, onde il lettore veda innanzi a sé la massima, esposta come fosse un quadro. Possono i poeti rivendicare a sé il merito dell'originalità solo mediante le immagini, allorché con l'impiego 1. Parte II, 5-10. Per Samuel Rogers, l'autore dei Pleasures of Memory, vedi qui la nota I a p. 1726.

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bination of very few notions, they produce novelty and form groupes, which, though differing in design and character, ali exhibit the same truth. The following Italian passage on Memory has not the slightest resemblance to the English lines; yet the diversity lies only in the varied combination of images- "The Muses sit by the tomb, and when Time's icy wing sweeps away alike the marble, and the dust of man, with their song they cheer the desert waste, and harmony overcomes the silence of a thousand generations''Siedon le Muse su le tombe, e quando il Tempo con sue fredde ali vi spazza i marmi e l'ossa, quelle Dee fan lieti di lor canto i deserti, e l'armonia vince di mille e mille anni il silenzio. 1

And what could be said of our expectations of immortality, which is not ali contained and unfolded in this invocation to HOPE? Thou, undismay'd, shalt o'er the ruin smile, and light thy torch at Nature's funeral pile. PLEASURES OF HOPE2

di assai pochi concetti ma grazie alle variate loro combinazioni pervengono a creare del nuovo e formano degli insiemi che, pur associati secondo caratteri e disegni diversi, tutti rivelano lo stesso vero. Il seguente passo italiano sulla Memoria non ha simiglianza alcuna con i versi inglesi qui sopra citati, e nondimeno la diversità è tutta e solo nel modo di combinare le immagini differentemente: Sicdon le Muse su le tombe, e quando il Tempo con sue fredde ali vi spazza i marmi e l'ossa, quelle Dee fan lieti di lor canto i deserti, e l'armonia vince di mille e mille anni il silenzio.

E che altro si potrebbe dire della nostra attesa dell'immortalità che già non sia del tutto compreso e spiegato in questa invocazione alla SPERANZA? Tu imperturbata siederai sulle rovine/ e alla funerea pira della Natura la tua fiaccola accenderai, I piaceri dtlla Speranza. 1. Sepolcri, 230-4, con varianti (230 le Muse su le tombe] custodi de' sepolcri; 231 Tempo] tempo; 232 i marmi e l'ossa, quelle Dee] fin le rovine, le Pimplee; 234 di mille e mille anni] di mille secoli), qui nel tomo I, p. 321 e la nota relativa. 2. THOMAS CAMPDELL, The Pleasures of I-Jope, II, in fine. I Pleasures o/ Hope del Campbell (Glasgow 27 luglio 1777 - Boulogne 15 giugno

1844) videro la luce nel 1798.

A PARALLEL BETWEEN DANTE AND PETRARCH (1823)

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PETRARCH's images seem to be exquisitely finished by a very delicate pencil: they delight the eye rather by their colouring than by their forms. Those of Dante are the bold and prominent figures of an alto rilievo, which, it seems, we might almost touch, and of which the imagination readily supplies those parts that are hidden from the view. The commonplace thought of the vanity of human renown is thus expressed by PetrarchVI.

O ciechi, il tanto affaticar che giova? Tutti tornate alla gran madre antica, e il vostro nome appena si ritrova.

O blind of intetlect! of what avail are your long toils in this sublunar vale? Teli, ye benighted soulsl what gains accrue from the sad task, which ceaseless ye pursue? Y e soon must mingle with the dust ye tread; and scarce your name upon a stone be read. BOYD'S Transi. 1

and by Dante, La vostra nominanza è color d'erba, che viene e va ; e quei la discolora per cui vien fuori della terra acerba. Le immagini del Petrarca paiono rifinite da un pennello squisito e delicato: allettano l'occhio, più che colle forme, con il loro colore. Ardite sono quelle di Dante, prominenti figure di un altorilievo che pare potersi toccare, cui l'immaginazione supplisce dove alla vista non sia dato di coglierle intere. La comune concezione della vanità della fama umana è così espressa dal Petrarca: VI.

O ciechi, il tanto affaticar che giova? Tutti tornate alla gran madre antica, e il vostro nome appena si ritrova.

e cosi da Dante: La vostra nominanza è color d'erba, che viene e va; e quei la discolora per cui vien fuori della terra acerba.

1. Trionfi, [Ili] I, 88-90. Di Henry Boyd nato in Irlanda in data imprecisata, e morto a Ballintemple (vicino a Newry) il 18 settembre 1832, la traduzione dell'Inferno e di un saggio dell'Orlando furioso, risalgono ol 1785; la traduzione della Divina Commedia al 1802, quella della Bassvi/liana (Penance of Hugo, or Vision) al 1805; di due anni più tardi è la versione dei Trionfi petrarcheschi.

1 774

SCRITTI LETTERARI Your mortai fame is like the grass whose hue doth come and go; by the same sun decay'd, from which it lifc, and health, and freshness drew. MER1VALE 1

The three lines of Petrarch bave the great merit of being more spirited, and of conveying more readily the image of the earth swallowing up the bodies and names of all men; but those of Dante, in spite of their stern profundity, have the still greater merit of leading us on to ideas to which we should not ourselves have reached. Whilst he reminds us, that time, which is necessary for the consummation of all human glory, ultimately destroys it, the changing colour of grass presents the revolutions of ages, as the natural occurrence of a few moments. lt is by mentioning "the great periods of time" that an old English poet has lessened this very idea which he intended to magnify1 know that ali beneath the moon decays; and what by mortals in this world is brought, in time's great periods shall return to nought. I know that all the muse's heavenly lays, with toil of sprite which are so dearly bought, as idle sounds, of fcw or none are sought, that there is nothing lighter than mere praise. DRUMMOND of Hawthornden.2 I tre versi del Petrarca hanno il gran merito di essere più animati, e di trasmettere più rapidamente l'immagine della terra che inghiotte i corpi e i nomi di tutti gli uomini; ma quelli di Dante, con quella loro severa profondità, hanno il merito ancora maggiore di guidarci a idee cui da soli non saremmo arrivati. Ricordandoci che il tempo, che pure è indispensabile a portare ogni gloria umana al suo culmine, da ultimo la distrugge, con il cangiante colore dell'erba rappresenta i grandi rivolgimenti dei secoli come un naturale fenomeno di poco momento. Ma proprio per aver ricordato « i grandi periodi del tempo » un vecchio poeta inglese ha rimpicciolito quello stesso concetto che intendeva magnificare. So che tutto quanto sta sotto la luna decade,/ quanto dai mortali in questo mondo s'acquista / in nulla tornerà attraverso i grandi evi del tempo. So che tutti i celesti canti delle muse, / dal travaglio del genio tanto a caro prezzo nati, / sono vani suoni da pochi o da nessuno appetiti e che nulla è più lieve della semplice lode. DRUMMOND of Hawthomden.

1. Purg., x1, 115-7 (ma 117: uper cui ella esce[•..]»). Per il Merivale vedi qui la nota 3 a p. 1621. 2. William Drun11nond o/ Hawthornden (Haw-

A PARALLEL BETWEEN DANTE AND PETRARCH (1823)

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Again, instead of the agency of time, Dante employs the agency of the sun; because, conveying to us a less metaphysical idea, and being an object more palpable to the senses, it abounds with more glorious and evident images, and fills us with greater wonder and admiration. Its application is more logical also, since every notion which we have of time, consists in the measure of it, which is afforded by the periodica! revolutions of the sun.

vu.

respect to the different pleasure these two poets afford, it has been already remarked, that Petrarch calls forth the sweetest sympathies, and awakens the deepest emotions, of the heart: and whether they be of a sad, or of a lively cast, we eagerly wish for them, because, the more they agitate us, the more strongly they quicken our consciousness of existence. Still, as we are perpetually striving against pain, and hurried on in the constant pursuit of pleasure, our hearts would sink under their own agitations, were they abandoned by the dreams of imagination, with which we are WITH

Inoltre, invece dell'azione del tempo, Dante impiega l'azione del sole, poiché generando una meno astratta idea ed essendo il sole una entità percepibile ai sensi, abbonda d'immagini più splendide e evidenti che ci colmano di meraviglia e di ammirazione. L'impiego di questo simbolo è poi più logico poiché la nozione che noi abbiamo del tempo consiste nella misura di esso, da noi conseguita mediante le periodiche rivoluzioni del sole. VII. Rispetto al diverso piacere che questi due poeti ci offrono, si è già osservato che il Petrarca suscita le simpatie più dolci e risveglia le emozioni del cuore più profonde; e, siano esse d'un triste o lieto tenore, siamo portati a desiderarle con impazienza, poiché tanto più agitano il nostro sentire tanto più la nostra coscienza di esistere si ravviva. Inoltre, lottando noi perennemente contro il dolore e di continuo affannandoci alla ricerca del piacere, il nostro cuore affonderebbe nell'onda stessa della propria agitazione se il sogno dell'immaginazione l'abbandonasse, che provvidenzial-

thomden [Scotland] 13 dicembre 1585 -ivi 4 dicembre 1649), letterato, poeta e traduttore, fu tra i primi poeti scozzesi a scrivere in inglese senza usare locuzioni scozzesi. Appassionato cultore della tradizione poetica europea, curò parecchie traduzioni e libere versioni di poeti quali Ronsard, Garcilaso de la Vega, Petrarca, Tasso e Marino. I Poems videro la luce nel 1614. Nota C. FOLIGNO: 11 WILLIAM DRUMMOND of Hawthornden, Poetica/ Works, edited by L. E. KASTNER, Manchester, University Press, 1913, voi. 1, p. 4. Son. [11]. Nel riferimento del Foscolo il testo è ammodernato» (Edizione Nazionale, x, p. 117, nota b).

SCRITTI LETTERARI

providentially gifted to enlarge our stock of happiness, and to gild with bright illusions the sad realities of life. Great writers alone can so contrai the imagination, as to make it incapable of distinguishing these illusions from the reality. If, in a poem, the ideai and fanciful predominate, we may indeed be suy;prised for a moment, but can never be brought to feel for objects which either have no existence, or are too far removed from our common nature- and on the other hand, if poetry dwell too much on realities, we soon grow weary; for we see them wherever we turn; they sadden each minute of our existence; they disgust us ever, because we know them even to satiety :- again, if reality and fiction be not intimately blended into one whole, they mutually oppose and destroy one another. Petrarch does not afford many instances of so happy a combination of truth with fiction, as when he describes Laura's features immediately after expiringPallida no, ma più che neve biancaparea posar come persona stanca. Quasi un dolce dormir ne' suoi begli occhi, sendo lo spirto già da lei diviso morte bella parea nel suo bel viso. 1 mente invece ci è stata concessa per aumentare le nostre quote di felicità e dorare di luminose illusioni la triste realtà della vita. Solo i grandi scrittori sono in grado di dominare l'immaginazione in modo tale da rendere impossibile il distinguere, nelle loro opere, queste illusioni dalla realtà. Se in una poesia la predominanza è dell'ideale e del fantastico, non può mancare che la sorpresa della meraviglia non abbia un suo pur breve effetto, tuttavia non potrà mai commuoverci per oggetti o che non abbiano esistenza o che si allontanino troppo dal nostro comune stato; mentre al contrario, se la poesia troppo si sofferma sul reale, presto approderemo alla stanchezza, perché il reale dappertutto ci circonda, a ogni minuto ci rattrista e in uggia ci viene tanto abbondevolmente ne siamo sazi; onde se realtà e finzione non si amalgamano intimamente in un tutto finiscono per opporsi tra loro e vicendevolmente distruggersi. Non molti sono gli esempi nel Petrarca di un tale amalgama del vero e del finto, pari a quello in cui descrive le fattezze di Laura al sopraggiungere della morte: Pallida no, ma più che neve bianca parca posar come persona stanca.

Quasi un dolce dormir ne' suoi begli occhi, sendo lo spino già da lei diviso mone bella parea nel suo bel viso.

1. Trionfi, [111], I, 166; 168-70 e 172.

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No earthy hue her pallid cheek display'd, but the pure snowLike one recumbent from her toils she lay, losing in sleep the labours of the dayAnd from her parting soul an heavenly trace seem'd yet to play upon her lifeless face, where death enamour'd sate, and smiled with angel grace. Bovo•s Transl.

Had the translator kept closer in the last line to the originai words, "Death seemed beautiful on the lovely features of Laura,,, he would have conveyed a higher and yet more credible notion of her beauty, and insensibly changed, into an agreeable sensation, the horror with which we regard a corpse. But "Death sitting enamour'd in Laura's face", exhibits no distinct image, unless. it be that of the allegorical form of Death transmuted into an angel sitting upon the face of a woman-which affords a striking exemplification of the absurdities arising from the unskilful mixture of truth with fiction. often surrounds the reality with ideai decorations so luxuriantly, that while we gaze at his images they disappearVIII. PETRARCH

Obscured and lost in flood of golden light.

RoGERS 1

Se il traduttore si fosse, nell'ultimo verso, tenuto più presso alle parole dell'originale, « morte bella parea nel suo bel viso», avrebbe dato più alta e più credibile idea della bellezza di Laura e avrebbe mutato, senza che ce n'avvedessimo, in una rapita sensazione, quell'orrore con cui solitamente si guarda a un cadavere. Mentre la e, morte che prende posto, innamorata, entro il viso di Laura» non crea un'immagine più perspicua di quella di una allegoria in cui la morte in sembianza d"angelo s'accovaccia sul capo d'una donna: col che si dà un esempio della assurdità raggiunta quando poco accorto sia l'accostamento del vero con la finzione. v111. Il Petrarca pone sovente la realtà entro una sfera tanto idealmente suggestiva che nel guardarle, le sue immagini, paiono dissolversi

d'aurea luce in un pelago oscurate.

1.

S. RocERS, An Epistle to a Friend (1798), Sz. 112

ROGERS

SCRITTI LETTERARI

And the poet by whom this line is suggested, justly remarks-that "True taste is an excellent economist, and delights in producing great effects by small means,,. Dante selects the beauties that lie scattered throughout created Nature, and embodies them in one single subject. The artists who combined in the Apollo of Belvedere, and the Venus de' Medicis, the various beauties observed in different individuals, produced forms, which, though strictly human, bave an air of perfection not to be met with upon the earth: however, wheri contemplating them, we are led insensibly to indulge in the illusion, that mankind may possess such heavenly beautyStiamo, Amor, a veder la gloria nostra, cose sopra natura altere e nove: vedi ben quanta in lei dolcezza piove; vedi lume che 'l cielo in terra mostra; vedi quant'arte indora, e imperla, e innostra l'abito eletto, e mai non visto altrove, che dolcemente i piedi, e gli occhi move per questa di bei colli ombrosa chiostra. L'erbetta verde, e i fior di color mille sparsi sotto quell'elce antiqua e negra, pregan pur che 'I bel pie' li prema o tocchi; e 'l ciel di vaghe e lucide faville s'accende intorno, e 'n vista si rallegra E il poeta che ci suggerisce questo verso, osserva giustamente che « il buon gusto è un eccellente economo e si delizia di produrre grandi effetti con mezzi scarsi». Dante trasceglie bellezze qua e là disperse nel creato e le incorpora in un unico soggetto. Gli artisti che nell'Apollo del Belvedere e nella Venere de' Medici riunirono le bellezze trascelte da più individui, produssero forme che, rigorosamente umane, esprimono però una tale perfezione che non pare di questa terra; tuttavia, nel contemplarle, siamo portati, senza volerlo, a indulgere all'illusione che tali celesti bellezze facciano parte della razza umana. Stiamo, Amor, a veder Ja gloria nostra, cose sopra natura altere e nove: vedi ben quanta in lei dolcezza piove; vedi lume che 'I cielo in terra mostra: vedi quant'arte indora, e imperla, e innostra l'abito eletto, e mai non visto altrove, che dolcemente i piedi, e gli occhi move per questa di bei colli ombrosa chiostra. L'erbetta verde, e i fior di color mille sparsi sotto quell'elce antiqua e negra, pregan pur che 'I bel pie' li prema o tocchi : e 'I ciel di vaghe e lucide Co.ville s'accende intorno, e 'n vista si ralJegra

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d'esser fatto seren da sì begli occhi. 1 Here stand we, Love, our glory to behold how, passing nature, lovely, high, and rarel Beholdl what showers of sweetness falling there! What floods of light by heav'n to earth unroll'd! How shine her robes, in purple, pearls, and gold so richly wrought, with skill beyond compare! How glance her feet ! - her beaming eyes how fair through the dark cloister which these hills enfold ! The verdant turf, and flowers of thousand hues beneath yon oak's old canopy of state, spring round her feet to pay their amorous duty. The heavens, in joyful reverence, cannot choose but light up all their fires, to celebrate her praise, whose presence charms their awful beauty. MERIVALE

This description makes us long to find such a woman in the world; but while we admire the poet, and envy him the bliss of his amorous transports, wc cannot but perceive that the fl.owers "that courted the tread of her foot", the sky "that grew more beautiful in her presence", the atmosphere "that borrowed new splendour from her eyes'\ are mere visions which tempt us to embark with him in the pursu'it of an unattainable chimaera. We are induced to think, that Laura must have been endowed with more than human loveliness, since she was able to kindle her lover's imagination to such a degree of enthusiasm, as to cause him to adopt such fantastic illusions, and we conceive the extremity of his passion; but cannot d'esser fatto scren da sì begli occhi.

t

questa una descrizione che c'invoglia a incontrare simile donna su questa terra; ma, se pur ammiriamo il poeta e gli invidiamo la beatitudine di tali amorosi trasporti, non possiamo non avvertire che i fiori "vaghi d'esser premuti dal bel piè", che il cielo "fatto più splendido dalla sua presenza", che l'atmosfera "imprestante nuova luminosità dai suoi occhi" non sono che mere visioni che ci invitano a avventurarci col poeta alla ricerca di una irraggiungibile chimera. Siamo così indotti a pensare che Laura sarà pur stata dotata di grazie più che umane, se accese l'immaginazione dell'amante a un tale grado di fantastica visionarietà; e possiamo capire anche l'eccesso della suo passione, ma difficile è per noi condividere l'estasi

I.

Rime,

CXCII.

SCRITTI LETTERARI

share bis amorous ecstasies for a beauty which we never beheld and never shall behold.

ON the contrary, the beautiful maiden seen afar off by Dante, in a landscape of the terrestrial paradise, instead of appearing an imaginary being, seems to unite in herself all the attractions which are found in those lovely creatures we sometimes meet, whom we grieve to lose sight of, and to whom fancy is perpetually recurringthe poet's picture recals the originai more distinctly to our memory, and enshrines it in our imaginationIX.

U na donna soletta, che si gia cantando ed isciegliendo fior da fiore, ond'era pinta tutta la sua via. Deh bella donna, eh' a' raggi d'amore ti scaldi, s'io vo' credere a' sembianti, che soglion' esser testimon del cuore, vengati voglia di trarreti avanti, diss'io a lei, verso questa riviera, tanto eh 'io possa intender che tu canti. Come si volge con le piante strette a terra, e intra sé, donna che balli, e piede innanzi piede a pena mette, volsesi 'n su' vermigli ed in su' gialli amorosa per una bellezza che mai apparve né apparirà davanti ai nostri occhi. IX. Al contrario la bella fanciulla che Dante scorge di lontano in un paesaggio del Paradiso terrestre, lungi dall'essere un puro parto della mente, sembra riunire in sé tutte le attrattive di quelle amabili creature in cui talvolta ci imbattiamo, che non vorremmo perdere di vista e a cui ritorna poi di sovente la nostra fantasia; la pittura che ne fa il poeta è più vivida dello stesso originale e nella nostra immaginazione gelosamente prende dimora:

una donna soletta, che ai gia cantando ed isciegliendo fior da fiore, ond'era pinta tutta la sua via. Deh bella donna, ch'a' raggi d'amore ti scaldi, s'io vo' credere a' sembianti, che soglion'csser testimon del cuore, vengati voglia di trarreti avanti, diss'io a lei, veno questa riviera, tanto ch'io possa intender che tu canti. Come si volge con le piante strette a terra, e intra sé, donna che balli, e piede innanzi piede a pena mette, volsesi 'n su' vcm1igli ed in au' gialli

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fioretti, verso me, non altrimenti, che vergine, che gli occhi onesti avvalli; e fece i prieghi miei esser contenti, sì appressando sé, che 'l dolce suono veniva a me co' suoi intendimenti. 1 I beheld a lady all alone, who, singing, went, and culling ftower from flower, wherewith her way was ali o'er painted. uLady beautiful! thou, who (if looks, that use to speak the heart, are worthy of our trust) with love's own beam dost warm thee 11 , thus to her my speech I fram'd; .. Ah! please thee hither tow'rds the streamlet bend thy steps so near, that I may list thy song". As when a lady, turning in the dance, doth foot it featly, and advances scarce one step before the other to the ground; over the yellow and vermillion flowers thus turn'd she at my suit, most maiden-like, veiling her so ber eyes : and came so near, that I distinctly caught the dulcet sound.

Such is the amazing power with which Dante mingles the realities of nature with ideai accessories, that he creates an illusion which no subsequent reftection is able to dissipate. Ali that grace and beauty, that warmth and light of love, that vivacity and cheerfulness of youth, that hallowed modesty of a virgin, which we observe, though separately and intermixed with defects, in different persons, are bere concentrated into one alone; whilst her song, her dance, and ber gathering of ftowers, give life, and charm, and motion, to the fioretti, verso me, non altrimenti, che vergine, che gli occhi onesti avvalli, e fece i prieghi miei esser contenti, sl appressando sé, che 'I dolce suono veniva a me co' suoi intendimenti.

La maestria straordinaria con cui Dante campisce realtà naturali e ideali attributi è tale da creare un 'illusione resistente a qualsiasi ulteriore riflessione. La grazia e la bellezza, il calore e l'amorosa luce, la gioventù vivace e baldanzosa, la verginale modestia che scorgiamo variamente divise tra più persone e pur anco accompagnate a alcuni difetti, sono qui concentrate in una sola creatura che, intenta a cantare, alla danza, a raccoglier fiori, dà vita, grazia e movimento al quadro. A giudicare schiettamente tra questi 1.

Purg.,

XXVIII,

40-8 (ma v. 46:/•vegnati in voglia [, ••] »); e 52-60.

SCRITTI LETTERARI

picture. - To judge fairly between these two poets, it appears, that Petrarch excels in awakening the heart to a deep feeling of its existence; and Dante, in leading the imagination to add to the interest and novelty of nature. Probably a genius never existed, that enjoyed these two powers at once in a pre-eminent degree. x. HAVING both worked upon plans suited to their respective talents, the result has been two kinds of poetry, productive of opposite moral effects. Petrarch makes us see every thing through the medium of one predominant passion, habituates us to indulge in those propensities which by keeping the heart in perpetuai disquietude, paralize intellectual exertion-entice us into a morbid indulgence of our feelings, and withdraw us from active life. Dante, like all primitive poets, is the historian of the manners of his age, the prophet of his country, and the painter of mankind; and calls into action all the faculties of our soul to reflect on ali the vicissitudes of the world. He describes ali passions, all actions-the charm and the horror of the most different scenes. He places men in the despair of Hell, in the hope of Purgatory, and in the blessedness of Paradise. He observes them in youth, in manhood, and in old age. He has brought together those of both sexes, of all religions, of ali due poeti si direbbe che il Petrarca riesce mirabilmente a risvegliare nel cuore un sentimento profondo di quel ch'esso vive, mentre Dante eccelle nel far sì che l'immaginazione vada a incrementare nuove e sconosciute suggestioni della natura. Probabilmente mai è nato genio in grado di accoppiare queste due facoltà a un livello d'eccellenza. x. Entrambi crearono secondo i dettati dei loro talenti, donde ne vennero due modi di far poesia che produssero anche effetti morali in opposizione tra loro. Nel Petrarca ogni cosa è mediata dalla sua predominante passione, e ci induce a cedere a quelle propensioni che, tenendo il cuore in perenne inquietudine, fiaccano l'esercizio della riflessione; ci contagia di morbide propensioni per il nostro affettivo sentire distogliendoci dalla vita attiva. Dante, come tutti i poeti primitivi, è lo storico dei costumi del suo secolo, il profeta del suo paese, il pittore del genere umano; egli chiama a raccolta tutte le facoltà dell'anima perché si rappresentino tutte le vicissitudini del mondo. Ha mente per tutte le passioni e l'agire umano, per l'incanto e l'orrore delle scene più diverse; colloca gli uomini nella infernale disperazione, a sperare nel Purgatorio, a cogliere il frutto della beatitudine in Paradiso. Gli uomini li notomizza nel fiore della loro gioventù, nel culmine della virilità, nel crepuscolo della vecchiezza. Uomini e donne insieme vengono alla ribalta, tutte le confessioni, tutto il fare dei secoli

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occupations, of different nations, and ages; yet he never takes them in masses- he always presents them as individuals; speaks to every one of them, studies their words, and watches their countenances. - "I found", says he, in a letter to Can della Scala, "the originai of my Hell, in the earth we inhabit". 1 While describing the realms of death, he catches at every opportunity to bring us back to the occupations and affections of the living world. Perceiving the sun about to quit our· hemisphere, he breaks out intoEra già l'ora, che volge 'l desio a' naviganti, e intenerisce il core lo dì, ch'han detto a' dolci amici Addio; e che lo nuovo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, che paia 'l giorno pianger, che si muore. 2 'Twas now the hour when fond desire renews to him who wanders o'er the pathless main, raising unbidden tears, the last adieus of tender friends, whom fancy shapes again; when the late parted pilgrim thrills with thought of his lov'd home, if o'er the distant plain, perchance, his ears the village chimes have caught, seeming to mourn the dose of dying day. MERIVALE

e delle nazioni. Eppur gli uomini non sono mai né un genere, né una massa, ma sempre li rappresenta come individui, parla a ciascuno di essi, soppesa le loro parole, osserva i loro comportamenti. «Trovai» egli dice in una lettera a Can della Scala« l'esempio del mio Inferno sulla terra che abitiamo 11, E nel descrivere i regni della morte, ogni occasione vien colta per riportarci alle passioni e alle vicende del mondo dei vivi. Vedendo il sole che sta per lasciare il nostro emisfero, esce in questi versi: Era già l'ora, che volge 'I desio a' naviganti, e intenerisce il core lo di, ch'han detto a' dolci amici Addio; e che lo nuovo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, che paia 'I giorno pianger, che si muore.

1. Il Foscolo ha qui tenuto presente, non già l'Epistola XIII, bensl la postilla che l'accompagna in margine al codice l\1agliabechiano Cl. VI 164, c. 3t1., parafrasante il paragrafo nell'Epistola dedicato al significato allegorico della Commedia: « Ex istis verbis colligcre potes quod secundum nllegoricum sensum Poeta agit de infimo isto, in quo peregrinando ut viatores mereri et demereri possumus ». 2. Purg., Vili, 1-6.

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There is a passage very like this in Apollonius Rhodius, • whose many beauties, so admired in the imitations of Virgil, are seldom sought for in the original.Night then brought darkness o'er the earth: at sea the mariners their eyes from shipboard raised, fix'd on the star Orion, and the Bear. The traveller, and the keeper of the gate, rock'd with desire of sleep; and slum ber now fell heavy on some mother, who had wept her children in the grave. ELTON'S Transl. 2

By digressions similar to this, introduced without apparent art or effort, Dante interests us for all mankind; whilst Petrarch, being interested only about himself, alludes to men at sea at eventide, only to excite greater compassion for his own sufferingsE i naviganti in qualche chiusa valle gettan le membra, poi che 'l sol s'asconde, In Apollonia Rodio v'è un passo simile, di cui le molteplici bellezze si ammirano nell'imitazione virgiliana, ma ben raramente si ricercano nell'originale: La notte recò allora le tenebre alJa terra; in mare/ i naviganti volsero gli occhi di sulla nave/ a osservare la stelJa d'Orione e l'Orsa/; il pellegrino, il guardiano delle porte/ nel desio del sonno si abbandonarono; ed ecco che il sopore/ grevemente coglie anche la madre che pianse / i suoi figli nel sepolcro.

Con digressioni simili a questa, introdotte senz'arte o sforzo apparente, Dante ci fa partecipi dell'intera umanità; nel mentre il Petrarca, occupandosi solo di sé stesso, allude agli uomini in mare sul far della sera non altro che per riscuotere vieppiù compassione alle sue pene: E i naviganti in qualche chiusa valle gettan le membra, poi che 'l sol s'ascondc,

Apol/onius Rhodius: allievo di Callimaco, nacque in Alessandria o, secondo Ateneo, a Naucrati, nel 194 a. C., sotto il regno di Tolomeo Evergete. Perseguitato in patria, si rifugiò a Rodi, professandovi retorica, e divenendo cosi celebre da ottenere dai Rodiani la cittadinanza. I versi che seguono sono traduzione di Argonautica, 111, 744-8. Circa l' 11 imitazione" di Virgilio, cfr. Aen., 111, s12 sgg. 2. Charles Abraham E/ton (Bristol 31 ottobre 1778 - Bath I giugno 1853). Tra le sue opere segnaliamo i Poems (1804); i Tales of Romance, and Other Poems, lnc/uding Selections /rom Propertius (1810) e gli Specimens of the Classica/ Poets in a Chronological Series /rom Homer to Tryphiodorus Translated into Englisl, Verse (1814). Nota C. FOLIGNO: 11CHARLES ABRAHAM ELTON, Specimens of the C/assic Poets . •. translated and illustrated, London, Baldwin, 1814 1 voi. 1, p. 304; è l'inizio del passo ivi intitolato Deliberation of Medea, dal lib. 111 dell' Argonautica » (Edizione Nazionale, x, p. 123, nota b). 1.

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sul duro legno e sotto l 'aspre gonne: ma io, perché s'attuffi in mezzo l'onde, e lassi Ispagna dietro alle sue spalle, e Granata e Marocco e le Colonne, e gli uomini e le donne e 'l mondo, e gli animali acquetino i lor mali, fine non pongo al mio ostinato affanno: e duolmi ch'ogni giorno arroge al danno; ch'i' son già pur crescendo in questa voglia ben presso al decim'anno, né poss'indovinar chi me ne scioglia. And in some shclter'd bay, at evening 1s dose, the mariners their rude coats round them fold, stretch'd on the rugged plank in deep rcpose: but I, though Phoebus sink into the main and leave. Granada wrapt in night, with Spain, Morocco, and the Pillars famed of old, though all of human kind and every creature blest ali hush their ills to rest, no end to my unceasing sorrows find; and still thc sad account swells day by day; for since these thoughts on my lorn spirit prey, I see the tenth year roll, nor hope of freedom springs in my desponding soul. LADY DAcRE 1

Hence Petrarch's poetry wraps us in an idle melancholy, in the softest and sweetest visions, in the error of depending upon others' sul duro legno e sotto l'aspre gonne: ma io, perché s'attuffi in mezzo l'onde, e lassi lspagna dietro alle sue spalle, e Granata e Marocco e le Colonne, e gli uomini e le donne e 'l mondo, e gli animali acquetino i lor mali, fine non pongo al mio ostinato affanno: e duolmi ch'ogni giorno arroge al danno; ch'i' son già pur crescendo in questa vo1lia ben presso al decim'anno, né poss'indovinar chi me ne scioglia.

Quindi la poesia del Petrarca ci avvolge in una oziosa malinconia, nelle più molli e dolci visioni, nell'errore di abbandonarci alle affezioni altrui,

I.

Rime,

L,

43-56. Per Lady Dacre vedi qui la lettera 64.

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affection, and leads us vainly to run after perfect happiness, until we plunge headlong into that despair which ensues, When Hope has Aed affrighted from thy face, and giant Sorrow fills the empty piace.

Still tbose wbo meet with tbis fate are comparatively very few, wbile far the greater number only learn from sentimental reading how to work more successfully upon impassioned minds, or to spread over vice a thicker cloak of hypocrisy. The number of Petrarcb's imitators in Italy may be ascribed to tbe example of those Churcb dignitaries and learned men, who, to justify their commerce with the other sex, borrowed the language of Platonic love from his poetry. It is also admirably calculated for a Jesuits' college, since it inspires devotion, mysticism, and retirement, and enervates the minds of youth. But since the late revolutions bave stirred up otber passions, and a different system of education has been established, Petrarch's followers bave rapidly diminished; and those of Dante have written poems more suited to rouse the public spirit of Italy. Dante applied bis poetry to the vicissitudes of his own time, when liberty was making her dying struggle against tyranny; and he descended to tbe tomb witb the last heroes of the middle age. Petrarch lived amongst those wbo vanamente guidandoci a rincorrere la perfezione della felicità, finché proni non si soccomba a quella disperazione che sussegue, Quando la Spene spaurita dal tuo volto si ritrae e un immane Sgomento scende a ingonbrar quella vuota dimora.

Sennonché coloro cui tocca una tal sorte sono pochi a fronte di coloro, ben più numerosi, che da letture sentimentali imparano più ch'altro a agire con efficacia migliore sulle menti appassionate, o a stendere una più pesante coltre d'ipocrisia sopra il vizio. La folla dei petrarchisti in Italia può ascriversi all'esempio di quei dignitari e dotti uomini di chiesa che, a giustificazione del loro commercio con l'altro sesso, presero in prestito il linguaggio dell'amore platonico dal loro modello; che pur mirabilmente s'accomoda a un collegio di gesuiti poiché ispira devozione, misticismo, solitaria meditazione e la mente dei giovani debilita. Ma da quando le recenti rivoluzioni hanno risvegliato altre passioni e un diverso metodo di educazione si è affermato, i seguaci del Petrarca sono andati diminuendo rapidamente, mentre quelli di Dante hanno dato poesia più consona a far sorgere una coscienza civile in Italia. Dante scrisse una poesia fatta per le vicissitudini del suo tempo, allorché la libertà compì l'estremo tentativo di non soccombete alla tirannia, e con gli ultinù eroi del Medioevo discese nella tom-

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prepared the inglorious heritage of servitude for the next fifteen generations. XI.

IT was about the decline of Dante's life that the constitutions

of the I talian States .underwent a total and almost uni versai change, in consequence of which a new character was suddenly assumed by men, manners, literature, and religion. lt was then that the Popes and Emperors, by residing out of ltaly, abandoned her to factions, which having fought for independence or for power, continued to tear themselves to pieces through animosity, until they reduced their country to such a state of exhaustion, as to make it an easy prey to demagogues, to despots, and to foreigners. The Guelphs were no longer sanctioned by the Church, in their struggle for popular rights against the feudatories of the empire. The Ghibellines no longer allied themselves to the Emperors to preserve their privileges as great proprietors. Florence, and other small republics, after extirpating their nobles, were governed by merchants, who, having neither ancestors to imitate, nor generosity of sentiment, nor a military education, carried on their intestine feuds by calumny and confiscation. Afraid of a domestic dictatorship, they opposed their external enemies by foreign leaders of mercenary troops, often composed of adventurers and vagabonds from every ba. Visse il Petrarca tra coloro che predisposero l'ingloriosa eredità della servitù alle quindici generazioni successive. XI. Declinando la vita di Dante verso il suo compimento, gli ordinamenti degli stati italiani subirono un mutamento generale e profondo, e subitamente uomini, costumi, letteratura, fede assunsero nuovi caratteri. Fu allora che papi e imperatori, col risiedere fuori d'Italia, abbandonarono il paese alle fazioni, le quali, avendo combattuto o per l'indipendenza o per il potere, presero a lacerarsi tra di loro animosamente, fino a ridurre la patria a tanta esautoratezza per cui divenne facile preda e dei demagoghi e dei despoti e degli stranieri. I Guelfi non ebbero più dalla loro la legittimazione della Chiesa nelle loro lotte per affrancare i diritti popolari contro i feudatari dell'Impero. I Ghibellini non più si allearono con gli imperatori per conservare i loro privilegi di grandi proprietari. Firenze e altre piccole repubbliche, abbattuta la nobiltà, venivano governate dal ceto mercantile che, non avendo una tradizione da onorare, né generosità di intenti, né educazione militare, le proprie intestine lotte portava avanti a colpi di calunnia e di confische. Timorosi di una dittatura domestica, ai nemici esterni i mercanti opponevano condottieri stranieri di truppe mercenarie, sovente non più che orde d'avventurieri e di sradicati d'ogni paese, pronti

SCRITTI LETTERARI

country, who plundered friends and foes alike, exasperated the discords, and polluted the morals, of the nation. French princes reigned at Naples; and to extend their influence over the south of ltaly, destroyed the very shadow of the imperial authority there, by stimulating the Guelphs to all the extravagances of democracy. Meanwhile the nobles who upheld the Ghibelline faction in the north of Italy, being possessed of the wealth and strength of the country, continued to wage incessant civil wars, until they, with their towns and their vassals, were ali subjected to the military sway of the victorious leaders, who were often murdered by their own soldiers, and oftener by the heirs apparent of their power. Venice alone, being surrounded by the sea, and consequently exempted from the danger of invasion, and from the necessity of confiding her armies to a single patrician, enjoyed an established form of government. Nevertheless, to preserve and extend her colonies and her commerce, she carried on, in the Mediterranean, a destructive contest with other maritime cities. The Genoese having lost their principal fleet, bartered their liberties with the tyrants of Lombardy, in exchange for assistance. They were thus enabled to gratify their hatred, and defeat the Venetians, who to repeat their attacks exhausted their resources; and both states now fought less for interest, than revenge. lt was then that Petrarch's a depredare nemici e amici senza distinguere, esasperando le discordie, contagiando la pubblica morale. A Napoli regnavano principi francesi che per allargare il loro dominio nel meridione distrussero anche l'ombra dell'autorità imperiale, aizzando i Guelfi a tutti i deliri della democrazia. Frattanto i nobili che sostenevano la fazione ghibellina nell'Italia settentrionale, che in pugno avevano ancora il nerbo delle forze e della ricchezza del paese, continuando a muovere guerre civili finirono, loro e le loro città e i loro vassalli, soggiogati dal militare dominio dei capi vittoriosi, i quali venivano assassinati dai loro stessi soldati e più spesso dai presuntivi eredi del loro potere. Solo Venezia, circondata dal mare e perciò libera dal pericolo d'essere invasa e dalla necessità di affidare le sue forze a un solo patrizio, godette una stabile forma di governo. Sennonché per conservare e ampliare le colonie e i commerci, sostenne nel Mediterraneo contro le altre repubbliche marinare una lotta distruttrice. I Genovesi, perduto la loro flotta principale, in cambio di aiuti militari barattarono la loro libertà con i tiranni della Lombardia. Il loro odio fu premiato e i Veneziani vennero sconfitti, e questi di nuovo ripresero i loro attacchi sino all'esaurimento delle loro forze; ambedue gli stati ormai non si combattevano in pro dei loro interessi, ma sol più per il prestigio della vendetta. Fu proprio allora

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exhortations to peace were so haughtily answered by the Doge Andrea Dandolo. 'a Thus the Italians, though then the arbiters of the seas, weakened themselves to such a degree, by their blind animosities, that, in the ensuing century, Columbus was compelled to beg the aid of foreign princes, to open that path of navigation which has since utterly destroyed the commerciai grandeur of Italy.

xu.

the Popes and Cardinals, vigilantly watched at Avignon, were sometimes the forced, and often the voluntary, abettors of French policy. The German Princes, beginning to despise the Papal excommunication, refused either to elect Emperors patronized by the Holy See, or to lead forth their subjects to the conquest of the Holy Land, a device, by which from the beginning of the twelfth to the end of the thirteenth century, ali the armies of MEANWHILE

a) Essay on the Char. of Petr. Sect. 1v. 2 che alla esortazione di pace del Petrarca il doge Andrea Dandolo rispose tanto arrogantemente. Così gli Italiani, sebbene ancora arbitri dei mari, dai loro ciechi rancori si trovarono ridotti in tanta debolezza che, nel secolo successivo, Colombo dovette mendicare l'aiuto di principi stranieri per aprire quella via d'acqua che finì per distruggere irrimediabilmente la grandezza dei commerci d'Italia. xn. Frattanto papi e cardinali, sorvegliati a vista in Avignone, divennero talora i forzati, ma spesso volontari, complici della politica francese. I principi germanici cominciarono a non tenere più in alcun conto le scomuniche papali così come si rifiutarono di eleggere imperatori patrocinati dalla Santa Sede e di guidare i propri sudditi alla conquista della Terra Santa; un accadimento quest'ultimo che, dall'inizio del dodicesimo secolo fino alla fine del decimoterzo, aveva permesso che tutti gli eserciti d'Europa 1. Andrea Dandola (Venezia 1310 circa - ivi 7 settembre 1354). Politico, storiografo, legislatore, nel 1331 era procuratore di S. Marco, nel 1333 podestà di Trieste, e il 4 gennaio 1343 veniva eletto doge (quarto doge della famiglia Dandolo). Alleatosi con altri principi per rompere guerra ai Turchi, nel 1345 riconquistò Zara, ribellatasi al dominio della Serenissima, e nel 1348 Capo d'Istria. Per primo aprì la via del commercio con PEgitto, istituendo rapporti diplomatici, tramite un'ambasceria inviata al Sultano. Nel I 35 1 iniziò una guerra ad oltranza contro Genova, dapprima favorevole ai Vcneziani. Al Dandolo si deve la raccolta in un unico corpo dei documenti superstiti relativi alla storia veneziana, da lui stesso continuata sino al 1342, il rinnovamento della legislazione veneta e il libro VI dello Statuto veneto. 2. Ma sect. v (la si veda in Edizione Nazionale, x, p. 88).

SCRITTI LETTERARi

Europe had actually been at the disposal of the Popes. The wild and enterprising fanaticism of religion having thus ceased with the crusades, dwindled into a gloomy and suspicious superstition: new articles of belief brought from the east, gave birth to new Christian sects : the circulation of the classics, the diffusion of a taste for Greek metaphysics, and the Aristotelian materialism, spread through Europe by the writings of Averroes, induced some of Dante's and Petrarch's contemporaries to doubt even the existence of God.• It was then deemed expedient to maintain both the authority of the Gospel, and the tempora! inftuence of the Church, by the arbitrary and mysterious laws of the Holy lnquisition. Severa! of the Popes who filled the chair of St. Peter during the life of Dante, had been originally friars of the order of St. Dominick, the founder of that tribuna!; and their successors, in the age of Petrarch, were prelates of France, either corrupted by luxury, or devoted to the interest of their country. The terror which had been propagated by the Dominicans, was followed by the sale of indulgences, and the celebration of the jubilees, instituted about this a) Guido Cavalcanti alcuna volta speculando, molto astratto dagli uomini diveniva; e perciò che egli alquanto teneva della opinione degli Epicurii, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni eran solo in cercare se trovar si potesse che lddio non fosse. BoccACIO, Giom. vi. Nov. 9.-See also DANTE, Inf. cant. 10., and PETRARCH, Senil. lib. 5. ep. 3. 1 si trovassero di fatto alle dipendenze dei papi. Il selvaggio e audace fanatismo religioso, venuto a cessare colle crociate, declinò in oscura e sospettosa superstizione; nuovi articoli di fede trapiantati dall'oriente in Europa diedero origine a nuove sette cristiane: la circolazione dei classici, il gusto diffuso per la metafisica greca, il materialismo aristotelico sparso per l'Europa dagli scritti di Averroè condussero alcuni contemporanei di Dante e del Petrarca a dubitare persino dell'esistenza di Dio. Fu allora giudicato necessario strumento a sostenere sia l'autorità del Vangelo che il potere temporale della Chiesa la legge misteriosa e arbitraria della Santa Inquisizione. Parecchi papi, che sedettero sulla cattedra di san Pietro, vivendo Dante, provenivano dall'ordine di san Domenico, il fondatore di quel tribunale; e i loro successori, ai tempi del Petrarca, furono prelati di Francia, o corrotti dal lusso o devoti agli interessi del loro paese. Al terrore propagato dai Domenicani fece seguito il traffico delle indulgenze e la celebrazione dei giubilei, istituiti nella contingenza di quei tempi da Bonifacio VIII. 1.

La si veda in Lettere senili ecc., cit.,

1,

p.

281.

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time by Boniface VIII. As the sovereign pontiffs were no longer allowed to employ in political projects the riches which they derived from their religious ascendancy, ambition yielded to covetousness; and they compounded their declining right of bestowing crowns for subsidies to maintain a luxurious court, and to leave behind them a genealogy of wealthy heirs. The people, though exasperated by oppression, and eager for insurrection, were disunited, and not enlightened enough to bring about a lasting revolution. They revolted only to overturn their ancient laws, to change their masters, and to yield to a more arbitrary government. The monarchs, opposed by an ungovernable aristocracy, were unable to raise armies sufficient to establish their power at home, and their conquests abroad. States were aggrandized more by craft than by bravery; and their rulers became less violent, and more treacherous. The hardy crimes of the barbarous ages, gave piace, by degrees, to the insidious vices of civilization. The cultivation of classical literature improved the generai taste, and added to the stores of erudition; but at the same time, it enervated the boldness and originality of natural talent: and those who might have been inimitable writers in their materna} language, were satisfied to waste their powers in being the imitators of the Latins. Authors ceased to take any part in passing events, and remained distant spectators of them. Some Poiché era sfuggito ai pontefici sovrani il potere di impegnare in imprese politiche le ricchezze che loro confluivano dall'esercizio del loro dominio religioso, l'ambizione diede luogo alla cupidigia; e in cambio del loro declinante diritto di conferire corone, ottennero i sussidi necessari al mantenimento di una corte lussuosa e a quello delle dinastie dei loro ricchissimi eredi. Il popolo, ancorché esasperato dall'oppressione e disposto alla ribellione, era disunito e immaturo a condurre una durevole rivoluzione: non conobbe la rivolta se non per rovesciare le antiche leggi, mutar di padrone e ritrovarsi sottomesso a un più arbitrario governo. L'opposizione di una ingovernabile aristocrazia rese i monarchi impotenti a costituirsi eserciti in grado di affermare il loro potere in patria e fuori dai loro confini. Più che il valore, l'inganno giovava a tener salda la compagine statale, e se i reggitori si fecero meno violenti, furono più disposti al tradimento. Così ai temerari delitti delle età barbariche subentrarono a poco a poco i vizi insidiosi delPincivilimento. Il culto delle lettere classiche perfezionò il gusto generale e accrebbe gli archivi dell'erudizione, ma contemporaneamente tolse nerbo alla forza dei caratteri e originalità agli ingegni, per cui alcuni che avrebbero potuto essere ineguagliabili scrittori nel loro materno idioma, preferirono dissipare il loro ingegno nell'imitazione dei latini. Gli scrittori si dimisero dall'occuparsi degli eventi che correvano e se ne rimasero distac-

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SCRITTI LETTERARI

detailed to their fellow-citizens the past glory, and warned them of the approaching ruin, of their country; and others repaid their patrons with flattery: for it was precisely in the fourteenth century that tyrannical governments began to teach their successors the policy of retaining men of letters in their pay to deceive the world. Such is the concise history of ltaly, during the fifty-three years which elapsed from the death of Dante to the death of Petrarch. THEIR endeavours to bring their country under the government of one sovereign, and to abolish the Pope's temporal po~er, forms the only point of resemblance between these two characters. Fortune seemed to have conspired with nature, in order to separate them by an irreconcilable diversity. Dante went through a more regular course of studies, and at a time when Aristotle and Thomas Aquinas reigned alone in universities. Their stern method and maxims taught him to write only after long meditation-to keep in view "a great practical end, which is that of human life»a_and to pursue it steadily with a predetermined pian. Poetica! ornaments XIII.

a)

DANTE,

Convito. 1

cati a guardare. Alcuni narrarono ai loro concittadini le glorie passate e li ammonirono della sopravveniente rovina che investiva la patria, altri con l'adulazione ripagavano i favori dei loro padroni: e fu proprio nel quattordicesimo secolo che i governi tirannici appresero ai loro successori l'arte di tenere i letterati a stipendio per ingannare il mondo. Tale è la concisa storia d'Italia nei cinquantatré anni che intercorsero dalla morte di Dante a quella del Petrarca. È uno solo l'aspetto che accomuna questi due personaggi, l'accordo dei loro conati per recare la patria sotto il governo di un unico sovrano e per porre fine al potere temporale del papato. Per il rimanente, sorte e natura cospirarono a separarli inconciliabilmente. Dante seguì un più regolare ciclo di studi, quando a quel tempo regnavano Aristotele e san Tommaso incontrastati, nelle università. Il metodo severo e le massime loro gli insegnarono a scrivere solo dopo aver a lungo meditato, a tenersi davanti a un grande pratico fine, cioè quello della umana vita u e a perseguirlo saldamente con un premeditato disegno. Gli ornamenti poetici paiono Xlii.

1. Conv., 1v, vi, 7: « [ ••• ] tutte l'umane operazioni domandano uno fine, cioè quello de l'umana vita [... ] ».

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seem constantly employed by Dante, only to throw a light upon his subjects; and he never allows his fancy to violate the laws which he had previously imposed upon his own geniusl'ingegno affreno, perché non corra che virtù noi guidi. -

INFERN0. 1

Più non mi lascia gire il fren dell'arte. -PURG.2 I rein and curb the powers of nature in me, lest they run where virtue guide not l\tline art

with warning bridle checks me. -

CARY'S

Transi.

The study of the classics, and the growing enthusiasm for Platonic speculations which Petrarch defended against the Aristotelians,8 coincided with his natural inclination, and formed his mind on the works of Cicero, Seneca, and St. Augustin. He caught their desultory manner, their ornamented diction, even when handling subjects the most unpoetical; and, above ali, their mixture of individuai feelings with the universal principles of philosophy and religion. His pen followed the incessant restlessness of his soul: every a) This is the main object of his treatise, De sui ipsiw et multorum ignorantia. usati da Dante al solo fine di lumeggiare l'argomento trattato, e mai permette alla sua fantasia di trasgredire le leggi che già ha prestabilito al corso del suo genio : l'ingegno affrcno, perché non corra che virtù noi guidi. - Inferno,

Più non mi lascia gire il fren dell'arte. Purg,

Lo studio dei classici e il crescente entusiasmo per le speculazioni platoniche che il Petrarca difese contro gli aristotelici, ben assecondano la sua naturale inclinazione, che lo portò a formare il suo spirito sulle opere di Cicerone, di Seneca e di sant' Agostino. Da costoro egli trasse l'argomentazione desultoria, lo stile ornato quand'anche aveva a che fare con i meno poetici temi; ma soprattutto egli tolse quel modo ch'ebbero di trattare i problemi universali del pensiero e della fede senza escludere il loro personale sentire. La sua penna seguì l'incessante irrequietezza della sua anima; 1.

In/., xxvi,

2.

Purg., 113

(ma 21: •e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio•). 141 (ma: « non mi lascia più ir lo fren dell'arte»).

21-2

XXXIII,

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SCRITTI LETTERARI

subject allured his thoughts, and seldom were ali his thoughts devoted to one alone. Thus being more eager to undertake, than persevering to complete, the great number of his unfinished manuscripts at last impressed him with the idea, that the result of industry would be little more than that of absolute idleness.aDante avows that in bis youth, he was sinking beneath a long and almost unconquerable despondence; and complains of that stillness of mind which enchains the faculties without destroying them. b But his mind, in recovering its elasticity, never desisted until it had attained its pursuit; and no human power or interest could divert him from his meditations. e a) Quicquid /ere opusculorum mihi excidit quae tam multa fuerunt,

ut usque ad hane aetatem, me exerceant, ac f atigent: fuit enim mihi ut corpus, sic ingenium magis pollens dexteritate, quam viribus. I taque multa mihifacilia cogitatu, quae executione difficilia praetermisi. - Epist. ad Posterit. 1 b) DANTE, Vita nuova.2 e)

Pocc10, 3 -DANTE,

Purg. cant. xvii.

ogni argomento attraeva i suoi pensieri e di rado tutti i suoi pensieri furon devoti a un solo argomento. Così, più disponibile a intraprendere che perseverante nel condurre a termine, alla fine il gran numero di manoscritti incompiuti lo spinse al convincimento che, di tanta operosità, il risultato poco si discostava da quello dell'ozio più completo. Dante confessa d'esser naufragato in gioventù in lunghi e pressoché insormontabili scoramenti; e si duole di quella sordità della mente che ne inceppa le facoltà ma che pur non le distrugge. Cosicché, la sua mente, riavuto ardore, più non desistette dal conseguire il fine, e nessuna forza né alcun interesse umano riusci più a distoglierlo dalle sue meditazioni.

1. a[. ..] tutti gli opuscoli miei, se non per intero composti, furono cominciati, o per lo meno orditi in quel luogo [la val Chiusa]; e furon tanti che a questa età mi danno ancora da fare. Conciossiaché come delle membra, così dell'ingegno io fui meglio destro che forte, e quindi avvenne che molte cose con alacrità intraprese lasciai per istanchezza in abbandono 11 (traduzione di G. Fracassetti, in Lettere di FRANCESCO PETRARCA ecc., Firenze, Le Monnier, 1, 1863, pp. 207-8). 2. Potrebbe riferirsi a Vita N11ooa, Xlii, 7 sgg. e a Tutti li miei penser pa,lan d'Amore, 1-8. 3. Nota C. FOLIGNO: a Il rinvio al Poggio è probabilmente dovuto a una svista; il F. pensava all'aneddoto di cui il BocCACCIO, Trattatello in laude di Dante, in SOLERTI, Vite cit. [Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, raccolte da A. SOLERTI, Milano, Vallardi, 1904], p. 38 » (Edizione Nazionale, x, p. 130, nota a).

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intellect of both could only act in unison with the organic and unalterable emotions of their hearts. Dante's fire was more deeply concentrated; it could burn with one passion only at a time: and if Boccacio does not overcharge the picture, Dante, during severa! months after the death of Beatrice, had the feelings and appearance of a savage.a Petrarch was agitated at the same time by different passions: they roused, but they also counteracted, each other; and his fire was rather flashing than burning-expanding itself as it were from a soul unable to bear ali its warmth, and yet anxious to attract through it the attention of every eye. Vanity made Petrarch ever eager and ever afraid of the opinion even of those individuals over whom he felt his natural superiority.-Pride was the prominent characteristic of Dante. He was pleased with his sufferings, as the means of exerting his fortitude, - and with his imperfections, as the necessary attendants of extraordinary qualities, - and with the consciousness of his internal worth, because it enabled him to look down with scorn upon other men and their opinionsXIV. THE

a) Egli era già, sì per lo lagrimare e sì per l'afflizione, che al cuore sentiva dentro, e sì per non aver di sé alcuna cura di fuori, divenuto quasi una cosa salvatica a riguardare, magro, barbuto, e quasi tutto trasformato da quello, che avanti esser soleva; in tanto che 'l suo aspetto non che negli amici, ma eziandio in ciascun altro a forza di sé metteva compassione. - BoccACIO, Vita di Dante. 1 L•intelletto, in entrambi, operò in concorde unione con le naturali e inalterabili emozioni del cuore. Il fuoco di Dante fu più profondamente concentrato e ardeva d'una sola passione alla volta: e se il Boccaccio non esagera nel suo dire, Dante, dopo la morte di Beatrice, per molti mesi ebbe Paspetto e i sentimenti di un selvaggio. Varie, in un medesimo corso del tempo, erano invece le passioni che insorgevano nelranimo del Petrarca così da rintuzzarsi vicendevolmente, e il suo fuoco interiore, più che bruciare, risplendeva ed era fuoco traboccante quasi i•anima fosse inetta a trattenerne il calore e ansiosa di attirare, con quello, 1•attenzione di ogni occhio. La vanità fece il Petrarca avido sempre, e sempre timoroso dell'altrui giudizio, fosse pur di coloro che naturalmente il suo ingegno dominava. L'orgoglio fu invece il tratto dominante di Dante. Pago fu del suo stesso soffrire ritenendolo stimolo delle sue virtù e delle sue stesse umane imperfezioni, perché complementi necessari delle sue straordinarie qualità, e certo fu della coscienza del proprio valore da cui trasse il disprezzo verso uomini e opinioni: XIV.

I.

Trattatello in laude di Dante, cit., p. 19.

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Che ti fa ciò che quivi si pispiglia ?lascia dir le genti; sta come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar de' venti. 1 How imports it thee what thing is whisper'd here?To their babblings leave the crowd; be as a tower that firmly set, shakes not its top for any blast that blows. CARY'S Transi.

The power of despising, which many boast, which very few really possess, and with which Dante was uncommonly gifted by nature, afforded him the highest delight of which a lofty mind is susceptibleLo collo poi con le braccia mi cinse, baciommi in volto, e disse: Alma sdegnosa! benedetta colei che in te s'incinse. 2 Then with his arms my neck encircling, kiss'd my cheek and spake: O soul justly disdainfull blest was she in whom thou was conceived. CARY'S Transi.

Dante's haughty demeanour towards the princes whose protection he solicited, was that of a republican by birth, an aristocrat by party, a statesman, and a warrior, who, after having lived in affiuChe ti fa ciò che quivi si pispiglia 1 lascia dir le genti; sta come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar de' venti.

La forza del disprezzo, di cui molti si vantano, ma che pochissimi veramente possiedono, e di cui la natura l'aveva dotato in modo eccezionale, gli conferì il più alto diletto che un'elevata mente possa partecipare: Lo collo poi con le braccia mi cinse, baciommi in volto, e diaac: Alma sdegnosa! benedetta colei che in te a'incinsc.

L'altero contegno di Dante verso i principi ai quali richiedeva difesa, fu quello di un repubblicano per nascita, di un aristocratico per la parte, di uno statista e di un guerriero, il quale, vissuto negli onori e negli agi,

1.

Purg., v,

12-5.

2.

lnf.,

v111,

43-5.

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ence and dignity, was proscribed in his thirty-seventh year, compelled to wander from town to town "as the man who stripping his visage of all shame, plants himself in the public way, and stretching out his hand, trembles through every vein,,.-''I will say no more: I know that my words are dark; but my countrymen shall help thee soon to a comment on the text, To tremble through every vein". a-Petrarch, born in exile, and brought up, according to his own confession, in indigence,b and as the intended servant of a court, was year after year enriched by the great, till enabled to decline new favours, he alluded to it with the complacency inevitable to ali those who, whether by chance, or industry, or merit, have escaped from penury and humiliation. xv. BEING formed to love, Petrarch courted the good-will of others, sighed for more friendship than human selfishness is willing to allow, and lowered himself in the eyes, and possibly in the affections, of the persons most devoted to him. His disappointments in this respect often embittered his soul, and extorted from a) Purgat. cant. xi, towards the end. b) Honestis parentibus, fortuna (ut verum fatear) ad inopiam vergente, natus sum. - Epist. ad Post. 1 proscritto a trentasette anni, andasse veramente ramingo di città in città "qual uomo che deposta ogni vergogna, si pianta sulla pubblica via e stendendo la mano si conduce a tremar per ogni vena". - « Più non dirò, e scuro so che parlo; / ma poco tempo andrà, che' tuoi vicini / faranno sì che tu potrai chiosarlo» il tremar per ogni vena. Il Petrarca, nato in esilio e cresciuto, per propria ammissione, in povertà, da quell'uomo destinato a servir nelle corti che era, venne arricchito, anno dopo anno, dai grandi onde, giunto al punto di poter ricusare nuovi favori, a questi alludeva con la compiacenza ch'è propria di coloro che per caso, merito o industria loro. sono sfuggiti all'indigenza e alla umiliazione.

xv. Nato all'amore. il Petrarca ambiva l'altrui benevolenza. sospirava per l'amicizia più di quanto non convenga all'amor proprio dell'uomo; e così scadde agli occhi e fors'anco nell'affetto di chi più gli era devoto. I suoi disinganni in merito gli amareggiarono l'animo e gli strapparono la 1. • Da genitori di onesta condizione, e per vero dire venuti già da mediocre a povero stato, e cacciati da Firenze patria loro in esilio, nacqui in Arezzo [ • • • ] 11 (traduzione di G. Fracassetti, in Lettere di FRANCESCO PETRARCA ecc., cit., 1, p. 202).

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him the confession, "that he feared those whom he loved". a His enemies knowing that, if he readily gave vent to his anger, he was still more ready to forget injuries, found fair game for ridicuJeb in his passionate temper, and provoked him to commit himself even in his old age with apologies.c-Dante, on the contrary, was one of those rare individuals who are above the reach of ridicule, and whose natural dignity is enhanced, even by the blows of malignity. In his friends he inspired less commiseration than awe; in his enemies, fear and hatred-but never contempt. His wrath was inexorable; with him vengeance was not only a natural impulse a) Senil. Lib. 13. Ep. 7. 1 b) lndignantissimi animi, sed · offensarum obliviosissi.mi-ira mihi persaepe nocuit, aliis nunquam. - Epist. ad Post. 2 e) AGOSTINI, Scritt. Venez. voi. 1, p. 5. 3 confessione II ch'egli temeva coloro che amava». E i suoi nemici, che ben lo sapevano pronto all'ira ma ancor più disposto a dimenticare le ingiurie, trovarono in tale passionale temperamento propizie occasioni per la beffa e fecero sì che fin nella vecchiaia egli si sentisse sempre portato alle discolpe. Non così Dante, che fu uno di quei rari individui che il ridicolo non può toccare e che ai dardi dei maligni oppone Pimpassibile dignità di chi non li cura. Più che pietà, agli amici ispirava rispetto, e odio o paura ai nemici; disprezzo mai. L•ira sua era inesorabile e la vendetta non fu solo un natu-

1. La si veda in Lettere senili ecc., cit., II, 1870, p. 293, là dove dice: a Non ho gran timore, se non per causa di chi grandemente amo [ ... ] o, 2. u Feci per ira talvolta male a me stesso: ad altri non mai [... ], irritabile, dimenticai facilmente le ingiurie [... ] 11 (traduzione di G. Fracassctti, in Lettere di FRANCFSCO PETRARCA ecc., cit., 1, p. 203). 3. Notizie istorico-criticlie intorno la Vita, e le Opere degli Scrittori Vi,riziani. F. GIOVANNI DEGLI AcoSTINI ecc., Vinegia, Occhi, 1752, 1, pp. 4-5: 11 Indirizzando egli [il Petrarca] un suo opuscolo a Do,rato Appennùrigena grammatico, il di cui titolo è: De sui ipsius et multorum ignorantia, così comincia nel primo capo [ma cap. II, lo si veda in PÉ'rRARQUE, Le traité De mi ipsius et multortm1 ignorantia, publié d'après le manrucrit autograpl,e de la bibliotl,èque Vaticane par L. M. Capelli, Paris, Champion, 1906, p. 19); Veniunt ad me de more amici il/i quatt4or [... ]. Da una nota marginale, apposta ad un Codice scritto a penna delle Opere del Petrarca [... ] vengono apertamente spiegati i nomi di tali amici, che frequentavano la conversazione di quell'illustre personaggio[ .. ,] Dominus Leonardus Danda/o: Thomas Talentus: Domimu Zacl,arias Contareno [... ] Magister Guido de Bagnolo [... ] » La citazione bibliografica si ritrova anche in G. TIRABOSCHI, op. cit., v, parte I, lib. li, cnp. 11, § IV, pp. 174-5.

A PARALLEL BETWEEN DANTE ANO PETRARCH (1823)

1 799

but a duty :a and he enjoyed the certainty of that slow but everlasting revenge which "his wrath brooded over in secret silence" Fa dolce l'ira sua nel suo secreto - 1 Taci e lascia volger gli anni: sì ch'io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro a' vostri danni. 2 Let the destined years come round: nor may I tel1 thee more, save that the meed of sorrow well-deserved, shall quit your wrongs. CARY,S Transl.

One would easily imagine his portrait from these lines: Egli non ci diceva alcuna cosa: ma lasciavane gir, solo guardando, a guisa di Leon, quando si posa.3 He spoke not aught, but let us onward pass, eyeing us as a Lion on his watch.

CARv•s Transi. As Petrarch without love would probably never have become a great poet-so had it not been for injustice and persecution which a) Che bell'onor s,acquista in far vendetta. also, Inferno, cant. xxix. vers. 31-36.

DANTE,

Convito. 4 -See

raie impulso in lui, ma un dovere, giacché la pregustata vendetta era in lui quella, seppur tarda, tuttavia eterna che fa dolce l'ira sua nel suo secreto. Taci e lascia volger gli anni: sl ch'io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro a' vostri danni.

In questi versi, ritrovare un suo ritratto ci pare agevole: Egli non ci diceva alcuna cosa: ma !nsciavane gir, solo guardando, a guisa di Leon, quando si posa.

Com'è probabile che il Petrarca senza l'amore non sarebbe diventato quel grande poeta che è, forse anche Dante, senza la persecuzione ingiusta che

1. Purg., xx, 96 (ma: a[ .. ,) l'ira tua nel tuo [...] »). 2. Par., 1x, 4-6. 3. Purg., VI, 64-6 (ma v. 64: « Ella [...] 1). 4. Ma Rime, CIII, 83.

SCRITTI LETTERARI

1800

kindled his indignation, Dante, perhaps, would never bave persevered to completeIl poema sacro, a cui han posto mano e cielo e terra, sl che mi ha fatto per molti anni macro. 1 The sacred poem, that hath made both heaven and earth copartners in its toil, and with lean abstinence, through many a year, faded my brow. CARY'S Transl.

xvi. THE gratification of knowing and asserting the truth, and of being able to make it resound even from their graves, isso keen as to outbalance all the vexations to which the life of men of genius is generally doomed, not so much by the coldness and envy of mankind, as by the burning passions of their own hearts. This sentiment was a more abundant source of comfort to Dante than to PetrarchMentre ch'i' era a Virgilio congiunto, su per lo monte, che l'anime cura, e discendendo nel mondo defunto, dette mi fur di mia vita futura parole gravi; avvegnach'io mi senta ben tetragono a i colpi di ventura. - 2 ne accese l'indignazione, non avrebbe trovato la perseverante forza per compiere il poema sacro, a cui han posto mano e ciclo e terra, sl che mi ha fatto per molti anni macro,

Il conforto di conoscere e di proclamare il vero, e il sentimento ch'esso possa risuonare al di là della propria morte è così profondo da prevalere contro tutte le avversità cui la vita degli uomini di genio è quasi sempre destinata, non già per la freddezza e l'invidia altrui, quanto per il fuoco della passione dei loro propri cuori. Consapevolezza questa che fu di assai maggior conforto a Dante che al Petrarca: XVI,

Mentre ch'i' era a Virgilio congiunto, su per lo monte, che l'anime cura, e discendendo nel mondo defunto, dette mi fur di mia vita futura parole gravi: avvcgnach 'io mi senti\ ben tetragono a i colpi di ventura. 1.

Par., xxv,

19-24.

1-3

(ma v. J: • [...] per più anni [ ...] •).

2.

Par., xvn,

A PARALLEL BETWEEN DANTE ANO PETRARCH (1823)

Ben veggio, Padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona: perché di previdenza è buon ch'io m'armi. -

1801

1

O sacrosante Vergini! se fami, freddi, o vigilie, mai per voi soffersi, cagion mi sprona ch'io mercé ne chiami. Or convien ch'Elicona per me versi ed Urania m'aiuti col suo coro forti cose a pensar mettere in versi. - 2 E s'io al vero son timido amico, temo di perder vita tra coloro, che questo tempo chiameranno antico. 3 I, the whilst I scal'd with Virgil, the soul-purifying mount, and visited the nether world of woe, touching my future destiny have heard words grievous, though I feel me on ali sides well squar'd to fortune's blows. -

My fatherl well I mark how time spurs on toward me, ready to inftict the blow, which falls most heavily on him who most abandoneth himself. Therefore 'tis good I should forecast. O ye thrice holy Virgins! for your sakes if e'er I suffer'd hunger, cold, and watching, occasion calls on me to crave your bounty. Ben veggio, Padre mio, sl come sprona lo tempo veno me, per colpo danni tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona: perché di previdenza è buon ch'io m'armi. -

O sacrosante Vergini! se fami, freddi, o vigilie, mai per voi soffersi, cagion mi sprona ch'io mercé ne chiami. Or convien ch'Elicona per me versi cd Urania m'aiuti col suo coro forti cose a pensar mettere in versi. E s'io al vero son timido amico, temo di perder vita tra coloro, che questo tempo chiameranno antico. 1. Par., xvn, 106-9. 2. Purg., XXIX, 37-42 (ma v. 39: •[...] vi chiami•). 3. Par., xvn, 118-20 (ma v. 119: •temo di perder viver [.•.] »).

SCRITTI LETTERARI

1802

Now through my breast let Helicon his stream pour copious, and Urania with her choir arisc to aid me; while the verse unfolds things, that do almost mock the grasp of thought. And, if I am a timid friend to truth, I fear my life may perish among those to whom these days shall be of ancient date. CARY'S

Transi.

And from a letter of Dante lately discovered,a it appears that about the year 1316, his friends succeeded in obtaining his restoration to his country and his possessions, on condition that he compounded with his calumniators, avowed himself guilty, and asked pardon of the commonwealth. The following was his answer on the occasion, to one of bis kinsmen, whom he calls 'Father', because, perhaps, he was an ecclesiastic; or, more probably, because he was older than the poet. xvn. "FROM your letter, which I received with due respect and affection, I observe how much you have at heart my restoration to my country. I am bound to you the more gratefully, since an exile a)

APPENDIX,

No.

v1. 1

E da una lettera di Dante recentemente scoperta sappiamo che intorno al 1 J I 6 gli amici suoi riuscirono a ottenere per lui la restituzione dei beni insieme a quella dello stesso poeta nella patria sua, purché venisse a pace con i suoi accusatori, si dichiarasse colpevole e pentito davanti alla repubblica. Tale è la risposta di Dante, in quell'occasione, a uno dei suoi parenti, ch'egli chiama «padre» forse perché ecclesiastico oppure, più probabilmente, solo perché più anziano del poeta. Nelle vostre lettere ricevute con l'affettuoso rispetto dovuto ho appreso con mente grata e attenta considerazione quanto il mio ritorno in patria vi sia a cura e a cuore; e perciò tanto più strettamente mi avete obXVII. •

1. Nota C. FOLIGNO: «Il F. aveva letta questa epistola in F. CANCELLIERI, Osservazioni sopra l'originalità della ). Già il Monti nella Proposta aveva affermato: «[...] il pieno diritto di giudicar classica o non classica la lingua d'un libro, scritto non già nel dialetto particolare d'un solo distretto, come la Tancia, ma nella lingua a tutti comune (quella cioè che per tutta l'Italia, sia nelle scuole, sia negli scritti, sia nella bocca delle colte persone, è una sola e uniforme), sta e dee stare nen•universale consenso della nazione» (Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della CnlSca, Milano, DalPimp. Regia Stamperia, 1817, I, p. XI), sottolineando la necessità di « considerare che la favella dei dotti si regge con altri principii che quella del volgo, o de' suoi parziali dialetti >1 (op. cit., p. XI), per concludere recisamente:« Egli è tempo ornai di convincersi che non dal popolo, ma dai sapienti, non dal Mercato, ma dal Liceo, non dalla balia, ma dallo studio le lingue tutte ricevono la debita perfezione: perciocché il bel parlare non è natura, ma arte; e le arti non s'imparano nella culla al canto della nutrice» (op. cit., p. xiv). Secondo una prospettiva non dissimile, ma con coerenza maggiore, e maggiore acutezza nel cogliere i nessi storici, il Foscolo sostiene che l'italiana è lingua letteraria in quanto «fu scritta sempre, e non mai parlata n, e che i dialetti non possono convertirsi in lingua scritta se non perdendo le proprie caratteristiche per assumerne di differenti, infuse dal concorso degli scrittori d,ogni città e generazione, e che però la lingua prescinde da circostanze spazio-temporali esattamente ubicate, dipendendo piuttosto dall'uso del popolo, da non confondersi con il volgo dei parlanti, che mai usano né usarono per comunicare della lingua letteraria, ma da identificarsi con l'insieme degli scrittori, soccorsi daU-esempio dei grandi autori. Vale la pena di sottolineare come, diversamente dal Monti, più che il rapporto tra lingua e linguaggi tecnici delle arti e delle scienze, al Foscolo soprattutto premesse l'articolazione del nodo storico lingua-dialetto. Osservato infatti che: « Fra' dialetti Italiani il meno alterato nella scrittura è sempre

SCRITTI LETTERARI

stato quel di Firenze; sì perché incominciò a scriversi innanzi gli altri e con arte; e sì perché per essere meno troncato nelle parole era meno difficile a intendersi dagli altri Italiani ,,, il Nostro aggiunge che giusta le caratteristiche dei singoli scrittori nessun autore toscano aveva riprodotto la pura fisionomia del dialetto a lui coevo, e però: et i letterati Fiorentini non pare che abbiano veduto che di dialetto non si può fare mai lingua se non per forza di tante e tali alterazioni che gli facciano perdere le native sembianze di dialetto», ciò che in Italia (nell'Italia di sempre) era ulteriormente aggravato da una varietà idiomatica pari solo al frazionamento politico operante in senso centrifugo rispetto ad ogni tendenza unificante. In tanto infatti l'assunzione del dialetto a lingua doveva nella fattispecie riuscire ardua, in quanto gli Italiani ,e non hanno corte né città capitale, né parlamenti dove la lingua possa arricchirsi secondando di grado in grado il corso e mutazioni delle idee, delle fogge, delle opinioni e del tempo; anzi quanto è letteraria tanto rimanesi artificiale più di quant'altre siano state mai scritte o si scrivano», ragion per cui ,e Il mantenerla purissima adattandola a nuove idee e all'uso corrente; il porvi studio e far sì che non raffreddi lo stile; e l'usarla letteraria come è, e ridurla tuttavia famigliare anche a non letterati, sono sempre state difficoltà che in pratica apparvero tutte indomabili a molti». Dal fatto insomma che la lingua italiana non fosse ,, né generalmente parlata, né scritta uniformemente 11, derivava che « la nazione non ha potuta frammettere la sua sentenza», così che la competenza a giudicare era rimasta esclusivo ufficio degli addetti ai lavori. La disputa linguistica si riduceva pertanto a una pura questione di forma, a « come si dovrebbe scrivere» piuttosto che a « ciò che pur si dovrebbe», stante che la situazione presente, perdurando le medesime condizioni politiche, non sembrava al Foscolo avere subito sostanziali mutamenti rispetto al passato. E però al quesito montiano: ,, Si può egli acquistare una nuova idea senza un nuovo vocabolo che l'esprima? Hanno forse gli antichi esaurite tutte le fonti dell'umano pensiero? Forse diedero nome proprio a tutti gli astratti, a tutt'i concreti, a tutte le esistenze, a tutte le mutazioni, a tutte le cagioni, a tutti gli effetti?» (op. cit., p. ix), era fornita una risposta che, nel limite dell'astrazione relativa al suo carattere formulare, offriva il pregio di un'incontestabile consequenzialità nei confronti degli assunti premessi dal Nostro a fondamento della propria disamina. "Alcuni scrittori» notava infatti il Foscolo cc per vanità di stile purissimo, non avendo colore da ravvivare le grazie che dissotterrano da vecchi libri, le lasciano cadaveriche, e pur se ne giovano; altri per necessità d'idee ignote agli antichi, si accattano parole e frasi da' forestieri e non le adoprano in guisa che si confacciano spontaneamente alla

DISCORSO SUL DECAMERONE (1825) • NOTA INTROD.

1815

lingua. Ma né i puristi sarebbero accusati di pedanteria, né gli innovatori di barbarismo, se chiunque scrive potesse insignorirsi dell'arte d'introdurre nel suo stile alcuni vocaboli e modi di dire antichissimi e forestieri sì facilmente che paiano più tosto invitati che intrusi ». Non è chi non veda come tale censura vada a colpire più il bersaglio dei neologisti che quello dei puristi, considerato che la uproposta" foscoliana non esce dai confini di una affermata storicità e letterarietà della lingua italiana. Ma anche non va dimenticato che quella nasceva da constatazioni di fatto attuali, e non per questo passivamente accettate, o passate sotto silenzio per quanto di conservativo e fatalmente reazionario esse comportavano. Nei termini in cui era stata impostata e continuava ad esser condotta, altra risposta non poteva darsi alla questione della lingua. Ciò che tuttavia distingue, a nostro avviso, il Foscolo dal mazzo di quanti intervennero nella querelle linguistica, è il netto rifiuto dei termini stessi del problema, del resto implicito nel costante controcanto politico intrecciato all'analisi dell'articolazione storica della questione della lingua, e alla denuncia del suo carattere meramente formale. « La lingua [...] » scriveva ancora il Poeta a era nata nel secolo XI I I e XIV dalla libertà popolare; e se gli Italiani nel XV quand'erano meno ossequiosi a' Papi e più sicuri da' forestieri - e fu il solo tempo - si fossero giovati di quel lunghissimo spazio d'anni a costituirsi indipendenti in nazione, gli scrittori si sarebbero immedesimati di necessità con la loro patria, ed avrebbero ampliata una lingua men artificiale e più generosa, scritta insieme e parlata, e che non fu mai conosciuta[...], né si conoscerà mai forse in Italia». Sebbene naturalisticamente libere di nascere, svilupparsi e morire, le lingue « Sogliono (...] prosperare nella libertà, ed intristirsi nella servitù. Le loro più dure catene sono procurate per via di leggi grammaticali». Le ragioni politiche che nel secolo XVI avevano privilegiato una lingua morta perché remota dalJ-intendimento popolare, e però strumento di una casta privilegiata, nell'interpretazione del Foscolo erano poi ancora le stesse che avevano dettato, in epoca posttridentina, il formalismo didattico della scuola gesuitica, così che, con evidente riguardo alla situazione italiana dei suoi giorni, gli era finalmente possibile concludere osservando che le diatribe grammaticali in tanto erano caratteristiche dei tempi di schiavitù politica, in quanto, frapponendo «comandamenti infiniti e impraticabili», di fatto impedivano a tutti di sapere •come s'abbia a scrivere».

AL SIGNORE

RUGGIERO WILBRAHAM. 1 SE questa Edizione per le cure eh'altri 'lJi pose ad abbel/irla2 si meriti di starsi fra le rare adunate da lei, Signor mio, non mi attento di dirlo. Piacciale tutta'lJia di ripor'lJela sì che ricordi quanto mi fu cortese la sua libreria. E s' ella, Signor mio, scorrerà il Discorso su le vicende del Decamerone, si ricorderà fors' anche del tempo ch'io con'lJersando con lei, imparava molto su le mutazioni e le origini delle lingue; e per le sue accoglienze ospitali io sentiva ad un'ora e come e quanto io le sarei amico grato e leale finché a'lJrei 'lJÌta e memoria. UGO FOSCOLO.

Roger Wilbraham (1743-1829). Erudito e bibliofilo, proprietario di una vasta raccolta di antiche edizioni italiane, fu uno dei più sinceri amici del Foscolo, il quale si valse più di una volta della sua biblioteca per i saggi londinesi. 2. per le cure .•. abbellirla: si tratta del ritratto del Boccaccio e di dieci incisioni dello Stothord, di cui è priva soltanto una delle quattro edizioni del Pickering (vedi E. R. VINCENT, Ugo Foscolo esule fra gli Inglesi, Firenze, Le Monnier, 1954, p. 257, nota 1). 1.

DISCORSO STORICO SUL

TESTO DEL DECAMERONE Per talem, qualem descripsimus, narrationem existimamus- rerum intellectualium, non minus quam civilium, motus et perturbationes vitiaque et virtutes notari posse. 1 BACONIS,

de Dign. et A.ug. Scient. ii. 4.

A ME, anzi che spendere alcuni giorni intorno ad un libro abbondantissimo d'esemplari, sarebbe stata più grata assai l'occasione di attendere ad altre opere del Boccaccio neglette con danno sì della lingua e sì della storia di quella età. Né io da prima intendeva se non se di consigliare il libraio Inglese2 il quale m'interrogò intorno alla più corretta fra le edizioni delle novelle; ed io gli additai la Veneziana del Vitarelli.3 Poi m'accorsi che quegli uomini dotti i quali la procurarono quasi schietta d'errori, v'innestarono per sistema un'ortografia che al parer mio non era propria al secolo dell'autore, né fu mai geniale alla lingua Italiana.4 Frattanto il libraio aveva già fuor di torchio alcuni fogli composti sovr'essa, e si contentò di rifarli di nuovo; ed io per fargli alcuna ammenda del mio poco savio suggerimento, promisi di rivedere le prove. Così senza quasi avvedermene m'addossai l'obbligo difficilissimo di rintracciare la schietta lezione d'un libro sul quale i critici si sono agguerriti l'un contro l'altro da quasi cinquecent'anni. E però mi sono studiato di derivare norme alla mia correzione, non tanto dalle autorità d'esempii o di leggi grammaticali, quanto da tutta la storia del testo del Decamerone: ed io la verrò ricordando; sì perché le ragioni efficaci in tutte le cose, e più nelle I. a Attraverso la narrazione che abbiamo fatto, riteniamo che si possano rilevare i moti, le perturbazioni, i vizi e le virtù delle cose intellettuali non meno che delle civili 11. 2. il libraio Inglese: William Pickering (Cornhill 2 aprile 1796 - Turnham Green 27 aprile 1854), La sua impresa editoriale più nota fu realizzata tra il 1821 e il 1831, quando, per i suoi tipi, vide la luce una serie di classici, in 48° e in 32°, comprendente Shakespeare, Ora.. zio, Virgilio, Terenzio, Catullo, Cicerone, Dante, Petrarca, Tasso, Milton, Walton. 3. la Veneziana del Vita,elli: si tratta del Decameron di Messer GIOVANNI BoccACCI tratto dall'ottimo Testo scritto da Francesco d 1 A.maretto Mannelli mWoriginale deU-A.utore, edizione formata sopra quella in 4° di Lucca del I76I, Venezia, Vitarelli, 1813, voli. 5. 4. quegli uomini •• • Italiana: vedi più oltre, a pp. I 895-6.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1819

lingue, emergono solamente da' fatti; e sl perché da' costumi ed aneddoti letterarii d'altri secoli appariranno le condizioni presenti dell'Italia, ove forse la ristampa di una raccolta di novelle tornerà ad affaccendare accademie, concilii, e pontefici, e provocherà ambascierie, mediazioni e trattati. Quando la pestilenza del 1348 in Firenze diede occasione al Boccaccio di scrivere le novelle, egli aveva da trentacinque anni; e pare ch'ei le pubblicasse spicciolate o a dieci per volta, da che sul principio della quarta giornata ei risponde a que' lettori che le avevano censurate. E bench'ei professasse di scriverle in Fiorentin volgare e in istilo umilissimo e rimesso quanto più si possono,• - pur nondimeno ei confessa ch'ei vi pose studio e tempo, e dava alla penna e alla man faticata riposo, - colui umilmente ringraziando che dopo si lunga fa tica lo aveva col suo aiuto al desiderato fine condotto. b Però sembrano verosimili i computi di chi afferma ch'ei pubblicasse il Decamerone otto anni dopo ch'ei l'ebbe incominciato.e D'allora in poi, ed era nel 1353, non trovo indizio ch'ei ne pigliasse altra cura; onde alcuni scrittori del secolo XVI narravano eh' ei non ne faceva gran capitale, e s'aspettava gloria dalle altre opere sue.d Il a) b) e) d)

Introd. alla Gior. iv. pag. 343, di quest'Ed. 1 Conclusione, pag. 961.967. 2 Salviati Gram. Lib. i. -Avvert. Lib. ii. c. 12.3 Bartolom. Cavalcanti, e il Muzio Lett. Lib. iii.4

Decamerone di Messer GIOVANNI BOCCACCIO, Londra, Pickering, 1825, in tre tomi, II, con varianti. 2. Edizione Pickering, cit., 111, con varianti. 3. Opere del Cavalier LIONARDO SALVIATI, Milano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1809-1810, II, Degli Avvertimenti della Lingua sopra 'l Decamerone, lib. II, cap. XII, p. 245, dove tuttavia si legge: • [...] nell'Epistola a Messer Pino: la qual dovette essere scritta otto, o nove anni dopo 'l libro delle Novelle, se pure è vero, ch'elle uscissero in pubblico l'anno cinquantatré, e che quel lvlesser Pino avesse bando nel 1360 [ •••] ». Dall'aver frainteso in parte questo passo, deriva probabilmente l'errore di calcolo fatto dal Fosco lo ( a eh' ei pubblicasse il Decamerone otto anni dopo• ecc.). 4. La notizia bibliografica deriva dall'Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio scritta da DOMENICO MARIA MANNI accademico fiorentino [il titolo di cui si vale il Foscolo nelle sue note deriva da quello presente nell'occhietto che precede il frontespizio: Illustrazione istorica del Boccaccio], Firenze, Si vende da Antonio Ristori dirimpetto alla Posta, 1742, parte II, p. 145: • Anche il Muzio scrisse nelle lettere Libro III, in quella a Mess. Gabbriello Cesano, e a Mess. Bartolommeo Cavalcanti: Avete aggiunto, che il Boccaccio non ebbe giudicio nelle cose me, anziché avendo scritto il Decamerone, e degli altri Libri, e i.specialmente il Filocolo ec. egli si credeva, che il Filocolo dovesse esser tenuto dal mondo in maggior pregio». 1.

SCRITTI LETTERARI

Petrarca, non che mai ricevere le novelle dall'autore che pur gli mandava ogni sua cosa, le vide molti anni dopo per accidente : e non ne lodò che il principio per la descrizione della peste, e la fine per l'ultima novella scritta a inculcare obbedienza alle mogli ; anzi a redimerla dall'indegna compagnia delle altre, la tradusse in Latino.a La loro età adulava nell'uno e nell'altro di que' nobili ingegni la ambizione di parlare in una lingua già morta a' loro concittadini, fra quali un'altra già nata cresceva ricca e vigorosissima. Taluni stimavano il Boccaccio secondo nella poesia Latina al Petrarca, ma eguale e superiore agli antichi e a Virgilio, segnatamente in certe egloghe oggi dimenticate: 1 vedi qui infrascritto il frammento d'una lettera di Colucio Salutati," dottissimo tra loro contemporanei.b Il Boccaccio fu ad ogni modo meno sdegnoso della sua lingua materna, e la promosse con altri scritti e molto più con le sue lezioni a) Librum tuum, quem nostro materno eloquio, ut opinor, olim iuvenis edidisti, nescio quidem unde vel qualiter ad me delatum vidi. Epist.

praef. Lib. de Obedientia ac Fide Uxoria. 3 b) O Musae, o Lau,us, o sacrae fata Poesis! et vere Musas atque Poesim et sacras Laurus Boccatii nostri fletus tangit. Heu mihi quis admodum pascua cantabit? quae sexdecim eclogis adeo eleganter celebravit utfacile possumus eas, non audeo dicere Bucolicis nostri Francisci, sed veterum aequare laboribus vel praeferre. Presso il Manni Illustr. del Dee. p. 135.4

certe • •. dimenticate: si tratta del Buccolicum Carmen, sedici egloghe condotte sul modello petrarchesco e composte, probabilmente, intorno al 1346: e vedi D. M. MANNI, op. cit., parte I, cap. xx, pp. 55-62. 2. L•umanista Coluccio Salutati (Stignano [Valdinievole] 16 febbraio 1331 - Firenze 4 maggio 1406), cancelliere della Signoria di Firenze per trent'anni dal 1375. 3. « Mi venne, non so come né da chi recato, alle mani il libro che negli anni tuoi giovanili, siccome io credo, da te fu dettato nella nostra lingua materna » ( traduzione di G. Fracassetti in Lettere senili di FRANCESCO PETRARCA, Firenze, Le Monnier, II, 1870, lib. xvn, lettera III, p. 541). La traduzione latina del Petrarca della novella x della decima giornata è in D. M. MANNI, op. cit., parte II, pp. 608-21, e a p. 629 viene riferito il passo dell'epistola prefatoria alla versione petrarchesca, citato dal Foscolo. 4. • O Muse, o allori, o fati della sacra poesia I Per davvero il pianto per il nostro Boccaccio tocca anche le Muse e la poesia e i sacri lauri. Ahimè, chi mai canterà più i pascoli? I pascoli che egli in sedici egloghe tanto elegantemente celebrò, che possiamo facilmente eguagliarle o addirittura preporle, non dirò alle bucoliche del nostro Francesco, ma alle opere degli antichi 1. Citazione compendiosa da D. M. MANNI, op. cit., parte 1, cap. xxxv, p. 135. 1.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1821

sopra il poema di Dante. 1 Ma come credere ch'egli immaginasse mai che i grammatici avrebbero considerate le sue novelle per più di tre secoli come uniche sorgenti d'idioma e di stile, s'ei non che depurarle da' pochi errori suoi proprii e dagl'infiniti de' copiatori, non lasciò dopo di sé un esemplare che servisse poi di modello? E certo quand'ei moriva aveva già da dieci o dodici anni distrutto il testo autografo del libro che doveva allettare l'ammirazione degli uomini in guisa da disviarla dagli altri suoi meriti forse maggiori. Verso la fine dell'età sua la povertà che è più grave nella vecchiaia, e lo stato turbolento di Firenze gli fecero rincrescere la vita sociale, a e rifuggiva alla solitudine;b ed allora l'anima sua generosa ed amabile era invilita e intristita da' terrori della r~ligione. Vivevano a que' dì due Sanesi che poi furono venerati sopra gli altari. L'un d'essi era letterato e monaco Certosino, e lo trovi citato dal Fabricio2 Sanctus Petrus Petronus.c L'altro era quel Giovanni Colombini, a) Lettera del Boccaccio a Pino de' Rossi. 3 b) Et quandocumque dabatur nobis con/abulandi f acultas, quod raris-

simum tamen erat, et propter occupationes meas, et propter molem et aetatem rusticationemque loannis. - Epist. Colutii ad Brossanum de interitu Bocatii.4 c) Biblioth. Med. et Inf. Latinitatis, vol. i. lib. ii. p. 68. 5 1. e molto più . .. Dante: incaricato nel 1373 di tenere una pubblica lettura della Commedia, il Boccaccio iniziò le lezioni nell'ottobre, interrompendole, a causa della malattia che doveva condurlo alla morte nel 1375, al principio del 1374, dopo avere condotto il commento dantesco sino all'inizio del canto XVI dell'Inferno. 2. Giovan Alberto Fabrieio (Leipzig II novembre 1668 - Hamburg 30 aprile 1736) è soprattutto noto per le tre Bibliot/iecae (la latina, pubblicata nel 1697; la graeca tra il 1705 e il 1728 in quattordici volumi; e l'antiqflaria pubblicata nel 1713). 3. Laberi11to d'Amore di M. GIOVANNI BOCCACCIO, con ima Epistola a Messer PINO DE> Rossi ecc., Stampata in Vinegia per Pietro di Nicolini da Sabio, 1536, cc. 6ov.-61r.: • [.•.] et gli stomachevoli costumi de suoi cittadini, li quali per non vedere [ .•. ] preso volontario essilio, sé medesimi relegarono, et sel mio piccolo, et depresso nome meritasse d'essere tra gli eccellenti huomini detti di sopra [•.. ] io direi per quello medesimo bavere Firenze lasciata et dimorare a Certaldo, aggiugnendovi che dove la mia povertà il patisse, tanto lontano me n'andrei, che come la loro iniquità non veggio, cosi udirla non potessi giamai ». 4. a Ogni qual volta c'era data opportunità di conversare, il che tuttavia era rarissimo, e a causa delle mie occupazioni, e a causa della gravosa età e del dimorare in campagna di Giovanni» (vedila in D. M. MANNI, op. cit., parte 1, cap. xxxv, p. 135). 5. Il passo Vivevano •.• Petronus e la citazione bibliografica relativa derivano da D. M. MANNI, op. cit., parte 1, cap. xxvu, pp. 84-5: • Il Beato Pietro de' Petroni Senese Certo-

SCRITTI LETTERARI

mercatante di professione, che fondò l'ordine de' Gesuati i quali arricchirono Siena con le manifatture de' loro conventi, e il territorio Milanese con l'invenzione de' prati irrigatorii; ma furono poi rovinati dalle troppe ricchezze, e aboliti non molto dopo la istituzione de' Gesuiti, che si giovarono della esperienza di tutti gli ordini religiosi e ridussero a sistema concatenato le arti di tutti monaci e frati conosciuti fino a que' giorni. Il fondatore de' Gesuati, se bene ignorante fino alla virilità, fu dotato di dottrina ispirata, e scrisse la Vita del Beato Petroni.• I BollandistP allegano che il manoscritto del nuovo Santo, smarritosi per due secoli e mezzo, capitò miracolosamente alle mani d'un Certosino che lo tradusse dall'Italiano in Latino, e nel 1619 lo dedicò a un Cardinale de' Medici.b Forse il Colombini non ha mai scritto; e il biografo de' a) Acta Sanctorum Maii, tom. vii. p. 228. 2 b) Sancti Petri Petronii Vita a Sancto Johanne Colombino Italice scripta, a Bartholomaeo Senensi exomata. - Vedi anche la Vita ltal. del Beato Petroni, Venezia, 1702. 3

sino, Amico, e Concittadino del celebre Beato Giovanni Colombini [•..] diè commissione al P. Giovacchino Ciani suo Compagno, di portarsi col venire a Firenze, a Giovanni Boccaccio, e riprenderlo de' suoi scritti men che onesti, con iscoprirgli alcuna cosa dell'animo suo così segreta ad ognuno, che solamente era a Dio benedetto palese, e con insinuare in lui gran timore della prossima morte da lui tenuta come assai lontana. Così il Fontanini, donde ha tolto il sentimento presente Gio. Alberto Fabricio nella sua Bibliotheca mediae, et infimae Latinitatis (Voi. I, Lib. 2, pag. 68) cioè: Monuit eum S. Petrus Petronus, ne scri'ptis suis praeberet exemplum nequitiae, qui etiam mortem et instantem praedixisse traditur in Actis Sanctorum Maii Tom. Vll, pag. 288. Per altro miglior consiglio mi sembra il riferir qui tuttoquanto l'avvenimento colle parole, che tratte si veggiono essere dalla Vita del Beato Padre Pietro scritta dal B. Giovanni Colombini stesso in volgare, come quegli, che al dire di Feo Belcari nella Vita di lui, non seppe né Gramatica, né altra Scienza per istudio acquistare, perocché infino da puerizia attese alle mercanzie; e tradotta poi in Latino da Bartolommeo Certosino, onde i Bollandisti dottissimi vanno intitolando: Vita a S. loanne Colombina ltalice scripta, Latine a Bartholomeo Senensi exornata [e in nota: "la Dedica della medesima al Card. Carlo de' Medici è in data 1619"]. E ciò con ragione, a differenza d'un'altra Vita del B. Pietro Petroni descritta da Tommaso Simoncelli Ferrarese [e in nota: "stamp. in Venez. 1702"] [ ••. ] 11, 1. J Bollandisti: i gesuiti belgi preposti all'edizione degli Acta Sanctorum, così chiamati dal nome di chi ne prese l'iniziativa, Jean Bolland ( 15961665). 2. Per il passo L'altro ... Petroni e la relativa citazione bibliografica, vedi la nota 5 a p. 1821. 3. Il passo J Bo//a,idisti ... Medici e la relativa citazione bibliografica derivano da D. M. MANNI, loc. cit. alla nota s di p. 1821.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1823

Santi nel secolo XVII ricavò le notizie de' miracoli registrati nelle cronache e nelle altre memorie del XIV; e per esagerare la conversione miracolosa del Boccaccio pervertì una lettera del Petrarca che nelle sue Opere Latine ha per titolo De Vaticinio Morientium. 1 Il Beato Petroni morendo aveva infatti commesso verso l'anno 1360, a un frate d'intimare al Boccaccio che lasciasse da parte gli studii, e s'apparecchiasse alla morte; e il Boccaccio ne scrisse atterrito al Petrarca, il quale rispose: ccFratel mio, la tua lettera m'ha riempiuto la mente d'orribili fantasie, ed io leggevala combattuto e da grande stupore e da grande afflizione. Or come poteva io senz'occhi piangenti vederti piangere e ricordare la tua prossima morte, mentre che io, non bene informato del fatto, attendeva ansiosissimo alle tue parole? Ma oramai che ho scoperta la cagione de' tuoi terrori, e ci ho pensato un po' sopra, non ho più né malinconia né stupore. - Tu scrivi come un non so chi Pietro di Siena celebre per religione, ed anche per miracoli, predisse a noi due molte sorti future; e per fede della verità ti mandò a significare alcune cose passate che tu ed io abbiamo tenute secrete ad ogni uomo; ed egli che non ci ha mai conosciuti, né fu mai conosciuto da noi, pur le sapeva come s'ei ci avesse veduto nell'anima. Gran cosa è questa, purché sia vera. Ma l'arte di adonestare le imposture col velo della religione e della santimonia, è frequentatissima e antica. Coloro che l'usano esplorano l'età, l'aspetto, gli occhi, i costumi dell'uomo; le sue giornaliere consuetudini, gli studii, i moti, lo stare, il sedere, la voce, il discorso, e più ch'altro le intenzioni e gli affetti; e derivano vaticinii ascritti ad ispirazione divina. Or s' ei morendo ti predisse la morte, anche Ettore in altri tempi la predisse morendo ad Achille; e l'Orode Virgiliano a Mesenzio; e il Cheramene di Cicerone ad Erizia; e Calano ad Alessandro; e Possidonio l'illustre filosofo morendo nominò sei de' suoi coetanei presti a seguirlo sotterra, e chi morrebbe primo e chi dopo. Non importa il disputare per ora intorno alla verità ed alla origine di simili profezie; né a te, quando pur anche codesto tuo spaventatore (terrificato, 1,ic tuus) ti pronosticasse il vero, importa l'affliggerti.-Che? se costui non tel mandava a far sapere, avresti tu forse ignorato che non t'avanza molto spazio di vita? e s'anche tu fossi giovane, la 1. Lib. I, lettera v, a Giovanni Boccaccio, Padova 28 maggio 1362 (la si veda in Lettere senili ecc., cit., 1, pp. 32-49). L'epistola è interamente riportata da D. M. MANNI, op. cit. 1 parte I, cap. XVIII, pp. 88-99.

SCRITTI LETTERARI

morte non guarda ad età,,.• Rincrescemi di essere uscito alquanto fuori di strada, e insieme di non avere tradotto se non pochi passi, e assai debolmente di quella lettera del Petrarca, lunghissima ed eloquente nella quale ei congiunge con mirabile felicità i sovrumani conforti della religione cristiana alla virile filosofia degli antichi. Ma né pure il Petrarca guardava sempre in faccia la morte con occhio tranquillo; e se non gli venne fatto di liberare la mente dell'amico suo da' sogni superstiziosi, è da incolparne l'umana natura tenacissima de' semi sparsivi dalla nonna e dalla balia, e rigermogliano nel cuore de' vecchi a guisa di spine. Il Boccaccio sopravvisse più di dodici anni al pronostico travagliandosi ad impetrare perdono da' frati contro de' quali diresti ch'egli abbia scritto le più argute delle novelle. Morì nel 1375 d'anni sessantadue, e lasciò tutti i suoi libri e manoscritti al suo confessore-Ancora lasdo che tutti i miei. libri sieno dati e conceduti ad ogni suo piacere al venerabile mio maestro Martino dellordine di Frati Heremitani di Santo Agosti·no e del convento di Sancto Spirito di Firenze li quali esso debba e p ..• (forse possa) tenere ad uso suo mentre vive, si veramente che il decto maestro Martino n·a tenuto e debba pregare idio per l'anima mia e oltre far copia ad qualunque persona li volesse di quegli libri li quali ... composti. b Or pub egli credersi che il Decamerone fosse fra que'

libri composti da lui, e lasciati al suo confessore per uso del convento, e sotto condizione di lasciarne pigliar copia a chi la chiedesse? Questa sua volontà tutta scritta di sua mano fu pubblicata guasta dal tempo in una edizione procurata dagli Accademici della Crusca. Credono ch'ei l'avesse apparecchiata molt' anni innanzi il a) L'originale incomincia: -Magnis me monstris implevit, frate,, epistola tua, quam dum legerem, stupor ingens cum i11genti moerore certabat. Uterque abiit dum legissem. Quibus enim oc11lis, nisi /zumentibus, tuarum lachrymarum tuique tam vicini obitus mentionem legere potui, rerum nescius omnino, solisque inhians verbis? Ubi demum in rem ipsam internos fieri oculos, defixique, mutatus illico animi status, et stuporem seposuit et moerorem. 1 b) Decam. de' Deputati, della Ediz. de' Giunti, 1573.3 loc. cit., p. 88. 2. Il Decameron Di Messer GIOVANFiorentino ecc., In Fiorenza, Nella Stamperia de i Giunti, 1573. Il passo citato del testamento del Boccaccio, che nell'edizione ugiuntina" precede le novelle (pp. [55]-[8]), è riportato anche da D. M. MANNI, op. cit., parte 1, cap. xxxi, pp. 109-13. 1. Vedi D. M. MANNI, NI BoccACCI Cittadino

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1825

testamento Latino 1 rogato verso il tempo della sua morte, e dove la stessa clausula trovasi letteralmente tradotta; e un'altra nuova la quale prova a mio credere oltre ogni dubbio che l'autore aveva più tempo innanzi aboliti gli autografi del Decamerone. Niuno forse, dopo Aristofane, ricavò tanto amaramente il ridicolo dalla sfacciatagine degli oratori ignoranti e dalla credulità d'ignoranti ascoltatori quanto il Boccaccio con la pazza predica di Frate Cipolla, dopo ch'ei pellegrinò in tutti i paesi che sono e non sono nel globo terracqueo a trovare reliquie di Santi, e farle adorare per danari a Certaldo.a E nondimeno, il Boccaccio morendo diceva, d'avere da gran tempo cercato per sante reliquie in diverse parti del mondob-e le lasciava alla divozione del popolo in un convento di frati. E non per tanto, senz'altr'appoggio se non se l'unico delle lor congetture, il Salviati2 e i Deputati alla correzione del Decamerone si fondarono a emendare la lezione del testo su l'opinione che il Boccaccio avesse lasciato due copie di propria mano, ma varie, e dalle quali essi stimarono originate le varianti de' codici.e Molte ad ogni modo di quelle varianti sono ascritte alla ignoranza degli amanuensi, e molte altre alla grazia nativa dell'idioma Fiorentino che la a) Giom. VI. Nov. 10. 3 b) Item reliquit, et dari voluit et assignari Monasteriofratrum S. Marie de S. Sepulclzro del Poggetto, sive dalle Campora extra muros ci"vitatis Florentie omnes et singulas Reliquias sanctas quas dictz,s D. Joannes magno tempore, et czmz magno labore procuravit habere de diverm mundi partibus. Testamento del Boccaccio presso il Manni Illust. pag. I 15.4 e) Ed. Giunti 1573.5

1. il testamento Latino: lo si veda in D. M. MANNI, op. cit., parte I, cap. XXXI, pp. 113-7. 2. Leonardo Salviati, non ancora trentenne, divenne

console dell •Accademia Fiorentina e fece parte della Crusca fin dai primordi (e vedi qui la nota 2 a p. 1711). 3. La si veda nell'edizione Pickering. cit., u. pp. 574-7. 4. « Così lasciò, e volle fossero donate ed assegnate al monastero dei frati di Santa :Maria di San Sepolcro del Poggetto, ossia dalle Campora fuori le mura della Città di Firenze, tutte quante le sante reliquie che il detto Ser Giovanni procurò di raccogliere, in gran tempo e con gran fatica, da tutte le parti del mondo». La citazione foscoliana dal MANNI è compendiosa. 5. La citazione foscoliana non si ritrova puntualmente nel proemio A' Benigni, et Discreti Lettori della "giuntina., 1573 citata, ma vedi D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. I, dove, tra l'altro, si legge: « Il Salviati però, e con esso i Deputati giudicano, che forse il Boccaccio lasciasse due Volumi di propria mano, ma varii » (p. 630). 115

SCRITTI LETTERARI

grammatica de' non Toscani scambia per meri sgrammaticamenti. 1 Or a me pare che tanto le une quanto le altre derivassero dalla poca cura che il Boccaccio, essendosi pentito dell'opera sua, si pigliò a ripulirla qua e là, ed a ricorreggere le copie cavate dagli amici suoi, e dalle quali poi moltiplicarono i susseguenti esemplari. Ad ogni modo quanti oggi ne restano, e quanti i critici nel secolo XVI aveano sotto a' lor occhi, furono scritti nel secolo XV da tre soli in fuori-l'uno trovato nella libreria degli Estensi, e il Muratori lo crede del secolo dell'autore;2 ma non ha data certa-l'altro posseduto da un gentiluomo Fiorentino, fu ricopiato nel I 396 ;3 e quand'anche la data non fosse apocrifa, è tuttavia posteriore di vent'anni e più alla morte dell'autore-il terzo, e l'unico a cui l'uomo possa fidarsi, fu scritto nel 1384, dal Manelli figlioccio del Boccaccio; ma rimase codice occulto ed inutile per lunghissimo tempo. 4 Il Manelli ebbe di certo sott'occhio un testo ch'ei teneva per autentico insieme e inesatto; ma non che descriverlo, non ne palesa l'origine, e appena lo accenna qua e là con la postilla ne textus. E s'ei pur l'ebbe mai dal Boccaccio, ei non domandò, o non ottenne la correzione di molti sbagli ch'egli liberamente appone all'autore. Ricopiando con la diligenza scrupolosa di un amanuense, e con l'acume di un critico ei di rado, se pur mai, s'assume a correggere; bensl I. Molte . .• sgrammaticamenti: vedi la nota 4 a p. 1832. 2. l'uno trOtJato •.. autore: il passo deriva da D. M. MANNI, op. cit., parte Ili, cap. I, p. 630: u Di altro Testo a penna assai stimabile mi dà contezza il celebre Sig. Conte Lodovico Antonio Muratori [...]. Questo esiste nella Ducale Biblioteca Estense, e si crede del secolo stesso, in cui fiorì il suo Autore•· 3. l'altro . .. I396: il passo deriva da D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. I, pp. 631-2 dove, tra l'altro, si legge: « Il fu Cavaliere Anton Francesco Marmi aveva un Testo di carattere tondo con data del 1396. con questo in fine: [...] Hoc Librum e~:pletumfuit die XXV. Mensis lulii I396 [..•] •. 4. il terzo ... tempo: il passo deriva da D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. I, pp. 629-30: u Scrisse adunque questa celebratissima Copia del Decamerone, appellatasi l'Ottimo Testo, Francesco Mannelli amico familiarissimo, e compare del Boccaccio l'anno 1384 [ ...]e ciò fece dall'originale stesso del Boccaccio, qualmcnte egli in più luoghi fa fede. Questo Testo è uno de' più pregevoli Codici dell'insigne Libreria l\1cdiceo Laurenziana [...] fu del Granduca Cosimo I [... ] ed a caso perdutosi, per buona ventura dello Scrittore, dall'eccellente Baccio Baldini Medico del Granduca stesso ritrovato [.•.] ,,. Di Baccio Baldini cosl scriveva, tra l'altro, GIAMMARIA MAZZUCHELLI, Scrittori d'Italia ecc., Brescia, Bossino, 1758, II, parte I, p. 132: a Fiorentino, chiaro Medico ed Oratore, fiorì dopo la metà del secolo XVI [.•. ]. Ebbe anche la carica di Prefetto della Libreria Laurenziana, e fu uno di que' Soggetti [... ] proposti [.•.] per la correzione del Decamerone del Boccaccio [•.•] •·

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1827

nota laconicamente ne' margini, deficiebat 1 e suggerisce la parola probabile al senso; tal altra volta nota superftuum,2 e spesso par che rimproveri all'autore la sintassi intralciata o sconnessa: Constructo in zoccoli, Messer Giovanni. 3 Alle volte nota la poca verosimiglianza del fatto-Messer Giovanni, questo non cred'io, né anche tu. E buffa, ch'io noi credo. 4 Due novelle incominciano con le stesse sentenze e parole; e il Manelli scrive: Nota che questo medesimo profago usa l'autore di sopra nella deci.ma novella decta da Pampinea, il che pare vitioso molto.a Or l'autore non avrebbe egli ripulito le sue novelle di queste e simili macchie a pochi tratti di penna, se gli scrupoli di coscienza, sì manifesti verso la fine dell'età sua, non ve lo avessero sconfortato? Diresti bensì che il Manelli patisse mal volentieri che l'amico suo si fosse rappacificato co' frati; e dove ei li trova derisi o malarrivati, ei nota ne' margini. E pe' chierici. E pure pe' frati. E pur nota il ver dl frati. Nota pe' frati bugiardi. Nota pe' frati astiosi. che tutte le donne vorr,bbon per loro. Abate ingordo, tu non l'avrai. Frati miei do/ciati, se avete scudi sien da voi imbracciati, ch'or bisogno n'avete. Amen, e anche peggio: 5 e via così dalla prima all'ultima carta del codice. E forse capitò in potere di alcuni di voti; da che non è da trovarlo ricordato mai per quasi due secoli. Frattanto, benché niuno mai sospettasse che l'autore avesse abolito gli autografi del Decamerone, ogni critico disperò di vederli, da che quel convento dove i manoscritti del Boccaccio rimanevano per legato, fu nell'anno 1471 incenerito dal fuoco. Inoltre verso la fine di quel secolo il popolo Fiorentino fu persuaso da Fra Girolamo Savonarola a fare una piramide altissima con quante pitture e a) Giorn.

I.

Nov . .:x. Gior.

VI.

Nov.

1.6

deficiebat: le chiose del Mannelli sono tratte dal Decameron di M. G10. BoccACCIO, Tratto dall'Ottimo Testo Scritto da Fran. co d'Amaretto Mannelli Sull'Originale deWAr,tore, [Lucca] 1761, cc. 69v., 73r., 74,. ecc. 2. superflu1m1: vedi Il Decameron ecc. 1761, cit., c. 135r. 3. Constn1cto •• • Giova11ni: vedi Il Decamero11 ecc. 1761, cit., c. 1r. ( re Messer Giovanni • è aggiunta foscoliana). 4. Messer •. . credo: vedi Il Decameron ecc. 1761, cit., c. 177: • Mess. Giovanni questo non cred'io né anche tu et pur buffa ch'i nol credo, che questo non è pigliare pillola 1, 5. E pe' chierici . •• peggio: vedile nel Decameron ecc. 1761, cit., cc. 25v., 26v., 1oov., 102,., 117,., 29,., 117r., 15or. 6. Vedi l'edizione Pickering, cit., r, pp. 78-9 e n, p. 539. Il passo Nota •.. molto è tratto dal Decameron ecc. 1761, cit., 1.

c.

212,.

SCRITTI LETTERARI

statue antiche e moderne, ed arpe e liuti e stromenti d,ogni maniera poté raccogliere per le case, e codici e libri Latini e Italiani, specialmente le opere del Boccaccio;• e per celebrare divotamente l'ultimo giorno del carnevale arsero la piramide su quella piazza dove nella primavera seguente al loro malfortunato predicatore toccò d,essere bruciato vivo, e le sue ceneri gittate neWArno. l\tla innanzi l'incendio del convento, l'arte della stampa avea già incominciato a moltiplicare gli esemplari del Decamerone. Chi fra libri rari d,un Cardinale lodò un esemplare stampato nel 1449, o sognava o adulava;b bensì parecchi sono tuttavia da vedersi usciti nel 1470. A questo anno il Fabrizio assegna una edizione Fiorentina, ed altri allo stesso anno una Veneta. 1 Non so a quale delle due gl,intendenti abbiano conferito il nome di principe; bensì e a queste, e alle tredici posteriori registrate da, Fiorentini fino alla celebre del 1527 fu poscia imputato lo strazio della lingua delle Novelle. e Or da che furono primamente stampate nella loro città, quando tutti i manoscritti del Boccaccio pur esistevano, ed ogni uomo in vigore del testamento poteva cavarne copia, è da dire, - o che il Decamerone non fosse fra que' libri-o che que, primi editori non si dessero pensiero di accomodare la stampa agli originali. Se non che passavano alloramai cent'anni da che la gara crescente di scrivere in Latino, e gli studii indefessi su gli autori Greci e Romani, avevano lasciato irruginire la lingua viva chiamata quasi per disprezzo volgare. Né perché Lorenzo de' Medici e gli amici suoi si studiassero di ricoltivarla, potevano fare che il primo e più severo comandamento de' padri a, figliuoli in Firenze e de' maestri a, discepoli non fosse-Che eglino né per bene, né per male, non a) Nardi Stor. Fior. Lib. ii. an. 1496, 1497. 2 b) Manni Illustr. del Dee. pag. 637, ed. Fior. 3 e) Manni Illustr. p. 640.4

ed altri . .. Veneta: vedi D. M. MANNI, op. cit., parte III, cap. 111, p. 637. 2. II passo bioltre . .. arsero la piramide e la citazione bibliografica derivano da D. M. MANNI, op. cit., parte JJI, cap. 11, pp. 634-6, dove è riportato il passo del Nardi. 3. In D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. III, p. 637, si legge: « Dell'anno 1449 si riferisce, un'edizione in quarto dal Sig. Conte Giacinto Vincioli [...] notarsi nella Biblioteca del Cardinal del Bosco; ma vi si soggiugne dipoi, che ben può dubitarsi di sbaglio, come nell'anno necessariamente vi ha da essere». 4. Ma p. 642 (parte 111, cap. v). 1.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

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leggessero cose volgari.• Ognuno sa come Pietro Bembo Veneziano fu primo a ridurre la lingua a regole; ma più che le regole giovarono d'allora in poi a ripulirla le opere di molti scrittori per tutta Italia. Ma quantunque ei pronunziasse che l'essere nato Fiorentino a ben volere Fiore11ti110 scrivere non fosse di molto vantaggio,b né alcuno s'opponesse per anche a viso aperto alle sue parole tenute tuttavia per oracoli, tutti a ogni modo se ne giovavano come d'oracoli, e le contorcevano a favorire le loro opinioni. Però i Fiorentini contesero che stando letteralmente alla sentenza del Bembo s'aveva da scrivere Fiorentino; dal che veniva la direttissima conseguenza che l'Italia aveva dialetti molti parlati, ed uno solo atto ad essere scritto, e non possedeva in comune lingua veruna. Insorse d'allora in poi, crebbe ed inferocì la tristissima lite-se la lingua letteraria s'avesse da chiamare Italiana, Toscana, o Fiorentina. Così allora le animosità provinciali, che sino dalle età barbare avevano conteso a quel popolo sciagurato di riunirsi in nazione, erano esacerbate insieme e santificate da quegli uomini letterati i quali negavano all'Italia fin'anche il diritto di possedere una lingua comune a tutte le sue città. Dante innanzi la fine della barbarie sentì che a comporre un reame di tante provincie, le quali parlando i loro dialetti non s'intendevano fra di loro, bisognava avvezzare tutti gli Italiani a comunicarsi a vicenda le leggi, la storia patria, i pensieri e gli affetti con una lingua scritta, più universale di qualunque dialetto popolare, e meno soggetta alle alterazioni che mutano quasi giornalmente i suoni e significati degl'idiomi parlati. Inoltre per propria esperienza egli vide e presentì che sì fatta lingua non poteva mai conseguirsi, se non se confondendo e fondendo quasi metalli purificati e immedesimati dal fuoco, tutte le parole e le locuzioni che l'ingegno degli scrittori avrebbe potuto scegliere da ciascheduno di tanti a) Varchi, Ercolano, tom. ii. p. 196, ed. Mii. 1 b) Della Volg. Ling. Lib. 1. 12. 2 1. Delle Opere di Messer BENEDETTO VARCHI, l\1ilano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1804, vn, L'Ercolano, Dialogo di M. B. V. nel quale si ragio11a delle li11gue, ed in particolare della Toscana e della Fiorentina, p. 196: a. Quesito ottavo. Da chi si debbano imparare a favellare le lingue, o dal volgo, o da' maestri, o dagli scrittori 11, 2. Opere del Cardinale PIETRO BEMBO, Milano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1810, x, Della Volgar Lingua, 1, lib. I, § Xli, p. 63 1 con varianti ed omissaom.

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SCRITTI LETTERARI

dialetti come più atte a comporre la lingua letteraria e generale della nazione. Ma nell'età di Leone X sì celebrata per tanta abbondanza di letteratura, la lite sul nome della lingua incominciò sì stolta e accanita, che Niccolò Macchiavelli, il più veggente fra gli scrittori politici, egli che pur non aspettava salute se non dalla riunione degli Italiani sotto un principe solo anche a patti che fosse tiranno, assalì e la sentenza e la fama di Dante, e lasciò un terribile documento delle risse puerili alle quali la vanità municipale conduce anche gli uomini grandi. Il Macchiavelli chiamava meno i·nonesti quelli che volevano che la lingua fosse Toscana; e inonestissimi gli altri i quali chiamavanla Italiana; e amoroso della patria e giustissimo chiunque sosteneva doversi-chiamare al tutto Fiorentina.a Frattanto il Bembo senz'inframmettersi nella contesa ch'egli inavvedutamente aveva attizzata, favoriva i Fiorentini; anzi escluse le opere tutte di Dante dal privilegio di somministrare esempi a' grammatici. Credo ch'egli educato e promosso alle ecclesiastiche dignità, pigliasse pretesto dalla lingua eh' ei chiamava rozza di Dante, affine di condannarlo dell'avere virilmente negata a' Papi ogni potestà temporale. L'imitare l'effeminata poesia e l'amore Platonico del Petrarca era velo alle passioni sensuali le quali, purché fossero adonestate, non parevano illecite. Il Bembo, seguace in tutto del Petrarca, aveva figliuoli illegitimi, ed era preconizzato successore di Paolo 111.b Più d'uno, qui dov'io scrivo, accusa quegli uomini d'ateismo; e s'ingannano. La loro religione s'immedesimava co' loro costumi; il che avviene alle religioni di tutta la terra. Il sentire religione è una delle passioni ingenite all'umana natura, e rarissimi vivono privilegiati dal prepotente bisogno di soddisfarla; ma simile a) Macchiavelli, Discorso intorno alla Lingua, sul principio. 1 b) Giovanni della Casa, Vita del Card. Bembo.2 Nel Discorso o Dialogo intorno alla nostra lingua si legge: «Nella qual disputa ho considerato come alcuni, meno inonesti, vogliono che la sia toscana: alcuni altri, inonestissimi, la chiamano italiana: e alcuni tengono che la si debba chiamare al tutto fiorentina [... ] » (Tutte le opere di NICCOLÒ MACHIAVELLI, Milano-Verona, Mondadori, II, 1950, p. 805). 2. Opere di Monsignor GIOVANNI DELLA CASA ecc., Venezia, Angiolo Pasinelli, 1752, 111, Vita Petri Bembi, pp. 23-4: "Susccpit enim ex ca mulicre liberos tres [ ••• ] », e p. 33: « Tum ea erat Bembi, in dicenda sententin, libertas, eo simplicitas, eaque in omni vita clementia atque ingenuitas incrat, ut, si ante eum Paulus mortem obiisset [•..] creatum iri eum Pontificem Maximum plerique compertum haberent ». 1.

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alle altre passioni, si nutre di tutte le altre nel nostro cuore, e le nutre; e anch'essa viene soddisfatta in modi diversi, a norma de' costumi diversi, delle leggi e delle opinioni. L'assegnare norme alla lingua Italiana dal volume licenzioso del Decamerone, e lo scrivere latinamente di cose cristiane con forme e frasi al tutto pagane, parevano peccati veniali. Erasmo imputavali a sacrilegio; e derideva a un'ora l'ignoranza fratesca e la Latinità non cristiana in Italia, a fine di spianare per tutti i modi la via a nuovi dogmi. Rimase d'allora in qua nelle Università protestanti la tradizione della miscredenza de' prelati di Leone X. Pur, se non tutti, moltissimi sentivano la fede che professavano, ed erano talor combattuti da superstizioni contrarie. Alcuni votavansi di non leggere mai libri profani; ma non potendo lungamente reggere al voto, ne impetravano l'assoluzione dal Papa.a Altri per non contaminare le cose cristiane con l'impura Latinità de frati e de monaci,b avrebbero voluto poter tradurre la Bibbia col frasario del secolo d'Augusto. Però non adoperavano sillaba mai che non fosse giustificata dagli esempi di Terenzio, di Cicerone, di Cesare, di Virgilio, e d'Orazio.e Così a) Ho impetrata l'assoluzione del voto che voi faceste de Libris Gentiliwn non legendis ed avvene Sua Santità data la benedizione sua sopra, con questa condizione che lo diciate al vostro confessore il quale ve ne abbia a dare alcuna penitenzia quale ad esso parerà. Bembo, Lett. Lib. ii. a Trifone Gabrieli. 1 b) Non sarà uom che giudichi ch'elle (allude a due lettere in Latino) siano di monaco, o per dire più chiaro di frate -dolet maculam iam per tot saecula inustam illi hominum generi, di non sapere scrivere elegantemente. Bembo, Lett. Lib. v. all'Arcivescovo di Salerno.a c) Giovanni della Casa, Vita del Card. Bembo. 3 BEMBO, op. cit., vr, Lettere ecc., 11, lib. 11, p. 46, con alcune lacune. P. BEMBO, op. cit., v, Lettere ecc., 11 lib. v, p. 169, con lacune e varianti. 3. Vita Petri Bembi, cit., p. 8: « Iacebat omnino temporibus illis eloquenJ.

P.

2.

tia: iniqui tate enim loquebantur: nullus erat verborum delectus, nullum scriptorum discrimen. Nam et ipse negligebatur Cicero, vel contemptui potius erat; et Caesarem propter historiam modo cursim et negligenter lcgebant; Terentium, Virgilium, bonos ceteros, in ludo tantum, idque perpauci, ediscebant [... ] », e p. 10: « [ ••• ] Bembus ad veterum scriptorum tamquam lumen ac lucem respexit primus, primusque ab hominibus, magnis quidem hortationibus, magno suo labore, multis reclamantibus ac repugnantibus, impetravit, ut Ciceronis, ut Virgilii, ut Caesaris similes se se in dicendo, quam Apuleii, Macrobii, Statiique esse mallent [ •.. ] ».

SCRITTI LETTERARI

la dottrina di ristringere tutta una lingua morta nelle opere di pochi scrittori fu più assurdamente applicata alla lingua viva degli Italiani; e i loro critici quasi tutti convennero non doversi attingere alcun esempio da veruna poesia fuorché dal canzoniere amoroso del Petrarca per Laura; né alcun esempio di prosa da scrittore o scritto veruno, fuorché dalle novelle del Decamerone. a Con quanto frutto della religione, non so ; ma la letteratura pur troppo discese effeminatissima a molte generazioni. Nondimeno anche quell'unico libro di prosa Italiana, sul quale erano fondate le leggi tutte quante della lingua, leggevasi scorrettissimo nelle stampe dove gli errori delle prime edizioni s'erano ripetuti e accresciuti; e ne' codici peggio. Anzi alcuni copiatori nel secolo XV avendo mutato nel testo le voci rare o antiche, e innestatevi chiose ed arguzie, faceano travedere interpollazioni per eleganze. b Non molto innanzi che il Bembo pubblicasse intera l'opera sua, la stamperia degli Aldi procacciò un'edizione del Decamerone la a) Bembo, della Lingua Volgare, passim 1 - Varchi, Ercolano2 Salviati, A vvert. su la Lingua del Decam. 3 b) Pref. de' Deputati alla Correzione del Decam.-Ed. 1573.4 I. Si veda, ad esempio, nel libro II dove, parlando degli scrittori volgari, il BEMBO afferma: « [ ••• ] il Petrarca, nel quale uno tutte le grazie della Volgar Poesia raccolte si veggono [...]. E alcuni di quelli ancora, che in verso scrissero, medesimamente scrissero in prosa, sì come fu Guido Giudice da Messina, e Dante istesso, e degli altri. Ma ciascuno di loro vinto e superato fu dal Boccaccio [... ] •; e continua: a Sono dopo di questi stati nell'una facoltà e nell'altra molti scrittori: vedesi tuttavolta, che il grande crescere della lingua a questi due, al Petrarca, e al Boccaccio solamente pervenne• (P. BEMBO, op. cit., x, Della Volgar Lingua, 1, lib. 11, pp. 274-5). 2. B. VARCHI, L'Ercolano ecc., cit., pp. 241 sgg.: « Quesito IX. A che si possa conoscere, e debbasi giudicare una lingua essere migliore, cioè più ricca, o più bella, o più dolce d'un'altra; e quale sia più di queste tre cose, o la greca, o la latina, o la volgare». 3. L. SALVIATI, Opere, cit. 1 11, Degli Avvertimenti ccc., lib. n, cap. Xli, pp. 233-4: 11 [ • • • ] quella del Canzoniere sia quasi una favella fatta dall 1 Autore, ma bellissima a maraviglia, e maestrevole intanto, che altra non possa forse imitarsi, da chi lodevolmente esercitar si debba in quella guisa di Poesia,,; e, sul Decamerone, pp. 246-7: a Comeché sia, in quel libro sono in sovrana eccellenza in varii luoghi sparsi tutti gli stili, e per lui solo possiamo dir quasi d'avere e pregiati autori, e pregiate scritture di tutte le maniere•. 4. Segnatamente nel Proemio, A' Benigni, et Discreti Lettori, pp. [31]-[2]: a Di questo nostro non è avvenuto così, perché havendo scritto in lingua che hoggi, tanto o quanto si crede sapere ciascheduno, non hanno havuto rispetto i copiatori [...] tor via le parole dell 1Autore et mettervi delle loro [ ... ] Altri sono stati che non credendo che gli importi dire una cosa con questa parola o con quella [.•. ] non hanno

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quale potesse fare le veci di testo. 1 Se non che l'accademia istituita in Venezia a ristorare gli antichi scrittori, s'era dispersa ;2 il vecchio Aldo 3 era morto già da sett>anni; Paolo Manuzio4 il quale poscia ereditò il sapere e la fama del padre, e fortuna tanto quanto men infelice, non era ancora uscito di fanciullezza: e il Bembo, non che mai attendesse, come altri oggi narra, a quell'edizione, le sue lettere manifestano ch'egli applicava alle regole grammaticali una lezione particolare del Decamerone desunta molti anni innanzi da un codice che non sappiamo né donde venisse né dove andasse a finire.-]/ Boccaccio stampato in Firenze del I 527 io tion ho, che ne corressi uno, di quelli stampati in Vi'negia assai prima, con un testo antichissimo e perfetto. Né poi mi ho curato d'altro.• Notisi di passaggio come il Bembo tenuto scrittore di purgatissima lingua, anzi notato per eccesso d'eleganza segnatamente nelle sue lettere,b scrive col dialetto Veneziano mi ho curato, in vece di mi sono curato che è proprio de' Fiorentini. Ma niuno può mai, per lungo studio ch'ei faccia, divezzarsi affatto dal suo dialetto materno; e comeché molti il contrastino, non però è meno vero che i dialetti diversi hanno perpetuamente cospirato a comporre una lingua letteraria e nazionale in Italia, non mai parlata da veruno, intesa sempre da tutti, e scritta più o meno bene secondo l'ingegno, e l'arte, e il cuore più ch'altro, degli scrittori. Del resto l'edizione Aldina essendo uscita non assai a) Bembo, Lett. Voi. ii. Lib. iii. al Rannusio. 5 b) Della Casa, Vita del Card. Bembo. 6

fatto caso di esporre il concetto dell'Autore con qualunque parola sia loro prima venuta alla bocca[... ] Et in somma in questo Scrittore hanno tenuto più conto della favella et della piacevolezza et del riso: che dello stile et delle parole et della elegantia [...] n. 1. la stamperia ... testo: in Venezia, nel 1 522. 2. l'accademia ..• dispersa: con la pubblicazione della prima edizione di Sofoc/e (Venetiis, in Aldi Romani Accademia mense Augusto 1502), si hu la prima attestazione di un'Accademia Aldina, consesso di dotti che si riunivano in casa del Ivlanuzio. La regola venne dettata in greco da Niccolò Cartcromnco (Scipione Forteguerri pistoiese). Vi fecero parte, tra gli altri, il Bembo, Erasmo, il Navagero e Marin Sanudo. La tipografia aldina interruppe In sua attività nel 1509, per riprenderla nel 1512. J. Aldo Manuzio, per il quale vedi nel tomo I la nota 2 a p. 749. 4. Paolo Manuzio (Venezia 12 giugno 1512 - Roma 6 aprile 1574). 5. P. BEMBO, op. cit., VI, Lettere ecc., 11 1 lib. 111 1 p. u9. 6. Vita Petri Bembi, cit., p. 34: a Iure igitur Bembus, maiore quudam cura, in verbis eligcndis torquebatur, praesertim cum Etrusce scriberet: itaque nova, splendida, decoraque eius in primis oratio est [..•] ».

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SCRITTI LETTERARI

prima, bensi non più che cinque anni innanzi la Fiorentina del 1527, è da dire che il Bembo alludesse a taluna delle molte ristampe anteriori pubblicate in Venezia. 1 Oltre a ciò non si può intendere dal contesto ch'egli emendasse le prove di tutta un'edizione, ma ch'ei solamente sopra un esemplare stampato notasse tutte le migliori lezioni somministrate da quel suo codice. Né pure la perfezione del codice va giurata su la sua sentenza; perché quantunque egli allora ottenesse, e anche oggi da molti, l'autorità d'infallibile critico, ei non per tanto fra le opere scritte in Italiano innanzi a Dante, cita l'Agricoltura di Pietro Crescenzio,2 e la Storia di Troia3 del Giudice di Messina,• le quali a dir vero erano originalmente Latine, e furono tradotte dopo cent'anni e più. Talvolta egli nega che il Boccaccio abbia tradotto una delle decadi di Livio; e talvolta credelo, e insiste che sia stampata. b Ad ogni modo la poca cura del Bembo a conoscere quanto i Fiorentini avessero emendato il libro sul quale doveva governarsi tutta la lingua, prova ch'ei credeva di leggerlo immacolato; e che a tramandarne a posteri la vera lezione bisognava d'allora innanzi non tanto l'acume e il sapere de' critici, quanto gli occhi e la pazienza de' correttori di stampea) Della Lingua Volgare. Lib. i. 4 b) Lettere, Voi. iii. Lib. v. a Bonaventura Orselli. - Vol. ii. Lib. iii. al Rannusio. 5

1. a taluna ... Venezia: per le edizioni del Decameron precedenti quella del 1527 vedi D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. 111, pp. 637-8. 2. l'Agricoltura di Pietro Crescenzio: relativamente a Pietro de' Crescenzi (Bologna 1230 - ivi 1320 o '21) e al Liber ruralir,rn commodorom vedi quanto afferma APOSTOLO ZENO in nota alla Biblioteca dell'Eloquenza italiana di Monsignore GIUSTO FoNTANINI, Venezia, Giambattista Pasquali, 1753, 11, pp. 333-4, e la Storia della Letteratura Italiana del Cavaliere abate GIROLAMO T1RABOSCHI 1 Venezia 1795, v, parte I, pp. 222-3. 3. Per la Storia di Troia vedi qui la nota 2 a p. 1626. 4. P. BEMBO, op. cit., x, Della Volgar Lingua, 11 lib. 11, p. 275: u [ ••• ] e molto men Pietro Crescenzo Bolognese [...] a nome del quale dodici libri delle bisogne del contadino in Volgare Fiorentino [... ] E alcuni di quelli ancora, che in verso scrissero, medesimamente scrissero in prosa, sì come fu Guido Giudice da Messina[ ... ]». 5. P. BEMBO, op. cit., VII, Lettere ecc., 111 1 lib. v, pp. 192-3: a lo ho fornito [... ] di leggere il vostro Livio volgare. E per quello, che io estimar posso, per niente egli non è traduzione del Boccaccio [...] », e nella lettera precedentemente citata (nota 5 a p. 1833), p. u8: a Io vi fo a sapere, che se Messer Thomaso Giunta non haverà altro testo da stampar la deca del Boccaccio, che quello del Magnifico M. Giovan Giorgio, la sua stampa non sarà né corretta, né buona [••.] ».

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Così sognava, e tuttavia d'intorno quella divina illuslon gli errava, misero! né sapea come il Tonante maturava i destini, e quanto pianto e quanto sangue di perpetua guerra dovean pagare al Ciel Teucri ed Achei.•

A' Fiorentini pareva che il Decamerone fosse straziato, e i loro privilegi manomessi oggimai troppo da' forestieri.b Un Ambasciadore Veneziano interrogando il Machiavelli intorno a meriti del Bembo, s'udì rispondere: Dico quello direste voi se un Fiorentino insegnasse la lingua vostra a Veneziani. e E se questa fosse più novella che storia, lascia scorgere ad ogni modo gli umori di quegli uomini, e di que' tempi. L'edizione del 15271 fu opera di molta spesa, e di pazientissimi studi di parecchi gentiluomini Fiorentini che si speravano di ristorare la loro città della perdita degli autografi. Trovo che vi concorsero Pietro Vettori,2 Francesco Berni, 3 e Bernardo Segni.4 Il Vettori è tuttavia nominato fra' principi dell'arte critica perch'ei fu de' primi, de' più indefessi, e più felici ristoratori d'autori Greci e Latini, molti de' quali erano ancora inediti: non però fece studio della lingua Italiana: ma forse l'autorità del suo nome fu più tardi citata dagli esageratori de' meriti di quell'edizione. Più efficace fu l'aiuto del Berni; perché a molte varianti credute spurie a) Iliade, Lib. ii. 5 b) Andando di male in peggio venne l'opera ad essere talmente alterata che fu d'uopo pensare al riparo per via de' Fiorentini. -Manni, Illust. p. 642. 6 e) Opere del Macchiavelli, Tom. i. p. 4, Ed. Mil. 7 1. L'edizione del I527: si tratta del Decamerone di M. GIOVANNI BocCACCIO nuovame11te corretto et co,r diligentia stampato, Firenze, Giunti, 1527. 2. Pietro Vettori (Firenze 3 luglio 1499 - ivi 19 dicembre 1585) 1 e vedi la nota I a p. 1836. 3. Francesco Berni (Lamporecchio 1497 - Firenze 26 maggio 1535), e vedi la nota I a p. 1836. 4. Bernardo Seg11i (Firenze 1504 - ivi 13 aprile 1558). Le ]storie Fiorentine, composte fra il 1527 e il 1555 1 videro la luce nel 1723. E vedi la nota I op. 1836. 5. vv. 39-44 della traduzione foscoliana (ma, nella bella copio del secondo canto [1815-1816], 39-40: • Lui che già certo il non-futuro evento / spera, e in quel giorno il sacro Ilio distrutto.,; e 43: 1 [ • • • ] continua guerra•· Li si veda in Edizione Nazionale, 111, parte I, p. 346). 6. Parte 111, cap. v, con omissioni. 7. G10VAN BATTISTA BALDELLI, Elogio di Niccolò.i'llachiavelli, in Opere di NICCOLÒ MACHIAVELLI ecc., lVIilano, Dalla Società 1, 1804, ma p. L, nota 1, con varianti.

Tipografica de' Classici Italiani,

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supplì raffrontando un codice allora tenuto per ottimo. 1 Ma i codici non bastarono; e quantunque quegli editori il dissimulassero, il famoso fra lor lodatori confessa ch'ei furono spesso necessitati a correggere ad arbitrio di congetture.a Che se al Berni non venne sempre fatto d'indovinare le parole originalmente scritte dal Boccaccio, e le rifece di fantasia, ei di certo non ne sostituì di peggiori. Ei sapeva per istinto distinguere a un tratto le eleganze dall'affettazione, e i vezzi schietti dagli idiotismi plebei. Né perché ei ponesse tanta cura a quelle novelle, si innamorò delle vecchie lascivie, come ei chiamavale, del parlare Toscano. Il suo rifacimento del poema del Boiardo rifece la lingua; la rinfrescò di amabilità giovenile come l'Ariosto abbellivala di originali eleganze. Ma l'uno e l'altro erano allora più cari a lettori che stimati da' critici. Le grazie dello stile del Decamerone, benché vaghissime, sono ammanierate, e ornate dall'arte; risaltano agli occhi e forzano ad osservarle; e però i professori di rettorica possono gloriarsi di discernerle di leggieri e farsi merito di declamare una dissertazione sopra ogni vocabolo. Nell'Orlando Innamorato e nel Furioso le grazie benché più molte d'assai, scorrono spontanee e meno apparenti; ma quanto più si fanno sentire né si lasciano scorgere, tanto più sono grazie. Il Segni era promotore di quell'edizione. Fu nominato con lode a' suoi tempi fra' traduttori e chiosatori d'Aristotile; 2 e all'età nostra fra gli ultimi storici di Firenze. Visse repubblicano di parte, e narrava la a) Salviati, Pref. al Decam. Ed. 1582.3 L'edizione • •• ottimo: il passo deriva da D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. v, pp. 642-3: « Quindi la edizione emendata, che se ne fece l'anno 1527 fu opera [.•.] di alcuni nostri Giovani nobili, e virtuosi, i quali con gran diligenza, e con nulla minor giudizio lo corressero [.•. ]. Uno, e fu il principale Bardo, o Bernardo di Lorenzo Segni [...] Antonio degli Albcrti iuniore [... ] Francesco di Lorenzo Guidetti [... ] Schiatta Bagnesi: Pier Vettori famoso[ ... ] Antonio Franchini il vecchio[ ...] Baccio, o Bartolommeo de' Cavalcanti [... ]. Servì loro per esemplare a questa correzione l'impressione d'Aldo Manuzio del I 522 [ ... ] e il fondamento principale della correzione venne ad essere il menzionato Codice di Casa i Cavalcanti, non già trovato da loro, ma per via di un riscontro, che videro averne fatto Francesco Berni 11. 2. Fu 11omi11ato . .. d'Aristotile: il passo deriva dn D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. v, p. 643. 3. Il Decameron Di Messer GIOVANNI BoccACCI Cittadin fiorentino, Di nuovo ristampato, eriscontrato in Firenze con testi antichi, et alla sua vera lezione ridotto dal Cavalier Lionardo Salviati, Depr1tato dal Sereniss. Gra11 duca di Toscatia [Francesco de' Medici] ecc., in Venezia, del mese di agosto. Per li Giunti di Firenze, 1582, Ai Lettori, passim. 1.

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storia della servitù; e forse per non porre a pericolo i suoi figliuoli, ei morendo non disse dove avesse riposto il suo manoscritto. Fu poi ritrovato a caso guasto dal tempo, e donato a uno de' principi Medici a quali giovava di risotterrarlo, e non fu veduto dal mondo che dopo quasi due secoli, e con fresche lacune; non così per amore degli antichi signori di Firenze de' quali la razza allora spegnevasi, come per riverenza alla memoria de Papi. a Tuttavia mutilata come è, e benché letta da pochi, la storia del Segni dopo quella del 1\llachiavelli e del Guicciardini, merita il primo luogo. È più esatta dell'una, e più veritiera dell'altra; e s'ei nello stile cede d'energia e di profondità al Machiavelli, avanza in naturalezza e sobrietà il Guicciardini. Ma e le storie e i poemi di quell'età ch'oggi s'hanno per depositarii di lingua, erano allora tenuti presso che barbari e indegni di essere nominati con "le Cento immortalate Novelle". L'edizione del I 527 fu tenuta cara sin da principio da' Fiorentini come ricordo degli ultimi martiri della repubblica, perché quasi tutti que' giovani i quali v'attesero combattevano contro alla casa de' Medici, e morirono nell'assedio di Firenze, o in esilio. Poscia il libro divenne più raro perché stava a rischio d'essere mutilato o inibito. Il Bembo mentr'era segretario di Leone X si travagliava molto mal volentieri in cose de' frati, per trovarvi sotto molte volte tutte le umane scelleratezze coperte di diabolica ipocrisiab-e il Pontefice faceva commedia dell'Abate di Gaeta coronandolo d'alloro e di cavoli sopra un elefante. e Adriano VI che gli succedeva era stato claustrale, e i Cardinali della sua scuola proposero poco dopo a) Segni, Stor. Fior. Lib. xi. Voi. ii. p. 343. Ed. Mii. 1 b) Bembo, Opere, Tom. ix. p. 6. Ed. Mil. 2 e) Varchi Ercol. Tom. i. p. 61. Ed. Mil. Ove non s'ha da credere a Monsignor Bottari annotatore, il quale di quest'Abate, e dell' Archipoeta di Papa Leone fa un solo buffone. L'Abate chiamavasi Baraballo; e l'Archipoeta, Camillo Quemo.3

1. Storie Fiore11tine di Messer BERNARDO SEGNI, Milano, Dalla Società Tipografica dc' Classici Italiani, 1805. 2. P. BEMBO, op. cit., IX, Lettere ecc., v, lettera 11, p. 6. 3. Nell'Ercolano ecc., alla pagina citata dal Foscolo, in nota, infatti si legge: a Vedi il Giovio nella Vita di Leone X che diffusamente racconta questa coronazione dell'Abate di Gaeta, che fu Camillo Querno, e che 'I Giovio chiama Baraballo Gaetano». E vedi PAULI lovn [•..] Illustrium virorum Vitae, Basileae, Per Henricum Petri et Petrum Pernam, 1567, u, De vita Leonis X, lib. IV, pp. 190-1.

SCRITTI LETTERARI

che i Colloquii d'Erasmo, 1 e ogni libro popolare ingiurioso al clero, si proibissero. A Paolo III parve che la minaccia bastasse, né s'adempì per allora; ma chi sapeva che il Decamerone, già tradotto in più lingue, allegavasi dagli antipapisti,• s'affrettò a provedersi dell'edizione Fiorentina la quale, anche da' dotti che non ne facevano gran caso per l'emendazione critica, era creduta schietta d'inavvertenze di stampa.b Ma né pur questo era vero. Il libraio Veneziano che dopo due secoli a contraffare quell'edizione foggiò la carta e i caratteri, la purgò mecanicamente e contro intenzione di moltissimi errori. Così gli esemplari Fiorentini del 1527, incominciando da prima ad essere custoditi non senza giuste ragioni, divennero tesori di librerie; e uno solo or di quella, or di tal altra rara edizione arricchì i venditori. Uno del Valdarfer fu comperato non sono molti anni, per lire due mille ducento sessanta sterline- e ed è soma) Iovii Elog. vi. 3 - Jortin's Life of Erasm. p. 218. seg. 4 b) Bembo, Lett. Voi. ii. Lib. iii. al Rannusio. 5 e) Dibdin, Bibliographical Decameron, voi. iii. p. 60. Bibliotheca Spenceriana, iv. p. 77. and the Supplement, p. 53. 6 1. I Colloquiafamiliaria videro la luce nel 1524. La prima traduzione italiana completa si ebbe in Venezia, ad opera di Pietro Lauro modenese, nella bottega di Erasmo, presso Vincenzo Vaugris, nel 1545 (vedi ERASMO DA RolTERDAM, Elogio della pazzia, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1914, lntroduzio,ie, pp. xv-xvI). 2. Cristoph Valdarfer (Ratisbona XV secolo), stampatore, attivo in Italia: a Venezia prima e, successivamente, a Milano. Il Decamerone vide la luce a Venezia nel 1471, e vedi D. M. MANNI, op. cit., parte III, cap. 111, p. 637. 3. Vedi gli Elogia veris clarom,n virorum imaginibus apposita. Quae in Musaeo loviano Comi spectantur ccc., Venetiis, apud Michaelem Tramezinum, 1546, lib. I, c. 7r.: « [ ••• ] illae dccem dierum fabulae Milesiarum imitationc in gratiam oblectandi ocii, admirabili iucunditate compositae in omnium nationum linguas adoptcrentur [...] •· 4. Nota C. FOLIGNO: •JOHN JoRTIN, The life of Erasmus, Londra, J. Whiston & B. White, 1758, voi. 1, p. 123. (la pagina è erroneamente indicata dal F.), dove si cita P. LIMBORCH, Histon'a lnquisitio,ris, lib. XIV, trad. inglese di S. CHANDLER, 1731 che scrive uThey only studied the Pagans, and religion was turned to ridicule as in the fables of Boccace, Dante etc."» (Edizione Nazionale, x, p. 320, nota a). 5. Vedi e p. 1833 il passo della lettera e la relativa nota. 6. Nota C. FOLIGNO: « Rev. T. F. DIBDIN, The Bibliographical Decameron, London, Shakespeare Press, voi. III, 1817, pp. 62-63 dove si parla dell'Asta Roxburgh del maggio 1812 e dell'esemplare Valdalfer stampigliato 11 concilium Tridenti" che sali a quel prezzo. Lo stesso DIBDIN, Bibliot/reca Spenceriana, London, Shakespeare Press, 1815, voi. IV, pp. 77-79 descrive l'esemplare Roxburgh notando come non si tardasse poi molto a scoprire che non era affatto unico• (Edizione Nazionale, x, p. 320, nota e).

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ma che s'io non isbaglio oggi darebbe da forse dodici mille scudi Toscani; e all'età del Boccaccio gli sarebbero bastati a fondare una pubblica biblioteca in Firenze. Or affinché i dilettanti di sì fatte curiosità non iscambino l'originale del 1527, per la ristampa, raffrontino poche pagine e s'appiglino alla più scorretta, perché di certo è la vera. Sul principio del volume si legge cento novella, e nella contraffazione novelle; e così spesso sino alla penultima carta dove Carlo Mgno dell'edizione originale fu raggiustato Magno. Ma per l'antica, e a quanto io preveggo, futura sciagura della lingua Italiana d'essere disfigurata dal troppo amore di que' tanti che vogliono arricchirla d'abbellimenti d'ogni maniera, anche quel cento novella e molti sgrammaticamenti de' così fatti sono stati tenuti per atticismi. Gli Accademici della Crusca1 s'avvidero di molte voci registrate da prima nel loro vocabolario le quali non avevano altro fondamento, che qualche errore di stampa, o qualche passo sconciamente letto, o interpretato, o altro simile scambiamento. • Vivono ad ogni modo e vivranno, e in Lombardia più ch'altrove, parecchi grammatici a' quali, levando le molte voci e dizioni generate dall'ignoranza e dall'accidente ne' libri antichi, parrebbe d'impoverire l'idioma di molte sue grazie, b senz'avvedersi che quando pur a) Pref. al Vocabolario, sez. iv.2 b) Le Grazie, Dialogo pubb. intorno al in Verona. 3

1812,

o non molto dopo

I. L'Accademia della Crusca sorse nel 1582 ad opera di un gruppo di membri dell'Accademia Fiorentina, cioè Bernardo Canigiani, Bernardo Zanchini, Giambattista Deti, Anton Francesco Grazzini e Bastiano de' Rossi, ai quali, l'anno successivo, si aggiungeva Leonardo Salviati. La prima edizione del Vocabolario vide la luce a Venezia (era stato iniziato il 6 marzo 1591) per i tipi dell'Alberti nel 1612 in un solo volume, ristampato successivamente, sempre a Venezia, nel 1623. Nel 1648, a Firenze, si iniziava la stesura della terza edizione, in tre volumi, che vide la luce nel 1691. A cura di Domenico Maria Manni, dal 1729 al 1738, si pubblicava a Firenze la quarta edizione. 2. Vocabolario degli Accademici della Crusca ecc., Firenze, D. M. Manni, 1729-1738, 1, Prefazione, § IV, p. [15]: «[ ••• ] con che no11, solo ci è venuto fatto di correggere moltissime citazioni, che per trascuraggine forse degli stampatori, o de' copisti erano errate [...] ma anche gli esempii medesimi [... ]. Né erano mica gli errori di poca importanza, ma di grandissima [...] », e p. [17]: « [ ••• ] che è stato necessario qualche volta cancellare [...] alcune Voci, che erano appoggiate sopra un sostegno, che posava in falso, cioè su qualche fallo degli stampatori, o qualche sbaglio preso nel leggere [...] D. 3. Si tratta probabilmente del dialogo di A. CESARI, Le Grazie (Verona, Ramanzini, 1813).

SCRITTI LETTERARI

fossero grazie nasceano bastarde e sono oggimai fatte decrepite. Dall'emendazione del Decamerone originò verso quel tempo in Firenze un'adunanza privata la quale da prima fu detta degli Umidi, i quali sotto colore di letteratura congiuravano contro a' Medici; poi fatta pubblica e meno libera, si chiamò Accademia Fiorentina; finalmente raccoltasi sotto il patrocinio di Cosimo1 Gran Duca, assunse il nome d'Accademia della Crusca e la dittatura grammaticale in Italia. Incominciò a meditare una nuova emendazione delle novelle; tanto più che un medico del Gran Duca dissotterrò non so donde e gli donò la copia sino a que' giorni ignotissima del Manelli scritta con miracolosa accuratezza al parere degli Accademici;• dal quale ho detto poc'anzi che niuno dissente. Bensì quando asserivano eh' egli in più d'un luogo fa fede d'avere scritto il suo codice su l'originale istesso dell'autore,b meritavano la taccia non foss'altro d,inavvertenza, e niuno sospettò mai se dicessero il vero. La data del codice e le postille del Manelli palesano ch'ei ricopiava dall'unico testo tenuto originale dopo la morte del Boccaccio, e noi giudicava schietto d•errori; ma non lasciano né pure pretesto a congetturare ch'ei vedesse gli autografi. E benché non si possa avverare come né quando perissero, la certezza storica della loro esistenza si smarrisce dieci anni e più innanzi la morte del Boccaccio; e le induzioni derivate dalla storia tendono a provare che fossero distrutti da esso. La copia del Manelli riesce utilissima ad ogni modo alla lingua e alla critica; perché egli era amico famiglia rissi mo del Boccaccio; e sapendo come e dove correggere, contentavasi di trascrivere; e tacendo dell'origine del suo testo, mostra a ogni modo che doveva a) Pref. alle Annot. de, Deputati alla Correzione.2 b) Proem. alle Annot. de, Deputati alle Correz. del Dee. 3 1. Cosimo I (Firenze 12 giugno 1519 - Castello [Firenze] 21 aprile 1574), granduca di Toscana, figlio di Giovanni de' Medici (dalle Bande Nere) e di Maria Salviati. 2. Vedi l'edizione del Decamero11 ccc. 1573, cit., A' Benigni, et Discreti Lettori, p. [35]: u Et il primo [...] è stato un Testo del Gran Duca COSIMO Nostro Signore, proprio de' suoi progenitori, che per caso perdutosi [...] per molta diligentia dell'Eccellente et suo proprio Fisico M. Baccio Baldini, fu ritrovato et ritornato al primo padrone [... ] da lui solo si è ricevuto più di lume, et di utilità, che da tutto il resto degli altri insieme [... ] », e vedi la nota 4 a p. 1826. 3. Vedi il Decameron ecc. 1573, cit., p. [35]: a[...] che li fu scritto [.•.] da [... ] Francesco di Amaretto, della nobilissima Famiglia de' Mannelli et dallo originale istesso del1'Autore, come egli in più di un luogo fa fede,;_ E vedi la nota precedente.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1841

pur essere il migliore, se non l'unico, al quale ei potesse attenersi. Emerge da ogni pagina di quell'esemplare un'interna e innegabile testimonianza d'autenticità; e se si fosse smarrito, è probabile che la lezione delle novelle, continuando ad essere emendata per via di congetture dagli uomini dotti, si sarebbe allontanata sempre più dalla mente del primo scrittore. E non di meno fin anche quell'ottimo codice capitò sotto gli occhi degli Accademici adulterato da critici sconosciuti. Alle postille del Manelli ne' margini, ricordate poc'anzi, furono aggiunte parecchie d'alt,ro carattere e inchiostro, e molte alterazioni arbitrarie nel testo le quali confondono la prima scrittura. Sono imputate, ma senza addurre ragioni, a Jacopo Corbinelli, 1 che fu primo a raffrontare quel codice e dietro al Decamerone trovò il Corbaccio, e lo illustrò secondo la lezione del Manelli in Parigi.a Forse le giunte delle postille e le interpollazioni sono di data più antica. Comunque si fosse, ali' Accademia non riuscì per avventura difficile di discernere le dubbie lezioni e scansarle. La somma difficoltà consisteva a trovare norme all'ortografia, che ad essi in quell'esemplare pareva, ed era, dura, manchevole, sooerchia, confusa, varia, incostante, e finalmente senza molta ragione. Il che essendo comuti difetto di quell'età, stimarono che poco differente fosse quella dell'Auto,e.b Però nel Decamerone, e in tutte le opere d'antichi scrittori, e nel loro Vocabolario gli Accademici della Crusca recarono le molte regole in una-ed è: Che la scrittura segua la a) Lettera Dedic. del Corbinelli. 2 b) Avvertimenti su la Lingua del Decam. voi. i. lib. iii. c. 4. [p. 14]. 1. Jacopo Corbinelli nacque a Firenze nel 1535. Esiliato nel marzo del 1562 per motivi politici, trovò ospitalità in Francia presso Caterina de' Medici. Oltre al Corbaccio che vide la luce a Parigi, per i tipi del Morello, nel 1569, ricordiamo la prima edizione originale del De Vulgari Eloquentia (Paris, Vorrier, 1577). Per il passo Alle postille • •. Corbinelli, vedi la Prefazione al Decamero11 ccc. 1761, cit., p. v dove, a proposito del Codice Mannelli, si legge: « [ ••• ] meritando esso che si seguitasse scrupolosamente la di lui Ortografia [. , .] e si notassero tutte le interpunzioni, virgole, cassature, e correzioni, o di Francesco di Amaretto Trascrittore, o di l\iless. Iacopo Corbinclli, che per suo studio lo consultò•. 2. Vedi la Prefazione al Decameron ecc. 1761, cit,, p. 1v, nota 11 dove si legge: «Nella Dedica, che il Corbinelli fa a Mes. Vincenzo Magalotti dice tra l'altre: Havt!f)amo [•..] un Corbaccio, da me già riscontro co11 quello, che fi, da un Fra,,cesco d'Amaretto Mam,elli l 1an110 scritto MCCCLXXXIIII, oltre ad ogn'altra ch'io habbia veduto, buono etc. ».

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SCRITTI LETTERARI

pronunzia, e che da essa non s'allontani un minimo che.• Come sì fatta legge guastasse di necessità l'evidenza, e la prosodia, e contaminasse di plebeismi l'indole signorile della lingua letteraria degli Italiani, e di quanti e quali mostri poetici abbiano gli Accademici popolato il poema di Dante ho già detto più di proposito in un discorso su le fortune del Testo della Divina Commedia ;1 e gli uomini non impazienti a queste necessarie minuzie giudicheranno. Ed ora, quantunque a me sembri vergogna e sia noia il ridire le stesse cose in due luoghi, mi gioverò d'alcune sentenze da quel libretto a mostrare che gli Accademici non potevano far servire la pronunzia ignotissima del tempo del Boccaccio se non a quell'unica ch'essi usavano e udivano a' loro giorni. E come mai potevano immaginare che i Fiorentini del secolo XVI proferissero parole ed accenti e dittonghi come i loro antenati nel secolo XIV? La scrittura delle parole s'altera di secolo in secolo, anzi di generazione in generazione; onde molti, senza troppo pericolo d'ingannarsi, distinguono l'età de' codici dalle forme diversissime de' caratteri. E nondimeno chi scrive, e molto più chi ricopia è guidato dall'occhio che è men capriccioso assai dell'orecchio dal quale ogni idioma d'anno in anno è modificato ne' suoni della voce assai più che ne' segni della scrittura. Le differenze delle figure dell'alfabeto scritto stando permanenti nelle carte riescono visibili a posteri; ma le modulazioni e articolazioni delle sillabe e delle parole si vanno rimutando impercettibilmente in guisa che chi le pronunzia le cangia e non se n' accorge. A' grammatici Fiorentini per appurare l'antica pronunzia, bisognava udire parlare l'ombre de' morti. Ma se gli arcavoli rivivessero a conversare co' loro discendenti in qualunque città della terra, penerebbero a intendersi fra di loro; tanto le pronunzie si mutano: e a dir vero, il più o il meno della varietà fra tutte lingue non dipende se non se dalle maggiori o minori diversità delle pronunzie fra gli uomini. Che se la lingua letteraria de' popoli s'avesse sempre da scrivere secondo la pronunzia della lingua parlata, l'ora) Pref. al Vocabolario della Crusca, sez. viii. 2 Come ... Commedia: si tratta del Discorso sul testo del poema di Dant~ (1825), preposto alla Commedia di DANTE ALIGHIERI, Illustrata da Ugo Foscolo, Londra, Pickcring, 1825, segnatamente ai §§ ccx-ccxi (li si veda in Opere, 111, pp. 475-9). 2. Vocabolario degli Accademici della Crosca, cit., I, p. [22]. 1.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1843

tografia andrebbe trasformata ogni secolo, e nessuna lingua avrebbe fermi principii né sicure apparenze. Vero è che il Manelli e tutti i copisti letterati e idioti contemporanei del Boccaccio, ed esso Boccaccio, e gli autografi del Petrarca posero l'Accademia della Crusca a durissime strette. Perché volendo essa prescrivere i libri antichi e il nuovo dialetto Fiorentino a tutta l'Italia come unici esempi e regolatori della lingua letteraria, era necessitata-o di alterare la ortografia antica de' libri a farla calzare alla moderna pronunzia del popolo, e fondar sovra questa ogni legge-o di lasciare puntualmente agli antichi quella loro incertissima ortografia; e qual fondamento restava più a posare le leggi ? Gli Accademici s'appigliarono al primo partito; e ricavando ortografia dalla pronunzia popolare de' loro giorni, l'applicarono al Boccaccio e agli autori antichi, ne' quali si rimase. Bensì ne' libri scritti dopo il secolo XVI fu rinovata fin anche da' Fiorentini secondo gli usi diversi che andavano correndo, e non fu mai generale né certa. Il che forse non sarebbe avvenuto, se gli Accademici, anziché desumerla da un dialetto e da un'età sola, l'avessero investigata nella storia di tutte le lingue, e nelle origini e l'indole dell'Italiana. ì\-Ia intanto che beatissimi del ricoverato Manelli studiavano per la loro edizione, non s'avvedevano che Lutero e Melantone e Calvino ne gli impedivano. Lutero che da giovane era stato iniziato forse in tutti i misteri de' claustrali, li rivelava con virulenza tanto più formidabile quant'era più giustificata da' fatti. I principii teologici di ì\ilelantone dettati con metodo più insinuante, erano tradotti e disseminati nelle ·città della Lombardia.a Calvino era stato a dimora sott'altro nome nella corte di Ferrara; convertì la Duchessa e alcuni altri alle nuove opinioni; e il suo catechismo correva in ltaa) Principii della Teologia di Ippofilo da Terra Negra. Miscell. Lipsien. Nova. voi. i. 1 1. Si tratta di Miscellanea lipsiensia nova [...] volllminis primi pars q11arta, Lipsiae, Apud lo. Frid. Glcditschium, 1743, dove, a pp. 628-43, a firma • I. B. », è pubblicata una Notitia libri longe rarissimi, par,cissimisqfle visi, PHILIPPI 1"1ELANCHTHONIS Hypotyposeon, italico sermone editamm. Vedi in particolare, per quanto attiene alla nota foscoliana, p. 632: « [ ••• ] J Principii della Theologia, di Ippofilo da Terra negra. Con gratia et privilegio. Nequc vero locos impressionis, neque typographi nomen, vel etiam nnnus editionis, additus est, constatque paginis, vel foliis potius (aversa enim paginae pars numero non signata est), octoginta septem •· E vedi qui la nota 3 a p. I 142.

SCRITTI LETTERARI

liano fra le mani di molti.• Ma perché la nuova teologia riesci va inintelligibile al pari e forse più dell'antica, i suoi promotori la dichiaravano per via di esempi suggeriti dalla vita ecclesiastica. Ma de' preti in dignità niuno poteva far motto senza pericolo; onde ogni frate fu l'irco delle iniquità d'Israele.• I figliuoli bastardi de' Papi d'allora e i loro nipoti imparentati a' monarchi d'Europa avevano principati in Italia; i loro sicarii li vendicavano anche negli altri stati; e chiunque avesse disputato della divinità delle bolle pontificie che li assolvevano d'ogni delitto, sarebbe stato reo di sacrilegio. b Bensì de' miseri frati non fu mai fino a que' tempi pericoloso di dire il vero ed il falso. Le loro tristizie essendo più note al popolo, e spesso ridicole, prestavano argomenti efficaci agl'innovatori i quali accusandoli di tutte le iniquità additavano i loro complici più potenti senza bisogno di nominarli. Ho accennato com'erano disprezzati nel regno di Leone X; poscia i nipoti di Clemente VII mascherati da monache venivano introdotti da frati a pernottare ne' monasteri di donne. e In quasi tutte le commedie, che erano per lo più imitazioni delle Latine, il personaggio del Lenone fu assegnato ad un frate: e però a fronte degli altri il Boccaccio "come la pecora morde; e non come il cane" _d Ad ogni modo a) b) e) d)

Muratori, Antich. Estensi. tom. ii. c. 13. 2 Varchi, Stor. Fior. Lib. xvi. sul fine. 3 Segni, Varchi Stor. Fior. passim.4 Giom. vi. Nov. 3. 5

l'irco ... Israele: cioè il "capro espiatorio" (cfr., per esempio, Esdr., 6, 11 [ • • • ] hircos caprarum pro peccatum totius Isracl duodecim »). 2. Delle Antichità Estensi ecc., Modena, Stamperia Ducale, II, 1740, cap. x111, p. 390: u Il peggio fu che lo stesso Giovanni Calvino [... ] determinò di venire a trovarla [..• ] la sua venuta a Ferrara è posta [... ] nell'Anno 1535 o pure nel susseguente. Venne Calvino travestito, e mutatosi nome prese quello di Carlo d'Hepperville. Accolto amorevolmente dalla Duchessa[... ] aguzzò l'eloquenza sua al fine di persuaderla [... ] ». E vedi The Lyric Poetry of Tasso, qui a p. 1750 e la nota 1. 3. Storia Fiorentina di Messer BENEDETIO VARCHI, Milano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, v, 1804, lib. XVI, pp. 389-93. 4. B. SEGNI, op. cit., II, lib. VI, p. 20: «Ebbe ardire [Alessandro de' Medici] di penetrare nei luoghi sacri e reconditi delle vergini consagrate al servizio di Dio, ne' quali commesse assai vergogne nefande [... ] 11; e v, lib. XIII, p. 58: 11 Il duca Alessandro [...] non perdonava, per isfogar la libidine sua, né alle sacre vergini, né ad alcun'altra sorte o grado di donna [ ... ] » e, più oltre, alle pp. 66-7: u Il duca Alessandro v'andò [... ] vestito a uso di monaca [...] n, 5. Edizione Pickering, cit., 11, p. 547: "essere la natura de' motti cotale, che essi, come 1.

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DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1845

i claustrali erano i servi più vili insieme e più necessari della chiesa Romana, e i motteggi contr'essi cominciavano a trapassare da' teatri e da romanzi alle chiese. I predicatori erano derisi sul pulpito; le donne a confonderli d'ignoranza citavano gli Evangeli, e i Profeti; i frati intimavano di non voler più predicare e accusavano d'eresia le città;• la chiesa decretò l'anatema contr' ogni libro dove gli ecclesiastici d'ogni abito e regola fossero proverbiati; e gli Accademici Fiorentini, non che ristampare il Decamerone, appena potevano leggerlo senza l'indulto del confessore. Il diritto canonico dell'anatema è originale della religione ;be dal dì che San Paolo redarguì San Pietro ed altri apostoli perché non facevano come ei predicava,c diventò imperscrittibile1 a tutte le comunioni Cristiane; e tutte per avventura s'avrebbero da chiamare Paoliane. Qui mentre scrivo intendo come la congregazione de' Metodisti, non potendo altro, compera libri nelle vendite all'incanto e li abbrucia.d Ad ogni modo sino a mezzo il secolo XVI le scomuniche e le pene capitali a' libri e a' loro scrittori non s'applicavano che per colpe vere, apposte, o probabili di eresia, e le sentenze erano più o meno severe secondo gli uomini e i tempi. L'opera del Pomponazzi sull'immortalità dell'anima,2 benché efficacissima ad illustrare la filosofia d'Epicuro, ed arsa per pubblico decreto da' Veneziani, fu dal Padre Inquisitore nel pontificato di .. l'b . c. 4. 3 a,' T'irab osch'1, Stor. L ett. tom. vn. 1 • 1. b) Sed licet nos, aut Angelus de coelo evangelizet vobis, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit. Paul. ad. Gal. c. 1. 8.4 e) Ad Gal. c. 11. 11-14. 5 d) Times, Aprii 4th,

1825.

la pecora morde, deono così mordere l'uditore; e non come il cane•· 1. imperscrittibile: cioè, non proscrivibile. 2. Si tratta del De im,nortalitate animae di Pietro Pomponaz::i (Mantova 16 settembre 1462 - Bologna 1525), che vide la luce in Bologna nel I s 16. E vedi la nota I a p. 1846. 3. G. TIRABOSCHI, op. cit., § XIII, pp. 153-5. 4. 1Ma quand'anche noi, o un angelo del cielo evangelizzi a voi oltre quello, che abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema n (traduzione di A. Martini). 5. 11 Cum autem venisset Cephas Antiochiam, in faciem ei restiti, quia reprehensibilis erat. Prius enim quam venirent quidam a lacobo, cum gentibus edebat; cum autem venissent, substrahebat et segregabat se timens eos qui ex circumcisione erant. Et simulationi eius consenserunt ceteri ludaei, ita ut et Barnnbas duceretur ab eis in illam simulationem. Sed cum vidissem quod non recte ambularent ad veritatem evangelii, dixi Cephae coram omnibus: Si tu, cum ludaeus sis, gentiliter vivis et non iudaice, quomodo gentes cogis iudaizare? •·

SCRITTI LETTERARI

Leone X assolta d'ogni censura;• e certe chiose del Sadoleto a un'Epistola di San Paolo, tuttoché censurate dal Inquisitore, erano ribenedette da Paolo 111.b Questi esempi, innumerabili e giornalieri, cessarono da che la riforma de' Protestanti provocò la riforma Cattolica che rimase meno apparente, benché forse maggiore e certamente più stabile. I Protestanti la derivarono dalla libertà di interpretare gli oracoli dello Spirito Santo con l'aiuto dell'umana ragione; e i Cattolici non ammettevano interpretazioni se non le ispirate alla Chiesa da Dio rappresentato dai Papi. Quale delle due dottrine provedesse meglio alla religione, non so: forse ogni religione troppo scandagliata dalla umana ragione, cessa d'essere fede·; e ogni fede inculcata senza il consentimento della ragione, degenera in cieca superstizione. Ma quanto alla letteratura, la libertà di coscienza preparava in molti paesi la libertà civile, e di pensare, e di a) Pompon. Apologia Bonon. 1s18. 1 b) Lettere di Principi, voi. iii. a Mare' Antonio Micheli, dicemb. 1535.2

1. Vedi G. TIRABOSCHI, op. cit., vu, parte 11, cap. 11, § 1v, pp. 391-2; e la nota• alle pp. 392-3 dove, tra l'altro, si legge: 11 Alcune particolari e curiose notizie intorno alle contese [... ] per la sua opinione sull'immortalità dell'anima, ci somministra l'Apologia della sua opera su questo argomento da lui scritta in Bologna nel I 517 e ivi stampata l'anno seguente. Più funesta potea riuscir la guerra che gli fu mossa in Venezia [ ... ]. I religiosi e i predicatori singolarmente recarono il libro del Pomponazzi al Patriarca, dicendolo pieno di eresie. Il patriarca riferì l'accusa ai magistrati, e di comune consenso il Pomponazzi fu dichiarato eretico, e il libro dato alle fiamme. Né paghi di ciò, inviarono il libro al Bembo, segretario aJlora di Leon X, pregandolo a ottenerne[ ... ] la condanna. Il Bembo, letto il libro, nol trovò sì reo come altri dicevanlo; mostrollo al maestro del sacro palazzo, a cui pure non sembrò degno di condanna; e in tal modo il Pomponnzzi non fu più molestato [ ...] ». 2. Nota C. FOLIGNO: « Delle lettere di Principi le quali si scrivono da Prindpi o a Principi o ragionano di Pri11cipi, lib. 111, Venezia, Ziletti, 1581, c.37r.: Hieronimo Negro a Marc'Antonio Micheli, di Roma 6 dicembre 1535; mn il F. ricordava approssimativamente, il testo dice: etL'è venuto qui da Carpentrasso M. Paolo Sadolcto, nipote del Vescovo ... al quale ha rinunciato l'episcopato, e perché credo vostra l\1agnificenza intendesse già il travaglio gli fu dato dal Mastro del Sacro Palnzzo sopra li Commentarii suoi sopra l'Epistola di San Paolo alli Romani, accusandolo d'heresia, e vetando li libri non fossero venduti, il Vescovo mandò qui al Papa una bella apologia, et era attaccata una grossa scaramuzza con questo frate suo conterraneo. Sopravvenuto il Reverendissimo nostro, si ha interposto, et fatta la pace con grande honore del Vescovo: li libri sono stati approbati et rilassati"• (Edizione Nazionale, x, p. 326, nota b).

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1847

scrivere; mentre in Italia l'obbedienza passiva alla religione accrebbe la politica tirannia, e l'avvilimento e la lunga servitù degl'ingegni. La riforma de' Protestanti mirava principalmente a' dogmi; e la Cattolica unicamente alla disciplina: e però anche le opinioni intorno alla vita e a' costumi degli ecclesiastici furono represse come tendenti a nuove eresie. Il Concilio di Trento' vide che i popoli incominciando in Germania a dolersi che i frati fossero bottegai d'indulgenze, si ridussero a rinnegare il sacramento della confessione, il celibato degli ecclesiastici, e il Papa. Adunque fu provveduto, che per qualunque allusione in vituperio del Clero, i libri si registrassero nell'indice de' proibiti; e che il leggerli o il serbarli senza dispensa di Vescovi fosse peccato insieme e delitto da punirsi in virtù dell'anatema. Le leggi canoniche furono d'indi in poi interpretate e applicate da' tribunali civili presieduti da' Padri Inquisitori della regola di San Domenico; i quali inoltre per consentimento de' governi Italiani, furono investiti dell'autorità di esaminare, alterare, mutilare, e sopprimere ogni libro antico o nuovo innanzi la stampa. Pio V 2 stato Domenicano, poi fatto santo, regnò subito dopo il Concilio di Trento, e fece esempio di Niccolb Franco3 a tutti gli scrittori maldicenti de' chierici. E perché non era reo d'eresia ma di scandalo, non fu condannato con le forme e le pene del Santo Ufficio, e morì senza lunghi tormenti per la corda del manigoldo. Come foss'ei giudicato, e per qual delitto specifico, e se per sentenza di tribunale o per moto proprio del Papa, non ho mai saputo appurarlo. Era scrittore osceno: pur nondimeno il Firenzuola4 monaco e Abate Vallombrosano, e il Bandello5 Vescovo e frate Domenicano, e il Lasca,6 ed altri coetanei del Franco seri1. Condlio di Trento: vedi qui la nota I a p. 1648. 2. Pio V: vedi qui, a p. 1655 1 Narrative and Romantic Poems of tl,e Italia11s e la nota 3 ivi. 3. Niccolò Franco (Benevento 13 settembre 1515 - Roma 10 marzo 1570), autore, tra l'altro, delle Pistole Vulgari (1538); dei Dialoghi Piacevolissimi (1538-1539); della Priapea ( 1542) in cui veniva fra gli altri dileggiato Pao .. lo III; dei Commentarii sulla storia contemporanea, stesi n Napoli intorno al I 552 e successivamente dati alle fiamme dall'Inquisizione, e della Philena (1547). 4. Agnolo Firenzr1ola (Firenze 28 settembre 1493 - Prato 27 giugno 1543), monaco vallombrosano, è soprattutto noto per le sue traduzioni da Apulcio (L'Asino d'oro, Venezia 1550) e del Panciatanlra indiano dallo spagnolo (La prima veste dei discorsi degli animali, Firenze I 548), e per i Ragioname11ti di amore (Firenze 1548). 5. Il domenicano Ivlatteo Bande/lo (Castelnuovo Scrivia 1484 - Bassens [Bordeaux] 1561). Le sue Novelle videro la luce fra il r S54 (prime tre parti) e il 1573 (quarta parte). 6. Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca (Firenze 22 marzo 1503 - ivi

SCRITTI LETTERARI

vevano laide novelle; ma nocevano piuttosto al pudore femminile che al buon nome degli ecclesiastici. La Delfina di Francia, 1 che regnò a congiurare col santo Pontefice la carnificina degli Ugonotti, accoglieva la dedica delle Novelle innanzi che fossero espurgate secondo i canoni;• e le mutilazioni poi fattevi manifestano che quel misero espiava non tanto le oscenità de' suoi scritti quanto le satire di certi epigrammi ingiuriosi anche al Papa. b Pio V per intercessione di Cosimo I concesse agli Accademici Fiorentini di ristampare il Decamerone emendato sul testo del Mannelli, purché, per niun modo si parlasse per entro alle Novelle in male o scandalo de' PRETI, FRATI, ABBATI, ABBADESSE, MONACI, MONACHE, PIOVANI, PROPOSTI, VESCOVI, o altre COSE SACRE; ma si mutassero i nomi, e si facesse in altro modo.e Quante parole, e sentenze, e novelle tutte intere dovessero essere cancellate e rimutate nel libro, apparì poi da' carteggi degli Accademici, del Gran Duca, dell' Ambasciadore Toscano al Pontefice, e degli Inquisitori di Fia) L'edizione è in 4to. del Giolito, procurata dal Dolce e dal Sansovino in Venezia; non so l'anno. 2 b) Menagio, Origini della Ling. ltal. p. 139.3 e) Istruzioni al Gran Duca Cosimo I presso il Manni. Illust. p. 653.4 18 febbraio 1584). Fu tra i fondatori delle Accademie degli Umidi (1540) e della Crusca (1582). È soprattutto noto per le Cene. 1. La Delfina di Francia: Caterina de' Medici, per la quale vedi qui le note 4 e 5 a p. 1141 e 2 a p. 1142. 2. Si tratta di: Il Deca"1erone di M. GIOVANNI BoccACCIO di nuovo emendato secondo gli antichi essemplari, per giudicio et diligenza di più autori ecc., In Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de Fcrrari, 1546. Oltre

alla dedica, dell'editore, alla Delfina di Francia, l'edizione (ristampata nel 1548, 1550 e 1552) contiene un sonetto di Lodovico Dolce in lode del Boccaccio, la Vita del Boccaccio di Francesco Sansovino, e una « dichiaratione di tutti i vocaboli, detti, proverbii, e luoghi difficili che nel presente libro si trovano• ancora del Sansovino. 3. Le Origini della Lingua Italiana compilate dal S.re EGIDIO MENAGJO, In Geneva, Appresso Giovani Antonio Chouet, 1685, p. 139: •CACATOIO. Il luogo dove si caca. Da cacatorium. Niccolò Franco: / Papa Pius Quintus, ventres miseratus onustos, / lrocce Cacatorium, nobile Jecit opus [...] •· Il passo quel misero ... Papa e la citazione bibliografica derivano da G. TIRADOSCHJ, op. cit., vn, lib. 111 1 cap. 111, § VI, p. 1099: •[..•]e finalmente il pontefice s. Pio V, contro di cui ancora esercitò il Franco il satirico suo talento con un epigramma latino che dal Menagio (Origini della Lingua ital. 139) si riferisce[... ] fece pubblicamente appiccarlo nel 1569 •· Il passo e le mutilazioni ... Papa, piuttosto che alle novelle boccaccesche, sembra riferirsi a Niccolò Franco, collocandosi pertanto dopo Era scrittore osceno. 4. Op. cit., parte III, cap. x.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1849

renze e di Roma. Serbavansi, e per avventura sono tuttavia da vedersi, nella libreria Laurenziana ;a e ridicoli come pur sono, s'hanno da custodire per documenti e pronostici della servitù e delle inezie in che la letteratura e l'Italia erano cadute allora, e ricadono. Le emendazioni critiche e le canoniche cozzavano fra di loro; ogni soluzione mandata a Roma provocava nuovi scrupoli, e Pio V in quel mezzo morì. Gli Accademici ed il Gran Duca quasi che il mondo vedesse imminente il pericolo di perdere ogni sillaba del Decamerone, rinnovarono le supplicazioni a Gregorio XII1 1 perch'ei pronunziasse in che modo s'avesse da mutilare, e potessero alfin pubblicarlo. E nondimeno erano allora decorsi appena cent'anni dopo l'edizione principe del 1470, ed era stata succeduta da più di cinquanta ristampe. b Parrà dunque a molti che i letterati Fiorentini, non che mai chiedere, non avrebbero dovuto patire di farsi esecutori della tortura del libro ch'essi pur adoravano. E come mai poteano sperarsi che un'edizione grammaticalmente correttissima adulterata fratescamente, sarebbe stata preferita alle intere, benché viziate dagli stampatori o da' critici? Le memorie di sì fatte puerilità d'uomini gravi forse giovano più che le storie a conoscere lenazioni ed i tempi. L'edizioni del Decamerone presso che tutte uscivano da Venezia; perché non essendo turbata da commozioni civili, né invasa da' forestieri, e temendo non ogni minima novità potesse smovere gli antichi ordini deJlo stato, opponevasi a' dogmi de' Protestanti, e non compiaceva alle recenti discipline Cattoliche se non in quanto la religione potea conferire alla costituzione e agl'interessi della repubblica. Però l'arte della stampa era meno inceppata che altrove; e taluni n'arricchirono in guisa che di librai divennero poscia paa) Novelle Letterarie di Firenze, 26 Maggio, 1752.2 b) Manni. Illust. p. 637-661. dov'ei ne registra quarantotto, e gli erano ignote alcune della libreria Pinelliana venduta in Londra. 3 -A Catalogue of the magnificent and celebrated Library of Maffei Pinelli, 1789, p. 156-157. 1. Gregorio XIII: Ugo Boncompagni (Bologna 1502 - Roma 10 aprile 1585), eletto papa il 14 maggio 1572. 2. Ln citazione bibliografica non si ritrova puntualmente in D. M. MANNI, op. cit., ma il passo Quante . •. Laurenziatra ricalca quanto, nella sopracitata opera, è detto nella parte III, cap. x, Della co"e::ione stimatissima de' Deputati, alle pp. 652-6. 3. Op. cit., parte III, segnatamente ai capp. III-VI, pp. 637-46.

1850

SCRITTI LETTERARI

trizii. Erano manifattori de' librai alcuni uomini letterati i quali scrivevano quanto e come potevano; ed oltre alle loro mille fatiche d'ogni maniera, rinovavano le edizioni degli autori più popolari, e per lo più del Boccaccio. I loro nomi, e più che altri Francesco Sansovino, 1 Ludovico Dolce,2 e Girolamo Ruscelli,3 si leggono ne' frontispizii di quasi tutte le ristampe di quell'età. Il Sansovino facendo più spesso le parti di compilatore voluminoso che di grammatico, attribuiva or ad altri or a sé parecchie novelle del Decamerone ch'ei defformava per palliare il suo furto; né questo fu il solo o il più grave del quale sia stato convinto.a Il Dolce nato in Venezia donde non si mosse mai, traduceva quante opere Greche e Latine gli venivano per le mani; compose rime d'ogni musica e dieci o dodici poemi lunghissimi; e volumi di storie, di orazioni, e di lettere; trattò d'antiquaria, di filosofia, e d'ogni cosa; e scrivendo dì e notte sin oltre all'ottantesimo anno d'una vita faticosissima, morì povero. Ridusse il Decamerone alla vera lezione tre volte; 4 e per allettar compratori alla seconda edizione, censurò la sua prima; e nella terza poi l'una e l'altra:b e il Ruscelli vituperandole tutte e tre, propose la sua lezione come l'unica vera; e riuscì la più infame.e Non perch'egli avesse corretto meglio né peggio; ma tutti a) Jac. Morelli. Codici della Lib. Nani, p. 123. 5 b) Opuscoli raccolti dal Calogerà, tom. i. Lettera intorno al Decam. 6 e) Castelvetro, Correzioni al Varchi, p. 57 et seg. Ed. di Basilea.7 1. Francesco Sansovino (Roma 1521 - Venezia 28 settembre 1586). Le Lettere sopra le dieci giornate del Decamerone videro la luce nel 1543. 2. Ludovico Dolce (Venezia 1508 - ivi 1568). Poligrafo, autore, tra l'altro, delle Osseroa::io11i sulla Volgar Lingua che videro la luce nel 1550. 3. Girolamo Ruscelli (Viterbo primi del I 500 - Venezia I 566). Poligrafo, scrisse, tra l'altro, sull'uso della lingua italiana e sul modo di comporre versi. 4. Ridusse ••• tre volte: Venezia, Giolito, 1546, 1550 e 1552. 5. Nota C. FoLJGNO: •JACOPO MORELLI, J codici manoscritti volgari della libreria Nani, Venezia, Zatta 1 1776, p. 123 1 dimostra che nel Dialogo del Ge,itiluomo Ver,e::iano (Venezia, Rampazzetto, 1556) si plagia una lettera di B. Tomitano attribuendola a Trifone Gabriele• (Edizione Nazionale, x, p. 330. nota a). 6. Il passo Ridusse • .. l'altra e la citazione bibliografica derivano da D. ì\1. l\•IANNI, op. cit., parte 111, cap. v11 Delle muta::io11i fatte da Lodovico Dolce, pp. 646-8. 7. Il passo e il Ruscelli ... ùifame e la citazione bibliografica relativa derivano da D. l\il. lVIANNI, op. cit., parte 111, cap. VIII, Delle pretese correzioni del Ruscelli, p. 649 dove, tra l'altro, si legge: • Di questo suo criticare Juor di ragio11e, quanto ne restasse motteggiato il R1ucelli, e sd1ert1ito da Messer Lodovico Caste/vetro, si p11ò vedere[ . •. ] a car. 57. 58. nel suo Libro intitolato Correzio11i di alcune cose del Dialogo delle Ling11e di

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1851

gli altri professando di venerare ogni parola del Boccaccio, le alteravano ad ogni modo; e apponevano i vizii grammaticali agli amanuensi, agli stampatori ed a critici; e il Ruscelli n'attribuì di molti all'autore, e talvolta ne vide dove non erano.• Dolevane dunque agli Accademici di Firenze per amor delle lettere, e si adiravano che un libro nel quale vedevano tutti insieme i tesori d'ogni umana eloquenza, e ch'ei non reputavano Italiano, ma Fiorentino, fosse non pur emendato, ma biasimato in Venezia.b Temendo che in quelle tante edizioni, quantunque non mutilate, la critica forestiera guasterebbe la fama dell'autore, e della loro città, e della lingua, patteggiavano co' Frati Inquisitori di potere stamparne una comeché svisata in Firenze; e confidavano che l'utilità della loro emendazione grammaticale sarebbe compenso equivalente allo strazio che il ferro ed il foco del Santo Ufficio farebbe de' tratti più comici nelle novelle. Cosimo I sperandosi di agevolare il trattato deputò a negoziare col Maestro del Sacro Palazzo in Vaticano• alcuni Accademici, uno de' quali era Vescovo, e quasi tutti ecclesiastici in dignità; e fra gli altri Vincenzo Borghini2 illustratore delle antichità Toscane, e scrittore non pedantesco: ma i nomi degli altri sono men noti alla a) Opusc. del Calogerà, Lettera cit. 3 b) Vedi nelle Rime del Lasca Accademico Fiorentino, la Sonetessa, Come può fare il Ciel brutta bestiaccia.•

Benedetto Varchi, stampato in Basilea in quarto l'anno 1572 ». 1. Maestro ... Vaticano: Frate Tommaso ì\1anriqu~, e vedi D. M. MANNI, op. cit., parte 111, cap. x, pp. 654-5. 2. Vincenzio Borghini (Firenze 29 ottobre 1515 - ivi 18 agosto 1580), priore dei Benedettini in Firenze, filologo e storico, membro della commissione deputata aUe correzioni del Decamero11, autore, tra l'altro, delle Annotazio11i e discorsi sopra alcuni luoghi del Decamerone (1573) e dei Discorsi (1584-1585), in cui tratta_delle origini e della storia di Firenze e della Toscana. 3. Vedi la nota 6 a p. 1850. La lettera si ritrova citatn in D. M. lVIANNI, op. cit., parte 111, cap. v111, p. 649, dove si legge: « In una Lettera, che scrive da Castello Baccio Baldini a l'vlonsig. Vincenzio Borghini ne' 2 di Maggio 1573 si legge: Nella Novella di Federigo degli Alberighi, dove il Boccaccio dice, che esse11do Federigo impoverito, se n'andò a Campi, là dove aveva 1m suo poderetto[ . .•] quel venerabile "omo del Ruscello, storpiatore, e rovi11atore del Boccaccio, no11 intendendo quella loc11zio11e là dove, co11gill11ge quella dizione Campi, con quella là, e Ja u11a dfaio11e Campilà, e poi in margine scrive: forse a Campiglin ». 4. Il testo del Lasca è riprodotto integralmente da D. l\'I. l\'IANNI, op. cit., parte 111, cap. v1u, p. 650.

SCRITTI LETTERARI

storia letteraria d'Italia, che a' Fasti Consolari, com'ei li chiamano, delle loro Accademie. Le nuove alterazioni al Decamerone mandate a Roma erano quasi sempre lodate; ma non bastavano. Il Maestro del Sacro Palazzo scusavasi- Le mi perdoneranno se alcuna volta gli parerò un po' duretto in levare, accertandole però, che in tutto quello potrò condescendere, serò sempre pronto•-e gli esortava a rifare alcune novelle di pianta; non vi si provarono, e anteponevano di tralasciarle del tutto.-Della sesta (Giornata 1) poiché è piaciuta alle SS. VV. non farne altra nova, né in suo loco ponerne altra dell'Autore, per le giuste ragioni, che allegano, si potrà star fuori, che ad ogni modo da cento a novantanove non è molta differenzia, e si potranno peravventura ancora chiamar cento intendendosi la denominazione del maggior numero.• Ma né il Padre Inquisitore poteva costringerli a confessare che novantanove e cento fosse tutt'uno. L'espediente di pigliare una novella ad imprestito dalla Fiammetta o d'altri romanzi del Boccaccio non piacque, gli Accademici avendo già decretato ch'ei non sapesse scrivere bene se non nel Decamerone; e di ciò poscia s'affaticarono a convincere il mondo. b Le consulte e le orazioni tenute secondo i diversi pareri nell'Accademia a trovare partiti in tanta difficoltà, stanno ne' documenti ricordati dianzi. Ma ciò che non s'attentarono di dir mai, e che pur doveva esacerbare a morte la loro miseria, era la letteratura del Maestro del Sacro Palazzo frate Dominicano e Spagnuolo, il quale si aggregò di proprio diritto alla loro adunanza. Scrivendo lettere in lingua bastarda dichiaravasi anche in virtù della sua autorità di grammatico soddisfatto degli accomodamenti, che non potria dir più, e se d hanno e sudato, e pensato su molto, come f ad/mente ognuno potrà cognoscere, l'hanno a) Documenti citati alla pag. xxxviii. 2 b) Salviati, Avvert. su la Lingua del Decam. voi. i. lib. ii. c.

12. 3

11 passo si ritrova in D. M. MANNI, op. cit., parte Ili, cap. x, p. 655. Qui a pp. 1848-9. Il passo Le mi perdoneranno ... pronto si ritrova in D. M. MANNI, op. cit., parte Ili, cap. x, p. 655. 3. L. SALVIATI, Opere, cit., n, Degli Avvertimenti ecc., dove, al luogo citato dal Foscolo, si legge che il Decameron: « [ ••• ] è senza dubbio la più illustre prosa, che abbia la lingua nostra• (p .. 246). Ma vedi anche nel lib. II, cap. vin, p. 180, dove si legge: u Di che altronde che dal Boccaccio non ci bisogna prendere esempio. Il quale essendo nelle Novelle l'arbitro della lingua, nel rimanente delle sue opere [...], tra i mezzani Autori, che scrissero in quel buon secolo, non~. non che altro, accettato». 1.

2..

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1853

ancora sì fattamente accomodato, che niuno potrà se non lodare ogni cosa intorno a ciò mutata ed acconcia1 - non però venivano a conclusione. Se non che un Dominicano Italiano e di natura più facile (chiamavasi Eustachio Locatelli e morì Vescovo in Reggio) vi s'interpose; e per essere stato confessore di Pio V, impetrò facilmente da Gregorio XII I che il Decamerone non fosse mutato se non in quanto bisognava al buon nome degli ecclesiastici. Così nel 1573, con le Badesse e le Monache innamorate de' loro ortolani mutate in Matrone e Damigelle; e i Frati impostori di miracoli, in Negromanti; e i Preti adulteri delle Comari, in Soldati, e mille altre trasformazioni, ed interpolazioni inevitabili, riuscì agli Accademici dopo quattr'anni di pratiche di pubblicare in Firenze il Decamerone illustrato da' loro studii. D'allora in poi prescrissero le loro edizioni come unici testi di lingua a tutta l'Italia. A chi guarda alla infinita letteratura diffusa nel secolo XVI in Italia; quanti ingegni fiorivano illustri in ogni università; come pensando e scrivendo di filosofia metafisica su le opere d' Aristotile e di Platone faceano scoppiar mille nuove e arditissime idee dalle antiche; come la storia de' fatti moltiplicavasi per le scoperte recenti dell'America e della stampa, e la libertà della mente s'esercitava per le controversie ne' nuovi scismi di religione; quanto le guerre perpetue di Carlo V e le mutazioni improvvise ne' governi d'Europa e nelle pubbliche e private fortune, eccitavano le passioni degli Italiani, e raffinavano le arti e gli studii della politica: l'Italia era il campo delle battaglie, e Roma era confederata o nemica potente, o mediatrice interessata, e per lo più instigatrice de' principi; e i loro consigli erano direttamente o indirettamente agitati da uomini di chiesa e pochi senza molto sapere si meritavano le ecclesiastiche dignità: i professori di letteratura sentivano ed illustravano gli autori Greci e Romani, e rari uscivano allievi dalle scuole che non intendessero il Greco, e tutti scrivevano il Latino, e insegnavanlo fino alle giovinette: per la diffusione della letteratura prosperò la gloria delle arti belle; e l'Italia pareva emporio di dottrina, e di eleganze, e di lusso per tutta l'Europa:-e a chi guarda ad un tempo l'Italia tutta quanta in quel secolo affaccendarsi in sottigliezze grammaticali; e gli uomini celebrati contendere e sempre più senza intendersi e senza termine per questioni peggio che inutili; e con1.

Il passo si ritrova in D. M.

MANNI,

op. cit., parte

111,

cap. x, p. 655.

SCRITTI LETTERARI

sentire pur nondimeno a riconoscere come unico codice a sciogliere tante liti e quasi ispirato legislatore di stile un libro di novelle dal quale pur tuttequante le liti sorgevano; e ogni uomo interpretando quel codice variamente, rigermogliavano a mille per una, e s'intricavano sì enigmatiche che tutti insegnando grammatica, niuno sapeva come s'avesse da scrivere-certo, sì fatto stato simultaneo, di vigore nelle passioni negli ingegni e nelle lettere, e di miseria nella lingua d'una nazione, Sembra quel ver che ha faccia di menzogna. 1

Onde gioverà additarne alcune cagioni, da che l'esplorarle tutte o l'esporne debitamente una sola richiederebbe assai documenti e narrazione di fatti più lunga che non importa al proposito di questo discorso. L'Italiana è lingua letteraria: fu scritta sempre, e non mai parlata; il che vuolsi ripetere perché, o non fu detto, o ch'io mi sappia, non fu mai dimostrato: quindi originarono, e infellonirono le questioni e non cessano. Quanti dialetti si sono mai parlati in Italia, se furono scritti alle volte in alcuna provincia, non sono stati mai bene intesi nelle altre; e la poesia comica non prosperò ne' teatri perché ove non sia in idioma popolare, non ha mai vita né garbo. Le antiche commedie Toscane, e le Veneziane del Goldoni sono le migliori; ma nel regno di Napoli, e a Roma, ed in Lombardia riescirebbero freddissime al popolo. Ed affinché potesse intendersi dalla nazione tutta intera, non si sarebbe potuto scrivere dialetto veruno se non raffinato, rinvigorito, e diversamente artefatto a ogni modo dallo stile proprio ad ogni scrittore. Fra' dialetti I tali ani il meno alterato nella scrittura è sempre stato quel di Firenze; sì perché incominciò a scriversi innanzi gli altri e con arte; e sì perché per essere meno troncato nelle parole era meno difficile a intendersi dagli altri I taliani. Quella città si reggeva a democrazia; s'arricchiva per le manifatture e pel traffico; era divisa perpetuamente in parti che talvolta s'azzuffavano armate, e più spesso a parole nelle assemblee popolari; onde tutti per ambizione di magistrature, e per interesse di mercatura s'industriavano a farsi parlatori e scrittori. V'eran pochi, fin anche fra gli artigiani, che non credessero le loro famiglie meritevoli della memoria de' posteri. Scrivevano cronichette della loro 1. DANTE,

In/.,

XVI, 124

(ma: •Sempre a quel [...] •).

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (181S)

1855

repubblica innestandovi le loro faccende domestiche, e ricordi de' loro maggiori. Un d'essi registra: Il mio nonno faceva il badaiuolo per campar~- Un altro: lo ebbi un avolo, e fu maliscalco e fu tenuto il sommo della città sua; ebbe tre figliuoli,· Cristo/ano, appresso il padre, tenne il pregio della mascalcia e avanzollo,· mio padre avanzò Cri'stofano dell'arte in sua vita-onde volendo il padre che appresso sé uno de' figliuoli rimanesse all'arte, convenne a me lasciare lo studio della Gramatica, come piacque a lui, e venir ali' arte. Onde dinanzi a me furono di mia gente l'un presso all'altro, ciascuno Maliscalco, sei; ed io fui' il settimo. b Bensì la ortografia di questo e d'ogni altro documento di quell'età, se non è ridotta all'uso moderno, palesa che il dialetto de' Fiorentini benché evidente nella sintassi e nella proprietà de' significati, era perplesso ne' suoni e mutabile ne' segni delle idee consegnate alla scrittura. Scrivevano casa, chasa, richordo, figliuolo, fighiuolo, figiolo, maliscalco, manescalco. La grammatica dalla quale il buon maliscalco fu disviato era la Latina; e gli atti pubblici continuarono ad essere tutti scritti in quel gergo barbaro per due secoli e più.e Era pur sempre Latino regolare nella sintassi, perché serbava più o meno l'antica; e non riesci va difficile a intendersi al popolo, quand'anche i professori nelle Università lo declamavano mezzo Italiano e dicevano: Or, signori, hic colligimus argumentum, quod a/i'quis, quando venit coram magistratu, debet ei revereri; quod est contra Ferrarienses, qui si essent coram Deo, non extraherent sibi' capellum ve[ birretum de capite-Et dico vobis, quod in anno sequenti intendo docere ordinarie bene et lega/iter, sicut unquam feci,· e:draordinarie non credo legere, quia scholares non sunt boni pagatores.d Però quelli fra' Fiorentini i quali erano più educati agli studi, applicando le regole grammaticali Latine al dialetto parlato nelle loro città, incominciavano a stabilire se non a creare la lingua letteraria che prevalse in Italia, tanto più quanto s'approssimava non pure alla sintassi, ma ben anche a' suoni e alle forme di quel a) Badaiuolo non è nel Vocab. forse da baiulus, facchino. b) Presso il Manni. Illust. pag. 421. 1 e) Varchi, Stor. Fior. lib. xv. an. 1536.a d) Presso il Sarti, Storia de' Professori di Bologna, passim. 3 1. Parte 11, cap. LIX. 2. A p. 282. 3. M. SARTI - M. FATTORINI, De c/aris Archigym11asii Bononiens,"s Professon·bus a saeculo XI usq14e ad saec11lum XIV, Bologna, Della Volpe, 1762-1769, voll. 2.

SCRITTI LETTERARI

Latino ch 1 era la sola lingua scritta comune agli Italiani in que' secoli. I dialetti Italiani quanto più sono meridionali tanto più disossano i vocaboli di consonanti, onde diresti che i Siciliani siano nati piuttosto a modulare che ad articolare la voce; e quanto più sono settentrionali tanto più li spolpano di vocali, e i Piemontesi più ch'altri: e quasi tutti troncano per lo più la fine delle parole. Ma i Fiorentini combinavano con migliore proporzione modulazioni di vocali e articolazioni di consonanti; proferivano e scrivevano le parole intere, e quindi meno dissimili dalle Latine, e più intelligibili a tutti i lettori. E questa pare a me la cagione principale la quale, per essere stata poi secondata dalla situazione di Firenze nel mezzo d'Italia, dalla moltitudine de' suoi scrittori, dal vigor degli ingegni, e dalla gran fama d, alcuni pochi ottenne che la lingua letteraria della nazione fosse innestata in quel dialetto: Nec longum tempus, et ingens exiit ad coelum ramis felicibus arbos, miraturque novas frondes et non sua poma. 1

Forse fra que' cent'anni, o pochi più, da che Dante nacque e il Petrarca e il Boccaccio morirono, gli altri scrittori Fiorentini si giovavano con pochissime alterazioni del dialetto parlato dal popolo. Tuttavia la diversità nella giuntura delle parole in ciascheduno di quegli scrittori fa manifesto che alcuni d'essi il nobilitavano, altri l'ingentilivano, e tutti vi poneano più o meno studio; ed è studio inculcato dalla natura a chiunque pur sa di dover soggiacere al giudizio del mondo. E se questo non fosse, com'è che Giovanni Villani,3 tuttoché alla prima ei si mostri scrittore semplicissimo, ridonda a chi lo rilegge di parole ed eleganze e giunture di frasi tutte sue ed invisibili nelle altre scritture di quell'età? Or quand'è pure evidente che tutti scrivevano in modo diverso dal suo, chi affermerà ch'ei scrivesse per l'appunto come parlava, e che la lingua scritta da lui fosse il dialetto del popolo Fiorentino né più né meno? 1. VIRGILIO, Georg., 11, 80-2 («né passa gran tempo che immenso l'albero si leva al cielo con rami feraci, e ammira stupito fronde mai viste prima e frutti non suoi»). 2. Giovanni Villani: nato a Firenze intorno alla seconda metà del secolo XIII, morì durante la pestilenza del 1348. Iniziò a comporre la Nuova Cronica (in dodici libri) intorno al 1308. L'opera si estende dalle origini leggendarie universali sino al 1346. Alla sua morte, il fratello Matteo e il nipote Filippo ne continuarono l'opera (Matteo per gli anni 1347-1363 e Filippo per il 1364).

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1857

Non che tutti i dialetti, e quei delle città di Toscana più ch'altri, non porgano infiniti modi di dire attissimi a scriversi; ma perché giornalmente sono applicati a fatti e pensieri alieni spesso da quelli che sogliono scriversi, sanno di plateale e di comico e guastano lo stile desiderato da materie più alte onde chiunque gli adopera, è costretto a nobilitarli. Poiché dunque il Villani è dotato d'eleganza e ricchezza di lingua ignota allo stile de' suoi coetanei, è da dire ch'egli sapeva come ingentilire gli idiotismi, e discernere quali comportassero di scriversi e quali no; e bench'ei più ch'ogni altro egregio scrittore di quella città siasi giovato del dialetto popolare, ebbe l'ingegno di raffinarlo, e lasciò i primi esempi di lingua letteraria in Italia. Se non che i letterati Fiorentini non pare che abbiano veduto che di dialetto non si può fare mai lingua se non per forza di tante e tali alterazioni che gli facciano perdere le native sembianze di dialetto. E se niun dialetto provinciale può scriversi facilmente per tutta una nazione, l'impresa riesce in Italia impossibile, dove dodici uomini di diverse provincie che conversassero fra di loro, ciascuno ostinandosi a usare il dialetto suo proprio, si partirebbero senza saperti dire di che parlavano. Aggiungi che le persone gentili negli altri paesi d'Europa si giovano della lingua nazionale, e lasciano i dialetti alla plebe; ma questo in Italia è privilegio sol di chi viaggiando nelle vicine provincie si giova, tanto che possa farsi intendere, d'un linguaggio comune tal quale che potrebbe chiamarsi mercantile ed itinerario: e chiunque dimorando nella su~ città si dipartisse appena dal dialetto del municipio, affronterebbe il doppio rischio di non lasciarsi intendere per niente dal popolo, e di lasciarsi deridere dagli amici suoi per affettazione di letteratura. Né i dialetti antichi erano meno diversi, o meno spessi in Italia.• Però il Fiorentino quanto più diveniva lingua Italiana, tanto era più scritto e meno parlato; tanto più era spogliato d'ogni sembianza popolare e municipale; e tanto più il concorso degli scrittori lo arricchì variamente di forme o create di pianta, o trovate per mezzo d'antiche e nuove frasi e parole ringiovinite e combinate con arte. Intendi sanamente, non l'arte vanissima de' rettori e de' grammatici; ma sì quel tanto d'arte suggerita ad ogni uomo dall'ingegno suo proprio, che per essere dono di natura spontaneo, ciascheduno l'usa com'ei lo possede; e chi più n'ha, più l'esercita; e trova quasi per ispiraa) Dante de Vulg. Eloq. lib. i. c. x. seg. 117

1858

SCRITTI LETTERARI

zione assai modi a diffondere sembianze nuovissime e geniali pur sempre alla lingua; e così, Mille habet omatus, nùlle decenter habet. 1

Pur altri mille ornamenti sono meretricii; e mille altri sembrano barbari. Alcuni scrittori per vanità di stile purissimo, non avendo calore da ravvivare le grazie che dissotterrano da vecchi libri, le lasciano cadaveriche, e pur se ne giovano; altri per necessità d'idee ignote agli antichi, si accattano parole e frasi da' forestieri e non le adoprano in guisa che si confacciano spontaneamente alla lingua. Ma né i puristi sarebbero accusati di pedanteria, né gli innovatori di barbarismo, se chiunque scrive potesse insignorirsi dell'arte d'introdurre nel suo stile alcuni vocaboli e modi di dire antichissimi e forestieri sì facilmente che paiano più tosto invitati che intrusi. Se non che l'arte, necessaria in tutte le lingue, riesce difficilissima agli Italiani; perché non hanno corte né città capitale, né parlamenti dove la lingua possa arrichirsi secondando di grado in grado il corso e mutazioni delle idee, delle fogge, delle opinioni e del tempo; anzi quanto è letteraria tanto rimanesi artificiale più di quant'altre siano state mai scritte o si scrivano. Il mantenerla purissima addattandola a nuove idee e all'uso corrente; il porvi studio e far sì che non raffreddi lo stile; e l'usarla letteraria come è, e ridurla tuttavia famigliare anche a non letterati, sono sempre state difficoltà che in pratica apparvero tutte indomabili a molti. Quindi le tante teorie di trattatisti, le controversie, e la confusione di grammatiche di cui fu sempre romorosa l'Italia. E per non esservi lingua prevalente in un secolo, tu vedi fra gli scrittori Italiani d'una medesima età più differenza che in quella d'ogni altro popolo; il che produce il vantaggio della varietà negli stili, e il danno della perplessità ne' giudizi. La lingua non essendo né generalmente parlata, né scritta uniformemente, la nazione non ha mai potuta frammettere la sua sentenza; e gli scrittori essendo per lo più i soli lettori in sì fatti argomenti, e certamente i soli giudici, non è meraviglia se ogni uomo in virtù delle leggi sue proprie danna e scomunica le altrui regole, e provoca nuovi codici. Cosi tutti scrivendo del come si dovrebbe scrivere, pochi scrivono di ciò che pur si dovrebbe. Inoltre la lingua scostandosi dal parlar giornaliero, s'arrende a 1. TIBULLO,

Carm.,

111,

8, 14 (« Ha mille ornamenti e tutti decenti»).

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

1859

quanti vogliono far versi e rime, ed è ritrosissima a chi ragionevolmente vorrebbe scriverla in prosa. Alle centinaia di volumi in prosa ne' quali non è da trovare che vaniloquio e noia (e se non fosse per le memorie de' tempi chi vorrebbe mai leggerli ?) assegnano il nome di classici perciò che le loro parole sono citate nel Vocabolario. Nondimeno per l'essenza sua letteraria, la lingua Italiana fu l1 unica fra le lingue recenti la quale abbia preservato quasi tutte le sue parole armoniose, evidenti, e graziose e tutti i suoi modi eleganti, per cinque secoli e più. Le sue leggi sino dalla prima lor epoca incominciando a dipendere dagli esempi de' libri, le rimasero molte ricchezze che i capricci dell'uso e del parlar giornaliero ha predato ciecamente a più lingue. I Francesi di Luigi XIV, e gli Inglesi al tempo della regina Anna e anche dopo, esiliarono tanto numero di parole che oltre all'impoverire il loro idioma, gli antichi scrittori divennero difficilissimi a leggersi. Per la stessa ragione la lingua Italiana comeché incerta nella sua ortografia, la serbò meno trasfigurata, e non domanda che l'uomo scriva in un alfabeto e pronunzi in un altro. Pochissime alterazioni e leggierissime qua e là nelle pagine delle prose di Dante basterebbero a far presumere ch'ei scriveva a dì nostri; il che apparirà ancor più da due saggi forse anteriori a• suoi tempi, e che fra non molto mi occorrerà di produrre. Ma né da questi scrittori antichissimi, né da Dante, e né pur dal Villani s'incominciò a togliere molti esempi di lingua prima del secolo XVII; e s'è già veduto come per quasi tutto il XVI i tesori della lingua si credeano riposti nel Canzoniere per Laura, e nel solo Decamerone. Bensì Dante era tenuto da molti grande poeta, e citato col Petrarca e il Boccaccio a provare (quest'era ed è tuttavia l'argomento maggiore) che la lingua fu condotta a perfezione da tre cittadini di Firenze, e perciò s'aveva da nominare, non Italiana, né Toscana, ma Fiorentina. Poni anche che il dialetto non fosse alterato né poco né punto nelle scritture fra que' cent'anni da che Dante nacque e il Boccaccio morì, non però Dante o il Petrarca o il Boccaccio lo scrissero come era parlato in Firenze. Le alterazioni ch'essi vi fecero, furono grandi, perché procedevano da grand'arte ispirata da grande ingegno; e poiché aveano sortito indole diversa, ciascuno si creò una lingua sua tutta. Che Dante non intendesse di scriverla come parlavano i Fiorentini, ei con1pose un trattato a provarlo. Il Petrarca non gli udì parlare se non quando

1860

SCRITTI LETTERARI

avea cinquant'anni in que' pochi giorni ch'ei passò per Firenze. Ben ei l'udì e l'imparò da bambino dalla madre e dal padre; ma pellegrinando in esilio con essi udiva e imparava tanti altri dialetti sino da quell'età che l'orecchio, e gli organi della pronunzia e la memoria raccolgono per forza di natura tutti i suoni, e significati, e inflessioni di voce; e non li perdono più. Né poi da fanciullo fece suo studio che del Latino; si rimase orfano giovinetto e non udì più idio111:a di padre o di madre; e per grandissimo spazio della lunga sua vita dimorava in città e corte di Papi Francesi, or nella campagna d'Avignone fra contadini, or in casa de' Colonnesi i quali, se parlavano alcun dialetto Italiano, doveva essere il Romanesco. Viaggiò stando a .lunga dimora in più luoghi fuorché in Firenze. Né fra suoi famigliari amanuensi, ed amici domestici fu mai che io mi sappia un unico Fiorentino; e co' letterati di Firenze carteggiò sempre in Latino. Come egli dalle reminiscenze del dialetto materno, e da quanti n'udì, e da' rimatori provenzali, Siciliani e Italiani, stillasse, per così dire, una quintessenza di lingua poetica, dissi altrove;• n~ il ridirò qui da che dovendo attendere fra non molto a un'edizione del Petrarca mi toccherà di tradurmi da me. Ben il Boccaccio diffondendosi da chi gl'imputava di attendere a baie, rispose, ch'ei senza ambizione scriveva novellette non solamente in Fiorentin volgare ed in prosa, ma ancora in istilo umilissimo e rimesso quanto il più si possono. b Quanto sovra sì fatti vezzi di modestia d'autore possano stabilirsi le teorie grammaticali e gli annali della lingua, altri il vegga. Bensì chiunque contende che da un libro di stile rimesso e umilissimo in volgare Fiorentino la lingua letteraria abbia da pigliare ogni regola, e perdere il nome d'Italiana s'avviluppa senz'avvedersene in assurde contraddizioni. Trovavano i primati dell'Accademia della Crusca nello stile umilissimo del Decamerone racchiusi in soorana eccellenza quasi tutti gli stili,· e per quell'opera sola possiam dire d'aver pregiate scritture quasi d'ogni manierac-e a tanta sovrana eccellenza ed universale il Boccaccio a) Essays on Petrarch. ii. 15. 1 b) Giorn. iv. lntrod. 2 e) Avvertimenti della Lingua sopra il Decam. voi. i. pag. 246 1 Ed. Mil. 3 1. Ma § Xlii (lo si veda in Edizione Nazionale, x, pp. 64-5). 2. Edizione Pickering, cit., 11, p. 343. 3. L. SALVIATI, Opere, cit., 11, Degli Awertimenti ecc., lib. 11 1 cap. xn, pp. 246-7, con varianti.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

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arrivò perché gli scrittori di quel secolo scrissero appunto come quasi da tutti comunemente nel lor tempo si fave/lava.• Or il dialetto parlato in Firenze può apparir manifesto in tutte le scritture di quel1' età e più che altrove nelle novelle di Franco Sacchetti, 1 il quale davvero ti pare ch'ei non si studii di scrivere, ma che parli; ed è semplicissimo, energico, e rapido, e forse per queste doti il dannavano come scrittore poco meno che barbaro- Diede immantinente la volgar lingua nelle novelle del Sacchetti gran segni della sua perdita,· perciocché la costui prosa nel comune corpo delle parole, assai più ritrae al moderno che non fa quella delle Giornate, e allo 'ncontro v' ha maggior numero di certi vocaboli molto vecchi: in guisa che riguardando quella composizione, e quel mescuglio d'antico e di novello, rende una cotal vista squallida, e disprezzata, che per poco diresti, che la nostra f avei/a quasi rimasa vedova, si fosse vestita a bruno. b Delle parole antiche nel Sacchetti, io ne veggo meno che nel Decamerone; e so ch'ei derise argutamente chi le affettava.e E se il Boccaccio scriveva com'ei parlava e come parlavano i Fiorentini, com'è che, nelle novelle è l'arbitro della lingua; e nelle altre sue opere per li tanti vocaboli e per maniere di dire che mancavano di pun'tà, oltre al difetto delle loro giaciture, tra i mezzani autori che scrivessero in quel buon secolo non è, non che altro, accettato ?d È dunque da dire che la lingua delle novelle non fosse parlata dal popolo Fiorentino se non per que' pochi anni ne' .quali l'autore attendeva a comporle. Queste e mille altre conclusioni risibili scoppiano dalle dottrine della scuola a) lvi. pag. 185 1 e spesso ne' capitoli precedenti. 2 b) lvi. pag. 249. 3 e) V. nella Prefazione del Vocabolario dell' Alberti citata una frottola del Sacchetti.4 d) A vvcrt. voi. i. p. 18.5 Franco Sacchetti: nato probabilmente in Dalmazia, a Ragusa, intorno al 1333, dal 1392 fu podestà di San Miniato dove morì durante la pestilenza del 1400. Il Trecentonovelle venne composto, probabilmente, tra il 1392 e il 1397. 2. L. SALVIATI, Opere, cit., Il, Degli Avvertimenti ecc., lib. n, cap. x, pp. 184-5. E vedi anche, nel capitolo precedente, pp. 182-4, dove parla del Poliziano, del Bemho e del Della Casa. 3. lbid., lib. II, cap. XII. 4. Nota C. FOLIGNO: « Ab. d' Alberti di Villa nuova, Di::ionario Universale, Lucca. Marescandolo 1797, p. v; è la frottola "La lingua nova/ ch'altrove non si trova"» (Edizione Nazionale, X, p. 342, nota a). 5. L. SALVIATI, Opere, cit., 11, Degli At1t1ertimenti ecc., lib. n, cap. VIII, ma p. 180, con omissioni. 1.

1862

SCRITTI LETTERARI

de, primi Accademici della Crusca la quale pur vive e regna in alcuna città d'Italia-lv/a lasciando di dir più oltre di quelle prose, nelle quali il Boccaccio dagli scrittori del suo secolo è stato sopraffatto, diciamo che nelle novelle-è tutto candidezza, tutto fiore, tutto dolcezza, tutto osservanza, tutto orrevolezza, tutto splendore"-ed è senza dubbio la più illustre prosa, che abbia la lingua nostra: avvegnaché gl'iperbati, e gli altri stravolgimenti della natural tela del f avei/are, si'eno in quell'opera co11tra la forma dello scrivere, che s'usava da' buoni in quel tempo. Perciocché l'Autore, cercando le bellezze, e la magnificenza, e la vaghezza, e lo splendore, e gli ornamenti della f avei/a, e in tal guisa di farsi, come si fece, singularissimo dagli altri scrittori del suo secolo, senza alcun fallo, maravigliosamente nobilitò lo stile, ma gli scemò in qualche parte una certa sua propria leggiadra semplicità. b Adunque quel dialetto Fiorentino e sì fattamente nobilitato non era domestico di Firenze, né di quel secolo, né dell'autore; ma del Decamerone; adunque è opera raffinatissima d'arte. L'uso ch'ei fece del suo dialetto a ridurlo a lingua letteraria rende testimonianza dell'arrendevolezza di tutte le lingue, e più della Italiana, ad assumere tutte le trasformazioni nelle quali sono variamente mutate da chiunque può e sa farle obbedire al suo genio. E se il Boccaccio avesse fatto prova men ambiziosa d'ingegno, i rettori non avrebbero poscia usurpato il suo libro a mortificare alla lingua una facoltà nata seco, e di cui trecento anni di inerzia, d'usi forestieri e di servitù l'avrebbero al tutto spogliata, se non fosse facoltà ingenita; ed è: una ardente diritta evidente velocità-vivissima nelle novelle composte forse un secolo innanzi al Decamerone. Il modo di scriverle fu agevolato dal mestiere di raccontarle, e dal costume d'udirle nelle corti de' signori d'Italia e ne trascriverò due brev1ss1me. "Messere Azzolino aveva un suo novellatore il quale faceva favolare quando erano le notti grandi di verno. Una notte avvenne, che il Favolatore aveva grande talento di dormire; e Azzolino il pregava, che favolasse. Il Favolatore incominciò a dire una favola a) lvi. pag. 247. 1 b) lvi. pag. 246.:i

1.

Lib.

11,

cap. xn.

2.

Lib.

11,

cap.

Xli,

con varianti.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1863

d'un Villano, ch'aveva suoi cento bisanti;• andò a un mercato a comperare berbici ;b ed ebbene due per bisante. Tornando con le sue pecore, un fiume ch'aveva passato, era molto cresciuto per una grande pioggia, che era istata. Stando alla riva, brigossi d'accivire in questo modo che vide un pescator povero con un suo burchiello a dismisura piccolino, sì che non vi capea se non il Villano, e una pecora per volta. Lo Villano cominciò a passare con una berbice, e cominciò a vogare. Lo fiume era largo. Voga e passa.-E lo Favolatore restò di favolare, e non dicea più. E IVIesser Azzolino disse: Che fai ? via oltre. Lo Favolatore rispose: Messere lasciate passare le pecore, poi conteremo lo fatto, che le pecore non sarebbono passate in un anno: sì che intanto puoté bene ad agio dormire''. e a) Monete di cui il Vocabolario della Crusca (Ediz. prima) 1 e il Menagio (Orig. della Ling. ltal.) ed altri trovano l'etimologia in bis e sanctus. 2 In molte d'esse monete, d'oro, d'argento, e di rame preservate oggi in Grecia ed appese al collo de bambini a guardarli dalle malie, si vede l'Imperatore Costantino ed Elena sua madre, e una croce. Dante ne vide disotterrare in Toscana uno staio d'argento finissimo (Convito) 3 ma pare che fossero diverse, e anteriori al cristianesimo: pur ei le chiamava Santelene forse con voce popolare assegnata a molte monete correnti in Toscana innanzi che i Fiorentini coniassero il loro fiorino (Vedi G. Villani Croniche). 4 E perché venivano da Costantinopoli a' tempi delle crociate traevano il nome, non forse da due santi, bensì da Bisanzio. b) Dal lat. Vervex; onde rimase a francesi brebis, e pecora agli Italiani da pecus. 5 e) Novelle Antiche, LVI. 6 1. Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Alberti, 1612, p. 124: • BISANTE. moneta antica, nella quale, a principio, erano improntati due santi [ ... ] ». 2. G. MENAGIO, op. cit., p. 111: • [ ••• ] par voglia dire, essere

stilto detto questo vocabolo da bis, e da Sanctus. Fu detto dalla Città di Bisanzio [ ... ] ,,. 3. Conv., IV, xi, 8. 4. !storie Fiorentine di GIOVANNI VILLANI ecc., Milano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1802, 11. lib. VI, cap. LIII, p. 134: «Nel detto [1252) [ ••• ]i mercatanti [.•.] ordinarono col Popolo e comune, che si battesse moneta d'oro in Firenze, che prima si batteva moneta d'ariento di dodici danari l'uno, onde all'ora si cominciò a battere la buona moneta del fiorino dell'oro di ventiquattro carati [.•.] 11, 5. Vedi Vocabolario ecc. 1612 1 cit., p. 1201 ed E. MENAGIO, op. cit., p. 101. 6. Libro di Novelle e di Bel Parlar Gentile contenente Cento Novelle Antiche servite di norma e di materia al Decamerone di Giovanni Boccaccio ecc., Firenze, Vanni, 1778, voll. 2 (ma Novella xxx, 11 pp. 143-4).

SCRITTI LETTERARI

Scarno com'è questo stile di narrazione, è pur vivo: qui la sintassi governasi da quella sola grammatica, ed è la vera e perpetua, la quale in ogni lingua vien suggerita dalla natura a tutti gli uomini sì che si intendano facilmente fra loro. Pochissime delle parole sono antiquate, e l'evidenza di tutte le altre le serbò sino a giorni nostri. Scorre per entro il racconto una certa grazia d'ironia, così che se la data non fosse avverata darebbe da credere che lo scrittore mirasse con la sua breve e non mai terminata novella a deridere i novellatori del Decamerone che non rifiniscono mai di prosare e ascoltarsi da sé. Alle volte anche quegli antichissimi s'industriavano d'aiutarsi di molte parole a ingrandire le descrizioni, e accrescere il calore degli affetti; ma o che la povertà di vocaboli della lingua ne gl'impedisse, o che non avessero ancora imparato come intrecciarle, incominciavano alle volte con un po' di rettorica, e si tornavano sempre alla lor semplice brevità. Anzi l'autore in quest'altra novella par che si fermi a mezzo per indigenza di locuzioni, e s'affretta a finire il racconto suo come può.uTanto amò costei Lancialotto ch'ella venne alla morte, e comandò, che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fosse arredata una ricca navicella, coperta d'un vermiglio sciamito con un ricco letto ivi entro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fosse il suo corpo messo in su questo letto vestito de' suoi più nobili vestimenti, e con bella corona in capo ricca di molto oro, e di molte ricche pietre preziose; e con ricca cintura, e borsa. Ed in quella borsa aveva una lettera dello infrascritto tenore. Ma in prima diciamo di ciò che va dinanzi alla lettera. La Damigella moria del mal d'amore: e fu fatto de lei ciò che ella aveva detto della navicella sanza vela, e sanza remi, e sanza niuno sopra sagliente; e fu messa in mare. Il mare la guidò a Camalot, e ristette alla riva. Il grido fu per la Corte. I Cavalieri, e Baroni dismontaro de' palazzi; e lo nobile Re Artù vi venne: e maravigliandosi forte molti, che sanza niuna guida questa navicella era così apportata ivi. Il Re entrò dentro; vide la Damigella, e l'arnese. Fe' aprire la borsa; trovaro quella lettera. Fecela leggere, e dicea così. A tutti i Cavalieri della ritonda, manda salute questa Damigella di Scalot, siccome alla miglior gente del mondo. E se voi volete sapere perch'io a mio fine sono venuta, cioè per lo migliore Cavaliere del mondo, e per lo più villano, cioè Monsignore Messer Lancialotto de Lac, che già noi seppi tanto pregare d'amo-

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

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re, ch'elli avesse di me mercede. E così, lassa, sono morta per bene amare, come voi potete vedere".• Se fosse piaciuto al Boccaccio di abbellire e allungare per via di dizioni abbondanti e numerosa orazione questo racconto, com'ei pur fe' di que' molti ch'ei derivò da' romanzi, ei di certo si sarebbe giovato mirabilmente delle circostanze dell'amore, e della morte della giovinetta, e le avrebbe disposte e colorite in maniera da conferire più verosimiglianza alla bizzarra invenzione. Se non che forse volendo troppo descrivere la fanciulla morta vestita a nozze, e il cadavere ramingo nel mare senza certezza di sepoltura, e far parlare la giovinetta morente confortandosi della speranza di manifestare al mondo il cavaliere che non riamandola la lasciava perire, la rettorica avrebbe raffreddata la fantasia del lettore, e sparpagliate tutte quelle immagini, e affetti ch'escono a un tratto spontanei dalla schietta ripetizione delle parole senz'arte-La Damigella morio del mal d'amore; e fu fatto di lei ct.'ò che ella aveva detto della navicella sanza vela, e sa,iza remi, e sanza niuno sopra sagliente; e fu messa in mare. L'aridità di quasi tutti que' primi narratori è talor compensata dalla libertà alla quale essi lasciano la mente del lettore a sentire e pensare da sé. Quanto più le scritture vengono verso l'età del Boccaccio tanto più abbondano di vocaboli, e di membretti annodati da particelle e disposti a periodi men rotti e più numerosi. Gli artificii della sintassi si moltiplicavano per via di traduzioni e imitazioni libere dal Latino, e moltissime ne giacciono inedite, con titoli strani. La novella della vedova di Petronio Arbitro è una delle favole d'Esopo che gli Accademici della Crusca allegano sotto l'anno 1335.cc Amandosi per naturale amore la moglie col marito, avenne che la morte privò la moglie del marito suo, ma non la privò dell'amore. Essendo portato alla fossa a sotterrare, la moglie si puose sopra il sepolcro, e quivi piagneva continuamente, contristando diverse parti del corpo, cioè le sue tenere guancie con l'unghie, quasi tutte squarciandole; con l'amare lagrime, gli occhi; e la sua bocca, con forte gridare. E al sepolcro fece una sua capannella, propostasi di mai non partirsi indi per acqua, né per vento, né per minaccie, né a) Novelle Antiche,

1.

LXXXl. 1

Libro di Novelle ecc., cit.,

11,

Novella

LXXXI,

pp. 105-6.

1866

SCRITTI LETTERARI

per prieghi, né per la scura notte" e conclude :-"E per questo possiamo comprendere quanto in femmina fuoco d'amor dura, se l'occhio, o il tatto spesso non l'accende; onde quella è falsa opinione, che gli uomini tengono, cioè d'essere ciascuno cordialmente amato dalla sua donna. Ma la morte certo fa presto dimenticare, e massimamente i mariti alle mogli; e solo è una al mondo, che mantiene fede e amore, e questa tale moltissimi la credono avere, e non l'hanno".• Questi racconti tolti a prestito da' Latini erano sì trasformati da parere avvenimenti recenti. Gl'imitatori benché derivassero dagli originali molti nuovi espedienti alla loro sintassi, scansavano, forse per necessità di procacciarsi lettori fra il popolo, i latinismi nelle parole. Talvolta per aiutare la gravità e l'armonia delle loro sentenze, intarsiavano versi de' poeti nuovi, senza le rime: così nella moralità alla novella di Petronio tu vedi intera una terzina di DantePer lei, assai di lieve, si comprende, quanto in femmina fuoco d'amor dura, se l'occhio, e il tatto spesso noi raccende.b

Alcuni versi così tolti da quel poema s'osservano nel Decamerone; anzi pare che il Boccaccio verseggiasse qua e là il suo discorso; non così forse per intenzione, come per la sua lunga consuetudine d'armonizzare la prosa. Ei più ch'altri riconciliò parole popolari e poetiche, e la semplicità del nuovo idioma con la gravità e varietà della sintassi latina; e die' grazia [a] moltissimi idiotismi; e forse moltissimi ne inventò, da che non sono da leggersi in verun altro scrittore. Insegnò a radunare molte frasi esprimenti idee minime e inutili; ma connesse in un solo periodo, vanno temprando la lunghezza de' periodi con arte a cadenze di lunghe parole sonanti e di trasposizioni nella sintassi. Questi ed altri espedienti furono avvertiti, e con l'autorità del Decamerone prescritti da molti; benché niuno, ch'io sappia, notò che il Boccaccio per aiutarsi anche della prosodia de' Latini andò traducendo assai versi, e mentre la a) Libro di Novelle e di bel parlar gentile. Ed. Fiorent. 1778-1782. Nov. LVI, e la Nota.• b) Purgat. VIII. 76[-8]. 1.

Libro . . di . Novelle ecc., cit.,

om1ss1om.

I,

Novella LVI; la nota è alle pp. 260-4, con

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

1867

lor armonia gli suonava intorno all'orecchio, inserivali nel suo libro. Diresti ch'ei scrivesse il proemio, leggendo le Eroidi d'Ovidio- "Le donne sono molto men forti che gli uomini, a sostenere. II che degli innamorati uomini non avviene, siccome noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia, o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quella; perciocché a loro, volendo essi, non manca l'andare attorno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de' quali modi ciascuno ha forza di trarre o in tutto o in parte l'animo a sé, e dal noioso pensiero rimuoverlo, almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale con un modo o con altro, o consolazion sopraviene, o diventa la noia minore" - 1 Ut corpus, teneris ita mens infirma puellis: fortius ingenium suspicor esse viris. Vos, modo venando, modo rus geniale colendo, ponitis in varia tempora longa mora. Aut fora vos retinent, aut unctae dona palaestrae: flectitis aut froeno colla sequacis equi. Nunc volucrem laqueo, nunc piscem ducitis hamo, diluitur posito serior hora mero. His, mihi submotae, vel si minus acriter urar, quod faciam, supcrest, praeter amare, nihil. 8

Tuttavia che la lingua latina, anche vivente il Boccaccio, fosse l'unica letteraria e continuasse a regnare per altri due secoli, s'è mostrato poc'anzi. E quanto più ripulivasi, tanto l'Italiana s'immiseriva per povertà di scrittori. Il dialetto Fiorentino divenne sempre più ritroso alla penna; onde le scritture Italiane di tutto il secolo XV e le poesie dell'età di Lorenzo de' Medici sono scorreta) Heroidum, xix. 5.- 16.2 Edizione Pickering, cit., 1, p. 3. 2. Ovm10, Heroid., xix, Hero Leandro, 6-16, con inversione dei vv. 6-7 e omissione del v. 8 (a proprio come il loro corpo, così è debole lo spirito delle giovani donne: suppongo che gli uomini abbiano animo più forte. Voi ora ve ne andate alla caccia, ora coltivate la terra feconda, e così, con varie distrazioni, il tempo vi passa meno lento. Oppure vi trattengono gli affari del foro o, tutti unti di olio, gli esercizi della pulestra, o ancora fiaccate, col morso, il collo di un cavallo, che poi vi segue ubbidiente; ora è un uccello che fate incappare nella rete, ora un pesce che prendete all'amo; di sera, a tavola, le ore ve le fa dimenticare il vino. A me, da tutto ciò tenuta lontano, a me, quand'anche meno ardentemente bruciassi, null'altro resta da fare se non amare•). J.

1868

SCRITTI LETTERARI

tissime nella sintassi, e quel ch'è peggio intarsiate di crudissimi latinismi; e pare che quegli uomini non potessero dettare una lettera a' loro domestici che non fosse mezzo latina. Quando poi sul principio del secolo XVI vollero pur provedere la loro patria d'una lingua sua propria, s'avvidero che innanzi tratto importava di depurarla dalla troppa latinità; e forse per lo stile alquanto latino le stanze di Poliziano oggi ammirate da tutti, erano allora tenute in pochissimo conto:• né contro al poema di Dante allegavano ragioni molto diverse.b Così le applicazioni d'una dottrina sana per sé e necessaria, furono rigorose insieme e arbitrarie; partorirono liti puerili e sofistiche, e precetti di lingua peggio ch'inutili: né a que' tempi, a dir vero, potevano riescire altrimenti. Que' primi ordinatori della lingua e della grammatica Italiana, non avevano, dal poema di Dante in fuori, alcuna opera nella quale la moltitudine, la novità, e la profondità delle idee delle immagini e delle passioni avessero partorito gran numero e varietà di locuzioni e parole, ed energia di ardita sintassi: e dall'altra parte, niuna lingua poetica, e men ch'altra quella intrattabile ad ogni mortale fuorché dal solo suo creatore, potrà mai somministrare norme alla prosa. Ino1tre il Bembo e gli altri avevano studiato sin dalla puerizia e scritto e pensato d'ogni cosa letteraria in latino. E non pure l'ammirazione a' grandi esemplari, ma i precetti rettorici degli autori Romani, e la necessità di secondarli in una lingua morta, gli a) Della Casa, Vita del Bembo. 1 b) Bembo, della Lingua Volg. lib. ii. sez. ult. verso la fine.:z 1. Vita Petri Bembi, cit., p. 9: • Hos cum haberent auctores duos, utrumque in suo maxime genere excellentem, scribebant ipsi inepte, abiectissimis vcrbis; nullus erat orationis ornatus, nullae homine erudito dignae sententiae, nulla compositionis, aut numerorum ratio: licet in manus sumere, guae tunc multi scriptitarunt, praetcr unum Politianum, illumque ipsum minus dulcem, minus omnino elcgantem, quam ut legìsse Petrarchae lectissimos versus videatur; ceteros ad unum indignos dicas, qui in scriptorum numero habeantur: unum scurrile vigebat genus; in eo sane ridiculi nonnulli; sed ipsi quoque multis in locis inertcs ac languidi•· 2. P. BEMBO, Della Volgar Lingua, cit., lib. 11, pp. 284-6: 11E il vostro Dante [ ... ] non solamente se taciuto avesse quello, che dire acconciamente non si potea, meglio avrebbe fatto e in questo, e in molti altri luoghi delle composizioni sue; ma ancora se egli avesse voluto pigliar fatica di dire con più vaghe e più onorate voci quello, che dire si sarebbe potuto [...] cd egli detto ha con rozze e disonorate; si sarebbe egli di molto maggior loda e grido, che egli non è [...] •·

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aveano domati alla servitù dell'imitazione. Era radicato nella loro anima il dogma, che a scrivere in qualunque lingua fosse necessario imitare religiosamente alcuni modelli. 8 Inoltre nel discorso giornaliero facevano uso di dialetti discordi i quali ripugnavano a lasciarsi scrivere; e s'anche alcuni critici avessero potuto congetturare che il Boccaccio scrisse il Fiorentino com'ei l'udiva dal popolo, essi pur lo vedevano all'età di Leone X intristito e defforme. Studiavano a rimondarlo di latinismi, idiotismi, e sgrammaticamenti; e ampliarlo esaltato finché smarrisse qualunque traccia municipale, e paresse patrimonio letterario di tutta l'Italia. Non è dunque difficile l'indovinare fra quante strette e con quale perplessità i primi grammatici procedessero a scrivere la lingua Italiana, e a stabilirla sopra regole generali e perpetue. Il Bembo imbevuto di purissima latinità, doveva studiare fin anche le sue lettere famigliari a guardarle da latinismi; il che gli riescì quasi sempre: ma non poté fare che quanto ei dettò in Italiano non ridondasse d'idiotismi Veneziani, i quali se non fossero stati protetti sino d'allora dall'autorità del suo nome, sarebbero stati poscia infamati fra' solecismi. Gli scrittori Fiorentini anch'essi pericolavano di scambiare riboboli per atticismi gentili. Aggiungi che mai non s'avvidero "Essere impossibile di ridurre a scienza atta a potersi insegnare e imparare il processo con che la natura converte in lingue letterarie i rozzi dialetti,,. E dialetto imbarbarito non era a que' dì il Fiorentino? Finalmente in penuria d'autori i quali con la moltitudine di parole e dizioni evidenti, native ed elegantissime, ed artificii di costruzione, e periodi musicali, suggerissero precetti ed esempi, que' primi precettori della lingua ricorsero di comune consentimento al Boccaccio. Tuttavia se non avessero giurato in lui con troppa superstizione, non credo che per allora avrebbero saputo trovare soccorso migliore a tante difficoltà. Era il Boccaccio dotato dalla natura di facondia a descrivere minutamente e con meravigliosa proprietà ed esattezza ogni cosa. Mancava al tutto di quella fantasia pittrice la quale condensando pensieri, affetti, ed immagini li fa scoppiare impetuosamente con modi di dire sdegnosi d'ogni ragione rettorica. Però in tanti suoi a) Della Casa, Vita del Bembo. 1 1.

Vita Petri Bembi, cit., p.

10,

e vedi la nota J a p.

1831.

SCRITTI LETTERARI

libri di versi e rime pare tutto poeta nell'invenzione, e non mai nello stile; di che i fondatori dell'Accademia della Crusca atterriti come di cosa fuor di natura, esclamavano, e ricopierò le loro eleganzeVerso, eh' avesse verso nel verso non fece mai, o cosi radi, che nella moltitudine de' lor contradi, restano, come affogati.• Bensì quella sua prodigalità di parole sceltissime, e i sinonimi accumulati, e i significati purissimi, schietti per lo più di metafore, e vaghi di vezzi nella giuntura delle frasi, giovano a lasciar osservare tutti gli elementi della sua prosa: e scemasi alquanto la somma difficoltà di scevrare le leggi certe grammaticali, dalle arbitrarie de' rettori; e la materia perpetua della lingua, dalle forme mutabili dello stile. Fra quante opere abbiamo del Boccaccio, la più luminosa di stile e di pensieri a me pare la Vita di Dante: e la sua Lettera a Pino de RossP a confortarlo nell'esilio, è caldissima d'eloquenza signorile; onde i vocaboli corrono meno lenti e più gravi d'idee che nelle novelle. Le tante macchie di lingua scoperte dagli Accademici in que' due volumetti,b sono invisibili a me, colpa forse del non saperle discernere. Fors'anche dispiacquero perché paiono scritti in lingua piuttosto Italiana che Fiorentina, e sono meno ricchi di parole non necessarie, più rigorosi nella sintassi, e meno vezzosi di quelle grazie le quali, per essere più dell'autore che della lingua, non furono imitate mai che non paressero smancerie. Loderò dunque ogni superfluità di parole inquanto il Decamerone somministra maggiore numero d'osservazioni grammaticali; e tanto più quanto la qualità a) Avvertimenti su la Lingua, voi. 1. pag. 244. Ed. Mil. 2 b) Avvertimenti su la Lingua, vol. 1. pag. 245. 3

1. Lettera a Pino de Rossi: vedi la nota a a p. 1821. 2. L. SALVIATI, Opere, cit., 11, Degli Avvertimenti ecc., lib. 11, cap. xu. 3. L. SALVIATI, Opere, cit., 11, Degli Avvertimenti ecc., lib. 11, cap. xu, dove tuttavia si legge: « Nelle quali prose (ch'è la seconda maraviglia) in alcune sicuramente tutti gli altri si lasciò addietro, in alcune altre, per lo contrario addietro fu lasciato egli poco meno, che da tutti: ché benché la Fiammetta sia piena di belle voci, ve n'ha sparse per entro tante dell'altra guisa, ch'a molte altre opere d'altri scrittori del buon secolo, in questa parte, è senza fallo necessario che ella soggiaccia [... ] quantunque nelle voci il principal difetto di quelle prose non sia peravventura, ma più tosto nella tela delle parole, e nel numero, cotanto oltre alla natura del parlar nostro, sforzati l'uno e l'ultro, che da purgata orecchia non si può soffcrire. Dal qual difetto meglio seppe guardarsi nella vita di Dante: e più che nella vita, nell'Epistola a Messer Pino [...] 11,

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

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diversa di cento novelle, e la varietà degli umani caratteri che vi sono descritti, porsero occasioni all'autore di applicare ogni colore e ogni stile alla lingua, e farla parlare a principi ed a matrone e a furfanti e a fantesche, e a tonsurati ed a vergini, ed a chi no? onde in questo il Boccaccio, Sit Genius, natale comes qui temperat astnim, naturae deus humanae, mortalis in unumquodque caput, vultu mutabilis, albus et ater.l

Che se io nella descrizione della peste non lo veggo narratore più terribile di Tucidide; né più potente di Cicerone e di Demostene nelle dicerie de' suoi personaggi; né più tragico d'Eschilo e d'ogni tragico nella rappresentazione di forti anime lottanti contro a passioni e sciagure; né più arguto di Luciano a deridere-insomma, se io non ridico quanto tutti dicevano nel secolo XVI e molti poscia ridissero, e alcuni vanno tuttavia ridicendo, non però nego ch'ei sia scrittore mirabile, ed è: perché senz'essere sommo in alcuna di tante guise di stile, seppe trattarle felicemente pur tutte; il che non incontrò a verun altro, o a rarissimiNé in tante lodi chieggio altro che modo.

E' mi par tempo che tacciano esagerazioni sì puerili; e ne parlo quand'anche un critico illustre Francese giudica, che il Boccaccio avendo avuto sotto gli occhi la storia di Tucidide e il poema di Lucrezio, abbia emulato le loro doti diverse in guisa, che gli venne fatto di superarli 11 e descrisse la peste da storico, da filosofo, e da poeta" .11 S'ei vedesse l'uno e l'altro di quegli scrittori, non so: ad ogni modo bastava il Latino, il quale segue di passo in passo Tucidide. Molta parte dell'Italiano sembra parafrasi, non pure d'ava) Ginguéné, Hist. Litt. d'ltalie, tom.

111.

pag. 87. seg. 2

1. ORAZIO, Epist., 11,· 2, 187-9 (ma: •scit [.•.]»):«sia il Genio che guida

la nostra stella natale, dio della natura umana, che muore con ciascuno di noi, mutabile di sembianza, ora propizio ora avverso•· 2. P.-L. GINGUENé, Histoire Littéraire d'Jtalie, Paris, Michaud, 1811-1819, 111, p. 90 per questa citazione, e, per il periodo che precede, p. 87: • Boccace qui, dans ses études de la langue grèque, avait pu rencontrer Thucydyde, connaissait sans doute aussi Lucrèce, et dans sa description de la peste, plu"sieurs endroits paraissent imités de l'un ou de l'autre [...] •.

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venimenti originati per avventura e in Atene e in Firenze dalla medesima epidemia, ma ben anche di riflessioni e minute particolarità nelle quali è improbabile che più scrittori concorressero a caso. Il merito della descrizione della pestilenza nel Decamerone non risulta così dallo stile-che raffrontato a quel di Tucidide e di Lucrezio è freddissimo-come dal contrasto degl'infermi, e de' funerali, e della desolazione nella città, con la gioia tranquilla e le danze e le cene e le canzonette e il novellar della villa. In questo il Boccaccio, quand'anche avesse imitata la narrazione, la adoperò da inventore. Bensì guardando ciascuna descrizione da sé, la pietà ed il terrore prorompono insistenti dalle parole del Greco, e s'affollano; ma senza confondersi, da ch'ei procede con l'ordine che la natura diede al principio, al progresso, e agli effetti di tanta calamità. Radunando circostanze due volte tante più che il Boccaccio, le dipinge energicamente in pochissimi tratti sì che tutte cospirino simultaneamente a occupare tutte le facoltà dell'anima nostra. Il Boccaccio si sofferma a bell'agio di cosa in cosa pur a sfoggiarle con quel suo pennelleggiare che da' pittori si chiamerebbe piazzoso; e le amplifica in guisa da far sospettar ch'egli esageri-Maravigliosa cosa è ad udire quello che io debbo dire: il che se dagli occhi di molti e da' miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che di scriverlo, quantunque da fededegno udito l'avessi. E non gli basta-Di che gli occhi miei (siccome poco davante è detto) presero, trall'altre volte, un dì così/atta esperienza-nella via pubblica.• Vero è che Tucidide narra c~n maggiore efficacia, perché n'ebbe esperienza più certa-Ho patito di quel morbo anch'io, e l'ho veduto patire dagli altri;b ma s'astiene d'ogni esclamazione rettorica, e da professioni di verità. La tempra diversa de' loro ingegni e la diversità de' loro studi gli ammaestrava a disegnare e colorire i medesimi fatti in due maniere affatto diverse. Le arti meretricie dell'orazione che il Boccaccio derivò con ammirazione da rettori Romani, non erano ancora fatturate da Isocrate e da que' parolai, né celebrate in Atene all'età di Tucidide; ond'è il men Attico fra gli Ateniesi, perché a) Introduzione, pag. 8. 1 b) Tucid. lib. ii. 48, ult. 2

1. Edizione Pickering, cit., 1. 2. [ ••• ] TCXuTot 3"t)Àwa Xotl IXÙTÒc; l8oov !Uouc; 7r«ç n

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DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

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modellava il suo dialetto materno sovra la lingua universale e schiettissima discesa da Omero, Cuiusque ex ore profusos omnis posteritas latices in carmina duxit amnemque in tenues ausa est diducere rivos. 1

Altrove, spero, ho appurato che la lingua Omerica non fu congegnata a mosaico di dialetti diversi, com'è generale opinione; ma sì che fu studiata da poeti e da storici a infondere qualità letteraria a' dialetti delle loro città, sì che scrivendoli riescissero più agevoli a tutta la Grecia3 -e perché quella lingua primitiva era nazionale e vivente, i dialetti acquistavano decoro per essa, e non perdeano vigore. Il Boccaccio modellando l'idioma Fiorentino su la lingua morta de' latini, accrescevagli dignità, ma gli mortificava la nativa energia. Finalmente Tucidide adopera i vocaboli quasi materia passiva, e li costringe a raddensare passioni immagini e riflessioni a) History of the /Eolie Digamma2 - Discorso sul Testo della Divina Commedia. 3 1. MANILIO, Astronomica, 11, 8-xo(«dalla cui bocca tutto quel soave fiume di parole volsero i posteri in poesia incanalandolo in piccoli ruscelli»). 2. Sul Digamma Eolico, in Opere, x, p. 493: « Gli Ateniesi alterarono il dialetto ionico da essi originariamente parlato, e per evitare quel suo concorso di vocali eccessivo, ricorsero ad ogni maniera di contrazioni grammaticali, eccettuata la introduzione del digamma. Una democratica udienza esercitava, in Atene, assoluta critica, e più perentoria di ogni altra, da cui tutte dipendevano le fortune letterarie e politiche. [...] I sofisti e i retori [...] stabilirono teoriche e promulgarono leggi, per cui le vocali e le consonanti si congegnassero così destramente al principio ed al fine delle sillabe d'ogni parola, che scorressero in certo modo runa nell'altra con musicale armonia. Quindi il trasporre delle parole e l'intarsiarle di particelle [...], dapprima dotate di senso proprio, ma che in seguito, per essere adoperate soltanto in servigio del numero, finirono ad essere suoni senza pensiero•· 3. Lo si veda in Opere, 111, pp. 474-5: « Guardando ora agli avanzi della Volgata Omerica di Aristurco, parrebbe che gli Accademici de' Tolomei fossero di poco pii, savii, o meno boriosi de' nostri. [... ] Quindi gli Alessandrini alle strette fra Omero e gli Attici, e non s'attentando di svilupparsene, emendarono l'Iliade così che ne nasceva lingua e verseggiatura la quale non è di poesia né primitiva né raffinata. I Greci nd ogni modo s'aiutavano [... ] ; ed elidendo uno o più segni alfabetici nel pronunziare, non li sottraevano dalla scrittura; così le apparenze rimanevano quasi le stesse. Ma che non pronunziassero come scrivevano, n'è prova evidentissima che ogni metro ne' poeti più tardi, e peggio negli Ateniesi, ridonderebbe; né sarebbero versi, a chi recitandoli dividesse le vocali quanto il metro desidera ne' libri Omerici [.•.] •·

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più molte che forse non possono talor contenere; ond'ei pare quasi tiranno della sua lingua. Or il Boccaccio la vezzeggia da innamorato. Diresti ch'ei vedesse in ogni parola una vita che le fosse propria, né bisognosa altrimenti d'essere animata dall'intelletto; e però a poter narrare interamente, desiderava lingua d'eloquenza splendida e di vocaboli eccellenti f acondaa- La loro eccellenza gli era indicata dall'orecchio ch'egli a disporli nella prosa aveva delicatissimo. Certo è che l'esteriore e permanente beltà d'ogni lingua è creata da' suoni, perché sono qualità naturali e le sole perpetue nelle parole. Tutte altre qualità le ricevono dal consenso dell'uso che è spesso incostante, o dalle modificazioni dissimili di sentire e di pensare degli scrittori. Non però è meno vero che quanto maggior numero di parole concorre a rappresentare il pensiero, tanto minore porzione di mente umana tocca necessariamente a ciascuna d'esse; bensì la loro moltitudine per la varietà continua de' suoni genera più facilmente armonia. Quindi ogni stile composto più di suoni che di significati s'aggira piacevole intorno alla mente, perché la tien desta, e non l'affatica. Ma se l'armonia compensa il languore, ritarda assai volte la velocità del pensiero; e il pensiero acquistando chiarezza dalle perifrasi, perde l'evidenza che risalta dalla proprietà e precisione delle espressioni. Sì fatti scrittori risplendono, e non riscaldano; e dove sono passionati, sembrano più addestrati che nati all'eloquenza; perciò tu non puoi persuaderti che mai sentano quanto dicono: e narrando, descrivono e non dipingono: né vien loro mai fatto di costringere la loro sentenza in un conflato di fatti, ragioni, immagini e affetti, a vibrarla quasi saetta che senza fragore né fiamma, lasci visibile il suo corso in un solco di calore e di luce e arrivi dirittissima al segno. Bellissimi scrittori pur sono nel loro genere; non però veggo come altri possa ammirare in essi riunite in sommo grado le doti dello stile de' filosofi, degli storici, e de' poeti. Sono doti dissimili, o che m'inganno, da quelle del Boccaccio; e n'è prova che il loro abuso le fa degenerare in difetti al tutto contrarii. Tucidide ti affatica imponendoti di pensare senza riposo; a) Fiammetta, lib. 1v. 1 1. Nota C. FOLIGNO: «Ma Jib. v, ed. G. GIGLI, in "Bibliotheca Roma,rica'', Strasburgo, s. a., p. u6; il F. rimaneggia le parole del Boccnccio: "Qual lingua sì d'eloquenza splendida sarebbe quella che interamente potesse i nobili abiti e di varietà pieni narrare?"» (Edizione Nazionale, x, p. 354, nota a).

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e il Boccaccio forse t'annoia come chi non rifina di ricrearti con la sua musica. È stile a ogni modo felicemente appropriato a donne briose e giovani innamorati che seggono novellando a diportoHaec sat erit, divae, vestrum cecinisse poetam dum sedet, et gracili fiscellam texit hibisco. 1

Se libri di politica, come oggi alcuni n'escono dettati in quell'oziosissimo stile possano educare sensi virili, e pensieri profondi, non so. Di ciò veggano gl'ltaliani, o più veramente quando che sia, i loro posteri. Ma io guardando al passato non posso da tutta questa meschina storia del Decamerone se non desumere, che la troppa ammirazione per quel libro insinuò nella lingua infiniti vizi più agevoli a lasciarsi conoscere che a riparare; e guastò in mille guise e per lungo corso di generazioni le menti e la letteratura in Italia. Or se taluni incominciassero a' dì nostri a cumulare sul Decamerone tutte le lodi meritate da' lavori più nobili dell'umano ingegno, non sarebbero essi disprezzati per l'appunto dai critici che le ripetono? Ma discendono tutte per tradizione continuata di critici e d'accademie e di scuole sino dal secolo di Leone X. Le tradizioni letterarie, né giova indagarne il perché, hanno più forza che le politiche e le religiose, anche negli uomini i quali possono considerare ogni cosa con filosofica Ii bertà. Poiché dunque tutto intero il secolo XV non somministrava al XVI alcun esemplare di prosa dalla quale potessero derivarsi leggi alla lingua, e fra tanti libri scritti da molti e anche dal Boccaccio nel secolo XIV alcuni sentivano troppo d'idiotismi Fiorentini, ed altri di troppa latinità, i primi grammatici s'attennero al solo Decamerone. Parve più che sufficiente all'intento per quella varietà, com'è detto dianzi, de' personaggi, de' costumi delle passioni, e quindi di dialoghi nelle novelle; sì per la profusione delle parole; e sì per gli spiriti e lo splendore che il Boccaccio trasfuse dalla lingua latina al dialetto Fiorentino. Ma non videro che lo snaturò e trasformò in idioma Italiano, e lasciò dopo Dante e il Petrarca bellissimo un esempio di lingua letteraria, che quantunque non parlata in veruna città dell'Italia, fosse scritta e intesa da tutte. Se non che né men gli altri che poi se n'accorsero hanno osservato che innanzi tratto importava di separare con precisione accuratissima 1. V1RGIL10, Ecl., x, 70- 1 : • Cotesto basterà, o dive, che abbia cantato il vostro poeta mentre siede e intreccia un cestello d'ibisco sottile 11,

SCRITTI LETTERARI

nella lingua del Decamerone gli elementi che comportavano, da quelli che rifiutavano, di contribuire alle leggi perpetue della grammatica. Non accertarono sé medesimi e il mondo-Quanta porzione dell'arte di quel modo di scrivere fosse inerente alla lingua, e quindi capace di regole; e quanta all'ingegno dell'autore, e quindi difficilissima se non umanamente impossibile ad insegnarsi. Inoltre-Quali fossero le forme accidentali e mutabili della lingua su le quali nessun numero di regole potrebbe avere efficacia; e quali le forme che la lingua per l'intrinseca indole sua recava perpetue regole alla materia: e sovra queste soltanto le leggi potevano stabilirsi evidenti, concatenate e certissime. Finalmente-Quanta porzione della lingua del Decamerone fosse parlata nel secolo XVI in Firenze, e quanta fosse solamente scritta ne' libri del secolo XIV e se la lingua letteraria della nazione fosse o potesse mai essere lingua parlata in alcuna parte d'Italia. Se queste cose fossero state preavvertite forse i precetti sarebbero stati sino d'allora esaltati a principii assoluti, e applicabili in tutti i tempi in Italia; o non foss'altro quel secolo sarebbe stato più ricco di grandi scrittori che di grammatiche voluminose. Invece tutta la lingua del Decamerone fu giudicata perfetta, e la sola che si dovesse imparare, e scrivere senza alterazione veruna e potesse parlarsi. Così ogni frase, ogni parola, ogni accento di quel libro furono giustificati con la sottigliezza de' legisti, e de' Teologi casuisti, e si convertirono in altrettanti precetti di lingua e di stile. Le eccezioni alle regole furono anch'esse ridotte a ragioni, e sotto regole minutissime; e per insegnare a imitare cose che non vogliono accomodarsi a ragioni né leggi, né imitazione, dicevano: Fa' d'imitare, se sai-Il dialetto Fiorentino di cento e cinquant'anni addietro-Le modificazioni che il Boccaccio vi fe 1 per ingentilire gl'idiotismiLe locuzioni ch'ei vi introdusse di fantasia-La latinità ch'ei trasfuse nella sintassi- I lenocinii eh' egli accattò dagli antichi rettoriGli espedienti suggeritigli dall'orecchio a rotondare periodi, e il vezzo, fra gli altri suoi, di calcare gli accenti su le consonanti troncando talor duramente le ultime sillabe;• il che è barbarismo apa) Di gran nazion non fosse. G. 7. N. 6.Z-Lo scolar lieto-più ch'altr'uom lieto. G. 8. N. 7. 2 - Vestir di buon panni-comar portaI. Edizione Pickering, cit., p. 713.

111,

p. 624,

:i.

Edizione Pickcring, cit.,

111,

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posto meritamente dal Macchiavelli a' dialetti Lombardi;• senzaché l'armonia in questa lingua alimentasi di vocali-I pleonasmi, poscia prescritti fra le bellezze dell'arteb- I mosaici di particelle, come a dire, conciossiacosaché e tutte le sue parenti amorevoli a' predicatori e alla declamazione accademica; ma la natura della mente umana desidera che tutti i nessi delle idee siano schietti, spediti e pieghevoli a riunirle e disporle senza indugiarle- Le irregolarità di costruzione inevitabili forse nell'età suac-1 sensi diva-·il compar tornò. G. 7. N. 3. 1 E fu trent'anni addietro atticismo degli ultimi Gesuiti. V. Le Opere del Roberti, 2 del Bettinelli,3 del Conte Giovio, 4 e di molti altri di quella scuola. a) Macch. Discorso su la Lingua. 5 b) La parola alle volte solamente come ripieno s'intreccia. Salviati, Avvertim. su la Lingua, lib. ii. 1.6 c) Sperando, se modo avesse di parlarle senza sospetto, dovere aver da lei ogni cosa che egli desi.derasse, ... pensassi. di volere suo campar divenire. E accontatosi col marito di lei, per quel modo che più onesto gli parve, gliele disse. G. 7. N. 3. 7 Parebbe da quel gliele ch'ei lo dicesse alla moglie, ma lo disse al marito; ed è sconcordanza non pure del Boccaccio e di quell'età, ma solenne al dialetto Fiorentino, e scansata di rado. E intra gli altri li quali con pit'l efficacia gli vennero gli occhi adosso posti, furono due dipintori- e poco dopo : E Bnmo conoscendolo 1. Edizione Pickering, cit., 111, pp. 602 e 604. 2. Il gesuita e poligrafo Giovanni Battista Roberti (Bassano 1719 - ivi 29 luglio 1786), autore, tra l'altro, di trattati morali, fra i quali ricordiamo Del legger libri di metafisica e di divertimento ( 1769) 1 gli Opuscoli intorno al lusso ( 1769) e le Atmotazioni sopra l'"manità del sec. XVIII (1781). 3. Saverio Bettinelli, per il quale vedi qui la nota 5 a p. 1053. 4. Giambattista Giovio (Como 10 dicembre 1747 - ivi 17 maggio 1814). Compiuti gli studi nel Collegio dei Nobili a Milano e in quello farnesiano di Parma, nel 1777 viaggiò in Svizzera, in Alsazia e in Piemonte per incarico del governo. Nel 1799 pubblicò la Conversione politica, ispirata alle Lettres au.,: Français di Giuseppe Gorani, con l'aggiunta di una lettera Quadro della moderna democrazia, di sentimenti antirivoluzionari. t soprattutto noto per Gli uomini della Comasca diocesi antichi e moderni nelle arti e nelle lettere illustri, Dizionario ragionato, che vide la luce nel « Giornale dei Letterati» di Modena, 1789, nei voll. 28, 29 1 30, 31. 5. Nel Discorso o Dialogo intorno alla trostra lingua, in Tutte le opere di NICCOLÒ MACHIAVELLI, cit., 11, p. 807 1 si legge: « Li Toscani fermano tutte le loro parole in su le vocali, ma li Lombardi e li Romagnuoli quasi tutte le sospendono su le consonanti, come è pane e pati •· 6. L. SALVIATI, Opere, cit., 1v, Degli Avvertimenti ecc., ma lib. 1, cap. V (Del nome relativo ecc.), p. 56: « Che, parola riempitiva. Altra volta la detta che, solamente come ripieno, nella tela si 'ntreccia de' nostri ragionamenti•· 7. Edizione Pickering, cit., 111, p. 601, con varianti.

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versi assegnati per la povertà della lingua alle stesse parole e talvolta anche nello stesso periodo, ed è uno de' peggiori vizi radicatisi negli scrittori, da poi che su l'autorità del Boccaccio fu tenuto per eleganza•- Le intarsiature d'incisi e parentesi che frastagliano il discorso, e lo fanno languire a forza di chiose e ripetizioni e intralciano il senso con superflue parole; e strascinano stucchevolmente le frasi; ed hanno forse decoro nella perorazione degli innamorati nel Decamerone ;b ma furono poscia sì perversamente ammirate che gli scrittori per natura eloquenti si fecero per imitazione chiosatori ciarlieri delle proprie parole.e- Le voci di pronunzia scilinguata e incertissima, per la infanzia dell'arte di scrivere, e per le capricciose modulazioni e articolazioni del popolo; onde dal Decamerone furono registrate tutte ne' vocabolarii fra gli atticismi; in poche di volte che con lui stato era, questo medico essere uno animale. G. 8. N. 9. r Nel primo esempio tu non intendi, se non leggi e intra gli altri, adosso li quali, e nel secondo il lo appiccato a conoscendo sgrammaticamente ripete il questo. a) Il Giudeo rispondeva che niuna ne credeva né santa né buona, fuorché la giudaica ... né cosa sarebbe, che mai da ciò il facesse rimovere. Giannotto non istette per questo, che egli, passati alquanti dì, non gli rimovesse somiglianti parole. G. 1 . N. 3. 2 b) Adunque se così son vostro, come udite che sono, non immeritamente ardirò di porgere i prieghi miei alla vostra altezza, dalla qual sola ogni mia pace, ogni mio bene, e la mia salute venir mi puote, e non altronde, e siccome umilissimo servidor, vi pri.ego, caro mio bene, e sola speranza dell'anima mia, che nello amoroso fuoco, sperando in voi, si nutrica, che la vostra benignità sia tanta e sì ammollita la vostra passata durezza verso me dimostrata, che vostro sono, che io, dalla vostra pietà riconfortato, possa dire che come per la vostra bellezza innamorato so110, così per quella aver la vita la quale, se a' miei prieg/zi f altiero vostro animo non s'inchina, senza alcun fallo verrà meno, e morrommi, e potrete esser detta di me micidiale. G. 3. N. s. 3 e) Conciossiacosaché tu incominci pur ora quel viaggio, del quale io ho la maggior parte, siccome tu vedi, fornito,· cioè questa vita mortale; amandoti io assai, come io fo, ho proposto meco medesimo - Della Casa; Galateo, Introd.4

1. Edizione Pickering, cit., 111, p. 747. 2. Edizione Pickering, cit., 1, ma Novella 2, p. 47. 3. Edizione Pickering, cit., 11, pp. 270-1. 4. G. DELLA CASA, op. cit., 111, Galateo ovvero De' Costumi ecc., p. 237.

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così anche i solecismi plateali furono affettati dagli autori che han nome di classici 0 -Le guaste inflessioni de, verbib- I vocaboli scritti per vezzo in varie maniere egualmente tenute corrette; e recando suoni alquanto diversi hanno il medesimo significato né più né meno, e i loro esempi giustificarono !,affettazione contagiosa fra mediocri scrittori, e tennero perplessa 1, ortografia- e I proverbi e a) Filoso/o filosafo - purgatorio purga toro - desiderio disidero- fratelli Jrategli, anzi il Varchi tien sempre il vezzo fanciullesco di cavagli, per cavalli, balzegli ribegli, e sì fatti - munistero, monastero - stromenti, strumenti, stormenti - enterrò e mosterrò per entrerò, mostrerògliele per glieli-vu.ol per vuoi: non segno i luoghi, perché il Decamerone ne ridonda. b) V enevate vedavate, facci.avamo; e di tutti gli altri, vedi nel prospetto de' verbi irregolari del Mastrofini ; 1 non però ebbe opportunità di notare le inflessioni storpiate dagli affissi - godianci. per godiamcif allo per farlo-ismari.lle, vogliallo, per ismarirle,. e vogliamlo,-innamorami per i·nnamoraimi - mostrami per mostraimi - nominalo per nominai/o; onde per non indurre altri in equivoco m'è convenuto dipartirmi dal Manelli, e segnare innamora' mi, mostra, mi e nomina' lo, pag. 359 a mezzo, 862 verso la fine, e 873 lin. ult. di quest'Ediz. -e per distinguere tenne, usurpato per tienne dove nella stessa catena di frasi tenne è nel suo significato regolare, ho scritto tènne e tenne pag. 708 verso la fine; e questi ricordi facciano avvertire altri luoghi. c) Armenia, Ermùiia- Virgilio, Vergilio-Sidlia110, Ciciliano-Venezia, Vinegia-alberi, arbori, che starebbero bene quando gli uni fossero maschio, e gli altri femmine; ma il Decamerone li lasciò ermafroditi; e talvolta è scritto arberi; anzi d'un solo corso di penna, messe

le tavole sotto vivaci. arbori, agli altri belli arberi, vidne al laghetto, G. 7. Introd. pag. 588, su di che i critici emendatori contendono (vedi la nota del Tom. VI. dell'edizione di Panna, 1813. pag. 146.): 2 non so, né come possano conciliarsi, se prima non cambiano il testo; 1. Marco Mastrofini (Montecompatri 25 aprile 1763 - Roma 3 marzo 1845), gesuita e poligrafo. L'opera citata è la Teoria e Prospetto, ossia Dizionario Critico de' Verbi italia11i coniugati che venne pubblicato in Roma, per i tipi del De Romanis, nel 1814 in due volumi. 2. Decameron di Messer G10VANN1 BoccAccro co"etto ed illustrato con note, Parma, Dalla Stamperia Blanchon, 1812-1814, 111, 1814, nota 1, p. 146: «R. asserisce aver letto in alcuni testi sotto i vivaci et altri belli arbori, e così crede che scrivesse il Boccaccio, perché non approva quella inutile ripetizione della voce arbori. A. sotto alti e belli arbori vicine al bel laghetto. G. porta questa varia lezione, ma vici11i e non vici11e, arberi e non arbori vi stampò. Nel Vocabolario però non si trova arbero, ma bensì albero. Rolli ».

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modi di dire popolari che ogni qualvolta s'intendano nelle scritture sono ardenti di rapidità e d'energia; ma quando si stanno col volgo e non escono che da poche città, sentono di plebeo, e per lasciarsi intendere soffermano il lettore ad indovinarli, o lo scrittore a spiegarli: per due che il Machiavelli ne mise in una commedia, scrisse una lettera al Guicciardini che non intendevali :8 nondimeno •i celebri Fiorentini vanno a un'ora innestandoli nelle storie, per efficacia di brevità, e stemperandoli in frasi, per necessità di chiarezza ;b né cosa si volesse il Boccaccio: pare a ogni modo ch'ei non intendesse di assegnare lo stesso significato per l'appunto ad arbori ed arberi; e talvolta il Manelli li scrive albori in danno degli albori deWauroracastigo, gastigo; questa permutazione della c. e della g. somministra misere dovizie alla Crusca-così anche denfire, difinire, diffinire-bacio, bascio-visitare, vicitare-raccogliere, ricogliere-chiunche, dovunche, e sì fatti, e il Varchi n'è innamorato invece di chiunque dovunquee il Davanzati risquotere quore per riscuotere e cuore-e il Bembo sempre openione,· il Varchi oppenione; il Salviati opinione; ma il Salviati cheunque, gli altri qualunque: e comeché molte di queste voci sian oggi costrette a scrittura uniforme, più molte tuttavia lussureggiano accarezzate in grazia della varietà che ne risulta alla locuzione; e chi sei crede ti cita il Vocabolario. a) Machiavelli, Op. voi. ix. pag. 158. Ed. Mil. Lett. al Guicciardi• I na, XVIII. b) Vincevano nei principali ufficii uomini negletti e davano, come si dice, basso-Mandò a rovinar quell'uomo e quella repubblica ed andò, come si dice, di bello-Il Principe d'Oria disse, tardi veniste; o come si dice, dopo otta-Fattasi una importantissima pratica sopra il mandato da darsi agli Ambasciadori, Lorenzo Segni vivamente si scoperse e levò il dado, come si dice. Questo quanto a' modi di dire, e li vedo in poche pagine della Vita del Capponi scritta dal Segni, p. 350-360. Ed. Mil. 2 -e quanto a' proverbii basti uno dalla storia del Varchi, lib. xv. voi. v. p. 257 delle sue opere, Ed. Mil. 3 -Affineché l'Imperatore non s'acquistasse ragione sopra la libertà di Firenze, e gli bastasse d'avere ad approvare, e confermare quello ch'essi deliberavano, e non essi quello che fusse stato deliberato da lui, ma come dicono i volgari con quel proverbio plebeo, un conto faceva il ghiotto, e un altro il taverniere.

1. Opere di N1cc0Lò MACHIAVELLI, Cittadino e Segretario Fiorentino, Mi• lano, Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, 1805 1 1x, ma lettera XXVIII, pp. 158-60. 2. B. SEGNI, op. cit., III, pp. 350, 352 1 357, 360. 3. B. VARCHI, op. cit., ma pp. 296-7.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (182S)

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e PAccademia della Crusca tuttavia detta agli scrittori di giovarsi di proverbii che per quanto siano illustri in Firenze parranno pur sempre oscurissimi agl'ltaliani.•-La prodigalità di parole che sembrano profuse meno ad esprimere che a definire le idee, e quanto lo scrittore più affannasi a farsi intendere tanto più confonde la sua mente e l'altrui: or la verbosità è più noiosa negli imitatori del Boccaccio che professano di scrivere storia. b_ Le varianti de' codici mal copiati, e così i primi Accademici Fiorentini d'una voce sola facevano due e più di significati diversi.e-Gli spropositi e i barbarismi che il Boccaccio mise in bocca ad arte a suoi personaggi.dLe sue bizzariee-tutto insomma fu minuzzato; e magnificata a) Lezioni negli Atti dell'Accad. della Crusca, an. 1819, voi. i. pag, 85 - I I 2, 1 b) Era (l'Arcivescovo di Firenze) veramente meccanico, d'animo tanto piri tosto gretto e meschino, che avaro, e di tale più tosto sordidezza e gagliojferia, che miseria, che tutto il fatto StlO non era altro, che una non mai più udita pidoccheria. Storia, lib. xiii. poco dopo il principio.2 c) Siamo venuti a curare eziandio una troppo più sconcia magagna, come era quella di valersi del medesimo esempio a confermazione di due tJoci diverse leggmdolo diversamente, e quasi acconciandolo a capriccio secondo il bisog110. Pref. degli Accad. alla prima Ristampa del Vocabolario della Crusca, § iii. 3 d) Tra l' altre cose ch'io apparai a Parigi, si fu nigromanzia della quale per certo io so ciò che n'è4 -e poco dopo: io n'ebbi troppo d'una, G. 8. N. 7. 5 francesismi pretti: j'en sçai ce qu'en est-j'en eus trop d'une, attribuiti dal Boccaccio allo scolare che aveva studiato a Parigi; e da' grammatici alle eleganze Italiane. e) Per lo più a' nomi battesimali femminili prepone l'articolo; talvolta lo concede e lo nega alla stessa donna, e chiamala or la Lauretta or Lar,retta ;6 in una sola novella scrive senz'articolo sempre Lisabetta (Nov. 5. Gior. 4.) ;7 e benché i nomi de' maschi ei li lasci con più uniformità senz'articolo pur trovi per bizzaria in un'altra Nota C. FOLIGNO: «Atti dell'imper. reale Ace. d. Crusca, Tomo 1, Firenze, Piatti, 1819: pp. 85-95. Lezione di Luigi Fiacchi, Dei proverbi tosca11i •.. di G. M. Cecchi; pp. 97-112: Proverbi di G. M. Cece/ii• (Edizione Nazionale, x, p. 360, nota b). 2. B. VARCHI, op. cit., voi. v, pp. 10-1. 3. Non quella che è propriamente la prima Ristampa (Venezia, appresso I. Sarzina, 1623) cita il Foscolo, bensì la citata edizione Manni 1729-1738, I, Prefazione, § IV (e non 111), p. [16]. 4. Edizione Pickering, cit., 111, p. 720. 5. Edizione Pickering, cit., 111, p. 726. 6. Edizione Pickering, cit., 11, p. 386. 7. Edizione Pickering, cit., 11, pp. 393-8. 1.

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SCRITTI LETTERARI

ogni minuzia nel Decamerone; e descritte tutte quante or dall'uno or dalPaltro, sotto nomi di ricchezze, proprietà, e figure di lingua. Non però poteva venire mai fatto a veruno di conciliare tanta infinità di precetti con metodo che ne agevolasse la pratica. Le dottrine e le regole e le loro applicazioni cozzavano fra lor nelle pagine e nella mente di chi le dettava. Tanto più dunque le dispute fra diversi grammatici intricandosi le une su le altre crescevano atroci, oziose, lunghissime; ed occuparono tutti i cent'anni del secolo XVI. Così la lingua che sola può dare progresso alla letteratura, impedivala. E nondimeno la letteratura era allora da tutti i secoli precedenti, e dalle nuove rivoluzioni del mondo versata sovra l'Italia a torrenti. Tutta la poesia, l'eloquenza e la storia e la filosofia de' Romani e de' Greci rivissero quasi di subito con la invenzione della stampa. Gli annali della terra e i nuovi costumi del genere umano scoperti con l'America, eccitavano la curiosità degli ingegni. I mari d'allora in poi incominciando ad arricchire altri popoli, l'opulenza che avevano portato alle città Italiane non potendosi più ornai applicare al commercio, compiacque al lusso e alle belle arti. I palazzi arredati di monumenti e di biblioteche educarono antiquarii, e scrittori d'erudizione e accrescevano la supelletile letteraria. Accrescevala anche la servitù in che declinarono le città libere; da che i nuovi signori costringendo gli uomini generosi al silenzio, stipendiavano lodatori; né vi fu secolo nel quale l'adulazione sia stata bramata con tanta libidine, o sì sfacciatamente professata ne' libri. Le controversie inerenti agli oracoli della Bibbia erano allora fierissime, universali. E quanto l'Europa in questa età sua decrepita ciarla di speculazioni politiche, tanto allora farneticava di religione; se non che le condizioni de' regni e gl'interessi de' principi e più assai degli Italiani pendeano, non come oggi da novella Gerbino e il Gerbino (Nov. 4. Gior. 4.) ; 1 e il Castelvetro n'assegna ragioni sottili (Giunte al Bembo su la Lingua, voi. ii. pag. 225, seg. Ed. Mil.)2 e il Salviati (Avvert. su la Lingua del Dee. lib. ii. cap. 13, e seg.) 3 regola uno per uno que' casi e altri molti con un precetto: e le sono, a credergli, cose utili e dilettevoli; ma chi le intende? 1. Edizione Pickering, cit., II, pp. 386-92. 2. Della Volga, Li11gua, cit., II, Giunte al Terzo Libro di Looov1co CASTELVETRO, Parte Prima, Giu11ta (26), pp. 225-35. 3. L. SALVIATI, Opere, cit., 1v, Degli AtJvertime,1ti ecc., lib. n, cap. Xlii, pp. 199 sgg., e cap. xiv, pp. 202 sgg.

DISCORSO STORICO SUL TESTO DEL DECAMERONE (1825)

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pubblicani che di carta fanno danaro a nudrire soldati, bensì da dottori che di teologia facevano ragioni a sommovere popoli ; e perché quegli studii fruttavano ecclesiastiche dignità, produssero una moltitudine d'uomini letterati. Ma le turbe de' mediocri oprimevano i pochissimi grandi. L'eloquenza era arte ambiziosa nelle università; la troppa dottrina snervava l'immaginazione; e la sentenza-intorno alla quale s'aggira tutta la poetica d'Aristotile"Che l'uomo è animale imitatore"-quantunque variamente chiosata da molti, era superstiziosamente inculcata e obbedita in questo da tutti-" Doversi imitare, non la natura, ma gli imitatori della natura''. Però le lettere giovando alle arti a' governi alla chiesa e alle scuole, non esaltavano le passioni, non illuminavano la verità nelle menti, non ampliavano i confini dell'arte, e mortificavano la originalità degli ingegni. E per la nazione non v'era lingua; perché lo scrivere e intendere la Latina era meritamente privilegio di dotti; e l'Italiana, comeché men parlata che intesa da tutti, rimanevasi patrimonio di grammatici che disputavano fin' anche intorno al suo nome. Le nobili opere che sopravvissero alle altre mille di quella età sono dettate in Latino. Il Sigonio 1 nelle sue storie percorrendo lo spazio di venti secoli dalla epoca de' primi Consoli di Roma sino alle repubbliche Italiane, fu primo a traversare la solitudine tenebrosa del l\:Iedio Evo. Diresti che un Genio illumini tutto il suo corso; e trasfonda abbondanza, splendore e vigore alla sua Latinità. Nondin1eno le poche cose che gli vennero scritte in lingua Italiana sono volgarissime e barbare.a Vedeva che ad impararla gli bisognava perdere molta parte della sua mente ne, laberinti delle nuove grammatiche; ond'esortò i suoi concittadini che se avevano cura della posterità, le parlassero solamente in Latino.b Il che non s,ha a) Sigo11ii Oper. voi. vi. pag. 1000, seg. Ediz. dell'Argelati. 2 b) V. l'Orazione De Lati11ae linguae usu retinendo. 3 1. Carlo Sigonio (l\1odena circa 1520 - Ponte Basso [Modena] 28 agosto 1584), nella fattispecie citato dal Foscolo per le sue opere storiche quali

i Regum, consulwn, dictatorum, ac censorum romanorum Fasti (Modena 1550) e le Historiae de Reg110 ltaliae (Venezia 1574). 2. CAROLI SIGONII MuTINENSIS Opera omnia edita, et i,iedita [ ... ] Philippus Arge/atus Bononiensis mmc primrl1n collegit ecc., Mediolani, in Aedibus Palatinis, 17321737, voli. 6. Le poche cose . .. Italiana sono brevi lettere. Le si veda in op. cit,, VI, 1737, coli. 993-1032. 3. C. SIGONII, op. cit., VI, Oratio V, coll. 521-8.

SCRITTI LETTERARI

da imputare a freddezza di carità per la patria, quando a volere descrivere in Italiano le trasformazioni universali dell'impero Romano, quel grand'uomo sarebbe stato ridotto ad andare accattando i vocaboli e l'orditura d'ogni sua frase nelle novelle. Altri a modellare i loro pensieri con dignità, scriveano da prima le storie recenti della loro patria in Latino, e le traducevano in Italiano da sé ;a e concorrevano ad arricchire la lingua letteraria. Frattanto gli autori Romani sommistravano molto maggiore e nobilissimo numero d, esemplari allo stile. La loro lingua governata da leggi assolute ed evidentissime aveva per giudice tutta l'Europa, mentre la fama d'ogni scrittore in Italiano pendeva dalla sentenza di gloriosi pedanti i quali giudicavano raffrontando ogni nuovo libro al Decamerone. Concedevano che il Machiavelli (Epistolario, 111, pp. 67-8). Ancora in una lettera a Silvio Pellico, East-Moulsey 30 settembre 1818, il Foscolo confermava scarsa considerazione per l'opera del Tiraboschi, nuovamente associandolo al Quadrio: 11 Or incalzato dalla Fortuna [... ] ho fatto un contratto con certi librai per la ristampa d'alcunì grandi scrittori nostri [...] ; le loro vite, e la parte critica, e le note grammaticali a piè del testo, saranno in Inglese; in guisa che [... ] da quanto scriverò intorno ad essi risulti un Corso di Letteratura Italiana per gl'lnglesi i quali dopo ch'io venni s'accorsero come furono per più e per più anni ingannati da' nostri frati e accademici come a dire il Tiraboschi, il Quadrio, e tanti altri (... ] • (più oltre nella nostra scelta). In ciò, più che pel Muratori, vicino, per quanto concerne il Tiraboschi, a quanto pensavano gli uomini del u Conciliatore». Scriveva infatti GIOVANNI BERCHET, nel n. 21 del 12 novembre 1818, recensendo la Storia della poesia e della eloquenza del Bouterwek: « Per rispetto al Tiraboschi, a cui dobbiamo esser grati di molte notizie erudite, noi speriamo che le persone scevre dei pregiudizii non vorranno biasimarci se ci facciamo lecito di dire che a lui mancava perfino la filosofia che i tempi potevano dargli» (li Conciliatore ecc., cit., I, p. 330). E ancora del Berchet, nel n. 0 26 del 29 novembre 1818 dello stesso foglio, si veda la Lettera di GRISOSTOMO al molto reverendo sig. canonico don RUFFINO (op. cit., 1, pp. 407-12). 1. Pierre-Louis Ginguené: vedi qui la nota 2 a p. 1540. L'Histoire littéraire d'ltalie, iniziata nel 1808 e continuata sino al 1815, fu pubblicata tra il 1811 e il 1819, in nove volumi, di cui gli ultimi tre, completati da Francesco Saverio Salfi (Cosenza I gennaio 1759 - Paris 2 settembre 1832), con la collaborazione, per quanto concerneva la lingua francese, di Pierre-Claude-François Daunon (1771-1840) e di Amaury Duval (17601838), furono pubblicati postumi, nel 1819. 2. ed altri . .. d'Italia: oltre al completamento del $alfi all'opera di P.-L. Ginguené, si allude forse a Giovanni Battista Corniani (Orzinovi [Brescia] 26 febbraio 1742 - Brescia [ ?] 7 novembre 1813), dal Foscolo definito, in una lettera al Monti da Brescia il 13 aprile 1807, « Pedante, frate, ignorante, petulante 11 (Epistolario. u, p. 190), e la cui opera più nota, J secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento (serie di biografie dei principali scrittori italiani dal secolo XI al XVIII, esclusi i viventi, che vide la luce a Brescia dal 1804 al 1813 in nove volumi), fu oggetto del seguente, severo giudizio foscoliano, in lettera a Camillo Ugoni, da Milano il 19 dicembre 1810: « Le sue lodi non faranno ch'io non ridica di quel libro il mio parere; ed è: che doveva leggere con più critica, e copiar meno il Tira boschi: scrivere con più lingua e più nerbo; conoscere le fondamenta vere e profonde della letteratura; e connettere la letteratura italiana alla storia politica de' nostri antenati, perché la natura crea gl'ingegni, il clima li nutre, ma i governi, i prìncipi e i tempi fanno i letterati; e i letterati dopo la loro morte possono fare alcun bene a' popoli ed a' governi» (Epistolario, 111, p. 480). 1

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ANTIQUARII E CRITICI DI MATERIALI STORICI (1826)

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giudizio delle opere di autori o suoi contemporanei, o vissuti sino dal principio del secolo XVIII nel quale ei scriveva, la storia letteraria di quell'epoca rimane un desideratum, tanto più interessante, quanto che dall'anno 1700 sino al 1750 viveano que' giganti della critica storica e dell'antiquaria, i volumi de' quali diedero alimento e incoraggimenti al genio degli storici posteriori, riempiono tuttavia gli scaffali di quasi tutte le biblioteche d'Europa; ma senza aver mai eccitato su' loro caratteri personali la curiosità de' posteri, e raramente la gratitudine di quelli che .li consultano. Il primo viaggiatore inglese che andò in Italia con intenzione letteraria, e certamente con tutte le facoltà naturali e acquisite ad adempierla, fu Addisson. 1 Quest'illustre scrittore incontrava allora in Venezia, Firenze, Roma ed altrove i maggiori fra gli antiquari prodotti mai da quel paese. Ma, qual che possa esserne la cagione, egli non ne nomina alcuno; e chi legge il suo itinerario2 crederebbe che allora la letteratura italiana non avesse se non se oratori e poeti - oratori de' quali egli riferisce i sermoni a predicare al popolo i miracoli de' pesci convertiti alla religione cristiana da Sant' Antonio - e poeti d 'opere di teatro gorgheggiate dagli eunuchi. L' ommissione di Addisson pare volontaria insieme ed inesplicabile, tanto più quanto egli professava di andare per l'Italia in traccia di antichità. La cognizione eh' egli aveva della storia romana, ma sopratutto il suo studio assiduo su le medaglie gli dovevano far risaltare in un subito agli occhi la rivalità degli Italiani intorno a que' medesimi studii. La loro perseveranza a promoverli, e l'anima intraprendente che vi ponevano somigliavano all'ardore di una crociata di cavalieri a riconquistare dal tempo le spoglie dell'antichità. Sacrificavano la loro fortuna, le loro vigilie, e spesso anche la loro sicurezza personale alle scoperte non solo delle reliquie de' monumenti, ma di molte verità di principii e di fatti contro alle quali avevano cospirato a nasconderle la barbarie del medio evo, e la superstizione della chiesa papale. La più ricca insieme e più genuina collezione di medaglie in Italia era quella di Apostolo Zeno3 che la fortuna per una delle sue Addisson: Joseph Addison, per il quale vedi nel tomo 1 la nota 2 a p. 757. il suo iti11erario: allude ai Remarks on Severa/ Parts of Italy ecc. (1705). 3. Apostolo Zeno (Venezia I I dicembre 1688 - ivi I I novembre 1750). La sua fama di erudito, oltre che alla collezione di medaglie cui il Foscolo allude, è affidata alle Dissertazioni Vossiane (1752), e alla Biblioteca della elo1. 2.

SCRITTI LETTERARI

bizzarrie aveva fatto antiquario e critico profondissimo per vocazione - ma poeta per necessità. Rimava opere musicali a fine di cavarne danari a comperarsi quanti più libri e anticaglie ei poteva. Ma benché in questo modo sprecasse una metà del suo tempo e del suo cervello contro genio a poter più comodamente impiegare a grado suo l'altra metà, i suoi studi favoriti finirono a consumargli il suo patrimonio; mentre al contrario la poesia gli procurò un'agiata vecchiaia. A vendo dovuto vendere la collezione delle sue medaglie che fu comperata per il Museo Imperiale di Vienna, si accomodò ad essere anche poeta laureato dell'Imperadore 1 e scrivergli opere per il suo teatro. Fra' suoi contemporanei, egli era certamente il migliore in quel genere; e fra' posteri gli resta il merito di avere instradato Metastasio suo successore laureato,2 a fare tragedie da essere cantate da Didone ardendo sovra la pira,3 e da Annibale ingoiandosi il suo veleno a liberarsi da' Romani, 4 e da Catone uccidendosi a liberarsi da Cesare. 5 Or avvenne che mentr' Addisson era in Venezia, e stava meditando anch'egli il suo Catone,6 la opera più in voga, com'esso racconta, era intrecciata negl'intrighi di amore di Cesare e Scipione per la figlia del grande suicida in Utica. L'eroe filosofo s'uccideva nella sua libreria dove fra gli altri libri esso aveva raccolta la sua propria Biografia scritta da Plutarco, e la Gerusalemme del Tasso. Di questi anacronismi del Catone Veneziano, o di Zeno o d'altri, Addisson ride graziosamente nel suo viaggio, e più assai nello Spettatore. 1 quenza italiana di Monsignore GIUSTO FoNTANINI Arcivescovo d'Ancira con le annotazioni del signor APOSTOLO ZENO (1753), della quale è cenno nel prosieguo dell'articolo (p. 1914). 1. si accomodò . .. Imperadore: lo Zeno ricoprì la carica di poeta cesareo presso la corte viennese, regnante Carlo VI, dal 1718 al 1729, succedendo a Silvio Stampiglia, che aveva espletato la medesima mansione dal 1706. 2. gli resta ... laureato: per suggerimento dello Zeno, e intervento della contessa d' Althann, il Metastasio ricevette l'invito di recarsi a Vienna, quale suo successore, il 27 settembre 1729, e vi pervenne il 17 aprile 1730, restandovi sino alla sua morte (1782). 3. tragedie ... pira: si tratta della Didone abbandonata, rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1724, con musica di Domenico Sarro. 4. da A11nibale ... Romani: tra i drammi metastasiani non se ne riscontra alcuno avente per soggetto la storia di Annibale. 5. da Catone . .. Cesare: si tratta del Catone in Utica, rappresentato per la prima volta a Roma, il 13 gennaio 1728, con musica di Leonardo Leo. 6. La tragedia Cato fu rappresentata per la prima volta a Londra nel 1713. 7. più assai nello Spettatore: nei saggi sull'opera, segnatamente ai numeri x8 e 22 dello cc Spectator » (21 e 26 marzo 1711). Nel capitolo dedicato a Venezia dei Remarks on Several Parts of Italy ecc., !'Addison scriveva: •The Opera that was most in Vo-

ANTIQUARII E CRITICI DI MATERIALI STORICI (1826)

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Ma non è meno vero che poco dopo anche il Catone di Londra1 porgeva sul palco la sua stoica filosofia vestito in abito da spada, e acconciato con una perrucca à la Louis quatorze. Tanto anche gli autori celebri sono obbligati di tollerare nel loro paese, e lasciar correre nelle loro proprie opere le assurdità che deridono senza pietà se le trovano lontane da casa loro. Ad ogni modo Addisson contribuì al buon gusto della posterità, ed anche a trasfondere un senso più delicato, e per così dire, più classico di vita civile e di libertà. Ma la libertà ch'ei si lagnava di trovare dimenticata in Italia, stava tuttavia profonda, attiva, e, quanto i tempi lo concedevano, coraggiosa nel cuore e nelle azioni di molti individui ch'egli non volle o non ebbe la fortuna di conoscere. Apostolo Zeno lasciò in eredità agli Italiani, specialmente in ciò che riguarda la storia letteraria, un numero infinito di fatti minimi, ma veri; cavati di sotto un cumulo di errori e di pregiudizii ch'ei seppe disperdere. La Chiesa di Roma sempre, e anche allora, aveva i suoi campioni; e un Arcivescovo Antiquario, conosciuto anche oggi sotto il nome di Monsignor Fontanini,2 correva l'Italia ad alta mano pubblicando libri a voler provare l'autenticità delle leggende, de' miracoli, e a far rinnegare ogni vecchio scrittore che avesse narrato una verità. E certo se fosse dipenduto da lui, tutti gli antiquarii che gli s'opponevano sarebbero stati mandati a un auto-da1é; poiché la conclusione di tutti gli argomenti del dotto prelato in quelle dispute era che i suoi opponenti erano eretici ed atei - argomento vecchissimo e gue, during my Stay at V enice, was built on the following Subject. Caesar and Scipio are Rivals for Cato's Daughter. Caesar's first Words bid his Soldiers fly, for thc Encmics are upon them: Si leva Cesare, e dice a Soldati, A' la fugga, A' lo scampo. The Daughter gives the Preference to Caesar, which is made the Occasion of Cato's Death. Before he kills himself, you see him withdrawn into his Library, wherc, among his Books, I observed the Titles of P/11tarcli and Tasso [...] li (J. ADDISON, Remarks ecc., J. and R. Tonson and S. Draper, 1745, pp. 65-6). La condanna del malvezzo di attualizzare il mondo classico e i suoi personaggi, è motivo classicistico, già presente in N. BOILEAU, Art Poétique, 111 1 115-8: • Gardez donc de donner, ainsi ·que dans Clelie, / l'air, ni l'esprit François à l'antique Italie, / et sous des noms Romains faisant vostre portrait, / peindre Caton galant et Brutus dameret li (anni. Il Tieste fu giudicato da un popolo non filosofo in cosa alcuna, e meno in questa: felice dunque l'autore di diciott'anni che seppe carpire la fama dalla bocca di una capitale mal prevenuta per lo stile, per la semplicità, e quel ch'è più per le passioni grandi ed energiche. Ma nel Ti'este, benché di stile istudiato, di purissima semplicità, e di sommo calore, non avvi né lo stile vero, né il semplice nobile, né la passione ben maneggiata e dipinta. Volli dunque divenire filosofo su me stesso, ed impresi ad osservare la mia tragedia. lo vi trasmetto le osservazioni; giudicatele; pensate che voi siete Cesarotti, e ch'io sono un giovane che dee prepararsi con questa sua prima fatica la stima, e la disistima degli uomini. Giudicatela dunque severamente. Primo - Se le osservazioni sono logiche e ragionate, e per conseguenza stampabili. Secondo - Se sono scritte con forza e proprietà. Terzo - Se le osservazioni, quantunque imperfette e non bene scritte, possano un giorno promettermi di divenir pensatore. Addio, mio Padre.

N.

u.

FOSCOLO

3 produrrebbe (1092, 2); inalzarle >innal:larle (1092,10); addatare >adattare (1092,11); Taccerà> Tacerà (1092,20). 138

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NOTA Al TESTI

ORAZIONE A BONAPARTE PEL CONGRESSO DI LIONE

Il presente testo riproduce la stampa Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione, Italia 1802, pp. 1-62 {p. 1 titolo; p. 2 bianca; p. 3 dedica; p. 4 bianca; pp. 5-60 testo; p. 61 Nota; p. 62 bianca) di mm. 230 x 160. Dell,Orazione, con il medesimo titolo, fu allestita una contraffazione, forse nello stesso 1802, se il Foscolo poteva scrivere a Ferdinando Arrivabene, Milano 12 gennaio 1803: "[ ... ] tu farai opera grata a te e necessaria a me vendendomi qualche 20 orazioni. Un masnadiere me le ha ristampate; alcuni esemplari mi ha donato sebbene senz'obbligo perché le stampò extrafines » (Epistolario, I, p. 170), o, al più tardi, nell'arco di tempo tra il gennaio e il marzo del 1803, se dobbiamo prestar fede a quanto si legge in lettera al libraio Guglielmo Piatti, Milano gennaio 1803: «Se volete alcune copie di una seconda edizione che dell'Orazione hanno fatto, ve le darò a lire 4 di Milano e ve le manderò a vostra richiesta. Non è simile alla prima edizione; anzi vi mando la mostra. Sarà di 64 in 70 pagine,, (Epistolario, I, p. 171), da cui parrebbe doversi arguire che l'edizione (nonché il commercio) non era ancora ultimata («vi mando la mostra. Sarà di 64 in 70 pagine n). Il termine ante quem della stampa e smercio della stessa è costituito da una lettera al libraio Giacomo Blanchon, Milano 23 marzo 1803, in cui è detto: «Sono state secondo la vostra commissione consegnate le 10 copie dell'Orazione pel Congresso di Lione al distributore della posta. Non vi mando la prima edizione perché s'è venduta a lire 10 la copia, ed ora le poche copie che restano si vendono a 24 lire. Questa seconda edizione si vende a l\tlilano lire quattro e soldi quindici» (Epistola,·io, 1, p. 173). Della contraffazione il Foscolo, in lettera a Giovan Paolo Schulthesius, Firenze 31 ottobre 1812, dava la seguente descrizione: « Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione: la prima edizione è quasi irreperibile; la seconda fatta in grossi caratteri, trista carta, e scorrettissima ortografia con la data Italia I802, si trova in Milano presso Sonzogno che la vende alla macchia» (Epistolario, IV, p. 192). Tale stampa, di pp. 1-64 {p. 1 titolo; p. 2 bianca; pp. 3-4 dedica; pp. 5-63 testo; p. '64 Nota), di mm. 231 x 162, si distingue dalJ' editio princeps presentando venticinque righe per pagina, in luogo delle ventisei dell'originale, e cc Pel Congresso di Lione» in carattere maiuscolo tondo, contro il carattere maiuscolo corsivo dell'originale. Una copia postillata della contraffazione il Foscolo donava poi a Londra a Roger Wilbraham. L'esemplare, oggi conservato nella Bi-

NOTA AI TESTI

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blioteca dell'Università di Birrningham, oltre a rare note illustrative (registrate in nota a piè di pagina del testo, e contrassegnate dalla sigla B), presenta quattro varianti alternative, riprodotte di seguito nella colonna di destra: Ch'io (1102,12) e i secoli (1105, 24) sperse (1110,19) vastazioni ( I 112, 9)

Chè io ai secoli disperse devastazioni

Per la stampa Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione. Seconda Edizione, Parigi, Dalla Stamperia Crapelet, 1802, vedi Edizione Nazionale, VI, pp. LXXVII-LXXVIII. È stata conservata la forma Alliglzieri ( 1122, 30; norn1alizzate invece assocciano, 1103, 12, e ubbriacchezza, 1118, 30), per la quale vedi la Nota al testo dei Frammenti su Lucrezio, a p. 2200, mentre irredimebile è stato corretto in irredimibile (1109 1 17). FRAMMENTI SUL MACHIAVELLI Del manoscritto dei Frammenti sul Machiavelli una sommaria descrizione è fornita da G. CHIARINI, Catalogo dei Manoscritti Foscoliani già proprietà Martelli della R. Biblioteca Nazionale di Firenze, Roma 1885, Parte prima, Scritti letterari, n° 40, p. 14: «Machiavelli (Della patria, della vita, degli scritti etc. di Niccolò); Commentari. Sono nove [sic] tr-a fascicoli e quinterni, con parecchi fogli aggiunti; la più parte scrittura del Foscolo; qualche cosa d'altra mano; quasi tutti rifacimenti dello stesso lavoro, con infinite ripetizioni, cancellature, pentimenti [... ] - I, I K L M N o P Q ». Dagli otto fascicoli, per un totale di duecentoventotto pagine, metà delle quali bianche, numerate progressivamente per fascicolo in inchiostro rosso, in alto a destra sul recto, e in alto a sinistra sul verso, erano tratti trentasei frammenti che vedevano dapprima la luce in un'edizione del Principe, Capolago 1848, poi ristnmpata a Torino, Pomba, 1852. Gran parte del materiale contenuto negli otto inserti era poi pubblicato in Opere, II, pp. 431-75, e integrahnente, e per cura di L. Fassò - alla cui Introduzione, pp. XVI-XXVII, si rinvia per la ricostruzione dell'ordine delle carte-, in Edizione Nnzionale, VIII, pp. 3-63. Il testo della presente scelta riproduce i seguenti originali: [1] Q, pp. 19-20, apografo con correzioni autografe di mm. 308-9 X 202-3. [11] Q, pp. 23-5, autografo di mm. 308-9 X 202-3.

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NOTA AI TESTI

[111] P, pp. 1-10, apografo con correzioni autografe di mm. 307 x 204. [1v] N, I-IV pp. 13-5; v, p. I; VI-VIII, pp. 19-23, autografo di mm. 2S2 X 182.

Si avverte che, trattandosi prevalentemente di autografo, sono state conservate le oscillazioni Alemagna-Allemagna ( 1 156, 8, 12); Machiavelli-Macchiavelli (1135,27-1136,1; 1136,15; 1136,19; 1137,10, 17, 18, 20; 1138,3,11; 1140,13-4; 1141,15; 1147,2; 1152,1; 1152,27; I 153,11, 19, 31; conservate anche le forme NICOLÒ, 1138; Nicolò, 1138, 27; 1143, 17; I 145, 9, e così pure Ruccellai, 1137, 14); omaggioommaggio (1156,16). Per la medesima ragione sono stati conservati i seguenti raddoppiamenti e scempiamenti: tacciute ( 1134, 5); ippocrisia (1138,6); di/amare (1147,11).

DELLO SCOPO DI GREGORIO VII Il presente testo riproduce quello degli cc Annali di Scienze e Lettere,,, Dalla Stamperia degli Annali di Scienze e Lettere, Milano, voi. VII (1811), pp. 145-79. Si è normalizzata la forma verebbe >verrebbe ( 1187, 13). Di seguito è fornita la tavola di raffronto relativa al passo che i Frammenti sul Machiavelli (M) hanno in comune col presente articolo (G): M

G

cent'anni (1153, 38)

vent'anni (1165,19)

alle schiatte ( 1 1 53, 38)

alla schiatta (1165, 19)

e l'ambizione (1154, 4-5)

l'ambizione (1166, 3)

l'avidità e l'ambizione de' suoi capitani (1154, 8)

l'avidità de' suoi capitani 1166, 7)

nazione Italiana ( 1154, 9- 1o)

nazione ( 1 166, 8)

e si procacciò (1154,n)

e si procurò (u66, 9-10)

Anzi per liberare la religione dagli ecclesiastici contaminati da' vizii, protesse i riformatori che cacciarono gli antipapi eletti da' Berengari, e difendendo la Chiesa, la dominava ( 1154,12-4)

e liberando la religione da' sacerdoti contaminati di vizii, protesse i riformatori che cacciarono i papi eletti da' Berengarii, e gli antipapi, e, difendendo la chiesa, la domini) (u66,10-3)

preposti al governo ( 1 1 ss, 1)

posti aal governo ( 1 166, 16)

NOTA AI TESTI

2197

giudizio di sangue su' loro vassalli, proprietà di corpo di tutti gli agricoltori, arbitrio d'allcanze (1155, 3-5)

proprietà di corpo su tutti gli agricoltori, giudizio di sangue su' loro vassalli, arbitrio di alleanza (1166, 18-20)

Quando (1155, 9)

Or, quando (1166, 24)

1'universale ignoranza ( 1 15 s, 1 o)

l'ignoranza (1166, 25)

Ed anche l'impero ottomano sarebbe ornai rovinato in tante ribellioni de' governatori e de' popoli, se il principe non fosse monarca ad un tempo e pontefice massimo, se le leggi militari e politiche non derivassero tutte dal sacerdozio, e se la civiltà delle possenti nazioni d'Europa non fosse affatto diversa. Però un capitano e un vassallo ribelle non può occupare assolutamente se non poche provincie e le più lontane dalla sede imperiale, né costituirle ereditarie e sicure dalla superstizione de' popoli: e un conquistatore straniero dovrebbe per serbare gli acquisti, sormontare una delle due difficilissime imprese; o di mutare gli usi e la religione delle sue genti; o di disperdere i vinti ndl 'Asia e regnar nelle solitudini finché potesse ripopolarle di nuove colonie da che gli ottomani distruggono col ferro e col foco nelle guerre infelici tutti i loro vassalli che professano religione diversa. VII. Prindpio del sacerdozio armato i,i Europa. In que' tempi i Monarchi non solamente doveano obbedire alla Chiesa, ma non aveano (1155,11-28)

Gli oppressi, nell'estrema sciagura, gli oppressori, nel perpetuo rimorso, dovcano volgersi al cielo; tanto più che in sì fatta violenza di stato civile e politico, le mutazioni doveano essere rapidissime e frequenti, e gli oppressori diventavano oppressi. Inoltre, o per ignoranza di mente, o per debolezza di cuore, i monarchi stessi dalla religione trascorreano nella superstizione e nel fanatismo; e i sudditi seguivano i principi, i quali non aveano (1166,27-33)

serbate vive alcune reliquie (1155, 33-4)

serbate vive in Roma alcune reliquie (1166, 38)

Però all'aristocrazia militare (1155, 34)

Però all'aristocrazia militare gl'imperadori (1166, 38-9)

stabilì il diritto ( 11 S5, 37)

stabili (siccome il Robertson vide sapientemente) il diritto (1167, 3)

NOTA AI TESTI

liti civili (1155,38)

liti criminali e civili (1167, 4-5)

a' giudizi arbitrari (1155,39)

alle sentenze arbitrarie (1167 1 5-6)

Spento nella terza generazione il lignaggio d'Ottone, l'impero divenne, per consiglio de' papi, elettivo; e tre (u56,9-11)

Ma questa forza divenne palese quando, spento il lignaggio d'Ottone, i papi praticarono e ottennero che l'impero divenisse elettivo. Tre (1168,5-7)

e l'eletto (1156,12-3)

e l'imperadore eletto (1168, 8-9)

dalla Chiesa di Roma (1156,13)

dal papa ( 1168, 9)

si riordinarono (u56,16-7)

si ordinarono (1168,12)

in dote (u 56, 24)

in dono (1I68,16)

i popoli indipendenti ( I 156, 25)

i popoli, prima ribelli e poscia indipendenti (u68,17)

Lombardia; e primo insegnò a fulminare i Monarchi dal tempio(1156, 27-8).

Lombardia. La violenza aveva [... ] lo scettro con che Ildebrando cominciò a governare l'Europa dal tempio (1168,19-26).

DISCORSI

«

DELLA SERVITÙ DELL'ITALIA

11

Il presente testo, del voi. xxxi dei manoscritti foscoliani conservati presso la Biblioteca Labronica di Livorno, riproduce le seguenti carte: Discorsi agli italiani d'ogni setta [1], [11], cc. 86r.-89v., apografo con correzioni autografe di mm. 385 X 245, e cc. 106r.-11or., apografo con correzioni autografe di mm. 385 x 245. Questioni intorno alla indipendenza d'Italia [1], [11], cc. 189r.-195'L·., apografo con correzioni autografe di mm. 245 x 196, e c. 157r. e v., e c. 158r., autografo di mm. 385 X 245. Si avverte inoltre che le parole poste tra parentesi quadre integrano altrettante lacune del manoscritto, e derivano da una redazione del frammento 111 che si legge a c. 242v. del citato volume Labronico. I sommari, autografi, sono registrati nel margine destro della pagina. Si segnala infine che, pur trattandosi di apografi (tranne II delle Questioni), perché passati attraverso la revisione foscoliana, sono stati conservati raddoppiamenti obsoleti, come: controvversie ( 1200, 4); diffinite (1200,5); prevvidenti (1209,23); diriggo (1211,19); attomo (1214, 27); dijfendere (1218, 26); abbiezione (1220, 3); millioni (1224, 3); mi/la (1225, 37), ma non propagavanno per propagavano (1207,18);

NOTA Al TESTI

2199

affiliate per affilate (1215,17); motto per moto (1216,16); del pari conservati scempiamenti quali: fugirsi ( 1204, 7); legitima ( 1213, 14); ramaricandomi (1216,12); rinovati (1216,14); rinegando (1219,17); decolato (1224,32); tra.fico (1225,24).

[FRAMMENTI SU LUCREZIO] Il manoscritto dei frammenti intorno alla poesia, ai tempi e alla religione di Lucrezio, giacente presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Inserto F del voi. u dei manoscritti foscoliani, già proprietà Martelli) e da noi riprodotto, consta di tredici carte di mm. 210-212 X 251-255 (tranne la carta s = pp. 15-16 della numerazione moderna, refilata ai margini, e misurante mm. 184 x 284), modernamente numerate in inchiostro rosso, rispettivamente nel)'angolo a destra nel recto e a sinistra nel verso, per un totale di ventisei pagine, disposte come segue: x Della poesia lucreziana - Mi abbandonò prima degli anni giovanili, 2 bianca; 3 Poesia - Aggiungi eh' io, 4 bianca; 5 Poesia - Queste cose preacennai, 6 bianca; 7 Poesia Ma questi 11ostri Italiani, 8 bianca; 9 De' tempi di Lucrezio - Molti Epicurei, 10 bianca; 11 Tempi - Perché Tiberio e gli altri, 12 bianca; 13 Allego questi esempli, 14 Relig. - S'io domandassi; 15 Rel. - Dico a me stesso, 16 Però veggendo Epicuro; 17 Reli'g. - Ora il primo motore, 18 che se togli la religione; 19 Onde è tratta, 20 Ma Epicuro dà per sicura norma; 21 Relig. - fosse relig-t"one. Ma qua11to, 22 Acrius advertunt a11imos ad relligio11em; 23 Relig. - la nostra natura, 24 Relig. - in ,;ua11to a popoli; 25 Relig. - le loro statue ponendo fra i simulacri, 26 bianca. Tale numerazione, riproducente un'altra, a matita, apposta in alto in centro alla pagina, non corrisponde all'ordine interno delle carte, reso invece perfettamente comprensibile da una numerazione autografa (apposta quasi sempre in alto a destra), in base alla quale le stesse vengono ad essere divise in tre gruppi (ciascuno dei quali con numerazione propria). Il primo gruppo è composto da quattro carte, comprese sotto il titolo Della poesia lucreziana (c. 1r.), cui rinvia l'indicazione Poesia alle carte seguenti, e contiene la parte di testo che va da Mi abbandonò prima degli anni giova11ili sino a Primo pittar del Sig11oril costume (1r. Mi abbandonò prima degli anni giovanili [...] di versi, v. bianco; 2r. Aggiungi ch'io [...] le passioni, v. bianco; 3r. Queste cose preacennai [ ... ] di quelle età, v. bianco; 4r. Ma questi nostri Italiani [ ...] Primo pittor del Signori[ costume, v. bianco). Il secondo gruppo è composto da due carte comprese sotto il titolo De' tempi di Lucre%io (c. 1r.), cui rinvia l'indicazione Tempi alla

2200

NOTA AI TESTI

carta seguente, e contiene la parte di testo da Molti Epicurei sino a come il leone? (1r. Molti Epicurei [...] la tirannia, v. bianco; 2r. Perché Tiberio e gli altri [...] come il leone?, v. bianco). Il terzo gruppo è composto da sette carte, scritte tutte, tranne una, sul recto e sul verso e numerate su entrambe le facciate da 2 a 11 per la caduta della prima carta, che doveva contenere, analogamente ai primi due gruppi, il presumibile titolo Della religione di Lucrezio, cui rinvia il richiamo in forma abbreviata Rel. (p. s[b], rifacimento della primitiva p. s[a] posto nel verso di p. 4 e per il quale si veda la nota a p. 1239, dove si corregga nel senso ora indicato) e Relig. (alle pp. 5[a], 6, 7, 8, 9, 10, 11), e per esteso (verso di p. 8). Non è numerato il verso di p. s[b] e di p. 8. Le pagine si ordinano dunque come segue: p. 2 (Ma Epicuro [... ] soggiacciono); p. 3 (che se togli [...] della morte); p. 4 (Allego questi esempli [... ] evitare la noia); p. 5[b] (Dico a me stesso[ ... ] Cielo); p. 5[b]v. (Però veggendo Epicuro[ ...] Stoici?); p. 6, verso di p. J (Ora il primo motore [...] una passione); p. 7, verso di p. 2 (Onde è tratta [... ] repubblica dove); p. 8 (fosse religione [...) appetisce la nostra); p. 9 (la nostra natura [... ] le loro); p. 10 (le loro statue[ . .. ) E in quanto a'); p. 11, verso di p. 9 (in quanto a popoli [...] moltitudine). Il verso di p. 8, non numerato, contiene due frammenti, per i quali vedi la nota 3 a p. 1243; la Nota Roma [...] Preti di p. 11 precede quanto ancora si legge, trovandosi inserita, a metà pagina, tra in quanto a' popoli [...] si tolga e E quand'anche [... ] moltitudine. Infine il verso di p. 10 è bianco. Trattandosi di autografo si è ritenuto di conservare i raddoppiamenti: m'innoltrai (1233,12); rimmescolarci (1237,23); dispreggiabili (1242,7); relligionem (1243,37); relligione (1244,8), così come gli scempiamenti: facende (1236, 7; 1238, 10); richezza (1236, 9); richezze (1237,16; 1238,33; 1240,23); atterire (1238,3); machi,ra (1241, 11); protetrice (1243,1); abattere (1243,19). ~ stata anche mantenuta l'oscillazione Allighieri ( 1233, 9; 1234, 25) - Alighieri ( 1235, 4) in ragione di un passo del Discorso sul testo del poema di Dante ( 1824), là dove il Foscolo scrive: