La letteratura italiana. Storia e testi. Illuministi italiani. Opere di Pietro Giannone [Vol. 46.1]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI

VOLUME

46 ·

TOMO

I

ILLUMINISTI ITALIANI TOMO I

OPERE DI PIETRO GIANNONE

ILLUMINISTI ITALIANI TOMO I

OPERE DI

PIETRO GIANNONE A CURA DI SERGIO BERTELLI E GIUSEPPE RICUPERATI

RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO · NAPOLI

TUTTI I DIRITTI RISERVATI • ALL RIGHTS RESBRVBD PRINTED IN ITALY

ILLUMINISTI ITALIANI TOMO I

OPERE DI PIETRO GIANNONE

INTRODUZIONE di Sergio Bertelli

XI

BIBLIOGRAFIA di Sergio Bertelli

XXVII

VITA DI PIETRO GIANNONE (a cura di Sergio Bertelli)

3

ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI (a cura di Sergio

Berte/li)

349

PROFESSIONE DI FEDE (a cura di Sergio Bertelli)

475

RAGGUAGLIO DELL'IMPROVISO E VIOLENTO RATTO PRATICATO IN VENEZIA AD ISTIGAZIONE DE> GESUITI E DELLA CORTE DI ROMA NELLA PERSONA DELL'AVVOCATO P. GIANNONE (a cura di Sergio Bertelli) OSSERVAZIONI CRITICHE SOPRA LtHISTORIA DELLE LEGGI E DE 1 MAGISTRATI DEL REGNO DI NAPOLI COMPOSTA DAL SIC.RE GRIMALDI (a cura di Giuseppe Ricuperati) IL TRIREGNO (a cura di Giuseppe Ricuperati)

S51 581

DISCORSI SOPRA GLI ANNALI DI TITO LIVIO (a cura di Giu-

seppe Ricuperati) APOLOGIA DE• TEOLOGI SCOLASTICI

731

(a cura di Giwc.ppe Ri-

cuperati)

791

ISTORIA DEL PONTIFICATO DI GREGORIO MAGNO (a cura

di Giuseppe Ricuperati)

9IS

L'APE INGEGNOSA OVERO RACCOLTA DI VARIE OSSERVAZIONI SOPRA LE OPERE DI NATURA E DELL'ARTE (a cura

di Giweppe Ricuperati)

989

LETTERE (a cura di Sergio Bertelli)

1101

INDICE DEI NOMI

1197

INDICE

1233

INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

Tre figure risaltano in modo particolare nel primo Settecento italiano. Uomini della stessa generazione, con non pochi punti di contatto tra loro. Nati negli stessi anni, scomparsi a poca distanza l'uno dall'altro negli anni Cinquanta: Lodovico Antonio Muratori (1676-1750), Scipione Maffei (1675-1755), Pietro Giannone (16761748). Essi attinsero, indipendentemente l'uno dall'altro, alle stesse sorgenti la propria metodologia storica (e Muratori, come Giannone, parti da un'esperienza giuridica, prima di approdare alla ricerca storica). Ciascuno nel proprio ambiente e tutti insieme nel più ampio teatro italiano, svolsero una decisa opera di sprovincializzazione della cultura italiana, inserendola nel dialogo europeo. Ognuno da posizioni proprie e peculiari, ma, in sostanza, con stima reciproca capace di far superare momentanei dissensi tra loro, con un impegno riformatore che andò ben oltre le giovanili posizioni giurisdizionalistiche. (Come non ricordare, a questo proposito, quella sincera lettera di Lodovico Antonio Muratori a Maffei, col quale s'era trovato in disaccordo - un disaccordo motivato da considerazioni d' opportu-nità politica - sul problema della magia? Maffei non s'era limitato a negare l'esistenza delle streghe; aveva attaccato ogni forma di superstizione, senza curarsi se, demolendo il soprannaturale, avreb-be potuto essere accusato d'eresia, inficiando la battaglia che si stava conducendo per salvare delle vite umane dal rogo. Muratori non aveva avuto questo ardire e nell'ultima sua lettera all'amico, prima della morte, ne aveva riconosciuto il coraggio: «Siete en-trato ancor voi nell'opinione della non magia. Non vi prendiate fastidio s'io l'avessi tenuta, è, perché io non sono stato animoso come voi. Le Sacre Scritture mi fanno paura; e giacché nulla è stato proibito finora del mio, non vorrei, che fosse neppur da qui avanti. Di miglior guscio siete voi, che io; per me poco importa, che la finisca in breve ••. ». Oppure, come non ricordare il pacato giudizio sulla vicenda giannoniana, espresso a Costantino Grimaldi nell'apri-le del '23?: «Agl'ingegni focosi e liberi di Partenope si dee condona-re qualche verità detta a visiera calata». O il commento dopo la lettura della risposta giannoniana al padre Sebastiano Paoli: «••• quel benedetto Vesuvio mette un gran fuoco in voi altri signori»?).

XII

INTRODUZIONE

Tre uomini, in qualche modo legati l'uno all'altro in una stessa battaglia (Muratori accorrerà a salutare Giannone in fuga, non appena a conoscenza del suo passaggio per Modena, informandolo dei nuovi attacchi che si tramavano contro l'Istoria civile. Quanto al Maffei, non fu certo un caso se nel suo palazzo di Verona trovò ospitalità Alessandro Riccardi, uno dei maggiori esponenti del giurisdizionalismo napoletano, nel '27). Una stessa battaglia, che approdò alla lotta contro la molteplicità delle feste religiose e per una devozione più «regolata» in Muratori (roso ora anche dal dubbio di fronte alla filosofia del Locke); per affermare la forza della ragione nella polemica sulle lammie e sulla magia, il Maffei; per esaltare e proporre una nuova storia della religione, alle soglie del deismo, il Giannone. Di estrazioni sociali diverse, approdarono insieme alla stessa cultura, si aprirono all'Illuminismo apportandovi il loro non trascurabile contributo, conquistandosi tutti fama europea. Di famiglia contadina il Muratori; nobile di Terraferma il Maffei; figlio d'un povero speziale il Giannone. E mentre il Maffei seppe ironizzare sui costumi della sua classe col Della scie11za chiamata cavalleresca, il figlio di contadini seppe rifiutare il vescovado per mantenere quella libertà che gli assicuravano i duchi d'Este. Quanto al Giannone, il quale aveva conosciuto l'onore della carica di «Avvocato della città di Napoli», anch'egli seppe mantenere la sua indipendenza intellettuale, pur nelle angustie e nei disagi dell'esilio e, ancora più tardi, nel chiuso del carcere. In queste tre biografie si rispecchia tutto il primo Settecento italiano: dalla reazione all'Arcadia sino all'aprirsi del moto riformatore. Vi sono le battaglie per la fondazione di un «buon gusto» contro l'irrazionale barocco, la fondazione d'una nuova storiografia , che l'avea acquistati, dal quale eran passati a' figli, e da questi alla madre. In effetto, da quel tribunale fu giudicato doversi dar l'immissione alla chiesa in vigor del testamento, ma tolta prima la metà de' beni, che come antichi, in vigor della consuetudine si appartenevano a' congionti del marito, donde eran pervenuti. de/onta: defunta. 2. tribunale ... Vicaria: tribunale napoletano di prima istanza, nelle due sezioni civile e penale. La sua sede, come per il tribunale d'appello, o Sacro Real Consiglio, era in Castelcapuano. 1.

VITA DI PIETRO GIANNONE

Non si quietaron gli avversari per questa decisione, ma ebber ricorso nel Consiglio di Santa Chiara; e con nuove allegazioni date alle stampe, s'ingegnavano sostenere la pretensione che fosser tutti beni nuovi e, per ciò, doversi rivocare il decreto interposto dalla Gran Corte. Mi fu d'uopo, comporre nuova allegazione e più diffusa, per convincer gli avversari e confutare tutti i loro argomenti, la qual fu pure a mie spese data alle stampe. 1 Ma mentre era per trattarsi di nuovo la causa, stimaron finalmente que' preti che avean l'amministrazione della chiesa, i quali, per buona sorte, s'incontrarono esser dotati di somma probità e che sapevano la vera chiesa esser i poveri, di non proseguir la lite. Onde, commiserando lo stato miserabile de' miei clienti e che sarebbe stata empietà differirgli quel sollievo, che la lor giustizia e la decisione di quel tribunale gli dava, volentieri si confermarono all'interposizione e parere di buoni amici, i quali consigliavano che, tolta ogni lite di mezzo, dovesse terminarsi con amicabile2 accordo. Sicché, tenute fra noi più sessioni, si venne ad una discreta ed equabile divisione de' beni: alla chiesa rimasero alcune case e rendite poste dentro Napoli; a' miei clienti alcune rendite e case poste fuori della città, nella vicina villa chiamata « Due Porte», o perché ivi si mostrano d_ue antiche porte, ovvero, sicome scrissero alcuni, che ivi aveano le lor ville i due famosi fratelli Porta, celebri filosofi e letterati napolitani. 3 Ma perché questi, essendo lontani, potessero godere il frutto della vittoria, bisognò pensare il valore de' beni assegnatigli convertirlo in denaro, perché, impiegato in Puglia ne' loro paesi, gli recasse maggior frutto di quello che potevano sperare da rendite 1. Mi . ..

stampe ecc.: il Nicolini, nella sua edizione della Vita, p. 64, in nota,

osserva che II di questa causa il Panzini dice soltanto che ebbe luogo nel 1721. Però, dall,insieme del racconto giannoniano, a me pare che tale data si debba anticipare di qualche anno». Senonché in PANZINI, p. 7, è detto {erroneamente) che nel 1721 fu acquistato il casino di Due Porte, • in premio d'una lite guadagnata ad alcuni suoi paesani», e non si accenna affatto alla data in cui la causa sarebbe stata sostenuta. 2. amicabile: amichevole. 3. o perché ... napolitani: delle due versioni il Giannone propese sempre per quest'ultima che faceva risalire la proprietà ai fratelli Giovan Battista (15351615) e Niccolò Della Porta; anzi volle tramandarla in un,epigrafc che si sarebbe dovuta apporre, dopo la sua morte, sulla facciata della villa: cfr. la lettera al fratello Carlo, del 22 dicembre 1730 (Giannoniana, n. 0 386). Il testo dell'epigrafe è riportato in Vita, ed. Nicolini, p. XXXI. Sull'ubicazione della villa cfr. T. FASANO, Lettere villeresche scritte da un anonimo ad un amico, Napoli 1779, pp. 52 sgg., e Vita, ed. Nicolini, pp. 65-6, nota.

CAPITOLO QUARTO

73

sl lontane. Onde, fatti estimare, si venderono; ed io, detratte le spese e le fatiche da me fatte ed il palmario' dovutomi, colle fatiche di mio fratello, mi presi le case di « Due Porte» con un picciol podere a quelle congiunto, e gli mandai il compimento del prezzo. Di che ne rimasero contentissimi, e ne fu stipulato pubblico istromento di cessione e vendita. Fatto ch'ebbi tal acquisto, ridussi in istato migliore quell'abitazione e, fornitala di tutti gli arredi e suppellettili, nelle ferie estive e vindemiali trasferiva ogni anno a «Due Porte» il mio domicilio, dove, non tralasciando il mio matutino e vespertino esercizio in camminare per quelle campagne, tutto il rimanente dell'ore si consumava in proseguire il lavoro dell'intrapresa Istoria. Per questo mio ritiro, e perché, anche dimorando in città, poco solea farmi vedere nelle conversazioni e nelle altre brigate d'amici a passar il tempo allegro (poiché, se altri potevan farlo, non io, che oltre le occupazioni del foro avea sopra le spalle quest'altro peso), ne acquistai presso gli amici il sopranome di «solitario Piero», alludendo all'eremita del Tasso. 2 E se bene alcuni sapessero che io travagliava per dover dare alla luce qualche opera, nulladimanco, poiché io non communicai se non ali' Aulisio ed al Capasso e ad alcuni pochi strettissimi miei amici l'idea di quella: chi s'immaginava che io componessi l'istoria delle leggi e magistrati del regno di Napoli, altri che io tessessi le vite de' giureconsulti napolitani, e chi una cosa e chi un'altra. Ed io gli lasciava con questi pensieri, per non insospettir alcuno; ed ancorché avessi compìti più libri, sicché avrei potuto dar alla luce il primo tomo, nulladimanco ebbi a questo riguardo la sofferenza di non cominciar la stampa, se non mi fossi veduto vicino al porto. Né m'ingannai, poiché l'evento dimostrò che, se io avessi dato fuori il primo tomo, sarei stato sicuramen te impedito di dar il secondo, e molto più il terzo ed il quarto, e così lasciar l'opera manca ed imperfetta. I primi soli tre libri, che io feci di buon carattere trascrivere da' miei originali, furon letti dall' Aulisio, il quale, approvando l'idea e piacendogli la maniera e la disposizione che io avea data all'opera, mi animò a proseguirla. Ma non potei far lo stesso ne' seguenti libri, sièome io avea proposto, poiché oltre vari impedimenti frapposti e, sopra tutto, di non consumar il tempo che dovea im1.

il palmario: il compenso dell'avvocato.

lib.,

1,

29,

2.

2.

solitan·o ••• Tasso: cfr. Gn.

74

VITA DI PIETRO GIANNONE

piegare in emendare e corriggere 1 le copie, differendo di farlo, ecco che poi il medesimo venne ad informarsi d'una sì grave infermità, che lo condusse alla morte. 2 Avrei fatto lo stesso col presidente Argento; ma era impresa disperata ed impossibile di poter ottenere dal medesimo che potesse leggergli, poiché le sue gravi e continue occupazioni, spezialmente sotto il conte Daun viceré, erano tali che non avea un momento di tempo di poter applicare ad altro. 3 Intanto, proseguendo con ostinazione queste lunghe fatiche, ancorché proccurassi tener un'esatta regola di vivere, né tralasciassi gli esercizi del corpo, fui assalito da una grave ipocondria, che mi cagionava incessanti rutti ed acetosi, e ben si vedeva che lo stomaco e le viscere eran viziate. Presi consiglio dal Cirillo per trovar la maniera di liberarmene e, dopo lungo pensare e riflettere, si credette che ciò provenisse, oltre dall'applicazione a' studi, dal vino, che non ben si conformava al mio stomaco che lo rendeva 1. corriggere: correggere. 2. una sì . .. morte: nella fine dell'Aulisio non mancò il sospetto di veleno (cosa comune in quel tempo, per tutte le morti non diagnosticate con esattezza) e l'accusa, non provata, contro il nipote di lui, Niccolò Ferrara. Arrestato e processato davanti al tribunale dei venefici (o Giunta dei veleni), fu rinchiuso in carcere per ordine del presidente di quello, l'Argento, 11 per vendicare la crudel morte d'un tant'uomo e suo grande amico», come riferisce il PANZINI, p. 6. Dopo due anni di carcere, 11 e non veggendo in fine alcuno scampo alla sua salvezza, impetrò dal Giannone il suo patrocinio, il quale trovando incerte e difettose le pruove del delitto, s'adoperò talmente col presidente Argento e co' ministri suoi colleghi, che il fé porre fuor di prigione. Il Ferrara appena messo in libertà donò al Giannone in merito della ricuperata salvezza alquanti scelti libri ch'erano dell'Aulisio, e diverse opere manoscritte, ch'avea questo valentuomo dettate sopra vari argomenti, delle quali ne dà il catalogo il sig. Biagio Troise nella picciola vita dell' Aulisio preposta al libro delle Scuole sagre di cotesto autore» (PANZlNI, pp. 6-7). Ciò non accadde, precisa lo stesso biografo del Giannone, prima dell'anno 1719. Già però in quello stesso anno il Giannone riusciva ad iniziare la pubblicazione di tredici corsi universitari dell'Aulisio, i Commentariorum iuris civili.stomi JII, a cui seguirono, nel 1721, i Commentaria in IV /nstitutionum canonicarum libros. Due anni dopo, sempre dietro incitamento del Giannone, uscivano in Napoli i due libri Delle scuole sacre . .. pubblicati dal suo erede e nipote Nicolò Ferrara-Auli.sio, presso Francesco Ricciardo. 3. Avrei ... altro: il PANZINI, p. 14, riferisce che l'Argento lesse l 1opera solo 11poiché ella fu terminata» e che una volta presane visione, commentò: 11 Sig. Pietro, voi vi sete posto nel capo una corona, ma di spine ». Sia la precisazione del Giannone qui sopra, sia l'avvertenza del Panzini che l'Argento leggesse l'Istoria civile solo dopo che essa fu compiuta, sono dettate dalla stessa preoccupazione di smentire le accuse di quanti sospettarono una diretta collaborazione sua al lavoro giannoniano. Cfr. infra.

CAPITOLO QUARTO

75

acetoso; sicché bisognava tòrre o l'una o l'altro. De' studi era impossibile privarmene, per la mia professione che mi dava il pane, onde si venne a tormi il vino, e si prese il tempo opportuno d'una està, nella quale pian piano, frammezzando il ber dell'acqua, mi ridussi ad un sol bicchiere di vino al fine della tavola: qual pur si tolse, surrogando in sua vece un grappolo d'uva. Per tre mesi questo passaggio dal vino all'acqua chiara mi diede pena ed una grande languidezza, che m'istigava a ripigliarlo, ma io fermo nel proposito, non mi smossi; sicché, passatami poi quella languidezza, lo stomaco si rese più forte alla digestione, mi liberai da quel acido e da altri piccioli mali; e benedico sempre la presa risoluzione, poiché, in tutto il corso di mia vita fino al presente, che sono in età molto avanzata, mi trovo coll'acqua pura assai migliore e sano, che non era quando bevea vino: almanco sono sicuro di non esser assalito da dolori nefritici, da pietre1 e calcoli, da podagra e di altri consimili morbi gottosi. Egli è però vero che, non potendomi privare de' studi, non ho potuto liberarmi dall'ipocondria, la quale sovente mi cagiona de' rutti pur troppo molesti e penosi. Non devo tralasciare fra tante mie fatiche e noiose occupazioni, che per rilasciar alquanto il mio animo non trovassi due maniere di sollevarlo: la prima innocente, la seconda da condonarsi alla debolezza e fragilità dell'umana natura. Prendeva gran piacere degli ameni lidi del mare di Posilipo e delle campagne e deliziose vedute di « Due Porte», dove io solea portarmi. Queste mi facevan dimenticare e posporre tutti i diporti della città, de' teatri ed altre feste e pompe del real palazzo. Ogni tumultuoso spettacolo, ogni concorso della moltitudine era da me lontano, e fui sempre amante della solitudine fra colli, pianure e valli. L'altro mio sollievo e ristoro era di godere non men delle belle fattezze del corpo che delle belle doti dell'animo d'una donzella, 2 che io, con volere di sua madre vedova, e de' fratelli, ebbi verginella in mio potere; e non fu se non per tema di maggior male, poiché la loro povertà, e l'avvenenza della giovane, forse l'avrebbe condotta a peggior destino. Con lei, che m'amava tanto quanto era da me riamata, e che io avea posta in città, in sicura custodia di donne oneste e sovente l'avea per compagna nelle mie solitudini di Posilipo e« Due Porte», J. 2.

da pietre: dal mal della pietra, come dicevasi allora la calcolosi vescicale. una donzella: Elisabetta Angela Castelli.

VITA DI PIETRO GIANNONE

alleggeriva le mie tetre e malinconiche occupazioni; e poiché teneva somma cura del mio corpo e delle mie cose domestiche, io riposava in lei, né mi dava altro impaccio che de' miei studi. Ebbi da questa onesta e castissima donna due figliuoli: 1 un maschio ed una femmina. E ben si conobbe quanto ella fosse savia e dotata di somma pietà e virtù ; ché, costretto io a partir da N apoli per l'imperial corte di Vienna, ella volle chiudersi in monastero2 con la bambina che avea seco, dove, menando una vita santissima, non ne volle uscir mai, lasciando il figliuol maschio alla cura di mio fratello. III

[I72r-r722]

Cominciava io intanto col progresso degli anni e del lavoro a veder, se ben da lontano, il porto delle mie lunghe fatiche. E già de' quaranta libri, onde l'Istoria civi.le era divisa, non me ne mancavano se non gli ultimi cinque; sicché mi risolsi di cominciar la stampa de' primi, la quale, richiedendo tempo, mi faceva sicuro che frattanto io avrei potuto compire il rimanente. Ed incontrai, per cominciarla, un'opportuna occasione, la quale mi liberò di commetterla3 a' stampatori, i quali tenendo le loro stamperie nelle pubbliche piazze della città, oltre che avrei avuta gran difficoltà di persuadergli che senza licenza dell'Ordinario4 potessero cominciarla, erano esposti i fogli, secondo che si stampavano, a gli occhi de' più curiosi. Avea Ottavio Vi tagliano, 5 avvocato napolitano mio amico, ottenuta licenza dal viceré e Collateral Consiglio di poter avere in x. due figliuoli: Giovanni, nato nel marzo del 1715, e Carmina Fortunata, nata nel novembre del 1721. 2. monastero: il Real Conservatorio di Sant' Antoniello alla Vicaria, come riferisce nella propria autobiografia il figlio Giovanni. Senonché è dubbio che la decisione di entrare in convento venisse dalla Castelli, perché l,intero carteggio del Giannone col fratello Carlo è pieno dei lamenti delle due donne, che chiedono di poter uscire dal monastero. Qualche notizia anche in C. CARISTIA, Pietro Giannone e i suoi familiari, in Scritti di sociologia e politica in onore di L. Sturzo, Bologna 1953. 3. commetterla: commissionarla (latinismo). 4. dell'Ordinario: del tribunale vescovile. 5. Ignazio Ottavio Vitagliano ( ?-1740), nato a Bari secondo il Giustiniani, avrebbe in seguito criticato alcuni passi dell'opera giannoniana (cfr. infra, e la nota I a p. 129). Per una sua biografia si veda L. GIUSTINIANI, Memorie istoriche, cit., 111, pp. 283-5; C. MINIERI R1cc10, Memorie storiche, cit., p. 372; C. VILLANI, Scrittori ed

CAPITOLO QUARTO

77

sua casa una stamperia, alla quale egli avea preposto un diligente stampatore, chiamato Niccolò Naso, che la reggesse: e, convenuti fra di loro del guadagno, il peso di ottener le licenze rimase al Vitagliano. 1 Fu facile persuadere al medesimo che, contenendo la mia opera più controversie giurisdizionali che si risolvevano contro la giurisdizione ecclesiastica, secondo che s'era negli ultimi tempi esorbitantemente innalzata, non avea bisogno cli licenza degli ecclesiastici; e sarebbe stata impertinenza cercar da essi ciocché non potevano concedere, poiché la formola da essi introdotta in concederla, non si restava più che nell'opere da stamparsi non vi fosser cose contrarie alla santa fede e buoni costumi, ma volevano che non vi fosser eziandio cose contrarie alla loro pretesa giurisdizione. E mostratigli più essempi che per i libri ove si trattava di contese giurisdizionali niuno l'avea cercata, si rimase fra noi, che bastasse solo la licenza del viceré e del Consiglio Collaterale, della quale volli io caricarmi e mandarcela. A tutto ciò si aggiunse un'altra opportunità per me assai più acconcia e propizia, poiché, tenendo il Vitagliano una casa di campagna prossima a «Due Porte», la stamperia che avea nella di lui casa dentro Napoli l'avea trasferita ivi, lontana da ogni commercio ;2 sicché mi riusciva più commodo nelle mie villeggiature di «Due Porte» di poter assistere alla stampa. Si convenne pertanto, fra noi del denaro che io dovea somministrar per le spese, e poiché il carattere che avea era quasi tutto logoro, mi convenne somministrargli anche il denaro per fonderne un nuovo, sicome altresì per un nuovo torchio. Poteva io allora sostener queste spese, poiché i guadagni dell'avvocazione ed i palmarii di alcune cause vinte mi posero in istato, oltre di mantener mia casa con decoro, con carrozza e servidori, di poterlo fare. Si cominciò la stampa ne' princìpi dell'anno 1721, la qual durò per due anni continui: ciocché mi diede tempo di terminare, intanto, gli ultimi libri. Né posso negare che questo biennio fu per me il più travaglioso e molesto, poiché alle occupazioni del foro ed al travaglio di dar l'ultima mano all'opera, si aggiunse di doartisti pugliesi, cit., pp. I 170-1; G. DE CRESCENZIO, Dizionario storico-biografico degli illustri e benemeriti Salernitani, Salerno I 937, p. I 24. 1. convenuti ... Vi tagliano: il contratto, conservato presso l'Archivio di Stato di Torino, mazzo 11, ins. 4, M (cfr. Giannoniana, pp. 419-20), fu stipulato il 23 agosto 1720. 2. commercio: pratica, relazione (latinismo).

78

VITA DI PIETRO GIANNONE

ver rivedere i fogli, secondo che uscivano dal torchio, ed emendargli dagli errori occorsi nella stampa. Nel che gran sollievo ritrassi dall'amorevolissimo Capasso, il quale, ancorché per la morte dell' Aulisio si trovasse occupare la cattedra primaria vespertina dell'ius civile, nulladimanco, sempre che poteva, non mancava di riveder i fogli, spezialmente quelli dove trattavasi della politia ecclesiastica, e d'avvertire qualche abbaglio o errore occorso. Ma poiché le sue occupazioni non permettevano che potesse rivedergli tutti, non devo tralasciare che mi fu di grande e continuo sollievo l'industria ed esattezza d'un altro mio carissimo amico, del quale e per questo e perché non m'abbandonò mai in altri miei bisogni e, sopra tutto ne' tempi delle mie più fiere persecuzioni, la gratitudine ricerca che io ne abbia fin che viva cara ed indelebil memoria. Questi fu il gentilissimo Francesco Mela, il. quale, oltre di esser ornato di molte virtù, era dotato di gran perizia di lingua toscana, e si avea acquistato uno stile cosi puro e limpido, che le sue lettere, ancorché familiari, riuscivano così terse sia nelle voci, o nelle frasi, che meritavano esser proposte a gli altri per essempio da imitare. 1 Questi non si stancò mai, secondo che uscivano i fogli dalla stampa, di rivedergli tutti e corrigergli con somma esattezza non men dagli errori grammaticali che di ortografia; sicché pochi ne scapparono dalla sua oculatezza e diligenza. Avvicinandomi, dunque, al termine del quarto ed ultimo tomo, verso la fine dell'anno 1722 ebbi ricorso al viceré, allora cardinale Althan, 2 e suo Collateral Consiglio, cercando la licenza della stampa I. Questi ... imitare: anche l'Apologia dell'Istoria civile fu sottoposta per la revisione e la rifinitura, anche linguistica, al Mela, oltre che al Riccardi e all'abate Pietro Contegna: cfr. la lettera al fratello in data 16 giugno 1725 (in Giannoniana, n. 0 98, parzialmente riportata in BERTELLI, p. 199). Dal Libro dei. Cresimati dell'archivio della chiesa di Santa Maria Maggiore d'lschitella, vol. n, f. 6r, si ricava che «compare11 per il giovane Pietro fu un certo don Antonio Miele di Napoli (cfr. C. CANNAROZZI, Pietro Giannone, cit., p. 16). Ora sembra molto probabile che Fra11cesco Mela possa essere il figliolo di don Antonio. Solo un vincolo di parentela (e il comparaggio, allora, lo era) spiegherebbe d,altra parte, meglio d'una semplice amicizia, perché al Mela il Giannone affidò la cura della moglie e della figlia, rinchiuse in convento al momento della fuga da Napoii. 2. Friedrich Michael von Althann (1682-1734), cardinale, fu viceré di Napoli dal 1722 al 1728. Su di lui si consulti H. BENEDIKT, Das Kiinigreich Neapel unter Kaiser Karl VI, Wien-Leipzig 1927, passim. Era fratello di quel conte Venceslao, spentosi nel 1722, la cui moglie, Marianna Pignatelli, fu la favorita dell'imperatore, e più tardi l'amica del Metastasio.

CAPITOLO QUARTO

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e pubblicazione dell'opera. E commessa dal Collaterale allo stesso Capasso la revisione, per dover far relazione al viceré del contenuto dell'opera, questi, che in gran parte coll'occasione di riveder i fogli, aveala letta, non tardò molto di fare una rappresentanza1 al viceré, colla quale rendeva testimonianza l'opera esser degna delle stampe, cosi perché niente conteneva che fosse contrario a' buoni costumi, ma molto più perché in essa si sostenevano i reali diritti e regie preminenze, e, per quanto ad un istorico si conviene, con forti ragioni erano manifestate e difese. Fu pertanto conceduta licenza di stamparsi e pubblicarsi, con imporsi, secondo il prescritto delle prammatiche, di darne gli essemplari a que' ministri a' quali si appartengono, sicome fu prontamente eseguito. 2 Venne a pubblicarsi l'opera in Napoli3 nel mese di marzo del nuovo anno 1723. Ma poiché qui per me comincia una nuova e dolorosa epoca bisognerà riportarla nel- capitolo seguente.

I. una rappresentanza: una relazione. :2. Fu ... eseguito: il testo della licenza è stato inserito in Opere postume, I, p. 37, assieme alla domanda dell'autore, nel capitolo VIII deWApologia deWlstoria civile. 3. Venne . .. Napoli: il frontespizio dell'Istoria civile reca in tutti e quattro i suoi volumi l'indicazione: « In Napoli, MDCCXXIII, per lo stampatore Niccolò Naso». Sino ad allora, per un tacito accordo tra gli scrittori e l'autorità vicereale, le opere che si volevano sottrarre al visto ecclesiastico uscivano liberamente in Napoli, ma con una falsa indicazione di luogo di stampa sul frontespizio. Giannone, in questo, contravvenne a quello che possiamo definire un gentlemen's agreement, coinvolgendo nella responsabilità della stampa lo stesso cardinale Althann. Di questo ci resta precisa la testimonianza di Costantino Grimaldi, che nella citata Istoria dei libri (ms. XV. B.32, f. 35 v, e ora vedi nell'edizione a cura di V. I. Comparato, cit., pp. 49-50) riferendo un colloquio avuto col viceré, il quale intendeva proibire la ristampa dei testi della polemica col De Benedictis, scrive che a sua difesa egli fece osservare II che credeva aver portato un rispetto al1'Arcivescovo» col porre la falsa indicazione di Lucca sul frontespizio, « invece con sfrontatezza ponerci la data di Napoli; ed in effetto facendosi in detto modo si spacciavan pubblicamente tali libri >1 (cioè quelli privi di autorizzazione ecclesiastica). « Ma allora fu che· replicògli il signor Viceré, che in questo appunto era riprensibile il Grimaldi, perché spacciava la mensogna. Mensogna era sl, gli disse il Grimaldi, ma officiosa, per non mettere in cimento l'Arcivescovo di far ciò usò col signor D. Pietro Giannone, che forza ebbe scomunicarlo per aver voluto porre la data di Napoli, senza aver chiesto il suo permesso ».

CAPITOLO QUINTO Anni r7a3 e r7z4, sotto il reg110 dell'imperadore Carlo VI, e sotto il governo del cardinal Altlian, viceré. - Napoli e Vienna. I

Compìta la stampa e fatti condurre gli essemplari in mia casa, al numero di mille - che tanti se ne imprimerono in carta ordinaria, ed altri cento in carta reale, col ritratto dell'imperadore, a chi l'opera era stata dedicata, e con mia di vota lettera al medesimo consecrata, - ne feci di questi ligar uno nobilmente ornato, e lo presentai al cardinal viceré; il quale lo ricevé con molta umanità e cortesia e, come intesi dopo da' suoi famigliari, non isdegnava averlo sopra il suo tavolino e sovente, nell'ore disoccupate, di leggerlo. Di questi medesimi essemplari di carta reale ne feci ligar altri, e gli presentai, uno per uno, a tutti i reggenti del Collaterale ed a gli altri supremi ministri a cui eran dovuti, i quali, oltre di cortesemente ricevergli, me ne rendettero molte grazie. Presentai de' consimili essemplari, uno per uno, a tutti gli Eletti della città di Napoli, in nome della quale mi furon rese le grazie, accompagnate con un dono d'argento, in memoria della loro gratitudine, e con eleggermi avvocato ordinario della Città. 1 Altro essemplare, riccamente ornato, come quello che dovea presentarsi alla Maestà di Cesare, fu disposto per l'imperial corte di Vienna, insieme con altri essemplari che doveano presentarsi al presidente, a' reggenti ed altri consiglieri, secretari e ministri, che componevano in Vienna il Consiglio di Spagna.2 Altri si presentarono a' miei amici, e I. a tutti • • . Città: il Consiglio municipale napoletano (gli Eletti} nella sua seduta del 17 marzo 1723 decise di concedere al Giannone un regalo in argento del valore di 195 ducati, e di nominarlo avvocato ordinario della città; ma già il 7 aprile era costretto a ritornare sulla propria decisione, sospendendo nomina e regalia, e dando invece mandato a due giuristi, Nicola Galizia e Matteo Egizio, di riferire sul valore dell'opera giannoniana. Relazione che sarebbe stata molto probabilmente favorevole allo storico - data l'amicizia che lo legava al Galizia e all'Egizio-, ma che fu invece scavalcata da un intervento del viceré cardinale Althann, il quale disapprovò pubblicamente, nella riunione del Consiglio del Collaterale del 12 aprile, la decisione degli Eletti di Napoli. Cfr. BERTELLI, pp. 178-81. 2. il Consiglio di Spagna: ossia l'antico Consiglio d'Italia istituito per il disbrigo degli affari italiani dagli Spagnoli e che, trasferito a Vienna dopo la caduta dei possedimenti spagnoli in mano imperiale, ebbe mutato il titolo (ma non le funzioni). Era retto da un presidente affiancato da sei reggenti (due per ogni Stato sottomesso: Sicilia, Napoli e Milano); sulla sua strut-

CAPITOLO QUINTO

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molti di ordinaria carta se ne mandarono a due librari della città, ad esporgli venalP nelle loro librarie, per un discreto prezzo. z Non passarono quindici giorni, che leggendosi questa mia opera a pezzi, quasi tutti si arrestavano a gli ultimi capitoli de' libri ove trattasi della politia ecclesiastica; e dall'indice de' capitoli scoverta l'idea dell'opera, sembrò nuova e da altri non ancor tentata. Alla plebe de' letterati e degli avvocati, ed a' mezzi dotti ciò recò invidia, e con lividi occhi cominciarono a leggerla, attenti a notare solamente ciò che ne' capitoli della politia ecclesiastica sembrava loro di strano; poiché, ignari dell'origine e progressi di questo Stato, credevano che il mondo cosi fosse sempre stato, com' essi l' avean trovato: e sentendo da' profondi e dotti uomini lodarla, ciò maggiormente aguzzò l'invida loro maladicenza. Que' medesimi che prima, per la mia ritiratezza, mi avean dato il sopranome di «solitario Piero », ora, dimenticati della mia solitudine e del corso di tanti anni, cominciarono a dire che io non poteva essere stato solo l'autore di una si voluminosa e laboriosa opera, ma che altri mi avesser somministrato aiuto e la materia, chi nominando l'Argento, chi l' Aulisio, e chi altri miei amici. 3 Fu veramente cosa di maraviglia e di stupore che, niente riguardando al lume col quale si erano rischiarati i secoli più oscuri di quelle provincie ond'ora si compone il regno di Napoli; niente curando d'essersi posto in chiara luce l'origine e l'uso nel Regno delle leggi romane e longobarde, delle normanne, sveve ed altre patrie leggi, di cui erano ignorantissimi; niente delle origini delle papali investiture, delle pretensioni de' principi di varie nazioni sopra il regno di Napoli, delle loro imprese, nuovi sistemi e governi, delle istituzioni di tanti nuovi magistrati, ufficiali e tribunali, di tura e il suo funzionamento a Vienna cfr. P. GIANNONE, BreTJe relazione tk' Consigli e Dicasteri della città di Vienna, in Opere postume, u, pp. 195 sgg. J. venali: in vendita. 2. per un discreto prezzo: furono venduti a quattro ducati. 3. altri ,niei amici: Niccolò Capasso e Vincenzo Ippolito. Ma soprattutto si accusava il Giannone di aver sfruttato i manoscritti dell' Aulisio, come riferisce PANZINI, p. 7 e pp. 13-4. A sua volta un sonetto dialettale accennava invece all'Argento: • Ma chi l'ha dato mano a chessa 'mpresa? / È n'auto senza legge e senza fede / ha lo gnomme d'Argiento e l'arma lesa / e 1 mpastata de chiummo e niente crede 11 (•Ma chi ha dato mano a questa impresa? È un altro senza legge e senza fede, ha il nome d'Argento e l'arma infida impastata di piombo, e a niente crede•: cfr. il sonetto n. 7 della raccolta manoscritta conservata presso la biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, XXVIII.D.15; su di essa vedi inoltre Giannoniana, pp. 30 sgg.). 6

VITA DI PIETRO GIANNONE

tanti cangiamenti e di tante altre investigazioni e nuove scoverte fatte sopra il governo civile del Regno: tutte queste cose non mi giovarono a niente; tanto è vero che gli uomini, sicome sono più inclinati al male che al bene, cosi si trovano più disposti al biasimo che alla lode. E conobbi esser pur troppo vero ciò che Plinio il Giovane scrisse a Capitone, nell'epistola 8• del v libro, che l'istorico, ponendosi a scrivere cose nuove e da altri non trattate, non altro ne ritrae, se non «graves offensae, levis gratia ». 1 E come se nella mia opera non si trattasse di altro che dell'ecclesiastica politia, cominciarono a malmenare alcuni miei detti da essi non intesi, e sconciamente - anzi sovente falsamente - ad altri esposti, non con altro animo che. di calunniarmi e farmi cadere nell'odio di tutti, spezialmente de' preti e de' monaci; sicome ottennero. Poiché questi, non leggendo l'opera, ma secondo che gli era dato a credere, o mostrati alcuni pezzi tronchi, come gli veniva più acconcio all'impostura, furon subbito persuasi che io negassi ne' vescovi l'ordinazione; negassi i miracoli; insegnassi il concubinato esser lecito; i pellegrinaggi a' santuari esser vani ed inutili; negassi il Purgatorio, la venerazione ed intercessione de' santi. Ma, sopratutto, per maggiormente istigare i frati e monaci, [ottennero] di fargli credere che io deridessi le particolari divozioni de' loro Ordini, sicome a' Dominicani quella del rosario, a' Franciscani l'altra del cordone, a gli Agostiniani quella della correggia, ed a' Carmelitani l'altra degli abitini e loro scapulari; e, per ciò che riguarda a' Napolitani, non si poté inventare calunnia più acconcia a' loro perversi fini, che di fargli credere che io negassi il miracolo del sangue di san Gennaio.2 I frati ed i monaci, temendo non per ciò gli venissero a mancare gli emolumenti che traggono da queste loro particolari devozioni, come tanti baccanti cominciarono a declamare nelle loro chiese e ne' confessionari, e di predicarmi per eretic!) marcio; ed un gesuita non si ritenne, fin sopra i pulpiti, far lo stesso. 3 Talché fu d'uopo al cardinal viceré, per evitare i tumulti, che alla giornata cresce•grQfJes . .• gratia •: cfr. v, VIII, 12 (• gravi offese, magro compenso•). il miracolo ... Gennaio: il miracolo di san Gennaro, cioè lo scioglimento del sangue del vescovo martire, che si ripete in Napoli due volte l'anno, e che ha sempre rivestito una particolare importanza nella vita religiosa della città. 3. un gesuita ••. stesso: il padre Francesco Franchis, dai pulpiti del Gesù Nuovo e di Santa Maria di Costantinopoli: cfr. la lettera al fratello Carlo del 29 settembre 1731 (Giannoniana, n. 429) e in J. 2.

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CAPITOLO QUINTO

vano/ di mandar ordine a' capi de' conventi di Napoli, che proibissero a' loro monaci e frati di parlar più di me e della mia opera, ed al gesuita di partir da Napoli; sicome fu eseguito. 2 E poiché la città erasi posta in tanta agitazione e curiosità, che non si parlava di altro in tutte le piazze e contrade, non che nelle private case e radunanze: riputò il viceré col Consiglio Collaterale, perché ogni rumore si quietasse, di far sospendere la vendita degli essemplari mandati nelle pubbliche librarie, finché, rivocata l' opera a nuovo esame, non si fosse altrimenti comandato. Questo divieto fece maggiormente crescere la curiosità ed il prezzo de' libri, ond'erano assai più avidamente cercati e letti. 3 E secondo che s'andavan leggendo, venivano pian piano a dileguarsi le calunnie, che da' frati e monaci, che non l'avean letti, si erano disseminate e sparse. Io, intanto, non mi sgomentai da tali romori, e proseguendo si come dianzi i miei fatti, andava a' tribunali, trattava le cause che occorrevano, andava nelle chiese ad intervenire ne' divini uffici, ed a far tutto ciò che m'era di mestieri. Ma per le strade vedeva affollar la gente per conoscermi, mostrandomi l'uno all'altro a dito, ed osservava che della minuta plebe alcuni, doppo avermi veduto, par che mostrassero pentimento di averci avuta tanta curiosità, poiché vedevano un uomo come gli altri, non, come mi avean dipinto i frati, per un demonio orrendo e spaventevole:• Lo stesGiannoniana, pp. 330-1 ; Apologia dell 1 Istoria civile, in Opere postume, 1, pp. 1-4; P ANZINI, p. 15; Vita, ed. Nicolini, p. 48, nota, e pp. 458-9. I. i tumulti ... crescevano: notizie sulle proteste suscitate da monaci e Gesuiti, e sulla commozione della plebe napoletana in M. M. VECCHIONE, Vita di Pietro Giannone dottore i11 leggi e celeberrimo istorico del regno di Napoli, Palmyra (ma Lucca) 1765, pp. 13 sgg.; nonché in S. VoLPICELLA, Parere del Collaterale sui tumulti avvenuti per la ptlbblicazione della Ston·a Civile di Giannone, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», I (1876), pp. nS-22. Per i sonetti antigiannoniani sparsi in Napoli in quei giorni si veda Giannoniana, pp. 108 sgg. 2. ordine ... eseguito: il verbale della riunione con le decisioni qui ricordate è stato edito da S. VOLPICELLA, Parere, cit., pp. I 18-22. Si tratta di quella stessa riunione in cui fu disapprovata la decisione degli Eletti di Napoli. 3. Questo . .. letti: dai quattro ducati iniziali il prezzo sali sino ai quaranta ducati richiesti in Sicilia nel 1725: cfr. la lettera del Giannone al fratello, del 9 giugno 1725 (Giannoniana, n. 0 97). 4. un uomo .•. spaventevole: un ritratto del Giannone, inciso da J eremias Jakob Sedelmayr (1706-1761), è nel primo volume dell'edizione La Haye 1742. Una sua descrizione in un foglietto accluso al dispaccio dell'inquisitore di Ferrara al collega modenese, in data 30 settembre 1735, in Giannoniana, p. 552.

VITA DI PIETRO GIANNONE

so più volte mi avvenne stando a' tribunali, dove non potea dar passo, che non mi vedessi premuto dalla calca di simili curiosi. E poiché fra l'altre imposture si era dato a credere che io reputassi lecito il concubinato, non capendo - o non volendo intendere che io parlava dell'antico concubinato de' Romani; alcuni, confondendo questo concubinato colla semplice fornicazione, riputarono che io non la tenessi per peccaminosa. La qual dottrina a molti, i quali forse n'eran contaminati, piaceva assai; onde uno di costoro, sedendo io a' tribunali, mi si accostò e, presami la mano, forte me la strinse, dicendomi che finalmente avea io discoverta questa verità. Ma io; non intendendo ciò che si volesse dire e dimandatogli di chi intendesse, mi rispose con soghigno e faccia allegra, ch'egli si rallegrava, perch'era stato sempre d'opinione che la semplice fornicazione non fosse peccato, sicome io avea ben dimostrato. Allora, con riso anch'io, gli replicai che volontieri l'avrei compiaciuto, se avessi potuto farlo, e nella mia opera avessi avuta occasione di trattarne, sicome in due luoghi l'ebbi, 1 trattando dell'antiche concubine, non già della semplice fornicazione; ma che n'incolpasse san Paolo, il quale nelle sue Epistole, condannandola, me l'avea proibito. 2 Che io non parlava ivi della semplice fornicazione ma del concubinato antico de' Romani, riputato lecita congiunzione, ch'era tutto altro di quello che al presente s'intende, e molto differente. Ciò inteso, chinò il viso, e voltatemi le spalle se n'andò via tutto cruccioso e malinconico. Da questa falsa credenza, e dall'aver i monaci, fra l'altre calunnie addossatemi, sparso da per tutto che io riputassi lecito il concubinato presente, fui costretto, per disingannar i semplici, di dar fuori una dissertazione, non però data alle stampe: Dell'antico concubinato de' Romani ritenuto nell'Imperio anche doppo la conversione di Costantino Magno. 3 Intanto, il Nunzio che risiedeva in Napoli era rimproverato da Roma come fosse stato cosi trascurato, che non avesse scoverto e dato notizia alla Corte d'una opera cosi voluminosa che si travagliava in Napoli, e che almanco per lo spazio di due anni che durò la 1. siconu •.• ebbi: cfr. Istoria civile, tomo 1, lib. v, cap. v, p. 357; tomo II, lib. XI, cap. ult., par. 1, pp. 226-7. 2. san • .• proibito: in particolare nelle lettere: Rom., 1, 29; I Cor., S, 1 sgg.; 6, 18-9; Eph., S, 3 sgg.; Col., 3, s-6; I Thess., 4, 3 sgg. 3. una dissertazione •.. Magno: apparve come parte integrante della Apologia dell'Istoria civile: cfr. Opere postume, 1, pp. 108 sgg.

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stampa avrebbe potuto saperla, e fosse stato l'ultimo ad avvisarla/ quando in Roma n'erano venute più casse d'essemplari e s'erano, ancor ivi, da per tutto sparsi. Ond'egli, per compensare in parte alla negligenza a torto imputatagli, non cessava presso il viceré di dolersene e contro di me passar uffici di accuse, incolpandomi d'ingiurioso alla Santa Sede, e che meritassi severo castigo. Ma il viceré non si smosse, rispondendogli sempre ch'egli avea dato a riveder l'opera a persone dotte e che, secondo la relazione che ne l'avrebber fatta, vi avrebbe data provvidenza. Dall'altra parte la Curia arcivescovile di Napoli, istigata da' monaci e da' preti e da' curiali istessi, non volle in ciò mostrarsi oziosa e lenta. Vedendo che per l'impressione dell'opera non si era a lei cercata licenza, riputò essersi dallo stampatore offesa la giurisdizione ecclesiastica; ed ancorché il peso d'ottener le licenze non s'appartenesse a lui, ed avesse in quella Curia fatte sue difese, niente li valsero sue preghiere e ragioni, ma, invece di riportarne scusa, o almeno perdono, vi fu scommunicato. 2 Il vicario che reggeva allora quella Curia era il vescovo di Castellaneta, il quale, non facendo scrupolo di lasciar la sua chiesa e diocesi così lontana - come posta nella provincia di Lecce - senza pastore, era stato dall'arcivescovo Pignatelli invitato con grossi stipendi, quanti potevan promettergli i doviziosi emolumenti di quel tribunale, a presedere nel medesimo, come vicario dell'arcivescovo: ed invitato perché, prima d'esser vescovo, avendo essercitati più vicariati e reso pratico degli affari e stili forensi, potesse più fruttuosamente reggerlo. Egli ci venne vecchio, con deliberato animo di non far più ritorno alla vedova sua chiesa, sicome l'evento il dimostrò: poiché, dopo molti anni che vi stette, se ne morì in Napoli di vecchiaia, non già nel suo vescovado. 3 Or a co1. Intanto ... Qf}f)isarla: monsignor Girolamo Vicentini, nunzio apostolico a Napoli, avvisò la Segreteria di Stato il 2 marzo; cfr. in Archivio Segreto Vaticano, Nutiziatura di Napoli, voi. 165. 2. vifu scommunicato: copia del cedolone a stampa della scomunica è tra gli atti inquisitoriali conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, manoscritto Rouiano II8o. 3. Il vicario .•. vescovado: monsignor Onofrio Montesoro (1647-?) era stato creato vescovo di Castellaneta nel 1696. Fu successivamente vicario del vescovo di Pozzuoli e, trasferitosi a Napoli, preferì resignare il proprio vescovado, nel dicembre 1722. A sua volta Francesco Pignatelli (1652-1734), vescovo di Taranto nel 1683, nunzio in Polonia nel 1700, arcivescovo di Napoli dal 1703, era stato creato cardinale nel 1704 e risiedeva perciò a Roma.

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stui, stimulato da' suoi curiali, venne fantasia, non contento d'aver ingiustamente scommunicato lo stampatore, di voler lanciare i suoi irragionevoli fulmini anche sopra l'autore dell'opera. 1 Ed ancorché la bolla stessa di Lione X, 2 non ricevuta nel Regno, e le regole stesse dell'Indice, e gli editti degli arcivescovi di Napoli non comprendessero che i soli stampatori, non giammai gli autori, egli pretese far ancor quest'altro passo, e già sentivano le minaccie di que' curiali, che, sicome si era fatto collo stampatore dell'Istoria civile, si sarebbe anche fatto coll'autore. Ma cure assai più gravi angustiavano il mio animo; poiché essendosi malignamente sparso fra la vil plebe napolitana che io negassi il miracolo del sangue di san Gennaio, colla quale niente mi giovava se, col libro in mano, faceva veder l'impostura, da me non si negava il miracolo; ma rapportando l'assedio col quale Lautrech strinse la città di Napoli, e la costernazione nella quale erano i Napolitani, che si credevano perduti a cagion che, quell'anno, il sangue non si era disciolto - ciocch'essi aveano per infausto augurio; e che poi l'evento mostrò il contrario, poiché l'esercito di Lautrech assalito da una crude} pestilenza, bisognò ritirarsi e la città fu liberata non men dall'assedio che dalla fame e dalla peste; ciocché non dinotava altro, se non di non dover dar credenza a tali sciagurati ed infelici pronostici. 3 1. non ... opera: il testo della scomunica è riportato dal Gian none nella sua Apologia dell'Istoria civile: cfr. in Opere postume, 1, pp. 7-8. 2. la bolla ... X: il papa Lione X (1475-1521) emanò una bolla il 4 maggio 1515 con cui si vietava la stampa di libri senza la licenza del vescovo e dell'inquisitore o, per Roma, del Vicario e del Maestro del Sacro Palazzo; cfr. Apologia dell'Istoria civile, in Opere postume, I, pp. 28 sgg.; ma anche Istoria civile, tomo III, lib. xxvu, cap. IV, pp. 427 sgg. 3. rapportando •.. pronostici: cfr. Istoria civile, tomo IV, lib. XXXI, cap. 1v, p. 25, dove si legge testualmente che in Napoli « non si vedea altro per le strade che processioni, e non s'udivano, che pubbliche preci, e dimandar pietade; tanto che il Marchese del Vasto fu costretto ricorrere al Viceré Moncada, perché quelle si proibissero, come fu fatto, con incoraggir il popolo, che stasse di buon animo, e che le orazioni si facessero privatamente nelle Chiese, e ne' Monasteri. Ma tutte queste insinuazioni niente giovarono, quando il primo sabato di maggio, che in quell'anno fu alli 2 di quel mese, non si vide secondo il solito liquefarsi il Sangue alla vista del Capo di S. Gennaro lor Protettore. Allora sl che s'ebbero per perduti, e la città nell'ultima costernazione. Ma come più innanzi diremo, fur vani gl'infausti pronostici, e seguirono effetti tutti contrari». Per le calunnie lanciate contro il Giannone si veda anche quanto egli stesso scrive nel1'Apologia dell'Istoria civile, in Opere postume, 1, pp. 95 sgg.; Lautrech: Odet de Foix, visconte di Lautrec (1485-1528), maresciallo di Francia,

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Questi maligni interpretavano da ciò che io negassi il miracolo, e cosi aveano dato a credere alla semplice e superstiziosa plebe, la quale non poteva ricredersi del contrario, come quella che si tira più coll'orecchie che colla ragione. A tutto ciò aggiungevan che il santo, per questa inia tenacità e bestemmia, erasi sdegnato e che in pena d'un tanto oltraggio non avrebbe, nell'avvenire, fatto il miracolo, togliendo con ciò a' Napolitani la sua protezione ed aiuto, lasciandogli in continue calamità e miserie. Può ciascuno da ciò comprendere qual fosse stato il mio pericolo e, per conseguenza, l'agitazione nella quale io era; poiché questi romori vennero a crescere verso la metà del mese d'aprile, e nel primo sabato dell'entrante mese di maggio, secondo il solito, dovea, in pubblica celebrità, farsi il confronto della testa del santo col sangue. Alcune volte era accaduto che non seguisse lo scioglimento: ciocché dava indizio a' Napolitani di sciagure imminenti. Poteva questa volta accader lo stesso e certamente che si sarebbe imputato a mia miscredenza, e datane a me la colpa; ed esser io con ciò esposto a scempi crudeli e barbari, ad essere sbranato a pezzi e fattane mille strazi, avendoci tanti essempi, non men di antiche che moderne istorie, fatti certi, non esservi cosa più proclive e pronta alle sceleraggini e crudeltà, quanto una prava e corrotta religione, covrendosi sotto il manto della medesima, col pretesto spezioso di maggior riverenza a' numi, le maggiori empietà e sceleratezze. Documento che dovrebbe essere a' principi di non far allignare ne' loro reami perniciose superstizioni, le quali pongono in balìa altrui la sicurezza o vacillamento de' propri loro scettri e corone: e niun altro, quanto il regno di Napoli, ne ha di ciò negli ultimi nostri tempi date pruove ben chiare e distinte. Vedendomi adunque in sì gravi pericoli, col consiglio de' buoni amici si deliberò che io dovessi partire per l'imperial corte di Vienna, giacché non vi era umano aiuto che potesse scamparmi in Napoli da sì fiera procella, che mi soprastava. Si aggiungeva che, avendo dedicata la mia opera alla Maestà di Cesare, era proprio e più conveniente che io, di persona, andassi a presentarqela, sicome a gli altri principali ministri di quella Corte; affinché, espostala che nel 1527 aveva il comando dell'armata d,Italia. Occupato il Milanese, Lautrec si era accinto alla conquista del regno di Napoli; ma la defezione dell'alleato Andrea Doria e Wl,epidemia di peste, che colpì il campo francese e lo stesso Lautrec, portarono alla più completa disfatta.

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a gli occhi ed esame di tutti, conoscessero i torti che mi eran fatti in Napoli, per opra de' miei invidi e maligni persecutori, che, con sediziosi tumulti, irritavano contr9 me la cieca e sciocca moltitudine. Tanto maggiormente che, pe'r éiò, alla giornata io vedeva rendersi tepidi, anzi freddi e paurosi, quegli stessi che prima si mostraron per me forti e fervorosi, e già vedeva crollare le prime colonne nelle quali io era appoggiato. Poiché il presidente Argento stesso, ancorché delegato della real giurisdizione, cominciava a raffreddarsi; e quando prima con sollecitudine mi richiese un essemplare, per esser il primo a mandarlo in Vienna all'arcivescovo di Valenza, allora presidente del Consiglio di Spagna1 - che io, ben ligato, glielo presentai subbito: seppi che l'era passata la voglia, e se lo ritenne, temendo ch'essendo precorsi a Vienna i romori per quest'opera seguiti in Napoli, non fosse ivi ben ricevuto; sicché mi convenne, per altra strada, incaminarne un altro, sicuro che, leggendosi da persone dotte in quella Corte, si sarebbero dileguati i tanti falsi rapporti, che dagli invidi si scrivevano da per tutto. Ma nemmeno ciò giovommi, poiché la persona alla quale s'inviò, come se avesse un serpente, se lo tenne chiuso, né fecelo comparire; onde tanto più, al mio arrivo in Vienna, conobbi essere stata la mia venuta alla Corte necessaria ed opportuna. Erasi l'Argento anche intepidito, perché non avea presso il cardinal Althan, viceré, quel favore ch'ebbe prima col conte Daun, non adoperandolo, ma valendosi di altri ministri per consiglio; ed, o fosse perché le materie ecclesiastiche e giurisdizionali, non avendole apprese da' suoi princìpi, lo tenesser dubbioso e vacillante, o perché s'avvicinasse alla vecchiaia, erasi reso cotanto timido e superstizioso, che arrivò fino ad avere scrupolo se, avendo Clemente XI proibito il suo libro De re beneficiaria, :i potesse tenerlo presso di sé; e per liberar il suo animo da questa vana religione, il suo confessore ed altri preti e monaci, già resi consiglieri di sua coscienza, lo consigliarono ad impetrarne da Roma licenza; la quale VQlentieri ce la mandò ampissima, come in segno di suo trionfo. Mi accorsi ancora, che s'era dato tutto in balla di questo suo 1. arcivescovo . .. Spagna: Antonio Folch De Cardona (1658 circa-1724), creato arcivescovo di Valenza nel 1700, era divenuto presidente del Consiglio di Spagna nel 1715. 2. Clemente ..• beneficiaria: cfr. la nota I a p. 65.

CAPITOLO QUINTO

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confessore," chiamato il padre Cillis, 1 dello stesso oratorio del padre Torres, già morto, e dal medesimo pur troppo diverso, poich'era quanto ignorante, altrettanto vafro, 2 accorto ed intrigante; e che, per favorire gli altri suoi penitenti, si framezzava3 nelle liti ed in quasi tutti gli affari avanti l'Argento pendenti, estorquendo dal medesimo favori ed arbìtri: sicché la Curia arcivescovile di Napoli non poté trovare più efficace mezzo, per addormentarlo in qualche sorpresa, che si tentava sopra la regal giurisdizione, che il padre Cillis. Onde lo vedeva spesso, nell'ore solitarie, frequentar la casa dell'Argento, ch'era alla mia congiunta; e scoprii che l'arcivescovo Pignatelli, istigato dal suo vicario, lo mandava, perché non si opponesse alla sua Curia, che intendeva scomunicarmi, per non aver io cercata la sua licenza per l'impressione dell'Istoria ci.vile; e che l'Argento, in vece di reprimer l'attentato, mostravasi vacillante e fiacco, sicome tosto me n'avvidi. Poiché, avendogli parlato fortemente, eh' era ciò un attentato nuovo, non essendovi essempio che gli autori siano compresi e fatto un sol fascio cogli stampatori, non ne ebbi altra risposta, se non che io ne avessi parlato col padre Cillis e veduto di persuaderlo. Ben mi accorsi da ciò, che mi sarebbe riuscita ogni opra vana, per impedire il lor mal concepito disegno; e tanto più eh' essendo stato ad informarne il Cillis, con parlar grave e misterioso mi rispose che avrebbe informato di quelle mie ragioni il cardinale arcivescovo, non potendo egli farci altro.4 Vedendo, adunque, il tutto riposto alla discrezione di que' curiali, pensai affrettar maggiormente la mia partenza per Vienna; tanto più che si avvicinava il primo sabato di maggio, 5 che in 1. Roberto De Cillis, preposito dei Pii Operari, era il confessore del cardinale Pignatelli. 2. vafro: astuto. 3. si framezzava: si intrometteva. 4. essendo ... altro: ben diverso il PANZINI, p. 17: «com'egli si portò al monistero di S. Niccolò della Carità per favellare a quel Padre, il quale ivi risedeva, costui no'l volle ricevere, né anche vedere a patto veruno, via cacciandolo da sé, non pure qual uomo malvagio e scellerato, a' quali non si dinega alla fin fine l'udienza, ma qual mostro esecrabile d'empietà, che gli animi altrui offendesse colla sola veduta e col semplice favellare•· s. il primo sabato di maggio: la liquefazione del sangue di san Gennaro avviene in uno dei nove giorni dal sabato avanti la prima domenica di maggio, nonché il 19 settembre, anniversario del martirio del vescovo di Pozzuoli. Queste, almeno, sono le due date in cui l'avvenimento è celebrato con regolarità; ma scioglimenti del sangue avvengono anche il 19 dicembre, anniversario dell'eruzione del Vesuvio del 1631, e in occasione di gravi calamità che colpiscano la città di Napoli.

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quest'anno 1723 veniva a cadere al primo di del mese. E perché la mia partenza fosse tenuta nascosta, mi giovò la somma cordialità e diligenza del consigliero don Muzio di Maio, 1 che si trovava allora Auditor generale dell'essercito, ed in somma grazia presso il cardinale Althan, viceré, il quale sollecitamente mi procurò dal viceré il passaporto ;2. e dato sesto, nel miglior modo che potei, a' miei interessi di casa, lasciando a mio fratello ampia procura d'amministrargli, e fatti prestamente riporre più essemplari dell'opera dentro una cassa, che portai meco, con quello già apparecchiato per Cesare, partii da Napoli, verso la fine di aprile, per Manfredonia, dove credeva trovar pronto imbarco per Fiume o Triesti. 3 In questo mio viaggio da Napoli a Manfredonia fu d'uopo che io cambiassi nome, poiché, in passando per gli alberghi, non trovava osteria nella quale da' viandanti partiti da Napoli per loro affari non si parlasse che del fatto mio; e, se vi capitava qualche frate o monaco, i discorsi ed i contrasti erano più lunghi e fervorosi, che io sovente sentiva colle proprie orecchie, chi prendendo un partito, come suole avvenire, e chi un altro; e con mio stupore, mi avvidi che i monaci ne aveano empite le provincie e tutti i loro conventi: desiderosi di vedere o intendere ciò che di me fosse seguito se, nel dì del confronto del sangue di san Gennaio con la testa, non si fosse fatto il miracolo. Mentre, presso il ponte di Bovino, io proseguiva il viaggio in un galesse,4 conducendo meco una persona per mia compagnia, 5 si 1. Muzio di Maio (morto nel 1733), avvocato della Vicaria, giudice di Santa Chiara, proreggente e infine presidente della Vicaria (cfr. H. BENEDIKT, Das Kiinigreich Neapel, cit., pp. 134-5). L'anonimo autore delle Notizie per il governo del regno di Napoli (Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, XXI, A, 7) lo annovera tra i migliori consiglieri del Sacro Real Consiglio (c. 37v). 2. mi ... passaporto: sappiamo dal PANZINI, p. 17, che il Giannone, oltre che al di Maio, si rivolse anche al barone Anselm Franz von Fleischmann, consigliere economico imperiale presso il viceré Althann, il quale « erudito e antiquario Scipione Majjei (16751755), una delle figure di maggior rilievo del nostro Settecento.

CAPITOLO SESTO

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assalito da apoplessia cosi grave, che in pochi momenti gli tolse la vita. 1 Pervenuta la rea novella di questa improvvisa morte a Vienna, dovendosi provveder la carica di avvocato fiscale, che rimaneva vacante, i Napolitani si credevano di poterla ottenere e si facevano innanzi: lo stesso fecero i Siciliani, i quali pretendevano che, avendola prima ottenuta un milanese, qual fu Belgredi,2 dipoi un napolitano, qual era Riccardi, dovea ora conferirsi ad un siciliano. I pretensori italiani erano molti, lusingandosi che, sicome prima non era stata provveduta se non a nazionali di que' regni e Stati, sopra i quali si raggirava il Consiglio di Spagna: cosi ora non se gli dovesse fare questo torto, con vederla passata negli Spagnoli. Gli amici mi consigliavano con gli altri a doverla ancor io pretendere; e tanto più, che in ciò dal principe Eugenio ne avrei potuto ottenere ogni mediazione e favore. 3 Sicome, avendolene io fatto I. una notte . .. vita: cfr. la lettera del Maffei ad Antonio Vallisnieri, del 29 marzo 1726: « Il Sig. Riccardi non può più portare le vostre copie se non all'altro mondo, per il quale ha fatto viaggio la passata notte. Il poveretto è stato colto da un colpo di apoplessia, che in mezz'ora l'ha finito, senza ch'abbia potuto dir parola. Questo accidente m'ha grandemente afflitto. Benché stravagante in alcune opinioni, e giudicii, egli era però uno di gran letterati che io abbia mai conosciuto, e dovevo avergli obligo per Paffetto e stima, che mostrava verso di me )I (Epi.stolario, a cura di C. Garibotto, I, Milano 1955, pp. 513-4). Ma si veda anche la lettera del Giannone al fratello, del 30 aprile ( Giannoniana, n. 143), nella quale egli dice di sperare che il Riccardi sia morto ignorando quanto si è detto contro di lui negli ultimi tempi. Le sue esequie diedero occasione, a Napoli, ad una manifestazione di solidarietà con le idee che egli aveva professato, tanto da essere espressamente portate ad esempio della difficile situazione in cui versava la Chiesa nel Regno, nell'istruzione della Segreteria di Stato per il nuovo nunzio a Vienna, Passionei: •Mori il Riccardi: el Ministero con tutti i curiali in corpo, e buon numero di prima nobiltà, celebrò con ovazione e pompa funebre solennissimo funerale ... onore non mai fatto a i patrizi più benemeriti della patria ne' grandi affari o di guerra o di pace 11 (Archivio Segreto Vaticano, Nrmziatura di Germania, 501, cc. 193, istruzione del 28 gennaio 1731). 2. Belgredi: Giambattista Bclcredi, conte, fu fiscale nel Consiglio di Spagna dal 17 I 3 (cfr. H. BENEDIKT, Das Koni'greich Neapel, cit., p. 227), avendo sotto di sé, come profiscale, il Riccardi. Sulle cupidigie spagnole alla morte del Riecardi si veda la lettera del Giannone al fratello, del 18 maggio 1726 (Giannoniana, n. 147). Lo stipendio del Riccardi, in qualità di fiscale, era di seimila fiorini, stipendio al quale andavano sommati i tremila che gli spettavano in quanto prefetto della Biblioteca Palatina: cfr. p. 141. 3. Gli . .. favore: il 16 marzo di quell'anno il Giannone aveva scritto al fratello: • contro il mio naturale mi sono avvezzato a far tanto del corteggiano, che non me l'avrei mai creduto, o che da me stesso avessi potuto promettermelo• (Giannoniana, n. 0 138). 0

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VITA DI PIETRO GIANNONE

motto, non me ne riputò immeritevole, anzi mi disse, che gli avessi portato il memoriale, ch'egli l'avrebbe dato in mano di Sua Maestà, con raccomandarmici, sicome feci; ed il principe, che fra l'altre ammirabili sue doti adempiva esattan1ente quanto prometteva, non mancò di parlarne all'imperadore e darlene memoria. I Tedeschi che frequentavano la Corte, a' quali io era ben noto, parimente procuravano di aiutarmi, per quanto essi potevano; ma io, con tutto ciò, non c'entrai in alcuna speranza, sapendo che dovea tal provista passare per le mani de' Spagnoli, i quali ne avrebbero escluso ogni altro, per farla cadere in persona d'un loro nazionale. Essi, a questo fine, lasciarono passare la furia e gl'impegni di tanti, né, per più e più mesi, si parlava di provvederla, dando a credere a molti, che questa carica fosse inutile nel Consiglio, poiché tutti i reggenti erano fiscali; ma all'imperadore la predicavano per utilissima e necessaria; sicché, doppo passati quasi due anni, quando altri meno sei pensava, si vide provveduta in persona del reggente Alvarez, 1 spagnolo di Salamanca, il quale dimorava in Napoli con posto di reggente di quel Consiglio Collaterale. Rimaser tutti sorpresi, in vedere che dal supremo Consiglio di Napoli si prendesse un reggente, per occupare in Vienna la carica di fiscale, quando prima, ed in Vienna istessa ed in Madrid, nel Consiglio d'Italia, si chiamavano da Napoli i consiglieri di Santa Chiara ed i presidenti della Regia Camera, non già i reggenti, ad occupare gli stessi posti di reggentati, non pur di fiscale, solito ad eleggersi dall'Ordine degli avvocati; tanto maggiormente, che il fiscal di Vienna avea da contrastar co' secretari di precedenza, poiché questi pretendevano, ch'essendo essi decorati col titolo di consiglieri, doveano nel sedere ed in ogni funzione precedere al fiscale. Ma gli Spagnoli altramente l'intendevano, poiché, per far entrare nella loro nazione quella carica, ch'era stata prima occupata dagli Italiani, scelsero tutto un reggente del Collaterale di Napoli, spagnolo, perché niuno potesse con lui contendere per graduazione e per merito, qualificandolo ancora per un gran cattedratico: che non si sapeva, e poi si seppe, che era in sua gioventù stato cattedratico, non già in Salamanca, ma a Pavia, procuratagli questa cattedra da un suo fratello, che si trovava senatore in Milano, dove 1.

reggente Alvarez: cfr. la nota

2 a

p.

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CAPITOLO SESTO

queste cattedre soglionsi dispensare a' figliuoli o parenti di que' ministri, come se fossero benefici semplici. Entrata questa carica nella nazione spagnola, non ne usci mai più: poiché, passato dapoi l' Alvarez ad esser reggente per Milano; fu rifatto fiscale Esmandia, 1 pure spagnolo, che si trovava senatore a Milano; e quando prima non gli era assignato altro soldo, se non di seimila fiorini l'anno, poiché al Riccardi se gli pagavano novemila, esiggendo gli altri tremila come altro bibliotecario cesareo, occupata che fu dagli Spagnoli, il soldo si accrebbe a novemila, come pagavasi a tutti gli altri reggenti. Col progresso degli anni, sicome sempre più crescevan l'avidità e 'l potere degli Spagnoli nell'imperial corte di Vienna, ed alla svelata eran da essi trattati gli Stati d'Italia come propri patrimoni; così si scemavano le speranze de' nazionali di quella, i quali assolutamente doveano dagli Spagnoli mendicar grazie e favori, e raccogliere le miche che cadevano dalle lor mense. A me non solo portava nocumento questo sistema, ch'era un mal comune, ma si opponeva la corte di Roma, la quale sotto Benedetto non cessava di perseguitarmi; tanto maggiormente che alla giornata, nel processo del tempo, la mia opera era da tutte le nazioni ricercata ed avidamente letta e commendata; ed in Napoli avea rischiarati molti, spezialmente la gioventù; sicché cominciavano nelle loro menti a germogliare altre idee di quelle, che i libracci forensi e' goffi canonisti le tenevan ingombrate, e le scritture che uscivano ne' tribunali, per occasione di qualche contesa d'immunità locale o personale, ovvero reale delle persone e beni ecclesiastici, erano dettate secondo i veri princìpi d'una solida giurisprudenza. La gente si rese più cauta di colmare di maggiori averi e ricchezze le chiese ed i monasteri, e si procurava d'impedirgli ulteriori acquisti di beni stabili; e moltissimi eran ricreduti di tante vane ed inutili superstizioni, rendendosi più accorti per eludere le ippocrisie e li sottili artifici de' preti e de' monaci. In Fiandra, spezialmente in Bruselles e Lovanio, dove più essemplari della mia Istoria eran pervenuti, era da molti stanca e riletta; sicché si scrivea da' Fiaminghi a Vienna, ch'essi ora sapevano più del regno di Napoli, che delle proprie loro provincie; e poiché io, in più luoghi dell'opera, non lasciai di far onorata me1. Esmandia: le uniche notizie su questo personaggio sono quelle qui riferite dal Giannone.

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VITA DI PIETRO GIANNONE

moria di Van-Espen, famoso professore di Lovanio e celebre per le insigni sue opere, 1 questo savio e venerando vecchio, che ancor vivea, me ne fece render le grazie, ed avendo allora dato alla luce quel dotto libro De recursu ad pri11cipem, 2 me ne mandò in dono un essemplare, perché io avessi di lui qualche memoria. In Francia non era meno ricercata, e da Parigi ne vennero più richieste al cavalier Garelli, il quale non mancò, di que' essemplari che io feci venire a Vienna, di mandarne alcuni a' suoi amici, che gli richiesero. Tutte queste cose maggiormente irritavano i curiali di Roma, talché le loro persecuzioni si resero più fiere ed incessanti; ed arrivò la loro animosità ed odiosa malevolenza a tale estremità, che tutti quelli che leggevano quest'Istoria, e mostravano esser persuasi della sua dottrina, preti o monaci che si fossero, si acquistavano la loro indignazione, e gli chiamavano, per rendergli odiosi alla corte di Roma, ,, giannonisti ». Come se io insegnassi cose nuove, e non già vecchie, scritte da' più accurati, dotti, seri e gravi scrittori, che io, fuor del costume degli altri storici, additava nel margine, perché ciascuno potesse riscontrargli e non si abbandonasse alla sola mia narrazione; sicché io soleva dire a coloro che mal riferivano, che mi mostrassero qual fosse questa nuova dottrina che io insegnava, giacché mi riputavano capo d'una nuova setta. Ma per mia buona sorte le loro detrazioni e maladicenze sparse per Italia, e le loro insidiose gabale non poterono tesserle a questi tempi nell'imperial corte di Vienna, per un'occasione a me favorevole: e fu, che non ostante che l'imperadore, per i preceduti trattati avuti col pontefice Innocenzio XIII, avesse restituito alla Chiesa di Roma Comacchio3 su la fiducia che non si sarebbe fatta Van-Espen .. . opere: cfr. la nota 3 alle pp. 41-2. 2. De recursu ad principem: vedilo negli Opera omnia canonica, integra et completa, Venctiis 1769, VI, n. 5. Cfr. anche la lettera del Giannone al fratello, in data 29 agosto 1725 (Giannoniana, n. 0 100), in cui avvisa di aver ricevuto l'opera in omaggio dall'autore. 3. l'imperadore ... Comacchio: le Valli Comacchiesi, considerate feudo imperiale distinto dal ducato di Ferrara, erano state occupate dalle truppe del generale Daun al comando di Claudc de Bonneval nel 1708 e avrebbero dovuto essere restituite al duca d'Este, al quale erano appartenute sino alla devoluzione alla Chiesa del ducato di Ferrara. Sul problema storico-giuridico di questo possesso si accese una vivace polemica, che ebbe come principale protagonista Ludovico Antonio Muratori, in quegli anni consultore del duca di Modena Rinaldo d'Este, ma alla quale parteciparono largamente anche giuristi tedeschi e persino il Leibniz. Restate sotto occupazione austriaca sino al 1725, le Valli furono 1.

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CAPITOLO SESTO

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eseguire in Sicilia la bolla di papa Clemente XI intorno all'abolizione del tribunale della Monarchia, 1 ma che le cose fossero in quello stato, nel quale prima erano, né sopra ciò si tentasse alcuna novità; papa Benedetto, istigato da alcuni ippocriti zelanti, senza participazione del collegio de' cardinali, restituito che fu Comacchio mandò a' vescovi di Sicilia suoi brevi, co' quali se gl'imponeva ch'esercitassero lor giurisdizione in quell'isola secondo il prescritto della bolla di Clemente, niente curando gli antichi stili ed usi, che e' riputava abusi, del tribuna} della Monarchia; ed il modo che tenne di far pervenire in man de' vescovi i brevi fu di mandar il piego, nel qual erano chiusi, al cardinal Sinfuego ministro cesareo, perché lo istradasse per Sicilia; ed a lui, come arcivescovo di Monreale, 2 fu drizzato altro consimile particolar breve, affinch' eseguisse quanto in quello si conteneva. E quel buon cardinale, per ubidire a Sua Santità, si ricevé il breve e mandò il piego in Sicilia all'arcivescovo di Palermo,3 a cui era drizzato; il quale dispensò i brevi a tutti i vescovi dell'isola, mettendola in iscompiglio per la novità che si pretendeva introdurre, in tempo che i Siciliani men se 'l pensavano. Pervenuta all'imperadore una tal notizia, se ne sdegnò fortemente; ed ancorché il Gran Cancelliere, conte di Zinzendorf, ed il marchese di Rialp, l'uno, per non guastar i suoi trattati, che avea infine sgomberate e riconsegnate al pontefice, in cambio del riconoscimento da parte di questi della Prammatica Sanzione, con la quale l'iinperatore intendeva assicurare la continuità del proprio trono. In ricompensa per il buon esito delle trattative diplomatiche, Benedetto XIII elevò alla porpora il figlio del conte Sinzendorff, Philipp Joseph Ludwig. Sulla polemica comacchiese e la sua importanza per il movimento giurisdizionalista, cfr. S. BERTELLI, Emdizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, Napoli 1960, pp. 100-74. 1. la bolla ... Monarchia: sull,intero problema si veda G. CATALANO, Le ultime vicende della Legazia Apostolica di Sicilia. Dalla controversia liparitana alla legge delle Guarentigie (z7II-I87I), Catania 1950; nonché Ponnai vecchia opera di F. SCADUTO, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai nostri giorni, Palermo 1887. Qui basti ricordare che Filippo II nel 1579 aveva istituito in Sicilia un tribunale stabile, denominato Iudex monarcliiae siculae, al quale delegava l'esercizio della giurisdizione ecclesiastica, in nome della monarchia sicula, di quel diritto, cioè, preteso dai re di Sicilia, di esercitare nel loro regno anche il supremo potere ecclesiastico, in quanto rappresentanti della Santa Sede. Il 20 febbraio 1715 Clemente Xl soppresse il tribunale con la costituzione Romanus Pontifex. 2. Sinfuego . .. Monreale: il Cienfuegos, dopo un breve possesso della dio-cesi di Catania (1722-1725), era stato traslato alla sede di Monreale, che mantenne sino alla morte (pur risiedendo in Curia, quale rappresentante dell'imperatore). 3. arcivescovo di Palermo: Joseph Gasch (1653 circa1729).

VITA DI PIETRO GIANNONE

in Roma del cardinalato dell'abate Zinzendorf, suo figliuolo, 1 avendosi procurata la nomina del re di Polonia; 2 l'altro, per non interrompere le speranze del cardinalato all'arcivescovo di Salerno, suo fratello, ed il corso delle fortune che si prometteva per l'abate Perlas, suo figliuolo, e suoi nepoti che teneva in Roma3 s'ingegnassero di raddolcire il giusto sdegno di Cesare; nulladimanco - poiché tutto il Consiglio di Spagna fortemente si opponeva alla novità, riputandola un manifesto attentato, e di continuo rappresentava a Sua Maestà che non si dovesse soffrire, ma che le cose rimanessero in Sicilia nel primiero stato, cassando i brevi mandati, né permettendo a' vescovi di attentar cose nuove: l'imperadore si appigliò a questo savio lor parere e comandò a quel viceré che impedisse ogni novità che mai tentassero. A questa briga, poco dapoi, se n'aggiunse un'altra, e fu per l'occasione che il cardinal Annibale Albani fece in magnifica forma imprimere un nuovo Bollario4 di tutte le costituzioni, bolle, brevi ed infino i biglietti, che papa Clemente suo zio, in tempo del suo pontificato, avea fatti, li quali, raccolti in questo volume, si pretendeva farli passare per leggi uni versali e che servissero pro regimine urbis et orbis: nel quale erano inserite più bolle, brevi ed atti pregiudizialissimi alle reali preminenze, e spezialmente al tribunale della Monarchia di Sicilia; sicché, esposto a gli occhi di Cesare, co' fogli segnati dove si leggevano tante offese e strapazzi, che si facevano non meno de' reali diritti, che de' ministri di Sua Maestà, ciò pur mosse l'indignazione di Cesare a far si che quello non fosse ricevuto in tutti i regni ed ampi suoi domìni; ed ancorché dal Consiglio di Spagna si rappresentasse che dovesse, con pubblico editto, proibirsi ne' suoi Stati, e l'imperadore mostrasse d'uniformarsi al lor parere, nulladimanco il marchese di Rialp, per man di cui, come secretario di Stato, dovean passar gli ordini, gli andò differendo in guisa, che col tempo raffreddate le cose e l'imperadore ad altro inteso: finalmente tanti romori si ridussero, che il marchese di Rialp scrivesse una lettera al viceré di Sicilia, 1. per ... figli"olo: trattative che ebbero buon esito, come già s'è detto, alla nota 4 di p. 99. 2. re di Polonia: Augusto II il Forte (1679-1733), già elettore di Sassonia, salito sul trono polacco nel 1697. 3. l'altro . .. Roma: sulle ambizioni della famiglia, e in particolare di Paul Perlas de Vilhena, fratello del ministro, e di Juan, figlio di questi, si vedano le note 2 e 3 a p. 114. 4. Clementi Undecimi pont. max. Bullarium, Romae 1723.

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colla quale, con molta cautela e secretezza, se l'imponeva, che nell'immissione de, libri in quell,isola, avvertisse di non farci introdurre il Bollario clementino, con darne ordini secreti a' guardiani de' porti. Ciò che niente giovò; poiché si intese dapoi, che in Palermo, Messina e nelPaltre città di Sicilia, se n'erano introdotti e se n'introducevan tanti, quanti n,erano da Roma mandati. Pendenti queste brighe, e mostrando la corte di Vienna esser mal soddisfatta della corte di Roma, o contro di me non s'indrizzavan mali uffici, o se pur si tentavano erano infruttuosi, mal intesi e non curati. II

[I726]

Intanto eravamo già nell'anno 1726. Ed io, a mio danno, avea sperimentato quanto fossi stato mal consigliato, in volere, essendo solo, prender casa da per me, 1 e mettermi nelle mani di servitori stranieri, che avesser cura delle mie cose domestiche: non solo la spesa erami cresciuta e resa insopportabile, ma era pessimamente servito e, quel che fu peggio, due volte fui rubato: una da un servitore trentino, l'altra da un tedesco di Linz, capitale dell'Austria superiore; i quali se ne scapparon via, doppo avermi vòtati i scrigni, dove teneva riposto qualche contante, e se bene non fosse molto, nulladimanco a me che non avea altro, se non quello che m, era somministrato dalle mie mesate, ogni scossa di queste mi metteva a terra. Conobbi da ciò, che saviamente facevan coloro, i quali, non avendo grossi stipendi che potessero sostener, per sé soli, la spesa d'una casa, procuravano entrar in costo in un'altra e, communicate le facoltà, 2 vivere più agiatamente, senza darsi in mano de' servidori, per esser rubati e mal serviti. A me si aggiunse, per farmi risolvere a questo partito, una particolar cagione; e fu che, avendo contratta amicizia e familiarità colla casa del vecchio Plekner e conosciuta la sua famiglia, che si componeva di donne discrete, da bene ed affezionate, volentieri mi deliberai ad unirmi con loro: e tanto maggiormente che, oltre al maggior aggio e cura, che per le mie cose domestiche n'avrei ritratto, avrei potuto molto giovarle e solIntanto ... m~: cfr. p. 131. i mezzi di sostentamento. i.

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2.

communicate le facoltà: messi in comune

VITA DI PIETRO GIANNONE

levarle dalle strettezze, nelle quali erano cadute doppo la morte di quel buon vecchio. Erasene egli morto nel mese di ottobre, a Pettersdorf, dell'anno 1724, lasciando la povera vedova Leiscenhoffen, sua figliastra con tre donzelle, sue figlie; poiché un,altra, la maggiore erasi già maritata, ed un figliuol maschio s'incamminò per la strada della milizia. L'afflitta vedova, con queste tre sue figlie, perduto il marito, e poi il padrigno, vivea senz'altro appoggio che di picciole sovvenzioni, che l'eran somministrate dalla principessa Montecuccoli,1 grata alla memoria ed a, servigi prestatigli dal vecchio Plekner, quando era in fiore, e sopra una picciola pensione, assignatale poi dall'imperadore, nella Camera di Vienna. E se bene il Plekner avesse lasciato un figlio già stabilito, essendo consigliere della Camera, nulladimanco da questi non era da sperar soccorso; poiché, avendo presa moglie e tenendo figli, faceva assai a provvedere alla propria famiglia. Si pensò, adunque, che appigionata una casa capace, nella strada d'ltalia, 2 con stanze separate, sicché non si ricevesse o si dasse vicendevolmente incommodo e soggezione veruna, si vivesse uniti e la tavola fosse comune, sicome si pose in effetto ne' princìpi di maggio di quest'anno, somministrando io il piggione per le mie stanze e quanto bisognava per le serve e vitto. Sperimentai che, se bene non vi fosse risparmio e mi costasse la stessa spesa, che mi bisognava essendo solo, con tutto ciò era trattato meglio, che se fossi in Napoli in casa propria, ben aggiato e pulitamente servito; e sopra tutto piacevami che fossi di gran giovamento e sollievo a quelle infelici, le quali, molto grate e riconoscenti di quanto io le giovava, non è da esprimere l'affezione e la cordialità, colla quale io era trattato. Fra le tante mie persecuzioni e sciagure, par che la divina provvidenza mi avesse serbata questa unica consolazione e conforto: di aver trovate in Vienna persone cotanto amorevoli ed affezionate, che con difficoltà avrei potuto trovare fra' miei, in Napoli. Era la Leichsenhoffen madre, uria donna, quanto d'età avanzata, altrettanto onesta, divota e d'incorrotti costumi. Le sue occupazioni t. principessa Montecuccoli: la moglie del conte di Montecuccoli, Ercole Pio (1664-1729), feldmaresciallo dell'impero. 2. strada d'Italia: la ltalienische Strasse. Si veda inoltre la lettera al fratello del 12 ottobre 1726 (Giannoniana, n. 0 167).

CAPITOLO SESTO

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non erano che, di continuo, o nelle chiese o in casa, pregare a Dio ed a' santi: caritatevole verso i poveri, a' quali somministrava alcuni salutari rimedi, ch'essa fabbricava colle sue proprie mani, per la perizia che n'avea, secondo il costume di alcune case tedesche, nelle quali le donne si applicano volentieri a tali lavori, non si sentiva da lei parola, che non fosse modesta e savia; nemica delle nuove rilasciate usanze, che, alla giornata, vedeva introdotte in Vienna, e rigida osservatrice dell'antiche. Ma molto più risplendevano le sue virtù, per l'educazione colla quale avea allevate le tre sue figliuole, gentili, modeste, discrete, ben accreanzate e di costumi santissimi, che tiravan la benevolenza ed amore di quanti le trattavano. Ma sopra le altre sorelle s'innalzava la mezzana, Ernestina di Leischsenhoffen, 1 la quale alla onestà, modestia, civiltà ed altre eroiche virtù, delle quali era ornata, accoppiava in tutte le cose una somma diligenza, sincerità, acutezza e prudenza, e, sopra tutto, d'esser discreta, economica ed in tal grado di perfezione, che, essendo ancor giovinetta, il vecchio Plekner, suo avo, aveale appoggiata l'economia della sua casa, che trattava con tanta saviezza, avvedutezza e sollecitudine, che mi soleva dire quel buon vecchio, che se non avesse in sua casa la Fraile 2 Ernestina, che la reggesse, avrebbe in istato assai peggiore passati gli anni della sua vecchiaia; ma che Iddio l'avea lasciato almanco questo conforto, d'aver persona non men fedele che affezionata, la quale tenesse esatta cura non men del suo corpo, che delle cose sue familiari e domestiche. Questa savia donzella, adunque, avendo preso sopra di sé la cura de' miei affari domestici e di tutto ciò che si apparteneva ad abiti, mobili di casa ed ogni altro che mi bisognasse, e facendolo con molta affezione, lealtà ed esattezza, mi alleggerì di molte fastidiose cure, alle quali, massimamente in paese forastiere, io era inetto ed impaziente, sottraendomi dagl'inganni e furberie de' servidori: sicché, d'allora in poi, non attesi che a' miei studi ed a procurare che non si differisse di vantaggio l'adempimento di quanto nell,imperial decreto stavami promesso. Essendo io sì ben aggiato ed in mezzo a' Tedeschi, ciascuno crederà che io avessi dovuto perfettamente apprendere la lor lingua; ed in vero, tali e tanti furono gli sforzi delle mie commensali, 1. Ernestina di Leischsenhoffen: vedi a p. 5. Fraulein.

2.

Fraile: deformazione di

VITA DI PIETRO GIANNONE

le quali s'ingegnavano che io dovessi impararla, che cosi avrebbe dovuto succedere; ma avvenne il contrario, poiché, invece d'apprender io la lingua tedesca, impararono esse l'italiana; sicché, toltone la madre, ch'era d'età molto avanzata, le tre figlie, e speziaimente l'Ernestina, in poco tempo l'appresero si perfetta, che speditamente poi la parlavano. Da ciò avvenne che io non ci avessi più cura, ed avendo resa quasi tutta la casa italiana, parlava sempre col mio linguaggio, col quale era ben inteso; oltre che la mia età avanzata non era acconcia a poter ridurmi a fissarmi ad una si vasta ed intricata lingua, che ha voci composte di tante consonanti e poche vocali, che mal si adatta alla pronuncia degl'ltaliani. Si aggiungeva il gran numero degl'ltaliani ch'erano in Vienna, co' quali io conversava, e che nelle case nobili tedesche si parlava e s'intendeva non men il francese che l'italiano; sicché non vi era quella necessità, ch,è la maggior maestra delle lingue, che m'obbligasse ad apprenderla. Ed intorno a' libri, gli scrittori più dotti e savi non si valevano della tedesca, dandoli alla luce, ma si bene della latina, perché fossero letti. Proseguendo adunque con maggior aggio la mia dimora in Vienna, e reso noto non meno a' personaggi illustri della Corte tedeschi, che forastieri che vi dimoravano, o impiegati con pubblico ministero servendo qualche principe, ovvero per privati loro interessi; se occorreva trattarsi di qualche grave lor causa, sapendo la mia professione d'avvocato, non mancarono alcuni di richiedermi del mio patrocinio. E poiché in tutti i Consigli e dicasteri di Vienna non è costume di parlarsi le cause in Ruota, ma solamente di scrivere su gli articoli controversi, ed informarne i ministri nelle loro case, sovente era ricercato, spezialmente dagl'ltaliani, di farlo nelle loro liti. Cosi, tenendo il console imperiale Mariconi, 1 agente di Sua Maestà cesarea in Genua, una lite con alcuni mercanti catalani, monsignor Mariconi, suo fratello, che dimorava a Vienna, mi richiese che io prendessi la sua difesa; sicome feci, distendendo alcune al1. Il barone Bartolomeo M an·coni. In questa causa il Giannone fu aiutato da Francesco Mela (su cui cfr. la nota I a p. 78): cfr. la lettera al fratello del xo agosto 1726 (Giannoniana, n. 159) e lettere seguenti dell'agosto, dell'ottobre e, in particolare, quella del 16 novembre (Giannoniana, n. 173), nella quale indica le fonti di cui si è servito, per la discussione sulla valuta e sui cambi. 0

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legazioni, 1 che dimostravano l'insussistenza della pretensione de' Catalani. Parimente il duca della Saponara, siciliano, decorato còn titolo di Principe dell'Imperio, avendo una grave lite nella conferenza delle poste sopra l'ufficio di Corrier maggiore delle poste di Sicilia, si valse dell'opera mia in sua difesa: la qual lite, finalmente, fu terminata per mezzo d'un amichevole accordo, in vigor del quale gli fu conservato l'ufficio, transiggendo le pretensioni fiscali, collo sborso di non picciola somma di denaro. 2 Fui da poi richiesto dal marchese di Corese, Maffeo Barberini, 3 romano, di scrivere nella causa, che avea col cardinal Barberini4 intorno all'intelligenza del testamento di papa Urbano VIII, 5 ch'escludeva le femmine nella successione de' fideicommissi ordinati, essendovi maschi naturali, ancorché non legitimi. E vi composi un'allegazione, 6 nella quale dimostrai non pur la chiamata del marchese, ad esclusione delle femmine; ma eziandio le alte preminenze e sovrane potestà, che i monarchi tengono sopra i matrimoni delle persone illustri, loro suddite e vassalle, che era l'altro articolo, che ivi occorreva d'esaminarsi. E da' Genovesi, per mezzo del marchese Clemente Doria, era ancor richiesto per difesa di qualche lor causa.7 Da Napoli non mancavano gli avvocati miei amici di commetter1. alame allegazioni: la scrittura relativa a questa causa è in Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, mazzo II, ins. 4, GGG (Giannoniana, p. 426 ). 2. Parimente ... denaro: questa causa, intentata dal duca della Saponara, Vincenzo Di Giovanni e Zappata, principe del Sacro Romano Impero e membro del Consiglio di Spagna, è cosa diversa dal-l'altra, ricordata a p. 70, riguardante il marchese di Rofrano, Girolamo Capece. Il fascicolo autografo di questa ultima causa è nell'Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, loc. cit., FFF (Giannoniana, p. 426). Anche per questa causa il Giannone chiese l'aiuto del Mela: cfr. la lettera del 19 luglio 1727 (Giannoniana, n. 208). 3. Maffeo Barberini: costui era figlio naturale di don Urbano (morto nel 1722). 4. Il cardinale Francesco Barberini (1662-1738). La causa, secondo quanto riferisce il PANZINI, p.44, era in realtà tra il marchese e la figlia legittima di don Urbano, Cornelia. Il cardinale intervenne presso l'imperatore, in favore della nipote. 5. Ur-bano Vlll: al secolo Maffeo Barberini (1568-1644), eletto pontefice nel 1623. 6. un'allegazione: cfr. Ragioni del marchese D. Maffeo Barberini so-pra la successione della casa Barberini derivanti dalle disposizioni del pontefice Urbano VIII, Vienna 1726. È stata ristampata dal Panzini tra le Opere postume, 11, pp. 207 sgg. 7. da' Genovesi • •. causa: di questa causa mancano notizie precise; però il PANZINI, p. 44, riferisce che, su incarico del Doria, il Giannone si occupò di una causa di fidecommesso a favore della duchessa di Nevers. Materiali concernenti il marchese Doria nell'Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, loc. cit., RR (Giannoniana, p. 423). 0

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mi la difesa di qualche grave causa de' loro clienti, che occorreva doversi trattare nel Consiglio di Spagna; sicome fu quella sopra la visita particolare istituita contro il presidente di Camera Lione ;1 raltra, che dapoi fummi con1messa, a difesa del duca di Maddaloni, 2 imputato, di suo ordine ed intelligenza, essersi commesso in Napoli un omicidio in persona d'un notaio; ed altre di vari signori, come della principessa, e poi del principe di Tarsia suo nipote, del principe di Montemiletto,3 del duca di Sant'Agapito, ed altre cause di baroni, sicome di comunità ed altre città del Regno, le quali ne' seguenti anni, secondo le occasioni, mi eran commesse. Dagli emolumenti e ricognizioni, che m'eran somministrate per queste mie fatiche, non solo potei fornire di migliori mobili le mie stanze e, di volta in volta, comprar qualche libro, sicché, in decorso di tempo, potei farmi una picciola biblioteca; ma, ponendo da parte qualche contante, arrivai sino alla somma di fiorini mille, li quali, nel mese di decembre del seguente anno 1727, per non tenerli oziosi, gli posi nel Banco della città di Vienna, con trarne profitto di fiorini cinquanta l'anno. [.r7a7]

In questo nuovo anno 1727, mentre era occupato nelle liti del console Mariconi, del presidente Lione e del duca della Saponara, dovendo distendere alcune allegazioni per lor difesa, e la Corte essendosi, secondo il solito, trasferita nel fin d'aprile a Laxemburg, pensai, per più aggiatamente farlo, di passare a Petterdorf con le il presidente . .. Lione: cfr. la lettera al fratello, del 9 novembre 1726 (Giannoniana, n. 172); e ancora l'altra del 20 settembre 1727 (Giannoniana, n. 0 217). Da un'altra lettera, sempre al fratello, del 4 dicembre 1728 (Giannoniana, n. 279), sembra che alla causa fosse interessato anche l'abate Pietro Contegna, amico del Giannone. Questa causa si trascinava ancora nell'aprile del 1730 e nel maggio di quell'anno il Giannone finiva per disinteressarsene. 2. duca di M addaloni: Maurizio Carafa. Cfr. la lettera al fratello, del 29 marzo 1727 ( Giannoniana, n. 0 192), dove dice di non voler essere nominato avvocato del duca. 3. ed altre . .. Montemiletto: materiali della causa del principe d'Acaya e Montemiletto Leonardo di Tocco, nell'Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, mazzo 11, ins. 4, T (Giannoniana, p. 421); la sua Supplica . .. a S. M. C. affinché interponga il suo real assemo per la vendita di Fontanarosa e Torre delle Nocelle, ivi, manoscritti Gia1111one, mazzo n, ins. 3 (Giannoniana, p. 418). Per la causa della principessa di Tarsia contro il conte della Cerra numerose notizie si hanno dal carteggio col fratello, a partire dal 20 luglio 1726. La fatica del Giannone non fu in questo caso ricompensata, ed egli se ne lamentò a lungo. 1.

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genti di casa, le quali ivi aveano non meno stima e rispetto, che tutto l'aggio e commodità: sicché nel mese di maggio ancor io vi fui, e non posso negare, che la villeggiatura mi riusci non men acconcia,· per finir ivi, con riposo e quiete, quelle mie fatiche, ma molto utile per lo ristabilimento di mia salute; né ci restituimmo in città, se non a' princìpi di luglio, dove arrivati, mi sopragiunse un'occasione, la quale, se la presunzione, l'invidia e l'ambizione degli uomini non mi fossero stati d'impedimento, mi avrebbe per nuovo merito agevolato l'adempimento della promessa, fattami da Sua Maestà, nell'imperial suo decreto. La corte di Roma, vedendo che Cesare ed il Consiglio di Spagna eran fissi nel proposito di non far seguire novità alcuna in Sicilia, riguardante il tribunal della Monarchia, né far ivi valere i brevi del papa, con sottil artificio propose questa controversia della Monarchia di finirla per via d'una amicabile composizione; ed in Roma, non meno i ministri del papa che que' di Cesare, spezialmente il cardin_al Sinfuego vi davano mano, ciascuno promettendosi, i pontifìci dalla corte di Roma, i cesarei da quella di Vienna, ampi premi e mercedi, se mai per le loro mani un affare cotanto scabroso e grave, che per lunghi anni crasi aggitato e m_osso, venisse a terminarsi amichevolmente e per via d'un concordato. Ma non avrebbero i pontifici conseguito il lor intento, se non avesser procurato trar alla lor parte due principali ministri, per i quali allora reggevasi la corte di Vienna: il Gran Cancellier di Corte, conte di Zinzendorf, ed il marchese di Rialp. Quali fu facile trargli a sé: il primo, per lo cardinalato già accordato al figlio ;1 il secondo, per l'altro che sperava doversi conferire al fratello,Z oltre alle alte speranze concepite per lo figliuolo, 3 che tenea in Roma, ben istradato nella prelatura. Questi si adoperarono in guisa coll'imperadore, che acconsentisse che si aprisse in Roma il trattato di accordo, lusingandolo, che avendo dalla lor parte il cardinal Coscia,4 1. lo cardinalato • •. figlio: cfr. la nota 4 a p. 99 e la nota I a p. 144. 2. al fratello: cfr. la nota 2 a p. 114. 3. lo figliuolo: cfr. la nota I a p. 114. 4. Niccolò Coscia (1682-1755), segretario dell'arcivescovo di Benevento Pietro Francesco Orsini, ne fu il conclavista nei conclavi del 1721 e del 1724, nèl quale ultimo condusse le trattative per l'elezione dell'arcivescovo al Soglio. Ricambiato con la nomina a segretario dei memoriali e l'elezione ad arcivescovo di Traianopoli in partib11s, fu il favorito di Benedetto XIII e, alla morte del cardinal Fabrizio Paolucci (12 giugno 1726), gli subentrò nella carica di Segretario di Stato, dopo essere stato elevato alla porpora nell'anno precedente, e aver ricevuto la carica di vescovo coadiutore di

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cotanto dal papa favorito, non poteva riuscire se non per lui vantaggioso. E si guardavano di mescolarvi il Consiglio di Spagna, temendo non questo rendesse vani tutti i lor disegni. Datane adunque commissione al cardinal Sinfuego di trattarlo, valendosi di quelle persone ch'egli riputasse capaci ed idonee, fu cosa veramente da muovere insieme riso e compassione; poiché in un affare si grave e cotanto scabroso e vasto, il cardinale, che per se stesso non ne era capace, in vece di valersi di ministri provetti, dotti ed informati, facendogli, bisognando, venir da Palermo, come più istrutti, o pur da Napoli, che non ne mancavano intesissimi di tali reali preminenze, si pose nelle mani di alcuni monaci ed altri soggetti, che non sapevano che si fosse ed in che consistesse questo tribuna! della Monarchia; 1 e, sopra tutto, d'un tal Perelli :2 uomo idiota e senza lettere, il qual non ne intendeva Benevento, con diritto alla successione. Spentosi il suo protettore il 21 febbraio del 1730, il giorno dopo egli fu cacciato dai palazzi pontifici su ordine del cardinale camerlengo, mentre in Roma si avevano dimostrazioni contro il suo malgoverno e la corruzione della sua corte. Apertosi un processo, venne condannato il 9 maggio 1733 a dieci anni di carcere, come ladro e falsario, e rinchiuso in Castel Sant' Angelo; passò poi alla residenza coatta del monastero di Santa Prassede, dalla quale fu liberato solo con la morte del suo nemico, papa Clemente XII. Graziato dal nuovo pontefice, Benedetto XIV, si ritirò in Napoli. 1. Datane . .. Monarchia: la storia di queste trattative è stata ampiamente descritta da F. SCADUTO, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie, cit., da L. v. PASTOR, Storia dei papi, xv, Roma 1933, passim, e ultimamente da G. CATALANO, Le ultime vicende della Legazia Apostolica di Sicilia, cit. I monaci, ai quali il Giannone allude, altri non sono che il vescovo di Teodosia e segretario della Congregazione del Concilio Prospero Lambertini (il futuro Benedetto XIV), e l'abate Celestino Galiani, uomini che non appartenevano certo al partito degli re zelanti», né potevano dirsi imperiti come qui afferma il Giannone, il quale intende criticare, soprattutto, i termini del concordato che venne raggiunto. 2. Pietro Perrelli, duca di Monasterace, giurista napoletano. Tra le carte Galiani conservate presso la Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria,XXX.A. 10., ai ff. 1-11 si ha una Copia di relazione/atta a S.M. sotto il I gennaio r729 dal Signor Duca Pietro Perrelli da Roma, nella quale si danno importanti notizie su una sua missione a Napoli: re Subito, che fui giunto a Napoli ... cominciai dal raccogliere le notizie necessarie, e molti ottimi lumi furono a me suggeriti dal Viceré e dal Presidente del Consiglio. Volli ancora parlare, ma sempre con molta riserva, a qualche reggente del Collaterale; ma in molti di essi, a tenore delle relazioni già da me ricevute, trovai o poca esperienza in simili affari, o troppa ostinazione in non voler andare al bene, ed anche in taluno molta inclinazione per la parte di Roma; quindi confrontando queste osservazioni colle notizie raccolte da uomini savi, senza ch'essi scoprissero lo scopo delle mie ricerche, mi avvidi non essere sperabile un buon accomodamento, qualora il disegno del trattato si comunicasse a' suddetti reggenti, o anche solamente fosse da loro pene-

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nemmeno i term1n1, sol perché questi avea acquistata familiarità e dimestichezza col cardinal Coscia, e questi era da lui riputato l'istromento più efficace, per ridurre il trattato a buon fine. Gli accorti e scaltri pontifìci non ne vollero altro, per aggirargli dov' essi volevano, e trattando con tali persone imperite, le quali erano volentieri entrate nell'affare, per far cosa grata più al papa, dal quale ne speravano maggior ricompensa che dall'imperadore, gli fu facile, co' loro arzigogoli e raggiri, tirarli non solo a ciò ch'essi desideravano, ma di dargli a sentire che la conchiusion del trattato, secondo eh' essi avean concertato, fosse più vantaggiosa per Cesare che per Roma. Ed in vece d'un concordato, la cosa si ridusse ad una costituzione, che il pontefice avrebbe stabilita, colla quale si sarebbe data nuova forma e metodo, per regolare nell'avvenire le cause ecclesiastiche del regno di Sicilia. Stesero per ciò una minuta di questa costituzione, la quale veduta, postillata ed esaminata in Roma da que' campioni che il cardinal Sinfuego avea scelti per parte dell'imperadore, pareva ad essi che fosse da accettarsi, e non frapporre momento di tempo per venirsi alla pubblicazione, come cosa cotanto vantaggiosa; e farsi presto acciocché i pontifici non si accorgessero del loro svantaggio; ed avendone persuaso a quel buono e semplice cardinale, questi in diligenza spedì lo stesso Perelli a Vienna, 1 a portar la minuta della bolla concertata; il quale, come se portasse una novella d'essersi in battaglia sconfitto qualche numeroso essercito nemico, ovvero presa per assalto un'importantissima ed inespugnabil piazza, andava da per tutto gridando vittoria, vittoria; e portatosi dal marchese di Rialp e dal conte di Zinzendorf, diedegli per finita, con vantaggio di Cesare, ogni cosa: e questi, come imperiti di tal materia, legtrato. Tra essi il solo conte Pery mi parve il meno trasportato e sarei per dire il più fornito delle vere massime, che possono agevolare la riuscita dell'affare». Dal che si ricava come la trattativa abbia scavalcato l'intero Consiglio del Collaterale, suscitando ire delle quali, ad evidenza, il Giannone si fa qui portavoce. Segnalo che altra relazione, questa stesa a dieci anni di distanza, per informazione di Carlo III di Borbone, è conservata presso la Biblioteca Nazionale di Palermo. Quanto alle relazioni del cardinal Cienfuegos, utilizzate dal Pastor, ma non dal Catalano, queste si conservano nell'Archivio Reuss di Emstbrunn; esse giungono però solo al termine dell'anno 1727. Una bibliografia delle opere, a stampa e manoscritte, che la controversia originò, in G. CATALANO, op. cit., pp. 151 sgg. I. spedì . .. Vienna: il Perrelli giunse a Vienna il s settembre 1727. Sull'udienza e il colloquio con l'imperatore si veda L. v. PASTOR, Storia dei papi, cit., xv, p. 519.

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gendo la minuta e credendola quale il Perelli la decantava, andarono a rallegrarsene coll'imperadore, dicendogli aver avuto ottimo successo il trattato con Roma, secondo la minuta mandata; e che non si ricercava altro, che Sua Maestà comandasse al cardinal Sinfuego (il quale aveagli pure scritto di tenor conforme a quanto il Perelli millantava), che procurasse farne dal papa stender la bolla, per mandarla in Sicilia. L'imperadore mostrossene contento, ma volle che prima la minuta si mandasse ad esaminare nel Consiglio di Spagna, se mai occorresse qualche altra cosa da avvertire. Il marchese di Rialp ed il conte di Zinzendorf, persuasi che, come vantaggiosa, non vi avrebbe il Consiglio niente da aggiungere o levare, ma che in tutto l'avrebbe approvata e commendata, non vi posero alcun ostacolo, ma la mandarono sotto l'esame del medesimo, di buona voglia. Quando nel Consiglio fu letta la minuta, tutti, e spezialmente i reggenti provinciali di Sicilia, Almarz e Perlongo, rimasero sorpresi che, in vece d'un concordato, la facenda si fosse ridotta in Roma ad una costituzione, nella quale il papa tanto era lontano che rivocasse quella di Clemente Xl, che abolì il tribunale, che sembrava più tosto che la confermasse; e che, non facendosi memoria delle antiche reali preminenze, né degli antichi stili ed usi di quel tribunale, il papa di pianta1 par che nuovamente volesse egli regolare e dar nuovo sistema in Sicilia intorno al modo di trattar le cause ecclesiastiche, e che non si concedesse altro a Sua Maestà, se non che la nomina o l'elezione del giudice, il qual era dal papa, in vigor di questa bolla, costituito tale, dandogli giurisdizione, e limitandogliela in certi casi; e, sopra tutto, si voleva che quel giudice, il qual non si chiamava mai della Monarchia, ubbidisse a' chirografi che fossero firmati da Sua Santità, e che in qualunque causa eseguisse quanto per quelli gli fosse commandato. Si accorsero ancora del sottil artificio praticato, per ingannare que' semplici ed imperi ti, co' quali fu in Roma la minuta concertata; poiché, per non fargli accorgere di questi gravissimi pregiudizi, che s'inferivano alle reali preminenze, gli gettarono polvere a gli occhi, per certe nuove facoltà che si concedevano al giudice, le quali, se bene con magnifiche parole si descrivessero per grandi, sicché da cib credettero che fosse l'accordo vantaggioso, in realtà, oltre di star sottoposte ad essergli rivocate, ben esaminate si ridu1.

di pianta: dalle fondamenta.

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cevano a picciole cose e Roma, concedendole, niente veniva a perderci, ed avrebbe importato poco che il giudice l'avesse o non l'avesse. Non mancò il Consiglio, in ciò tutto uniforme, di rappresentare alla Maestà dell'imperadore gli danni notabilissimi e sommi pregiudizi, che, con accettarsi la minuta, s'inferirebbero al tribunal della Monarchia; che, per ciò, si dovesse rifiutare e sciogliersi ogni trattato con Roma, che non poteva riuscire se non in maggior ruina di quel tribunale; ma che Sua Maestà, per sé medesima, che poteva ben farlo, desse ordini in Sicilia di non far seguire novità alcuna, ma il tribunale fosse conservato in quella stessa forma che l'avean fatto essercitare i re di Spagna, suoi predecessori, senza mendicar da Roma altro aiuto o soccorso. Il marchese di Rialp ed il conte di Zinzendorf, vedendo, fuor di ogni loro aspettazione, che il Consiglio ruinava quanto essi avean fabbricato, prevennero coll'imperadore, dandogli a credere che il Consiglio per astio, che senza sua partecipazione erasi in Roma aperto quel trattato, procedeva con tanta animosità, e con intento di distruggere quanto ivi erasi fatto, ma che non bisognava perdere sì opportuna occasione; e, se mai nella minuta vi fosse cosa da meglio spiegarsi e moderarsi, si facesse, ma non già rompersi ogni trattato, poiché essi non conoscevano altro modo per quietare quel Regno e le coscienze de' Siciliani, se non per mezzo d'una bolla pontificia, che fosse discreta e moderata, sicché non pregiudicasse a' reali diritti ed altre preminenze, che teneva in quel Regno; che poteva la minuta ben rivocarsi a nuovo esame, ed eleggere dal Consiglio di Spagna quattro reggenti togati, i quali col presidente l'esaminassero e notasser ciò che l'occorreva d'aggiungere, mutare o cassare; e, poiché il cardinal Sinfuego avea mandato il Perelli, ch'era ben istrutto di quest'affare, poteva ben questi intervenire nelle sessioni, per informargli e meglio istruirgli di quanto in Roma erasi passato. Fu per tanto istituita una particolare giunta, composta dal presidente già in questo tempo rifatto in luogo del defunto, che fu lo stesso conte di Montesanto, che prima l'avea retto come decano, e da quattro reggenti, li quali furono li due provinciali Almarz e Perlongo, e li reggenti Positano e Bolagnos. Fu veduta allora in Vienna una cosa mostruosa, non meno che ridicola; poiché in questa giunta, che si teneva in casa del presidente, si vide inter-

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venire il Perelli, e disputare co' reggenti di cose, ch'egli non intendeva nemmeno i vocabili. E pure si ebbero ad aver la pazienza di sentire tante scempiaggini, inezie e rodomontate; e non si fece poco, che si contentasse, se ben di mala voglia, di quella sedia destinatagli, perché la pretendeva uguale a' reggenti, poiché, fra le altre doti che adornavano il Perelli, una era che a maraviglia sapeva imitar bene le parti d'un valente Trasone. 1 I reggenti col presidente stettero saldi e fermi ne' primi sentimenti, e furon tutti concordi in rifiutar la minuta; e se era volere di Sua Maestà di non rompere il trattato, che se ne dovesse dettar altra, che avesse forma di concordato, non già di costituzione. Con tutto ciò il Perelli, oltre di dolersi non essersegli data sedia uguale, millantava col marchese di Rialp, col conte di Zinzendorf e con altri, che era tutta la loro ostinazione e pertinacia; poich'egli avea con dimostrazioni chiare convinti e confusi que' dottorelli, che così chiamava i reggenti, non avendo che rispondergli. 2 Talché alcuni di allegro umore, come vanaglorioso, e prendendo per vero quel ch'era scherno, non si ritenevano, in vederlo, d'esclamare: Viva [viva]3 il gran Perelli che ha confusi i dottorelli.

Finalmente, vedendo que' due ministri, che mal potevano arrivare al lor intento, se in questo affare ci avesse parte il Consiglio, procurarono d'escludernelo affatto; e fecero che l'imperadore lo commettesse alla Conferenza di Stato, la qual dovesse in tutte le maniere finirlo con accordo ed amicabile composizione. La Conferenza era composta dal principe Eugenio, dal conte di Zinzendorf, dal marchese di Rialp e da alcuni pochi Tedeschi, i quali a tutto altro pensavano, che invilupparsi in questi intrighi; e del principe Eugenio, occupato ad altri importanti e gravi affari, il minor suo pensiero era questo: sicché la faccenda si ridusse a due soli, al conte ed al marchese, ch'era quello che cercavano, per comporla secondo la minuta ed i dettami di Roma. Trasone: il soldato millantatore della commedia di Terenzio l'Eunuchw. I regge11ti •.. rispo11dergli: qui il Giannone è inesatto. I reggenti rinviarono a Roma il Perrelli con un'istruzione, al principio del febbraio del 1728. In essa si chiedevano modifiche soprattutto nel preambolo ai capitoli 1. 2.

della bolla, preambolo steso dallo stesso Benedetto XIII. Questa volta toccò a Celestino Galiani approntare una nuova bozza, che fu spedita a Vienna il 27 marzo. 3. L'integrazione è proposta dal Nicolini.

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In questo, essendo io dalla villeggiatura di Pettersdorf ritornato in città, sentendo le tacite mormorazioni e doglianze de' reggenti della Giunta, ch'erano stati prima condennati a disputar con Perelli del tribunal della Monarchia, e poi esclusi dall'affare, con essersi rimesso alla Conferenza, che in sostanza era agli stessi Zinzendorf e Rialp: dissi a' provinciali di Sicilia, che parcami che si disputava, non men dall'una che dall'altra parte, sopra fondamenti falsi ed erronei; e che, fin ora, non si era conosciuto dove si appoggiasse quel tribunale e la sua vera origine, poiché tutti credevano che avesse per base e sostegno la bolla di papa Urbano II;' ciocché dava le armi in mano a' pontefici di poter, con altre loro bolle, ruinarlo, moderarlo e disporlo in quella maniera, che essi volessero. 2 Ma che la bisogna era tutt'altra, e che, se si fossero scoverte le vere origini ed i giusti e legittimi titoli, donde a' re di Sicilia derivava quella giurisdizione, ch'essercitavano in quel tribunale, cessarebbero tutte le contese, se volesse Sua Maestà con vigore farli valere: ché ben giustamente potrebbe per sé farlo, senza aver bisogno di Roma. Questo mio parlare pose in curiosità i reggenti ed altri che mi sentivano; e poiché erano uscite molte scritture, che giravano per Vienna, per le quali pure, sopra i soliti appoggi, si credea abbattere le prescrizioni cli Roma, le quali non molto soddisfacevano, per impulso d'amici, e sopra tutto del reggente Almarz, fui tanto stimolato e scosso, che finalmente gli promisi di volergli con una mia scrittura manifestare; della quale, se bene per le circostanze ree che correvano non era da sperarne alcun frutto, nulladimanco, essendovi nella Conferenza il principe Eugenio, io l'avrei al medesimo presentata, per farne quell'uso che riputasse migliore, non essendovi con altri speranza, che potessero indursi a leggerla; saUrbano 11: Ottone di Lagery, cluniacense, fatto pontefice nel 1088, riprese il programma teocratico di Gregorio VII, appoggiandosi ai Normanni. La bolla, con la quale si conferiva in perpetuo la carica di Legato ai re di Sicilia, fu emessa nel 1098. 2. ciocché • •. volessero: il privilegio di Urbano Il, che accordava ai re normanni la qualifica cli Legato per la Sicilia, era stnto menzionato nella bozza inviata per l'approvazione a Vienna, benché da parte degli scrittori curialisti se ne contestasse l'autenticità. Tuttavia, benché questa suonasse come una conferma della Monarchia di Sicilia da parte romana, il Giannone non l'accettava ritenendo che i termini dovessero essere rovesciati, insistendo (sulla scia cli Mare'Antonio De Dominis) sull'indipendenza del potere regale. Il ricordo di quella bolla, insomma, avrebbe fatto più risaltare il carattere octroyé del tribunale siciliano. 1.

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pendo che impegnati per l'accordo, si sarebbero turate le orecchie e chiusi gli occhi, per non sentire o vedere ciò che potesse essergli di ostacolo o d'impedimento. Composi in men di due mesi la scrittura, in forma di rappresentazione a Sua Maestà, nella quale trattai De' veri e legitimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel tribunale detto della Monarchia: 1 dimostrando che non derivavano dalla bolla di papa Urbano II, ma l'esercitavano iure imperii, come successori degli imperadori d'Oriente, sotto i quali la Sicilia lungamente era dimorata fin che da' Normanni non ne fossero stati scacciati i Greci; e succeduti essi in luogo degli imperadori di Costantinopoli, si mantennero quelle stesse preminenze che quelli aveano intorno all'esterior politica ecclesiastica in tutte le chiese al trono di Costantinopoli sottoposte, fra le quali eran quelle di Sicilia e di Calabria. Che da' due Codici, teodosiano e giustinianeo, si dimostravan con evidenza i supremi diritti ed altre preminenze, che nella Chiesa orientale vi aveano gli imperadori di Costantinopoli. Maggiormente ciò dimostravano le Novelle dell'imperadore Giustiniano, e molto più quelle dell'imperadore Lione il Filosofo e, sopra tutto, la disposizione del trono costantinopolitano, e delle chiese a quello sottoposte, e loro gerarchia, che, per costituzione dello stesso Lione, che leggiamo presso Leunclavio,2 fu statuita; nella quale delle chiese di Sicilia, in quel tempo tutte sottoposte al metropolitano di Siracusa, fassi speziai memoria come sottoposte non già al trono romano, ma al costantinopolitano; che nella Chiesa greca di Oriente non poser mai piede né Decreto, né Decretali, né si conosceva quel nuovo dritto canonico, che invase ed occupò le chiese dell'imperio di Occidente. Che i Normanni, conti e poi re di Sicilia, avrebber potuto, come successori degli imperadori greci, essercitare maggiori preminenze, e quante ne leggiamo nelle N 01. Edita dal Pietantoni, col mutato titolo Il tribunale della Monarchia di Sicilia, Roma 1892. La minuta autografa nell'Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, mazzo n, ins. 6 (Giannoniana, p. 427) datata« Vienna, li 12 novembre 1727 ». Ma si veda ancora, nello stesso fondo, mazzo Il, ins. I 4, A, una Memoria intorno agli abusi della potestà ecclesiastica (Giannoniana, p. 430), databile dopo il 1727, e che è in realtà un forte attacco all'operato del Perrelli. 2. Leunclavio: cfr. l'opera dello storico ed orientalista Johann Lowenklav (1541 ?-1594), meglio conosciuto con il nome umanistico di Iohannes Leunclavius, LX librorum ~!XO"I.Àtxwv, id est, Universi i11ris romani, auctoritate principum Rom. in graecam linguam traducti ecloga sive synopsis . .. Item Novellarum antehac non publicatarum liber, Basileae 1575.

CAPITOLO SESTO

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velle di Giustiniano e di Lione; ma si astennero di molte, come

quelli, che procurarono le chiese di Sicilia restituirle al trono romano; e che, sicome questi principi ritennero la cancellaria greca, dettando in questa lingua lor diplomi e bolle, cosi ritennero non men la stessa cura dell'esterna politia e governo di quelle chiese, che il rito greco e tante altre usanze, dignità, nomi e stili della Chiesa greca orientale. Si dimostrò, che la bolla d'Urbano II della legazione giovò al conte Roggiero di Sicilia, 1 per non fargli perdere queste preminenze, non già che gliele desse; poiché, prima di questa bolla Roggiero l'essercitava, sicome è ma~ifesto da' diplomi e bolle di questo principe, d'erezioni di chiese cattedrali, d'esenzioni ed immunità concesse a chiese e monasteri, e di giurisdizione conceduta loro e tanti altri atti consimili, essercitati prima d'Urbano, sicom'è manifesto da' diplomi stessi, rapportati dall'Ughelli, dal Pirro2 ed altri scrittori siciliani; anzi, conformi a questi furono i diplomi dell'altro Roggiero, duca di Calabria,3 il quale certamente non ebbe legazione alcuna da papa Urbano, e pure nelle chiese di Calabria essercitava l'istesse giurisdizioni e preminenze, non con altro titolo, se non quello che gli proveniva iure imperii, per esser egli succeduto in Calabria in quelle stesse ragioni, che vi essercitavano gl'imperadori d'Oriente. La bolla di Urbano giovò al conte di Sicilia, per non fargliele perdere, sicome furon perdute in Calabria, sul supposto, ancorché falso, che le chiese di Calabria non fosser comprese nella bolla d'Urbano, conceduta al solo conte di Sicilia. Fu dimostrato, in ultimo luogo, che tutti gli accordi tentati con Roma sopra questo tribunale o furon vani, o pregiudiziali alle reali preminenze, e che la via più ruinosa questa fosse; ma che Sua Maestà potea, da se stessa, senza aver bisogno di Roma, stabilire ciò 1. Ruggiero I (morto nel 1101), conte di Sicilia. Dopo la conquista dell'isola, vi ristabilì la religione cattolica, ponendo a capo della diocesi vescovi da lui nominati. L'osservazione del Giannone è storicamente esatta. 2. FerdiQando Ughelli (1594-1670), cistercense, con Italia Sacra, Romae 1644-1662, diede per primo una storia delle diocesi italiane, con notizie biografiche di vari vescovi, documenti inediti e cenni storici delle varie chiese. Rocco Pirri (1577-1651), erudito sicìliano, storiografo regio (di Filippo IV di Spagna dal 1643), autore di Sicilia Sacra, Panonni 1644.. 1647. 3. Non di Calabria, ma di Puglia. Ruggiero (morto nel 1111) era figlio di Roberto il Guiscardo, e perciò nipote del conte di Sicilia, dal quale ebbe più volte aiuti militari contro Cosenza e Amalfi, in cambio della cessione dell'intera Calabria.

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VITA DI PIETRO GIANNONE

che stimerà più opportuno per norma e regola di quel tribunale. E che, se Roma non vuol attendere né alla bolla d'Urbano, né a prescrizione, né a tanti secoli, ne' quali furono in pacifico possesso i predecessori re di Spagna e di Sicilia, Sua Maestà volentieri ci dia mano; tolga pure ogni bolla e prescrizione, e riduca le cose in quel pristino stato, nel qual erano le chiese di Sicilia sotto gl'imperadori Giustiniano e Lione, che furono cattolicissimi e piissimi, ed altri imperadori d'Oriente, de' quali, come re di Sicilia, rappresenta le veci e le prerogative. E si vedrà, se in questa maniera ella verrà a perderci o a guadagnare. Questi, in breve, erano gli articoli principali di questa scrittura, la quale, copiata ch'ebbi, fecila trascrivere da buona mano, e prima che gli altri la vedessero, la presentai al principe Eugenio, dicendogli, che già che tutti erano in moto per questa contesa della Monarchia di Sicilia, avea voluto anch'io, come Diogene, muovere la mia botte, affinché altri travagliando, non fossi io solo riputato ozioso ed infingardo, come se niente mi dovesse importare la conservazione de' supremi diritti ed alte preminenze, che Sua Maestà tiene in quel regno; avea per ciò composta quella scrittura, che umilmente gliela presentava; affinché, se mai le sue gravi occupazioni gli permettessero darci occhio, conoscesse che la strada, che in essa veniva additata, era molto breve e corta, per uscire da ogni labirinto e da tutti gli intrighi della corte di Roma; e che se pure non volesse tentarsi, almeno si lasciassero le cose rimanere come stavano, e non precipitare e metter a terra con una nuova bolla, che se gli dà nome di concordato, quell'antico tribunale, conservato sempre da' predecessori re di Spagna con tanta gelosia ed accuratezza, come la gioia più preziosa della lor corona. Il principe ancorché cortesamente si ricevesse la scrittura, non poté dissimularmi il tedio e la noia che l'era data per questo affare, dicendomi che l'avean caricato di tanti volumi di scritture concernenti al medesimo, che non ci bastarebbero più mesi interi per leggergli; e spezialmente i voti de' reggenti così diffusi, che quello solo del reggente Perlongo occupava una mezza resima1 di carta, ed egli non avea tempo per consumarlo in queste cose; ed avendogli io risposto, che non vi era alcuna necessità di travagliarsi con più sottil esame, quando non possa, bastando che in Sicilia si lascias1.

resima: risma.

CAPITOLO SESTO

161

sero le cose come si trovavano: replicommi che questa era la difficoltà, che si voleva che in tutte le maniere l'affare amichevolmente si terminasse con bolla pontificia, dando a sentire che altrimenti le coscienze tenere e delicate de' Siciliani non si sarebbero quietate; e dicendomi ciò con un soghigno, mi animò a replicargli che vera.. mente era a tutti nota e palese la teneritudine dilicatezza di coscienza di que' insulani; sicché si dovesse temere, che le sole leggi del lor sovrano non bastassero per tenergli in freno ed in quiete. Scorto da ciò i sentimenti del principe, e che di mala voglia ci sarebbe entrato, compresi che tutto l'affare verrebbe finalmente a cadere sopra le braccia del conte e del marchese, sicome il successo il dimostrò; poiché, ad arte non facendosene più parola, e lasciato passar molto tempo, sicché finissero i discorsi della gente, mentre tutti erano ad altro intesi, si seppe che le scritture tutte dalla Conferenza erano passate nelle mani del marchese di Rialp, il quale si pose a regolar l'affare, secondo che gli veniva più in acconcio. E se bene la minuta si fosse moderata in alcune parole, 1 nulladimanco se ne sorrogarono altre, che aveano la stessa forza; e secondo quella, senza partecipazione alcuna del Consiglio di Spagna, si scrisse in Roma, che papa Benedetto stendesse e pubblicasse la bolla, sicome fu fatto; ed è quella che, datasi poi alle stampe, ne furon da Roma mandati più essemplari in Vienna ed in Sicilia. 2 Letta che fu da' ministri del Consiglio di Spagna (ad alcuni de' quali avea io, con molta cautela e secretezza, communicata la mia scrittura) e da altri uomini probi, dotti e savi, non poterono non compiangere il misero stato, nel quale le cose eransi ridutte, vedendo che sicome in Roma a' tempi di Tarquinio il Superbo, il quale tolto il costume, come dice Livio, «de omnibus senatum consulendi, domesticis consiliis rempublicam administravit »:3 cosi in Vienna i regni e Stati d'Italia s'amministravano per privati consigli di coloro, i quali non aveano altro scuopo, che ingrandire, la minHta . .. parole: la lettera della Cancelleria imperiale, datata 2 giugno 1728, con le richieste modifiche, è conservata presso ti Archivio dell'ambasciata austriaca presso la Santa Sede, ed è stata utilizzata nella sua celebre Storia dei papi dal Pastor, che la definisce «lunghissima» (voi. xv, cit., p. 520). 2. quella .•• Sicilia: il testo della bolla è ristampato in appendice al citato studio di G. CATALANO, pp. 179 sgg., il quale l'ha tratto dal Magnr,m Bullarium Roma,mm seu eiusdem continuatio, Luxemburgi, IV, 1730, pp. 370 sgg. Reca la data del 30 agosto 1728. 3. «de omnibus . .. administravit »: cfr. Livio, I, 49, 7 («di dover consultare il Senato su ogni cosa, governò lo stato con dei consigli privati»). 1.

u:

VITA DI PIETRO GIANNONE

con onori e ricchezze le proprie case; ed i ministri spagnoli se stessi e quelli della loro nazione. Ed avendo io, doppo aver ben considerata la bolla, notato i tanti pregiudizi e svantaggi che s'eran inferiti alle reali preminenze, uno per uno gli distesi in altra breve scrittura, la qual letta da' pochi a' quali io l'avea confidata, dimostravano la bolla ruinosa e pregiudizialissima a quel tribunale, che potea dirsi nuovo e tutt'altro dell'antico, del quale crasi procurato di abolirne ogni vestigio. Ma dapoi bisognò di questo affare non parlarne affatto; sicché queste mie scritture rimasero in un profondo silenzio, non arrischiandomi di più mostrarle ad alcuno; poiché da' fabbri, nella fucina de' quali erasi fatto questo lavoro, era riputato delitto il parlarne con biasimo: anzi si voleva che tutti l'applaudissero, e si stimasse la «costituzione», ch'essi chiamavano «concordia», 1 vantaggiosa per Cesare, il quale avea ottenuto ciò che Filippo II, re di Spagna, non poté mai conseguire. Ed i cortiggiani di Roma, con sottil artificio, perché la lusinga acquistasse maggior forza, se ne mostravano mal soddisfatti, e ad arte facevan correr voce, che la bolla fosse di gran pregiudizio alla Santa Sede, e che i ministri dell'imperadore avean avuta la sorte di trattare con un buono e semplice pontefice, il qual volentieri si facea tirar per naso dal cardinal Coscia e dagli altri Beneventani, suoi favoriti; ma che da altri pontefici non l'avrebbero certamente ottenuta. Queste voci giovarono grandemente al Perelli ed agli altri, de' quali il cardinal Sinfuego erasi servito come ministri, per concertarla in Roma, da' quali venivano ingrandite e sparse; sicché ne ottennero ampi premi non meno dalla corte di Vienna, che da quella di Roma, come assuefatti a mangiar a due ganasse, ed ingrandire con ciò la loro condizione e quella delle loro famiglie. All'incontro que' che, investigando la verità nelle cose cercavano di manifestarla e di scoprire gl'inganni e le frodi, che sotto mentite apparenze si nascondevano, erano mal visti e mal graditi e tenuti lontani da ogn'impiego, perché non frapponessero ostacolo ed impedimento a' loro propri vantaggi ed alla smisurata ambizione, che nudrivano ne' loro petti.

1.

La bolla è infatti comunemente chiamata • Concordia benedettina•·

CAPITOLO SETTIMO Anni x7a8, I7a9 e x730. In Vienna. I

Con questi strani successi1 eravamo entrati già nell'anno 1728, ed avanzati molto nel decorso del medesimo; nel quale, a' principi di maggio, io con le mie ospiti era passato ad un più comodo quartiere, 2 presso alla casa professa de' Gesuiti, nella strada che chiamano,, il piccolo Parigi». Assestati i mobili e postolo in ordine, si passò verso la fine del medesimo a Pettersdorf nella solita villeggiatura; ed in quest'anno il nuovo presidente, conte di Montesanto,3 ottenne dall'imperadore, che sicome gli altri Consigli lo seguivano, passando a Laxemburg alla caccia d'aironi, cosi potesse far anche il Consiglio di Spagna, che non era a quelli inferiore; onde furon con nuovo peso gravati i villaggi d'intorno di somministrare i quartieri a ciascuno de' consiglieri, reggenti, secretari ed ufficiali della secreteria spagnola; ed in Medeling4 fu assignato al presidente un capace quartiere, dove oltre le stanze per la sua abitazione, potesse ivi tenersi Consiglio; e poiché Medeling non era sufficiente a dar quartiere a tanti, bisognò che gli altri reggenti e secretari ed ufficiali fosser ripartiti ne' vicini villaggi, per trovarsi la mattina a Medeling a tener Consiglio. Il presidente defonto 5 non avea a ciò pensato, poiché tenendo egli un giardino e casa nel borgo di Josephstat, 6 dove solea passare ad abitare, partito l'imperadore per Laxemburg, e dimorarci fino ad ottobre, non fece partir mai il Consiglio dalla città; ma il conte di Montesanto, che non avea quest'aggio, volle procurarsi per questa via anch'esso la sua villeggiatura. Ad alcuni reggenti in questo primo anno dispiacque la novità per gl'incommodi che s'immaginavano dover soffrire, ma dapoi ben si ci accomodarono, e conobbero quanto l'abitare in tal tempo a que' villaggi conferisse alla lor salute. Il presidente Montesanto, ne' seguenti anni, pensò a stabilirsi un più comodo albergo, per un'occasione che saremo a rapportare. Il marchese Stella, nipote ed erede del 1 • .successi: accadimenti. 2. quartiere: appartamento. 3. conte di Montesanto: cfr. la nota 2 a p. 119. 4. lvledeling: Modling. 5. Il presidente de/onta: cioè l'arcivescovo di Valenza Antonio Folch de Cardona (per cui cfr. la nota I a p. 88). 6. Joseplutat: losephstadt è uno dei quanieri del centro di Vienna.

VITA DI PIETRO GIANNONB

conte Stella1 cotanto favorito dall'imperadore, al quale2 avea donato un palazzo in Medeling, che poi ridusse in magnifica forma, possedeva questo edificio, e doppo la morte del zio riuscendogli inutile, pensò di venderlo, e profittò molto del desiderio che mostrava il conte di Montesanto di comprarlo per suo uso e del Consiglio, poiché non trovando prima chi volesse comprarlo, ed a prezzo sì caro quanto egli ne pretendeva: col presidente, che non dovea sborsar suo denaro, trovò facilità di pagarglielo quanto volea, che fu la somma di ottomila fiorini. La difficoltà era di trovar il denaro, ed a ciò fu dato presto rimedio, poiché, contrastando invano la Casa dell' Annunziata3 di Napoli di poter ottener l'assenso regio ad un contratto stipulato con i suoi creditori, per tante difficoltà ed ostacoli fattigli dal Consiglio: questo bisogno di denaro glielo facilitò subbito. Furon presto risolute le difficoltà ed ogni dubbio: fu dato l'assenso, e fattasi tassa di quanto importasse la somma de' diritti di spedizione e suggello, che si fece ascendere a più di quel che importava il prezzo del palazzo di Medeling, furono sborsati i fiorini ottomila e pagati al marchese Stella, il quale ne diede il possesso al presidente, in nome del Consiglio che lo comprò, e da indi in poi, quivi ebbe ferma abitazione, dove ogni anno si portava il presidente con tutta la sua famiglia, per dimorarci non solo il tempo che l'imperadore si tratteneva a Laxemburg, ma l'intiera estate, avendola fornita di propri mobili, rimanendo due sole stanze per uso del Consiglio. Questa traslazione mi riusci molto commoda, e rese la mia villeggiatura di Pettersdorf più cara e gradita, non solo per la facilità che avea di trattar co' reggenti di qualche affare, avendogli vicini, ma anche per la conversazione che godeva del reggente Almarz e degli altri amici, che venivano spesso da Vienna a visitarlo, o per loro negozi; e tanto più, che il quartiere assignato al reggente Almarz era nel villaggio di Prun, 4 prossimo a Pettersdorf; I. Rocco Stella (1661-1720), conte di Santa Croce, era figlio di un medico di Modugno. Lasciò il regno di Napoli nel 1684 arruolandosi negli eserciti imperiali e con una brillantissima carriera giunse al grado di maggiore nel reggimento del Montecuccoli nel 1701. Fu quindi consigliere di guerra nella giunta del Consiglio d'Italia e aiutante dell'arciduca Carlo, che segui poi a Vienna. Qui mantenne la sua carica di reggente per gli affari militari del regno di Napoli nel Consiglio di Spagna, assieme a Girolamo Capece, marchese di Rofrano. 2. al quale: soggetto è l'imperadore. 3. la Casa dell'Annunziata: ospizio e luogo pio per i fanciulli esposti. 4. Pru11: Brunn.

CAPITOLO SETTIMO

165

sicché io, la mattina o la sera, facendo i miei soliti essercizi, avea per termine di riposarmi la di lui casa, e sovente era invitato a rimanere ivi a pranzar seco con altri amici; sicché in que' due mesi godeva non pur l'amenità della campagna, ma la conversazione non meno de' Tedeschi, che de' nostri Italiani e sopra tutto di avere alcune ore del giorno, spezialmente della mattina, solitarie e quiete, da impiegare a' miei non isforzati, ma volontari e non men seri che ameni studi. In questi tempi, divolgandosi sempre più la mia Istoria civile per tutte le province della Germania, cominciai ad acquistar la conoscenza di molti letterati tedeschi, westfali, sassoni, svevi e di altre città libere imperiali, i quali ebbero la cortesia non solo scrivermi gentilissime lettere latine, ricercandomi di qualche notizia istorica delle cose d'Italia e spezialmente deWultimo concilio romano, che tenne papa Benedetto XIII, e per quali cagioni non fosse stato ricevuto nel regno di Napoli; ma anche, dando alle stampe qualche loro opera, di allegar la mia e far di me onorata memoria. 1 Conobbi, per loro cortesissime lettere che mi scrissero, i due Menckeni,2 padre e figlio, al quale mandai più riposte notizie intorno alla vita d'Angelo Poliziano, ch'era tutto inteso di dar alla luce. 3 Per 1. spezialmente . .. memoria: il PANZINI, p. 71, spiega questo passo scrivendo che cc il signor Giovanni Erardo Kappio da Lipsia, amico del signor Ottone Menchenio, ... avendo impreso intorno all'anno 1729 a scrivere la storia dell'ultimo Concilio di Laterano, tenuto nel 1726 .•. ed insieme con essa un'ampia descrizione dello stato presente d'Italia ... si rivolse al Giannone, siccome a colui il cui particolare conoscimento in cosi fatte materie era in Lipsia, più che in altro luogo della Germania, ben conto ed apprezzato». L'opera, alla quale si fa qui riferimento, è la Historia Concilii Lateranensis a Benedicto XIII P. M. z725 Romae celebrati, ab Anonymo hetrusce conscripta, ex ms. primum edita, latine conversa, foliolis, in congregationibus praesynodalibru distributis, adaucta notisqw su.binde illustrata. Praemissa est Caroli VI, Rom. imp. A11imadversio in losephum Sanfelicium, iesuitam, eiusque Considerationes morales et theologicas contra Petri Giannoni, viri clarissimi, Historiam Civilem regni Neapolitani evulgatas, ta11quam novissimum ir,ris imperatorii circa sacra exercitium, ex actis publicis, fata memorabilia laudatae 1,istoriae exhibentibus, hisque ex ms. incertis, luculenter descripta . .. , Lipsiae 1731. Cfr. la lettera al fratello del 25 febbraio 1730 in cui dice di aver ricevuto il frontespizio dell'opera (Giannoniana, n. 344). 2. i due Menckeni: Johann Burckard (1674-1732) e Friedrich Otto Mencke (1708-1754), ambedue storici ed eruditi, professori nell'università lipsiense, oltre che alle loro opere, dovettero la loro fama alla pubblicazione degli •Acta Eruditorum Lipsiensium •, uno dei più famosi periodici della repubblica letteraria settecentesca. 3. notizie . .. luce: cfr. F. O. MENcKE, Historia vitae et in literas meritomm Angeli Politiani, ortu Ambrogini ••• , Lipsiae 1736. Nell'Archivio di Stato di Torino, maz0

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la via stessa, ebbi conoscenza del famoso antiquario Sigismondo Liebe, 1 e d'altri uomini dotti, i quali si eran resi celebri per le loro opere date alle stampe. Ebbi infine il piacere, che non vi era viaggente2 tedesco, fiamingo o d'altra nazione, che passando per Vienna non avesse la curiosità di venire a visitarmi. Ma tutta questa stima, che per me aveano i forastieri, non mi valse niente presso gli Spagnoli ed i nostri nazionali. Intanto sempre più andando io perdendo la speranza d'essere impiegato in Vienna in qualche carica (poiché gli Spagnoli prevenivano in occuparle tutte, ed i mali uffici che contro di me si facevano dalla corte di Roma, servivano per pretesto d'escludermene), mi risolsi a volgere altrove gli uffici e la mediazione de' miei amici e protettori, perché almanco potessi tornare in Napoli con posto conveniente alla mia graduazione3 d'avvocato, ed ottenerlo in que' medesimi tribunali, o di consiglier di Santa Chiara o di presidente della Camera,4 ne' quali avea esercitata l'avvoca-· zione. Più volte pregatone il marchese di Rialp mostrava non averci difficoltà, tanto maggiormente che l'era da me suggerito che, rimandandomene in Napoli con carica, Sua Maestà risparmiava ogni anno que' mille fiorini che mi eran somministrati per mio sostentamento, de' quali poteva valersene ad altri usi, gratificando altri suoi benemeriti. Ma poiché la provista di tali cariche dipendeva dalle nomine de' soggetti, che i viceré di Napoli mandano alla Corte in occasione di vacanze, il marchese mi disse che bisognava che il viceré, fra gli altri anche me nominasse, affinché se gli classe l'apertura di propormi a Sua Maestà e facilitar la provista. Pareva che a questi princìpi secondasse la sorte; poiché essendosi l'imperadore risoluto di rimovere dal governo di Napoli il cardinal Althan, e mandargli per successore il conte d'Harrach, col quale e co' di lui dignissimi figliuoli io avea contratta qualche zo 1, ins. 9, sono raccolti appunti del Giannone sul Poliziano, assieme ad una minuta di lettera indirizzata a Friedrich Otto in data 28 luglio 1728. Nell'epistolario della Biblioteca Nazionale di Roma, a seguito della lettera del Giannone al fratello da Vienna del 7 agosto 1728 (Gia1111oniana, n. 0 263) è copiata una memoria sulla vita del Poliziano, stesa dall'abate Giovan Lorenzo Acampora, che fu dal Giannonc rimessa al Menckc il 28 settembre di quello stesso anno (cfr. la lettera a Carlo di quel giorno, Giannoniana, n. 0 269). 1. Christian Siegmund Liebe (1687-1736), erudito e antiquario tedesco. 2. viagge,1te: viaggiatore. 3. graduazione: rango, condizione. 4. Camera: della Sommaria, ossia real patrimonio.

CAPITOLO SETTIMO

servitù, pensai che, trovandosi l'Harrach in Napoli avrei potuto dal medesimo ottenere, che nell'occasioni di nomine non si dimenticasse della mia persona. Differl egli molto la sua partenza, sicché diede aggio al marchese d' Almenara, 1 che da Sicilia erasi portato in Napoli, doppo esserne partito il cardinale, di proseguire il governo interino per più di sei mesi; onde in questo tempo che l'Harrach si trattenne a Vienna procurai che in mia raccomandazione gli parlasse il principe Eugenio, sicome fece con molta efficacia; ed io non mancai prima di partire di raccomandarmici, con presentargli un essemplare della mia opera, pregandolo di rivoltar qualche foglio del quarto tomo, dove avrebbe trovati descritti tutti i governi de' predecessori viceré di Napoli, da' quali forse avrebbe potuto ricavarne qualche profitto, con imitare i buoni e saggi, e schifare i cattivi e perniciosi·. Me ne rese molte grazie, e con somma cortesia si esibi di volermi nelle occasioni favorire; ed il principe, pochi giorni prima della sua partenza, gli mandò il suo secretario a ricordarglielo, e di mettermi in nota fra gli altri suoi raccommandati. Partì finalmente l'Harrach da Vienna nel mese di novembre di quest'anno 1728; e giunto a Napoli, cominciò il suo governo con fama d'un ministro savio, incorrotto e niente contemplativo per la corte di Roma, ancorché tenesse un figliuolo stradato2 per la Chiesa, che poi abbiam veduto auditor di Rota e, se morte non l'avesse sottratto, si sarebbe veduto anche cardinale.

II

[1729]

Nel cader di quest'anno e cominciar del nuovo 1729, ebbi notizia che finalmente, doppo sei anni, da Roma era uscita in due tomi in-quarto, la confutazione dell'Istoria civile, composta dal padre Sanfelice3 napolitano, gesuita, il quale, doppo averci travagliato 1. marchese d'Almenara: cfr. la nota I a p. 136. 2. stradato: istradato, avviato alla carriera ecclesiastica. Si tratta di Johann Emst, spentosi nel 1739. 3. Giuseppe Sa,ifelice (1665-1737), gesuita, figlio illegittimo del cavaliere napoletano Alfonso Sanfelice. Si nv~i che il Gjannone era in ottimi rap• porti con un consanguineo di Giusepp"", H cavaliere Ferdinando Sanfelice, al quale ricorse perché convincesse il padre gesuita a desistere « dal ruinare la mia opera» (cfr. la lettera al fratello, del 4 ottobre 1727, Giannoniana, n. 0 219). Ancora il 15 novembre il Giannone sperava che il cavaliere Ferdi-

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VITA DI PIETRO GIANNONE

per tanto tempo in Napoli, era passato in Roma per darla alle stampe. Era prima precorsa voce, che questo gesuita stasse in ciò occupato, ma poiché il soggetto non si reputava idoneo, né che questo peso fosse delle sue spalle, non era da molti creduto; ma dapoi si seppe, eh' egli più volte erasi portato in Roma, e communicato co, suoi amici, che bisogna che fossero della stessa sua farina, il suo disegno, ne ricevesse applauso e maggiore stimolo, sicché con più alacrità prosegui il lavoro; e tanto maggiormente, che gli diedero a sentire che il papa ne l'avrebbe molto grazia; ed il cardinale Pico della Mirandola1 era persuaso che potesse da lui uscirne cosa buona, e che discreditare non men quell'Istoria, che il suo autore; sicché per l'avvenire non fosse più letta, né guardata. Credeasi che ne fosse stato anche inteso il cardinal Sinfuego, 2 il quale, per essere gesuita, avea sommo piacere che, non :fidandosi altri frati e monaci3 che stavano attorno al papa, finalmente uscisse un gesuita, che il valesse e che rovinasse tutta quella macchina. Fu fama che la spesa della stampa l'avesse somministrata il cardinal Pico, vedendosi che non si guardò a risparmio; poiché un'opera, che si avrebbe potuto ristringere con mezzano carattere4 in un picciol volume, si volle far comparire in due in-quarto, valendosi d'un carattere pontificale5 e di carta con spazioso e ben ampio margine. Usci sotto il finto nome di Eusebio Filopatro, e se ben si fosse impressa in Roma e, come ivi si leggeva, > di Lipsia di rapportarla, 2 sicome fecero i «Giornali de' letterati» d'Ollanda, Francia ed Inghilterra ;3 onde i Gesuiti, vedendo che da tutte le parti correva per iscostumato, satirico ed ignorante della loro società, per rimediare nel miglior modo che potessero, da' giornalisti di Trévoix della lor farina, i quali riducono in compendio libri sciapiti dagli altri rifiutati, fecero riferir l'opera di Sanfelice, raccorciandola e dandole altro aspetto che il naturale e proprio, s'ingegnarono farla apparire meno deforme, 4 ma poiché de' giornali di Trévoix niuno tien conto, 1. non fu . .. manuscritte: un censimento delle copie esistenti nelle biblioteche italiane è in Giannoniana, passim. 2. non tralasciarono ... rapportarla: la notizia della polemica, come s'è annotato più sopra, fu stesa in latino da Nicola Capasso dietro richiesta del Giannone e del Garelli, i quali provvidero a farla pervenire a Johann Burckard Mencke. Non fu tuttavia pubblicata cosi come il Capasso l'aveva stesa, ma venne rimaneggiata a Lipsia, senza dame partecipazione al Giannone (cfr. la sua lettera al fratello del I s ottobre, Giannoniana, n. 324), il quale se ne giustificò coll'amico napoletano (cfr. la lettera del 26 novembre, Giam,oniana, n. 0 330, ma anche la lettera del 7 gennaio 1730, Giannoniana, n. 337). 3. sicome ... Inghilterra: questa affermazione non è stata sin qui da nessuno studioso controllata. 4. da' giornalisti ... deforme: nel periodico dei padri gesuiti, le « Mémoires de Trévoux » del 1730 apparvero tre articoli di fila: 0

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CAPITOLO SETTIMO

e come sciocchi, e perché ciascun sa che i compilatori sian gente venale e stipendiata da' Gesuiti, si rimasero quelli del Sanfelice in quel disprezzo e perpetua dimenticanza che meritavano; anzi Roma stessa si affaticava che se ne perdesse ogni memoria.

III

[I730]

Intanto in queste occupazioni ed altre appartenenti alla difesa delle cause che m'eran commesse, spezialmente d'alcune sue proprie dal marchese Clemente Doria, se ne passò l'anno 1729, ed eravamo entrati nel 1730 nel quale mi scrisse il reggente Castelli' del Consiglio Collaterale di Napoli, mio amico, ed al quale professava molti obblighi per aver prese con fervore le mie parti nella proscrizione del Sanfelice, che dovessi mandarli una esatta relazione di tutti i Consigli e dicasteri della città di Vienna, con distinzione delle loro origini, giurisdizione, numero e qualità de' ministri che gli componevano. Io nella villeggiatura di quest'anno a Pettersdorf la distesi; ma come che in villa mi mancavano alcuni libri a ciò necessari, tornato in città la perfezionai, e manuscritta gliela mandai, che dovesse servire unicamente per sua istruzione e degli avvocati, suoi e miei amici, che ne mostravano desiderio, né permettessero farne altro uso mostrandola ad altri. Ma essendo molto piaciuta, e di mano in mano passata alla notizia del conte Ferdinando d'Harrac, figliuolo del viceré, che dimorava in Napoli con suo padre, questi parlandone con altri fece che io ne fossi richiesto a Vienna d'una copia da alcuni Tedeschi, non viennesi, ma sassoni, a' quali non potei negarla, dicendomi che, non essendovi alcun autore che trattasse di proposito di questi Consigli il primo (pp. 5-11) con la recensione dell'Istoria civile, il secondo (pp. 1268) dedicato alle Riflessioni del San felice, il terzo (pp. 69-71) alla sua Difesa (che fu la replica del Sanfelice alle Osservazioni del Garofalo). 1. Domenico Castelli, oriundo di Nocera dei Pagani, reggente del Collaterale e, dal 1730, presidente interinale della Giunta dei Veleni. Era il fratello di Francesco, vicario del cardinale Francesco Pignatelli. Nell'inchiesta sulla magistratura napoletana, del 1734, la sua nota personale dice: « È un napolitano di mediocre dottrina, ma di buo~a morale, puntuale ed incorrotto. Non ha altro attacco colla Cor.e d1 Vi abbracciassero la dottrina del fato ed altre splendide fantasie ed illusioni de' favolosi Greci, sicome ce ne rende testimonianza non pur Strabone, ma l'istesso Giuseppe Ebreo, di lor nazione; , gli scorgessi in ciò uniformi e concordi, parvemi ciò da notare e non trascurarlo, sicome fin allora avea, e comunemente vedea fare a gli altri. Ebbi sommo contento e piacere, che ne' libri di sant' Agostino e negli altri antichi Padri della Chiesa, leggessi d'avere essi eziandio notato che dall'uomo, secondo il suo primiero stato di natura, descritto ne' libri dell'antica legge, non aveasi altro concetto, che di regno terreno e di felicità mondana, e sant' Agostino in più luoghi avverte, che bisognava che per l'uomo il regno terreno precedesse al celeste, affinché dalle cose mortali e terrene s'innalzasse poi alle immortali e celesti ; ed il regno terreno precedesse, e fosse all'uomo terreno, come simbolo ed immagine di quanto dovea avvenire allo stesso uomo, nello stato di grazia, nel regno celeste. Tertulliano1 chiama per ciò il celeste nuovo regno, ariguardo dell'uomo, e nuova promessa, dicendo: cc novam promissionem regni coelorum ».a E san Giovan Crisostomo3 rende grazie 1. Quinto Settimio Florio Te,-tulliano (secolo 11-111 dell'Era volgare), apologista cristiano. 2,. • novam .•. coelo,um •: cfr. Libe,- de p,aesc,iptionibw adve,-sw hae,-~ticos, x111. 3. Giovanni Crisostomo (344 circa-407), oratore cristiano, vescovo di Costantinopoli, autore di numerose omelie, trattati, panegirici e sermoni. La citazione che segue nel sermone In ascensio11em Domini, homilia XLV.

CAPITOLO OTTAVO

al Signore, il quale erasi compiaciuto d'innalzar l'uomo cotanto che, quando prima appena era stimato meritevole del regno terreno, avealo reso degno del celeste. Pareami adunque doversi considerar l'uomo secondo questi due differenti stati, riguardando il primo di natura, ed il secondo di Grazia. Il primo esserci rappresentato nel vecchio Testamento; il secondo nel Nuovo. E del mondo doversi considerare due principali epoche: la prima, che comincia dalla sua creazione, e continua sino all'imperio di Ottavio Augusto, dove non si ravvisa l'uomo se non nel suo primiero stato di natura, mortale e terreno; la seconda dalla sua redenzione, quando il Verbo, disceso in terra e presa carne umana, conversò fra gli uomini, e mostratigli nuovo lume ed altro sentiero, gl'innalzò dal fango e resegli immortali e celesti. Il principio di questa nuova epoca viene a noi additata ne' libri del Testamento nuovo, spezialmente da' quattro evangelisti, dagli Atti degli Apostoli di san Luca e dalle Epistole di san Paolo; e viene a cominciare ne' tempi d'Augusto, quando avendo data pace all'universo orbe romano, il genere umano riposava sotto un equabile, giusto e clemente imperio, ed i costumi degli uomini eransi resi più culti, docili e mansueti; e sant' Agostino riflette, che piacque al sommo Iddio, in premio della lor giustizia e d'altre virtù, ond'eran i Romani adorni, di concedergli l'imperio del mondo; affinché, resolo più culto e docile, fosser disposti gli uomini a ricever que' ammaestramenti e quella dottrina, che dovea a questo tempo recargli il suo Redentore. 1 Questi studi mi fecero in quest'anno prolungare la mia villeggiatura di Medeling; sicché non mi ridussi in città, se non ne' princìpi di settembre, con animo di proseguirgli; e disbrigato di quanto pareami bastante intorno al primo stato di natura dell'uomo, mi posi ad investigare il suo secondo stato di Grazia, che non potea altronde apprendersi se non da' libri del nuovo Testamento e da quanto i più seri e dotti espositori vi avean lavorato intorno, de' quali m'era somministrata abbondante copia dalla biblioteca cesarea, la quale era per ciò da me frequentata. Non fui impedito ne' rimanenti mesi di quest'anno di affari forensi, poiché da Napoli pochi ricorsi si aveano al Consiglio di Spagna di Vienna; mi convenne però prender la difesa nel Consiglio Imperiale Aulico della vedova marchesa di Balestrino, dama 1.

Agostino ... Redentore: cfr. i capitoli xu-x1x del libro v del De civ. Dei. 15

VITA DI PIETRO GIANNONE

lorinese, dell'illustre famiglia Leoncourt, la quale erasi portata a Vienna per una causa che ivi teneva contro il marchese suo figlio, la quale per l'eternità di quel Consiglio e per i nuovi cangiamenti delle cose d'Italia, accaduti per quest'ultima guerra, e per lei e per me riusci inutile ed infruttuosa. 1 V

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A questo tempo per la morte di re Augusto di Polonia, si ·cominciarono a sentire in Vienna gli apparecchi che si facevano per far cadere l'elezione del nuovo re in persona del duca di Sassonia, figliuolo del re defonto. 2 Né si poté mai sapere a qual fine et cui bono, l'imperadore si fosse mosso ad intraprender l'elevazione di quel principe al trono di Polonia ve trovava il Pasqualigo, il quale solea con la sua gondola, doppo avere spasseggiato1 il Canal Grande ed osservati gli ampi edifici della sua riva, condurmi la sera in casa dell'avvocato Terzi, 2 non molto lontana da quella del Pisani. Ivi trovava alquanti eruditi gentiluomini, e sovente l'abate Conti, co' quali fino alle tre della notte3 soleva trattenermi; e poi, con un servitore del Pisani che veniva a prendermi col lume, mi ritirava a casa; e così proseguendo, eravamo già entrati ne' princìpi del mese di settembre. Il giorno 13 di questo mese, martedì, giorno per me sempre memorando, ebbi la mattina una lunga visita dal senatore Antonio Cornaro, 4 col quale fin ad ora di pranzo tenni lunghi discorsi sopra varie materie istoriche e filosofiche. Il dopo desinare, secondo il solito, mi portai in casa del Bettoni, dove trattenutomi alquanto con que' gentiluomini soliti ivi a ragunarsi, dal Pasqualigo in sua gondola fui condotto al solito spasseggio del Canal Grande; e fattasi sera, lo pregai che mi conducesse in casa dell'avvocato Terzi. Trovai ivi la solita radunanza di gentiluomini, alla quale poco dapoi sopragiunse l'abate Conti: sonate le tre della notte, ciascuno prese la via di ritirarsi a sua casa, chi per acqua, chi per terra; quella notte l'abate Conti, calandocene insieme secondo che portava il discorso cominciato, non si staccò da me per lungo tratto di cammino, avviandosi meco e tenendomi compagnia per tutto il campo di Santo Stefano; quando poi si prese il vicolo stretto, che conduce al ponte avanti il monastero, 5 ci licenziammo insieme, egli tornando indietro per condursi in sua casa, io proseguendo oltre col servidore del Pisani che portava avanti il lume passai il ponte6 1. spasseggiato: percorso lentamente, come a passeggio. 2. Giuseppe Terzi; il PANZINI, p. 81, lo chiama conte e « avvocato di gran fama». 3. tre della notte: cioè tre ore dopo il vespro, le ventidue circa. 4. Cornaro: Corner. 5. il monastero: degli eremiti agostiniani, che diede il nome al campo. 6. il ponte: probabilmente il Ponte dei Frati.

VITA DI PIETRO GIANNONE

e giunsi al campo di Sane Angelo; nel volgermi a man sinistra per entrare nel palazzo Pisani, che era poco discosto: ecco che da, lati m,usciron due uomini innanzi, i quali postomi in mezzo mi dissero che io era preso; ed intanto, dando segno co' loro fischi a gli altri, mi vidi circondato da gran turba di birri, che in Venezia chiamano «zaffi», e dicendogli chi io era, e che forse prendevan abbaglio, e per uno avesser fatta preda di un altro, mi replicarono ch'essi ben mi conoscevano, e che bisognava venire dov'essi mi avrebber condotto; e frettolosamente traversato il campo di Sant' Angelo e postomi sul capo un mantello, perché non fossi conosciuto, mi condusser per que' stretti vicoli, senza sapere dov'io fossi, fin che non giungessi nella piazza di San Marco. Se ben di notte fossi così rapito, nulladimanco non essendo ancor le botteghe tutte chiuse, la gente curiosa, secondo che più s'avanzava di camino, più cresceva, ed accorrendo da tutte le parti maggior numero di zaffi, mi vidi in mezzo la piazza di San Marco, circondato da un immenso stuolo di vii plebaccia, che quasi empiva tutto quello spazio. Allora più cose si ravvolgevano per la mia mente, fra !'altre pensando che finalmente la corte di Roma ed i Gesuiti eran venuti a capo delle loro gabale ed insidie, dalle quali era difficile di poterne un uomo onesto scampare, ed a quali duri strazi ed altro infelice fine sarei stato io riserbato. Considerava quanto instabili e volubili fossero le umane vicende e quanto folle era colui che in lor poneva speranza: quella stessa piazza, dove sovente circondato dalla primaria nobiltà, a gara senatori ed altri gentiluomini concorrevan in rendermi onore e cortesia, la vedeva cambiata in uno sconcio e rozzo teatro, dove in mezzo alla vile e succida1 plebe era miserando spettacolo della loro compassione, e forse anche dclii loro scherni e derisione. Avendo io però preparato l'animo ad ogni sinistro caso, seguitava i miei rattori2 ove mi traevano, per vederne il successo. Mi condussero nelle stanze del « Misser grande» (che così chiamano in Venezia il Bargello Maggiore) 3 il quale abitava alle Pro1. succida: sudicia. 2. ,attori: rapitori. Tutto l'incartamento dell'arresto, già pubblicato dal Pierantoni in appendice alla sua edizione del Ragguaglio, è ora in Giannoniana, pp. 370 sgg. 3. Misser .. . Maggiore: ricopriva l'ufficio, in quegli anni, Sebastiano Bonapacc, del quale ci sono pervenute le relazioni dei pedinamenti predisposti e dell'arresto (cfr. in Giannoniana, loc. cit.).

CAPITOLO DECIMO

2

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curatie Vecchie di San Marco. Questi, in vedermi, mi disse che io non mi sgomentassi, poiché non era stato preso per condurmi in carcere, ma per ordine degl'Inquisitori di Stato, i quali volevano che io tosto uscissi da Venezia e da' suoi domìni, fuori de' quali sarei stato condotto, e che si mandava ora un fante, 1 che dovea accompagnarmi, in casa Pisani perché si facesse consignare tutta la mia roba, per meco portarla dovunque uscito da' confini mi piacesse andare. A ciò gli risposi che, per far questo, non ci bisognavano tanti apparati e tante turbe: bastava a' signori Inquisitori, se non per mio riguardo, almanco per rispetto d'un lor senatore in casa di chi io dimorava, che mi facessero sentire esser questo lor piacere, che sarebbero stati immediatamente ubbiditi, di immantinente partire; poiché a me la sola necessità mi costringeva a dimorar a Venezia, non già voglia o piacere che n'avessi. Intorno alla mia roba, non era sì poca che potesse farsene subito fagotto e portarlo meco; che io aveva una piccola biblioteca, la quale ben poteva rimanere in casa del Pisani, che sarebbe rimasa in buone mani fin a tanto che io, fermato altrove il mio domicilio, non avessi colà potuto farla trasportare. Intanto, bastava che si facesse consignare il mio forziere, ov' erano alquanti miei denari ed altre robe, per supplire a' bisogni del viaggio, poiché il rimanente si avrebbe potuto mandar doppo. Ma mentre io così parlava al «Misser grande», il fante era già partito per casa Pisani, senza che si fosse dato tempo di dirli che cosa dovesse portarmi; né frattanto dalla casa Pisani, il quale dal suo servidore avea già saputo il mio arresto, vedeva persona colla quale potessi tutto ciò dire, rimanendo colla speranza che il fante, communicando al Pisani la mia sollecita partenza per ordine degli Inquisitori di Stato, i quali volevano che mi si fosse data la mia roba, il Pisani gli consignasse ciò che era necessario per un sì improviso e sollecito viaggio. Il ,, Misser grande», sicome mi sollevò in dirmi che questo fosse ordine degli Inquisitori di Stato, poiché era sicuro che la calunnia tosto si sarebbe scoverta, non avendo io né per pensiero macchinata cos'alcuna contro la Repubblica; così mi attristò, quando poi mi soggiunse che l'~rdine era di condurmi per acqua a' confini dello Stato ecclesiastico, in Crespino, villaggio del Ferrarese. Allora co1.

un/ante: si chiamava Isepo (o Giuseppe) Bartoletti.

VITA DI PIETRO GIANNONE

minciai a pregarlo che mi portassero in altro confine, o in Triesti, o altra parte che non fosse dello Stato del papa, sapendo tutti le persecuzioni che m'eran date da quella Corte, e che io non era sicuro, capitando in luogo sì inimico e sospetto; che ben si sarebbe adempito l'ordine degli Inquisitori portandomi altrove, i quali forse, se avessero a ciò avvertito, avrebbero prescritto altro confine, non credendogli cotanto spietati e barbari, che volessero darmi in preda de' miei fieri ed implacabili nemici; ma colui si scusava non poter un punto trasgredire gli ordini dati, né vi era questo tempo, essendo ormai la mezzanotte, di potergli parlare; ingegnandosi di persuadermi che non dubitassi di funesto accidente, poiché in Crespino avrei trovata pronta comodità di passar presto in altro Stato, che non fosse della Chiesa romana. Con questa aggitazione io era, aspettando il ritorno del fante dalla casa Pisani colla roba per partire. Era questi un vecchio scimunito, il quale giunto che fu dal Pisani, non gli disse altro che per ordine degl' Inquisitori di Stato gli consignasse tutta la mia roba, senza dirgli che io dovea partir subito, e che la roba si cercava per meco portarla: ciocché ben potea dire, poiché il Apocalisse, per la grande città da lui chiamata Babilonia intese di parlar di Roma corrotta ;2 e di lei pur intese, quando ci descrisse quella meretrice ornata di porpora, gemme ed oro, la quale, prostituita sovra sette colli, fu veduta sfacciatamente puttaneggiar co' reggi ;3 sicome Dante ce ne fece pur accorti.4 A me, che non per odio altrui o per disprezzo, ma unicamente per amor della verità e per investigarla fra l'oscurità de' più incolti e tenebrosi secoli ho sofferte tante fatiche e travagli, se accaderà fra queste alpestri rupi lasciar il mio corpo esanime, pregherò Iddio, ch'è la Verità istessa, che accolga il mio spirito in pace: e sicome per lei ho sofferti tanti strazi e martìri, giusto è che finalmente diale tranquillità e riposo. Pregherò pure i paesani e viandanti che traversando per questi monti, e dovendo, nel passar per la Savoia in Francia, calcar la strada donde non molto lontano vedesi il castello di Miolans, volti i loro pietosi occhi al gran sasso sotto il quale giaceranno sepolte le mie fredde ossa, mossi da spirito di pietà, in passando lor dicano: « Ossa aride ed asciutte, abbiate quella pace e riposo che vive non poteste ottener giammai ». . 5 I737

15 settembre. - Da Miolans giunsi alle carceri della Porta del Po. 20 I. « ut

settembre 1737. - A Torino. 6

... reges »: « avendo gH stessi re per strumenti di servitù». 2. san Girolamo . .. corrotta: cfr. Liber de viris illustribus, in Migne, P. L., x.x:111, col. 654 (Gerolamo cita non l'Apocaluse, ma J Petr., 5,13). 3. quella meretrice . .. reggi: cfr. Apoc., 17, 1-4. 4. Da11te . .. accorti: cfr. lnf., XIX, 108. 5. Cfr. Dante, In/., xx, I: «Di nova pena mi conven far versi». 6. A Torino: in una lettera da Ceva, del 6 luglio 1738, edita in P. OcCELLA, Pietro Giannone negli ultimi dodici anni, cit., p. 689, in nota, il Giannone scriveva di andar riprendendosi, nella nuova prigione, a dalli patimenti che ho sofferti nelle carceri di Porta del Po dove, se io fossi più dimorato, ci avrei sicuramente perduta la vita 11,

CAPITOLO DECIMOPRIMO

345

I738

27 gennaio 1738. - Il padre Prever. 1 15 marzo. - Precedenti informo 2 del suddetto padre e lettera del re a Roma, fu spedita dalla Sacra Congregazione del Santo Ufficio commissione al padre maestro fra Giovanni-Alberto Alferio,3 vicario generale del Santo Ufficio di Torino, di ricevere la mia retrattazione, con istruzioni per sé ed il padre Prever, mio confessore e direttore di mia coscienza; il quale, portatosi in dette carceri col detto padre, a' 4 aprile ricevé la mia deposizione, ed in conseguenza la retrattazione, secondo l'istruzione mandata sopra i punti in essa prescritti. In esecuzione di detta commissione fummi data assoluzione di tutte le censure, interdetti, etc., e data licenza al detto padre Prever di ricevere la mia confessione, ed assolvermi di tutti i peccati e casi riserbati in Roma alla Sacra Congregazione del Santo Ufficio. 4 Il libretto Jani Perontini etc. 5 fu condennato in Roma a' I 7 agosto 1735, come continente ccpropositiones respective falsas, contumeliosas, scandalosas, simplicium seductivas, iurisdictioni Ecclesiae iniuriosas, temerarias, erroneas et haeresi proximas ». 6 Questo libretto diede motivo alla Sacra Congregazione del Santo Ufficio di scrivere all'Inquisitore di Venezia di stargli sopra; ma non poté conseguir niente, perché andava molto riguardoso, per non perder quell'asilo e per poter conseguire nell'Università di Padoa una lettura, sicome significò quell'Inquisitore. Poco dopo si seppe che in Venezia, di notte tempo, era stato arrestato e posto in una peota, affine di sbarcarlo fuori di Stato. L'avviso, però, giunse troppo tardi, non ostanti le precedenti diligenze usate dalla Sacra Congregazione in ordinare alli Inquisitori di Ferrara, Genova, Firenze, Pisa e della Lombardia, perché dovesI. Giovan Battista Prever ( 1684-17 5 1 ), canonico di Giaveno. 2. informo: informazione. 3. Aljerio: Giovanni Alberto Alfieri da Magliano (morto nel 1742). 4.ftt spedita ... Ufficio: sulle trattative intercorse tra la Curia e la Corte sabauda per for abiurare il Giannone, si veda P. 0CCELLA, Pietro Giannone negli ultimi dodici anni, cit., pp. 680 sgg. Per la storia della diffusione del testo dell'abiura, sino alla sua stampa, si veda S. BERTELLI, L'incartamento originale, cit., pp. 31~6. 5. Jllibretto . .. etc.: il De Consiliis, ac Dicasteriis, quae in Urbe Vindobona liabentur, sul quale vedi la nota I a p. 184. 6. 1 proporitiones ... proximas »: 1 proposizioni rispettivamente false, calunniose, scandalose, corruttrici dei semplici, ingiuriose verso la giurisdizione della Chiesa, temerarie, erronee e prossime all'eresia».

VITA DI PIETRO GIANNONE

sero arrestarlo; poiché, giunto l'avviso da Venezia, era già passato alla volta di Ginevra. I manuscritti lasciati a Milano si mandarono dal re al papa, il quale, per mezzo del cardinal Alessandro Albani, 1 li fece consignare in Sacra Congregazione, con ordine di ritenerli sotto chiave; sicome dopo mandò gli altri manuscritti che si ricuperarono da Ginevra. A' 5 aprile fu a visitarmi l'abate Palazzi.2 A' I 5 giugno, domenica, partii da Torino e fui condotto nel castello di Ceva, dove giunsi la mattina de' 17 del suddetto mese. In novembre caddi infermo, e durò la grave mia infermità per tutto febbraio del 1739. I739

Fui con carità assistito dal signor cavalier de Magistris. 3 Liberato che fui dalla malattia, cominciai a stendere da' mie cartuccie i Discorsi sopra Livio, nel principio di marzo, e gli terminai al dì 15 maggio. E furono mandati a Torino con lettera al signor marchese D'Ormea, pregandolo di presentarli al re, a cui erano dedicati, li 8 giugno. A' 4 novembre di nuovo m'infermai dell'istessa malattia, non così forte come l'anno scorso, e mi durò due mesi, con tre altri mesi di convalescenza. I740

Quest'anno, per gli eccessivi freddi e per la morte di papa Clemente XII, seguìta a' 6 febbraio, fu memorabile, sico1ne per l' elezione del nuovo papa Lambertini,4 seguìta li 16 agosto; ma assai più memorabile per la morte dell'imperadore, da me saputa la domenica 30 ottobre, seguìta in Vienna li 20 del suddetto mese. Pure a' princìpi cli novembre m'informai, e durò la malattia fino ad aprile del seguente anno.

1. Alessandro Albani (169~-1779), nipote di Clemente XI, era il cardinale protettore del re di Sardegna in Curia. Sul suo ruolo nella vicenda giannoniana cfr. S. BERTELLI, L'incartamento originale, cit., pp. 23 sgg. 2. l'abate Palazzi: l'abate Palazzi di Selve. 3. Il conte Giuseppe Amedeo de Magistris, colonnello comandante del Forte di Ceva dal 1726 al 1739. 4. Prospero Lambertini (1675-1758), solito al soglio nel 1740 con il nome di Benedetto XIV. 5. I74I: cosi termina il manoscritto.

ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI

NOTA INTRODUTTIVA Quando Giusto Fontanini scriveva a Domenico Passionei, avvisandolo che « a Napoli un tal Giannone con la direzione di altri settari» aveva stampato una storia del Regno «piena di orrendissime furfanterie contro il papato », 1 il nome dello storico era del tutto sconosciuto, la sua opera cominciava appena a circolare ed era forse già celebre non tanto per il contenuto, ma per la vicenda dell'autore, costretto a scappare da Napoli appena quindici giorni prima, a cercar rifugio a Vienna. L'arcivescovo di Ancira quell'opera non l'aveva mai aperta; ne conosceva degli stralci dal primo e dal secondo volume, che il bibliotecario del cardinale, Renato Imperiali, gli aveva letto giorni prima. Eppure egli era già al corrente di come l'Istoria ci.vile fosse stata compiuta sotto « la direzione di altri settari», non fosse insomma parto d'un singolo autore, come appariva dal frontespizio suo. Questa affermazione può ritrovarsi nella polemica risposta del gesuita Giuseppe Sanfelice, laddove questi scrive che l'opera era nata a: coll'aiuto ed industria di altri eruditi, e riguardevoli letterati» :2 dove, si noti, l'avviso non ha ancora il valore di accusa dispregiativa, ma solo di constatazione d'un fatto. Ben altrimenti questa notizia sarebbe stata sfruttata nel libello del Sanfelice, se questi ne avesse compreso l'insito valore denigratorio. Per lui, invece, non era che un puro dato di fatto, utile soltanto a coinvolgere nell'accusa di ateismo l'intero gruppo d'intellettuali napoletani che attorno a Gaetano Argento si era riunito. Saranno per i primi Bernardo Tanucci e Pietro Metastasio ad usare questa notizia nel senso di svilire l'impegno giannoniano. Il Tanucci, dicendo ad un suo ignoto corrispondente: «Non vi faccia specie Giannone. Egli all'opera forense contribuì con pochi materiali forensi e la sfacciataggine, il resto fu di Capasso, di Cirillo, d'Aloisio, gente di cattedra che, come sapete, è inquieta in tutte le parti del mondo» ;3 il Metastasio scrivendo al grecista napoletano Saverio Mattei nell'ottobre del 1775, sullo stesso tono del Tanucci, aggiungendo di suo i nomi dell'Argento e dell'lppolito.4 « Inverisimilissima leggenda» la definì il Nicolini, servita ai denigratori del Giannone, a cominciare da quell'arcivescovo di Bostra, Domenico Arcaroli, autore d'un Ristretto della vita di Pietro Giannone (1787), giù giù sino a Giovanni Bonacci; e aspramente ribattuta da 1. C fr. BERTELLI, p. 181. 2.. Cfr. Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria citJile del regno di Napoli. Esposte al publico in più lettere familiari di due amici da Eusebio Filopatro .. . , Colonia (ma Roma) 1728, I, p. 45. 3. Cfr. Giannoniana, pp. x e 124. 4. Cfr. S. MATTBI, Memorie per servire alla vita del Metastasio . .. , in Colle 1785, p. 33.

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tutti i suoi sostenitori, da Leonardo Giustiniani sino al Croce e al Nicolini stesso. 1 Gli uni e gli altri fermi alle sole affermazioni del Metastasio, ignorando non solo le due sino ad oggi inedite lettere del Fontanini e del Tanucci, ma non rilevando come la stessa notizia fosse anche nel libello del Sanfelice. Ancorati, tutti, al fatto personale, alla necessità di sminuire o sostenere la figura del Giannone, presa a sé, avulsa dal contesto storico politico in cui essa venne formandosi. Per la verità, lo stesso Giannone, nella sua autobiografia, ci informa come l'accusa fosse nata concomitante all'apparizione dell'Istoria cimle: «Que' medesimi che prima, per la mia ritiratezza, mi avean dato il sopranome di "solitario Piero", ora, dimenticati della mia solitudine e del corso di tanti anni, cominciarono a dire che io non poteva essere stato solo l'autore di una sl voluminosa e laboriosa opera, ma che altri mi avesser somministrato aiuto e la materia, chi nominando l'Argento, chi l' Aulisio, e chi altri miei amici ».2 In tal caso, dunque, l'arcivescovo di Ancira non avrebbe fatto che raccogliere voci napoletane, d'invidi e malevoli, facendole proprie. Già, ma per lo storico anche il falso ha valore, e noi che non ci ergiamo a giudici, né condanniamo o assolviamo, dobbiamo porci la domanda del fondamento d'una simile accusa; e ci sembra che lo stesso Giannone, nelle pagine precedenti della autobiografia, ne fornisca la spiegazione. L'origine dell'Istoria civile è remota, risale ad almeno vent'anni prima della sua pubblicazione, quando le discussioni nell'Accademia dei Saggi in casa dell'Argento misero a fuoco la necessità di affrontare lo studio dell'età di mezzo, di quel diritto longobardo «a quo feudalia iura fluxerunt », come aveva notato per il primo Francesco D'Andrea nella sua Disputatio an fratres in f euda nost1-i Regni succedant (1694), definita «stupenda» dal Giannone. In quell'opera un intero capitolo era stato dedicato al ius Longobardorum e alla disamina u qua ratione in nostro regno esset ius commune ». Il D'Andrea, insomma, apriva le menti dei giuristi meridionali sulla disputa tra lois civiles e coutumes, parlava di ius naturae et gentium sulle orme del van Groot e di Samuel Pufendorf, polemizzava col potere feudale, intaccava le prerogative, anche giudiziarie, del baronaggio nel Regno. Non è il caso di richiamare il significato di questa battaglia, quali forze si muovessero dietro questi testi giuridici, del D'Andrea come di Serafino Biscardi, del van Groot come del Pufendorf o di Jacques Cujas. 3 Quello che importa qui notare è come su questi testi si venissero formando i giovani praticanti dell'Argento, quanto la loCfr. N1cOLINI, Scritti, p. 94, dove sono tutti i rinvii bibliografici in merito. Cfr. Vita, qui a p. 81. 3. Basti il rinvio agli studi del Marini citati in bibliografia, e a S. MASTELLONE, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze 1965. 1.

2..

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35 1

ro ricerca fosse nel campo della storia del diritto, quanto essi fossero più storici che glossatori, più interessati al de origi,ne iuris che non all'analisi di questa o quella pandetta, di questa o quella novella. È in un tale ambiente che nasce la prima idea dell'Istoria civile, o più precisamente di un'opera che riprendesse, per il regno di Napoli, la tematica affrontata da Arthur Duck nel suo De usu et authoritate iuris civilis Romanorum in dominiis principum christianorum (1653). In questo senso può ben dirsi che non si trattasse d'un'opera d'un singolo - anche se materialmente stesa e portata avanti da uno solo dei membri di quell'Accademia. L'Istoria civile nacque dunque da una discussione e da un'elaborazione collettiva; e fu inizialmente indirizzata secondo gli interessi e la problematica dell'intero gruppo che attorno ali' Argento si riuniva. La svolta decisiva in questa impostazione, il contributo originale che impose il Giannone alla testa del gruppo, fu lo scarto dalla discussione sui diritti feudali del baronaggio laico, a quella sui diritti della feudalità ecclesiastica. Una volta stabilita l'impossibilità di affrontare la storia del diritto senza inglobarla nella più ampia cr storia civile» (secondo l'indicazione baconiana, come lo stesso Giannone riconosce), ci si accorse che « Il diritto canonico non dovea più riguardarsi come appartenenza del civile e ravvisarlo ne' codici degl' imperadori Teodosio e Giustiniano, e nelle Novelle degli altri imperadori d'Oriente, ed in Occidente ne' Capitolari di Carlo Magno, di Lodovico e degli altri successori imperadori. Se n'era già fatto corpo a parte, separato ed independente, che riconosceva altro monarca e legislatore, anzi, emulo delle leggi e del diritto civile, cercava abbatterlo e sottoporlo a' suoi piedi». 1 Facendo una simile scoperta, il Giannone era ben conscio delle difficoltà dell'impresa: « Conosciuta da_ ciò e da altri portentosi cangiamenti la necessità che a' di nostri non poteva scriversi un'esatta Istoria cif.Jile, se non si teneva conto non men dell'uno che dell'altro stato, mi vidi atterrito dall'ardua impresa, quasi fuor di speranza di poterne venire a capo».'- Prosegui tuttavia nell'impresa, lavorandovi con accanimento anni ed anni. Si è detto che questa fu una svolta: e una svolta fu in effetti non solo storiografica, ma politica. Occorre infatti chiedersi perché mai i seguaci, gli allievi del D'Andrea, anziché proseguire l'attacco alla feudalità laica, abbiano preferito la lotta giurisdizionalistica, abbiano spostato il tiro della loro polemica contro la feudalità ecclesiastica. Le linee, i fini generali della battaglia non mùtano. Si tratta, sempre, nell'uno come nell'altro caso, della difesa del regi,us fisau, della difesa dello stato assoluto contro la frantumazione della sovranità nelle tante I.

Cfr. Vita, qui a p. 57.

2.

Cfr. Vita, ivi.

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isole baronali, vescovili ed arcivescovili. Questa difesa delle «regalie• ha, nel Regno, contorni e significati assai precisi, come ha ben dimostrato Raffaele Ajello recentemente. 1 Nella carenza del potere centrale, nella difficoltà di un immediato recursus ad principem da parte dei sudditi del Regno, la nobiltà di toga tende a riempire questo vuoto di potere, facendosi depositaria del diritto. Essa è natura/iter portata a contrastare la legittimità della giurisdizione feudale nobiliare ed ecclesiastica. La lotta delle magistrature napoletane si rivela sempre nella continua ed esasperante e tenace avocazione a sé di tutte le cause del Regno (e tralasciamo qui, perché esorbita dalla nostra indagine, l'osservazione di come questa rivalità fosse anche all'interno della magistratura regia, tra tribunale e tribunale), nel contrastare passo passo la sfera giurisdizionale del primo e del secondo stato. Il Collaterale diviene il centro di questa lotta, così come, pochi anni dopo, apparirà dilatata, al suo fianco, la magistratura del Cappellano maggiore, nella lotta specifica contro la giurisdizione ecclesiastica. Questa battaglia di predominio si ammanta e si avvale, ovviamente, di argomentazioni ideologiche. Diritto di natura e diritto delle genti appaiono potenti leve ideali contro la difesa del droit coutumier; sicché l'offerta di collaborazione avanzata da questi giuristi al monarca non è già, come a prima vista potrebbe apparire, una adesione loro al1'assolutismo, ma, nella particolare situazione napoletana, una richiesta di mandato rappresentativo del regius fiscus ai togati, da far valere nei confronti della nobiltà laica ed ecclesiastica. La contestazione del potere baronale è portata innanzi, come s'è detto, dal D'Andrea, nella sua Disputatio come nella sua più celebre Risposta al trattato delle ragioni della Regina Cristianissi.ma sopra il ducato del Brabante (1667-1676). Su questa strada non fu però seguìto dalla massa dei togati e tra questi proprio dal fratello Gennaro, il quale aveva invece mirato all'acquisto d'un titolo nobiliare pur essendo salito alle più alte cariche nella magistratura del Regno. 2 Il piano di Francesco, di • ascendere al comando e all'amministrazione di tutta la repubblica• (cioè, della res publica) e di poter •comandare a tutto il baronaggio », 3 si scontrava così con una più complessa realtà, nella quale quello che fu detto il « ceto civile» non si presentava affatto omogeneo né con unità d'intenti e di scopi. Troppo stretti erano i legami tra giuristi, avvocati e magistrati da una parte, e baronaggio dall'altra, perché la lotta antibaronale potesse essere spinta oltre certi limiti. ManI. Cfr. Il problema della riforma giudiziaria e legislativa del reg110 di Napoli durante la prima metà del sec. XVIII, Napoli 1964. 2. Su di lui si veda la nota I a p. 59. 3. Cfr. Avvertimenti ai nipoti, editi col titolo I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento, Francesco D'Andrea da N. Conese, Napoli 1923, pp. 173 e 207.

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cava a questo «ceto », soprattutto, un suo carattere distintivo, una coesione che lo opponesse dialetticamente al baronaggio, e questo fu il suo più grave limite, che gli impedl, appunto, cli riconoscersi come ceto. Più facile, invece, la battaglia contro la feudalità ecclesiastica, contro l'intromissione di Roma negli affari del Regno. Qui era possibile ritrovare un'unità politico.;ideologica, su questo terreno era persino facile stabilire un accordo, un'alleanza col potere baronale. Oltretutto, questo era il terreno più debole, dove l'avversario aveva meno possibilità di difesa, che non fossero le armi spirituali, la messa all'Indice dei libri, la scomunica di magistrati o di autori di trattati de re beneficiaria. Come si sperimentò appunto nella prima di queste battaglie, con l'uscita delle opere dell'Argento, di Costantino Gri-maldi e di Alessandro Riccardi, nel 1707. La svolta pare vada situata proprio in quell'anno; anche se il Giannone, nell'autobiografia, sembra porla in un momento immediatamente precedente; ma non è escluso che la necessità di non interrompere il discorso lo abbia costretto ad anticipare nell'ultimo paragrafo del terzo capitolo dell'autobiografia, ciò che avrebbe dovuto porre in apertura del quarto capitolo. In realtà, il 1707 è una data importante nella vita del Regno: essa segna, per la prima volta, il passaggio dalla corona spagnola alla corona imperiale, corona che da due anni gravava sul capo di Giuseppe I, un imperatore il cui regno fu troppo breve perché si potesse attribuire a lui, e non al suo più tardo successore, la politica che fu detta «giuseppinismo D. Perché è ben vero che Napoli, come parte integrante della monarchia di Spagna, rimaneva sotto la sovranità del fratello dell'imperatore, Carlo, e della sua corte di Barcellona, opposta a quella di Madrid di Filippo d'Angiò; ma è anche vero che a capo del viceregno furono successivamente posti due uomini della corte di Vienna, ben più legati a Giuseppe che a Carlo: il conte Georg Adam von Martinitz prima, il conte Philipp Lorenz Wierich von Daun poi. Non solo, ma la necessità di costringere il papa a schierarsi dalla propria parte spingeva i due fratelli, a Vienna e a Barcellona, ad attuare una medesima politica dai ·caratteri fortemente giurisdizionalistici che solo più tardi, scomparso Giuseppe e succedutogli sul trono imperiale Carlo, verranno attenuati sino a scomparire del tutto in cambio del riconoscimento della Prammatica Sanzione, attorno al 1725. Il nuovo dominio in Napoli si aprì quindi c9n una forte carica giurisdizionalistica e il primo importante scontro con Roma fu sull'applicazione e l'osservanza dell'editto di Carlo sulla collazione dei be-nefìci ecclesiastici. Tra il 1707 e il 1709 si ebbero perciò una serie di scritti, «a pro' degli editti di Sua Maestà Cattolica intorno alle 2J

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rendite ecclesiastiche,, {per dirla col titolo dell'opera del Grimaldi), tutti usciti dal gn1ppo dell'Argento. E fu proprio questi ad aprire il fuoco, con le tre dissertazioni De re beneficiaria, che apparvero una novità per il programma politico dei giovani dell'Accademia dei Saggi; come testimonia ancora una volta il Giannone, quando nell'autobiografia ci dice che il loro maestro «entrò in questi studi affatto nuovo e niente versato nelle cose ecclesiastiche, essendo stati tutto altri i suoi precedenti studi ». 1 Dalla tematica antibaronale del D' Andrea si passava infatti, ora, alla tematica giurisdizionalistica. Giannone, che pensava ancora ad uno sviluppo dell'opera del Duck in una prospettiva regnicola, capì quali enormi implicazioni avesse in sé questa svolta e fu pronto ad abbandonare le precedenti impostazioni per la nuova. Del resto, la sua pratica nei tribunali l'avrebbe portato quasi di necessità ad una simile decisione. Come scrive uno dei suoi biografi settecenteschi, Michele Maria Vecchioni, 2 fra «le prime procure, ch'egli ricevette, e dalle quali cominciò a trarre profitto, e sostegno della sua povera vita, una fu, e forse la principale, quella del principe d'Ischitella suo barone». Accanto a questa causa (ed altre baronali, come quelle in difesa di don Francesco Carafa duca di Frosolone e marchese di Baranello o l'altra in difesa di Isabella Spinelli contessa di Bovalino), egli sostenne anche la difesa dell'università di San Pietro in Lama contro il vescovo di Lecce, conoscendo cosi due aspetti peculiari della società regnicola. Egli fu contemporaneamente l'avvocato del proprio barone, e l'avvocato di comunità angariate dalla feudalità ecclesiastica. Ma non fu mai, invece, il difensore degli oppressi contro il potere baronale. Pertanto, nella difesa del regalismo, dell'assolutismo, egli preferì le nuove posizioni giurisdizionalistiche, a quelle antibarona)i d'un D'Andrea. Una tale scelta ebbe, naturalmente, implicazioni anche nel giudizio storico ch'egli s'accingeva a dare. I Longobardi, nel cui diritto il D'Andrea aveva indicato la fonte degli abusi feudali, si mutarono nell'Istoria civile nel popolo che più aveva rispettato e salvaguardato il diritto romano; ma soprattutto gli apparvero come i fondatori del nuovo stato, anzi della «nazione» napoletana. Il ducato di Benevento e la sua storia divennero la matrice della storia del Regno. Accanto a questa ricerca sulla storia medievale del Regno, ne affiancò un'altra, sull'evoluzione dei revenus ecclesiastici, alla quale consacrò, a chiusura d'ogni libro, una trattazione specifica. Sua guida furono in particolare due autori: Huig van Groot per l'alto medioevo 1. Cfr. Vita, qui a p. 64. 2. Vita di Pietro Gian,ione dottore di leggi e celeberrimo istorico del regno di Napoli scritta dal signore N . .. N . .. giureconsulto napoletano, in Palmira l'anno MDCCLXV, All'insegna della Verità, p. 5.

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e per la storia longobarda; Louis Ellies Du Pin per la storia ecclesiastica. A questo nesso per lui inscindibile tra storia profana e storia ecclesiastica, a questa • \lmanizzazione » della storia della Chiesa, egli tenne particolarmente, giudicando, a ragione, di aver compiuta opera nuova e mai prima d'allora tentata. Quando Nicolas Lenglet Du Fresnoy ripubblicò, aggiornata nel catalogo dei principali scrittori, la sua Méthode poi,r étudier l' histoire, e tra gli scrittori di storia napoletana inserì anche una Istoria del regno di Napoli che era poi la sua I storia civile, egli prese in mano la penna non tanto e non solo per ribattere all'accusa di essere un «auteur ..• scàvant et bardi et mème extremèment téméraire », ma per insistere su quell'aggettivo «civile», perché la sua fatica «per la nuova forma, e per la materia, che tratta, è tutta differente dalle altre istorie di quel Regno, e perciò porta il titolo d'Istoria civile, e non semplicemente: d'Istoria ». 1 Se, in questa sua impresa, egli sia ò meno riuscito a darci una storia globale e unitaria, è tutt'altro problema. Non si può certo pretendere che il tentativo d'unire i due filoni storiografici tradizionali giungesse a risultati sensazionali da questo punto di vista. In verità, i due temi, della storia profana e della storia ecclesiastica, raramente si fondono in un discorso unitario; anzi, proprio la particolare trattazione, in capitoli distinti, della storia del progresso dei beni temporali della Chiesa, è palese dimostrazione di come le difficoltà non siano state del tutto superate. E tuttavia, quale scossone fu, l'apparizione di quest'opera, nel mondo d'allora! I contemporanei non tardarono ad accorgersi della forza dirompente del lavoro giannoniano, forza ch'esso serbò a lungo intatta. Se il materiale dell'opera, per il primo e il secondo tomo, era fornito in prevalenza dal Du Pin e dal van Groot, in effetti la tematica che vi era sviluppata non era sorretta soltanto o principalmente dalle posizioni giusnaturalistiche o gallicane di quegli autori, ma dal più radicale e rivoluzionario discorso dello spinoziano Tractatw theologico-politicw, che il Giannone aveva conosciuto, probabilmente, per il tramite d'un altro suo maestro, Domenico Aulisio. 2 La riduzione che il Giannone operava della religione a fatto umano, l'osservazione distaccata delle pratiche di culto e dell'evolversi della teologia cattolica, la lai1. Il testo della lettera in Giannoniana, pp. 71-2. t da rilevare che nella edizione veneziana del 1726 1 a appresso Sebastiano Coleti 11, nel volume 11, a p. 273, la citazione è corretta, e la nota mitigata. 2. La tematica spinoziana è chiaramente rilevabile in un'opera postuma dell' Aulisio, uscita per interessamento del Giannone: Delle scuole sacre libri due postumi .•• ooe s' ha l'origine, mirabile progresso e sacrilego fine delle scuole sacre fra gli Ebrei, Napoli 1723. Degli excerpta spinoziani, dal Tractatus e dall'Ethica, erano posseduti manoscritti dal Giannone · sin dagli anni napoletani: cfr. Giannonia11a, p. 414.

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cizzazione della Sedia apostolica, l'ideale panteistico d'una religione ricondotta alle origini del cristianesimo (e più tardi, addirittura, alla mitica età noetica) erano tutti motivi spinoziani, sviluppati ora in un preciso contesto storico, nella storia dell'Italia meridionale. Il discorso giannoniano, naturalmente, era arricchito da vaste letture di autori eterodossi, eh' egli aveva potuto conoscere sfruttando, soprattutto, la biblioteca di Giuseppe Valletta. Per averne la prova, basti scorrere rapidamente le note apposte ai brani dell'Istoria che qui presentiamo. Le sue letture appaiono vaste, ma indirizzate sempre in ben precise correnti erudite. Come ci informa ancora il Vecchioni, «il non aver egli quasi niun libro in casa, per non aver giammai atteso alla compra di essi, tra per l'angustia del suo patrimonio, e per l'opportunità ch'avea di rinvenirli nelle biblioteche degli amici, e pubbliche, sempre che volea, facea sì, che più spesso di quel che sarebbe stato suo piacere, veniva astretto ad uscire, ed a conversare con letterati amici, o per istudiare nelle loro librerie, o per isciegliere nelle medesime i libri che bisognavangli, ed impetrare da loro di portarseli in casa: il che non gli fu mai negato, e negli ultimi anni fin da' custodi delle biblioteche pubbliche gli venne permesso». 1 In effetti, la sua bibliografia è non solo vasta, ma molto spesso aggiornata, diremmo in modo talvolta inusitato e non sempre riscontrabile tra gli storici del suo tempo. Quest'ampiezza di informazioni bibliografiche ebbe però anche il suo rovescio: Giannone, scrisse Gian Do-menico Rogadeo, «volle lavorare sempre sulle fatiche altrui, e però né poco né molto si intrigò ne' punti, la cui strada non era stata da altri appianata •.. Ond'è che la parte maggiore dei punti trattati in questa ..• opera si veggono da lui omessi ... La cagione di questa omissione derivò dall'avere trascurato le fonti, sicché si fermò solo in quel che dagli altri era stato prima ponderato ••. Non lieve difetto è ancora, in un'opera così illustre, il non aver l'Autore di lei avuto ricorso alle fonti, che di radissimo ••• Egli riposò sulla fede altrui, onde avviene che l'opera si scuovre piena d'innumerevoli falli ».a Il giudizio del Rogadeo può ancor oggi sottoscriversi. Non vi è, in questa Istoria civile, alcuna messa a frutto di documenti, di mate-riale archivistico. Eppure varrà la pena avvisare come, per un particolare settore di quest'opera, egli sia ricorso alle fonti, sia pure alle fonti già edite: per la storia dei Longobardi questo sforzo fu fatto. Non a caso per quella storia, e non per altri momenti della vita 1. Cfr. Vita di Pietro Giannone, cit., pp. 8~9. 2. Cfr. Saggio di un'opera intitolata «Il diritto pubblico e politico del regno di Napoli», Cosmopoli (Lucca) 1767, p. 85.

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del Regno. Perché in essa egli aveva individuato il nodo centrale dell'evoluzione delle provincie meridionali e capi che per il suo scio .. glimento non potevano soccorrergli i precedenti autori. Che poi ab• bia peccato d'ambizione e abbia voluto mostrare d'esser ricorso direttamente alle fonti, facendosi cogliere in castagna dal Troya, non ha molta importanza. 1 Più importante è osservare come la man .. canza di scavo originale l'abbia costretto a farsi condizionare dai testi editi. La sua visione della storia longobarda si basa infatti essen .. zialmente sugli autori sincroni pubblicati dal van Groot nella sua Historia Gotthorum, Vandalorum et Langobardorunz, e da Camillo Pelle• grino ; conosce e utilizza ampiamente le raccolte di leggi longobarde, ma dipende da una pessima edizione di esse, quella del 1537; per l'analisi del feudo è strettamente condizionato da Jacques Cujas; per il ducato beneventano e in generale per la storia dei Longobardi nell'Italia meridionale sfrutta soltanto Antonio Caracciolo e ancora il Pellegrino o il commento al Chronicon casinense dell'abate Angelo della Noce, e così via. Va da sé che in un'età «muratoriana » questi rilievi sono assai gravi. Non per nulla il Giannone, invitato dal Muratori a collaborare ai suoi Rerom ltalicarum Scriptores finì per declinare l'invito, limitandosi a rispondere con pochi e generici consigli di circostanza. 2 Evidentemente sapeva che non era questo il suo campo. Eppure resta sempre da chiedersi se tali rilievi inficino davvero l'impalcatura della sua Istoria civile, o se invece il suo valore, la sua validità non risiedano altrove, cioè nel giudizio globale che, in sede storiografica, egli seppe dare delle origini della storia del Regno, nonché dello sviluppo, nel suo interno, di un secondo potere, opposto e concorrente con quello regio: il potere dei vescovi, dei grandi aba,, degli Ordini religiosi. Perché quello che è certo è che la storiografia napoletana, sino ai suoi giorni, si era dimostrata incapace non diciamo di affrontare il problema della presenza di questo potere indipendente nel Regno, ma persino di individuare i tratti caratteristici della •nazione», e perciò di fissarne le sue stesse origini. Lo aveva tentato, in tempi ormai lontani, sul finire del Cinquecento, Angelo Di Costanzo, dichiarando in apertura delle !storie della sua patria come fosse stato suo desiderio prender le mosse dall'età longobarda; ma, aggiungeva, il suo proposito si era presto rivelato irrealizzabile, avendo trovato «le cose de' Longobardi ••. tanto oppresse dalle tenebre dell'anti.. chità ,,, da perdere ogni speranza di poterne scrivere, • non avendosi 1. Sull'appunto del Troya, a proposito del codice membranaceo Cavense, si veda più oltre la nota 3 a p. 429. 2. Cfr. la lettera del Giannone al fratello, del 20 novembre 1723 (Gia,inoniana, n. 0 24).

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di quelle altra notizia, che quanto ne scrive Eremperto ». 1 Sicché questa sognata periodizzazione, che pure avrebbe permesso di costruire su basi nuove la storia del Regno, s'era immediatamente perduta, e gli storici a lui posteriori erano tranquillamente ritornati alle origini mitologiche, da Giovanni Antonio Summonte sino allo stesso Camillo Pellegrino. Al Di Costanzo poteva ben obiettarsi che, oltre alla cronica di Erchemperto, esistevano ancora sepolti negli archivi diplomi e privilegi e bolle e cronache di quell'età che andavano riportati alla luce, da Montecassino '1 Cava de• Tirreni. Purtroppo gli studiosi napoletani si dimostrarono sempre allergici alla polvere degli archivi. Alla cultura storica napoletana mancò quella formidabile spinta dell•erudizione cattolica e protestante che agi invece così potentemente nell'avanzamento delle conoscenze storiche altrove, modificando sino la metodologia. Per tutto il Seicento napoletano non siamo in grado di citare che due eruditi: Antonio Caracciolo, che nel •26 dava alle stampe, assieme ad Erchemperto, Lupo Protospata, Falcone di Benevento e l'Anonimo Cassinense-; e Camilla Pellegrino, che riprendendo l'edizione del Caracciolo, vi aggiungeva i capitolari di Sicardo e di Radelchi, le cronache sincrone di Salerno e di Benevento, la serie degli abati di Montecassino. Anche per questo ci sembra difficile accusare Giannone di non aver compiuto ricerche d'archivio, d'essersi basato solo ed unicamente su fonti edite. Il suo ambiente culturale non poteva spronarlo né sorreggerlo in questa direzione. La sua fu dunque una storia •ideologica», se cosi possiam dire; una proposta di nuova interpretazione- storiografica, in base ai materiali già in precedenza scoperti. Anche se poi essa si Jfaluda e si ammanta di un'erudizione che, se vista più da vicino, non si fatica a scoprire tutta di seconda mano, questo resta pur sempre· un fatto marginale, rispetto alla forza dirompente insita nel giudizio globale delle vicende del Regno che fornisce. Sin qui, come si sarà notato, non abbiamo parlato che del primo tomo dell'opera, che ne comprende invece quattro. Ma lo abbiamo fatto perché, in realtà, solo in quello è la parte originale della fatica giannoniana, e non a caso. Interessava a lui chiarire i nodi, gli impulsi, le molle .di certi sviluppi abnormi nella storia meridionale; non mirava astrattamente ad una ennesima narrazione di fatti. C' erano già le storie «scritte da gravi ed accurati autori, come furono Angelo Costanzo e Francesco Capecelatro »3 o la più recente (ma Cfr. Dell'istorie della sua patria, Napoli 157z, Proemio, p. n. n. Vita, qui a p. 56.

1.

a. Cfr.

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questa Giannone non la ricorda) Histoire de l'origine du royaume de Sicile et de Naples, del gesuita Claude Buffier, apparsa nel 1701. Per tutti e tre questi scrittori varrà ciò che egli stesso ebbe a confessare esternando la sua ammirazione per il Di Costanzo: « Per questa cagione l'istoria di questo insigne scrittore sarà da noi più di qualunque altra seguitata, né ci terremo a vergogna, se alle volte colle sue medesime parole, come assai gravi e proprie, saranno narrati i loro avvenimenti ». 1 Tocchiamo qui il problema dei plagi giannoniani, che diede luogo ad una non ancora conch~usa querelle, aperta dai neoguelfi contro il •ghibellino» Giannone, e, in primis, dal Manzoni in una pagina della sua Colonna infame dove, dopo aver elencato i plagi dell'Istoria civile, concludeva: « E chi sa quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca; ma quel tanto che abbiam veduto d'un tal prendere da altri scrittori, non dico la scelta e l'ordine de' fatti, non dico i giudizi, l' osservazioni, lo spirito, ma le pagine, i capitoli, i libri, è sicuramente, in un autor famoso e lodato, quel che si dice un fenomeno. Sia stata, o sterilità, o pigrizia di mente, fu certamente rara, come fu raro il coraggio; ma unica la felicità di restare, anche con tutto ciò (fin che resta), un grand'uomo•· 2 Pietro Giannone, dunque, « plagiario e grand'uomo per equivoco», come si domandava Giovanni Gentile ?3 Per la verità, Alessandro Manzoni, con quel suo attacco, non faceva che mettere in pratica quanto molto prima di lui aveva raccomandato Matteo Egizio in una lettera a Celestino Galiani, dopo lo scandalo della Professione di fede: • Il giudicio che dà Vostra Paternità Reverenda dell'apologia ironica del Giannone egli è assai giusto. Egli trionfa sulla debolezza dell'avversario: ma del rimanente non può far giammai a meno di non mostrare il suo spirito contumace, superbo, e niente affatto rispettoso alla Santa Sede ... Anche in Napoli ha guasta la mente di molti giovani: i quali manchevoli di buone conoscenze, e di libri, ammirano in Giannone la copia delle cose, da essi ignorate. Naturalmente dalla maraviglia viene la stima, e dalla stima il credito, dal credito l'assenso. Il modo di correggerli sarebbe di mostrare wi per uno gli errori, gli abbagli, le false citazioni dell'uomo in cose non ecclesiastiche: perché perduta la opinione di dotto, caderebbe da sé ogni sua dottrina. Parlo appresso i giovani, perché gli uomini maturi discernono la verità, in qualunque aspetto ella sia posta ».4 Perché, la domanda sorge spontanea, tanto accanimento, in vita 1. Cfr. Istoria ciTJile, tomo 111, lib. xx, pp. 3-4. 2. Cfr. Ston'a della colonna infame, Milano 1840, p. 862. 3. Cfr. Pietro Giannone, plagiario, e grand'uomo per equiTJoco, in •La Critica», 11 (1904), pp. :u6 sgg. 4. f;fr. Giannoniana, p. 127.

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e in morte, contro un autore che non sarebbe stato capace che di ammassare e affastellare pagine scritte da altri? Già il Rogadeo, notando la profonda diversità, fin nello stile, tra le varie parti dell'opera, ne aveva tentato una giustificazione: u Egli aveva ammassato il materiale di quell'opera nello spazio di più anni, e come suole avvenire l'abbozzo formato in più parti contenea pezzi intieri degli autori, donde si erano raccolte le notizie, sulla idea di aggiungere, cambiare ciò che avrebbe stimato opportuno allora che dovea dare all'opera l'ultimo ritocco, ma di poi non gli fu permesso eseguire un tale disegno, perché essendosi divulgata la fama di tale opera, e che l'oggetto di quella era tutto contro degli ecclesiastici, il Nunzio facea delle gran premure, perché dalla Reggenza di Napoli, non solo se ne vietasse la edizione, ma benanche si involassero i fogli, e si dessero alle fiamme. Consapevole di tali premure il Giannone stimò opportuno frettolosamente fare la edizione di tutta l'opera, e cacciarla fuori tutta in un tratto. In tali angustie non poté aver tempo di ammendare l'opera, come avea meditato, e però lo stile ne' due ultimi tomi è troppo diverso dai primi, perché a' primi dato avea l'ultima mano che non fu permesso darla ai secondi ». 1 Che è, suppergiù, la stessa giustificazione data dall'autore nella sua autobiografia, anche se in essa è contraddetta l'asserzione nei riguardi dell'intervento della Nunziatura.2 A riprova della veridicità di questa versione può citarsi una lettera che Costantino Grimaldi inviò al Muratori il 22 settembre del 1722: « qui uscirà tra brieve un'opera istori ca di Pietro Gian none »; 3 e può ben supporsi che lui, come tanti altri amici della cerchia del1'Argento, si fossero vantati e avessero divulgato la notizia dell'imminente apparizione d'un'opera che giudicavano espressione del loro gruppo, in Napoli e coi loro corrispondenti. Tuttavia, come già osservò il Bonacci a commento del passo del Rogadeo, i libri non ancora stesi, al momento dell'inizio della composizione tipografica dell'Istoria ci.vile, erano solo gli ultimi cinque sui quaranta complessivi ;4 il che significa che non solo il terzo tomo, 1. Cfr. Saggio di un'opera, cit., p. 85. 2. Cfr. Vita, qui a p. 84: cdl Nunzio che risiedeva in Napoli era rimproverato da Roma come fosse stato cosl trascurato, che non avesse scoverto e dato notizia alla Corte d'una opera così voluminosa che si travagliava in Napoli>•. 3. In L. A. MURATORI, Epistolario, a cura di M. Campori, Modena 1901-1922, lettera n. 0 2169 1 p. 2321. 4. Cfr. Saggio sulla Istoria civile del Giannone, Firenze 1903 1 p. 25. Cfr. ancora in Vita, qui a p. 78: «Avvicinandomi ... al termine del quano ed ultimo tomo, verso la fine dell'anno 1722 ebbi ricorso al viceré ... cercando la licenza della stampa»; e prima, a p. 76: «E già de' quaranta libri, onde l'Istoria civile era divisa, non me ne mancavano se non gli ultimi cinque; sicché mi risolsi di cominciar la stampa de' primi 1; e infine a p. 77: • Si cominciò la stampa ne' princìpi dell'anno 1721 ».

NOTA INTRODUTTIVA

ma anche la metà del quarto doveva considerarsi compiuta agli inizi del 1722. Certo il Rogadeo non errava, quando notava la diversità di stile tra i primi due tomi e i seguenti ; eppure sta di fatto che i plagi non iniziano solo col terzo, ma si ritrovano abbondanti sin dal nono libro, che apre il secondo tomo. Plagi che l'autore non ha mai nascosto, come s'è visto più sopra per la sua dichiarazione ammirativa nei confronti del Di Costanzo, e dei quali, anzi, si servi addirittura per fare dell'ironia e cogliere in castagna il padre Sanfelice! 1 Sarà bene, a questo punto, ritornare al discorso iniziale, alle accuse del Tanucci e del Metastasio, che hanno anch'esse un loro fondamento veritiero e che ci riconducono, a loro volta, daccapo al problema dei plagi. Perché ci sembra che sino a quando l'Istoria civile sarà considerata alla stregua di un qualunque testo di storia regnicola e si vorranno discutere le capacità erudite dell'autore, sempre ci si troverà dinanzi allo squilibrio non già tra i primi due e gli ultimi tomi dell'opera, ma tra il primo e i restanti tre. In tal caso è innegabile che il problema dei plagi assumerebbe un valore così ampio da costringerci nuovamente a ergerci a giudici, o peggio ancora a dover parteggiare o per la requisitoria del Bonacci (il quale - sia detto spassionatamente, ora che la infuocata polemica s'è da tempo raffreddata - aveva indubbiamente numerose frecce per il suo arco), o per le appassionate arringhe difensive del Gentile e del Nicolini. Noi crediamo, invece, che il problema vada posto su tutt'altre basi. Per far questo, è necessario tentare di ricostruire i criteri e i modi coi quali il Giannone usava procedere nel proprio lavoro. Non ne abbiamo documentazione per l'Istoria civile, ma per nostra fortuna ne abbiamo invece abbastanza per le altre sue fatiche del periodo viennese, soccorrendoci qui largamente il suo carteggio col fratello. È necessario, preliminarmente, avvertire come nella produzione giannoniana l'Istoria civile non sia un episodio a sé stante. Sino ad oggi tutta la critica si è sempre soffermata sui plagi nella sua opera storica del Regno, senza accorgersi che con la medesima frequenza e abbondanza i plagi ricompaiono nell'Apologia dell'Istoria civile come nel Triregno. Questo perché, purtroppo, né Pasquale S. Mancini, né Augusto Pierantoni, né lo stesso Alfredo Parente ci hanno fornito edizioni degli scritti giannoniani corredate d'un commento degno di tal Cfr. in Professione di fede, « Dubbio primo» (in Opere postume, 1, p. 262): • Ma come facciamo per quel passo, che soggiungete, tratto dal tom. 4 pag. 370 ... che niente l'istorico civile ripone del suo, ma non fa altro, che trascrivere le parole stesse di Battista Nani? ... E pure quelle non sono mie parole, ma del Nani stesso». Orn si cfr. l'Istoria civile alla pagina indicata, e si vedrà come manchi in essa ogni rinvio allo storico veneziano! 1.

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nome. Le scarne note che possono 1·itrovarsi a piè di pagina nelle loro edizioni (già cosi discutibili dal punto di vista del testo I) non sono in realtà che ... le note dello stesso Giannone, asportate arbitraria-mente dal testo senza avvertenza, talvolta cammuffate da confronti con edizioni di testi ottocentesche o dei primi di questo secolo (com'è il caso, ad esempio, per i rinvii alla patrologia greca e latina del Migne), col risultato aberrante di correggere le citazioni del1 1 au-tore in base a testi ch'egli non poteva conoscere. 1 Ora è indubbio che Wl buon commentatore non avrebbe faticato ad indicare, anche per queste fatiche giannoniane, fonti e ampiezza di plagi, della medesima entità di quelli appena intravisti dal Bonacci, il quale fermò la sua attenzione su ventitré libri soltanto, dei quaranta che compongono

l'Istoria civile. Qual era, dunque, il metodo di lavoro del Giannone? Non si tar-derà ad accorgersi, scorrendo l'epistolario, come il Giannone non abbia mai lavorato da solo, ma abbia sempre sfruttato una nutrita ,quipe di amici, i quali compivano con lui le ricerche e gli fornivano materiali. Da quel che sappiamo dall'autobiografia, occorre aggiun-gere che anche la traccia, l'impostazione nasceva da una discussione comune. Per l'Istoria civile sappiamo, intanto, che il suo disegno era stato discusso con l'Aulisio, Nicola Capasso, professore di diritto canonico nell'Università di Napoli, ed «alcuni pochi strettissimi ... amici», tra i quali annovereremo Vincenzo Ippolito e il Grimaldi. Ali' Aulisio, inoltre, furono sottoposti pér la revisione « i primi soli tre libri», mentre non fu possibile fare altrettanto con l'Argento, per i troppi impegni della sua carica.2 Giunto a Vienna con un primo abbozzo dell'Apologia dell'Istoria civile, 3 egli si rivolse ad Alessandro Riccardi e a Pio Niccolò Garelli, ma insisté anche perché da Napoli l'Ippolito e l'Acampora continuassero a fornirgli aiuto.4 Da una lettera al fratello del1 18 aprile del 1724, sembra che anche Apostolo 1. Per questo, per parte nostra, come il lettore potrà da sé verificare, ci siamo sforzati sin dove ci è stato possibile di proporre i confronti soltanto . con edizioni di testi e con la bibliografia critica che poteva realmente essere a disposizione dell'autore. Per far questo dobbiamo riconoscere che un grande aiuto ci è stato l'aver lavorato nella stessa biblioteca frequentata dal Giannone al tempo della composizione della sua Istoria civik: la biblioteca del Valletta, oggi inglobata nella biblioteca oratoriana dei Girolamini di Napoli. Non poche volte, durante il nostro lavoro di commentatori, ci è stata riserbata la soddisfazione di rintracciare in quella biblioteca volumi postillati dal Giannone, a conferma della giustezza della traccia che seguivamo. 2. Cfr. Vita, qui a pp. 73-4. 3. Per la cronologia delle singole parti dell'opera si veda quanto abbiamo cercato di ricostruire in Giannoniana, pp. 3 sgg. 4. Cfr. le lettere al fratello Carlo del 3 luglio 1723, I gennaio e 11 marzo 17241 rispettivamente in Giannoniana, nn.i 101 30 e 41.

NOTA INTRODUTTIVA

Zeno fosse stato interessato alla sua Apologia. 1 Comunque, questa elaborazione collettiva della difesa delr Istoria civile appare chiara da un passo d'un'altra lettera al fratello del 3 luglio 1723, dove è scritto: cc Qui tuttavia si sta travagliando su la scrittura che vi scrissi, e può essere che riesca, tenendo il sig. Riccardi una famosa libraria. Ci mancano gli esempi domestici, e perciò il sig. Presidente potrebbe darcene lume, siccome veda informarsi dal sig. Grimaldi di quel fatto, che mi scriveste, che accadde per l'occasione del Sinodo di Cantelmo >1. 2 Il plurale non è, in questo passo, un pluralis. maiestatis, ma indica proprio un lavoro di équipe. Più tardi, nel 1729, in occasione della risposta al padre Sanfelice, di nuovo questa partecipazione collettiva al suo impegno appare chiara. Il Garelli lo segue da vicino;3 mentre a Napoli sono impegnati nella lettura e correzione il Capasso e Biagio Garofalo. 4 E va aggiunto che il Giannone considera questo impegno, questo aiuto, come dovutigli. È appena arrivato a Vienna, ad esempio, e non dubita che sia dovere del Riccardi difenderlo in nome dell'imperatore. 5 Dovere, si badi bene. Avevano dunque ragione il Tanucci e il Metastasio, e prima il Fontanini e il Sanfelice? In un certo senso si, almeno nella misura in cui riconoscevano l'espressione della voce d'un gruppo allo scritto giannoniano. L'Istoria civile sarà allora "una colossale memoria defensionale», come ebbe a definirla il Gentile e ripeté il De Ruggiero ?6 Nemmeno questa definizione ci soddisfa, non solo perché troppo limitativa, ma perché in effetti, anziché esaltarlo, svilisce l'impegno del Giannone e dei suoi amici. I quali, tutti, vollero invece davvero affrontare un problema nodale nella storia del Regno e costruire, per la loro battaglia politica, un valido strumento di rottura, e compirono perciò opera altamente storiografica, e non già avvocatesca. Ma ci sembra, giunti a questo risultato, che il problema dei plagi ne esca di molto ridimensionato. Ai fini d'un'utilizzazione strumentale dell'Istoria civile esso, ovviamente, resta un doveroso impegno di commentatore, preminente su ogn'altra. Ma ai fini dell'interpretazione in sede di storia della storiografia riveste importanza solo in quanto ci ha consentito di stabilire l'originalità e il maggiore impegno del primo tomo sugli altri. Impegno, occorre ancora avvertire, che ritorna intatto nei restanti tomi per le pagine dei paragrafi sulla In Giannoniana, n. 0 44. 2. Cfr. qui, nella scelta delle lettere, la 111. 3. Cfr. la lettera al fratello del I ottobre 1729, in Giannoniana, n. 322. 4. Cfr. le lettere del 6 e 13 agosto e 10 settembre 1729, in Giannoniana, nn.i 314, 315 e 319. 5. Cfr. la lettera del 26 giugno 1723, al fratello, in Giannoniana, n. 0 9. 6. Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII~ XIX, Bari 1946', p. 25 e passim. 1.

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«politia ecclesiastica». Lasciamo dunque da parte gli sdegni mo-

ralisteggianti d'un Bonacci, come il sacro amor patrio d'un Gentile o d'un Nicolini; e riconosciamo all'Istoria civile quel valore e quella forza di rottura che i contemporanei mai si sognarono di negarle. In una simile elaborazione collettiva del lavoro, non stupisce se si siano raccolte intere pagine da diverse fonti, e se il Giannone le abbia pazientemente e abilmente riunite dando loro forma di un discorso continuato. In definitiva, l'impegno preso con la stesura di questa nuova ricostruzione della storia regnicola non mirava a dare nuovi contributi eruditi, ma una visione unitaria in base ad una chiave interpretativa originale, che si volle definire Instituzioni di Caio, come scrissero Deciano• ed Arturob con manifesto errore; poiché in questo Breviario, oltre alle leggi trascelte dal Codice Teodosiano, vi furon anche riposte le sentenze di questi giureconsulti da' mentovati compilatori, non già da Aniano. E quelle interpetrazioni che s'osservano nel Codice di Teodosio, non ad Aniano, ma a coloro debbon attribuirsi, come diligentemente osservò Gotofredo ne' Prolegomeni di quel codice. e È da notarsi ancora, ch'essendo state unite queste note ed interpetrazioni a quel codice, ne nacque presso agli scrittori de' seguenti secoli un errore, che volendo allegar le leggi di quel codice, allegavan sovente, come costituzioni del medesimo, una di queste interpetrazioni o note di Paolo giureconsulto, sicome fu avvertito da Savaroned sopra Sidonio Apollinare. Così veggiamo che Ivone di Chartres, e che fiorì nell'anno 1092, sovente allega per leggi di questo codice ciò ch'era dell'interpetrazione di Paolo giureconsulto; Grazianor poi nel suo Decreto prende moltissimi di somiglianti abbagli, sicome fu da Gotofredo1 e da altri osservato. 111.

Del nuovo codice delle leggi degli Westrogoti.

Presso a tutti questi principi• le leggi romane non furon in molta stima avute, e molto meno presso a Leovigildo, il quale portando gli stessi sentimenti d'Evarico volle alle sue leggi gotiche aggiungerne dell'altre, e ciò che nelle medesime egli credette fuor d'ordine a) Decian., in Apolog. adver. Alciat., lib. 2, cap. 7. 2 b) Arthur. Duck, lib. 2, cap. 6, num. 14. 3 e) Got., in Proleg., cap. 5.4 d) Savaro, sup. Sidon., lib. 2, ep. 1. 5 e) Ivo Camut., Ep. 112: « quod ex legib. Theod. laudat, id habet ex interpretat. ad Paul. s sent. 11 ». 6 f) Gratian., 2, qu. 6, c. « id ex interpretat. in s Paul. sent. tit. de cau. et poenis appellat, § I ». 7 g) Got., in Proleg., c. 6. 8 I. I principi vestrogoti in lspagna, dei quali ha trattato nel paragrafo precedente, qui non riprodotto. 2. Tiberio Deciano (1509-1582), Apologia pro iuris prudentibus, qui responsa sua edunt imprimenda adversus dieta per Alciatum, 1tcxpfpyv lib. Xll, cap. ultimo, Vcnetiis 1602. 3. Ed. cit.,, pp. 214-5. 4. Codex theodosianus cit., p. CXCIII. 5. Cfr. Sidonio, Opera cit., loc. cit. Questo e i rinvii che seguono a Ivo di Chartres e al decreto grazianeo sono tutti tratti dal Godefroy più sotto citato. 6. Ivo di Chartres, Epistolae, in Opera omnia, Parisiis 1647. 7. Il Decret11m (o meglio Concordantia discordantium canonun,) di Graziano (vedi la nota 2 a p. 27). 8. Codex theodosianus cit., p. cxciv.

LIBRO lii • CAP. I

o superfluo, volle correggere e togliere e con miglior metodo ordinare: « In legibus quoque (narra Isidoro)• ea guae ab Evarico incondite constituta videbantur, correxit, plurimas leges praetermissas adiiciens, plurasque superfluas auferens ». Accrebbe ancora questo principe di molto l'erario, e dopo diciotto anni di regno, nell'anno 586, morì in Toledo sua sede reggia. Non diversi sentimenti intorno alle leggi romane portarono i suoi successori: Reccaredo suo figliuolo (che fu il primo il quale lasciò l'arianesimo per abbracciare la religione cattolica, 1 dal che fu nomato il Re Cattolico, sopranome poi ripigliato da Alfonso e Ferdinando re d'Aragona e da' suoi successori), Liuba II, Witterico, Gundemaro, Sisebuto, Reccaredo II, Svintila, Sisenando, Cintila, Tulca e Chindesvindo, principi tutti cattolici e religiosi, aggiungendo le loro leggi all'altre de' loro predecessori, fecion sì che ne surse col correr degli anni questo nuovo Codice, delle leggi westrogote detto. b Le leggi che si hanno in quello, alcune portano in fronte il nome degli autori, come di Gundemaro re, e degli altri che regnarono dopo Evarico e Leovigildo; altre sono sotto il nome di legge antica, che potrebbero attribuirsi ad Evarico, o più tosto a Leovigildo, che corresse ed accrebbe le costui leggi. Fu tanta l'autorità di questo codice che oscurò in queste provincie affatto lo splendore delle leggi romane; poiché Chindesvindoc re de' Westrogoti, che a Tulca succedé, promulgò un editto per cui sbandì la legge romana da tutti i confini del suo regno, e ordinò che solo questo codice s'osservasse, sotto vano e stupido protesto perché quella ricercava troppo sottile interpetrazione. Ecco le parole del suo editto :d « Alienae gentis legibus, ad exercitium utilitatis imbui, et permittimus et optamus; ad negotiorum vero discussionem, et resultamus et prohibemus. Quamvis enim eloquiis polleant, tamen a) lsid., in Chron., era 608. a b) Ciron., lib. s Obser. iur. can., cap. 2. 3 e) Altcs., Rer. aquit., lib. 3, cap. 11. Got., in Proleg. C. Th., cap. 7. 4 d) Leg. Wisig., lib. 2, tit. 1, c. 9. 5 1. Reccaredo .•. cattolica: cfr. ancora Grozio, op. cit., p. 726. 2. Era 606 (e non 608), in Grozio, op. cit., p. 725; ma nel De Gothis . .. Chronicon, cit., p. s: •Era DCVIII». 3. Ed. cit., pp. 71-2. 4. Hauteserre, op. cit., 1, p. 206; Codex theodosianus cit., p. cxcvi. 5. Cfr. Codicis legum Wisigothorum libri XII, cit., p. 2.3. Cfr. anche Hauteserre, op. cit., 1, p. 206, dove però si rinvia al cap. 8 anziché al 9. La citazione è presente anche in Ciron, op. cit., p. 75, che a sua volta rinvia ai capitoli 9 e 10.

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difficultatibus haerent: adeo cum sufficiat ad iustitiae plenitudinem, et praesentatio rationum et competentium ordo verborum, quae codicis huius series agnoscitur continere, nolumus, sive romanis legibus, sive alienis institutionibus amodo amplius convexari ». 1 Questa costituzione ritrovandosi per errore di Benedetto Levita2 reggistrata tra' capitolari di Carlo M. diede occasione al Gonzalez• di credere che Carlo fosse stato il primo a sterminare dal foro l'uso delle romane leggi. Reciswindo suo :figliuolo, che nel regno gli succedette, rinovò gli ordinamenti del padre, e volle che fuor di questo codice non s'ubbidissero altre leggi, siano romane ovvero teodosiane, o d'altre straniere genti. ,, Nullus» e' dice e, prorsus ex omnibus regni nostri praeter hunc librum, qui nuper ~st editus, atque secundum seriem huius omnimode translatum, alium librum quocumque negotio in iudicio offerre pertentet '>. b Tenne Reciswindo il regno dopo la morte del padre tredici anni, e morì in Toledo l'anno di nostra salute 672,c nel quale Vamba fu eletto suo successore. Egli è però vero che questo codice ad emulazione di quello di Giustiniano fu compilato, e diviso perciò in dodici libri. I compilatori ebbero presente ancora il Codice Teodosiano e quello d'Alaa) Gonzal., in c. super specula, de privil., num. 2. 3 b) Cod. LL. Wisig., lib. 2, ~t~t. 1, cap. 10; Got., in Proleg. Cod. Th., cap. 7.4 , e) G9th., loc. cit. gentu ... comJexari •: s Che ci si istruisca, a scopo di profittevole esercizio, nelle leggi di una nazione straniera lo permettiamo e anche lo desideriamo; ma per la discussione delle cause e lo rifiutiamo e lo proibiamo. Sebbene infatti abbiano vigor d'eloquio, tuttavia si soffermano troppo in sottigliezze. Poiché alla pienezza della giustizia bastano davvero e la presentazione delle ragioni e la misura di parole appropriate contenute nel testo di questo codice, non vogliam più d'ora innanzi essere infastiditi né dalle leggi romane né da istituzioni straniere ,._ 2. Benedetto Levita: sotto questo nome del diacono (levita) Benedetto, fu compilata in Tours una raccolta di capitolari, apocrifa, tendente a rivendicare alcune riforme richieste dai vescovi, attorno agli anni 847-852. Il primo a negare rautenticità di questi testi fu Pierre Pithou nel 1588. 3. Geronimo Gonzalez {morto nel 1609), Dilucidum ac perutileglossema, seu commentatio ad regulam octavam Cancellariae de reservatione mensium et alternativa epucoporum ••. , Romae 1604. 4. Cfr. Codicis legum Wisigothorum cit., p. 24; Godefroy, op. cit., p. cxcvi, da dove è tratta la citazione (11 Assolutamente nessuno tra i sudditi del nostro regno si periti di presentare in giudizio, per qualsiasi causa, un libro diverso da questo testé pubblicato, o che non sia trascritto sotto ogni rispetto secondo il testo di questo•). 1. s Alienae

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rico, come è manifesto dalle costituzioni che in esso si leggono.• Si valsero ancora del codice di Giustiniano, connumerandob i gradi della consanguinità coll'istesso ordine, e quasi coll'istesse parole, di cui si valse Giustiniano ne' libri delle lnstituzioni; e quel ch'è più notabile, fu con puro latino scritto, e non già con quello stile insulso e barbaro del quale valevansi l'altre nazioni; tanto che Cujacioc perciò ne prende argomento che fosse quella gente più culta di tutte l'altre. E fu cotanta l'autorità di questo codice, che non solo presso agli Westrogoti, ma anche appò l'altre nazioni ebbe vigore e fermezza, sicome presso a' Borgognoni ed a' Sassoni; anzi ne' concili tenuti in Toledo 1 spesso le sue costituzioni s'allegano, e di quelle sovente fassene illustre ed onorata memoria: onde si videro nella Spagna in cotal guisa mescolate le leggi romane con quelle de' Goti; e non pure in questa età, ma anche ne' tempi susseguenti furon osservate non solo da' Goti, ma anche da' Saraceni, d i quali dopo l'anno 715 avendo inondata la Spagna, le ritennero, né nuove leggi v'introdussero, salvo che alcune poche intorno a' giudìci criminali, come della bestemmia del falso lor profeta Maometto; ed ultimamente questi essendo scacciati, da' re spagnuoli stessi furon ritenute, come per la testimonianza di Roderico scrisse Grozio,e fino al regno d'Alfonso IX o X il quale, essendo cancellate in buona parte per disusanza le leggi de' Goti, introdusse nella Spagna le romane, che -nell'idioma spagnuolo, per opera di Pietro Lopez e di Bartolomeo d'Arienza, fece tradurre e divulgare, le quali ora ritengono tutto il vigore, e leggi delle Partite s'appellano. f a) Cod. LL. Wisig., lib. 5, tit. S, cap. 9; 1. 1 C. Th., de usuris. Cod. LL. Wisig., lib. 3, tit. 1, cap. 1, 1. un. C. Th., de nupt. b) LL. Wisig., lib. 4, cap. 11. e) Cujac., Defeud., lib. 2, tit. I 1." d) Artur. Duck, lib. 2, cap. 6, num. 15. 3 e) Grot., in Proleg. Hist. Got. ~ • Postquam e Saracenonun manu recuperari partes Hispaniae coepere, resuscitatae a Veremundo, Aldelfunso, Ferdinando, ut Rodovicus nos docet, gotthicae leges: quarum Corpus Forum Iudicum, et olim, et nunc dicitur fons verus hispanici iuris ».4 f) Covar., lib. I Var. resol., cap. 14, num. s; Artur. Duck, loc. cit., num. 16. 5 1. Cfr. Ciron, lib. v, cap. 2, ed. cit., pp. 71-3. 2. In Opera omnia ecc., cit., ed. 1658, 11, col. 666 (cfr. le note 2 e 3 a p. 26). 3. Ed. cit., pp. 215-6. 4. Grozio, op. cit., p. 64. 5. Diego Covarrubias y Leyva (1512-1577), giurista spagnolo, Opera omnia, 11, Variarum resolutionum libri quatuor, Lugduni 1661, p. 70; A. Duck, De usu, ed. cit., pp. 216-7. Alfonso il Saggio o il Dotto, decimo del nome re di Castiglia (1221-1284), svolse un'in-

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Questo codice delle leggi degli Westrogoti, noi lo dobbiamo alla diligenza di Pietro Piteo, 1 il qual fu il primo che comunicollo a Giacomo Cujacio, della qual cortesia tanto se gli dimostra tenuto. Né io voglio che mi rincresca di qui recarne le sue parole:•« Gothorum, sive Wisigothorum reges, qui Hispaniam et Galiciam Toleto sede regia tenuerunt, ediderunt xn constitutionum libros, aemulatione codicis lustiniani, quorum auctoritate utimur saepe libenter, quod sint in eis omnia fere petita ex iure civili, et sermone latino conscripta, non ilio insulso caeterarum gentium, quem nonnumquam legimus in gratis: ut gens illa maxime, quae consedit in Hispania plane cultior caeteris, hoc argumento fuisse videatur. Communicavit autem 1nihi ultro Petrus Pitheus, quem ego hominem, et si amore, et perpetuo quodam iudicio meo dilexi semper vix iam ex ephebo profatus fore, ut probitate et eruditione aequalium suorum nemini cederet: tamen pro singulari isto beneficio, maximam modo animi benevolentiam et summa ac singularia studia omnia me ei debere confiteor, idemque erit erga eum animus bonorum omnium, si, quod vehementer exopto, eos libros in publicum conferre maturaverit ».2 Ciò che Cujacio desiderava, fu da Piteo già adempiuto; poiché non guari da poi permise che questi libri si a) Cujac., loc. cit. tensa attività legislativa, provvedendo ad unificare i vari diritti locali e personali nel Libro del Espéculo (o Espejo de todos los derechos) e ristabilendo nel suo regno il diritto romano con il Libro de las Lleyes (o Las siete partidas), una delle più importanti collectio del medio evo giuridico, ispirate soprattutto all'insegnamento dell'Università bolognese. I. Pietro Piteo: Pierre Pithou (1539-1596), celebre giureconsulto e storico francese. I suoi Opera sacra, iuridica, liistorica, miscellanea furono editi a Parigi da Charles Labbé nel 1609. Per l'edizione delle Leges Wisigotl,orum cfr. la nota 6 a p. 384. 2. « I re dei Goti o Visigoti, che occuparono la Spagna e la Galizia con reggia a Toledo, pubblicarono dodici libri di costituzioni, a emulazione del codice giustinianeo, della cui autorità spesso ci serviamo volentieri poiché in esse quasi tutto è tratto dal diritto civile e steso in lingua latina; non quel latino insipido di tutti gli altri popoli che mal volentieri talora leggiamo: quasiché da ciò si possa arguire che quel popolo, che abita la Spagna, sia di gran lunga nettamente più colto degli altri. Me ne ha spontaneamente data notizia Pierre Pithou, che per quanto abbia sempre onorato con un amore e con una stima per così dire perenne, avendo previsto, fin da quando era giovinetto, che non sarebbe stato inferiore in probità e dottrina a nessuno dei suoi coetanei, tuttavia confesso che per questo singolare favore gli devo la massima benevolenza e ogni più grande e particolare deferenza. Uguale sarà il sentimento di tutti i buoni se, ciò che ardentissimamente desidero, si affretterà a pubblicare questi libri».

LIBRO III • CAP. I

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dassero alle stampe, come e' dice scrivendo ad Odoardo Moleo: « Imo etiam, ne quid Orienti Occidens de eadem gente invideret, legis Wisigothorum libros xn ut tandem aliquando ederentur concessi».• A costui parimente dobbiamo l'Editto di Teodorico Ostrogoto re d'Italia, di cui più innanzi favelleremo. 1 Né perché la Spagna fu poi invasa da' Saraceni mancò ivi affatto il nome e 'l sangue de' Goti, sicome non mancarono le loro leggi. Vanta con ragione la maggior parte della nobiltà di quel regno ritenerne non meno il sangue che i nomi: ed in fatti, come osservò Grozio,b nomi gotici sono quelli di Ferdinando, di Frederico, Roderico, Ermanno, e altri consimili che gli Spagnuoli ritengono. I re medesimi di Spagna vantarono, e vollero esser creduti, discender essi dal figliuolo di Favilla, Pelagio, nato di regia stirpe, il quale nell'irruzione saracinesca avendo raccolte le reliquie delle sue genti in Asturia, quivi si mantenne, ancor che in tenue fortuna, ma con nome regio, sperando che la sua posterità un tempo, come poi avvenne, potesse ricuperare i loro aviti regni: «Ad hunc » come dice Mariana, 2 « Hispaniae reges nunquam intercisa serie, cum semper, aut parentibus filii, aut fratres fratribus successerint, clarissimum genus referunt ». Frouliba moglie di Pelagio fu ancor ella gota, ed il suo genero Aldefonso fu parimente goto del sangue del re Reccaredo. Goti furon dunque, e della regal stirpe de' Balti, i re di Spagna, i quali per lo spazio di settecento anni avendo con istancabili e continue fatiche purgata la Spagna dall'inondamento arabico, stesero finalmente il loro dominio non pure sopra gran parte d,Europa, dell' Affrica e dell'Asia, ma si sottoposero un nuovo e a) Piteus Ad Edoard. in Ep. praeposita ad Edictum Theoderici in Oper. Cassiod. 3 b) Grot., in Proleg. hist. Got., pag. 51.4

I. A costui .•. favelleremo: nel cap. 11, par. u, qui a p. 403. 2. come dice Mariana: cfr. Juan de Mariana (1545-1624), Historia generai de Espana, Toledo 1601 1 ma la citazione è ripresa da Grozio, Prolegomena, p. 52 ( a A costui i re di Spagna, non essendosi mai interrotta la discendenza, poiché son sempre succeduti i figli ai padri o i fratelli ai fratelli, fanno risalire l'illustrissima schiatta»). 3. P. Pithoeus c. v. Edoardo Molaeo senatori s., in Cassiodoro, Variarwn libri XII cit., appendice, p. 2 («Che anzi, perch6 l'Occidente non avesse alcunché da invidiare all'Oriente riguardo alla stessa gente, ho acconsentito a che i dodici libri delle leggi visigote venissero alla fine editi 11). 4. Cfr. op. cit., p. 52 (e non 51).

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sconosciuto mondo, e ressero ancora per lunga serie d,anni queste nostre provincie, che ora compongono il regno di Napoli. Abbiam riputato diffonderci alquanto intorno alla serie di questi principi westrogoti, ed intorno alla varia fortuna della giurisprudenza romana, eh' ebbe presso a' medesimi nella Francia e nella Spagna, con parlarne separatan1ente da quello che n'avvenne fra gli Ostrogoti nell'Italia, non solamente per additar l'origine de' re di Spagna, da' quali ne' secoli più a noi vicini fu questo nostro reame governato; ma anche perché si distinguessero le vicende della giurisprudenza romana appresso queste due nazioni, le quali non ebbero in ciò uniformi sentimenti, ma totalmente opposti e diversi. E tanto maggiormente dovea ciò farsi, quanto che gli scrittori mischiano le leggi degli uni e degli altri; né ponendo mente alla serie e geneologia di questi principi, e alle varie abitazioni ch'ebbero, confondono gli uni cogli altri, e credon che in Italia appresso gli Ostrogoti avesse avuta parimente autorità questo codice, con ascrivere a' principi ostrogoti ciò che gli westrogoti fecero. Nel qual errore non possiamo non maravigliarci d'esserv'incorso eziandio il diligentissimo Arturo Duck, • il quale senza tener conto de' tempi e delle regioni diverse dominate da questi principi, fra i re westrogoti confonde Atalarico ostrogoto, e con ordine alquanto torbido e confuso tratta questo soggetto. CAP. II

DE' GOTI ORIENTALI, E LORO EDITTI I.

Di Teodorico ostrogoto, re d'Italia .

. . . Teodorico, dopo la morte di Teodemiro suo padre assunto al paterno reame, dominava nell'Illirico, ove gli Ostrogoti, come dicemmo, dopo quelle conquiste, posando l'armi si fermarono. Reggeva allora l'Oriente Zenone, il quale nell'anno 474 era all'imperador Lione succeduto in Oriente: questi avendo inteso che Teodorico era stato dagli Ostrogoti eletto re, dubitando che per lo troppo suo potere non inquietasse il suo imperio, stimò richiamarlo a) Artur. Duck, De usu et aut. iur. civ., cap. 6, num. 14. 1

I. Ed. cit., pp. 214-5.

LIBRO III • CAP. II

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in Costantinopoli, ove giunto con incredibili segni di stima l'accolse e fra i primi signori del palazzo lo fece in prima arrollare; non guari da poi per suo figliuolo l'adottò e creo Ilo ordinario console, dignità in que' tempi la più eminente del mondo: né gli bastò questo, ma volle ancora che per gloria d'un sì ragguardevol personaggio gli fosse eretta avanti la regia dell'imperial palagio una statua equestre. Ma mentre questo principe godeva in Costantinopoli tutti quegli agi e quegli onori che da mano imperiale potevan dispensarsi, il generoso suo animo però mal sofferiva di veder la sua gente, che nell'Illirico era trattenuta, invilita nell'ozio ed in povertà ed angustie, ed egli starsene oziosamente godendo quelle delizie, 1nenando una vita neghittosa e lenta: da sì potenti stimoli riscosso, si risolve a più magnanime imprese, e portatosi all'imperador Zenone, secondo che narra Giornande, • così gli parla. Ancorché a me, ed a' miei Goti, che al vostro imperio ubbidiscono, niente manchi per la vostra magnanimità e grandezza, piacciavi nondimeno udire i voti e' desideri del mio cuore, che son ora liberamente per esporvi. L'Imperio d'Occidente, che lunga stagione fu governato da' vostri predecessori, va tutto in guerra, e non vi è barbara nazione che non lo devasti, scompigli e manometta: Roma, che fu già capo e signora del mondo, con l'Italia tutta dalla tirannide d'Odoacre è oppressa: voi solo permetterete che, stando noi qui oziosi e infingardi, altri depredino sì bella parte del vostro Imperio? ché non mandi me colla mia gente a portar ivi le nostre armi? Noi vendicheremo i vostri torti e le vostre onte, ed oltre che risparmierete le gravi spese, che stando noi qui sostenete, se io coll'aiuto del Signore vincerò, risonerà la fama della vostra pietà e del vostro onore per tutto il mondo. Io son vostro servo e vostro figliuolo ancora, onde sarà più espediente e ragionevole che se vincerò abbia io per vostro dono a posseder quel regno che ora è premuto dalla tirannide di straniere genti, che tengono il vostro Senato e gran parte della vostra repubblica in vile servitù e cattività: se io trionferò d'esse, per tua munificenza possederò l'Occidente: se resterò a) Iornand., De reb. Get. 1 1. Giordane, op. cit., cap. LVII, in Grozio, Historia, pp. 696-7; ma vedi anche Procopio di Cesarea, Gotthica historia, lib. I, in Grozio, op. cit., p. 140; Evagrio Scolastico, Historia ecclesiastica, in Maxima bibliotheca veterum Patrum cit., XI, p. 989.

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vinto, al vostro imperio ed alla vostra pietà niente si toglie, anzi ne guadagnerete queste gravi e rilevanti spese. Sì magnanima risoluzione di Teodorico, ancorché forte spiacesse all'imperador Zenone, che mal sofferiva il suo allontanamento, pure, e per non contristarlo, e seco medesimo pensando che meglio fosse che i suoi Goti, di riposo impazienti, portassero altrove le loro armi e non inquietassero le parti orientali, volle compiacerlo, e concedendogli tutto ciò che domandava, caricatolo di ricchissimi doni, lo lasciò andare, raccomandandogli sopra ogni altra cosa il Senato ed il popolo romano, di cui dovesse averne ogni stima e rispetto. Esce fuor di Costantinopoli Teodorico ripieno d'altissime speranze, e ritornando a' suoi Goti fa sì che molti lo seguissero, e per cammin diritto, avviandosi per la Pannonia, verso Italia drizza il suo esercito. Indi entrando ne' confini di Vinezia, presso al ponte di Lisonzo non lungi d'Aquileia pone i suoi alloggiamenti. I messi in tanto di questa mossa eran precorsi ad Odoacre, il quale sentendo essersi Teodorico già accampato in quel ponte, gli muove incontro il suo esercito. Ma Teodorico prevenendolo ne' campi di Verona, gli presenta la battaglia, pugnasi ferocemente, e Teodorico delle genti nemiche fa strage crudele; onde audacissimamente entrando in Italia, passato il Po, presso a Ravenna accampa il suo esercito, ed all'assedio di questa imperial città è tutto rivolto. Odoacre, che si ritrova dentro, fa ogni sforzo in munirla, e sovente con notturne scorrerie inquieta l'esercito de' Goti; ed in questa guisa pugnando, ora perdente, ora vincente, si giunge al terzo anno di quest'assedio: ma invano s'affatica Odoacre, poiché fra tanto da tutta Italia era Teodorico per suo re e signore acclamato, ed ogni cosa così pubblica come privata i suoi voti secondava. In tale stato scorgendo Odoacre esser ridotta la sua fortuna, e riguardandosi solo in Ravenna, e che già per lo continuo e stretto assedio mancavano i viveri, diliberò rendersi, onde mandò legati a Teodorico a chiedergli pace: fugli accordata; ma da poi entrato in sospetto che Odoacre gl'insidiasse il regno, gli fece toglier la vita. 1 In tanto di sì avventurosi successi diede Teodorico distinti rag1. Ma Teodorico prevenendolo ... vita: sconfitto sull'Isonzo e a Verona (489), rifugiatosi a Ravenna, Odoacre si arrese dopo una lunga resistenza, con promessa di aver salva la vita. Ma fu invece ucciso (493) e sterminata la sua famiglia e i suoi seguaci.

LIBRO lii · CAP. Il

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guagli all'imperador Zenone, avvisandolo non rimanergli altro che Ravenna sola per l'intera conquista dell'Italia; èbbene sommo piacere Zenone, onde con suo imperial decreto confermogli l'imperio d'Italia; e per suo consiglio deponendo l'abito goto, non già d'imperial diadema, ma di regie insegne e di regale ammanto si cuopre, e re de' Goti e de' Romani è proclamato. a Indi nel secondo anno dell'imperio d'Anastasio, che a Zenone succedette, prese, per la morte d'Odoacre, Ravenna, e nell'anno 493 fermò in questa città, come avevan fatto i suoi predecessori, la regia sede. Se fu mai principe al mondo, in favor del quale nell'acquisto de' suoi regni concorressero tanti giusti titoli, certamente dovrà reputarsi Teodorico a rispetto del regno d'Italia. Era già a' suoi dì l'Imperio d'Occidente, per la morte d' Augustolo, finito affatto ed estinto: la Spagna da' Vandali, dagli Westrogoti e da' Svevi era occupata: la Gallia da' Franzesi e da' Borgognoni: la Germania dagli Alemanni e da altre più inculte e barbare nazioni: l'Italia non potendo esser difesa dagl'imperadori d'Oriente, era stata da essi abbandonata e lasciata in preda di più barbare genti: Gizerico re de' Vandali la devasta e depreda: Odoacre l'invade, e sotto la sua tirannide la fa gemere. Giunge Teodorico a liberarla, ed a suo costo per mezzo d'infiniti perigli, col valor delle sue armi e colle forze della sua propria nazione supera il tiranno, lo discaccia e l'uccide. Tutti i popoli per loro re e signore l'acclamano ed il suo regno desiderano. Se v'era chi sopra Italia avesse alcun diritto era l'imperador d'Oriente, ma Teodorico mandato da lui viene a conquistarla ed a discacciarne l'invasore. Conquistata che l'ebbe colle proprie forze, gli vien da Zenone confermato l'imperio, e per suo consiglio ed autorità dell'insegne regali s'adorna, e re d'Italia è gridato, transfondendo nella sua persona i più supremi diritti, niente presso di lui ritenendosi. Nel che non vogliamo altri testimoni che i Greci stessi; niente dico di Giornande, che come goto potrebbe forse ad alcuni sembrar sospetto; niente d'Ennodio, quel santo vescovo di Pavia, che per la giustizia del suo regno gli stese una orazione a) Iomand., De reb. Get.: « Zenonisq. imperatoris consulto privatum habitum suaeque gentis vestitum · deponens, insigne regii amictus, quasi iam Gothorum Romanorumque regnator, adsumit>>. 1

1.

Cap.

LVII,

in Grozio, op. cit., p. 698 (r,ct,: •privatim hnbito•).

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panegirica ;• vagliami Procopiob di nazione greca, il quale nella sua storia, sicome tanto si compiace de' suoi Greci, così a' Goti non fu molto favorevole: ecco ciò ch'e' narra di questo fatto, secondo la traduzione di Grazio. «At Zeno imperator, gnarus rebus uti ut dabant tempora, Theoderico hortator est ut in ltaliam iret, Odoacroque devicto sibi ipse ac Gothis pararet Occidentis regnum. Quippe satius homini in Senatum allecto, Romae atque Italis imperare, invasore pulso, quam arma in imperatorem cum periculo experiri ». 1 Per la qual cosa i miserabili Goti, quando nel regno di Teia ultimo loro re furono costretti da Giustiniano a lasciar l'Italia, ricorrendo a' Franzesi per aiuto, fra l'altre cose che per movergli alla lor difesa poser loro innanzi gli occhi, fu il dire che ciò che i Romani allora facevano ad essi, avrebbon un dì fatto a loro altresì; poiché or che vedevan le loro forze abbattute, con ispeziosi pretesti movean loro guerra, con dire che Teodorico invase l'Italia, che a' Romani s'apparteneva: 6716), fu ristampato a Venezia nel 1483, a Parigi nel 1512 e nel 1518, dal Sichard a Basilea nel 1529, e infine ripreso soltanto nel 1748 nella continuazione fiorentina dei R.I.S. (1, pp. :n6 sgg.). 1.

LIBRO V

LIBRO V

Luitprando re de' Longobardi, avendo nell'anno 71 I fermato il soglio del suo regno in Pavia, siccome i suoi predecessori avean fatto, cominciò a dar saggi grandissimi della sua bontà e prudenza civile. Egli, imitando suo padre e gli altri re suoi predecessori, nella religion cattolica fu costantissimo, ed alla di lui pietà dee Pavia l'ossa gloriose d, Agostino; poiché egli le vendicò dalle mani de' Saraceni, dopo avergli discacciati da Sardegna, dove trovavasi il prezioso deposito. 1 Egli seguendo l'essempio di Rotari e di Grimoaldo volle eziandio esser partecipe della gloria di savio facitor di leggi; poiché nel primo anno del suo regno, avendo in Pavia, secondo il costume, ragunati gli ordini del regno, ordinò altre leggi e l'aggiunse agli editti di Rotari e di Grimoaldo ;a2 né di ciò ben soddisfatto, ne' seguenti anni, secondo che il bisogno richiedeva, altre ne stabilì: tanto che fra i re longobardi, dopo Rotari, Luitprando fu quegli che più di ogn'altro empié il suo regno di leggi. I.

Leggi di Luitprando.

Molte leggi di questo principe piene di somma prudenza ed utilità sono ancor oggi a noi rimase nel volume delle leggi longobarde; ma nel codice membranaceo Cavense3 si leggono interi i suoi editti, a) P. Wamefr., lib. 6, c. 58. Bemard. Saccus, Hist. tidn., lib. 9, c. 5. Sigon., ad a. 713. ed alla di lui pietà ••• deposito: cfr. Paolo Diacono, De gestis Langobardorum, in Grozio, op. cit., p. 922. 2. Nell'ordine: Paolo Diacono, in Grozio, op. cit., p. 932; Bernardo Sacco, Ticinensis histo1·ia 1 Papiae 1565, cap. v del libro x (e non già IX: vedi anche a p. 359 della ristampa in Thesaurus antiquitatum et Historiarum ltaliae . .. del Graevius, tomo III, parte 1, Lugduni Ba:tavorum 1704); C. Sigonio, Historiarum de regno ltaliae libri viginti cit., pp. 58 sgg. 3. nel codice membranaceo Cavense: di questo codice ha già parlato al libro IV, cap. VI: • Fra gli altri monumenti dell'antichità, che serba l'archivio del Monastero della Trinità della Cava dell'ordine di S. Benedetto, il qual dopo quello di M. Casino è il più antico che abbiamo nel Regno, èvvi un codice membranaceo da noi con propri occhi attentamente osservato, scritto in lettere longobarde, dove non solamente gli editti de' re longobardi .•. ma anche degl'imperadori franzesi e germani, che furono re d'Italia, vi sono inseriti». A proposito di questo codice, nell'edizione dell'Istoria civile di Donato Campo (Napoli 1792-1793) posseduta dalla Biblioteca Nazionale di Napoli (con la segnatura nei fondi manoscritti x.c. I 13-114)1 vi è una nota autografa di Carlo Troya al libro v, cap. u, par. 3, a margine del capoverso e Astolfo inI.

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donde le prese il compilatore di quel volume. I vi si legge il suo primo editto che e' promulgò nel primo anno del suo regno, contenente sei capitoli, fra' quali il primo ha questo titolo: de successi.one filiarum. Si leggono ancora gli altri editti che e' fece ne' seguenti anni; poiché nel quinto del suo regno ne promulgò un altro che contiene sette altri capitoli: nell'ottavo, dieci: nel decimo anno, cinque: nell'undecimo, trentatré: nel decimo terz'anno, cinque: nel decimoquarto, quattordici: nel decimoquinto, dodici: nel decimosesto, otto: nel decimosettimo, tredici: nel decimonono, tredici: nel ventunesimo, nove: nel ventesi1nosecondo, quattro: nel ventesimoterzo, cinque: ed alcuni altri ne promulgò negli anni seguenti. Di maniera che le leggi di questo principe, siccome vengono registrate nello stesso codice che si conserva nell'Archivio della Cava, arrivano al numero di cento cinquantadue, alle quali nel codice suddetto si veggono aggiunti sette altri capitoli, i cui titoli o sommari sono: 1. De mercede magistri. 11. De muro. 111. De annona. IV. De opera. v. De caminata. VI. De furno. VII. De puteo. 1 tanto .•• •, nella quale si dimostra come il Giannone non abbia mai visto il codice, ma si sia servito della ristampa veneziana del Sessa del 1537. Ne trascrivo qui il testo: « In Lindebrogio ed in tutte le edizioni delle leggi longobarde di Herold, Boherio, Goldasto, Muratori, Georghis [sic], Canciani, due sono, e non sette, le leggi di Astolfo sotto il titolo qua/iter quis se defenderedebeat per guardiam. Or dunque 19 sono le leggi qui malamente ricordate da Giannone come leggi inserite nel volume della Lombardia: togliendone cinque restano le quattordici che appunto abbiamo in essa lombarda di Lindebrogio e nella muratoriana. Senza dubbio Giannone si è servito di una qualche edizione delle leggi longobarde stampate in qualche corpus iuris, che io non ho ancora trovato, e nella quale per errore di stampa si è omesso di mettere il nome di Carlomagno, in una legge che segue alle due leggi di Astolfo: e si è detto Item e poi altre sei volte Item. Un simile errore mi rammento essere corso nella edizione del Boerio delle leggi longobarde, Napoli, 28 Xbre 183 I. - Or mi ricordo: leggendo in Roma ali' Angelica nel 7 gennaio di questo anno la rarissima edizione del 15 I 2 delle leggi longobarde di Boe rio, notai che per errore certamente di stampa la legge 5 a del lib. 4 ° di Liutprando è attribuita al re Rotari. Napoli, Regia Biblioteca degli Studi, 16 gennaio 1832 D. In seguito, a questa nota ne aggiungeva un'altra, che testualmente dice: cr Qual piacere! Oggi si sono trovate l 'editio princeps del 15 12 di Boerio e la stampa veneta del Sessa del 1537 col commento di Carlo di Tocco- l'editio princeps del 15 I 2 ha tre leggi sole di Astolfo come tutti gli altri; ma l'edizione del 1537 sbaglia ed è quella confrontata dal Giannone, attribuendo alle leggi di Astolfo altre quattro altre leggi che sono di Carlo Magno. Ed avendo riportate queste quattro leggi ho veduto che sono le leggi 28, 38, 39, 66 d'esso Carlo Magno in Muratori, Canciano, Georghis e tutto. Però è chiaro che Giannone non istudiò il codice cavense. Così son sette per errore di stampa nell'edizione veneta del I 537 ». 1. Cfr. Leges Longobardorrm, cum argutissimis glosis D. Caro/i de Tocco sicculi: multis marginalibus postillis decorate. Una

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Di queste leggi, solamente 137 furono inserite nel volume delle leggi longobarde dal suo compilatore. Nel primo libro se ne leggono 48 e nel secondo 89, poiché nel terzo non ne abbiamo. La prima che si legge nel primo libro è sotto il tit. de i/licito consilio: l'altra sotto il tit. 8, nove altre se ne leggono sotto il tit. de homicidiis: un'altra sotto quello de parricidiis; un'altra sotto il titolo decimoquarto dell'istesso libro: quattro sotto quello de iniuriis mulierum: tre nel titolo decimosettimo: una sotto il tit. de seditione contra iudicem: altra nel titolo decimonono: un'altra sotto quello de pauperie: quattro nel titolo vigesimoterzo: dodici sotto quello de furtis, et ser'Uis fugacibus: una sotto il tit. de invasionibus: un'altra sotto il vigesimonono: altra sotto il tit. de raptu mulierum: un'altra sotto quello de fornicatione: tre sotto il tit. de adulterio: una nel titolo trigesimo quarto: e l'altra sotto quello de culpis servorum, ch'è l'ultima del primo libro. Nel secondo ne leggiamo assai più insino ad ottantanove; due sotto il titolo secondo; una sotto il terzo: tre nel quarto; una nel quinto: altra nel sesto: un'altra nel settimo: otto sotto il tit. de prohibitis 1zuptiis: una nel nono: un'altra nel decimo: altra nell'undecimo: tre sotto quello de coniugiis servorum: altra sotto il titolo decimoterzo: un'altra sotto quello de donationibus: un'altra sotto il tit. de ultimis voluntatibus: tre sotto il ventesimo: sedici nel tit. de debitis et guadimoniis: una sotto quello de treugis: due sotto il ventesimo quinto: un'altra sotto il ventesimo sesto: altra sotto quello de depositis: altra sotto il tit. de rebus i11tertiatis: sette nel tit. de prohibita alienatione: due sotto il trentesimo: una sotto quello de prohibita a/ienatione servorum: quattro sotto il tit. de praescriptio11ibus: due sotto quello de evictionibus: quattro sotto l'altro de sanctimonialibru: due nel tit. de ariolis: quattro sotto il tit. de reverentia Ecclesi"ae, seu immrmitatibus debita: cinque sotto l'altro, qualiter iudices i"udicare debeant: una sotto il tit. de consuetudine, un'altra sotto quello de testibus: quattro sotto il tit. qua/iter quis se defen. deb. ed una in quello de periuriis, ch'è il penultimo titolo del libro secondo. Nel terzo leggi di Luitprando non abbiamo, come quello che per lo più fu composto dalle leggi di quegl'~mperadori che l'Italia, cum capitulari gloriosissimi Caro/i Magni ••. Addita fuere insuper in easdem leges /uculentissima commentaria . .. domini Andree de Barulo. Necnon annotationes clarissimi iuris utriusque interpretis Nico/ai Boctii .•• , Venetiis, impensiis Melchiorris Sessa, 1537. La minuta descrizione che segue corrisponde a questa edizione veneziana.

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come successori de' re de' Longobardi, signoreggiarono, dopo avergli da questa provincia discacciati: tutto che alcune pochissime leggi di Rotari, di Rachi e di Astolfo pure i compilatori v'inserissero. Alcune altre leggi di questo re possono vedersi appresso Marcolfo• e Goldasto. 1 l\1a la saviezza che mostrò questo principe in comporre il suo regno con sì provide leggi, e tutti gli altri suoi pregi, fur non poco oscurati dalla soverchia ambizione di dominare e dal desiderio estremo di stendere i confini del suo regno oltre a quello che i suoi predecessori gli avean lasciato, la quale portò egli tanto avanti che finalmente cagionò ne' suoi successori la mina dell'imperio de' Longobardi in Italia; poiché non contento di aver ritolto al pontefice romano il patrimonio delle Alpi Cozie,2 che poco innanzi il re Ariperto avea confermato alla Chiesa romana, invase anche il patrimonio sabinense ;3 e tutto intento ad approfittarsi e ad investigar qualunque opportunità dJampliare il suo dominio, secondando gli avidi consigli con una presta e destrissima esecuzione, gli venne fatto d'allargare grandemente il suo regno sopra le rovine de' Greci.4 Tanto che la sua potenza rendutasi ormai sospetta a' pontefici romani, finalmente veggendo costoro depressa e poco men che estinta in Italia l'autorità degl'imperadori d'Oriente, e non fidandosi più de' Greci, ch'erano divenuti loro capitatissimi nemici, pensarono nella maniera che ora diremo di ricorrere alle forze straniere per abbassare imperio sì grande. IV.

Origine del dominio temporale de' romani pontefici in Italia.

Trovavasi veramente Gregorio in angustie grandi, perché se bene Luitprando co' Longobardi mostravano di difenderlo contra gli sforzi di Lione, conosceva però assai bene che questo- zelo lo a) Marcul., tit. 55, § 4. 5 Goldast, tom .••• Di Melchior Goldast si veda la Collectio constitutio11um imperialium cit. Ma la saviezza ... Cozie: il discorso che qui fa il Giannone è copiato dal terzo libro delle Historiae de regno ltaliae del Sigonio, ad annum 716. 3. patrimonio sabinense: cfr. C. Sigonio cit., ad annum 713. 4. e tutto intento . .. Greci: c.fr. Paolo Diacono, lib. VI, capp. 49 e 56, in Grozio, op. cit., pp. 923-4 e 928-9. 5. Marcolfo fu un monaco francese vissuto probabilmente nel VII secolo, e autore di una raccolta di formulari, divisa in due libri: cawae regales (cioè atti pubblici) e cawae pagenses (atti privati), pubblicata per la prima volta con il titolo Formularum libri duo, Lutctiae Parisiorwn 1613, da Jérome Bignon. 1. 2.

LIBRO V

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dimostravano non tanto per di lui servigio e conservazione, quanto per approfittarsi sopra l'altrui discordie; per la qual cagione non aveva in che molto fidarsi di loro, come l'evento il dimostrb. Quindi i Romani abbominando dall'un canto l'empietà di Lione, alla quale voleva tirargli per quel suo editto, 1 e dall'altro essendo loro sospet... ta l'ambizione di Luitprando, che non cercava altro in questi tor... bidi che d'impadronirsi del ducato Romano, si risolsero finalmente, scosso il giogo di Lione, mantenersi uniti sotto l'ubbidienza del papa, al quale giurarono di volerlo difendere contra gli sforzi e di Lione e di Luitprando. Questo fu l'origine e questi furono i primi fondamenti che si buttarono, sopra de' quali col correr degli anni venne a stabilirsi il dominio temporale de' pontefici romani in Italia. Cominciò il lor dominio da questo interregno che fecero i Romani, i quali, liberatisi da Lione, eran tutti uniti sotto il papa lor capo, ma non già ancora lor principe.2 Ma non perché tanta avversità a' suoi disegni scorgesse Eutichio, si perdé d'animo a proseguire il suo disegno; imperocché rifatta come poté meglio la sua armata, si portò in Ravenna, e durando ancora le fazioni in quella città, gli fu facile, veggendosi i suoi partiggiani soccorsi con sì valide forze, ricuperarla e ridurre i Ravignani nella fede del suo principe. Questi ponderando che tutta l'Italia era per lui perduta, e che non potrebbe mai opprimere il papa e l'ostinazione de' Romani, sempre che Luitprando era per soccorrergli, in1piegò tutta la sua destrezza e politica per distaccar questo principe dagl'interessi del pontefice e de' Romani ed obbligarlo ne' suoi. Erasi in questo incontro ribellato a Luitprando Tra... simondo duca di Spoleto, e trovandosi Luitprando impiegato a reprimer la costui fellonia, ardeva di desiderio di farne aspra e presta vendetta. Si era ancora il re accorto, per la resoluzione ferma de' Romani di darsi al papa, che niente potrebbero giovargli con essi le arti e le lusinghe per tirargli alla sua ubbidienza, ma che restava la sola forza per far questo colpo. Per questi rispetti offerendogli l'esarca il suo esercito per reprimere prima la fellonia di Trasimondo, come che non per altri fini s'era intrigato in questa :r. per quel suo editto: furono due gli editti iconoclasti di Leone III, un primo nel 726, e l'altro nel 730. Giannone ne ha parlato nel secondo paragrafo, qui non riprodotto, di questo stesso capitolo. 2. Il discorso giannoniano è qui e in seguito sorretto dalla narrazione di C. Sigonio, Historiae cit., ad annos 727-730.

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guerra, che per approfittar delle occasioni ch'ella gli avrebbe somministrate di tirar grandi vantaggi o dall'una o dall'altra parte: non ebbe Eutichio a durar molta fatica per tirarlo ne' suoi disegni; per questo dimenticatosi dell'obbligo ch'egli aveva co' Romani, e della parola da lui data di difendere il papa e la religione contra gl'insulti dell'imperadore, accettò queste offerte e conchiuse con Eutichio il trattato, il quale infatti congiunse tosto la sua armata a quella del re e seguitollo alla guerra ch'egli andò a portare contra il duca di Spoleti suo ribelle; la quale non durò troppo, poiché Trasimondo restò così sorpreso di questa colleganza, la quale non aspettava punto, che subito che Luitprando fu arrivato innanzi Spoleti venne a gittarsi a' di lui piedi chiedendogli perdono, e l'ottenne: fu medesimamente ristabilito nel suo ducato, facendo di nuovo al re il giuramento, e dandogli ostaggi della sua fedeltà. 1 Mancata così tosto l'occasione d'impiegar le armi contra ribelli, in adempimento del trattato con Eutichio furon quelle voltate contra i Romani, e venne Luitprando con le due armate a presentarsi sotto Roma, accampandosi nelle praterie di Nerone, che sono tra 'l Tebro e la chiesa di S. Pietro, dirimpetto al Castel S. Angelo. Presentendo Gregorio l'apparecchi di Luitprando, aveva fatto munire come poté il meglio la città di Roma; ma scorgendo che mal colla forza poteva resistere a tanto apparato di guerra, avendo innanzi agli occhi l'esempio del duca di Spoleti, che colle preghiere ottenne dalla pietà di Luitprando quel che non avrebbe potuto sperar colle armi, volle imitarlo, e senza consultar la prudenza umana, la quale non poteva mai persuadere ch'egli fosse andato a mettersi nelle mani de' suoi nemici, senza grandi precauzioni e senza aver ben prima prese le sue misure, accompagnato dal clero e da alcuni baroni romani andò egli stesso a trovare il re. Sorpreso Luitprando da quest'atto non preveduto, non poté resistere agl'impulsi della cortesia, che gli erano molto naturali, e di riceverlo con tutto il rispetto dovuto alla santità della vita ed all'augusto carattere del sovrano pontificato. Allora fu che Gregorio pigliando quell'aria di maestà, che la sola virtù suprema accompagnata da una sì alta dignità può ispirare, cominciò con tutta la forza immaginabile temperata con una grave benignità a spander fiumi d'eloquenza, r. Per la stretta dipendenza di Giannone dal Sigonio, cfr. la p. 65 dell'edizione citata delle sue Historiae.

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rimproverandogli la fede promessa: il torto che faceva alla religione, della quale era tanto zelante, e ponendogli avanti gli occhi i danni gravissimi che poteva apportare al suo regno, se mancasse di protegger la Chiesa, lo scongiurava a desistere dall'impresa, altrove le sue armi rivolgendo. Luitprando o tocco i~ternamente da' stimoli di religione, o che vedesse in quell'istante molte cose ch'egli non aveva considerate nell'ardore della sua passione, o perché siccome gli uomini non sanno essere in tutto buoni, nemmeno sanno essere in tutto cattivi, 1 rimase così tocco di queste dimostranze di Gregorio che senza pensare, né a giustificar la sua condotta, né a cercare scusa per metter in qualche modo a coperto l'onor suo, gettassi alla presenza di tutti a' di lui piedi, e confessando il suo errore protestò di voler ripararlo allora e di non mai soffrire per l'avvenire che si facesse alcun torto a' Romani, né che si violasse nella di lui persona la maestà della Chiesa di cui era egli padre e capo. Ed istando l'esarca che s'adempiessero gli ordini dell'imperadore,• non solo non vi diede orecchio, ma per dare al papa un più sicuro pegno della sua parola pregollo che andassero insieme nella basilica di S. Pietro, la qual'era ancora in quel tempo fuori delle mura della città, e quivi in presenza di tutti i capi della sua armata, che l'avevano seguitato, fattosi disarmare, pose sopra il sepolcro dell' Appostolo le sue armi, la cinta e la spada, il bracciale, l'ammanto regale, la sua corona d'oro ed una croce d'argento: supplicò dapoi il papa che ricevesse nella sua grazia l'esarca Eutichio, di cui non potevasi più temere, quando non avesse l'aiuto de, Longobardi. Gregorio sperando sempre che Lione avrebbe un dl riconosciuti i suoi errori, acconsentì a questa dimanda: dimodoché ritiratosi Luitprando coll'esercito ne• suoi stati, l'esarca fu ricevuto in Roma, e trattennevisi qualche tempo molto quieto in buona intelligenza col papa; in guisa che essendo succeduto medesimamente in questi tempi che un impostore, il quale facevasi chiamar Tiberio, e che vantavasi della stirpe degl'imperadori, aveva sedutti alcuni popoli della Toscana, che lo proclamarono Augusto,b a) Sigon., ad a. 729.

b) Anast. Bibliot., in Greg. 11.2

1. gli uomini .•. cattivi: è il celeberrimo commento del Machiavelli a proposito di Giampaolo Baglioni, in Discorsi, 1, XXVII. 2. Di Anastasio Bibliotecario (81 s circa - 878 circa), antipapa, uno dei personaggi più colti del suo tempo, vedi l'edizione Histo,ia de TJitis romano,um pontificum a B.

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Gregorio, che non trascurava occasione d'obbligarsi Lione, veggendo che l'esarca n'era entrato in pensiero per non aver forze bastanti ad opprimerlo, si maneggiò tanto appresso i Romani che l'accompagnarono in questa guerra contra il tiranno, il quale fu assediato e preso in un castello: donde fu mandata la di lui testa all'imperadore. Ma Lione indurato sempre più portò la sua passione fino all'ultime estremità, perché in Oriente, ove era più assoluto il suo imperio, e che non aveva chi se gli opponesse, riempié di stragi, di lagrime e di sangue il tutto: fece cancellar quante pitture erano in tutte le chiese: indi fece pubblicar un ordine, col quale s'incaricava a tutti gli abitanti, principalmente a quelli che avevan cura delle chiese, di riporre nelle mani de' suoi ufficiali tutte le immagini, acciocché in un momento potesse purgar la città, facendole bruciare tutte insieme. Ma l'esecuzione riuscendo strepitosa, non perdonandosi né a sesso né ad età, fu questa finalmente la cagione che senza speranza di riacquistarlo fece perdere a Lione ed a' suoi successori ciò che restava loro in Occidente. Imperocché il papa, disperando all'intutto la riduzione di questo principe, e temendo che un giorno non si facesse nelle provincie d'Occidente ciò che egli vedeva con estremo dolore essersi fatto in quelle d'Oriente, rallentò quel freno che e' per lo passato avea tenuto forte a non permettere che i Romani scotessero affatto il giogo del lor principe, ma lasciando al loro arbitrio di far ciò che volessero, approvò finalmente quello che egli infino allora crasi sempre studiato impedire e ciò che i popoli aveano già cominciato a fare da loro stessi ; onde i Romani, tolta ogni ubbidienza a Lione, si sottrassero affatto dal suo dominio, impedendo che più se gli pagassero i tributi, e s'unirono insieme sotto l'ubbidienza di Gregorio come lor capo, non già come lor principe. Alcuni nostri scrittori, 1 per l'autorità di Teofane, Cedreno, ZoPetro apostolo usque ad Nicolaum I nunquam hactenus typis excusa, Moguntiae 1602, p. 100; la copia del citato Fondo Vallettiano (vn. 4. 31) contiene in margine numerose note autografe del Giannone; ma vedi anche C. Sigonio, Historiae cit., ad annum 729. 1. Alcuni nostri scrittori: lo stesso Sigonio, Historiae cit., ad annum 725, Roberto Bellarmino nel capitolo VIII del suo Tractatus de potestate summi pontificis in rebus tempora/ibrlS, adversus Gulielmum Barclaium, Coloniae Agrippinae 161 I (ma si veda anche di lui il De translatione Jmperii romani a Graecis ad Francos, advcrsus Mattlziam Flaccium lllyricum, Antverpiae x589), e infine il Baronio, Annales ecclesiastici cit., IX, 1600, ad anntlm 730, pp. 97 sgg.

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nara e di Niceforo 1 autori greci, e che fiorirono molto tempo dopo Gregorio, Paolo Warnefrido ed Anastasio Bibliotecario, rapportano che i Romani, scosso il giogo, elessero Gregorio per lor principe, dandogli il giuramento di fedeltà; e che il papa, accettato il principato di Roma ordinasse a' Romani ed a tutto il resto d'Italia che non pagassero più tributo all'imperadore e che di più assolvesse dal giuramento i vassalli dell'Imperio: scomunicasse con pubblica e solenne celebrità l'imperador Lione: lo privasse non pur de' domìni che egli avea in Italia, ma anche di tutto l'Imperio: e che quindi fosse surto il dominio independente del papa sopra di Roma e del suo ducato: che poi per la munificenza di Pipino e di Carlo M. si stese sopra l'esarcato di Ravenna, di Pentapoli e di molte altre città d'Italia. Gli scrittori franzesi, fra' quali l'arcivescovo di Parigi P. di Marca,• eque' due celebri teologi Natale2 e Dupino,b niegano che Gregorio, savio e prudente pontefice, avesse dato in tali eccessi: le epistole di questo stesso pontefice,c Warnefrido, Anastasio Bibliotecario, Damasceno, !'epistole ancora di Gregorio III e di Carlo M. a Costantino ed Irene, convincono per favolosi questi racconti; per la testimonianza de' quali tanto è lontano che Gregorio avesse a) P. de Marca, De concord. Sacerd. et Imp., lib. 3, cap. 11, num. 2. 3 b) Dup., De antiq. Eccl. disc., diss. 7.4 e) Greg. Il, in Ep. I ad

Leonem. 5 I. Teofane nacque sotto il regno di Costantino Copronimo (741-775) e morì nell'8 r7; la sua Chronographia fu edita nel Corpus bizanti1iae historiae, VII, Parisiis 1655; Giorgio Cedreno è autore di una storia universale che giunge sino all'impero di Isacco Comneno (1057) e basata in gran parte su Teofane e altri cronografi bizantini; edita nel 1566 dallo Xylander, fu poi ripresa da Carlo Annibale Fabrotus per il Corpus bizantinae histon'ae ( 1647); per Giovanni Zonara cfr. la nota 2 a p. 31. La sua Epitome venne tradotta in latino da Girolamo Wolff nel 1557 e successivamente in italiano dal Fiorentino (1560) e da Ludovico Dolce (1564); fu anch'essa inserita nel citato Corpus con a fronte la traduzione del Wolff; Niceforo Grègoras visse tra il 1269 e il 1360; autore di una Storia bizanti11a, fu edito anch'esso dal Wolff nel 1562 e ripreso nel Corpus del Fabrotus. 2. Natale: si tratta di Noel Alexandre (cfr. la nota I a p. 104), Historia ecclesiastica Veteris NotJique Testamenti, ab orbe condito ad annum post Christum natum millesimum sexcentesimum •• . , Parisiis 1714, v, pp. 733 sgg. 3. Pierre de Marca (15941662), De concordia Sacerdotii et Imperii, seu de Iibertatibus Ecclesiae gallica11ae libri octo, Parisiis 1704, col. 280. 4. Per Louis Ellies Du Pin e l'opera qui citata vedi la nota 5 a pp. 204-5. Il riferimento nell'edizione ivi cit., pp. 508 sgg. 5. La fonte già nel Du Pin cit.; ma si veda anche la discussione fattane contro il Baronio dal Pagi, ad annum 730.

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scomunicato Lione, accettato il principato di Roma, sciolti i vassalli dell'Imperio dal giuramento e da' tributi e deposto l'imperadore: che anzi ci accertano che Gregorio, ancorché in mille guise offeso, fosse stato sempre a Lione ufficioso e riverente, ed avesse in tutte le occasioni impedite le rivolte de' popoli e proccurato che non si sollevassero contro al lor principe. Si oppose egli è vero agli editti di Lione per l'abolizione delle immagini, comandando che non s'ubbidissero, ed esortando quel principe che lasciasse il disegno in cui era entrato; ma appresso sì gravi autori non si legge che lo scomunicasse. Il primo pontefice romano che si diè vanto di aver adoperati i suoi fulmini sopra le teste imperiali, fu il famoso Ildeprando Gregorio VII, come_ noteremo a suo luogo, non già Gregorio Il. Ciò che più chiaro si manifesta per quello che scrive Anastasio, 8 narrando che avendo Lione deposto dal patriarcato di Costantinopoli Germano, per non aver voluto acconsentire all'editto, e sustituito Anastasio Iconoclasta, dice egli che Gregorio scomunicò bene sì Anastasio perseverando nell'errore, ma che all'imperadore solo sgridava con lettere, ammoniva, esortava che desistesse dall'impresa, non già che lo scomunicasse, come scrisse di Anastasio. Più favolosa è la deposizione che si narra fatta da Gregorio; poiché questo pontefice riconobbe Lione per imperadore finché visse; e lo stesso fece il suo successore Gregorio III il quale comunicò col medesimo, e di lui si leggono molte lettere dirizzate all'imperadore piene di molta umanità e riverenza. Anzi tanto è vero che lo riconobbe sempre per tale, che le date delle sue lettere portano gli anni del suo imperio, come è quella di Gregorio dirizzata a Bonifacio, Imperante domino piissimo Augusto Leone, imperii eius XXIII. b I nostri moderni scrittori latini, tratti dall'autorità di que' greci, riceverono come vere le loro favole; ma non avvertirono che dovea preponderare assai più l'autorità de' nostri antichi latini scrittori, che fiorirono prima e che narravano cose accadute in tempo ed in parte da loro non cotanto rimota e lontana. Non avvertirono ancora a) Anast. Bibliotec., ad a. 658. 1 b) Greg. III, Ep. 3 ad Bonifac. P. de Marca, De eone. Sac. et Imp., lib. 3, cap. 11, num. 5.2 Historia de vitis romanorum pontificum cit., p. 99. 2. P. de Marca, De concordia, ed. cit., col. 281, dove è anche il riferimento all'epistola di Gregorio III. I.

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che i Greci di quegli ultimi tempi, oltre al carattere della loro nazione, che gli ha sempre palesati al mondo mendaci e favolosi, erano tutti avversi alla Chiesa romana, e per commover gli animi di tutti ad odio, e per recar invidia a' pontefici romani, gli rappresentarono al mondo per autori di novità e di rivoluzioni, imputando ad essi la ruina dell'Imperio d'Occidente, accagionandogli di novatori, ambiziosi, usurpatori dell'autorità temporale de' principi: e che mal imitando il nostro capo e maestro Giesù, fossero divenuti da sacerdoti principi. Le favole di questi Greci scismatici furono poi con avidità e con applauso ricevute da' moderni novatori e da' pii1 rabbiosi eretici degli ultimi nostri tempi. Essi ancora, per l'autorità di .costoro, vogliono in tutti i modi che veramente Gregorio scomunicasse Lione, che assolvesse i vassalli dell'Imper~o dal giuramento, che deponesse l'imperadore, ordinasse che non se gli pagassero i tributi, e che da' Romani ribellanti essendogli offerta la signoria di Roma, avesse accettato d'esserne signore, onde ne divenisse principe. Spanemio, • fra gli altri, si scaglia contra gli scrittori franzesi che hanno per favolosi nella persona di Gregorio questi racconti: dice che essi, scrivendo sotto il regno di Lodovico il Grande, han voluto negar questi fatti, anno 772, lasciando successore Adriano. Non minori disordini accadevano nell,elezione delle altre sedi minori. I favori de' principi, le violenze, i negoziati e le simonie vi aveano la maggior parte. La disciplina era quasi che alrintutto mancata : vi era molta ignoranza e ·molta licenza fra i vescovi e fra i cherici. Non vi era dissolutezza che non commettevasi, tenevano femmine in casa, andavano alla guerra, si arrollavano alla milizia militando sotto gli altrui stipendi; e scotendo il giogo non ubbidivano più a' loro vescovi. I pontefici romani, divenuti potenti signori nel temporale per la donazione fatta alla Chiesa di Roma da Pipino e da Carlo suo successore, cominciarono sopra i principi a stendere la loro potenza: Zaccheria per aver avuto gran parte alla translazione del regno di Francia ne' Carolingi, ed Adriano del regno d'Italia ne' Franzesi, reseli tremendi. Si pensava con maggior sollecitudine alle cose temporali che alle divine e sacrate; e seguitando gli altri vescovi il loro esempio, venne a corrompersi ed a mancare affatto l'antica disciplina. Dall'altro canto i principi del secolo vedendo tanta corruzione,

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s'affaticavano a tutto potere alla riforma del clero e della Chiesa; ed oltre a ciò, dandosi loro cosi opportuna occasione, s'intrigavano molto più che prima nell'elezione de' vescovi e degli altri ministri della Chiesa, ed a disporre delle loro entrade. Lione Isaurico e gli altri imperadori d'Oriente suoi successori volevano esser tenuti per moderatori non meno della politia ecclesiastica e della disciplina che de' dogmi ancora: promulgavano editti intorno alla adorazione dell'immagini, e toltone il solo ministerio del sacrificare, essi volevan esser riputati i monarchi e' presidenti delle chiese; presidevano a' sinodi e lor davano vigore: davano le leggi e componevano gli ordini ecclesiastici; soprastavano alle liti ed a' giudìci de' vescovi e de' cherici, alle elezioni che doveano farsi nelle sedi vacanti, e ne' suffragi che doveano darsi: trasferivano i vescovi da una sede ad un'altra: abbassavano ed innalzavano le cattedre a lor modo, dal vescovado al metropolitano ed arcivescovado: disponevano essi i gradi ed i troni per la gerarchia: partivano le diocesi a lor modo, ed ergevano le chiese in nuovi vescovadi o metropoli. Quindi cominciossi il disegno d'attribuire al patriarcato di Costantinopoli molte chiese con toglierle a quello di Roma, siccome nel seguente secolo fu ridotto a compimento; le tolsero infra l'altre, come diremo a suo luogo, la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania, le quali quel patriarcato ritenne finché per l'opera de' nostri Normanni, e particolarmente del nostro Rogiero I re di Sicilia, non si fossero restituite a quello di Roma: e maggiori stravaganze si videro ne' seguenti tempi nella declinazione del loro imperio, quando proccurarono interamente sottopporre il sacerdozio all'Imperio, intorno a che potranno vedersi Giovanni Filosaco• e Tommasino, b che distesamente ne ragionano. I principi d'Occidente, ancorché non osassero tanto, nondimeno, collo spezioso pretesto di riparare alla difformità del clero ed alla perduta disciplina, s'intrigavano assai più di ciò che importava la a) Filesac., De sacr. episc. aut., c. 7, § 7. 1 nov. Eccl. disc., p. 1, I. 1, c. 52, n. 6. 2

b) Tomasin., Vet. et

1. Jean Filcsac (lat. Filesacus; 1556-1638), teologo e controversista francese. Il Giannone si riferisce al De sacra episcoporum auctoritate • .• Commentarius, Parisiis 1606. 2. Louis Thomassin (1619-1695), oratoriano francese, Vetus et nova Ecclesiae disciplina circa beneficia et beneficiarios» Parisiis 1691, I, p. 198, cap. LVI (e non 52).

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protezione e la tutela delle lor chiese; anzi ne' primi anni di questo secolo, non meno che gli ecclesiastici, deformarono lo stato di quelle. Carlo Martello, dopo aver preso il governo del regno di Francia, in vece d'apportar rimedio a1 disordini che regnavano, si pose in possesso de' beni delle chiese; donò le badie ed i vescovadi a1 laici; distribui le decime a' soldati, e lasciò vivere gli ecclesiastici ed i monaci in maggiore dissolutezza. In Italia ed in queste nostre provincie che ubbidivano a1 duchi di Benevento, i re ed i duchi longobardi per le continue inimicizie che tenevano co' romani pontefici fautori prima de' Greci, e poi de' Franzesi, cagionarono non minore deformità. Il re Desiderio, per le contese avute col pontefice Stefano IV intorno ali' elezione fatta da lui di Michele in arcivescovo di Ravenna, fatto scacciare dal papa, per vendicarsene fece cavar gli occhi a Cristofano ed a Sergio uomini del papa, e poi fece anche morir Cristofano, ed intimorì di maniera il papa che l'accellerò la morte. 1 Furono i Longobardi non meno che i Goti, e gl'imperadori d'Occidente suoi predecessori, molto accorti a ritenere tutti i diritti che lor dava la ragion dell'imperio. Il dichiarare le chiese per asili, e prescriver le leggi per quali delitti potessero i sudditi giovarsi dell'asilo, e per quali il confugio ad essi non giovasse, era della loro potestà. Il re Luitprando, imitando gl'imperadori d'Occidente, de' quali ci restano molte loro costituzioni nel Codice di Teodosio e di Giustiniano a ciò attinenti, stabilì ancor egli che gli omicidi ed altri rei di morte non potessero giovarsi dell'asilo.• Impone a1 vescovi, abati e ad altri rettori delle chiese o monasteri di non ricettargli, di non impedire il magistrato secolare volendogli estrarre, e se daranno mano a fargli fuggire o occultargli, ovvero ad impedire che non siano estratti, loro si prescrive ancora pena pecuniaria di 600 soldi. b Ritennero ancora i nostri re longobardi la ragione di stabilire leggi sopra i matrimoni,c di vietargli con chi a) L. 2 De his qui ad Ecci. confu.giunt, tit. 39, lib. 2 in LL. Longob. 2 b) L. 4 cit., tit. 39 1 lib. 2. 3 e) Launojus, Regia in ,natrim. potest., part. 3, art. 2, cap. 7.4 In Italia . .. morte: cfr. C. Sigonio, Historiae, ed. cit., p. 83. 2. Cfr. ed. cit., tit. XXXVIII (e non xxxix; la legge II è di Carlo Magno). 3. Cfr. ivi, tit. XXXVIII (e non xxxix; anche la legge IV è di Carlo Magno). 4. Jean de Launoy (1603 circa - 1678), Regia in matrimonium potestas, Parisiis 1674. 1.

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l'onestà o parentela o affinità recava impedimento: diffinire l'età di contraergli: dichiarare l'illegittimità delle nozze, degli sponsali e della prole, e di stabilire tutto ciò che riguarda il maggior decoro ed onestà di quelli, com'è chiaro dalle loro leggi.• Gl'imperadori d'Oriente a' quali ubbidivano in questi tempi il ducato Napoletano, gran parte della Calabria e della Puglia e molte città maritime di queste nostre provincie, parimente inimici de' romani pontefici, esercitavano sopra le chiese delle città a lor soggette assoluto arbitrio. Costantino e Lione suo figliuolo volevano far valere in quelle i loro editti per l'abolizione delle immagini: non vollero far ammettere Paolo eletto vescovo di Napoli come aderente al pontefice, e fecero che i Napoletani non lo ricevessero dentro la lor città. Né fu veduta maggior diformità nella Chiesa di Napoli che in questi tempi: si vide nel medesimo tempo Stefano, che n'era duca, e che come ufficiale dell'imperadore teneva il governo del ducato, morta sua moglie, essere stato eletto vescovo, e non deponendo l'antica carica amministrare insieme le umane e le divine cose. Morto che fu, e succeduto nel ducato Teofilatto suo genero, dovendosi venire ali' elezione del nuovo pastore, Esprassia, figliuola di Stefano e moglie di Teofilatto, crucciata contra il clero, che avea mostrato della morte di suo padre gran contento ed allegrezza, giurò che non avrebbe fatto eleggere niun di loro per vescovo; ed il duca suo marito, sia per non contristarla, o per avarizia, faceva perciò differire l'elezione, tanto che i Napoletani, attediati della lunga vedovanza della lor Chiesa, andarono uniti insieme, e clero e popolo, a gridare avanti il ducal palagio che loro dassero per vescovo chi volevano. Allora Esprassia, tutta d'ira e di furore accesa, prese dal popolo un uomo laico, chiamato Paolo, e loro il diede per vescovo: né alcuno avendo ardire di contrastarle, presero Paolo, lo tosarono e l'elessero vescovo, il quale gito a Roma, il pontefice per la corruttela del secolo non ebbe alcuna difficoltà di consecrarlo e confermarlo. b a) LL. Longob., lib.

sponsalib.

de b) Io. Diac., De epis. neap. Chioc., De epis. neap., a. 795. 1 2,

tit. de prohibitis nuptiis, lib.

2,

tit.

1

J. Si tratta rispettivamente di Giovanni di Napoli (IX-X secolo), diacono della chiesa di San Gennaro, autore di un Cl,ronicon episcopor11,n S. Neapolitanae Ecclesiae ab eorum exordio usque ad annum 87z, edito dal Muratori in R.J.S., tom. 1, par. 11, 1723; e di Bartolomeo Chioccarclli (1575 circa -

LIBRO V • CAP. ULT.

In tanta corruttela, ed essendo giunte le cose in tale estremità, si scossero finalmente non meno i prelati della Chiesa che i principi del secolo a darvi qualche riparo: in Francia morto Carlo Martello, avendosi diviso il regno Carlomanno e Pipino suoi figliuoli, benché non avessero la qualità di re, formarono il disegno di operare in guisa che fosse in qualche modo riformata la disciplina. Carlomanno principe d' Austrasia fece nel 742 convocare un concilio in Alemagna, e vi pubblicò col consenso de' vescovi molti regolamenti per riforma della disciplina e de' costumi: vietò agli ecclesiastici d'andare alla guerra: ordinò a' curati di essere sottomessi a' loro vescovi: fece degradare e mettere in penitenza alcuni ecclesiastici convinti di delitti d'impurità; e nell'altra adunanza, che l'anno seguente fece tenere in Lestines vicino a Cambray, oltre di aver confermato tutto ciò, vietò ancora gli adultèri, gl'incesti, i matrimoni illegitimi e le superstizioni pagane. 1 Pipino principe di Neustria si affaticò parimente dal suo canto perché la disciplina ecclesiastica fosse riformata: fece tener un'adunanza di 23 vescovi e molti Grandi del regno in Soisson nell'anno 744, nella quale furono confermati i canoni de' concili precedenti ed ordinato che inviolabilmente fossero osservati: che in ogni anno dovessero convocarsi i sinodi: che i sacerdoti dovessero esser soggetti a' loro vescovi: che i cherici non potessero aver femmine nelle lor case, eccettuatene le loro madri, sorelle e nipoti; né i laici vergini a Dio sacrate. Ne' seguenti anni 752, 755, 756 e 757 furono tenute altre consimili adunanze, nelle quali si stabilirono altri regolamenti sopra i costumi. E Carlomanno sopra ogn'altro quasi ogni anno fece tener queste adunanze; nelle quali parimente furono stabiliti molti capitulari per mantenere la disciplina, rinovando gli antichi canoni e facendo de' nuovi regolamenti sopra i pressanti bisogni della Chiesa. Queste adunanze non erano propriamente concili: elle non erano composte solamente di vescovi, ma eziandio di signori e di Grandi del regno convocati da' principi. I vescovi stendevano gli articoli per la politia ecclesiastica, ed i signori per quello apparteneva allo Stato; e poi erano autorizzati 1647 circa), Antistitum pratclarissimae N,apolitanat Eccluiae Catalogru,

ab Apostolorum temporibus ad hanc wque nostram attatem tt ad annum MDCXLIII, Neapoli, s.'a. (ma 1643), pp. 77-9. 1. Jn tanta corruttela .•• pagane: questa e le notizie che seguono possono essere state tratte da P. De Marca, De concordia cit., lib. v1, cap. XXIV, coll. 980 sgg.

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e pubblicati da, principi, affinché avessero forza di legge. 1 Questi articoli erano chiamati capitoli, ovvero capitolari. E questa fu la maniera colla quale era regolata la disciplina della Chiesa di Francia e di Alemagna sotto la seconda stirpe di que' re in questo secolo. In Italia2 furono parimente da alcuni pontefici romani stabiliti molti canoni per riparo della caduta disciplina. Papa Zaccheria tenne perciò due concili in Roma, uno nell'anno 743 composto d'intorno a quaranta vescovi d'Italia, ove fu rinovata la proibizione fatta tante volte a' vescovi, a' sacerdoti ed a' diaconi di abitare insieme con femmine, e dati altri provvedimenti; l'altro nel 745, composto di sette vescovi e d'alcuni sacerdoti, dove furono discusse alcune accuse fatte a' vescovi e trattati alcuni dogmi intorno all'idolatria, e dichiarato che molti angioli che venivano invocati erano i loro nomi ignoti, e che non si sapevano se non i nomi di tre, cioè Michele, Raffaele e Gabriele. Anche in Aquileia Paolino suo vescovo nell'anno 791 tenne un concilio, ove dopo una confessione di fede stabilì quattordici canoni sopra la disciplina de' cherici, sopra i matrimoni e sopra le obbligazioni delle monache, e sopra altri bisogni. In Oriente,3 dapoi che l'imperadrice Irene prese il governo dell'Imperio, si pensò a ristabilir la disciplina: prese risoluzione di far ragunare un nuovo concilio per esaminare ciò che l'altro fatto tenere da Costantino Copronirno nell'anno 753 avea stabilito intorno al culto delle immagini. Ne diede ella avviso al pontefice Adriano, che vi condescese e vi mandò due sacerdoti per tenervi il suo luogo. L'adunanza del concilio cominciò in Costantinopoli nell'anno 786, ma essendo stata turbata dagli ufficiali dell'esercito e da' soldati eccitati da' vescovi opposti al culto delle immagini, fu trasferita in Nicea l'anno 787. I legati del papa vi tennero il primo luogo ;4 Tarasio patriarca di Costantinopoli il secondo: i deputati de' vescovi d'Oriente il terzo:

I. Queste adunanze . .. legge: anche per questo cfr. P. De Marca, op. cit., lib. VI, cap. xxv, coll. 985-6. 2. In Italia ecc.: le notizie che qui seguono sono probabilmente tratte dalla Histoire ecclésiastique di Claude Fleury (cfr. la nota J a p. 31), lib. XLII, passim. 3. In Oriente ecc.: anche per queste notizie cfr. Fleury, op. cit., lib. XLIV, nn. 25 e 26. 4. I legati • .. luogo: cfr. Fleury, op. cit., lib. XLIV, n. 29: "Les deux Légats du pape sont nommez les premiers dans les actes ,,_

LIBRO V • CAP. ULT.

dopo essi Agapeto vescovo di Cesarea in Cappadocia, Giovanni vescovo di Efeso, Costantino metropolitano di Cipri, con 250 arcivescovi e vescovi e più di cento sacerdoti e monaci. Vi assisterono ancora due commessari dell'imperadore e dell'imperadrice, ed in più azioni fu lungamente dibattuto il dogma del culto delle immagini e stabiliti sopra ciò molti regolamenti. Non meno che a' dogmi, fu provveduto sopra la disciplina ecclesiastica per 22 canoni: fu data norma all'esame de' vescovi, prescrivendosi di non poter esser ammessi se non fossero atti ad ammaestrare i popoli e se non sapevano il Salterio, il Vangelo, !'Epistole di S. Paolo ed i canoni. Si dichiarano nulle tutte !'elezioni de' vescovi o sacerdoti fatte da' principi, e l'elezione d'un vescovo si commette a' vescovi convicini. Si procede severamente contra i vescovi che ricevessero denari per deporre ovvero fulminar le scomuniche. Si ordina che tutte le chiese ed i monasteri debbiano avere i loro economi: che i vescovi e gli abati non possano senza necessità vendere o donare le tenute delle loro chiese e monasteri. Che non debbano le loro case vescovili e monasteri fargli servire per osterie. Che un cherico non possa essere ascritto a due chiese: che i vescovi e gli altri ecclesiastici non possano portare abiti pomposi. Si proibisce la fabbrica degli oratòri ovvero cappelle, se non vi si possiede un fondo sufficiente per somministrar le spese. Si vieta alle femmine d'abitare nelle case de' vescovi, ovvero ne' monasteri d'uomini. Si proibisce di prendere cos'alcuna per gli ordini, né per l'ingresso ne' monasteri, sotto pena di deposizione a' vescovi ed a' sacerdoti; ed in quanto alle badesse ed agli abati che non sono sacerdoti di essere cacciati da' monasteri; permette però a coloro che sono ricevuti ne' monasteri, ovvero a' loro parenti, il donar volontariamente o denaio, o altro, sotto la condizione però che que' donativi debbano rimanere a' monasteri, o che colui che v'entra vi dimori, o che n'esca, quando i superiori non siano cagione della loro uscita. Si vieta il far monasteri doppi d'uomini e di femmine, e si comanda che rispetto a quelli che sono già stabiliti i monaci e le monache debbiano abitare in due case diverse; e che non possano vedersi, né aver familiarità insieme. Si proibisce a' monaci il lasciar i loro propri monasteri per andarsene in altri; e per ultimo il mangiar insieme con femmine, quando ciò non fosse necessario per lo bene spirituale, ovvero per accogliere qualche parente, o pure in occasione di viaggio. Tali e tanti provvedimenti, perché la caduta disciplina in qualche 30

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ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI

modo si ristabilisse, fur dati in questi tempi: dove i vizi abbondavano, bisognavano molte leggi per reprimergli; ma questa non era bastante medicina a tanti mali: a questo fine alcuni vescovi per riformar il lor clero fecero vivere i loro preti in comune dentro un chiostro, ed alla lor vigilanza è debitrice la chiesa dell'ordine de' Canonici Regolari, de' quali Crodegando vescovo di Mets sembra essere stato l'institutore, ovvero il restauratore. 1 Le chiese delle nostre provincie, le quali parte ubbidivano agli imperadori d'Oriente, parte a' duchi longobardi, furono perciò alquanto rialzate, ma non tanto, sì che per la barbarie ed ignoranza del secolo non si vedessero per anche disordinate, e pochi vestigi in quelle rimanessero dell'antica disciplina. 11.

Monaci, e beni temporali.

I nostri principi ed i signori grandi non cessavano di far delle donazioni considerabili alle chiese, ed a fondare de' nuovi monasteri ed arricchire i già costrutti. Fu veramente questo il secolo de' monaci: l'ignoranza e la superstizione non men de' laici che de' preti era nell'ultimo grado: solo ne' monaci eravi rimasa qualche letteratura, onde con facilità tiravano per le orecchie la gente a cib ch'essi volevano: i tanti miracoli, le tante nuove divozioni inventate a qualche particolar santo, l'istruir essi per l'ignoranza e dissolutezza de' preti il popolo, operò tanto che tirarono a sé la divozione e rispetto di tutti. Il re Luitprando costrusse non pur da pertutto dove soleva dimorare molte chiese, ma anche ben ampi monasteri. Costui edificò il monastero di S. Pietro fuori le mura di Pavia, che a' tempi di Paolo Warnefrido• per la sua ricchezza si chiamava Ci"elo d'oro. Edificò ancora in cima delle Alpi di Bardone il monastero di Berceto; ed oltre a cib fabbricb in Holonna un tempio con mirabil lavoro in onore di S. Anastasio Martire, dove fece anche costruire un ampio monastero/' Egli con molta magnificenza per tutti i luoghi ordinò chiese, e fu il primo che dentro a) Paul. Wamefr., lib. 6, cap. 18. 3 1. Crodegando ••• restauratore: 2. Edifici> ancora ••. monastero:

cfr. Fleury, op. cit., lib. XLIII, n. 37. per queste notizie cfr. Paolo Diacono, De gestis Langobardorum, in Grozio, op. cit., p. 930. 3. Cfr. in Grozio, loc. cit., al cap. LVIII e non già 18.

LIBRO V • CAP. ULT.

il suo palazzo edificò un oratorio dedicato al Salvatore, ordinandovi sacerdoti e cherici, i quali ogni giorno vi cantassero i divini uffici.' Quindi cominciarono appb noi a rilucere con maggior dignità e splendore le cappelle regie, le quali da' sommi pontefici arricchite poi di molte prerogative ed esenzioni per compiacere a' principi che glie le richiedevano, non meno esse che i loro cappellani s'elevarono cotanto, quanto ravviseremo ne' seguenti libri di quest'istoria. I nostri duchi di Benevento, seguitando l'esempio de' loro re, non meno in Benevento che in tutto il loro ampio ducato ne fondarono de' nuovi ed arricchirono i già costrutti, e sopra ogni altro quello di M. Casino. Arechi ingrandì quello di S. Sofia in Benevento e di profuse donazioni lo cumulò. A questi tempi nel 707 fu costrutto da que' tre famosi nobili longobardi beneventani Paldo, Taso e Tato il famoso monastero di S. Vincenzo a Vulturno• con tanta magnificenza che ne' seguenti tempi, quasi emulo di quello di M. Casino, innalzò i suoi abati a tanta dignità eh' erano adoperati ne' più importanti affari della sede di Roma e de' più potenti signori d'Occidente. Non meno in questo ducato che nel Napoletano e nelle altre città sottoposte agl'imperadori d'Oriente, i monasteri si multiplicarono, non pure quelli sotto la Regola di S. Benedetto che di S. Basilio; non solamente degli uomini che delle donne. In Napoli Stefano duca e vescovo costrusse molte chiese e più monasteri, dotandogli d'ampi poderi e rendite; così quello di S. Festo Martire, ora unito a quello di S. Marcellino, come l'altro di S. Pantaleone, di cui oggi non vi è vestigio; e restituì in più magnifica forma quello di S. Gaudioso. b Antimio console e duca ne a) Ostiens., lib. I, cap. 4. V. Pellegr. in serie abbat. cassin. Theodemar. Vedi Ughel., tom. 6, pag. 470, ove si legge la Cronaca d'Autperto Abate. 2 b) Chioc., De epis. neap. in Stephano, a. 764. 3

J • dent.ro il suo palazzo ••. uffici: cfr. Paolo Diacono, loc. cit. : • I ntra suum quoque palatium, oraculum domini Salvatoris aedificavit, et quod nulli alii reges habuerant, sacerdotes et clericos instituit, qui ei quotidie divina officia decantarent ». 2. Per la Cronaca di Leone Ostiense si veda non già il capitolo 4, ma il 9. Per il Chronicon vulturnense di Ambrogio Autperto, abate di San Vincenzo al Volturno morto nel 781, cfr. F. Ughelli (vedi la nota z a p. J 59), lt.alia sacra, VI, Romae 1659, coll. 369 sgg. Questa cronaca fu utilizzata da Camilla Pellegrino. 3. B. Chioccarelli, Antist.itum praeclarissimae ecc., cit., pp. 72 sgg.

468

ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI

fondò altri, quello de, SS. Quirico e Giulitta, la chiesa di S. Paolo, che la congiunse col monastero di S. Andrea; e così anche fecero non meno i vescovi e, duchi di Napoli che gli altri ufficiali e' prelati delle altre città di queste provincie, onde ora si compone il Regno, i quali possono osservarsi nella laboriosa opera dell'Italia sacra d'Ughello. Crebbero perciò i monaci e le loro ricchezze in immenso; e non minore fu l'accrescimento della loro autorità e riputazione a cagion dell'ignoranza negli altri, e delle lettere che nel miglior modo che si poté in tanta barbarie fra loro si conservavano. Fondati perciò tanti monasteri, i monaci, cotanto arricchiti e vedutisi in tanta elevatezza, tentarono ora più che mai di scuotere affatto il giogo de' vescovi. Cominciarono egli è vero nel precedente secolo i monasteri ad esenzionarsi dalla giurisdizione de' vescovi, ma ciò, secondo narra Alteserra, • non si usava che di radissimo. •(Ne' precedenti secoli furono rarissime !'esenzioni de, monaci, ed Isacco Haberto Archiep., pag. 595 crede che il primo abate esente fosse stato quello del monastero Lirinese, a cui dal concilio Arelatense III fosse stata conceduta la prima volta esenzione circa le cose temporali intorno l'anno 460 ).• b L'esempio che in questo secolo diede Zaccheria col monastero di Monte Casino fece che gli altri di tempo in tempo si rendessero tutti esenti. Lo splendore nel quale era il medesimo in questi tempi trasse a sé tutto il favore de' romani pontefici, i quali, come se fossero presaghi che da quello come dal cavallo troiano ne doveano uscire tanti pontefici suoi successori, non mai si stancarono di cumularlo di privilegi e di prerogative. Lo rendevano più augusto essersi ivi resi monaci, oltre a Rachi, Carlomanno e tanti altri personaggi regali ed illustri; perciò, ristabilito col favore de' due Gregari Il e III da Petronace in quella magnifica forma, Zaccheria emulando i suoi predecessori volle di maggiori preminenze arricchirlo. Volle egli di sua man propria consecrarlo, a) Alteser., Asceticon, lib. 7, cap. 12. 1 b) Vid. Fleury, Hist. ecci., I. 2.9, nu. 19. Thomas., par. I, I. 3, cap. 2.6, num. 16. 2 A. Dadin de Hauteserre, Asceticon, sive originum rei mo11asticae libri decem, Parisiis 1674, pp. 393 sgg. Ma cfr. anche P. De Marca, De co11cordia cit., coli. 325 sgg. 2. Il brano tra parentesi è aggiunta del Gianno .. ne; il riferimento è a lsaac Habcrt (morto nel 1668), vescovo di Vabres, autore del De consensu hierarchiae et nionarchiae • .. , Parisiis 1640, e del De cathedra seu primattl singulari S. Petri . .• , Parisiis 1645. 1.

LIBRO V • CAP. ULT.

ed ivi portatosi con tredici arcivescovi e sessantotto vescovi, rendé più augusta e magnifica la consecrazione. Furono i monaci pronti a richiederlo che sì famoso ed illustre monastero dovesse esentarsi affatto dalla giurisdizione del proprio vescovo nella cui diocesi era; Zaccheria volentieri gli concedé ampia esenzione, e ne spedì privilegio, col quale non solo quel monastero, ma tutti gli altri appartenenti a quello, ovunque posti, fossero esenti e liberi dalla giurisdizione di tutti i vescovi, «ita ut nullius iuri subiaceat, nisi solius romani pontificis », come sono le parole di Lione Ostiense. a Oltre a ciò lo decorò ancora d'altre preminenze, che in tutti i concili l'abate cassinense sopra tutti gli altri abati sedesse, e prima degli altri desse il suo voto; ch'eletto da' monaci dovesse consacrarsi dal pontefice romano; che il vescovo entrando nella sua dizione non potesse celebrare né far altra pontificai funzione, se non fosse invitato dall'abate o dal proposito; che non gli fosse lecito esigger decime da lui, né interdire i suoi sacerdoti, né chiamarli a' concili sinodali; che gli abati di questo monastero potessero tener ordinazioni, consecrar altari e ricevere per qualsisia vescovo il Crisma. Gli confermò ancora con suo precetto la possessione di tutti que' beni che per munificenza di tanti principi longobardi e di vari signori avea acquistati. Gli altri pontefici successori, seguitando le medesime pedate accrebbero questi privilegi, de' quali l'abate della Noceb ne ha tessuto un lungo catalogo. Gli altri monasteri sotto altre regole, ed i loro abati di non inferior fama e valore con facilità impetravano da' romani pontefici d'esser ricevuti sotto la protezion di S. Pietro, ed immediatamente sotto alla soggezion pontificia, perché questa esenzione accresceva in gran parte la lor potenza e portava grande estenzione della loro autorità appresso tutte le nazioni dell'Occidente; poiché costruendosi tuttavia grandi e numerosi monasteri retti da abati di gran a) Ostiens., lib. I, cap. 4. V. l'Abate della Noce, che testifica serbarsi ancora questo privilegio nell' Archiv. Cassin. 1 b) Ab. della Noce, in Excurs. hist. ad Chron. Ost., lib. 1, c. 4. 2

1. Cfr. Leone Ostiense, Chronica, cd. cit. di A. della Noce, p. 103. Ma sull'autenticità di questa bolla cfr. L. A. Muratori, Antiquitates italicae Medii Aevi, diss. LXX. («Così che non dipenda dalla giurisdizione di nessuno, se non da quella del solo pontefice romano»). 2. Cfr. Leone Ostiense, Chronica, ed. cit., pp. 103-7.

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ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI

fama, i quali per la lor dottrina oscuravano i vescovi, nacque infra di loro qualche gara; onde gli abati per sottrarsi dalla loro soggezione ricorrevano al papa e tosto impetravano esenzioni con sottoporsi immediatamente sotto alla sogsezion .pontificia. Ne ricevevano oltre a ciò altri privilegi, di far essi li lettori per i loro monasteri, d'esser ordinati da' corevescovi, 1 e tanti altri. Quindi nacque che il pontificato romano acquistasse molti defensori della sua autorità e potestà; poiché, ottenendo i monaci tanti privilegi e prerogative, per conservarsegli erano obbligati di sostener l'autorità del concedente; il che facendo ottimamente i monaci, ch'erano i più letterati del secolo, non passarono molti anni che si videro tutti i monasteri esentati. Ed in decorso di tempo i capitoli ancora delle cattedrali, essendo per la maggior parte regolari, co' medesimi pretesti impetrarono anch'essi esenzione: e finalmente le congregazioni Cluniacense e Cisterciense tutte intere furono esentate con gran augumento dell'autorità pontificia, la quale veniva ad aver sudditi propri in ciascun luogo, ancorché da Roma lontanissimo, li quali, nell'istesso tempo ch'erano difesi e protetti dal papato, scambievolmente erano i difensori e protettori della sua potestà. S. Bernardo ancorché cisterciense non lodava l'invenzione, e di tal corruttela ne portava spesso le doglianze non pur ad Arrigo arcivescovo di Sens,• ma ammoniva l'istesso pontefice Eugenio III a considerare che tutti erano abusi, né si doveva aver per bene se un abate ricusava di sottomettersi al vescovo, ed il vescovo al metropolitano. Riccardo arcivescovo di Contorberyb pur lo stesso esclamava a) S. Ber., Epist. 42 et lib. 3 De consid. ad Eugen. 2 Ep. 68. 3

b) P. Blescn.,

corevescovi: o corepiscopi (letteralmente vescovi della campagna), ausiliari del vescovo titolare. 2. Cfr. SANCTI BERNARDI abbatis primi ClaraeVallensis ... genuina sancti doctoris opera ... post Horstium denuo recognita, aucta . .. secundis curis domni lohannis Mabillon . •. , Parisiis 1690. Tuttavia, poiché il Mabillon espunge l'epistola XLII dalla collezione delle lettere per considerarla un trattato a sé stante, De moribus et officio episcoporum (1, pp. 461 sgg.), è più probabile che il Giannone si sia servito della precedente monumentale edizione parigina, •e typographia regia», del 16401642 (per questa cfr. 1v, pp. 109 sgg.). Quanto al trattato De consideratione si veda, in quest'ultima edizione, in particolare il cap. 2 del libro 111, pp. 48 sgg. Avverto però che quest'ultimo rinvio è anche in P. De Marca, De concordia cit., col. 329. 3. Pietro Blesense (Peter of Blois, 1160-1204). Cfr. in Maxima bibliotheca cit., XXIV, pp. 987-8. Ma cfr. P. De Marca, De concordia cit., col. 329. I.

LIBRO V · CAP. ULT.

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con Alessandro III. Ma costoro, che non ben intendevano questi tratti di Stato, non furono intesi, né alle loro querele si diede orecchio; anzi ne' tempi posteriori battendosi la medesima via, si procedé più avanti; poiché dapoi gli Ordini Mendicanti non solo ottennero ogni esenzione dalrautorità episcopale, e generalmente ovunque fossero, ma anche facoltà di fabbricar chiese in qualunque luogo ed in quelle eziandio ministrar Sacramenti : e negli ultimi secoli s'era tanto innanzi proceduto che ogni privato prete con poca spesa s'impetrava un'esenzione dalla superiorità del suo vescovo, non solo nelle cause di correzione, ma anche per poter esser ordinato da chi gli piaceva, ed in somma di non riconoscere il vescovo in conto alcuno; e quantunque nel concilio di Costanza alle calde e ripetite querele del famoso Gersone• moltissime esenzioni s'annullassero, ed ultimamente nel concilio di Trentob si proccurasse a tanti eccessi qualche compenso, non sono però dapoi mancati modi alla corte di Roma di far ricadere la bisogna, salva l' autorità del medesimo, in quello stato che oggi tutti veggiamo. Questi ingrandimenti dello stato monastico portarono non solo a' monaci grandi ricchezze, ma in conseguenza assai più alla corte di Roma, ove finalmente vennero quelle a terminare. Si proccurava non solo favorire l'acquisti e tener sempre aperte le scaturigini, ma con severi anatemi proibir le alienazioni e scagliargli ancora contro chi ardiva di turbar l'acquistato. Per l'ignoranza e superstizione de' popoli i pellegrinaggi erano più freguenti: l'orazioni ed i sacrifici a fin di liberar l'anime de' loro defonti dal Purgatorio erano vie più raccomandati e molto più praticati. Si vide per ciò in questo secolo una gran cura del canto, de' riti e di ben ufficiare: le campane cominciarono ad esser comuni in tutte le chiese e monasteri; e le particolari devozioni a' Santi, de' quali eransi composte innumerabili vite e miracoli, tiravano molti a donare alle lor chiese e monasteri. Ma i monaci non contenti di ciò, favoriti da' pontefici romani, invasero anche le decime dovute a' vescovi ed a' a) Gerson., Tract. de potest. eccl., cons. 10 et De statib. eccl., consid. 9. b) Sess. 14 de re/or., c. 4 ed altrove. 1

1. Cfr. Jean de Gerson (1363-1429), Opera multo quam antehac auctiora et casti"gatiora, Parisiis 1606: Tractatus de potestate ecclesiastica, d de on"gine ìuris et legum, 1, coli. 125 sgg., e Tractatus de statibus ecclesiasticis, « De statu prelatorum », ivi, col. 190.

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ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI

parrochi da' loro parrocchiani. Pretesero, e l'ottennero da' creduli devoti, che impiegandosi essi assai meglio che i preti alla cura delle loro anime, come quelli che più esperti sapevan far delle prediche e de' sermoni, ed istruirgli nella dottrina cristiana, le decime non a' parrochi, ma ad essi dovessero pagarle; ed in effetto per lungo tempo vi diedero un guasto grandissimo non inferiore a quello che v'avea dato in Francia Carlo Martello, tanto che bisognò ne' secoli seguenti penar molto a ritoglierle e ristituirle a' propri preti, a' quali s'erano involate. Niun'altra provincia del mondo quanto il nostro Reame ha fatto conoscere quanto importava a Roma la ricchezza de' monaci: le maggiori commende, i più grandi benefizi ch'ella oggi dispensa a' suoi cardinali e ad altri suoi prelati per mantener la pompa e lo splendore della sua Corte, non altronde dipendono ed hanno la di loro origine se non da queste profusioni de' nostri principi e de' nostri fedeli. I monasteri più ricchi perciò si videro dare in commende. Quelli che il tempo consumò sono rimasi fondi di tante rendite che ora ne traggono: e le entrate di que' tanti monasteri di che ora appena sene serba vestigio, tutte in Roma vanno a colare. Quindi i pontefici romani gareggiando co' principi, siccome quelli investono i loro fedeli de' feudi, così essi a' suoi conferiscono benefizi; e siccome per la materia feudale ne è surto un nuovo corpo di leggi, così per la benefiziaria se n'è fatta una nuova giurisprudenza, che occupa tanti volumi quanti ne ha occupati la feudale; ma di cib a più opportuno luogo.

PROFESSIONE DI FEDE

NOTA INTRODUTTIVA

L'apparizione dcli' Istoria civile del regno di Napoli produsse un notevole choc tra i monsignori della Curia romana, anche se non solo fra essi. Per capire la reazione romana occorre tener presente la data di pubblicazione dell,opera: nel 1723 Gianfrancesco Albani è appena appena sceso nella tomba. Era stato il papa della Unigenitus e della Pastoralis officii, cioè della grande lotta, sul piano del credo, contro il movimento giansenista; era stato inoltre il papa del grande scontro giurisdizionalista, contro Giuseppe I e Carlo VI per il possesso delle valli di Comacchio, e contro Vittorio Amedeo II per la ·Sicilia. Era stato il papa che aveva nuovamente usato l'arma dell'interdetta per sostenere il proprio potere temporale. Il suo successore, Innocenzo XIII, che lo avrebbe seguìto nella tomba di li a poco, ne aveva eredi-tato la politica senza molti entusiasmi, preoccupato soprattutto di sanare le ferite della lotta giurisdizionalista, come quelle della ribellione giansenista. Accantonata la disputa sull'Apostolica Legazia di Sicilia, ora che anche l'interlocutore era mutato e al Savoia s'era sostituito l' Absburgo, concessa a Carlo VI l'investitura di Napoli dietro riconoscimento di vassallaggio alla Chiesa, aveva avviato trat-tative concordatarie anche con la Spagna. Rigido difensore della Unigenitus sino a condannare i vescovi «appellanti•, s'era però mostrato abbastanza ostico nei confronti della Compagnia di Gesù, cosi da bilanciare gli opposti schieramenti. Un pontificato tuttavia troppo breve perché questa nuova politica potesse produrre effetti di lunga durata, atta insomma soltanto ad allarmare, a seminare il panico tra i monsignori di Curia, legati all'oltranzismo di Clemente XI. Così Giusto Fontanini, che sotto papa Albani era stato il campione di Curia nella polemica per le Valli comacchiesi, 1'8 maggio del 1723 scriveva a Domenico Passionei: • Adesso a Napoli un tal Giannone con la direzione di altri settari ha stampata una Istoria di Napoli •.• piena di orrendissime furfanterie contro il papato ex professo •.. Intendo che l'autore sia rifuggito agli ateisti di Vienna e passato anche di qua, dove con la massima di non rispondere ai libri scellerati si crederà di rimediare con decreto di proibizione e qui tutti i zeli vanno a finire. Io non ho veduto l'opera, ma il bibliotecario d'Imperlali è venuto a leggermi gli spogli letterali, che ha fatti di due tomi, e sono cose di spavento, né mai più scritte in terre cattoliche, arrivando a dire che i papi e i vescovi si sono sempre serviti d 'imposture di religione per gabbare i popoli e i grandi ; e questo lo dice e ridice mille volte qua e là in varie occasioni, citando con elogi i più esa-

PROFESSIONE DI FEDE

grandi scrittori che ànno scritto contro alla S. Sede ... ». 1 Assertore della massin1a qr,ieta non movere sembra fosse, in Curia, il segretario ai Brevi monsignor Matteo Scagliosi, il quale aveva consigliato al pontefice « che non serve rispondere e scrivere, che è stato seri tto abbastanza», per usare le parole stesse riferite a Giusto Fontanini dal cappellano segreto e bibliotecario di Innocenzo XI Il, Giovanni Bortoni, e dal Fontanini, a sua volta, riferite al Passionei. Naturalmente il Fontanini se ne adontava, e diceva al suo corrispondente che «se si fosse scritto e bene contro i libelli del Riccardi, Grimaldi e Argento, invece di contentarsi di proibirgli con un breve, forse il Giannone non avrebbe ardito di scrivere ... ». 2 Successo a Innocenzo, nel maggio del 1724, Francesco Orsini, un altro monsignore, questo non ancora identificato, ma probabilmente napoletano e della cerchia di Filippo Anastasio arcivescovo di Sorrento, si rivolgeva al nuovo pontefice insistendo anch'egli sulla necessità di una risposta all'opera giannoniana: «È bensì da compatire la comune miseria de' grandi, che in moltissime cose avendo necessità di valersi dell'altrui opera, non sempre sono fedelmente serviti, e perciò soggiacciono a frequenti inganni ed a non pochi, né piccoli tradimenti ... >>, Inganno e tradimento, secondo l'anonimo polemista, era stato appunto l'aver consigliato nuovamente il pontefice che non metteva conto affrontare di petto il Giannone: «Vostra Beatitudine s'è abbattuta in un teologo parzialissimo di quell'autore. Ecco il giudizio di questo teologo intorno an> Istoria civile: "Che contiene molte verità le quali non si possono impugnare; che per quella parte ch'è contaminata si scredita da per se stessa e che impugnandola s'ecciterebbono le penne de' compagni del Giannone, o quella di lui medesimo a fare nuovi insulti alla Chiesa; che allora si potrebbe rispondere quando la risposta fosse tale che chiudesse la bocca agli avver.,, 3 san ... ». . Agli atteggiamenti di prudenza sempre più si veniva opponendo, in Curia, la perentoria richiesta di attaccare il Giannone e il suo gruppo; e ora che il triennio di regno di Michelangiolo Conti era terminato, le voci oltranziste tornavano ad avere ascolto presso le auguste orecchie. u Non dubito» scrisse il Giannone al fratello il 13 gennaio 1725 «che nel pontificato passato non era per seguire che una indifferenza, ma nel presente bisogna star cauto per la stravaganza di chi ora governa. Io dal mio canto procuro di evitar tutte le occasioni di nuove brighe, ed avendomi il sig. Menckenio ... autore degli "Atti di Lipsia", mandato a dire che stava facendo un ristretto 1.

Cfr.

BERTELLI,

pp. 96 sgg.

pp. 181-2.

2.

Cfr. ivi, pp.

182-3.

3. Cfr. Gianmmiana,

477

NOTA INTRODUTTIVA

della mia opera, per porla negli atti sudetti, l'ho fatto pregare che lasciasse da parte l I istoria accaduta dopo la pubblicazione, e che mi facesse il piacere di non offender la corte di Roma, come sogliono in simili occasioni, ma si portasse con modestia e moderazione ..• ». 1 E si che di materiale contro i suoi detrattori, il Giannone ne aveva approntato abbastanza! Aveva steso, in più occasioni e momenti successivi, un'Apologia della sua Istoria ch'era ormai giunta alla mole d'un quinto volume; ma non aveva voluto stamparla, accontentandosi solo d'una circolazione clandestina di copie manoscritte, entro la ristretta cerchia dei suoi amici; i quali, anche essi, erano convinti che non fosse prudente riaprire polemiche, attirarsi nuovi anatemi. La scomunica arcivescovile, in un certo senso, era già stata preventivata tra le passività al momento della pubblicazione dell'Istoria civile. Non era stata prevista la reazione d'un viceré dimostratosi più cardinale che rappresentante dell'imperatore; neppure l'esilio dell'autore era stato inserito nella previsione del passivo. Era necessario che le acque ora si calmassero, non già che venissero di nuovo agitate. La bomba era stata gettata in campo nemico; bisognava che si diradasse il fumo, per constatarne gli effetti distruttivi. Ma, come aveva intuito lo stesso Giannone, il pontificato di Benedetto XI I I era ben diverso da quello di Innocenzo. Si sarebbe ritornati presto al clima dei tempi di Clemente, la Unigenitus sarebbe stata dichiarata materia di fede, tutte le lotte giurisdizionali si sarebbero riaperte, la pressione inquisitoriale sul suo gruppo si sarebbe accentuata. Sicché, quando egli seppe che il padre gesuita Giuseppe Sanfelice veniva preparando una risposta alla sua opera, cercò in ogni modo di dissuaderlo, di farlo desistere dall'impresa, pregò un suo congiunto, il cavaliere Ferdinando Sanfelice, perché lo ammonisse «a non lasciarsi tirare dall'ambizione o da qualche altro fine di risvegliare questo vespaio n, 2 fece intervenire il Garofalo :3 tutto inutilmente. Sul finire del 1728 vedevano la luce in Roma, con la falsa data di Colonia, le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del regno di Napoli. Esposte al publico in più lettere familiari di due amici da Eusebio Filopatro, e divise in due tomi, il primo di diciannove lettere, di sedici il secondo, che si immaginano scambiate tra un « Vestino ,, e un • Campano n, fuorché le ultime tre, indirizzate direttamente al Giannone da Eusebio Filopatro. Il programma del Sanfelice è presto detto, secondo le sue stesse parole: « Or a seguirlo di passo in passo per tutti que' s~oi grossi volumi, era un perdere opera e tempo col lungo rispondere a ben 40 libri di stucCfr. Giannoniana, lettera n. 0 78. ivi, lettere nn.i 224 e 232. 1.

2.

Cfr. ivi, lettera n. 0

225.

3. Cfr.

PROFESSIONE DI FEDE

chevolissime dicerie. Conveniva rispondere a i soli empi sentimenti, a gl'errori e a i detti or temerari or avvelenati, li quali si trovano dispersi di tratto in tratto in luoghi vari e di diverso argomento »: 1 errori ed empietà che egli raggruppa in sette classi: proposizioni empie; proposizioni eretiche o che sentono d'eresia; proposizioni temerarie; proposizioni scandalose; proposizioni offensive alle orecchie pie; proposizioni sediziose; proposizioni ingiuriose. Il livello di tutte queste lettere non s'alza al di sopra della predica domenicale, v'è ben poco di critica, molto di calunnia, non solo nei confronti dell'autore dell'Istoria civile, ma di tutto il suo gruppo. Davanti a questo libello v'erano tre strade da percorrere: la replica erudita, puntuale, su tutti i dati di fatto criticati dal Sanfelice; la reazione in sede giudiziaria, denunciando la diffamazione per ottenere il sequestro del libro; la replica in chiave politico-religiosa, ribadendo la giustezza della posizione dell'intero gruppo. Furono scelte tutte e tre. La risposta erudita fu lasciata all'abate Biagio Garofalo ;2 il Collaterale fu investito della questione, e la maggioranza giannoniana impose il sequestro delle Riflessi.ani e I'espulsione dal Regno dell'autore. 3 Giannone, per suo conto, s'incaricò invece del compito più arduo, quello cioè di mantenere l'unità ideologica del «partito», con una replica che divenisse, in realtà, un nuovo manifesto di rottura: e fu la Professi.one di fede, uno dei pochi scritti italiani del tempo che, per causticità, per ironia, per coraggio, possono stare alla pari colla corrosività degli scritti volterriani. Naturalmente l'unità ideologica, attorno ad un simile testo, fu mantenuta per modo di dire. Su questa strada non erano in molti a sentirsela di continuare a seguire il Giannone, persino tra i suoi più intimi amici. Il Capasso, ad esempio, letti i primi fogli giunti da Vienna se ne spaventò, ed espresse il suo dissenso, meravigliando sia il Giannone che il Garelli: «Credevamo col signor cavaliere sentire una censura molto severa e rigida, ma così acerba e crudele non potevamo aspettarcela, né credercela ... ». Si era forse dimenticato, il Capasso, di quell' Évangi,le nouveau du cardinal Palavicin pubblicato a Parigi nel 1676, «che contiene articoli di dottrina assai più scandalosa e ridicola che non è quella contenuta nella Professi.one »? E non aveva notato come gli articoli «secondari » fossero stati tutti tratti dal De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini I esu di Bartolomeo da Rinonico, e dal Chronicon di sant' Antonino ?4 SeCfr. Riflessioni cit., 1, p. xv. 2. Vedila pubblicata in Opere postume, n, pp. 151 sgg. 3. Il verbale della riunione del Collaterale, del 4 aprile 1729, è integralmente pubblicato in Giannoniana, pp. 49 sgg. 4. Cfr. qui, nella scelta delle lettere, la xv. 1.

NOTA INTRODUTTIVA

479

nonché la pietà, la crudeltà, la superstizione non stupivano se lette in quei contesti. Al più, gli uomini di cultura potevano sorriderne. Ben diverso era invece parodiare il Simbolo apostolico, sfruttare dialetticamente sino a porne in luce il carattere blasfemo testi di agiografia come le conformità tra la vita di Francesco d'Assisi e quella di Gesù di Nazareth. Nella sua Apologia dell'Istoria ci.vile l'autore si era difeso dalle accuse «che da alcuni ecclesiastici, e specialmente da' frati, furono inventate», « per concitar sedizione nella plebe, appoggiate sopra la calunnia che io negassi il miracoloso scioglimento del sangue di S. Gennaro, negassi i Santi, e loro martiri e miracoli, e deridessi le particolari divozioni delle Religioni mendicanti• ;1 ma ora, queste accuse trovavano ben validi fondamenti! Negli « articoli primari», l'attacco è tutto volto alla supremazia romana. Il papa può tutto, è signore del Cielo e della terra, ha il potere di decidere l'ultima sede delle anime, dacché può canonizzare i defunti; tutti i principi della terra sono sottomessi al suo volere, è il vicario di Dio, anzi, un vice-Dio. Dunque può tramutare il male in bene, l'ingiustizia in giustizia, i vizi in virtù. In questa sua illimitata potestà ha origine lo sfarzo di Roma, così stridente coi princìpi di carità, di umiltà della predicazione cristiana primitiva. E il Cerimoniale romano è qui abbondantemente saccheggiato, a conferma della mondanità della Chiesa. Negli « articoli secondari» invece i protagonisti divengono gli ordini religiosi, che hanno soppiantato l'antica gerarchia ecclesiastica, dei diaconi, dei preti, dei vescovi. Non ha scritto il Sanfelice che sono oggi gli ordini « lume e sostegno del cristianesimo» ?a E chi può più negare che essi siano oggi «tante legioni per conservare e mantenere la monarchia romana »? « I pontefici romani non essendo stati mai dagli altri cotanto ben serviti quanto da costoro, i quali han militato sempre con ogni fervore per inalzare in infinito e sostenere anche per proprio interesse la loro autorità; a dovere di tanti privilegi e prerogative li cumularono. Chi può negare ancora che il lor credito, e più le loro ricchezze, importava molto a Roma di accrescerle, perché finalmente ivi doveano andare a terminare i loro acquisti? Le tanto ricche commende, i tanto doviziosi benefizi: i tributi, le decime, onde di quando in quando sono tassati, gli emolumenti delle liti, che spesso fra di loro sorgono, i diritti de' privilegi, e brevi e bolle, che a gara sono richieste e con danaro concedute; l'esenzioni, elezioni, e tante altre preminenze ambite, forniscone questa reggia e di stipendi e di soldati ... ». 3 Quanto a deridere le particolari devozioni dei singoli ordini, sappia il Sanfelice che «non si I. Cfr. in Opere postume, 1, p. 93 e p. 95. 2. Cfr. Riflessioni cit., 1, p. 148. 3. Cfr. Pro/essione di fede, Articoli secondari, in Opere postume, 1, p. 248.

PROFESSIONE DI FEDE

biasima l'aver i Domenicani introdotta la divozione del Rosario, i Francescani quella del cordone; gl' Agostiniani quella della corregia; i Carmelitani l'altra degli abitini: ma gli abusi che essi ne fecero per arricchire con pocco onesti mezzi; procurando seguaci, e mostrandosi gelosi che un ordine non si valesse della divozione dell'altro suo emulo, esagerando ciascuno la propria, in depressione dell'altra; con far quindi insorgere gravi contese fra loro, sino ad istituire liti in Roma con formali processi; onde a tal fine i Domenicani impetraron che di loro sol fosse il rosariare; e di questi abusi, per fine di accrescere beni temporali alle lor chiese, si parla, non già dell'instituzione, la quale quando sia discompagnata dall'interesse puoi rimanersi pietosa ed innocente». 1 Ma, a quanto pare, sono proprio queste osservazioni che più offendono il gesuita Sanfelice. E allora Giannone sarà più realista del re, più curiale del monsignore di Curia, più superstizioso del terziario francescano, più fazioso d'un penitente di san Domenico. Proclamerà l'identità di Francesco d'Assisi col Salvatore,,crederà « veri tutti i miracoli che si contano di tanti salvati, perché sol cingevano i loro lombi di quella corda, poiché, che non si possono promettere i cordonati dall'intercessione di questo santo, quando il suo domicilio in cielo co' suoi frati non è come gli altri fra i cori degli angeli e degl'altri santi del Paradiso? Hanno colà i Francescani il loro nido, dentro il torace stesso di Cristo. Narra questo stesso scrittore delle Conformità francescane, pag. 66, ch'essendo stato rapito in Cielo un lor divoto, vide Gesù Cristo colla Vergine Maria e gli altri santi, i quali santi processionalmente andavano a prestar riverenza a Cristo ed alla sua madre. Non vidde fra tanti Francesco co' suoi monaci; domandò perciò ·all'angelo, che lo guidava: "uhi est beatus Franciscus cum suis in isto loco?". L'angelo gli rispose: "expecta, et videbis beatum Franciscum et quem statum habet. Et ecce Christus elevavit brachium dexterum, et de ipsius vulnere laterali exivit B. Franciscus, cum vexillo crucis explicito in manibus; et post ipsurn maxima multitudo fratrum et aliorum" ... ». 2 Ma non si creda che Giannone sia solo un simpatizzante dei Francescani! «Non essendovi voi dimenticato de' Domenicani, né pur voglio scordarmene io, tanto più che pure li trovo collocati in Paradiso in sede a parte, e se bene non così degna, come i Francescani, con tutto ciò assai più onorevole e distinta degli altri santi; poiché mi assicura un testimonio degnissimo di fede, quale e quanto è un S. Antonino arcivescovo di Fiorenza ..• , che rapito una notte S. Domenico in Cielo, vidde ivi Gesù, e a destra la sua madre Maria, la qual'era ammantata di una gran cappa "coloris saphyrini", e girando gl'occhi intorno, vidde un'innumerabile mol1.

Professione di fede, ed. cit., p. 249.

2.

lbid., p. 253.

NOTA INTRODUTTIVA

titudine di religiosi di tutti gl'ordini e d'ogni nazione; ma ancorché diligentemente fissasse il guardo da per tutto, non vidde in alcun luogo i suoi figliuoli Domenicani; onde tutto contristato e dolente, prostratosi in terra si pose amaramente a piangere: ma il Signore, sentendo questo piagnisteo, fecelo alzare e lo chiamò a sé interrogandolo. cccur sic amarissime ploras ?". Domenico gli rispose: come volete che io non versi lagrime, se io guardo nel cospetto della tua gloria gl'uomini di tutte le religioni: "de mei vero ordinis filiis hic proh dolor ! nullum aspicio ?". Il Signore gli disse: "vis videre ordinem tuum ?". Ed egli: "hoc desidero, Domine". Allora Gesù stesa la sua mano, e postala sotto lo scapulare di sua madre, voltatosi a lui gli disse: "ordinem tuum Matri commisi". Ma non rimanendo di ciò Domenico niente sodisfatto, e sempre più mostrando l'ardentissimo desiderio di vedere i frati del suo ordine, di nuovo il Signore gli disse: "omnino vis eum videre ?". Ed egli: "hoc affecto, mi Domine". Ed ecco allora, cc Mater Domini complacuit filio, cappamque decoratam, qua operiri videbatur, evidenter patefaciens, aperuit, et expandit coram lacrymoso Dominica servo suo; eratque hoc tantae capacitatis et immensitatis vestimentum, quod totam caelestem patriam amplexando dulciter continebat ... ; conversus est ergo luctus in gaudium, et lamentum in iubilum" •. 1 E con questo spogliarello celestiale, crediamo di poter far punto. Può ben comprendersi quali reazioni suscitasse un testo simile. Come aveva previsto monsignor Scagliosi, provocare Giannone non avrebbe portato che ad una recrudescenza della polemica, ciò che puntualmente avvenne. L'opera, che in un primo tempo si pensava di dare alle stampe, non venne più consegnata alla tipografia; ma circolò in tali e tante copie manoscritte, che una stampa non avrebbe certo avuto maggior diffusione. Con questo testo davvero Giannone rompe i legami con la Chiesa romana, ben più di quanto non avesse fatto al tempo dell'Istoria civile, quando era in discussione solo il tema giurisdizionale, e ancora sporadici erano gli accenni alla disciplina della Chiesa primitiva, rare seppur già precise le accuse alla corruzione, alla decadenza romana. Questa Professio,ie appare davvero il fatidico Rubicone da Giannone incontrato lungo il cammino della sua vita e senza esitazioni attraversato. Assolto dalla scomunica per l'Istoria, ora la persecuzione contro di lui si rinnoverà, caparbia, tenace, sino a quando non gli sarà strappata l'abiura, e oltre ancora, col carcere a vita. SERGIO BERTBLLI

1.

Professione di fede, ed. cit., p. 254. 31

DALLA« PROFESSIONE DI FEDE» Molto Reverendo Padre, Chi avrebbe potuto resistere, Padre Santo, 1 a' vostri pungentissimi coltelli ed a quelle ardenti spade onde tutte le vostre lettere sono infiammate e cinte? Chi qualsifosse più audace e robusto, non si sarebbe dato per vinto agl'invincibili ed irrefragabili vostri argomenti ? Ogni vostro detto è sì forte e penetrante che non che il mio cuore, ma qualunque altro si fosse vie più duro ed impenetrabile che lo scudo stesso d'Aiace, si sarebbe intenerito ed in mille parti infranto. Vi siete adoperato tanto per la salute dell'anima mia che certamente sarete per ciò al mondo unico e raro mostro. Non era però mestieri vòtar tante faretre e consumar tante munizioni. Bastavano quelle tre ultime Lettere filosoficlte, 2 che con tanta cordialità vi degnaste svelatamente indrizzarmi, affinché fra noi due soli soli, ed a quattr'occhi, come dite, si tenesse ragione del fatto mio, per potermi toglier da ogni errore e da ogni inganno. Sebbene non so donde V. P. prendesse argomento di credere che io fossi seguace della filosofia d'Epicuro, e non più tosto della cartesiana; ancorché a confessarvi il vero io séguito la dottrina di Cartesio, per quanto insegnò, e disse vero, che in filosofia niuno dee militare sotto gli altrui stipendi, dietro particolar bandiera, né giurar fedeltà ad alcun capitano, ma il suo solo duce e condottiere dcc esser la sola ragione e la sola sperienza. 3 Non so ancora come sia avvenuto ch'io non potessi leggere quelle vostre amorevolissime Lettere, se non in istampa, dopo che doveano esser passate sotto gli occhi di molti. Ma che potea riparare in ciò la vostra bontà e modestia, se prima di mandarmele foste importunato a darle alle Per il testo abbiamo seguito quello edito dal Gravier in Opere postume di P. Gian11one colla di lui vita ccc., 1, Napoli 1770 1 in 4°, pp. 347 sgg. Il titolo per esteso è: Professio,re di fede, scritta da Pietro Gia,rnone al P. Giuseppe Sanfelice, gesuita, dimorante ;,, Roma, per la cui sa,itità, ferooroso zelo e calde esortazioni si è il medesimo convertito a questa credenza, che egli inculca nelle s11e « Riflessioni morali e teologiche•, co' Dubi propostigli intorno alla sua morale.

Padre Santo: sul San felice, oltre a quanto detto qui nella Nota introduttivo., cfr. la nota 3 a p. 167. 2. Lettere filosofiche: in Riflessio,ri cit., II, pp. 353-444. 3. io séguito ... sperienza: cfr. Vita, qui a pp. 33 sgg., dove il Giannone descrive il suo itinerario filosofico. 1.

PROFESSIONE DI FEDE

stampe in mezzo a Roma, perché fossero da tutti lette? Oltreché la vostra carità non dovca essere ristretta da sì angusti confini, né doveva ammettere alcuno umano rispetto. Ella mi voleva convertito, ed importava poco della maniera, publica, contumeliosa o incivile che si fosse. O inudito e memorando esempio d'amore e di carità! Purché si salvasse un reo e scellerato uomo, non si è curata la P. V. apparire al mondo per un conviziatore, per un falsario, per un calunniatore, per un maligno, e per un prodigioso ignorante, anzi per un frenetico e matto da catene. Ah quanto bene vi stanno impressi i sentimenti di S. Paolo, che non si curò d'esser riputato stolto in Atene, 1 e altrove, purché adempisse bene la sua missione, alla quale era stato da Dio eletto! A voi era stata destinata questa grand'opera della mia conversione, poiché ad un altro2 della vostra Società, che si pose in Napoli su i pulpiti a tentar lo stesso, gli riuscì l'impresa senza successo e pur troppo infelice, essendo stato costretto a tacere ed a scappar tosto via; onde per conseguirla non dovevate curar punto né lode, né infamia, né qualunque altra cosa che il mondo stima ed onora. Egli è vero che, se non il vostro, almeno dovea un poco toccarvi l'onore della Compagnia a cui siete ascritto, la quale, se pur vi ha tenuta parte, ciò che gli uomini savi non possono affatto credere, non potrà farvi altra comparsa che d'una madre che abbia nudrito in seno parto sì gentile e così bene accostumato, che limatolo poi co' ferri della sua morale, abbialo dato in fine alla luce del mondo per un più ben fatto e perfetto modello della medesima. Se più d'appresso aveste voi bene scorti i miei andamenti e la mia indole, come vantate, non avreste avuto bisogno di ricorrere, come il cane o il villano dopo la percossa, a' aigrigni, agli urli ed alle contumelie: avreste trovato un cuor docile e mansueto, ed un sol vostro argomento addirizzato con quella fina logica, della quale vi mostrate espertissimo, avrebbe fatto in me più forza che non fece quello di frate Rinaldo a madonna Agnesa. 3 lmmantinente avreste da me udito quelle stesse parole che colui a suo pro s'intese:« Chi saprebbe rispondere alle vostre savie parole?». E pari sarebbe stato il vostro contento, anzi incomparabilmente maggiore. Colui non ottenne che un fragile e caduco mondano 1. i sentimenti . .. Atene: cfr. Act. ap., 17, 16-33. 2. un altro: il padre Franchis, dai pulpiti del Gesù Nuovo e di Santa Maria di Costantinopoli, come già detto nella Vita (vedi la nota 3 a p. 82). 3. che non .•. Agnesa: cfr. Boccaccio, Decam., vn, 3.

ARTICOLI PRIMARI E FONDAMENTALI

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piacere; voi all'incontro ne conseguite un eterno ed inestimabile, qual è quello d'aver posto in cammin dritto, che conduce all'eterna salute, un traviato e perduto. Dal concetto che si ha delle vostre Riftestioni morali e teologiche, ben si vede chiaramente che per la mia conversione non sarebbe stato niente sufficiente, come già fu a' tempi antichi, se io vi avessi mandato la professione della fede contenuta nel Simbolo chiamato apostolico. L'avreste riputato molto difettosa e mancante. So che ne chiedete un'altra, che mi costerà non picciola fatica; perché io intendo soddisfarvi in tutto, e pretendo non tralasciar alcuno degli articoli da voi creduti, e che credete esser necessari per la salute delle nostre anime. E se pure ne scapperà qualcuno, perché è ora quasi impossibile farne un esatto e compiuto catalogo, vi do ampia facoltà di aggiungervelo; anzi prego voi, ed i vostri amici, che chi più ne ha, più ne metta, poiché, oltracché così facendo meglio le converrà il nome di Simbolo, io son disposto, trattandosi della salute dell'anima mia, di piegar il capo a quanto mi sarà suggerito dal vostro zelo e dalla vostra carità. ARTICOLI PRIMARI E FONDAMENTALI

I

Primieramente io credo il pontefice romano essere signore di tutto il mondo, non meno nello spirituale che nel temporale, e che non solo indirettamente, ma direttamente abbia autorità sopra tutta la terra e quanto in quella si move ed intende; e di potersi valere di tutti i mezzi, sieno spirituali, sieno temporali, di multe, carceri, esìli, relegazioni, ergastoli, fiamme infine e fuoco, perché non sono adoperati se non per fine della salute eterna del genere umano. Il

Che perciò tutti i principi e somme potestà anche nel temporale sien a lui sottoposti, siccome fra i vostri moralisti m'insegna il gesuita Azorio nelle sue Istituzioni morali, 1 lib. 10, cap. 6, e che 1. Azorio . .. morali: Juan Azor (1536-1603), gesuita spagnolo, Institutionum moralium, in quibus universae quaestiones ad co,ucientiam recte aut pratJe /actorum pertinentes breviter tracta,itur, partes tres, Romae 1600-1611, più volte ristampate.

PROFESSIONE DI FEDE

reggano i loro regni e provincie non per immediata autorità che Iddio gli abbia concessa, poiché questo è un pregio del quale sol può vantarsi il pontefice romano, siccome m'insegnate nella vostra Lettera 24 alla pag. 79, ma per autorità mediata conferitagli dal vicario di colui il quale disse: «per me reges regnant ». 1 E che quindi sia nato quel costume, del quale ce ne rende testimonianza il Cerimonia[ pontificale,2 lib. 1, tit. 7, di benedir il papa nella notte di Natale una spada, che i chierici non potevano appellarsi, contro il giudizio del loro vescovo, a vescovi d'altrc province, ma solo al primate e al concilio provinciale. Rifugiatosi Apiario a Roma, intervenne nella controversia Celestino papa assolvendo Apiario e indirizzando in suo favore una lettera ai vescovi africani. Il rinvio del Giannone è a PH. LABBi - G. CossART, Sacrosancta concilia cit., tomo n, coli. 1144 sgg. (la citazione a col. 1148)1 ma cfr. anche L. E. Du P1N 1 op. cit., diss. 11, pp. 174 sgg. (la citazione a p. 180) e J. BtNGHAM, op. cit., voi. III, lib. 1x 1 p. 396 (a La tua santità, come è degno di te, impedisca l'iniquo scampo dei presbiteri e dei chierici che li seguono. poiché senza alcuna definizione dei Padri si è derogato al diritto della Chiesa africana e poiché i decreti niceni hanno chiarissimamente affidato ai propri metropolitani sia i chierici inferiori, sia gli stessi vescovi. Provvidero infatti, assai giustamente e saggiamente, a che ogni lite dovesse definirsi nel luogo

IL TRIREGNO

trovato proposto che in caso di gravame, per non far trasportar le cause oltra mare, voleva egli mandar in Affrica suoi delegati, gli fu risposto che in niun concilio de' Padri avevano trovata questa nuova prattica ch'egli voleva introdurre, e perciò che se n'astenesse, dicendogli: « Executores clericos vestros quibuscumque petentibus nolite mittere, nolite concedere, ne fumosum typhum sacculi in Ecclesiam Christi, qui lucem simplicitatis et humilitatis diem Deum videre cupientibus praefert, videamur inducere ». 1 Non è dunque da dubitare che a questi tempi del IV e V secolo, ed infino a Giustiniano imperatore, il pontefice romano non aveva dritto alcuno patriarcale sopra le chiese affricane, le quali da' loro metropolitani o dal primate di Cartagine erano rette e governate, siccome eziandio ben dimostrano Salmasio, De pri. papae, cap. xv, p. 2362 ed ultimamente Melchiorre Leyderchero, 3 De ecclesia affricana, vindicandolo di tutte le cavillazioni ed ingiurie degli scrittori romani.4 Ma se quest'istesso ravvisiamo nelle sette provincie d'Italia istessa ch'erano del vicariato d'Italia, alle quali presideva il vescovo di Milano, qual n1otivo di dubitare vi rimarrà per l'altre provincie d'Occidente, fuori d'Italia? Milano a questi tempi era riputata la città metropoli d'Italia, cioè d'Italia5 strettamente presa, ch'era tutta quella regione che al vicario d'Italia ubbidiva, compresa da queste sette provincie, cioè: Liguria, Emilia, Flaminia, Piceno, Annonario, Venezia ed Istria, Alpi Cozzie e l'una e l'altra Rezia, non altrimenti che Roma era capo dell'altre provincie suburbicarie sottoposte al vicario di Roma. Quindi dagli scrittori del IV e V secolo Milano era chiamata 1, pp. 117-30, che fra l'altro analizza la bibliografia più recente. 2. Johann Freinshcim (1608-1660) pubblicò i Supplementa a Livio fra il 1649 e il 1654; Johann Fricdrich Gronov (1611-1671): la sua prima edizione, Lugduni Batavorum 1644-1645, è in quattro volumi. Anche il figlio, Jakob Gronov (1645-1716), si occupò di Livio. 3. L'edizione del Doujat uscì a Parigi in sei volumi fra il 1679 e il 1680. Cfr. la riedizione di Venezia, 1714-1715, J. DoUJATII Appendix ad ea quae supra collecta ... De Livio, eius monume11tis, stylo aliisque adirmcti.s; tum de editionibu.s et interpretibus rece11tioribus: a ••• Politicis observationibus, quae nos longis abripcre potuissent, ex pracscripto abstinui». 4. Jacob Voorbroek (Perizonius, 1651-1715), celebre filologo olandese. Qui ci si riferisce soprattutto al De fide liistoriarum co11tra py"honimiuni /zistoricum, Lugduni Batavorum 1702. Si era però occupato di Livio in Animadversio11es historicae • .• , Amstelaedami 1685, cap. VII. Il Giannone ignorava l'opera dello storico calvinista Louis dc Beaufort (morto nel 1795), Dissertation sur l'incertitude des cinq premiers siècles de l'histoire romaine, Utrecht 1738, in polemica col Pcrizonio, e che apriva un discorso nuovo sulla critica delle fonti. 5. Rcné Rapin (1621-1687), gesuita. Ci si riferisce a La comparai.son de Thucydide et de T. Live, Pnris 1681, in cui sostenne che il primo era più esatto, ma il secondo più ornato stilisticamente.

NOTA INTRODUTTIVA

739

tandosi forse di quanto era stato scritto da Louis Moreri, 1 mentre invece parlò ampiamente di Tacito. Nel primo decennio del Settecento altre due edizioni critiche fondamentali venivano pubblicate: quella oxoniense di Thomas Hearne2 e quella col luogo di Amsterdam di J ean Ledere. 3 Anche in Italia si lavorò in questa direzione: a Venezia, dopo un'edizione del 1706 1 fra il 1714 e il 1715 fu pubblicata una riedizione del Doujat, con i Supplemetzta del Freinsheim e le note di Jean Leclerc. 4 Non solo: nel 1734 sempre a Venezia era stata ristampata la traduzione di Livio di Iacopo Nardi con ampie aggiunte. 5 Negli stessi anni a Lipsia si preparava un'edizione a cura di Johann Mathias Gesner che comprendeva le note del Gronov e quelle di J can Leclerc, mentre a Parigi J ean-Baptiste-Louis Crevier riproponeva il lavoro critico del Doujat e ad Amsterdam, qualche tempo dopo, si affrontava l'impegno di una nuova edizione che comprendesse tutto l'apparato critico precedente.6 Fra l'altro il Crevier era allievo di Charles Rollin, e ne avrebbe proseguito alla morte l'Histoire romaine. 1 Ora, proprio Charles Rollin, di cui il Giannone avrebbe letto successivamente l'opera, confrontandola con i propri Discorsi, 8 non solo nel suo Traité des études9 per quanto riguarda la storia profana mostrava il suo continuo interesse e riferimento a Livio, ma nel trattare il tema delle origini di Roma sceglieva consapevolmente il modello liviano. 10 Ma proprio 1. Nel Grand dictionnaire il Moreri afferma che l'edizione del Doujat è una delle migliori. 2. Oxford 1708, in sei volumi. Thomas Bearne (16781735), antiquario inglese. 3. Amsterdam 1710, in dieci volumi. 4. Quest'edizione fu pubblicata a Venezia fra il 1714 e il 1715, a cura di Carlo Buonarrighi, che dedicò i primi cinque tomi ad aristocratici veneziani. Il sesto contiene l'epitome di L. Floro. Vale la pena di ricordare ancora le edizioni patavine del 1692 e del 1707. 5. Le decl,e di Tito Livio padovano delle Historie romane tradotte in lingua toscana da m. Jacopo Nardi cittadino fiorentino . .. , a cura di Francesco Turchi, Venezia 1734. Il carmelitano Francesco Turchi, di Treviso, aggiunse la traduzione della seconda deca {pp. 200 sgg.). 6. Johann :Mathias Gesner (1691-1761) ristampò a Lipsia con una propria prefazione Livio con le note del Gronov e del Ledere nel 1735; nello stesso anno Jean-B.-Louis Crevicr (1693-1765) cominciò la sua edizione di Livio che riprendeva quella del Doujat (Parigi 1735-1742); nel 1738 si cominciò a pubblicare un'edizione di Livio ad Amsterdam, che sarà conclusa nel 1746, che raccoglieva tutti i più importanti commenti, la vita di Livio del Tomasini e le principali discussioni su problemi liviani. 7. C. ROLLIN, Histoire romaine depuis Iafondation de Romejusqu'à la bataille d' Actium, c'est à dire jusqu'à la fin de la république, Paris 1741-1744, in cinque volumi. Il V fu concluso dal Crévier. Charles Rollin (1661-1741). 8. Cfr. G. RICUPERATI, L'esperienza ci.vile e religiosa ecc., cit., p. 605. 9. C. RoLLIN, Traité des études. De la manière d'ensei"g11er et d'étudier les belles-lettres par rapport à l'esprit et au camr, Paris 17'+'-'i in ~ue volumi, n, De l'histoire. 10. C. RoLLIN, Histoire romaine ccc., cit., 1, livre 1, Avantpropos, p. 11.

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DISCORSI SOPRA GLI ANNALI DI TITO LIVIO

quest'opera, che nella sua neutralità accademica era abbastanza lontana dall'interesse« politico», mostrava però che la «riscoperta n di Livio non sarebbe rimasta nell'ambito della filologia e dell'erudizione. Nella prefazione infatti era citata come particolarmente significativa e robusta l'operetta di Montesquieu sulle cause della grandezza e decadenza dei Romani, 1 in cui veniva riproposta, ma in modo nuovo, ormai proteso verso l'Illuminismo, l'utilizzazione politica della storia romana e di Livio. L'opera del Giannone è quindi a mezza strada fra la riscoperta erudita di Livio, l'utilizzazione che ne aveva fatto il Toland, la quale si inseriva nella riscoperta del Machiavelli 11 repubblicano », e una nuova utilizzazione 11 politica» di Livio (e di Machiavelli) di cui l'operetta di Montesquieu (quasi certamente sconosciuta al Giannone) diventava in un certo qual modo il documento esemplare. Mentre il I discorso della prima parte riguarda le fonti e il metodo di Livio, il n affronta le favolose origini che città e nazioni sono solite darsi. 2 Rientriamo nella cultura che è alla base del Triregno, come nel caso della dissertazione su Enea di Samuel Bochart. 3 Secondo il Giannone, Livio era pedettamente consapevole della falsità delle leggende, ma non le toccò per prudenza e perché doveva riconoscenza ad Augusto. Ma non si fece dominare del tutto da questi sentimenti e non mancò di smontare e smitizzare l'origine divina di Romolo. 4 Il 111 discorso, qui riprodotto, è la ripresa precisa del tema del Toland sulla franchezza e la mancanza di superstizione in Livio. 5 Ma in Giannone vi è qualcosa di più, in quanto ciò che per l'inglese è pura polemica antireligiosa, in Giannone diventa volontà di capire l'atteggiamento dei Romani nei confronti della religione. Anzi mostra di avere un'intuizione esteriormente piuttosto simile a quella del Vico. Infatti parla di tre generi di teologia: poetico, tutto favoloso e fantastico; filosofico o naturale (che coincide con l'idea di un solo Dio animatore della natura); e un ultimo genere, politico o civile, cioè la teologia che serve al principe per governare i popoli, non svelando loro la falsità dei miti, ma utilizzandoli per mantenere il potere. La fonte è sant'Agostino.6 A differenza del Vico, però, al Giannone non interessa la teo1. Ibid., p. xxxn; dove il libro del Montesquieu è definito • ... très court, mais très solide et très capable de donner une juste idée du caractère de ce peuple ». 2. P. GIANNONB, Discorsi ecc., ed. cit., pp. 30-48. 3. lbid., p. 33. La citazione del Bochart è probabilmente sulla base dei ricordi. L'opera dell'erudito tedesco figura tra quelle possedute dal Giannone, ma, come egli stesso afferma e si può controllare dalle citazioni, in questo periodo della prigionia egli ebbe a disposizione pochissimi libri e tutti classici o di apologetica cristiana. 4. lbid., pp. 44-8. 5. lbid., pp. 49-62. 6. De civitate Dei, IV, XXII.

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logia favolosa. È invece attento a quella naturale, che ritrova in Lucrezio, Orazio, Livio e Plinio (e che nel Triregno aveva osservato nel~a vigorosa terrenità del mondo ebraico); e a quella civile, che spiega come Roma si sia dilatata politicamente. L'atteggiamento di Livio verso la teologia è quindi di pura adesione a quella naturale (concordando con quanti non credono ad altra evidenza che a quella terrena) e di franchezza demistificatrice verso la teologia favolosa. 1 È la stessa sincerità che lo portava a difendere Pompeo, pur essendo egli un favorito di Augusto, per cui l'imperatore scherzosamente lo chiamava «pompeiano». Viene espressa chiaramente a questo punto ridea del principe magnanimo che il Giannone sognava: un sovrano il quale sappia accettare che lo storico sia coerente ai suoi princìpi fino in fondo. Per la stessa ragione Tiberio è da condannare per aver punito Cremuzio Cordo. 2 E non affiora solo l'ideale di un sovrano « antitirannico ,,, ma soprattutto quella di uno storico capace di compiere il dovere verso la verità, il cui modello più concreto era ancora Jacques-Auguste De Thou. Il principe ideale è tollerante e lascia che gli intellettuali parlino di politica e di religione liberamente, come Augusto permise a Livio, ma soprattutto come Tito accettò da Plinio, il quale fece franca e piena affermazione di materialismo e di « panteismo ». 3 Tutta questa prima parte richiama direttamente o indirettamente il Toland e riconferma, ampliandole, le tesi del Triregno. Il VI discorso riguarda, sempre secondo lo schema suggerito dall'inglese, i portenti e i prodigi, mentre il vu gli oracoli che i Romani trassero dagli Etruschi.4 Il Giannone, dopo aver mostrato, con Toland, che Livio non credeva né alle profezie, né ai maghi, affenna che i veri profeti sono solo presso gli Ebrei. È un tentativo di ripiegare nell'ortodossia e di negare l'influenza di Spinoza; l'analisi del fenomeno religioso che il deismo gli ha suggerito quanto più si acuisce nei confronti della religione gentile, tanto più si appiattisce per tutto ciò che riguarda il mondo ebraico-cristiano. Anzi in questo arretramento il Giannone giunge a negare (ma più che una contraddizione intellettuale, è un dramma che impietosisce) uno dei presupposti fondamentali del Triregno, l'inscindibilità fra anima e corpo. Con un atteggiamento P. GIANNONE, Discorsi ecc., cd. cit., p. 5r. z. Nell'edizione veneziana 1714-1715 già citata è riportato un elenco di giudizi su Livio: fra gli altri anche questo da Tacito, Ann., 1v, 34-5. Dato che il Giannone anche nella prefazione utilizza uno di questi frammenti (da Plinio il Giovane, lib. u, cp. 3), questa potrebbe essere l'edizione consultata, anche se egli conosceva quella di Amsterdam 1710 n cura del Ledere, come mostra a p. 214 dei Discorsi cit. 3. P. GIANNONE, Di.scorsi ecc., ed. cit., p. 61. 4. lbid., pp. 100 sgg. 1.

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più di rassegnazione che di convinzione ritorna al dualismo cartesiano, anche se lo circonda di tutto lo scetticismo implicito già nella posizione del suo maestro Aulisio: come questi arriva a negare che di fronte a certi problemi l'uomo possa conoscere il qua re e il quo modo. 1 Ma dopo questa pausa cli stanchezza, il Giannone nel discorso successivo analizza l'astrologia giudiziaria, che ha origine in Persia, riprendendo pagine del Triregno, per esempio quelle riguardanti Samuele e la sua anin1a, che derivano dalla lettura di Salomon Deyling. La fonte diretta e maggiore è però il libro xxx della storia pliniana, sulla cui scorta mostra come la magia, sorta in Oriente, abbia contaminato e corrotto la religione gentile. Questo è un altro tema tipicamente tolandiano e infatti il Giannone utilizza gli stessi passi di Plinio citati anche dall'inglese, in cui si afferma, contro il cieco volere degli astri, la forza liberatrice dell'educazione. Vero filosofo è per entrambi colui che sa reagire razionalmente anche cli fronte a un presagio avveratosi.2 Il discorso IX riguarda il significato che i Romani attribuivano alla loro religione e quindi il carattere di tripudio delle cerimonie, fatte per piacere, oltre alle divinità, anche agli uomini, colpendone la fantasia. Esamina in seguito come a Roma, nonostante la decisione di non ricevere culti esterni, per necessità si accolsero religioni straniere, quanto più lo Stato acquistava nuove regioni. Fra l'altro mostra di aver conservato alcune caratteristiche tipiche del libertinismo erudito, per esempio quando contrappone alla moltitudine superstiziosa il piccolo gruppo di intellettuali, che, come Livio, non credeva, ma non ardiva affrontare la polemica contro i miti popolari. È soprattutto con il diffondersi della potenza romana nel mondo orientale che Roma venne a contatto con i culti egizi: si corruppe cosl la concezione primitiva molto vicina alla religione naturale, semplice, legata a poche divinità e a pochissimi precetti. Anche un altro elemento cambia: con il diffondersi dei culti orientali si accettano il lusso e la corruzione dei costumi, fino alla follia dei baccanali. 3 Il discorso XII riguarda il concetto che ebbero i Romani della morte. Riafferma con vigore che tutte le religioni dell'antichità riguardavano soltanto la vita terrena, senza alcuna idea dell'immortalità. E la stessa grandezza dei Romani era legata alla loro visione della morte come fine di tutto, per cui non la temevano affatto. Questa consapevolezza, accettata nel mondo greco da Democrito, Leucippo, Epicuro, fu ripresa e sviluppata a Roma soprattutto da Lucrezio. Un'altra occasione per fare un'analisi demistificatrice di una superstizione riguarda la sepoltura: Numa Pompilio ne stabili le re1.

Jbid., pp.

152-4.

2.

lbid., p. 188.

3. lbid., pp.

207

sgg.

NOTA INTRODUTTIVA

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gole e perché fossero eseguite diffuse la voce che le ombre degli insepolti avrebbero continuato a vagare ai margini degli Elisi. Ancora una volta il Giannone mostra come nasce una superstizione e contrappone la morale dell'élite consapevole e incredula a quella del popolo. Come si è visto, partendo dall'operetta del Toland, ha dato ben altro sviluppo ai temi ivi appena accennati; ancora una volta ha utilizzato, con maggior senso storico, la cultura deistica per ricostruire la religione gentile, parallela a quella ebraica, essendo come questa destinata alla felicità terrena. La seconda parte ricerca le ragioni del successo politico: i Romani furono il primo esempio di un • impero 11 nell'Occidente, che fino ad allora, a differenza dell'Oriente, era stato sempre diviso in piccoli Stati e repubbliche. Dopo aver analizzato l'incapacità degli Etruschi a creare le condizioni per un grande Stato a causa delle divisioni interne e delle guerre esterne contro nemici fortissimi, il Giannone afferma che la forza dei Romani fu l'abilità con cui seppero imporre una politica di alleanze, facendJ più guerre per difendere i u socii » I che per i propri interessi. Questa è la parte più legata al Machiavelli: per esempio quando si sofferma a paragonare lo stato presente del regno pontificio con l'antico e ne misura tutta la differenza, naturalmente a favore del passato. 1 Secondo il Giannone, i Romani antichi avevano due sole attività: l'agricoltura e la milizia. Per questo la storia sociale ruotava tutta intorno alle leggi agrarie e TEOLOGI SCOLASTICI

da' pretesi riformati, con1e da Giovanni Dalleo, 1 De poenis et satisfact1.'onibus, da Giuseppe Bingam,2 Orig. eccles., e da M.r Le Clerc nella Vita di S. Cipriano, nella « Bibliot. univers. », tom. XII, pag. 294 et seg. 3 E per ciò che riguarda la morale degli antichi Padri possono vedersi gli ultimi scrittori, che han esaminato con accuratezza e somma critica questa materia, fra gli altri Puffendorf, De iur. natur. et genti., e Giovanni Barbeyrac nella sua Prefazione e note sopra l'opera suddetta di Puffendorf.4 Ultimamente venne voglia al P. D. Remigio Ceillier5 religioso benedittino della congregazione di S. Vanne e di S. ldolfo di confutare ciò che Barbeyrac aveva scritto nella Prefazione suddetta intorno alla morale de' Padri antichi, e nel 1718 stampò in Parigi un volume in 4° sotto questo titolo: Apologie de la morale des Pères de l' Église, contre les injustes accusations du seur Jean Barbeyrac, professeur en droit à Groningue etc. Meglio sarebbe stato per lui di astenersi di dar fuori una Apologia nella quale dovea porsi in necessità di difendere il falso, sicome il successo lo dimostrò, poiché il Barbeyrac gli rispose con tanto vigore e forza nel suo trattato De la morale des Pères de l' Église stampato in Amsterdam nel 1728 che non gli lasciò scampo, sicché finora, per quel ch'io sappia, non se n'è veduta replica alcuna. CAP. Xl

Delle questioni vane, ridicole e curiose, onde gli scrittori de' secoli rozzi ed incolti han riempito i lor volumi, seguendo la traccia de' Padri antichi.

Molti oggi disprezzano e deridono i tanti volumi de' nostri teologi scolastici ripieni d'infinite questioni non pur vane, inutili e curiose, dogmatiques de l'Église et de la morale clzrétienne, Parisiis 1683, in due volumi. I. Giovanni Dalleo: cfr. la nota 2 a p. 690. Il Giannone si riferisce qui al De poenis et satisfactionibus humanis libri septem, Amstelodami 1649. Vedi anche la nota 3 a p. 794. 2. Giuseppe Bi11gam ecc.: vedi la nota 1 a p. 660. 3. Di Jean Le Clerc (cfr. la nota s a p. 315) è qui citata la recensione, apparsa sulla a Bibliothèque universelle II del 1727, tomo e loc. citt., agli Opera S. Cypriani, Parisiis I 726, a cura di Prudent Maran, il quale premise alla sua edizione una Vita S. Cypriani. 4./ra gli altri • •• Puffendor/: cfr. le note 2 e 3 a p. 819. 5. Rcmy Ceillier: cfr. la nota I a p. 795. Contro la sua opera polemizzarono Johann Franz Budde e lo stesso Barbeyrac (cfr. p. 795 e la nota 2 ivi), che rispose con il Traité da cui il Giannone trasse gli appunti conservati ali' Archivio di Stato di Torino, manoscritti Gian11011e, mazzo 1, ins. 15, O, x.

LIBRO I • CAP. Xl

ma eziandio fantastiche e ridicole, come se essi fossero stati i primi ad infrascarle nell'interpretazione della Divina Scrittura. Stupiscono del lor numero e della vasta mole, per cui non bastano ampie sale e camere per potergli capire. Alfonso Tostato,1 detto l' Abulense perché fu vescovo di Avila in Ispagna, sopra l'Evangelio solo di S. Matteo scrisse sette tomi in foglio, e non finì di spiegarlo tutto; e sicome notò Sisto Senense nel lib. 4 della sua Biblioteca,"' sopra un solo capitolo mosse cento settanta questioni. Così pure si mostrò fecondo ed ubertoso negli altri tomi che lasciò sopra la Scrittura Santa, tal che in Ispagna nacque il proverbio per ischernire qualche prolisso autore di più libri, che avea scritto più che il Tostato. Lo stesso Sisto fa menzione nel lib. 3 della sua Biblioteca di Enrico Langestenio, 3 il quale avendo consumati molti anni nella sposizione della Genesi, appena in quattro anni arrivò al quarto capitolo di quel libro. Aggiunge il P. Menochio nelle sue Stuore, tom. I, cent. II, cap. 44,4 che molto più diffuso fu Tommaso Asserbachio, 5 Alfonso Tostato: Alonso Tostado Ribera (1400-1-455) 1 teologo ed esegeta spagnolo. Per la sua prolissità divenne proverbiale in Spagna: « Escribe mas que el Tostado ». Per il commento a Matteo cfr. Opera omnia, Venetiis 1596, ventisei tomi in dodici volumi in folio. 2. Sisto •.. Biblioteca: Sisto da Siena (1520-1569). Di origine ebrea, si converti al cattolicesimo facendosi francescano e successivamente domenicano. Biblista, scrisse una Bibliotlieca sancta ex praecipuis Catholicae EcclesitU autoribus collecta, Venetiis 1566. Il libro IV è dedicato all'esame degli esegeti cattolici (cfr. p. 3 xx : Alphonsus Tostatus). 3. Lo stesso ••. Langestenio: Heinrich Heinbuchc von Langestein (morto nel 1397), erudito e teologo tedesco. Professore a Parigi, poi, nel I 387, all'Università di Vienna, di cui divenne rettore nel 1393. Cfr. Bibliqtheca cit., lib. III, p. 284, De coaceroatione. 4. Aggitlnge . .• cap. 44: Giovanni Stefano Menochio (1575-1655), gesuita, teologo ed esegeta, autore di opere famose come i Commentarii al Vecchio Testamento e il De republica Hebraeorum, ricordato come opera di particolar pregio dal maestro del Giannone, l' Aulisio, in Delle scuole sacre cit., tomo I, p. 5. Qui sono citate Le Stuore, OfJf.Jero tratte11imenti eruditi del padre G. S. Me11ochio, la cui più antica edizione, con lo pseudonimo di Giovanni Corona, è quella di Roma del 1646-1648, in due volumi. Altra edizione, Roma 1648-1652, in cinque volumi. Il Giannone utilizza l'edizione in tre tomi: Stuore, Roma 1689, ordinata in maniera diversa dalle precedenti: cfr. infatti tomo I, centuria 11, cap. XLIV, Se siano più degtii di lode quegli spositori che scn·vono diffusamente sopra la Scrittura, o quelli che brevemente la dichiarano, pp. 242 sgg. Di qui derivano le citazioni del Tostado, di Sisto e di Langestenio. A sua volta il Menochio si ispira alla Bibliotheca di Sisto, lib. 1u, p . .284: « Hunc longe prolixiore opere superavit Thomas Hasselbachius .•. •· 5. Tommaso Asserbachio: Thomas Hasselbach. Non ho trovato altre notizie, oltre quella tratta da Sisto, pervenuta al Giannone attraverso il Menochio. 1.

APOLOGIA DE' TEOLOGI SCOLASTICI

il quale spiegando il primo capitolo d'Isaia vi consumò anni ventuno, e con tutto che sopra quel profeta scrivesse ventiquattro libri, non poté con tutto questo vedere il fine di dichiararlo tutto. Ascanio Martinengo, commentando la Genesi, 1 compose due gran volumi in foglio e non passò il secondo o terzo capitolo di quel libro. Il P. Francesco Mendozza portoghese sopra li due primi capi del I Libro de' Rr ha dato alle stampe un volume in foglio di giusta grandezza, e dapoi due altri simili, ma in tutti questi tre gran tomi non si spiegano più che quindici capi di quel libro istorico. Il P. Giovanni Filippo3 compose un molto grosso volume sopra Osea, nella dichiarazione del quale non fece altro progresso che di spiegare i primi soli quattro capitoli. Termina in fine il P. Menochio con dire che non gli riuscirebbe cosa molto difficile di tessere un lungo catalogo di sì fatti scrittori non meno moderni che antichi ;4 e disse vero, poiché i moderni dagli antichi l'appresero, i quali ne dieder l'esempio e le . pnme mosse. La natura con tenor costante ha sempre prodotto e produrrà sempre ingegni chiari e sublimi, ed in ciaschedun secolo non ne sono mancati giammai. Que' ch'ebbero la sventura di nascere ne' secoli rozzi ed incolti, e che s'impiegarono a questi studi teologici sopra la S. Scrittura, non trovando altra guida che l'istradasse che i libri de' Padri antichi, de' quali tutta l'obbligazion si dee a' monaci che non pur gli conservarono, ma nelle lor solitudini gli moltiplicarono lasciandone più copie, avidamente presero a studiargli. E sicome altrove si è avvertito, una volta che gli umani ingegni, guidati per sentieri obliqui e confusi, s'inoltrano nella contemplazione di que' oggetti che si mettono ad essaminare, non ne sanno poi trovar né modo né misura. A ciò si aggiunga l'insito nostro desiderio della gloria, e di non volere essere a' primi inferiori, anzi di vincergli e superargli. Tante innumerabili e la maggior 1. Di Ascanio Martinengo (1541-1600), erudito e religioso di origine bresciana, cfr. Glossae magnae in sacram Genesim • .. , Patavii 1597, in due volumi. Da G. S. MENOCHIO, op. e loc. cit., p. 242. 2. Francesco . •. de' Re: Francisco de Mendoça (1573-1626), gesuita portoghese, Commentarii in quattuor libros Regum, Conimbricac 1621. Da G. S. MENOCHIO, op. e loc. cit., p. 242. 3. Gi'ovanni Filippo: non sappiamo di chi con precisione si tratti. Da G. S. MENOCHIO, op. e loc. cit., p. 242. 4. Termina . .• antichi: cfr. ibid.: « Questo medesimo modo di scrivere trattati è piacciuto ad altri, e moderni e antichi, de' quali non sarebbe cosa difficile tessere un lungo catalogo ».

LIBRO I • CAP. XI

parte vane questioni onde han caricato i loro volumi, non furono essi i primi ad infrascarle ne' sacri libri, ma calcando le stesse pedate degli antichi Padri, vollero non pur in ciò imitargli, ma superargli ancora. Gli antichi ne diedero essempio: essi cominciarono a fantasticare ed a muover più questioni sopra il paradiso terrestre, sopra le fattezze e statura gigantesca di Adamo, sopra l'arca di Noè, sopra la salute di Esaù, di Sansone, di Salomone e sopra tante altre inutili questioni intorno al Testamento Vecchio e lo stesso fecero sopra il Nuovo. Sicché non dee recar meraviglia se que' che gli successero, spezialmente ne' secoli incolti, tirando innanzi il cammino ne suscitassero altre molto più vane e curiose, anzi ridicole, sicome vedrassi qui e nel progresso di quest'opera. Né devono sorprendersi d'un così prodigioso numero, poiché se si tireranno giusti i conti, si troverà che non fu inferiore quello degli antichi. I Greci furono i primi e spezialmente quelli che uscirono dalla scuola di Alessandria. 1 Si è veduto di quante questioni filosofiche invilupparono la divina dottrina. Origene capo di quella scuola per tante sue sposizioni allegoriche e misteriose ne accrebbe il numero, e via più crescendo tra le mani degli altri Padri greci che seguirono, si venne ad un gran cumulo. Fra' Padri latini S. Agostino superò S. Ambrogio e tutti gli altri suoi coetanei. Egli, che di ogni cosa volle sapere il quare ed il quomodo, inondò la Scrittura non men dell'Antico che del Nuovo Testamento d'innumerabili questioni. Intorno al Pentateuco di Mosè ne mosse infi-. nite. 2 Sopra la Genesi cento settanta tre, 3 ed altre tante sopra l'Esodo. Novantaquattro sopra il Le'Vi.tico, e sopra i Numeri sessantacinque; e nel Deuteronomio cinquantasette. Sopra il libro di Josue trenta, e sopra i Giudici, cinquantasei.4 Delle questioni sopra il Nuovo Testamento compilò più libri. Nel I e II sopra gli Evangeli se ne contano novantotto, e sopra l'Evangelio di S. Matteo 1. scuola di Alessandria: il Giannone, ancora una volta, riassume un tema che ha un particolare sviluppo nell'opera del maestro Au.lisio: cfr. Delle scuole sacre cit., tomo II, soprattutto i capitoli XXI-XXIV. 2. Intorno ... infinite: cfr. Quaestionum in Heptateuchum libri septem, in Migne, P. L., XXXIV, coll. 547-824. 3. cmto setta11ta tre: cfr. De Genesi contra manichaeos libri duo; De Genesi ad litteram imperfect1ts liher, e De Genesi ad litteram libri duodecim, in Mignc, P. L., XXXIV, rispettivamente coll. 173-220; ~19-46 e 245-486. Cfr. inoltre In Heptateuclmm locutionr,m libri septem, lib. 1, Locutiones de Genesi, ivi coll. 485 sgg. 4. sopra l'Esodo . .. Giudici cinquantasei: cfr. In Heptateuchum locutionum libri septem cit., coll. 501-46.

APOLOGIA DE' TEOLOGI SCOLASTICI

dicisette. 1 Tutti i quattro libri che scrisse De consensu Evangelistarum2 sono ripieni di infinite altre. A questi aggiunge un altro libro che ne contiene ottantatré ;3 dapoi un altro di ventuno.4 A Simpliciano, vescovo di Milano, successore di S. Ambrogio, mandò due libri colla resoluzione di più questioni ed un altro a Dulcito. 5 Un altro libro in forma di dialogo, i di cui interlocutori sono Orosio che dimanda ed Agostino che risponde, si propongono sessantacinque questioni. 6 In un altro voluminoso libro in più parti diviso se ne esaminano altre; alcune separatamente sopra il Vecchio, altre sopra il Nuovo Testamento; ed in ultimo luogo promiscuamente sopra l'uno e l'altro. 7 E chi potrebbe annoverarle tutte, quante se ne leggono in tanti suoi volumi ? Chi niega che molte non fossero degne da proporsi, e doppo diligente e maturo esame esser risolute? Ma fra le utili e necessarie moltissime se ne affastellarono sopra ricerche di cose oscure, difficili ed impercettibili, non solo per se stesse inutili, ma per l'essempio dannose, poiché altri tirando le cose più innanzi empirono dopo i loro volumi di mille altre tutte puerili, vane, anzi ridicole, mal profittando di quel savio ammonimento di Cicerone il quale nel libro I De offidis,8 nella ricerca del vero, sicome condanna la precipitanza di tosto decidere, senza che preceda un maturo e lungo esame, così biasma il vizio di metter sommo studio nelle cose oscure e difficili e non necessarie: cc Alterum est vitium » e' dice cc quod quidam nimis magnum studium multamque operam in res obscuras, atque difficiles conferunt, easdemque non necessarias ». Noi qui ne accennaremo alcune, le quali dagli antichi Padri ebber origine, sicché possiamo dire ch'essi partorirono l'uova e gli altri poi covandole ne schiusero i polli; e per non recar confusio ne I. Nel I e II . .. dicisette: cfr. Quaestionum Eva71geliorum libri duo e Q11aestionum septemdecim in Evangelium secundum Matthaeum liber unru, in Mignc, P. L., xxxv, rispettivamente coll. 1323-64 e 1365-76. 2. De consensu Evangelistarum libri quatuor, in Migne, P. L., XXXIV, coll. 1041-230. 3. A questi . .. ottantatré: cfr. De diversis quaestiottibus LXXXIII liber unus, in Migne, P. L., XL, coli. 11-100. 4. un altro di ventuno: cfr. ibid., coll. 72532, Viginti unius sententiarum sive quaestio11um liber unus. 5. A Simpliciano . .. Dulcito: cfr. De diversis quaestionibus ad Simplicianum libri duo, ivi, coli. 101-48, e De octo Dulcitii quaestionibus liber u,rus, ivi, coll. 147-70. 6. Un altro libro . .. questioni: cfr. Dialog"s quaestionum LXV, ivi, coli. 73 3-52. 7. In un altro ... l'altro: cfr. De mirabilibus Sacrae Scriptr,rae libri tres, e Quaestio11es Veteris et Novi Testame11ti, in Migne, P. L., xxxv, rispettivamente coli. 2149-200 e 2213-416. 8. De officiis, 1, VI, 19.

LIBRO I • CAP. Xl

separaremo quelle fantasticate sopra il Vecchio, dall'altre mosse sopra il Nuovo Testamento. 1.

Questioni sopra il Vecchio Testamento.

Si cominciò da' Padri antichi ad investigare dove mai, ed in qual parte della terra avvesse Dio piantato il paradiso terrestre. Origene non potendone sopra la superficie della terra trovar il sito, per uscir d'impaccio lo pose fuori del terraqueo globo, e lo collocò in alto al terzo cielo, e cosi salva Enoc dall'innondazione del diluvio; e se bene S. Girolamo sopra il cap. 10 di Daniele1 riprovi opinione sì fantastica, con tutto ciò fra' moderni Francesco Giordano~ nel tom. I de' suoi Problemi non si rimosse di seguire l'opinione di Origene, poiché finalmente quando si tratta di fantasticare a capriccio ogni uno pretende per fantasia non ceder all'altro. 3 Altri Padri, come Basilio, Damasceno, Ruperto Abate, ed altri, lo posero sì bene in terra ferma, ma tanto sollevato in alto sicché toccasse il cielo della luna; ad altri più moderati gli bastò che fosse alto tanto sicché nella di lui sommità non vi arrivassero venti o piogge; e questo lo fecero per compassione di Enoc, per salvarlo pure dall'acque del diluvio. Da ciò ne venne che poi di tempo in tempo altri si lampiccassero4 il cervello, chi cercandolo nell'Armenia, chi nell'Etiopia, chi nella Mesopotamia e :finalmente, come si è detto, venne il P. Arduino 5 a fissarlo nella Palestina. Né di ciò contenti, si venne di voler precisamente sapere la sua lunghezza e larghezza, 1. S. Girolamo •.. Daniele: si tratta del CommentarioTUm in Danielem prophetam liber rmw, x, vers. 4. (In Migne, P. L., xxv, col. 554, il passo contro Origene, di cui non sapremmo indicare la fonte precisa, non si trova, poiché, come dice la nota ivi, « in nostris manuscriptis non habetur »). 2. Francesco Giordano: forse è un lapsus giannoniano, e si tratta del minorita veneziano Francesco Giorgio, autore di In Scripturam Sacram problemata, Venetiis 1536, menzionato dal Menochio nel luogo citato alla nota seguente. 3. Si cominciò . .. altro: deriva da G. S. MENOCHIO, Stuore cit., tomo 1, cent. 1, cap. XXIII, In qual parte del mondo fosse il paradiso terrestre . .. , p. 38. 4. lampiccassero: così nel manoscritto. 5. il P. Arduino: Jean Hardouin: vedi la nota I a p. 187. Il brano del Giannone deriva dal Menochio, op. e loc. cit., p. 39, ma .il Giannone si riferisce al lavoro dell'Hardouin, Nouveau traité sur la situation du paradis terrestrt, La Haye 17301 conosciuto nella traduzione latina, De sitri paradisi terrestris disquisitio, che lo stesso Hardouin pubblica nella sua edizione della Naturalis histo,ia di Plinio, cit., tomo 1, pp. 359-68, dove segue le emendationes al libro VI.

APOLOGIA DE' TEOLOGI SCOLASTICI

ed alcuni lo vollero sì largo ed ampio, nel quale potesse capire tutto il genere umano, poiché se Adamo non peccava, per esso non vi era altro luogo che il paradiso terrestre. Di più alcuni Padri vollero che tutto intiero ancor durasse, e che durerà sopra la superficie della terra, sino al fine del mondo, dove albergono ancora Enoc ed Elia; se bene gli ultimi viaggianti, i quali hanno scorso tutte le parti e contrade del mondo, non han avuto la fortuna di trovarlo giammai ed anzi questa consolazione di vedere e parlare con que' due vecchioni, sicome a' tempi di Carlo M. l'ebbe Astolfo il quale nell'orbe della luna trovò S. Giovanni evangelista col quale ebbe lunghi e piacevoli colloqui. 1 Si entrò anche in un mare che non ha né fondo, né riva, cioè a proporre questioni sopra il se Adamo non peccava, che sarebbe stato di noi e del mondo. Or qui sì ch'entrossi in un pelago infinito: « nec ipsum arbitrar mundum capere posse eos, qui scribendi sunt, libros»,2 come de' fatti di N. S. scrisse S. Giovanni. S. Agostino fu in ciò fecondissimo, e sicome vedremo trattando de' suoi libri della Città di Dio, tra !'altre questioni gli venne fantasia di cercare, se Adamo non peccava, in quale maniera si sarebbe giaciuto colla sua moglie Eva ;3 e risolse la questione con dire che que' congiungimenti non sarebbero stati come s'usano oggi, ma senza carnale concupiscenza, e senz'alcuna cmnmozione avrebbe egli posto il vomere nel solco di Eva, e così piantati gli uomini. Nel cap. 13 del I libro sopra la Genesi,4 che scrisse contr'a' manichei propone il dubio, se Adamo non peccava, la terra non avrebbe prodotto spine e triboli e piante velenose, come fa ora; e lo risolve che non ci sarebbero state, poiché queste furono da Dio prodotte in castigo del suo peccato. E trovò chi lo credesse, sicome furono Beda, Ruperto Abate, Rabano ed Alcuino, 5 scrivendo questi che le spine J. sicomea' tempi ... colloqui: cfr. Ariosto, Orl.Jur., XXXIV, 54-68. 2. •nec iprum ... libros»: loa11., 21, 25. 3. S. Agostino ... Eva: cfr. De civ. Dei, XIV, xx11-xx111, in Migne, P. L., XLI, coll. 429-32. 4. De Ge,zesi contra manichaeos cit., in Migne, P. L., xxxiv, col. 182. Da G. S. MENOCHIO, op. cit., tomo 1, cent. 11, cap. XCI, Se avanti il peccato d'Adamo habbia Dio creato le herbe velenose . .. , p. 327. 5. E trovò ... Alcuino: da G. S. MENOCHIO, op. e )oc. cit., p. 328. Beda (672-735), benedettino inglese, dottore della Chiesa, scrisse commenti al Vecchio e al Nuovo Testamento. Ruperto Abate (1075-1130), benedettino belga, anch'egli autore di commenti. Rabano Mauro (780-856), benedettino tedesco, autore di commenti alla Bibbia. Alcuino (735-804), consigliere di Carlo Magno, scrisse le l11terpretationes et responsa in Genesim.

LIBRO I • CAP. Xl

ed i pungenti triboli sono nati per la maledizione di Dio che si legge nella Genesi,, 3, 17. E se bene S. Agostino si ritrattasse poi nella sposizione della Gen,esi, ad literam, cap. 3,1 di quel che avea scritto in quel libro contro a' manichei, Beda però e gli altri non si legge che facessero lo stesso. S. Basilio nell' Omi.lia 5 sopra l' Esamerone volle esaminar il dubbio spezialmente sopra le rose, e dice che avanti il peccato di Adamo erano senza spine, ma doppo di quella disubidienza Dio vi aggiunge le spine; e lo stesso insegnò il suo pedissequo S. Ambrogio nel lib. 3 dell' Esamerone, 2 li quali furon poi seguitati dal Damasceno, Procopio ed altri. Si cercò anche di sapere se li serpenti nel principio fossero stati da Dio formati con umana favella, poiché quello che ingannò Eva gli parlò e vi tenne colloquio, e se caminassero dritti; e sembrò ad alcuni che così uscissero dalle mani d'Iddio, e così sarebbero rimasi, se uno di essi non avesse indotto Eva a trasgredire il divino comando; ma che dapoi in pena del fallo avessero perduta la parola, e condennati a caminar bocconi strascinando per terra i loro corpi. 3 Si volle anche sapere qual preciso frutto fosse stato da Dio vietato a' nostri primi parenti, se fu una mela, o altro pomo, ovvero un fico. Teodoreto nella qu. 28 sopra la Gen.eri4 francamente decide il dubbio dicendo che fu fico: «Certe sine controversia arbor illa erat ficus»; e trasse molti altri scrittori nel suo sentimento, riflettendo che, accorgendosi doppo averlo mangiato essere nudi, diedero di piglio alle sue frondi per coprire le parti vergognose. Ciò non ostante, altri, a' quali forse i fichi non riuscivano molto gustosi a lor palato, frutti senza odore e di non molto grata vista, si appigliarono ad un grappolo di uva, e dissero che quel albero fu una vite. Altri stimarono che fosse un albero di pero o melo, poiché i pomi che producono sono veramente belli a vedere, odorosi, e soavi a mangiare, sicome giudicò Eva quel pomo « bonum 1. De Genesi ad litteram libri duodecim cit., non cap., ma lib. Ili, cap. XVIII, coll. 290-1. 2. S. Basilio ... Esmnerone: cfr. Basilio, Homilia V in Hexaemeron, De germinatione te"ae, in Migne, P. G., XXIX, col. 106, e Ambrogio, Hexaenuron libri sex, lib. 111, De opere tertii diei, cap. Xl, in Migne, P. L., XIV, col. 188. Entrambi da G. S. MENOCHIO, op. e loc. cit., p. 328. 3. Si cercò anche . .. corpi: cfr. G. S. M.ENocHIO, op. cit., tomo 1, cent. 11, cap. VI, Del serpente che parlò ad Eva nel paradiso terrestre . .. , p. 171. 4. Teodoreto ... Genesi: cfr. Quaestiones in Genesim, interrogatio XXVIII, in Migne, P. G., LXXX, col. 126. Da G. S. MENOCHIO, op. cit., tomo 1, cent. 11, cap. 11, Se il frutto vietato da Dio ad Adamo fu pomo, o fico, o altro . .. , pp. 165-6, dove è riportata la citazione di Teodoreto.

APOLOGIA DE' TEOLOGI SCOLASTICI

ad vescendum, et pulchrum oculis, aspectuque delectabile ». 1 Tralascio le dispute, e le sottili indagini, qual fosse stata reità maggiore, quella di Eva, ovvero di Adamo in questa trasgressione, e simili altre curiose ricerche, le quali possono leggersi nelle Stuore del Menochio. Donde si convince che delle opere di Dio noi abbiam voluto, non già credere, ma sapere, quando i gentili stessi de' loro dii insegnavano: «sanctius et reverentius visum de actis deorum credere quam scire ».2 Si venne anche a disputare sopra le fattezze di Adamo; se fu di statura gigantesca ;3 e Gilberto Genebrardo nella sua Cronografia e Giovanni Lucido nel lib. I De emendatione temporum,4 seguendo le conietture di S. Girolamo, in tutte le maniere vogliono che fosse stato un gigante, di una prodigiosa grandezza di corpo, ben fatto, e chi lo vuole, quando Iddio lo formò, che mostrasse l'età di 30, chi di 40, altri di 50 anni, e per ciò computandosi questi anni alcuni lo fanno morto più vecchio di Metusalem; e certamente sarebbe così se se gli dovessero imputare quegli anni che non visse e tutto quel tempo che prima d'essersi formato dimorava nel paese del nulla. Si disputò anche intorno alla sua sepoltura: chi lo vuole sepolto in Hebron nella città di Arbe, secondo che sembra aver creduto S. Girolamo nel libro De locis hebraicis. 5 Molti, sicome S. Atanasio, De pasnone Salvatoris, 6 S. Cipriano, Serm. de resur. 1. «bonum ... delectabile»: cfr. Gen., 3, 6. 2. «sanctius ... scire»: Tacito, Germ., XXXIV («riguardo alle azioni degli dei si giudicò più santo e più rispettoso credere che sapere li), 3. Si venne anche . .. gigantesca: cfr. G. S. MENOCHIO, op. cit., tomo I, cent. 1, cap. xv111, Se Adamo fosse di statura gigantesca,· e se sia vero che fosse sepolto nel monte Calvario, pp. 28 sgg. Da questo brano derivano le citazioni successive. 4. Gilberto ... temporum: cfr. ibid., p. 28: cr Gilberto Gencbrardo nella sua Cronografia e Gio. Lucido, lib. I De emendatione temporum, cap. 4, stimano che Adamo fosse di statura gigantesca». Gilbert Génébrard (1537--1597), erudito e religioso francese, autore di Chronographiae libri quatuor .. . , Parisiis 1580. L'opera di Giovanni Lucido (lohannes Lucidus) è Emendationes tempon,m in duas partes divi.sae .. . , Venetiis 1537 (poi, ivi 1545 e 1575 con titoli diversi). 5. De locis hebraicis: cfr. Liber de situ et nominibus locorum he-braicorum, in Migne, P. L., XXIII, col. 906. Per ciò che segue cfr. G. S. MENOCHIO, op. e loc. cit., p. 30: «Altri però vogliono che Adamo sia sepelito nel monte Calvario, e non in Hebron, il che se fosse vero, l'argomento pigliato da quel testo restarebbe del tutto inefficace, così tiene S. Agostino, serm. 72 De tempore, san Cipriano, Ser. de resurrect. Christi, sant'Anastasio, De passione Salvatoris, S. Ambrosio, lib. 5, ep. 19, Origene, Tract. 5 in Matth., S. Gio. Chrisostomo, Homil. 84 in loannem, S. Epifanio, Haeresi 46, S. Basilio, sopra il cap. s d'Isaia ed altri •· 6. De passione et cruce Domini, 12, in Migne, P. G., XXVIII, col. 207.

LIBRO I • CAP. Xl

Christi,1- Origene, Tract. 5 in Matth., 2 S. Gio. Crisostomo, Omil. 84 in loannem, 3 S. Epifanio, Haer. 46,4 S. Basilio, sopra il cap. 15 d'lsaia, 5 S. Ambrogio, lib. 5, ep. 19,6 S. Agostino, Serm. 72 De tempore1 ed altri, vogliono che fosse sepellito nel monte Calvario. Seguì dapoi una terza opinione per conciliare sì discordanti pareri, della quale, sicome avverte il P. Menochio nella cent. I, cap. 18,8 non ne fu il primo autore Onorio Augustodunense,9 ma ha più antica origine, come quella che fu tratta da Giacomo Orrohaita Edesseno,1° maestro di S. Efrem siro, il qual visse a' tempi di S. Basilio, seguitata dapoi da moltissimi, i quali fantasticarono che Noè portò seco nell'arca il corpo di Adamo, e che cessato il diluvio divise l'ossa a' suoi figliuoli; ed a Sem sopra gli altri da lui amato diede il capo, assignandogli quella parte del paese che poi nomossi ludea; e che per ciò nel monte Calvario fu sepolto il solo capo, non già tutto il corpo. Da ciò poi avvenne che i dipintori e gli scultori, i quali godono l'istesso privilegio de' poeti, nel pingere o scolpire l'imagine di Cristo crocifisso pongono una testa di morto a' piedi della croce, che il volgo crede che rappresenti quella di Adamo. 11 Intorno a' figliuoli che generò, Mosè scrisse che oltre Caino, Abele e Seth ebbe altri figli e figlie: cc genuit filios et filias », 12 non dichiarando quanti fossero, e come se oltre il Pe,ztateuco di Mosè fossero a noi rimasi altri scrittori o più antichi o suoi contemporanei, i quali avessero a noi tramandate memorie più esatte di questa sua prole, si volle ricercare il preciso numero, il sesso e fino i nomi. S. Epifanio, trattando dell'eresia de' sethiani, i quali, 1. Senn. de resur. Christi: in Migne, P. L., 111 e IV, non vi è traccia di un'opera del genere, per cui l'errore - se d•errore si tratta - risale al Menochio sopra cit. 2. Ongene ... Matth.: cfr. Commentaria in Evangelir,m secundum 1\1attliaeum, in Mignc, P. G., XIII, col. 1777. 3. 111 Joanne,n homilia LXXXV (Lxxxiv), in Migne, P. G., ux, col. 459. 4. S. Epifanio, Haer. 46: cfr. Adversw octogùrta haereses, lib. I, tom. Ili, Haeresis XLVI, Contra Tatianos, in Migne, P. G., XLI, col. 843. 5. S. Basilio . .. Isaia: cfr. Comnrentaria i11 Jsaiam prophetam, cap. v (e non 15), in Migne, P. G., xx: TEOLOGI SCOLASTICI

trio. Egli rifiuta i decreti assoluti di Dio a riguardo delle azioni libere e la premozion fisica, ma sostiene la predestinazione gratuita come procedente da Dio solo. Molina credette aver trovato un temperamento per conciliare il libero arbitrio colla prescienza di Dio, la providenza e la predestinazione. E' dice che il libero arbitrio consiste nella facoltà di fare o di non fare; di fare una cosa, di sorte che l'uom possa fare il contrario. Egli concede che l'uomo per le sole forze della natura non può niente fare fuor dell'ordine della grazia, ma aggiunge che se bene Iddio distribuisce come vuole le grazie che G. Cristo ha noi meritate, nulladimanco accommoda le leggi di questa distribuzione all'uso del libero arbitrio, alla condotta degli uomini ed a' loro sforzi. Così l'uomo per operare nell'ordine della vita eterna non ha bisogno che d'una grazia preventiva per eccitare il suo libero arbitrio, e che lddio non ricusa di darla, sopra tutto a que' che la domandano con ardore; ma dipende dalla loro volontà di corrispondere o non corrispondere a questa grazia. Altre sottili speculazioni diede fuori il P. Molina intorno alla predestinazione ingegnandosi di conformarle a quelle di S. Tommaso, ma i Dominicani della sua dottrina non ne furon punto soddisfatti. Uscito che fu il suo libro, i teologi dell'ordine di S. Domenico, spezialmente quelli di Salamanca, furiosamente si opposero. Domenico Beanez 1 sottilmente l'esamina e crede averci trovate più proposizioni erronee, le quali furono denunciate all'Inquisizione di Portogallo. I Gesuiti vogliono difenderle e qui s'accendono fieri contrasti, talché papa Clemente VIII, avocando alla S. Sede la conoscenza, ordinò che fossero in Roma esaminate per diffinirle. A questo effetto istituisce nel I 597 una Congregazione di più cardinali per esaminarle chiamata De auxiliis. 2 Il peggior partito che potesse prendere; poiché vie più 1. Domenico Beanez: Domingo Baiiez (1528-1604), teologo domenicano, interprete di san Tommaso. Interrogato sul citato libro del Molina, vi trovò proposizioni condannate dalla Chiesa e pubblicò con altri Domenicani l'Apologia Jratrum praedicatornm . .. adversus quasdam assertio11es cuiusdam doctoris L. Molinae, Madridi 1595, dove si accentua la sovranità e il dominio di Dio sulla creatura. Il Baiiez diede origine al bannesianesimo, caratterizzato da una rigorosa aderenza al tomismo. L'azione di Dio non è solo necessaria, ma è ontologicamente anteriore ad ogni attività della creatura. 2. I Gesuiti ... auxiliis: la Congregazione De auxiliis divi11ae gratiae fu istituita da Clemente VIII, Ippolito Aldobrandini (1536-1605), per dirimere le controversie fra Gesuiti e Domenicani. Nel 1597 una commissione di cardinali esaminò le opere del Molina, di cui censurò sessan-

LIBRO Ili • CAP. IV

le parti contendenti furon posti in moto. I consultori tratti da' Dominicani dimandavano al papa la condennazione di Molina; ma il papa per non precipitar la decisione nomina nuovi consultori i quali ridussero tutta la disputa a sapere se l' efficacità della grazia dipende da una premozion fisica che determina la volontà, come volevano i Domenicani, ovvero se l' efficacità della grazia dipende dalle circostanze per le quali lddio accorda la grazia e le quali fanno che la volontà per il buon uso ch'ella ne farà la rende efficace, come pretendevano i Gesuiti. Sopra queste astratte e metafisiche sottigliezze si tennero trentasette assemblee nelle quali non si poté niente conchiudere, ed il papa Clemente VIII, sopragionto dalla morte nel 1605, non poté aver questa consolazione di poterle decidere. Leone XI' che gli successe per la brevità del suo pontificato né pure poté terminarle. Venne Paolo V 2 il quale fece replicar altre ed altre congregazioni, le quali tutte riuscirono infruttuose, sicché pensò imitando Sisto V d'imponer perpetuo silenzio alle due parti contendenti, commandandole che più non ne parlassero, riputando saviamente tali questioni vane ed inutili, le quali non meritavano né esser decise né riprese. Questo divieto però non impedì che i loro chiostri non risuonassero di altercazioni e di tumulti e le loro penne non fornissero le biblioteche di nuovi libri. Si compilarono dall'una e l'altra parte più volumi. In fine un frate dominicano a' nostri tempi si applicò a racorre memorie sì care e preziose di fatti sì illustri e memorandi per conservarli alla posterità; ne compilò una ben ampia istoria che in un grosso volume in foglio diede alle stampe sotto questo titolo: Histon·a congregationum de auxilii"s. 3 Gran pruova della fecondità dell'ingegno umano, il quale non pur dallo scibile, ma dati' inscibile stesso sa cavarne tante sottili questioni e dettare sì ampi tuno proposizioni. Nel 1600 la condanna si limitò a ventuno proposizioni. Con Paolo V la polemica riprese e nel 1606 furono condannate quarantadue proposizioni molinistiche. Nel 1607 la Congregazione fu sciolta da Paolo V. I. Leo,re Xl: Alessandro de' Medici (1535-1605), eletto nel 1605, fu papa per pochi giorni. 2. Paolo V: Camillo Borghese (1552-1627), sotto il cui pontificato si verificò il conflitto con Venezia. 3. In fine . .. all..'\:iliis: si trattn di Jacqucs-Hyacinthe Serry (1658-1738), teologo domenicano nato o Tolone e morto a Padova. Gallicano, fu nllievo di Noel Alexandre, e perseguitato perché accusato di cripto-calvinismo. La sua opera. conosciuta dal Giannone, che la possedeva e che gli ha ispirato queste pagine, è la Historia co11gregationrmi de ar,xiliis divinae gratiae. pubblicata a Lovanio nel 1700 e ripubblicata ad Anversa nel 1709.

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e numerosi volumi. Da ciò avvenne che ad alcuni faceti ingegni proclivi a, scherni ed alle derisioni si fosse data occasione di dire dalle loro sottili, astratte e metafisiche opinioni non potersi ricavar altro se non d'esser la grazia un nescio quid, eque' che si son serviti della parola grazi.a doppo S. Agostino sino al presente non sappian essi medesimi ciò che si vogliano dire. Ora di nuove brighe mi conviene far parole, 1 non meno strepitose che le già dette, spezialmente in Francia e nelle Fiandre, nate pure per la stessa cagione. Giansenio,2 vescovo d'lpri nella Fiandra spagnola, avendo fatti profondi studi sopra l'opere di S. Agostino, credette di avere sviluppati gl'intricati sentimenti di questo dottore sopra la predestinazione e sopra la grazia e darne un'idea più chiara e distinta, onde compose un libro intitolato Augustinus Jansenii; ma nel 1638 dalla morte prevenuto, non poté darlo alle stampe lasciandolo ms. e dichiarando eh' egli lo sottometteva al giudicio della Santa Sede. Questo libro doppo due anni della sua morte nel 1640 comparve impresso in Lovanio, e Framondo, 3 il quale ne fu l'editore, vi aggiunse del suo un parallelo della dottrina de' Gesuiti con gli errori de' semi-pelagiani. Ciocché fu muovere il vespaio ed irritare i Gesuiti a vendicarsi dell'ingiuria d'essere paragonati a' semi-pelagiani. L'opera di Giansenio era divisa in tre tomi. Nel primo, ch'è più istorico che dogmatico, continente otto libri, si espongono gli errori de' pelagiani e de' semi-pelagiani. Il secondo riguarda lo stato dell'innocenza, cioè avanti il peccato d'Adamo, nel quale l'uomo interamente libero godeva d'una grazia sottomessa alla sua libertà. Nel terzo trattasi ampiamente in diece libri della grazia del nostro Redentore nello stato della coruzione, nel quale noi siamo, e dove la grazia opera d'altra maniera; poiché in questo stato, e' dice, l'uomo ha bisogno d'una grazia invincibile che lo facci necessariamente operare. In fine Giansenio insegna che G. Cristo per sua morte e suo merito non ha resi tutti gli uomini meritevoli che delle sue grazie generali, ma non già dell'invincibile,4 la quale dipende unicamente dal suo volere ed arbitrio senza 1. di nuove . .. parole: cfr. Dante, In/., xx, 1: « Di nova pena mi conven far versi». 2. Giansenio: Comelis Jsnsen (1585-1638), vescovo di Ypres dal 1635. Cfr. A. GAZIER, Histoire générale du mouvement janséniste depuis ses origines jusqu'à nos jours, Paris 19246 , in due volumi, 1, pp. 3 sgg. 3. Framondo: su Libert Froidmund (Fromundus) cfr. A. GAZIER, op. cit., I, pp. 45-7. 4. invincibile: correggiamo l' « invincile» del manoscritto.

LIBRO III · CAP. IV

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che l'uomo vi abbia parte alcuna. Questa dottrina, tratta da' libri di S. Agostino, rinovò le precedenti dispute e credutasi contraria alle proibizioni già emanate dalla S. Sede, papa Urbano VIIl 1 ad istigazione de' Gesuiti nel 1644 condennò il libro di Giansenio e la sua bolla fu ricevuta ne' Paesi Bassi. Ma in Francia, ove Giansenio avea teologi dal suo canto non men forti che numerosi, non ebbe il medesimo successo. Antonio Arnaldo, 2 dottor della Sorbona, prese la difesa del libro e de' sentimenti del vescovo d'Ipri con tanta forza e vigore che diede molto che fare a' teologi del contrario partito. Si videro nel 1644 e 1645 più Apologie3 in difesa di Giansenio e dall'altra parte altre tante risposte. Tutta la Francia era in moto ed i vescovi ed i religiosi non men dell'uno che dell'altro sesso, tra lor divisi, chi aderiva ad un partito, chi ad un altro; infino che nel mese di luglio dell'anno 1649, estratte dal libro di Giansenio cinque proposizioni, non fossero presentate alla facoltà de' teologi di Parigi per esser esaminate e censurate.• Roma in questo stato di cose avvocò a sé raffare nell'anno 1650 e nel seguente I 6 5I fu posto ad esame. I discepoli di Arnaldo e gli altri parteggiani di Giansenio inviarono a Roma loro deputati per impedire la condanna delle cinque proposizioni, credendole cattoliche; dall'altra parte que' vescovi ch'erano del partito contrario mandarono i loro per sollecitare la condanna. Fu formata una congregazione de' cardinali e data facoltà alle parti contendenti di allegare lor ragioni: ciocché fecero non meno in voce che in iscritto compilando più allegazioni, le quali furon ricevute da' consultori per esaminarle. I Gesuiti furon in rivolta e si dieder con molto vigore e diligenza a procurarne la condanna. I defensori di Giansenio procuravano tirare dal lor canto i Domenicani, dandogli a sentire che la dottrina contenuta in quelle cinque proposizioni fosse la stessa di S. Tomaso. In oltre trassero, per rendergli il controcambio, da, libri de' Gesuiti cento proposizioni e le presentarono a' consultori perché fosser condennate. Ma in fine la vinsero i Gesuiti. I consultori stimarono che le cento proposizioni non s'appartenessero alla loro conoscenza e fossero estranee di quello che si trattava. In breve le cinque proposiziQni furono condannate 1. Urbano VIII: vedi la nota s a p. 149. 2. Antonio Arnaldo: Antoine Arnauld (1612-1694), il maggior rappresentante del giansenismo francese. Cfr. A. GAZIER, op. cit., 1, cap. 1, pp. 1-18. 3. Si videro ... Apologie: cfr. ibid., 1, pp. 80-5. 4. infino che . .• censurate: cfr. ibid., 1, p. 85.

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APOLOGIA DE• TEOLOGI SCOLASTICI

ed il papa lnnocenzio X nell'ultimo di maggio del 1653 ne promulgò bolla, la quale fu mandata in Francia e nell'altre Chiese. 1 In luogo di estinguer l'incendio, maggiormente in Francia si vide acceso; poiché i difensori di Giansenio, entrati in collera di vederle condennate e riputando essersegli reso manifesto torto, non si ritennero di declamare contro una sì manifesta ingiustizia, com' essi la credevano, ed oltre ciò diedero alle stampe una Relazione satirica contro i consultori e' giudici trattandogli da ignoranti e sordidi e che fosser stati da' Gesuiti corrotti, sotto il titolo Journal du Sieur de Saint Amour,2 scrittura cotanto maledica e rabbiosa che l'istesso Giacomo Basnage,3 ministro de' riformati a Rotterdam e poi a L' Aja, solea dire che se si avesse a pubblicare una satira contro la Chiesa e corte di Roma non dovrebbe farsi altro che di ristampare questo Giornale. I giansenisti, vedendo che la bolla del papa era stata ricevuta dal clero di Francia e che il re aveala fatta registrare in diversi parlamenti, ricorsero ad un altro scampo dicendo ch'essi accordavano le cinque proposizioni essere state giustamente condannate, ma che quelle così ed in quel senso eh' erano state condennate, non si trovavano nel libro di Giansenio; almanco le quattro ultime; e la prima in Giansenio non si leggeva in quel senso ch'era stata condennata. Che questo era un error di fatto del quale niuno era esente, onde la bolla non impediva che ciascuno non potesse avere il libro di Giansenio per cattolico come prima. Questo sutterfugio fu tale che pose l'affare a nuovo esame e diede luogo ad un nuovo processo. Papa Alessandro VII 4 successore di lnnocenzio X fu obbligato a far di nuovo esaminare il libro di Giansenio. Non poteasi però sperare decision contraria, la quale avrebbe qualificati i primi consultori per ignoranti o corrotti; onde nel mese di ottobre del 16 56 fu deciso che le proposizioni erano state condannate come estratte dal libro di Giansenio, e che devono esser proscritte nel senso medesimo che Giansenio l'avea sostenute. Questa nuova bol/,r breve ... Chiese: cfr. ibid., 1, p. 86. Innocenzo X: Giambattista Pamphili (1574-1655), papa dal 1644. 2. Journal . .. Atno1'r: Louis Gorin de Saint-Amour (1619-1687) giansenista, rettore della Sorbona, famoso per il Journal de Mr. Saint-Amour . .. de ce qui s'est fait à Rome dans l'affaire des cinq proposi.tions . .. , s. I. 1662, messo all'Indice nel 1664. 3. Jacques Basnage (1653-1723), pastore protestante, storico e politico di origine francese. 4. Alessandro VII: Fabio Chigi (1599-1667), avversario dei giansenisti. 1.

LIBRO 111 • CAP. IV

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la del papa I fu pure ricevuta dal clero di Francia ed i Gesuiti, di ciò non contenti, spinsero le cose più innanzi e fecer sì che il clero ed i vescovi formassero un nuovo formolario dov'erano inserite le cinque proposizioni e che niuno potesse aspirare a' gradi e dignità ecclesiastiche se prima non giurasse d'averle per erronee e contenute nel libro di Giansenio. Così tante dispute sopra cose astratte e metafisiche si videro produrre effetti reali e fisici. La Chiesa di Francia si vide in maggiori turbolenze, poiché non per ciò i capi del contrario partito cessarono di declamare che si volevano a' fedeli imporre nuovi lacci e catene ed obbligargli a professare quel formolario non altrimenti che il simbolo della Fede. Non potevano darsi pace come l'infallibilità della Chiesa sopra la decisione de' dogmi e condanna delle proposizioni erronee si volesse anche stendere sopra i fatti; quando dagli errori di fatto non ne sono esenti nemmeno gli stessi concili generali. Bisognò in fine cedere ed il nome di giansenista fu reso così odioso e vitando non altrimenti che quello di luterano e di calvinista. Ecco il frutto che trasse Giansenio dal suo Augustinus.

1. Q,1esta . .. papa: cfr. A. GAZIER, op. cit., la condanna di Alessandro VII.

1,

p. u6. Il 16 ottobre 1656

ISTORIA DEL PONTIFICATO DI GREGORIO MAGNO

NOTA INTRODUTTIVA L'Apologia de' teologi scolastici,, nella sua prima stesura, come si è detto, si concludeva con un libro vn intitolato Delle opere di S. Gregorio Magno. 1 Il Giannone vi continuava e ultimava la sua analisi dei Padri della Chiesa, in cui gli aspetti critici e demistificatori tendevano a prevalere: « Le opere di questo dotto e religioso pontefice possono leggersi senza timore d'inciampare in qualch'eresia o pernicioso errore, riguardando la presente dottrina. Fa d'uopo con tutto ciò esser attento a non lasciarsi trarre dietro la sua gran semplicità e somma credulità, onde rese i suoi libri specialmente que' de' Dialoghi pieni di visioni e sogni, secondo portava il costume de' suoi tempi e l'applicazione ordinaria d'allora de' studi monastici ... ».2 Dopo un breve pro.filo biografico, il Giannone cominciava ad esaminare le opere, per prime quelle sul Vecchio e Nuovo Testamento. Notava quindi gli errori di Gregorio: « ignaro delle lingue orientali, della storia di quegli antichissimi tempi, delle monarchie e regni che fiorivano allora, delle città e de' popoli da' quali erano abitati, per ciò egli di tutto altro parlando, fuor di quel che si contiene nel testo, si divaga in questioni morali, in dar a quel libro nuovi sensi allegorici, profetici mistici e tropologici, li quali non hanno altro appoggio che la propria immaginazione, secondo era il costume di allora de' monaci ... ». 3 Queste osservazioni riguardano il commento al libro di Giob, 4 argomento su cui il Giannone conosceva, sulle tracce del proprio maestro, 5 la bibliografia e le interpretazioni più moderne, ma offrono un preciso esempio del tipo di analisi a cui i testi di esegesi erano sottoposti. Anche i libri dei Dialoghi erano così pieni di puerilità e di visioni miracolose che critici zelanti del1' onore di questo pontefice tentarono di negarne l'appartenenza a Gregorio. In realtà soprattutto nel mondo protestante, con André Rivet, si era dubitato di questa appartenenza, che era stata difesa da Mabillon e da tutti gli editori parigini delle opere di Gregorio Magno. 6 Il Giannone però faceva un'ipotesi: molti sogni, miracoli e visioni potevano essere stati aggiunti dai monaci. Il problema della 1. Apologia de' teologi scolastici, in Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, mazzo v, ins. 2, cc. 196-202. 2. lbid., c. 196. 3. Ibid., c. 199. 4. GREGORII MAGNI Moralium libri, sive expositio in librum B. lob, in Migne, P.L., LXXV, coli. 509-u62; LXXVI, coli. 9-782. 5. D. Auus10, Delle scuole sacre libri due postumi, Napoli 1723, 1, pp. 143-9. 6. GRBGORII PAPAE Dialogorum libri IV, de vita et miraculis Patrum italicorum et de aeternitate animarum, in Migne, P.L., LXXVII, coli. 12.7-432. Da col. 129 n col. 146 il Migne riporta le precedenti prefazioni (1675 e ·1705). Sul Rivet cfr. coll. 137-8.

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corruzione del testo e dell'intervento dei copisti riguardava del resto anche sant' Agostino. 1 Nel complesso, accanto a questi elementi che proseguivano e concludevano il discorso di tutta l'Apologia, emergeva un certo interesse per la funzione di Gregorio come organizzatore della Chiesa. Questo tema raggiunse successivamente una tale autonomia da trasformarsi a sua volta in uno studio a sé stante: l'Istoria del pontificato di Gregorio Magno. Nell'introduzione ali' Apologia si sono analizzati i motivi che fanno pensare a una dipendenza fra le due opere e a una loro continuità. Vediamo ora come sia stato possibile al Giannone fermare cosi a lungo la sua attenzione sulla figura del grande pontefice, fino a fame scaturire un libro. Vale la pena di accennare alla discussione storiografica (naturalmente legata a complesse scelte politico-religiose) che precede l'opera del Giannone sulla figura di Gregorio Magno, discussione che egli almeno parzialmente conosceva e alla quale talvolta fa riferimento. Solo in questo modo sarà possibile cogliere il valore della proposta giannoniana. Come si è detto, André Rivet aveva dubitato dell'appartenenza dei Dialoghi a Gregorio. Un suo compagno ugonotto, il celebre professore di Sedan Pierre Du Moulin, pur cercando di contrapporre la Chiesa di Leone e di Gregorio a quella dei propri tempi, nel 1650 aveva iniziato il processo alla «cultura» del pontefice, accusandolo di essere ignorante e fantasioso esegeta del Vecchio e del Nuovo Testamento.2 Quest'opera era chiaramente l'ultima propaggine di un clima di urto frontale legato alle guerre di religione in Francia. Nel 1675 Pierre de Gussainville pubblicava a Parigi un'importante edizione che correggeva le precedenti.3 Nel 1686 veniva pubblicata a Parigi una monografia su questo pontefice, che rivela chiaramente la propria appartenenza a un nuovo clima politicoreligioso, l'Histoire du pontificat de S. Grégoire le Grand, di Louis Maimbourg. Era infatti scritta da un ex-gesuita, celebre per le polemiche contro i giansenisti e i protestanti, che avevano sollecitato la risposta polemica di Pierre Bayle. Acceso gallicano e cacciato dall'ordine per questo, stipendiato da Luigi XIV, egli era diventato in qualche modo l'interprete ufficiale, lo storico e l'apologeta della politica religiosa del re Sole. Estremamente indicativo in questa

1. Apologia de' teologi scolastici, cit., c. 201. z. P. Du MouLIN, La TJÌe et religion de dewc bons papes, Léon premier et Grégofre premier, où est monstré gue la doctrine et religion de ces pontifes tant célèbres est contraire à la religion roffllline de ce temps, Sedan 1650. 3. S. GREGORII PAPAE PRIMI ••• Opera in tres tomos distributa ••• Additae sunt quaedam notae in dialogos et epistolas eiusdem S. Gregorii, cura et studio Petri GrusamJillaei, Lutetiae Parisio-

rum 1675, in tre volumi.

NOTA INTRODUTTIVA

direzione il Traité historique de l' établissement et des prérogatives de l'Église de Rome et de ses evesques. 1 In quest'opera riaffermava la piena ortodossia del gallicanesimo. Non negava affatto il primato di Roma come sede scelta da san Pietro, ma riduceva drasticamente i poteri papali, rifiutando ogni infallibilità ed affermando che quando i pontefici decidono fuori dei concili possono sbagliare. I Padri della Chiesa erano quindi piegati a dimostrare questa tesi. L'Histoire du pontificat de S. Grégoire le Grand si collocava in qualche modo dopo quelle che aveva dedicato agli iconoclasti e allo scisma greco. Tutti i motivi a cui si è accennato acquistano un preciso rilievo: nella dedica al sovrano egli afferma che il maggior merito di Gregorio è di «avoir trouvé l'art de contraindre sans violence, selon l'esprit de l'Évangile, de rentrer dans l'Église catholique ceux qui en estoient sortis par le schisme, ou par l'hérésie ... ». 2 Luigi XIV viene quindi esaltato a confronto di questo modello come il sovrano che aveva realizzato l'unificazione francese sotto il cattolicesimo. L' Avertissement conferma le scelte del Maimbourg: la polemica contro i protestanti (è confutata l'opera del Du Moulin) e contro la tradizione romana (Baronia), l'impostazione nettamente gallicana e regalista. Inoltre egli non intendeva scrivere una biografia, ma una storia del pontificato. Non manca di dare un certo spazio all'elemento miracoloso, riportando la leggenda (che gli sarà rimproverata sprezzantemente da Bayle) di una colonna di luce apparsa a segnalare il luogo in cui si era rifugiato Gregorio per sottrarsi all'elezione. 3 Gli altri elementi sottolineati sono: la sottomissione del pontefice ai concili, il potere dell'imperatore Maurizio, il confronto fra Gregorio e Luigi XIV nell'azione verso gli eretici. Molto indicative sono le pagine sullo scontro con i patriarchi d'Oriente per il titolo di ecwnenico. Il Maimbourg tende a ridurre tutto il conflitto a un fatto ver.: baie, a una cattiva interpretazione del tennine. Secondo lui esistevano tre interpretazioni della parola: quella del concilio di Calcedonia (il pontefice vescovo della Chiesa universale); quella usata dai patriarchi d'Oriente (che si consideravano vescovi di una gran parte del mondo); quella che Gregorio intese - e secondo Maimbourg fraintese - nei patriarchi d'Oriente, secondo cui questo titolo escludeva il potere degli altri vescovi. Il Maimbourg da una parte riduce il conflitto a una pura incomprensione verbale, tendendo quindi a minimizzarlo, dall'altra polemizza con coloro (protestanti) che han visto in questa polemica contro l'ecumenicato come un rifiuto da parte di Gregorio del proprio stesso primato. Ricostruisce succes1. Paris 1686. 2. Histoire du pontificat de S. Grégoire le GTand, cit., pp. n.n. 3. lbid., p. 9.

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sivamentc il rapporto di Gregorio con l'Inghilterra e la Francia, sempre dallo stesso punto di vista, di esaltare la politica religiosa di Luigi XIV e di trovare le radici prime del gallicanesimo. Nelrultima parte infatti, trattando dell'opera di organizzazione della società ecclesiastica, contrappone Gregorio Magno a Gregorio VII, rifiutando e mostrando falsi tutti i tentativi di far risalire al primo le teorie teocratiche. Così ne emerge l'immagine di una Chiesa che non pretende nessuna superiorità sul potere civile, che lascia ampie autonomie alle realtà locali, alle tradizioni «nazionali», che utilizza il patrimonio di S. Pietro per i poveri, che cerca di tener lontani gli ecclesiastici e soprattutto i monaci dagli affari. Pierre Bayle, che era intervenuto contro il Maimbourg precedentemente, a proposito della sua storia del calvinismo, recensi abbastanza criticamente quest'opera nelle « Nouvelles de la républjque des lettres » del febbraio 1686. 1 Fa notare come il Maimbourg abbia accettato acriticamente il miracolo della colonna di luce che fece scoprire Gregorio dopo la sua fuga. In realtà, secondo il Bayle, si tratta di qualcosa che ricorda troppo la leggenda dei Re Magi guidati da una luce a Gesù bambino. Ma il Maimbourg, che egli precedentemente aveva descritto come un autore di romanzi storici a tesi, senza alcun problema di certezza e di verità, «rapporte plusieurs autres prodiges de ce temps-là (car la saison en étoit ancore bonne) et n'en rejette que fort peu ».2 Inoltre non dubita dell'appartenenza a Gregorio dei Dialoghi, e non ne coglie criticamente il tono troppo scopertamente credulo. Al Bayle non sfugge il tentativo di ridurre tutta la polemica sull'ecumenismo a un fatto puramente verbale. È però soprattutto sottolineato polemicamente ed ironicamente il continuo raffronto fra Luigi XIV e Gregorio I come pacificatori religiosi. Riflettendo sulle vicende contemporanee, trova assolutamente improprio un paragone di questo genere, che avrebbe permesso al sovrano (il quale stava costringendo i protestanti alt> esilio) di passare per un pacificatore e un organizzatore della unità religiosa nel proprio paese senza violenza. Soprattutto egli polemizza con la distinzione tra infedeli (come erano gli Ebrei al tempo di Gregorio, che questi comandava ai vescovi di non perseguitare e di non convertire con la violenza) e ribelli, cioè quelli che abbandonavano la fede per abbracciare una nuova opinione. Ancora una volta questa recensione oscillava dal passato al presente e metteva in luce quelli che erano 1. Cfr. P. BAYLE, CEuvres diverses, La Haye 1737, II, Critique générale de l'histoire du calvinisme de Mr. Maimbo11rg, pp. 1-160; Nouvelles lettres de l'auteur de la Critique générale de l'histoire du calvinisme, pp. 161-335. La recensione citata è riportata nel tomo I di questa edizione, pp. 493-8. 2. lbid., p. 493.

NOTA INTRODUTTIVA

gli elementi essenziali della storiografia di Maimbourg, la mancanza di scrupoli e la perfetta adesione agli aspetti più discutibili della politica di Luigi XIV. Il Bayle proseguiva il processo di riduzione della figura di Gregorio che era presente in Du Moulin, ricordando l'appoggio indiscriminato di questo pontefice a un tiranno come Focas e alla crudelissima regina di Francia Brunehauld. Negli anni successivi il discorso tornava in mano agli eruditi, anche se non perdeva una sua carica politico-religiosa. È il caso dell'ampia monografia dedicata a Gregorio I da Louis Ellies Du Pin nella Nouvelle bibliothèque des auteurs ecclésiastiques, 1 che non perdeva occasione, sia pur con maggiore correttezza del Maimbourg, cli confennare il proprio gallicanesimo. L'atteggiamento di Gregorio è caratterizzato secondo il Du Pin da due elementi essenziali: la volontà di far osservare i Canoni (e in ciò consisteva l'autorità della sede romana); la piena accettazione delle deliberazioni dei concili. Secondo il Du Pin per Gregorio Magno il primato di Roma rispetto alle altre sedi vescovili era effettivo solo quando c'era stata da parte della diocesi una colpa qualsiasi. A parte questo compito in qualche modo giurisdizionale, Gregorio teorizzava la parità assoluta ed era contro il titolo di ecumenico non solo per il patriarca cli Costantinopoli, ma anche per il vescovo di Roma. Confermando quanto aveva già detto nella sua opera sulla antica «disciplina» della Chiesa, il Du Pin afferma che le rendite del patrimonio di S. Pietro e di tutti i lasciti ecclesiastici dovevano essere divise in quattro parti: ai preti, ai poveri, alle chiese e ai vescovi. Inoltre Gregorio, che per ragioni puramente religiose intervenne spesso e anche caldamente presso i sovrani, aveva ben chiare le diverse sfere di influenza e sapeva distinguere il piano religioso da quello politico. Questo spiega perché si sia più volte subordinato a Maurizio, allo stesso Focas e abbia accettato senza critiche la regina Brunehauld. Così per quanto riguarda la disciplina interna della Chiesa, egli, pur favorendo gli ordini religiosi regolari, non li sottrasse affatto alla giurisdizione dei vescovi. Monaci e preti avevano compiti distinti; perciò i primi erano tenuti lontani dalle pratiche fondamentali, come la possibilità di dir messa e di distribuire i sacramenti. Fra le opere, il Du Pin accenna ai Dialoghi; non dubita che siano di Gregorio Magno, ma li trova ridicoli e indegni di un così grande pontefice: «On y fait les miracles si frequens, si extraordinnaires, et souvent pour des choses de si peu de conséquence, qu'il est bien difficile de les croire tous ».a Mentre l'opera e la figura di Gregorio Magno erano Jlogl!ettv di studio e di interesse per le grandi storie ecclesiastiche di ispirazione 1.

Paris 1690, 1v, pp. 239-344.

2.

Op. cit., 1v, p. 325.

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gallicana, come quella di Noel d'Alexandre1 e di Claude Fleury, 3 un benedettino della scuola di Saint-Maur sentiva il bisogno di misurarsi con questo soggetto, dedicandogli una monografia che precedeva di qualche anno l'edizione critica delle opere, a cui egli avrebbe partecipato con altri. 3 Si tratta di Denis de Sainte-Marthe, Histoi.re de S. Grégoire-le-Grand pape et docteur de l'Église tirle principalement de ses ouwages.4 L'opera del Sainte-Marthe intendeva essere la prima monografia obiettiva sul grande pontefice. Nell' Avertissement infatti affermava che in quegli anni erano state scritte le vite di tutti i Padri della Chiesa, meno quella di Gregorio. C'era stata l'opera del Maimbourg «mais outre que cette histoire ne comprend pas toute la vie du saint, M. Maimbourg ne s'est attaché qu'à certains faits de son pontificat qui entroient dans ses desseins et dans ses vCìes, négligeant tous les autres qui toutefois méritent d, etre connus ... ». 5 Per sottolineare i punti di vista diversi, il Sainte-Marthe afferma ancora in implicita polemica: « l'unique but que je me suis proposé, a été d'éclaircir la vérité et en m'instruisant moi-meme, de travailler à l'instruction et a l'édification d'un grand nombre de personnes ... ».6 La prima preoccupazione è filologica: afferma di essersi servito dell'edizione parigina del 1675 come la più corretta, utilizzando altresì le note di Thomas James, 7 che aveva accusato le edizioni romane di essere poco scrupolose nel forzare a favore di Roma gli scritti di Gregorio. Inoltre analizza le altre fonti di cui si è servito, da Gregorio di Tours, a Beda, a Paolo Diacono, collocandole storicamente. Naturalmente polemizza con le interpretazioni protestanti, soprattutto con quella di Pierre Du Moulin, ma discute anche le tesi del Du Pin.8 L'opera è divisa in quattro libri ed è di taglio nettamente 1. Historia ecclesiastica Veteris et Novi Testamenti ab orbe condito ad annum post Christum ,iatum millesin111m sexcentesimum, Parisiis 1714, in otto tomi, v, pp. 380-91. La prima edizione, Parisiis 1699, in otto tomi. z. Histoire ecclésiastique, VIII, Paris 1727, pp. 1-238. La prima edizione, Paris 16911738, in trentasei volumi. 3. SANCTI GRECORII PAPAE I ... Opera om11ia ••• studio et labore monachorum ordinis S. Benedicti e congregatione S. Mauri (D. de Sainte-Marthe, B. Pétis de La Croix et G. Bessin), Parisiis 1705, in quattro volumi. 4. Rouen 1697. 5. lbid., p. n.n. 6. lbid., p. n.n. 7. lbid., p. n.n. Si riferisce a Thomas James (1573 ?-1629), erudito inglese autore di un Bellum gregoriam1111, sive co"uptionis ron1a11ac ;,, operibus D. Gregorii M. iussu pontificum rom. recognitis atque editis ex typographia tJaticana loca insigniora, observata a theologis ad hoc officillm depfltatis, Oxoniae 1610. Si tratta di una polemica contro l'edizione voluta da Sisto V, curata dal vescovo di Venosa P. Ridolfi, Romae 1588-1593, in sei volumi. Sulle edizioni di Gregorio, precedenti quella benedettina, cfr. la prefazione dell'edizione 1705 riportata dal Migne, P.L., LXXV, coli. 15-36. 8. lbid., p. n.n. Si tratta naturalmente della monografia compresa nella Nouvelle bibliothèque des auteurs ecclésiastiques, cit.

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biografico. Il primo riguarda la vita di Gregorio dalla nascita al pontificato. Sono ricostruiti con accuratezza l'ambiente familiare, gli studi, la carriera politica, Ja vocazione e le scelte religiose. La storia della sua fuga dopo la nomina e il suo ritrovamento è accettata, secondo la tradizione leggendaria, ma senza troppa insistenza: « Une colomne de lumière parut sur le lieu de sa retraite ». 1 Il secondo è dedicato ai primi quattro anni di pontificato. Il Sainte-Marthe conferma la piena sottomissione di questo pontefice ai concili e ne descrive l'opera di riorganizzazione della Chiesa, sottolineando Peliminazione dei laici dall'amministrazione dei beni ecclesiastici. Un certo spazio è dedicato al problema dei Dialoghi. Il Sainte-Marthe ha un atteggiamento pienamente apologetico e devoto, che gli sarà rimproverato dal Bayle. Egli infatti afferma che ad alcuni studiosi non sono piaciuti tutti i miracoli di cui questi Dialoghi sono pieni. Ma non è una critica valida. Se si applicasse un criterio del genere bisognerebbe estenderlo a sant'Agostino. In effetti secondo il SainteMarthe c'erano più fatti miracolosi alle origini e quindi le scritture dei Padri registrerebbero una realtà. Solo sull'episodio (riportato da Giovanni Diacono) del battesimo dell'anima di Traiano per intercessione di una povera donna, il Sainte-Marthe condivide le precedenti confutazioni (dal Baronio e Bellannino ai più recenti autori) e utilizza gli stessi Dialoghi per smontare questa storia, mostrandone la falsità e Ja pericolosità. È invece decisamente polemico con il Maimbourg che aveva ridotto a nulla il significato e il valore della polemica sull'ecumeni-smo. Gli ultimi due libri, che raccontano gli anni successivi del pontificato, proseguono su questo tono fortemente apologetico. Per esempio difende Gregorio dall'accusa di aver lodato e appog-giato Brunehauld, affermando che i suoi crimini furono scoperti dopo la morte del pontefice. Lo stesso afferma per il rapporto con Focas. Quando Pierre Bayle scrisse la voce Gregoire I sul Dictionnairé'aveva quindi a disposizione un materiale notevole: egli infatti fondò la sua voce sul Maimbourg, sul Sainte-Marthe e in misura minore sul Du Pin, a cui rimandava per un'analisi dettagliata delle opere. Per quanto riguarda il Maimbourg, si rifà alla propria recensione del r686, ripetendo le osservazioni sulla colonna di luce che ricorda la leggenda dei Re Magi e polemizzando soprattutto con il paragone fra Gregorio e Luigi XIV. Ma in questa voce, ben più che nella recensione, il Bayle chiariva e approfondiva, alla luce dei propri lavori 1. Jbid., p. 130. 2. P. BAYLE, Dictionnaire historiq11e et critique, Amsterdam 1734, 111, pp. 103-13.

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e delle proprie scelte, il problema della libertà di coscienza, mostrando i limiti non solo del sovrano francese, ma anche del pontefice: « Ses maximes touchant la contrainte de la conscience n'ont pas étés uniformes et il donnoit quelquefois dans un grand relachement. Aussi est-il bien difficile d'avoir des règles pour une chose si contraire à la raison ,,. 1 Le osservazioni nascono da quanto riportava lo stesso Maimbourg, che Gregorio rifiutasse le conversioni violente degli Ebrei e invece sollecitasse la persecuzione degli eretici. Bayle, teorizzando la libertà di coscienza, afferma che la Chiesa non ha il diritto di trattare come ribelli quelli che la lasciano: e, C'est attribuer à l'Église un pouvoir· qu'elle n'a pas, que de prétendre qu'elle peut traiter tous ceux qui la quittent, comme les états humains traitent les rebelles ... ».2 Per lo sviluppo cli questi temi rinvia al proprio Commentaire philosophique. Inoltre Gregorio propugnava una morale troppo rigida; i preti dovevano essere vergini, fatta eccezione per i vedovi. Nel complesso « mérita le surnom de Grand, mais on ne saroit excuser la prostitution de louanges avec la quelle il s'insinua dans l'amitié d'un usurpateur ... ,,. 3 Oltre che con Focas, ebbe compiacenza eccessiva verso la regina Brunehauld. Il Bayle inoltre sfiorava un problema interessante e destinato ad aver sviluppo in Toland. Secondo una tradizione, Gregorio sarebbe stato un distruttore delle reliquie più belle della civiltà pagana, per il timore che chi veniva a Roma avesse più interesse per i templi gentili e gli archi di trionfo che per le chiese. Questa azione del pontefice non è documentabile, come non è certa l'altra, che egli abbia fatto distruggere un'infinità di libri pagani e fra l'altro Tito Livio (era una voce riportata dal Voss). Nello stesso Dictionnaire il Bayle tornava ancora una volta su Gregorio a proposito della voce Trajan tutta dedicata alla leggenda di cui si è già detto. 4 Nel 1705 veniva pubblicata l'edizione delle opere di Gregorio, a cui aveva collaborato il Sainte-Marthe. Quest'edizione fu recensita ampiamente e favorevolmente dagli ccActa Eruditorum» 5 di Lipsia che evitavano ogni rilievo polemico di carattere religioso e che, dopo averne dato un'ampia descrizione, sottolineavano soprattutto due punti: i benedettini sostenevano l'appartenenza dei Dialoghi a Gregorio; negavano la favola della liberazione dell'anima di Traiano da parte del pontefice. Vale forse ancora la pena di ricordare che pochi anni dopo nella stessa città, da parte di un teologo luterano evidentemente abbastanza lontano dallo spirito di dialogo e dal cristianesimo

1. lbid., p. 104. 2. lbid., p. 105. 3. lbid., p. 107. 4. lbid., v, pp. 395-6. 5. «Acta Eruditorum Lipsiensium», settembre 1706, pp. 385-95.

NOTA INTRODUTTIVA

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universalistico di ispirazione leibniziana degli «Acta,,, venne pubblicata un'opera che riporta bruscamente a un clima di controversie. Si tratta di Gregorius Magnzu papa lutheranus sive der lutherische Pabst contra papistas, imprimis monachos parisienses, ordinis S. Benedicti, S. Marthe, Bellarminum, Baronium, Schelstratium aliosque, e~ S. Gregorii libris et epistolis vindicatus ... di Johann Peter Stute. 1 Come si è già accennato nell'introduzione ai Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio, la figura di Gregorio Magno aveva colpito il Toland nel suo Adeisidaemon.~ Questi aveva infatti accettato e sviluppato quanto il Bayle riportava sia pur dubitativamente nella sua voce: nell 'Adeisidaemon infatti Gregorio era visto come il distruttore delle storie di Livio. Lo aveva quindi posto al centro di un processo di irrigidimento e di istituzionalizzazione del cristianesimo, di una reazione, in fondo cieca ed ottusa, al fascino ancor vivo della cultura pagana. Come si colloca l'opera del Giannone in questa discussione misuratasi nell'arco di un secolo su un nodo essenziale della storia ecclesiastica e civile ? Bisogna prima di tutto osservare che il problema non si poneva per la prima volta al Giannone del carcere. A Gregorio Magno sarebbe stato dedicato ampio spazio nel periodo terzo del Regno papale, la parte non compiuta del Triregno, di cui però egli aveva già indicato la traccia.3 In questo senso diversi e complessi sono gli impulsi che hanno spinto il Giannone ad affrontare il tema: proseguire l'Apologia, riprendere quanto nel Triregno era stato solo previsto ed abbozzato, misurarsi ancora una volta con un'intuizione del Toland. Se l'Apologia prendeva a modelli la seconda parte delle Scuole sacre di Domenico Aulisio4 e soprattutto L'opera fu pubblicata a Lipsia nel 1715. 2. Adeisidaemon, sive Titw LivirlS a sr,perstitione vi11dicatus . .. , Hagae Comitis 1709, pp. 79-97. 3. Cfr. Il Triregno, ed. Parente, 111, p. 216. I primi due capitoli sarebbero stati dedicati a Gregorio l\1Iagno. Il capo 1, Del ponteficato di Gregorio Magno nel quale il nuovo regno papale fece notabili progressi, 110n meno in Occidente che i,r Oriente, prevedeva nove paragrafi: 1. Nelle province suburbicarie del vicariato di Roma; 2. Nelle province sottoposte al prefetto d'Italia, e spezia/mente: 3. Nella Liguria, Venezia, Istria, Norico e nella Rezia; 4. Nella Pannonia, nella Dalmazia, Macedonia e Bulgaria; 5. Nell'Illirico occidentale; 6. Nella Francia; 7. Nella Spagna; 8. Nell'isole britanniche, Anglia, Scozia ed lbernia; 9. Nella Germa11ia. Il capo II, Papa Gregorio Magno si mantenne nella grazia dell'imperato, Maurizio, finché questi visse. S'intrigò nelle guerre co' Longobardi, nelle paci ed in altri affari politici. Ubbidiva alle leggi degl'imperatori d'Oriente,· e la stessa vtnerazione, fede ed ubbidienza continuò coll'imperador Foca, successor di Marlrizio. Come si vede, la struttura geografico-storica era già stata prevista per il Trireg,ro, ma in questa successiva opera appare ben più complessa. 4. Delle scuole sacre ecc., cit., 11, Delle scuole sacre d'Alessandria. 1.

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il Traité de la morale des Pères di J ean Barbeyrac, 1 questa Istoria è, almeno in parte, un proseguimento del Triregno. Nell'Apologia aveva discusso le fonti della morale cristiana, negando, con la stessa forza dei deisti, ma con un acume storico più preciso, la tradizione, portando la polemica fino alle origini del pensiero cristiano. Ora, con gli strumenti di un'erudizione eterogenea e complessa, si propone di affrontare le Epistole di Gregorio per ricostruire l'organizzazione e la disciplina della Chiesa medievale. In questo senso l'opera del Giannone non si presta ad essere riportata soltanto nell'ambito delle monografie sul pontefice che sono state indicate precedentemente. Accanto a queste dovremmo ricordare non solo tutte le grandi storie ecclesiastiche, che egli conosceva, ma anche le opere di diritto canonico e di erudizione sacra, dal Du Pin, al van Espen, al Bingham.2 Questa cultura era particolarmente familiare al Giannone, che aveva utilizzato gli autori citati soprattutto nel Triregno. È difficile dire con esattezza che cosa avesse realmente a disposizione mentre componeva quest'opera; oltre agli Opera di Gregorio Magno {non si sa in quale edizione, ma la numerazione delle Epistole fa escludere quella benedettina del 1705), 3 Plinio, nell'edizione commentata da Jean Hardouin,4 e Livio, che egli cita abbondantemente, gli altri riferimenti potrebbero essere o indiretti (tratti cioè dalle note dell'Hardouin, per esempio) o, come in altri casi, fatti a memoria. 1. Cfr. qui a p. 794. 2. Cfr. le note 3 a pp. 41-2 e I a p. 660. 3. Da quanto il Giannone afferma ne La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande, in Opere inedite, a cura di P. S. Mancini, Torino 1852 (ma 1859), 11, p. 210: 1 Se i collettori de' dodici libri di queste Epistole, siccome han fatto qui, aggiunto avessero le risposte alle lettere del pontefice (ché non dubito in que' tempi dovessero negli archivi di Roma esisterne gli originali), certamente di più chiari lumi e di più riposte notizie attinenti anche all'istoria di que' secoli ci avrebbero arricchiti .•. », parrebbe che il Giannone avesse a disposizione l'edizione romana (1588-1593, in sei volumi) o qualche ristampa di questa. Fra l'altro parla di dodici libri delle Epistole, mentre nell'edizione benedettina del 1705 diventarono quattordici, con un ordine mutato, rispetto alle precedenti edizioni, compresa quella del 1675, che aveva conservato l'antico. A quest'ultimo corrispondono le citazioni del Giannone. Cfr. anche quanto afferma nel titolo originario intero e nella prefazione A' lettori, p. 2, in cui, propugnando una nuova disposizione di questo materiale, più storica, sembra ignorare i criteri (in realtà simili ai propri) seguiti dai benedettini nel 1705. Questa prefazione è importante perché egli applica alla geografia gli stessi criteri che nella Vita aveva utilizzato per la giurisprudenza, distinguendo una « antica geografia de' Romani», la geografia media « del periodo barbarico», 11 la bassa e infima geografia delle epoche moderne». 4. C. PLINII SECUNDI Naturalis liistoriae libri XXXVII. lnterpretatione et notis illustravit Ioannes Hardui11us ... , Parisiis 1685, in cinque volumi. Fu ristampata a Parigi nel 1723, in tre tomi. Quest'opera (e le note dell'Hardouin) sono una fonte costante per il Giannone del carcere.

NOTA INTRODUTTIVA

Solo un'edizione critica potrebbe rispondere in maniera soddisfacente a questo problema. Certo egli ebbe a disposizione anche altri libri, parte propri, parte avuti in prestito, come per esempio l'opera di Francesco Agostino della Chiesa, che è citato come il «vescovo di Saluzzo », uno dei maggiori storici piemontesi. 1 Comunque c'è uno sviluppo e una continuità in tutta la produzione del carcere. Non solo più volte nell'Istoria del pontificato egli fa riferimento a quanto aveva scritto nei Discorsi e nell'Apologia, ma utilizza ancora ampiamente la ricerca che aveva fatto sul testo di Livio e sui Vangeli per ricostruire la geografia dell'lmpero.2 In questo nuovo lavoro Plinio e soprattutto Livio gli offrono il materiale per confrontare la struttura geografica romana con quella che emerge dal testo delle Epistole per cogliere variazioni e persistenze. Quindi ritorna alla storia civile, come l'aveva concepita precedentemente, per studiare la genesi di un processo in cui la Chiesa stava sostituendo l'Impero, ma alla dimensione diacronica (lo studio di tutte le modificazioni avvenute dalle origini ai suoi giorni in una regione limitata, il regno di Napoli, come nella Istoria ci.'lile, o per tutto l'Occidente, come nel Triregno) si sostituisce la scelta sincronica, la volontà di ricostruire un momento fondamentale per tutta l'area occidentale, cogliendo nella dimensione geografica più vasta la di-versa e complessa reazione a due fenomeni contemporanei: la crisi della società civile e la volontà di affermazione del papato. Le Epistole, rivolte da Gregorio a tutti i vescovi del mondo occidentale, permettono al Giannone una ricostruzione analitica e piena di spessore (con i continui riferimenti al prima, la geografia dell'Impero, tratta da Livio, e al poi, la realtà che il Giannone ben conosceva come sto-rico e politico militante). In questo senso l'opera del Giannone non solo non può essere riportata facihnente ai modelli di monografie su Gregorio che abbiamo citato precedentemente, ma neppure a uno dei tanti esempi di «geografia sacra» a cui certamente si ispirava: pur essendo a tratti classificatoria e inevitabilmente descrittiva, nel complesso è un'opera di storia, o meglio un tentativo piuttosto originale di geografia storica, con un forte interesse «politico» e una profonda passionalità alle spalle, come mostrano non solo i ricordi personali che affiorano ogni tanto, ma soprattutto le precise riprese del proprio discorso, le dure polemiche contro i tentativi di compromesso, come nel caso del de Marca, gallicano moderato, 3 o le 1. Cfr. La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande, cit., p. 138; pp. 224-37. Si riferisce a F. A. DELLA CHIESA, S.R.E. cardinalium, archiepiscoporum, episcoporum et abbatum pedemontanae regionis clironologica histon·a, Torino 1645. 2. Cfr. qui, p. 733 e le note ivi. 3. La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande, cit., p. 235.

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critiche al Du Pin, che nel complesso egli ammirava e seguiva.• Inoltre, se è vero che il Giannone, dopo aver abbozzato il proprio discorso su Gregorio Magno nell'Apologia, decise di riprenderlo ed ampliarlo, è altresì vero che il taglio scelto è molto diverso. Nell'Apologia il centro di interesse era l'opera intellettuale di Gregorio Magno, con i suoi limiti teorici (dovuti al tempo), ma anche con i suoi pregi, ora invece è la società europea che viene minuziosamente ricostruita nell'impegno organizzativo del grande pontefice. È la società in cui nacque, come una realtà nuova e gravida di conseguenze, il primato della sede romana, favorito dalla profonda crisi della società civile. Tale primato si stabilì non solo per il trasferimento di Pietro da Antiochia a Roma, ma soprattutto per il fatto che quando Costantino creò ~ostantinopoli, denominandola la seconda Roma aveva riconosciuto implicitamente il fascino e la grandezza della prima. Comunque fino al V secolo si trattava solo di un fatto di onore e il vescovo di Roma non poteva ingerirsi negli affari delle altre Chiese. Nel V secolo si cominciarono a far valere le prime pretese e con Leone Magno la Chiesa di Roma aspirò ad essere la più importante. Con la crisi dell'Impero d'Oriente, con la perdita di prestigio delle Chiese orientali, nel VI secolo Gregorio riuscì a stabilire la propria autorità non solo sulle Chiese d'Africa, ma anche sui patriarcati di Gerusalemme e di Costantinopoli. Il regno papale si formò quindi in un vuoto di potere imperiale; a Gregorio fu facile respingere le pretese dei patriarchi orientali di essere ecumenici nella misura in cui le loro fortune erano legate all'Impero e quindi ne subivano tutte le perdite, mentre la Chiesa di Roma contrapponeva la propria autonomia e il proprio prestigio sull'Occidente. Il Giannone studia il lento, ma inarrestabile processo che porta al papato come realtà ecumenica proprio nei termini che la polemica di Gregorio contro i patriarchi orientali sembrava voler negare. Ricostruisce tale vicenda per tutta l'area occidentale, servendosi, oltre che delle Epistole, di Pierre de Marca e di Louis Ellies Du Pin per la Francia e di Joseph Bingham per gli altri paesi. Fra le altre cose riprende il tema della lotta contro le immagini. Il suo atteggiamento è molto meno rigidamente moralistico che nel Triregno, dove la diffusione delle immagini era riportata - secondo un radicalismo di origine protestante - a un ritorno neo-pagano della Chiesa di Roma, che non aveva avuto il coraggio di affrontare un'esistenza puramente spirituale e si era istituzionalizzata, assorbendo (come al suo tempo i Gesuiti in Cina) i riti gentili, per rendersi più accettabile agli occhi di un mondo solo I.

Ibid., p. 392.

NOTA INTRODUTTIVA

esteriormente convertito e ancora legato alle forme cultuali pagane. Osserva ora le stesse cose con un occhio più aperto e distaccato; dalPalto del suo cristianesimo tollerante e ragionevole afferma che è stata assurda una polemica1 su cose così poco importanti. Ma se ciò potrebbe far pensare a una tipica incomprensione ormai illuministica verso le lotte di religione, il Giannone si abbandona assai poco alla tentazione di liquidare il passato senza capirlo sia pure in nome di una razionalità tollerante. Infatti inserisce la polemica sul culto delle immagini nel clima in cui sorse il maomettanesimo; qui probabilmente raccoglie gli echi di un'opera inseribile nella tradizione post-spinoziana e deistica, le Lettres juives del marchese d'Argens. 2 Le aveva lette a Ginevra poco prima dell'arresto, in un ambiente in cui circolavano fra i suoi amici e in cui il tipografo Marc-Michel Bousquet (che avrebbe dovuto stampare la traduzione francese dell'Istoria) si preparava a fame una riedizione. 3 Secondo il Giannone il maomettanesimo si inserl nelle accuse di paganiz.. zazione rivolte ai cristiani, portando la lotta in nome del nuovo pro-feta e del nuovo culto. Come avevano affermato il Toland nel Na-%arenus4 e, meno radicalmente, il d'Argens nelle Lettres juives, il maomettanesimo si presentava come un ritorno alla tradizione mo-saica, contro il gentilesimo cristiano, pur essendo in realtà un mi-scuglio di elementi ebraici e cristiani. Il culto delle immagini viene quindi compreso come il frutto di tempi rozzi e primitivi, che portò a vari eccessi, di cui vi è una divertente descrizione. Rivive anche a questo proposito una parentesi autobiografica, un accenno al proprio soggiorno ginevrino e al suo incontro con uomini come Jean-Alphonse Turrettini e Jacob Vemet, che è un bellissimo omaggio al loro tollerante cristianesimo. 5 Tornando al tema principale, il Giannone cerca di studiare le conseguenze del programma di Gre-gorio in quanto la penetrazione del cristianesimo nella restante Eu-ropa investe i secoli successivi, ma si modella ancora sui suoi im1. Cfr. Il Triregno, ed. Parente, n. pp. 341-5; per un confronto La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande, cit., pp.111-7. 2. J.-B. o'ARGENS, Lettres juives, ou correspondance pl,ilosophiq11e, historique et critique entre un juif voyageur à Paris et ses co"espondans en divers endroits, La Haye 1736. Sulla lettura di quest'opera cfr. Gia11noniana 1 pp. 529-30; G. R1cuPERATI, L'esperie11za civile .e religiosa di Pietro Giannone, Milano-Napoli 1970, pp. 512-3. J. L'edizione di Losanna del 1738 ebbe come editore il Bousquet. Altra edizione La Haye 1738. 4. London 1718. 5. La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande, cit., pp. 116-7. Su J.-A. Turrettini cfr. E. DE Buot, Vie de J.-A. Tu"ettini, théologien genevois. I67I-I737, Lausanne 1880; su J. Vernet, Idem, Vie deJacob Vernet théologien genevois . .1698-I789, Lausanne 1893. Cfr. inoltre G. RICUPERATI, L'esperienza civile e religiosa ecc., cit., pp. 518-41.

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pulsi. Accanto agli autori già citati, per la Germania e i paesi protestanti riprende l'immagine dell'Europa di Pufendorf1 che gli permette di allargare i confini della res publica cristiana anche alla Svezia, alla Norvegia, alla Finlandia, alla Polonia e alla Russia. La terza parte dell'opera riguarda il papato di Gregorio in funzione dell'Italia. Dopo la crisi dell'Impero d'Occidente e le invasioni barbariche, anche il potere espresso dagli imperatori d'Oriente attraverso l'esarca di Ravenna era diventato nominale. In realtà i territori interni erano dei Longobardi, mentre le isole e le fasce costiere dei Bizantini. Gregorio, accortamente, fece in modo che queste due forze non solo non lo danneggiassero, ma che, contrapponendosi, gli garantissero maggiore autorità assicurando la preminenza anche politica di Roma. Le pagine riguardanti l'Italia Meridionale ritornano ai temi dell'Istoria civile. La presenza di un numero notevole di vescovati nel Mezzogiorno è ricondotta - secondo la lezione del1'Aulisio - alla presenza di altrettante sinagoghe primitive. Contrappone i costumi dei vescovi di allora, che giudica semplici come quelli dei greci ed armeni dei suoi tempi, al fasto e alle ricchezze che si imposero successivamente. Anche qui vi è un ricordo di quella simpatia verso la Chiesa d'Oriente, creduta più pura nei costumi, o perché sotto il controllo dell'imperatore, o perché povera e costretta a sopravvivere in paesi ostili, che deriva dalla lettura di Mare' Antonio De Dominis, 2 oltre che dalla tradizione gallicana. La corruzione dei vescovi occidentali fu proprio dovuta alle ricchezze, che li spinsero sempre più sulle vie del mondo. Per questa ragione arrivarono all'immoralità pubblica e all'utilizzazione personale delle rendite, di cui erano solo amministratori in nome dei poveri secondo l'antica disciplina. La polemica si rinsalda con quanto aveva affermato nel1' Istoria civile e con le sue letture, dal Du Pin a Zeger Bernard van Espen. Infatti il capitolo XVIII, sul tribunale della monarchia di Sicilia, è una piena riconferma delle tesi giurisdizionalistiche. L'opera si conclude su due temi in cui i richiami al Du Pin sono inevitabili: la disciplina della Chiesa d'Occidente e la carenza di una vera storia ecclesiastica. Il Giannone vuol mostrare come la disciplina ecclesiastica appartenga al costume, cioè sia una realtà storica che si modifica nel tempo. Con Gregorio Magno si era raggiunta la superiorità e la piena affermazione del soglio romano sugli S.

Introductio ad historiam europaeam latine reddita a I. F. Cramero, Ultraiecti 1693. 2. M. A. DE DoMINIS, De republica ecclesiastica libri X, Londini-Francofurti 1617-1658, in tre volumi. Sul rapporto Giannone-De Dominis cfr. G. RICUPERATI, L'esperienza citJile e religiosa ecc., cit., soprattutto pp. 491-2. 1.

PuFENDORF,

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altri vescovi; era significativo di ciò il nuovo titolo di cardinale, dato ai legati e ai nunzi cli Roma. Si impediva però che i monaci prendessero tutti gli ordini, lasciandoli alla preghiera, allo studio e al lavoro. La Chiesa di Roma, pur non avendo un suo territorio, era già in possesso di un cospicuo numero di beni, che servivano per le spese, assai più modeste di quelle che si fecero in seguito, quando il papato cominciò a gareggiare con le corti mondane. Era il patrimonio di S. Pietro, amministrato con molta oculatezza da Gregorio. Ma proprio allora si cominciarono a raccogliere (soprattutto dalla pietà dei principi) donazioni per Roma. Il Giannone conclude affermando che per quanto riguarda la disciplina ecclesiastica non ci si può basare né sui Padri, né sugli autori della scolastica, ma sui documenti, che devono essere analizzati con senso storico e collocati nel loro tempo criticamente: di qui l'esigenza di una nuova storia ecclesiastica. In realtà il discorso tende a porre in crisi il significato stesso di storia ecclesiastica nel senso che riafferma l'esigenza baconiana di una storia delle religioni,1 pur usando ancora il termine tradizionale. E qui naturalmente si deve tener conto di tutta l'esperienza giannoniana se non si vuol correre il rischio di trovare addirittura sproporzionata quest'appendice, giustificata solo esteriormente rispetto al tema di Gregorio Magno. In quest'ultima parte confluiscono le vicende intellettuali di tutta una vita: diventa incomprensibile se appunto non si tien conto che chi l'ha scritta, dopo l'Istoria civile aveva affrontato un grandioso tentativo di storia dell'umanità, dal mondo ebraico-gentile a quello cristiano, assorbendo, come si è detto, non solo la cultura della crisi della coscienza europea, ma alcune radicali intuizioni del deismo. Il Triregno sarebbe in un certo senso impensabile senza il rapporto con Spinoza e Toland, perché mancherebbero due punti di riferimento costanti, ma sarebbe anche impensabile senza la conoscenza di tutta la cultura erudita cattolica e soprattutto protestante che, nella crisi, rinnova la storiografia religiosa. E inoltre, dietro il Triregno, c'era un mondo inespresso di cui queste pagine sono una prova sottile: il mondo delle curiosità orientali, del libertinismo che si incuriosisce per i costumi degli altri paesi, soprattutto quelli fuori della tradizione cristiana, e ne spia avidamente analogie e diversità, nelle relazioni dei missionari, nelle cronache dei viaggiatori, nelle collezioni di splendidi disegni che tanto il principe Eugenio che il barone di Hohendorf amavano raccogliere per le loro biblioteche. Questo mondo che ci parla di una Vienna protesa verso l'OI. Cfr. F. BACON, De dignitate et augmentis scientiarom libri IX, in Opera, I, Londini 1623. La prima edizione, in inglese, usci a Londra nel 1605.

59

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riente, legittimamente curiosa della civiltà turca, e, oltre questa, di tutte le civiltà orientali, in cui le intuizioni del deismo si inserivano con un'evidenza ancor più profonda (erano gli stessi uomini che avevano viaggiato per l'Oriente, che avevano combattuto i Turchi, che come Alexander Bonneval 1 o l'Hohendorf2 ne avevano assimilato anche i costwni, ad aver rapporto con la letteratura deistica, magari con una coloritura conservatrice e con la saggezza aristocratica dei vecchi libertini), era stato evidentemente respirato dal Giannone. Se ne trova un'eco in queste pagine che non solo confermano il Triregno, ma pongono, almeno sul piano dell'esigenza, un discorso ben più avanzato. La storia ecclesiastica viene ormai concepita come una storia che abbracci - per le intime e profonde correlazioni - tutte le religioni: gentile, giudaica, cristiana e maomettana. Con forza il Giannone riafferma il legame fra la religione gentile e quella cristiana secondo il comparatismo deistico. Le eresie stesse sono il frutto del drammatico sopravvivere nel cristianesimo del paganesimo: anche questo lo aveva detto per primo Spinoza e lo aveva confermato il Toland. Inoltre il mondo non finisce con l'Europa: gran parte dell'Asia è ancora gentile, come testimonia tutta la letteratura sui riti cinesi. 3 La religione naturale (in cui Dio coincide con la natura) è ancora la più diffusa in Cina, India e Giappone. Dato che l'Africa è più gentile che maomettana o cristiana, la religione pagana è in realtà la più grande delle religioni. Partendo da quella cultura che si era nutrita di motivi assai diversi - risalenti tutti però al cambiamento delle dimensioni del mondo e all'interesse per i confronti -, il Giannone mostra di aver ereditato, come si è già detto, l'esotismo presente negli ambienti libertini della corte di Vienna. La scoperta di una religiosità diversa dalla propria non nutre solo il relativismo scettico, che pure contribuì potentemente al superamento degli atteggiamenti tradizionali; in una fase più avanzata ha determinato il passaggio ad una consapevolezza storiografica del fenomeno: dalla storia ecclesiastica a quella delle relig1on1. Venendo a trattare della religione giudaica, il Giannone ritorna ai temi del Triregno, riassumendoli, confermando il carattere puramente terreno e mondano dell'ebraismo del primo Tempio e sottolineando con più forza il legame tra l'idea dell'immortalità raccolta Sul Bonneval cfr. H. BENEDIKT, Der Pascha-Graf Alexander von Bonneval I675-r747, Graz-Koln 1959. 2.. SuWHohendorf cfr. G. R1cuPERATI, L'esperienza civile e religiosa ecc., cit., pp. 394-43 I. J. Sui riti cinesi cfr. F. BoNTJNCK, La lutte autour de la liturgie chinoise aux XVII et XV/Ile siècles, Louvain-Paris 1962. I.

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fra gli Egizi (come aveva sostenuto il Toland) e la corruzione dell'ebraismo. Inoltre coglie in esso (anche se corrotto dalla gentilità) una tolleranza delle opinioni diverse che venne a mancare nel cristianesimo a causa della rigida istituzionalizzazione. Ponendo le origini della storiografia moderna nel metodo umanistico e critico erasmiano, coglie altresì il valore della rottura protestante. All'interno del mondo cattolico la sua simpatia va ai gallicani, da Claude Fleury, a Sébastien Le Nain de Tillemont, a Noel Alexandre. Ma rileva acutamente i difetti di questa scuola: la sopravvalutazione della tradizione gallicana, il disinteresse verso le altre religioni, verso la Chiesa orientale soprattutto, la volontà di isolare la religione come momento fondamentale, senza saperla porre in relazione con le dimensioni storiche e politiche dell'ambiente. Lo stesso limite è colto nella storiografia anglicana, mentre la Germania protestante ha almeno il merito di aver preparato il sottofondo erudito per una storia ecclesiastica e civile. Nei motivi conclusivi di questo ultimo capitolo, qui riprodotto, vi è un appassionato invito a studiare la storia del cristianesimo non solo in una dimensione erudita e docwnentaria, come aveva fatto la scuola maurina, ma soprattutto comparatistica. Sulla religione maomettana possono valere le osservazioni fatte precedentemente: il collegamento stabilito con il mondo libertino di Vienna e il discorso del Toland sul vangelo di Barnaba (Nazarenus), legame fra mondo ebraico e mondo maomettano. Il Giannone è certo molto più cauto del Toland e senza dubbio più teso a non cadere nel puro paradosso. Ma tolandiano mi pare soprattutto il modo di sottolineare fortemente il motivo ebraico nel maomettanesimo; per esempio il Giannone afferma, con Toland, che i maomettani, spinti dal monaco Sergio, mentre non perseguitavano gli Ebrei, accusavano i cristiani di aver corrotto con il culto delle immagini e un nuovo gentilesimo la morale mosaica. Naturalmente le fonti del Giannone non sono solo il Toland o i missionari, ma anche le grandi opere della cultura seicentesca sul mondo mussulmano, dal Rycaut al Reeland. 1 Le conclusioni riguardano la propria esperienza intellettuale ed esaltano lo storico che compie il dovere di raccontare la verità: i modelli sono ancora una volta Livio, Plinio e Jacques-Auguste de Thou. 2 Sono significativi perché dietro due di essi ritroviamo il P. RYCAUT, The Present State of the Ottoman Empire, London 1668. Ma il Giannone lesse certamente la traduzione francese a cura di M. Briot pubblicata a Parigi nel 1670; A. RELANDI, De religione mohammedica libri duo, Ultraiecti 1705. 2. Cfr. G. RICUPERATI, op. cit., pp. 154-5; 162-3 1.

e

passim.

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Toland: il riferimento a Livio significa infatti un atteggiamento intellettuale e politico nei confronti del sovrano ben diverso da quello che si è soliti attribuire al Giannone. Dietro Plinio - come già in Toland - c'è il fascino di una visione terrena e concreta dell'esistenza, una morale naturalistica che si richiama allo stoicismo. Le Historiae sui temporis del de Thou sono lo strumento che ha accompagnato il Giannone in tutte le esperienze. Modello nell'Istoria civile, come opera di uno storico giurista della nobiltà di toga francese, acquistano soprattutto ora un significato pregnante: è un'opera che ha avuto il coraggio di denunciare le crudeltà commesse in nome della religione e di battersi per la pace, per il superamento dei conflitti, resi inutili dalla cultura e da una prospettiva più aperta. C'è un quarto modello: il Giannone stesso, confermato con ostinazione, esaltato nonostante la contingente prigionia, offerto al futuro per un giudizio. 1 La coscienza di aver contribuito a questo discorso storiografico e non solo con l'Istoria, ma soprattutto con il Triregno, è chiarissima e anzi drammaticamente delineata dalla stanchezza presente, dalla coscienza offesa, dal senso della morte che la vecchiaia e la prigionia gli . . 1sp1rano. GIUSEPPE RICUPERATI

Cfr. La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande, cit., pp. 470-1 (qui, pp. 985-6). 1.

ISTORIA DEL PONTIFICATO DI GREGORIO MAGNO LIBRO IV CAP. ULTIMO

Che ancor oggi fra le cose desiderate debba riporsi. un'esatta, generale e compita istoria ecclesiastica.

Parrà senza dubbio cosa strana, doppo essersi travagliato cotanto da più scrittori moderni, spezialmente da' Francesi, sopra l'istoria ecclesiastica, che io osi di dire che ce ne manchi ancora un'esatta, generale e compita; ma chiunque vorrà prendersi la pena di attentamente riguardare le più alte ed intime ragioni, cesserà di maravigliarsi, e confesserà di essermi apposto al vero. L'istoria ecclesiastica non ha sì brevi confini, dentro i quali questi scrittori han voluto ristringerla. Ella ne ha più ampi e distesi e se in tesserla non si terrà conto di tutte le quattro principali religioni onde il mondo è ricoperto, cioè della gentile, giudaica, cristiana e maomettana, non potrà certamente aversene una compita e perfetta; poiché l'una ha avuto ed ha molta correlazione e rapporto coll'altre; né si possono ben conoscere i vari stati e le varie vicende, che sopra la superficie della terra han sortite, se di tutte non si tenga ragione. Alcuni han conosciuto in parte questa verità, onde han dato principio alle loro istorie cominciando dalla religione giudaica, riputata madre della cristiana; ed il P. Natal d' Alessandro, 1 prima di trattar di questa, premette ben due grossi volumi Quest9opera fu pubblicata nelle Opere inedite di P. Giannone, a cura di P. S. Mancini, Torino 1852 (ma 1859), 11, con il titolo arbitrario La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio il Grande. Sui criteri editoriali del Mancini cfr. NICOLINI, Scritti, pp. 45 sgg. Per le pagine offerte in questa raccolta, data l'impossibilità di utilizzare l'edizione citata, per i continui e pesanti interventi del Mancini, ci siamo serviti esclusivamente dell'autografo conservato nell'Archivio di Stato di Torino, manoscritti Gian none, mazzo v, ins. 1, con il titolo (c. 5) Istoria del pontificato di Gregorio Magno disteso sopra le tre parti del mondo allora conosciuto: tratta delle sue epistole esposte secondo il lor ver senso e n'dotte in miglior ordine e disposizione. A c. 165 la data finale: • 12 settembre 1742 ». Cfr., oltre al Nicolini, cit., G. RICUPERATI, Le carte torinesi di Pietro Giannone, Torino 1963, p. 66; Giannoniana, p. 456. Per un'analisi di quest'opera, nel contesto dell'intero discorso giannoniano, cfr. G. RICUPERATI, L'esperienza civile e religiosa ecc., cit., soprattutto le pp. 581-91. 1.

Natal d'Alessandro: vedi la nota

I

a p.

104.

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ISTORIA DEL PONTIFICATO DI GREGORIO MAGNO

per darci contezza dell'istoria della chiesa giudaica, ben comprendendo che l'una avendo molto rapporto coll'altra, non possono andar disgiunte e separate. Conobbe pure che lo stesso avrebbe dovuto farsi della maomettana; ma egli nel VII secolo se ne disbriga in poche pagine, come se fosse fuori del suo istituto, vedendo che gli altri scrittori o non ne parlano, ovvero appena l'accennano nelle loro istorie, quando non avrebbe dovuto essere trascurata. Ma della gentile non si fa da tutti motto alcuno, come se non si appartenesse affatto ad una compita istoria ecclesiastica, nel che sono andati di gran lungo errati. 1 Un'intera, perfetta e compita istoria ecclesiastica dee abbracciare tutte quattro, poiché chi dice istoria ecclesiastica, dice istoria di tutti i collegi ed assemblee di uomini insieme uniti per causa di religione. E se bene presso i Greci e' Romani la voce ecclesia avesse un più ampio significato, e comprendesse anche tutte le altre as1. Pa"à senza dubbio ... errati: questa premessa è particolarmente significativa in quanto mostra la profonda insoddisfazione del Giannone per la storiografia ecclesiastica come era stata realizzata soprattutto in Francia, da parte degli storici gallicani, come Fleury, Tillemont e Alexandre; una insoddisfazione che naturalmente, più che un significato di critica verso un'esperienza a cui pur il Giannone aveva fatto riferimento, vuole avere un significato positivo, indicando cioè nuove prospettive. Dietro queste pagine c'è, ancor viva, l'eco di una spinta ricevuta fin dalla giovinezza, dal De augmentis scientiarum di Bacone, in cui si esprime per la prima volta l'esigenza del superamento della storia ecclesiastica per giungere alla storia delle religioni. Ma questa eco era passata attraverso l'Istoria civile (in cui ristoria ecclesiastica era stata utilizzata per capire la storia in senso lato, e la Chiesa vista come una istituzione storica, spogliata di ogni diritto divino), attraverso il Triregno, in cui, nonostante il permanere di uno schema teologico, la storia sacra aveva fatto sempre i conti con la storia profana, diventata strumento di demitizzazione e di dissacrazione; attraverso l'incontro con il deismo e le sue esigenze non solo demistificatrici, ma soprattutto comparatistiche. È quanto il Giannone conserva del proprio passato: la volontà di analizzare il fenomeno religioso senza isolarlo né dal contesto di civiltà che in un certo senso lo giustifica, né dalle altre esperienze religiose. Ma se, forzatamente, egli tende a far passare questo suo interesse come una migliore chiarificazione per il cristianesimo stesso, in realtà la religione gentile, quella ebrea, quella maomettana, lo interessano per se stesse, come è possibile notare anche nell'economia delle pagine che seguiranno. Per intendere questa discussione storiografica, è necessario quindi tener presente che il Giannone è passato attraverso tutte quelle esperienze, dal libertinismo pirronista allo spinozismo, al deismo, che, faticosamente, han permesso il superamento di una concezione della storiografia ecclesiastica per giungere allo studio delle religioni e al metodo comparatistico. Su questi problemi cfr. K. VoLKER, Die Kircliengeschichtsschreibung der Aufkliirung, Ttibingen 1921, e W. NIGG, Die Kirchengeschichtsschreibung. Grundziige ilirer historischen Entwicklung, Milnchen 1934.

LIBRO IV • CAP. ULTIMO

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semblee d'uomini legitimamente ragunati per causa di politia civile pel pubblico bene delle città, sicome S. Luca negli Atti, cap. 19, v. 39, chiamò ecclesia la legittima e pubblica radunanza di Efeso: •).

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culto, per avergli placati ed affinché non gli nocessero. Tanti numi non furon prodotti se non per proprio istinto e dalla debolezza e fragilità dell'umana condizione, la quale sperimentando nel corso di questa vita tante sciagure, le divide in tante porzioni, e ne forma tante deità perché sian preste a soccorrergli. Un altro non men redundante ed ubertoso fonte gli produsse, poiché gli trasse da gli uomini stessi. Nell'antichissimo regno d'Egitto, il costume di condire1 e conservare i cadaveri de' loro morti, esporgli al cospetto delle famiglie nelle proprie case, e fino di mettergli a tavola ne' loro conviti, fece che a lungo andare il vedersi avanti gli occhi i corpi imbalsamati de' loro defonti che aveano amati ed onorati in vita, e conservandone la memoria anche con statue e dipinture rappresentandogli come se fossero vivi, si eccitò a far verso di essi atti di venerazione, la qual pian piano crescendo, sicome suole avvenire in tutte le cose, la venerazione si tramutò in adorazio1ie, onde sursero altri dii e dee. In cotal guisa ciò che i figliuoli fecero a' loro padri, ricevettero essi da' figliuoli, e se ne multiplicò il numero; sicome saggiamente fu espresso nel libro della Sapienza, cap. 14, 15, ove leggiamo queste parole: « Acerbo enim luctu dolens pater, cito rapti filii fecit imaginem, et illum qui tunc quasi homo mortuus fuerat, nunc tanquam deum colere coepit, et constituit inter servos suos sacra et sacrificia ». Derivarono anche da gli uomini per un altro verso. I primi conquistatori, i primi inventori delle arti e delle scienze si meritarono doppo la lor morte onori divini, e di esser numerati fra' dii celesti. Chiunque porrà mente alla primiera vita degli uomini tutta selvaggia ed incolta, troverà che viveano sparsi sopra la superficie della terra in separate famiglie; non ridotti in una società civile, ma ciascun padre di famiglia era il re e signore della sua casa, secondo che apprendiamo dalle antichissime memorie che ancor ci restano, a noi tramandate da, vetusti scrittori, da Omero, da Erodoto, da Diodoro Siciliano che le raccolse ne, suoi primi cinque libri della Biblioteca istorica, e sopra tutti dal libro di Gi'ob e dalla Genesi di Mosè :2 libri i più vetusti di quanti la più remota antichità ha co,idire: seppellire, imbalsamare (latinismo). 2. Chiunque •.. .Nlosè: cfr. D. AuLISIO, Delle scuole sacre libri due postumi, Napoli 1723, due tomi in un volume, I, cap. XXVI, De 1 poeti idumei, pp. 143 sgg., soprattutto p. 148, in cui si afferma che il libro di Giobbe è, almeno per una parte, il più t.

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potuto somministrarci. Ma quando dapoi, surti uomini di valore, di estraordinaria forza e coraggio, cominciarono a farsi capi di numerose truppe e scorrer la terra, di predare e fare conquiste di ampi paesi, allora si vide il mondo prender altra faccia. Quindi sursero i regni e le grandi monarchie, quindi l'antichissimo regno di Egitto, i regni di Argo e di Sicione; quindi il vasto imperio degli Assiri, a' quali succedetter poi i Medi, i Persi, i Greci sotto Alessandro M., e finalmente i Romani. Tutti questi primi insigni conquistatori presso più nazioni furono ascritti nel numero de' dii celesti, ergendogli tempii ed altari e prestandogli religioso culto. Quindi nella Grecia si vide sorgere quell'innumerabile schiera di dii e di dee maggiori e minori, che non furono se non dal fango e dalla vii terra nati. Così nella Grecia, la quale empì il mondo di tante deità, doppo le conquiste di Acmone, Uranio suo figliuolo che gli successe, per render più rispettabile la memoria di suo padre, gli fece prestar da' popoli onori divini, onorandolo con sacrifici ed ascrivendolo tra il numero de' dii. Lo stesso fu dapoi a lui renduto dal suo figliuolo Saturno. E, sicome suole avvenire, sempre più il fascino e Padulazione avanzandosi, si vide n1ultiplicare il di lor numero; poiché Uranio e Saturno avendo per mogli, sicom'era il costume di que' primi tempi, le proprie sorelle, ambi chiamate Vesta, i figliuoli che ne nacquero, da ambo i lati procedendo da stirpe divina, furon ancor essi riposti fra il numero de' dii. Quindi sursero i dii maggiori e più potenti, Giove, Plutone, Nettuno, Giunone, figli di Saturno: ma niuno ne fu più fecondo quanto che Giove, il quale non pur da Giunone, sua moglie insieme e sorella, ma da tante altre sue concubine o amorose ne accrebbe il numero. Di Giunone trasse Marte ed Dicano: di Latona, Apollo e Diana: poiché Minerva, essendo di madre incerta, la favola finse esser surta dal capo di Giove. Di Maia Mercurio, e di Diana trasse Venere; e questa ch'ebbe più mariti ed amanti multiplicò il numero e ci diede altri dii, Imeneo, Priapo, Cupido, che procreò da Mercurio, ed un altro Cupido natogli da Marte; e la favola vi aggiunge anch'Enea, procreato da Anchise. Di Apollo venne Esculapio, e cosi di tanti altri dii e dee. Né meno numerosa fu la progenie degl'eroi o semidei, che non furono che uomini: Ercole, Teantico documento storico, basando tutta la dimostrazione (che il Giannone riprenderà nell'Ape ingegnosa) sulla presenza del più antico nome di Saddai invece del più recente Jahvè.

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seo, Castore e Polluce, Giasone, Orfeo, Cadmo e tanti altri, a' quali prestaron pure divini onori. A' primi inventori delle cose, delle arti e delle scienze attribuirono gli stessi onori. A Bacco non pur come figlio di Giove e gran conquistatore, ma eziandio perché a lui s'ascrisse l'invenzione del vino; sicome a Cerere la cultura del frumento e delle biade ed a Mercurio le lettere. Così pure a Titone ed a Belo per l'astronomia. Ad Enetone figlio di Ulcano per l'invenzione de' carri. A Prometeo delle statue. A Pane inventar del flauto. Ad Aristeo dell'oglio e del coagulo. A Triptolemo del aratro. Ad Atlante per l'astrologia. A Danao inventar delle navi. A' Cureti per le danze; e chi potrebbe annoverargli tutti? A tutti questi, come quelli che aveano sollevato il genere umano da una vita ferale e selvaggia ad un'altra più civile e culta; dalle ghiande e dall'acqua al pane ed al vino ed a più saporose vivande, dalle spelonche ad abitazioni manufatte e ad altri agi e commodi, prestaron pure religioso culto, ergendogli tempii ed altari, istituendogli propri sacrifici, giochi e feste proprie, vittime, sacerdoti e sacerdotesse, poiché ve n'erano dell'uno e l'altro sesso, e tanti altri riti e varie religiose cerimonie. E poiché una tal religione non era guidata se non dal proprio umano istinto, dalle nostre passioni ed affezioni, dalle nostre illusioni, timori e speranze e vane fantasie, quindi ne vennero i tanti vari, ridicoli e sconci riti e sacrifici: ed avesse piaciuto al cielo che le cose si fosser fermate qui; ma poiché non vi è chi possa maggiormente spingere gli animi umani alle maggiori crudeltà e scelleraggini, quanto una prava religione, quindi si videro in alcune nazioni efferate e barbare riti a sé conformi; obbligare i sacerdoti di Cibele a castrarsi; ad esser seppellite vive le vergini della dea Vesta perché o non serbarono castità, ovvero per lor negligenza essersi estinto il foco alla lor custodia raccommandato per uso de' sacrifici: ed in fine a render vittime infelici gli uomini stessi, ed i padri incrudelire contro i propri figliuoli, scannandogli avanti i loro altari. Ora come chi tesse una generai istoria ecclesiastica potrà omettere tutte queste cose, se al confronto della religione giudaica e cristiana riescono di pruove evidenti ed irrefragabili della loro ven"tà, ed all'incontro mettono in più chiara luce la fa/s,:tà della gentile? La religione giudaica e cristiana rimove tutti questi falsi principi e c'insegna che la vera religione non dee aver altro principio e fondamento che la d,:vina revelazione. E la ragione apparirà

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manifestissima a chi vorrà riguardare la miseria e debolezza della umana condizione; poiché se a noi sono ignote fino le cose più vicine, che ci circondano, delle quali dovremmo saperne la sustanza, e non arriviamo a concepirne se non i modi, l'apparenze e sol quanto a' nostri sensi esterni si offerisce, come possiamo penetrare nella sommità de' cieli, e sapere la natura divina, e come gli piaccia esser adorata, ed in qual maniera prestarsegli religioso culto, se non per alta e divina sua revelazione? Per questa ragione la nazione ebrea, ancorché ristretta in un picciol angolo del mondo, ebbe sopra tutte le altre genti quella giusta, savia e vera idea della divinità, perché revelata. Essere un solo l'eterno nume, infinito, onnipotente, sapiente; tutta mente, tutto spirito, tutto senso. Creatore e moderatore di quanto di visibile ed invisibile è nell'ampio universo. Fabro della natura, alla quale diede legge, moto e figura; e che sicome la formò, così possa a sua voglia cangiarla, mutarla, e dargli altro corso e disposizione. Al cui volere ubbidiscono i venti, il mare, il cielo e la terra; si restano dal lor corso i pianeti ed i fiumi. Vanno i monti e si appianano, e s'innalzano le valli. Non confusero gli Ebrei Dio colla natura; né Mosè fu panteista, 1 sicome attorto interpretarono la sua dottrina Diodoro Siciliano e Strabone, i quali non ebber notizia de' suoi libri, dove avrebber letto por egli tanta differenza tra Dio e la natura, quanta è fra creatore e creatura, fra li quali non può immaginarsi maggiore e più infinita distanza. Per divina revelazione gli Ebrei appresero la maniera come debbia esser adorato, e come rendersegli i sacrifici, le vittime e gli olocausti: non già inventati di lor capriccio, secondando gli umani istinti, le nostre passioni ed affetti, e le nostre illusioni e fantasie; e quindi i loro riti e religiose cerimonie erano pure, semplici ed né Mosè fu panteista: ritorna ancora una volta, in un tentativo estremo, la volontà di polemizzare contro l'espressione usata dal Toland nelle Origines iudaicae a proposito di Mosè panteista: il Giannone si affianca in questo alla polemica del Deyling (cfr. la nota 2 a p. 602). Ma il significato di questa polemica forzatamente limitativa si attenua pensando che molte delle osservazioni precedenti sulle origini dei culti e soprattutto sulle superstizioni in generale valevano anche per l'ebraismo. L'espressione più sopra cc i padri incrudelire contro i propri figliuoli, scannandogli avanti i loro altari D può riferirsi ugualmente all'episodio di Ifigenia o di Merope, come a Isacco o alla figlia di Iefte. In realtà, come, nonostante tutto, il Giannone conferma anche nelle opere del carcere, l'ebraismo è una religione naturale e terrena. 1.

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innocenti, ed i loro sacrifici non contaminati di uman sangue. E discendendo alla religion cristiana, far comprendere che in essa non pur lo stesso avenne, ma ad una revelazione assai più sicura e manifesta esser appoggiata; poiché nel Vecchio Testamento lddio parlò a gli Ebrei per mezzo de' profeti, ma nel Nuovo per se stesso, mandando in terra l'unico suo figliuolo, vero Dio, ad assumer carne umana per rivelarla a gli uomini e di esser mediatore fra il cielo e la terra. Conobbero anche i più saggi gentili questa verità, che la religion pura dee dipender da divina revelazione; e perciò i più grandi e sapienti fondatori di repubbliche e di regni si studiarono far credere a' popoli che quelle leggi che stabilivano intorno alla lor religione erano state ad essi revelate da' sommi dii. Così secondo rapportan Diodoro Siciliano e Strabone, fecer Mneve presso gli Egizi e Licurgo presso i Lacedemoni, 1 il quale, sicome rapporta Giustino nel 3. lib., finse che l'avesse apprese da Apollo.2 Parimente Minos ogni nove anni una volta si ritirava in certa spelonca; ed ivi fermandosi qualche tempo, ne usciva poi, e faceva credere al popolo di Creta che avea trattato con Giove, dal quale avea ricevuto le leggi da doversi osservare in quel regno. «Minos Cretensium rex» scrive Valerio Massimo, lib. I, cap. 3 cc nono quoque anno in quod[ d]am praealtum, et vetusta religione consecratum specus secedere solebat, et in eo commoratus, tanquam a love, quo se ortum ferebat, traditas sibi leges praerogabat ».3 Solone presso gli Ateniesi, Zaleuco, Zamolci ed altri capi e direttori di popoli incolti e rozzi lo stesso fecero: e Livio rapporta che il medesimo facesse Numa Pompilio co' Romani, dando a sentire alla credula multitudine ch'egli avea notturni colloqui colla dea Egeria, dalla quale apprendeva gl'instituti, i riti e le leggi, le quali a' dii piacessero, e fosser loro grate ed accette.• Ma questi medesimi scrittori, e spezialmente Livio, ci rendono testimonianza che dalla gente savia ed accorta fu ben compreso che ciò fosse un tratto di lor fina politica, non essendo cosa più efficace di contenere in disciplina la multitudine imperita che la forza della religione; ed affinché le loro leggi avute per divine 1. Così secondo ... Lacedemoni: ritornano i temi del Triregno (cfr. la nota I a p. 882), ma questi si completano significativamente con i temi dei Discorsi scritti in carcere. 2. il quale . .. Apollo: Giustino, Epit., 111, 1u, 10. 3. •Minos Cretensium ... praerogabat»: Fact. et dict. mem., 1, n (e non 111), ext. 1. 4. e Livio . .. accette: cfr. I, 19, 5.

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fossero da' popoli con riverenza ricevute e con prontezza ubbidite. Ciocché non poteva dirsi dell'ebraica, e molto meno della cristiana, la quale non riguarda la felicità ed il riposo di questo mondo, ma un fine assai più alto e più sublime. A tutto ciò si aggiunga che la mitiologia gentile è necessaria per ben capire i libri dell'Antico Testamento, poiche' essendo gli Ebrei circondati da nazioni idolatre colle quali ebber sempre contese ed aspre guerre, ed o vincenti, o perdenti, furon pure contaminati di gentilesimo, adorando i lor numi. Or se è così, come senz'averne cognizione potranno intendersi i dii nominati in que' libri, cioè il dio Apis degli Egizi, rappresentato in un vitello d'oro; gli altri dii degli Assiri e de' Babilonesi, di cui il maggiore fu reputato Belo che credesi esser lo stesso che Nembrot, al quale eressero in Babilonia quel magnifico tempio, i cui vestigi ancor oggi si mostrano a' viandanti per cosa maravigliosa e stupenda? Terafi ed Astarte dea de' Sidoni, Remnon dio de' Damasceni, il dio Moloch, adorato dagli Accaroniti, al quale sacrificavano i loro propri infanti; ed alla quale inumanità furono anche spinti gli Israeliti? Belphegor dio de' Moabiti. Astaroth e Dagon dii de' Filistini. Chamo dio degli Amorceni. Melchon dio degli Ammoniti. Adone che il P. Arduino vuole che fosse la dea Diana. 1 Il dio Priapo figlio di Venere e guardiano degli orti, memorato pure in questi libri? sicome qualche volta nominati dalla Scrittura la milizia del Cielo, e di tanti altri? E nel Testamento Nuovo negli Atti di S. Luca il famoso tempio in Efeso2 della dea Diana, dell'altro in Atene dedicato « Ignoto deo », di Castore e Polluce e di altri nominati da S. Luca e da S. Paolo nelle sue epistole? Di tutti questi non se non trattando della religione gentile potea aversene notizia. 3 Adone . .. Diana: cfr. Plinio, Nat. hist., lib. XIX, cap. IV, sect. XIX, la nota I a pp. 161-2 del tomo Il della citata edizione del 1723. 2. il famoso tempio in Efeso: cfr. Act., 19, 24-35. 3. Non si deve dimenticare che il Giannone ha una profonda conoscenza non solo del Bochart e dell'Huet (cfr. la nota I a p. 599), come dimostrava a suo tempo la recensione all'inedita Philosophia adamita-noetica di Antonio Costantino, ma che ormai aveva preso le distanze da questo tipo di letteratura, che, nata in una dimensione puramente erudita, come nel caso del Bochart, o addirittura a scopo apologetico, in Huet, aveva contribuito a porre in discussione quella tradizione contro cui la punta più estrema era stata l'opera di Spinoza. Di tutto quell'avventuroso deduttivismo, il Giannone vuole salvare l'elemento storicamente valido: l'utilizzazione della conoscenza dei culti, che si intersecano 1.

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In secondo luogo per un'altra ragion potissima non dovea omettersi nell'istoria ecclesiastica la religione gentile, poiché questa ebbe pure miracoli e profezie. Vantava miracoli stupendi de' quali sono piene le loro istorie, spezialmente quelle di Livio, e presso i Greci si arrivò fino a far risuscitare i morti, de' quali fu da noi lungamente trattato nella I parte de' Discorsi. sopra Livio, disc. 5.1 Vantava profezie, oracoli, Pizie, indovini, de' quali ampiamente fu da noi ragionato nel discorso 3.2 Tutti questi miracoli e profezie bisogna mettergli al confronto di que' che debitamente vantano la religione giudaica e cristiana, per maggiormente convincergli per favolosi, per fantastici ed illusioni, e le profezie per artifizi, inganni e furbarie de' loro indovini; e per dimostrargli tali non contentarsi di quanto i Padri antichi ne han scritto per confutargli, fra gli altri Lattanzio Firmiano nelle sue Istituzioni divine, e S. Agostino ne' libri della Città di Dio; poiché questi troppo potere danno a' demòni, e quasi tutti gli rapportano a virtù diabolica, a' prestigi e magiche operazioni le quali per se stesse niente hanno di efficacia e sono tutte vane illusioni e visioni fantastiche, né i demòni per se stessi, come cose create e poi ridotte nella più vile ed infima condizione, possono cos'alcuna e molto meno presaggire il futuro. Le armi più forti le somministrano gli stessi savi scrittori gentili, i quali o assolutamente negano i fatti, ovvero gli qualificano per illusioni ed inganni dell'imperita e credula multitudine, sicome Livio in fra gli altri; e fa maraviglia come Lattanzio e S. Agostino in molti non negano, anzi consentano ne' fatti, quando questo savio ed accurato scrittore gli niega, o gli deride, né in altra guisa tratta i loro oracoli ed indovini, sicome da noi fu avvertito nell'Apologia de' teologi scolasti"ci trattando de' libri di Lattanzio, 3 ed ampiamente dimostrato ne' cit. Discorsi sopra gli Annali di Li"vio.4 I savi, profondi ed accurati istorici e filosofi greci, II.

profondamente ncll,ebraismo e perfino nel cristianesimo, per conoscere meglio la storia delle religioni. 1. de' quali .•. disc. 5: cfr. P. G1ANNONE, Opere i11edite, a cura di P. S. Mancini, Torino 1852 (ma 1859), I, Discorsi storici e politici sopra gli An11ali di Tito Livio, discorso v, De' finti miracoli accaduti presso a' Romani, a' quali prestavasi intiera fede, pp. 77 sgg. 2. nel discorso 3: cfr. qui, pp. 747 sgg. 3. sicome . •• Lattam:io: cfr. Apologia de' teologi scolastici, libro 11, De' libri di Lattanzio Firmiano, in Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giam1011e, mazzo v, ins. 2. 4. Il Giannone contrappone, come aveva già fatto il Toland, la capacità demistificatrice di Livio e di Plinio, nei confronti dei falsi miracoli, alla credulità dei Padri. Questa e la pagina seguente sono una riconferma dei Discorsi e dell'Apolo6o

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i prudenti, avveduti e seri romani scrittori, fra gli altri Varrone, Lucrezio, Cicerone, Livio, Orazio, Plinio il Vecchio e tanti altri, sicome si burlavano del prodigioso numero de' loro dii, così riputarono illusioni, inganni e furbarie i loro miracoli e profezie; ed Erodoto, ancorché s'ingegnasse di accommodarsi al genio de' superstiziosi e creduli Greci, con tutto ciò non poté dissimulare nella sua istoria le furbarie delle Pizie, le quali sovente per danaio vendevano le profezie secondo che i compratori volevano che l'oracolo rispondesse. 1 E sopra questo principale ed importantissimo punto devono gli scrittori dell'istoria ecclesiastica insistere e fermar il piede; poiché la divinità de' nostri sacri libri sopra queste due basi si appoggia: sopra i miracoli e sopra le profezie, facendo conoscere che le sole religioni giudaica e cristiana ebbero veri miracoli e profezie; poiché il cangiar corso alla natura, variarla e produr effetti fuori dell'ordinario suo corso, dove consiste il miracolo, è di Dio solo, e per ciò i profeti e i santi del Nuovo Testamento niente a sé attribuivano, ma tutto riportavano all'onnipotente Iddio, di cui non erano che semplici istromenti; e non era altro il lor pregio se non di aver la sua grazia di essersi ad essi manifestato e per lor mezzo adoperargli. Parimente nelle profezie, poiché di Dio è solo d'aver presente anche il futuro, né di ciò possono vantarsi i demòni, né gli angeli stessi, tutto si ascriveva a divina revelazione; né per propria virtù altamente dichiaravasi che profetassero, ma le loro consuete formole erano: ,, Haec dicit Dominus », edizione da parte del Giannone al marchese d'Onnea è in una lettera del 12 luglio 1739. Vedila in Archivio di Stato di Torino, manoscritti Giannone, mazzo v, ins. 6, B, 1. 3. Cfr. la nota 4 a p. 841. Nel manoscritto della Biblioteca Reale di Torino, Varia 303, da c. So a c. 90 ci sono gli appunti per varie osservazioni ed il materiale è quasi tutto tratto dal Menochio.

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L'APE INGEGNOSA

l'Hardouin gli offrono: il suo interesse, in questa operazione, è rivolto soprattutto a confermare, reinserendole nella nuova e complessa condizione di convertito, le esperienze precedenti. In questo senso l'Ape ingegnosa, proprio per il suo carattere in qualche modo più >; manca invece l'indicazione del destinatario, che, nel F.V.E. 358, era spesso un prestanome di comodo. - 1. Mede/in: Modling (cfr. in Vita, qui a p. 163). 2. il signor . •. lettera: si tratta del nipote della principessa di Tarsia; il Giannone ne patrocinò una causa, di cui resta memoria nella Vita, qui a p. 150. 3. signor Garelli vecchio: Giovan Battista Garelli, medico di Leopoldo I: si veda la nota a p. 96. 4. il figlio .•• lasciò: Pio Niccolò Garelli si era allontanato da Vienna al seguito dell'imperatore, in un viaggio a Karlsbad e a Linz. Cfr. in Vita, qui a p. 256. 5. Ho lettera . •• da S. M.: si tratta, forse, della nomina di Pietro Contegna a presidente della Regia Camera. In suo favore si era mosso Joseph Montesanto, marchese di Villasor, presidente del Consiglio di Spagna: vedi la lettera del Giannone al fratello in data 28 giugno 1732 (B.N.R., F.V.E. 359-360, c. 165v). 6. consaputa ristampa: il Giannone intendeva ristampare la sua Risposta alle Annotazioni critiche sopra il nono libro dell'Istoria civile • •• , s. l. 1732 (e si veda in Opere postume, 1, pp. 25 sgg. della seconda

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sava, cioè di mandargli da qui la correzione ad uno degli essemplari mandatimi, non vedendo altra miglior via, perché lo stampatore sopra la medesima possa corrigere gl'innumerabili errori occorsivi. Ne attendo riscontro, giacché vi sarà questo tempo insino che finiranno di smaltirsi gli essemplari che vi restano. Al carissimo signor Capasso mille e mille saluti, sicome fo al signor Cirillo, di cui forse nell'entrante avrò risposta; e potrà informare a' medesimi d'un fatto curiosissimo accaduto in Modena al signor Bousquet1 col signor Muratori; il quale maggiormente conferma d'essere stata ben opportuna la Risposta consaputa per reprimere la millanteria di quel Trasone, il quale per tutta Italia avea magnificate quelle sue inettissime Critiche, 2 e ci avea già incappato il signor Muratori con quella affettata lode che li dava. Mi scrive in questa settimana il signor Bousquet ritirato già in Ginevra, sollecitandomi la trasmissione del rame,3 essendosi già posto mano alla stampa del primo tomo e trovandosi la carta stagionata, m'assicura che in fine di quest'anno si darà alla luce il primo e secondo tomo, che passando per Modena fu a visitare il signor Muratori, suo antico corrispondente ed amico,4 e discorrendogli di questa nuova edizione in francese, ch'egli procurava che venisse la più esatta e magnifica che si potesse, quegli li rispose che bisognava emendarla di molti errori di cronologia, che v'avea scoverti il padre Sebastiano Paoli della Congregazione de' Cherici Regolari di Lucca, il quale avea stampato un libretto, che girava attorno. Mi scrive per ciò il signor Bousquet tanto pregandomi che li mandassi numerazione), che il fratello aveva incautamente affidato al tipografo Naso: ne era uscita un'edizione piena di errori tipografici e, per di più, in carta di cattiva qualità. 1. Per l\1arc-Michel Bousquet cfr. la nota 4 a p. 212. 2. la millanteria ... Critiche: intendi le Annotazioni critic!ze del padre Sebastiano Paoli (cfr. la nota 3 a p. 210 e la nota 2 a p. 2u); Trasone è il nome del soldato fanfarone e smargiasso dell'Eunuco di Terenzio. 3. sollecitandomi . .. rame: il Bousquet aveva chiesto al Giannonc di fornirgli un ritratto da poter stampare nel frontespizio dell'edizione in francese dell'Istoria civile che il ginevrino stava approntando. Lo storico si affidò allora al noto miniaturista e incisore Jeremias Jakob Sedelmayer (cfr. la nota 4 a p. 83) che richiese in pagamento duecento fiorini: si veda H. BENEDIRT, Das Konigreich Neapel ecc., cit., p. 534. 4. passando .•. amico: il Bousquet si era recato a Modena, raccomandato da Scipione Maffei, soprattutto per tentare di ottenere la commissione della stampa delle A11tiquitates ltalicae Medii Aevi (cfr. la lettera a Lodovico Antonio Muratori, in data 25 maggio 1732, in S. MAFFEI, Epistolario, a cura di C. Garibotto, Milano 1955, pp. 620-1).

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nota di questi errori, perché se io gli stimava tali che meritassero esser corretti, tanto era a tempo di farlo. Li rispondo come si conviene, e coll'occasione del rame gli mando un essemplare di questa Risposta, affinché si rida di queste ciarle e tira avanti a far il fatto suo e non si mova da queste frasche; e credo che il traduttore1 nella Prefazione non tralascierà di far al Paoli qualche carezza, sicome sento che abbiano fatto i compilatori degli «Atti di Lipsia» nel mese di giugno di quest'anno, 2 che non l'ho avuto ancora in mano, ma si manderanno al signor Cirillo insieme con gli «Atti» de' precedenti mesi. Dica ora il nostro signor Ippolito che poteva farsi di manco rispondere a quelle inezie, non sapendo gli andamenti di quel Trasone ? Se stimeranno così il signor Capasso e signor Cirillo, crederei che con semplice sopracarta si potrebbe drizzar a Modena al signor Muratori un piego ben battuto e rifilato di questa Risposta, sicome si fece al signor Manfredi 3 in Bologna. Dico questo, perché il signor cavaliere mi scrive in questa settimana da Praga, aver ricevuto riscontro dal signor Manfredi della Risposta avuta, e che colà si era letta con indicibil soddisfazione, e se n'erano in tutte le conversazioni fatte solennissime risate, perché il buon padre Pauli procurava tenerla occulta, né faceva motto alcuno d'averla ricevuta, forse mandatale dal suo caro Egizio,4 sicome scopriron poi ch'egli sapeva il tutto, e taceva. Sicché sicom'egli procura nascondersi, giusto sarà che si sveli, e molto più col signor Muratori, col quale scorgo che abbian fatta impressione le sue rodomontate. Di ciò che mi scrive della risposta data dal medico Buonocore5 all'agente di Parma potrà informarne il si-

I. il traduttore: lsaac Loys de Bochat (cfr. la nota I a p. 213). 2. sicome sento .•. anno: cfr. •Acta Eruditorum Lipsiensium», giugno 1732 1 Nova litteraria, pp. 292-3. 3. Molto probabilmente si tratta di Eustachio A1anfredi (1674-1739), celebre scienziato e letterato bolognese, fondatore dell'Accademia degli Inquieti (fusasi poi con l'Istituto delle scienze di Luigi Ferdinando Marsili) e corrispondente del Muratori. 4. suo caro Egi:::io: cfr. Memorie storico-critiche degli storici napoletani di Francescantonio Soria, 1, Napoli 1781 1 p. 220: «Stava (cioè Matteo Egizio] per entrare in forte briga col Giannone, il quale suppose ch'egli avesse avuta mano ncll' Annotazioni critiche scritte contro alla sua Storia dal padre Paoli, ma poi la cosa andò buonamente a sopirsi». Ma cfr. anche PANZJNI, p. 67 1 e Gia11noniana, p. 126. 5. L'ischitano Francesco Buonocore, allievo del Cirillo, soggiornò per parecchio tempo in Spagna alla Corte, per poi ritornare in Italia al seguito di Carlo III di Borbone, quale suo medico personale. Nel 1734 diverrà protomedico del regno di Napoli.

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gnor Cirillo, il quale saprà farlo arrossire di queste vane e ridicole politiche spagnole; quando io so che molti essemplari della mia opera sono stati ricercati qui a' ministri spagnoli, li quali l'han mandato a' loro amici, e n'hanno ricevuti eccessivi ringraziamenti. Ma che bisogno vi era di Buonocore, quando mi scriveste che il signor abate Garofalo ve ne avea fatto mandar quattro essemplari in Fiorenza al signor abate Bottari, 1 il quale in ciò ha più credito e perizia di Buonocore, e questo dovea bastargli, e non andar cercando altro. Stupisco come il signor Leognani tardi cotanto di mandar la consaputa rimessa, 2 ed intanto io son tormentato dagli ufficiali della Secretaria del Suggello, che avendo finito il lor travaglio, ora si veggono differita la soddisfazione. Ciò servirà per l'avvenire per mio ammaestramento di non intricarmi con simili persone. Né occorre rinovar nella mia memoria la spedizione del dispaccio per Puisserver, 3 e che si fosse scritto a Milano al signor Alario, perché son cose da far stomaco a chi che sia, che quando altri pagarebbero a peso d'oro simili dispacci per ottenerli, sicome ora nel caso che, ottenuto, non ci sono nemmen denari per pagar i diritti soli della spedizione. Non bisogna intricarsi in queste brighe quando o non si voglia, o non si possa complire a quel che si deve. Rispondo in questa settimana al signor principe di Tarsia, che m'ha favorito d'un grosso piego, e rispondo secondo il disiderio del signor avvocato Capozzuti espresso nel suo viglietto trasmessomi, e credo che il signor principe rimarrà soddisfatto della mia attenzione ed opera, che fin ora ho impiegato per servirlo. Non posso dissimulare che son rimasto sorpreso che il signor principe vuol I. Forse il fiorentino Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775), il principale compilntore della quarta edizione del Vocabolario della Crusca (1729-1738). Professore di storia ecclesiastica a Roma dal 173 x e custode della Biblioteca Vaticana dal 1768, appartenne al circolo rigorista del cardinale Passionei e fu in relazione con gli ambienti giansenisti olandesi. 2. Stupisco .•. rimessa: il cavaliere gerosolimitano Antonio Leognani si era rivolto al Giannone perché questi patrocinasse una sua causa in Vienna. Ottenuto il decreto desiderato, lasciò tuttavia passare lungo tempo prima di versare i diritti di segreteria richiesti per la spedizione. Di ciò si parla a lungo nel1' epistolario giannoniano. 3. la spedizione ..• Puisserver: altra causa a lungo dibattuta, e terminata - come scrive il Giannone nelJa lettera del 5 gennaio 1732 (Giannoniana, n. 0 444) - «in grado di nullità». Su di essa cfr., a pp. 1158-9, la lettera del 24 agosto 1726.

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esser servito in due gravissimi affari, ed in uno che deve imprendersi contro tutto un reggente di Collaterale qual'è il signor reggente Paternò, ed in vece di mandar rimesse manda pieghi, perché gli avvocati cominciano essi a spendere del proprio, oltre a metterci la fatica. Il signor Capozzuti, che cosi bene lo consiglia ne' suoi interessi, come poi si dimentica in quel che più importa, senza aver almanco riguardo alla sua professione istessa. Il nostro signor Contegna non faceva così quando si trattava di servire al signor duca di Maddaloni; e poi si lagnano di passarsi uffici tardi e lenti, ed intanto costà non ci vorrebbero metter altro che un par di lettere, cominciare e finire in raccommandazioni, ringraziamenti, ed altre vane ed inutili parole. Io vedrò doppo questa mia risposta, e d'averlo servito in cosa che non pativa dilazione, che si farà, per potermi regolare nel rimanente, per non esser destinato sempre doppo il fatto a cercar mercede e pagamento. Pure in· questa istessa settimana il signor consigliere Grimaldi mi favorisce d'un altro piego ;1 gli rispondo con questa letterina che l'acchiudo, giacché i miei peccati vogliono così. Mi saluti caramente il signor conte Perlongo, 2 sicome fo a tutti gli altri buoni amici, e lo stesso facendo a' nostri Vestani, resto caramente abbracciandolo. XIX A CARLO GIANNONE • NAPOLI

[Vienna] A' az maggio I734,

Non so come in questa settimana non mi siano giunte vostre lettere, quando ad altri sono capitate colla data de' 4 del corrente mese, nelle quali si ragguagliava l'ultimo stato delle cose di costà, d'essersi anche reso il Castello dell'Uovo, e che fra giorni si attenPure ... piego: Gregorio Grimaldi aveva chiesto raccomandazioni a Vienna; cfr. la lettera del 22 marzo (B.N.R., F.V.E. 359-360, c. 156): a Ricevo con infinita pazienza la lettera del signor Grimaldi, inclusa alla quale trovo un'altra diretta al signor Garelli, per un'altra nuova pretenzione venutagli in testa». E vedi anche la lettera del 10 maggio, in Giannoniana, n. 0 454. 2. Gaetano Perlongo era reggente per la Sicilia nel Consiglio di Spagna. 1.

XIX. A.S.T., manoscritti Giannone, mazzo 11, ins. 16. A. Lettera autografa indirizzata a Matteo Micaglia, il solito prestanome di comodo.

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deva la resa del Castelnuovo, preparandosi intanto l'entrata del principe don Carlo in Napoli con quella magnificenza conveniente ad un tanto personaggio. 1 Alcune lettere, spezialmente di Roma, avvisano un fatto d'arme accaduto tra Monte Milone e Spinazzola non lontano da Gravina; ma se n'attende la conferma per non essere i canali molto legittimi, e di non essersi qui fin ora veduto corriero alcuno; e l'arrivo fatto ieri qui del signor conte di Figueroa nemmeno ha giovato, o perché parti dopo il fatto, o pure sapendolo, non ha stimato palesar il vero, per non far arrossire i Catalani che cotanto in questa occasione esaggeravano le prodezze del loro famoso Caraschetto. Intorno al politico, chi scrive che si fa scrutinio sopra i ministri,a per lasciar quelli riputati i più meritevoli, e cassare gl'immeritevoli, e sopranumerari; altri, che si fosse per ora permesso a tutti ritornare a' tribunali ad essercitar le loro cariche infino ad altro nuovo regolamento. A me premono più queste notizie politiche che le militari, e sopra tutto di sapere i ministri che prevagliano in cotesta nuova Corte. Da Sicilia si ha avviso che quel viceré3 da Palermo siasi ritirato in Messina, per rinserrarsi nella Cittadella in caso di bisogno; e corre voce che siansi da qui spediti gli dispacci al signor conte de Cerbellon per passare colà viceré in luogo di Sastago, che si richiama. 4 Veramente è compassionevole lo stato di quel buon signore che, appena veduti i regni destinati al suo si ragguagliava ..• personaggio: su questi avvenimenti cfr. P. COLLE'ITA, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, I, Napoli 1957, pp. 96 sgg.; H. BENEDIKT, Das Konigreicli Neapel ecc., cit., pp. 457 sgg.; M. ScHIPA, Il reg110 di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Napoli 1904 1 pp. 124 sgg. (seconda edizione, Milano 1923, I, pp. 110 sgg.); F. NICOLINI, Sulla riconqtlista sabaudo-borbo11ica del regno di Napoli, appllnti e documenti inediti, in La spedizione punitiva del Latouclre-Tréville, Firenze 1939, pp. 163 sgg. Il Castello dell'Uovo si arrese il 4 maggio; Castelnuovo due giorni dopo, il 6. Il principe don Carlo fece il suo ingresso trionfale in Napoli il 10 maggio. 2. scrutinio sopra i "1inistri: Carlo di Borbone ordinò un'inchiesta segreta su tutti i magistrati del Regno e, in base ai rapporti pervenutigli, procedé ad una profonda epurazione. Gli atti di questa inchiesta, assai preziosi, sono tuttora conservati presso rArchivio di Stato di Napoli. 3. quel viceré: il conte di Sastago (cfr. la nota 2 a p. 136). 4. corre ..• richiama: il conte Sastago venne sostituito non dal Cerbellon (per cui cfr. la nota I a p. 135), ma dal marchese José Antonio Rubi y De Boxadors (si veda la nota 3 a p. 136). Il conte Cerbellon, che era stato spedito a Napoli per occuparsi degli affari critici del Regno, era per il Giannone « speziatissimo padrone, con cui per molti anni ho passata somma confidenza• (cfr. la lettera a Carlo del 13 marzo 1734, in Giannoniana, n. 0 548). 1.

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governo, è obbligato di scappar via; sicché meglio sarebbe stato per lui di non partir da qui: come ragionevolmente se ne querela la signora contessa sua moglie assai savia e molto letterata, spezialmente intesissima d'istoria, colla quale facciamo spesso doglianze intorno all'infelice situazione delle cose presenti. lddio ne cavi il meglio. Intanto salutatemi gli amici, spezialmente il nostro don Cirillo, signor !polito, ed il gentilissimo nostro signor Capasso. E resto ansioso di sapere se il signor Mela abbia ricevuta mia lettera, con salutarlo anche da mia parte e dirgli che fra breve si vedrà sopra il Curtis, 1 che si accinge tuttavia con molti altri alla partenza per costà. Perciò devo incaricarlo che usiate ogni diligenza perché le vostre lettere mi sian spedite per sicuri canali, perché le desidero non tanto per soddisfare la curiosità per le cose correnti, quanto per mia istruzione e norma per istradare le mie cose con qualche prudenza, che un caso cotanto inopinato e strano ricerca, la quale bisogna che sia grande, perché, alla maniera che qui corrono le cose, cominciamo anche a tremare del proprio terreno che calchiamo. E resto caramente abbracciandolo.

xx AD ADRIANO LANZINA Y ULLOA, DUCA DI LAURIA 2



NAPOLI

Illustrissimo ed eccellentissimo signore e padrone sempre colendissimo. La singolare affezione, che per effetto di sua magnanimità e cortesia si è V. E. compiaciuta praticar verso di me suo divotissimo r. il Curtis: dall'epistolario giannoniano risulta che contro questi era intentata una causa che nascondeva e, la più sottile metafisica legale» per ula materia intricatissima de' cambi» (cfr. la lettera del 23 giugno 1731, in Giannoniana, n. 0 282). Nel maggio del 1731 il Curtis è a Vienna, forse a caccia di raccomandazioni; nell'estate del 1732 è a Praga dove si mantiene vendendo sete e drapperie. XX. B.N.R., F.V.E. 359-360, cc. 298-299. Nel manoscritto la lettera è numerata come DXXVII; viene premessa Pavvert~nza: « Questa lettern fu scritta al signor duca di Lauria Ulloa, consigliere di Stato». A II signor• seguivano originariamente, poi cassate, le parole: uconte di Santo Stefano in Napoli - Marchese Tanucci ». - 2. duca di Lauria: reggente del Collaterale sotto Carlo VI, ministro del Consiglio di Stato sotto Carlo III, presidente del Sacro Real Consiglio e delegato della Regia Giurisdizione, quindi presidente della Camera di Santa Chiara dopo il 1735. Morì nel 1740.

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servidore, e quando molti anni già sono mi fece l'onore di aver costà per quanto comportavano le mie deboli forze adoperato in cosa di suo serviggio, ed ultimamente nel tempo della mia dimora in Vienna, quando con gentilissima sua m'onorò de' stimatissimi suoi commandi, mi spinge ora con fiducia d'indrizzarle questa mia divota lettera. Ora prendo l'ardire di ragguagliarla della mia necessaria partenza dalla corte di Vienna, 1 da dove, correndo la comune fortuna. di tutti gli altri a' quali sopra i tenimenti d'Italia eran stabiliti, 2 e vedendomi mancare il proprio sustentamento forz' era che dovessi allontanarmi. La dura necessità mi costringe di cercare essendo ormai vecchio in proprio suolo l'ultimo porto de' miei travagliosi errori, e ripatriando cercare un sicuro ricovero per passare que' pochi anni di vita che la bontà divina mi concederà in riposo e quiete, vivendo a me stesso. Fra' miei grandi protettori non ho potuto pensare un più efficace ed affettuoso quanto la degnissima persona di V. E., la quale ben informata di tutti i precedenti successi, non permetterà che da' miei malevoli mi sia interrotta, anzi che l'autorità sua agevolerà che quella quiete che io vado cercando la possi costà trovare ben sicura e stabile. Io nel prendere concedo dalla Maestà dell'imperadore trovai nella medesima tutto il compatimento, e la di lei clemenza ammise le mie potenti ragioni per irrefragabili, come quelle alle quali non vi era altra risposta per risolverle, se non di pensare per me nuovo assignamento sopra gli Stati ereditari austriaci: ciocché secondo lo stato presente delle cose, cosi per la dispendiosa guerra che preme, come per sovvenire l'innumerabile, anzi, infinita turba de' Catalani che tiene sopra le spalle, che prima vivean sopra la corrosa Italia, era impresa impossibile, non che dura e disperata. Ne' primi ministri della Corte trovai altresì compatimento, ma non già aiuto o speranza alcuna, anzi, in alcuni approvazione della risoluzione presa e consiglio a mandarla presto in cffetto per tema di maggiori strettezze ed angustie, che si preveggono; e lo stesso trovai ne' miei buoni ed affezionati amici, i quali conoscendo meglio che io i secreti e gli arcani della Corte, 1. partenza ... Vienna: il Giannone aveva lasciato Vienna il 29 agosto 1734. Cfr. Vita, qui a p. 261. 2. stabiliti: sottintendi, gli emolumenti. Nel caso del Giannone la pensione era stabilita sopra i diritti di spedizione della segreteria di Sicilia, ed era quindi venuta a mancare dopo che il regno delle Due Sicilie era passato sotto i Borbone di Spagna.

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come più intrinseci, mi confortarono a partire, per non espormi a vedere colà la terribile faccia della miseria, inverso la quale par che tutte le cose sarebbero andate a tenninarc. 1 Sicché con permissione di Cesare, e de' suoi ministri ottenni permesso di ripatriarmi e d'ubbidire a quel principe che lddio per ignote vie della sua impenetrabile provvidenza avea fortunatamente dato a' Napolitani.2 Giunto a Venezia, fuor d'ogni mia credenza, trovai il mio nome in molta stima e riputazione presso il signor ambasciador di Spagna, signor conte di Fuenclara,3 che mi accolse con somma gentilezza e cortesia, come persona a lui nota e della quale, come mi disse, aveane qui da molti avute ben distinte e vantaggiose relazioni: lodando altresi la mia risoluzione di ripatriare ed offerendomi tutto il suo favore e protezzione. Gentilmente degnossi ordinar la spedizione de' passaporti per Napoli; anzi, correndo giovedi scorso il giorno del compleannos del signor principe d' Asturias, 4 celebrato da lui con molta pompa e celebrità, m'invitò che la sera io fossi venuto in sua casa ad intervenire ad una gran serenata ch'egli avea apparecchiata, sicome vi fui da S. E. accolto con distinzione con gli altri soggetti di riguardo, ch'egli avea invitati. E sparsasi per Venezia la notizia del mio arrivo, ebbi l'onore con mio sommo rossore, essendomi io portato nelle Procuratorie di S. Marco, 5 che molti signori nobili e senatori, e spezialmente i signori Pasqualigo,6 Leonardo Diedo, Francesco Bettoni,7 ed i senatori Canale e Riva, e moltissimi altri vollero conoscermi e a lungo ragionar meco, invitandomi con molta gentilezza nelle loro case, dove fui accolto con incredibile cortesia e trattato assai onorevolmente più di quel che la mia graduazione e merito richiedeva, offerendomi anche impieghi, e rimanere in serviggio della Repubblica, 8 ma rispostogli che non poteva accettar altro servizio se non quello del mio principe, e che il mio ardente disiderio era di morir dove nacqui, 1. lo nel prendere . .. terminare: cfr. Vita, qui alle pp. 254 sgg. 2. quel principe . .. Napolitani: l'infante don Carlos, divenuto Carlo III re di Napoli. 3. Per il conte di Fuenclara, ambasciatore di Spagna a Venezia, cfr. la nota 2 a p. 262. 4. pri11cipe d' Asturias: il principe ereditario Ferdinando (1713-1759), VI come re di Spagna (6 luglio 1746). 5. Procuratorie di S. Marco: cfr. la nota 2 a p. 287. 6. Per i Pasqualigo cfr. le note I a p. 264 e 2 a p. 517. 7. Francesco Bettoni è menzionato anche nella Vita, qui a p. 267 e nel Ragguaglio, qui a p. 520. 8. invitandomi ..• Repubblica: cfr. Vita, qui alle pp. 263-4.

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me ne scusai, rendendo loro molte grazie dell'onore offertami. Rifiutati dunque i loro cortesi inviti per non mettermi a navigar l'Adriatico nella rottura de' tempi, affrettai il proseguimento del mio viaggio, che resta appuntato per l'entrante settimana, purché i tempi lo permettono. Porto tutto ciò alla notizia di V. E., pregandola nel mio arrivo costà prender con vigore la mia protezzione, ed intanto prevenire a quanto da' miei invidi potessero tentare per inquietarmi il mio ritiro; e trovandosi V. E. degnamente collocata in cotesta real Corte in quel sommo grado che meritano gli non meno antichi che nuovi servigi, la prego far noti alla medesima questi miei umili sensi di quella divozione che deve professare qualunque umilissimo suddito al suo natural signore. Sicché possa esser riputato non immeritevole di quella alta e potente protezzione che i principi sommi e sovrani per atto di loro clemenza e benignità dispensano a' loro più bassi ed umili servidori e vassalli. La lunga esperienza che ho della cortesia e cordialità di V. E. verso di me mi fa sperare che sia per esaudire queste mie divote suppliche che li porgo; e pregandola mantenermi nella pregiatissima sua grazia, nella quale ora più che mai mi raccomando, resto facendole profondissima riverenza. - Di V. E., Venezia li 25 settembre 1734. - Divotissimo ed obbligatissimo servidor vero Pietro Giannone. XXI AD ADRIANO LANZINA Y ULLOA, DUCA DI LAURIA • NAPOLI

Illustrissimo ed eccellentissimo signore, signor mio sempre osservandissimo. Dalla mia precedente lettera; che le scorse settimane ebbi l'ardire indrizzare a V. E., avrà conosciuto quanto mi è occorso nell'arrivo che feci in questa città e la somma cortesia e gentilezza colla quale io fui accolto dal signor ambaséiadore di Spagna, signor conte di Fuenclara, ed avendomi continuato i suoi favori ed assicurato dagli amici che lo trattano che di me, occorrendo l'occasio-

xx1.

B.N.R., F.V.E. 359-360, cc. 299-3oov. N~l manoscritto la lettera è numerata come DXXVIII; alla dicitura: «Altra lettera scritta al signor duca di La uria Ulloa consigliere» seguivano, poi cassate, le parole: «al signor conte di Santo Stefano». - 1. mia precedente lettera: in data 25 settembre 1734, qui alle pp. 1180 sgg.

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ne, ne parlava con distinzione, avendo da altri inteso che io m' accingeva alla partenza per costà: mi fece sentire per mezzo del signor marchese Valignani 1 che per mio maggior servizio avessi avuta la pazienza. di trattenermi qui qualche altra settimana: al che io prontemente ubidii, così perché la dimora qui non mi riesce noiosa per l'affezione e cordialità che m'usano questi signori nobili, e per essermi ristabilito in perfetta salute, come anche per aspettare riscontri delle grazie che costà m'avrà V. E. compartite, ed attendere da qui migliori notizie, che serviranno per mia _scorta e guida. Ed avendo il signor marchese Valignani discorso col signor secretario d'ambasciada lungamente sopra questo disiderio del signor ambasciadore, per iscorgerne i motivi e le cagioni per mia regola, non poté ricavarne altro che io stassi pur sicuro che S. E. avea tutta la propenzione di favorirmi, e che questo trattenimento non era per imbarazzarne. Da ciò non potei ricavarne altro che forse il signor ambasciadore, avendo dato avviso a cotesta Corte del mio arrivo fatto in Venezia, non volesse aspettarne da costà riscontro per sua regola; ma questo non esclude il dubbio che non possa essere per altra cagione, se mai da costà o dal secretario di Stato o da altra persona còlta all'improviso, per qualche sinistra informazione fattale da' miei malevoli, 2 non si fosse scritto al medesimo d'andar sopra ciò con cautela finché ne avesse da cotesta Corte nuovi riscontri. Io fin ora non ho avuto tempo per altri mezzi più propri ed efficaci cavarne il netto, come spero ricavarlo nell'entrante settimana; perché nel primo caso non me ne prenderei molta pena, lusingandomi di potersi prestamente rimediare; ma se mai fosse per insinuazione suggerita da costà per istigazione de' miei malevoli sarebbe molto sensibile, giacché mi vederei esposto alle loro calunnie senza che precedentemente si fosse fatto maturo esame delle circostanze che concorrono di un suddito di potersi ritirare nella propria patria, quando all'incontro sono preceduti indulti sl ampi ed universali, che non ne sono esclusi i delitti più I. Si tratta di quel Federico Valignani, marchese di Cepagatti, autore di Chieti. Centuria di sonetti istorici, Napoli 1729, opera dedicata a Carlo VI e recensita negli II Acta Eruditorum Lipsiensium », novembre 1730, supplemento, pp. 520-1, su segnalazione del Giannone. 2. ma questo .•. malevoli: sui retroscena che vietarono il ritorno a Napoli del Giannone vedi le note in Vita, ed. Nicolini, pp. 308-9. Nella stessa edizione dell'autobiografia, alle pp. 441-6, è pubblicato il memoriale inviato dal Giannone a Carlo III di Borbone (e cfr. Giannoniana, pp. 41-2).

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enormi di qualunque criminoso, ed io in me non posso ravvisare delitto alcuno per i miei libri dati alle stampe, anche attenta la condanna istessa di Roma, la quale non ci ha potuto trovare proposizione eretica, sicome li brevi di Clemente XI qualificarono i libri del reggente Argento, del consigliere Grimaldi e del signor Riccardi, scritti nella controversia nota de' benifici, 1 proscrivendoli con clausole più terribili che non s'usarono nella mia opera, la quale non soggiacque se non ad uno degli ordinari decreti di semplice proibizione resa oggi familiare alle Congregazioni di Roma sopra qualunque libro, che non vada a seconda delle sue massime intorno all'immunità e lor pretesa giurisdizione ecclesiastica; ed altro delitto non si potrà imputare alla medesima, se non d'aver difeso con vigore e franchezza cristiana le supreme regalie ed alta giurisdizione reale de' predecessori re di Napoli come veri monarchi del Regno; anzi mi lusingo che, avendo la somma divina provvidenza a' nostri tempi fattoci vedere ciò che i nostri maggiori invano sospiravano, e di sortire fortunatamente un proprio re,2 non possa ella aver uso più proprio ed adattato che in questi felicissimi tempi, e nel nuovo sistema che il Regno va avventurosamente ad incontrare. V. E., che per lunga esperienza e per propria penetrazione sa la costituzione del medesimo, ben comprende che io l'espongo il vero e che scrivo con sensi di veracità, onde tanto più mi comprometto, che con vigore sarà per intraprendere la difesa della verità e per l'efficacia della valevole sua protezione sarà per dileguare tutte quelle nebbie che forse gl'invidi avran potuto spargere per malignarmi presso coloro che, come nuovi nel governo, stanno esposti alle loro sorprese. La prego, per quanto possa in ciò, della sua protezione, affinché, se mai per sinistre informazioni siasi dato qualche ordine a questo signor ambasciadore di sincerarlo e metter in chiaro la verità, affinché tolto ogni ostacolo possa ricevere dal medesimo quelle grazie alle quali mostra esser disposto di compatirmi. Sarà persona ben veduta da V. E., che in mio nome porterà queste mie suppliche, sperando che siano esaudite, affinché ritrovandomi qui, senz'espormi inconsideratamente a qualche inquietitudine, possa ottenere quel onesto ritiro che unicamente disidero per mia quiete, e regolarmi nell'avvenire ne' ulteriori passi, sicché non lasci quelle opportunità che per amor della patria e I. sicome li brevi .•. benifici: vedi la nota 4 a p. nella persona dell'infante don Carlos.

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II 40.

z. un proprio re:

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della mia quiete mi trovo aver posposte. Tutto mi promette la gran generosità ed affezione che ha mostrato sempre per somma sua gentilezza verso la mia persona, la quale può ben comprendere in che grado d'obbligazione si vegga posta, e se quella sarà sempre eterna, e da non cancellarsi in tutto il tempo di mia vita. lddio per consolazione di cotesto Regno conservi la distintissima persona di V. E. per lunghi e felici anni; e sempre più pregandola d'esercitare in questa premurosa occasione gli effetti delle benignissime grazie, resto a V. E. facendo profondissima riverenza. Di V. E., Venezia li 9 ottobre 1734. Divotissimo ed obbligatissimo servidor vero Pietro Giannone.

XXII A CARLO VINCENZO FERRERO DI ROASIO D'ORMEA 1 TORINO

Eccellentissimo Signore Nell'istesso tempo che adempio al mio dovere di dar notizia a V. E. del mio arrivo in questa città di Milano, e di vivamente pregarla che si degni questo mio divoto e riverente ufficio spingerlo in più alta e sovrana parte presso la Maestà d'un rc2 cotanto saggio e glorioso: mi si offre la fortunata occasione di poter mostrare a V. E. con segni manifesti e palesi quella divozione ed ossequio, che ho tenuto nascosto nell'animo per lungo tempo, da che la fama della sua gran prudenza, dottrina e savia condotta negli affari civili del Regno ed ampi Stati di S. M. pervenne nelle mie orecchie. lo per ciò ho sempre ammirato il distinto favore e speziai benificenza di Sua Divina Maestà di avere ad un sì grande e valoroso principe accoppiato un ministro cotanto savio e prudente, onde di necessità ne sia derivata quella felicità che sperimentono i popoli che hanno la fortuna di essere soggetti al di lui equabile e giusto impero; sicché riputava ancor mia felicità se mai un tempo avessi potuto avere questo onore, servendolo, meritare le benignissime sue grazie. Forse sarà nota a V. E. la mia lunga dimora nell'imperiale corte di Vienna di undici e più anni: dove la Maestà XXII. A.S.T., manoscritti Giannone, mazzo 111, ins. 3 1 B, 1. Autografo. 1. Per il marchese d'Ormea cfr. Vita, qui a p. 309 e la nota I ivi. 2. un Ye: Carlo Emanuele Ili: cfr. la nota 3 a p. 238.

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dell'imperatore, alla quale io dedicai la mia Istoria civile del regno di Napoli, volle che io mi trattenessi suo pensionarlo; ma i miei stipendi situati sopra i regni di Napoli e di Sicilia, questi perduti, fui costretto da dura necessità abbandonarla, mancandomi il necessario sustentamento, doppo aver tentato ogni mezzo perché altrove mi si assignasse l'equivalente; ma riusci vano ogni sforzo, poiché la turba immensa de' Spagnoli che colà dimorano escludevano i poveri Italiani, perché ad essi non fosser mancate le sovvenzioni, poco curando che altri avessero da perir di fame; sicché preso concedo da S. 1\1. C. e da' supremi suoi ministri, i quali nell'istesso tempo che compassionavano l'infelice mio stato, si dichiaravano che non potevano darci rimedio, mi portai a Venezia, dove da quella nobiltà fui caramente accolto, 1 offerendomi la cattedra primaria del ius civile dello Studio di Padoa, che si trovava allor vacante ;2 ma la mia professione di avvocato ed istorico essendo tutta altra che di cattedratico, mi scusò di non poter ricevere un tanto onore; e mentre si pensava di provvedermi di altra carica, avendomi intanto il senator Pisani di S. Angelo3 trattenuto in sua casa onorevolmente, i Gesuiti instancabili miei persecutori, i quali si trovavano avere gran potere sopra i tre Inquisitori di Stato di Venezia per essere lor confessori, mi calunniarono presso i medesimi, che stando io in casa d'un patrizio veneto praticava di continuo con i signori ambasciadori di Francia e di Spagna; onde sotto questo pretesto d'inconfidente mi ordinarono improvisamente e senza darmi tempo di poter chiarire l'impostura che io dovessi subito uscir da Venezia e dagli Stati della Repubblica, sicome per dura forza mi convenne d'uscime.4 Prego V. E. a comp_atirmi se forse nel racconto d'un successo cosi strano le abbia recata noia ed impedita per pochi momenti dalle gravissime ed importanti sue occupazioni, poiché la benignità di V. E. ben comprende la premura che dovea avere d'informarne sinceramente a V. E.; e se volesse degnarsi di averne più minuto riscontro da' suddetti si1. i miei stipendi .. . accolto: cfr. Vita, qui a pp. z51 sgg. z. ojferendomi ... vacante: il veneziano Domenico Pasqualigo offrì, infatti, al Gian-

none, su incarico del fratello Giovanni, riformatore dello Studio di Padova, la cattedra di lettere umanistiche di quella Università, resasi vacante per la morte dell'abate Lazzarini (cfr. Vita, qui a pp. 263-4). Su questa trattativa e l'opposizione giunta da Roma cfr. BERTELLI, pp. 213-4. 3. il senator Pisani di S. Angelo: cfr. la nota 3 a p. 519. 4. i Gesuiti ••. d'wcime: cfr. Ragguaglio, qui a pp. 530 sgg.

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gnori ambasciadori, maggiormente si accerterà di quanto con ingenuità le scrivo, essere stata gabala de' Gesuiti, e che questo fu un affettato pretesto: potendole que' signori render testimonianza che se bene io avessi tutta quella stima e rispetto che dovea con personaggi di sì alta categoria per li tanti onori che fuor di ogni mio merito mi comparti vano: non era niente vero che io frequentassi le loro case e che vi avessi quella stretta confidenza, che i Gesuiti diedero a sentire a' signori Inquisitori di Stato. Giunto qui a Milano, avendomi fatto insinuare per mezzo della signora principessa Triulzi, 1 mia singolar padrona, al signor marchese Olivazzi2 gran cancelliere, fui a presentarmi al medesimo, che mi ricevé con somma cortesia e gentilezza, al quale più distintamente raccontai i miei successi e palesai il mio ardente desiderio, se mai potessi ottener questa grazia, che per me sarebbe segnalatissima, di militare sotto le gloriose insegne d'un re cotanto saggio e valoroso. Ed ancorché fosse troppa mia presunzione, pure osarei dire che ad un eroe così magnanimo e grande forse non mancarebbe il suo Procopio3 per poter consecrare all'eternità le alte e maravigliose sue gesta4 fin qui adoperate, e le maggiori, che dal suo valore e coraggio si presaggiscono nell'avvenire, degne di chiara gloria e d'immortal rimembranza, non meno di quelle eh' ebbe a tessere colui del gran Giustiniano e del famoso Belisario. Mi lusingo che se mai V. E. sarà per interporre presso S. M. gli efficaci e vigorosi suoi uffici, de' quali cotanto supplico V. E., potrei ottenere un tanto e sì inestimabil onore, onde le mie obbligazioni che devrò professarle non si estingueranno che colla mia vita: pregandola in ciò per quanto io possa della protezione di V. E. e di annoverarmi tra' suoi più fedeli ed umili servidori. E sempre più raccommandandomi nella pregiatissima grazia di V. E. le resto facendo profondissima riverenza. Di V. E. Milano li 18 novembre 1735. - Divotissimo ed obbligatissimo5 ... Pietro Giannone. 1. principessa Triulzi: cfr. la nota I a p. 305. 2. Il marchese Giorgio Olivazzi (cfr. la nota a p. 307) aveva proposto al Giannone, durante la

brevissima permanenza di questi a Milano, il posto di storico di casa Savoia, che era stato di Bernardo Andrea Lama. 3. Procopio di Cesarea: cfr. la nota I a p. 24. 4. maravigliose sue gesta: Carlo Emanuele lii, impegnato nella guerra di successione polacca, a capo dell'esercito francopiemontese aveva ottenuto sugli Austriaci una vittoria memorabile a Guastalla il 19 settembre 1734. 5. obbligatissimo: nel manoscritto seguono segni difficilmente decifrabili; con tutta probabilità: u servidor vero».

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XXIII AD ALESSANDRO TEODORO TRIVULZIO 1



VENEZIA

Caro signor principe Trivulzio Le dotte vostre lettere e gli ammaestramenti che in quelle esprime non vi è dubbio che dovrebbero a me essere leggi espresse; ma come facciamo che i tanti miei persecutori non lasciano d'inquietarmi e tentar la mia somma sofferenza e pazienza, e debba a lor dare la causa vinta, quando per me «male appellatum », e per loro cc bene iudicatum »? e debbia andare la faccenda sempre al rovescio? Fra tanti miei guai e disgrazie e mentre trattenevami in Modena con lusinga tener celato il mio nome ;2 mi vidi un giorno di repente il Muratori a farmi una visita, che non potei sfuggire avendomi còlto all'improviso, e dopo vari discorsi che vi corsero ben due ore, mi diede distinto ragguaglio del padre Bianchi franciscano, che io anni a dietro, mentre dimoravo in Vienna, intesi che travagliava sopra l'Istoria civile per confutarla; e che a spese del cardinal Albani ne avea già in Urbino dato alle stampe il primo tomo, ma lo teneva suppresso aspettando forse tempo migliore per farlo apparire alla luce del mondo. 3 Ma avendomi il Muratori palesato la tessitura e la forza della confuta, mi ave con ciò detto che non potea per ora sì tosto uscir alla luce, essendo la fatiga laboriosa di più volumi, copiando quasi intiera l'Istoria ecclesiastica4 e la mia, dove fa vedere la sua erudizione dando per assunto del libro che li papi sono stati quelli che han dato la giurisdizione a' principi, ed i principi l'han ricevuta da' papi, essendo la giurisdizione de iure divino; e non di ragion positiva, che perciò fu lodevolmente variato, e che la Chiesa variamente praticò quest' elezioni. Il mio dolore si è che non sarà a miei tempi; e non avrò la congiuntura fargli gustare una minestra simile a quelle feci gustare tanto a B.N.R., F.V.E. 359-360, cc. 35ot1-352. Nel manoscritto la lettera DLXV. - J. Per Alessandro Teodoro Trivulzio si veda la nota 4 a p. 262. Questa lettera è in risposta n quelle del Trivulzio, in data s gennaio, 9 e 22 febbraio, pubblicate in Gian11oniana, pp. 527-30. 2. con lusinga . .. nome: l,affermazione suona strana, perché l'ospite modenese del Giannone, Antonio Guidetti, era un conoscente del Muratori. 3. padre Bianchi . •• mondo: vedi la nota I a p. 127. 4. l'lstoria ecclesiastica: cioè l'Histoire ecclésiastique di Claude Fleury (cfr. la nota 3 a p. 31), alla quale il Giannone fu molto vicino per ispirazione. XXIII.

è numerata come

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padre Sanfelice come al padre Pauli; 1 sicché poi non dovrà lagnarsi che una berlina sosterrà tutti tre insieme, e finire non solo a lividure, ma a sangue, come andaron pelati quei due teste d'asini presuntuosi. Come dunque la penna deve star quieta, 2 e non è tempo di tentare i cani che dormano? quando questi stan desti più che cani levrieri e vogliono approfittarsi del tempo ? Con tal' occasione devo dirli per ultimo scopo del mio sentimento fermo e costante di quanto ho scritto, stampato e quello ancora dovrò stampare, acciocché i principi dovessero aprir gli occhi e scorgere le tante usurpazioni fattale ne' loro Stati dagli ecclesiastici : poiché forse un giorno per divina provvidenza sarà disposto che quei miei scritti sopra i quali ho travagliato in comporgli per lo spazio di dodici anni che sono dimorato ozioso in Vienna (poiché Roma non potendo ottener altro, impedl sempre che io fossi impiegato nelle pubbliche cariche de' magistrati), ne' quali sono dimostrate verità di gran momento ed importanti, nommeno a' principi cattolici, perché si accorgano delle tante usurpazioni e sorprese fattale sopra i loro principati togliendoli più dena metà dell'imperio, che Iddio sopra i medesimi l'ha conceduto: che a' loro sudditi, prosciogliendoli da tante e si dure catene, nelle quali la vana superstizione, l'altrui ambizione, avarizia e fasto gli tiene miseramente avvinti e ligati. Le quali mie fatighe avea io già destinate a' tarli ed alle tignuole, poiché sotto cielo ed in italico terreno non avrebber potuto certamente allignare. Forse, dico, avverrà che in altro clima potranno vedere la chiara luce del sole, nascere, farsi grande e volare da per tutto. 3 lddio difende a me e questi miei travagli che non furono impiegati che per la ricerca del vero, cioè la cono1. una minestra •.. Pauli: cioè analoga alla Pro/essione di fede (si veda alle pp. 475 sgg.) e alla Risposta alle Annotazioni critiche (cfr. Vita, qui a pp. 210-2 e le note ivi). 2. Coms .• . quieta: il Trivulzio aveva sconsigliato il Giannone dal rendere pubblico il suo Ragguaglio: • Toccante quella scrittura, che mi confidaste, vi dico che sarebbe un sproposito il pubblicarla, è fatta in tempo che la colera vi ha offuscato l'intendimento •.. scordatevi di questo cielo e di questo clima, e fate capire che sprezzate le piccole cose e che vi siete superiore» (lettera del 5 gennaio 1736, in Gia11noniana, p. 527). 3. quei miei scritti ••• tutto: il Giannonc allude qui al Triregno e alla possibilità di una sua stampa in Ginevra, possibilità che era balenata dopo che Jacques Barillot si era impegnato, alla fine di febbraio del 1736, a subentrare a Marc-Michel Bousquet nell'edizione francese dell'Istoria civile: cfr. Vita, qui alle pp. 319-24. Per l'intero brano cfr. il Ragguaglio, qui a p. 554.

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scenza di lui stesso. Curerò poco le altrui insidie, proscrizioni e maledizioni, purché egli gli protegga e benedichi: sicché possa con verità e sicurezza repplicare ciocché il santo re Davidde solea dire, Psal. 108: «maledicent illi, et tu benedices ». 1 In quanto alle lettere che mi scrivete2 ho dato l'incombensa al signor Bousquet, il quale scriverà al suo corrispondente che faccia ricerca delle medesime, e secondo quello gli avviserà farò in maniera che pervenghino in potere del Canari3 sotto vostra direzione. Spero presto vedere i lampi di Marte in riposo,• e me levato da paesi sospetti e riposto nel cattolico grembo di Santa Chiesa, ove nacqui, e colà morire. Amatemi e difendetemi da tanti miei nimici, e di vero cuore l'abbraccio. Ginevra 19 marzo 1736. Devotissimo ed obbligatissimo servitor vero Pietro Giannone. XXIV A CARLO GIANNONE · NAPOLI

Dal castello di Ceva, li r3 novembre r74r.

La diffusa sua lettera de' 24 dello scorso mese, resami la pass~ta settimana, non creda che mi recasse noia o disgusto per le tante stravaganze che avete ivi affastellate. Né io pretendo che si rimova da quelle, perché servono almanco per pascer l'animo di sl belle idee. Non avrei però voluto che si ponesse a narrarmi fatti antichi, che non sapete, de' quali io sono meglio informato, « et quorum 1. « maledicent .•• bentdices »: Psalm., 108, 29: « maledicano quelli, ma tu benedici•· 2. In quanto . .• scrÌfJete: nella lettera del 22 febbraio 1736 (Giamioniana, pp. 529-30) il Trivulzio aveva chiesto al Giannone di cercargli le Lettres juives, ou co"espondance philosophique, historique et critique entre un juij voyageur à Paris et ses co"espondans en divers endroits.. •. , La Haye 1736-1737, in sei volumi. Si tratta dell'opera, tipicamente deistica, del letterato francese Jean-Baptiste de Boyer, marchese d'Argens (17041771). 3. Francesco Canori era il segretario del Trivulzio (cfr. Vita, qui a p. 306). 4. Spero . •. riposo: la guerra di successione polacca, che durava dall'ottobre del 1733, aveva subìto una battuta d'arresto con i preliminari di pace di Vienna (3 ottobre 1735) e con l'armistizio di Mantova (1 dicembre) firmati da Austria e Francia. Nel febbraio 1736 aveva aderito alla tregua anche la Spagna. Passeranno, tuttavia, altri due anni prima che la pace definitiva sia conclusa. XXIV. B.N.R., F.V.E. 359-360, cc. 349-35ov. Nel manoscritto la lettera è

numerata come

DLXIV.

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pars maxima fui», 1 e voi eravate allora fanciullo, né di riputarsi a quei tempi pupillo ed orfano, avendo padre e madre, ed io senza alcun obbligo che mi stringesse vi chiamai in mia casa in Napoli, dove ignudo veniste, 2 e stupisco in leggere in questa sua che trasportò seco quel poco di residuo di roba, quando tutta rimase in potere de' nostri genitori, della quale fu poscia dotata la nostra sorella. 3 Non vorrei amareggiarvi gettando a terra il fondamento d'una chimerica società che vi fingete, pretendendo che dal niente possa nascere alcuna cosa: «ex nihilo nihil fit ». Per la società si richiede collazione di roba ed industria personale, proposito e volontà di contrarla, ciocché tutto manca nel caso nostro. Che serve adunque andarsi infrascando la mente di vaghe e generali dottrine, tratte da Micalorio4 ed altri autori di simil farina, le quali niente han che fare col caso presente? Molto men noiosa dovea riuscirmi l'estenzione che avete data a questa immaginaria società facendola volare sino a Vienna, dandogli ali sì spaziose ed ampie, che abbracciasse anche i guadagni da me ivi fatti, anzi la mercede stessa conferitami dalla Maestà dell'imperadore. Gran virtù veramente hanno tali società, poiché come ideali possono portarsi fin dove si vuole. Quello che poi mi ha dato sommo piacere è stato di leggere quella graziosa distinzione di spese fatte per cause illecite e men oneste, le quali non entrano in communione e devono imputarsi solo a colui che l'ha fatte. Il grazioso consiste che voi applicate un testo di Papiniano5 alle spese che per umana fragilità spesso occorrono, e Papiniano parla di quelle fatte «ob maleficium ». Non credo certamente che Papiniano riputasse maleficio le semplici fornicazioni. Se mi aveste allegato un testo di san Paolo, il quale nelle sue epistole le condanna,6 siccome fa delle con1messazioni, ubria•et quorum ... fui»: cfr. Virgilio, Aen., 11 1 6: «et quorum pars magna fui»). 2. ed io senza ... veniste: cfr. Vita, qui a p. 47, dove aggiunge che fu lui a istradare il fratello « pria ne' studi di filosofia, poi in quelli di legge e, finalmente, metterlo nella strada de' tribunali». 3. la nostra sorella: Vittoria, andata sposa al medico Domenico Tura, di Vieste. 4. Micalorio: si tratta di Biagio Micalori, giurista urbinate vissuto nel XVII secolo, di cui cfr. Tractatus de fralribus, in tres partes divisus ... Additis in fine, in hac 11ova impressione, sexaginta sacrae romanae Rotae decisionibus, Genevae 1665. 5. Secondo la cosiddetta legge delle citazioni di Teodosio II e Valentiniano III (426), Papiniano (morto nel 212) era uno dei cinque sommi giureconsulti dei quali soli si poteva allegare nei tribunali le opinioni, e, in caso di parità, la sua opinione prevaleva su tutte le altre. L'autorità papinianea perdurò fino a tutto il Settecento. 6. san Paolo .•. condanna: cfr. Vita, qui a p. 84 e la nota 2 ivi. 1.

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chezze, mormorazioni e colpe simili, sarebbe stato com portabile; poiché presso Id dio sono vietate e peccaminose; ma per le leggi civili, che le permettono, né v'impongon pena, come volete che siano comprese sotto la parola « maleficium »? Con tal' occasione mi avete fatto ricordare di quella piacevole novella del Boccaccio, dove avreste potuto anche apprendere che tali spese ne' libri de' conti s'ammettano ed hanno una spezial rubrica e son collocate sotto questa: « Spese in dulcitudine». 1 Veda adunque se questa vostra lettera potea essermi di disgusto, quando mi è stata cagione di molto riso. Il decreto del re Davide anticamente praticato da' principi e generali d'armate, i quali dividevano la preda fra' soldati che si trovavano nella battaglia, e quelli che, pronti ancor essi per combattere, furono commandati alla custodia del bagaglio, sebbene ora secondo la presente disciplina militare i bottini non si mettono più « in communi », ma chi piglia piglia: come si adatti al caso nostro, io noi comprendo. E non già che se n'abbia da attristare, ma unicamente per sua istruzione, permettemi che io sol v'accenni un altro decreto d'un gran senato proferito non già fra' soldati, ma tra due fratelli, il minore de' quali pure senz'averci niente posto, anzi alimentato dal maggiore, fantasticava ideale società e pretendeva divisione, e separarsi. Il decreto che uscì sopra la sua domanda fu questo: « Esci di casa, e la divisione è fatta». E facendo fine, resto caramente abbracciandolo.

1.

11.Spesei11 dlllcitrtdinen: cfr. Decam.,

VIII, 10.

INDICE DEI NOMI

INDICE DEI NOMI

Abate, vedi Bernardo di Montmirat Abele, 829, 849 Abia, 648 Abimelec, 837 Abramo, S94, 598, 600, 635, 637, 833,875,977,978, 1029 Absirto (Claudio Hermerote), 452, 453 Abii Bekr (Abubecker), 979 Abulense, vedi Tostarlo Ribera A. Acacio, presbitero, corrispondente di sant'Epifanio, 1013, 1014 Acacio di Costantinopoli, 707 Acampora G. L., XXXI, 126, 166, 326, 362, I 126, I 127, I 128, 1149, Il50, 1156, 1161, 1162 Accio L., 452 Accursio, 867 Acerra, conte di, 1132 Achille, 852, 1043, 1044, 1045 Acmone, 940 Acton J. F. E., S 13 Adalulfo, 447 Adamo, XXII, 224, 228, 229, 594, S95, 596,626,627,648,649,805, 818,843,846,847,848,849,850, 856,858,875,876,888,898,908, 1027, 1080, 1095 Adone, 944 Adorno G. A., 42 Adriano, imperatore, 377, 779 Adriano I, papa, 459, 464, 725 Adriano IV, papa, 1So, 573, 577 Adriano VI, papa, 496 Afan de Rivera P., duca di Alcala, 335 Affò I., 36 Agag, re degli Amaleciti, 1037 Agamennone, 7 56 . Agapeto, vescovo di Cesarea m Cappadocia, 46 S Agapito, duca di Sant', 150 Agazia Scolastico, 398, 712 Aghir, vedi Aguirre J. Agilulfo, re dei Longobardi, 567 Agnello L., 125 Agnello di Napoli, 34, 3S, 37 Agnesa, 484

Agostino A., santo, 43, 211 1 224, 225,229,231,429,621,624,689, 690,712,716,717,718,722,736, 740,744,750,762,770,774,776, 777,778,787,791,793,795,798, 799,801,802,803,804,805,806, 808,809,810,811,813,819,826, 829,830,832,834,839,843,844, 846,847,848,849,850,861,862, 863,864,866,867,868,873,879, 881,882,884,886,887,888,889, 892,893,894,896,898,899,900, 901,902,903,904,908,909,915, 921, 945, 946, 947, 952, 960, 1000, 1016, 1024, 1025, 1027, 1033, 1036, 1037, 1039, 1049, 1057, 1092, 1094, 1096, 1097 Agostino di Canterbury, santo, 687 Agricola Gn. G., 1089 Agrippa A., console, 759 Agrippa Castore, 654 Agrippina minore, 1043, 1066 Aguirre D., 198, 1144 Aguirre J., 198, I 135, I 144 Agustin y Agustin A., 22, 23, 41, 685 Aiace Telamonio, 483 Ajello R., xxxvn, 93, 352 Aimerico, figlio del re dei Visigoti Teodorico I, 380 Aimoin, monaco di Fleury, 422 Aimone, 862 Aincmaro, vedi Hincmar Ajone, 567 Alarico I, condottiero dei Visigoti, 381, 826, 1101 Alarico Il, re dei Visigoti, 385 1 386, 387 Alario, 1177 Albani Alessandro, cardinale, XIX, 346 Albani Annibale, cardinale, 127, 130, 144, 497, SII, 548, 1189 Albani G. F., vedi Clemente Xl Alberico delle Tre Fontane, 491 Alberto Magno, 1059 Alberto di Santa Maria di Stade, 491

INDICE DEI NOMI

Alboino, re dei Longobardi, 421, 423, 424, 566 Alboino presbitero, 491 Albomoz J. C., conte di Montemar, 242, 244, 247, 249 Alcasar, 856 Alciato A., 41 Alcuino di York, 846 Aldobrandini I., vedi Clemente VIII Aldobrandino P., 449 Aldrovandi U., 1053, 1058, 1059 Alessandro, vescovo d'Antiochia, 718 Alessandro Il, papa, 449 Alessandro I II, papa, 270, 471, 522 Alessandro VI, papa, 487 Alessandro VII, papa, 291, 910,911 Alessandro Magno, 205, 940 Alessandro Severo, imperatore, 772, 779 Alessio G., 1015 Alessio I Comneno, imperatore d'Oriente, 31 Aletino B., 581, 582 Alexandre N., 104, 125, 437, 488, 548, 682, 713, 725, 855, 907, 920, 931, 933, 934, 969 Alfeno Varo, 752, 812 Alferio, vedi Alfieri da Magliano

G.A. Alfieri da Magliano G. A., 345 Alfonso I il Cattolico, re delle Asturie, 389, 391, 393 Alfonso V il Magnanimo, re di Aragona, IV di Catalogna, I di Napoli, 275, 407 Alfonso X, il Saggio o il Dotto, re di Castiglia e di Le6n, 391 · Algarotti F., 992 1Ali ibn Ahi Talib, 953, 979 Alighieri D., 35, 120, 344, 552, 778, 788, 873, 877, 908, 1083 Alitto, famiglia, 15 Allacci L., 682 Almarz P., 1136 Almarza D. de, 98, 101, 102, 115, 120, 132, 154, 155, 157, 164, 196, 197, 198, 202, 203, I I 17, I 127, 1132, 1133, 1136, 1152 Almenara, marchese di, vedi Portocarrero J. F.

Alteserra, vedi Dadin de Hautescrre A. Althann F. M. von, cardinale, viceré di Napoli, XIV, xv, 9, 78, 79, 80, 88, 90, 104, 113, 136, 166, 557, 585, I I 16, I I 19, I 125, I IJJ, I 135, I 143, I 172 Althann V. von, 78 Althann Pignatelli M., contessa di, 78, 249 Altimari B., 458 Alvarez F. M., 92, 140, 141, 192, 193, 197 Amabile L., XXXVI, 176 Amalarico, re dei Visigoti, 401 Amalasunta, regina degli Ostrogoti, 417, 566 Ambrogio, santo, 694, 717, 778, 814,819,825,826,830,843,844, 847,848,849,854,855,862,878, 889, 894, 971, 1058 Ammiano l\llarcellino, 24, 399 Ammirato S., 420, 421 Ammonio, 655 Ampico, 1045 Amurat, vedi Muràd I Anassagora, 609, 611, 612 Anassarete, 1095 Anassimandro, 61 1, 612 Anassimenc di l\llileto, 611, 612 Anastaggi, vedi Anastasio F. Anastasio, santo, 466, 848 Anastasio, patriarca di Antiochia, 714, 721 Anastasio, patriarca di Costantinopoli, 438 Anastasio, vescovo di Tessalonica, 726 Anastasio I, imperatore d'Oriente, 385, 397, 399, 402, 697 Anastasio Bibliotecario, 435, 437, 438 Anastasio F., 125, 126, 127, 128, 129, 476, 1127, 1149 Anatolio, p:itriarca di Costantinopoli, 401 Anchise, 611, 940 Andrea d'Isernia, 372, 456 Andreas dc Barulo, vedi Bonello A. Andrcys F. de, vedi D'Andrea F. Andriulli A., XXXI, XXXII Anfiloco, 772 Angelica, 871

INDICE DEI NOMI

Angelis F. de, 33, 35, 36, 1132 Angiò Filippo d 1 , vedi Filippo V re di Spagna Anguillara, famiglia, 863 Aniano, cancelliere di Alarico II, 387, 388

Anio, sacerdote di Apollo, 756 Anna, santa, 876 Anna Joannovna, zarina di Russia, 226

Annibale Barca, 3 12 Annio L., 764 Anonimo Cassinense, 358, 420 Anonimo Salemitano, 421 Anonimo Valesiano, 399 Ansaldis A. de, I I 59 Ansegiso, abate di Fontanelle, 57 Anselmo d'Aosta, santo, 859 Ansoaldo, 447 Antemio, patriarca di Costantinopoli, 707 Antemio Procopio, imperatore, 409 Antimio, duca di Benevento, 467 Antinori, abate, 1134 Antioco V Eupatore di Siria, 1090 Antonino, arcivescovo di Firenze, santo, 180, 478, 480, 488, 864, 865, I 167 Antonino da Piacenza, santo, 426 Antonino Pio, imperatore, 487, 856, 882

Antonio M., il triumviro, 761 Antonio da Padova, santo, 7, 293, 507, 528, 538, 540, 951

Apclle, eretico, 809 Apiario, prete africano, 690, 691 Apis, 944 Apollinare Ieropolitano, 654 Apollo, 169, 221, 756,775, 940, 943, 951,

1028,

1034

Apollonio, 655 Apollonio di Tiana, 1093 Arbib L., 496 Arcadio, imperatore d'Oriente, 23 Arcaroli D., 349 Archelao, 61 1 Archimede, 862 Arduino, vedi Hardouin J. Arezzo F. M. d', vedi Casini F. M. Argante, 901 Argens J.-B. d', 927, 976 Argento C., 197 Argento G., x111, xiv, xv, xvn,

1199

40, 41, 43, 44, 45, 47, 52, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 70, 74, 81, 88, 89, 92, 95, 98, 101 I 102, 106, 107, 108, I 16, 171, 172, 173, 174, 175, 192, 196, 197, 349,350,351,353,354,360,362, 375, 476, 558, 1113, 1129, n70, 1185 Argonne N., 854 Ariani A., 990 Arias Montano B., 851, 854 Arichi II, duca di Benevento, 214, 423, 454, 467, 565, 567 Ario, 31, 4II Arioaldo, re dei Longobardi, 447, 566 Ariosto L., 132, 244, 419, 846, 878, 1163 Ariperto II, re dei Longobardi, 432 Aristea Proconnesio, 1024 Aristeo, 1036 Aristeo, figlio di Apollo, 941 Aristide, 654 XXXVII,

Aristone T., vedi Tizio Aristone Aristotele, 16, 51, 612, 613, 614, 645, 751, 774, 812, 816, 947, 1017, 1018, 1020, 1022, 1047, 1050, 1055, 1059, 1060, 1064, 1084 Armellini A., 267

Arminio, vedi Hannensz J. Amauld A., 909 Arnisaeus H., 444 Arnobio, 655, 1056 Arrigo, arcivescovo di Sens, 470 Artemidoro, 766 Artemidoro di Efeso, 1025 Asburgo, principi, 3 Assalonne, 854 Asserbachio 'l\, vedi Hasselbach Th. Astaroth, 944 Astarte, 944 Asti D. A. d', 571, 1156 Astolfo, 846 Astolfo, re dei Longobardi, 4z9, 430, 432

Asturie, principe delle, vedi Ferdinando VI, re di Spagna Atalarico, re degli Ostrogoti, 394, 400,409,412,413,417,566,712 Atanasio di Alessandria, santo, 692 1 723, 724, 848, 861, 894, 971

1200

INDICE DEI NOMI

Ataulfo, re dei Visigoti, 380, 381 Atenagora, 229, 655, 811, 828 Ateneo, 1053, 1059, 1060 Atenodoro di Tarso, 767 Atlante, 941 Attila, re degli Unni, 380 Attinio, 1036 Aubigné T.-A. d', 179 Augusto, G. Giulio Cesare Ottaviano, imperatore, 22, 222, 225, 425, 639, 648, 740, 741, 744, 751,752,755,759,760,761,763, 765, 770, 984, 1034, 1035, 1065, 1068, 1069, 1085, 1089, 1094 Augusto II il Forte, re di Polonia, I 44, 226, 238 Augusto lii, re di Polonia, 210, 226 Aulisio D., xvr, XXI, xxv, XXXI, 19, 20, 24, 26, 27, 32, 49, 58, 73, 74, 78, 81, 349, 350, 355, 362, 375, 581,583,584,742,744,773,774, 809, 811 1 814, 816, 832, 841, 843, 901,915,923,928,935,939,947, 961, 998, 1001, 1004, 1102, 1128, II29, 1130, II35, 1136 Aureliano, imperatore, 787 Auria, gesuita, 1 169, 1 170 Ausonio D. M., 24, 426 Autari, re dei Longobardi, 418,419, 420, 421 t 424, 425 Autperto A., 467 Avalos A. d', marchese di Pescara e del Vasto, 86 Averani N., 616 Averroè, 613 Aversa C. d", II52 Avicenna, 613 Avito, imperatore, 382 Azura, figlia di Adamo, 850

Bacchilo, 655 Bacchini B., XXIV Bacco, 606, 777, 782, 941 Back L., 620 Bacone F., 54, 582, 645, 929, 934 Badaloni N., XXXVII, 581,625,737, 991, 993, 994, 1000, 1003 Baduela, vedi Totila Baglioni G., 435 Balaam, indovino, 1037 Balbani N., 316 Baldassarre, uno dei re magi, 868

Baldo degli Ubaldi, 372, 457, 494, 49S Balduino F., vedi Bauduin Fr. Balestrino, marchesa di, 225, 238 Balsamone T., 657 Balti, principi, 379, 380 Baluze É., 411, 685, 686 Banduri A., 25, 400, 422 Bafiez D., 906 Banier A., 959 Baranello, marchese di, 216 Barberini C., 149 Barberini F., cardinale, 149 Barberini M., marchese di Corese, 149 Barberini M., vedi Urbano VI II Barberini U., 149 Barbeyrac J., XIX, XX, 792, 794, 79S, 796, 819, 840, 924 Barchusen J. C., u30 Barckhausen, vedi Barchusen J. C. Bardasane, 655 Barillot J., XVII, 322, 323, 325, 338, 99I, II90 Barnaba, santo, 744 Barnaba (vangelo di), 93 I Barneveldt J. van, 1008 Barone C., 99 Baronio C., 22, 384, 399, 436, 437, 449,561,689,878,917,921,923, 935, 949, 965, 966, 967, 968 Barth K., 595 Bartolctti I. o G., 297 Bartolo di Sassoferrato, 372 Bartolocci G., 880 Bartolomeo d'Arienza, 391 Bartolomeo da Rinonico, 1 So, 478, u67 Basilide, eretico, 654 Basilio I il Macedone, imperatore d'Oriente, 445 Basilio di Cesarea, santo, 467, 670, 829, 835, 845, 847, 848, 849, 861, 868, 971, 1049, 1058 Basilisco, imperatore d'Oriente, 707 Basnage J., 910, 970 Basnage S., 970 Battisti C., 1015 Bauduin (Balduino) Fr., 41, 784, 785 Bay M. de, 904, 905 Bayle P., xv1, xxiv, 3, 583, 588,614,

INDICE DEI NOMI

736,738,748,793,916,917,918, 919, 921, 922, 923, 1003, 1004, 1048, 1061, 1070

Bayus, vedi Bay M. de Beaufort L. de, 738 Beauregard I., XXVII Beausobre I., 971 Beccaria C., XVIII Beda, il Venerabile, 687, 846, 847, 855,862,864,868,873,920,965

Beddevole J., vedi Bentivoglio J. Bedell W., 542, 543 Begey M., 791, 797 Beke N. van der, 407 Bekker B., XXIV Belcredi G. B., 139 Beleizim, vedi Gebeleizim Belfagor, 944 Belisario, 399, 414, u88 Bellannino R., 436, 497, 498, 921, 92 3

Bellini B., 37 Belloveso, 312 Bellucci A., 55 Belmonte, principe di, vedi Pignatelli F. di Belmonte Belo, 941, 944 Belvedere A., 1134, 1138 Bembo P., 35, 36 Bemporad, editore, xxx Benavidcs, famiglia, 288 Benavides y Aragon F. de, conte di Santisteban del Puerto, 18, 265 Benavides y Aragon M. de, conte di Santisteban del Puerto, 264, 265,266,277,278,283,284,288, 518, 551, 552, 1180, u83 Benedetto da Norcia, santo, 467, 952 Benedetto XIII, papa, 114, 117, 123, 125, 126, 141, 143, 151, 156, 161, 165,172,200,205, 206, 265, 476, 477, 548, 549, 1135, 1143, 1156, 1169 Benedetto XIV, papa, 152, 346, 1145 Benedetto Levita, 390 Benedikt H., xxxvi, 78, 90, 91, 92, 97, 99, 109, 114, 116, 135, 139, 170, 171, 175, 192, 930, 1132, 1133, 1135, 1155, 1175, 1179 Beno (Benno ), cardinale, 491 Benoist J;:., 586, 748 76

1201

Benoit J., 971 Bensoni, vedi Benzoni S. Bentivoglio J., xxvn, 591 Bentley R., 991, 992 Benzoni S., 94, 1112, 1119, 1142, 1148

Berardi, stampatore, 281, 283 Berardi M., 334, 335 Berengario I, re d'Italia e imperatore, 454 Berenice, santa, 826 Bermudez, 1165 Bernardo di Chiaravalle, santo, 470, 717, 860

Bernardo di Montmirat, detto Abbas Antiquus, 494 Bernier F., 581, 953, 95S Bernouilli Jacob, 1061 Bernouilli Johann, 1061, 1063 Beroso, 883 Bertetli s., XXVIII, xxxv, XXXVI, xxxix, 9, 78, So, 107, 108, 113, 143,186,265,279,302,304,319, 322,338,345,346,349,476,509, 511,517,524, 1116, 1117, 1125, 1141, 1168, 1187 Berthé de Besaucèle L., 625 Berti A. P., S5 Bertoldo Costanziense, vedi J3er-

toldo di Reichenau Bertoldo di Reichenau, 491 Bettoni F., 267, 280, 295, 520, 5~n, 527, 529, 530, 1182

Beveridge W., 66 5, 666 Bèze Th. de, 900 Biagio da Morcone, 457 Biamonte R., XXIX Bianchi G. A., 127, 128, 168, 511, 53S, 548, 1189

Bibaculo M. Furio, 761, 1012 Bigatti, 306, 308 Bigne M. de la, 380, 1118 Bignon J ., 432 Bignon J .-P., 1074, 1075 Bill J., 541 Bingham J., xvu, xx, XXI, 587, 660, 665,666,676,678,682,683,685, 686,687,688,690,691,692,693, 694,695,699,704,706,725,745, 840, 874, 924, 926, 972 Bione, retore, 1011 Biscardi S., 41, 44, 350 Boccaccio G., 36, 484, 572, ll93

1202

INDICE DEI NOMI

Boccardo (Boccarto), vedi Bochart

s.

Bochart S., 568, 599, 609,611, 635, 740, 801' 802, 944 Bochat, vedi Loys de Bochat Boctius N., vedi Bohier N. Boerio (Boerius) N., vedi Bohier

N.

Boezio S., 416, 417, 1008 Bohicr N., 373, 430, 431, 457 Boiardo M. M., 600, 607 Bolafios (Bolagno) J., 98, 100, 155, 192 Bolza, 1147 Bonacci G., xx, xxx, xxxr, xxxn, 54,349,360,361,362,364 Bonapace S., 296 Bonaventura, santo, 864 Bonello A., 431, 457 Bonfrère J., 851, 855 Bonifacio, corrispondente di Gregorio lii, 438 Bonifacio I, papa, 691, 719, 721, 722, 725, 726 Bonifacio VIII, papa, 487, 493, 496, 497, 498, 590 Bonnant G., XXXVI, 188, 272, 523 Bonneval A., 930 Bonneval C. de, generale, 142, 551 Bonneval C.-A. de, 113 Bontinck F., 930 Borbone, principi, 3, 276, 1181 Borghese C., vedi Paolo V Borrelli M., SS Borromeo C., santo, 121 Borromeo-Arese C., 65 Bortoni G., 64, 476 Bossuet J.-B., 205, 970, 971 Bottari G. G., 1151, 1162, 1177 Bouillier F., 625 Boulainvilliers H. de, 976, 983 Bourrel J., 851 Bousquet M.-M., XXVIII, 6, 188, 212,213,281,304,306,307,311, 313,314,317,319,320,321,322, 323, 329, 523, 927, 991, 992, 996, 1175, 1190, Il9I Bower A., 186, 524 Boyer J.-B. de, marchese d'Argens, 1191

Bradwardine Th., 904 Braga G. B., 1061

Brahmà, 95S

Brancaccio, famiglia, 1071 Brancaccio F. M., 32 Brancaccio S., 32 Braubach M., 584, 1143 Breglia, vedi Solaro di Breglio G.

R.

Brenkman H., 571, 572 Brerewood E., 587, 687, 697, 959 Brigida, santa, 442. Briot M., 931, 983 Brisson B., 22, 41 Brosseria M., 1041 Broughton J., 619 Brown H. F., 280 Brunet P., 992 Brunilde, regina merovingia, 919, 921, 922 Bruno G., 583 Bruno di Magdeburg (Brunone), 491 Brunswick-Lilneburg G. A., 99 Bruto, M. Giunio, 759, 761 Bruyn C. de, 953 Bruzen de la Martinière A.-A., 957, 958 Buchanan G., 1008 Buckley S., 186, 187, 188 Budde (Buddeus) J. F., 795, 840 Budé G., 41 Buffier C., XXXI, 359 Buommatei B., 1128 Buonanni F., 487 Buonarrighi C., 739 Buonocore F., 1176, u77 Burckard J., 1101 Bumet G., 582 Burnet Th., 643 Busbecq G. O. de, 1020 Busnelli M. D., 542 Busson H., 633 Butcone, vedi Bourrcl J. Buti, Francesco di Bartolo da, 778 Bynkershoek C. van, 559 Bzowski A., 967 Cacace L., 1 129 Caco, 756 Cadmo, 941 Cafaro C., II 59 Cafaro F., II S9 Cafaro N., 1159 Cailò, 1134, 1139, 1152, 1156, 1160 Caino, 849, 850

INDICE DEI NOMI

Caissotti C. L., 509 Caligola, imperatore, 761 Callisen G., 491 Caloprese G., 51 Calvino G., 131, 904 Calvo, G. Licinio, 889 Cam, 597, 604 Camillo, M. Furio, 7S4, 938 Cammerota F., l 144 Campo D., 429 Campori M., 360 Canaan, figlio di Cam, 597 Canal M. C., 508 Canale, senatore veneziano, 1182 Canari (Canary) F., 306, 308, 310, 311, 317, 322, 339, 1191 Canciani P., 430 Candee Jacob M., 990, 992, 993 Cannarozzi C., XXXIV, 15, 78 Cano M., 1167 Cantelli G., 1061 Cantù C., 737 Capasso N., 49, 50, 73, 78, 79, 81, 173,177,182,349,362,363,375, 478, 625, I 103, I 104, 1105, 1124, II34, 1146, 1148, 1149, 1153, 1156, 1162. 1163, 1164, 1165, 1166, 1167, 1175, 1176, 1180 Capece G., marchese di Rofrano, 70, 149, 164 Capecelatro F., 56, 358 Capitone T., 82, 289, 973 Capozzuti, avvocato, 1177, 1178 Cappelli L., XXXI Capponi F., 1159 Caputo G., 59 Caracciolo, principe di Marano, 47 Caracciolo A., 56, 357, 358, 420 Caracciolo F., 42 Cnracciolo G. G., marchese di Vico, 316 Caracciolo di Torcila A. C., 277, 288 . Carafa C., 42 Carafa F., duca di Frosolone e marchese di Barnncllo, 61. 354 Carafa G., 244, 245, 248, 249 Carafa M., duca di Maddaloni, 99, I 50, 1166, 1178 Cnrafa-Quiroga, duchessa di Frosolone, madre di Francesco Carafa, 61

1203

Cinaglio, marchese di, 10 Caramelli G.. 10 Caraschetto, 1179 Caravita D., 382 Caravita N., 18, 1127 Caravita P., 457, 458 Cardano G., 1059 Cardoino, famiglia, 316 Cardoino A., 3 16 Cardoino C. 1 316 Cardona, principessa, 118, 119 Cardona A. Folch dc, arcivescovo di Valenza, 88, 98, 102, 116 1 119, 1:21, 135, 163, 585, 1073, I I 15, 1125, 1134, 1135 Cardona J. Folch de, 118, 119, 137 Cariberto, 447 Carignani, 1123 Carisio, Fl. Sosipatro, 1013 Caristia c., xx, XXXII, XXXIV, 76, 561 Carlo I d'Angiò, re di Sicilia, 276 Carlo Il, re di Spagna, 18, 58, 62, 126. 130, 132, 277, 288, 1134 Carlo I II di Borbone, re di Spagna (VII come re di Napoli e Sicilia), 153,214,242,244,245,247,248, 254,265,274,275.276,277,283, 284, 511, 543, 551, 1131, 1135, 1176, 1179, 1180, 1182, 1184, 1185 Carlo V, imperatore, 62, 197, 277, 316 Carlo VI, imperatore (Ili come re di Spagna, VI come re di Napoli), XIII, XIV, 60, 6z, 63, 80, 90, 96, 98, 99, 100, 102, 109, 110, 136,164, 198,z62,276,283 1 288, 302, 3S3, 47S, 511, 515, 584, 1073, 1074,

Il 12, 1114, 1135, 1139, 1140, 1180. 1184 Carlo VIII, re di Francia, z76, 407 Carlo Emanuele I I I di Savoia, re di Sardegna, XVIII, xix, xx111, z38,240,308,512,514,591,73z, 734, I l 86, I l 88 Carlo Magno, imperatore, 30, S7, 214,351,390,400,401,430,437, 453,454,459.461,499,559,565, 567, 846, 1071 Carlomanno, re d' Austrasia, 459 Carlomanno, figlio di Carlo Martello, 463

1204

INDICE DEI NOMI

Carlo f\1artello, 461, 463, 472 Carlo di Tocco, 430, 442, 4S7 Carneade di Cirene, 818 Caronte, 1082, 1083 Carpenter N., 812 Cartesio R., vedi Dcscartes R. Casanova G. G., 3 Casaubon I., 204, 601 Casini F. M., 113 Casini P., 991, 992, 993, 994 Cassano, barone di, 70 Cassiano G., 903 Cassio Longino, G., 759 Cassiodoro, 24, 55, 386, 393, 398, 399,400,402,403,404,405,406, 408,412,413,414,415,712,861, 873 Castellamonte A., 312 Castellani C., XXIX Castelli, 1134 Castelli D., 173, I 83, 1160 Castelli E. A., S, 75, 76, 90, 1112, I 134, II39, II47 Castelli F., 183 Castore, 941, 944, 951 Castriota N. P., 1148 Castro, padre olivetano, 528 Catalano G., 143, 152, 153, 161, 561 Catilina, L. Sergio, 383 Catone, M. Porcio, detto il Censore, 236, 528, 1009, 1010 Catrou F., 953, 955 Cattaneo P., 308 Catuffe J., XXVII Catullo, G. Valerio, 752, 761, 1012, 1085 Cavaniglia, vedi Colome A., marchese di Cavanillas Cave W., 582, 587, 682, 686, 688, 696, 972, 973 Cedreno, vedi Giorgio Cedreno Ceillier R., 795, 840 Celestir.o I, papa, 684 1 691, 692 1 719, 721, 725 Celestio, 903 Celio Rodigino, vedi Ricchieri L. Celotti P., 267, 290, S37 Celso, 1040 Cenci S., 210 Cerbellon (Serbcllon), Castelvi J. B., conte di, 135, 1179 Cerda y Aragon, L. F. de la (duca

di Medinacoeli), I 8, 48, 39, 49, 52, 58, 125, 582 1 I 102 Cerclone, 809 Cercre, 606, 941 Cerinto, 774, 809 Cerra, conte della, 150 Cervantes M., 245 1 858, 869, 871, 1009, II 12 Ccsa, 1 I 32 Cesare, G. Giulio, 441, 759, 760, 761, 1012, 1066, 1068, 1069, 1089 Cessa T., 91, 1109, 1110 Chamo, 635, 944 Chapuis A., xxvn Chardin J., 953 Chateillon S., 602, 633 Chénevé Ch., 314, 328, 329, 330, 331, 332, 333, 334 Chiesa F. A. della, 925, 973, 1077 Chigi F., vedi Alessandro VII Chindasvindo, re dei Visigoti, 389 Chioccarelli B., 462, 467 Chisciotte, vedi Don Chisciotte Chishull E., 620 Chiusano T., principe di, 99 Choppin R., 408 Cian V., 339, 1007 Cibele, 610, 941 Cicerone, M. Tullio, 639, 750, 752, 777,816,819,822,832,838,844, 891 J 936, 946, 984, 1007, 1008, 1009, 103 I,

1010 1 1032,

101 I, 1033,

1012 1 1034,

1030, 1036,

1046, 1048, 1078, 1083, 1085, 1087, 1089 Cicerone, Q. Tullio, 1031 Cienfuegos A., 130, 143, 151, 152, 153, 154, 155, 162, 168, 175, 176, 209, I 165

Cifucntes, de Silva y Menczcs F., conte di, 97, 238 Cillis, vedi De Cillis R. Cintila, re dei Visigoti, 389 Cipriano, vescovo di Cartagine e padre della Chiesa, santo, 496, 655,665,678,679,714,717,722, 723, 787, 821, 829, 838, 848 Cipriano Cisterciense, vedi Cypriano dc la Hucrga Cirillo di Gerusalemme, santo, 811, 814, 855, 861 Cirillo N., 49, 51, 52, 68, 74, 96,

INDICE DEI NOMI

349, 375, 583, 625, I 102, I 103, 1105, 1113, 1114, 1116, 1124, 1130, 1136, 1139, 1143, 1144, 1146, 1153, 1157, 1160, 1166, I 169, I 175, I 176, 1177, I 180 Ciro, re di Persia, 1038 Ciron (Cironio) I., 41, 42, 370, 384, 385, 387, 389, 391 Clarke S., 620, 991, 992 Claudia, 873 Claudia Procula, 873 Claudiano, Claudio, 24, 381, 382, 1043 Claudio, imperatore, 661, 662, 761, 764, 1043, I 066 Claudio Ap., decemviro, 763, 764, 1091 Claudio Hennerote, vedi Absirto Claudio Mamertino, 24 Clefi, re dei Longobardi, 566 Clelio, cavaliere romano, 1060 Clémcnt N., 1075 Clemente IV, papa, 503 Clemente V, papa, 493 Clemente VI, papa, 488, 489 Clemente VII, papa di Avignone, 117 Clemente VII, papa, 496 Clemente VIII, papa, 906, 907 Clemente Xl, papa, 63, 64, 65, 88, 102, 103, 125, 126, 127, 143, 144, 154,346,475,477,497,548,584, 1140, 1153, 1185 Clemente XII, papa, 99, 152, 200, 205, 254, 346, 591, I 169 Clemente XIV, papa, 43 Clemente Alessandrino, 655, 832, 835, 836, 837, 861, 1011 Clemente Romano, 723 Clemente S., 711 Clenardo, Clenardus, vedi Beke N. van der Cleombroto, 1032 Clio, 986 Clori, 1045 Clorinda, 901 Clotario 11, re dei Franchi, 447 Cliiver Ph., 426 Cocito, 220, 222, 879 Cola A., 309, 310 Colapietra R., XXXVII, 126 Coleti N., 574, S75 Coleti S., 35S

1205

Colie R. L., 619 Collatino, L. Tarquinio, 826 Colletta P., 1179 Collins A., XVI, 640, 736, 748 Colombo A., 1075 Colombo C., 487 Colome A., marchese di Cavanillas, 1133

Comba E., 316 Comite Natale, vedi Conti N. Commercio A. de, 1 1 58 Commynes Ph. de, 408 Comparato V. I., XXXVIII, 64, 79, 557, 582, 583, 792, 793 Comparelli G. B., 18 Concina D., 895 Condé, L.-H. de Bourbon, principe di, I 136 Condillac, Bonnot de É., 735 Confucio, 95S, 956 Coniglio G., xxxvii Connan F. de, 41, 409, 444 Conradt I., 621 Conring H., 370 Consenzio, corrispondente di sant 'Agostino, 863 Contarini G., 302, 509 Contarini N., 982 Contegna P., 78, 99, 150, S57, 1103, 1114, 1117, 1157,

I

166,

I

174,

1178 Conti A., 8, 267, 280, 295, 508, 520, 521,530,737,991,994,995, 1000 Conti M., vedi Innocenzo XIII Conti N., 959 Conversano, Acquaviva d'Aragona G. A., conte di, 92, 93, 257 Copernico N., 1075, 1136 Coppola A., 1132, 1136 Cornelio, centurione romano, 716 Cornelio, papa, 711 Cornelio T., 59 Cornelio a Lapide, vedi Comelissen van den Staen C. Cornelissen van den Staei, C., 8-;5, 876, 877 Corner (Cornaro) A., 267, 295, 302, 305, 520, 527, 530 Corona G., vedi Menochio G. S. Corrado II, imperatore, detto il Salico, 454, 559, 567, 568, 569, 570 Corrado I 11, re dei Romani, 450 Corrado di Lichtenau, 491

1206

INDICE DEI NOMI

Correr F. A., 287, 518 Corsano A., XXI, XXXII,

XXXIII,

XXXIV

Corsini B., marchese di Casigliano, 254 Corsini L., vedi Clemente XII Corsini N., cardinale, XVIII, XIX Cortanze, marchese di, vedi Roero di Cortanze E. T. Cortés J. L., 371 Cortese N., 41, 43, 352, 1179 Coscia F., 200, 201 Coscia N., cardinale, 151, 153, 162, 173, 200, 201, 205, 206, 209, u35, II43, 1155 Cossart G., 680, 685, 690, 691, 696, 704, 706 Cosso Cornelio, console, 7 59 Costa G., vedi Lacoste J. Costadoni A., uo1 Costante -1, imperatore, 712 Costantino, metropolitano di Cipri, . 465 Costantino I il Grande, imperatore, 22, 23, 28, 29, 30, 3 I, 55, 233, 377,444,457,493,494,654,655, 656,657,658,659,660,661,663, 664,665,666,667,668,675,676, 678,679,699,702,712,725,745, 772,777,787,788,882,926,952, 964, 982, 1034 Costantino V Copronimo, imperatore d'Oriente, 437, 462, 464 Costantino VII Porfirogenito, 422, 424 Costantino II, antipapa, 458, 459 Costantino A., xxu, XXIII, 585, 586, 944 Costanza d'Altavilla, imperatrice, 30, 575:, 576 Costanzo Il, imperatore, 712 Cotelier J.-B., 824 Cotes-R., 992, 993 Coti, segretario di Eugenio di Savoia, 1173 Cotugno R., 52 Covarrubias y Leyva D., 391 Coward W., 587, 618, 619, 620 Cozzi G., 982 Cremuzio Cordo, A., 741, 7S9, 761 Crcscenzi P. de', II37 Crescimbeni G. M., 55, u28 Crevier J.-B.-L., 739

Cristofano, 461 Cristofolini P., 627 Crivelli G., 268, 521 Croce B., xxx, XXXVI, 350, 11 ss, u61 Crodegango, vescovo di Metz, 466 Cronografo Sassone, 491 Cruz F. de la, u26 Cudworth R., 618, 620 Cujas J., 26, 41, 315,350,357, 370 385,387,391,392,444,447,448: 449, 45 I, I l 3 I, I l 57 Cumberland R., 792, 804, 817 Cupido, 940 Curcio C., xxxv Curti F., 457 Curtis, 1180 Curzio M., 1087 Curzio Rufo, Q., 765, 1092 Cusano (Cusani) M. P., 258, 261, 263, 266 Cutini, 1122 Cypriano de la Huerga, 853 Dadin de Hauteserre A., 370, 380, 381,382,383,384,385,386,387, 389, 402, 468, 677 D'Afflitto E., 33, 126 D'Afflitto M., 373, 408, 458 D'Afflitto N., 68, 69 Dagon, 944 Daillé J., 690, 794, 795, 840 Dale A. van, 736 D'Alessandro A., 457, 767, 768, 1013, 1092, 1093 Dalida (Dalila), 855 Dalmasas, 1158 Damasceno, vedi Giovanni Damasceno Damaso I, papa, 657, 721, 850 Danao, 941 D'Andrea F., 41, 43, 44, 59, 35o, 35 I, 352, 354, 373, 582 D'Andrea G., 59, 125, 352 Daniele, profeta, 845, 1029, 1037 Daniele da Ischitella, 15 Dario, re di Persia, 664, 1081 Darmon (Orman) J. A., 109, 1122, 1137, 1139, 1148 Darmon L., 1122 Dato, duca di Toscana, 447 Dattilo S., 1123, 1155, 1163 Dattoli F., 1147

INDICE DEI NOMI

Daun, Wierich Ph. L., von, x1n, 60, 63, 65, 74, 88, 142, 239, 353 Davide, re d'Israele, 23 1, 487, 5 54, 603, 648, 859, 861, 875, 893, 1008, 1080, 1097, 1191, II93 Daviso di Charvensod M. C., 408 De Benedictis G. B., 64, 79 De Budé E., 324, 927 Deciano T., 388 De Cillis R., 89, 95, 107, 108, 173 Decio, imperatore, 787 Dee io F., 494 Decio Mure, P., 1087 De Crescenzio G., 77 De Dominis M. A., 157 1 541 1 561, 582, 587, 928 Degcn {Schegk) J., 613 De Giovanni B., 43, 582 Della Casa G., 835 Della Noce A., 357 1 410, 422, 469 Della Porta G. B., 72 Della Porta N., 72 Della Valle P., 9541 955, 977, 1018, 1083 Delminio G. C., 35, 36 Dc Luca G. B., 373, u58, 1159 De Luca F. 1\1., 876 De Magistris G. A., 346 Demetrio di Falero, 36, 1008 Democrito, 612, 742, 751, 752, 1005, 1084 Denari, vedi Odofredo Denari Denis M., 96, 1076, 1137, 1167 Derham W., 992 De Rosa L., xxxvi 11 De Ruggiero G., xxx, XXXII, XXXIII, 4, 363, 586 De Samnitibus M. C., XVII, 593, 615,663,680,710,712,716,991 De Sanctis F., xxx Descartes R., 4, 33, 35, 49, 50, 120, 483,581,586,587,619,621,624, 625,626,627,631,632,633,635, 638,641,642,643,644,645,646, 647, 998, 1002, 1017, 1075, 1102 Desiderio, re dei Longobardi, 454, 459, 461 Desmaiseaux P., 957 Desmonceaux dc Villeneuve, XXVII Dc Tipaldo E., 93 Deusing A., 613, 614 1 615 De Vita G., 207 Deyling S., 586, 587 1 588, 602, 618,

1207

619,620,621,639,640,742,942 Diana, 940, 944 Diana A. 1 815 Di Capua G., n35 Di Cesare, 1 I s I Di Costanzo A., 56, 357, 358, 3S9, 361 Didimo, 451 Diedo L., 1182 Diels H., 1084 Di Giovanni B., XXXVII Di Maio M., 90, 105, 113, 1122 Diocleziano, G. A. Valerio, impera.. tore, 426, 457, 787 Diodoro Siculo, 204, 219, 22 r, 222, 223,601,603,607,608,609,610, 624,633,635,638,639,756,769, 866,882,883,939,942,943,998, 1012, 1028, 1078, 1082, 1083 Diogene di Apollonia ( ?), 1048 Diogene di Sinope, 160 Diogene Laerzio, 34, 1011 Diomede, 864 Dione Cassio Cocceiano, 22, 1020 Dione Siracusano, 1092 Dionigi d'Alessandria, santo, 655 Dionigi il Certosino, 864, 871, 877 Dionigi di Corinto, santo, 654 Dionigi il Piccolo, 681 Dionisio, vescovo di Milano, 693 Dionisio Cartusiano, vedi Dionigi il Certosino Dionisotti C., 308 D'Ippolito V., 81, 349, 362, 37S, 1103, 1105, 1131, n46, 1160, 1166, 1169, 1176, 1180 Diri, 635 Dite, 1036 Di Vittorio A., XXXVIII Dodwell H., xxi, 4, 587, 620 Dolce L., 437 Dolfin P., 1101 Domenico di Guzman, santo, 480, 481 Domiziano, T. Flavio, imperatore, 778, 779 Domnina, 826 Donatello d'Ischitella F., 1124 Donato F. A., 16 Don Chisciotte, 858, 8691 871, II 13 Doria A., 87 Doria C., 99, 115, 119, 120, 14-9, 183, 1144

1208

INDICE DEI NOMI

Doria P. M., 44 Doria S., cardinale, 205, 206, 210 D'Orléans P.-J., 956 Doroteo, giurista bizantino, 18, 1011

Douaren F., 41 Doujat J., 31, 32, 370, 738, 739 Druso, 1044 Dubii, u47 Du Cange, Dufresne Ch., 443, 451, 452

Duchesne F., 686 Duck A., 53, 351, 354, 365, 369, 370, 381, 388, 391, 394 Duguet J.-J ., 734, 735 Du Halde J.-B., 956 Dulcito, 844 Du Lignon B., 188 Dumoulin Ch., 125, 372, 573, 784 Du Moulin P., 916, 917, 919, 920 Duns Scoto G., 16, 33, 613 Du Perron, J. Davy, cardinale, 179 Du Pin L. E., xvn, XXXIII, 4, 108, 204,355,437,541,561,582,587, 605,664,665,666,667,668,669, 670,672,673,674,675,676,677, 680,681,683,684,685,691,692, 697,703,704,705,714,715,725, 745,794,884,919,920,921,924, 926, 928 Durante G., 49S Du Tillet J., sieur de La Bussière, 387 Eckhardt J. G., 400 Ecuba, 852 Efrem, santo, 849 Egeria, 943, 1028 Egesia di Cirene, 822 Egisippo, 654 Egizio M., 80, 211, 276, 359, 557, 1107, J 131, l 176 Elia, profeta, 846, 893 Eliano Cl., 609, 1020, 102 1, 1043, 1047, 1056, 1059 Eliodoro, santo, 805 Elisabetta, santa, 648 Elisabetta di Brunswick-Wolfenbiittel-Lilneburg, imperatrice,95, 1124 Elisabetta Farnese, regina di Spagna, l 32, 242, 266, 274 Eliu Buzite, 632

Elpidio, medico di Teodorico, 417 Emilio P., 379, 381 Emma dei conti di Lecce, 56 Empedocle, 1048 Enario, 1036 Encelado, 1095 Enea, 611, 740, 940, 1093 Enetone, 941 Engelhusen D., 656 Ennio Q., 1087, 1095 Ennodio, M. F., 397, 398,411, 415, 712 Enoch, 845, 846 Enrico I, re di Germania, 454 Enrico I I il Santo, imperatore, 569, 570 Enrico IV, imperatore, 490 Enrico VI, imperatore, 30, 56 Enrico IV, re di Francia, 41, 179 Enrico VII, re d'Inghilterra, 858 Eolo, 951 Epicuro, 34, 169, 483, 612, 742, 751, 752, 816, 819, 1084 Epifanio, santo, 660, 699, 707, 709, 848, 849, 855, 864, 870, 875, 1013, 1014 Epitteto, 1011 Eraclio, 655 Eraclito, 837, 1084 Erasmo da Rotterdam, 496, 884, 965, l l 3 I Erchemperto, 56, 358, 420 Ercole, 755, 756, 757, 940, 1089 Erhard J., 644, 1017 Ermenegildo, santo, 1118 Ermogeniano, giurista romano, 457 Ermotino Clazomenio, 1036 Erode Antipa, 648, 662 Erode il Grande, re di Giudea, 744 Erodoto, 204, 221, 600, 601, 606, 607,608,639,664,756,937,939, 946, 101 I, 1024, 1033 Erra C. A., 210 Esaù,843, 855,873 Escalona, duca di, vedi Vilhena, J. M. F. Pacheco, marchese di Esculapio, 940, 951, 1036 Esdra, 224 Esiodo, 600 Esmandia, 141, 192, 193, 195, 207, 208 Espen Z. B. van, 41, 42, 142, 288,

INDICE DEI NOMI

541, 587, 924, 928, 1102, 1107 Esprassia, 462 Este, casa d', XII, XIV, 301 Estibius Psychalethes, vedi Coward

w.

Etmiiller M., 1123, 1157, u61 Eucherio di Lione, 855 Eufrasia, santa, 878 Eugenio lii, papa, 470 Eulogio, patriarca di Alessandria, 714 Eumenio, retore romano, 24 Eunapio, storico greco, 24 Eurialo, 901 Euripide, 609, 611 Eusebio, vescovo di Nicomedia, 787 Eusebio di Cesarea, 31, 204, 232, 610, 611, 636, 637, 654, 655, 658,664,784,806,813,824,873, 881, 882, 884, 964, 1034 Eusebio di Samosata, santo, 724 Eusebio Filopatro, vedi Sanfelice G. Eustazio, vescovo di Berito, 669 Eustazio di Tcssalonica ( ?), 609 Eutarico, principe del ramo degli Amali spagnoli, 417, 566 Eutichio, esarca di Ravenna, 433, 434, 435 Eutimio, 862 Eva, 626, 627, 846, 847, 848, 850, 876, 898 Evagrio Scolastico, 39S, 707, 964 Evandro, 756 Evarico, re dei Goti, 380, 382, 384, 385, 388, 389 Ezechia, re di Giuda, 1081 Ezechiele, profeta, 87 5 Fabio d'Anna, 457, 458 Fabio Massimo, Q., il Temporeggiatore, 1070 Fabio l\tlassimo Allobrogico, Q., 337, 342 Fabrc J .-C., 968 Fabri F., 520 Fabricius J. A., 656, 960 Fabroni A., XXVIII Fabrotus C. A., 26, 437 Fages H. D., 874 Falcando U., 410 Falcone di Benevento, 358, 420

1209

Falconilla, 488 Farnese O., duca di Parma, 242 Fasano T., 72 Fatini G., 419 Favila, padre del re delle Asturie Pelagio, 393 Favre A., 40 Favre J.-C., vedi Fabre J.-C. Faye B., 409 Faye J. de la, s86, 602, 640, 748, 761 Federico, figlio di Teodorico I, re dei Visigoti, 380, 381, 393 Federico, langravio di Hessen-Kassel, J 18 Federico, duca di Saxe-Gotha, 318 Federico I d'Aragona, re di Napoli, 275, 560 Federico I Barbarossa, imperatore, 270, 449, 450, 522, 568, S77 Federico II, imperatore, 30, 56, 325, 326,44-8,456,457,559,576, 1162 Federico II il Grande, re di Prussia, 1161 Federico Augusto di Sassonia, vedi Augusto I I il Forte, re di Polonia Federico Augusto II, elettore di Sassonia, vedi Augusto III, re di Polonia Felice A., procuratore della Giudea, 884, 885 Felino Sandeo, vedi Sandeo F. Ferdinando il Cattolico, I I (V) d'Aragona (III di Napoli, II di Sicilia), 275, 389 Ferdinando I d'Aragona, re di Napoli, 275 Ferdinando I il Grande, re di Castiglia e di Leon, 391 Ferdinando I d'Asburgo, imperatore, 205 Ferdinando II d'Asburgo, imperatore, 1041 Ferdinando VI il Saggio, re di Spagna, I 19, 262 1 275, I 182 Ferecide di Siro, 1083 Femel J., 615, 616 Ferrante l\tl. di, 1151 Ferrara F., XXXVII Ferrara N ., 74 Ferrara Aulisio N., 1128, 1129

1210

INDICE DEI NOMI

Ferreri V., santo, 117, 118, 874 Festo, S. Pompeo, 452 Festo Porcio, vedi Porcio Festo Feza, 407 Figueroa, conte, 1179 Figueroa, contessa, figlia del marchese di Rialp, I 14 Filallete, vescovo di Cesarea, 672 Filesac J., 460 Filippi, archivista, 328 Filippo, 655 Filippo, antipapa, 459 Filippo, duca d'Angiò, vedi Filippo V, re di Spagna Filippo Il, re di Macedonia, 769, 864, 1090 Filippo Il, re di Spagna, 143, 162 Filippo IV, re di Spagna, 159, 253, 316 . Filippo V, re di Spagna, 39, 57, 58, 60, 62, 132, 134, 135, 242, 266, 273,275,277,283,353 Filippo G., 842 Filone di Alessandria (Filone Ebreo), 636 Filone Erennio (Filone Biblio), 610 Filostorgio, 24, 656, 964 Filostrato Fl., 609, 1093 Finalino, 310 Fiorelli G., 982 Fiorentino (Marco Emilio), 437 Fiorentino F., xxxvi Fiori o Fiore N., 91, 93, 1109, I 110 1 II 12

Finniliano, vescovo di Cesarea, 679 Fischer von Erlach J. E., 205 Flacio Illirico (Matthias Vlacich), 966 Fleischmann A. F. von, 90 Fleury A.-H., cardinale, 215, 238 Fleury Cl., XXXIII, 31, 464, 466, 468,582,669,920,931,934,968, 969, 1189 Fleury F., 331 Floro, L. Anneo, 739 Focas, imperatore d'Oriente, 919, 921, 922, 923 Fodale S., 561 Folco Ili, conte d'Angiò, detto Nerra (il Nero), 686 Folco da Cividale del Friuli, 443 Fontanini G., 349, 350, 363, 443, 475, 476, 510, 1168

Forastieri F., 170 Forlosia N., XVII, 205, 217, 259, 326, S57, 584, 1073, 1074, 1075, 1077, 1150 Fortunato, destinatario di un'opera di Tertulliano, 821 Fortunato, vescovo di Aquileia, 693 Fouquet N., 1009 Fozio, patriarca di Costantinopoli, 603, 638, 639, 669, 707, 1012, 1078 Fraggianni N., 93, 175, 195, 524, 1110, 1164, 1166 Fraggianni S., I 110 Framondo, vedi Froidmund L. Francesca da Rimini, vedi Polenta, Francesca da Francesco d'Assisi, santo, 180, 479, 480 Francesco Borgia, santo, I 31 Francesco Caracciolo, santo, 43 Francesco I di Valois, re di Francia, 41 Franchis F., 82, 484 Franciosini L., 869 Franck G. C., 1158 Franckenau G. E. F. von, 371 François J., 267 Frangipani O. M., 905 Frati C., 64 Freccia M., 1 I 49 Freher M., 418 Freinsheim J., 738, 739 Froidmund L., 908 Frosolone, duca di, vedi Carafa F. Frosolone, duchessa di, vedi Carafa-Quiroga Frouliba, moglie di Pelagio re delle Asturie, 393 Froullay, marchese di (ambasciatore francese a Venezia), 280 Fubini M., xxxv Fucnclara, conte di (ambasciatore spagnolo a V cnezia), 262, s18, 551, 1182, 1183 Fueter E., XXXII, XXXIV, 966, 968, 969 Fuller N., 568 Gabriele, arcangelo, 869, 977 Gaio, giurista, 386, 388 Galba, Servio Sulpicio, imperatore, 761

INDICE DEI NOMI

Galeno Claudio, 4, S 1, 452, 4S3, 613, 1040, 1062 Galeotto, 35 Galiani C., 49, 58, 152, 156, 3S9, 990, 1145 Galiani F., xxx, 258, I 145 Galiffe J.-B.-G., 316 Galizia N., 80 Galla Placidia, 381, 690, 691 Gamaliele, 744, 783, 784 Gamba B., 267, 1103 Gaquère F., 968 Garelli G. B., 96, 256, I 174 Garelli. P. N., xvn, 37, 49, 96, 97, 100, 106, 112, 116, 118, 119, 131, 142,182,186,196,203,205,255, 259,325,326, 362,363,4j8,551, 584, 1073, 1074, 1076, I I 14, 1115, 1116, 1117, 1119, 1128, IIJO, 1136, 1137, 1143, 1144, II45, 1146, 1149, II50, 1151, 1153, n56, 1157, u58, n69, 1174, 1178 Garet J., 415 Garibotto C., 139, 1175 Garofalo B., 128, 173, 174, 183, 195,363,477,478,509,517,524, 558, 584, IIOJ, 1105, 1149, 1151, 1153, 1157, 1163, n68, 1171, 1172, 1173, 1177 Gasch J., 143 Gaspare, uno dei re magi, 868 Gassendi P., 4, 33, 34, 35, 42, 49, 50, 581, 616, 633, 646, 1102 Gaudioso, santo, 467 Gautruche P., 959 Gazier A., 81 S, 908, 909, 911 Gebeleizim, 607 Gelasio I, papa, 401, 402, 703, 707, 720 Gellio A., 1011, 1013, 1022, 1025 Gemelli, 1139 Gemma C., 1064 Génébrard G., 848

Gennaro, vescovo di Benevento, santo, 82, 86, 89, 90, 91, 92, 95, II2, 426, 479, 568, 693, li II Gennaro, preside del Sannio, 404 Genovesi A., XVIII, 258 Genserico, re dei Vandali e degli Alani, 380, 397, 707 Gentile G., xxx, XXXI, XXXII, XX.XIII, 359, 361, 363, 364

1211

Gentilotti von Engelsbrunn J. B., 100, 205, 584, 1073, 1074

Geoffroy C.-J., 1015 Geoffroy t.-F., 1015 Georg Callisen, 491 Georgisch P., 430 Geremia, profeta, 486, 604, 862, 875 Gerhoh di Reichersberg, 491 Gerlint, moglie di Folco da Cividale, 443 Germanico, Giulio Cesare, 1044 Germano I, patriarca di Costantinopoli, santo, 438 Germon B., 443 Gerson J. de, 471 Gesner J. M., 739 Gesù Cristo, XXIV, 228, 229, 230, 233,235,236,260,271,412,439, 440,467,479,480,481,488,493, 494,497,500,501,502,588,589, 622,626,648,649,650,651,659, 660,665,666,679,686,699,700,

702,708,711,713,715,716,720, 721,722,723,725,744,772,776, 782,783,787,808,809,810,820, 821,827,828,830,833,835,837,

849,859,860,861,862,863,864, 865,866,868,870,872,873,875, 882,883,884,893,905,906,908, 918, 947, 961, 977, 978, 1001,

1038, 1040, 1096 Gherardesca Ugolino della, 35 Ghezzi (Ghezi), marchese, 267, 520 Ghilini G., 517 Giacobbe, 594, 635, 1029 Giacomo, parente di Gesù, 650 Giacomo il Minore, vescovo di Gerusalemme, santo, 716, 723, 867

Giacomo di Edessa, 849 Gian Gastone de' Medici, granduca di Toscana, 257 Giannantonio P., XXXVI Giannettasio N. P., 49, 374, 440, l 102 Giannone C., 15, 38, 47, 70, 72, 76, 82, 95, 107, 138, 166, 173, 180, 197, 362, 543, 558, 735, 1103, 1104, 1105, 1106, II 14, II 17, 1120 1 1122, II28, 1130, 1132, 1134, 1142, ll4J, II46, 1147,

1075, 1109,

1125, IIJ5, II48,

1212

INDICE DEI NOMI

1151, 1152, 1153, 1155, 1156, 1157, n6o, 1162, 1163, 1164 1 I l 66, I l 74, I l 78, li 79, 119 I Giannone Carmina F., 76, 1147 Giannone Fortunata, 1106 Giannone Francescu, 15 Giannone G., xxvnI, 5, 9, ;6, 217, 285,331,335,337,509,517,731, 732, 733, 734, I 102, 1103, I 105, 1106, 1107, 1109, I 1101 1132, I 134, I 145 1 I 147 1 I 187 Giannone Pasquale, 45 Giannone Pietro da Capuano, 1124 Giannone S., 15, 17, 1124 Giannone T., 15 Giannone V., 15, 67, II 34, 1147, 1192 Giannone-Alitto, famiglia, 15, 1148 Giannone-Alitto A., 1148 Giano, 635 Giansenio, vedi Jansen C. Giasone, 941 Giasone del Maino, 495 Gibbon E.; XVIII, 953 Gimma G., 35, 581, 1131 Gioacchino, santo, 87 5 Giobbe, 219, 235, 622, 632, 852, 853, 875, 915, 939, 998, 1059, 1080 Gioffrcdo il giovane, vedi Geoffroy C.-J. Giona, profeta, 875 Giordane, 24, 55, 380, 381, 395, 397, 401, 417, 712 Giordano F., vedi Giorgio F. Giorgio F., 845 Giorgio Cedreno, 436, 437, 656 Giosuè, 632, 843, 875 Giovanna I d'Angiò, regina di Napoli, 458 Giovanna II d'Angiò, regina di Napoli, 275 Giovanni, evangelista, 14, 344, 652, 715,716,774,779,814,831,839, 846,861,862,864,865,977 Giovanni, patriarca di Costantinopoli, 708, 715 Giovanni, sottodiacono, corrispondente di Gregorio Magno, 695 Giovanni, vescovo di Efeso, 46 S Giovanni Il, re di Catalogna-Aragona, I di Navarra, 275 Giovanni III, re di Portogallo, 407

Giovanni XVI Il, papa, 686 Giovanni XXII, papa, 493 Giovanni Battista; 648, 650, 8201 830, 831, 869, 875, 978 Giovanni Crisostomo, santo, 224, 651,665,705,717,723,826,848, 849, 853, 859, 971 Giovanni Damasceno, santo, 437, 845, 847 Giovanni Diacono, 921, 1092 Giovanni di Napoli, 462 Giovanni Nepomiceno, santo, 118 Giove,217,601,610,624,754,756, 772, 837, 940, 941, 943, 1028 Giovenale, D. Giunio, 938, 1034 Gioviano, imperatore, 712 Giovio P., 982 Girolamo, santo, 31, 211, 344, 655, 717,723,724,805,825,833,845, 848,850,854,855,864,881,883, 884, 960, 1008, 1012, 1013, 1021, 1037 Giuda Iscariota, 330, 862, 873, 874, 1038 Giuda Taddeo, apostolo, 650 Giuliano l'Apostata, imperatore, 712, 717 Giulio II, papa, 187, 494, 496 Giulio III, papa, 487 Giulio Africano, 654 Giunone,872 1 940,978, 1035, 1045 Giuseppe, parente di Gesù, 650 Giuseppe, santo, 6, 648, 869, 870, 872, 875 Giuseppe I, imperatore, XIV, 60, 62, 98, 99, 109,

I 10 1

226, 256, 353,

475 Giuseppe Flavio, 203, 204, 223, 612,662,806,854,857,873,881, 884, 885, 961, 1037, 1038, 1064, 1066 Giustininn P., 2.70 Giustiniani, gentiluomo veneziano, 268 Giustiniani L., 19, 45, 49, 64, 76, 93, 350, 583

Giustiniano I, imperatore d'Oriente, 18, 19, 2.0, 21, 22., 23, 24, 26, 27, 29, 55, 57, 158, 159, 160, 198, 351,386,390,391,392,398,399,

400,410,441,442,461,559,566, 572,654,661,662,663,668,671, 688,689,692,700,701,703,707,

INDICE DEI NOMI

708,709,712,718,752,768,936, 1011, 1078, 1088, 1188 Giustiniano I I Rinotmeto, imperatore d'Oriente, 688 Giustino, santo, 655, 823, 856, 882 Giustino I, imperatore d'Oriente, 697 Giustino II, imperatore d'Oriente, 378 Giustino Giuniano M., 883, 943, 1028 Glass S., 834 Gnosio, 1036 Godeau A., 968, 971 Godefroy D., 41 Godefroy J., 24, 41, 42, 55, 63,315, 386,387,388,389,390,402,410, 453, 681 Goffredo da Viterbo, 491 Goiarico, 386, 387 Goldast von Heiminsfeld M., 382, 430, 432, 1137 Goldoni C., 280, 508 Golschcrus, monaco, 491 Gomar F., 900, 901 Gomes L., 495 Gonzalez G., 390 Gonzalcz y Virtus E., 41, 42 Gorgia Leontino, 1009, 1010 Gorin de Saint-Amour L., 910 Gossc H.-A., xxvu Gosse P., XXVII Gotofrcdo, vedi Godefroy J. Gottschalk von Orbais, 904 Gradenigo M., 287 Gracvius J. G., 429, 802 Grandi G., 571, 572 Gran Mogòl, 954 Grasset F., XXVII, XXVIII Grasso F., 371 Gravier G., XXVII, XXVIII, 365, 483 Gravina G. V., 51, 559 Graziano da Chiusi, 27, 30, 125, 388,402,444,486,495,498,656, 657, 661, 713 Grégoire P., 1060 Gregoriano o Gregorio, 386, 408, 456, 457 Gregorio I Magno, papo, 450, 488, 654,684,694,695,708,714,715, 727,736,737,792,795,798,853, 855,877,887,890,915,916,917, 918,919,920,921,922,923,924,

1213

925,926,927,928,929,952,964, 980, 1092, I I 18 Gregorio Il, papa, 432, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440 Gregorio II I, papa, 437, 438 Gregorio VII, papa, 157, 172, 438, 487,490,491,492,496,727,918, 1135 Gregorio IX, papa, 494 Gregorio X, papa, 495 Gregorio XIII, papa, 882 Gregorio XIV, papa, 905 Gregorio Nazianzeno, 723, 971 Gregorio Tolosano, vedi Grégoire

P. Gregorio di Tours, 380, 385, 920, JI18

Gregory D., 993 Grcgory T., 614 Grimaldi C., XI, XIII, XIV, 64, 65, 79, 102, 106, 174, 195, 353, 354, 360, 362, 363, 476, 557, 582, 793, IIOJ,

1105,

Il

19

Grimaldi Ginesio, 560 Grimaldi Girolamo, 100, 117, 124, 176, 184, 1127, 1145 Grimaldi Gregorio, 556, 5S7, 558, 559, 560, 561, 563, I 163, 1185 Grimani (fratelli), 279 Grimani V., 60, 63, 65

I

178,

Grimoaldo I, duca di Benevento, re dei Longobardi, 429, 566 Grimoaldo Ili, principe di Benevento, 214,565,567 Grischovius J. H., 660 Gronov J., 738 Gronov J. F., 738, 739, 830 Groot (Grozio, Grotius) H. van, 55, 350, 354, 355, 357, 379,380,381,382,385,386,389, 391,393,395,397,398,401,405, 406,408,410,411,412,413,414, 415,416,417,419,420,425,429, 432,441,442,443,445,446,447, 450,451,453,456,466,582,599, 801, 830, 901, 1008, 1012, 1024, XIV, XXXIII,

I II8, ~161

Guadagno V., xxxiv, 58 Guaimaro, principe di Salerno, 870 Guarino Veronese, 204 Guastaldi G., 328, 331, 332, 333, 334, 33S, 336, 337, 339, 340

1214

INDICE DEI NOMI

Guerci L., 735 Guevara, 1122 Guglielmo I il Malo, re di Sicilia, 573, 576, 577 Guglielmo II il Buono, re di Sicilia, 410, 573 Guglielmo III, re di Sicilia, 56,457, 576 Guicciardini F., 37 1 582 Guidetti A., 301, 535, 1189 Guido, duca di Spoleto, 454 Guinart P. R., 245, 334 Guisa, famiglia, 23 Gundeberga, regina dei Longobardi, 447 Gundemaro, re dei Visigoti, 389 Gunther de Pairis, 450 Gussainville P. de, 916 Guzman L. de, 1041 Habert I., 468 Hain L., 428 Halloix P., 856 Hanggi A., I 04 Hans S., 492 Hansiz M., 972 Hardouin (Arduino) J., 187, 188, 762,808,845,924,936,944,989, 990, I0I I I 1012, 1020, 1023, 1043, 1059, 1062, 1063, 1065, 1067, 1078 Harmensz J., 900, 901 Harrach A. Th. R. von, viceré di Napoli, 136, 166, 167, 171, 172, 175,177,195,208,209,248,557, I165, II74 Harrach F. von, 183, 195, 1169 Harrach J. E. von, 167, 1171, 1172 Hartel G., 398 Hasselbach Th., 841 Hassia-Cassel, vedi Federico langravio di Hessen-Kassel Hauteserre, vedi Dadin de Hauteserre A. Haverkamp S., 778 Haym N. F., 1168 Heame Th., 739 Heidenberg I., detto Tritheim, 1092 Hermant G., 971 Herold B. J., 430 Hesperio, 1092 Hessels J., 904

Hierone Pamfilo, 1036 Hincmar, vescovo di Reims, 685 Hincmar di Laon, 685 Hobbes Th., 217, 792, 804, 817, 999, 1004 Hofstetcr J. A., 621 Hogarth W., 3 Hohendorf G. W., 584, 585, 619, 929, 930, 1073 Holtzmann W., 204, 437 Honthein J. N. von, xv111 Horn G., 599 Hotman F., 41, 784 Hudson J ., 204 Huet P.-D., xvn, xxi, xxnr, ,cxv, 583,586,599,600,748,944 Huygens Ch., 642 Hyde Th., 959, 983 Iacopo, arcivescovo di Capua, n62 Iafet, 596, 597, 604 ldazio, vescovo, cronista, 380 lefte, 942 Ierocle, 453 Ifigenia, 942 Ignazio di Loyola, santo, 130 Ilario, papa, 727 Ildaris C., 99, u48 Ilderis, forse Ildaris C., vedi Imeneo, 940 Imerio, sofista, 1 o 1 2 Imperiali M., marchese d'Oira, 92 Imperiali R., 349 Innocenzo I, papa, 718, 719, 721, 722, 725 Innocenzo Il, papa, 572, 573 Innocenzo III, papa, 30, 590, 661 Innocenzo IV, papa, 123 Innocenzo VIII, papa, 486, 499 Innocenzo X, papa, 910 Innocenzo XI, papa, 32, 373, J 159 Innocenzo Xlii, papa, 102, JIJ, 117, 123, 125, 126, 142, 205, 47S, 476, 477, 548 Intieri B., 1162 Iordanes, vedi Giordane Ippocrate, 613 Ippolito Africano, 655 Irene, imperatrice d'Oriente, 437, 464 Ireneo di Lione, santo, 655, 678, 714, 725, 855, 882 Isabella, 878

INDICE DEI NOMI

Isacco,213,594,598,635,837,942, 1029

Isacco I Comneno, imperatore d'Oriente, 437 Isaia, profeta, 187, 603, 622, 632, 814,842,848,849,860,861,875, 1037, 1038, 1081 Ischitella principe di, vedi Pinto y Mendoza F. E. Iselin (lselius) J. R., 1150 Isidoro di Siviglia, santo, 380, 381, 382, 384, 389, 411, 452, 855, 1043, 1054, 1118 Ismaele, 977, 983 lsmeno, mago, 1069 Isocrate, 1009, 1010 I van V Alekseevic, zar di Russia, 226 Ivo di Chartres, 388, 685

James Th., 920

Jammer M., 633 Jansen C., 908, 909, 910, 911 Jarke J., 960 J emolo A. C., xxxu, XXXIII Jordan Ch.-J;:., 1161 Jouvancy J. de, 959 Jurieu P., 971 Kampfer E., 956 Kapp (Kappio) J. E., 165 Keckermann B., 1064 Kipping H., 568 Kollar A. F., 1073 Kramnick I., 993 Kranz W., 1084 Kuyck H. van, 905 Labbé Ch., 392 Labbé Ph., 680, 685, 690, 691, 696, 704, 706, 1078 Labeo F., vedi Labbé Ph. Labrousse J;:., 1061 Lacoste J., 370 La Croix de, 983 La Forge L. de, 49, 634, 647 Lama B. A., xvn, 259, 509, 584, 642, 990, 991, u88 Lambeck P., ìo72, 1073, 1074 Lambertini P., vedi Benedetto XIV Lamberto di Hersfeld, 491 Lampria, 1031, 1032 Lampridio E., 772, 1053

1215

Lamy G., 581 Lancellotti G. P., 18, 27, 57 Lancillotti S., 3 Landau M., XXXVI Landolfo, conte di Capua, 567 Lange F. A., 614, 620 Langestein H. H. von, 841 Lanzina y Ulloa A., duca di Lauria, 172, 173, 516, 1180, 1183 Larzio Licinio, 1015 Laterza G., XXXI, XXXIII Latona, 940 Lattanzio F., 232, 655, 798, 8o3, 811,819,823,829,860,882,883, 887, 945, 949, 1033, 1036, 1043, 1044, 1048, 1049, 1057 Launoy J. de, 461, 682 Lauretus M., 421 Lauria y Ulloa, vedi Lanzina y Ulloa A. Laurino, duca di, vedi Spinelli Giuseppe Laurisio Tragiense, vedi Bianchi

G. A. Lautrec Odet de Foix visconte di, 86, 87 Lavardin J., 410 Lazius W., 420, 599 Lazzarini D., 509, 517, 1187 Le Blanc, cavaliere sabaudo, 337, 339, 341 Le Bouyer de Fontenelle B., XXIV Le Bret J. F., xxvu, 189 Le Brun C., vedi Bruyn C. de Lecler J., 796 Leclerc D., 315, u28 Leclerc J., XVII, XXI, 315, 739, 741, 802, 840, 1008 Leclercq H., 801 Leclercq J., 685 Le Comte L.-D., 956 Leconte A., 41 Le Fèvre T., 884 Leibniz W. G., x111, 142, 267, 491, 585, 993, 996, 1071, 1101 Leichsenhoffen E., S, 147,148,259, 260 Leichsenhoffen Th., baronessa di Linzwal; 109, 110, 146, 202, 218, 260, 1122 Lemnius L., 568 Lenglet Du Fresnoy N., 35S, 560 Le Noir J., 179, 503

INDICE DEI NOMI

1216

Leognani A., 1177 Leoncourt, famiglia, 226 Leone I, imperatore d'Oriente, 382, 401

Leone II, imperatore d'Oriente, 394 Leone II I lsaurico, imperatore d'Oriente, 432, 433, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 460 Leone IV il Cazaro, imperatore d'Oriente, 462 Leone VI il Sapiente, imperatore d'Oriente, 29, 158, 159, 160, 445, 707, 708 Leone I Magno, papa, 684, 690, 691,697,706,719,721,726,727, 916, 926 Leone III, papa, 401, 433 Leone X, papa, 86, 496 Leone Xl, papa, 907 Leone Marsicano (Leone Ostiense), 56, 410, 420, 421, 422, 432, 467, 469, 877 Leopoldo I d'Asburgo, imperatore, 62, 96, 109, 110, 111, 136, 256,

1072, I 174

Leovigildo, re dei Visigoti, 388, 389 Lerma G. de, 1109, 1148 Le Sieur, vedi Simon R. Lessio, vedi Leys L. Lesueur J., 970 Le Thiry J., 862 Leucippo, 742, 1084 Leunclavio, vedi Lowenklav J. Leydekker M., 692 Leys L., 877, 905 Libanio, 24 Liberato, arcidiacono di Cartagine, 705 Liberio, papa, 693 Licinio, imperatore, J 1, 655, 663 Licinio Sura, 765, 1091 Licomede, 852 Licurgo, XXIV, 943, 1028 Liebe Ch. S., 166, 187, 318, 1101 Lindenbrog F., 430 Linzwal, baronessa di, vedi Lefohsenhoffen Th. Lionardo di Capua, 581 Lione, presidente di Camera, 150 Liparulo N., 456 Lips (Lipsio) J ., 1013, 1060

Lirano e Lyranus, vedi Nicolò da Lira Liria, vedi Stuart J. F. F. J. Lisia, tribuno, 884 Liutprando, re dei Longobardi, 429,430,431,432,433,434,435, 442, 443, 448, 46 I, 466 Liuva Il, re dei Visigoti, 389 Livio T., XIX, 21, 25, 59, 161, 222, 231,236,312,339,559,731,732, 733,735,736,737,738,739,740, 741,742,747,748,749,750,751, 752,753,754,755,756,757,758, 759,760,763,764,765,767,768, 770,772,777,827,839,882,922, 923,924,925,931,932,938,943, 945, 946, 975, 984, 985, 1028, 1030, 1033, 1034, 1035, 1036, 1041,

1042,

1044,

1070,

1085,

1088, 1089, 1090, 1091 Llacuna G., 189, 191, 241, 251, 1170 Lobkovic I. I. K. z, 239 Locke J., Xli, XVI, XXI, XXIII, XXIV, 620,795,796, 1000 Locutio, 754 Lodoli C., 267, 520 Lohenschiold O. Ch. von, xxvn, 189 Longano, marchese di, I 147 Longino, prefetto d'Italia, 418 Longino C., 883 Longobardi A., I 132 Longobardi F., 1132 Longobardi G., 99, 120, 259, 1 I 33, IIJ8 Longobardi N., 956 Lopez P., 391 Loredan G. F., 508 Lorenzo, santo, 787 Lorini J. de, 876 Lotario I, re d'Italia e imperatore, 443, 454 Lotario II di Suplimburgo, 1mpepcratore, 456, 57 I, 572 Lovejoy A. O., 1 ooo Lowenklav J., 158, 445 Loys de Bochat Ch.-G., xxvu, 188, 213, 311, 323, 523, u76 Loys de Bochat I., 523, 526 Loyseau Ch., 387, 409, 410 Luca, evangelista, 225, 228, 231, 271,595,622,648,714,716,807,

INDICE DEI NOMI

809,810,811,831,835,863,876, 884,885,935,936,944,948,963, 1039 Luca da Penne, 457 Luccaberti B., 571 Luciano di Samosata, 1048, 1052 Lucido G., 848 Lucifero di Cagliari, 803 Lucio, vescovo di Verona, 693 Lucio di Sangro, 1147 Lucio Vero, imperatore, 856 Luckh J. J., 188, 487 Lucrezia, 819, 826, 1087 Lucrezio Caro, T., 34, 169, 489, 581,604,631,637,641,643,646, 741,742,751,752,763,777,946, 998, 1000, 1005, 1010, 1065, 1084 Lucrezio Tricipitino, Sp., 826 Ludolf o Leutholf H., 957 Ludovico I il Pio, re dei Franchi e imperatore, 57, 351, 454, 455 Luigi XII, re di Francia, 186, 187, 1105 Luigi XIV, re di Francia, 62 1 215 1 439,735,916,917,918,919,921 Luigi XV, re di Francia, 215, 226, 1074, I 136 Luigi III d'Angiò, re titolare di Sicilia, 275 Liinig J. Ch., uo, 132, 137 Lupo C., vedi Wolf Ch. Lupo Protospata, 358, 420 Lutero M., 131, 904, 905, 965

Mabillon J., 470, 801, 915 Machiavelli N., XIX, 31, 37, 125, 401,408,435,582,583,737,738, 740, 743 Macrobio, 1012, 1013, 1036 :Maddalena, 831, 835, 865, 1038 Maddaloni, conti (vedi anche Carafa), 61 Maderus I. I., 656 Maffci D., 1013 Maffei s., XI, XII, XIII, xxv, XXVI, 138, 139, 267, 563, 1003, 1101, 11 S4, ll75 Maffeius Raphael Volaterranus, 36 Maggioco (Magioco), consigliere del Sadro Real Consiglio, 1113, 1125, 1134, II5I

Maggioriano (Maioriano), imperatore d'Occidente, 402, 409 77

1217

Magi (Maggi) G., 1008, 1009 Magini G. A., 25, 26 Magliabechi A., 1101 Maia, 940 Maiello C., 64 Maimbourg L., 439, 916, 917, 918, 919, 920, 921, 922, 971 Maiolo S., 1025 Malato E., xxxv Male branche N. de, 50, 587, 621, 622, 623, 624, 638, 647 Malvito o Malvezzi T., 490 Mancini P. S., xxvn, XXIX, 6,. 324, 361, 561, 593, 747, 924, 933, 945 Manete persiano, 954 Manetone, 883 Manfredi, re di Sicilia, 35 Manfredi D. A., 210 Manfredi E., u76 Manicheo, ZII Manilio M., 639, 640 Manlio Imperioso Torquato, T., 764 Manouchi, vedi Manucci N. Manson O., 1055 Manucci N., 953, 955 Manuel F. E., 600, 1005 Manuzio A., 204 Manzoni A., xxx, 359 Maometto, 169, 391, 953, 977, 979, 980, I 064, l 066 Maometto Il, 981 Maran P., 840 Marano, principessa di, 47 Maranta R., 457, 458 Marca P. de, 437, 438, 463, 464, 468,470,662,665,680,694,925, 926 Marcellino, santo, 467 Marcello C., 486 Marchetti A., 489 Marciano, imperatore d'Oriente, 409, 669, 697 Marciano (di Eraclea?), 1023 Marco (eretico), 809 Marco, evangelista, 622, 650, 651, 672, 719, 810, 865, 961, 1038 Marco, liberto di Plinio il Giovane, 767 Marco Aurelio, imperatore, 787, 856 Marco Emilio, vedi Fiorentino Marcolfo, monaco, 432

1218

INDICE DEI NOMI

Marcone re di Calabria, vedi Be. rardi M. Maria, figlia di Stanislao Leszczynski, 226 Maria, moglie di Ottone III, 567 Maria Amalia d'Asburgo, 119 Maria Elisabetta d'Asburgo, 136 Maria Giuseppa d'Asburgo, 226 Maria Vergine, xn, 6, 480, 648, 650,864,869,871,872,876,951, 1039 Mariana J. de, 393 Marianna d'Asburgo, 99 Maria Teresa d'Asburgo, imperatrice, 99, 134 Mari coni, monsignore, I 48 Mariconi B., 148, 150, u58, 1159 Marini L., XXXIV, XXXVII, 44, 64, 176,184,265,270,350,561,792, 1140, 1145, 1156 Marmol y Carvajal L. del, 957 Marsham J., 587, 599, 801, 802, 885, 972 Marsia, 169 Marsili L. F., n76 Marta, santa, 82 I Marte, 754, 940, n91 Martimort A.-G., 971 Martinengo A., 842 Martini, 546 Martinic I. A. z, 60, 62, 63, 353, II40

Martinière de la, vedi Bruzen de la Martinière A.-A. Martinitz G. A. von, vedi Martinic I. A. z Martuscelli O., 5 1, 93 Marulli F. S., 111, IIJ7 Marvill A., 24 Marziale, M. Valerio, 536, 1020 Massimiano, imperatore, 787 Massimiliano I d,Asburgo, imperatore, 62 Massimino, imperatore, 787 Massimo, 655 Massimo, vescovo di Lucca, 693 Mastellone F., I II3, u23, u56,

u6o Mastellone S., XXXVII, 44, 350, 582 Mastricht P. von, 3 1 Mattei S., 349 Matteo, evangelista, 6, 231, 271, 538,594,648,650,651,652,716,

802,810,820,821,827,828,831,

834,836,837,838,841,843,859, 862,866,867,86&,874, 875,893, 1095 Matteo degli Afflitti, vedi O' Afflitto M. Matusalemme, 848 Maugain G., 34, 625 Mauleon L., I u7, 1119 Maurizio, imperatore d'Oriente, 418, 917, 919, 923 Mauzi R., 794, 1002 Maxilla o l\1assilia V., 450, 451 Mazzacara T., 173, 1120 Mazzolcni A., 267 Mazzoni G., 280 Mazzuchelli G. M., 19, 33, 59, 126, 1128

Meclemburgo, duca di, 957 Medici A. de', 907 Medici G., principe di Ottaiano, 257 l\tledinacoeli, duca di, vedi Cerda y Aragon, L. F. de la Medoro, 871 Mela A., 1105, I 109, I 113 1 1148, 1152 Mela F., xv, 78, 143, 149, 216, 285, 375, 1105, I I I 3, I I 23, II34, I I 39, II46, II47, II48, I I 52, 1153, 1154, u55, u58, n59, u63, n66, u68, u8o Mela Pomponio, 26, 1022 Melchiorre, uno dei re magi, 868 Melchiscdec, 875 Melchon, 944 Melitone, 654 Memmo A., 267 Mena, patriarca di Costantinopoli, 707 ~encke F. O., 165, 166, 184, 189, 1071, I IOI, I 105, I 127, I 162, 1164 Mencke J. B., 165, 182, 184, 189 476, 508, 509, 1071, I 101, I 105, IIJO, II65 Mendoça F. de, 842, 870 Mendoza y Alarcon F., 199 Menochio G. S., xx, 793, 841, 842, 845,846,847,848,849,850,851, 853,854,855,856,857,859,860, 861,862,863,864,865,866,868, 869,870,871,872,873,874,875,

INDICE DEI NOMI

876, 877, 878, 882, 989, 1014, 1022, 1031, 1032, 1034, 1040,

1042, 1052, 1053, 1054, 1055, 1056, 1058, 1059, 1060, 1091, 1092, 1093 Mercado L., 616 Mercati L., vedi Mercado L. Mercurio, 610, 938, 940, 941, u32 Mercy F.-C. de, 242, 254 Merinto, eretico, 809 Merope, 942, Metastasio P., 51, 78, 349, 350, 361, 363 Meter Vitale G., XXXVII Meursius J., 422 Meylan Ph., 819 Mezenzio, 748 Micaglia L., 15, u24 Micaglia M., 17, uo5, u56, n6o, l

163,

l

166,

I

178

Micalori B., u92, Michele, arcangelo, 464 Michele, arcivescovo di Ravenna, 461

Michele II il Balbo, imperatore d'Oriente, 874 Michele III, imperatore d'Oriente,

720, 725 Middleton C., 949 Miegge G., 595 Miele A., 78 Mignc J.-P., 229, 232, 344, 362,

603,610,612,621,622,636,638, 639,651,654,655,657,658,661, 664,665,679,684,685,687,693, 694,695,698,705,707,711,714, 717,718,719,720,722,723,724, 725,726,750,762,774,775,776, 778,784,801,803,804,805,809, 812,813,819,821,823,824,825,

826,828,829,830,832,833,835, 836,837,838,843,844,845,846, 847,848,849,850,854,856,859, 860,861,862,863,864,865,866, 867,868,870,873,875,878,879, 881,882,883,888,889,890,893, 896,897,898,902,903,915,920, 947, 949, 952, 964, 1008, 101 I, 1012,

1013,

1014,

1016,

1033,

1037, 1039, 1040, 1043, 1049, 1056, 1058, 1092 Milles Th., 620 Milziade, 655

1219

Minerva (Pallade), 610, 872, 940 Minieri Riccio C., 33, 51, 64, 76, Il04 Minosse, 943, 1028 Minotauro, 813 Mintz S. I., 804 Misurata, marchese di, 1138 Mitra, 601 Mittarelli G. B., 1101 Mneve, 882, 943, 1028 Moazzi, abate, 267, 280, 520, 521 Mocenigo A., 302, 509 Modesto, 655 Mogol, vedi Gran Mogòl Molé Éd., 393 Molina L. de, 905, 906, 907 Molineo, vedi Dumoulin Ch. Molino del Miguel M., 371 Moloch, 944 Momigliano A., 572, 582 Monaco N., 170 Monbritius B., 428 Moncada H. de, viceré di Napoli, 86 Mondragone, duca di, 262 Mongitore A., 25 Montagne I. de la, 959 Montaigne M. de, 1008 Montalte L. de, vedi Pascal B. Montealegre J. J. de, 284, 552 Montecuccoli, principessa di, 146 Montecuccoli E. P., principe di,

146, 164

Monteleone, vedi Pignatelli N. Montemar, vedi Albornoz J. C. Montemiletto, Leonardo di Tocco, principe di, I 50 Montesanto, vedi Villasor J. Mon tesoro O., vescovo di Castellaneta e di Pozzuoli, 85 Montesquieu, Ch.-L. de Secondat de, 740, 953, 992 Montfaucon B. de, 651 Monti G., XXXVII Mopso, 1045 Morandi C., XXXVII Moreri L., 739, 793 Morin J., 839 Mornac A., 41 Moroni G., 99 Morselli A., XXXIV Mosca F., 1156, 1170 Moscati, u6o Moschini G. A., 280

INDICE DEI NOMI

1220

Mosco, 1085 Mosè, 203, 204, 218, 219, 220, 221, 222,223,224,448,449,599,600, 601,602,603,604,609,610,612, 623,624,626,630,635,636,637, 638,639,640,641,643. 810,832, 833, 836, 843, 849, 851, 875, 878,882,883,939,942,947,950, 960,961,962,977,978,980,998, 1029, 1037, 1038, 1040, 1080, 1082 Mosheim J. L., 586, 588, 589 Muràd I, sultano ottomano, 981 Muratori L. A., XI, XII, XIII, xiv, XV, XXI, XXIV, XXV, XXXI, 142, 267, 301,357,360,378,430,442,445, 449,462,469,511,535,546,548, 1071,

IIOI,

1105,

II75,

II76,

1189 Musano, 655 Muscettola G., u53 Musto G., 40 Muzio G., 36

Nabucodonosor, 1029 Nani G. B., xxi, 361 Nardi J ., 739 Narsete, 3991 422, 423, 424 Naso N., 77, 79, 526, 1 I 19, 1120, 1122, 1129, 1152, 1175 Natale d'Alessandro, vedi Alexandre N. Naudé G., J Nazario, retore latino, 24, 670 ~ebridio, amico di sant' Agostino, 809 Negrone F., 955 Nembrot, 944 Nepoziano, santo, corrispondente di san Girolamo, 1008 Nerone, imperatore, 434, 761, 770, 777, 778, 786, 787, 884, 885, 1064, 1065, 1066, 1089 Nerva, imperatore, 22, 2,4, 762, 777, 779 Nestorio, teologo, 31 Nettuno, 940, 951 Nevers, duchessa di, 149, 1144 Newton J., 8, 49,267,620,633,642, 990,991,992,993,994,995,996, 997, 998, 999, 1000, 1003, 1004, 1005, 1016, 1061, 1062, 1065, 1068, Il02

Nicanore, ministro di Antioco V, 1090

Niccolò I, papa, 720, 725 Niccolò III, papa, 495 Niceforo Callisto, 437, 656, 711, 860, 865, 870, 878 Nicodemo L., 51, 1077, 1078, u57, u62 Nicola di Remis (o Rems), 1041 Nicole P., 633, 815 Nicolini F., xxx, XXXI, XXXII, XXXIII, 18, 19, 33, 48, 52, 64, 69, 72, 83, I 17, 126,127,156,266,277,349,350, 361,364,563,747,797,834,933,

XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXIX,

1007,

I 106,

I 107,

I

148,

I 161,

II79, I184 Nicolò da Lira, 850, 854, 864 Nieremberg J. E., 1025 Nigg W., 934 Nino, leggendario fondatore del1' Impero assiro, 605 Niso, 901 Noè, xxn, 219, 593, 594, 595, 596, 597,598,599,600,601,604,605, 833,843,849,850,877 Nonio Marcello, 452, 1012 Noris E. de, 885 Novario G. M., 68 Numa Pompilio, re di Roma, 236, 736, 742, 758, 762, 768, 943, 1028, 1090 Numenio d' Apamea (Pitagorico), 636, 637, 883

Occella P., xxix, 293,309,310,311, 328, 344, 345 0ddi I., 291, 292 Odoacre, re barbarico, 30, 395, 396, 397, 398, 400, 416, 565 0dofredo Denari, 457 0gilvie J., xxvn, 184 0ira, vedi Imperiali M. 0lao Magno, vedi Miinson O. Olindo, 878 0livazzi G., 307, 308, 309, 310, 311, 326, u88 Omar, generale di Maometto, 979 Omero, 35, 36, 203, 220, 221, 600, 611,637,756,872,901,939,947, 1022, 1043, 1044, 1083, 1089, 1093, u67 0modeo A., XXXIV, 588, 659

INDICE DEI NOMI

Onorio, imperatore d'Occidente, 379, 402, 404, 712 Onorio di Autun, 849 Onorio Ili, papa, 1162 Opilio Aurelio, 1011 Oppio Sp., decemviro, 764 Orazio Coclite, 1087 Orazio Fiacco, Q., 741, 752, 891, 900, 946, 9S9, 1012, 1085 Orfeo, 941, 1083 Origene, 827, 843, 845, 848, 849, 853, 868, 883, 978, 1040 Origlia G. G., 3S, 49, 58 Orlando, 869, 871 Orléans, Philippe II duca d', reggente, 215 Orman e Ormond, vedi Darmon

J. A.

Ormea, C. V. Ferrero di Roasio, marchese di, 293, 309, 310, 336, 346, 591, 747, 791, 797, 989, 100S, I 186 Onnisda, papa, 697 Orosio P., 24, 381, 382, 384, 778, 784, 844-, 873 Orsi, 1129 Orsini F., vedi Benedetto XIII Orsini-Gravina, famiglia, 117 Osea, profeta, 842 Oshman, generale di Maometto, 979 Ossuna, duca di, vedi Téllez-Gir6n y Guzman P. Ostiense, il cardinale, 496 Ostiense, vedi Leone Marsicano Otone, imperatore, 761 Ottaiano, principe di, vedi Medi-ci G. Ottato, vescovo di Milevi, XXI, 29, 666, 701, 74S Ottone, figlio di Federico Barba-rossa, 270 Ottone I il Grande, imperatore e re di Germania, 454 Ottone Ili, imperatore e re di Germania, 449, 567 Ottone IV di Brunswick, imperatore, 30 Ottone di Frisinga, 450 Ottone di Lagery, vedi Urbano II Ovidio Nasone, P., 959, 1045, 1093 Oyra G. B. B., marchese di, 316

1221

Pacato Drepanio, L., 24 Pace G., 20 Pacuvio M., 639, 640 Pageaux D. H., 996 Pagi A., 399, 437, 885, 968 Pagi F., 968 Pagriini S., 854 Pala A., 990, 993 Palazzi di Selve A., 346, 747 Paldo, nobile longobardo beneventano, 467 Palladio, vescovo di Scozia, 721 Pallavicino S. P., 36, 43, 179, 4781 499,503,504,792,793,892,898, 1047, 1167 Palm, mercanti, 1143 Palm J. D., 1143 Palmieri M., 428 Palumbo O., 1134, 1139, 1146, 1147, 1152, 1156, 1160, 1163, 1166, 1169 Pamphili G., vedi Innocenzo X Pan, 937, 941, 1021, 1032 Panagia G., 214 Pandolfelli N. P., 1152, 1153 Pandolfo, principe di Capua, 878 Panfilo Alessandrino, 1011 Panigarola F., 36 Pantaleone, santo, 467 Pan teno, 6 s5 Fantino P., 408 Panzini L., XVIII, XXVII, XXVIII, XXXIX,9,15,17,18,40,46,48,61, 68, 69, 70, 72, 74, 81, 83, 89, 90, 95, 99, 100, 103, 106, 107, 108, I 17, 120, 129, 149, 165, 173, 174,

179, 184, 188 1 189, 191, 195, 208, 267,280,295,308,325,335,365, 508,509,517,535,592,663,731, 1101, I 102 1 I 103, 1105, I 1201 1121, 1124, 1135, 1140, 1162,

1170, 1176 Panzuti, 1170 Paoli s., XI, XXVIII, 210, 211, 212, 511, 548, 5S7, 558, u55, 1175, 1176, 1190 Paolino, vescovo della Gallia, 693 Paolino Il, patriarca di Aquileia, santo, 464 Paolino di Bordeaux, vescovo di Nola, 24, 812, 1093 Paolo, apostolo, 84, 225, 228, 229, 231, 235, 276, 465, 484, 497,

1222

INDICE DEI NOMI

531,553,588,594,595,626,649, 651,711,714,716,721,722,744, 745,773,774,775,778,784,801, 805,806,809,814,817,831,834, 855,856,867,873,881,884,885, 888,893,895,896,899,900,901, 902,903,936,944,947,948,952, 963, 985, 1095, 1192 Paolo, presbitero, corrispondente di sant'Epifanio, 1013 1 1014 Paolo, vescovo di Napoli, 462 Paolo I, papa, 458 Paolo IV, papa, 835 Paolo V, papa, 291, 536, 541, 542, 907 Paolo Diacono (Paolo Vamefrido), 55, 56, 412, 419, 420, 421, 423, 424,425,427,429,432,437,447, 450, 45 I I 466, 467, 920 Paolo Emilio, L., console, 772 Paolo G., 386, 388 Paolucci F., 151 Papia di Gerapoli, 654 Papiniano Emilio, 1192 Parente A., XXXIII, XXXIX, 361, 588, 590,593,601,605,609,611,612, 615,616,618,619,620,621,625, 626,629,630,631,634,635,636, 637,638,641,642,647,648,649, 650,651,656,657,658,659,660, 661,665,666,668,670,672,674, 675,676,677,680,681,683,684, 686,687,688,689,693,694,695, 696,697,700,701,702,704,707, 708,709,710,711,712,713,714, 716,717,718,720,721,724,725, 727, 923, 927 Parisio P. P., 494 Parrino D. A., 583 Paruta F., 25, 400 Pascal B., 634, 815 Pasch G., 370, 407 Pasquali G., XVIII, xxvn, XXVIII Pasqualigo D., 263, 267, 280, 295, 517, 520, 527, 530, u82, u87 Pasquio G., vedi Pasch G. Passavanti I., 877 Passerat J., 1020 Passionei D., 139, 184, 2.08, 265, 270,349,475,476,509,517,55 1, 1177 Pastor L. von, 152, 153, 161, 1143, 1155

Paternò L., u70, 1178 Patino J., 266 Patrizi Piccolomini A., 486 Pauliniano, fratello di san Gerolamo, 724 Paulucci di Calboli F., 1145 Pearson J., 884 Pecci, 1148 Pelagia, santa, 825, 826 Pelagio, 903 Pelagio, re delle Asturie, 393 Pelagio I, papa, 694 Pellegrini, abate, 189 Pellegrino C., 357, 358, 420, 421, 422,425,426,427,467,693 Pellissari J.-A., 317, 3201 321, 322, 323, 338 Pellisson-Fontanier P., 1008 Pemberton H., 991, 992 Pepe G., XXXIV Pepe N., II 10, 1123, 1132 Peralta J. T. de, 171 Peregrino M. A., 517 Peretti F., vedi Sisto V Pereyra B., 851, 883 Pérez A., 20, 892 Peri G. D., 1158, 1159 Pericle, 6 1 I Perino E., XXIX Perizonio I., vedi Voorbroek J. Perlas de Vilhcna J., 114, 144, 196, 209

Perlas de Vilhena P., 114, 144, 196 Perlas de Vilhena R., marchese di Rialp, 98 1 99, II 3, 114, II 5, II 9, 120, 121, 127, 132, 143, 144, 151, 153, 154, 155, 156, 157, 161, 166, 178, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 196,197,198,200,201,206,207, 209, 214, 240, 241, 242, 245, 246, 249, 255, 557, II 17, 1125, 1127, 1133, I134, 1143, IJ44, 1145, II46, II47, II69, 1170, II7J Perlongo G., 98, 101, 154, 155, 160, 198, 1117, 1127, 1133, 1157, 1178 Perrelli F., 1155 Perrelli P., 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 162, 1107 Perrelli P. P., 1155 Perrot d'Ablancourt N., 957 Persico T., XXXVI Persio Fiacco, A., 271

1223

INDICE DEI NOMI

Pertusati di Castelferro C., 98, 305 Perucci, canonico, 91, 1109, 1110 Pery, vedi Peyri L. Peschici M. da, 1124 Pesmes de Saint-Saphorin F. J. de, 324 Petau D., 801, 881, 885 Petavio, vedi Petau D. Petermanns D. A., 621 Petitti di Roreto A., 308 Petrarca F., 35, 36, 51, 1004, 1032 Pcutinger K., 450 Peyri L., conte, 153 Pezzana N., II 1 Philibert A., XX.Vili Philibert C., xxvnI Philippson J., 542 Piazza, nunzio, 292 Piccolomini d'Aragona, principe di Valle, 177 Pico del1a Mirandola L., 168, 548 Picon, conte, governatore della Savoia, 7, 328, 335, 336, 337, 338 Pictet B., 970 Pierantoni A., xxix, xxx111, 10, 105 1 158, 296, 340, 361, 518, 561, 593, n56 Pier delle Vigne, 326, 569, 1{50, n61, u62 Picrozzi A., vedi Antonino, arcivescovo di Firenze, santo Pierro L., XXXI Pietro, apostolo, 276, 344, 494, 496, 507,667,678,703,713,714,715, 716,717,718,719,720,721,724, 725,726,727,745,778,787,814, 917, 926, 947 Pietro Blesense (Peter of Blois), 470 Pietro Damiano, 877, 878 Pietro Diacono, 573 Pietro I il Grande, zar di Russia, 226 Pietro Igneo, vedi Aldobrandino P. Pietro Martire d'Anghiera, 1025 Pietro da Verona (san Pietro Martire), 123 Pignatelli F., cardinale, 85, 89, 107, 108, 173, 183, 288, 1120 Pignatelli F. di Belmonte, 249 Pignatelli M., 78 Pignatelli N., 136 Pilati, barone, 1 I 66

Pilato Ponzio, 648, 744, 873, 884 Pineda J. de, 852, 853, 855, 875 Pinito Crctensc, 655 Pinto y Mendoza F. E., principe d'Ischitella, 48, 70, 354 Pio Il, papa, 117 Pio V, papa, 905 Piovani P., XXXVII Pipino III il Ilrcve, re dei Franchi, 437, 454, 459, 463 Pirri R., 159, 973 Pirro, re dell'Epiro, 502 Pisani di Sant'Angelo A., XVI, 269, 270,271,272,273,283,284,285, 286,287,289,291,292,293,294, 295,297,298,299,300,301,303, 304,305,317,322,509,513,519, 520,525,526,528, ~30,531,532, 533, 534, 535, 537, 544, 545, IIOJ, II87 Pisani di Sant' Angelo B., 286, 298, 526 Pisani di Santo Stefano L., 273,518 Pitagora, 606, 607, 608, 612, 636, 1028, 1048, 1083 Piteo, Pithoeus, vedi Pithou P. Pithou P., 384, 390, 392, 393, 403, 450, 685, 1013 Pitteri F., 184, 280, 281, 283, 290, 294,303,305,508,509,527 Pitteri M., 280 Pizzichi F., 280 Platone, 43, 608, 612, 635, 636, 637, 645, 751, 774, 876, 947, 1009, 1010, 1036, 1084, 1085, 1088 Plauto, 217, 452 • Plinio il Giovane, 22, 59, 82, 289, 342,733,741,765,766,767,768, 776,777,779,780,781,782,783, 784,822,881,935,948,973, 1078 1086, 1091, 1092 Plinio il Vecchio, 4, 22, 337, 342, 426,733,736,741,742,761,762, 765,777,808,845,866,881,889, 924,925,931,932,936,937,944, 94S, 946, 955, 984, 989, 1000, 1010,

IOII,

1012,

1017, 1018, 1019, 1022, 1023, 1024, 1027, 1030, 1031, 1037, 1042, 1043, 1051, 1052, 1053, 1058, 1059, 1060,

1013, 1020,

1015, 1021,

1025, 1035, 1047, 1055, 1062,

1026, 1036, 1050, 1056, 1063,

1224

INDICE DEI NOMI

1064, 1065, 1066, 1067, 1068, 1069, 1078, 1079, 1086, 1088, 1093, 1094 Ploikner (Plekner) J. E. E. von, 109, I 10 1 120, 145, 146, 147, 2601 1122, 1163 Plotino, 453, 614 Plutarco, 636, 756, 808, 864, 937, 1020, 1031, 1032, 1036, 1047, 1056, 1057, 1092 Plutone, 220, 652, 940, 10361 1095 Polenta, Francesca da, 35 Policarpo di Smirne, santo, 824 Policrate, vescovo di Efeso, 655 Policronio, 853 Poliziano A., 165 1 166, 1127, 1162 Polluce, 941, 944, 951 Pomba, editore, XXIX Pompeo Magno, Gn., 661,741,759, 760, 9671 I 066 Pomponazzi P., 1000 Pomponio S., 53 Pontieri E., XXXVI Popajan, vescovo di, viceré del Perù, 130

Pope A., 817, 992, 993, 994, 996 Porcinari F., 99, 1135, 1144 Porcio Festo, procuratore della Giudea, 885 Porfirio di Tiro, 453, 1034 Porta G. B. della, 1026 Portocarrero J. F., marchese di Almenara y Palma, 1361 167, 177, 557 Portolano, 1110 Por~o F., 51, 582 Porzio L. A., 51, 52, 582, 583 Positano G., 98, 155, 1 u6, 1127 Positano G. M. 1 vescovo di Acerenza, 98, 102, 197 Possevino A., 748 Poussines P., 1092 Prats Miquelot de, 245 Prever G. B., xxv, 345, 791, 792, 794, 797 Priamo, 756 Priapo, 940, 944 Prideaux H., 801, 802, 963, 983 Priscilliano, vescovo eretico di Avila, 803 Priuli, 530 Procacci G., 737 Proccurante G., 99

Procopio di Cesarea, 24, 55, 395, 398,400,410,413,414,416,417, 423, 425, 712, 847, II 88 Proculo Giulio, 757, 758 Prometeo, 941 Prosdoce, santa, 826 Prospero d'Aquitania, santo, 855 Prospero A., 817 Protasio, vescovo di Milano, 693 Pucci L., cardinale, 496 Pufendorf S., 350, 795, 819, 840, 928, 958 Puisserver, 1158, 1159, 1177 Quadrato Ateniese, 654 Quintiliano, M. Fabio, 1012 Quirino, 757 Quiroga, famiglia, 61 Quodvultdeo (Quodvuldeo), 777, 804,805,806,808,809,810,850, 882 Quondam A., 582 Rabano Mauro, 846, 855, 904 Rachi, re dei Longobardi, 432 Radelchi I, duca di Benevento, 358 Radevico di Frisinga, 449 Radicati di Passerano A., xxiv, 3, 4 1 976, 983 Raffaele, arcangelo, 464 Rainolds J., 666 Rak M., 581 Ramone, 1143 Rapin R., 738 Rato y Ottonelli T., 265, 518, 551 Ravà A., 280 Ravagnini Vendramin F., XXVIII Ravaschiero G. B., 93, 98 Rawlinson R., 186 Raynaldi O., vedi Rinaldi O. Razia, 1090 Rebecca, 837 Rcccaredo I, re visigoto di Spagna, 389, 393, 412 Reccaredo Il, re visigoto di Spagna, 389 Recesvindo, re visigoto di Spagna, 390 Recland A., 801 1 802,931, 972, 983 Regazzi, 1 147 Régis P.-S., S 1 Reichembergio, 491, 492 Remnon, 944

INDICE DEI NOMI

Renato I d'Angiò, duca di Lorena, 275 Reuber J., 450 Reuss, archivio, 153 Rex W., 1061 Rhodomann L., 204, 602, 607, 608, 610 Rialp, marchese di, vedi Perlas de Vilhena R. Ribaudengo D., 312 Riccardi F. A., Xli, XIII, 64, 65, 78, 97, 99, 100, 101, 102, 105, 106, 120, 130, 131, 138, 139, 142, 205, 353,362,363,476,584,585,625, 1073, 1076, 1077, II 14, II I 5, II 16, I 117, II 18, II 19, II20 1 1136, 1146, 1150, 1151, 1153, 1156, 1157, 1185 Riccardo, arcivescovo di Canterbury, 470 Riccardo I, re d'Inghilterra, detto Cuor di Leone, 56 Ricchieri L. (Celio Rodigino), 271 Ricci M., 956 Ricciardo F., 74, 1128 Riccioli G. B., 1064, 1067 Ricuperati G., xxxv, XXXVI, 41, 554, 581,583,584,585,586,587,588, 589,591,598,619,638,735,739, 747,791,793,797,927,928,930, 931,933,953,990,991,992,994, 1003, 1007, 1008 Ridolfi P., 920 Riez F. di, 903 Rigerico, re dei Visigoti, 380 Rinaldi O., 967, 969 Rinaldo, frate, 484 Rinaldo d 1 Este, duca di Modena e Reggio, xv, 142, S11, 551 Rinaldo di Montalbano, 869 Rin ieri I., 53 Rinucci. G. B., 51 Riolan J., 1050 Ripperdn J. W. van, 132 Rispoli G., xxxvi, 126 Rittershausen (Rittershusius) K., 22, 23, 411, 450, 785 Riva, senatore veneziano, 1 182 Riva M., 280, 508, 544 Rivet A., 915, 916 Roberto d 1 Angiò, re di Sicilia, 457 Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, 159

1225

Rocca A., 499 Rocco, santo, 95 I Rocco F., 1159 Rodano, 655 Roderico, 391 Rodolfo il Glabro, 686 Roero di Cortanze E. T., 10 Rofrano, marchese di, vedi Capece

G.

Rogadeo G. D., 356, 360, 361, 561 Roger J., 613, 614, 615, 802, 999 Rollin Ch., 734, 739, 959 Romano, esarca di Ravenna, 418 Romeo R., xxxv Romolo, 1138 Romolo, fondatore di Roma, 736, 740,755,756,757,758,770, 1089 Romolo Augustolo, imperatore, 30, 397 Rondelet G., 1018 Ronzo G. B., 1127 Rosa M., 737 Rossi B. de', n37 Rossini R., XXXIV Rosso C., 794 Rota, 1123 Rota F., 267, 520, 527 Rotari, re dei Longobardi, 429, 430, 432, 442, 566 Rotemero, figlio di Teodorico I, 380 Rousseau J.-J., 4, 953 Rubi y De Boxadors J. A., 136,250, 251, 1179 Ruelin, abate, 325, 326 Rufino di Aquileia, 655, 681, 813 Rufo, vescovo di Tessalonica, 721, 722 Rufo di Efeso, 1050 Ruggero, duca di Puglia, 1 59 Ruggero I, conte di Sicilia, 56, 1 S9 Ruggero II, re di Sicilia, 450, 460, 560,570, 57~ S73, 576 Ruperto Abate, santo, 845, 846, 864, 867 Russo A., 49 Ruzzini C. di M., doge di Venezia, 286, 518 Rycaut P., 931, 983

Sa E., 864 Sabatelli C., 17 Sabatelli I., 15, 1124

1226

INDICE DEI NOMI

Sabatelli L., 17 Sabatelli M., 15 Sacchetti F., 1157 Sacco B., 429 Sagrcdo G., 982 Sainthe-Marthe D. de, 920, 921, 922, 923 Sainte-Marthe L. de, 973 Sainte-Marthe S. de, 973 Salian J., 850, 851, 854 Salmasio C., vedi Saumaise Cl. Salomè, 872 Salomone, re d'Israele, 603 1 689, 843,853,854,855,856,857,873, 874, 1058, 1080, 1081 Salvatorelli L., XXXII, XXXIH, 588 Salvemini Castiglioni G. F., 992 Salviano di Marsiglia, 383, 411, 415, 1049 Salviati L., 35, 36 Samuele, 742, 875 Sanchez G., 854 Sanchez T., 900 Sancio Panza, 858 Sancuniatone, 610, 883 Sancy, sieur de, vedi Aubigné T.-A. d' Sandeo F., 489, 494, 498 Sanfelice A., 167 Sanfelice F., 167, 477 Sanfelice G., XXI, 130, 167, 168, 169, 170, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180, 181, 182, 183, 186, 273,279,291,349,350,361,363, 477,478,479,480,483,507,511, 524, 525, 526, 548, 549, 550, I

1041

l

160 1

I

164,

I

166,

I

169,

1170, 1172, 1190 Sanfelice M., 1131, 1148, 1153 Sanson, missionario, 953 Sansone, 843,855,873 Sansovino F., 982 San toro F., II 35 Santo Stefano, conte di, vedi Benavides y Arag6n M. de Sapegno N., XXI, XXXIII, 8 Saponara, Di Giovanni e Zappata V., duca della, 149, 150 Sara, 876 Sardano M., u57 Sarpi P., 36,510,511,514,541,542, 543, 582 Sastago y Murato, C. F. de C6r-

doba, marchese di Aguilar, conte di, I 36, 250, I I 79 Saturno, 940, 1013 Saul, re d'Israele, 1037 Saumaise Cl., 523, 681, 682, 692, 697 Savaron J., 385, 388 Save, figlia di Adamo, 850 Savoia, casa, principi, 3, 127, 737, I 076, II 02, II 88 Savoia-Soissons Eugenio di, 58, 96, III, 112, 113, IJI, 136, 137, 139, I 56, I 57, 160, 167, 176, 195, 255,326,584,585,619,640,929, 1075,

II

15 1 II36, 1137, II46,

1150, 1161, 1164, u65, 1173 Savonarola G., XXXI Sax-Gottha, vedi Federico, duca di Saxe-Gotha Scaduto F., XXXVI, 143 1 152 Scafnaburgense, vedi Lamberto di Hersfeld Scagliosi M., 476, 481 Scaligero G. C., 614, 616 1 1060, 1131 Scassa O., u23, 1132 Scevola, G. Mucio, 1087 Scevola, Q. Mucio, 750 Schedius E., 960 Schegkio G., vedi Degen J. Schelstrate E., 657, 665, 666, 678, 682, 688, 689 Schilter J., 491, 492, 685 Schipa M., XXXVI, 92, 246, 247, 248, 249, 262 1 265, 274, I 179 Schrattenbach K. W. H., 1132 Sebastiano, santo, 95 1 Sedelmayr J. J., 83, 1175 Selden J., 958, 959, 963 Seli'm I, sultano ottomano, 981 Seli'm Il, sultano ottomano, 981 Sem, 596, 597, 598, 603, 849 Semiramide, leggendaria regina assira, 605 Semo Sancus Dius Fidius, 882 Senatore G., 246 Seneca, L. Anneo, 4, 639, 640, 778, 856, 1020, 1035, 1062, 1064, 1084 Senncrt D., 614, 615, 616, 618 Serao F., 49 Serapione, santo, 655 Serbellon, vedi Cerbcllon

INDICE DEI NOMI

Sergio, 461 Sergio, monaco, 931, 977, 978, 980 Serini P., 815 Seripando G., 32, 1071 Seronato, prefetto delle Gallie, 383, 384, 385 Serra Gaetano, 15 Serra Giulia, 15, 17 Serra D'Isca R., vedi Riccardi F.A. Serry J.-H., 907 Serse I, re di Persia, 600 Sertorio Q., 1066 Servio Tullio, re di Roma, 744 Sessa M., 430, 431 Sesto Empirico, 34, 1048 Seth, 849, 850 Settembrini L., 40 Settimio Severo, imperatore, 787 Severino, santo, 565 Severo, vescovo di Ravenna, 693 Severo L., imperatore d'Occidente, 409 Sfrondato da Siena N., vedi Gregorio XIV Sherlock P., 857 Sicardo, principe di Benevento, 358 Siccardi M., 308 Sichard J., 428 Sidonio Apollinare, santo, 24, 381, 382, 383, 384, 385, 388 Sifuentes, vedi Cifuentes Sigeberto di Gembloux, 387, 491 Sigismondo da Venezia, 268 Sigonio C., 22, 419, 420, 429, 432, 433, 434, 43S, 436, 447, 454, 458, 461, 567 Silene, 883 Silhouette~- de, 817, 996 Silio Italico, 1060 Silverio, papa, 413 Silvestri C., 271, 272, 885 Silvestro I, papa, 657, 679 Simeone, 875 Simeone, vescovo di Gerusalemme,

779

Simmaco, papa, 402 Simmaco, senatore, 416, 417 Simmaco, Q. Aurelius, 1078 Simon R. ( Le Sieur ), xvn, XXI, XXIV, 587, 959 Simon Mago, XXVI, 8141 882, 883 Simone, apostolo, 865 Simone, parente di Gesù, 650

1227

Simpliciano, santo, 844 Sinfuego, vedi Cienfoegos A. Sinzendorff Ph. J. L. von, cardinale, 99, 143, 144, 1116 Sinzendorff Ph. L. von, Gran Cancelliere, 99, u6, 132, 143, 151, 153,154,155,156,157,209,210, 215, 226 1 238, 1116, 1125

Siricio, papa, 721 Sinnond J., 385,681,683,694,697, 967 Sisebuto, re dei Visigoti, 389 Sisenando, re dei Visigoti, 389 Sisifo, 223, 879, 1095 Sisto III, papa, 719, 721, 725, 726 Sisto V, papa, 209, 591, 905, 907, 920 Sisto da Siena, 841 Sleidano, vedi Philippson J. Smaragdo, esarca di Ravenna, 418 Socrate, 816, 856 Socrate, storico, 31, 411 1 412, 656, 661, 71 I, 724, 964 Soffietti G., 271, 528

Sofia Carlotta, regina di Prussia, 4 Sofronia, 878 Sofronio, patriarca di Costantinopoli, 872 Solanes F., 192, 197, 198, 1138 Solaro di Breglio G. R., 99, 308, 734 Solimano, 1069 Solimena F., 276 Solino, G. Giulio, 1021, 1023, 1025

Solone, 448, 943, 1028, 1052 Sorbière S., 804 Soria F., 1176 Souciet ~-, 1005 Soulier P., 97 1 Sozione, peripatetico, 1011 Sozomeno E., 31, 412, 698, 705, 711, 964 Spada F. A., 584 Spangenberg C., 491 Spanheim E., 439 Spannagel G., 1073 Speculatore, vedi Durante G. Spelman H., 687 Spencer J., 587, 595, S99, 605, 961, 1081

Spezzano, duca di, u53 Spiegel J., 450

1228

INDICE DEI NOMI

Spinelli, famiglia, 70 Spinelli A., 966 Spinelli Giovanni, 19, 34, 40 Spinelli Giuseppe, 288, 1133 Spinelli I., contessa di Bovalino, 47, 58, 61, 354, I 138 Spink J. S., 619, 631, 647 Spinola, marchese, 1147 Spinoza B., xvn, xx, XXIII, xxiv, 3, 4, 51, 581, 583, 586, 587, 602, 619,621,634,638,639,640,641, 736,741,748,793,816,929,930, 944, 947, 993, 1081 Spandano, vedi Sponde H. de Sponde H. de, 968 Stampa G. C., 292 Stanislao Leszczynski, 226, 238 Stefano, patriarca, 707 Stefano, santo, 678, 833, 863 Stefano Il, duca e vescovo di Napoli, 462, 467 Stefano IV, papa, 459, 461 Stefano di Perche (Parzio), 410 Stegmann A., 738 Stella Pietro, 734, 73 5 Stella Pietro, marchese, 163, 164, 1132

Stella R., conte di Santa Croce, 164, 1132 Stephen L., 619, 643 Stercorio, vescovo di Canosa, 693 Sterpos D., 247 Steuco A., 493 Stillingfleet E., 620, 688 Stosch F. W., 620 Strabone, 26, 204, 221, 222, 223, 601,602,603,604,607,608,640, 756, 866, 883, 942, 943, 998, 1028, 1034, 1078 Struve B. G., 371, 446, 448, 449, 492, S59, 568, 1077 Stuart J. F. F. J., duca di Berwick e di Liria, 242, 244 Studio, corrispondente di sant' Ambrogio, 862 Sturzo L., XXXII Stute J. P., 923 Suarez F., 812, 876 Sueur, vedi Lesueur J. Sulpicio Rufo, Ser., 752 Sulpicio Severo, 31, 656, 964 Summonte G. A., 358, 375 Sura Licinio, vedi Licinio Sura

Suttner G., 96 Svetonio Tranquillo, G., 22, 171, 777, 851, 1011, 1013, 1020, 1043, 1068, 1078 Svintila, re dei Visigoti, 389 Taauto, 610 Tacito, P. Cornelio, 22, 171, 204, 733,736,738,739,741,753,755, 759,761,762,766,770,777,778, 807, 848, 973, 1013, 1019, 1030, 1035, 1036, 1065, 1066, 1071, 1078, 1089, 1090 Talete di Mileto,· 611, 612 Talluri B., 1061 Tamerlano, sovrano turco, 1064, 1066, 1067 Tancredi, re di Sicilia, 56, 576, 577 Tantalo, 223, 879, 1095 Tanucci B., 284, 349, 350, 361, 363, 571, 1180 Tarasio, patriarca di Costantinopoli, 464 Targa, vedi Coscia F. Tarquinio Prisco, re di Roma, 1088 Tarquinio il Superbo, re di Roma, 161 Tarsia, principe di, 150, 1174, 1177 Tarsia, principessa di, I 50, 1159, 1174 Tartarotti G., XXIV, 54 Taso, nobile longobardo beneventano, 467 Tasso T., 73, 629, 652, 878, 901, 1069, 1095, 1151 Tato, nobile longobardo benventano, 467 Teia, re degli Ostrogoti, 398, 400 Téllez-Gir6n y Guzman P., duca di Ossuna, 542 Temistio, 614, 615 Temistocle, 937 Teocrito, 1085 Teodato, re degli Ostrogoti, 400, 566 Teodelusa, 386 Teodemiro, re degli Ostrogoti, 394 Teodolinda, regina dei Longobardi, 567 Teodora, imperatrice d'Oriente, 442 Teodoreto di Ciro, 3 I, 693, 694, 724, 805, 847, 854, 861, 964

INDICE DEI NOMI

Teodorico, re degli Ostrogoti, SS, 379,384,385,386,393,394,396, 397,398,399,400,401,402,403, 404,406,409,411,412,413,414, 416,417,559,565,566,712,1008 Teodorico I, re dei Visigoti, 380, 384 Teodorico II, re dei Visigoti, 380, 381, 382, 384 Teodoro, vescovo di Efeso, 672, 674 Teodoro il Lettore, 964 Teodosio I, il Grande, imperatore, 655, 704 Teodosio II, imperatore d'Oriente, 23, 29, 31, 55, 57, 351, 386, 388, 402,409,410,427,461,669,690, 691, 701, 1192 Teofane, cronografo bizantino, 436, 437 Teofilatto, duca di Napoli, 462 Teofilo, giurista bizantino, 18 Teofilo (di Antiochia?), 655 Terafi, 944 Terenzio Afro, P., 156, 199, 200, 548, II75

Tertulliano, Q. S. Fiorente, 224, 229,231,651,655,678,711,714, 775,784,785,795,801,802,803, 804,806,811,814,821,823,828, 829,833,836,837,838,860,873, 882, 884,

1013

Terzi G., 295, 508, 510, 527, 529, 53° Teseo, 813, 940 Teti, 852 Teti S., 1078 Thomassin L., 460, 468, 839 Thou J.-A. de, 186, 188, 582, 586, 741, 931, 932, 985, II68

Thyraeus P., 1093 Tiberio, 435 Tiberio Claudio Nerone, imperatore, 648, 741, 759, 761, 770, 85 I, 88~, 1032, 1034, 1044, 1089

Ti conio, 801 Tiepolo F., 302, 509 Tillemont L.-S. Le Nain de, 31, 93 I, 934, 969

Timoteo, conte goto, 387 Timoteo, vescovo di Efeso, 665, 721, 722, 723, 834 Tindal M., xvn Tirino, vedi Le Thiry J.

1229

Tito, imperatore, 22, 741, 761, 762, 777, 779, 1010 Tito, vescovo di Creta, 664, 721, 722 Titone, 941 Titone V., XXXIV Tizio, 879 Tizio Aristone, 1086 Tobia, 231 Tacci O. S., 42 Tocco C. di, vedi Carlo di Tocco Toland J., XVI, XIX, xx, XXI, XXIII, xxv, 4, 585, 586, 587, 588, 589, 595,602,605,607,619,639,640, 736,737,740,741,743,745,748, 761, 795, 796, 816, 922, 923, 927, 929,930,931,932,937,942,945, 947,961,976,983,992,993,994, 995, 998, 1000, 1005, 1061, 1070, 1082 Toledo F. de, 863 Toledo P. de, marchese di Villafranca, 214 Tolomeo I Sotere, re d'Egitto, 822 Tolomeo Claudio, 25, 1067 Tomasini G. F., 739 Tommaseo N., 37 Tommasino, vedi Thomassin L. Tommaso d'Aquino, santo, 812, 906, 909 Toppi N., 51, 1077, u57, n62 Torella, principe di, vedi Caracciolo di Torella A. C. Torelli F., 571 Torre F., 1143, 1157, 1158 Torres A., XXXIII, 42, 43, 89 Torrismondo, re dei Visigoti, 380, 382 Tosques F., 99, II 16, II23, 1152, 1153 Tosques S., 5, 6, II2J Tostado Ribera A., 841, 854, 863, 869 Totila, re dei Goti, 399, 400, 423, 425

Totone, conte di Nepi, 458, 459 Tozzi L., 49 Traiano, M.- Ulpio, imperatore, 22, 488,762,768,776,777,779,780, 781,783,784,785,786,787,822, 921, 922, 935, 948, 1034 Trasmondo II, duca di Spoleto, 433, 434

1230

INDICE DEI NOMI

Trasone, 156, 212, 1175, 1176 Traun O. F., 247, 249 Tria G. A., 791 Triboniano, 18, 386, 1011 Trifone, 6 55 Trifone R., XXXVI Trissino G. G., 36 Tritemio G., vedi Heidenberg I. Trittolemo, 941 Trivulzio A. T., principe di, 5, 8, 262,289,301,302,304,305,306, 307,311,317,322,507,508,509, 510, 511, 513, 514, 535, 5S4, l 189, I 190, 1191 Trivulzio Pertusati M., principessa di, 305, 306, 307, 308, 309, 310, 317, 326, 339, l 188 Trogo Pompeo, 883 Troise B., 74, 1128 Troya C., 357, 429 Tuano, vedi Thou J.-A. de Tucci, 268 Tucidide, 738 Tulca, re dei Visigoti, 389 Tullia, figlia di Cicerone, 1089 Tullio Tiro, liberto di Cicerone, 1011

Tura D., 67, 1134, 1147, 1192 Turchi F., 739 Tumer J., 619, 620 Turrettini J.-A., XXIII, 7, 315, 316, 317,318,319,322,323,324,927, 991, II02 Tutini C., 560, 574 Tzetzes G., 1059 Ughelli F., 159,467,468, S74, 57S, 973 Ugo, abate, 1136 Ugolino, vedi Gherardesca Ugo lino della Ugolino dei Presbiteri, 559, 568 Ulisse, 756, 851, 1012, 1093 Ulpiano, 777 Unnerico, re dei Vandali, 380 Uranio, 940 Urbano II, papa, 157, 158, 159, 160, 561 Urbano VI, papa, 117 Urbano VIII, papa, 149, 496, 909 U rsacio, vescovo di Brescia, 693 Usher J., 587, 665, 666, 801, 802, 885, 972, 973

Vadilaus R., 1167 Valdès J. de, 316 Valente, imperatore, 24, 411, 670, 674, 724 Valentiniano, cavaliere, 116 Valentiniano I, imperatore, 674, 712 Valentiniano Il, imperatore, 386, 402, 409, 457, 712 Valentiniano III, imperatore d'Occidente, 23, 55, 378, 402, 404, 411, 690, 691, 697, 712, 1192 Valentino, eretico gnostico, 808, 810 Valeriano, P. Licinio, imperatore, 787 Valerio, 867 Valerio L., 170 Valerio Massimo, 943, 1010, 1012, 1028, 1030, 1036, 1086 Valesio, vedi Valois H. Valier L., 172 Valignani F., marchese di Cepagatti, 262, 264, I 184 Valla L., 36, 270, 493, 1044 Valletta F., 54 Valletta G., 54, 55, 125, 356, 362, 582, 583, 792, Valletta N., 54 Vallia, re dei Visigoti, 380 Vallisnieri A., 49, 139, 267 Valois A., 705 Valois H., 399, 411, 412, 705 Valterio G., 864 Vamba, re dei Visigoti, 390 Varchi B., 496 Varenne B. de, 881 Vario A., 63 Varisco G., 886 Varrone, M. Terenzio, 750, 754, 777, 879, 946, 1010, 1012,, 1055, 1085, 1131 Vartanian A., 633, 1017 Vasquez M., 863. Vatable F., 853, 854 Vecchioni M. M., xxvnr, 83, 354, 356 Vega A., 875 Vegczio, 452 Venere,601,864,889,897,~40,944 Ventura F., 172, uo7, 1113, 1114, 1122, 1125, 1133, 1134, 1135, 1157, 1163

INDICE DEI NOMI

Venturi F., xxxv, 185 Veremundo, 391 Vergilio P., 858 Verncra, contessa, I 14 Vernct J., XVII, XXII, XXIII, xxvn, 7, 314,318,319,321,322,323,324, 334,336,338,339,895,927,991, 992, I 102 Vemière P., 602, 638 Verri P., 592 Vespasiano, T. Flavio, imperatore, 22, 204, 761, 777, 779, 1036 Ve~a, 940,941,951 Viano C. A., 796 Vicentini G., 85 Vico G. B., 18, 33, 34, 48, 220, S57, 582, 740, 999, II61 Vidania D. V. de, 288 Vigezzi B., xxxv, 589, 594, 595 Vigncul-l\1arville, yedi Argonnc N. Vilhena, J. M. F. Pacheco, marchese di, duca di Escalona, 39, 58 Villani C., 33, 76 Villani G., 36 Villani P., xx.xvn Villari P., xxxi Villars L.-H., duca di, 242 Villasor J ., conte di Montesanto, 97, I 19, 155, 163, 164, 189, 196, 238, 241 I 250, 255, II74 Villettes A. de, 1 o, 791, 81 5, 949 Vincenzo da Lérins, 903 Vinnen A., 20, 21 Virgilio Marone, P., 23, 217, 6u, 616, 748, 752, 756, 772, 901, 1010, 1043, 1045, 1054, 1085, 1093, I 192

Virginia, 763, 764, 1091 Virginio L., 764 Visconti G., viceré di Napoli, 248, 249, 262 Vitagliano I. O., 46, 47, 76, 77, 129, 1107, 1129, II49 Vitellio A., imperatore, 761 Vitige, re degli Ostrogoti, 400 Vittcrico, re dei Visigoti, 389 Vittore, S. Aurelio, 656 Vittore V., 804, 805 Vittorelli A., 864 Vittorio Amedeo, principe di Savoia (futuro Vittorio Amedeo Il I), 308, 732, 734, 735 Vittorio Amedeo I I di Savoia,

1231

re di Sardegna, 238, 47S, 734 Vivcs I. L., 884, 1025 Voet J., 371 Voet P., 371 Vogt J., 1077 Volaterrano Rafaello, vedi Maffcius Raphael Volaterranus Volkcr K., 934 Volpicella S., 83 Voltaire (F.-M. Arouet), XXIII, 895, 957, 992 Voorbroek J., 738 Vopisco Flavio, 1020 Voss G. J., 748, 784, 785, 824, 922, 958 Voss I., 824, 1022 Vulcano, 610, 940, 941, 951

Walramus,

492 Watson R., 687 Wendrock G., ,·cdi Nicole P. Wharton H., 973 Whitby D., 794 Willis Th., 620 \Volf Ch., 662, 665, 666, 689 Wolff G., 437, 1034 Woolston Th., 643 Wurstisen C., 491, 492 Wiirttemberg E. L. von, 111

Xylander, vedi Holtzmann W. Zaccaria, padre di Giovanni Battista, 648, 875 Zaccaria, papa, 459, 464, 469 Zaccaria, profeta, 860 Zagedin S., 1009 Zaleuco, 943, 1028 Zamolxi, 943, 1028 Zangari D., 41 Zapata J. G., 1109 Zeno A., 99, I II, 189, 267, 326, 362, 510, 1101 Zenone, imperatore d'Oriente, 394, 39S, 396, 397, 398, 399, 707 Zinzendorf, vedi Sinzendorff Zonara G., J 1, 412, 436, 656 Zorzi M., 271 Zosimo, papa, 690, 691, 721, 725, 727 Zotone, duca di Benevento, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424 Zucchi M., 734, 73S

INDICE INTRODUZIONE di Sergio Bertelli BIBLIOGRAFIA di Sergio Berte/li

Xl XXVII

VITA DI PIETRO GIANNONE (a cura di Sergio Berte/li) Nota introduttiva

3

VITA DI PIETRO GIANNONE SCRITTA NEL CASTELLO DI MIOLANS

[Proemio] CAPITOLO PRIMO. [Anni 1676-1692] CAPITOLO SECONDO. Anno 1694, sotto

13 15

il regno di Carlo II re di Spagna e sotto il governo del conte di S. Stefano e poi del duca di Medina Coeli viceré 18 CAPITOLO TERZO. Anno 1701, sotto il regno di Filippo V, re di Spagna, e sotto il governo dello stesso duca di Medina Coeli e poi del duca d•Escalona, marchese di Vigliena, viceré 39 CAPITOLO QUARTO. Anno 1707, sotto il regno del re, poi imperadore, Carlo VI, e sotto il governo del conte Daun e cardinal Grimani, e poi di nuovo sotto il conte Daun, viced 6o CAPITOLO QUINTO. Anni 1723 e 1724, sotto il regno delPimperadore Carlo VI, e sotto il governo del cardinal Althan, viceré. - Napoli e Vienna So CAPITOLO SF.STO ••~ni 1725, 1726 e 1727. In Vienna 123 CAPITOLO SETrlMO. Anni 1728, 1729 e 1730. In Vienna 163 CAPITOLO 01TAVO. Anni 1731, 32 e 33. In Vienna 202 CAPITOLO NONO. Anno 1734. Vienna e Venezia 244 c."PITOLO DECIMO. Anno 1735. Venezia, Modena e Milano 279 CAPITOLO DECIMOPRIMO. Anni 1736 e 1737. Ginevra, Cham~ry e castello di Miolans 318 ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI (a cura di Sergio Bertelli)

Nota introduttiva DALLA

« ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI»

Introduzione

349

1234

INDICE

Libro III De' Goti occidentali e delle loro leggi 380 I. Del codice d'Alarico 385 III. Del nuovo codice delle leggi degli Westrogoti 388 CAP. II. De' Goti orientali, e loro editti I. Di Teodorico ostrogoto, re d'Italia 394 II. Leggi romane ritenute da Teodorico in Italia, e suoi editti 401 conformi alle medesime III. La medesima politia e magistrati ritenuti da Teodorico in Italia 404 v. I medesimi codici ritenuti e le medesime condizioni delle persone e de' retaggi VI. Insigni virtù di Teodorico e sua morte

CAP. I.

Libro IV CAP.

n. Del ducato Beneventano e di Zotone suo primo duca

Libro V

418 429

Leggi di Luitprando Origine del dominio temporale de' romani pontefici in Italia CAP. v. Leggi de' Longobardi ritenute in Italia, ancorché da quella ne fossero stati scacciati: loro giustizia e saviezza 1. Leggi longobarde lungamente ritenute nel ducato Beneventano, e poi disseminate in tutte le nostre provincie ond'ora si compone il Regno CAP. ULT. Della politia ecclesiastica 11. Monaci, e beni temporali I.

IV.

429 432 441

453 458 466

PROFESSIONE DI FEDE (a cura di Sergio Bertelli) Nota introduttiva DALLA « PROFESSIONE DI FEDE»

Articoli primari e fondamentali RAGGUAGLIO DELL'IMPROVISO E VIOLENTO RATTO PRATICATO IN VENEZIA AD ISTIGAZIONE DE' GESUITI E DELLA CORTE DI ROMA NELLA PERSONA DELL'AVVOCATO PIETRO GIANNONE (a cura di Sergio Bertelli) Nota introduttiva RAGGUALIO DELL'IMPROVISO E VIOLENTO RATTO PRATICATO IN VENEZIA AD ISTIGAZIONE DE' GESUITI E DELLA

INDICE

1235

CORTE DI ROMA NELLA PERSONA DELL'AVVOCATO P. G., IL QUAL ESPOSTO ALLA RIVA DEL PO IN PAESE DESERTO B NEMICO, FU QUIVI LASCIATO SOLO O A PERIR DI DISAGGIO, OVVERO AD ESSER PREDA DE' SUOI FIERI ED IMPLA-

Colle querele del medesimo contro gl'istigatori e coloro che 'I commandarono, ciecamente eseguendo i lor perversi ed iniqui consigli. Helmstat, A. MDCCXXXV 513 CABILI NEMICI.

OSSERVAZIONI CRITICHE SOPRA L'HISTORIA DELLE LEGGI E DE' MAGISTRATI DEL REGNO DI NAPOLI COMPOSTA DAL SIG.RE GRIMALDI (a cura di Giweppe Ricuperati) Nota introduttiva

S57

OSSERVAZIONI CRITICHE SOPRA L'HISTORIA DELLE LEGGI

E DE' MAGISTRATI DEL REGNO DI NAPOLI COMPOSTA DAL SIG.RE GRIMALDI

Dell'Istoria delle leggi e de' magistrati del regno di Napoli Delle leggi e de' magistrati romani dalla fondazione di Roma per insino alla decadenza dell'Imperio

563

LIB. I.

564

ua11 un. 111. Delle leggi e magistrati del regno di Napoli, dalla co-

s~

ronazione di Carlo Magno imperatore fino a Corrado il Salico

567 568

LIB. IV

570 576

LIB. V

LIB. VI

IL TRIREGNO (a cura di Giuseppe Ricuperati) Notn introduttiva DAL «TRIREGNO»

Libro primo.

DEL REGNO TERRENO

In cui si contiene la dottrina degli Ebrei, palesataci ne' libri del Vecchio Testamento CAP. 1v. Come in tutta la posterità di Noè, donde si vuole empita la terra di abitatori, si fosse mantenuta la stessa credenza e PARTE I.

581

1236

INDICE

concetto che si ebbe per l'uomo di regno terreno, solo di felicità o miserie mondane e lo stesso concetto del suo essere e morire

593

PARTE II. Dell'origine del mondo efonnazione dell'uomo: ma natura e

fine, secondo il sentimento de, più grafJi e seri filosofi

In che gl'Egizi, i Greci ed altri filosofi facessero consistere la natura delPuomo, e come fossero di conforme sentimento con Mosè che uno spirito animava l'universa carne sl degl'uomini come degli animali 609 CAP. 111. Del nuovo sistema di Cartesio intorno alla creazione del mondo, formazione dell'uomo e natura di questo spirito 624

CAP. II.

Libro secondo.

DEL REGNO CELESTE

Introduzione

Libro terzo.

DEL REGNO PAPALE

PERIODO SECONDO. Dalla confJersione di Costantino M. infino alla mor-

te dell'imperator Giustiniano il Grande e pontificato di Gregorio Magno

654

Come, dopo la conversione di Costantino, la sopraintendenza de' vescovi molto più veloce che prima corresse verso la dominazione, per l'autorità, lustro e splendor che gli diede, e fosse quindi sorta fra, ministri della Chiesa una più ampia e maestosa gerarchia di metropoliti, primati ed esarchi, ovvero 656 patriarchi, corrispondenti a, magistrati dell'Imperio [CAP. 111]. [Come questa nuova polizia della Chiesa si adattasse a quella dell'Imperio, secondo le diocesi e province del medesimo, alle quali furono preposti per lo governo ecclesiastico gli esarchi e i metropolitani] 663 CAP. IV. I capi e moderatori di quesitesterior ecclesiastica polizia erano gl'imperatori cristiani, come supremi ispettori da Dio costituiti per averne cura e protezione 698 CAP. v. Come nel V e VI secolo, sotto graltri imperatori cristiani successori di Costantino Magno, si fosse variata quest'esterior polizia per i favori e prerogative che i medesimi concedettero a Costantinopoli dichiarandola • nuova Roma ,, sede e capo dell,Imperio d'Oriente, pareggiando per conseguenza il suo vescovo a quello dell'« antica Roma•, sede dell'Imperio d,Occidcnte 702 CAP. VI. Delle cagioni dclPingrandimento del vescovo di Roma, onde distese l'autorità sua esarcale sopra altre diocesi e provincie d,Occidente non comprese nel vicariato di Roma 710 CAP. II.

INDICE

1237

DISCORSI SOPRA GLI ANNALI DI TITO LIVIO SCRITTI DA PIETRO GIANNONE GIURECONSULTO ET AVVOCATO NAPOLITANO NEL CASTELLO DICEVA L'ANNO 1739 (a cura di Giuseppe Ricuperati) Nota introduttiva

731

DISCORSI SOPRA GLI ANNALI DI TITO LIVIO SCRITTI DA PIETRO GIANNONE GIURECONSULTO ET AVVOCATO NAPOLITANO NEL CASTELLO DI CEVA L'ANNO 1739

Parte I Della franchezza colla quale Livio scrisse delle cose appartenenti alla religione romana; e come non solo intorno al culto de' dii, e lor vantati miracoli, ma in tutti i suoi rapporti serbasse un'incorrotta sincerità di fedele istorico e di profondo e grave filosofo 747 I. Per ciò che riguarda la teologia naturale 751 II. Per ciò che riguarda la teologia civile 75S III 758 DISCORSO xn ED ULTIMO. De' mani e sepolture de' Romani 762 1. Conchiusione di questa I parte 770 DISCORSO III.

Parte II xvn. Per quali cagioni in discorso di tempo fossero state da' Romani proibite a' cristiani le loro chiese o siano unioni, riputandogli collegi illeciti, e procurato di abolirli, e come dapoi per Costantino M. la religione cristiana fosse stata ricevuta nel1' Imperio 772

DISCORSO

APOLOGIA DE' TEOLOGI SCOLASTICI (a cura di Giuseppe Ricuperati) Nota introduttiva

79 1

DALLA « APOLOGIA DE' TEOLOGI SCOLASTICI»

Libro I Al molto Rev. P. Gio. Battista Prever sacerdote della Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri di Torino 797 CAP. III. Delle ricerche fatte sopra l'uomo, sopra la natura delle anime umane, loro immortalità, stato doppo la morte de' corpi, e resurezione de' medesimi 80:z

1238

INDICE

I

803

II

805 808 815

]li

Dell'austera morale de' Padri antichi 1. Intorno al disprezzo della propria vita ed annientazione di se stesso II. Si commendano le femmine e spezialmente le vergini, le quali, per evitare d'essere per forza violate, prevengono la violenza con darsi per se medesime morte III. Si condanna la giusta difesa di se medesimo e de' propri suoi

CAP. IX.

820

824

~~ IV. Si

8~

]]I

854 856

condannano nell'umana società tutte sorti di giochi e di onesti diporti: tutto ciò che a' nostri sensi esterni può recare innocente piacere: tutte sorti di abbigliamenti, anche nelle femmine, e s'impongono a' cristiani altre catene e rigori, onde per ammenda eran condennati a dure e pubbliche penitenze 830 CAP. Xl. Delle questioni vane, ridicole e curiose, onde gli scrittori de' secoli rozzi ed incolti han riempito i lor volumi, seguendo la traccia de' Padri antichi 840 I. Questioni sopra il Vecchio Testamento 845 n. Sopra il libro di Giob 852 IV CAP. XII.

Delle questioni curiose e ridicole sopra il Testamento

Nuovo I. Sopra i Magi 11. Sopra la Vergine Maria e S. Giuseppe 111. Ricerche sopra Pilato, Giuda, sopra i 24 vecchioni dell'Apocalisse, Anticristo, resurezione, paradiso ed inferno CAP. XIII ED ULTIMO. Imperizia ne' Padri antichi d'istoria e di cronologia emendata da' nuovi scrittori II

859 866 869 873 881 885

Libro I I I. De' libri di S. Agostino CAP. 111. CAP. 111.

De' rigoristi De' gomoristi, arminiani e giansenisti

888 900

ISTORIA DEL PONTIFICATO DI GREGORIO MAGNO

(a cura di Giuseppe Ricuperati) Nota introdutti~a

915

ISTORIA DEL PONTIFICATO DI GREGORIO MAGNO

Libro IV Che ancor oggi fra le cose desiderate debba riporsi un'esatta, generale e compita istoria ecclesiastica

CAP. ULTIMO.

933

INDICE

1239

Gentile n. Intorno alla religione giudaica III. Istoria della Chiesa cristiana 1v. Intorno alla religione maomettana I.

V

L'APE INGEGNOSA OVERO RACCOLTA DI VARIE OSSERVAZIONI SOPRA LE OPERE DI NATURA E DELL'ARTE (a cura di Giuseppe Ricuperati) Nota introduttiva

989

DA ccL'APE INGEGNOSA OVERO RACCOLTA DI VARIE OSSERVAZIONI SOPRA LE OPERE DI NATURA E DELL'ARTE»

Proemio

1007

v. Sopra la minuta gradazione che si scorge in natura tra' viventi; sicché sovente riesca assai difficile di porre giusti confini fra l'uno e l'altro genere OSSERVAZIONE x. Che la religione sia propria e sola dell'uomo, la quale, quando non sia da Dio rivelata, è sempre sottoposta a vari errori ed inganni 1. La vera religione non essere che la rivelata da Dio OSSERVAZIONE XII. Il riso, il pianto, il sermone, la sagacità, industria e l'accorgimento non essere così propri dell'uomo, sicché i bruti non ne abbiano qualche immagine, ancorché languida, debole ed imperfetta 1. Intorno al sermone 11. Sagacità, industria ed accorgimento OSSERVAZIONE XIX. Le comete niente portendono overo presaggiscono o di bene o di male, quando si rendono a noi aspettabili OSSERVAZIONE

I OSSERVAZIONE XXVIII.

1014

1027

1042 1043 1047 1061 1065

Delle biblioteche

III

Del concetto ch'ebbero del nostro morire gli antichi nell'età vetuste delle quali è a noi rimasa memoria; e come dal costume degl'Egizi, di condire e con molta celebrità seppellire i loro morti, e da' fatti magnanimi di uomini grandi e generosi si fosse data occasione di pensare ad un'altra seconda vita, che a questa prima succede

1071

OSSERVAZIONE XL.

I OSSERVAZIONE ULTIMA.

Che innalzato l'uomo ad un più sublime fine nel suo stato di grazia, non dee riputarsi sol terreno e mondano, ma aspirare doppo la presente ad un'altra vita, in un regno non già terreno e mortale, ma celeste ed eterno

1079

1088

1094

INDICE

LETTERE

(a cura di Sergio Bertelli) Nota introduttiva

1101

LETTERE

A Carlo Giannone • Napoli (Lubiana 28 maggio 1723) A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 12 giugno 1723) III. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 3 luglio 1723) 1v. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 28 agosto 1723) v. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 22 gennaro 1724) VI. A Carlo Giannone · Napoli (Vienna 29 gennaro 1724) VII. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 24 giugno 1724) VIII. A Carlo VI • Vienna [novembre 1724] IX. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna II novembre 1724) x. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 23 giugno 1725) XI. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 25 agosto 1725) xn. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna 24 agosto 1726) x111. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna [ma Perchtoldsdorf] li 19 giugno 1728) XIV. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna li 7 maggio 1729) xv. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna li 8 ottobre 1729) XVI. A Ramon de Vilhena, marchese di Perlas Rialp • Vienna [febbraio-marzo 1730] XVII. Ad Alois Thomas Raimund d'Harrach • Napoli (Vienna 18 novembre 1730) XVIII. A Carlo Giannone • Napoli (Vienna [ma Modling] li 9 agosto 1732) XIX. A Carlo Giannone • Napoli ([Vienna] A' 22 maggio 1734) xx. Ad Adriano Lanzina y Ulloa, duca di Lauria • Napoli (Venezia li 25 settembre 1734) xxr. Ad Adriano Lanzina y Ulloa, duca di Lauria • Napoli (Venezia li 9 ottobre 1734) XXII. A Carlo Vincenzo Ferrero di Roasio d'Ormea • Torino (Milano li 18 novembre 1735) XXIII. Ad Alessandro Teodoro Trivulzio • Venezia (Ginevra 19 marzo 1736) XXIV. A Carlo Giannone • Napoli (Dal castello di Ceva, li 13 novembre 1741) I.

u.

INDICE DEI NOMI

1109 1114 1117 1119 1125 1128 1134 u39 1142 1148 u52 1156 1160 1163 1166 1169 1171 1174 1178 1180 1183

1186 1189 1191

I

197

IMPRESSO NEL MESE DI DICEMBRE MCMLXXI DALLA STAMPERIA VALDONEGA DI VERONA