La letteratura italiana. Storia e testi. Opere [Vol. 57.2]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI COLLANA GIÀ DIRETTA DA RAFFAELE MATTIOLI · PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI DIRETTORE CARLO MARIA OSSOLA

V O LUME 57 ·

TOMO 11

IPPOLITO NIEVO • OPERE TOMO 11

IPPOLITO NIEVO

OPERE TOMO II

A CURA DI UGO MARIA OLIVIERI

RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO· NAPOLI

e de (per i quali cfr., i11fra, pp. 127-135), siano una risposta agli articoli indirizzati, in questa occasione, contro gli studenti universitari. Ne Gli studenti delle università italia11e, Nievo si richiama alla polemica intrapresa un anno prima contro i pregiudizi anticbraici che avevano libero corso nel giornale, per mettere in rilievo con1e la parità formale di fronte alle libertà deve essere invocata proprio per quelle minoranze sociali, gli Ebrei, e per quei gruppi generazionali, gli studenti, su cui più forte si esercita il sospetto e l'esclusione della società reazionaria d'Antico Regime. Non occorre forzare i testi per cogliervi la consapevolezza già matura che la nuova società borghese debba sconfiggere tutti i pregiudizi e privilegi ereditati dall'Antico Regime. Gli articoli, più che ritrarre l'an,biente studentesco padovano, teatro dell'esperienza universitaria dello scrittore appena ventenne, sono indubitabile testimonianza della precocità di alcune scelte civili. Ben presto il problema dell'integrazione all'interno di una società libera dalle chiusure e dai privilegi del1' Antico Regime sembra porsi anche per una classe, quella contadina, da secoli estranea alla realtà nazionale e assente come soggetto politico dal programma di emancipazione nazionale della borghesia liberale. Non a caso, tra il luglio e l'agosto del 1854, sulle colonne de •L' Alchimista Friulano,> con1paiono gli Studii sulla poesia popolare e civile massimame11te in Italia, prima traccia del costante interesse nieviano

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nei confronti delle plebi rurali che si concretizzerà prima nella rappresentazione . Lo stesso frammento Riuoluzio11e politica e rivoluzione nazionale, così ermetico circa le letture retrostanti, lascia intravedere nelle sue pagine la conoscenza di alcune tappe

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del pensiero contemporaneo sull'agricoltura veneta e il probabile ruolo di mediazione svolto sia dalla pubblicistica mantovana che da quella friulana, anch'esse attente ai dibattiti economici. Sono questi i contesti culturali con cui Nievo entra in sinergia per ritrovare in entrambi la persuasione che la creazione di una nuova economia coinvolgeva anche la letteratura come guida e supporto di civilizzazione. Nel più tardo Dialogo della filosofia con un nuovo stampo d'avaro (per cui cfr., infra, pp. 207-215), comparso a Mantova nel 1858, nella strenna illustrata e siglati Todero, ad esempio, è esplicitamente organizzato sotto forma di prologo, con ovvie interferenze anche del codice teatrale. Quasi mai tali introduzioni, e ancor più le rubriche poste aWinizio dei capitoli delle Confessioni d'u,i Italiano, hanno una funzione riassuntiva o esplicativa rispetto agli argomenti trattati; sembrano piuttosto esporre l"aria', impostare la tonalità e il ritmo dell'articolo o del capitolo romanzesco. Le suggestioni che confluiscono nella prosa un1oralc e umoristica, da conversazione mondana, degli articoli, sono ovviamente molto più ampie e occorre notevolmente estendere il raggio della campionatura se si vuole ritrovare nella scrittura giornalistica anche la fucina della lingua delle Confessio11i. Il linguaggio del teatro e dell'opera è solo una delle componenti della mescidazione stilistica e politonale presente nel ron1anzo. Eppure qualche ulteriore suggestione può venire proprio da un'indagine sui compositori prediletti da Nievo. Singolarmente Verdi, protagonista assoluto del melodramma ottocentesco, è più venerato per motivi patriottici e civili che prediletto per affinità di gusto; di Verdi non

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convince la ricerca dell'effetto, l'uso di una strumentazione e di un testo sovrabbondante. Veramente amati sono invece Rossini, Bellini e Donizetti, e di Rossini Nievo sembra apprezzare, oltre che la politonalità espressiva, il legame con la tradizione dell'opera buffa. È un segnale assai significativo che consente di aprire per analogia un discorso sull'umorismo come modalità tipica della scrittura nieviana in moltissimi articoli giornalistici. L'interesse per il comico risale già agli Studii sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia, che testimoniano una conoscenza non superficiale di quella componente della letteratura italiana che potremmo per comodità definire bernesca. Quando a questo filone giocoso si affianca la poesia epigrammatica di Giusti, il sarcasmo assume valenze immediatamente morali e civili, rinfocolate nella prosa dalla matrice umoristica che ha come numi tutelari Sterne e Heine. Proprio da questa linea sembra direttamente discendere la 'fisiologia del sociale' che caratterizza gli articoli del periodo milanese.- In una società che richiede allo scrittore di essere «positivo come un banchiere, realista come una /orette» e di adeguare la sua ispirazione «alle succulente emanazioni della cucinai), l'umorismo diviene una tonalità in grado di trascrivere le abitudini mondane, i costumi e i tics della borghesia milanese e, al contempo, di esorcizzare la tentazione sempre incombente della posa eroica di tipo ortisiano. Occorre accennare, prima di soffermarci sulle tonalità umoristiche dc~li articoli de ) o de , su . Su queste testate Nievo scrive sempre indossando le varie maschere degli pseudonimi creati per poter variare lo sguardo e la voce attraverso cui descrivere il suo presente e, proprio per percepire meglio le differenze stilistiche tra le varie 'maschere d'autore', si è scelto di disporre i testi non in ordine cronologico, ma secondo un ordine che ricostruisse il contesto del giornale su cui comparvero. Una percezione del contesto che porta subito a comprendere come in questa fase il giornalismo nieviano esorbiti, e di molto, dalla sola dimensione pedagogica, formativa delle coscienze e della cultura della classe liberale risorgimentale, per affacciarsi a una dimensione problematica che, negli articoli de ccli Pungolo» e de 4> poi. L'ambiente lo consente e lo richiede, a cominciare da c,11 Pungolo», nato dalle ceneri del veneziano c,Quel che si vede e quel che non si vede,> e proseguito a Milano sotto gli auspici della figura del diavolo Asmodeo, che compariva come immagine ed emblema nella testata del giornale, munito di un pungolo con cui stimolare la coscienza addormentata dei Milanesi. Il testo di riferimento è, naturalmente, Le Diable b01'.teaux (1707) di Alain-René Lesage, in cui il protagonista, grazie ai poteri fornitigli dal diavolo Asmodeo, potrà vedere tutto

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quello che accade sotto i tetti della città di Madrid. E nelle Attualità, che Nievo con lo pseudonimo di Sss scriverà per il giornale, quello che 'accade' - le soirées musicali nei tanti teatri milanesi, le recensioni di melodrammi, le esecuzioni più o meno brillanti di cantanti e ballerini - diviene il pretesto, lo strato superficiale per poter parlare d'altro e calarsi così nel tempo della modernità scandito dalla voglia di arricchimento e dalla insensibilità ai valori ideali. Ritorna in questi articoli il dualismo tra ideale e reale, tra virtù astratta e assuefazione al presente, ai suoi agi materiali, che si tradurrà nel graffiante romanzetto filosofico Il Barone di Nicastro (per il cui testo cfr., infra, pp. 591-689, e relativa Nota introduttiva, pp. 575-585), uscito a puntate sempre sulle colonne de >. Sintomatico il rapporto intertestuale che s'instaura tra la scrittura giornalistica e la tessitura, l'ordito (il discours, direbbe un narratologo), del Barone. Mentre nel romanzo ritornano - esplicitati in tema narrativo, in connessione con gli eventi - il riferimento alla riflessione leopardiana sulla virtù e il mito già settecentesco delle esplorazioni geografiche in luoghi vergini di civiltà, negli articoli giornalistici questi stessi riferimenti compaiono come criptici accenni, nomi citati a beneficio del lettore 'informato' che può intuire il sostrato culturale a cui guardare o, in alcune occasioni, come trama per un sovvertito divertissement che dalla cronaca degenera in aperta invenzione. È il caso dell'articolo IL progresso Siamese (per cui cfr., infra, pp. 356-360), nel quale il resoconto di un'ambasceria in Siam da parte di diplomatici francesi, letto sulle pagine della «Revue des Deux Mondes>>, diviene una umoristica inversione della funzione civilizzatrice dell'Occidente che servirà a importare nel regno del Siam la ghigliottina, le arn1i e il comn1ercio come simboli del progresso. Non si deve però credere a una prosa risentita e solo moralisticamente pungente. Qui sta lo scatto innovativo dell'umorismo. I quadri d'ambiente che si delineano nei vari articoli di Attualità o sciocchezze sono animati da una dimensione narrativa, da una capacità di cogliere e fissare tipologie sociali che rimangono vivide nella memoria del lettore. Secondo un metodo di lavoro tipico del giornalismo del tempo, l'articolo di corrispondenza serve a commentare un avvenimento ma soprattutto a delineare umoristicamente un'atmosfera, un costume, un frammento di una realtà dominata dal > e ol'altra persuasa parimenti di ciò, e persuasa tanto[ ... ], che crede tempo perduto il corrergli dietro 1> (in/ra, p. 646), Camillo di Nicastro sperimenta i limiti della propria idealistica ricerca della conciliazione tra ideale e reale. La forma del réàt filosofico, giocando con le leve dell'ironia e dell'accentuazione grottesca, consente all'autore implicito un dominio stilistico e costruttivo

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sui materiali e innesca un processo di ridimensionamento dei miti e delle illusioni del protagonista. L'ironia non si esercita, tuttavia, solo nei confronti del barone ma - come ha ben mostrato Mazzacurati 12 - agisce come formazione di compromesso nei confronti dello stesso autore implicito, ne traduce il suo disinganno di fronte a un universo pragmatico e mercantile. Dietro la parabola che conduce dal mondo senza storia delle novelle rusticali ai colori sovraccarichi d'ironia del récit philosophique si percepisce la difficile oggettivazione delle proprie illusioni di intellettuale risorgimentale, la sensazione della contraddizione tra il proprio punto di vista assiologico e una realtà scarnificata e ridotta allo scheletro dei fatti disertati dagli ideali. Nell,affresco delle Co11fessioni la storia farà la propria ricomparsa, congiunta all'idillio, grazie alla traduzione nella voce dell'ottuagenario dei materiali e delle situazioni narrative del genere storico, con ampie integrazioni da altri generi, dal romanzo picaresco a quello memoriale. Così, mentre l'ironia interna tra l'io narrato e l'io narrante sembra provvedere a dissolvere i miti intellettuali e storici troppo impegnativi, l'autore implicito può gestire la propria 'confessione' come una sorta di terapia formale, e, grazie alla costruzione dell,opera come pluralità di punti di vista, può pareggiare i conti con i propri tics ideologici: Carlo carissimo - L'hai proprio indo,·inata! Finch'ebbi alle coste il Romanzo stetti benissimo, benché mano a mano che il mio protagonista diventava vecchio, anch'io m'andava discretamente ingrognando. Quando poi gli ebbi messo in bocca le ultime parole, rimasi presso a poco senz'anima, e una magnifica luna (proprio d'agosto) illuminò subito subitamente il mio orizzonte•J.

Negli ultimi mesi del 1858, completata la stesura delle Co11fessio11i con il loro ten1po 'grande', con la loro capacità di fornire un senso alla storia n1cdiante la congiunzione di n1en1oria collettiva e memoria individuale, Nievo è ri1nasto solo di fronte al ten1po quotidiano, sente che gli eventi politici incalzano, i segnali di una guerra imminente si precisano, n1a sa anche che tutto può sfumare e allora difficihnente potrà afferrnare, come il suo personaggio, ,L'attività privata d'un uomo [ ... ] n1i pare debba in alcun modo riflettere l'attività comune e nazionale che la assorbe; come il cader d'una goccia rappresenta la direzione della pioggia». Cfr. G. MAZZACURATJ, Pitagora a Nerv York: per rma prefazio11e al «Baro11e di Nicastro• di Ippolito 1.Vin•o, in lo .., Forma e ideologia, Napoli, Li12.

guori,

pp. 269-293. 13. Lettera a Carlo Gobio del N1Evo, Lettere, cit., pp. 517-518). 1974,

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agosto 1858 (I.

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Continua a pubblicare sui giornali milanesi e gli articoli vengono sentiti come un modo per comunicare che sostituisce, in un certo senso, l'azione. Un sintomo di tale atteggiamento può essere ritrovato nella rielaborazione, all'interno della Corrispondenza di Venezia per >, 20 marzo 1881 (pubblica il manoscritto della prefazione, oggi nella Biblioteca Comunale di l\1antova), le edizioni in D. MANTOVANI, Il Poeta Soldato. Ippolito 1.Vievo, 1831-1861, Milano, Treves, 1900 (si basa sul manoscritto della prefazione); in Novelliere campag,ruolo, cit. (pubblica la prefazione e i capp. I V e V, manoscritto della collezione Botturi oggi irreperibile); Il pescatore di anime, a cura di L. Zinna, in c,Quaderni di Arenaria>>, 2, Supplemento ad c1Arenaria,>, 1986, 4 (riprende Dc Luca ma con un diverso ordinamento dei capitoli). Per Le Co11fessioni d'un Italiano, il lavoro sul manoscritto, iniziato nel 1952 da Sergio Romagnoli con l'edizione del testo in Opere, cit., è stato ripreso da vari studiosi in edizioni successive: da quella per e.i l\tleridiani,>, a cura di ì\1. Gorra, cit. (riprende, con qualche modifica, l'edizione Romagnoli del 1952), a Le Confessioni d'un ltalia110, introduzione e cura di S. Romagnoli, presentazione di S. Nievo, illustrazioni di G. Zigaina, Venezia, Marsilio, 1990 (modifica in senso conservativo le scelte grafiche dell'edizione 1952), ristampata in formato tascabile nella collana ccEsperia•, Venezia, ì\1larsilio, 1998, a Le Co11fessioni d'u11 Italia110, introduzione e cura di S. Casini, l\1ilano-Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 1999 (propone soluzioni diverse rispetto all'edizione Romagnoli nella ripresa di alcuni fenomeni grafici del manoscritto). Cfr. anche G. lVIAFFEI, Bibliografia essenziale, in lo., Nievo, Roma, Salerno Editrice, 2012, pp. 345-363. Per i romanzi minori: A11gelo di bontà. Storia del secolo passato ha avuto solo un'edizione nell'Ottocento: Milano, Oliva, 1856; riproposto da Portinari in Tutte le opere narrative di Ippolito Nievo, voi. I, cit., in una versione modernizzata nella lingua, oggi riportato alla lingua della stampa ottocentesca nell'Edizione Nazionale delle Opere, a cura di A. Zangrandi, cit., affiancato dall'edizione critica dell'autografo del 1855, a cura di A. Zangrandi e P. V. Mengaldo, cit.

BIBLIOGRAFIA

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Il Conte Pecorajo. Storia del nostro secolo ha una storia editoriale simile. Edito una prima volta nel 1857 (Milano, Vallardi), ha conosciuto edizioni novecentesche normalizzate neJla lingua compresa queJla di Portinari, cit. Ora è stato riproposto nell'Edizione Nazionale delle Opere, sia nel testo a stampa del 1857, a cura di S. Casini, cit., che nella versione dei manoscritti del 1855-1856, sempre a cura di S. Casini, cit. Per le novelle, è da ricordare che le novelle campagnole, pubblicate in vari giornali, dovevano confluire in un unico volume, ma il progetto non fu portato a compimento. Sono state raccolte per la prima volta nel Novecento a cura di I. De Luca nel suo fondamentale Novelliere campag,molo, cit., assieme a novelle di vario argomento. Notevoli per i commenti anche le due edizioni del solo Novelliere campagnuolo, l'una a cura di F. Portinari, Milano, l\tlondadori, 1994, l'altra a cura di A. Nozzoli, ìVlilano, Mursia, 1994. Nell'Edizione Nazionale delle Opere è ora raccolta la produzione novellistica non rusticale nel volume Novelle, a cura di M. Colummi Camerino, cit. Per quel che riguarda le poesie, l'autore riunì in varie raccolte i lavori che andava pubblicando sui periodici a cui collaborava: Versi, Udine, Vendrame, 1854; Versi, Udine, Vendrame, 1855; Le Lucciole, l\itilano, Redaelli, 1858; Gli amori garibaldini, ìVlilano, Agnelli, 1860. Tutte queste raccolte, assieme alle poesie giovanili e a varie sparse, sono confluite in Poesie, a cura di M. Gorra, cit. Nello stesso volume sono riunite le traduzioni nieviane da Vreto, Heine, Hugo, Lermontov che sono state anche edite in I. NIEVO, Quaderno di trad11zio11i, a cura di I. De Luca, Torino, Einaudi, 1964 (2• ed. aumentata 1976). Alle poesie edite va aggiunto un lungo poemetto inedito: I. NIEVO, Lo studente, a cura di U. ìVI. Olivieri, Udine, Gaspari, 2012. Il. STUDI

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Biografie. Ancora preziosa per le informazioni di prima mano la biografia di D. ìVIANTOVANI, Il Poeta Soldato, cit.; mentre documenti e testimonianze interessanti si trovano in G. SOLITRO, Ippolito Nievo. Studio biografico con documenti i11editi, Padova, Tipografia del Seminario, 1936; tra le biografie moderne si segnalano per an1piezza di documentazione: Ivi. GoRRA, Ritratto di J.Vievo, Firenze, La Nuova Italia, 1991; l'ampia Cronologia anteposta da S. Casini alla sua edizione delle Co11fessio11i, cit., pp. CXXI-CLXXXI I. e E. CHAARANI LESOURD, Ippolito 1.Vievo. Uno scrittore politico, Venezia, Marsilio, 2011. Per la formazione dello scrittore: C. BOZZETTI, La formazione del Nievo, Padova, Liviana, 1959; F. SAMARITANI, P. ZAMBON, Nota 11ieviana: la biblioteca di casa Nievo, in c1Archivi del nuovo. Notizie di casa l\'1oretti1>, 2002, 10-11, pp. 55-68; C. DE MICHELIS, Adolescenza di Ippolito, in Ippolito Nievo t,·a letteratura e storia, cit., pp. 17-29. Numeri ,no11ografici di riviste, cataloghi e Atti di convegni. Per il centenario della nascita di Ippolito Nievo, si segnalano i numeri monografici de ccL' Italia Letteraria•, VII, 20 dicembre 1931, 51, e de •L'Illustrazione Italiana», LVIII, 23 agosto 1931, 34; Catalogo della Mostra dei cimeli di Ippolito 1.Vievo, in occasione del centenario, Udine, Doretti, 1961; Ippolito Nievo 11el/a cultura e nella storia del territorio: dall'illwm:nismo al romanticismo, Atti del Convegno (Udine, Università degli studi, 1-3 dicembre 1988), 2 voll., Udine, s.n., 1989; Ippolito Nievo e il !Vla11tova110, Atti del Con,·cgno (Rodigo, 7-9 ottobre 1999), a cura di G. Grimaldi, introduzione di P. V. l\tlcngaldo, Venezia, Marsilio, 2001; Ippolito Nievo tra letteratura e st1Jn·a, cit.; Ippolito Nievo, Atti del Convegno (Udine, 24-25 maggio 2005), a cura di A. Daniele, Padova, Esedra, 2006; •lo nacqui Veneziano e ... morrò per grazia di Dio italiano•. Ippolito Nievo negli scritti ardografi verso l'Unità d'Italia, Atti del Convegno (Roma, 16 marzo 2011 ), a cura di M. Santiloni, Firenze, Cesati, 2012; Ippolito Nievo et le Risorgime11to émancipateur, Actes du Colloquc (Nancy, Université de Lorraine, 23-25 juin 2011 ), textes rasscmblés et présentés par E. Chaarani Lesourd, in c,PR I SM h, 2013, 11 (numero monografico); Ippolito Nievo ce11tod11q11a11t'am1i dopo, Atti del Convegno (Padova, 19-21 ottobre 2011), a cura di E. Del Tedesco, Roma, Serra, 2013; Ippolito Nievo: l'avventura del romanzo, Atti della giornata di studi (Roma, 11 aprile 2013), a cura di M. Santiloni, Firenze, Cesati, 2013. Monografie. F. ULIVI, Il romanticismo di Nievo, Roma, Anonima Vcritas Editrice, 1947; C. BOZZETTI, Laformazio11e del Nievo, cit.; A. BALDUINO, Aspetti e tende11ze del Nievo poeta, con prefazione di V. Branca, Firenze, Sansoni, 1962; S. ROMAGNOLI, Nievo scrittore rustica/e, Padova, Liviana, 1966; F. PoRTINARI, Ippolito Nievo. Stile e ideologia, ì\llilano, Silva, 1969; l\tl. GoRRA, Nievo fra 11oi, cit.; P. DE TOMMASO, Nievo e altri studi sul roma11zo ston·co, Padova, Liviana, 1975; G. KATZ SANGUINETTI, The uses of myth ;,, Ippolito Nievo, Ravenna, Longo, 1981; M. A. CORTINI, L'autore, il narratore, l'eroe.

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Come nelle lettere, anche nel romanzo intensa è la patina della lingua parlata veneta e mantovana, sostrato proprio della lingua nieviana. Molto forte è la componente aulica (ascosaglia, gita, inclita, desioso, etc.) infiltrata, come già nell'epistolario, anche nei , e per questo da considerare come parte dell'idioletto scritto dell'autore più che come l'effetto di una volontà stilizzatrice (P. V. MENGALDO, L •epistolan·o di Nievo, cit., pp. 350-351 ). I toscanismi (grascia, pezzuola, addarsi, abburattato, etc.) sono più di tipo letterario che colloquiale, anche se il soggiorno di N. in Toscana tra il febbraio e l'agosto del 1849 ha potuto forse, parzialmente, influenzarne la scelta. La presenza di francesismi (bimani, laquès, desert, boule-dogue), non sempre usuali nella lingua italiana dell'epoca, conferma la (ivi, pp. 8 e 346). Romagnoli per primo ha sottolineato il di N.; rilevante è infatti l'inventività dell'autore nella derivazione inusuale o inedita (giocoletti), nell'ambito di un registro che Mengaldo definisce di ccstilizzazione giocosal). Tra gli usi grafici di maggior rilievo vanno citati l'impiego costante (rare le eccezioni) di j per la semiconsonante e la presenza frequente della i fra palatale ed e (braccietto, sciegliere, tacciereste, minaccie, etc.). Il fenomeno fonetico più rilevante consiste negli scempiamenti, numerosissimi, di origine veneto-settentrionale (carozza, legesse, zimara, sdn,ciolavano, mora, indenizzavano, bizzaria, Messagen·a, prospetive, sopradglia, beretto - ma anche berretto-, stracotissimo, etc.) e nei falsi raddoppiamenti consonantici (soffà, diffatti, bissacciata, cavallier, brucciare - e le sue forme coniugate e composte -, ubbriaco, Brittanico, rissonar, dupplica, Catterina, rettorica, etc.), tra i quali alcuni di uso comune (bricciolo, Sabbato), altri dovuti all'analogia con altre forme, come nel caso del verbo 'piacere' (piacciute). Nelle forme non dittongate per la ò (tono. ova, movere e composti) interferiscono tanto la scelta dell'aulicismo quanto la componente dialettale veneta e toscana (ivi, pp. 4849), mentre per la è si riscontra solo mele in luogo di 'miele', forma letteraria nell'Ottocento, diffusa nei dialetti mantovano e milanese. Ricorrenti, ma non costanti, i casi di dittongazione in uo (giuocò, terremuoto, spagnuola, etc.). Normali per la lingua scritta dell'epoca sono gli allotropi letterari, numerosissimi e in genere costanti nel testo rispetto alla forma moderna (/aberinti, ritondetta, giovi11otto, indegnazione, dima11dava, riescire, maraviglia, conchiudere, etc.). Sistematica la prostesi di i davanti a s, sia dopo parola uscente in consonante, conformemente alle norme scritte dell'epoca, sia dopo parola uscente in vocale. Frequente, e letteraria, la sincope (ton11i per 'togliermi' ,femmo, morria, etc.); dialettali invece l'aferesi (spedie11te) e alcune forme palatalizzate (affigliarlo, ammobigliate, umigliata, bigliardo; ma una forma go11dogliere viene corretta dall'autore stesso). Anche in ambito morfologico i numerosi aulicismi coesistono con usi regionali o dialettali. Costante è il pronome maschile toscano-letterario ei in luogo di 'egli', frequenti alcune forme verbali auliche (ito, seppimo, diceano, ebbimo, addomandò, noverare, vaglio110 per 'valgono', abbadare, etc.), sistematica la desinenza in a per la prima persona singolare dell'imperfetto (scelta in cui convergono, tuttavia, il prestigio della tradizione letteraria e l'influsso dei dialetti nieviani), mentre sono forse venetismi alcune desinenze non1inali (mestiero). Frequenti (ma normalizzate in tutte le edizioni del testo) le forme irregolari della prima persona plurale del futuro semplice (comincieremmo in luogo di 'cominceremo', procederemmo, saremmo, trasformeremmo, accliiaperemmo), in alcuni casi corrette dall'autore stesso; è attestato qualche caso

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SCRITTI GIOVANILI

anche per la prima persona plurale dell,imperfetto (eravammo, ridevammo). L'ispirazione autobiografica dcli' Antiafrodisiaco è dichiarata nella Nota preposta al testo, nella quale l'autore avverte che i (> alludono a >; (cepisodio biografico>> viene poi definito il racconto sul finire della narrazione. Ed infatti le corrispondenze tra gli episodi narrati e la storia privata sono numerose, e tutte documentate dalle lettere indirizzate da N. a Matilde Ferrari, o ad Attilio Magri: l'evoluzione del rapporto sentimentale, dall'entusiasmo iniziale ai primi sospetti, poi alle circostanze della rottura; l'idillio, anch'esso bruscamente interrotto, tra Attilio ed Orsola, la sorella di Matilde; la preparazione degli esami di licenza liceale; il viaggio in Toscana; gli scambi epistolari con Matilde, riecheggiati nella finzione narrativa; il ccviaggetto in Carnia>>. Numerose anche le allusioni ai recenti eventi, italiani e internazionali, delle rivoluzioni del 1848 e del 1849; allusioni molto velate, certo, in modo da sfuggire alla censura, le quali lasciano tuttavia trasparire la sprezzante condanna dei regnanti europei responsabili della repressione dei movimenti democratici - Luigi Napoleone, gli imperatori d'Austria e, sul versante italiano, il papa Pio IX- e insinuano nel contempo un disincantato scetticismo nei confronti dell'evoluzione del socialismo francese. In particolare le allusioni relative al soggiorno, nel 1849, a Firenze (dove nel febbraio si trovava anche Mazzini), a Pisa e a Livorno, riprese anche in alcune lettere, testimoniano, pur senza fornirne elementi precisi, della partecipazione di N. ai convulsi eventi che ebbero luogo in Toscana durante il governo provvisorio formato da Guerrazzi. Esplicita poi, e di ispirazione mazziniana, è la fede nell'ideale della concordia dei popoli come orizzonte delle aspirazioni unitarie; essa si esprime attraverso la metafora della patria rappresentata come una donna ammalata, dalle membra fracide e disarticolate, in attesa di un rimedio che le rianimi e ne faccia . Antidoto alla della passione sarà la sensualità dei ; il (1puro ideale della poesia>> _verrà estinto col , e sacrificato alle esigenze del prosaico e delJ>ordinario. Al culto delle passioni assolute N. si era votato nella corrispondenza con Matilde, concepita come una sorta di romanzo del cuore, un lirico travaso di sentimenti, impressioni, moti segreti dell'animo, secondo il modello di scrittura inaugurato dalla Nouvelle Héloise di Rousseau, e i cui maestri erano stati, per

NOTA INTRODUTTIVA

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la sua generazione, Alfieri e Foscolo. Precocemente, tuttavia, il giovane N. si avvede del carattere fantasmatico e mistificatorio di una passione amorosa ricalcata sulla falsariga di autorevoli suggestioni letterarie; l'immaginazione, infiammata dal modello ortisiano, ha trasfigurato in , e ha esito tragico - va annoverato senz'altro Stello, il romanzo di Alfred dc Vigny pubblicato nel 1832, al quale N. fa riferimento in una lettera a i\tlatilde del 19 luglio 1850 (Lettere, p. 136), proprio quando il progetto dclr A ntiafrodisiaco comincia a delinearsi. In Stello, romanzo che N. definisce (IUn po' umoristico», egli può reperire tanto alcuni clementi narrativi ripresi nell'A11tiafrodisiaco, quali le interruzioni e le divagazioni, quanto, soprattutto, l'ispirazione generale del racconto, concepito con1e rin1edio contro la malattia da cui sono affetti quanti si abbandonano all'immaginazione e al sentimento, e vengono per questo annientati dal confronto con l'arida realtà. L'invenzione del personaggio di Incognito, il quale, in veste di medico, si fa carico di curare la di Anonimo, suggerendogli di convertire il sentin1ento amoroso in una disposizione (S. BATTAGLIA, s.v. Gambero, in Grm1dedizio11ariodellali11g11aita/ia11a, 21 voli., Torino, UTET, 1961-2004); l'espressione è qui riferita probabilmente ai cardinali che influenzarono la politica di Pio IX. 55. computista: esperto in contabilità. 1

SCRITTI GIOVANILI

sei tragiche facciate, che tradotte in burlesco volevano dire presso a poco così: Ottavia adorabile! - È poco il vederti, è poco il parlarti per me! Già è vero che il baciarti è qualche cosa, ma non però abbastanza - voglio anche scriverti per dedicarti anche i momenti in cui ti sono lontano. Io ti amo, come so amare; e ti amerò sempre, e poi sempre! Ti amo quando dormo, quando mi sveglio, quando faccio colazione, quando sono a pranzo, quando ceno, e quando mi cavo gli stivali per saltar in letto! - E tu, cara la mia Ottavia! mi ami tu come sai amare? mi ami sempre, e poi sempre? quando sei a pranzo, quando ceni, quando fai colazione, quando ti metti la camicia da notte per saltar in letto, quando dormi, e quando ti svegli? Se la è così, scrivimi, e dedicami quell'istante che non puoi dedicarmi in nessun'altra maniera! Il tuo etc. - Augusto. Al ricevere questa lettera la Signora Ottavia si sentì commossa più in giù che nel fondo delle viscere, e se non era giorno di festa, le sarebber venute le lagrime agli occhi. Cosa hai, Ottavia? le dimandò la Signora Marianna al vederla venire dabasso tutta confusa. - Niente! - faccio un pajo di calzetti. (Tanto è vero che alle volte si chiama far niente la più utile occupazione della propria vita). Anche il Signor Filostrato disse molte cose, e ne biasciò 56 il doppio, ma nessuno si sognò di rimbeccarle, che il far calzetti non era cosa da mettere in confusione una ragazza tanto disinvolta come l'Ottavia. Il fatto sta che la faccenda delle calzette andò in lungo, ed in lungo assai. Ogni volta che Augusto capitava non mancava di procurarsi un piccolo abboccamento a due colla Signorina; s'intende coi debiti riguardi; e la Signorina, coi debiti riguardi, corrispondeva teneramente alle sue carezze: ed egli non finiva mai di ripetere fra sé, e sé: Io l'amo certamente; perché altrimenti, per qual ragione verrei sempre in sua casa? ed ella pure mi ama, perché altrimenti come spiegare i suoi baci, e le sue sdolcinate moine? Dopo tutto ciò bisogna sapere che le foglie avevan finito di cascare, perché sugli alberi non ce n'era più una; per cui il Signor Filostrato adunò il consiglio di famiglia, e disse: Andiamo alla città. E il consiglio rispose in coro: andiamo! Detto, fatto; quattro settimane dopo s'imbarcarono in un calesse, e rimorchiati da un cavallo che parea andasse contro il vento, schivarono le insidie dei gabellieri 57 ; e uomini, donne, bambini con armi, e bagagli arrivarono sani, e salvi alla porta di casa. Molti vi erano accorsi per riabbracciare il Signor Filostrato dopo sì lunga assenza, e fu tale 56. biasciò: mormorò, da 'biasciare', forma più antica di 'biascicare'. Il verbo ha due occorrenze nel testo: qui e a p. 82 ( •biascianol) ). 57. gabellien·: funzionari che riscuotevano un'imposta alle porte delle città.

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l'emozione di questi amici di casa nel rivederlo, che non trovando parole per esprimerla, si voltarono a parlare di cose indifferenti colleragazze. Alla sera arrivò Augusto, e ne aveva tutta la ragione, poiché le porte spalancate della scuola erano quasi stanche di chiamar avventori, ed Augusto era un giovine affamato di cognizioni. Ed ora io dovrei cantare sulla chitarra la storia svariatissima di un anno d'amore: ma gli è un amore tanto scevro di nuvoli che non so da che lato prenderla per non volar in estasi dalla consolazione. Si legge in Isaia: I 1 suo nome sarà Emanuele, e si pascerà di mele, e butirro 58 ! - Io tendo a credere che quel buon vecchio col suo Emanuele abbia voluto alludere al nostro Augusto, ed alla Signora Ottavia col mele, e col butirro che dovevano confortargli lo stomaco. Diffatti un amore tanto sereno fu per loro come un secchio di acqua di Recoaro; poiché Augusto si imbottiva le ossa, e l'Ottavia ingrassava a vista. Tacete, male lingue, e non fate la glosa 59 alle mie semplicissime frasi. Quando dico ingrassava voglio dire ingrassava! - e se vorrò che intendiate ingrossava, dirò a dirittura ingrossava. Solo ci fu di mezzo un imbroglio! la casa era stretta come una gabbia; non si poteva sparire dietro le quinte per farvi quello che non si osava fare sulle scene; non si potevano far passare da mano a mano quelle tenere cartuccine60 , che erano tante ricette per quei due cuori piagati! In quanto al primo punto bisognava rassegnarsi a carpire i momenti opportuni; ma quanto al secondo si poteva far di meglio! C'erano i ripieghi61 I O arte antica quanto il mondo, e perfezionata e perfettibile ancora dalla sagacità del progresso. Il maggiordomo che ha bisogno di danaro cerca un ripiego - la moglie che ha in uggia il marito ha il suo ripiego - fino i Tedeschi hanno immaginato dei ripieghi per gonfiare i borsellini dei Croati 62 • Fin quell'orbo di presidente-lmperatore63 ha 58. mele, e butirro: miele e burro. 11 riferimento è alla profezia di Isaia che annuncia la nascita di Emanuele, il quale sarà nutrito di burro e miele, simboli della vita pastorale, sino all'età adulta (Isaia, VII, 15). 59. glosa: glossa, commento. 60. cart11ccit1e: da 'cartuccia', qui nel senso di 'bigliettino'. 61. ripieghi: stratagemmi, espedienti. 62. i Tedeschi ... Croati: Tedeschi erano chiamati gli Austriaci. Qui l'autore allude ai risarcimenti con cui gli Austriaci avrebbero ricompensato i Croati del loro appoggio militare durante la repressione delle insurrezioni di l\ililano e di Venezia. 63. preside11te-lmperatore: Carlo Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873), nipote di Napoleone I, carbonaro e impegnato nella causa italiana in gioventù, poi eletto presidente della Seconda Repubblica francese nel 1848, e divenuto imperatore col nome di Napoleone 111 quattro anni più tardi. Qui si allude

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rinvenuto un ripiego nel cappellino~ dello Zio, quando si è trattato d'inchiodnre la bocca a dieci milioni di uomini che gridavano: - Sei un baggiano 65 ! I nostri due amanti non si mostrarono da meno di tanta valorosa gente; e il ripiego ebbe un nome, e cognome come un cristiano, e si chiamava l\tlastro Gionata Beccafichi Professore di disegno. Non voglio mallevare66 che egli fosse cristiano; lo dissi così per similitudine, anzi per dar campo al vostro giudizio 67 , su questo particolare voglio raccontarvi la sua storia dall' A fino alla Z.

[V] STORIA DELLA VITA E MIRACOLI DI MASTRO GIONATA BECCAFICHI PROFESSORE DI DISEGNO

Non fatevi caso se esordisco di botto con un miracolo; perché si vocifera che Mastro Gionata Beccafichi sia nato, e balzato fuori be1lo e vestito da una cazzaruola 68 di fagioli cotti. l\lla questa è una ciarla della gente - que1lo che è storico si è, che egli vide la luce in casa di lVIastro l\tlacario Professore di Gastronomia, detto volgarmente cuoco. Ch'egli poi sia nato colle qualità fisiche, e morali sviluppate, e perfezionate potete crederlo in coscienza, perché lo asserisce egli stesso. Anzi aggiunge che appena sbucato da1l'alvo 69 materno sdrucciolò dal letto sul pavimento, e vi compose uno stupendo ba1letto con gran battimani per parte degli astanti. Debole preludio dei successi incredibili che dovevano sposarlo a Tersicore 70 • Io mi maraviglio come suo padre proprio al colpo di Stato che egli organizzò nel 185 1 per diventare imperatore, e che fissò al 2 dicembre (lo stesso giorno e lo stesso mese dell'incoronazione di Napoleone I imperatore) allo scopo di rivendicare la volontà di restaurare l'impero napoleonico. ln1mediata fu la resistenza dei deputati e l'insurrezione del popolo parigino, estesasi in modo disordinato al resto della Francia e sedata nel sangue. I patrioti italiani furono subito ostili a Luigi Bonaparte, giudicato colpevole, tra l'altro, di aver tradito il giuramento carbonaro. 64. cappelli110: il manoscritto reca c1capcllino 1>. In tutto il testo le forme scempie capello e capello11e (ma anche cape/li110) convivono con pari frequenza con quelle regolari, cappello e cappel/011e. Per evitare dissonanze sono state uniformate. 65. baggia110: sciocco. Si tratta di un •lombardismo debole•, in quanto il termine è attestato probabilmente anche nel dialetto veneto (P. V. l\llENGALDO, L'epistolario di Niet,o, cit., p. 163). Celebre la pungente critica di Vietar Hugo contro Napoleone I 11, definito sarcasticamente Napoléon le petit nel pamphlet pubblicato con questo titolo nel 1852. 66. mallevare: garantire. 67. per ... giudizio: per lasciarvi la possibilità di giudicare voi stessi. 68. cazzaruola: casseruola; adattamento dal francese cassero/e. 69. alvo: ventre. 70. Tersicore: la musa della danza.

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reso non lo abbia un oggetto di speculazione facendolo ballare sui trivii71 come le scimmie, e le marmotte: ma fu forse, perché egli studiando, e perfezionando nei domestici lari 72 le sue proprietà sbalordisse il mondo tutto in un colpo; e diffatti lo sbalordì come si può vedere in appresso. A due anni egli recitava il Canto di Ugolino con tutto il terrorismo73 di Gustavo l\llodena; a due e mezzo suonava il flauto, e la chitarra ad un tratto74 ; a tre predicava latino come Cicerone. Non parlo del leggere e scrivere, poiché tali cose erano in lui infuse dallo Spirito Santo, anzi io ritengo ch'egli legesse ad alta voce, prima di far capolino al finestrello del mondo, perché sua madre nel tempo di sua gravidanza si lamentava d'uno strano mormorio nelle budclle. Solo non so spiegare da quale apertura ricevesse la luce, e da quale biblioteca i libri. i'Vla questi sono problemi da darsi a risolvere agli ostetrici75 , che ne hanno risolti dei più curiosi con una sorprendente disinvoltura. Verso i sette anni il nostro Gionata risolse di gettarsi nei vortici della vita pubblica; a tal effetto chiese a i'Vlastro i\llacario quaranta soldi, cd una bissacciata7b di crostini di pane, e s'incamminò a muso duro verso la piazza. Dietro vian egli diede un guasto spaventevole alle sue munizioni da bocca; per cui sentendo nello stomaco un certo vuoto, negoziò da un mercante allo svoltare d'una via due soldi di mele cotte, e vi diede dentro con tutti i denti, e tutta l'allegria dell'uomo libero. Dopo due minuti vediamo il nostro Gionata, addossato ad un pilastro della piazza, co' suoi trcnt'otto soldi in una mano, ed una mela cotta nell'altra. Non mi pare di avervi accennato ch'egli fosse filosofo,

71. sui trivii: agli incroci di strade affollate. 72. 11ei domestici lari: in casa; i Lari erano le di,·inità venerate dai Romani come protettrici della casa. 73. terrorismo: enfasi drarnmatica. Gustavo l\•lodena (1803-1861), celebre attore tragico e patriota italiano, nato a Venezia, affiliato alla Giovine Italia, esule in seguito ai n1oti del 183 1, \'Ìene qui ricordato per l'abilità declamatoria della sua Lect11ra Da11tis, che tanto successo ebbe prima a Londra, durante l'esilio, poi nelle successive rappresentazioni italiane. Rientrato in Italia, egli si trova,·a a Firenze, impegnato nella propaganda democratica, tra la fine del 1848 ed i primi mesi del 1849; N. aveva probabilmente potuto ascoltarlo nel febbraio 1849, durante il suo soggiorno fiorentino. 74. ad 1111 tratto: nello stesso tempo. 75. ostetrici: nel manoscritto si legge , ma con lineetta sulla ,,, ad indicare, secondo un uso frequente, che la consonante è doppia. !Via anche in questo caso è ipotizzabile l errore di copia: la lineetta messa sulla "doveva invece, probabilmente, essere messa sulla c. 80. commettiture: giunture, cuciture. 81. percallo: tela leggera di cotone; più comune la forma percalle. 1

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Dietro viaggio82 Mastro Gionata burattava8' tali pensieri: - cosa andava sofisticando quel buon uomo di mio padre delle insidie, e delle male accoglienze del mondo? - se io con sì breve fatica ho messo in entusiasmo la forza armata, e mi sono procurato una fama nei giornali, ed un al1oggio di bando11.. ? gratis? E burattava altri pensieri ancora quando la forza armata lo depose nel cortile della Casa, ove due vecchi spiritati lo spogliarono in camicia, e gli indossarono un certo vestone caffè e latte che lo faceva assomigliare a S. Rocco. Credette tale l'usanza, e quello fosse come il manto di cui si avvolgevano nei trionfi i generali Romani; per la qualcosa fece due, tre giri pel cortile pavoneggiandosi, e strascinando senza economia i lembi della zimarra115 • Era a metà della sua trionfale passeggiata quando gli si spalancò una porta di fianco, e ne sboccò un torrente di giovinetti, tanto arrabbiati che l'urto del primo lo buttò per terra, e gli fece andar in broda una mela cotta che gli rimaneva nella tasca dei calzoni. Quei buoni capi vedendogli uscire quella broda di sotto la veste, gli si sfilarono d'intorno, e cominciarono a congratularsi secolui della sua anti-stitichezza in termini poco fragranti, massimamente pel rampollo di lVlastro Macario Dottor Gastronomico. iVIa non c'era rimedio, e fu d'uopo ingozzare tutti i c01nplimenti di quei ragazzacci, che si contentarono di graffiargli un po' il naso in pena della sua poca creanza. Finalmente il povero paziente rimasto libero adocchiò di sghembo la porta d'uscita alquanto socchiusa, e si mise a galoppare verso quella tanto veloce, che il portinajo arrivò a serrarla quando egli era già fuori, e non acchiappò che un'ala del vestito, e un lato dei calzoni. Quando riapersero l'uscio il diavoletto era scomparso, e non ci fu verso di stanarlo; non ci fu verso di poterlo scoprire, né da lontano, né da vicino, né per terra, né per aria! Indovinate mo' dov'egli s'era ficcato? Sotto le sottane d'una specie d'Amazzone che rivendeva cavoli di faccia allo Stabilimento e che ben volentieri gli offerse un inviolabile asilo in mezzo alle coscie. Sull'imbrunire egli uscì tutto aromatizzato dal suo luogo di salvazione, e dopo mille ringrazia1nenti alla sua protettrice che gli regalò quattro castagne lessate, ei s'avviò verso casa fregando dietro il

82. Dietro viaggio: lungo il viaggio. L'uso della preposizione 'dietro' è analogo a quello precedente, nell'espressione «Dietro via>> (cfr., supra, nota 77), e a quello seguente, nell'espressione •dietro il muro• (cfr., infra, nota 86). 83. bllrattava: agitava tra sé e sé, vagliava (figurato); forma rara di 'abburattare' (toscanismo che significa, in senso proprio, separare la farina dalla crusca per mezzo del buratto). 84. di ba11do: decretato dalle autorità. 85. zimarra: nel manoscritto si legge , ma la grafia della seconda a è incerta: forse N. intendeva scrivere baciuzzare, vocabolo che egli usa anche in seguito, nel romanzo li Conte Pecorajo, e in questo caso > è errore di copia e non esempio di inventività linguistica. 88. giustacuore: abito da uomo. attillato e lungo fino al ginocchio. 89. il Battista: Giovanni Battista, che visse da asceta nel deserto, finché scese su di lui la parola di Dio; egli cominciò allora a percorrere la regione del fiume Giordano predicando il battesimo di conversione (Luca, li I, 1-6). 90. Ezechiel/o: nel testo biblico la voce di Dio si fa intendere dal profeta Ezechiele in una valle coperta di ossa inaridite, simbolo della rassegnazione del popolo ebraico prostrato dalla cattività babilonese e dalla distruzione di Gerusalemme. In questa circostanza Dio ispira ad Ezechiele la profezia del ritorno degli Ebrei in Israele (Ezechiele, XXXVII, 1-14). 91. cappellone: nell'autografo (come segnala S. Casini in una nota al testo in I. Nrnvo, Le Co,ifessio,ri d'r,,r Italiano, a cura di S. Casini, 2 voli., Milano-Parma, Fondazione Pietro BemboGuanda, 1999, voi. I, p. 85). 114.

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SCRITTI GIOVANILI

- Oh gliene renderà! Stia sicuro! - Lo credo anch'io, poiché egli mi racconta tutto come al suo confidente - ed io sarò contentissimo di poter fargli piacere: perché pel Signor Anonimo mi getterei nel fuoco, mi ammazzerei, e non so cosa farei di più.

* Questo fu il primo dialogo fra Mastro Gionata, e Madamigella; l'interesse dei susseguenti andò sempre crescendo. Ma io prescelgo di lasciarveli indovinare, perché abbiate il vostro merito nel racconto. Non vi meraviglierete dunque se Mastro Beccafichi aggiunse all'alta sua professione quella del Portalettere.

[VII] I 1° INTERRUZIONE

DEL SIGNOR STRACOTTO

-Ah Signor mio! pietà per tre minuti! Voi siete infaticabile, e non vi avvisate che le vostre ciance possono affaticare la pazienza degli ascoltatori. - Anzi ci penso sempre a codesto - e mi aspettava questa vostra sortita. Ma come dite, io sono infaticabile, e non bado agli ostacoli che m'intralciano il sentiero, perloché io continuerò il mio racconto, e voi farete saggiamente ascoltandomi tranquillo, e senza interrompermi. - Oh questo io non potrò mai! Mi credete voi in obbligo di assorbire le vostre fole 115 ? - Ma io non potrò mai alla mia volta spifferare altro che fole! Bramate roba seria? Ammiccatemi solo cogli occhi, ed io vi declamo una tragedia di Alfierit un pajo di lettere di Jacopo Ortis. - No, no, amico, frate} mio! risparmiatemi per carità. Volete mettermi in mano una pistola, od un rasojo? - Calmatevi! Non sono un assassino! sono un medico (che è poco meno). Coraggio: l'esantema è già scoppiato; la vostra febbre si va sciogliendo in sudore.

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s. fole: ciancie, storie.

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[VIII] NELLA RIVOLUZIONE 116

In quel tempo nel nostro piccolo mondo insorse qualche baruffa alla foggia moderna 11 7 , ma somigliantissima alla Mitologica che descrive Esopo fra le Rane, ed i Topi 118 • Per una maledetta fatalità mi toccò restar in muda 119 come una quaglia quasi quattro mesi, dopo i quali fui ridonato alla campagna, all'aria libera, e a tutto il resto di cui prima mancava assolutamente. Indovinate il primo conoscente che abbracciai nello stanarmi dalla mia ascosaglia 120 ? Fu il nostro Anonimo, il quale era tanto immerso nei calcoli geometrici, che non si addiede 121 neppur di me; ed io battendogli sulla spalla lo distolsi dalla contemplazione di due gambette che saltellavano dall'altra parte della strada. Quelle gambe avevano delrartistico, e meritavano certamente una lente per ammirarle, per cui non son sorpreso, se egli in appresso si Nel manoscritto il titolo completo del capitolo è: "Nella Rivoluzione (vede A) 1> che sta probabilmente per 'vede Anonimo'. 117. baruffa ... moderna: allusione ai moti rivoluzionari scoppiati nei primi mesi del 1848, prima in Sicilia poi a l\tlilano e a Venezia. Nel marzo un tentativo di insurrezione, poi rientrato, fu organizzato anche a ì\ilantova; come si è detto, N. e l'amico Attilio lVlagri ne furono testimoni. Nella lettera ad Attilio del 18 ottobre 1848 N. racconta delle sue difficoltà per rientrare in seguito a l\llantova, ancora in stato d'assedio; egli viene accompagnato per accertamenti dalla Polizia al Comando di Piazza e gli viene fatta ingiunzione di lasciare la città entro due giorni: (Lettere, p. 14). 118. Esopo ... Topi: la favola della rana e del topo viene citata da DANTE, /11fer110, XX I I I, 4-6, a proposito della 'rissa' sorta fra i diavoli della VI bolgia. Qui N. contamina forse la fonte dantesca con quella leopardiana; nei Paralipome11i della Batracomiomachia (Parigi, 1842), Leopardi, ispirandosi ad un poemetto ellenistico a lungo attribuito ad Omero, traspone in chiave satirica il fallin1ento dei moti del 1820-1821 e mette in scena gli Austriaci, rappresentati dai granchi, al fianco dei Borbone, rappresentati dalle rane, contro i liberali napoletani insorti, rappresentati dai topi. 119. restar in muda: restar rinchiuso. La muda è la stanza oscura e fresca ove si tengono ,tli uccelli durante il periodo della chiusa, tra maggio e agosto; in tal modo essi confondono le stagioni e differiscono il loro canto in autunno, una volta ritrovata la luce. Con questo espediente essi possono essere usati nei mesi autunnali con1e richiamo per la caccia. 120. ascosaglia: nascondiglio (letternrio). Allo scoppio dei moti del marzo 1848 viene chiuso il liceo di lVIantova frequentato da N., che lascia la città. 121. 11011 si addiede: non si accorse, forma del toscano 'addarsi'. 116.

SCRITTI GIOVANILI

procurò il piacere di osservarle minutamente, senza nessun pregiudizio ai diritti dell'an1abile Ottavia 122 . Non sapendo in1maginare di meglio mi sprofondai anche io nello studio delle l\tlatematiche, e mi destai da quell'estasi sublime con quattro eminenze 123 in saccoccia, il fardello in ispalla, ed Anonimo di dietro che mi gridava a tutta gola: Presto scappiamo, scappiamo! Fino a dodici miglia innanzi un nostro carissimo amico ci offerse la carrozza124 pregandoci soltanto di favorire lo scotto 125 al vetturale: ma quando dovemmo scongiurare le nostre gambe a condurre noi, ed il nostro fagotto allora ci accorgemmo che come ai tempi di Agrippa 1Vlenenio 126 i nostri membri non erano tutti d'accordo, e che se il cervello diceva di sì, le coscie, i piedi, e la schiena propendevano pel no! - Ma l'urgenza sedò i partiti, e la testa finalmente la vinse. Su tutta la strada era una confusione di casa del diavolo - tutti in grazia di quella baruffa che sopra ho accennato. Vi fu uno che dalla paura si gettò nel pozzo, un altro che dalla fretta di arrivare a casa ad avvisar agli amici che non era morto, perdette il respiro, e morì a un quarto del viaggio. Noi però viaggiammo intrepidi verso i domestici penati: Anonimo per amore dell'Ottavia, ed io per amicizia di lui. L'unica persona che viaggiasse della nostra banda 127 fu un vecchio ciabattino il quale si vantava d'una particolare relazione con Napoleone. lo avvisai 128 che si trattasse di scarpe - e chiesi se l'Imperatore calzava di seta, o di merinos 129 . senza ... Ottavia: riferimento a fatti realmente accaduti: nella citata lettera ad Attilio del 17 settembre 1848 (cfr., supra, nota 20), N. menziona c1una certa Lina» che l'amico avrebbe frequentato a Cremona, quando già si era dichiarato a Orsola Ferrari (Lettere, p. 12). 123. emi11e11ze: «titolo di merito nelle classificazioni scolastiche1>(S. BATTAGLIA, s. v. Emiuenza, in Grande dizio11ario della li11gua italiana, cit.). ccDoveva equivalere al nove, mentre al dieci doveva corrispondere "primo con eminenza"•> (cfr. lvi. GoRRA, Ritratto di Nievo, Firenze, La Nuova Italia, 1991, p. 6). Ippolito ed Attilio sostengono gli c«Esami improvvisati 1>presso il liceo di Cremona, temporaneamente riaperto, e lasciano la città durante la tragica ritirata dell'esercito piemontese sconfitto nella battaglia di Custoza del 25 luglio; lo ricorda lo stesso N. nella citata lettera del 30 giugno 1852 (cfr., supra, note I 6 e 30) (Lettere, p. 23 I). 124. carrozza: nell'autografo cccarozza•> (cfr., supra, nota 19). 125. favorire lo scotto: pagare la somma richiesta. 126. Agrippa Me11e11io: il console romano, al quale Tito Livio attribuisce la riconciliazione tra patrizi e plebei, in seguito agli scontri sociali del 494 a.C. 127. della 11ostra bmrda: delle nostre parti, nella nostra direzione. Il termine 'banda' è un dialettalisn10 veneto-settentrionale accolto nell'uso scritto italiano e/o toscano. l\ilanzoni lo usa in Fen110 e Lucia, e non più nella Quarantana dove è sostituito da 'parte' (P. V. MENGALDO, L'epistolario di Nievo, cit., p. 142). 128. at.-visai: credetti di comprendere. 129. meri11os: tessuto in lana molto morbida, otte122.

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Uf! - rispose - era ben altro io allora! - le mie le eran relazioni diplomatiche! - Sarebbe possibile, soggiunsi fra i denti, che tu fossi una spia? perché mi ricordo il proverbio: Semel abbas, semper abbas' 30 • E feci d'occhietto ad Anonimo, e prudentemente tirammo innanzi. Anonimo ripeteva sempre: E dove sei tu, o candida perla del Mar Persico, o olezzante rosa di Pesto 131 , oppure, o giglio di S. Antonio! -Ahi, dove ti troverò io, e in quale stato?- Poiché è indubitato che gli Eroi di Marte hanno in tempo di guerra una specie di processo sommario in fatto di matrimonio! - Cosa sarebbe di me, se ti trovassi vedova d'un capitano che vivesse ancora? - o sposa di dieci o dodici malandrini che mi ti contendessero a fucilate?- o vivandiera di qualche reggimento? - o donna di cucina di qualche Generalone? Ed io lo consolava in tali termini: Tutto è possibile - quello che è fatto è fatto. Fa d'uopo de1la rassegnazione. Ed egli comprendeva che io aveva ragione, e si consolava perfettamente bestemmiando peggio di ìvlaometto. Dopo due giorni riabbracciammo mio padre con tutta la effusione di cuore, e tutto l'appetito 132 possibile - poiché era un mese che non lo vedeva, ed in quanto allo stomaco egli non aveva più memoria del suo ultin10 pasto: Ci sedemmo io, ed Anonimo a tavola - e dopo due ore Anonimo aperse la bocca, e m'interrogò-e un'ora dopo ancora io apersi la bocca per rispondergli, ma aveva le mascelle così infiacchite che non ci fu 1naniera di compiere un accento, e bisognò che mi portassero a letto dove sognai d'essere diventato una botte. Alle nove di mattina schiusi un occhio, e alle dieci spalancai l'altro; udii l'Anonimo che dormendo pronunciava con tanta devozione il nome di Ottavia che io ne fui commosso, e lo destai per dirgli: Alla gamba, an1ico, se vuoi vederla fuori di sogno! Ci alzammo; e siccome un dì prima un Signore di quei dintorni ci aveva esibito cavalli e carrozza133 per tutte le parti del mondo, ce ne andammo a lui tutti fidenti nella sua cortesia, ed egli ci offrì prontamente un bicchiere di vino, e si dimenticò sgraziatan1ente dei cavalli, e della carrozza . .i\tli separai da Anonimo a mezza strada da casa sua, e dopo il giuran1ento formale di scriverci spesso, io ritornai presso mio padre. Sapete nuta dalle pecore di razza mcrino. La forma meri11os è modellata sull'uso francese. 1 30. Semel ... abbas: chi è stato una volta abate, resta sempre abate. I 31. rosa di Pesto: la coltivazione di rose alimentò l'economia dell'antica Paestum, e fu celebrata da numerosi poeti, tra cui Virgilio. 132. appetito: nell'autografo «appettitol). Sono state norn1alizzate anche le altre tre occorrenze del termine (ir,fra, pp. 45, 66 e 83). 133. carrozza: nell'autografo Gcarozza1>; così anche nell'occorrenza che segue (cfr., supra, nota 19).

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SCRITTI GIOVANILI

dove abitava mio padre? In un bel paesone 134 colle strade tagliate ad angoli retti, con piazze spaziose, con due belle chiese, con terrapieni magnifichi, e con sei bastioni da Fortezza, e nulla più. Perché riguardo alle creature ragionevoli vi era deficienza radicale. Me la spassai spingendo le mie escursioni nell'interno del territorio benché brucciasse il Sole d'Agosto; fu allora che mi saltò in capo una smania di viaggiare tanto formidabile che fino sotto le coltri non poteva restarmi 135 dal dimenare furiosamente le gambe, massime qualche notte che mi pareva d'essere nell'harem del Gran Sultano, e l'illusione era completamente reale, fuori che nella località. Qualche sera mi solazzava stranamente in una certa famiglia giocando col gioco dell'Asino 136 , che è un divertimento proprio indigeno di quel paese. Ma finalmente stanco delle mie escursioni, delle mie illusioni reali della notte, ed annojato del gioco dell'Asino, e degli Asini che lo giuocavano con me deliberai di gettarmi alla boscaglia, come un uomo selvatico, e dopo quattro mesi d'una vegetazione così metodica, me ne andai in traccia di vitalità fra i villani, e le villane, e in queste ultime ne rinvenni oltre il bisogno. Anonimo in questo mezzo mi tempestava di lettere, ed io col mio scudo parava alla meglio i suoi colpi, e glieli rimandava colla balestra. Egli non cessava dall'encomiarmi le virtù, e le perfezioni della Signora Ottavia, ed io gli rispondeva encomiando le mie, ed esortandolo a far giudizio. Non mi ricordo precisamente le bellissime cose che gli scriveva, ma in difetto 137 della mia memoria vi prego di rivolgervi a lui che conserva i documenti autentici. Circa quel tempo una certa mattinata fresca fresca io divorai quattro fette di polenta, e mezzo pollo freddo, ed uscii di casa contentissimo di me, e del mio stomaco. - ed in meno d'un'ora egli era ai piedi della sua Dulcinea, ed è dietro l'uscio che li contemplava invidiosamente. E non soltanto contemplai la Signora Ottavia, ma vidi la Signora Egiva ed ammirai Madan1igella IVlorosina; e feci in breve conoscenza con tutto il resto della famiglia 1 44 • Quel giorno (per disgrazia) i miei occhi avevano ciò che si disse il guardafisso 145 e mai non mi riescì di staccarli dalla l\!lorosina. Appena fummo partiti mi accorsi di un secondo malanno, perché avendo fatto una colazione piuttosto pesante mi batteva il cuore, e mi brucciava lo stomaco. Anonimo m'addomandò, come m'eran piacciute le tre ragazze, ed io risposi con un certo miscuglio di frasi incoerenti, perché le due malattie sopradette m'inciampavano la lingua. Tornando a casa, benché avessi annunciato fin dalla mattina ad Anonimo che sarei partito lo stesso dì, pure mi guardai bene dal ripetere la stessa cosa, perché quei sintomi di malattia mi facevano temere un qualche strano accidente per viaggio. La notte mi sognai di molte cose - e per incidenza della Signora Morosina; il giorno dietro mulinai molti pensieri, e per caso pensai molto alla Signora l\!lorosina; il dopo pranzo m'intrattenni a lungo con Anonimo, e (guardate che fatalità!)- egli intuonava'"'': Ottavia, ed io rispondeva: Morosina. Egli terminò coJl'assicurarmi che n1i avrebbe fatto innamorare. Bella bravura in verità, fare quello che è fatto! Siamo al capo d'anno. Tutta la famiglia di Anonimo era invitata a desinare a casa del Signor Filostrato, ed io credetti una mala creanza il rifiutarmi alla compagnia. Prima di porsi a tavola si trinciarono' 47 molti bei discorsoni di politica; ma mentre le labbra si affaccendavano delle 144. L'incontro con Matilde e le vicende sentimentnli che avevano legato i due amici alle sorelle Ferrari verranno ricordati. come si è detto, con ), N. progetta anzi di salpare per la Corsica insieme ad altri compagni per .

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Ma anche in questo tempo di quieta spensieratezza vi erano i momenti di malumore, e al contrario del mio solito essi erano quelli impiegati nello scrivere alla Morosina! che antipatia per le lettere! che poca premura a legger quelle ch'ella mi spediva! Come faceva loro amarissime glose 300 ! Tra le altre un mio scritto riuscì tanto amoroso, che dopo averlo vergato stetti in dubbio se dovessi dirigerlo alla mia cara Mamma, e alla Morosina. Ma però io sacrificai ogni settimana un'oretta a sì nojoso ufficio perché lo aveva promesso, e non volea esser tacciato di sleale, e d'impostore. E poi era abbastanza ricompensato della bellezza de' siti che percorrevamo, dalla varietà delle scene, dalle viste amene, e solitarie delle imboscate colline, dallo spettacolo maestoso dell'orrendo franare dei monti, dagli slanci sublimi delle cascate! - Oh come l'uomo spazia nei pensieri più santi; nelle speranze più grandi, nel più remoto avvenir dell'umanità, quando beve l'aria de' monti, quando il suo sguardo dal dorso d'un dirupo non giunge a discernere le lotte fratricide degli uomini, quando il suo pensiero avvicinato a quelle sfere ruotanti nel cielo di cui forse egli fece parte nelle remote serie dei secoli, oblia la creta che lo veste, e s'imn1erge nelle nubi vorticose dell'infinito, a cui lo sfasciamento deve confonderlo!J Non 1ni annojava allora come coi quadri di Raffaello e colle statue di Canova, e non sentiva più il bisogno di pensare a quell'eterna ìVIorosina: m'accorsi tanto bene d'un tal mio cangiamento, e lo credetti tanto naturale e facile ad indovinarsi che valendomi della mia poca abilità nel disegno copiai le due più belle prospettive3O2 di quei paesi, e le invia.i alla ivlorosina, con1e per dirle: - guarda se con queste cose sott'occhio io posso ricordarmi con piacere di te, mediocre creatura della civetteria -, ma questo mio pensiero nessuno potea immaginarlo, e la l\tlorosina accettò i due disegnetti come prove del costante amor mio. Un mese, e n1ezzo noi ci dilettammo in quella vita tranquilla, e celeste: piacevole intermezzo fra le amanti passate, e le amanti future; un mese, e mezzo noi assaporammo i santi godimenti della natura, e le care ghiottornie 303 dei buoni pranzi, dopo di che io mi rimisi in viaggio verso casa, ove doveva intraprendere lo studio politico legale; poiché benché io anteponga la vita del dentista, e del aereonauta a quella dell'avvocato, e del Notajo, pure ho deciso di percorrere quella car01

300. glose: glosse, commenti (cfr., supra, nota 59). 301. a cui ... co,r/011derlo!: la concezione del destino delle anime, le quali una volta disciolte dal loro involucro corporale tornano a spaziare nell'infinito e a disciogliersi in esso, è di origine platonica: viene illustrata nel Fedro, attraverso il celebre mito del carro e dell'auriga. 302. prospettive: nell'autografo si legge la forma scempiata, del 16 febbraio 1859 (nell'appunto si parla di 1Vovità e Mode. Sui balli delle ragazze); e infine il titolo dell'appunto Lettera sul parlare la lingua it. si dovrebbe riferire al testo Su.Ila conve11ienza per le fa,iciulle di adoperare anc/ze nell'uso domestico la lingua com1111e italiana, apparso su , II I, 8 gennaio 1859, 2. Arsenico. [pp. 490-492] 71) Storia critico-crono/ogica-Jilosofica-anedottica della cravatta bianca, in , XII, 16 febbraio 1859, 4. s. f. [pp. 249-252] 75) Libreria dell'Uomo di Pietra, in «L'Uomo di Pietra~, I I I, 19 febbraio 1859, 8. I. N. [pp. 500-503] 76) A. Dumas padre al Caucaso, in , II, 18 marzo 1859, 11. N. (pp. 224-226] 83) Versi milanesi ed italiani di Giovanni Ventura, in •L'Età presente>>, II, 18 marzo 1859, 11. N. [pp. 226-229] 84) La giornata di Tagliacozzo. Storia Italiana per Cletto Arrighi, in , III, 19 marzo 1859, 12. Todero. (pp. 507-510] 86) L'Eneide di Virgilio tradotta ;,, ottava n·ma da Fra11cesco Duca, in , IV, 7 febbraio 1860, 16. Arsenico. [pp. 528-531]

SCRITTI GIORNALISTICI

92) U11 veglione a Roma, in •L'Uomo di Pietra•, IV, 28 febbraio 1860, 25. A rseP1ico. [pp. 532-535] 93) Cronaca di Milano, in «Corriere delle Dame•>, LVI I, 10 marzo I 860, 7. S. f. [pp. 300-304] 94) Il poeta Biirger e le sue tre mogli, in ccCorriere delle Dame•>, LVI I, 10 marzo 1860, 7. s. f. [pp. 305-308]

9 s) I I mondo delle acque, in , X I II, 1 6 maggio e 16 giugno 1860, 9-11. Anche in «Le Ore Casalinghe•, X, maggio e giugno 1860, 5-6. s. f. [pp. 268-283] 96) Giornale della spedizione dal 5 al 28 maggio, in Supplemento a •11 Pungolo•, 17 luglio 1860, 196. s. f. [pp. 360-367] 1861 97) Al chiarissimo signor Direttore della «Perseveranza», in «La Perseveranza•>, II, 31 gennaio 1861, 434. N. [pp. 543-547] 98) Il giovedì grasso a Venezia, in ccL'Uomo di Pietra», V, 16 febbraio 1861, 20-21. Todero. [pp. 535-536]

ccLA SFERZA,,• CORRISPONDENZA DELLA «SFERZA•

Da Padova

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Gennajo

Un articolo inserito in uno degli ultimi numeri della «Sferza,, dice, «che generalmente gli studenti dell'università di Padova preferiscono una sartorella od un cigaro a tutta la scienza di San Tommaso d'Aquino•2 • Lasciamo andare le assai lunghe discussioni che potrei intavolare sui meriti estrinseci della Somma di san Tommaso, d'una piacevole madamina e d'un buon cigaro di Virginia, e appigliamoci alla sostanza più che alla forma della proposizione suddetta. In primo luogo mi saltò il dubbio, che ella, signor l\llazzoldi, mosso a compassione della nostra vita monotona e insulsa, volesse porgerci l'occasione di agitarla un pochino nelle emozioni delle polemiche: se la è così, infinite sono le grazie ch'io le rendo, e mi accingo ad approfittare della di lei buona intenzione. lo sono studente; e come tale ho la mia parte in tutto ciò che di bene e di male si dice degli studenti: mi sia permessa questa poco scrupolosa storpiatura d'una spampanata di Seneca, per far capire a chiunque, ch'io non aspiro ad essere annoverato fra le poche perle che la piange quasi perdute nella belletta di questa università. Io sono convinto, che in questa belletta tanto dispregiata ferva la parte viva e pensante della nazione che il signor Mazzoldi vuole rigenerare: e molte menti trovai in essa ricche di quei maschi affetti, di quelle grandi idee che gioveranno all'umanità più delle opere di Gioberti. Son queste verità primitive dedotte dalla pura ragione, e dimostrate esistenti dalla storia contemporanea. il mercoledì e il sabato. Il suo fondatore, Luigi 1"lazzoldi, ne era anche il direttore e quasi unico compilatore. La sede del giornale fu in seguito spostata prima a Venezia, associando alla direzione Pietro Perego, e poi a Trieste, ove cessò le pubblicazioni nel 1858. Sull'ambigua figura di Perego, del quale N. recensirà qualche anno dopo su «Il Pungolo» l'opera poetica (cfr., illfra, p. 328, nota 7), e sulle sue posizioni filoaustriache della maturità, si veda il saggio di G. ALDERGANI, // patriota traditore. Politica e letteratura 11ella biografia del 'famigerato' Pietro Perego, l\ililano, Franco Angeli, 2009. 2. •che generalme11te ... Sa11 Tommaso d'Aq11i110•: N. riporta le espressioni di violenta polemica contro la gio\"entù studentesca padovana usate da L. Mazzoldi nel suo articolo Le mie peregri11azio11i, in •La Sferza•, 8 gennaio 1853, 5. Nonostante le posizioni fintan1ente liberaleggianti del suo direttore, •La Sferza• divenne ben presto sinonimo di giornale reazionario e come tale è ricordata da N. in alcune lettere (Lettere, n. 283, p. 433 e n. 496, p. 702). 1. Il bisettimanale c«La Sferza1>, dal 1850, usciva a Brescia

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SCRITTI GIORNALISTICI

Del resto, o signore, l'umana natura è un libro tanto enigmatico che è maraviglia se io ho osato scorrerne le prin,e carte: coloro che si ostinarono nella gigantesca in,presa di svolgerlo da capo a fondo riuscirono al suicidio o al n1anico1nio, e l'esempio mi serve di regola per limitarmi alla lettura delle nozioni preliminari. !Vii parve, dal poco che ne capii, intravedere nell'uomo due specie di passioni: quelle che tendono al soddisfacimento dei bisogni intellettuali, e le altre che lo spingono a satollare gli istinti. Vi sono certi esseri semidivini piovuti dal cielo come raggi di luce per l'umanità, in cui le prime (che si personificano nell'amore del Vero) hanno tale predominio sulle altre, da parer quasi sole. Tali furono le grandi anime di Loche, di Newton, di Galileo, e tale, ella, signore, vorrebbe che fosse ogni povero studentello che venga modesto ad assidersi sulle ultime panche del Bo! Ma ella dee sapere al pari di me, che in una certa età il sangue urta precipitoso nelle arterie, che allora le idee con mirabile celerità rampollano le une sulle altre, spesso generose ma quasi sempre vaghe e immaginarie; che alJora le passioni ruggiscono nei nostri lombi come i leoni nella fossa di Daniello3 • È questa l'età in cui il giovane abbandona col sorriso sulle labbra, colla fede nel cuore la casa paterna, per venir a bere un po' d'aria libera in Prato della Valle. Avido di sentire la vita, tutti i suoi pori sono aperti a ricevere le impressioni di ciò che lo circonda: i sensi infiammati, la fantasia sbrigliata gli presentano l'amore come il compendio della felicità; ed egli s'abbranca alla frangia d'uno sciallo, al lembo d'un vestitello di perkall, e si getta a corpo morto nei vortici bugiardi di questa passione. Giovane, e perciò quasi privo d'idee sull'ordine vero dei fatti, fabbrica nella sua mente le più lusinghiere illusioni, che cadendo a terra al primo loro contatto colle cose esterne, lasciano nella sua immaginazione un vuoto ch'egli crede talvolta di riempire colle fatali emozioni del gioco. L'eccitabilità volubile d'un organismo meridionale lo accompagna nei teatri e lo spinge a quelli eccessi di vivacità che un inglese chiamerebbe eccessi di pazzia; lo accompagna nella vita quasi di famiglia ch'egli vive co' suoi compagni, e lo eccita a quelli scoppi d'ira, a quelle risse subitanee che un uomo di settantanni chiamerebbe brutalità: quella soverchia eccitabilità finalmente lo conduce per mano nella ricerca del vero, e delusa nelle sue troppo facili speranze si tramuta spesso in quel genere di disperazione che affoga le più belle facoltà dell'uomo nel vino e nelle libidini. Lo studente del prim'anno legale non dispera di veder nel mondo il regno della giustizia; il principiante di matematica si lusinga 3. come i leoni nella fossa di Daniello: quasi identiche le espressioni che Carlino Altoviti userà nel cap. VIII delle Co11fessio11i d u11 ltaliano sull'entusiasmo e la generosità della gioventù. 1



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di sciogliere con un x e con un y i problemi che affaticarono Newton e d' Alembert; e il giovinetto che penetra la prima volta nelle scuole di clinica d,un ospitale non dubita nemmeno di veder a poco a poco spopolate le tristi sale in cui passeggia. Chi mi sa dire qual cupo disinganno gli occupa lo spirito quando vede la morte e non la salute diradar il numero di quegl'infelici! - Basta, basta di ciò! - Ma dico io: vorrebbe ella, signor IVIazzoldi, domare con un tratto di penna quelle furie ribelli che non furono attutate da Antonio, il santo eremita, con cinquant'anni di digiuni e di flagellazioni? Vuol ella dar il nome di leggerezza a questa parte meno nobile dell'umana natura che a vent'anni sorge imperiosa nel cuore di tutti, e che non possiamo elidere perché incarnata in noi dal dito della creazione? ... Ella si ricorderà forse della favola d'Esopo e delle due famose bisacce, che Giove ha posto l'una sul petto, l'altra sul dorso ad ognuno. Tutto m,induce a credere che i difetti di noi poveri giovani siano cascati per disgrazia nella bisaccia che ella, o signore, porta sul petto. E potrei moveme lagno? Certamente no; in prima per non romperla col padre degli dei bestemmiando l'opera sua; e secondariamente perché sarebbe impresa assai più vana il tentare di render fecondo quel calcolato egoismo, che è proprio di coloro che oltrepassarono un certo stadio d'età. Se ella poi avesse creduto con quella lezioncina di contribuire alla conversione di qualche mio traviato fratello d'armi; io le giuro in nome di tutti coloro che sono in questo brutto caso, che quanto essi sono sensibili ai caritatevoli ammonimenti ed alle vere ragioni, altrettanto sono restii ad accettare le correzioni di chi per primo compli1nento slancia loro in viso un sarcasmo. Cionnonpertanto noi tutti quanti siamo ci picchiamo di filosofia; e le perdoneremo di tutto cuore se ci confesserà di aver desunte le sue nozioni circa lo studente non dalla retta e profonda osservazione ma dal poen1etto di Fusinato - poemetto ricco di bugie ancora più che di fiori poetici". 4. poemetto di Fusi11ato ... fiori poetici: si riferisce al poemetto satirico Lo st11de11te di Arnaldo Fusinato ( 1817- 1888), polemico verso il popolo studentesco padovano, in risposta al quale N. compose a sua volta un poemetto, rimasto inedito, dal medesimo titolo. Ritrovato nel Fondo Ciceri, è stato recentemente stampato (I. NIEVO, Lo studente, a cura di U. M. Olivieri, Udine, Gaspari, 2012). Dopo quest'iniziale polemica, N. entrò in amicizia con Fusinato, poeta, pubblicista e volontario nella guerra del 1848. Un'amicizia cementata dalla comune collaborazione a vari periodici: ((Quel che si vede e quel che non si vede>>, ccL'Uomo di Pietra>>, oLa Ricamatrice». In seguito tale amicizia si estese anche alla seconda moglie di Fusinato, Erminia Fuà, per la quale cfr., i11fra, Rime burlesche di eccelle11ti Ardori raccolte ordi,iate e postillate da Pietro Fanfa11i, p. 180, nota 9.

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Altra volta ebbi l'onore di scrivere al signor direttore della . Ora ella mi domanda: perché lo stude11te sia costretto a cercare nei vortici tumultuosi dei saturnali uno sfogo ed insieme una requie al moto i11definibile che lo agita. Non mi fermo sopra i vortz'ci tumultuosi dei saturnali, che potrebbero sembrare parole piuttosto tronfie che vere, e trovo molto ingenua del resto la risposta ch'ella fa in mia vece - perché egli non conosce le ineffab,:Li dolcezze della vita interiore. Questa è una petizione di principio bella e buona, giacché l'ignoranza naturale di quelle ineffabili e segrete voluttà è appunto nello studente l effetto e non la causa della preponderanza del1e male passioni: e questa ignoranza dà luogo nei più al sentimento del vero e del buono quella prima volta che si piega sopra se stesso il pensiero, e conosce gli effetti di quelle passioni e la loro insufficienza al raggiungimento della felicità. È cosa indubitata che v'hanno cervelli dalla stessa natura impastati di stoicismo, in cui il raziocinio è così vibrato e superiore ad ogni influenza materiale, che può esser loro come un pedagogo dai sette anni fino alla beata ora della morte: ma il numero di quelli esseri fortunati va ogni dì più diradandosi anche nella sfera delle nature elevate, testimonii le passionate individualità di Byron, di Foscolo, di Leopardi, che si sollevano al cielo delle idee, dopo strappata brano a brano dal cuore la parte materiale dell'umana natura con quei conati di volontà, che improntano le loro opere d'una forza e d'un calore senza pari. Ora io credo ch'ella mi abbia capito: io considero quello stadio d'età in cui il giovane dà in qualche scappata (le orgie, i baccanali sono parole di grande effetto e nulla più) come un grippe da cui pochi vanno esenti, ma da cui quasi tutti guariscono. Dio sa, quanta sia dentro al mio cuore la commiserazione per le sventure che opprimono l'umanità, e più ancora per le fonti che sono in lei di queste sventure! Se ella lo sapesse, non rimproverebbe forse 1

fi1carm1. .... (•La Sferza•, IV, 9 febbraio 1853, 11)

10. la «Bila11cia»: si tratta del periodico reazionario e clericale, fondato a l\1ilano nel 1850, che in anni successivi ospitò alcuni attacchi contro N. (cfr., i11fra, p. 530, nota 171). 11. come direbbe Gia11giacomo: è un chiaro riferimento alla polemica che oppose J.-J. Rousseau ( 1712-1778) ai seguaci delle teorie materialiste del filosofo illuminista Paul Henry Dietrich barone d'Holbach (I 723-1789). Un riferimento che è indicativo sia del grado di conoscenza del pensiero di Rousseau che della posizione di N., favorevole alla religiosità naturale del filosofo ginevrino in opposizione al materialismo di altre correnti illuministiche. Non a caso, nel cap. I I I delle Co11/essio11i la scoperta del mare e di una religiosità panica naturale da parte di Carlino adolescente avverrà sotto il segno di Rousseau, evocato dalla prospettiva del narratore ottuagenario.

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l'elemento Cristiano nel costruire quel gigantesco edificio della Chiesa Occidentale. Che ]'elemento barbarico poi anziché soverchiare il Latino si sia squagliato in esso ]'abbiamo dalla storia, che dopo le invasioni di quasi tre secoli e la dominazione Longobardica di duecento anni ci mostra lo spirito Romano vivo tuttavia e aspirante ad una grandezza che per verità era ornai inetto a raggiungere. Ciò che costituì la forza del principio Latino e che agguerrì la sua vitalità in modo da farlo pervenire quasi puro fino alt' Allighieri, fu la larghezza della sua base, la grandezza e l'utilità perenne delle sue aspirazioni. Infatti l' Allighieri impadronendosi di quel principio di cui s'era imbevuto nella vita civile di Firenze, fortificandolo colla meditazione dei grandi autori Latini, in cui esso lampeggiava qua e là meno corrotto, adattandolo a suoi tempi con una logica sottile ed inflessibile, e impastando per manifestarlo degnamente una lingua forte, nuova, popolare, lo tolse al bujo in cui giaceva da secoli, gli rese la coscienza dell'esser suo, e lo additò ai popoli d'Italia come il Faro dei loro destini. Virgilio avea basato sulle tradizioni pelasgiche il nesso intimo della sua epopea, informandola così al principio nazionale: con Dante fu ricostituita in Italia la grande poesia nazionale e popolare,.; basata anche questa volta sulle reliquie di quella poesia volgare che avea conservato attraverso le tempeste dei secoli la sua fede e ]a sua natura. Questa nuova poesia non giacque più schiava e rattratta nell'angusta cerchia d'un'inteJligenza, ma si levò libera, robusta e omniveggente a spaziare nella vasta sfera delle sorti d'una nazione. Tale noi la ammiriamo dopo cinque secoli nella Divi11a Commedia. 4. con Dante ... 11a:::io11ale e popolare: un giudizio simile su Dante era presente anche nell'articolo di C. TENCA, A proposito di u11a ston·a della letteratura italia11a, comparso tra il febbraio e il marzo 1852 nei numeri 5-12 de •Il Crepuscolo>), Se queste sono le basi teoriche della visione nieviana di Dante come autore nazionale e quindi popolare, considerazione che l'autore condivide con molti autori di parte democratica, vi è anche un dantismo di •gusto' in N., evidente già nell'Antiafrodisiaco e poi nella quantità di luoghi danteschi delle prime raccolte poetiche. Non a caso su un'opposizione metaforica inferno-purgatorio, secondo G. l\llaffei, un N. giovanile reinterpreta il proprio rapporto con Nlatilde Fcrrari e la realtà del proprio tempo; cfr. G. lvlAFFEI, l\1atilde e gli oltremondi di 1Vievo, in Ippolito 1Vievo e il Nla11toua110, Atti del Convegno (Rodigo, 7-9 ottobre 1999), a cura di G. Grimaldi, introduzione di P. V. i\'lcngaldo, Venezia, i\ larsilio, 2001, pp. 275-304; e adesso anche il cap. 11 I, La preistoria di 11110 scrittore del suo profilo, Nievo, Roma, Salerno Editrice, 2012, nonché V. GIANNETTI, Nievo e la 'religione dantesca', in ), LIV, 2002, 3, pp. 343-362. Questa predilezione dantesca sarà anche propria del protagonista delle Co11Jessio11i d'u,r Italia110, che in più occasioni pone Dante alla base di una specie di canone della poesia civile risorta con gli autori del primo Ottocento. 1

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III Ognuno che venga studiando il movimento progressivo delle classi n1eno elevate attraverso le varie età, e cerchi d'indovinarlo ove la storia non ne registri le fluttuazioni, è costretto a sostare il più delle volte sul più lieve incidente e da quello d'induzione in induzione procedere sino ad afferrare la causa unica e razionale di avvenimenti i più lontani e disparati: giacché l'ignoranza in cui vegetano quelle classi e più ancora la secolare noncuranza dei dotti a loro riguardo lasciano negli annali delle lunghe e lagrimevoli lacune. Dopo Dante che tutti fuse gli elementi dell'Italiana civiltà i più eccelsi e i più bassi, i più noti e i più reconditi, i più palpabili e i più astratti, dopo Dante simbolo e formula parlante dello sviluppo e delle tendenze d'una intera nazionalità, come si manifesta nell'ordine poetico lo spirito popolare in Italia? A che si riduce la poesia popolare e nazionale? A ben poca cosa se si osservino i monumenti che ce ne sono rimasti, alla solita elaborazione lenta, sotterranea, ma efficace e persistente, se si guardi a ciò che è scaturito ai nostri giorni spontaneamente da essa. Giova supporre ch'essa si sia vestita il più delle volte colla frase disadorna ma robusta e parlante del dialetto, e che, sopraffatta dalla coltura Italiana che da un capo all'altro della penisola si conformava ogni giorno più ad un unico tipo, ella abbia perduto quelle occasioni di manifestazione che valsero una vita altrettanto brillante che effimera alla sua sorella, la Poesia Provenzale. È molto che nelle servili pecoraggini e nel ristagno letterario del quattrocento si sia maturato quell'ingegno originale del Pulci, che se non le idee popolari, pure trasfuse nel suo Morga11te la briosa vivacità, e il fraseggiare colorito del popolo Toscano: né mancano qua e là schizzi di caratteri e di costumi, e belle allusioni, e sopratutto poi schizza da quel poema un tal sottile e decente motteggio, e così bellamente il serio vi si innesta al comico, che si racconta averne Byron tradotti i tre canti di Margutte come studio iniziativo al suo Don Giova11ni5 • Del resto manifesto era nella letteratura uno scostamento sempre maggiore dalle fonti primitive; e cominciava già qua e là a sedere nei troni di qualche Accademia la scimmieggiante dinastia dei Petrarcheschi che regnò tirannicamente sulla voga di oltre due secoli, e abdicò poi in favore dei grilli d'Arcadia, che morti di languore al principiare del secolo legarono le insegne burattinesche del regno ai campioni esotici del romanticismo. A tale traviamento cooperò anche funestamente lo spirito cortigianesco per cui i poeti Italiani, perduta 5. tre ca11ti ... al suo Do11 Giovamri: in realtà George Byron tradusse nel 1820 solo il primo canto del Morga11te. La traduzione apparve in •The Liberal• del 30 luglio 1823.



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a noi. Sul cominciare del secolo per verità essa si trovava ridotta alla tradizione storpiata delle vecchie Serventesi e a pochi Canti di Natale composti da qualche dotto scioperato di Marsiglia o d' Agen. J asmin 17 figlio d'un sarto deforme, e barbiere nella sua giovinezza fu quello che s'accinse a risollevare la poesia guascona col potente e versatile suo ingegno. Egli scrive dapprima sui giornali di provincia le sue canzoni, e Figaro poeta corre pei Caffè a prevenirne la lettura colla declamazione, perché questa contribuisca a schiarire ciò che avesse d'oscuro nella stampa il gergo guascone ch'egli intendeva riabilitare. Le sue ispirazioni veramente popolari emanano immediatamente da quella vita di perenni contrasti in cui si agita il povero popolo: e fra questi contrasti, da lui provati e descritti, con un sforzo sublime egli tenta sempre stabilire un'armonia suprema e morale. Poeta originale che fa sprizzare sentimenti ed idee nuove da antiche parole, e che crea e raffazzona le parole ad esprimer meglio le idee, Jasmin è un uomo d'azione oltrecché un letterato. Festeggiato da tutta Francia, adorato nel suo dipartin1ento con1e il Redentore dell'autonomia Guascona egli non isdegna la fratellanza col povero di cui canta i dolori e le gioje. Ove un'opera di carità sorge a guarire una piaga dell'indigenza si trova pronto J asmin a proclamarla, per attirar intorno ad essa la simpatia de' buoni, la gratitudine dei beneficati, il danaro dei facoltosi. Così ci viene descritto questo poeta e apostolo benemerito dalle cronache letterarie di Francia. i\llentre avveniva nella Guascogna questo risorgimento del dialetto provinciale, anche in Provenza lo spirito paesano si agitava sotto l'impulso di NI. Romainville 18 • Anche qui troviamo un semplice garzone di stamperia d'Avignone che inspirandosi alle prime tradizioni nazionali diventa ad un tratto l'anima d'un movimento letterario abbastanza considerevole da meritare i sarcasmi dei despoti dei Feullietons Parigini. Con ìVI. Romainville sorse una coorte di poeti che in una 17. Jasmin: era lo pseudonin10 del poeta provenzale Jacques Boé (17981864), considerato dai poeti felibristi come loro precursore. La fonte delle

informazioni nieviane su questi poeti stranieri è costituita da un articolo apparso sulla ' CRONACA DI MANTOVA

Se non foss'altro in grazia di Virgilio e del suo epitaffio vorranno i signori milanesi ricordarsi d'una certa Mantova 2 , d'una città di febbri, di nebbie e d'ergastoli, che impaurisce il volgo solamente del nome. Pure noi che vi meniamo buona parte dell'anno non ci accorgiamo di essere a peggior condizione degli altri; né sulle porte d'entrata della fortezza fu veduta fin qui squadernarsi agli occhi di nessun forestiero la tremenda scritta Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate!

In verità io non sono a rigor di termine né di Mantova, né di Padova, né del Friuli, ché anzi per questo mio vagabondaggio sono venuto formandomi in capo l'idea d'una patria alla mia maniera 3 , sul proposito della quale non giova confessarsi pubblicamente; ma appunto per questa larghezza d'affetto infusami da natura e dalle abitudini confortata, mi duole il veder perpetuarsi a scapito d'un paese le male credenze originate anche sovente dalle involontarie condizioni di esso. Qui in fede mia sono nebbie meno crasse delle mila«Il Caffè•> era pubblicato a Milano nel I 855 sotto la direzione di Vincenzo De Castro, professore di estetica a Padova e pubblicista. Il periodico, in gran parte redatto da Giovanni De Castro, figlio di Vincenzo, si occupava bisettimanalmente di novità librarie e teatrali nonché di economia e finanza. La brevissima vita della testata, nemmeno un anno, fu forse dovuta al fallimento del tentativo liberaleggiante del cavaliere di Biirger, Luogotenente austriaco di l\tlilano, che il giornale sembrava appoggiare. Alla cessazione de e.li Caffè», Vincenzo De Castro passò a dirigere il «Panorama Universale• di .iVlilano, cui collaborò anche Nievo. 2. ricordarsi d'una certa Ma11tova: con questa Cronaca doveva iniziare una corrispondenza mensile di N. per il giornale, come si intuisce dalla lettera del 24 febbraio 1855 ad Andrea Cassa (Lettere, p. 326). La breve vita de •Il Caffè• impedì la realizzazione del progetto. 3. b, verità ... alla mia maniera: è una delle dichiarazioni più autobiograficamente esplicite del comporsi in sé della dimensione provinciale e nazionale, di questo pescare nel radicamento in più piccole patrie di una vocazione all'identità nazionale. Un atteggiamento che ha degli immediati risvolti linguistici, come ha mostrato l\tlengaldo nei suoi studi sulla lingua di N., una lingua composita, modellata da più influenze linguistiche e spesso coscientemente ibrida o perlomeno usata ibridamente, nell'epistolario come nei romanzi. È il tratto di più evidente consonanza e rinvio tra l'autore e il personaggio delle Co11fessioni, come argomenta anche B. FALCE'ITO, L'esemplarità imperfetta. Le •Confessioni• di Ippolito Nievo, Venezia, Marsilio, 1998. 1.

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nesi, aria più asciutta, febbri più benevoli, e i borsajoli, per esserci l'ergastolo, non passeggiano a piede libero in piazza del Duomo. Né la provincia tutta per varietà di siti, fecondità di suolo, salubrità d'aria, copia di fiumi e di canali, e comodi di ponti e di strade la cede di gran lunga a qualunque delle consorelle lombarde. Spiccandosi, larga solo qualche miglio, dal lago di Garda là precisamente ove siede il bello e forte arnese Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi"

essa s'estende lì presso ad abbracciare quell'esercito di colline che rinfianca la sponda meridionale del Benaco, e dilatandosi ancora più basso, a ponente fino a comprendere ne' suoi confini l'ultimo corso dell'Oglio, ed a levante fino a radere oltre Mincio le valli del Tartaro, aggiunge d'ambo i lati l'antico Fluviorum rex Eridanus

e tra Ostiglia e Borgoforte lo varca per occupare i quattro grossi distretti lombardi d'Oltrepò. Ad ajutare tante larghezze di natura in tanto e così rapido avvicendarsi di colli, di pianure e di valli, s'adoperarono da secoli le acque, che abbondanti irrigano queste diverse regioni, non così però che molto non resti a fare anche oggidì. Ed operazione idraulica di grande utilità sarà l'asciugamento delle Valli Viadanesi nell'angolo tra Oglio e Po, mediante macchina a vapore da costruirsi tra Cavallara e S. Matteo sull'argine destro dell'Oglio a spesa d'una società di possidenti e dietro progetto dell'illustre ing. Antonio Arrivabene. Così non solamente di generale importanza ma di suprema necessità sarebbero l'inalveamento del Mincio da Peschiera a Cittadella, e la Conca di comunicazione fra i due laghi Mantovani, che si disgiungono per un salto d'acqua molto precipitoso. Ora si parla solamente di quest'ultima opera, ma in verità non sapremmo il perché si vogliano dividere due cose che la natura stessa accoppia ad un solo fine, avvegnaché costruita la Conca, il commercio del Mincio superiore, che ora si limita a trasporto fluviatile della ghiaja e che essa tende a fomentare, si svilupperebbe allora soltanto che l'inalveamento di quel tronco di fiume gli aprisse l'adito al lago di Garda e perciò alle Riviere Bresciana e Veronese ed al Tirolo. Speriamo che il Potere si accosterà efficacemente a questi progetti tanto discussi quando l'avviamento verso i Ducati della Strada Ferrata da Verona a Mantova indurrà necessario il re4. il bello ... Bergamaschi; DANTE, Inferno, XX, 70-71. Il riferimento è alla fortezza di Peschiera.



golamento delle acque suburbane, entro le quali sarà costretta la linea stradale 5 • Della fertilità delle nostre campagne è inutile ch'io vi ripeta ciò che sapevano ai tempi d'Augusto Titiro e Melibeo: né questo è luogo da diffondersi in elogi a quegli animosi, che dando maggior impulso alle nostre industrie agricole, furono sprone di crescente operosità alla maggior parte dei fondisti. Pure ad onta del sacro culto della Terra, nostra religione nazionale, solamente quesf anno ebbimo qui un almanacco rurale nell'6; è un buon libretto che rinascerà d'anno in anno più sapiente e prosperoso se un discreto smercio lo secondi nella sua buona intenzione. Si parlò anche d'un giornale - doveva intitolarsi la 7 e trattare degli interessi provinciali massime negli argomenti dell'agronomia e delle popolazioni campagnuole. Ma benché bene promettessero e il programma che i nomi dei redattori, pure fino ad ora la penuria di socii avversò il buon volere di essi: né la •Lucciola>> sembra vicina ad uscire dalle tenebre. Dalla letteratura agronomica al discorso della vita intellettuale del paese è ovvio il passaggio, ma poco potrò dirne poiché tutta intima e privata; né la 8, pei vizj organici inerenti ad ogni pubblicazione semi-ufficiale, vale a rappresentarla interamente in ogni suo aspetto scientifico e letterario. L' Achillini 9 direbbe che i torchi delle nostre tipografie non sudano per preparar pascolo agli ingegni - tuttavia fanno eccezione l'ottimo Dizionario della Lingua Italia11a che si pubblica lentamente dai fratelli Negretti - la traduzione del 5. entro ... la linea stradale: il governo austriaco aveva stipulato nel 1852 una convenzione con una società anonima per il raccordo delle ferrovie lombarde con quelle toscane attraverso i ducati emiliani. Anche a livello governativo si faceva così sentire l'esigenza, impellente nella Lombardia di metà Ottocento, di uno sviluppo dei traffici e di una sistemazione idrogeologica dei suoli, necessarie premesse all'agricoltura moderna. 6. un alma11acco ... «Amico del co11tadi110»: la rivista era redatta a ìvlilano da Gio\'anni Cantoni. 7. «Lucciola»: N. qui mostra di conoscere dall'interno le vicende della redazione del giornale di lVlantova (per il quale cfr., infra, pp. 173-183), che iniziò le sue pubblicazioni il 16 aprile 1855, dopo una lunga gestazione, riunendo intellettuali di orientamento liberale ma anche personaggi più decisamente vicini alla corrente democratica, come Paride Suzzara-Verdi. La collaborazione di N. al periodico fu poi il frutto di una convinta adesione alle prospettive di riformismo agrario del direttore Boldrini e della redazione. 8. né La «Gazzetta provi11ciale•: •La Gazzetta di Mantova!) assunse questo titolo nel 1816, continuando un giornale settecentesco. Sotto gli Austriaci fu filogovernativa. 9. L 'Achillini: Claudio Achillini ( 1574-1640), poeta marinista. Dopo la citazione ironica nei Promessi Sposi, venne considerato nell'Ottocento il prototipo del letterato secentista.

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Dizionan'.o di Economia del Coquelin' 0 , condotta da alcuni signori di qui con qualche aggiunta di altri economisti, nella quale si avrebbe desiderato un po' di prefazione per illuminar il lettore sull'andamento generale dell'opera - la traduzione della Storia di Federico Il del D. Kugler per cura d'Alessandro Arrivabene, di cui ebbe già a parlare il > qualche mese addietro - finalmente qualche Manuale tecnico di meccanica e d'altro di cui non vi parlo, come affatto profano. Meno ancora posso raccogliere sul campo delle belle arti, se non avessi per avventura a narrarvi della Volta del Zodiaco di Giulio Romano nel Palazzo Ducale che minaccia rovina. Pure ebbimo da ultimo un po' di polemica a proposito d'un Dipinto a fresco condotto da Antonio Razzetti nel1a basilica di sant'Andrea ad empirvi un vuoto lasciatovi nei riparti architettonici da Felice Campi frescante del 1800. Nessuno avrebbe mosso verbo su quel lavoro, se un indiscreto non avesse stuzzicato la vipera con l'inaugurare ]'apoteosi del Razzetti nell'appendice della gazzetta. Altri sorse allora sdottrineggiando d'arte e di critica, a consigliare di dar il bianco al dipinto - ma per ver dire l'opera del Razzetti non è poi tale quale la vogliono questi ciabattini d' Apelle, e molti pregi sono nel suo lavoro, del quale al postutto non isdegneranno la compagnia gli affreschi del Campi, di pessimo gusto e barocchi per eccellenza. M'accorgo di essermi dilungato d'assai - ma quello che è fatto è fatto - e vi consoli la certezza che soltanto di qui a sei o sette mesi e stando bene in agguato, da tutto ciò che succede potrò cavare argomento di tante chiacchere quanto oggi ve ne infilzai - Mantua veh misera nimium vicina Cremonae - e troppo sonnolenta e troppo biliosa aggiungerò io umilmente. I. N. (ccli Caffè)), I, 5 aprile 1855, 27)

L'EBREO DI APOLLONI

Grande onore è questo che dovunque fu reso, e che noi pure tributiamo alla nuova opera dell' Apolloni 11 , di farla oggetto d'un esame la traduzione ... Coque/in: le posizioni liberoscambiste dell, economista francese Charles Coquelin (1802-1852) e i suoi lavori sulle ferrovie comparsi ne1la

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estetico, quale s'attaglierebbe a un importante lavoro scientifico o letterario. Ma per chi guarda a tutte le glorie italiane con occhio vigile e innamorato, quest'ultimo de' nostri primati, il musicale (ultimo d'ordine e di tempo) vale pur qualche cosa, come quello che prova nel bel paese l'eternità dell'ispirazione artistica, foggiata a diverse manifestazioni secondo l'indole dei tempi e dei modi nazionali. Così ogni sintomo che addimostra viva questa ispirazione sotto qualsiasi forma noi lo indaghiamo con amore quasi religioso, e il trionfo dcli' Apolloni alla Fenice di Venezia ne parve benaugurato, come quello che ci era cagione di sperare in lui il restauratore della musica. La rappresentazione dcli' Ebreo al teatro di Mantova sminuì in gran parte, in parte confortò di nuovi argomenti una tale speranza. Né con ciò noi vogliamo proferire un giudizio meramente musicale, bensì come accennammo più sopra un più alto giudizio estetico. Il libretto, compendiato dall'Assedio di Granata di Bulwer, offre un singolare impasto di bellezze e di mostruosità; ma, tutto sommato, colla bizzarra ed inarmonica disposizione dei metri, colla diavoleria delle passioni e dell'intreccio, coll'affastellamento degli effetti scenici l'anonimo poeta scemò di assai il merito che gli spetta per le buone strofe sparpagliate qua e là. Né la stranezza del melodramma influì poco a mio credere sullo stile dell' Apolloni; anzi libretto e musica s'incontrano talmente ad una sola ispirazione, che non si esitò da taluni ad attribuire la composizione dei versi al maestro; il che non è, se dobbiamo stare alle parole di quest'ultimo. Ad ogni modo, la musica seconda così appuntino il colorito e le intenzioni del libretto, che come l'occhio si diparte tutto stravolto e abbarbagliato dalla lettura, così gli orecchi restano dall'armonia sorpresi e sbalorditi. Della quale il merito più spiccato e vincente ogni ritroso giudizio è la strumentatura nuova, elegante, accuratissima; e neppure oserassi negarle una certa vaghezza melodica; ma la prima è troppe volte strabbondevole e leccata; e soverchiamente uniforme nei ritmi la seconda, onde se l' effetto è sempre raggiunto, spesso anche la mente non s,appaga del piacevole sentimento e reca giudizii disfarmi. Manifesta poi è la predilezione del n1aestro pei tempi veloci e affrettati, giacché il canto dignitoso, spianato non s'accenna che per guizzi, e abbondano le cabalette di cui è creatore mirabilmente ingegnoso; ma da ciò appunto scapitano assai la calma e la purezza dello stile, e per quanto i battitino (autore dei melodrammi Ade/cl,i, 1852; Pietro d'Aba,io, 1856; Il conte di Ko11igsmark, 1866; G11stat.10 Jiflasa, 1872), raggiunse il massimo successo proprio con L'Ebreo, su libretto di Antonio Boni, rappresentato per la prima volta alla Fenice di Venezia il 23 gennaio 1855. N. ebbe modo di menzionare l'opera in un successivo articolo apparso ne •Il Pungolo•.

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mani scoppino a far ragione dei critici, pure la noja fa ragione alla fine anche del pubblico, affascinato così alle prime dalla vivezza e dalla forza dei suoni, ma scontento suo malgrado di non scoprire alla terza sera più bellezze di quante ne ha intravvedute alla prima. Rispondono col solito ritornello; schierarsi la musica teatrale fra le arti educatrici e perciò doverlasi vestire d'aspetto che vinca d'assalto il giudizio della folla; le delicature musicali essere ornai da rinserrarsi negli eccelsi circoli accademici; nei pubblici spettacoli volersi bellezze patenti delle quali si giovino addirittura le menti popolari. E questa sarà logica sopraffina; ma certamente non si pretenderà educare il popolo ribattendogli la sua ignoranza, bensì avviandolo a grado superiore di coltura; e concesso che la musica cooperi a tal fine, non sarà certo la ottima via quella di lusingarlo nelle sue grossolane tendenze allo strano, al barocco, al maraviglioso: sebbene per l'usciolo della verità sempre aperto nel cuore di tutti, riverberando in esso un semplice raggio del bello, si tenderà a tal risultato. La folla ai dì nostri è ancora troppo ineducata per balzare all'assoluta conoscenza estetica, come la mente d'un artista; ma il bello è così potente per sé, da farsi anche comprendere prima che la virtualità di comprenderlo siasi desta nelle menti volgari pei fomenti dell'educazione, e questo commercio con esso, questa comprensione passiva è già una educazione graduata che sviluppa quella virtualità, e la traduce mano a mano in vero criterio. Dietro l'esposto fin qui, la scuola dell'effetto, che padroneggia ora sui nostri teatri, noi la stimiamo pervertitrice del senso estetico nella moltitudine, come quella che valendosi della sua ignoranza per affascinarla con esterni artifizii, per verun modo la induce ad educarsi di per sé imponendogli sforzi d'attenzione e di raziocinio. Confidiamo per altro nel tempo, che ha fatto giustizia della deforme drammaturgia inaugurata da trent'anni in Francia, e la farà puranco di questa analoga degenerazione dell'arte musicale. Né vale oppormi essere l'effetto lo scopo di qualunque rappresentazione artistica, poiché tra il diletto sensuale procedente da una piacevole combinazione di note, e il rapimento nell'anima ingenerato da1la limpida ispirazione d'un canto v'ha tutta la differenza per cui sensazione discorda da pensiero. E il piacere intellettuale, promosso dalla contemplazione d'un mondo superiore d'idee fantastiche cui ci solleva la musica, noi non lo prendemmo dall'Ebreo de11' Apolloni; benché ad ogni tratto ci corressero alle labbra parole di ammirazione pei talenti del maestro. Insomma, a nostro parere, manca in generale a quest'opera quello stile largo. semplice. sereno, quella temperanza in una parola. che nell,ordine artistico come in ogni altro è madre di vero sublime. Gli antichi compositori italiani avevano questa miracolosa temperanza; ed a loro dobbiamo i moderni splendori di Rossini, di

, II, 1935, 1-2, pp. 5-45 e 145-176. 2. Corrispo11de11za de •L'Arte»: la collaborazione di N. a oL' Arte• di Firenze fu sollecitata dal giornalista Giovanni De Castro, come appare da una lettera conservata nella Biblioteca Comunale di Udine e riprodotta ora infra, pp. 560-561. 3. il Co11vito di Baldassarre: l'opera Il co11vito di Baldassarre, del maestro Antonio Buzzi (1808-1891), fu rappresentata per la prima volta alla Scala di ~lilano, il 26 dicembre del 1853. 4. 1\tlaestro Sa11e/li: Gualtiero Sanelli ( 1816-1861) fu mediocre compositore che terminò la carriera come direttore stabile in Brasile. Gusmano il buono, la sua opera più riuscita, ebbe la prima al Teatro Sociale di l\tlantova, il 10 febbraio 1855. 1.

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effetto e che lascia il canto molto scoperto. Immaginatevi che Babele! Al silenzio dei contrabbassi e dei corni da caccia il pubblico s'accorse con chi aveva da fare e ne diede qualche segno alla seconda rappresentazione. La Poma (contralto) il Pizzigati (baritono) il Saccomano (tenore) più di tutti il Cornage (basso) spiegarono i loro mezzi vocali siffattamente che alla terza sera l'opera naufragò. E qui ancora fu salva la sola Baseggio5 , di cui per disgrazia del maestro pochissima era la parte nel suo Gum1a110. Ora siamo sbarcati a Venezia coi Foscari - e davvero il corno dogale ha fatto bene assai al Pizzigati, il quale non grida tanto, colorisce meglio le note, e si dimostra insomma quel discreto artista che la fama ci avea fatto sperare annunciando il suo nome. Certamente peraltro lo spettacolo non sarebbe giunto senza maggiori burrasche al buon porto della prima domenica di quaresima se la coppia danzante Baratti-Fissi non avesse stregato il pubblico colla grazia la gioventù, la buona volontà che traspariscono da ogni suo passo. Ripeto quello che scrissi testè ad un amico RIME BURLESCHE DI ECCELLENTI AUTORI RACCOLTE ORDINATE E POSTILLATE DA PIETRO FANFANI FIRENZE, LE MONNIER,

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E che, gli è tempo questo, sorelle care, da burle e da burlette? ... e da spassarsi con buffoncelli, o da smascellarsi colle celie dei poetonzoli? Non è per fermo; anzi corre una stagionaccia da doversi ognuno dare attorno per vivere e insegnare a vivere, tanto codesto mestiero s'è fatto disagevole; ma pur pure, non è codesta buona ragione onde appiccarla coi frontispizii, e colle Rime burlesche; le quali ve lo dico io, sono burlesche fino ad un certo punto, e più in là e meglio più in sù, ridiventano le cose più gravi del mondo. E lo solfeggia chiaramente il Raccoglitore Fanfani' a certo Don Sughero Pesamondi in un Dialoghetto che cade opportuno in luogo di Prefazione: Io e i miei pari, egli dice, ci lasciamo sopraffare da certi cotali che il mondo chiama uomini sommi, ai quali saltò il grillo di dire, che la lingua è vera gloria di una nazione, ed è anzi cosa tanto congiunta alla nazione, che ne' più grandi libri del mondo, la Bibbia e la Divina Commedia, lingua e nazione suonano spesso quel medesimo: che lo studio di essa è nobilissimo e santissimo: che la lingua è come uno specchio nel quale cadono i concetti di tutti i pensanti d'una nazione e dal quale si riflettono i pensieri di tutti nella mente di ciascuno; che essa è mezzo da insegnare le ottime discipline e da esprimere acconciamente i pensieri dell'animo, e però roratore e lo scrittore tanto più otterrà il suo fine quanto più saprà pigliar l'animo di chi lo ascolta o lo legge con la eleganza e la grazia della elocuzione: che il giudizio e l'intelletto sono ajutati in gran maniera dal retto uso dei vocaboli più proprii, e che intelletto e linguaggio vivono quasi una vita comune; che la lingua infine è ciò che ne differenzia dai bruti, ed è la cagione per cui siamo umani e civili; e sdegna per questo che ciascuno l'an1i, la coltivi, la difenda.

E tante ne infilza per giunta questo benedetto uomo del Fanfani, che quel Sughero ne resta proprio soffocato; il qual Sughero, se non lo avete 7. il Raccoglitore Fa11fa11i: Pietro Fanfani (1815-1879), bibliotecario alla Magliabechiana di Firenze, fu filologo ed editore di testi antichi. Di impostazione puristica è il suo Vocabolario della li11g11a italiana, 1855. Una recensione diversa e più ampia del libro di Fanfani fu stesa da N. per la •Rivista Veneta•, I, 9 novembre 1856, 30 (cfr., i,rfra, pp. 196-200). Tale recensione è stata attribuita a N. da I. DE LUCA, Ippolito Nievo collaboratore della ,,Rivista Ve,ieta• di Venezia e della •Rivista Euganea• di Padova, in •l\tlemoric dell'Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di Scienze morali, Lettere ed Arti•, LXXVII, 1964-1965, pp. 85-183, ecostituisce una ulteriore controprova indiretta dell'attribuzione nieviana del testo comparso ne •La Lucciola•.

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indovinato, è tra coloro che hanno il cuore troppo grande perché l'amore d'un bocconcino di paese lo accontenti, e così hanno sempre per bocca il mondo, e l'umanità, e altre parole simili fatte per abbarbagliare i leggitori di Gazzette. !Via se egli, questo castrone, non si persuade di quanto gli vien dicendo il Raccoglitore, ben me ne persuado io, e voi pure, donne cortesi, poiché lo sapete, io ho la mano sul vostro cuore, come medico al polso; né troppo ci vuole ad assicurarvi ch'esso batte d'accordo col mio. Or dunque lode al signor Fanfani, che sa e crede doversi l'insegnamento della lettura cominciare dall'Abbici, e per dirozzare gli ingegni ruvidi, e svegliare i sonnolenti, e afforzare i deboli e improntare gli sbiaditi ci vien fuori con questa ben ordinata Raccolta, la quale insegnerà essa pure a parlare, a scrivere, e da ultimo a pensare l'Italiano. La Prima parte delle stanze per la maggior parte rusticali, è un vero tesoretto; né disuguale per nulla è la terza, dove stanno i Capitoli. Le Canzoni e i Sonetti non sono di pari eccellenza, colpa forse la copia; e anco i Ditirambi del Car1i e del Magalotti per quanto briosi e bizzarri non mi sembrano tali da poter accostare quello mirabile del Redi 8 • Le Rime Fidenziane, poi (che è come dire in istile pedantesco o ricamato di latinismi), non mi sembrano più di stagione e conveniva lasciarle dormire in pace; che se si volle darcene un saggio, bastava la metà o meno. Qualche altra menda potrei notare, come l'abbondanza di roba troppo nota, massimamente dei più classici, la quale per trovarsi in ogni dove, non era necessario metterla in una Raccolta, che vuol essere destinata a risuscitare e ringiovanire e non deve poi essere affatto una scrupolosa Antologia Scolastica. l\1a questi nei sono coperti dallo splendore dei pregi; e prima vogliamo consolarci di stringer amicizia per la prima volta dopo duecent'anni con una cara e gentil nostra sorella, che la mi par proprio l'Erminia Fuà di Firenze nel Secolo XVI. Di lei ci vien dato un Capitolo inedito scritto ad una amica in tempo di peste; cd è così semplice e bello da mostrare in Lucrezia Dalla Rena 9 , una matura consuetudine di poe8. i Ditirambi... q11el/o mirabile del Redi: Paolo Francesco Carli (1680-1752), rimatore toscano. Lorenzo Magalotti ( 1637-1712), scienziato, letterato e accademico della Crusca, scrisse novelle sul modello del Decamero11 e rime petrarchesche. Per Francesco Redi, cfr., supra, Studii sulla poesia popolare e civile massimame11te in Italia, p. 145, nota 7. 9. l'Ermi11ia F11à ... L11crezia Dalla Rena: Erminia Fuà ( 1831-1876), poetessa, seconda moglie di Arnaldo Fusinato (per il quale cfr., supra, Corrispo11de11za della •Sferza•, p. 129, nota 4), collaborò alle riviste •La Ricamatrice• e •Le Ore Casalinghe•, cui collaboravano sia il marito che Nievo. Fu lei, dopo la morte di N., a cercare un editore per le Confessioni e a esserne la prima curatrice. Quanto alla poetessa Lucrezia Dalla Rena, vissuta nei primi del secolo XVII, di lei si conosce solo questa poesia, che Fanfani trasse da un codice magliabechiano.

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tare, onde non ci lusingheremo in vano di vedere quandocchessia altri simili giojelli uscir dalla polvere degli Archivi fiorentini dietro le pazienti indagini di letterati simili al Fanfani. Né voglio tacere il verso che chiude quel capitolo comecché contenga un consiglio e un conforto utile a tutti: L'animo allegro fa l'età fiorita dice quella graziosa Lucrezia. E io pure lo ripeto a voi; onde prendete pure tra mano questo nuovo volume del Le Monnier a rinfrancarvi un po' l'animo colla sana e robusta ilarità de' nostri vecchi poeti. I quali erano certi capi balzani da non essere le più volte compagnia convenevole a donze1la ben costumata; ma così come sono, scelti e tenuti a freno in questa raccolta, possono riposare anch'essi sotto il capezzale dell'innocenza. E ne avrete ore piacevoli, e ammaestramento di buon parlare toscano: del quale dobbiamo giovarci noi donne più ancora che gli uomini, per insegnarlo ad essi dappoi, voglio dire a quei che verranno. Perocché, credetemelo, giova più assai una buona e calzante parola imparata daJla mamma negli anni della balia, che non mille altre cercate e raffrontate su Dizionarj nell'età del giudizio. QUIRINA N. (•La Lucciola->, II, 19 agosto 1856, 19)

LES CONTEMPLATIONS 01

V1cToR Huco

PARIS, MICHEL LEVY PAGNBRRE, I 856

Io lessi a giorni addietro, sorelle care, queste nuove poesie del Lirico francese' 0 , e non pensava a farvene parola come di cose soverchianti il mio debole giudizio e delle quali avrete udito parlare da mille altri che da me. Quando mi cascò in mente che pel parentado infelicissimo tra l'odierna poesia d'oltralpe con una certa scuola di poesia nostrale non essendo Victor Hugo affatto straniero alla nostra letteratura, io avrei potuto e dovuto forse guardarci entro un tantino, per trarre da lui qualche augurio, e qualche argomento di pensare a noi. 1111ot,e poesie del Lirico fra11cese: un ampio rendiconto critico delle poesie di Hugo, senza firma ma sicuramente di N., era comparso in •Rivista veneta•, I, 24 agosto 1856. 19 (cfr., i11Jra, pp. 185-191). Ristampato e attribuito a N. da I. DE LucA, Ippolito Nievo collaboratore della •Rivista V~neta~, cit., il testo presenta delle ampie concordanze tematiche con la re10.

censione comparsa ne •La Lucciola•.

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E questo mio pensiero mi faticò tanto che ecco ora a farvene un cenno, così come potrò meglio e come si convien meglio al talento femminile di chi scrive e di chi legge. L,opera poetica delle Contemplazioni è divisa in due volumi l 1 uno de' quali s'intitola I' Autrefois, e l'altro l' Aujourd'hui ne' quali l'autore intese dipingere, come dice apertamente in una delle ultime odi, lo spettro della sua vita. Da questa cagione interna dell'opera tutta, ecco provenire la duplicità di essa; poiché quella parte che riflette la vita pubblica e letteraria discorda affatto dall'altra che va mano a mano e religiosamente riandando gli affetti, la felicità e le sventure domestiche. Né la mia opinione è in nulla diversa da quella dei maggiori critici, ché cioè questa seconda maniera di poetare sia più semplice, più vera e tale insomma da accontentare l'orecchio più dilicato. Mentre quando l'autore scrive come autore, o filosofeggia, o s•ingolfa nella politica; in somma ogniqualvolta egli esce di casa sua nessuna penna italiana potrà ridire la stranezza de' suoi pensieri, e la ridicola goffaggine delle immagini, le più volte somiglianti a distorte caricature, e il mostruoso spandimento delle idee, che per saltare che facciano dall'abisso al cielo, non assumono mai né vera grandezza, né certa configurazione, e neppure una impronta umana. Forse quella bizzarra creatura di Quasimodo, uscita anch'essa dal cervello di Vietor Hugo nella Notre dame de Paris avrebbe scritto simili versi se a lui fosse soccorsa quella lingua facile, splendente, snella a passare dal trivio alla reggia, capace di torturare sé stessa per far ispruzzar nuove idee dagli storcimenti, quella lingua divina infernale, nobile plebea, che fu trovata nel vecchio guardaroba di Rabelais e di Molière dall'autore delle Orientali e del Le Roy s'amuse. Ad ogni modo se di questo suo trovato egli abusa talora fino a chiamare la parola le noir polype de l'Ocèan pensée e le stelle dell'Orsa [es sept torches de l'autel de Dieu, sa poi piegarlo alle squisitezze più segrete dell'arte nei versi affettuosi e domestici. La sua figlia maggiore che nella state del 1846 annegò nelle acque della Senna, insieme al suo fidanzato pel capovolgersi del battello ha la più bella parte di quei versi. Infatti il Jibro Pauca mea che è il quarto dei sei che compongono l'opera, e al quale sono confidate le memorie dolci e pietose di quella figlia carissima, è il migliore d'ogni altro; e piena di belle e semplici e grandi cose è la poesia a Celle qui est restée e11 France colla quale il poeta consacra a lei il suo libro, e s'accomiata dai lettori. Due scrittori adunque m'occorse di vedere in Victor 1-Iugo scorrendo queste sue Contemplazioni, come m'era sempre accaduto nel leggere qualunque de' suoi scritti; sennonché in questi ultimi la duplicità m'appare più distinta onde come disse un critico sulla se da quel mazzo di fiori si facesse u11 mazzolino questo potrebbe

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sembrar colto nel giardinetto più chiuso delle Muse e acconciato per mano delle grazie' 1 • Da ultimo poi sapete qual fu la mia ultima idea soreJline belle? Fu un'ideuccia di orgoglio che mi si allargò per tutto il capo al vedere che a noi donne si sta il merito d'aver ripurgato il potente ingegno di Hugo dalla sua scabbia di bizzarrie. Ogni dove si trova del buono è sempre dietro le traccie d'una donna. Coraggio dunque giacché noi siamo destinate a rifabbricare il mondo; e per cominciare, se fossi in Piemonte, vorrei dirgliene tante e tante a quello svariato ingegno del Prati 12, condirgli la pillola con tal furberia ch'egli ne rimarrebbe guarito per forza o per amore; sicché se egli s'è fatto fin qui imitatore delle cose di Victor Hugo, si studiasse almeno di ritrarlo anco nelle migliori. QUIRINA N. (•La Lucciola!), II, 26 agosto 1856, 20)

I I. «Revue des Deux lvlo11des• ... per mano delle grazie: si allude qui alla recensione di Gustave Planche, pubblicata nella quale traccia critica, qui sviluppata in maniera più organica e ampia. Ne «La Rican1atrice» del 1 ° settembre 1858 compare un'ampia scelta di traduzioni di N. dal Quarto libro delle Co11templazio11i, quella parte della raccolta che tocca temi più intimi e legati agli affetti del poeta francese, giudicata positivamente da N. nelle due recensioni. Questa e altre traduzioni sono state raccolte in I. NIEVO, Quaderno di traduzioni, a cura di I. De Luca, Torino, Einaudi, 1976; sull'argomento, si veda anche I. DE LucA, Nievo traduttore, in ID., Tre poeti tradutton·. Monti, Nievo, U11garetti, Firenze, Olschki, 1988, pp. 153-202. J.

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condannano essi lo abbondare in quei versi di cotali verità non affinate e come greggie, allora non rispondeva per fermo alle intenzioni il loro primo discorso, quando affermavano il tale o il tal altro affetto non essere convenevole a dimostrarsi dal poeta, mentre egli, che lo ha provato quandochessia, è sommo giudice di tale convenevolezza; e solo avrà debito di accomodare quell'affetto ai precetti temperativi dell'Arte; il che se non avrà fatto, sarà solo per ciò censurabile. Con tale criterio ci pare debba governarsi chi intende a vagliare gli scritti che come questi del poeta francese ritraggono assai dalla vita dello scrittore e s'improntano, come fidi cammei, dalla sua varia ventura. Se poi sia buon consiglio scrivere di tal maniera, questa è alta quistione d Arte, la quale a risolvere valga l'esempio di assai grandi uomini, che nella sposizione della propria vita furono grandissimi, sia per sincerità, sia per delicato sentimento, e per calore d'affetto e per salda dottrina d'esperienza. Anche la lirica de' Greci, schiva dalle affatto vane immaginazioni, e costumata a celebrare i momenti più solenni della vita popolare, come le vittorie e le commemorazioni di esse, e i giuochi Olimpici, e le feste degli lddii, non arrossiva di cantare gli avvenimenti domestici e gli affetti al tutto privati, come le morti, e le nozze, e i conviti e gli amori; e Anacreonte, e Simonide e Saffo, per essere tra quelli che poetarono a questo modo, non furono reputati indegni di sedere con Pindaro, con Alceo e con Corinna sul sommo vertice del Parnasso greco. Non parliamo delle liriche romane, come quelle che anche nei più eccellenti furono· frutto d'imitazione; e né anche delle altre letterature antiche, perché nullo, o scarso alimento diedero esse al rinnovamento letterario d'Europa, dal quale scaturisce l'odierna poesia, massime delle razze latine. Certo, Vittore Hugo come lo dà chiaramente a vedere nei primi versi della bellissima e straziante poesia indirizzata a quella che è rimasta in Francia, volle nel nuovo libro dipingere lo spettro della sua vita; onde a torto quell'affannato critico, che è il signor Planche della , gli facea carico d'aver ospitato principalmente nel primo volume le rimembranze di qualche scappatella giovinesca, come indecorose all'età avanzata e alla grave fama del poeta; dacché se voleva egli ritrarci tutto se stesso coi varii mutamenti suoi dai primi anni fino a questi ultimi dell'esiglio di Jersey, conveniva colorare di viva gioventù alcuna parte del quadro; e il non farlo sarebbe facilmente apparso anche ai lettori meno arcigni, o falsa vergogna, o stolido sussiego, o superbo vanto d'aver sorvolato ai comuni errori. Invece questo compatimento di se stesso, nel quale il pubblico è chiamato a compagno, sembrerà bella e magnanima prova d'umiltà. Piuttosto lo condanneremmo d'aver alle volte ritratto se stesso quale mai non fu; dal che forse provengono i maggiori difetti del suo inge1



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splendide protezioni del cinquecento; che cioè la dimora in corte le aveva imposto una certa andatura di cerimonia, da non poterlasi usare che nelle sale delle Tuileries o nei gabinetti della l\llaintenon, discordante affatto dai principii del Bello poetico che s'insaldano principalmente nella natura aperta delle cose e nella scioltezza degli ingegni popolari. Corneille avea menato dai chiassi alla reggia quella vispa e selvatica zingarella ch'era in allora la Poesia francese; né fu scarsa prova d'ingegno la sua, di panneggiare la toga romana intorno a quella figura svelta e guizzante, sicché la nuova maestà e la grandezza dei sentimenti fece dimenticare la libertà perduta. Racine finì d'allisciare quella cortigiana dignitosa e sbiadita; e l'ebbe assottigliata ad un punto, oltre il quale le conveniva farsi ombra, se pur voleva procedere; e non pertanto la purezza del disegno compensava tuttavia la smontatura del colorito, come nelle angeliche dipinture della scuola toscana. Ora quanti vennero dappoi e vollero sorpassare Racine, riuscirono lividi, stecchiti; e quanti si fermarono in lui, confitti a ricalcare que' suoi parchi e noti modelli, ci perdettero l'anima affatto; né quel sovrano maestro d'arte che fu Voltaire ebbe miglior fortuna degli altri nel doppio tentativo, se non per una singolare vivacità d'ingegno che ritraeva assai dell'indole popolaresca francese. Vittore Hugo, nato fra i sobbollin1enti della Rivoluzione, sconsigliato pel proprio temperamento da qualsisia soggezione, rifuggendo da ambedue quelle vie, si gettò per una terza da lungo tempo dissueta, dove si perdevano in lontano e le voci di Rabelais e di i\tlolière. E da ciò nacque quella ribellione delle parole la quale Vittore Hugo nel primo libro delle Contemplazio11i si vanta d'aver capitanato. eChe se prima•, dice egli, >, si veda I. DE LUCA, NietJO traduttore, in Io., Tre poeti traduttori. 1vlo11ti, Nievo, Ungaretti, Firenze, 01schki, 1988, pp. 153-202. 3 .... uno scrittore: Vittore Ottolini (1825-1892), collaboratore de «L'Uomo di Pietra• e di altri giornali satirici, diventò dopo l'Unità uno dei più noti storiografi del Risorgimento lombardo, scrivendo opere sul 1848 a l\tlilano e sulla spedizione dei l\ilille. 1.

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l'intelligenza del cuore. È buon segno, diciamolo francamente, ed ottima caparra. Del resto si conosce fin dalle prime pagine che il signor Ottolini non ha scelto il suo argomento per seguir l'andazzo della moda, ma per volontà di mostrare e di fare il bene. A ciò giova l'esposizione tanto delle virtù con1e dei vizii sociali, quando trapela nello scrittore l'intento di benedire alle prime e di chiamar rimedio agli ultimi. Non c'è caso: così nei libri come nella vita, la speranza è il fiore delle anime, è il profumo che rende incorruttibili i nostri sentimenti. Senza di essa, perfino la carità è una pedanteria, un pleonasmo; e ne son prova quelle carità officiali che il più delle volte falliscono lo scopo appunto per non mirare al futuro. L'autore di queste scene contemporanee si palesa giovine di gran cuore e già maturo alla difficile arte dello scrivere. Qualche ineguaglianza di stile và condonata ai primi lavori: qualche lombardismo non sappiamo bene se definirlo in lui merito o demerito; alcun carattere mancante di contorni è anche questo difetto d'inesperienza, o meglio proviene dalla maniera di questo Romanzo da lui scusata col titolo di Scene. Insomma così com'è, è un buon lavoro che sarà letto con piacere e con profitto anche dalle nostre Signorine, che si guastano gli occhi sulle edizioni illustrate di Dumas e della Sand. Qui almeno avete caratteri ragionevoli che non fanno l'utile dell'occhialajo, e conserveranno a quelle amabili pupille il loro lin1pido fulgore. Fuori di scherzo, bisogna saper grado a questi giovani scrittori che si avventurano generosamente nel campo letterario dell'immaginazione per competere coi più vecchi e fortunati campioni d'oltralpe. I loro modesti volumetti, fregiati tutti al più di una goffa vignetta di frontespizio, fanno quasi compassione messi d'accanto alle maravigliose pubblicazioni parigine di Hetzel e di Barba, tempestate dai facili ed eleganti disegni di Johannont e di Bertall, e con1perabili a un franco la libbra4 • Ma in questa audace concorrenza sta ascoso un bel significato nazionale, che ora è tradotto forse in uno sforzo generoso, in un pio desiderio, ma che riescirà un giorno ad un meritato trionfo, se continuano ad interpretarlo degnamente gli ingegni paesani. Si cerca di liberarsi dall'enorme tributo che si pagò finora agli stranieri. Se non correte adesso a comperare il buon libro dell'Ottolini, io vi cito al gran tribunale di Minosse e di Radamanto. N. (•L'Età presente•, I, 13 novembre 1858,

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4. pubblicazioni pari'gi11e ... la libbra: l'editore J. N. Barba era specializzato nella pubblicazione di testi teatrali; P. J. Hctzel fu invece all'avanguardia nella stampa di grandi periodici illustrati. I disegnatori Tony Johannot (non Joham1011t: 1803-1852) e Charles Bertall (1820-1882) erano molto richiesti come caricaturisti per i giornali francesi e come illustratori di romanzi.



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SULL'IDROPSICOTERAPIA. STUDI CHIMICI FATTI ALLO STABILIMENTO IDROTERAPICO D'OROPA IN PIEMONTE DAL DOTT. GUELFI

PARTE I. BIELLA, 1858

Noi non entriamo a dottrinare sulla scienza di Ippocrate e di Galeno; l'influenza di certe teorie e di certi sistemi ci basta contrassegnarla sotto l'aspetto letterario e civile, lasciandone la critica scientifica a giudici competenti. Le nostre sono effemeridi di coltura generale non consacrate specialmente ad alcun ramo dello scibile; perciò amiamo arrestarci sopra gli argomenti più disparati in quanto si compenetrano nel ciclo comune degli studi i. Non sono molti anni che l'Idropatia ha preso cittadinanza fra noi; essa si presentava dapprincipio con sembianze così strane, con una fama di sì assurde crudeltà, che il senno pratico italiano vi repugnava istintivamente. A torto fu detto fin qui che noi siamo un popolo fantastico e superstizioso; ci teniamo care le ardite in1maginazioni de' nostri grandi anche a rischio di compromettere la materiale sapienza a cui si volle educarci; ci avvinghiamo disperatamente alle superstizioni nostre, cresciute nei secoli più belli della nostra storia, incarnate nel nostro sangue, immedesimate nei nostri costumi, come altrettanti segni ch'elleno sono di una sfumata grandezza che forse può rinnovarsi. i\!la rinunziamo di buon grado a queste, ogniqualvolta un vero più certo e più utile ci porga la mano; e non siamo di quelli che mutano fede e speranza per una favorevole ventata di ciarlataneria. La riforma di Lutero ebbe pochi proseliti fra noi, coane la magia delle tavole parlanti: se ne annoverino quante cause volete, ma la precipua sarà sempre l'indole nazionale, il riserbo paesano, la tenacità romana, la diffidenza guelfa e ghibellina. Pricssnitz 5 ebbe il merito o la fortuna di molti altri genii contemporanei; scoperse quello che molti avevano scoperto prima di lui: ma ebbe una perseveranza di fede, un acume di osservazione ch'erano mancati agli antecessori; campagnuolo rozzo ma intelligente, tentò e ritentò con n1ano sperimentale una forza ribelle e misteriosa, finché credette averle dato quell'avviamento che si conveniva a' suoi intenti umanitarii. Questo può vantar di buono l'Idropatia fino dal suonascere, che crebbe pura da ogni avidità di lucro, e si diffuse più per lo zelo degli iniziati che per la mala fede degli speculatori. Certamente che a que' primi tentativi andarono frammisti molti errori: il rispetto soverchio e quasi superstizioso di alcune pratiche inutili od accidentali, la cruda rozzezza del sistema, e la tirannica uguaglianza delle 5. Priess11it%: Vinccnz Priessnitz (1790-1851), medico empirico austriaco,

fondatore della moderna idroterapia.

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cure, si dovevano in parte all'indole del maestro, in parte anche alla natura del paese e alla cieca credulità dei discepoli. Ma là dove finivano i torti innocenti dei primi idropatici, cominciano del pari i torti non del tutto innocenti dei loro avversarii. Certo idropatia ed idroterapia son vocaboli nuovi; ma la cosa, ripetiamolo, era tutt'altro che nuova. Che altro era mai il regime igienico dei Greci e dei Romani, se non un continuo e rigoroso esercizio d'idropatia? Gli sfregamenti cui si assoggettavano gli atleti per prepararsi ai giuochi olimpici, e il freddo bagno degli antichi Quiriti, sono tuttora due precipui argomenti curativi adoperati da Priessnitz e da' suoi più illuminati discepoli. Ma i nomi nuovi generano nuove battaglie; gli autorevoli professoroni che avevano inaugurato la loro gloria colle pi1lole e coi veleni, paventarono di vedersi soverchiati da questo sistema semplice e naturale; o meglio, una facile superbia non consentiva loro di credere che con mezzi tanto ovvii si giungesse ad ottenere quegli scopi che essi con tutto l'apparato terapeutico della chimica moderna erano i~capaci molte volte di raggiungere. Di qui disprezzo, invidia, calunnie, e quello che ne conseguita, gran chiasso di parole senza conoscenza di causa. Si videro medici di gran senno e di rigida coscienza denigrare un sistema ch'essi né conoscevano né si curavano di conoscere. Fu delitto degl'idroterapici se apposero a gelosia di mestiere una sì volontaria ignoranza? Confessiamo che almeno le apparenze davano nerbo all'accusa. Peraltro, se il primo empirismo colle sue stranezze, colla sua tirannia, dava qualche appiglio ai medici da conculcarlo unicamente col ridicolo, questa scusa venne a cessare quando pratici attenti ed illuminati sollevarono poco per volta a teoria le operazioni idropatiche, le mitigarono con una ragionevole tolleranza, e mostrarono, invincibili argomenti, i risultati ottenuti. Fleury'>, il famoso medico francese, fu il primo che giovandosi dei proprii sperimenti e delle svariate osservazioni degli idroterapici inglesi e tedeschi, formasse dell' ldropatia un perfetto sistema teorico. Come si disse dapprincipio, noi non pretendiamo per nulla avventurarci a neppur toccare la questione di merito: soltanto per ragioni di giustizia affermiamo, che è ornai impossibile rifiutare un esame serio ecoscienzioso ad una dottrina, che si presenta col doppio prestigio d'un favore sempre crescente e d'una perfetta trattazione scientifica. Prima di tutto in argomenti toccanti la salute e la vita, se la moda può molto, è oggimai dimostrato per migliaia di casi ch'essa non può né tutto né a lungo. Le glorie dello sciroppo Pagliano non possono vantare che una brevissima storia; e così passa e passerà sempre assai presto il fa6. Fleury: Louis-Joseph-Désiré Fleury (1815-1874), titolare della cattedra di igiene all'Università di Parigi, scrisse numerose opere sull'idroterapia.

, I, 4 dicembre 1858, 23)

IL

BARONE DI STREBOR. RACCONTO STORICO DI GIORGIO

T.

CIMIN09

Parlando or sono alcuni mesi del Romanzo Dopo il carcere del sig. Vittore Ottolini, abbiamo avuto campo di manifestare alcune nostre idee sopra i giovani romanzieri italiani. È una falange attiva ed animosa che lasciando anche andare i meriti ond'è certamente fornita, va incorag8. Lago di Como: è importante, per l'attribuzione dell'articolo, ricordare che N. nell'ottobre 1858 intraprese una cura idroterapica proprio presso lo stabilimento Maglia a Regoledo di Como. In una lettera alla madre del 4 ottobre 1858 da Rcgoledo, descrive con la sua consueta ironia l'inizio della cura: «Il Medico dello Stabilimento mi visitò - e questa sera comincerà la cura prima della quale sarò pesato come un salame per saper poi quanto guadagnerò in nutrizione. Qui la salute vale un tanto l'oncia come la cannelJa• (cfr. Lettere, n. 350 1 p. 529). Da notare che poco oltre Guelfi è citato come G11elpa. 9. Giorgio T. Cimino: si tratta del romanziere e librettista

ebbe fra tanti suoi meriti quello di aver fatto conoscere il Ventura; io non metto neppur in dubbio che lettori Veneziani, Romagnoli e Toscani, non abbiano intravveduto anche sotto le dure buccie del vernacolo meneghino il candore soave della sua ispirazione. Le letterature vernacole e provinciali sembrano a tutt'altro prossime che a voler morire. Anzi la loro vigoria si manifesta a tratti con tale baldanza che molti timorosi additano il pericolo che ne potrebbero correre le grandi lingue nazionali. Così anche in Francia, dove Tasmiu e Romainville colle loro rime guascone e provenzali mettono lo spavento addosso ai dittatori della letteratura parigina e cosmopolita. Noi all'incontro siamo d'avviso che questo manifestarsi sul campo letterario dei vari dialetti, serva a farli conoscere scambievolmente, ad aumentare l'attrito onde si verranno mano a mano dirizzando ed assimilando. Il buon dell'uno supplirà e trasformerà il cattivo dell'altro. o forse in un tempo lontanissimo si potrà sperarne una fusione conciliatrice. Nessuna lingua d'Europa è ricca di così svariate gradazioni come la nostra: la varietà del nostro cielo della nostra natura si riflette sull'indole della favella e ne particolareggia finamente le sfumature. Se questo fatto è non minima causa d'alcuna fra le nostre piaghe, esso genera anche per compenso molti effetti buoni. E prima di tutto chi può prevedere al grande e necessario giovamento che proverrà alla lingua scritta dalla fusione di questi immensi materiali parlati, operantesi senza alcun dubbio sotto la pressura unificatrice del tempo? La lingua italiana somiglia un gran serbatoio dove di secolo in secolo si vanno depositando gli elementi più puri di ben dieci vocabolari, vagliati dall'uso di sei o sette generazioni, e ripuliti dalla pratica avveduta degli scrittori. Così avviene che anche nelle lingue come in ogni umana cosa il bene s'accompagna al male, per combatterlo dapprincipio, per soverchiarlo poi, per annientarlo infine; ed infatti le frasi rifiutate dal criterio universale e confinate nell'uso parziale di del Vesta-Verdei>, fondato nel 1848 da Cesare Correnti, interrotto nel 1849 e riedito nel 1851 per occuparsi soprattutto dell'assistenza e dell'istruzione delle classi popolari. Ventura, emigrato a Torino dopo il ritorno degli Austriaci a l\tlilano nel 1849, non tornò nella sua città che nel 1859, a liberazione avvenuta. Ritornano nell'articolo i nomi di molti letterati dialettali, italiani e stranieri, già presi in considerazione negli Studii, e l'idea di una lingua unitaria come fusione di materiali dialettali ivi avanzata.

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qualche paese dovranno presto o tardi cedere il posto a modi più generalmente adottati. Il vernacolo milanese non è certamente ultimo fra i letterari della penisola. N01ninar Porta all'ombra delraguglia del Duomo è come chi dicesse Dante sotto il campanile di Giotto. Né la venerazione degli Ambrosiani è priva di fondamento. Convien dire che quel vernacolo abbia in sé tanta magia da innan1orare quanti lo hanno appreso dalla balia: infatti di poeti milanesi si conosce appena il Manzoni che non abbia scritto qualche sonetto, qualche bosinada in meneghino. Porta, Raiberti, Torti, Grossi, perfino il Parini, tutti pagarono il loro tributo alla lingua della balia. La musa del Ventura, come accennammo, s'ispira piuttosto dalla dolce mestizia del Grossi che dalla satira pungente del Porta: ma a dir meglio, interrogando il proprio cuore egli ha saputo trovare una maniera tutta sua dove le grazie pagane di Anacreonte s'intrecciano all'effetto cristiano di Manzoni. E tutto questo in milanese? direte voi. Sì certo! anzi senza ricorrere ad Anacreonte e a lVIanzoni, io credo questa una spontanea manifestazione del tipo celto-italico, così vario ne' suoi modi, così pieghevole e fecondo. Se volessi definirlo in una parola: è un Catullo milanese. Gli somiglia nella cara e svariata armonia, nell'affetto semplice o gentile, nelle immagini dilicate casalinghe squisite, perfino nella brevità e nello scarso numero dei componimenti. Si vede che anche il Ventura scrive soltanto quando l'impeto prepotente dell'affetto crea dal vuoto del tempo quel sublime momento che si chiama ispirazione. Catullo canta il passero di Lesbia, ed egli parla al passerino ospitato contro il freddo nella sua stanza, il poeta latino sospira armoniosamente pensando alla nativa Sirmione, l'Ambrosiano ricorda commosso il Borgo di S. Celso dove in un'umile casa è venuto al mondo, ambidue ricoprono sotto la rosea epidermide della spontaneità una vigorosa e perfetta mescolatura artistica. Il poeta milanese ha poi sul pagano il vantaggio d'un costante e nobile scopo morale. Leggano quelle pagine coloro che asseriscono compagne indivisibili e fatali nelle opere letterarie la moralità e la noia: vergogneranno di se stessi prima d'infamare il santissimo nome dell'Arte. Alla raccolta dei versi milanesi l'editore volle riunire alcuni componimenti in versi italiani che non reggono certamente al paragone. Solo noteremo fra essi la tragedia Rosm11nda in cinque atti e in cinque versi, quasi a ricordo come il Ventura fosse uno dei più valorosi filodrammatici di Milano. Notiamo peraltro che il bizzarro saggio d'una tragedia in cinque atti e cinque versi era stato fatto dapprima da una poetessa veneziana. Prima di chiudere noi torneremo alle migliori composizioni milanesi del Ventura con un desiderio. Se qualcheduno de' nostri valenti

e in altri periodici. 11.

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praposta alla nazione di ieri e che gli effetti futuri sono sviluppi incren1enti trasformazioni dei germi lontani. Un popolo che sente e che pensa è superbo di sapere quanto sono venerabili per antichità di fede e di sacrifizi, quei sentimenti, quei pensieri che si agitano in lui con una confusa ingenuità. Dacché la grande natura coi miracolosi fenomeni della men1oria e della speranza ha condensato in un momento di vita tutta l'eterna successione dei tempi, usiamo a nostro vantaggio della sua bontà; raccogliamo la parte più pura e generosa dello spirito antico per legarla nuovamente purificata ai figli ed ai nipoti. Il Manzoni che solo dei nostri moderni romanzieri si è trattenuto nel dominio puro dell'arte, e non fu nazionale che quando l'arte lo consentiva, doveva sentenziar l'anatema del Romanzo Storico; ma più alto del Manzoni vi è il tribunale dell'opinion pubblica al quale il Romanzo Storico si è appellato della cruda condanna, ed ottenne misericordia. Pur troppo i lettori abbondano alle frivole novelluccie che ci capitano di Francia, massime a quelle divagazioni sensuali dell'ultima scuola realista che lusingano tanto gli appetiti del nostro secolo. Non sarebbe forse meglio che la coscienza pubblica si rassodasse nella lettura di buoni Romanzi Storici generosi e nostrani, che innalzassero l'anima, e non blandissero così compiacenti la frolla sensualità? Non sarebbe meglio, diciamo, anche a rischio di riportare da quella lettura qualche idea falsa, qualche nozione inesatta sul colore della barba di Carlo VIII e sull'armatura dei cavalieri angioini? Che montano le vesti quando i personaggi son veri? l'assoluzione del Romanzo Storico sta nelle sublimi creazioni di Paolo Veronese e di Shakespeare. Le passioni e le idee più che i fatti e le date formano la storia nelle sue applicazioni alla vita presente ed al risorgimento civile. Ben venga dunque La Giornata di Tagliacozzo: e se troverà arcigni i rigidi notomisti dei codici antichi, se troverà indifferente il pubblico viziato dalla Traviata e dalla Fanny, peggio per loro; essa avrà fatto quant'era in poter suo per convertire i primi e redimere i secondi. Dopo ciò, qualunque giudizio sul valore storico di questo racconto avrebbe sospetto di parzialità per eccessiva indulgenza; ma non possiamo tacere che esso ci sembra fedelmente ritratto dai tempi e dai luoghi che descrive; e se l'autore ne ricavò a preferenza gl'incidenti ed i tipi romanzeschi, ciò non può essergli apposto a colpa dagli amatori delle amene letture. Un Romanzo non va messo a disamina severa come un libro di ideologia dove le iJlazioni procedono dalle premesse, come un punto interrogativo dal senso d'interrogazione: perciò non ci degneremo pur di notare alcune piccole mende che qua e là occorrono. Ad alcuni, lo sappiamo, non garberà gran fatto lo stile che è piuttosto ana-

- , lii, 26 febbraio 1859, 9 (cfr., i,,jra, A. Dumas padre al Caucaso, pp. 503-507).

ccCORRIERE DELLE DAME»

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non poté impedire che le proprie viscere non si commovessero: trasse la borsa, e domandò con voce tremante alla donna cosa costasse a far seppellire un usciere. - Signore ... venti franchi, credo ... rispose essa piangendo. - Venti franchi! sciamò il romanziere ponendole in mano del denaro, eccone trecento, buona donna, e fatene seppellir dodici! Questo fattarello prova tre cose: che anche scherzando si possono fare delle ottime azioni, che Dumas è migliore di molto de' suoi romanzi, e che egli sa trovar denaro anche durante una critica situazione. Per altro torniamo a dire che se ne ignora il modo, a meno che non lo aiuti a ciò quel Ivi. Hume che gli fu compagno nel principio del suo ultimo viaggio e che avea fatto strabiliare tutto Parigi co' suoi miracoli di prestigiazione. Gli scrittorelli d'Italia che non guadagnano di che comperarsi le candele, non possono comprendere quest'improvvisa fortuna degli scrittori francesi. E sì che del cuore ce ne abbiamo anche di qua delle Alpi! Gli è vero che il cuore non si vende ma si dona, anche nei libri, anche nei giornali. Comunque la sia, se noi non arriveremo mai, Alessandro Dumas è arrivato al Caucaso, colla scorta d'una ventina tra Tartari e Cosacchi, ed è lui che lo racconta in una lettera a Méry, altro letterato del suo calibro. Anzi, il vero Caucaso, la montagna, egli assicura di averla passata con nessun altro incomodo che qualche schioppettata scambiatasi cogli scorribanda di Sciamyl. Nel momento che ne parliamo egli si trova ancora nelle provincie transcaucasee del Caspio, assai incerto della data ch'ei dovrebbe porre alle sue lettere, se dalla Circassia, dalla Persia o dalla Russia. Su questo punto egli ha tutte le ragioni. In quel lembo marittimo della Georgia. gli abitanti non son meno Georgiani perché appartengono alla religione di Zcrdust o di Zoroastro, e parlino il persiano: e non saranno meno Russi di qui a qualche anno per quanto i Circassi si conservino Circassi fra le inespugnabili trinciere dei monti. È la civiltà cristiana e moderna, bene o male rappresentata dalla Russia, che invade e soverchia la barbarie tartara e la decrepita civiltà della Parside. Dopo molti dubbii, lasciando da un lato la gran questione, Dumas si è deciso a firmar la sua lettera da Bakù, il nome indigeno attuale d'un luogo assai noto ai naturalisti pei pozzi fumanti di nafta che lo circondano. Sono aperture profondissime, veri pozzi artesiani naturali, in una parola, sessanta piccoli vulcani che ardono e fumano continuamente sulla riva del Caspio. I medesimi gaz che dentro a tubi di tremila leghe vengono ad infiammarsi alla superficie della terra, traversano lo stesso spazio, più quindici o venti piedi d'acqua per accendersi alla superficie del mare. Per altro, sia che l'acqua li raffreddi

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e ne alteri la composizione, essi hanno bisogno colà del contatto di una fian1ma estranea per infiamn1arsi. L,inccndio dura qualche tempo, si dilata per circa 1nezza lega, e si spegne poi come vediamo spegnersi il fuoco nelle tazze dei punch. Sembra che, consumato il gaz infiammabile raccolto nel primissimo strato dell,atmosfera, l,acqua non ne trasmetta continuamente quantità bastevole ad alimentare la fiamma. Altrimenti quel tratto di mare sarebbe rimasto sempre un lago di fuoco da quel primo giorno quando, come racconta la tradizione, un capitano passandovi col suo legno e lasciandovi cadere un tizzone, scoperse raccapricciando il fenomeno. La paura del primo scopritore giovò assaissimo alla curiosità dei visitatori successivi. Dumas racconta di aver preso delle note al chiarore fantastico di quell,incendio marino, mentre il suo disegnatore (egli viaggia col disegnatore, come un principe incognito viaggerebbe col primo ministro o col gran ciambellano), il signor Moynet, dico, segnava i suoi bozzetti. Al ritorno dei due viaggiatori l'Europa sarà probabilmente innondata da cento mila copie del Viaggio illust,·ato di Alessandro Dumas padre, nella Russia Europea ed Asiatica, nelle provincie Caucasee, Transcaucasee, e se volete anche nel mondo della Luna. Quest'ultimo viaggio riputato impossibile, Alessandro Dumas, se se lo ficca in capo, sarebbe capace di scriverlo, e Moynet di illustrarlo. Diciamo di scriverlo e non di farlo per molte ottime ragioni. Vi figurereste che ad onta di tante lettere scritte da Bakù e pubblicate da Méry, ad onta di tante particolarità pittoresche e naturali, vere e verissime, vi è gente che s,ostina ancora a credere che Dumas non siasi mai mosso dal suo comodo alloggio di Parigi? ... Si viaggia così agiatamente e con tanto vantaggio di istruzione per sé e per gli altri, ricorrendo ai Panorami, ai Diorami, alle fotografie stereoscopiche, alle Guide ed alle enciclopedie! Basta; non vogliam dirne nulla, ma non fu Méry quello che nell'appendice del Co11stitutio11nel publicò, or è qualche anno, con nomi, date, testimonianze particolari, ecc., una volata di esperimento fatta da un certo tale sopra la Senna, che non era seguita in altro luogo che nella fantasia del bizzarro scrittore? Tutti i fogli francesi e stranieri riportarono trionfando questo unico successo della scienza e dell,audacia umana; i lettori inorgoglirono un po' più del solito di esser figliuoli di Adamo, e si proposero di commettere a Parigi un paio di ali. Méry, due settimane dopo, dichiarava sullo stesso giornale che quella volata era un bel tiro ch,egli avea voluto giuocare alla credula umanità e nulla più. Chi dunque mi assicura che dopo vendute le 100.000 copie del Viaggio illustrato non esca Méry a protestare, che il suo caro amico Dumas non si è mai allontanato dal1e ospitali rive della Senna, e che le lettere di Bakù gliele recapitava egli stesso presso la sua portinaja?



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Frascati rifiuta di celebrarlo. Che faranno i due amanti? Non hanno essi letto J Promessi Sposi? Un matrimonio per sorpresa! Entrano in chiesa mentre il curato esce per la Messa: uno a destra, uno a sinistra, in presenza di due testimonii: Questo è mio marito! questa è mia moglie! e tutto è finito: lo sviluppo del romanzo è completo, sviluppo per altro che sarebbe impossibile nei nostri paesi e colle nostre leggi matrimoniali, per cui ne lasciamo tutta la responsabilità a Mad. Sand. E Brumières? ... Brumières si lusinga ancora presso Miss Medora ... Ma come? direte voi; Miss Medora non è essa arrivata a Genova col suo principe napoletano? - Eh, giusto! essa ha creduto che la compagnia di Valreg nella sera del rapimento fosse una tacita protesta d'amore, ed è tornata a cercarlo a Roma, piantando il Principe a Porto Ercole. Ma Valreg ha sposato Daniella, e con un matrimonio a sorpresa!. .. Oh rabbia! Medora non sarà Medora se non si sposi anch'essa a qualcuno, con un matrimonio per sorpresa! - questo qualcuno sarà forse Brumières - le sue azioni rimontano a centocinquanta. Oh, caro, o adorato Brumières! Lord e Lady B ... sono spaventati da tante stranezze; ma appunto lo spavento li consiglia a lasciar andare le cose. Arriva il mattino fissato pel matrimonio: Valreg e Daniella stanno in agguato per osservare gli sposi. lvla che? ... Allato a Miss ìVledora invece di Brumières vedono il principe di Monte Corona che non si è punto imbarcato, e che tornò in tempo per trarre a suo profitto il capriccio del matrimonio per sorpresa. Brumières è fallito, le sue azioni valgono nulla, ed egli torna in Francia disperato. Oh misero, oh sventurato Brumières! Chi va e chi viene. - Disperato parte Brumières e disperato arriva l'abate Valreg. il quale ha bensì scritto a Frascati per intimare al curato di colà il suo dissenso pel matrimonio annunziatogli dal nipote, ma non si fida di ciò, e intraprende un lungo viaggio per impedirlo, e arriva proprio a tempo di trovarlo bell'e fatto. Che volete? Bisogna fare di necessità virtù, e il vecchio sacerdote finisce col placarsi, e col tro,·ar la Daniella una buona ragazza. - Oh, ottimo zio, come ho piacere di vedervi a parte del nostro contento! - esclama Valreg. - Sì eh! risponde lo zio, io vengo per darti la mia maledizione, e tu trovi piacevole di vedermi a parte del tuo contento! ... Però egli si disarma anche di questo resto d'ironia quando Lord B... , contentissimo di veder la nipote liberata da Brumières e sposa d'un principe, decreta che nel suo testamento assicurerà una sostanza ai figli di Daniella. L,abate Valreg torna contentissimo in Francia, ove torneranno quandocchessia anche Valreg e sua moglie, che ebbero tempo frattanto di mettere in regola il loro matrimonio, e d'ideare un bambino.

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È inutile il dire che il fratello di Daniella è rimasto ammazzato in uno scontro, liberando così il cognato del suo poco onorevole parentado. Tartaglia, il Cicerone, l\tlariuccia, la governante della villa Piccolon1ini, Onofrio, il pastore delr Agro Romano, Filippone, il castaldo dei Borghese, e Vincenza, la sua moglie poco fedele, sono gli attori generici di questo romanzo, nel quale, se abbonda la varietà pittoresca, manca assolutamente la verità. ìVladama Sand non ci ha mostrato nella sua Daniclla un cantoncino di mondo coi suoi costumi, colle sue passioni, colle sue scene, ma alcuni spettacoli di lanterna magica coi loro inverosimili riflessi. L'adorazione di Brumières per le trecentomila lire di Miss lVIedora è la cosa più sozza e insieme la più vera che apparisca in tutto il romanzo. Quanti Brumières, mio Dio, nel nostro secolo, quanti Brumièresl !\Ila sta a voi il guardarvene, o donne avvedute e gentili! (•Corriere delle Dame•, LVI, 15 marzo 1859, 11)

CRONACA DI lVIILANO

Due filosofi di Parigi (certe amicizie e certe cose straordinarie non succedono più che a Parigi) avevano preso una siffatta abitudine di starsene assieme, che quando l'uno dei due fu costretto il mese passato a far un viaggio in Alemagna, l'altro non poteva darsene pace e gli pareva esser rimasto vedovo de' suoi cinque sensi. Chi attraeva più i suoi sguardi? chi accarezzava ornai le sue orecchie di dolci sillogismi e di sottili argomentazioni? chi gli porgeva di tanto in tanto una presa di filosofico rapè? E senza queste soavi e dilicate sensazioni, cosa importava a lui, al povero essere dimezzato, di conservare gli occhi, le orecchie, il naso, e le altre appendici materiali dello spirito? ... Si sarebbe disperato, se le sue teorie filosofiche glielo avessero permesso. Invece, per consolarsi alla meglio, decise di scrivere una lettera per aver almeno notizie dell'amico lontano, e vedere se le novità di Germania lo avrebbero divertito. Impegno serio e formidabile! Come se la sarebbe cavata, egli, che avea giurato in nome della filosofia e di Pitagora di non perder mai in opere vane un n1ezzo minuto di tempo? Egli che si era sposato con voti eterni alla parsimonia dei piaceri, delle parole e perfino dei pensieri? Dopo molte e gravi meditazioni prese un gran foglio di carta e scrisse nel mezzo ? Lo piegò, lo suggellò, vi scrisse sopra Nicodemo Picoti11, Lubecca, e affidatolo alla buca delle lettere attese con compiacente pazienza la ri-



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sposta. L'originalità dello scritto e il bollo postale doveano designarlo bastevolmente all'affetto veggente dell'amico; quanto al contenuto della lettera, un punto interrogativo non riassume egli il senso di tutta la corrispondenza epistolare del giorno d'oggi? Nicodemo Picotin fu eccessivamente commosso dallo sforzo letterario dell'amico; e per mostrarsi eguale a lui sì in intelligenza che in economia, egli rispose a posta corrente coll'unico segno

o

il quale riassumeva oltre alla sua posizione per nulla cambiata, anche le novità del paese e la storia del mondo, che è tutta vanità di vanità, o zero di zeri al dir di Salomone. Il Parigino ricevette, vide, capì; e incapace di continuare col solito brio una sì spiritosa corrispondenza, decise di adottare il dogma puro e assoluto di Pitagora e di serbare fino al ritorno dell'amico un maestoso silenzio. !Via quante volte, dacché ci è venuto in capo di scriver oggi la cronaca, avvenne fra la nostra curiosità e la memoria della settimana passata un simile dialogo ortografico! Quanti punti interrogativi uncinati e pretenziosi la penna ha osato lanciare contro la sua padrona e signora, contro la mente che la dirige!. .. E con quanti zeri, vuoti, aerei, badiali costei ha risposto a quelle irriverenti stoccate! Finalmente dalli e ridalli ci parve udire in un fondaccio quasi chiuso di rimembranze, un bisbiglio come di voci mezzo paesane e mezzo forestiere, uno smozzicamento di parole di frasi che assomigliava al burlevole gergo di Gianduja. Non c'è caso! Gli era proprio la Compagnia Piemontese del Teatro Re che rimuginava per servizio nostro le sue otto o dieci rappresentazioni, premiate contro ogni buon senso critico di sì copiosa messe di franchi. Oimè! dove siamo tornati! E ci si parla di civiltà e di progresso? Civiltà e progresso della Torre di Babele, se andremo innanzi di questo passo, e se 1,ingegno e l'arguzia degli scrittori, e la valentia dei comici, e i denari del pubblico saranno sprecati, sì, diciam noi, sprecati e peggio a risuscitare Gerolamo! Ogni elogio meritato da un tal genere di letteratura, ogni applauso largito a chi la rappresenta sulla scena, ogni indulgenza del pubblico pe• suoi lazzi, per la sua spontaneità, è a parer nostro un sintomo detestabile, come quello che le promette una vita lunga e rispettata anche fuori del palco dei Burattini. Pazienza anche se si accontentassero i l\lleneghini di recitare a Milano, i Gerolami a Torino, i Pulcinella a Napoli! !Via non signori; tutto concorre a farci credere che avren10 un vero incrociamento di razze, e che queste caricature municipali resteranno in onore e si esporranno alle risa fraterne anche fuori della provincia nativa. Al ·reatro Re la Con1pagnia Piemontese; a Santa Radegonda la Toscana coll'analogo Stenterello! Di bene in meglio! lo proporrei di of-

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frirc il Carenno a Pantalone, la Canobbiana a Brighella, e la Scala, al compatriota di l\llonsignor Speranza, al simpatico Arlecchino. Che volete? Giustizia per tutti; ed accettato l'uno, non ci vediamo ragione di rifiutar gli altri; solamente ci spiace pel sesso gentile che non ha nessuna rappresentanza in questa satirica mascherata disseppel1ita dal Medio Evo, e condannato ai tipi scipiti delle Rosaure e delle Colombine, rimpiangerà forse non a torto le Terese, le Adriane e le lVlargherite del Teatro lVIoderno. Povero Goldoni, tu che hai affaticato tanto e con sì accorta egraduata costanza per far salire il gusto del pubblico dalla burattinata alla farsa, e da questa alla vera commedia, come saresti lusingato ora di veder risorgere, innanzi a un pubblico eletto, Stenterello e Gianduja, e ciò dopo il secondo risorgimento del Teatro Italiano! Ferrari, Gherardi, Martini, Cicconi e Compagni 6 dove vi siete rintanati colla vostra indolenza? Vi arrabbattate anche voi fra i punti interrogativi e gli zeri? Animo! fuori la penna. Fra un atto e l'altro del gran Dramma politico potreste pur scrivere una qualche Commedia morale, e liberarci così dal merito incontrastabile del Signor Pietracqua! Poiché merito e' è; sì, lo riconosciamo; ed è appunto peggio per noi, ed è quello che ci fa arrabbiare a tre tanti!. .. Peraltro dice un onesto scrittore, che bisogna ringraziar lddio delle disgrazie sfuggite, quasi al pari che delle grazie ricevute. Lo ringraziamo adunque di aver scappolato per quest'anno il Pulcinella alla Scala. Gli è vero che non sapendo in qual modo guastarci la grazia, 6. Ferrari. Gherardi. Martini, Cicconi e Compagni: Paolo Ferrari (18221889) fu il più famoso esponente della giovane generazione di commediografi (Gherardi, Martini, Teobaldo Ciconi (non Ciccom], conterraneo di N. e suo sodale in molti giornali milanesi e friulani) evocata da N., che cercò di introdurre la commedia borghese e realista sulle scene italiane in opposizione al teatro francese d'intrattenimento. L'obiettivo polemico di N. è, esplicitamente, il ritorno al teatro provinciale delle maschere ma, sotterraneamente, anche il >, l'uso delle strategie declamatorie, retoricamente performative che era implicito nella posizione mazziniana del teatro come •scuola del popolo•. Non a caso le prove teatrali nieviane presero a modello Goldoni, cercando, attraverso il registro del comico, di produrre una ; così l-lonoré de Balzac ( 1799-1850) nella Physiologie du mariage (1829; trad. it. a cura di E. Faccioli, Torino, Einaudi, 1987, p. 40), un testo letto da N. sin dai tempi dell'Antiafrodisiaco per l'amor plato11ico. 4. sparag110: risparmio (termine arcaico e dialettale); occorrenze nell'epistolario nieviano sono attestate da S. BATTAGLIA, s.v. Sparag110, in Gra11de dizionario della li11gua italia11a, 21 voli., Torino, UTET, 1961-2004.



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. 1 E eco 1·1 gran nemico.... . 1 Il tempo.... I B"1sogna amA vetc ragione.... mazzarlo - I cianciatori dei caffè, le donne brutte e invidiose, i parrucchieri e le loro vittime, i sarti e i loro figurini, i giornali e le loro cicale si misero d'accordo in una tacita e solenne congiura per ammazzare il tempo a forza di ciarle - Il povero tempo morì sotto tanta mitraglia; dico quel tempo che si conosceva al tempo antico ed era pedantescamente diviso in passato, presente, e futuro - Soltanto, siccome la sua sostanza è immortale, gli sopravisse un misero aborto che si chiama il lVIinuto .. i\lla il iVIinuto non è tempo? ... È tempo e non è tempo- !Vii spiego. Un Dottore Scozzese pensò anni addietro ad una strana applicazione. - Avendo osservato che diminuendo il lucignolo diveniva rninore il consumo dall'olio, e che la misura bisognevole ad un'ora con una data fiamma, colla 1netà di codesta fiam1na serviva al doppio di tempo, egli immaginò di trasportare il risultato di queste esperienze nella pratica della vita u1nana. Si trattava di annichilare la vita stessa, cioè ridurla sì fievole che il consumo degli organi che le servono rimanesse incalcolabile. Egli trovò nell'agghiacciamento il mezzo proprio a tal uopo; e gli individui assoggettati alla sua cura e ridotti all'infinitesimo della vitalità, possono contar di esistere tante volte una vita umana quante volte il loro calor vitale è minore del calor ordinario. S'intende che ridotti a quella penombra di animalità non si pensa, non si ama, non si ragiona, ma perciò appunto non si consuma, e si vive ... e si vive ... senza accorgersi di vivere. Ora tanto somiglia il IVIinuto del secolo decimonono al tempo degli antichi, come quel barlu1ne di vitalità alla vitalità naturale, come la esistenza del topo e del cane a quella di Dante e di Benvenuto Cellini, come la digestione al raziocinio, e come l'idee alla ciarla. Il tempo, vedete, era qualche cosa di grande di infinito, un mistero triforn1e pieno di memoria, di attività e di speranza; era un'immensa atmosfera, e una sconfinata idea! - Il minuto invece è qualche cosa di gretto, di fuggevole, gonfio di paura, d 1 egoisn10 e d'invidia; è un aborto del te111po, co1ne diceva; ma un aborto idropico e vivo nella sua continua semi-morte, vivo non per ricordare, non per fare, non per sperare, n1a per vivere e per ciarlare. Il iVlinuto è una ciarla, nata dal nulla e che rientra nel nulla - Peggio che una ciarla esso è anche talora un insulto, una bugia, uno spergiuro, una delazione: ma ho detto ciarla per non offender nessuno - Il tempo nessuno poteva od osava comperarlo; esso apparteneva coll'un capo allo stipite dell'umana famiglia e coll'altro agli ultimissimi posteri; esso portava in mano le tavole incancellabili della Storia, e aveva da un lato Radamanto, dall'altro lVIinosse, i giudici in1mortali dei mortali; esso riposava alto e misterioso nel seno di Dio, con1e una goccia nel mare e, vecchio ari-

SCRITTI GIORNALISTICI

stocratico, aveva al fianco uno stemma luminoso di speranza, di gloria e d'espiazione col motto sublime: L'r1ma11ità è r111a; le ge11erazio11i sono solidali l'r,na dell'altra; l'amore, il pensiero so110 eterni! Il tempo, ve lo dico ancora, il tempo era un'idea! - Un'idea generosa, grande, feconda! Ma il Minuto??? ... - Povero vergognoso! - Trovatelo abbandonato, nudrito di ladre dottrine e di cibi malsani, vestito di orpello, di cenci, o di vergogna, briaco d'acquavite o di Sciampagna, camaleonte del capriccio, dell'avidità, della boria, della lascivia, egli non ha né fede, né amor proprio, né passato, né futuro! - E quanto al presente, chi può dire di averlo se non vi pensa, e se non ne usa? Il Minuto, torno a scriverlo per sua istruzione, il Minuto, nella sua meno schifosa trasformazione, è nulla più che una ciarla! Ciarla nata nell'ozio e nell'impotenza, slattata dalla mormorazione e dall'ignoranza, cullata dall'avarizia, deificata dal giornalismo, protetta da chi sta di sopra, e bevuta da chi sta di sotto!. .. Un lungo rosario di minuti!. .. un'eterna corona di ciarlel... Ecco il capitolo che ora incominciamo per farne un appendice ai nostri annali maestosi!. .. Le idee spaventate scappano via, per aria, e si sparpagliano negli altri mondi che attorniano il nostro. Qualche occhio desioso si figge ancora in quella falange fuggitiva; ma la distanza la nasconde, e non ne resta oggimai che un lontanissimo e confuso barlume. L'anima, raccappricciando, ricorre ai sentimenti. Oimè! cosa sono i sentimenti, senza idee? ... Sono lucerne senza fiamma, geroglifici senza spiegazione, cavalli senza cocchiere!. .. Il bujo cresce; e cresce il puzzo e il brulichio del disordine - Cessano le grandi guerre; e si spiccoliscono in piccoli scontri, e in scaramuccie di affamati, di borsajuoli, di mezzani e d'usuraj! - Cessano le grandi armonie e un solo suono rimane che ingigantisce ogni momento e invade tutto l'ambiente terrestre; il suono d'una gran borsa di marenghi squa$sata diabolicamente sul capo dell'Umanità E che fanno gli uomini intanto? ... Parlo dei meno nocivi, e dei più fortunati. Ciarlano, ciarlano, ciarlano! ... D. DULCAMARA

(tll Pungolo•, Il, 16 marzo 1858, 12)

IL PROGRESSO

SIAMESE

Tutti sanno come il 21 ottobre p.p. in Bangkok, capitale del Regno di Siam, si conchiuse un trattato di commercio tra il Governo Francese e le LL. MM. Phrabath Tefaja Cracrafati Boromonarot Bofit

(PORTINARI). 41. Fa111bri-Salmi11i: Paulo Fambri (1827-1897), veneziano, si era distinto nella rivoluzione del 1848 e



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rubli che tengono in tasca. - Ve ne hanno perfino di Montenegrini, di Calmucchi e di Scrviani ... - Eh via! cari lVlilanesi; non fatemi l'occhiolino. Io so rispettare un segreto ... massime quando fu già violato; e vi giuro che la nazionalità serviana l'ho tirata sul tappeto come la Cafra e la ì\tlongola senz'ombra di malizia, e senza voler dir di sì o di no a quello che dicono gli altri. Quello che posso narrare con un giusto sentimento d'orgoglio, si è che i Sabei l\tlilanesi sono tirati a lustro fino più di quanti altri ne capitino dalle cinque parti del mondo che esistono fuori di l\ililano. Pretendono alcuni, ch essi sieno perfin troppo lucidi e stecchiti anche un po' più del bisogno. Ma sarà poi vero? - Io credo che un cavaliere di Santo Stefano di 1,oscana, o del sacro Ordine Gerosolimitano possa ben andare stecchito come gli pare, senza che alcuno gli faccia i conti addosso. - È un privilegio che si concede anche ai porta-tabarri! Immaginatevi poi a dei cavalieri! E poi fra questi Sabei vi è anche della gente per nulla stecchita, e che prende anche il mondo pel suo verso, e sa aver dello spirito e mostrarne all'occorrenza, e all'occorrenza anche dar risalto a quello degli altri! - Vi sono eterni giovinetti che non pensano agli anni passati se non per prendere la rincorsa verso quelli più rosei che devono venire. Costoro non si spaventano neppur d'un matrimonio con una fredda figlia d'Albione. E se il vecchio suocero (in fieri) volesse allentare d'un'oncia la sua quacquera spilorceria, o se l'amore dell'aspirante giungesse a sorpassare questa piccola difficoltà, se ne potrebbero vedere di belle!. .. Sì, di belle, di belle, ragazzi miei! Poiché alla fin dei fini d'un po' di sangue inglese noi ne abbiamo bisogno per assottigliare il nostro. Non dico che siamo scaduti affatto - Eh corbezzoli! - Se gli uomini d'Italia hanno can1biato, le donne almeno son sempre quelle, e non è cosa da sprezzarsi. - Figuratevi qui che le milanesi le conoscono con1e già Enea conosceva V cnere sua madre. 1

Et vere inccssa patuit dea.

Cioè (traduco liberamente) dalla grazia con cui portano la cn·noline, e dai movimenti eleganti della testa sotto gli elegantissimi cappellini, e dall'alternarsi composto e grazioso dei piedini da Sultane ognuno le indovina inscritte nel ruolo dellefaslzio11ables della Scala. !Via ... ma non è abbastanza per assicurare la supren1azia della nazione nostra all'esposizione anirnale di Nizza. Infatti i Russi non si accorgono di noi; per essi l'importante è il sole: sono Sabei puri ed ortodossi. - I Francesi ci guardano dall'alto in basso e da poco in qua ci misurano coll'occhio e ci fiutano dietro

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le spalle, quasi per timore che nelle nostre tasche si nasconda qualche bomba piena di mercurio fulminante• 6 • Alfonso Karr4 7 dopoché ha smesso di fumare non è più quello d'una volta e il suo giornale Sabeo pensa tanto alPesistenza degli Italiani o dei Milanesi a Nizza, come io penserei all'esistenza di lui e del suo giornale se fossi a Milano. Gli Inglesi soli (ve ne ho accennato in addietro una prova) ci dimostrano qualche deferenza. lo per me ne sono loro gratissimo, ma vorrei subirla meno e meritarla di più questa equivoca deferenza. Ciò non toglie, ripeto, che le vostre damine non la meritino più di tutte le altre. - Ma un sesso solo non basta; non bastano i ballerini di grazia, ci vogliono anche quelli di forza per completare uno spettacolo. Oh se un dispaccio telegrafico non avesse chiamato improvvisamente la duchessa di S ... a Parigi! -Avremmo veduta ad un suo ballo rappresentarsi una scena del Decamerone, nella quale la perla, la regina delle Sabee Milanesi avrebbe agito da protagonista•8 • - Vi assicuro che il Boccaccio se ne sarebbe fregato le mani sotto terra; e forse qualche altro sopra terra non ne sarebbe rimasto meno ammaliato. Ma la duchessa volò a Parigi; il ballo in costume andò in fumo, e il Decamerone restò nella biblioteca ... e forse anche negli hotel garnis di Nizza. - Ma per colmo di fortuna senza il motivo della peste. A onor del vero debbo anche dirvi che alle vostre signore si deve l'iniziativa d'una festa che fu data tempo addietro pei danneggiati daJle inondazioni. - Questa fu una buona azione che nel mio libro ha aperto a loro favore un lungo credito di perdoni, di scuse, per molte venalità e fors'anco per qualche peccato mortale. Si vuole che appunto per non commetterne esse sieno venute a Nizza; ma ve n'ha di tante sorta di questi benedetti peccati! - Ve n'ha di tanto indispensabili che sono quasi necessarii in un buon regime di cura.

46. mercun·o fulmi11a11te: accenno aWattentato contro Napoleone I I I messo in atto da Felice Orsini il 14 gennaio 1858. 47. Alfo11so Karr: Alphonse Karr (1808-1890) fu un giornalista e letterato francese famoso a quei tempi per la forza polemica dei suoi scritti e perciò temuto per i suoi giudizi critici. Fu autore delle Guèpes, piccoli capitoli umoristici contenenti elementi di satira del costume assieme a ritratti dissacranti sugli autori contemporanei. Servì come probabile modello di un personaggio della Storia filosofica dei secoli futuri (per la quale cfr., infra, pp. 691 -720) 48. Avremmo veduta ... da protagonista: curiosamente Guglielmo Rinoldi, residente a Nizza, in una lettera del 24 gennaio 1856 indirizzata a N. (ms. 2559 Biblioteca Comunale di Udine "V. Joppi"), descrive la cosmopolita società nizzarda e narra di un elegante signora milanese che •si disponeva a figurare in una scena del Decameroneo. 1

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ragionamenti, assomiglio sempre Venezia e l'Inghilterra a due bastimenti lanciati in mare dalla mano saggia ed onnipotente di Dio. Tutte e due sono cinte dal mare come due navigli; ma l'Inghilterra, questo Lcviathan gigantesco del secolo moderno, sembra là pronta sugli atri dcli' Atlantico ad avventurarsi sempre in qualche nuova e straordinaria navigazione. Venezia invece mi pare una galea dei tempi di mezzo, un tarlato avanzo delle Crociate o di Lepanto, respinto dall'onda marina a imputridire in un bassofondo lagunoso; finché ai calafati non salti l'estro di racconciare dalle fibre sane di quelle tavole scompaginate qualche leggera goletta, o qualche brik ardito e venturiero, che rimetta a galla sui mari l'onore nautico del vecchio leone. - È tutta mia immaginazione poeticaL .. Cosa poi c'entri la poesia colla nostra prosa d'adesso, e colle guerricciuole e coi pettegolezzi che ci fanno ciarlare come anitre, non ve lo saprei dire io stesso! Sarà forse anche questo un ingrediente della farsa per far ridere in un'altra maniera. - Per esempio il signor Todero che si perde per due ore a far castelli in aria colle vecchie carte storiche di Venezia, e poi non disdegna perderne altre due nell'ammirare il nuovo ristauro del Caffè Suttil, non diventa per ciò un personaggio essenzialmente ridicolo? ... Peggio poi sarebbe se egli vi parlasse per lungo e per largo dell'Alma11acco del P1111golo, della sua aspettata importanza, del suo ingresso contrastato, fischiato e lodato a Venezia, degli scandali, delle dicerie, delle risse, delle proteste, delle controproteste, delle ire, delle riconciliazioni che ne nacquero; e perfino degli ultimi cataclismi, dopo i quali la commedia o la tragedia dovrebbe esser pronta per farsi stereotipare da un autor comico qualunque. Todero poveretto fu in qualche rapporto col P,u,golo 5\ per quanto i suoi meriti sembrino contendergli un tanto onore; ma appunto per questo egli non vuol menar scalpore per faccenduole private più o meno umoristiche e più o meno vere. Egli conosce per fortuna una vecchia commedia di Shakespeare la quale s'intitola Molto rumore per nulla, e crede con fondamento che gli attuali susurranti se fossero vissuti tre

rigo più avanti, come una nave pronta a salpare per l'Atlantico, Venezia è una na,·c arenata nella laguna, •una galea dei tempi di mezzo, un tarlato avanzo delle Crociate•, n1eta dei •prezzi ridotti• come con icastica immagine definisce, in un altro pezzo, la folla del turismo di massa che viene in città pagando, appunto, un prezzo ridotto per il trasporto e ne riparte in giornata. Su tutti, turisti, veneziani e bagnanti, regna Fisola con il suo impero marittimo-balneare. 54. rapporto col P1111golo: accenno alla collaborazione con (111 Pungolo•, ripresa a dicembre del 1857 dopo i dissapori con il direttore Leone Fortis per l'interruzione improv,·isn de li Baro11e di Nicastro (cfr., infra, la Nota i11troduttiva a li Baro11e di J.Vicastro, pp. 575-585).

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secoli fa avrebbero potuto occupare un giocondissimo posto in quella classica commedia. Questo sia l'elleboro che guarisca giovani e vecchi da ridicolissime presunzioni: e pensino che dove il merito si riduce al cognome non si ha alcun diritto di esserne permalosi sui giornali. Per simili polemiche furono creati apposta bastoni, serrame e tavolini senza che si venga a far perdere il tempo al pubblico, e a guastargli sempre più la voglia di far bene con malsane tentazioni di godersi la burletta alle spalle del prossimo. Oh perché mai mi sono imbarcato in questa dissertazione? - Era meglio che mi fermassi a contemplare gli specchi del Caffè Suttil, i quali gliela danno vinta sullo stesso Caffè degli Specchi; onde non sarà difficile che un qualche giorno si venga in piazza a battaglia campale per questo predicato d'onore. Ma già Suttil è furbo; e sa quanto valga un vecchio e gran cognome di famiglia sopra un'intera filatessa di titolini e di titoloni pescati in ginocchio dalla riva sporca di qualche palazzo signorile. Suttil sarà sempre Suttil, come i Borboni saranno sempre Borboni; e i suoi avventori non diventeranno né più belli, né più moderni, né meno dignitosi di quello che fossero l'anno scorso per quanti specchi si sieno aggiunti a moltiplicare in tutti i sensi le loro deliziose macchiette. - La costanza è qualche cosa; domandatelo a Piave 55 che ne fa tanto abuso ne' suoi libretti; ed io posso stimare la bottega di Suttil se non altro come uno splendido e completo Museo, mentre certe altre botteghe che m'intendo io ... Scusatemi, non le sono botteghe di Caffè, e mi ritengo autorizzato a passarle sotto silenzio. Dichiaro anzi che io non sopporterò mai di essere accusato, censurato e manomesso per quello che taccio; è anche troppo che mi offra mallevadore, e difensore, in campo chiuso ed aperto, per quel poco che dico. Già le dichiarazioni sono venute di moda. - Se ne lesse una disgustosissima della Compilazione d'un giornale traslocato da poco a Venezia a proposito di qualche appunto fatto con poca delicatezza da quel Giornale alla Direzione della nostra Pia Casa di Ricovero. Già è sempre la stessa favola! - Caro Tompson, tu mi hai insultato! - No, carissimo Wilson! anzi ti ho lodato! (a due) Dunque restiamo amici! . . .... I N on se ne par I1. p1u

E tutto finisce, come riportava benissimo uno degli ultimi numeri dell'Uomo di Pietra, colla pubblicazione d'una vignetta rappresentante l'amplesso e l'effusione dei due riconciliati. Qui anzi si on1ise la 55. Piave: Francesco Maria Piave (1810-1876), il celebre librettista delle opere di Verdi.

a ccL•Annotatore Friulano•.

accenno, assieme all'evocazione di Foscolo. definisce non solo l'atteggiamento di N. nei confronti della propria epoca, ma anche il tipo di cultura a cui fa riferimento nell'opposizione tra idealità e attualità. 62. Se la sbratti110: se la vedano (cfr. S. BATTAGLIA, s.v. Sbrattare, in Grande dizionario della lingua italia11a, 21 voli., Torino, UTET, 1961-2004). Compare come espressione anche nelle Co11fessio11i. Il riferimento è ai continui attacchi del giornale reazionario oLa Sferza•, che attribuiva una responsabilità morale ai giornali liberali nell'attentato di Orsini a Napoleone III (14 gennaio 1858), mentre quella con •Il Pungolo• è una semiseria polemica interna allo schieramento democratico. 1

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Quanto a me vivo e lascio vivere. - Credo fermamente che non sia ancor giunto il momento di cantarci il Deprof1111dis. Se verrà, me lo canterò allegramente più di qualunque altro. Farò vedere che sono un idealista di prima forza, vestito provvisorian1ente ... da Uomo di Pietra. Chi non sa che dietro questa pietra (che non è quella del sepolcro) vi sono cuori che battono e labbra che fremono? - Chi non sa che anche noi siamo forniti di un corpo e di un'anima, come i migliori idealisti?- E gli idealisti che baccheggiano al Veglione e frignano sul giornale son poi migliori di noi? - Potrebbe essere! Io per me non giudico mai. - È uno sforzo ideale superiore alle mie deboli forze. - Mi accontento di guardare ... e sì anche di ridere! Che i Veglioni ci siano stati alla Scala, al Carcano, al1a Canobbiana, e perfino a Santa Radegonda e al Teatro Fiando, chi vorrà negarlo? - Sfido la buon'anima di Sesto Empirico! E che Veglioni!!! - Pazzie, pazzie ... - Sì, ma si fanno. E non vale chiuder gli occhi, e non vale rifugiarsi al Re a vedervi messa in berlina la sacra e quasi divina grandezza di Shakespeare! - Cosa volete? - Il pubblico urla e impazzisce fra i débardeurs e i pagliacci; e onora di qualche sbadiglio l'ombra di Banco e dei vecchi Re Scozzesi. Ogni cosa a suo tempo; ogni vivanda al suo palato. - Se Omero venisse ora a Milano colla prima corsa di Camerlata e col seguito del1' Iliade sotto il braccio, conosco io un certo Editore che gli offrirebbe quaranta esemplari e la sua protezione. Otnero tornerebbe col suo manoscritto ai Campi Elisi (ben lunge, ben ]unge di qui) e il pubblico batterebbe intanto le mani a qualche farsa in cinque atti! - lo faccio come Omero; torno ai campi ... cioè al Caffè San Carlo: digrigno un po' i denti sotto il tabarro, e non ho la superbia di voler drizzar le gambe ai cani. - Tocca a quello di lassù. Ma ognun di noi, mi si risponde, può cooperarvi. Certo! e prima di tutto, raddrizzando le proprie. - lo per me vi giuro che le ho dritte come fusi, e se non lo credete, domandatelo al mio sarte, che sta ... che sta ... Oh povero sarte, rispettiamo almeno la sua modestia! - Ecco come l'Uomo di Pietra sa rispondere a chi grida ch'egli non trova nulla di rispettabile! Non trovar nulla di rispettabile quando tutti si fanno così rispettosi! Si potrebbe dare una pazzia più nera?- Si rispetta anche la legge sui pisciatoi, ed io non rispetterò le cose rispettabili?- Prima di tutto io rispetto assaissimo me stesso; dunque vedete che vi volevano dar ad intendere una corbelleria. Il pubblico rispetta la Jone del Petrella coi bellissimi e ahi troppo caduchi slanci di Negrini; rispetta il Ri,megato dcli' Agostini con tutta quella babelle di cantanti e di orchestra che c'è stata; rispetta i dissoluti che saltano, le traviate che lo divertono, gli organini che lo sec-

e Carlino, che esalta la funzione di sprone per il presente e di testimonianza per il futuro insita nella glorificazione del passato letterario. Questo riferimento a Leopardi e quello successi\·o alla ballata goethiana Der Tote11ta11z ( 1813), che circolava da tempo in traduzione italiana (opera di Andrea iVlaffei, con il titolo La danza dei morti, 1843), sono, d'altronde, funzionali ad una visione allusiva del Carnevale come danza macabra.

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che anno; e quattro o cinque nottolate di baccanale a,nmaniscono i suchi gastrici per spappolare anche le pietre. - Fatelo se non altro pér cura, in questo buon secolo dcl1a 1.,apioca del Brasile e del1e Pillole Hollowny! - Divertitevi! Conoscete l'etimologia del verbo divertirsi? ... Divertitevi bene. - E guardate di far polpa che è l'essenziale. - Se io fossi panciuto vi animerei battendovi la polka sul mio ventre. l\tla son magro, amici! magro come la fotografia d'un inconsolabile! Figuratevi che polka sarebbe quella! - Goethe ci avrebbe cavato un motivo per la sua Da11za dei ili/orti, ed io ve la risparmio per non rovinare a voi la festa, e a me quest'ultimo avanzo di frittura che mi resta negli ipocondri. - O frittura mia, come sei verde! Ma zitto! parlo del fegato. - In quanto al cervel1o esso non è né verde, né turchino. L'è un cerve11o colla nebbia; in cui le idee, i pensieri, le immagini volteggiano, scalpitano, cedono, rincalzano e si convertono a reggimenti, come un esercito nel fu1no della battaglia. Due bandierone vi si accampano l'una contro raltra; la speranza e la paura, il sentimento e la ragione, la vita e la morte. Chi sarà il vincitore? Chi il vinto? - Oh non domandiamo pronostici al mio fegato. Piuttosto cerchiamoli nei fegatini di pollo come gli aruspici d'Etruria. Piuttosto mandiamo quei soldatini del cervello in tutti i ·reatri a razzolar novità, e lasciamo tranquillo Cerbero che dorme. Ai TEATRI dunque! Coraggio, ideucce mie! Vi siete pulite dal fumo e dalla polvere? Avete messo i guanti ed il frac? Avete pagato i vostri biglietti?- Sì? ... Proprio? ... lVla brave! - Il pubblico e qualchcdun'altro sarà molto contento di voi. lo non vado tanto in estasi, ma mi rassegno come un negoziante fallito che dee ridursi a far lavorar d'ago le sue figliuole educate al canto, al pianoforte e ai ricami in oro e velluto. (Parlano le idee). Papà caro, abbiamo molte cosette da raccontarti. - Oh le belle cosette che abbiamo! - l\tla )ascia prima che ci caviamo i guanti ed anche il frac, ché non siam solite a portarlo. - Or dunque saprai che l'Assedio di Leida si è mutato la prin1a sera in un Assedio al Camerino del)' Impresa. Il colto pubblico riconquistò valorosamente i suoi denari, e poi tornò in teatro a far l'indiano, ed a bere gratis un co11sommé di Traviata, di Poliuto e di che so io ... l\,(a la seconda sera!!!. .. O Petrella, o celeste Cerbero Dalla triplice gola armoniosa!

L'Assedio di Leida fece furore al Carcano (intendiamoci negli acuti; i bassi. .. si tennero troppo bassi). La Jo11e saliva un altro gradino sul favore alla Scala, e le Precauzioni, oh le Precauzioni voltarono il cervello agli abbonati di Santa Radegonda! - Perché non prenderle prima quelle precauzioni! - Intanto noi proponiamo che si tirino altri due fac-simili del M.o Petrella per poterlo esporre contemporanea-

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febbraio 1858 8) 1

64. Sostre: magazzini di legna e carbone (voce dialettale milanese).

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•Chi siete voi? chi sia1no noi? chi sono tutti? «. 74. Roma11i11: Samuele Romnnin ( 1808-186 I), storico triestino, fu autore di una Storia documentata di Venezia in dieci volumi che uscì tra il 1853 e il 1861, e che \'iene citata da Carlino ottantenne nel capitolo finale delle Co11fessio11i come opera che potrà avvalersi dei risultati del saggio sulle istituzioni commerciali dei Veneziani durante il ì\!Iedioevo scritto dal conte Rinaldo, fratello di Pisana, che Carlino sta facendo pubblicare in fascicoli. In questa intertestualità tra un libro immaginario e un libro reale, che è in corso di pubblicazione nel tempo dell'autore, si realizza la congiunzione trn storia e contemporaneità, tra finzione e vita reale, attra\'erso la duplice n1aschera narrativa di Todero e di Carlino.

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In questo non bisogna gracchino tanto dietro a TRIESTE; ma piuttosto trarre dall'esempio quel miglior utile che si può. Non vi dico di copiar Trieste. Sarebbe come dire a Roma di diventar Parigi. Vi dico solamente di imitar Trieste in quell'ordine di cose che può recar vantaggio ed onore anche a noi. La terraferma fu la nostra Capua. Tutti lo sanno. - Ma per carità dunque, rivolgiamoci al mare, e diamo un po' ragione ai distici del Sannazzaro! - Associatevi, associatevi! (Non basta associarsi all'Uomo di Pietra) - Associatevi nelle grandi imprese, nelle grandi industrie, nei grandi sforzi che nascono tanto facilmente dalla concordia di molte piccolissime operazioni! Cento centesimi .fanno una liral. .. Oh il grande assioma da meditarci sopra dì e notte! - Peraltro e sopratutto meditate ... ma durante il fatto e dopo il fatto. - Il tempo perduto va ornai cancellato dalla conjugazione dei nostri verbi. - Quest'anno dobbiamo renderci giustizia. Del tempo ne abbiam perduto assai poco. 11 carnovale fu goduto in gran premura e la Fenice non ci pesa sulla coscienza. Anzi abbiamo sacrificato qualche mezza opera a qualche grillo che non era di carnovale; e in onta al gran freddo non ci siamo scaldati i piedi ballando troppo. - Fu un inverno rigido, lungo, musonato ma profittevole. L'acqua da bere era preziosa come il vino; ma non ci siamo buttati alle sciocchezze. - Tutt'altro! - Mille fantasmi serii e giganteschi ci formicolavano in capo; e il signor Fisola concepì da solo quello che l'intero popolo romano osava concepire ed attuare; un aquedottol Un aquedotto che scavalchi le lagune; che zampilli in cento fontane nel bel mezzo del mare, e che disseti la povera gente bloccata dai ghiacci e dalla miseria! - Bravo il signor Fisolal - Aere Veneto, auro Romano: sta scritto sui Murazzi - Aere Ve11eto, auro del signor Fisola, scriveremo sul futuro aquedotto, e berremo dell'acqua che non sarà corrotta come quella delle cisterne, o avvelenata come l'altra dei pozzi artesiani. - Berremo, dico; ma il quando lo sa lddio, e non m'attento di violare il segreto. Quello che è certo si è, che i poveri di Venezia aspettano l'acqua del signor Fisola, come gli Ebrei nel deserto aspettavano quella di Mosè. Il Conte Sceriman 75 intanto ci assicura che, colle debite proporzioni, dal 27 a questa parte i poveri sono calati del 23 per cento. È un gran conforto! - Un conforto che è fatto alquanto minore dalla considerazione, che le offerte cittadine a loro vantaggio sono diminuite non del 23 ma del 70 per cento. - E come vivono i poveri che furono fraudati 75. Co11te Sceriman: N. fa riferimento al saggio /11torno al/'amministrazio11t della pubblica be11eficenza ;,, Ve11ezia; Memoria del co11te Fort1111ato Sceri-

,nan, in •Annali universali di statistica economia pubblica, legislazione, storia, viaggi e commercio•, 1 ° febbraio 1858, 50.

- c«Eh che paralitico d'Egitto! rispondeva Renzo - Non vi fu il giornale Quel che si vede e quel che 110n si vede? Or bene io vi assicuro che quello che si vede è paralitico; ma ... >> - Infine Renzo che aveva una casa, la tagliò a mezzo e ne diede intanto la metà a Lucia. Era un proemio allo sposalizio! - Ma ci fu di mezzo un guaio!. .. E la controdote? - > - Si dovea chiamar il notaio; si chiamò invece il muratore per far murare la porta che metteva in comunicazione le due metà della casa. - Bel bello i\tlastro!. .. forse si pentirà! diceva da una parte una voce fen1n1inile. -Animo! svelto con quelle cazzuole! soggiungeva dall'altro lato un vocione d'uomo. La porta fu murata; e i Promessi Sposi restarono celibi. È una correzione non filologica al ron1anzo di Manzoni. V'è chi pretende che questo fatterello sia avvenuto a Madrid al tempo di Filippo IV e che Rodos di Santillan ne abbia fatto un libretto. Io l'udii narrare in un caffè, e siccon1e mi parve abbastanza curioso ho voluto offrirlo al noto buon gusto dei librettisti moderni. Oh ne avrei di belle di curiosità da offrire!. .. E la nuova definizione tartufesca della donna! Altro che, la do11na è mobile! Secondo quel cotale essa sarebbe u11 pezzo di car11e corrotta! Andate ora in collera con Francesco di Francia, con Vittore Hugo e con Piave! Le divote signore che udirono quell'eresia sorrisero di superbia! Infatti se esse son pezzi di carne corrotta, noi siamo e saremo evogliamo restar sempre corvi impenitenti.

Sss (•L'Uomo di Pietra•, li, 13 marzo 1858, 11)

SCRITTI GIORNALISTICI ATTUALITÀ

San Giovanni delle Case Rotte mette in opera il suo cognome. - Siete contenti, o spiriti di contraddizione, o anin1e di poca fede? Ci crederete ora al progresso? Direte ancora che non si va innanzi, quando si buttano giù perfino le case per far largo ... alla facciata della Scala? Un banchiere che passava di là l'altro giorno mi confessava che non sa capire perché alla Scala abbisogni una piazza. - Oh bella, io gli risposi; per la stessa ragione che a i\!lilano fa di bisogno la Scala! - Il banchiere non mi comprese, ed ora rileggendo non mi capisco neppur io. l\tla quella risposta al momento che fu data mi pareva che avesse del sale, e ho voluto riportarla per vedere se a qualche lettore verrà fatto discoprirlo. Certo il lusso è sempre lusso; e cinquecento o mille metri cubici d'aria libera comprano un ambiente grande sei volte tanto, e chiuso da pareti, da colonne o da inferriate. - Cos'è un Teatro?- L'è spazio dedicato a un trastulJo acustico. - Cos'è una Piazza? - L'è spazio dedicato a una miglior occupazione dei polmoni. - lo preferisco l'occupazione utile e salutare dei polmoni al divertimento delle orecchie; tanto più che le mie orecchie non hanno la nobile ambizione di occupar molto spazio. Quanto poi al caso concreto fanno bene benissimo a buttar giù. Io per me queste nostre catapecchie di città ove albergò tanta superbia e tanta impotenza non le posso più vedere. Ma!! mi oppongono - non la butteranno giù tutta Milano per farti piacere! - Sì eh! mi dispiace; ma buttando giù qualche cosa, qualche cosa si guadagna. Son sempre pietre del passato che scompaiono per dar posto ... al vuoto del futuro. - Buttate, buttate giù. Purché non mi rovini addosso qualche comignolo io seguiterò a scriver i miei premiers Milan; ma a mio modo, intendiamoci!. .. a mio modo! - Non sullo stile di qualche altro premier Milan che si lesse in questa settimana. . 1 M ea cupa.... I ' M e n ' ero d'1ment1cato.... · 1 E 1·1 C a re• · -~ Z 1tto.... 1e M artm1. Dove andrà il Caffè Martini, come se la caverà il Caffè l\llartini, cosa farà il Caffè Martini 82 ?... Qui sta il nodo gordiano; questo è l'enigma della Sfinge. - Che Lucca si allontani da Ricordi, è una cosa più che prudente, pro,·vi82. il Caffè Martini: situato di fronte alla Scala, era il luogo ove artisti e musicisti si riunivano per commentare prove e rappresentazioni scaligere, ma anche per discutere di politica. Fu uno dei ritrovi della Scapigliatura milanese. Quando, in seguito ai lavori di ampliamento della piazza del Duomo, con l'abbattimento di un vecchio quartiere medievale di cui si discute nell'articolo, si rese necessario trasferire il locale in una nuova sede, i clienti affezionati avviarono una sottoscrizione per poterlo rilanciare.



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Quand'è che le piante cominciano ad innamorare, e la terra a sfiorire? - Nella luna di marzo. - Quand'è che il gatto miagola sui tetti? - Nella luna di gennaio. - Quand'è che l'asino raglia? - Nella luna di maggio. - Quand'è che splendono le lucciole? - Nella luna di luglio. - Quand'è che beccano le mosche? - Nella luna d'agosto. - Quand'è che le farfalle si corrono dietro ·perdendo le ali? - Nella luna di settembre. - Quand'è che gli uomini canzonano le donne e ne restano canzonati? - In tutte le lune; ma ciò non vuol dire che la luna non c'entri: anzi la ci entra tredici volte l'anno in vece di una: e al più si potrebbe sospettare, che nella nostra natura, oltre al paterno fango, ci sia del gatto, della mosca, della farfalla, dell'asino, ecc. ecc. Oh sublime concatenazione degli esseri!. .. Linneo aveva ragione ed io ho più ragione di lui. - Non solo fra gli uomini e le bestie c'è una graduatoria, ma una stretta parentela, provatissima per via dell'amore e a cagion della luna. - Tuttavia non posso dissimulare che mi disturba un pochino questo suo entrarci nelle nostre faccende tredici volte l'anno. - Cosa vorrà dire questo numero tredici? - Esso non può portar altro che disgrazie! - lo comincio già a scusar Dalila, Elena, ì\ lessalina, Ninon de Lenclos e la Dubarry. - Chi può resistere alla luna e al numero tredici? ... 1

II Tredici volte l'anno!. .. È una fatalità! - Io non accuso più; io non mi lamento più. - Donne, amateci pure; lasciateci, ingannateci, riamateci, traditeci, succhiateci, disprezzateci, scannateci! - La colpa non è vostra, e le tredici lune hanno ragione. Quanto alla coscienza, a sessant'anni c'è il rosario; e si può anche legare in testamento quattro metri di alzata ad un campanile. Una donna ha amato o s'è lasciata amare da un uomo nel crescer di luna. Questa azione o inazione era probabilmente in natura: dunque l'amore cresce ... sì, finché cresce la luna. ì\tla per conseguenza naturale esso deve anche calare quando la luna cala, e cambiare quando essa cambia. - ì\tli domanderete come si rappicca tuttociò al numero tredici? ... - ì\tla!. .. È possibile che lo sappia il mio barbiere, il quale voleva bene ad una sua amorosa; le voleva bene più che ad un avventore da sei barbe la settin1ana; la adorava, dico, la menava al passeggio, al caffè, e persino a teatro; infine la voleva sposare; quando sulla tredicesima luna ella sposò invece un calzolaio che colla forma dello sti,,ale le ribatte le cuciture ogni lunedì. Sono influenze cabalistiche fatali!... Geroglifiche donne! disse un poeta. - Girandole lunari! io risponderei. E non voglio dar colpa alla banderuola del suo girare quando tira vento. È affar di Lunario.

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Ho anche conosciuto (in altri tempi) una biondolina graziosa che aveva due soli amanti; ve lo potrei giurare; ed anco non li amava mica tutti e due in una volta. Oibò! la era troppo scrupolosa! - Quattro settimane amava l'uno e quattro settimane l'altro. E se ella mutò registro, il difetto non fu suo, ma del primo fra i due eh• ebbe la sciocchezza di tenersi offeso di quella periodica oscillazione. La sarebbe curiosa che il marinaio s'imbronciasse col mare perché sei ore s'innalza ed altre sei s'abbassa! Prendetevela colla luna, o signori scempi!- Non v'accorgete che voi non ci entrate per altro che per pura combinazione? - È gran ventura che la luna ve la dia vinta una volta. Baciatevi la mano dritta e rovescia; ma non fateci sop"ra dei castelli in aria; se no salterete in aria anche voi, dietro ai vostri castelli, e la casta diva passeggierà sorridente col suo tremulo raggio sulle vostre rovine. La terra è grande, il mondo è grandissimo, l'etere che circonda i mondi è più grande ancora; ma la vostra minchioneria è grande mille volte più di tutte le massime cose che possano esistere e immaginarsi. Soltanto la superbia, se ne avete, potrebbe competere con essa; poiché la superbia dei corbelli è una corbelleria immensa fra tutte le corbellerie. - Ci fu chi fermò il sole; ma la luna!!. .. Eh! andatemi a spasso! La luna che trotta tredici volte l'anno in capo alle donne, trotterà forse ancora venti migliaia di secoli al di là del finimondo!... Io sedeva un giorno vicino ad una donzella; e un sorriso di quelle sue labbra di rose mi diceva: Ti amo! - I I mio cuore le rispondeva un grazie, così pieno di palpiti, di turbamento, di religione, di beatitudine, che la bocca non sapeva raccoglierlo e proferirlo con una sola parola. Un bacio se ne incaricò, e sulle sembianze di quelrangelo si dipinse un tal paradiso che io mi sentii invaso da un desiderio, da una speranza, da una fede d'immortalità! - Chi avrebbe pensato alla luna? - Tantopiù che era di giorno. Ma la luna non pertanto seguiva nel cielo la sua danza mensile; e sera per sera il suo disco traditore si assottigliava verso ponente. Venne la volta che il primo a sorridere fui io. - Furbo perdiana! M'incontrai collo sguardo in una fronte piena di nuvole: il mio cuore fu pieno di quelle tenebre di cui parla Foscolo: e non mangiai e non dormii e non pensai più per trentasei ore. - La luna decresceva sempre. È vero che venne il nuovo mese; è vero che si tornò alla luna nuova e al nuovo plenilunio. Ma poi ricominciammo il solito calo. E giù, e giù, e giù ... Vi giuro che l'immortalità avea perduto per me ogni at• trattiva. Alle volte mi masticava le labbra, e colle unghie sotto la camicia mi scarnava il petto per giunger quasi al cuore e dirgli: Cessa un po' di battere, e va a dormire! La signora luna dall'alto dei cieli si divertiva delle mie stramberie.



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O bestie, salute e benedizione a voi dai più eccelsi spazii dell'etere! Ma scusatemi una piccola domanda. - Perché vi siete presa la briga di venir costi dai deserti dell'Africa, dalle foreste delle Indie e dalle pampas dell'America? Credevate proprio che avessimo bisogno di voi?- Vi sbagliate, o bestie innocentissime; il Museo è piucché completo: noi abbiamo bisogno d'una bestia sola, e questa sarebbe l'asina di Barlaam. Ora finché l'asina non parli; parlerò io, la vecchia cornacchia. Aprite ben bene le orecchie e state ad ascoltarmi di conserva uomini e bestie. Vi parlerò dcll'opi11io11e pubblica, che è argomento sempre vivo e che vivifica tutti gli altri. Sapete voi cosa sia l'opùzion pubblica? L'avete mai veduta, toccata, sentita? - So che vi sono uomini che non ci credono, e che ne mettono in dubbio l'esistenza, o che, se anche ci credono, la stimano dammeno d'una frittata. !Via metteteli alla prova questi spiriti forti, e li vedrete tremolare come fogli di carta. Per essi una parola, che raccolga la sentenza del pubblico a loro riguardo è nientemeno che un fulmine; diventano allora piccini piccini e sentono perfin la vergogna. - Oh! perché non sentirla prima? La vergogna capitata a tempo è l'avvertimento della virtù; tarda ne è la vendetta. E mentre la fronte del disgraziato sembra sfidare la collera di Dio, il suo cuore trema allo sguardo bieco d'un pezzente ... l\tla leviamo alte le pupille alle nostre speranze! Dimentichiamo gli uomini e ricordiamo le idee, non si parli di guai ma di lavoro; non si badi al gracidare dei rospi, ma all'invito degli angeli!. .. Excelsior! Più alto! grida l'Americano Longfellow. - !Via più alto, non col desiderio solo, non col pensiero, non colla fantasia! Più alto con tutta la nostra attività fisica e intcJlettuale di validi campioni della civiltà! Più alto cogli sforzi incessanti di tutta la vita e coll'eroica scuola degli esempi!. .. Più alto anche colle ciarle dell'Uomo di Pietra! Più alto, più alto, più alto!!! Quando poi sarete giunti a quell'altezza dove sono io (vi sovvenga sempre della cornacchia che ha spiccato il volo), chi vi costringerà ad abbassare lo sguardo nel fango dei cortili e in quello peggiore delle anticamere? Vi assicuro che non ci si pensa nemmeno. Son cose di cui le cornacchie ridono a crepapelle; perché sanno che il sole di qualche state asciugherà quel fango, e lo porterà in polvere negli occhi di quegli stessi che vi si in1brodolavano.

trali milanesi tra i sostenitori del tenore Pietro l\llongini (per il quale cfr., supra, nota 81) e quelli del tenore Carlo Negrini (cfr. nota seguente) per la stagione operistica alla Scala.

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Tuttociò per venirvi a dire fuori dei denti, che non bisogna dar orecchio alle ciarle di questo o di quello; ma interrogare l'istinto popolare e fidarsi a quella vitalità che ridestata una volta non s'assopisce mai più. Vitalità ce n,è, non temete. Soltanto come i ministri in ritiro che destreggiano diplomaticamente colla moglie, col segretario, coi creditori per non perder l'usanza, anche noi ci traslochiamo col nostro spirito d'operosità in guerricciuole quasi ridicole. Prima i Monginiani e i Negriniani 97 ; poi la questione del Carcano. - Sapete che la fu bella! Ci si andrà o non ci si andrà? Si videro consulti chiesti all'orecchio, e lettere e dispacci scambiati, e segnali telegrafici dalle carrozze del Corso, per questo gran dubbio dell'andarci o del non andarci. Io credo che si temesse la folla; ma non lo giurerei. Forse anco si temeva la musica, e la generosità del Maestro dava qualche sospetto. Ma, capite! Siamo in tempi così rovesci alle generosità, che battendovi entro il naso un galantuomo, può dire: Gatta ci covai - E fors'anco non dirà sempre un'eresia. In quanto a me, la cornacchia non si degna di sinfonie. - Figuratevi! un uccellaccio, che vive cento anni e che preconizza col canto le morti d'alto bordo! - Lasciamo dunque in pace il i\11° Noseda col suo pubblico scelto. Scelto intendiamoci dai biglietti d'invito. Sul qual proposito noterò di volo che il Teatro Carcano patisce la manìa delle cose scelte. - Ma questa manìa è come la miliare che cambia d'indole secondo la qualità del male a cui conseguita; e le cose scelte non sono sempre le stesse. Dio ce ne liberi! Quella che è sempre la stessa è la Compagnia Meynadier. -Quando inturgidiscono le gemme del mandorlo precoce e olezzano le viole sull'aprica costiera, ecco la cara Compagnia che viene danzando a braccietto della Primavera sulle rive dell'Olona. Le ninfe civettuole corvettano sui marciapiedi; i je1111es premiers e comiques vengono canterellando i soliti ritornelli, e papà Meynadier li segue da ultimo a cavallo delle sue gambe con una gran borsa vuota sotto il braccio, per raccogliervi i marenghi dei Milanesi. Al loro arrivo io non vi dirò che spuntino l'erbette o che fioriscan le rose; ma certo la primavera sembra più matura, e sorrisi e cuffiette fioriscono sulle amabili testoline delle nostre eleganti. - Un palco, voglio un palco, quanto costa un palco al Re! - Ecco le parole che sprizzano più volentieri dai loro labbruzzi. La mammina dimentica la culla del bimbo, l'amante sospende 97. d sostenitori dei tenori Mongini e Negrini. Carlo Negrini (nome d'arte di Carlo Villa, 1826-1865) fu scelto da Verdi per la prima esecuzione del Simo11 Boccanegra, e da Petrella per la jo11e• (PORTINARI).

. Da questo saggio sbiadito d'imitazione capirete che razza di selvaggi fossero i genii giornalisti dei secoli andati. Ma i vostri nervi poverini, i vostri nervi!! Oh rassicuratevi! I costumi si sono ingentiliti: Attila non è più pericoloso, Seneca si taglia le pipite, Socrate beve il wermuth, Giuditta ha dodici corteggiatori, e i Muzii Scevola Romani {come dice il mio buon amico Ciconi) Invece della mano - ardono i moccoli. N. non a caso cita esempi di giornalismo militante come Jonathan Swift (1667-1745), che con la partecipazione allo •Spectatol"I influenzava l'opinione pubblica inglese, o come Camille Desmoulins (17601794)1 avvocato e giornalista, che fu con i suoi scritti tra i protagonisti delle prime fasi della Rivoluzione francese, da opporre alla prosa forzatamente umoristica, •galvanizzatal) per poter sfuggire alla censura, del proprio tempo. 132. u11 giornalista ... pece:

, III, 1° gennaio 1859, 1)

LA

PAGINA DI PLUTARCO

«Baldorie, presepii, corsi, teatri! queste non son certo le prime parole d'una pagina di Plutarco» io diceva fra me alcuni giorni sono. - E mi saltò addosso un umoraccio così nero, che scrissi, scrissi senza saper quasi dove avessi il capo. Certo v'è ancora al mondo chi legge, chi intende e chi volentieri ci darebbe a studiare Plutarco; ma io non parlava dei maestri. I maestri, si sa, faranno sempre il loro dovere, e più sono in alto, più s'avvicinano a Plutarco e s'allontanano da Esopo. Io parlava invece di voi, di me, di quanti siamo, volgo anonimo e pedissequo fra i bastioni milanesi; di noi che propendiamo finora (deh non vi disgradi ch'io lo ridica!) piuttosto all'asino d'Esopo che all'eroe greco o romano. Era un dubbio dapprima; guardandomi intorno lo sentii consolidarsi in certezza. Ho sbagliato? Lo voglia lddio. La vostra rettificazione di fatto alla mia rettificazione di parole sarà il compimento dei miei ,·oti più cari. IV[a intanto una buona confessione tolga ogni resto di ruggine fra noi. Sì! confessiamolo, amici, che dalr Avvento in poi non abbiamo con1posto neppur due sillabe d'una pagina eroica. Baldorie, presepii, corsi, teatri, ecco tutto, ve lo ripeto: e l'eroico sta soltanto sui cavalli della Compagnia Ciniselli. Oh chi potrebbe dire l'indignazione, il furore del pubblico affollato alla Scala, contro chi? contro l'Impresa che osava far danzare dinanzi a lui una certa Clavelle! Se questo è eroismo, risusciti Leopardi a cantare i secondi Paralipomeni della guerra fra i topi e le rane. Scusatemi! vi ricordate della Ristori? (È un apologo, non vi stizzite) Ve ne ricordate? Era ed è tuttora un'attrice sublime; ma per quell'eterno malanno di esser contornata da una compagnia impari e scadente, non otteneva pieno l'effetto né colla Stuarda, né colla Giu-

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SCRITTI GIOHNALISTICI

ditta. Non basta che la prima attrice sia ottima, fratelli miei; si vogliono buone le seconde parti, buoni tutti, perfino i pertichini e gli attrezzisti. Ora, lo dicono da ogni parte, questo appunto è que1lo che manca alle compagnie comiche italiane. Che il professore al giorno e all'ora della lezione vi porga a leggere il vostro greco, nessuno ne dubita; ma che siate, ma che siamo capaci di rilevarlo, di tradurlo!! ... ecco dove zoppica madonna Speranza. Compagnia comica o scuola di greco, è sempre la parabola di chi canta ai sordi. Non inalberatevi; è segno che ci sentite. Da quello che vidi ho dubitato; da quello che vedrò potrei anche ricredermi; tanto peggio per la cornacchia; e tanto meglio per tutti. Un buon bucato di tutti noi sarebbe tempo di farlo; e allora non saremo cacciati dalle nozze pel vestito sporco, come gli invitati del Vangelo. L'accennar il male, il censurarlo non fu mai creduto un ribattergli la punta. Si tratta anzi di sconficcarlo, e perdonate ad un giornalista di malumore se egli vi si adopera talvolta col sublimato corrosivo. Oimèl non è la prima volta che un veleno rovina la mano di chi lo tratta; ma chi ha buon sangue guarisce presto, e si rimette ali' opera di miglior lena. Quello che posso dirvi si è che noi siamo come gli amanti. Litigano, garriscono, s'imbronciano talvolta; ma in fondo in fondo sulla sostanza son sempre d'accordo. Le prime parole che Plutarco ci darebbe a compitare son certo che sarebbero franchezza, concordia, e virilità di costumi. Io sgrido voi alle volte, come sovente sgrido me, e se si sbaglia pel troppo zelo la conjugazione dei verbi, honny soit qui mal y pense. Sss («L'Uomo di Pietra», III, 1°gennaio 1859, 1)

MILANO INDUSTRIALE OVVERO LA COLPA DI CHI L'HA SCRITTO

(Rubrica perpetua dell'Uomo di Pietra) ARTICOLO

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O tu molteplice autore del Milano Industriale, che hai il tuo recapito o sul Corso Francesco al N. 16, o al Messaggiere Lombardo, contrada dei Bigli N. 4, o presso la tipografia Redaelli, contrada dei Due !VI uri

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Da Sanconiatone a Procopio' 35 , cronacista di Roma, è un abisso di non so quanti secoli ch'io varco d'un salto colla disinvoltura di Massimo Fabi. Ma ho fretta di giungere alla prima cravatta bianca: il suo simpatico splendore mi luccica benignamente dalle nebbiose pagine della storia dei bassi tempi. La prima cravatta bianca di cui serbi indubbia memoria la musa Clio fu portata da Eliogabalo imperatore romano' 36 • E lo provo. Quell'imperatore rimasto celebre per le sue oscenità e simili porcherie non andava altrimenti vestito dal capo ai piedi che di abiti candidissimi. Tenetelo ben a mente. Ora un non so qual malintenzionato entrò un giorno in camera d'Eliogabalo, e senza rispetto alcuno lo strozzò come un cappone. Non si dice che questo malintenzionato avesse nell'entrare questa trista intenzione; e se il colpo era premeditato, probabilmente secondo il costume dei tempi egli sarebbesi munito d'una daga o d'un giavellotto. Dunque l'idea dello strozzamento gli fu suggerita dalla cravatta, e siccome Eliogabalo andava tutto vestito di bianco quella cravatta era bianca. Confessiamolo che il primo servigio in cui fu adoperata non è troppo lusinghiero; del resto se ne vendicò poi, e quanto ad Eliogabalo era un vero majale. Figuratevi che una volta si era ficcato in capo di essere una donna! Or dunque la cravatta bianca rimasta in onore fra gli eleganti romani, andò anch'essa perduta miseramente nell'invasione dei barbari. Solo molti secoli dopo i barbari adottarono questo civile costume; intanto essa si era rifugiata alla corte di Costantinopoli. È probabile che di colà insieme colle lettere greche, colla filologia e colla paura dei Turchi ci venisse anche la cravatta bianca; ma questo è un punto storico assai oscuro: lo raccomando al telescopio pazientissimo di Cesare Cantù. Quello che è certo che intorno a quei tempi essa invase con molta prepotenza le nostre Università; e forse fu merito suo il risorgimento del Diritto Romano. Fors'anco è per questo che la scolaresca in genere le serba un po' di rancore. Rimasero celebri nei monumenti, nei quadri, e negli statuti accademici le 135. Da Sa11co11iato,re a Procopio: lo scrittore greco Filone di Biblo (64-140 circa d.C.), nel suo libro intitolato Storia Fe,ricia, fornisce una versione di uno scritto di un certo Sanchuniaton, autore fenicio, che sarebbe vissuto ai tempi di Salomone. Procopio di Cesarea (V secolo d.C.), storico di corte dell'imperatore Giustiniano, fu autore di un 1 importante Storia delle guerre in otto libri. 136. La prima ... ro111a110: il tono ricorda la divagazione su Le mode della Co11ci11ci11a, pubblicata nel C1Corriere delle Dame•, LVI, 25 gennaio 1859, 4 (cfr., supra, pp. 285-287), ma la citazione di tre figure politiche, Eliogabalo, Robespierre e Napoleone, lascia intendere una diversa funzione dello stile 'divagante'.

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cravatte bianche d'lrnerio, di Bartolo, dell' Alciato, di Cujaccio 137 , le quali s'allungarono sempre mano a mano che cresceva la civiltà, e giunsero a lan1bire la bocca dello stomaco intorno al 1530. Fu il massimo sviluppo che abbia raggiunto finora la formula della cravatta bianca. Allora tribunali, curie, parlamenti invidiosi d'un tanto onore se ne litigarono il privilegio; e non fu lecito parlare di giustizia, d'autorità al buon pecorame del popolo senza avere pendenti dinanzi tre quarti almeno di tovagliolo bianco. I signori giudici, avvocati e senatori avevano sempre figura di gente che si è appena levata da tavola; ed a convalidare questo concetto giovò assaissimo la proverbiale sonnolenza di quegli egregi magistrati. 11 clero non volle starsi indietro dalle dignità secolari; ed eccovi prelati metropoliti e perfino cardinali e papi ambire l'ornamento della cravatta bianca. Domandatelo ai ritratti di Tiziano. Oimè! tocchiamo il momento critico della nostra storia; la rivoluzione francese. Figuratevi se il partito dei Sanculotti voleva tenere la cravatta di questo o di quel colore! La repubblica francese fu la repubblica più scollata che si sia mai veduta: forse non ebbe cravatta al collo perché l'adoperava a strozzare i nemici, gli amici e perfino i parenti. Ad ogni modo fra tanta immensa rovina la cravatta bianca andò salva mediante la specchiata fedeltà di Robespierre. Dicesi ch'ei non volesse levarsela neppur sotto la ghigliottina, e che il suo sangue gorgogliasse di piacere nello scorrere su quella gloriosa cravatta. Era naturale, perché forse ad essa soltanto ei doveva le sue migliori ispirazioni; altrimenti non si saprebbe spiegare il perché ei ne andasse così pazzamente innamorato: egli il freddo logico per eccellenza! Comunque la sia la cravatta sorpassò trionfando la rivoluzione e risorse più superba, più dottorale, più magnifica che mai al collo di Napoleone. Vi ricordate il bel ritratto del Toschi? - Anche lì quand'era piccino io m'era incaponito a crederlo un tovagliolo; ma la prammatica di corte ci assicura che fu una cravatta. Del resto sarebbe stato un tovagliolo troppo piccolo pei grandi pasti ch'egli faceva. A lui faceva di bisogno un regno di Vestfalia tutto nuovo di bucato per forbirsi la bocca dell'Olanda mangiata. Dopo la ristorazione il regno della cravatta bianca si sminuzzò ma rimase inconcusso; successe in lui quello che nello stato romano

137. d'lrnerio, di Bartolo, dell'Alciato, di Cujaccio: •lrnerio (sec. Xl), Bartolo di Sassoferrato (sec. XIV), Andrea Alciati (sec. XV), Cujaccio (Jac• ques de Cujès sec. XV 1) 1 furono tra i più famosi giuristi dei secoli passati• (PORTINARI).



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•Caro Mcry!I) scriveva il gran viaggiatore. •lo sono in Persia, nelle Indie, in Russia, al Caucaso, all'inferno, in paradiso; non so più dove mi sia. Sappi che ho sostenuto due battaglie col capo dei Circassi, e che ho appiccato fuoco al mar Caspio: anzi ti scrivo alla luce di quesf incendio. Figurati una tazza di pu.11ch infiammata, larga parecchie leghe!I! Dicono che è la nafta, un gaz o che so io, ma io credo seriamente che sia una spontanea illuminazione offerta dalla maestà del Caspio alla mia maestà. Vieni, vieni, caro i\llery, abbandona Parigi e l'Occidente, dove il mondo è così piccolo per noi che ci manca il respiro. Qui, te lo assicuro io, sputerai poemi, sternuterai romanzi: e fra te e me saremo i due più grandi uomini che si sieno mai veduti dopo il diluvio,>. ccCaro Dumas!>> rispondeva commosso l'amico. >

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Si sa il numero degli abitanti del globo nel secolo XIX: ma quello delle anime? - La statistica non se ne cura. Lo sapranno e lo diranno i posteri! TODERO

(•L'Uomo di Pietra•, III, 9 aprile 1859, 15)

I QUATTRO PARERI

o UN PRELIMINARE DEL CONGRESSO

dramma pericoloso

Personaggi: IL VISCONTE DI LAGUERRONIÈRE IL CAVALIER i\1ASSIMO D'AZEGLIO IL PROFESSOR GlORGINI

IL FILOSOFO

DI RIPBTTA '"7

La scena è a questo mondo Prof. Giorg. - Sissignori, ve lo dissi e ve lo ripeto. Il mio specifico è il migliore ed assicura il mondo per un maggior numero di anni. Del resto io ho il privilegio della priorità, e voglio che nel Congresso prevalga la mia opinione. 147. Perso11aggi... Ripetta: le popolazioni dell'Italia centrale, nel 1859, durante la Seconda guerra d'indipendenza, si ribellarono al Granduca di Toscana e al dominio temporale della Chiesa. L'intesa di pace firmata a Villafranca comprendeva anche il ritorno di questi territori ai legittimi sovrani, ma in breve si vide che i termini del dibattito politico ruotavano attorno all'alternativa tra l'annessione al Regno sabaudo e la creazione di una federazione di Stati del centro-Italia. Le potenze europee decisero di convocare a Parigi un congresso per decidere i nuovi assetti italiani, e in generale europei, e ripensare gli equilibri territoriali nati col Congresso di Vienna. Di fronte alla prospettiva di accordi diplomatici che mettessero in discussione la volontà dei popoli, N. sceglie la forma dell'intervento militante: un dialogo tra gli autori di opuscoli sul destino del potere temporale della Chiesa servirà a individuare nella questione romana l'ostacolo all'unificazione italiana. Louis-Étienne Arthur Dubreil, visconte di La Guéronnière (1817-1875), pubblica nel dicembre 1859 l'opuscolo Le Pape et le Congrès, in cui si propone una confederazione di Stati sotto la presidenza

SCRITTI GIOHNALISTICI

Il Visc. di Lag. - (a parte) (È il primo toscano dopo Porsenna e Piero Capponi che osa dir: voglio! sarà un uotno di spirito! proviamo!) (forte) Signor professore, ,·oi capirete benissirno ·che il vostro specifico è troppo violento; gli è come tagliar la mano per guarir i geloni; il papa ... Prof. Giorg. - Il papa, signor Visconte, non ha nessuna analogia coi geloni; con1e poter ten1porale esso è una vera cancrena. Come voi diceste benissimo bisogna tagliar la mano per salvar il resto. Il Visc. di Lag. - Che idee chiare! sen1brano quasi le mie!. .. Dunque voi insistete per proporre che il papa sia mediatizzato'"' 8 ? Prof. Giorg. - Subito e senza pietà! Cav. d'AzegHo - Che anacronismo! Il Visc. di Lag. - Di grazia, cosa c'entrate voi, signor cavaliere? Cav. d'Azeglio - Oh bella, c'entro, c'entro, perché sono autore d'un progetto che tenderebbe a conciliare la ragione storica colla ragione pura, restringendo al patrimonio di san Pietro il poter temporale del papa, e ... Il Visc. di Lag. - !Via questo progetto è il mio, signor cavaliere! Cav. d'Azeglio - Nego che sia vostro per la semplice ragione che è n1io; e se volete le prove domandatele al mio stampatore. Visc. di Lag. - Non ho bisogno di prove. Il n1io opuscolo famosissimo di cui si fecero venti edizioni contemporanee e che fu venduto a dieci milioni di esemplari testifica contro di voi. lo fui il primo in Europa che ha proposto di restringere il papa. Cav. d'Azeglio - Il vostro opuscolo, signor Visconte, dato che sia vostro, sarebbe ancora mio perché è ricalcato sul mio. Del vostro voi non vi avete aggiunto che qualche volo poetico e qua1che assurdo; il sogno d'un popolo che vive di contemplazione in mezzo alle rovine come san Girolamo, è l'utopia Prudhoniana• ◄ 9 (vergogna signor Visconte!) d'uno Stato senza governo, e senza leggi! del Papa. Vero ispiratore dell'opuscolo era, per molti, l'imperatore Napoleone I I I, sino ad allora contrario ad ogni ridimensionamento del potere temporale del Papa. iVlassimo D'Azeglio ( 1798-1866), romanziere, uomo politico e pubblicista, nel 1859 aveva pubblicato La po/it;que et le droit chrétie11 sulla questione romana. Giovan Battista Giorgini ( 1818-1908), professore di Istituzioni Canoniche a Pisa, era autore di Considerazio11i s11/ domi11io temporale dei papi, Firenze, Barbera, 1859. L'ultimo personaggio, IJ filosofo di Ripetta, portavoce del popolo di Roma, è nel dialogo espressione della posizione di Nievo. 148. mecliatizzato: il tcrll)ine dcri,·n dal pensiero politico medievale e designava nel Sacro Romnno Impero la perdita di sovranità da parte di un feudatario. Viene adattato alla situazione ottocentesca indicando la perdita parziale o totale del potere temporale da parte del Papa. 149. l'utopia Prud/zo11ùma: Picrrc-J oscph Proudhon



lVIilano seicento miglia, e rimanendo interrotte le linee telegrafiche, pare incredibile una tale rapidità. Avete proprio ragione! L'altro giorno adunque il Cardinal Antonelli e il Cardinal Altieri' 55 si incontrarono in una sala del Vaticano. Erano ambidue vestiti di rosso, ma neri di umore e di fisonomia come il cappello d'un gesuita. Il ciocciaro ed il Principe Romano passeggiarono un poco su e giù per la stanza guardandosi in cagnesco. Poi il signor Principe si degnò di prender la parola pel primo. - iVIi congratulo con vostra Eminenza! Buono, ottimo in verità, il Protettore 156 ch'ella ci ha procurato! Ci si pianta in casa per difenderci, e va poi d'accordo coi ladri che ci derubano l'ortaglia!. .. Sicuro! d'or innanzi vivremo in un giardino, pasciuti di odor di rose; ed i rivoluzionarii mangeranno i cavolfiori ed i carciofi conditi coll'olio di ì\ lacerata! - Se all'Eminenza del signor Principe va a sangue questo spediente, non sarò certo io quello che le proibisca di valersene. Per me non lascerei un carciofo per tutte le rose della Sabina; io riderò sul naso al Protettore, e i fatti miei cercherò farli da per me solo! - Oimè En1inenza! qual'ingratitudine!! vorreste giocare quel brutto tiro al vostro Protettore, al figliuolo primogenito della Chiesa?! - Risponderò quc1lo che potrebbe rispondere Vostra Eminenza riguardo ai suoi debiti. Quel Protettore non me Io sono fatto io; l'ho ereditato. Se lo ho subito con buon viso, è stato tutto merito e fatica mia, e mi vengono n1eglio i battimani che le fischiate. Ora che il signor Protettore parla colla sua vera voce e getta via la maschera, chi mi impedirà dal parlar schietto anch'io, dal mostrarmi qual sono, e giacché egli vuole assassinarci, a cercar qualche altro che ci protegga meglio di lui? - Che ci salvi il giardino, vorrà dire Vostra Eminenza? - Eh che giardino d'Egitto!! Che ci protegga meglio di lui, dico, e che ci salvi il giardino, l'ortaglia, gli ortolani e anche le ortolane, se ,·olete! 1

155. Cardinal A 11to11elli ... Altieri: Giacomo Antonelli ( 1806-1876), di umili origini, divenne cardinale nel 1846 e influenzò la svolta conservatrice di papa Pio IX nel 1849; in seguito nl mutamento di fronte di Napoleone I li, convinse il Papa ad un riavvicinamento ali' Austria. Doveva rappresentare il Vaticano nel congresso di Parigi. Uomo a1nbizioso e avido, accumulò una discreta fortuna personale. Ludovico Altieri ( 1805-1867), esponente dell'aristocrazia romana, aveva nvuto l'incarico di studiare delle riforme per lo Stato pontificio. Era contrario alla linea politica di Antonclli. 156. il Protettore: si riferisce a Napoleone III, che manteneva a Roma un corpo di spedizione francese per proteggere il Papa, ma aveva poi ispirato l'opuscolo di La Guéronnièrc sulla limitazione del potere temporale del papato.

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SCRITTI GIORNALISTICI

- Gli è qui che vedremo il preclaro ingegno di Vostra Eminenza! - Ne dubiterebbe il signor Principe? - Forse stamane il Papa avrebbe sanzionato come dogma l,esimio talento del suo Eminentissimo Ministro? - Il Papa ha fatto di meglio. Ha approvato la mia idea di non perder più il tempo tentennando, di rivolgermi apertamente ali' Austria, e di dirle: cedo a voi le mie ragioni; liberatemi voi da quest'incubo di protettori. - E I, Austria s'affretterà a liberarvene con un altro Solferino, e a difendere le vostre ragioni con una bancarotta 157 ! - L, Austria, l'Austria, Eminenza!. .. Voi fingete credere che dietro l'Austria io non vegga disposta ai nostri aiuti anche la Prussia, e tutta la Germania ... - E la Russia, e l'Inghilterra anche, m'immagino! - E perché no? - Ahi Eminenza, siete voi cristiano cattolico? - Mio padre e mia madre dicevano di sì, signor Principe! - Ed io ne dubito assai, Eminenza! Come fareste a combinare la purità della fede con tanta confidenza riposta negli eretici e nei scismatici? - Vi risponderò citando il Vangelo. Non fu i) Samaritano che unse d'olio e di mirra la piaga del mendico? -Ah, e così credereste che 1, Inghilterra, la Russia e la Prussia ungeranno le nostre piaghe, e appresteranno il cerotto perché le Legazioni aderiscano ancora alle Marche e queste alla Sedia Apostolica' 58 ? - Questa appunto è la mia speranza. - lnverG> poco sensata, Eminenza! - Come sarebbe a dire? - Sarebbe a dire che Inghilterra, Russia e Prussia se ne infischiano di noi, e che se il prudentissimo vostro Protettore di ieri

I 57. E l'Austria ... bancarotta: accenno alla sconfitta subita dall• Austria ad opera dei Franco-Piemontesi nella battaglia di Solferino (24 giugno 1859), durante la Seconda guerra d'indipendenza. Il problema più grave che però l'Impero si trovava ad affrontare era la crisi economica e fiscale. dovuta alle spese da sostenere per mantenere un apparato burocratico e militare pletorico. 158. credereste: .. Apostolica: il sistema di Stati ·scaturito dal Congresso di Vienna era ormai in crisi dopo ]a guerra di Crimea ( 1856), crisi che determinò lo spostamento da Est (Santa Alleanza) a Ovest (Francia e Inghilterra) del centro propulsivo e diplomatico della politico europea. Ciò comportò il venir meno del principio Jegittimista e un isolamento di Austria e Russia. Il 'sistema deBa Crimea', che durò circa quindici anni ( 18561871 ), doveva portare alla duplice unificazione italiana e tedesca.

>. Questo fu molto contento di partire poiché oltre la nausea che gli dava quella vecchia, v'era lì appresso un odor di trattato che rivoltava lo stomaco. ìVlefistofele gli attortigliò un capestro intorno al collo, e maneggiandolo come una fionda lo scaraventò traverso l'Impero d'Austria fino al Palazzo Imperiale di Vienna al cospetto dell'erede degli Absburgo. Quella maniera di viaggiare è molto di moda in quell'Impero. •Che ti pare? domandò ancora l\llefistofele. •È un giovinotto di cattiva indole 166; rispose John Flan - che viso arrovesciato, che baffi spinosi! Ben gli sta di aver le casse vuote, la casa in confusione, e i sudditi in rivolta! Spero che di qui ad un anno non rimarrà di lui e del suo Impero che l'ombra d'una memoria!•. 165. ex-Duchessa di Parma: si tratta di Luisa l\llaria di Borbone (1819-1864), che esercita\'a la reggenza del ducato aspettando la maggior età del figlio Roberto I (1848-1907) ed era fuggita con i moti del 1859. 166. «È w, giovù,otto di cattiva indole ... : dopo l'ironia sulla forca come emblema dell' Impero asburgico, tocca aU-imperatore Francesco Giuseppe apparire come un vanesio giovanotto di >. La festa ricominciò allora più animata che mai: e i martiri ballarono insieme agli altri dimenticando con molta disinvoltura il futuro supplizio. Alle due un Cameriere segreto venne ad avvertire che Sua Santità aveva volontà di dormire, e ch'era abbastanza persuaso del grande affetto del popolo di Roma. Chi andò di qua, chi andò di là; molti sbagliarono la porta di casa e si vuole anche il letto. I Catecun,eni furono alloggiati a spese del governo nel collegio De Propaganda; e fu soltanto il giorno appresso dopo la loro partenza da Roma che il cardinale Antonelli da un dispaccio telegrafico di don iVIargotto rilevò che la doppia mascherata anziché essere un omaggio di due sovrani falliti era un satirico scherzo di Pasquino 177 • ARSENICO

(•L'Uomo di Pietrall, IV, 28 febbraio 1860, 25)

IL GIOVEDÌ

GRASSO A VENEZIA 178

Ieri l'altro mattina, con meraviglia di tutti, fu appesa agli angoli della città la grida del Luogotenente che permetteva le maschere. Era il giovedì grasso, cioè uno degli estren1i sospiri del carnevale. Non c'era tempo da perdere. lo dunque mi posi in moto a cercarmi un vestito da maschera per darmi il gusto di farmi vedere quel che non sono. lVla in questi n,omenti tutto è difficile, anzi qualche volta impossibile. 177. satiriro scherzo di Pasquino: Pasquino era la statua di epoca romana su cui ,·cnivnno esposte le satire e le proteste dei cittadini della capitale pontificia. 1 78. li giot·edì grasso a Ve11e::ia: N. ha ottcnu to una licenza di venti giorni dal suo incarico di revisore dei conti della spedizione dei l\ilille. Parte

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sempre in appresso senza perdere il valsentc d'un centesimo. La società va divisa necessariamente in due classi: quella dei benefattori e quella dei beneficati. lo mi posi risolutamente in quest'ultima, la quale è pur meritoria, perché serve a dar risalto alla prima. Di più, per consentire a ricevere il benefizio altrui conviene avere una grande umiltà di cuore e una gran modestia di temperamento. Ora io possiedo queste due virtù in grado meraviglioso: ognuno ha la sua parte di ricchezza morale; e pur troppo, lo riconosco colle lagrime agli occhi, nessun di noi può essere perfetto. VI

Un buon cristiano, come io era, d'esemplare condotta e di perfetta umiltà, non potea mancare di dar nell'occhio in questi tempi di corruzione e di superbia universale. Una vecchia Contessa mi prese sotto la sua protezione; e siccome la povera signora era avara, così s'ingegnò di beneficarmi coi denari del pubblico. Ecco il perché della mia prima entrata in questo uffizio, del quale mi son proposto di uscire debitamente pensionato, giubilato ed onorato, prima, se è possibile, che il tarlo dell'età abbia disseccato tutti i miei succhi gastrici. Non vi saprei dire appuntino quanto mi costasse l'acquisto dell'impiego, perché la mia mano destra non seppe mai quello che dava la sinistra; massimamente poi in riguardo alla signora Contessa ch'era, lo confesso a malincuore, un pochetto esigente.

VII E così. ora colla mano destra ora colla sinistra, arrampicandomi coll'un ginocchio e coll'altro, e su e su, son arrivato dove sono ora. Servi e contesse, ministri e portieri mi hanno ajutato; io mi sono ajutato meglio di loro, e ho messo da un canto un bel capitaletto di scudi e qualche dose di esperienza. Il primo lo tengo per me, il secondo, giacché mi costa nulla, lo regalo anche al prossimo.

VIII La scienza è una sola; i moderni sapienti lo hanno dichiarato e lo confcrn10 anch'io: la scienza cioè del viver bene. Tutto quello che giova a conservare e ad appagar l'appetito è argomento di questa scienza madre e fondamentale. Bisogna studiarla, in1pararla e metterla in pratica cogli occhi, colle mani, cogli orecchi, con perfetta e cieca un1iltà di cuore. i\tla vederà bene però cogli occhi del proprio interesse; intendiamoci bene. Ohimè, quanti si sono perduti per aver

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SCRITTI GIORNALISTICI

troppo amato: amar troppo è un gran difetto, quando l'oggetto d'un tal amore non sia la stessa persona che ama, o la paga, la semidivina paga, il canale legittimo ed infallibile della felicità! Del resto che c'entra la scienza? Il mondo è diviso in due parti: io ho quello che mi serve, e quello che serve agli altri ovvero a nulla. Europa, Asia, Africa ed America!!! Basta sapere i posti aperti a concorso: ecco la geografia. La storia dicono che sia lunga: per me la trovo brevissima; la leggo nelle prime righe del giornale ufficiale. Quanto alla metafisica è un altro par di maniche. Crediamo a tutto quello che ci torna conto di credere, o a tutto quello che vogliano farci credere. Benedetta la metafisica che discende bell'e fatta dalralto! Così l'intendevano i capi grossi d'una volta, e passo ad un altro capitolo di morale.

IX Ho anch'io, come tutti, amici e nemici, i miei amici sono fortunati, perché non ne voglio d'altra specie. Chi merita della fortuna è derelitto dalla Provvidenza, diventa infame, demerita di me, ed io lo condanno e lo lascio volentieri allo stridore dei denti. Quanto ai nemici son quelli che m'imbrogliano la strada: e li sopporto pazientemente per potermene liberare inesorabilmente poi. La pazienza, dicono, è la virtù dell'asino! Beato l'asino allora: se cessassi d'essere quello che sono, mi cambierei volentieri con lui: e si portano lunghe le orecchie, ma si salva la coda.

X La coda, buoni cristiani, ecco una cosa necessaria a viver bene; ma bisogna seguir la moda e tenerla sotto il vestito. Io sono del parere di quei fisiologi che stimano l'uomo ab origine un animale codato. Almeno io mi sento tale, e i sentimenti sono la vera base di ogni buona filosofia secondo il codatissimo Chateaubriand. Perdonate se cito queste cose, ho fatto anch'io i miei spropositi, e ho letto le Genie du christianisme per rendermi amabile al cospetto dc' miei superiori.

XI Un altro buon esercizio per chi vuol andare innanzi è lo star bene a cavallo. Non bisogna pendere né a destra né a sinistra; aver la mano all'uopo grave e leggiera, un occhio avanti e l'altro dietro, speroni di sotto, corazze di sopra. Avanti, avanti: il proverbio dice a cavallo del fosso: la mia felicità è a cavallo del fosso come quella del signor Lesseps.

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XII Del resto, religione, famig1ia famiglia, famiglia! Una buona moglie che vi cuoccia il riso a dovere, due figliuoletti da far ballare sui ginocchi! Oh la vera beatitudine per le anime sensibili! La moglie vi amerà sani e vi curerà malati; perché se morite rimane a mezza pensione. I figli perpetueranno il vostro sistema, voi vi compiacerete di ammirare in essi la vostra immagine corretta, emandata e perfezionata. lo sono un padre tenerissimo un marito amoroso, un impiegato zelante; che vi vuole di più per fare un onest'uomo? ... La coscienza? ... Scusatemi, non so cosa sia. Dimenticatelo anche voi altri se lo sapete e sarete partecipi del mio felicissimo stato. 1

ARSENICO



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dal Generale prima della sua partenza per Milazzo, e tra l'entrata delle squadre in Palermo e il loro scioglimento o la loro compenetrazione nei recenti battaglioni paesani, si può calcolare che la forza pagata fosse di diecimila uomini. Il medio adunque, per tutti i cinque mesi, risulta di ventiquattromila uomini: sulla qual cifra, computandosi due franchi al giorno per individuo tra gregari, sottufficiali ed ufficiali, si ha per semplice paga e mantenimento la somma di fr. 7.200.000. La qual cifra va poi aumentata di altri fr. 900.000 per gratificazioni d'entrata in campagna, assegni di corredo, ed altri emolumenti straordinari. La fornitura personale, secondo i nostri contratti, calcolata per ogni soldato fr. 84 (cappotto, calzoni, blusa rossa o giubba da fatica, berretto, uose, scarpe, sciarpa, camicie, mutande, giberna, cinturone, porta baionetta, bretella pel fucile, borraccia, tascapane), porta una spesa di fr. 4.200.000, ai quali poi devono aggiungersi altri fr.' 800.000 per una gran quantità di oggetti duplicati e triplicati che furono distribuiti, massime scarpe, biancheria e buffetteria. I giorni della rivoluzione, per barricate, servigi straordinari, compensi e gratificazioni ai feriti e loro famiglie, lasciarono a tutto settembre una eredità passiva di fr. 550.000. Il l\tlinistro della Guerra assorbì sul suo personale e spese inerenti franchi 70.000 circa; e 170.000 ne furono spesi per l'Istituto Garibaldi, tutto compreso. Sommato tutto in 14 milioni di franchi, rimangono 6 milioni scarsi che servirono all'acquisto di centomila fucili (fr. 2.500.000) per armar l'esercito e gran parte delle guardie nazionali; e pel restante (poco più di tre milioni) alla costruzione di tutto il materiale, artiglieria, carriaggi, munizioni, ambulanze, ospedali, trasporti ecc., e oltre tutto anche a prestiti d'urgenza pei Comuni delle Calabrie depauperati dai Borbonici. Notisi che buona parte dei fucili rimane negli arsenali, e che i magazzini-merci sono abbondevolmente forniti sì a Palermo che a Napoli. Pure, ad onta di tali avanzi e dell'urgenza e della irregolarità del servizio, la spesa totale dei cinque mesi d,esistenza dell'armata meridionale di poco eccede la spesa del suo scioglimento. Questo solo fatto è la n1igliore testimonianza e il più onorevole punto di confronto per gli amministratori di essa; i quali, in premio di ciò e del sangue sparso pel bene della patria, non altro desiderano che l'approvazione fraterna, e una pronta occasione di rendere alla patria stessa quello che loro avanza di gioventù, di salute e di vita. Vogliate, signor direttore, aggradire i sensi della mia distinta stima e considerazione. N. (•La Perseveranzat>, Il, J I gennaio 1861, 434)

LETTERE

NOTA INTRODUTTIVA Nell'epistolario di N. i destinatari principali, oltre a Matilde Ferrari (alla quale è indirizzato un consistente numero di lettere giovanili), sono i familiari, gli amici, le amiche Bice Gobio Melzi e Caterina Curti; mancano, invece, quasi completamente tracce di lettere indirizzate ai direttori o ai redattori dei vari giornali per cui N. scrive. Questo piccolo nucleo di lettere a Giovanni De Castro, redattore de di Firenze? Unico e de' pochi giornali buoni che escano in Toscana, che promosse sempre il nostro teatro e sostenne a Firenze quella lotta presso a poco che •il Caffè• dovrà sostenere a Milano. Me la mandi ed io l'invierò a quella redazione, che caldamente mi raccomanda di trovarle corrispondenti giusti e corrispondenze vere. Sia breve, succoso e spirituale come è sempre il signor Ippolito Nievo. Amerei anzi che ove parlasse del ccCaffèt> facesse anche un cenno di quest'ccArte,> fiorentina, a cui io sono congiunto da affinità d'idee e parentela di amicizia. Dica per incidenza il prezzo di abbonamento dell'uno e dell'altra. E se io avessi tale autorità morale da suggerirle un'altra idea, le suggerirei di parlare eziando dell'ccAnnotatore Friulano•, altro mio parente, del > di Udine e il (parole abrase nel testo] V

Carissimo Nievo Quand'ella m'ebbe gentilmente consegnato il manoscritto di quel proverbio 5 , io naturalmente lo mandai in stamperia. Ora non posso

4. N. accennerà nella Cro11aca di Ma11tova, in < II Caffè,>, I, s aprile 1855, 27 (cfr., supra, pp. 161-164) al Dizio11ario di Eco11omia delJ'economista francese Ch. Coque)in, tradotto da Carlo Arrivabene e dal frateJlo, stampato a Mantova da Carnenti, e a) Dizio11ario della lingua italia11a pubblicato dai fratelli Negretti. 5. Il breve 'apologo' nieviano sul proverbio 'l'uomo fa il luogo e il luogo )'uomo' comparve nel volume, curato da G. De Castro, Proverbj italiani da lui illustrati, Milano, Borroni, 1858 (2• ed., Prot·erbi italia11i illustrati, con un discorso di N. Tommaseo, l\1ilano, San\'ito, 1858); cfr., anche, supra, nella sezione dedicata a •La Ricamatrice•, p. 261, nota 6. 1

LETTERE DI V. E G. DE CASTRO A I. NIEVO

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ritirarlo, né mandare a male la composizione tanto più che son certo la non si troverà in discara compagnia, né il concetto del libro le spiacerà. Dunque le manderò dopo domani le stampe. A' ringraziamenti d'allora aggiungo i ringraziamenti d'adesso, pregandola a volermi scusare se prima non le scrivessi. Mi creda intanto Suo aff.mo G. E. DE CASTRO

15 marzo 1855. VI

Ecco le bozze di stampa. Sarebbe bene che ella me le correggesse al più presto possibile. Mi pare che un dì ella mi facesse parola di un altro proverbio illustrato suo messo nella 3 • Se non è senza rilievo che l'autore si riferisca qui alla novella con il titolo che comparirà solo nella stampa del 1860, soggetto a modifiche e fluttuazioni imputabili con tutta probabilità a motivi di censura, d'altro canto le informazioni appaiono di nuovo piuttosto reticenti, a paragone delle note esplicite e assai più diffuse alle opere che egli va redigendo nello stesso periodo o delle quali corregge le bozze, come Le invasioni moderne, 1 Capuani e Il Co11te Pecorajo. Un fatto però è certo: fin dal suo primo affacciarsi nelle lettere, la vicenda romanzesca del Barone incrocia quella giudiziaria di un processo in attesa di sentenza, che ccrumina sempre e non digerisce mai 1>", e di tale contesto, che se non altro invita alla prudenza, l'autore avrà dovuto forzatamente tener conto nella scrittura, tanto più in una sede come cessa le pubblicazioni. lVla la vicenda redazionale ed editoriale della novella, per molti versi ancora oscura, non finisce qui: nel 1859 il testo di N. viene infatti ripreso per intero ne , il testo per •Il Fuggilozio• presenta alcune varianti stilistiche nei capp. I-X II I, e consistenti varianti di contenuto e di stile, con aggiunte che configurano una vera e propria riscrittura da parte di N. nel cap. XV (XIV ne della serie XIV, verosimilmente assemblato con i materiali ereditati dalla Borroni-Scotti. Se, come provano le numerose e sostanziali varianti, il passaggio da di Pungolo,> a viene seguito con attenzione dall'autore, nulla prova che avvenga lo stesso per quanto riguarda il passaggio da ccl) Fuggilozio». alla stampa in volume del 1860, che si configura come la mera riproduzione meccanica del testo del 1859, trasferito nel volume miscellaneo insieme alle altre tre novelle di N. pubblicate in precedenza nel giornale. Se però ne > 14 • In altre parole, ciò che accade tra l'aprile del 1859 e il maggio del 1860 (l'arruolamento nei Cacciatori a cavallo di Garibaldi, le conseguenze del Trattato di Villafranca e l'avvio della spedizione dei l\tlille) sembra influenzare anche la stampa ultima del Barone, soggetta alle variabili e ai condizionamenti della censura al pari di altri scritti del periodo, apparsi senza firn1a o addirittura rimasti inediti, come gli opuscoli Venezia e la libertà dell'Italia, Rivoluzione politica e rivoluzio11e nazionale, e la Storia filosofica dei secoli futuri. Se poi da un lato è plausibile che N. - impegnato dal maggio al novembre del 1860 nella ' 5 e nei gravosi compiti amministrativi come , a quella romanzesca di Carlino, >, praticato secondo Heine da tutti coloro che « 15 , bisogna però aggiungere che il registro umoristico, definito ancora di recente ccun formidabile sostegno al processo risorgimentale» 16 , si rivela nel suo caso uno straordinario strumento interpretativo nei confronti di tutta la realtà, un filtro salutare contro le illusioni e le mistificazioni dell'ideologia, che alla fine non risparmia neppure l'opera in se stessa: anche per N., come per Heine, si può infatti dire che . Tuttavia la colpa di tale ommissione cadeva più nel Barone che nella Baronessa; perocché ligio come egli era più assai degli stessi antenati al senso filosofico-morale del suo motto araldico, si smemorava troppo sovente di certi altri doveri. Cionullameno la funebre interruzione non gli vietò di tornare all'opera con mig1ior lena; e tanto si diede fretta per non essere burlato come tutti gli altri, che nel giorno appunto che compiva i quarant'anni poté alzarsi dallo scrittojo e spalancar la finestra dicendo: Ho finito! - Povero filosofo!. .. prima di cominciare credeva sul serio di aver finito!... - Ma come poi aveva finito? ... Col ficcarsi appunto in capo la fede più santa, più generosa che mai santificasse cranio di barone!. .. col creder che la virtù basti per conforto, per alimento, per premio a se stessa 2 • ; ch'essa sia il sommo onore, la somma felicità, la somma gloria, il sommo bene che regola il valore delle cose e degli uomini!... Tale opinione, lo confesso, fu comperata assai a buon mercato con venticinque anni di studio e di prigionia; né fu piccola in ciò la ventura del Barone. !Via gli sovvenne allora d'una tradizione gentilizia, che a qualunque primogenito, prima di abbandonare il castello di Nicastro, imponeva l'obbligo di leggere le pergamene d'una scansia inchiodata fra due travi del soffitto. Richiuse dunque la finestra, appoggiò una scala a piuoli al misterioso ripostiglio e salì con gran batticuore, fermandosi ad ogni gradino. Finalmente la chiave rugginosa girò stridendo nella toppa e la scansia s'aperse ch'era piena di polvere: ma per cercar che facesse della mano per entro a quel bujo non palpava altro che polvere; tuttavia dopo molto frugare eccoti che due delle sue dita si addentrano in un buco ad abbrancare una coda di 24. virtù ... se stessa: topos stoico sottoposto a dura critica in ambito illuministico, da Voltaire all 'E11cyclopédie, rigettato da Pietro Verri nel Discorso sull'indole del piacere e del dolore (VI,§ 22-26) che, come conferma un passo del cap. XIX delle Co11fessioni a proposito del rapporto tra virtù e ricompensa (li, p. 1189), potrebbe essere una delle fonti di Nievo. Un'eco diffusa di questo dibattito è presente peraltro nel cap. XXI I I del Platone in Italia di V. Cuoco ( 1806), un testo che affiora più volte in forma parodica nel tessuto composito del Barone.

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pergan1ena 25 ; e in quel momento una nebbia sì fitta gli corse dinanzi agli occhi, che per poco rovinando da quella sommità non ebbe a finire come aveano finito tutti gli altri di sua casa. Se nonché si riebbe per uno sforzo di curiosità, e gettò lo sguardo su quel cencio di pelle che gli si impigliava tra le dita. ((Ecco la gratitudine dei sorci! brontolò il Barone scendendo un piuolo; - io li lascio vagare senza sospetto di trappole per le dispense e pei granaj, ed essi si spassano a rosicchiare il più gran tesoro di mia casa•>z6 • E scese un altro piuolo; ma mentre s,apprestava a calare sul terzo, ecco l'occhio corrergli quasi involontario al titolo di quello strano documento. Non si ricordò più dove si fosse, non vide, né il pavimento, né il soffitto, né la scala; sedette senza accorgersene su quel secondo gradino, e quanta conoscenza aveva di numismatica, di ermeneutica e di paleografia, tutta la costrinse nel rilevare il pieno concetto di quella scrittura dagli sgorbii sconnessi 27 e rosicchiati che la componevano. Il titolo adunque, ch'era meno guasto del resto, fu letto assai speditamente e diceva all,incirca così: Documenti utilissimi alla scienza dell'umanità comu11icati dalle anime di molto illustri. trapassati a me Barone Clodoveo di Nicastro (seguitava una scrittura più recente e di mano diversa) morto nell'anno di grazia I 111 28 mentre s'apprestava a saggiare il valore degli uomini e delle cose col sistema aritmetico di Pitagora 29 • 25. coda di pergame,ra: più che alle celebri pagine manzoniane, il manoscritto frammentario e incompleto sembra rimandare ai > che compongono il presunto manoscritto di sentenze attribuite a Rabelais nel Viaggio sentimentale di Sterne (cap. LVII). Da segnalare è però anche l'antecedente di Cuoco, che fa iniziare il Platone i11 Italia con i •è naturalmente quella di Dumns figlio, dopo il recente, straordinario successo de La dame aux camélias (e con il pressoché immediato riflesso operistico della Traviata). Totale è la distanza di N. dalla compromissione col mélo, proprio, appunto, dove si ribadisce che queste dame di dubbia fama non usciranno dal quadro comico, senza dunque aspirare alla redenzione tragica e alle lacrime• (P. VEscovo, lntroduzio11e a I. NIEVO, Commedie, Venezia, l\ilarsilio, 2004, p. 27). 92. storica: antica, cioè nobile. 93. gratta110 le ge11give: adulano, lusingano. L'avversione nei confronti deW•eloquenza assurda e sbagliata dei filantropi•, o odemiliberali da caffè•, verrà argomentata qualche anno dopo da N. nel§ VII del saggio Rivoluzio11e politica e rivoluzione 11azio11ale (pp. 104- 106).

NOVELLE FILOSOFICHE

tusta qualità di cortina94 • - Dopo ciò chi vorrà sostenere che la condizione degli uomini non si rileva, piuttostoché dai bernoccoli del cranio95 , dall'aspetto delle loro valigie? Il Barone muto muto mosse tre passi verso le due dame, a due inchini per ogni passo; ma se taceva, non mancavano ragioni, e appunto per essergli ito il cervello fra le nuvole, il torso e le gambe si addebitarono di far le sue veci. - Le sono due! mulinava egli. - Peggio che peggio!. .. Non ci aveva pensato!. .. Tuttavia se io mi ci metto diventiamo tre!... Di meglio in meglio! ... anche questa la m'era scappata!. .. Pitagora, Plotino, il Barone Clodoveo possono star contenti che la mia virtù è a cavallo d'un bel numero. Intanto una delle due ninfe approfittò de11a tregua per nicchiarsi nel vano d'una finestra, l'altra per acconciarsi con miglior grazia le pieghe e direi quasi le rughe dei suoi otto camuffi96 : e ambidue si mordevano le labbra, mentre l'ideologo 97 protettore cercava nelle fibbie delle scarpe una classica ispirazione. - Nemo propheta in patn"a! disse finalmente il Barone alla più vistosa ed accivettata 98 delle due, che sedeva sul baule, come Cleopatra nel famoso carro di Venere 99 • - La signora; continuò egli; fugge il paese natale! - Il nobile Barone ha colto nel segno, rispose la dama; - fuggo il paese natale, dove i beni del defunto marchese mio marito furono confiscati. 94. sd"'ci.to ... cortina: l'insistenza della descrizione suJJe cose logore, sciupate dal tempo, è uno dei topoi della scrittura realistica su cui ha attirato l'attenzione Francesco Orlando, citando il precedente comico-burlesco del Berni, su una linea che giunge fino a Gautier (F. ÙRI.ANDO, •Topoi• del realismo. La metamorfosi dei colori, in Realismo ed effetti di realtà nel romallzo dell'Ottocento, a cura di F. Fiorentino, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 5-10). 95. bernoccoli del cranio: allusione ironica alle teorie craniometriche del frenologo tedesco Franz Joseph Gall (1759-1828), ricordate nella lettera a l\1atilde Ferrari del 20 luglio 1850 (Lettere, p. 139), e oggetto di satira nelle vignette dc di Co11fessio11i, li, p. 1254. 147. paquitos: sta per lo spagnolo paquetes.

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sonno e rubbriachezza ruminando egli certe materie di sue antiche letture, e di scorrerie saracinesche in Sicilia, e siciliane in Sardegna, e di guerre, e di trapiantamenti, e d'incrociature, e di conversioni, veniva quasi persuadendosi d'essere legato di lontana parentela coi Mussulmani d'Africa. - Sì perdiana! mugolava dimenando il capo come un batacchio da campana - la è chiara come l'olio!. .. Nicastro, da Nic-az roem!... Io sono per lo meno cugino di Sua Altezza il Bey! A dir il vero, svampati quei bollori morbosi d'inmaginativa, non trovò più il filo d'un sì peregrino ragionamento, ma gliene restò pel cervello qualche orma, e così alla lontana, scommetto che gli sembrava vedere nei Baroni di Nicastro del barbaresco più assai che non bisognasse per istabilire una loro remota consanguineità coi corsari Tunisini. E l'agevolezza della prima dimora non cooperò poco a togliergli le antiche ubbie, ché certo a primo aspetto il lazzaretto e il guardiano di Genova, e i carlisti e i galantuomini di Spagna le erano cose più barbare della stessa barbarie Tunisina. L'albergo all'Europa ov'egli fu alloggiato da un dragomanno 148 era pulito e spazioso anziché no; soltanto prima di sera, come egli si dispose ad uscire per prender una boccata d'aria fresca, l'oste se gli fece presso ammonendolo di non avventurarsi pei viottoli di Tunisi vecchia. - Oh quante Tunisi vi sono? chiese ghignando il barone. - Ve ne sono due, la vecchia e la nuova; rispose l'oste inchinandosi. - Quand'è così non esco per ora; soggiunse don Camilla stizzosamente. E infatti si ritrasse per iscrivere due epistole commoventi a Floriano e alla figlia del lampadajo.

Peraltro l'illustre viaggiatore s'ebbe ad acconciar bene o male a quegli ozii tunisini, almeno finché la colta dei datteri e dei fichi mettesse in grado il trabaccolo di rivalicar 150 per l'America. Intanto, nella seconda settimana di sua dimora colà, smontò all'albergo un venerabile Dervis•s• che avuta contezza dell'arrivo in Africa d'un tanto

148. dragomam,o: dall'arabo turgiuma11, è l'interprete nei paesi orientali. 149. Rispetto alla versione de «Il Pungolo,>, il cap. XV presenta nmpic e nu-

merose varianti che fanno pensare a una riscrittura completa da parte delPautore all'epoca della ristampa del testo ne ecll Fuggilozio•. 150. rivalicar: riprendere il viaggio superando l'ostacolo della sosta forzata. 1 s1. Dervis: il termine, di derivazione persiana, sta ad indicare la scelta di priva-

IL BARONE DI NICASTRO

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personaggio, veniva a disputare con esso lui sopra certi punti ancora controversi della filosofia Mussulmana. Dopo molto parlare e poco intendersi, il Barone conchiuse fra sé che quel Derois era un neo-platonico; e gliene mosse discreta rampogna. - Dovete sapere; rispose il Dervis; che qui non avviene come fra voi altri barbari che a maestri e catechizzatori si rivedono le buccie come a tanti mascalzoni. Un dervis può come meglio gli aggrada riverberare sulle menti dei fedeli il lume della sua dottrina. - Ah! voi chiamate noi altri barbari? sciamò Don Camillo. - Noi, come i Greci, chiamiamo barbari tutti quelli che non sono noi - soggiunse il Mussulmano. - Perciò i popoli che hanno la stampa, i codici, la eguaglianza dei diritti, e che non seppelliscono le proprie unghie, li comprendiamo sotto questa denominazione. - Ah dunque qui a Tunisi non ci avete la stampa? - Il Corano è manoscritto. - Ma non avete neppur un cencio di codice? - Abbiamo l'eterna giustizia del Corano. - lVIa non adottaste l'uguaglianza dei diritti 152 ? - Dio ce ne liberi! Abbiamo la dogmatica disuguaglianza del Corano. - E come vivete dunque? - Oh bella! - Ognuno vive e mangia, com'è suo diritto, alle spalle di chi è più piccolo di lui. Questa è la vera fratellanza: e natura ce la insegna quando dà i moscerini in pranzo alle rondini e le rondini in cena al falcone. Del resto Allah è un solo Allah, i\tlaometto il suo profeta, e andian10 tutti perfettamente d'accordo. -Ah! andate anche d'accordo? ... E chi è che vi mantiene così d'accordo a questo modo? - Caspita!. .. Sua altezza il Bey! -Ah il signor Bey!. .. Un gran testone e un gran tiranno dev'esser costui!

zione operata dai monaci mendicanti di alcune confraternite religiose musulmane che praticavano l'ascesi 1nistica. Peraltro, il dialogo paradossale tra il dervis e il Barone evoca, per antitesi, quello assai più celebre tra il persiano Rica e il monaco parigino (dervis nel testo) nella lettera CXXXIII delle Lett res persanes di lVlontesquieu: un modello letterario che traspare con chiarezza nel confronto straniante tra Oriente e Occidente, barbarie e civiltà, che costituisce l'oggetto parodico del capitolo nieviano. 152. uguaglianza dei din"tti: allusione al Pactefo11da111e11tal (Ahd El Ame11, 'patto di sicurezza'), pron1ulgato in Tunisia il 10 settembre 1757, che garantiva l'uguaglianza dinanzi alla legge, la libertà di culto e di commercio.

NOVELLE FILOSOFICHE

- Chi? ... il Bey? ... Tutt,altro, fratello mio!. .. È l'uomo più semplice e timido che abbia mai veduto la cupola della Kaaba; e se vi ho nominato lui l'è stato per usare una formula solita. Al fatto ci abbiamo due governi. Quello del Bey che governa il serraglio, e la Moschea; e l'altro dei servitori del Bey che governano Tunisi e il Bey stesso. - Ah due, due! Numero fatale! sciamò il Barone. - Tu inalberi la tua forca 153 anche nel paese dei datteri! - Ma poi, richiese egli con voce più posata; cosa dice il Bey vedendo fare a' suoi servitori il rovescio d'ogni sua volontà? - Ecco il nostro uffizio; rispose il Dervis - A noi tocca procurare eh' ei non veda giusto o almeno acquetare i suoi scrupoli di coscienza. - E ci riescite? domandò ancora il filosofo. - Lo credo bene - rispose il Maomettano - lo acqueto la sua coscienza e quella delle sue cento mogli e quelle de' suoi ministri; e metto d'accordo i grilli filantropici dei consoli Europei colla tratta dei negri 15" nonché la giustizia sommaria dei nostri cadì 155 col Tanzimat'56 di Costantinopoli! - La filosofia non è onnipotente per nulla, caro Barone. Laonde io },adopero pel mio n1eglio. - Che razza di filosofia! pensò il Barone - Credo che lo mettessi tropp'alto a crederlo un neo-platonico - Ditemi, aggiunse poi con un certo piglio furbesco, ditemi, caro Dervis, non sareste voi per caso un pochettin Manicheo? - Che è quanto dire? domandò questi. - L'è una certa setta che ammette due principii assoluti e contraddicenti. Quello del male e quello del bene. - Sì per Maometto che son Manicheo! sciamò ingenuamente il Dervis. Ammetto assolutamente il male degli altri purché ne provenga il ben mio! - E ve ne torna bene d'un tale sistema?

153. inalberi ... forca: osserva N. in una lettera a Bice Gobio Melzi, a proposito del numero 11 (simile graficamente al due romano): ) serve - plaude ancora Gorini, affermando che •la volontà è una forza la quale, a somiglianza di tutte le altre forze conosciute, ha bisogno per n1ettersi in azione. ed esercitare la sua influenza dell'intermezzo di un fluido imponderabile• (S11/l'origi11e delle mo,rtag11e e dei vulca11i, cit., pp. 374-375). 14. Come ... arge11to: è il procedimento della riproduzione fotografica con il nitrato d'argento, messo a punto tra il 1841 e il 1855, prontamente registrato da Nievo. 15. i pensieri ... felicità: passo di scoperta intonazione leopardiana. 1

NOVELLE FILOSOFICHE

LIBRO PRIMO DALLA PACE DI ZURIGO ALLA PACE DI LUBIANA

Benché vivente per la grazia di Dio nell'anno di felicità e d'indolenza 2222 e benché l'arte di scrivere sia già andata in disuso come una minchioneria senza costrutto, pure, e per variare la qualità delle noie umane e per dar prova che i pronipoti non sono dammeno dei trisarcavoli 16, e per dar ragione a chi non ci pensa delle nostre attuali beatitudini, son venuto nella determinazione di scrivere la storia degli ultimi tre secoli. Il buon senso straordinario del secondo patriarca della repubblica universale che menò ad effetto il savio proposito di distruggere tutti i libri anteriori all'anno 2000, mi libera dal fastidio di scegliermi uno stile. Userò lo stile della verità 17 che è il più breve di tutti. Era memoria nelle antiche carte d'una pace di Zurigo' 8 che fu combinata tra alcuni uomini nell'anno 1859 o in quel torno. Quella pace non contentò, a quanto sembra, neppure gli uomini che l'avevano fatta; perché prima di separarsi s'era già fermato tra loro che un altro 16. i pronipoti ... trisarcavoli: il rapporto tra le generazioni riproduce significativamente quello de Il Barone di Nicastro, ma al viaggio nello spazio di Camillo di Nicastro - pronipote di Clodoveo - si sostituisce il viaggio nel tempo di Vincenzo Bernardi di Gorgonzola. 17. lo stile della ven·tà: riaffiora qui la polemica nei confronti deJJe convenzioni retoriche menzognere e del •bello scrivere• che compare più volte in N., dagli Studii sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia (cfr., supra, pp. 138-159} a Il Baro11e di Nicastro aHe Confessio11i, fino all'affermazione perentoria di Rivoluzio11e politica e rivoluzione 11azio11ale: «è tempo di dire la verità e di dirla intera• (p. 100). Nello specifico, appare rilevante l'impiego di una formula della tradizione filosofica e moralistica (da Pascal, a La Bruyère, a Buffon}, che viene a circoscrivere un'idea dello stile come intelligenza al servizio di una causa, propria del Settecento illuministico e riformista e in primo luogo del Beccaria del Dei delitti e delle pene. Il narratore deJJa Storia filosofica viene così implicitamente a contrapporsi alle due figure cortigiane stigmatizzate negli Studii sulla poesia popolare e civile: il poeta rassegnato al sacrificio e il •carnefice che sorride al padrone>> (supra, p. 142}. 18. pace di Zurigo: facendo seguito ai preliminari di Villafranca ( 11 luglio 1859}, l'accordo firmato nel novembre del 1859 tra Napoleone III e Francesco Giuseppe sanciva la cessione della Lombardia al Piemonte, lasciando il Veneto all'Austria. Secondo uno dei punti del trattato, tutti gli Stati italiani, incluso il Veneto, avrebbero dovuto riunirsi in una confederazione presieduta dal papa. Le impressioni di sconforto e di amarezza di N., palpabili nelle Lettere, sono chiaramente espresse nel pamphlet intitolato Ve11ezia e la libertà d'Italia, pubblicato anonimo a Milano con la data del 1859 (ma redatto probabilmente nei primi del 1860).

STORIA FILOSOFICA DEI SECOLI FUTURI

congresso' 9 avrebbe rimaneggiato le quistioni tanto maltrattate da CSSJ.

Per verità io stento a credere cotali cose. Ma nella lontana oscurità di quei tempi e nella mancanza assoluta di documenti bisogna prestar fede intera alla memoria delle tradizioni più comuni. Mi limiterò ad accennare i dubbi che accampa incontro a queste la critica pura. Perché mai quegli uomini avrebbero finito di terminare un litigio che a loro confessione doveva essere giudicato in diversa maniera? Perché avrebbero fatto essi, per proporre di disfare al Congresso? Non era meglio ricorrere a questo addirittura? Oppure dare la causa in mano a quelli che ci avevano interesse? - Dalle prime conferenze alle seconde non sarebbe stata altra diversità, che, in quelle discutevano tre uomini soli e dieci o dodici in queste; ora, qual maggior fondamento di diritto, quale maggiore autorità offrirebbe ai venti, ai trenta, ai cento milioni di ricorrenti 20 il giudizio di dodici, piuttosto che quello di tre 21 ? - Parlo per via di raziocinio; e per cotali induzioni quel preambolo di Zurigo mi parrebbe un negozio più favoloso che altro; ma poi le tradizioni parlano chiaro, ed io non mi oppongo alle venerabili corbellerie dei nostri antenati. A quei tempi, quando le passioni peccavano per eccesso di attività e non erano ancora inventati gli Omuncoli o uomini a macchina 22 e di seconda mano, i dissidii fra le nazioni erano terminati con un mezzo spicciativo, che si chiamava la guerra. Questa era un'arte inventata e perfezionata a bella posta per distruggere gli uomini; e siccome gli uomini a quei tempi erano turbolenti e cattivi, queli»arte era in monte23 benemerita della civiltà. Peccato che infino allora i più turbolenti e cattivi l'avessero adoperata a loro totale beneficio ed a scapito dei 19. altro congresso: il cronista allude al congresso che avrebbe dovuto aprirsi

a Parigi nel gennaio del 1860, poi sospeso - anche per l'opposizione del Papa e in sintonia con la linea diplon1atica di Cavour - dopo la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia e l'annessione dell'Italia centrale al Regno di Sardegna. 20. n·corre11ti: coloro che si rivolgono all'autorità per avere giust1z1a. 21. il gir,dizio ... tre: al congresso di Parigi avrebbero dovuto partecipare gli Stati già presenti al Congresso di Vienna del 181 s, mentre le potenze che avevano siglato gli accordi di Zurigo erano Francia, Austria e Regno di Sardegna. N. mette in rilievo l'opposizione tra la volontà della nazione che- come scrive in Venezia e la libertà d'Italia- ha patito e il •lutto spontaneo, subito, universale• di Villafranca, e le soluzioni diplomatiche che rappresentano il pronunciamento di pochi. 22. Omuncoli ... macchina: automi (cfr., i11fra, nota 99). 23. in mo11te: nel complesso. Espressione lombarda, ricorrente anche nelle lettere (cfr. P. V. lVIENGALDO, Regio11alismi e dialettismi 11ell'epistolario, in Io., Studi m Jppolito Nievo. Lingua e 11arrazio11e, Padova, Esedra, 2011, p. 14).

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tranquilli e dabbene! !Via questi ultimi, appunto nel 1859, cominciarono ad in1parare dai loro oppressori, rendendo ad essi, come si dice, pan per focaccia; e questo avvenimento di suprema importanza per la storia dei secoli seguenti successe nell'Italia settentrionale. Quanto alle cagioni che tolsero dal codice delle nazioni quel mezzo esecutivo e sanguinario della guerra, se ne discorrerà più ampiamente al periodo dell'arricchimento universale e della moltiplicazione degli Omuncoli. Or dunque quella pace di Zurigo, che, o non fu mai fatta o fatta anche ebbe il vanto di scontentar tutti, rese urgente piucchemai agli uomini il bisogno d 1 una nuova guerra. La prima era incominciata perché gli Italiani volevano esser padroni in casa loro, e mandar oltre i monti i Tedeschi che li angariavano coi balzelli, col testatico 24 , cogli imprigionamenti e perfino colla censura, ch'era a quanto pare una museruola per la intelligenza 25 , ma di cui ora si stenterebbe ad immaginare il congegno. La seconda, guerra tutt'affatto di continuazione, doveva tendere ad ottenere in realtà quello che la prima volta erasi ottenuto per mostra 26 e fu un cencio di carta. Ma a quest'intenzione, che adesso sembrerebbe barbara ed allora era plausibile e dimostrava gli Italiani uomini di buon gusto, s'opponeva disgraziatamente una clausola della pace di Zurigo. Prima di adoperar il bastone colle bestie, il Congresso si avea riserbato la briga di persuaderle colle ragioni. Pazienza fossero state bestie ammaestrate! Ma i soggetti con cui avevano a trattare gli Italiani d'allora erano bestie di rara virginità. Tuttavia si adattarono al volere dei più, e dei più forti. Dopo il parere dei tre sedettero ad ascoltare quello dei dodici. Uno solo non si adattò a sedere e il suo nome va salvato dall'oscurità ben meritata degli altri; esso fu il genera] Garibaldi. L'Europa gridava: congresso! ed egli rispondeva: guerra! - I diplomatici susurravano: penna, carta, calamajo! ed egli strepitava: fucili, fucili 27 ! La sua parve troppa temerità e non era che prudenza; poiché avrebbe risparmiato qualche altro anno di servitù, di lagri1ne e di timori. 11 24. testatico: imposta pro capite.

25. censura ... i11tellige11za: il commento

cela probabilmente un'allusione di natura autobiografica. 26. per mostra: per farne sfoggio. 27. Garibaldi ... fucili: allude alla sottoscrizione per il •Fondo per un milione di fucili• promossa da Garibaldi nel 1859 (alla quale accenna anche la lettera da Fossato del 16 ottobre), ideata per raccogliere uomini, armi e denaro da impegnare nel progetto di invasione delle l\'larche e dell'Umbria, la cui realizzazione era stata bloccata dall'armistizio. In Ve11ezia e la libertà d,ltalia (p. 143) N. scrive: , che impresse al movimento una connotazione spie-

STORIA FILOSOFICA DEI SECOLI FUTURI

Tutta la Germania andò piena dei suoi seguaci. Egli teneva tavola bandita per tutte quattro le stagioni; e pareva proprio che la Provvidenza lo avesse avvertito che gli intelletti tedeschi si conquistano più facilmente dal sotto in su assaltandoli per lo stomaco, che dal sopra in giù abbarbagliandoli di metafisica 76 • Fichte rimase sfondato 77 • Hegel con quarant'anni di filosofia fece soltanto un vero adepto, ed era il suo portinaio78 • Mayer in ventotto mesi ebbe un popolo di credenti; e le più belle signorine e i più vispi galanti di Praga, di Dresda e di Monaco entravano nel numero. Il segreto della fortuna sta in questo, di farsi rimorchiar dalla moda; e il Papa della buona gente indovinò questo segreto. Che fu che non fu, la buona gente crebbe a tal segno che il governo alemanno credette opportuno di sindacare le sue intenzioni. Tanto è vero che ogni governo puzza di Carlo Quinto 79 ! Fu convocata un'assemblea, e il Papa della buona gente chiamato a render ragione de' SUOI pnnc1p11.

per promuovere l'emancipazione delle campagne, vale a dire «la pedagogia fredda dei maestri di scuola» e •l'eloquenza assurda e sbagliata dei filantropi• (p. 104). Solo ricostruendo l'unità nazionale sarà possibile «ricongiungere la mente col braccio•, puntellando •la rivoluzione politica già in via d'essere compiuta colla rivoluzione nazionale che da sola può darle appoggio durevole•, e inducendo •nelle opinioni del volgo rurale un tal cambiamento che le colleghi alle opinioni della classe intelligente, e le riunisca insieme e per sempre nell'amore della libertà e dell'indipendenza)) (pp. 110-11 I). 91. buon se,iso ... lati1ie: cfr. Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, p. 99. 92. Adolfo Kurr: il personaggio adombra forse il giornalista e scrittore Alphonse Karr, fondatore del settimanale satirico •Les Guèpes» e autore di capitoli umoristici e di satira di costume famosi all'epoca, citato da N. in un articolo de •L'Uomo di Pietra• (cfr., supra, Da Nizza, p. 398, nota 47). Come scrive Russo, •ciò che rende puntuale il rimando è che Karr in uno dei suoi interventi aveva narrato di un fastoso rogo davanti al camino, a sollievo di un'umanità infestata di libri• (cfr. A. KARR, Les papiers brulés. Seroice re11du à la postérité, articolo del novembre 1841 poi in ID., Nouvelles Guèpes, Paris, Blanchard, 1858, pp. 124-125). Ma una distruzione ben più significativa di libri compare ne L'A,i 2440 (1771) di Louis-Sébastien Mercier, che, per le sue implicazioni ideologiche, può aver costituito il modello principale della parodia nieviana. 93. Arabista11: piccola provincia della Persia, delimitata a

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l'impero le industrie, il commerc;io, le strade ferrate e i telegrafi. Le materie prime, che con tanta abbondanza si raccoglieva in quelle regioni, alimentavano quest'improvvisa risurrezione di vita e l'energia mussulmana s'era fusa e trasformata in quel modo generale di civile attività. Non v'erano più allora nel centro dell'Asia né Turchi, né Persiani, né Afgani, né Curdi; vi erano uomini 94 • Adolfo Kurr non volle lasciare la madre patria alle prese con una rivoluzione intestina e brutale, che vi avrebbe isterilito ogni germe di civiltà. Egli disegnò una spedizione de' suoi per ricomporvi l'ordine e l'armonia fra le diverse classi sociali, facendone possibilmente una sola. Spalleggiati dall'Italia, dalla Spagna e dalla Francia, ove le nuove turbolenze pochi fautori avevano trovato, i nuovi civilizzatori pacificarono in sei anni la Germania, le Province Danubiane, la Polonia e la Scandinavia. E mentre cotali prodigi si compievano in Europa e si gettavano le vere basi dell'attuale società, i Russi in Asia spalancavano le porte della Cina e conquistavano trecento milioni di proseliti all'influenza europea. Nell'anno 2030 la federazione asiatica comprendeva la maggior parte di quel continente dalla Siria alle Indie ed alla China. Le maggiori varietà di stirpi e di lingue e di razze vi si incontravano per l'eguale ricchezza di agricoltura, di industria e di scienza pratica. La strada ferrata corse quell'anno la prima volta da Stoccolma a Pechino e da Pietroburgo a Calcutta. Allora si pensò ad un congresso di tutti i popoli del mondo, cioè delle tre gran federazioni: l'europea, l'americana e l'asiatica. Quel congresso si raccolse a Costantinopoli sotto la presidenza di Adolfo Kurr e trattò tutte le quistioni che interessavano il bene dell'umanità. Prima di ogn'altra si discusse quella della scienza. E il presisud dal golfo Persico e a ovest dall'Iraq, così denominata nell'Ottocento per la presenza di nomadi arabi. 94. Non v 'era110 ... uomi11i: difficile sciogliere l'ambiguità del passo, che va inteso probabilmente in senso leopardiano, come celebrazione ironica delle •magnifiche sorti e progressive• dell'umanità rappresentate dal socialismo. La pittura ironica della nuova federazione asiatica, la cui energia indubbiamente contrasta con la crisi dell'Europa, e l'abolizione delle differenze tra gli uomini, vanno infatti messe in rapporto con le riserve espresse altrove da N. sul cosmopolitismo francese, che cancella i caratteri distintivi dei popoli e delle nazioni. Al riguardo, cfr., supra, Studii sulla poesia popolare e civile massimame11te ;,, Italia, pp. 156-158, e soprattutto l'articolo Corrispo,,denza dell'Orie11te, pubblicato ne •L'Uomo di Pietra•, Il, 28 agosto 1858, 35: •Ora colle larghezze dei passaporti siamo ridotti una razza maledetta di cosmopoliti, e non ci si raccapezza più il filo. Se non fossi pronto a giurare che il filibustiere \Valker o Nana-Saib sono i miei fratelli, i filosofi della confusione umanitaria mi metterebbero ali' Indice!. .. • (cfr., supra, pp. 466-467).

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NOVELLE FILOSOFICHE

dente stesso, sorto con una lunga orazione a provare che la moltitudine e malvagità dei libri aveva prodotto infin allora la diversità delle classi e le più perniciose rivoluzioni, propose la distruzione universale di essi libri: dopoché una società di dotti ne avrebbero ricavato un indice enciclopedico95 • Il che fu fatto a gran vantaggio degli uomini. E poi dopo molte altre deliberazioni di senno altissimo, il congresso si sciolse proclamando Adolfo Kurr gran patriarca del mondo e benefattore del genere umano. Questi contava allora ottant'anni di età, e morì tre anni dopo, e gli successe per libera elezione Samuele Dalnegro di Pisa 96 , economista celebratissimo.

LIBRO QUARTO CREAZIONE E MOLTIPLICAZIONE DEGLI OMUNCOLl 97 (2066-2140)

Il caso, ovverosia l'attività umana individuale ed anormale, ha presieduto ai periodi storici della vecchia società98 ; la nuova riconosce il suo sviluppo crescente e regolare dall'industria, ovverosia dall'attività 95. propose la distruzione ... enciclopedico: N. allude forse qui ironicamente al cap. XVI I I de L 'A11 2440 (La bibliotlzèque du ro,), dove Mercier illustra l'in-

tenzione di ciréedifier l'édifice des connoissances humaines>> attraverso il rogo dei libri inutili, che vengono bruciati dopo averne sintetizzata la sostanza, allo stesso modo in cui i chimici concentrano in una fiala la virtù delle piante, mentre le opere importanti ma prolisse vengono riassunte o corrette dei pregiudizi e degli errori, e quelle che contengono i messaggi più significativi per l'umanità (come La Nouvelle Héloi'se, Il Vicario di Wakcfield, l'Esprit des Lois, il Dei delitti e delle pene) vengono riedite in grande formato e prese a modello dalla nuova società progressista delineata da Mercier. 96. Samuele Dalnegro di Pisa: il nome fittizio cela forse un'allusione satirica alla diffusione del sansimonismo in Toscana, e ai suoi adepti, tra i quali figura Giuseppe Corvaja (1785-1860), autore de La Bancocrazia, o il Gran Libro Sociale, novello sistema fi11anziario che mira a basare i governi su tutti gl'interessi positivi de' Governati (1840-1841). 97. omuncoli: il termine •omuncolo' designa una leggendaria forma dj vita creata attraverso l'alchimia. Il termine ricorre nel De l'Allemagne (I, pp. 88-89), a proposito degli esperimenti di Paracelso; peraltro, il libro di Heine sembra essere la fonte più probabile dell'episodio sull'uomo meccanico sviluppato da N. in forma narrativa. A p. 115 (tomo I) infatti si legge: ((On raconte qu'un mécaniste anglais, qui avait déjà imaginé les machincs les plus ingénieuses, s'avisa à la fin de fabriquer un homme, et qu'il y avait réussi. L'oeuvre de ses mains pouvait fonctionner et agir comme un homme•. 98. /l caso ... società: l'opposizione tra la società del passato, fondata sul caso, e la società del futuro, immagine

STORIA FILOSOFICA DEI SECOLI FUTURI

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umana collettiva e progrediente. Noi tocchiamo ora ad una rivoluzione scientifica che operò nel consorzio umano il maggior cambiamento che siasi mai operato; e dopo un'oscillazione spaventosa di alcuni lustri lo fermò stabilmente sulle basi incrollabili su cui adesso riposa. L'introduzione delle lingue articolate, la formazione delle famiglie, il trovato della navigazione, l'agricoltura, lo stabilimento delle città, la codificazione morale religiosa, il dogma dell'eguaglianza umana, l'invenzion della polvere e della stampa, il trionfo della libertà di coscienza, l'applicazione del vapore e dell'elettrico, l'assetto definitivo della nazionalità, la concordia democratica universale, e la sanzione sociale del diritto di viver bene aveano condotto l'umanità di metamorfosi in metamorfosi a non riconoscersi più nella sua forma originale. !Via la rivoluzione, di cui parliamo ora, sorpassa pel miracolo della causa e per la grandiosità degli effetti qualunque altra opera abbia mai adescato l'immaginazione umana. Tutti s'avvedono come io alluda all'invenzione degli omuncoli detti anche uomini di seconda mano, o esseri ausiliari 99 • La costoro creazione, non anteriore al nostro secolo di cento sessant'anni, si perde già nelle incertezze e nell'oscurità della favola; ma le migliori autorità s'accordano ad ascriverne il merito a Jonathan Gilles meccanico e poeta di Liverpool. Ecco al dire dei cronisti come andò la cosa. Jonathan Gilles e Teodoro Beridan erano vicini. Ambidue fabbricavano macchine da cucire; ambidue erano svegliati d'ingegno, poveri, viziosi ed invidiosi. Si spiavano vicendevolmente, per aver occasione di mormorare l'uno dell'altro, e rubarsi le pratiche, gli avventori e i segreti del mestiere. Tutto ad un tratto Beridan cominciò a condur vita ritirata, ad abbandonare le osterie dove usava frequentare assaissimo, a trascurare il solito commercio, e a non farsi vedere in bottega. Non scendeva quasi mai dal piano superiore della casa, e spesso ad ora tardissima della notte si vedeva splender il suo lume dalle fessure delle imposte. di una precisa intenzione riformatrice di stampo quasi messianico, sembra un ulteriore rimando al libro di l\tlercier, di cui il passo successivo riprende in forma antifrastica l'elogio dell'utopia universalizzata. 99. 011umcoli ... ausiliari: il mito dell'uomo artificiale, che in epoca romantica aveva dato voce alle inquietudini nei confronti del progresso scientifico (cfr. M. SHRLLBY, Fra11ke11stei11; or. The Modeni Prometheus, 1818 e poi 1831), trova nuovo impulso nei racconti fantastici di Hoffmann, tradotti in francese nel 1844 e nel 1846. Ma per l'apologo narrato da N. conta, con tutta probabilità, il precedente satirico delle Operette morali: nella Proposta di premi fatta dall'Accademia dei sillografi Leopardi aveva infatti anticipato la descrizione di un' (P. GORINI, Srdl'origine delle ,no11tag'1e e dei ,mlca11i, cit., p. 408). !Via il grande tema leopardiano della noia come effetto della decadenza fisica e morale indotta dal progresso - proiettato da N. sullo sfondo della nascente società industriale e finanziaria - era già al centro dell'articolo Grande scoperta politico-,norale-i11dustriale con privilegio d'a11ni 500, pubblicato ne •Il Pungolo•, I, 11 aprile 1857, 6 (cfr., supra, pp. 325328). 1 17. elastico: morbido, soffice. · 113.

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NOVELLE FILOSOFICHE

si addrizzi o tracolli 11 8 , non me ne importa gran fatto. Solamente prego i miei eredi, che vogliano avere la compiacenza di incomodarsi per amor mio, e far sì che sul mio sepolcro sia seminato del tabacco di Spagna essendo io amantissimo di quell'odore - Così sia. Questi cinque libri di storia scrissi io Vincenzo Bernardi di Gorgonzola per mio uso e divertimento nell'anno dell'Era Volgare 2222, e 198 dopo il decreto del Patriarca Adolfo Kurr che ordinò la distruzione di tutti i libri anteriori al 2000. Sia pace all'anima sua!... EPILOGO

lo non so cosa dirne. - Sono un po' avvilito di metter fuori per !storie de' secoli futuri questa cantafera 119 ; ma pare che il nostro postero, Vincenzo Bernardi di Gorgonzola 120 la penserà o scriverà così nel 2221 e io l'ho trascritta religiosamente dalla prima parola all'ultima ... Sarà tutto vero?-Ai posteri l'ardua sentenza/ 121 - Noi limitiamoci in ogni caso a pregare in queste ultime righe la futura maestà del patriarca Adolfo Kurr, perché questo libro appartenente per la data e l'autore al 2222 sia risparmiato dall'eccidio universale che sarà bandito da lui contro tutti i libri anteriori al 2000. Così potranno verificare se il racconto del signor Vincenzo Bernardi sarà stato veritiero sino all'ultima linea. Ed io pure aggiungo - sia pace all'anima sua; e sia aiutato a suo tempo a venir al mondo da una buona comare 122 ! FERDINANDO DE' NICOLOSI

filosofo-chimico 118. si addrizzi o tracolli: si raddrizzi o penda da una parte. Un concetto simile è espresso ne Il Baro11edi Nicastro (cfr., supra, p. 647, nota 178). 119. ca11tafera: secondo il Tommaseo (Nuovo dizio,rario dei si11011imi della li11gua italia11a, Milano, Reina, 1851, p. 139), e dunque - se si adotta la

prospettiva illuministica di Mercier - destinata al rogo in quanto superflua e pedante: non a caso, poco più sotto, i) narratore chiede ironicamente che venga risparmiata dall' {I, p. 504). 120. Vi11ce11zo ... di Gorgonzola: •adombra probabilmente il noto astrologo Antonio Bernardi della Mirandola, morto a Modena il 14 maggio 18591>(DE LucA), che come nota Russo è ricordato di sfuggita anche ne La 11ostrafamiglia di campag11a (Novelliere, p. 25). 121. Ai posteri ... sente11za!: citazione del celeberrin10 Cinque maggio di !Vlanzoni (vv. 3132), qui declinata in senso umoristico. 122. aiutato ... comare: esaurita la parabola della società artificiale, il testo si chiude sulla figura umanissima della levatrice e della nascita, forse in ricordo del Tristram Shandv cui N. allude anche nella corrispondenza del periodo. Cfr. Lettere, p. 656.

TEATRO

NOTA INTRODUTTIVA Dopo l'introvabile volume curato da Emilio Faccioli (I. NIEVO, Teatro, Torino, Einaudi, 1962), il teatro nieviano è oggi raccolto nei singoli volumi dell'Edizione Nazionale delle Opere presso Marsilio. La commedia Pindaro Pulcinella è stata edita, assieme a Le invasioni moderne, nel volume Commedie, a cura di P. Vescovo, Venezia, Marsilio, 2004. Il testo che pubblichiamo segue l'edizione data da Vescovo in quella sede. La vicenda del manoscritto inedito del Pindaro Pulcinella, ben descritta da Piermario Vescovo nella sua introduzione, è, d'altronde, esemplificativa delle difficoltà che presenta la realizzazione di un'edizione finalmente completa dell'opera nieviana. Citato da Mantovani nella sua biografia tra le opere inedite, il manoscritto di Pindaro Pulcinella faceva parte della collezione di Giovanni Botturi, che lo aveva ricevuto da persona vicina alla famiglia Nievo. E a Fermo, presso Giovanni Botturi, Facciali nel 1952 trascrive l'autografo per pubblicarlo nel menzionato volume del teatro, prima pietra dell'opera omnia, già altre volte qui evocata, che Sergio Romagnoli, assieme a Luigi Ciceri e Iginio De Luca, stava preparando per l'editore Einaudi. Dopo questo primo riscontro sul manoscritto, Faccioli inserisce il testo del Pindaro Pulcinella nel volume del teatro, già pronto nel 1957, ed edito nel 1962. Nel frattempo, i n1anoscritti della collezione Botturi vengono acquistati dalla Einaudi e Faccioli ha modo di ricontrollare l'originale e postillare con delle correzioni una copia personale dell'edizione Einaudi appena stampata. A questo punto inizia un duplice giallo, cosa non inusuale nella nostra filologia, continuamente minacciata nei suoi risultati dalla scarsa considerazione in cui ancora è tenuto da noi il patrimonio manoscritto di una nazione. Da un lato, Facciali, resosi conto della necessità di rivedere il suo testo alla luce dei manoscritti acquisiti della collezione Botturi, fa ritirare dal commercio la sua edizione. Dall'altro lato questi famosi manoscritti Botturi, ricomparsi per un breve periodo e spediti da Romagnoli, dopo averli consultati, alla casa editrice Einaudi•, scompaiono nel nulla. Come afferma Vescovo nella Nota al testo, •essi non risultano oggi più reperibili presso la casa editrice Einaudi (né presso gli eredi Fac1. Ho potuto accertare la presenza nelrarchivio Einaudi. depositato presso l'Archivio di Stato di Torino, di una cartellina vuota con la scritta •Ippolito Nievo•, presumibile custodia entro cui furono spediti i manoscritti, accompagnata da una lettera di Romagnoli di restituzione alla Einaudi dei manoscritti da lui studiati.

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TEATRO

cioli e nemmeno presso la casa editrice Mondadori, per cui Marcella Gorra programn1ò un'edizione mai realizzata del Teatro)o 2 • li mistero dei manoscritti Botturi scomparsi, che stimola a tutt'oggi le aspettative di molti studiosi nieviani, avrebbe reso difficoltosa un'edizione attendibile del Pindaro Pulcinella se l'autografo non fosse stato microfiln1ato assieme ad altri della collezione Botturi in occasione della Mostra dei cimeli di Ippolito Nievo nel centenario 1861-1961, allestita a Udine nel dicembre 1961 (il catalogo fu stampato dalla tipografia G. B. Doretti, Udine, 1961). Il testo è stato quindi coJlazionato da Vescovo prima sulle correzioni di Facciali alla sua edizione e poi sul microfilm del manoscritto depositato presso la Biblioteca Civica "V. Joppi" di Udine. Copia in pulito senza cancellature e abrasioni, il manoscritto del Pindaro risulta datato 1855 per mano dell'autore ed era verosimilmente un testo approntato per la stampa. Per una volta la filologia sembra aver avuto ragione dell'incuria degli uomini.

P. V2scovo, Nota al testo, in I. Venezia, Marsilio, 2004, p. 53. 2.

NIEVO,

Commedie, a cura di P. Vescovo,

PINDARO PULCINELLA

PERSONAGGI VALERIO,

poeta

CAVALIER AMEDEO,

pittore

CONTE GHERARDO DI SAN GEMINIANO CONTESSA ,

sua moglie

loro nipote DoN CIRILLO, nobiluomo di campag,ia DONNA GELTRUDE, sua moglie MARIA."'lO, gion1alista SANTINA, fantesca del poeta TERESA, giardiniera del Conte UN COMMISSARIO UN SERVITORE DuE GUARDIE, che non parla,io NINA,

La scena nel Primo Atto è a Milano, 11egli altri due a San Geminiano, Villa del Conte presso a Como.

TEATRO

ATTO PRIMO

Anticamera in casa di VALERIO. Ingresso dal mezzo - due porte laterali un tavolino ingombro di carte dove scrive VALERIO. SCENA PRIMA VALERIO e SANTINA

(scrivendo a tratti) Maledetta aria di capitale!. .. quanto costi ai miei polmoni. .. Guerricciuole da schiaffi, scritturelle da un soldo la pagina, gloriuzze come il fumo d'un cigaro 1 ••• e intanto ... intanto a gomiti nei fianchi si va avanti nella vita!. .. SANTINA (esce dal mezzo racconciandosi la pezzuola da spalle3 ) Diamine! in piedi così presto; Signor Valerio? ... (guardando a sinistra sulla porta) Oh che spropositi! Il letto ancora fatto! Ma sa lei che ora l'è adesso? VALERIO (scrivendo) Per carità! lasciami stare! SANTINA Ma sono le sei del mattino! VALERIO Eh! lo vedo il sole!... (scrivendo e sbuffando) Donne e giornali, giornali e donne, oh che livelli! Dai primi si vorrebber quattrini e dànno errori di stampa,.; dalle seconde si vorrebbe fedeltà e dànno ... hum! ...

VALERIO

2

cigaro: sigaro (forestierismo). P. V. MENGALDO, L'epistolario di Nievo: un'a11alisi linguistica, Bologna, il Mulino, 1987, p. 222, nota 65, analizza l'alternanza in N. tra le forme 'zigaro/cigar(r)o' sia nelle Lettere che nell'A11tiafrodisiaco e la più tarda forma moderna 'sigaro' presente nelle Le li ere della maturità e in alcuni luoghi delle Confessioni. 2. a gomiti 11eifianchi: facendosi strada a forza (VEscovo). 3. pezzuola da spalle: scialle (VEscovo). L'oscillazione tra il toscanismo 'pezzuola' e il più neutro 'fazzoletto' è segnalata da P. V. MENGALDO, L'epistolario di Nievo, cit., p. 257, come presente non solo nelle Lettere ma anche nei due romanzi giovanili e nelle Co11/essiom'.. Interessante che qui si alterni la forma toscaneggiante all'occorrenza •sciallo• (p. 729), forma disusata ma diffusa nel Veneto ottocentesco (Vescovo). N ., più avanti (p. 732), usa pezzuola da collo per 'cravatta', laddove negli scritti giornalistici si ha sempre 'cravatta'. Tale fenomeno potrebbe spiegarsi con una presenza ancora significativa in questi testi giovanili dei toscanismi appresi nel soggiorno in Toscana del 1850, o attraverso la mediazione della lettura di Giusti, mentre negli scritti giornalistici del periodo milanese il modello ha perso prestigio di fronte al linguaggio della modernità. 4. dà11110 errori di stampa: la lamentela di N. sulla scarsa affid~bilità dei correttori di bozze dei giornali del tempo è già nelle Lettere (cfr., supra, la lettera a Giovanni De Castro del 24 settembre 1855, pp. 555-556) e testimonia di una conoscenza che già a quest'epoca, ma ancor di più negli anni milanesi tra il 1857 e il 1860, l'autore ha di tutto il processo di lavorazione della stampa. Numerose sono, d'altronde, nell'epistolario le attestazioni di I.

PINDARO PULCINELLA

Via, bel padroncino! (accostandosegli) Una volta non l'era così cattivo con me! VALERIO (borbottando) Purtroppo!. .. SANTINA Cosa l'ha detto? VALERIO Ho detto che tu mi vada ... (rabbonendosi) Via, per carità, Santina! lasciami tranquillo!. .. Va', va' un po' dabasso a farmi il caffè! SANTINA Sicuro, il caffè!. .. Mi stempererò io nella cocoma 5 !... VALERIO Hai ragione, ma colla Rivista Teatrale6 che scrivo ora, ne compreremo una mezza libra ... Va' va'!. .. portami un bicchiero d'acqua fresca! SANTINA Ho capito: ora torna a non volermi tra i piedi: la Contessa smorfiosa gli dà ancora nel capo. VALERIO Vuoi finirla sì o no una volta? SANTINA Ho appena cominciato. VALERIO lVla la finirai ti dico! SANTINA Prima scoppieremo tutti e due! SANTINA

SCENA II Il

CAVALIER AMEDEO

e detti·

(entrando dal mezzo) Me ne consolo carini!. .. Siete in guerra per tempo! SANTINA Cosa c'entra lei, Signor pittorello? Badi a' fatti suoi! (gli fa un inchino e parte) AMEDEO

SCENA/II // CAVALIER AMEDEO AMEDEO

e VALERIO

E tu soffri quella pettegola.

Son dieci n1esi che non posso pagarle il salario, Cavalier mio bello! È n1iracolo che ella soffra me! (seguita a scrivere) Mi perdoni eh?

VALERIO

un rapporto non sempre facile con i direttori e gli editori dei periodici su cui scrisse. 5. stempererò io 11ella cocoma: 1ni metterò io in infusione nella cuccuma (VESCOVO). 6. Rivista Teatrale: rassegna di cronaca teatrale. L'uso del francesismo n·•vista, presente nell'epistolario e negli articoli giornalistici (cfr. P. V. MENG."LDO, L'epistolan·o di Nievo, cit., p. 210), era d'altronde diffuso sui giornali dell'epoca e nell'uso della borghesia colta, e testimonia di una circolazione dei forestierismi, e dei francesismi in particolare, soprattutto per il tramite dei linguaggi specialistici e delle traduzioni letterarie, come argomenta L. SERIANNI, Storia della li11gua italia11a. Il secondo Ottocento, Bologna, il Mulino, 1990, p. 96 e passim.

TEATRO AMEDBO

Comodo!. .. dunque l'aria di l\tlilano segue a farti male alle ta-

sche? Male alle tasche, peggio al cervello. Tu almeno vai a gonfie vele, e fai chiasso all'Esposizione ... Scusa sai. .. finisco subito. (scrive ancora) AMEDEO A proposito, non ti maravigli di vedermi così per tempo? ... Indovina da parte di chi vengo! . caro A me d eo .... I VALERIO D I. c h"? 1. ... coraggio, AMEDEO Della Contessa la quale vuol prender me, e riprender te! VALERIO Eh cosa c'entra colei? ... Credeva d,essermene sbrogliato. Dopo che due mesi fa mi fischiarono la commedia, sai già che ho perduto il suo cuore. AMEDEO Ora riguadagni la posta! vÀLERIO Me n'imbuscherò 7 , io! AMEDEO Al fatto: jersera venni giù con lei da Como per la festa di ballo della Marchesa, e nel separarci m'ha pregato di domandarti se vuoi farle compagnia stamattina nel ritorno ... VALERIO (balzando dalla seggiola) Subito ... con tanto di cuore ... figurati .... AMEDEO Ah, ah!. .. (ride) ... Ora dirò che la voce pubblica ha torto di volerti autore di quella satiraccia contro la Contessa!. .. Sei cotto ancora!. .. VALERIO La voce pubblica ha torto, non già la satira. AMEDEO Eh va' là, volpone!. .. Presto vedremo il tuo nome sotto l'apologia!. .. A proposito avresti un letto da prestarmi? ... ho ballato fin ora e mi nojerebbe trottare fino al Duomo. VALERIO Sì; il letto credo d'averlo ancora; va' di là a vedere. (seg11a a sinistra) AMEDEO Senti, in confidenza ... giacché vai lassù in campagna, sai che ho domandato al Conte Gherardo la mano della Signora Nina? VALERIO (turbato) Di chi? AMEDEO Eh perdio! della nipotina!. .. Vuoi che gli domandi quella di sua moglie? Non mi ha risposto nulla di preciso, ma se tu mi favorirai di metterci una buona parola: mi capisci già, con prudenza ... VALERIO Ma veramente ... AMEDEO Eh, va' là! ... Siamo intesi!. .. fra amici! ... (sulla porta a si11istra) Addio: avverti la Santina che non mi bastoni trovandomi al tuo posto. (parte) VALERIO

.'

7. Me n'i1nbuscherò: da 'imbuscherare', tenere in poco conto (VESCOVO). Per attestazioni di un uso familiare con il significato di 'infischiarsi', cfr. il riferimento bibliografico citato supra, nell'articolo Libreria del Pu11golo, p. 333, nota I 1.

PINDARO PULCINELLA

SCENA/V VALERIO

solo

Oh che imbroglio!. .. Egli vuol in isposa la Nina! ... La Contessa zia che cerca di me!... E io devo battere ... se fossi matto!. .. (trae di tasca un viglietto) Oh non è a dubitarne! ... questa lettera è sua!. .. angelica creatura!. .. e io la dovrei cedere ad un altro? ...

VALERIO

SCENA V SANTINA e VALERIO

(dal mezzo) Ah traditore!. .. Ecco che viene la Contessa: e diceva d'averla finita! VALERIO La Contessa è qui? ... presto, lo sciallo, il cappello ... SANTINA Ah sguajato!. .. A momenti sì ch'io do fuori affatto 8 !. .. VALERIO E dire che ho in tasca solo quattro lire! Oh ma passerò dal giornalista, che mi deve un sovrano ... SANTINA Lo darà a me quel sovrano .. . VALERIO Abbi pazienza, amica mia ... un'altra volta ... ti darò ... SANTINA

SCENA VI La

CONTESSA BEATA e

detti

Oh caro Valerio! (e,itra11do dal mezzo) VALERIO Quanto incommodo, Signora Contessa! CONTESSA BEATA Via, non è la prin1a volta! SANTINA (facendosi i11 mezzo) Oh molte Signore s'incommodano pel mio caro padrone! (a parte) (Se si cavassero gli occhi tra di loro!. .. Che gusto!) CONTESSA BEATA l\1e ne consolo con voi, caro poeta! SANTINA (a parte) (Che pelle grossa hanno queste gran dame!) VALERIO Se la vuole che cc ne andian10!. .. CONTESSA BEATA No carino ... avanza un'oretta da discorrerla; dabasso ho la carrozza e arriveremo alla Stazione in tempo. SANTINA (a parte) (Vogliono discorrerla! ... che innocenti! cari quei . .,.... ) d 1scors1 VALERIO Parli pure, Signora! (a Sa11ti11a) Va' via! CONTESSA BEATA

8. do fuori affatto: mi arrabbio.

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TEATRO

(pia,io) (Crepa!. .. ) CONTESSA BBATA Vorrei parlare a quattr'occhi! SANTINA (a parte) (Cara la colomba! vuol parlare!...) VALERIO Eccomi ... passeremo di là!. .. (accenna a diritta) SANTINA Ahi Ah! (ride) No, no, vado via io!... (parte dal mezzo ridendo)

SANTINA

SCENA VII

La CONTESSA

BEATA

e VALERIO

Avete ragione, Valerio: io conservo il diritto d'entrare nel tempio delle l\lluse! (avviandosi a diritta) VALERIO (imbrogliato) No, no qui fa più fresco! CONTESSA BEATA Appunto per questo; sono un po' in traspirazione: diamine! lasciatemi andare!. .. (apre la porta a diritta) Oh, che camera alla spartana!. .. Oh povero poeta! le Muse vi hanno rubato le mobiglie!. .. (ride) VALERIO No ... fu precauzione ... perché ... perché non prendessero la muffa!. .. CONTESSA BEATA Ah! Ah! (ridendo) Sapete che la è carina la vostra muffa!. .. Ma consolatevi ... io vengo a compensarvi con una buona nuova ... Mia nipote è innamorata di voi!. .. VALERIO (con gioja) Ah! lo sapeva che era lei! CONTESSA BEATA Ah! lo sapevate? ... (sorpresa) Come mai? ... VALERIO Tanto fa dirla tutta. Ho ricevuto da San Geminiano una di quelle lettere anonime ... CONTESSA BEATA Sì, capisco, di quelle dichiarazioni d'amore che piovono dalle stelle a voi poeti!. .. Datemela che la vegga ... parola d'onore che è pel vostro meglio. ( Valerio le dà 1111a lettera) Caspita! Avete ragione!. .. È lei!. .. che sfacciatella ... (legge) > (I. NIEVO, Poesie, cit., p. s 1, vv. 287-294). Quanto a Pulcinella che •Mesceva al suo solito/ Legnate e epigrammi>>, è la maschera che il popolo, in Drammaturgia popolare, preferisce ai (ibid., p. 41, vv. 31-34) cui N. ha buon gioco di contrapporre un argomento di stringente buon senso: c1Per quali incantesimi/ Il povero popolo/ Cinquanta centesimi/ Può avere d'avanzo?/ Gli paga ella il pranzo?• (vv. 96-100). Il distacco intellettuale nei confronti della maschera è costante negli anni se, da Napoli, scrivendo al fratello Carlo il 9 febbraio 1861, un N. sfiduciato per le manovre dilatorie del governo Nigra ne trova la giustificazione solo •nel popolaccio Pulcinella [che] non si sa cosa pensio, Lettere, n. 502.

INEDITI

NOTA INTRODUTTIVA

IL Libro dei valori. Della ricchezza è menzionato nell'articolo di Mantovani Le opere inedite di Ippolito Nievo, apparso nel 1897 sul ccGiornale storico della letteratura italiana•, che rimane una fonte ancora preziosa per le notizie sulle opere inedite nieviane e per misurare l'entità delle carte nieviane disperse. Di fatto, un frammento manoscritto di sedici carte, scritte solo sulla parte sinistra, che reca il titolo Il Libro dei valori era presente nell'archivio di carte Nievo, raccolto da Luigi Ciceri, custodito presso la vil1a Ciceri di Tricesimo. Il fondo, depositato ora presso la Biblioteca Civica di Udine "V. Joppi" (la storia del fondo Ciceri è ricostruita in Le carte di Nievo. Per tln regesto dei manoscritti autografi, a cura di S. Casini, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 22-25 e 315-320), conteneva infatti, accanto ad un cospicuo numero di lettere di familiari e di corrispondenti nieviani, i manoscritti di alcune opere edite e inedite. Ascritto alle opere 'da farsi', Il Libro dei valori viene da Mantovani collegato ad un altro progetto, L'ideonomia o saggio sul valore delle nozioni, databile secondo il critico al 1857. L'ideonomia è poco più che un titolo, visto che ne rimangono poche righe su un foglio isolato (l'autografo, proveniente dal Fondo Ciceri e composto da un solo foglio, si trova alla Biblioteca Civica di Udine), e di entrambe le opere nessuna menzione è possibile ritrovare né nell'epistolario né altrove per cercare di avvalorare la datazione proposta da Mantovani. Una prova indiretta per datare al 1857 la stesura de Il Libro dei valori può essere costituita dalla presenza nel manoscritto di una breve frase a margine del primo foglio, incongrua rispetto all'argomento del testo. Una frase che ad un esame più accurato si rivela non tanto una variante correttoria dell'opera quanto una prima stesura, poi modificata, di una parte del cap. V de IL Barone di Nicastro, il co11te philosophique che N. pubblica ne tII Pungolo• a partire dal 1857 (si tratta del manoscritto, in origine nel Fondo Ciceri, ora ms. 3941 del fondo principale della Biblioteca Civica di Udine. Sui rapporti fra la tradizione manoscritta e la stampa del Baro11e cfr., supra, la Nota introduttiva di Silvia Contarini, pp. 575-585). È verosimile che nella probabilmente coeva stesura delle due opere N. possa aver utilizzato i fogli del manoscritto come supporto materiale ove registrare un giro di frase, una situazione narrativa da ricordare, per poi trasporla nel romanzo a cui stava lavorando (cfr., i11fra, p. 759, nota 2). Quanto poi all'argomento dell'autografo, occorre ricordare che le prime battute de Il Libro dei valori sono dedicate alla ricerca della ,pietra del paragone», di un'unità di misura certa, su cui comparare la pluralità delle opinioni e dei valori, il che può ricordare per analo-

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INEDITI

gia, e in maniera non solo esterna, la quéte della virtù de Il Barone di Nicastro, dove però la ricerca è fatta per via narrativa e, come è stato notato (cfr. G. MAZZACURATI, Pitagora a New York: per u11a prefaziot1e al ,Barone di Nicastro» di Ippolito Nievo, in lo., Forma e ideologia, Napoli, Liguori, 1974, pp. 269-293), l'ironia dell'autore implicito non era del tutto innocente nemmeno nei confronti dei valori del protagonista.// Libro dei valori mette, invece, in scena un io narrante non più incarnato in un personaggio, bensì vicino alle maschere illocutive, tipiche dell'operetta morale o della riflessione memoriale, a .metà, cioè, tra la finzione e la sincerità dell'io reale. Cifra stilistica, questa, non inusuale nella produzione nieviana e non solo nelle prose giornalistiche ma anche in alcune parti dell'epistolario e in progetti solo annunciati come il libro SullJamore, che avrebbe dovuto essere scritto in uno stile cetra il filosofico e l'umoristico•> (cfr. la lettera ad Andrea Cassa del 3 febbraio 1858, in Lettere, n. 317). Uno stile che si ritrova nella parte centrale dell'autografo, quando nel paragrafo Della ricchezza compare il tema dell'avarizia, che non è isolato nell'universo concettuale e narrativo nieviano poiché, a parte i consistenti accenni ai proprietari dal1e , presenti ne La nostrafamiglia di campagna, nel 1858 egli vi dedica un lungo pezzo satirico sotto forma dialogica, intitolato Dialogo della filosofia con un nuovo stampo d'avaro, comparso nella strenna (supra, p. 212). La critica nieviana dell'economia politica sa trovare anche accenti di cauta giustizia sociale che radicano nella storia del presente tali accenni di moralismo economico, tanto che la Filosofia nel prosieguo del suo discorso può ricordare come