Il profumo nel mondo antico con la traduzione italiana del 'Sugli odori' di Teofrasto

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LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXX

€ 22,00

In sovraccoperta: Aryballos giani/orme a figure rosse. Riproduce,

su ambedue i lati, testa di donna e una civetta sotto l'ansa. VI sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre. © RMN/Hervé Lewandoski.

BIBLIOTECA DELL' «ARCHIVUM ROMANICUM» Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia ------- 499

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GIUSEPPE SQUILLACE

IL PROFUMO NEL MONDO ANTICO CON LA TRADUZIONE ITALIANA DEL «SUGLI ODORI» DI TEOFRASTO

Nuova edizione aggiornata Prefazione di LORENZO VILLORESI

LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXX

Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO S. 0LSCHKI Viuzza del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it

ISBN

978 88 222 6688 O

Si accorse che non c'era moto dell'animo che non avesse una corrispondenza nella vita dei sensi e tentò di scoprire le loro vere relazioni domandan­ dosi perché l'incenso spinge al misticismo mentre l'ambra eccita le passioni, le violette risvegliano il ri­ cordo dei motti amori, il muschio turba l'intelletto, la magnolia ravviva l'immaginazione. Più volte cercò di elaborare una vera psicologia dei profumi calcolando le varie influenze di radici odorose, di fiori ricchi di polline, di balsami aroma­ tici, di legni fragranti: il nardo che illanguidisce, la hovenia che rende folli, l'aloe che, dicono, libera l'a­ nimo dalla malinconia. OscAR WILDE, II ritratto

di Dorian

Gray

PREFAZIONE

Questa pubblicazione contiene la prima edizione in italiano con testo greco a fronte del Sugli Odon· (nepi �rov) di Teofrasto, presentata unitamente ad una raccolta di brani di altri importanti autori sulla profumeria nel mondo antico. È un'opera di importanza straordinaria perché rende per la prima volta accessi­ bili anche al grande pubblico dei non addetti ai lavori testi fino a oggi pressoché sconosciuti, mantenendo al tempo stesso un'impostazione scientifica. L'idea di Giuseppe Squillace è indubbiamente quella di offrire una pano­ ramica più completa possibile del mondo degli aromi e dei profumi dell'anti­ chità. Vengono così alla luce, sulla base di traduzioni serie e rigorose, testi af­ fascinanti e di impressionante ricchezza, mentre si apre la strada a nuovi studi sui profumi nel mondo antico. Mai prima d'ora erano stati pubblicati i nomi storici dei profumieri di allora, le ricette dei loro profumi più famosi, l'elenco minuzioso degli ingredienti di quell'epoca, insieme alla più completa biblio­ grafia sull'argomento.

LA

VISIONE DEL MONDO DEGLI AROMI ALL'EPOCA DI TEOFRASTO

Quale poteva essere lo sguardo degli antichi verso l'universo delle fragran­ ze? Come possiamo metterei nei panni di un contemporaneo di Aristotele e di Teofrasto e guardare il mondo con i suoi occhi, in particolare il mondo degli aromi? In un'epoca nella quale ci si interrogava sulle origini di tanti fenomeni ancora ignoti cercandone la causa prima, aromi, profumi e odori apparivano forse come uno dei modi nei quali si manifestavano l'essere e la natura. Gli antichi furono particolarmente colpiti da tutto ciò che coinvolgeva profondamente i sensi. Proprio gli aromi più forti e intensi attirarono l'atten­ zione dei popoli dell'antichità che ne fecero uso in ambito religioso, alimen­ tare e cosmetico. Come nei poemi omerici l'attenzione del narratore si soffer­ ma spesso su ciò che colpisce l'occhio' così, riguardo agli aromi, ciò che 1 Si parla di agili membra, di forti braccia e di veloci gambe in movimento, ma anche di nuvole spinte dai venti, di mare schiumoso in tempesta, di vele che si gonfiano, di acque che si scagliano violentemente contro le navi. Iliade e Odissea, passim.

-VII-

PREFAZIONE impressiona maggiormente gli antichi è ciò che colpisce il senso dell'odorato, provocando in tal modo una forte emozione: il calamo, il costo, il galbano, l'i­ cis, il nardo sono tutte radici o rizomi dal profumo intensissimo, al pari di spe­ zie come cassia/cannella, cardamomo, cumino, menta, timo, mirto e salvia, per citare alcune tra le più apprezzate. Lo stesso vale per legni come sandalo e ce­ dro e fiori come rosa, geranio, lavanda e meliloto. Per non parlare poi di tutte le resine odorose, gli incensi - mirra, benzoino, incenso, opoponax, storace veri e propri cristalli magici, ricettacoli di un'altissima percentuale di essenza, capaci di sprigionare una fragranza particolarmente intensa, quando veniva­ no scaldati sulle pietre poste intorno ai fuochi o arsi nei bracieri. È intorno a questi aromi straordinari che nascono miti e leggende di amore e seduzione, di legami incestuosi, di nascite e morti: le storie di Adone e Mirra, di Mrodite e Persefone, di Menta, Narciso, Mirto, Giacinto, di Dioniso, della Fenice e mol­ ti altri di cui si narra nei testi antichi e nei brani presentati in questo volume. Quando si pensa alla visione del mondo degli antichi vengono in mente film come Medea di Pasolini, a cavallo tra la storia e il mito, tra un'epoca re­ mota e la leggenda. Ma è davvero possibile immaginare lo sguardo di un uo­ mo dell'epoca di T eofrasto come assolutamente libero da sovrastrutture mentali riguardo agli aromi? Probabilmente no. Nel Sugli odori il filosofo peripatetico porta alla nostra attenzione uno spaccato della realtà del suo tem­ po, il IV-III secolo a.C.: idee, usi e consuetudini intorno agli aromi, che in buona parte appartenevano alle età precedenti. Un uomo colto di quell'epoca si trovava circondato da un'immensa teoria di miti e leggende molto più anti­ chi della sua generazione, sentiva intorno a sé favole che avvolgevano di mi­ stero le terre dalle quali provenivano gli aromi, assisteva a riti e cerimonie re­ ligiose nelle quali le piante aromatiche avevano un ruolo di rilievo, ascoltava le indicazioni dei medici sulle proprietà e i benefici terapeutici delle essenze. Quale poteva essere la visione del mondo di un greco dell'età di Teofrasto? La natura era una continua fonte di meraviglia e mistero: il moto delle stelle di

> La leggenda sulla Fenice è emblematica: uccello sacro dd Sole e degli aromi, unico della sua specie, sempre uguale a se stesso, l'araba Fenice disponeva di mirra e incenso per costruirsi il nido. Aveva alcune penne d'oro, altre di color rosso vivo. Non lasciava mai la terra degli Arabi se non per recarsi al santuario dd dio Sole. Col passare degli anni, solo la fiamma profumata degli aromi riusciva a restituirle tutto il passato vigore. Ormai vecchia, si costruiva un nido di rami di incenso, lo inon­ dava di profumi e vi moriva, arsa dal fuoco solare, per poi rinascere dalle proprie ceneri. Si nutriva solo dei raggi più luminosi dd Sole, dei vapori eterei pottati dai venti marini, delle lacrime dell'in­ censo più puro. Sul tema vedi: Erodoto, Storie II 73 (testo 9.1 in Appendice documentaria); ma anche M. DETIENNE, Dioniso e la pantera profumata, trad. it. Roma-Bari 1987, pp. 3 ss.; F. ZAMBON A. GROSSATO (a cura di), Il mito della Fenice in Oriente e in Occidente, Venezia 2004; F. LECOCQ, L'oeuf du phénix. My"he, encens et cannelle dans le mythe du phénix, «Schedae>>, XVII. 2, 2009, pp. 107-130. -

VITI

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PREFAZIONE notte, l'alternarsi delle stagioni, la nascita, la crescita e la morte degli animali e delle piante. n mondo conosciuto non era vasto e la possibilità di viaggiare era appannaggio di pochi. Se si escludono mercanti e soldati - come i reduci della spedizione in Asia di Alessandro - la maggior parte delle persone doveva accon­ tentarsi di racconti recuperati solo per via indiretta. Le difficoltà del viaggio da­ vano alla distanza il suo pieno significato. Le piante e le radici portate da paesi lontani avevano ancora l'inebriante gusto dell'esotico. n loro profumo parlava delle impervie montagne dell'India, delle distese deserte dell'Arabia Felix, della Via degli Incensi e della Via delle Spezie, di piante, alberi e cespugli sconosciuti. Storie vere mescolate a fiabe incastonate in paesi lontani, storie trasfigurate dal­ l'immenso e misterioso universo del mito: un insieme variegato e controverso non sempre semplice da decifrare di fronte al quale si trovò anche Teofrasto.

ORIGINALITÀ DI TEOFRASTO

C'è qualcosa di estremamente nuovo e fresco nel filosofo di Ereso. Supe­ rando queste sovrastrutture culturali, per la prima volta egli affrontava il mon­ do degli odori in modo scientifico, in linea con l'impostazione trasmessagli dal maestro Aristotele e seguita all'interno del Liceo. Teofrasto guardava il mon­ do degli aromi con l'occhio attento dell'osservatore guidato da infinita curio­ sità. Fu il primo studioso degli odori: nessuno prima di lui aveva trattato l'ar­ gomento in modo così sistematico. Fu il primo a spiegare la preparazione dei profumi e il loro impiego, descrivendo tutto il percorso necessario per mettere a punto una fragranza in modo 'armonico', senza che uno o più ingredienti prevalessero sugli altri.3 Si interrogò sulla natura degli odori, come già Aristo­ tele, ma in modo ancora più analitico, per comprenderne i numerosi misteri, che in molti casi resteranno tali fino al secolo scorso. Teofrasto superò la sem­ plice ripartizione in odori più o meno piacevoli effettuata da Platone e seguita anche da Aristotele.4 Fu il primo a trattare il tema della composizione di un profumo e della sua creazione da un punto di vista artistico 5 e pose già allora un problema, molto attuale anche per il profumiere di oggi, riguardante gli ingredienti naturali: non sono mai uguali a se stessi e, di conseguenza, una fra3 Teofrasto, Sugli odori 57, capitolo nel quale il filosofo sottolinea la necessità di creare una fra­ granza equilibrata non dominata da un solo ingrediente. 4 Platone, Timeo 66d-67a; Aristotele, Sull'anima IX 421a-422a; Sul senso V 442b-445b. Vedi testi nn. 5.1-5.3 in Appendice documentaria. s ll filosofo parla infatti di 'combinazione delle essenze' (Teofrasto, Sugli odori 8); di 'amalgama' tra le diverse componenti' (Teofrasto, Sugli odori 19); di accostamento tra odorato e olfatto (ivi 9); di mancanza di regole precise nell'accordo e nella mescolanza delle essenze (ivi 37).

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IX

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PREFAZIONE

granza con essi composta è suscettibile di essere diversa di volta in volta. 6 Teo­ frasto fu forse il primo a porsi il problema della volatilità e della persistenza delle materie aromatiche.? Arrivò a un passo dal trovare la chiave della solu­ zione quando parlava della macerazione delle spezie8 osservando come, essen­ do sottile, la fragranza di rosa evaporasse rapidamente lasciandosi sovrastare dalle altre componenti aromatiche.9 TI Sugli odori è anche ricco di considerazioni precise, estremamente attuali come, ad esempio, l'osservazione in base alla quale il miglior eccipiente per diluire gli aromi deve essere «un olio dotato di una minor profumazione pos­ sibile».10 Teofrasto riferiva dell'impiego di coloranti per profumi e cosmetici, indicava in luce e calore i nemici dei profumi e osservava che l'esaltazione del­ le note odorose e la conservazione delle essenze dipendevano dalla tempera­ tura.11 Inoltre, notava - una constatazione, questa, evidentemente valida per tutte le epoche - che alle donne piacevano le fragranze persistenti 12 e rilevava la vicinanza tra gusto e olfatto evidenziando come nessun sapore fosse sguar­ nito di odore e nessun odore potesse essere senza sapore. 13 Infine rimarcava come i profumi emanassero un odore dolcissimo se spalmati sul polso (per que­ sto motivo i profumieri li testavano su questa parte del corpo) 14 ed estendeva l'uso delle fragranze alla profumazione dei vestiti, del letto e dei mantelli. 15 6 Secondo il filosofo il tutto era determinato dalla stabilità della stagione, o dal periodo di rac­ colta delle sostanze odorose: Teofrasto, Sugli odori 37· 7 Teofrasto, Sugli odori 12: «Occorre domandarsi inoltre per quale motivo i fiori e le altre com­ ponenti odorose usate nella preparazione delle corone, pur avendo un profumo assai tenue riescano tuttavia a emanarlo fino a grandi distanze, mentre l'iris, il nardo e altre sostanze secche dotate di pro­ fumazione assai intensa riescano a renderlo percepibile solo da vicino». Vedi anche Sugli odori 56, nel quale risulta interessante l'osservazione del filosofo secondo il quale nardinon e irinon «rimanevano più a lungo». Per quanto riguarda il nardinon la maggiore persistenza era senz'altro dovuta in primo luogo alla presenza, nella formula, del nardo stesso, una ferula simile alla valeriana, ma anche all'im­ piego nella composizione di ingredienti come il costo (una radice) e la mirra, una resina particolar­ mente persistente. 8 . Ma atVOJlEVa oiorom nva ÒcrJlTJV, ffiaìç, oìov ai 'tcOV aKpoopurov lCaÌ à1tt(I)V lCaÌ JlTJÀrov . au'tat yàp OVEU 'tilç 1tpocrcj>opaç ftOEtat, lCaÌ JlaÀÀOV OOç EÌ1tEÌV. O'Ù Jl'IÌV àì..ì.. ' cOç y' a1tì..ffiç OtEÀEÌV ai �v EÌcrt Ka9' a'Ù'tàç ai OÈ 1Ca'tà O'UJlf3Ef3111CÒç· ai Jlèv 'tcOV xuì..fvfi KaÌ 'tilç 'tpocj>Tjç Ka'tÒ O'UJlf3Ef31lKÒç, ai o' ciXmEp 'tilç ÒVa1tVoTjç 1Ca9' a'Ù'taç. OOç yàp È1tt1tav 'tà EUOcrJla, Ka9a1tEp KaÌ 1tpO'tEpov ÈÀÉXEhl oucrxuì..a Kaì cr'tpucj>và Kaì im6m1epa. E.vw oÈ 'trov E{)xuì..rov Kaì KaKcOOll , Ka9a1tEp

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TEOFRASTO, «SUGLI ODORI»

Alcune infatti presentano l'odore della materia, anche se questo non vale per tutte. Molte sostanze infatti, sebbene siano state generate da un processo di putrefazione, non emanano cattivo odore, come i funghi che nascono dallo sterco; altre, invece, ugualmente nate per putrefazione, messe insieme, emana­ no cattivi odori. In sintesi, tutte le sostanze cotte, delicate e poco legate alla terra presentano una profumazione gradevole. E infatti la genesi dell'odore sta nella sua diffusione aerea. Viceversa hanno cattivo odore tutte le cose do­ tate di natura differente. E tuttavia, come molte sostanze dolci al gusto mo­ strano una certa asperità, così anche molte sostanze dall'odore gradevole pos­ sono procurare qualche fastidio all'olfatto. 4. GLI ODORI DEGLI ANIMALI 4· Tutte le cose, animali, piante, esseri inanimati dotati di odore, possiedono una loro peculiare profumazione. Molti odori non ci risultano percepibili dal momento che noi abbiamo, per così dire, un pessimo olfatto. Infatti le cose che ci sembrano prive di profumazione sono percepite dagli altri animali, come l'orzo di Cedropoli per le bestie da soma le quali non lo mangiano per il suo tan­ fo. In realtà noi non percepiamo nemmeno l'odore di quegli animali che sembra­ no emanare un loro tipico sentore. Ora, nessun animale pare trarre piacere di per sé dalla soavità di un odore, se non da quelli legati al cibo e alla sfera sessuale. E infatti alcuni animali sembrano essere infastiditi dagli aromi anche se grade­ voli, se è vero quanto raccontano a proposito degli avvoltoi e degli scarabei. In realtà, per dirlo in forma più chiara, ciò si verifica poiché essi sono per natura intolleranti a questi. Perciò bisogna prendere in considerazione separatamente il temperamento e la capacità di percepire gli odori propri di ciascun animale.

5 . ANALOGIE E DIFFERENZE TRA GUSTO E OLFATTO 5· Alcuni profumi risiedono negli alimenti come quelli contenuti nelle bac­ che, nelle pere, nelle mele. Esse infatti emanano un profumo dolce - e direi quanto più intenso - se non le consumiamo. In ogni caso, per fare una distin­ zione generale, alcuni profumi esistono di per se stessi, altri invece sono acci­ dentali. Sono accidentali quelli legati al gusto e all'alimentazione, esistono in sé quelli che si annusano. Come detto, ciò che emana un buon odore in genere presenta un gusto sgradevole, aspro e alquanto amaro. Invece alcune sostanze che hanno un buon sapore presentano un odore sgradevole, come la cosiddet-

I?

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PARTE PRIMA

1mì 'tÒ A1:yU7tnov KaÀOuJ!Evov Kov, yJ.:uKù òv. Kaì Et !l'lÌ 7tav'taxou àll' Èvtaxou KaÌ lÌ apKE'U8oç EJlxotç, amat Jl.ÈV avEpòv O'tt 1tÉ.'IflV EKacr'tat AaJlf3 8EpJ.1Q}. E:v oè 'totç Ò'lfÒXOtç 'tatç 'tCÒV à1tA.còv ouvaJ!Ecrt Kaì yivov'tat Kaì J.1E8tcr'tav­ 'tat Ka8a1tEp oi xuA.oL

"Ocrat Oè OTÌ Ka'tà 'tèxv11v Kaì È7ttvotav yivov'tat 1tEpÌ 'tomrov 1tEtpa'tEOV El1tEÌV c001tE p KaÌ 1tEpÌ 'tCÒV xuA.còv. EV OJlOÌV OÈ BT\A.ov OOç àEì 7tpòç 'tÒ �E:A.nov Kaì ilotov �v ÌlllÌv it àvaopa . micra yàp 'tÉXVll O''tOXaçE'tat 'tOmCOV. ElO'Ì Jl.ÈV OÙV KaÌ 'tOtç ÒJltK'tOtç ÒO'Jlat 'ttVE 'tatç 'tCÒV xuA.còv E'ÙO''tO. où JllÌV àA.A.' cOç y' à7tA.còç El1tEÌV EV Jlii;Et 'tÒ 7tAEOV, KaÌ omroç ai OOOÌV Jl.ÈV 00ç 'tql yÉVEt Aa�ÌV, 'ÙypOU Kaì l;11pou . 'tptxcòç oè yivov'tat o'tav iì ÒJlOYEvèç ÒJlOYEVEÌ, iì 7tapalla't­ 'tov 'tQl 1tapaA.A.auovn, iì ùyp q> ùypòv iì l;llPcP l;11pòv, l;11pov>. 7.

l In questo caso ho preferito tradurre la vox media ÒO)!Tt con 'profumo' piuttosto che con 'odore' considerato il riferimento successivo dell'autore a sostanze aromatiche tratte da rami, foglie, corteccia, frutti e resina delle piante.

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TEOFRASTO, «SUGLI ODORI,.

ta ficus aegyptia,4 che è dolce non ovunque ma solo in alcune regioni. Allo stesso modo anche il cedro del Libano 5 presenta un sapore dolce, produce tanfo se masticato, rende profumata l'urina. 6. GLI ODORI DELLE PIANTE

6. Dal momento che tra gli odori alcuni si trovano nelle piante e in parti di esse, come rami, foglie, corteccia, frutti, resina, altri, in funzione della distin­ zione che ho fatto, negli animali, [nelle piante] e negli esseri inanimati, è chia­ ro allora che ciascuno di essi raggiunge la maturazione nella propria sede di origine. ll profumo e l' olezzo sono legati all'originaria natura, la maturazione invece è connessa al calore innato. Negli esseri inanimati, invece, gli odori, co­ me i sapori, si generano e modificano in funzione delle proprietà degli elemen­ ti semplici che li compongono. 7-8. ODORI OTI'ENUTI ATTRAVERSO LA TECHNE 7· Adesso occorre parlare di quegli odori e quei sapori che sono prodotti attraverso l'arte (techne) e su preciso disegno.6 In entrambi i casi è chiaro che miriamo sempre a ciò che risulta migliore e maggiormente gradevole. Del resto ogni techne persegue questo obiettivo. Ora, esistono alcuni profumi anche nel­ le sostanze semplici, per ottenere i quali gli uomini ricorrono a procedimenti artificiali, così come per ricavare sapori gradevoli. In ogni caso, per dirla in for­ ma semplice, il risultato deriva da una mescolanza. Si combinano due elementi di natura diversa: umido e secco. Ci sono tre tipi di combinazioni: tra compo­ nenti dotate di natura simile, o tra componenti dotate di natura differente, vale a dire tra una sostanza umida e una sostanza umida, o tra una sostanza secca e una sostanza secca, o .

4 l:iiKov/mllcii (Ficus Carica): albero che cresce in Egitto dotato di svariate proprietà medicinali: Teofrasto, Ricerche sulle piante I 5,1-3; I u,2; Dioscoride, Materia Medica I 183; vedi S. AM:iGUES, Theophraste. Recherches sur /es plantes, V, Paris 2006, s. v. , p. 336. Sull'etimologia dei nomi di pianta: J. ANDRÉ, Lexique des termes de botanique en latine, Paris 1956; A. CARNOY, Dictionnaire étymolo­ gique des noms grecs de plants, Louvain 1959; P. CHANTRAINE, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Historie des mots, Paris 1999 ' . 5 "ApJCe'lllloç (juniperus Communis o Juniperus Phoenicea): Teofrasto, Ricerche sulle piante I 9,3; Ill 3,3; V 7,6; Dioscoride, Materia Medica I ro5; AM:iGUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., ss.vv. , p. 272. 6 n riferimento è a composizioni odorose e a preparati alimentari creati dall'uomo. -

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PARTE PRIMA

8 . ' EK O'UOtV yàp 'tOl>'tffiV KaÌ li 'tiDV XUMOV KaÌ 'tiDV ÒcrJ.LCÒV yÉVEv8EcrJ.La 'tOOV I;TIPIDV icrxupÒ'tEpa Èyyu8EV· KaÌ evta yE xpocrEvEyKaJ.LÉvotç, evw oÈ Kaì -rpblfEroauÀ.trov, aJ..la o ' Èv 'tOU'totç 1tOtEtV· OptJ..lU'tTI'ta yàp EXEt 'tÒ 'tOOV piaç E.vta À.aJl�avEt 'lft>Xpà Kaì a1tupro'ta. Kaì E.otKEV rocr1tEp 'tcOV av8rov 'tà Jl.ÈV 'lfVXPO�a7tocr'tt>'lflv Kaì 'tàç Kt>ptaç ÒcrJ!àç ÈVtcr'taJlÉVO>V 'tcOV àyyEtO>V ÈV u()an 'YlVE'tal KaÌ ouK au'tqi 'tql 7tt>pì XPO>J!Évrov . 'tO'Ù'to ()' on JlaÀ.aKitv et vat Bei TJÌv 8EpJ!O't11 'ta, Kaì a1toucria 1tOÀ.À.ft yÉvot 't ' dv Tij q>A..oyì XPO>Jl.Évrov, KaÌ E'tt Ka'Ùcrtv dv oçot. 22.

23 . TiotEt O ÈÀ 'tÌlV àooooiav ocra 1tt>pOUJ!EVa À.aJll3écvEt 'tàç Kt>­ piaç Òc:JJ.làç JlàÀ.À.Ov ft ocra 'lf'UXpà pOUJ!EVa, 'tà

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TEOFRASTO, «SUGLI ODORI,.

20. Tra tutti gli oli il più ricettivo è quello di sesamo; al contrario quello di mandorle amare invecchia velocemente e dura pochissimo. Infatti l'olio in gra­ do di assorbire pochi aromi muta assai velocemente. Per la sua densità l'olio di sesamo riesce ad assorbire meglio di altri l'essenza di rosa (rhodinon) '9 e, quando è accostato al fuoco, emana, quasi sprigionandolo, un caratteristico odore di sesamo. Questi dunque sono i tipi di oli e le loro proprietà.

2 1 -26. lL TRATTAMENTO DELLE SOSTANZE AROMATICHE 21. Gli aromi e quasi tutte le fragranze profumate, tranne quelle estratte dai fiori, sono secche, calde, astringenti e piccanti. Alcune poi, come detto in precedenza, hanno un certo sentore di amaro, come l'iris,20 la mirra,21 l'in­ censo 22 e, in genere, le resine profumate. I profumi hanno in comune le se­ guenti proprietà: sono astringenti e in grado di produrre calore. 22. Tutte le spezie diventano astringenti quando sono esposte al fuoco, an­

che se alcune di esse, di natura fredda, sprigionano comunque la loro fragran­ za senza l'ausilio del fuoco. Come tra le tinture ottenute dai fiori alcune si ap­ plicano calde, altre fredde, lo stesso pare avvenga per i profumi. La bollitura, finalizzata sia a restringere il composto, sia a separare gli oli essenziali, viene effettuata in recipienti pieni di acqua in modo tale che le spezie non vengano in contatto diretto con il fuoco. In questa operazione occorre un calore blan­ do dal momento che, aumentando la temperatura e usando il fuoco diretta­ mente sulle sostanze odorose, ci sarebbe il rischio di bruciarle. 23 . In ogni caso si rovinano di meno le componenti odorose che rilasciano il proprio profumo grazie all'esposizione al calore, che non, al contrario, quel-

'9 Sul rhodinon vedi in/ra. w •lptç (Iris Germanica ma anche Iris Fiorentina e Iris Pallida). Se ne utilizzava la radice: Teofra­ sto, Ricerche sulle piante I 7,2; N p; VI 8,3; VII 13,1-2; IX 7,3-4; IX 9,2; Dioscoride, Materia Medica I x; Plinio il Vecchio, Storia Naturale XXI 19; 83; AMIGUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., s.v. , p. 291. Vedi Tabelle in appendice. l:!lU,va/IJ.Uppa (Commiphora My"ha) : Teofrasto, Ricerche sulle piante N 4,12; IX 1,2; IX x,6; IX 4,x-xo; IX 7,3; Dioscoride, Materia Medica I 77; I 78; AMrGUES, Theophraste. Recherches sur !es plantes, V, cit., s.v. , p. 335· Vedi Tabelle in appendice. •• Ai.j3avoç/ì..tflavon:6ç (Boswellia Sacra): Teofrasto, Ricerche sulle piante N 4,14; IX x,6; IX 4,1-xo; IX n,3; IX n,xo; IX 2o,x; Dioscoride, Materia Medica I 8x; AMrGUES, Theophraste. Recherches sur !es plantes, V, cit., s.v. , p. 308. Vedi Tabelle in appendice. Di mirra e incenso si utilizzava la resina fatta sgorgare dalla corteccia dell'albero attraverso apposite incisioni. :u

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PARTE PRIMA

�v OtVQ> EUcOOE t, 'tà o' UOO'tt · �TIOV yàp àva1ttVEt· 'tà OÈ 'lfUXpà !;llpà ov'ta J.uiA.A..ov Ka8a1tEp l.ptç K01tEtcra. AaJ..L JXlvov'toç yàp 'tOÙ àJ..Lcj>opÉroç !;11paç tptooç 1CE1COJ..LJ.É.L V'Tlç J..LÉOtJ..LVOV KaÌ 000 ftJ..LtElC'ta 1tOAA'JÌV 1tOtEtV cjlacrìv à1toooiav, Èàv oÈ J..LE'tptroç cjlupa� A.Et1tEtv ocrov ooo xoaç, 'tOtç OÈ 1tOÀÀ..Otç EAa't'tOV. 24 . riVE'tat OÈ ['tÒ] f3ÉAnov 'tÒ tptvov Èàv ù !;llpà KaÌ à1tUpOYtoç Tt tptç· àKpa'tEcr'tÉpa yàp it M>VaJ..Lt ç iì Èàv cjlupa8eicra Kaì 1tUpOUJ..LÉVll. cruJ..LJ3atVEt o' cOmtEp lCOÌ È1C8At�cr8at J..LaAV A..o ÈlC 'tcOV 1tp01tEcjlupaJ..LÉVffiV Otà 'tÒ �TIOV àvaotxecr8at Kaì EAKEtV EÌç a'Ò'tO· 1tpocrwcjloV'tEç o' ou 1toA.ùv xpòvov Èrocrt 'tà àproJ..La'ta àA.A.' Èl;mpoùmv, o1troç J..L'IÌ 1toA.ù ÈK1tt vrocrt. 2 5 . llpòç EKacr'tov oÈ 'tiDV J..LU prov ÈJ..L f3aA.A.oum 'tà 1tp6crcjlopa 'trov àproJ..LU'tffiV OtOV Etç J..LÈ V 't'JÌV 1CU1tpov KapOUJlffiJ..I.O V àcr1taA.a8ov àvacjlu­ pacraV'tEç 'tql EUCÒOEt. Eiç OÈ 'tÒ pòotvov crxoi vov àcrnaA.aeov KaA.a­ J..LOV Tt o' àvacjlupacrtç ÒJ..Lo iroç. Kaì 'tOtç &A.A.otç a OEt 'tà àpJ..LO't'tOV'ta.

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TEOFRASTO, «SUGLI ODORI,.

le trattate a freddo. Le prime, sottoposte a ebollizione, vengono fatte macerare alcune in vino odoroso, altre in acqua. Infatti così esse assorbono di meno. Viceversa le spezie trattate a freddo, essendo secche, hanno una maggiore ca­ pacità di assorbimento, come i rizomi di iris triturati. Infatti se si mette un'an­ fora 23 di radice di iris triturata in un medimno 24 e due emiecte 25 di olio, si dice ci sia una grande perdita. Se il composto è lasciato macerare a sufficienza, si perdono quasi due congi. 26 La perdita è minore per altre sostanze. 24. L' irinon 27 diventa più intenso se estratto dalla radice secca di iris e non sottoposto al calore, poiché in questo modo la sua fragranza risulta più natu­ rale, che non se sottoposto invece a macerazione e bollitura. Capita poi che le sostanze lasciate a macerare rilascino di più la loro essenza se assorbono meno olio e non se ne impregnano. Perciò (i profumieri) quando queste hanno or­ mai liberato la loro essenza, non le lasciano a lungo nell'olio, ma le tolgono affinché non ne assorbano una quantità eccessiva. 25. Nella creazione di ogni profumo intervengono determinate sostanze aromatiche. Ad esempio, per preparare il kypros occorre il cardamomo 28 e l'a­ spalato 29 dopo aver fatto macerare le due sostanze in vino dolce. Per prepa­ rare il rhodinon 30 occorre giunco/' aspalato e calamo 32 sottoposti anch'essi a

>J Unità di misura corrispondente a I metretes. Equivaleva a 38,88 litri all'epoca di Solone (inizio dd VI secolo a.C.), a 39,29 litri in epoca successiva. "" Unità di misura impiegata per il grano. Nd sistema ateniese equivaleva a 48 chenici, cioè 52 litri. >s Mezw moggio, vale a dire 4,5 litri. >6 n congio o boccale equivaleva a circa J,25 litri. >7 n profumo di iris. Dioscoride, Materia Medica I 66. Sulla pianta vedi supra. >li KapOOIJ.OJ!lOV (Elettaria Cardamomum): Teofrasto, Ricerche sulle piante IX 7,2-3; Dioscoride, Materia Medica I 5; AM!GUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., s. v. , p. 295. Vedi Tabelle in appendice. >9 'Aaruiì..a9oç (Alhagi Maurorum): Teofrasto, Ricerche sulle piante IX 7,3; Cytisus Lanigerus: Dioscoride, Materia Medica I I9; AMIGUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., s.v. , p. 272. Vedi Tabelle in appendice. Jo Profumo di rosa. Sulle diverse specie di rosa: Erodoto, Storie VIII I38,2-3 (testo n. Ip in Ap­ pendice documentaria) ; Teofrasto, Ricerche sulle piante VI 6,6 (centifolia); I 9.4; I IJ,I-5; IV 8,7; IV IO,J; VI I,I-J; VI 6,4-6; VI 8,2-6; IX I9,I; Dioscoride, Materia Medica I 53; I IJO; Plinio il Vecchio, Stona Naturale XXI IO (testo n. I p in Appendice documentaria); AMIGUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., s. v. , p. 330. Vedi Tabelle in appendice. l' I:xo'ivoç (Cymbopogon): Teofrasto, Ricerche sulle piante IX 7,I-3; Dioscoride, Materia Medica I I6; AMIGUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., s.v. , p. 339· Vedi Tabelle in appendice. J> Kaì..a!J,oç (Acorus Calamus): Teofrasto, Ricerche sulle piante IV 8,4; IX 7,I-3; Dioscoride, Ma­ teria Medica I I?; AMIGUES, Theophraste. Recherches sur les plantes, V, cit., s. v. , pp. 293-294. Vedi Ta­ belle in appendice. -

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Tqi pooi. VCQ o' ÈJ..L �aA.A.ov'tat x:aì aA.eç 1tOAAOÌ x:aì 'tO'Ù't' Hhov 1tapà 'taA.A.a, OtÒ x:aì 1tAel �aÀ.avivq> xupì JlaÀ.aKql UÒrop É1ttXEÌV 8epJ.10V· KaÌ 'tÒ EÀ.atOV E'lfEcr8at ocx' "ÌlJ.lÉpaç KaÌ OCKa WK'taç, eÌ'ta omroç 't1ÌV PTJTIVTJV ÉJ.1�Mecr8at KaÌ 'tV' 'tep 'tÒ OÌlCEtOV a 0ta1t(l yap ecrn nç OÌ1CEta Ka'tà 'tilv Kpacrtv. amat O ftOEtat JlÈV 1CaÌ Ka8apaÌ Kaì Ka'tà 'tàç àKJ.Làç Kaì O'tav di exrocrtv Éau'trov, en OÈ itoiouç à1taA.còv Kaì vÉrov ov'trov. 1tAEtO''tat OÈ Kaì lCOKroOÉcr'ta'tat 1tEpÌ 'tàç ÒXEtaç KaÌ OÀ.roç O'ffiJlU'tffiV· otò Kaì oi 'tpayot Kaì oi eA.acpot Kaì A.ayoì Kaì 'tÒA.Aa 'tO'tE JlaÀ.tcr'ta oçEt.

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TEOFRASTO, «SUGLI ODORI»

57-58. LA PREPARAZIONE DI POLVERI FRAGRANTI (DIAPASMATA) E COMPOSIZIONI AROMATICHE (SYNTHESEIS) 57· Riguardo alla mescolanza di sostanze secche da cui si ottengono polveri

profumate6' e composizioni aromatiche, non interessa parlare dell'unione di al­ cuni ingredienti, ma di come un profumiere riesca ad armonizzare al meglio sia gli elementi più rari, in modo tale da comporre un profumo magnifico e dolce, sia gli ingredienti più a portata di mano. Per questa operazione (i profumieri) hanno bisogno di mescolare tutti gli ingredienti. Durante questo procedimento si preoccupano e si sforzano di creare una fragranza che non sia dominata da un solo componente ma sia costruita sull'armonia di tutte le note aromatiche. Per questo motivo, a distanza di qualche giorno, essi aprono il contenitore, rimuovo­ no l'ingrediente profumato dominante e aggiungono una piccola quantità di spe­ zie dall'aroma intenso come t passo corrotto t tuttavia non sempre fanno delle ag­ giunte come nel caso dell'erysiskeptron,62 del quale si è parlato poco prima. 58. Si lasciano macerare mescolandole le sostanze odorose in vino fragrante. Pare che questo procedimento sia utile nella produzione dei profumi, dal mo­ mento che gli stessi profumieri ne fanno uso. Le composizioni aromatiche (syn­ theseis) hanno lunga durata. Esse trovano impiego nella profumazione dei ve­ stiti e, sotto forma di polveri odorose, in quella del letto: l'obiettivo è di portarli a contatto diretto con la pelle. t passo corrotto t Alcuni in passato hanno messo a macerare le sostanze aromatiche in vino odoroso per ricavare il profu­ mo, altri le inzuppavano mescolandole in latte, miele e vino, altri ancora in latte e miele. In ogni caso entrambi questi procedimenti sono efficaci per ottenere un buon profumo. Le composizioni aromatiche durano comunque a lungo. Da quanto è stato detto in precedenza risulta chiaro che le sostanze secche, mesco­ late ad altre sostanze secche, acquisiscono un profumo ancora più intenso.

59-60. GLI ODORI PECULIARI DEGLI ANIMALI 59· Gli odori degli animali sono rapportabili alla loro natura. Infatti ciascu­ no ha un sentore peculiare che si accorda alla sua particolare composizione. Tali odori sono dolci e puri quando l'animale è nel fiore dell'età e in buona 6' Sul significato di liu:iltaaullacr'tòv OÈ cl>aivE'tat Kaì l.owv 'tÒ O"Uil7tclUila'ta KaÌ 'tà à1tocr'tltlla'ta OtaXÉOV'ta lCaÌ alla 1tAEt(l) 'tcOV 1Ca'tà 'tÒ crrolla owA.A.oto'Ùv'ta, Èm7toA.lic; flÈv àMà Kaì 'tà Èv f3a9Et, oìov, iiv ne; Ka'ta7tAcl01J 'tà im:ox6vopta Kaì 'tÒ crTI;9oc;, EÙ9ù crùv 'totc; Èpuy­ llotc; à1tooioromv EÙcbùEtc; 'tàc; Òcrllac;. 61.

62. "Evta OÈ KaÌ Etc; OUp'JlO'tV iiyEt, O"UVEI;osEtV 1t0to'ÙV'ta ama. En OÈ 'tomou f..lEtsov, on Kaì à1tò TI;c; KEcl>aA.iic;, iiv ne; Ka'ta7tAcl01J, oiorom 'tÌlV ÒO'IlÌlV dc; 'tà oùpa 'tà a7tÒ 'tcOV àpffillcl't(l)V. È1tEt YE lCOtA.iav lCtVEt Kaì ;, l.ptc; 00cr7tep ÈAÉXS'fl · 7tclv'ta OÈ 'tama 7tOtEt, Ka9a1tEp 7toA.A.aKtc; Etp'Jl'tat, otà 'tÒ cl>ucrEt cr'tpU«l>và Kaì im:67ttKpa, 9EpllavnKà Kaì EÙOiooa 7tpòc; 'toùc; 1t6pouc; Et vat. 'tll'JlnKà yàp ov'ta Kaì 9EpllavnKà Kaì cr't'Uq>Etv alla Kaì 9EpllaivEtv ouvaf..lEva, Kaì Èl;ayEtv Kaì ÈK1tÉ't'tEtv ouva'tat, Kaì 'tÒ oM>v àA.A.owùv Kaì f..lE'taf3clllitv. 63 . I:ullf3aivEt ÙÈ 'tp67tov nvà Kaì Èv iiA.M>tc; ;, 'tOta1Yn'l O"Uil7tcl9Eta· KaÌ yàp Ò Otvoç alla 'tij O''tacl>UAÙ OOlCEt cruvav9EtV KaÌ 'tà O'lCOpOOa KaÌ 'tà lCPOil'Ua 'tO'tE Optll'Ò'ta'tOV osEtV, O'tav A.ot6ptça Kaì crapK6ptça llTt à7tEI;'JlpallllÉva Ka'tà 'tàc; (3Aacr't'JlnKàç ci)paç. 1Ì yàp ÈVU7tclpXOUO'a OUValltc; ÈV aÙ'totç lCtVEt'tat.

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TEOFRASTO, «SUGLI ODORI»

salute, ancora più dolci quando è tenero e giovane. Essi risultano insopporta­ bili durante il periodo dell'accoppiamento e quando l'animale è deperito e malato. Perciò le capre, i cervi, le lepri e tutte le specie di animali soprattutto allora emanano cattivo odore. 6o. È strano ma anche singolare che la pelle delle capre emani un pessimo odore durante il periodo dell'accoppiamento. La causa evidentemente sta nel fatto che nella pelle ristagna qualche componente o qualche umore da cui na­ sce l'istinto all'accoppiamento dell'animale. È ovvio che quando questo è ec­ citato e riscaldato dall'aria anche la pelle è investita da questo stato. Perciò la prima causa del cattivo odore risiede nella condizione degli animali. In quel periodo infatti anche le bestie che non si accoppiano, quelle sterili e le fem­ mine emanano tutte lo stesso fetore. li periodo dell'accoppiamento costituisce la causa principale del cattivo odore, insieme a esso però figura anche la con­ dizione fisica dell'animale.

61 -62 . ANCORA SULLE PROPRIETÀ TERAPEUTICHE DEI PROFUMI 61. Ovviamente i profumi hanno anche capacità curative grazie alle pro­ prietà delle componenti odorose. Le sostanze aromatiche le possiedono in questa forma. I cataplasmi e quei preparati che alcuni chiamano malagmata evidenziano proprietà che risultano efficaci contro tumori e ascessi. Alcuni ri­ solvono per lo più quelli che compaiono sulla pelle, altri invece quelli che si formano all'interno del corpo. Ad esempio, se qualcuno applica un catapla­ sma profumato sull'ipocondrio e sul petto subito, nell'espettorare, emette, in­ sieme ai muchi, anche le componenti profumate contenute nel medicamento. 62. Alcune sostanze aromatiche sono utili nella minzione e, così operando, profumano l'urina. Ciò avviene anche in forma più marcata se uno spalma la fragranza sulla testa: l'odore della sostanza aromatica arriva fin nelle urine. Come detto, l'iris ha la proprietà di mettere in movimento le viscere. Anche tutti gli altri aromi, come è stato già rilevato, hanno analogo effetto poiché per natura risultano astringenti, assai amari, riscaldanti, in grado di insinuarsi nei pori. Perciò, essendo pungenti, capaci di riscaldare, astringere e seccare, possono avere effetto lassativo e far digerire e, complessivamente, possono provocare alterazioni e trasformazioni.

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PARTE PRIMA

9at>JlacrtCÒ'ta'tOV OÈ 'tcOV 't0t01hrov 'tÒ È1tÌ 'tOU cr'tÉa'toç 'tii ç apK'tO'U crt>J.L�aivov, Et1tEp clJla 'tatç cj>roÀiatç È1tatpE'tat Kaì ÈK1tÀ.1lPOt 'tà àyyeia. Ti oiJ 1tO'tE dllJ!ÒKpt'tOç 'tO'Ùç J!ÈV Xt>À.O'Ùç 1tpÒç 't'lÌV yeucnv KÒv Kaì J!ÉÀ.av, Kaì Èv Xt>Jlotç yÀ.t>K'Ù KaÌ 1ttK pÒv, oi.Ytro o' Èv ÒcrJ.Latç· OOOÈV yàp 1tÀ.'JÌV i EOO­ crJ.LOV KaÌ clfltK'tOt Xt>À.OÌ oi J!ÈV 'tql Jl'IÌ Ka'taJ..LE piçecr9at cixn' Èl; otv, OtOV uorop EÀ.atov cj>À.ÉyJ..La atJ..La , OÀ.roç 7tÒV 'tÒ È1ttVÉOV iì 'tÒ Otatpouv' ciXmEp 'tÒ ol;oç KaÌ 'tÒ yaÀ.a. 'tÒ yàp 'tij mÉcrEt Kaì 'tpl'JfEt JllyYUJ..LEVOV E'tEpov éìooç. aÀ.À.Ov OÈ 'tp01tOV oi Jl'IÌ EUJltK'tOt 1tpòç 't'lÌV xpeiav oi Kaì À.t>J..LatvÒJ..LEVOt àUiJÀ.Ouç, olov it 9aÀ.aua Kaì 'tà vt'tpcOOTI Kaì 1ttKpà uoa'ta 'toùç ol.vouç Kaì 'tà 1tÒ'tt J.a .L , Èàv lllÌ eù9ùç XPTl'tai nç. 66. 'OcrJ..LaÌ OÈ ai J!Èv oi.Ytroç clJ..LtK'tOt 1tÀ.Eiouç Kaì cOcr'tE Ka96J..o u À.a­ �eiv ai KaKcOOEtç 'tatç KaKcOOEcrt. t cbç OÈ JllÌ E.v n 'tÒ Èl; oiv E.pyov eùpeiv lllÌ àouva'tov, eiç 'tÌlv 'tOta'Ò'tllv oÈ ouvaJ..Ltv a1tav cbç ei1téiv 1tiiv EOOcrJ..LOV t. Oa'tot 'tàç ÒcrJ..Laç. Èv OÈ 'totç l;11poiç a1tacrat 1tacrmç J..LtK'taL

Tà yàp Ota1tUcrJ..La'ta ocrcp àv ù 1tÀ.EtÒvrov >. Ah, che glorioso percorso verso la felicità è per un filosofo fare il profu­ miere ! Del tutto in linea con il pensiero di Socrate, che bollava l'uso dei pro­ fumi, ma anche con quello del legislatore Salone che non aveva consentito ad alcun cittadino di svolgere tale attività!

[Traduzione di M.L. GAMBATO, in Ateneo. I Deipnosofisti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001 ]

s Vedi anche Seneca, Questioni Naturali IV 13,9: «Gli Spartani espulsero i profumieri dalla città e subito ordinarono loro di uscire dai loro confini poiché sprecavano l'olio» (traduzione di G. SQUIL­ LACE). 6 F I Thalheirn.

APPENDICE DOCUMENTARIA

4.4. SENOFONTE, Simposio II 3-4

E Callia disse: «Che ne pensate se ci portano dei profumi in modo tale che ci possiamo nutrire di dolci fragranze?». «No, no - rispose Socrate - ci sono abiti che si addicono alle donne e abiti che invece si addicono agli uomini. Allo stesso modo ci sono profumi adatti agli uomini e profumi adatti alle don­ ne. Certamente nessun uomo si unge con olio profumato per un altro uo­ mo. La stessa cosa fanno le donne specialmente se si sono sposate da poco, come la moglie di Nicerato e la moglie di Critobulo. Cosa guadagnerebbero da un profumo? Esse hanno già il loro odore naturale. E il profumo dell'olio nei ginnasi è più gradevole dell'olio profumato per le donne e diventa più de­ siderabile allorché sfuma. E quando una persona, schiava o libera che sia, usa del profumo, allora ogni cosa emana lo stesso odore. Invece gli odori che pro­ vengono dalle fatiche degli uomini liberi hanno bisogno prima di tutto di eser­ cizi e di molto tempo, per risultare gradevoli e propri degli uomini liberi>>. [Traduzione di G. SQUILLACE]

Platone

4 .5 . PLATONE, Gorgia 465b

Sotto la medicina, dunque, sta, come dicevo, la lusinga culinaria; sotto la ginnastica, analogamente, la lusinga dell'agghindarsi, malefica, ingannevole, ignobile e servile, che inganna con figure esteriori, colori, leziosità e vesti, al punto da fare in modo che gli uomini, preoccupati di attrarre su se stessi una bellezza estranea, trascurino la propria, quella cioè che si ottiene attraver­ so l'attività ginnica. In sintesi, voglio spiegarmi usando il linguaggio dei geo­ metri, perché così, forse, riuscirai a seguirmi, e voglio dirti che, come l'arte di agghindarsi sta alla ginnastica, così la sofistica sta all'arte della legiferazione, e che, come la culinaria sta alla medicina, così la retorica sta alla giustizia. [Traduzione di G. SQUILLACE]

5 . ODORI E ODORATO NELLA RIFLESSIONE FILOSOFICA

5 . 1 . PLATONE, Timeo 66d-67a

Per quanto concerne, poi, la capacità delle narici, non vi sono specie da distinguere. Infatti, ognuno degli odori è un genere dimezzato e nessuna for-

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

ma è strutturata in modo proporzionale da avere un qualche odore. Le nostre vene, che sono destinate a queste cose, sono molto strette per le forme della terra e dell'acqua, e troppo larghe per quelle del fuoco e dell'aria. Perciò, di nessuno di questi elementi nessuno ha mai percepito alcun odore, ma gli odori si formano sempre di cose che si bagnano, o che infracidiscono o che si sciol­ gono, o che evaporano. Infatti, mutandosi l'acqua in aria e l'aria in acqua, gli odori si formano du­ rante il passaggio intermedio di questi elementi e sono tutti quanti o fumo o nebbia. E di questi quello che passa da aria in acqua è nebbia, e quello che passa da acqua in aria è fumo. Perciò, tutti gli odori sono più sottili dell'acqua e più grossi dell'aria. E questo è evidente quando qualcuno, per un'ostruzione che ha luogo nella sua respirazione, tiri a forza l'aria dentro di sé. Infatti, in tal caso, nessun odore fluisce con essa, e l'aria segue da sola privata di tutti gli odori. Per questo, dunque, le varietà degli odori sono senza nome, ossia perché esse non constano di molte specie né di semplici specie, ma si chiamano nei due modi che soli si possono distinguere, cioè il gradevole e lo sgradevole, l'u­ no che produce irritazione e violenza in tutta quanta la cavità che sta a mezzo fra il capo e l'ombelico, l'altro che la ammorbidisce e la restituisce gradevol­ mente al suo stato naturale. [Traduzione di G. REALE, Platone. Timeo, Milano 2003]

5 .2 . ARisTOTELE, Sull'anima IX 421a-422a

Ciò che riguarda l'odore e l'oggetto dell'odorato è meno facile a determi­ narsi di quanto è stato esposto perché la particolare natura dell'odore non è così chiara come quella del suono, della luce o del colore. La ragione è che questa sensazione non l'abbiamo perspicua, ma inferiore a molti animali: e in realtà l'uomo sente gli odori mediocremente e nessun oggetto dell'odorato avverte senza dolore o piacere, prova che l'organo sensoriale non è in noi per­ spicuo. È così presumibilmente che gli animali scleroftalmici percepiscono i colori e cioè le differenze dei colori non si chiariscono a essi se non dalla paura che ne ricevono o no. Così anche il genere umano in rapporto agli odori. C'è, a quanto pare, analogia (tra l'odorato) e il gusto e ugualmente tra le specie dei sapori e quelle degli odori: più perspicuo, però, abbiamo il gusto, per il fatto che è una forma di tatto e il tatto è nell'uomo il senso più perspicuo: rispetto agli altri sensi l'uomo rimane indietro a molti animali, ma il tatto lo possiede incomparabilmente più perspicuo degli altri. Per questo è anche il più intel­ ligente degli animali. Ne è prova che tra gli uomini, proprio grazie all'organo

APPENDICE DOCUMENTARIA

di questo senso, e a nessun altro, ci sono ben dotati e mal dotati: quelli dalla carne dura sono mal dotati d'intelligenza, quelli dalla carne molle, ben dotati. Come i sapori sono uno dolce, l'altro amaro, cosi sono anche gli odori. Alcune cose, poi, hanno odori e sapori che si corrispondono, dico cioè odore dolce e sapore dolce, altre cose il contrario. Così pure l'odore è pungente, aspro, aci­ do, grasso, ma poiché gli odori, s'è già detto, non sono facilmente distingui­ bili, come invece lo sono i sapori, da questi mutuarono le denominazioni, gra­ zie all'uguaglianza degli oggetti: e infatti l'odore del croco e del miele è dolce, quello del timo e di altre cose del genere è pungente, e allo stesso modo per gli altri casi. Come l'udito e ciascun altro senso è senso dell'udibile e del non udibile, e la vista del visibile e dell'invisibile, anche l'odorato è senso del­ l'odoroso e dell'inodore. Inodore è ciò che è quasi assolutamente impossibile abbia odore e ciò che lo ha debole e mediocre: gli stessi significati si danno al non-gustabile. Pure l'odorato si esercita attraverso un mezzo, quale l'aria o l'acqua: infatti gli animali acquatici, i sanguigni al pari degli esangui, sembra percepiscano l'odore come quelli che vivono nell'aria: e, in realtà, alcuni di essi, attirati da un leggero odore, pur da lontano si portano verso il cibo. Da qui deriva un'ovvia difficoltà, posto che gli animali tutti sentono l'odore allo stesso modo e l'uomo mentre inspira, perché, quando non inspira ma espira o trattiene il fiato, non lo sente né da lontano né da vicino, neppure se l'oggetto gli sia posto nell'interno, sulle narici (che l'oggetto posto sul sen­ sorio stesso non possa essere percepito è comune a tutti gli animali, ma di non sentire senza inspirare è proprio dell'uomo e l'esperienza lo prova) : di conse­ guenza gli animali esangui, dal momento che non inspirano, dovrebbero avere un senso differente oltre quelli di cui s'è detto. Ma ciò è impossibile se quel che sentono è davvero odore: la sensazione di una cosa odorosa, sia sgradevole sia gradevole, è odoramento. Inoltre appare che muoiono sotto l'influsso degli stessi odori potenti che sono mortali per l'uomo, ad esempio, del bitume, del­ lo zolfo e simili. È necessario dunque che percepiscano gli odori ma senza in­ spirare. Sembra quindi che nell'uomo tale sensorio differisca da quello degli altri animali, come i suoi occhi differiscono da quelli degli animali scleroftalmici. Gli occhi hanno come copertura e quasi come involucro le palpebre e se non le muove o le solleva, non può vedere: gli scleroftalmici non hanno niente di tutto ciò, ma percepiscono immediatamente quel che accade nel diafano. Così, dunque, sembra che anche l'organo olfattivo in alcuni sia scoperto, al pari dell'occhio, e che invece, in quanti accolgono l'aria, abbia una copertura che si rimuove quando inspirano grazie alla dilatazione delle vene e dei pori. Per questo gli animali che inspirano non sentono l'odore nel liquido: per sen­ tirlo è necessaria l'inspirazione, ma far questo nel liquido è impossibile. L'o-

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dore appartiene al secco, come il sapore all'umido, e l'organo olfattivo è tale in potenza. [Traduzione di R LAURENTI,

in Aristotele. Opere, Bari 1973]

5 .3 . ARisTOTELE, Sul senso V 442b-445b

Si deve pensare allo stesso modo anche a proposito degli odori: in realtà, ciò che il secco produce nell'umido, l'umido saporoso lo produce ugualmente in un altro campo, nell'aria e nell'acqua. Ora noi ammettiamo che il diafano è comune a questi elementi, ma non è in quanto diafano che l'uno e l'altro sono odorabili, ma in quanto hanno il potere di lavare e di nettare il secco sapo­ roso: in effetti l'oggetto del gusto si trova non solo nell'aria ma anche nell' ac­ qua. E lo dimostrano i pesci e i crostacei i quali, com'è esperienza, percepi­ scono gli odori, pur non essendo l'aria nell'acqua (che sale alla superficie quando vi si trova), e non respirano. Se, dunque, si ammette che l'aria e l'ac­ qua sono entrambe umide, la natura del secco saporoso nell'umido è l'odore e qualsiasi altra cosa di tale natura è odorabile. Che questa affezione dei corpi derivi dalla sapidità, è chiaro sia dalle cose che hanno odore, sia da quelle che non l'hanno. Gli elementi sono inodori, ad esempio il fuoco, l'aria, l'acqua, la terra, per­ ché le loro parti secche e umide non hanno sapore, a meno che non lo pro­ duca qualcosa a essi mescolata. Perciò il mare ha odore: esso, infatti, contiene sapore e secchezza. E il sale è più odoroso del nitro. Lo dimostra l'olio che cola dal primo, mentre il nitro è più del sale vicino alla terra. Anche la pietra è senza odore, perché insipida, mentre il legno è odoroso perché ha sapore: meno ne hanno i legni acquosi. Ancora: per quanto riguarda i metalli, l'oro è inodore perché non ha sapore, mentre il bronzo e il ferro sono odorosi. Quando l'umido dei metalli è stato bruciato, le scorie sono quel che c'è di me­ no odoroso. L'argento e lo stagno sono più odorosi di certi metalli, meno di altri, perché sono acquosi. Ritengono taluni che odore sia l'esalazione fumosa, la quale è un compo­ sto di terra e di aria (e tutti sono portati ad abbracciare tale opinione sull'o­ dore) . Per questo anche Eraclito ha sostenuto che se tutte le cose diventassero fumo, le narici le discernerebbero. Per quanto riguarda l'odore, tutti sono in­ clini a riportarlo (a tale causa), ma gli uni pretendono che è vapore, altri che è esalazione, altri, infine, tutt'e due le cose. Ora il vapore è una sorta di umidità, e l'esalazione fumosa, come s'è detto, è un composto di aria e di terra: per condensazione si forma dal vapore l'acqua, dall'esalazione una specie di terra. Ma l'odore pare che non sia né l'una né l'altra: il vapore è d'acqua, l'esalazione

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fumosa è impossibile si produca nell'acqua, anche se le creature acquatiche percepiscono gli odori, come s'è già detto. Inoltre la teoria delle esalazioni è considerata sullo stesso piano che quella delle emanazioni, e se l'una non è giusta, neppure l'altra lo sarà. È chiaro dun­ que che l'umido, sia quello che è nell'aria sia quello che è nell'acqua, può ri­ cevere e subire qualche modificazione da parte del secco saporoso perché l'a­ ria è per sua natura umida. Inoltre se il secco produce nei liquidi e nell'aria l'effetto come di qualcosa lavato in essi, è chiaro che gli odori devono essere analoghi ai sapori. Ora questo si verifica in taluni casi: infatti gli odori sono pungenti, dolci, aspri, forti e grassi e si dirà che odori fetidi sono analoghi a sapori amari, per cui, com'è difficile bere sapori amari, difficile è pure respi­ rare odori fetidi. È chiaro, dunque, che ciò che nell'acqua è il sapore, tale è nell'aria e nell'acqua l'odore: per questo il freddo e il congelamento attutisco­ no i sapori e annullano gli odori: infatti il freddo e il congelamento distruggo­ no il caldo che muove ed elabora gli uni e gli altri. Ci sono due specie di odoroso: non è vero, come dicono alcuni, che non ci sono specie di odoroso: ce ne sono, invece. Bisogna spiegare in che senso tali specie ci siano e in che senso non ci siano. L'una classe di odori è parallela a quella dei sapori, come abbiamo detto, e quindi hanno il gradevole e lo sgra­ devole per accidente. Poiché sono affezioni dell'alimento, gli odori di tali cose sono graditi a chi ne sente desiderio, mentre non riescono graditi a quelli che sono sazi e non ne sentono il bisogno e neppure a quanti non piace un cibo di tale sapore. Per conseguenza, questi odori, come s'è detto, hanno in sé il gra­ devole e lo sgradevole per accidente e pertanto sono comuni a tutti gli animali. Ma ci sono pure taluni odori gradevoli di per se stessi, ad esempio quelli dei fiori: non ci sollecitano né molto né poco verso il cibo né concorrono a pro­ vocame il desiderio, anzi è piuttosto il contrario, che è vero il verso di Strat­ tide 6 b" volto a ridicolizzare Euripide «quando cuocete lenticchie, non versa­ teci aromi>>. Quelli che adesso introducono nelle bevande sostanze con tali proprietà forzano il senso del piacere abituandolo a esse, finché dalle due sen­ sazioni derivi il piacere come potrebbe derivare da una sola. Questa specie di odori è, dunque, propria degli uomini, mentre l'odore che si rapporta ai sa­ pori è proprio anche degli altri animali, come già si è detto. E poiché questi odori sono graditi per accidente, si dividono anch'essi in tante specie quanti sono i differenti sapori. n che non vale per l'altra specie di odori, perché la loro natura è di per se stessa gradevole o sgradevole. n motivo per cui tali odori sono propri dell'uomo va ricercato nella particolare condizione della re6 hù F 47 Kassel-Austin. -

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gione cerebrale. TI cervello è per natura freddo e il sangue che contiene nelle vene è leggero e puro, ma facile a raffreddarsi (per questo l'evaporazione del cibo raffreddata dalla natura del luogo produce malsani reurni) : pertanto tale specie di odori esiste presso gli uomini a salvaguardia della loro salute: essa non ha altro compito che questo e lo compie, come si vede: infatti il cibo, pur essendo gradito, sia secco sia umido, spesso fa male, mentre l'odore che viene dall'oggetto odoroso di per sé è, per cosi dire, sempre giovevole, qualunque siano le condizioni dell'individuo. Pure per questo motivo la percezione degli odori avviene mediante l'inspi­ razione, non in tutti gli animali ma negli uomini e tra gli animali sanguigni nei quadrupedi e in quanti partecipano in maggior quantità della sostanza dell'a­ ria, perché quando gli odori, per la leggerezza del calore ch'è in essi, salgono al cervello, provocano uno stato di salute in questa regione - e infatti la potenza dell'odore è per sua natura calda. Cosi la natura impiega la respirazione per due scopi: uno primario, come difesa del petto, l'altro accessorio, per sentire gli odori. In effetti, quando uno respira, l'odore entra attraverso le narici come dalla porta laterale. Ma la percezione della seconda classe di odori è propria della natura dell'uomo perché, in rapporto alla sua grandezza, l'uomo possiede il cervello più grosso e più umido degli altri animali: e perciò, per così dire, solo tra gli esseri viventi l'uomo percepisce e gode gli odori dei fiori e di simili altre cose: infatti il calore e lo stimolo di questi odori è commisurato all'eccesso di umidità e di freddo di questa regione. A tutti gli altri che hanno il polmone la natura ha concesso la percezione di uno dei due generi di odori mediante la respirazione, per non fare due sensori distinti, perché, come agli uomini basta la sensazione che mediante la respirazione hanno di entrambe le specie di odo­ ri, così agli altri animali basta la sensazione di una specie di odori soltanto. Ma è chiaro che anche gli animali che non respirano possiedono la sensa­ zione dell'odore: in effetti i pesci e la razza tutta degli insetti, a causa della spe­ cie dell'odore rapportata al nutrimento, avvertono molto accuratamente e da lontano il proprio cibo, pur distandone molto: così le api e quella specie di for­ miche piccine che chiamano 'cnipe' e tra gli animali marini i cosiddetti murici e molti altri di tal genere captano la presenza di cibo sentendone l'odore. Non è però ugualmente chiaro con quale organo lo percepiscano. Ci si potrebbe anzi chiedere con quale organo avvertano l'odore, se è vero che il processo di per­ cezione degli odori avviene unicamente mediante la respirazione (e ciò si veri­ fica, com'è esperienza, in tutti gli animali che respirano) : ma nessuno di quelli respira e tuttavia sente l'odore, a meno che non ci sia un altro senso oltre i cin­ que. Ma ciò non è possibile. L'odorato è il senso dell'adorabile e quegli animali percepiscono l'adorabile, se anche non allo stesso modo: in quelli che respira­ no, la corrente d'aria solleva qualcosa posto sulla membrana come una specie

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di opercolo (e quindi se non respirano non percepiscono gli odori) , in quelli che non respirano tale opercolo è soppresso, come per quanto riguarda gli oc­ chi alcuni animali hanno le palpebre e non possono vedere se non le sollevano, mentre gli scleroftalmici non ne sono forniti e quindi non hanno bisogno di qualcosa che le sollevi, ma vedono subito appena hanno la possibilità di vedere. Così pure nessuno degli altri animali, qualunque esso sia, soffre per l'odo­ re dei corpi fetidi per se stessi, a meno che non ci si trovi qualcosa di perni­ cioso: e tuttavia da questi odori essi sono distrutti, come gli uomini che hanno il capo appesantito dal vapore del carbone e spesso muoiono: così pure gli al­ tri animali sono distrutti dall'esalazione violenta dello zolfo e di sostanze bitu­ minose e le evitano per i perniciosi effetti. Ma del cattivo odore per se stesso non si danno cura (e sì che molte piante mandano odori disgustosi) a meno che non abbia qualche effetto sul loro gusto o sul loro cibo. Poiché i sensi sono di numero dispari e il numero dispari ha un centro, il senso dell'odorato pare che occupi tale posizione centrale tra i sensi che si esercitano per contatto, come il tatto e il gusto, e quelli che sentono attraverso un mezzo estraneo al soggetto, come la vista e l'udito. Perciò l' odorabile è una proprietà delle sostanze nutrienti (che rientrano nelle cose tattili) e di quel che si ascolta e si vede - e perciò si sentono gli odori in acqua e in aria. Di con­ seguenza l' odorabile è qualcosa di comune a entrambi e si trova nell'oggetto del tatto, dell'udito e nel diafano. Per questo è stato ragionevolmente parago­ nato a qualcosa come un'immersione o un lavaggio del secco nell'umido e nel liquido. Basti quel che s'è detto per spiegare in che senso si deve parlare delle specie dell'odoroso e in che senso no. Non è giusto quel che dicono taluni Pitagorici: asseriscono cioè che certi ani­ mali si nutrono di odori. In primo luogo vediamo che il nutrimento dev'essere composito perché non sono semplici i corpi che si nutrono, e poi dal nutrimento si producono residui sia negli organismi sia fuori degli organismi, ad esempio nel­ le piante. Neppure l'acqua può nutrire da sola e cioè non mescolata: quel che deve formare qualcosa di solido, dev'essere corporeo. Anche meno concepibile è che l'aria prenda corpo. Ma, oltre questo, c'è il fatto che tutti gli animali hanno un ricettacolo per il cibo: di qui, quando il cibo è entrato, il corpo l'assorbe. Ora il sensorio che percepisce gli odori è in testa e l'odore entra nell'organismo con l'esalazione dell'aria inspirata in modo che poi vada nella regione respiratoria. È evidente, quindi, che l'odore, in quanto odore, non concorre in niente al nu­ trimento. Ma che concorra alla salute è evidente sia dall'immediata percezione, sia da quanto s'è detto. Di conseguenza, ciò che rappresenta il sapore nel nutri­ mento e rispetto a quelli che si nutrono, lo stesso rappresenta l'odore rispetto alla salute. Bastino tali precisazioni a proposito di ciascuna funzione sensoriale. [Traduzione di R. LAURENTI,

in Aristotele. Opere, Bari 1973] - 90 -

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5 .4. PSEUDO ARisTOTELE, Problemi XII I-IJ, 9o6a, 22-907b,19

1. Perché, a distanza ravvicinata, percepiamo meno le esalazioni delle so­ stanze aromatiche che bruciano? Forse perché (nella propagazione a distanza) l'effluvio, mescolandosi all'aria, cala d'intensità, e quindi risulta più gradevole all'olfatto, cosi come la mirra (oleosa) usata a scopo terapeutico? O può anche verificarsi, al contrario, che il fuoco bruciando le sostanze aromatiche ne an­ nulli il profumo? Di fatto è dalla combustione degli aromi che si sprigiona il profumo. Perciò anche in prossimità dei carboni ardenti non si avverte odore, ma a maggiore distanza l'esalazione odorosa si manifesta più pura e molto pe­ netrante. 2. Perché il profumo sia degli aromi che bruciano sia dei fiori è meno gra­ devole da vicino? Forse perché (da vicino) si accompagnano al profumo anche minute particelle terrose, le quali per il loro peso precipitano prima, e perciò a maggiore distanza l'effluvio arriva depurato? O è perché l'effluvio non rag­ giunge la sua massima intensità né quando la sorgente (della combustione) è vicina, né quando è troppo lontana? Di fatto nel primo caso l'effluvio non è ancora consistente e nel secondo si disperde. J. È vero o è falso? E se è vero, perché avviene il fenomeno? Si dice che gli alberi investiti dall'arcobaleno diventino profumati. È dunque evidente che né tutti gli alberi né sempre diventino profumati; spesso infatti dopo l' apparizio­ ne dell'arcobaleno gli alberi non palesano alcun effetto; quando poi profuma­ no - e qualche volta accade, donde la diceria corrente - il fenomeno non si verifica su ogni specie di legno. E la causa dev'essere attribuita all'arcobaleno solo per accidente, soprattutto perché l'arcobaleno non è un'entità fisica, ma un effetto prodotto sull'occhio dalla rifrazione. Questo fenomeno, come si è detto, non si produce nel legno indipendentemente dalla sua qualità: difatti non sugli alberi verdi né su quelli secchi, bensì sul legno appena bruciato i pastori dicono che l'odore è avvertibile dopo le piogge concomitanti con l' ar­ cobaleno, e soprattutto laddove allignino l' aspalato, il ramno e le piante i cui fiori sono profumati. E la causa del profumo è la stessa che agisce anche nel caso della terra: quando infatti è surriscaldata e arsa, qualunque suo prodotto inizialmente ha odore dolce, giacché le sostanze scarsamente umide, stando per un certo tempo sul fuoco, emanano profumo, in quanto il calore assorbe l'umido. Ciò spiega perché su tutta la terra le parti esposte al sole profumino più di quelle esposte a settentrione, e tra le regioni soleggiate quelle rivolte a oriente profumino più di quelle esposte a mezzogiorno: difatti il suolo della Siria e dell'Arabia è di qualità più terrosa mentre la Libia è sabbiosa e arida. L'umido in effetti non dev'essere eccessivo (in tal caso è difficile a smal­ tirsi), né deve mancare del tutto (altrimenti non c'è evaporazione): è questa -

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la condizione in cui sono sia il legno bruciato di recente sia quello che appar­ tiene alla specie odorosa. n fenomeno si evidenzia attraverso i fiori, giacché è attraverso essi che il legno effonde l'odore. Comunemente però si crede che il profumo emani dagli alberi sui quali è caduto l'arcobaleno, per il solo fatto che il fenomeno dell'arcobaleno non può avvenire senza la pioggia; in realtà è il legno bagnato che in forza del calore interno assorbe e sprigiona sotto for­ ma di vapore l'umido in esso formatosi. Né la pioggia dev'essere copiosa: in quantità rilevante impregnerebbe troppo il legno ed estinguerebbe il calore in esso causato dall'azione del fuoco. E dopo l'arcobaleno le gocce d'acqua ca­ dono non fitte, ma piuttosto scarse; e se anche apparissero più arcobaleni, la pioggia non risulterebbe mai copiosa, bensì frequenti e minute sarebbero le gocce d'acqua (in sospensione nell'atmosfera) . Perciò, in presenza del fenome­ no, la gente, non notando nulla di nuovo tranne l'arcobaleno, a ragione attri­ buisce a esso la causa del profumo. 4· Perché i fiori e gli aromi in combustione da maggiore distanza emanano profumo più gradevole mentre da vicino i primi hanno un sentore più di erba e i secondi di fumo? È perché l'odore è in qualche modo calore, e le sostanze odorose contengono calore, e ciò che è caldo è leggero. Per questo motivo quindi, quando fiori e aromi sono a una maggiore distanza, il loro profumo risulta meno inquinato dai concomitanti sentori emanati dalle foglie e dal fu­ mo, che è vapore acqueo; quando invece sono a distanza ravvicinata, gli odori commisti sono percettibili unitamente a quelli delle piante in cui si trovano. 5· Perché ogni cosa quand'è in movimento diffonde meglio il suo profu­ mo? È perché impregna una quantità d'aria maggiore che non quando è fer­ ma. Ne consegue che l'odore perviene più rapidamente al nostro senso. 6. Perché la nostra capacità olfattiva d'inverno è minore e nei giorni di ge­ lo addirittura nulla? È perché in ambiente freddo l'aria ha minore mobilità; quindi lo stimolo proveniente dal corpo odoroso non ci perviene con uguale intensità per la difficoltà di spostamento sia dell'effluvio che dell'aria, nella quale esso si trova. 7· Perché gli aromi bruciati sulla cenere emanano un profumo più pene­ trante che sul fuoco, ma quando bruciano sulla cenere conservano più intenso e persistente il loro profumo? È perché sulla cenere la sostanza odorosa si con­ suma più lentamente e perciò dura anche di più. n fuoco, per contro, esauren­ do rapidamente la forza delle sostanze aromatiche, ne altera l'odore, giacché il processo di combustione altera qualitativamente la sostanza che brucia. 8. Perché le rose dal 'centro' ruvido profumano più che quelle col 'centro' liscio? È perché tutto ciò che conserva le sue caratteristiche naturali ha odore più soave. La rosa per sua natura è spinosa; quindi (quella col centro ruvido) , meglio conservando le proprietà naturali, è più profumata. -

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9· Perché il profumo degli aromi e dei fiori da vicino è meno intenso? È perché da vicino si trasmette insieme all'odore anche la componente terrosa; di conseguenza questa, mescolandosi in quantità omogenea, attenua l'intensità odorosa e la scia del profumo allontanandosi si dissolve. Per questo motivo anche i fiori, quando vengono stropicciati, (per lo smuoversi dell'elemento terroso) perdono il profumo. 10. Gli odori sono esalazioni di fumo o di vapore? Di fatto c'è differenza, in quanto il fumo si origina dal fuoco mentre il vapore si produce anche in­ dipendentemente da esso. Ancora: è dall'organo di senso che un effluvio ar­ riva ai corpi odorosi, o da questi perviene all'olfatto, muovendo di continuo l'aria circostante? E se (è vero che) deriva dalle sostanze odorose, ci aspette­ remmo che esso si affievolisse; invece constatiamo che, quanto più le sostanze sono odorose, tanto più durano. 11. Perché gli aromi bruciati sulla cenere emanano un profumo più pe­ netrante che se bruciati sul fuoco? È perché sull a cenere la sostanza odorosa si consuma più lentamente e perciò dura più a lungo. Quindi insieme alla sostanza odorosa brucia anche gran parte dell'elemento terroso trasforman­ dosi in fumo. Il fuoco, per contro, distrugge prima la componente terrosa degli aromi, sicché l'odore senza il fumo perviene all'olfatto più puro e di­ stinto. Perciò anche i fiori, quando vengono sfregati, perdono il profumo. Lo sfregamento smuove l'elemento terroso e il calore tenue non riesce a di­ struggerlo. 12. Perché le sostanze di odore dolce - siano semi o piante erbacee - fa­ cilitano la diuresi? È perché sono calde e leggere, e le sostanze di questo ge­ nere sono diuretiche. Il calore che è in esse le rende presto leggere e l'odore non ha consistenza materiale, poiché anche le piante di odore forte, come ad esempio gli agli, in virtù del loro calore sono sì diuretiche, ma hanno maggior potere dissolvente. E i semi di odore dolce sono caldi, perché generalmente l'odore è causato da calore. Peraltro le sostanze maleodoranti non vengono elaborate; per essere anche diuretiche, dovrebbero invece non solo essere cal­ de, ma altresì ben elaborate, affinché, defluendo insieme agli umori, li elimi­ nmo. 13. Perché mai i vini temperati con acqua perdono l'aroma più presto che i vini puri? È perché il vino annacquato è meno vigoroso di quello puro; e ciò che è più debole cede in ogni caso al più forte. Inoltre, il vino diluito risponde all'uso più di quello puro e così meglio riesce a combinarsi con qualsiasi ele­ mento e a recepire una di quelle qualità che prima non aveva. Pertanto il vino puro conserva l'aroma, quello allungato con acqua lo perde. [Traduzione di G. MARENGID, [Aristotele]. Profumi e miasmi, Napoli 199!]

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5 .5 . EMPEDOCLE 3 1a

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DIELS- KRANz

Empedocle di Agrigento vinse con i cavalli a Olimpia ma, da seguace di Pitagora qual era, astenendosi dal mangiare animali, fece plasmare un bue di mirra, di incenso e di altri preziosi aromi e lo divise tra quanti erano pre­ senti alla festa. [Traduzione di M.L. GAMBATO, in Ateneo. I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

5 .6. DIOGENE LAERZIO, Vite dei filoso/i VI 2,66

A un tale che si spargeva di unguento le chiome (Diogene di Sinope) disse: «Bada che il profumo della tua testa non apporti cattivo odore alla tua vita>>. [Traduzione di M. GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite dei filosofi, Roma-Bari 1991]

5 .7 . TELES (ed. Hense, p. 12)

Diogene (di Sinope) si recò in un negozio di profumi e chiese quanto co­ stasse una cotila di henna. «Una mina>> rispose il venditore. «La città è cara», esclamò allora Diogene. [Traduzione di G. SQUILLACE]

6. UN 'MANUALE' DELLA PROFUMERIA ANTICA

6. 1 . PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale, libro XII

(1 ) Questi, suddivisi per specie e descritti nei singoli particolari, sono i ca­ ratteri di ciascun essere animato di cui si è potuta acquisire conoscenza. Re­ sta ora da parlare di ciò che la terra produce, nemmeno questo senza il re­ spiro - giacché niente può vivere se ne è privo -, e di ciò che dalla terra si estrae, in modo che non sia taciuta nessuna delle opere della natura. Per molto tempo i suoi benefici rimasero nascosti e alberi e boschi erano considerati il dono più grande fatto all'uomo. Da questi in origine egli traeva il proprio ali­ mento, le loro fronde rendevano più morbide le caverne e dalle loro cortecce si facevano le vesti: ancora adesso ci sono genti che conducono questo tipo di vita. Perciò tanto più ci meraviglia che, malgrado tali origini, oggi si taglino i monti in blocchi di marmo, si vadano a prendere le vesti nel paese dei Seri, si vada a cercare la perla negli abissi del Mar Rosso e lo smeraldo nelle viscere -

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della terra. E per di più si è inventato di bucare le orecchie: non bastava - è chiaro - portare i preziosi al collo, tra i capelli o alle mani, dovevano essere conficcati anche nel corpo. Per questi motivi è bene seguire lo sviluppo della vita umana e parlare degli alberi prima del resto, modellando il nostro com­ portamento sulle origini. (2) Proprio gli alberi erano i templi dedicati alle divinità e ancora adesso, secondo un rito antico, la gente semplice di campagna consacra a un dio l'al­ bero più bello. D'altronde le statue splendenti d'oro e d'avorio non suscitano in noi maggiore venerazione che i boschi sacri e il loro stesso silenzio. Alcune specie di alberi sono oggetto di una continua protezione in quanto dedicate ciascuna a una sua propria divinità, come il farnetto a Giove, l'alloro ad Apol­ lo, l'olivo a Minerva, il mirto a Venere, il pioppo a Ercole. Inoltre crediamo che i boschi siano popolati da Silvani, Fauni e varie specie di dee, attribuendo alle selve divinità peculiari, come se fossero scese dal cielo. In seguito gli alberi con frutti dal succo più dolce dei cereali hanno reso più mite la sorte dell'uo­ mo. Da questi proviene il liquore d'oliva che rilassa le membra e la bevanda del vino che ricrea le forze, poi tanti frutti saporiti che nascono spontanea­ mente nel corso dell'anno e le portate che, benché per esse si lotti con le fiere e si vada in cerca di pesci che si sono nutriti dei corpi dei naufraghi, ancora oggi si chiamano 'seconde'. Oltre a questi, mille altri sono gli usi degli alberi, in mancanza dei quali non sarebbe possibile vivere. Con l'albero solchiamo i mari e avviciniamo le terre una all'altra, con l'albero costruiamo le case. Di legno erano anche le sta­ tue degli dèi, quando non si attribuiva ancora alcun valore al cadavere degli elefanti e non facevano ancora spettacolo di sé intagliati nel medesimo avorio i volti delle divinità e i piedi dei tavoli: una sottomissione al lusso, questa, che ha origine dagli stessi dèi. Si dice che i Galli, chiusi allora dalle Alpi come da un muro inespugnabile, la prima volta che si riversarono in Italia ebbero que­ sta motivazione: uno della loro nazione, l'elvetico Elicone, aveva soggiornato a Roma per fare il fabbro e al ritorno aveva portato con sé fichi secchi, uva e assaggi di olio e vino. Sarebbero perciò scusabili per aver cercato di procac­ ciarsi anche con la guerra questi prodotti. (3) Ma chi non avrebbe ragione di stupirsi che un albero sia stato impor­ tato da un paese diverso solo per la sua ombra? È il platano, introdotto pri­ ma nel mare Ionio fino all'isola di Diomede per ornare la sua tomba; di lì passò in Sicilia e fu tra i primi alberi giunti in Italia, adesso è arrivato fino ai Morini e occupa anche un terreno soggetto a tributi, di modo che le po­ polazioni ivi stanziate devono pagare una tassa persino per l'ombra. Dioni­ sio il Vecchio, tiranno della Sicilia, lo portò nella città di Reggio per ornare con effetti meravigliosi la propria dimora, dove poi fu fatta una palestra; in - 95 -

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alcune fonti si trova che la pianta non riuscì a completare il proprio svilup­ po in ampiezza, e che ve ne erano stati altri esemplari in Italia e specialmen­ te in Spagna. (4) Questo accadeva verso l'epoca della presa di Roma; da allora il platano è cresciuto tanto in onore che lo si nutre innaffiandolo col vino. Si è appurato che esso fa molto bene alle radici e cosi abbiamo insegnato a bere il vino an­ che agli alberi. (5) I primi platani a essere famosi furono quelli situati nella passeggiata dell'Accademia di Atene; uno aveva una radice di 33 cubiti, più lunga dei rami. Ora è celebre un platano della Licia, al cui incanto si unisce quello di una fon­ te di acqua fresca: posto sulla strada, ha dentro di sé una caverna di 81 piedi che forma come un alloggio; la sua cima sembra un bosco, si circonda di rami grandi come alberi, avvolge i campi con le sue grandi ombre e, perché non manchi nulla all'aspetto di una spelonca, dentro, all'orlo dell'incavatura, c'è una corona di sassi di pietra pomice muscosa; una tale meraviglia che Licinio Mudano, tre volte console e poco tempo fa legato di quella provincia, ha cre­ duto suo dovere tramandare anche ai posteri. Egli vi fece dentro un banchetto con diciassette commensali su letti di fronde fomiti generosamente dall'albero stesso, al riparo da ogni vento, e vi dormì anche, più contento del piacere che gli dava ascoltare il crepitìo della pioggia sulle foglie, che se fosse stato tra marmi splendenti, pitture variopinte e soffitti dorati. Un altro caso è quello dell'imperatore Gaio (Caligola), che nella campagna di Velletri poté ammirare in uno stesso platano la lunghezza e larghezza dei rami che offrivano comodi scanni. Così allestì un banchetto (lo stesso platano garantiva parte dell'ombra) in questa sala da pranzo, che poteva contenere quindici convitati più la servitù, e la chiamò 'il nido'. A Gortina nell'isola di Creta c'è presso una fonte un pla­ tano famoso, celebrato da scrittori greci e latini: poiché non lascia mai cadere le foglie, subito ne venne fuori una di quelle storie leggendarie tipiche della Grecia: dicono che lì sotto Giove giacque con Europa, come se non vi fossero altri platani della medesima specie a Cipro. Ma i platani generati dai semi di quello, che dapprima furono piantati nella stessa Creta - la natura wnana, si sa, è desiderosa di novità - conservarono il solito limite della specie: per nien­ t' altro quest'albero è utile se non perché ripara dal sole l'estate e lo lascia pas­ sare in inverno. In seguito, al tempo dell'impero di Claudio, un liberto di Mar­ cello Esernino, ma che per acquistare potere si era fatto accogliere fra i liberti dell'imperatore (era un eunuco tessalo ricchissimo), trasferì a sua volta questa specie di albero in Italia, nella sua villa di campagna, e a ragione si potrebbe definire anche lui un secondo Dionisio. Le meraviglie di altre terre si manten­ gono anche in Italia, oltre naturalmente a quelle che l'Italia stessa ha esco­ gitate.

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(6) Esistono anche dei platani detti platani nani, che sono costretti artifi­ cialmente a rimanere di piccola altezza, perché abbiamo inventato pure l' abor­ to per le piante. Anche parlando delle specie arboree, dunque, dovremo men­ zionare la sventurata sorte dei nani, alla quale esse approdano sia per il modo in cui vengono piantate sia con la pratica della potatura. Gaio Mazio dell ' or­ dine equestre, amico del divino Augusto, fu colui che per primo inventò l'arte di tosare i boschi in varie fogge 8o anni or sono. (7) Provengono da altre terre anche i ciliegi, i peschi e tutti quegli alberi che hanno nomi greci o esotici: ma quelli che ormai si annoverano fra gli auto­ ctoni saranno trattati nel libro degli alberi da frutta. Adesso passeremo in ras­ segna gli alberi esotici iniziando dal più benefico. n melo d'Assiria, detto al­ trimenti il melo di Media, ha l'effetto di antidoto contro i veleni. Le sue foglie sono quelle del corbezzolo e a esse si interpongono delle spine. n suo frutto non si mangia, ma questa specie si distingue anche per l'odore delle foglie: se si ripongono insieme ai vestiti, l'odore si trasmette a questi e li preserva dai danni degli insetti. L'albero da parte sua produce frutti in tutte le stagioni: quando gli uni cadono, ve ne sono altri in via di maturazione e altri ancora che cominciano a formarsi. Alcuni popoli tentarono di trapiantarlo nel pro­ prio territorio per le sue proprietà medicinali, trasportandolo in vasi di terra­ cotta nei quali avevano praticato dei buchi per far respirare le radici (un pro­ cedimento questo che sarà opportuno ricordare - ne parlo ora una volta per tutte - quale il più adatto per i trasferimenti e i trapianti di qualsiasi specie vegetale a grande distanza) . Ma si è riprodotto solo in Media e in Persia. È questo l'albero i cui semi, come abbiamo detto, i nobili Parti facevano cuocere insieme ai cibi per profumarsi l'alito. Nessun altro albero degno di menzione cresce in Media. (8) Parlando dei Seri, abbiamo già trattato delle piante da lana che cre­ scono nel loro paese, ugualmente a proposito dell'India si è menzionata la grandezza dei suoi alberi. Uno di quelli che vi crescono, l'ebano, l'ha celebra­ to Virgilio,7 il quale afferma che non si trova in nessun'altra regione. Erodo­ to 8 invece faceva intendere che cresceva in Etiopia, riferendo che gli Etiopi pagavano ogni due anni quale tributo ai re persiani cento tronchi di ebano oltre all'oro e all'avorio. Sarà il caso di ricordare anche, giacché lo storico lo menziona, che gli Etiopi in quell'occasione pagavano venti zanne di elefan­ te. Questo era il valore dell'avorio nell'anno 310 dalla fondazione di Roma (444 a.C.) : allora quello storico scriveva a Turi in Italia; è quindi sorprendente 7 Georgiche II n6 ss. 8 Storie ID 97· -

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il credito prestatogli quando afferma che al suo tempo non si trovava nessuno né in Asia né in Grecia che avesse visto il fiume Po. La descrizione dell'Etiopia, che - lo abbiamo ricordato - è stata da poco riferita all'imperatore Nerone, mostra che gli alberi sono rari da Siene, al confine dell'impero, fino a Meroe per un'estensione di 996 miglia e non vi si trova altro che palme. Questa forse la ragione per cui l'ebano figura nell'imposizione del tributo al terzo posto. (9) Pompeo Magno lo mostrò a Roma nel trionfo su Mitridate (63 a.C.). Fabiano sostiene che non è combustibile, invece brucia sprigionando un pro­ fumo piacevole. Ne esistono due specie: una rara, ed è la migliore, cresce in forma di albero e ha un legno compatto senza nodi e un colore nero lucido, bello a vedersi anche se non è lavorato; l'altra cresce ad arbusti come il citiso ed è diffusa per tutta l'India. (w) Nell'India cresce anche una pianta spinosa simile all'ebano, ma basta accostarvi una lucerna che il fuoco vi si attacca subito. Ora passeremo in ras­ segna le piante che destarono la meraviglia di Alessandro Magno vincitore, quando gli si dischiuse quella parte del mondo. (n) Cresce là un fico dai frutti eccellenti, che si riproduce costantemente da solo. Si allarga in rami estesi, i più bassi dei quali si curvano verso terra al punto che nel giro di un anno vi si radicano e procreano a loro volta in circolo attorno all'albero madre, formando un disegno che sembra opera di un giar­ diniere esperto. I pastori stanno d'estate all'interno di quel recinto, ombroso e insieme ben protetto dall'albero, che con la sua chioma a volta offre un pre­ gevole spettacolo a chi lo guarda dal basso o da lontano. I rami superiori si levano in alto dal grande tronco della madre formando una folta vegetazione: la maggior parte di questi alberi si estendono per una circonferenza di 6o passi e coprono con la loro ombra un'estensione di 2 stadi. Hanno le foglie larghe a forma di scudo d'Amazzone: 9 per questo il frutto, che esse ricoprono, non può crescere. I frutti non sono abbondanti e non superano la grandezza di una fava ma, maturati dal sole che assorbono attraverso le foglie, acquistano un sapore dolcissimo e degno di quell'albero prodigioso. Questo fico cresce soprattutto nelle vicinanze del fiume Acesine. ( 12) C'è un altro fico dai frutti più grandi e ancora più dolci, dei quali si nutrono i saggi dell'India. Le foglie hanno la forma delle ali degli uccelli, sono lunghe tre cubiti e larghe due. Fa nascere dalla sua corteccia un frutto dal suc­ co straordinariamente dolce: ne basta uno per saziare quattro persone. L'albe­ ro si chiama pala, il frutto ariera. È abbondante nel territorio dei Sidraci, pun­ to estremo a cui arrivarono le spedizioni di Alessandro. Vi è anche un altro 9 Vale a dire a forma di mezzaluna come lo scudo delle mitiche Amazzoni.

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albero simile a questo, dal frutto più dolce ma dannoso all'intestino: per or­ dine di Alessandro nessuno nel suo esercito poteva toccarlo. (13) I Macedoni hanno trattato di varie specie di alberi per lo più senza dame il nome. Ce n'è anche uno simile al terebinto e al mandorlo per i frutti, che sono soltanto un po' più piccoli e straordinariamente dolci, almeno in Bat­ triana. Qualcuno ha pensato che appartenga proprio alla specie del terebinto piuttosto che assomigliarvi soltanto. Quelli invece da cui si ricava il lino per le vesti hanno le foglie simili a quelle del gelso e il calice del frutto a quello della rosa canina. Li coltivano nei campi e il colpo d'occhio che offrono non è inferiore a quello dei vigneti. (14) Gli olivi che crescono nell'India non producono alcun frutto con la sola eccezione dell'olivo selvatico. Invece gli alberi che producono il pepe, simili ai nostri ginepri, si trovano in varie zone, benché si sia detto che crescano solo sul versante del Caucaso esposto al sole. I semi sono differenti da quelli del gi­ nepro per i loro piccoli gusci, che sono come quelli che vediamo nei dolci. Sono questi gusci che, staccati prima che si aprano e messi a seccare al sole, danno quello che si chiama il pepe lungo. Se si lasciano invece aprire a poco a poco, intanto che maturano, fanno comparire il pepe bianco che poi, seccato al sole, muta di colore e presenta delle crepe. Anche questi frutti si possono guastare e, quando la stagione è awersa, bruciano e diventano grani completamente vuoti chiamati bregma, vocabolo che nella lingua indiana significa 'morto'. Di tutte le specie di pepe questo è il più forte, il più leggero ed è di colore pallido; quello nero ha un sapore più gradevole, quello bianco è meno forte degli altri due. 10 La radice del pepe non corrisponde, come alcuni hanno pensato, a quella che chiamano zingiben· oppure zimpiberi, anche se il sapore è simile. Lo zen­ zero cresce in Arabia e nel paese dei Trogloditi, dove si coltiva in fattorie: si tratta di una piccola erba con la radice bianca, che si guasta facilmente mal­ grado sia molto amara. n suo prezzo è di 6 denari per libbra. n pepe lungo viene adulterato molto facilmente con la senape di Alessan­ dria. Del pepe lungo il prezzo a libbra è di 15 denari, di quello bianco 7, di quel­ lo nero 4· È sorprendente quanto seguito abbia incontrato l'uso del pepe. I cibi conquistano con la propria dolcezza oppure invogliano col loro aspetto; il pepe non ha nulla per piacere né nel frutto né nella bacca. E dire che piace solo per il suo gusto amaro e lo si va a cercare nell'India ! Chi per primo volle sperimen­ tarlo nei cibi, chi volle stuzzicare il suo appetito senza accontentarsi di aver fa­ me? n pepe e lo zenzero nei loro paesi crescono allo stato selvatico, eppure si comprano a peso come l'oro o l'argento. Adesso anche in Italia c'è un albero '0 Una lunga digressione sul pepe si trova anche in Filostrato, Vita di Apollonia di Tiana III 4 ss. -

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del pepe più grosso del mirto e non molto diverso. Si creda pure che il gusto amaro del suo seme sia lo stesso del pepe fresco; ma non riesce a essiccare e maturare al sole e perciò non acquista né le stesse venature né lo stesso colore. n pepe viene adulterato con le bacche di ginepro che ne assorbono il sapore in maniera straordinaria; per aumentarne il peso molti sono gli espedienti. (15) Nell'India si trova inoltre un grano chiamato chiodo di garofano, che assomiglia a quello del pepe, ma è più grande e più fragile: dicono che cresca sul loto indiano e viene importato per il suo aroma. Vi si trova anche un ar­ busto spinoso che produce grani di un gusto straordinariamente amaro, simili a quelli del pepe: le foglie sono piccole e folte come quelle dell'benna, i rami raggiungono la lunghezza di tre cubiti, la corteccia ha un colore pallido, la ra­ dice è larga e legnosa, di colore del bosso. Facendola bollire nell'acqua col suo seme dentro un vaso di bronzo, si ottiene un medicamento che si chiama lido. Un arbusto spinoso di quel genere nasce anche sul monte Pelio ed è usato per falsificare il licio, così come la radice di asfodelo, il fiele di bue, l'assenzio, il sommacco e la morchia. n lido più efficace è quello schiumoso: gli Indiani lo spediscono in otri di pelle di cammello o rinoceronte. In Grecia c'è chi allo stesso arbusto spinoso dà il nome di pixacanto chironio. (16) Anche il macir viene importato dall'India ed è la scorza rossastra di una grossa radice che appartiene all'albero dello stesso nome. Mi è ignota la forma di quest'albero. Questa scorza cotta insieme col miele viene conside­ rata un rimedio efficacissimo contro la dissenteria. (17) Anche l'Arabia produce lo zucchero, ma quello dell'India è più pre­ giato. Si tratta di un miele che si raccoglie sulle canne, bianco come la gomma, fragile sotto i denti, delle dimensioni, al massimo, di una nocciola, impiegato solo in medicina. (I8) Confina con l'India la nazione detta ariana, nel cui territorio cresce un arbusto spinoso, pregiato per il suo succo simile alla mirra, ma difficilmente avvicinabile a causa dei suoi aculei. In quella stessa regione c'è anche un ar­ boscello velenoso delle dimensioni di un cavolo, con le foglie simili all'alloro; grazie all'odore che diffonde attira i cavalli e rischiò di privare Alessandro del­ la sua cavalleria, quando egli entrò in questa regione. Lo stesso accadde nel paese dei Gedrosi, sempre a causa di un arbusto con le foglie dell'alloro. Là - si dice - cresce anche un arbusto spinoso, il cui succo, schizzato negli occhi, renderebbe cieco qualsiasi animale; cresce ivi, inoltre, un'erba dall'odo­ re fortissimo, piena di piccoli serpenti, il cui morso farebbe morire all'istante. Onesicrito " riferisce che nelle valli dell'Ircania vi sono alberi simili al fico chiamati 'occhi', dai quali scorre il miele per due ore al mattino. 11

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(19) Vicino c'è la Battriana, nella quale cresce il rinomatissimo bdellio. Si tratta di un albero nero, della grandezza di un olivo; le foglie sono come quelle della quercia e i frutti come quelli del fico selvatico; la loro consistenza è quella della gomma. Alcuni chiamano questo frutto broco, altri malaca, altri maldaco; una sua qualità nera e che si confeziona in focacce è chiamata adrobolo. Deve essere trasparente come la cera, profumato e, quando si sbriciola, deve far uscire grasso; il sapore deve essere amaro, ma non acido. Nei riti sacri viene mescolato al vino, che ne aumenta la fragranza. L'albero cresce anche in Arabia, India, Media e a Babilonia. Alcuni chiamano lo bdellio importato dal­ la Media peratico. Questa qualità è più fragile, ha più scaglie ed è di sapore più amaro; quello indiano, invece, è più ricco di succo e gommoso. Lo si adul­ tera con le mandorle, mentre le altre specie con la scorza di scordasto - questo è il nome di un albero simile per la gomma -: ma è facile accorgersene (sia detto questo una volta per tutte e valga anche per gli altri profumi) dall'odore, il colore, il peso, il sapore, la reazione al fuoco. Lo bdellio della Battriana è lucido e secco e ha molte macchie chiare che sembrano unghie; inoltre ha un peso specifico, al quale non deve essere né superiore né inferiore. n prezzo di quello puro è di 3 denari a libbra. (20) La Persia confina con i paesi ora nominati. n Mar Rosso, che in que­ sto punto abbiamo chiamato Golfo Persico, spinge le sue maree sulla terra per vari tratti e determina la crescita di alberi dalle caratteristiche straordinarie. Infatti, erosi dal sale, simili a relitti portati e abbandonati dai flutti, quando la riva è secca si vedono abbracciare la sterile sabbia con le radici a nudo, co­ me fossero piovre. Al sopraggiungere della marea resistono forti ai flutti che le sbattono; quando poi la marea è al massimo, rimangono completamente som­ mersi e mostrano alla prova dei fatti che si nutrono del sale marino. Sono di una grandezza prodigiosa, d'aspetto simile al corbezzolo, ma il loro frutto as­ somiglia di fuori a una mandorla e all'interno è fatto a spirale. (21) Nello stesso golfo c'è l'isola di Tilo: la parte che guarda a Oriente è coperta da foreste e anch'essa subisce le maree. Ogni albero che vi cresce ha la grandezza di un fico e un fiore dal profumo di una dolcezza indescrivi­ bile; i frutti assomigliano al lupino e sono evitati da tutti gli animali per il loro sapore aspro. Su un'altura di quella stessa isola vi sono alberi che producono lana, ma di una specie diversa da quella che cresce nel paese dei Seri. Le loro foglie, da cui non si ricava niente, se non fosse per le loro piccole dimensioni, potrebbero sembrare quelle della vite. Fanno invece frutti simili a zucche della grandezza di una mela cotogna che, quando giungono a maturazione, si rom­ pono liberando delle sfere lanose, dalle quali si fanno vesti di un tessuto pre­ zioso. n nome di quest'albero è gossipino e si riproduce con ancor più grande abbondanza a Tilo minore, un'isola che dista 10 miglia da quella maggiore. -

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(22) Secondo Giuba,12 esiste un arboscello attorno a cui si forma una lanu­ gine dalla quale si traggono stoffe più preziose di quelle indiane; inoltre c'è in Arabia un albero dal quale si fanno le vesti, che si chiama cina e ha foglie si­ mili simili a quelle della palma. Così gli Indiani sono vestiti dai propri alberi. Nelle due isole di Tilo cresce poi un altro albero, il cui fiore assomiglia alla violetta bianca, ma è quattro volte più grande e non profuma, cosa che pos­ siamo considerare sorprendente in quella regione. (23) Esiste anche un altro albero simile, ma ha più foglie e i fiori rosa che tiene chiusi durante la notte e comincia a dischiudere al sorgere del sole, fino a raggiungere il massimo dell'apertura a mezzogiorno; a proposito di questi fiori gli indigeni dicono che dormono. Sempre nella stessa isola crescono anche palme, olivi, viti, fichi e tutte le altre specie di alberi da frutto. Nessuno degli alberi che vi crescono ha le foglie caduche; l'irrigazione è assicurata da fonti di acqua fresca e dalle piogge che riceve. (2.4) Nell'Arabia, che è vicina a quelle isole, occorre fare una qualche di­ stinzione fra le specie di piante a seconda delle parti che sono utilizzate come prodotti: radice, fusto, corteccia, succo, resina, legno, germogli, fiore, foglie, frutto. (25) Ci sono una radice e una foglia che sono preziosissime in India. La radice è quella del costo: ha un sapore bruciante e un eccellente profumo, il resto della pianta non viene utilizzato. Subito all'inizio del delta del fiume Indo, nell'isola Palale, se ne trovano le due specie, una nera e l'altra bianca, che è la migliore. n suo prezzo è di 5 denari e mezzo la libbra. (26) Sulla foglia del nardo conviene soffermarsi un po' di più, perché essa riveste importanza primaria fra i profumi. n nardo è un arbusto dalla radice pesante e grossa, ma corta, nera e fragile, benché sia oleosa: ha un odore fe­ tido come quella del cipero e un sapore aspro. Le foglie della pianta sono pic­ cole e folte; la sua cima si ramifica in una serie di spighe: così il nardo è famo­ so per il doppio dono che esso offre delle foglie e delle spighe. Una seconda sua specie nasce sulle rive del Gange e per il suo odore mefitico viene bollata senza remissione col nome di ozenilide. n nardo si falsifica anche con l'erba dello pseudonardo, che cresce dappertutto: ha le foglie più spesse e larghe e un colore smorto che tende al bianco. Si falsifica anche mescolandolo con la sua stessa radice per aumentarne il peso, oppure con la gomma, col litargi­ rio, con l'antimonio, col cipero o la corteccia di ci pero. n nardo puro si rico­ nosce dall'aspetto levigato, dal colore rosso, dal profumo soave, dal suo gusto, che prosciuga la bocca, ma possiede una fragranza piacevole. La sua spiga co12

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sta 100 denari la libbra. n prezzo delle foglie varia a seconda della loro gran­ dezza. L' adrosfero, così chiamato perché se ne ricavano pallottoline più gran­ di, costa 40 denari a libbra; quello con foglie più piccole è il mesosfero e costa 6o denari. n più pregiato è il microsfero, cosi chiamato dalle foglie piccolissi­ me, e costa 75 denari. Tutti hanno un profumo gradevole, ma di più quando sono freschi. La qualità migliore di nardo, quando invecchia, è quella di co­ lore più nero. Nella nostra parte di mondo dopo il nardo indiano viene ap­ prezzato quello siriaco, poi quello gallico, al terzo posto è quello cretese, che viene chiamato selvatico o phu: ha foglie simili a quelle del macerone, il tronco alto un cubito, nodoso e di color rosa pallido, la radice ricurva, rico­ perta di peli e a forma di piede d'uccello. n nardo dei campi di cui parleremo trattando dei fiori, si chiama baccaride. Tutti questi nardi sono erbe all'infuori di quello indiano. Quello della Gallia viene divelto con la sua radice e bagnato nel vino; si fa seccare all'ombra e si lega in piccoli fasci confezionandolo nella carta: i suoi caratteri non sono molto differenti da quelli del nardo indiano, ma è più leggero di quello siriaco. n prezzo è di 3 denari a libbra. C'è un solo modo per verificarne la qualità: le foglie non devono essere fragili e bruciate, invece che secche. Col nardo gallico cresce sempre un'erba chiamata irculo per il suo cattivo odore simile a quello del capro: è con questa soprattutto che lo stesso nardo gallico viene falsificato e ciò avviene per la loro somiglian­ za. La differenza sta nel fatto che l'irculo è senza tronco, ha le foglie più pic­ cole e le sue radici non sono né amare né odorose. (27) Le proprietà del nardo si ritrovano nell'asaro, specie anche questa che qualcuno chiama nardo selvatico. Le sue foglie sono quelle dell'edera, solo più rotonde e più tenere, il fiore è color porpora, la radice è quella del nardo gal­ lico, il seme ha la forma dell'acino e ha un sapore caldo e vinoso: fiorisce due volte l'anno su montagne che sono ricche di ombra. n migliore è quello del Ponto, segue quello della Frigia, il terzo proviene dall'lllirico. Quando comin­ cia a mettere le foglie, viene estratto dal terreno ed essiccato al sole: si guasta e invecchia velocemente. Da poco è stata trovata anche in Tracia un'erba le cui foglie sono identiche a quelle del nardo in è " 10. (28) L'amomo a grappoli che noi usiamo proviene da una lambrusca india­ na, oppure, secondo l'opinione di altri, da un arbusto tortuoso, alto quanto una palma: si coglie assieme alle radici e si mette in fasci maneggiandolo con cautela, perché è molto fragile. n più pregiato ha le foglie simili al melo­ grano e ben levigate, il suo colore è rosso. Poi viene quello di colore pallido; ha il colore dell'erba una qualità ancora peggiore, mentre quello più scadente di tutti è il bianco, colore che, invecchiando, acquistano tutti. L'amomo in grappoli vale 6o denari la libbra, se è sminuzzato 48. Cresce anche in quella parte di Armenia chiamata Otene, nella Media e nel Ponto. Viene adulterato -

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con le foglie del melograno e con la gomma liquida, che serve da adesivo per farlo coagulare in aggregati simili ai grappoli. Ce n'è anche un'altra qualità chiamata amomide, non così piena di vene, più dura e dall'odore meno forte: questi caratteri mostrano che si tratta di una pianta diversa o di amomo colto prima della maturazione. (29) Simile all'amomo nel nome e nella forma dell'arbusto è il cardamomo il cui seme è oblungo. La raccolta avviene in Arabia allo stesso modo e si han­ no quattro specie di semi: una molto verde e oleosa con la forma ad angoli acuti, per niente friabile (è la più pregiata); al secondo posto viene una di un colore rosso che tende al bianco; terza una specie più corta e più scura. La qualità peggiore è di colore variegato ed è friabile; il suo profumo è tenue e deve essere vicino a quello del costo puro. Cresce anche nella Media. TI prez­ zo della qualità migliore è di 3 denari la libbra. (30) Dovrei parlare subito dopo, seguendo un criterio di affinità, del cin­ namomo, ma prima è opportuno elencare le ricchezze dell'Arabia e le ragioni per cui è chiamata Felice e Fortunata (Felix ac Beata). I suoi prodotti princi­ pali sono, dunque, l'incenso e la mirra. Quest'ultima cresce anche nel paese dei Trogloditi; l'incenso invece non si trova al di fuori dell'Arabia e non cresce nemmeno in tutte le sue regioni. Verso il centro dell'Arabia ci sono gli Atra­ miti, una tribù dei Sabei, la cui capitale è Sabota, posta su un alto monte: a otto tappe da lì si trova la regione turifera chiamata Sariba, una parola che secondo i Greci significa 'mistero'. '3 La regione è esposta verso il sorgere del sole quando è estate ed è inaccessibile da ogni parte per la presenza di rupi scoscese; dal lato destro, che dà sul mare, l'approdo è reso impossibile dagli scogli. Si dice che il suolo sia di un rosso tendente al bianco. Le foreste si estendono per 20 scheni in lunghezza e la metà in larghezza. Secondo il cal­ colo di Eratostene uno scheno equivale a 40 stadi, cioè 5 miglia; secondo altri ogni scheno equivale a 32 stadi. In quella regione le colline si ergono ad altezza elevata e gli alberi vi crescono spontaneamente e degradano fino alla pianura. È opinione concorde che il territorio sia argillo so, le sorgenti rare e con acqua alcalina. Popolazione confinante sono anche i Minei, un'altra tribù, per il cui territorio l'incenso viene esportato attraverso un solo angusto sentiero. Furo­ no loro a iniziare il commercio dell'incenso e ancora oggi sono quelli che lo praticano di più: da loro deriva l'altro nome del profumo, mineo. Nessun altro fra i popoli arabi vede l'albero dell'incenso e nemmeno lo vedono tutti gli ap­ partenenti a queste tribù, perché si dice non siano più di 3000 le famiglie che si tramandano in forma ereditaria questo privilegio; perciò i membri di quelle 'l Su questa popolazione vedi anche in/ra. -

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famiglie sono chiamati sacri e nel periodo dell'incisione degli alberi e della rac­ colta evitano di essere contaminati dal contatto con le donne o con i morti, aumentando così il valore religioso della merce. Secondo alcuni l'incenso nelle foreste appartiene in comune a questi popoli, secondo altri ne usufruiscono un anno ciascuno a rotazione. (31) Non è nemmeno ben chiaro quale sia l'aspetto dell'albero. Noi abbia­ mo condotto una spedizione in Arabia e le armi romane sono penetrate in gran parte di questa. Anche Gaio Cesare figlio di Augusto ha cercato lì la glo­ ria, e tuttavia da nessun latino, che io sappia, è stato fornito un resoconto sulla forma di quell'albero. Le descrizioni date dai Greci sono discordi una dall'al­ tra: secondo alcuni la foglia è quella del pero, soltanto più piccola e color ver­ de erba, secondo altri la pianta assomiglia al lentischio e ha le foglie rossicce, secondo altri ancora si tratta di un terebinto e così sembrò al re Antigono, a cui ne fu portato un arbusto. li re Giuba '4 in quei volumi che dedicò al figlio di Augusto Gaio Cesare, un appassionato delle cose d'Arabia, riferisce che ha il tronco tortuoso, i rami esattamente uguali a quelli dell'acero del Ponto, emette una resina come quella del mandorlo e che alberi siffatti si vedono in Carmania e in Egitto, dove furono seminati per ordine dei Tolomei che al­ lora vi regnavano. Si sa che ha la corteccia come quella dell'alloro; secondo alcuni anche le foglie sono simili: certamente di tale aspetto era l'albero a Sar­ di, dove cresceva perché anche i re dell'Asia si erano interessati di farlo semi­ nare. All'epoca mia gli ambasciatori che sono venuti dall'Arabia hanno reso tutto più incerto: cosa veramente sorprendente, ci hanno portato pure alcune verghe d'incenso, dalle quali si può dedurre che anche l'albero madre sia le­ vigato ed emetta i suoi prodotti da un tronco senza nodi. (32) La raccolta un tempo, quando lo smercio era minore, si faceva una volta l'anno. Adesso, per la richiesta del mercato, se ne fanno due. La prima raccolta, quella naturale, avviene verso il sorgere della Canicola quando il cal­ do è più torrido: si procede incidendo la corteccia là dove appare più gonfia e più sottile per la tensione. Vi si fa uno squarcio senza togliere nulla: zampilla fuori una schiuma grassa. La si lascia inspessire e coagulare, quindi viene rac­ colta, se la natura del terreno lo esige, su una foglia di palma, altrimenti su un pezzo di terreno battuto tutto intorno. Col primo procedimento si ottiene una sostanza più pura, ma col secondo una più pesante. L'incenso rimasto attac­ cato all'albero viene tolto col ferro e cosi vi è mescolata un po' di corteccia. La foresta, divisa in settori ben delimitati, è resa sicura dall'onestà vicendevole di tutti quanti: nessuno fa la guardia agli alberi incisi e nessuno ruba all'altro. '4 FGH 275 F 2. -

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Invece, per Ercole, ad Alessandria, dove si lavorano gli incensi, non c'è pre­ cauzione sufficiente a proteggere i laboratori. Si mette un sigillo sul grembiule di ciascun operaio, gli viene messa in testa una maschera o un reticolo a maglie fitte e lo si fa uscire nudo. Tanto meno onesti sono nel trattare l'incenso quan­ do è già prodotto rispetto a quelli che lo rispettano quando è ancora sull'al­ bero. In autunno si raccoglie ciò che le piante hanno prodotto l'estate; è que­ sto un prodotto purissimo, candido. La seconda raccolta avviene a primavera, dopo aver praticato l'incisione degli alberi in inverno in vista di quella. n pro­ dotto stavolta è rossastro e non è paragonabile all'altro. n primo si chiama car­ fiato, il secondo datiate. Un'altra opinione è che il prodotto di un albero gio­ vane sia più candido, ma quello di un albero vecchio abbia più profumo. Alcuni credono anche che l'incenso cresca migliore nelle isole, Giuba '5 invece sostiene che nelle isole non cresca affatto. L'incenso che rimane appeso alla pianta in gocce rotonde è detto maschio, benché in genere parlare di maschio presupponga che ci sia anche una femmina; ma si tratta di uno scrupolo reli­ gioso, per cui non va nominato l'altro sesso. Secondo alcuni il nome di ma­ schio deriva dall'aspetto simile ai testicoli. Le preferenze però vanno a quella con la forma a mammella, che si ha quando a una goccia rimasta appesa si unisce l'altra che segue. Trovo scritto che una sola di queste bastava a riem­ pire una mano, al tempo in cui gli uomini non erano così avidi di guadagno e le lasciavano a formarsi per più tempo. I Greci chiamano queste bolle stagonia e atomo, quelle più piccole orobia. Le particelle che si staccano quando l'al­ bero viene scosso si chiamano manna. Comunque si trovano ancora delle goc­ ce che raggiungono il peso di un terzo di mina, cioè di 28 denari. Una volta che Alessandro Magno, fanciullo, usava con grande abbondanza l'incenso su­ gli altari, il pedagogo Leonida gli disse di aspettare a onorare gli dèi in quel modo, quando avesse sottomesso le popolazioni che producevano l'incenso. Quando in seguito il condottiero si fu impadronito dell'Arabia, mandò al pe­ dagogo una nave carica d'incenso e gli raccomandò di essere generoso nel cul­ to degli dèi. L'incenso dopo la raccolta viene trasportato sui cammelli a Sabo­ ta, dove c'è una sola porta che si può attraversare per questo trasporto: passare da un'altra parte è delitto che i re stabilirono di punire con la morte. Là i sacerdoti prelevano una decima per il dio di nome Sabi, calcolandola a volume, non a peso: prima che avvenga questo prelievo, non è permessa la vendita. La decima serve a coprire delle spese pubbliche, perché per un de­ terminato numero di giorni il dio nutre con grande generosità gli stranieri. L'unica strada che si può percorrere per portare l'incenso via da Sabota passa '5 FGH 275 F 63. -

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per il territorio dei Gebbaniti, e così si paga un tributo anche al loro re. La loro capitale, Tomna, dista da Gaza, città della Giudea posta sulle rive del Mediterraneo, 2437 miglia e mezzo, una distanza che si percorre in 65 tappe di cammello. Anche i sacerdoti e gli scribi del re ricevono delle parti fisse. Ma, oltre a questi, anche le guardie e i loro aiutanti, i portieri e i servi si danno al saccheggio. Per tutto il viaggio si paga dove per l'acqua, dove per il pascolo o per le soste e pedaggi vari: si raggiunge così la spesa di 688 denari a cammel­ lo per il viaggio fino alla costa del Mediterraneo, e poi lì si paga ancora ai pub­ blicani del nostro impero. In questo modo una libbra di incenso della qualità migliore costa 6 denari, una di seconda qualità 5, di terza 3· L'incenso si rico­ nosce dal candore, dalla capacità di espandersi, dalla fragilità; messo sui car­ boni, prende subito fuoco; quando si morde, non conserva l'impronta del dente ma si sbriciola. Da noi si falsifica con il succo della resina bianca che è molto simile, ma si scopre la frode nei modi che si è appena detto. (33) Secondo alcune fonti l'albero della mirra cresce, nelle stesse foreste, mescolato a quello dell'incenso, secondo altre (e sono di più) cresce separato, perché si riproduce in molti luoghi dell'Arabia, come vedremo quando si trat­ terà delle specie. Si importa mirra pregiata anche dalle isole e i Sabei vanno a cercarla fin dai Trogloditi, attraversando il mare. Ne è prodotta anche una qualità coltivata, che è di gran lunga preferita a quella selvatica. Trae giova­ mento se si rastrella il terreno intorno e la si scalza, e migliora se le radici sono rinfrescate. (34) L'albero raggiunge l'altezza di cinque cubiti e ha delle spine, il tronco è duro e ritorto, più grosso di quello dell'incenso e ancora più grosso dalla parte della radice che nel resto. Secondo alcuni la corteccia è liscia e simile a quella del corbezzolo, secondo altri ruvida e irta di spine; le foglie sono quel­ le dell'olivo, ma più crespate e acuminate, secondo Giuba '6 sono quelle del macerone. Qualcuno sostiene che la mirra è simile al ginepro, solo più ruvida e irta di spine, le foglie sono più rotonde, ma il gusto è quello del ginepro. Non manca nemmeno chi afferma falsamente che l'albero dell'incenso produ­ ca sia l'incenso sia la mirra. (35) Anche l'albero della mirra viene inciso due volte l'anno e negli stessi periodi dell'incenso, ma l'incisione è fatta dalle radici fino ai rami più forti. Pri­ ma dell'incisione trasuda spontaneamente una mirra detta stakte, che è la qua­ lità migliore. Dopo di questa viene quella coltivata, mentre anche fra la mirra selvatica la migliore è quella raccolta in estate, come l'incenso. Non si offrono al dio porzioni del raccolto di mirra, perché l'albero cresce anche in altre regio'6 FGH 275 F 64. -

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ni; e tuttavia ne viene data la quarta parte al re dei Gebbaniti. Per il resto viene comprata per tutta la regione dal popolo che la stiva in sacchi e per i nostri pro­ fumieri non è difficile distinguerne la qualità dall'odore e dall'oleosità. Ve ne sono molte specie: quella trogloditica è la migliore fra le selvatiche, seguita dalla minea, nella quale sono comprese l' atramitica, la gebbanitica e l' ausaritica nel regno dei Gebbaniti; al terzo posto è la dianite, al quarto una mistura di mirra raccolta in vari luoghi, al quinto la sambracena, che prende il nome da una città del regno dei Sabei posta sul mare, al sesto quella chiamata dusariti. Ce n'è anche una bianca che cresce solo in un luogo ed è convogliata nella città di Mesala. Quella trogloditica si riconosce per l' oleosità e per il fatto che all'aspetto è più secca, sporca e grezza, ma il profumo è più penetrante delle altre. La sambracena che abbiamo ora nominata è piacevole più di tutte all'aspetto, ma il profumo ha poca forza. Grosso modo la garanzia della buona qualità è data dalla mirra che si presenta in pallottoline di forma irregolare, risultanti dalla concrezione di un succo biancastro e che tende a fondersi; quando si rompe, deve avere dentro delle particelle bianche simili a unghie e al gusto deve essere leggermente amara. La mirra di seconda qua­ lità è variegata dentro; la più cattiva è quella nera all'interno ed è ancora peg­ giore se lo è anche fuori. I prezzi variano a seconda della domanda: quello del­ la stakte va da 3 a 50 denari per libbra, quello della mirra coltivata raggiunge al massimo n denari, quello dell'Eritrea (che fanno passare per arabica) 16, il nu­ cleo della trogloditica è venduto a 16 e mezzo, quella che chiamano odoraria a 12. La mirra viene falsificata con grumi di resina di lentischio e gomma e ugualmente con succo di cocomero, per renderla amara, e litargirio per appe­ santirla. Le altre sofisticazioni si scoprono dal sapore; le gomme si rivelano, sotto i denti, per la loro viscosità. La falsificazione più grave è quella con la mirra indiana, che si raccoglie in India da un arbusto spinoso. Questo è il solo prodotto dell'India che è di peggiore qualità rispetto a quello di altre regioni: distinguerlo è facile, tanto è inferiore. (36) Questa mirra indiana può dunque essere trasformata in mastice, che è anche prodotto da un altro arbusto spinoso sia in India sia in Arabia: il suo nome è laina. Ma anche del mastice ci sono due qualità: in Asia e in Grecia si trova un'erba che fa spuntare le foglie dalle radici e ha per frutto un cardo simile a una mela, pieno di grani e di un succo che viene fuori quando si incide la parte superiore: si prova fatica a distinguerlo dal mastice vero. Ce n'è anche una terza qualità nel Ponto, più simile al bitume. n più rinomato è però il mastice bianco di Chio il cui prezzo è di 10 denari a lib­ bra, mentre quello nero costa solo 2. n mastice di Chio - si dice - viene pro­ dotto dal lentischio come una gomma. Si falsifica come l'incenso con della resina. -

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(37) A tutt'oggi un altro vanto dell'Arabia è il ladano. Sono in molti ad affermare che questa pianta deve al caso e all'ingiuria che subisce se è da an­ noverare fra i profumi: le capre, animali avidi dei rami delle altre piante, ma più golosi ancora degli arbusti profumati, come se ne intuissero il valore, strappano via i rami dei virgulti che sono pieni di un liquore dolcissimo e asciugano infaticabili coi peli della barba il succo che gocciola giù, formando una mistura fortuita: questo si raggruma con la polvere, viene cotto dal sole ed è così che nel ladano si trovano i peli di capra. Ma questo accade solo nel paese dei Nabatei, un popolo dell'Arabia confinante con la Siria. Gli scrittori più re­ centi chiamano questo prodotto storbo e riferiscono che le foreste arabe sono fatte a pezzi dalla voracità delle capre e così il succo si mescola ai loro peli, ma che il ladano vero si trova nell'isola di Cipro (questo lo dico per toccare, di pas­ saggio, tutte le specie di profumi, pur senza mantenere l'ordine geografico). Se­ condo queste fonti anche il ladano che si produce a Cipro ha una simile origine: si tratterebbe di una sostanza detta esipo che si attacca alle barbe dei capri e alle loro guance pelose, però quando mangiano il fiore d'edera alla mattina pre­ sto, le ore in cui Cipro è coperta di rugiada. Poi, dopo che il sole ha dissolto la nebbia, la polvere aderisce ai peli umidi e così il ladano può esser tolto via con un pettine. Secondo alcuni l'erba di Cipro dalla quale esso si forma ha nome 'leda' e infatti gli abitanti dell'isola lo chiamano 'ledano'. Sopra quest'erba si depositerebbe una sostanza grassa, e quest'erba verrebbe avvolta da cordicelle tese tutto intorno che permetterebbero la raccolta del ladano, e così si confe­ zionerebbe poi la sostanza in focacce. Per concludere, in ambedue i paesi ci sono due specie di ladani, uno che si deposita in terra e l'altro che viene rac­ colto: il primo è friabile, il secondo gommoso. Si dice anche che esiste un ar­ busto di ladano in Carmania, che per disposizione dei Tolomei sarebbe stato trapiantato al di là dell'Egitto, oppure, secondo altri, si tratterebbe di un pro­ dotto degenerato dell'albero dell'incenso, si otterrebbe come la gomma, inci­ dendo la corteccia, e si raccoglierebbe su pelli di capra. n prezzo della qualità più pregiata è di 40 assi a libbra. Si falsifica con le bacche di mirto e con i peli che cadono da animali diversi dalle capre. n ladano per essere puro deve avere un profumo selvatico, come di deserto, deve essere all'aspetto secco ma ram­ mollirsi appena si tocca e, quando si accende, deve fare una fiamm a viva che produce un odore piacevole; quando invece è falsificato col mirto, si riconosce perché dà un odore cattivo e scoppietta nel fuoco. Inoltre quello puro è più facile che abbia inglobati piccoli frammenti di roccia anziché polvere. (38) In Arabia anche l'olivo emette un succo, col quale i Greci confezio­ nano un medicamento chiamato enemo, straordinariamente efficace per far rimarginare le cicatrici delle ferite. Sui litorali queste piante sono ricoperte dai flutti dell'alta marea, ma le bacche non ne sono danneggiate, anche se è -

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evidente che il sale rimane nelle foglie. Questi sono i prodotti propri dell'A­ rabia: ve ne sono ancora pochi che esistono anche in altre regioni e che con­ viene trattare in un altro punto, perché in questi casi non è l'Arabia ad avere la supremazia. Suscita meraviglia che gli Arabi vadano anche in cerca dei profu­ mi esteri: tanta è la sazietà dei propri beni e tanta l'avidità di quelli altrui che prende i mortali. (39) Così vanno a prendere il brato nel territorio degli Elimei: si tratta di una pianta simile a un cipresso coi rami aperti, ha i rami biancastri e manda un profumo gradevole quando brucia: Claudio Cesare '7 nelle sue Storie ne parla come di una meraviglia. Riferisce che i Parti spargono le sue foglie nelle loro bevande, che ha un profumo molto simile alla cedrus e che il suo fumo è un antidoto contro quello di altre varietà di legno. Cresce oltre il Pasitigri, nel territorio della città di Sostra sul monte Scancro. (40) Importano anche lo stobro dal territorio dei Carmani per fare i suf­ fumigi (lo bagnano di vino di palma e gli danno fuoco). n suo profumo ritorna dal soffitto al pavimento ed è piacevole, ma appesantisce la testa, senza arri­ vare però al dolore; lo si usa per far dormire gli ammalati. Hanno aperto a questi commerci la città di Carré, che in quell a regione è la sede del mercato. Di lì una volta partivano tutti i convogli per Gabba, dove arrivavano con venti giorni di viaggio, e per la Palestina in Siria. In seguito, come riferisce Giuba,'8 per questo commercio si cominciò a passare per Ca­ race e per il regno dei Parti. La mia opinione è che abbiano portato questi prodotti in Persia prima ancora che in Siria e in Egitto, perché, secondo la testimonianza di Erodoto, le popolazioni arabe pagavano ai re di Persia un tributo di mille talenti d'incenso l'anno.'8 h" Dalla Siria portano indietro lo sto­ race, che gettano nel fuoco per scacciare col suo forte odore il fastidio per i propri profumi. D'altra parte non usano altra legna all'infuori di quella pro­ fumata: i Sabei cuociono i cibi con il legno d'incenso, altri con quello della mirra e il fumo e l'odore che si alza dalle città e dai villaggi è lo stesso che si solleva dagli altari. Così, per porre un rimedio a queste esalazioni, impor­ tano lo storace in sacchi di pelle di capro e ne affumicano le loro case. A tal punto è vero che non esiste piacere che non generi fastidio se è assaporato a lungo. Bruciano lo storace anche per allontanare i serpenti, numerosissimi nel­ le foreste di alberi che producono profumi. (41) Gli Arabi non hanno né il cinnamomo né la cassia e nondimeno l'A­ rabia è detta 'Felice', un epiteto falso e pieno di ingratitudine, che fa passare '7 FGH 276 F 1. '8 FGH 275 F 65. 18 bù Storie III 97 ss.

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per avuto dagli dèi celesti quello di cui la regione è piuttosto debitrice verso le potenze infernali. La sua fortuna l'ha fatta il lusso degli uomini che arriva fino alla morte e fa bruciare per i defunti quei prodotti che prima si intendevano creati per gli dèi. Gli esperti assicurano che la produzione di un intero anno non arriva a eguagliare la quantità che l'imperatore Nerone fece bruciare ai funerali della sua Poppea. Si considerino poi gli innumerevoli funerali che ogni anno si celebrano in tutto il mondo e la massa dei profumi accumulati in onore dei morti e si vedrà che agli dèi vengono date solo le briciole. D'al­ tronde gli dèi non erano meno propizi quando li si adorava con la farina sa­ lata; al contrario, è evidente, erano più benevoli allora. Ma ancora più fortu­ nato è il mare dell'Arabia: da questo gli Arabi traggono le perle che esportano e, secondo la valutazione più bassa, ogni anno gli Indiani, i Seri e gli abitanti della penisola d'Arabia tolgono al nostro impero cento milioni di sesterzi; tanto ci costano il lusso e le donne. Orsù, ditemi ora quale parte di questi soldi proviene dagli dèi, anche da quelli inferi. (42) In tempi antichi Erodoto '9 per primo ci ha narrato una leggenda sul cin­ namomo e la cassia: questi prodotti si trovavano nei nidi degli uccelli e soprat­ tutto in quello della Fenice, nei luoghi dove era stato allevato il dio Libero. Ve­ nivano fatti precipitare giù da alberi posti su rupi inaccessibili o dal peso della carne che gli uccelli vi portavano, o da frecce piombate; parimenti della cassia si dice che cresca intorno alle paludi e che sia difesa con le unghie da una terri­ bile specie di pipistrelli e da serpenti alati: con queste favole si aumenta il prezzo della merce. C'è un'altra storia inventata che riguarda questi prodotti: sotto i rag­ gi del sole di mezzogiorno si solleva da tutta la penisola una sorta di profumo indescrivibile, formato dall'accordo delle varie specie di profumi che porta il sof­ fio della brezza, e fu così che i profumi, spingendosi in alto mare, diedero il pri­ mo annuncio dell'Arabia alle flotte di Alessandro Magno. È tutto falso, giacché il cinnamomo così come il cinnamo nascono in quella parte dell'Etiopia in cui la popolazione si unisce in matrimonio coi Trogloditi. Questi lo comprano dai loro vicini e lo trasportano per la vastità del mare su zattere che non hanno timoni che le dirigano, né remi che le trascinino, né vele che le sospingano, né alcuno stru­ mento utile alla navigazione: su quelle imbarcazioni, a far le veci di tutto questo, sta solo l'uomo con la sua audacia. Come se non bastasse, fanno la traversata ver­ so il solstizio d'inverno, quando gli euri soffiano più forti. Questi venti li spingo­ no in linea retta per il golfo e, dopo aver doppiato il capo di Arabia, i soffi del­ l' argeste li fanno approdare nel porto dei Gebbaniti che si chiama Ocilia. Perciò questo porto costituisce la loro meta preferita e si dice che questi mercanti dif'9

Storie ID no ss. ; vedi testo n. 21.3 di questa Appendice documentaria. -

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ficilmente tornino indietro prima che sian passati quattro anni, e che molti muoiano durante il viaggio. In cambio portano indietro oggetti di vetro e di bronzo, vesti, fibbie con braccialetti e collane. Quindi quel commercio si basa soprattutto sulla sicurezza che danno le donne con la loro ambizione. L'arbusto di queste piante è al massimo alto due cubiti e come minimo un palmo, è largo quattro dita, appena a 6 dita da terra mette germogli, somiglia a un albero secco, non manda profumo quando è verde, ha le foglie dell'origa­ no, trae giovamento dalla siccità, diventa meno fecondo se piove e lo si può potare. Nasce nelle pianure, ma là dove i cespugli e i rovi sono più fitti ed è difficile da cogliersi. Per procedere alla raccolta ci deve essere il permesso del dio, che la popolazione locale chiama Assabino e qualcuno identifica con Giove. n permesso di tagliare è ottenuto col sacrificio delle viscere di 44 buoi, capre e arieti, e cionondimeno non si può lavorare prima del sorgere del sole né dopo il tramonto. Un sacerdote divide i rami con un'asta e mette da parte una porzione per il dio, il resto il mercante lo confeziona in balle. Secondo un'altra versione il prodotto viene diviso col Sole in questo modo: se ne fanno tre parti, poi, tirando a sorte due volte, se ne mettono due da par­ te e quella che tocca al Sole è lasciata lì e prende fuoco spontaneamente. La migliore qualità si trova nelle parti più fini dei rami, per la lunghezza di un palmo, poi viene quella della parte che subito segue, ma per una lunghezza minore, e così via. La qualità peggiore si trova nelle zone più vicine alle radici, perché lì c'è meno corteccia, che è la parte più pregiata, e perciò sono prefe­ rite le cime, dove la corteccia è in quantità maggiore. n legno invece non è apprezzato per l'odore acre che ne emana, simile a quello dell'origano; il SUO nome è xilocinnamo. n prezzo del prodotto è di IO denari a libbra. Alcuni riferiscono di due specie di cinnamo, una bianca, l'altra nera; un tempo si pre­ feriva quello bianco, ora invece è pregiato quello nero e al bianco si preferisce anche quello variegato. La sua qualità si può comunque verificare con la mas­ sima sicurezza, accertando che non sia ruvido e che resista a lungo allo sfre­ gamento con un altro pezzo di cinnamo senza sfaldarsi. n peggiore viene con­ siderato quello molle o quello a cui si stacca la corteccia. n monopolio del prodotto è esclusivo del re dei Gebbaniti, che ne apre la vendita con un edit­ to. Una volta il prezzo era di moo denari a libbra; è aumentato del cinquanta per cento quando le foreste furono incendiate (così si dice) dal furore dei bar­ bari: non è certo se l'incendio fosse stato provocato dalla malvagità dei potenti o dovuto al caso. Troviamo scritto nelle fonti che là soffiano austri così infuo­ cati, che in estate incendiano le foreste. Primo fra tutti l'imperatore Vespasia­ no Augusto consacrò nei templi del Campidoglio e della Pace corone di cin­ namo intarsiato chiuse in un'anima d'oro. Abbiamo visto nel tempio del Palatino, che la consorte Augusta aveva fatto innalzare al divino Augusto -

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una radice di cinnamo molto pesante collocata su una patera d'oro, dalla qua­ le ogni anno si versavano fuori alcune gocce che seccavano e diventavano se­ mi: ci rimase fino alla distruzione di quel tempio a opera di un incendio. (43) Anche la cassia (cannella) è un arbusto e nasce presso i campi del cin­ namo (ma quella che cresce in montagna ha lo stelo più grosso) , ha una pelle fine, più che una vera corteccia e, contrariamente a quel che si è detto prima per il cinnamo, acquista valore se questa pelle cade o viene tolta. L'arbusto è alto tre cubiti e ha tre colori: da dove comincia a spuntare da terra fino all'al­ tezza di un piede è bianco, poi, per un altro mezzo piede, diventa rosseggiante, da quel punto in poi è nero. Quest'ultima parte è la più pregiata, al secondo posto viene quella intermedia, mentre quella bianca non ha nessun valore. Si tagliano i ramoscelli per una lunghezza di due dita ciascuno, poi si avvolgono nelle pelli di animali appena uccisi per questo scopo, in modo che nel processo di putrefazione i vermi erodano il legno e vuotino dentro la corteccia, che non li attira per il suo gusto amaro. È pregiata soprattutto la cassia più fresca e dal­ l' odore più penetrante, quella che, quando si gusta, non brucia la bocca, ma la stuzzica delicatamente con un calore progressivo: deve avere inoltre un colore purpureo, il massimo del volume per il minimo di peso e deve formare col pro­ prio rivestimento dei tubetti corti e resistenti. Questa qualità è chiamata lada dai barbari. Un'altra è detta balsamode perché ha un odore simile al balsamo, ma è amara e perciò più utile in medicina, così come quella nera viene usata di preferenza per i profumi. Nessun prodotto registra una tale escursione dei prezzi: la qualità migliore costa 50 denari a libbra, le altre 5· A queste specie i mercanti hanno aggiunto quella che chiamano dafnide, soprannominando­ la isocinnamo e vendendola a 300 denari. Viene falsificata con lo storace e, per la somiglianza della corteccia, con i ramoscelli più teneri dell'alloro. Viene coltivata anche nella nostra parte di mondo e io l'ho vista piantata, in mezzo ad alveari, all'estremo confine dell'impero, nelle terre bagnate dal Reno. A questa manca il colore e il sapore che le viene dato dal bruciare del sole. (44) Dai confini del paese dove crescono la cassia e il cinnamo/cinnamo­ mo vengono importati anche il cancamo e il taro, ma questi passano per il ter­ ritorio dei Nabatei Trogloditi, che sono una colonia dei Nabatei. (45) Lì vengono trasportati anche il sericato e il gabalio, il cui uso gli Arabi riservano a se stessi; nella nostra parte di mondo sono conosciuti solo di no­ me, ma crescono insieme al cinnamo e alla cassia. Per la verità qualche volta il sericato arriva e c'è chi lo aggiunge ai profumi. Si vende a 6 denari la libbra. (46) TI mirobalano si trova nel paese dei Trogloditi, nella Tebaide e in quella parte di Arabia che divide la Giudea dall'Egitto. Si tratta di un albero che produce profumo, come mostra il nome stesso, col quale parimenti viene anche significato che il suo frutto è una ghianda. La pianta ha le foglie simili al - 11 3 -

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girasole, che nomineremo trattando delle erbe, e ha frutti grandi come noccio­ le. La specie che cresce in Arabia è detta siriaca ed è bianca, al contrario quel­ la che cresce nella Tebaide è nera. La prima si apprezza di più per la qualità dell'olio che se ne ricava, la seconda per la quantità. Quella del paese dei Tro­ gloditi è tra queste qualità la peggiore. Alcuni preferiscono a tutte queste il mirobalano etiopico che ha una ghianda nera e non oleosa, dal nocciolo esile, ma che produce un liquido più profumato: è un albero che cresce in pianura. Secondo gli stessi il mirobalano d'Egitto è più grasso, ha una corteccia più grossa che gli conferisce un colore rossiccio e, benché cresca in zone palustri, è più corto e più secco; al contrario quello dell'Arabia è verde, più esile e più compatto nella forma, in ragione del fatto che cresce in montagna: ma la qua­ lità di gran lunga migliore è quella petrea, che prende il nome dalla città di cui abbiamo parlato: ha la corteccia nera e il nocciolo bianco. I profumieri spre­ mono solo le cortecce, i medici anche i noccioli, che battono versandovi sopra dell'acqua calda piano piano. (47) Tra i profumi viene usata in maniera simile e subito dopo il miroba­ lano una palma che cresce in Egitto, chiamata adipso, che è verde, ha il pro­ fumo della mela cotogna e non ha legno internamente: si raccoglie in autunno poco prima che cominci a maturare. Se invece non si raccoglie, prende il no­ me di fenicobalano, diventa nera e chi la mangia subisce l'effetto di una droga. n prezzo del mirobalano è di 2 denari a libbra. I mercanti danno questo nome anche al fondo del profumo che ne traggono. (48) n calamo aromatico è un altro prodotto dell'Arabia. Cresce anche in India e in Siria, dove c'è il migliore. A 150 stadi dal Mediterraneo tra il monte Libano e un altro senza nome (non è, come taluno ha pensato, l'Antilibano), in una piccola valle, presso un lago le cui paludi d'estate si seccano, per un raggio di trenta stadi intorno, crescono il calamo aromatico e il giunco profu­ mato. Parliamo pure anche del giunco, benché sia un altro il libro dedicato alle erbe, poiché qui si tratta di tutto ciò che serve ai profumi. Non hanno nel­ l' aspetto tratti diversi rispetto alle altre piante della loro specie, ma il calamo attira subito da lontano con un profumo eccellente; è più molle al tatto e la qualità meno fragile e che si rompe in schegge è migliore di quella che si rom­ pe come il ravanello. Dentro la canna c'è una sorta di ragnatela che chiamano il fiore: è migliore la pianta che ne ha in maggior quantità. L'altra prova di qualità è il colore nero - quelle bianche non hanno valore - ed è tanto miglio­ re quanto è più corta e più spessa e flessibile quando si rompe. n calamo aro­ matico ha il prezzo di 1 denario a libbra, il giunco di 5· Si dice che il giunco profumato si trovi anche in Campania. (49) Ora abbiamo abbandonato le terre prospicienti l'oceano per entrare in quelle poste sui nostri mari. Dunque, la parte dell'Mrica che sta sotto l'E- 114 -

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tiopia distilla la gomma ammoniaca nelle sue distese di sabbia; dalla sabbia prende il nome anche l'oracolo di Ammone, presso il quale questa sostanza è prodotta da un albero, che chiamano metopo, in maniera simile alla resina o alla gomma. Ve ne sono due specie: il trausto, che assomiglia all'incenso ma­ schio ed è apprezzato moltissimo, e quella che ha nome urama, oleosa e resi­ nasa. n prodotto viene adulterato con la sabbia, come se vi fosse rimasta at­ taccata quando esso si stava formando; è più apprezzato dunque quanto più piccole e più pure sono le zollette in cui si presenta. n prezzo della qualità migliore è di 40 assi a libbra. (5o) Lo sfagno che si trova nella provincia della Cirenaica a sud di quelle regioni è il più pregiato; si chiama anche brio. n secondo posto lo occupa quello di Cipro, il terzo quello della Fenicia. Si dice che cresca anche in Egitto e persino in Gallia; e non potrei dubitarne, perché sugli alberi ci sono ciuffi bianchi di questo nome, come ne vediamo soprattutto sulle querce, ma dal profumo eccellente. n valore più alto lo hanno quelli più bianchi e più larghi, poi vengono quelli rossicci, mentre quelli neri non hanno alcun valore. Non valgono nulla nemmeno quelli nati sulle isole e sulle rocce e tutti quelli che hanno il profumo delle palme e non quello che gli è proprio. (51) In Egitto c'è l'henna un albero che ha le foglie del giuggiolo, il seme come quello del coriandolo, bianco e profumato. Questo seme viene fatto cuocere nell'olio e viene spremuto ricavandone quello che chiamano henna. n suo prezzo è di 5 denari la libbra. La qualità migliore si ricava dall'albero che cresce a Canopo sulle rive del Nilo, poi viene quello di Ascalona in Giu­ dea e al terzo posto quello dell'isola di Cipro. n suo profumo ha una certa dolcezza. Dicono che l'henna sia da identificare con l'albero che in Italia si chiama ligustro. (52) Nella stessa regione nasce l'aspalato, un arbusto spinoso bianco di grandezza non eccessiva, che ha il fiore simile alla rosa. La radice è ricercata per i profumi. Dicono che su qualunque arbusto si incurvi l'arcobaleno, vi ri­ mane lo stesso profumo soave dell' aspalato; ma, se questo accade all' aspalato, la soavità del profumo è indescrivibile. Alcuni chiamano questa pianta erisi­ scettro, altri scettro. La buona qualità si può verificare dal colore rossiccio o rosso fuoco, dalla compattezza che rivela al tatto e dal profumo, che è quello del castorio. Viene venduto a 5 denari la libbra. (53) In Egitto cresce anche il maro, inferiore per qualità a quello della Li­ dia, che ha foglie più grandi e variegate; quelle del maro egizio sono corte, piccole e profumate. (54) Ma fra tutti i profumi il preferito è il balsamo, che è concesso a una sola terra, la Giudea, e un tempo si trovava solo in due giardini, ambedue del re, uno grande non più di venti iugeri l'altro ancora meno. Gli imperatori Ve-

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spasiano e Tito hanno mostrato quest'albero a Roma e - poiché è motivo di gloria, la cosa va segnalata - a partire da Pompeo Magno i Romani hanno fat­ to sfilare in trionfo anche degli alberi. Ora il balsamo è schiavo e paga i tributi insieme al suo popolo e risulta avere caratteri completamente diversi da quelli divulgati dagli scrittori romani e stranieri. È infatti più simile alla vite che al mirto. Da non molto si è imparato a trapiantarlo tagliando ramoscelli a forma di martello, viene legato come la vite e ricopre i colli come i vigneti. Si sostiene da solo senza lacci, viene tagliato come la vite quando butta fuori i rami, l'uso del rastrello lo fa prosperare: spunta presto e prima di tre anni fruttifica. Le foglie sono molto simili a quelle del lazzeruolo e non cadono mai. I Giudei hanno infierito contro il balsamo così come hanno fatto con la loro stessa vita; ma i Romani lo hanno difeso e si è combattuto per un arbusto; adesso è col­ tivato dall'erario imperiale e non fu mai prodotto in quantità maggiore. L'al­ tezza si mantiene sotto i due cubiti. Vi sono tre specie di balsamo: una esile e dai rami fatti a capigliatura, chiamata euteristo; la seconda ruvida all'aspetto, ricurva, ricca di germogli, dall'odore più forte: la chiamano trachi; la terza è detta eumece perché è più alta delle altre; ha la corteccia liscia. Quest'ultima è la seconda per qualità, mentre la peggiore è quella dell' euteristo. n seme del balsamo ha un gusto molto simile a quello del vino, il colore rossiccio ed è un po' oleoso. Più il grano è levigato e verde e meno è buono. I rami sono più spessi che nel mirto. La pianta viene incisa col vetro, con una pietra o con col­ telli fatti di osso; non sopporta che il ferro leda le parti vitali e muore subito, ma tollera invece che il ferro la liberi dalle parti superflue. La mano dell'inci­ sore si muove con sapiente prudenza per non provocare ferite oltre la cortec­ cia. Dalla ferita esce il succo che chiamano opobalsamo: è estremamente dol­ ce, ma cola in piccole gocce: servendosi di batuffoli di lana lo si raccoglie in piccoli corni e da quelli si mette in vasi di terra nuovi. È allora simile a un olio piuttosto grasso, di colore bianco, prima che avvenga la fermentazione; poi diventa rossiccio e insieme si indurisce perdendo la trasparenza. Al tempo in cui Alessandro Magno fece una spedizione in Giudea, era normale riempire in una giornata estiva una sola conchiglia; tutto il prodotto che si traeva dal giardino più grande era di sei congi, da quello più piccolo di uno solo, e ve­ niva pagato col doppio del suo peso in argento: ora anche la produzione di una sola pianta è più abbondante. L'incisione viene fatta tre volte ogni estate, poi si fa la potatura. Anche i ramoscelli sono messi sul mercato. Già quattro anni dopo la vittoria sulla Giudea, solo dai tagli e dai germogli si ricavarono 8oo.ooo sesterzi; è quello che chiamano xilobalsamo e se ne fanno decotti in profumeria. Nei laboratori ha preso il posto del succo stesso. Anche la cortec­ cia è pregiata per l'uso in medicina. Ma la parte più ricercata sono le lacrime, poi viene il seme, terza la corteccia, all'ultimo posto il legno. n legno migliore -

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è simile al bosso e anche il più profumato; il seme migliore è quello più grosso e più pesante, quello che ha un sapore più aggressivo e brucia in bocca. Si falsifica con l'iperico di Fetra, che si riconosce dalle sue grandi dimensioni, dal fatto che è vuoto, dallo sviluppo in lunghezza, dalla debolezza del profu­ mo e dal sapore uguale a quello del pepe. La lacrima è pregiata quando è oleo­ sa, sottile, un poco rossa e dà profumo quando si sbriciola. Quello di seconda qualità è bianco, poi viene quello verde e spesso e il peggiore è nero, perché degenera invecchiando come l'olio. Quanto all'incisione, quella che dà la la­ crima migliore deve essere effettuata prima che la pianta fruttifichi. Si falsifica anche in un altro modo, col succo del seme e a stento si riesce a scoprire la frode grazie al sapore più amaro; il prodotto deve essere infatti dolce, senza alcuna acidità, solo il profumo deve essere forte. Si falsifica anche con l'olio di rosa, con quello di henna, di lentischio, di balano, di terebinto, di mirto, con la resina, il galbano, la cera di Cipro, a seconda di ciò che si ha a dispo­ sizione. L'adulterazione più insidiosa è quella con la gomma, perché questa secca sul dorso della mano e nell'acqua si deposita sul fondo, ambedue carat­ teristiche del balsamo vero. Anche il balsamo puro deve seccare ma, quando vi è aggiunta la gomma, si forma una crosta fragile. Si scopre la falsificazione anche dal sapore; mediante la combustione si scopre poi quello che è adulte­ rato con la cera e con la resina, perché produce una fiamm a più scura. Se vie­ ne adulterato con l'aggiunta di miele, subisce un mutamento sensibile e, ap­ pena in mano, attira le mosche. Inoltre una goccia di balsamo puro versata in acqua tiepida si concentra e va a depositarsi sul fondo del vaso; se il balsa­ mo è adulterato, galleggia come l'olio e, se la sostanza con cui è adulterato è il metopio, si forma un cerchio bianco intorno. La verifica decisiva è che il bal­ samo puro fa coagulare il latte e non macchia le vesti. In nessun altro campo si assiste a un maggior numero di frodi, perché un sestario comprato alla vendita fatta dall'erario per 300 denari, è rivenduto a woo: questo dà un'idea del pro­ fitto che c'è ad aumentare la quantità della sostanza. Lo xilobalsamo costa 6 denari a libbra. (55) Nella parte della Siria che confina con la Giudea, all'interno della Fenicia, viene prodotto lo storace nei dintorni di Cabala, Maratunte e il monte Casio di Seleucia. L'albero ha lo stesso nome, è simile al melo coto­ gno e le gocce della sua resina hanno un odore forte e piacevole; dentro è cavo come una canna e pieno di succo. Verso il sorgere della canicola vo­ lano su questa pianta dei vermicelli alati e si mettono a roderla, ed è per questa erosione che essa assume un aspetto squallido. Dopo la qualità pro­ dotta in queste zone, è apprezzato lo storace della Pisidia, di Cipro, della Cilicia, di Creta; quello dell'Amano di Siria non è affatto usato in medicina, ma piuttosto per i profumi. Fra gli storaci di tutti questi luoghi sono più -

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pregiati quelli di colore rossiccio, oleosi ed elastici, peggiori sono invece quelli bruni e ricoperti di una muffa bianca. Lo storace viene adulterato con la resina di cedrus o di gomma, altrimenti col miele o mandorle amare; si tratta di sofisticazioni che vengono tutte svelate al gusto. n prezzo della qualità migliore è 17 denari a libbra. La pianta cresce anche in Panfilia, ma è più secca e ha meno succo. (56) Altro prodotto della Siria è il galbano che sullo stesso monte Amano viene fuori da una ferula che porta lo stesso nome. È una sorta di resina e lo chiamano stagonitide. Quello più pregiato è cartilaginoso, chiaro come la gomma ammoniaca e per niente legnoso. Anche se all'apparenza è così, può essere adulterato con la fava o il sacopenio. Se è puro, quando brucia sprigiona un odore che mette in fuga i serpenti. È venduto a 5 denari la lib­ bra. (57) n galbano viene usato solo in medicina; un altro prodotto della Siria è la panacea che serve anche per i profumi: cresce in Psofide in Arcadia, nei dintorni della sorgente del fiume Erimanto, nonché in Mrica e in Macedo­ nia. Si tratta di una ferula particolare alta cinque cubiti, le foglie sono rag­ gruppate prima a quattro per volta, poi a sei, quelle a terra sono rotonde e di notevoli dimensioni, mentre in cima sono come quelle dell'olivo; il seme pende giù dal fogliame a chioma come nella ferula. n succo si raccoglie in­ cidendo il tronco al tempo delle messi e la radice in autunno. n più pregiato è quello che coagulandosi diventa bianco; segue· per qualità quello pallido, mentre nessun valore ha quello nero. La qualità migliore costa 2 denari a libbra. (58) La ferula che ha nome spondilio differisce da questa solo nelle foglie, poiché esse sono più piccole e divise come nel platano. Cresce solo in luoghi ombrosi. n seme, che ha lo stesso nome, ha l'aspetto del seseli e si usa solo in medicina. (59) La Siria produce anche il malobatro, un albero dalle foglie ripiegate, che ha il colore delle foglie morte e dal quale si spreme un olio per profumi. L'Egitto ne produce più della Siria, ma più pregiato è quello che viene dall'In­ dia. Si dice che in questa regione nasca nelle paludi come la lenticchia, sia pro­ fumato più dello zafferano, sia nerastro, ruvido, dal sapore simile al sale. Me­ no pregiato è quello bianco, che invecchiando si guasta prestissimo. n suo sapore in bocca deve essere simile a quello del nardo, il suo profumo, quando viene fatto bollire nel vino, supera tutti gli altri. Quanto al prezzo, è veramente incredibile: oscilla da 1 fino a 300 denari per libbra; le sue foglie costano 6o denari a libbra. (6o) Anche l'agresto è un olio, che viene da due specie di piante mediante due diversi procedimenti, dall'olivo e dalla vite; l'oliva viene spremuta quando -

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ancora è bianca; di qualità inferiore è quello tratto dalla drupa (si chiama così l'oliva che non è ancora matura per essere mangiata, ma già cambia colore) . La differenza tra le due qualità di agresto è che il secondo è verde, il primo bianco. Si ottiene poi dalla vite psitia o da quella aminnea. Quando i grani hanno la grandezza di un cece, prima del sorgere della canicola, viene colta l'uva nel suo primo fiorire e il suo agresto. n resto si lascia a cuocere al sole (per proteggerli dalla rugiada si mettono i grappoli in vasi di terra) . L'agresto viene raccolto e conservato in vasi di bronzo cipriota. n migliore è rossiccio, piuttosto aspro e secco. L'agresto costa 6 denari a libbra. Si ottiene anche con un altro procedimento, triturando nei mortai l'uva non ancora matura, facen­ dola poi seccare al sole e dividendola in pastiglie. (6I) Alla stessa famiglia appartiene anche il muschio, ottenuto dalle pan­ nocchiette del pioppo bianco. n migliore cresce nei dintorni di Cnido o in Ca­ ria, in zone prive d'acqua, aride e rocciose, quello di seconda qualità cresce sulla cedrus di Licia. Altro componente della famiglia è l'enante che corrispon­ de all'uva della lambrusca; questa viene colta al tempo della fioritura che coin­ cide con quello in cui sparge il miglior profumo, viene fatta seccare all'ombra sopra un telo e poi viene raccolta in vasi. La qualità migliore proviene dalla Parapotamia, la seconda da Antiochia e Laodicea in Siria, la terza dai monti della Media ed è più usata in medicina. Alcuni preferiscono a tutte queste quella che è prodotta nell'isola di Cipro. Infatti quella che si produce in Mrica è usata solo in medicina e si chiama massari. Comunque la lambrusca bianca dà un prodotto migliore di quella nera. (62) C'è un altro albero che serve anch'esso a produrre profumi: alcuni lo chiamano elate (è il nostro abete), altri palma, altri spathe. n più pregiato è quello dell'oasi di Ammone, poi viene l'egizio, poi il siriaco. È profumato solo se si trova in luoghi privi d'acqua, ha una lacrima grassa, che viene aggiunta nei profumi per attenuare la viscosità dell'olio. (63) In Siria si produce anche quella specie di cinn amo che chiamano co­ maco. È il succo spremuto da una noce ed è molto diverso dal succo del vero cinnamo, ma ha un profumo quasi ugualmente piacevole. Costa 40 assi la lib­ bra. [Traduzione di A. PERUTELLI, in G.B. CONTE (a cura di), Gaio Plinio Secondo. Storia Na­ turale, vol. ill , Botanica, Torino 1984]

6.2 . PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale, Libro XIII capitoli 1-6 (1 ) Finora, quanto a essenze aromatiche, si è considerato il valore che in quest'ambito hanno le foreste, ed erano già di per sé, prese a una a una, cose -

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straordinarie: tutte queste essenze il lusso si compiacque di mescolarle e di trarre dalla loro combinazione un unico odore: cosi furono inventati i profu­ mi. n nome del loro inventore non è tramandato. Ai tempi della guerra di Troia essi non esistevano e nelle suppliche non si usava l'incenso: perfino nelle cerimonie religiose si conosceva solo il sentore del fumo, più che l'odore, che si levava dalle piante del luogo bruciate, la cedrus e la tuia; era nondimeno già conosciuta l'acqua di rose; anch'essa infatti viene ricordata nell'Iliade e lodata come olio. 20 L'uso del profumo va fatto risalire ai Persiani. Costoro ne sono impregnati e ricorrono a esso come espediente per estinguere il fetore causato dal loro sudiciume. La prima attestazione che io ne abbia trovato si riferisce a quando Alessandro, dopo avere espugnato l'accampamento del re Dario, fra tutti gli altri oggetti che formavano la dotazione reale, s'impadronì di un co­ fanetto di profumi. 21 In seguito, il piacere derivante dal loro uso fu annoverato anche da noi Romani fra i beni più eleganti della vita, e persino che danno più decoro, ed essi cominciarono a rappresentare un appropriato tributo onorifi­ co anche per i morti. Perciò ne parleremo piuttosto a lungo. Quelli tra loro non estratti da arbusti saranno per il momento indicati solo con i nomi, men­ tre le loro caratteristiche verranno fornite a suo luogo. (2) I profumi hanno ricevuto i loro nomi in alcuni casi dal paese di pro­ duzione, in altri dalle essenze che li compongono, in altri dalle piante di pro­ venienza, in altri ancora da cause particolari; bisogna inoltre sapere, prima di tutto, che la loro importanza ha subito delle variazioni e che assai spesso sono passati di moda. Anticamente il profumo più pregiato era quello dell'isola di Delo, più tardi quello di Mende. Tali mutamenti non sono dovuti solo alla ri­ cetta e alle dosi dei vari ingredienti, ma anche al fatto che una medesima es­ senza, a seconda del luogo di produzione, ha variato la propria qualità in me­ glio o in peggio. li profumo di iris di Corinto godette a lungo di un notevole successo, che in seguito passò a quello di Cizico; similmente il profumo di ro­ se/rhodinum di Faselide, la cui fama fu oscurata da quelli di Napoli, di Capua e di Preneste. n profumo allo zafferano/crocinum di Soli di Cilicia fu a lungo pregiatissimo, poi fu la volta di quello di Rodi; il più rinomato profumo all'e­ nante/vite selvatica fu dapprima quello di Cipro, poi quello di Adramittio; per quanto riguarda il profumo di maggiorana/amaracinum, il migliore era quello di Cos; in seguito gli fu preferito quello di mele cotognelmelinum, pro­ dotto nel medesimo luogo; il profumo di henna/ryprinum più rinomato si proIliade XXIll r86. 11 Plutarco, Vita di Alessandro Magno XX (vedi in/ra testo n. ro.r); Plinio il Vecchio, Storia Na­ turale vn ro8. w

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duceva dapprima a Cipro, poi in Egitto, dove d'un tratto il profumo di Mende e il metopio divennero più pregiati. Subito dopo la Fenicia si appropriò di questi ultimi e lasciò all'Egitto l'esclusiva del profumo di henna. Atene ha mantenuto con costanza quella del suo panatenaico. Era pure esistito un pro­ fumo detto pardalio, prodotto a Tarso, di cui si è perso il ricordo anche per quanto riguarda la formula e le dosi. Non si produce più neanche il profumo di narciso, estratto dal fiore omonimo. Due sono gli elementi utilizzati nella fabbricazione del profumo, il succo e l'essenza: il primo, in genere, consiste nei vari tipi di olio, la seconda negli odo­ ri; nell'un caso si parla di elementi 'astringenti', nell'altro di 'aromi'. Un terzo elemento, connesso con questi, del quale molti non fanno menzione, è il colo­ re; per produrlo si aggiungono cinabro e anchusa. Una spruzzata di sale ha la funzione di mantenere inalterata la natura dell'olio. Ai profumi cui sia stata ag­ giunta anchusa non si aggiunge sale. Si addizionano resina o gomma per fissare all'essenza l'aroma che, in caso contrario, rapidissimamente svanisce e si perde. Tra i profumi il più semplice e, verisimilmente, il primo a essere inventato, fu quello ricavato dal muschio e dall'olio di balano, dei quali abbiamo parlato in precedenza; in seguito il profumo di Mende si arricchi di olio di balano, di resina, di mirra, mentre ancora più complessa è, ai giorni nostri, la ricetta del metopio. Questo è un olio estratto, in Egitto, da mandorle amare, al quale sono stati addizionati agresto, cardamomo, giunco profumato, calamo aromatico, miele, vino, mirra, seme di balsamo, galbano e resina di terebinto. Tra i pro­ fumi attualmente più comuni - e perciò anch'esso ritenuto tra i più antichi c'è quello costituito da olio di mirto, da calamo aromatico, cipresso, henna, len­ tischio e scorza di melagrana. Ma io sarei incline a credere che i profumi più diffusi siano quelli estratti dalla rosa, che cresce ovunque in abbondanza. Que­ sto è il motivo per cui fu per lungo tempo semplicissima la ricetta del rhodinum, che richiede aggiunte di agresto, petali di rosa, olio di zafferano, cinabro, cala­ mo aromatico, miele, giunco profumato, fiore di sale o anchusa, vino. Simile è la formula del profumo di zafferano, cui si aggiungono cinabro, anchusa e vino, nonché quella del profumo di maggiorana, cui si addizionano agresto e calamo aromatico. n migliore si produce a Cipro e a Mitilene, dove la maggiorana è molto abbondante. Vengono preparate anche essenze profumate più scadenti a base di mirto e di alloro, con aggiunte di maggiorana, giglio, fieno greco, mir­ ra, cassia, nardo, giunco profumato, cinnamomo. Anche dalle mele cotogne e dagli struthia si ricava, come diremo, un olio, il melinum, che diventa un profumo se si aggiungono agresto, olio di henna, olio di sesamo, balsamo, giunco profumato, cassia, abrotano. Tra tutti i profumi il più fluido è quello di gigli/susinum; si compone di gigli, olio di balano, calamo aromatico, miele, cinnamo, zafferano, mirra; parimenti fluido è il profumo -

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APPENDICE DOCUMENTARIA di henna, che richiede henna, agresto e cardamomo, nonché calamo aromatico, aspalato e abrotano; alcuni vi aggiungono anche cipero, mirra e panacea. n mi­ gliore è quello di Sidone poi quello d'Egitto. Se non si addiziona olio di sesamo, esso si conserva anche per quattro anni; si rinforza col cinnamomo. n profumo di fieno greco/telinum si fa con olio fresco, cipero, calamo aro­ matico, meliloto, fieno greco, miele, mara, maggiorana. Esso era il profumo di gran lunga più in voga ai tempi del poeta comico Menandro; più tardi il suo posto passò al megalium, così chiamato in virtù della sua fama, composto da olio di balano, calamo aromatico, giunco profumato, xilobalsamo, cassia, resina. Una sua peculiarità consiste nel fatto che, durante la cottura, gli si deve fare vento fino a quando cessa di emanare odore; raffreddatosi, torna a prendere il suo particolare aroma. Anche essenze prive di ulteriori aggiunte costituiscono di per sé eccellenti profumi: in primo luogo quella di malobatro, poi quelle di iris dell'lllirico e di maggiorana di Cizico, entrambe estratte da erbe. A queste alcuni aggiungono anche altri ingredienti, chi uno, chi un altro, ma in misura esigua; al massimo mischiano all'una o all'altra delle due miele, fiore di sale, agresto, foglie di agnocasto, panacea. n profumo di cinnamomo contiene solamente prodotti esotici e ha prezzi elevatissimi: al cinnamo si aggiungono olio di balano, xilobalsamo, calamo aromatico, semi di giunco profumato e di balsamo, mirra, miele profumato; è il più denso tra tutti i profumi. n suo prezzo varia da 35 a 300 denari. n pro­ fumo di nardo o /oliatum si compone di agresto o di olio di balano, di giunco profumato, di costo, di nardo, di amomo, di mirra e di balsamo. A proposito di questo genere di piante balsamiche converrà ricordare che abbiamo menzio­ nato nove specie di erbe che somigliano al nardo indiano: che abbondante ma­ teriale per adulterazioni! Tutti i profumi, del resto, diventano più penetranti con aggiunte di costo e di amomo, che colpiscono assai violentemente l'olfatto, più consistenti e più soavi con aggiunta di mirra, mentre se si addiziona zafferano aumenta la loro utilità in medicina; diventano, infine, estremamente penetranti di per sé tramite l'aggiunta di amomo, che produce persino dolori di capo. Al­ cuni profumieri si accontentano di spruzzare gli ingredienti più preziosi sugli al­ tri già fatti bollire, risparmiando così sulle spese; il profumo, però, non raggiun­ ge la medesima intensità, se non si fanno bollire i vari ingredienti tutti assieme. Anche la mirra, da sola e senza olio, costituisce un profumo, purché si tratti della mirra stakte, perché altrimenti apporta una nota troppo amara. Con l'olio di henna un profumo diventa verde, con quello di gigli untuoso, con l'essenza di Mende nero, con il rodino bianco, con la mirra pallido. Questi sono i tipi di profumo di invenzione antica e le adulterazioni di bottega compiute in epoca posteriore. Ora parleremo di quello che è il vero -

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e proprio colmo della mollezza e gode del più alto pregio. Si tratta dunque del Profumo Regale/Regale Unguentum, così chiamato perché preparato nel modo che segue per i re dei Parti; si compone di mirobalano, costo, amo­ mo, cinnamo comaco, cardamomo, spiga di nardo, maro, mirra, cassia, sto­ race, ladano, opobalsamo, calamo aromatico e giunco profumato di Siria, enante/vite selvatica, malobatro, sericato, henna, aspalato, panacea, zaffera­ no, cipero, maggiorana, loto, miele, vino. Nessuno degli ingredienti che con­ corrono alla sua formazione si produce in Italia, che pure è la vincitrice di tutte le genti, e nessuno invero nell'intera Europa, fatta eccezione per l'iris dell'Illirico e il nardo di Gallia. Infatti il vino, le rose, le foglie di mirto e l'olio si possono ritenere diffusi un po' dappertutto. (3) I profumi definiti 'diapasmati' si compongono di polveri aromatiche. La morchia del profumo si chiama infatti magma. Tra tutti gli aromi, pre­ vale quello che si aggiunge per ultimo. I profumi si conservano al meglio in vasetti di alabastro, le essenze in olio, che sarà tanto più utile per la loro durata quanto più sarà grasso, come quello di mandorle. Anche i profumi migliorano con l'invecchiamento. Il sole li danneggia; questo è il motivo per cui vengono conservati all'ombra, in vasi di piombo. Se ne verifica la qualità ponendoli sul dorso della mano, per evitare che il calore del palmo li alteri. (4) Questa è la materia di un lusso che tra tutti è il più vano. Infatti le perle e le gemme per lo meno passano agli eredi, le vesti durano nel tempo: i pro­ fumi si dissolvono istantaneamente e muoiono appena nati. Il loro massimo pregio consiste nel fatto che, quando passa una donna, la sua scia attira anche chi è affaccendato in tutt'altre cose. Il loro costo supera i 400 denari la libbra; ecco a quanto si compra il piacere altrui, visto che chi è profumato non si ac­ corge di esserlo. Se poi vogliamo segnalare anche in questo campo qualche particolarità, nelle opere di Marco Cicerone 22 troviamo che i profumi che sanno di terra sono più gradevoli di quelli che sanno di zafferano; ciò prova come, anche in un contesto di massima depravazione, faccia piacere riscontrare una certa austerità del vizio stesso. Certuni, poi, ricercano soprattutto i profumi consi­ stenti, che chiamano 'spessi', e amano non solo cospargersene, ma addirittura spalmarseli addosso. Abbiamo visto gente che si profumava persino le piante dei piedi, usanza che, secondo la tradizione, fu mostrata all'imperatore Nero­ ne da Marco Otone; domando, di grazia, come si potesse avvertire un profu­ mo proveniente da quella parte del corpo e come si facesse a trame piacere. Inoltre abbiamo sentito raccontare che un tale, un cittadino privato, aveva da" Sull'oratore III 99; ma anche Plinio il Vecchio, Storia Naturale XVII 3. -

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to ordine di cospargere di profumo le pareti del bagno e che l'imperatore Gaio Caligola faceva profumare le vasche da bagno, e ancora che in seguito, perché non sembrasse un privilegio da principi, fece altrettanto anche uno de­ gli schiavi di Nerone. Ciò che più stupisce, però, è che questa mollezza sia pe­ netrata anche all'interno dei campi militari; certo, le aquile e le insegne, pol­ verose e irte con le loro punte di lancia, nei giorni di festa vengono cosparse di profumi e magari potessimo dire chi per primo introdusse tale usanza! Una cosa è certa, comunque: corrotte da questa ricompensa le nostre aquile hanno sottomesso il mondo. Queste sono le giustificazioni che cerchiamo per i nostri vizi, affinché, grazie alla legittimazione da esse fornita, ci possiamo mettere il profumo sotto l'elmetto. (5) Non saprei dire facilmente quando sia penetrato per la prima volta in Roma l'uso del profumo. Certo è che, debellati il re Antioco e l'Asia, nell'anno 565 di Roma (189 a.C.) , i censori Publio Licinio Crasso e Lucio Giulio Cesare promulgarono un editto che vietava a chiunque di vendere profumi 'esotici' (essi infatti li chiamarono così). Eppure qualcuno oramai, per Ercole, li mi­ schia anche alle bevande, e il loro aspro aroma è tenuto in così grande consi­ derazione che il corpo trae piacere dall'abbondante odore sia all'interno che all'esterno. Si sa che Lucio Plozio, fratello di Lucio Planco due volte console e censore, proscritto dai triumviri, fu tradito, nel nascondiglio di Salerno, dal­ l' aroma del suo profumo, particolare ignominioso che fu sufficiente ad assol­ vere l'intera prescrizione: chi infatti potrebbe ritenere ingiusta la morte di si­ mili individui? (6) Fra tutti i paesi, l'Egitto è il più idoneo alla produzione di profumi; segue la Campania per l'abbondanza di rose. La Giudea, invece, è famosa più che altro per le palme, delle quali saranno ora descritte le caratteristiche. Ne esistono effettivamente anche in Europa e un po' dappertutto in Italia, ma sono sterili; quelle delle coste della Spagna danno frutti, che però rimangono acerbi; in Mrica i frutti sono dolci, ma perdono subito il sapore. In Oriente, invece, se ne fa vino e, presso alcune popolazioni, una sorta di pane; moltis­ simi, poi, li utilizzano come cibo per il bestiame. Questo è il motivo per cui a buon diritto le palme saranno definite esotiche; non nascono mai spontanea­ mente in Italia né in nessun'altra parte del mondo, fatta eccezione per le zone calde; quanto poi a quelle fruttifere, non se ne trovano se non nelle zone tor­ ride. [Traduzione di R CENTI, in G.B. CoNTE (a cura di) , Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, vol. m, Botanica, Torino 1984]

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO 7 . PROFUMI E CORONE 23

7 . 1 . ATENEO, I so/isti a banchetto XV 675a-692f

[q] N ella sua opera Profumi e corone il medico Filonide dice: 24 Dopo che Dioniso portò la vite in Grecia dal Mar Rosso, i più si abbandonarono a uno smisurato godimento bevendo vino schietto. Perciò alcuni, l675bl come pazzi, erano fuori di sé, altri, per lo stordimento, sembravano cadaveri. Ma un giorno, men­ tre alcuni bevevano sulla spiaggia, scoppiò un temporale che interruppe la bevuta e riempì d'acqua il cratere in cui era rimasto un po' di vino. Quando il cielo tornò se­ reno, fatto ritorno nello stesso luogo e assaggiata la mistura, ne ricavarono un piacere gradevole e innocuo. Per questa ragione, quando nel corso del pasto si distribuisce il vino schietto, i Greci rivolgono una preghiera al Buon Genio, rendendo così onore al dio che scoprì il vino, cioè a Dioniso. Invece, con la prima coppa di vino miscelato l675cl distribuita dopo cena, invocano Zeus Salvatore, nella convinzione che colui che fa scoppiare i temporali sia anche artefice della miscela innocua di acqua piovana e vino. Dunque, quelli che in conseguenza del bere avevano la testa ottenebrata, era­ no bisognosi di aiuto; fra tutti i rimedi quello più a portata di mano e naturale era una benda. Infatti, come dice Andrea (medico), il bendaggio come rimedio al mal di testa fu scoperto da uno, che ne provò sollievo l675dl stringendo il capo fra le sue mani. Utilizzando dunque questo sollievo nei confronti del bere, si fasciavano la testa con ciò di cui disponevano. Così ricorsero alla corona d'edera, una pianta di gradevole aspetto che cresce ovunque spontanea e copiosa. Questa, con le sue verdi foglie e con i suoi grappoli di bacche, proietta ombra sulla nostra fronte e sa resistere a una stretta legatura; inoltre dà refrigerio, pur senza avere un profumo che provoca torpore. A me sembra che i mortali abbiano dedicato la corona a Dioniso per questo motivo, volendo che lo scopritore di questa bevanda fosse anche il liberatore delle sue conseguenze negative. Ma da allora essi si volsero al piacere e trascurarono il vantag­ gio l675el che derivava dalle corone anche a coloro che subivano gli effetti negativi dell'ebbrezza, e si preoccuparono soltanto del piacere che si ricavava dal loro aspetto e dal profumo. Perciò bisogna considerare adatte a un simposio, oltre alla corona di alloro, anche quella di mirto, un arbusto che provoca stipsi e allontana i fumi del vino, o quella di rose, un fiore che sa in qualche modo calmare anche il mal di testa e nello stesso tempo fornire in una certa misura una sensazione di fresco. Devono invece es­ sere evitate la corona di violette bianche (leukoi'nos), fiori capaci di eccitare i nervi della testa, quella di maggiorana (amarakinos) e tutte quelle che provocano intonti­ mento o danno in altro modo un senso di pesantezza alla testa. >J Sul tema, oltre al passo di Ateneo qui riportato, vedi anche Plinio il Vecchio, Storia Naturale XXI 1-9; Plutarco, Opere morali 645d-648a; Clemente di Alessadria, Pedagogo II 8,70-76. "" F 1 Garda Lazaro.

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Apollodoro, nella sua opera Profumi e corone, ha fatto alla lettera le stesse osservazioni. l675il .25 Ecco quanto posso dirvi, amici miei, su questo argomento. [I8] Per quel che riguarda invece i fiori della corona di Naucrati, dopo nu­ merose e inutili ricerche e indagini presso molte persone, alla fine un giorno mi imbattei nell'opera di Policarmo di Naucrati intitolata Afrodite, nella quale è scritto quanto segue: 26 Era la ventitreesima Olimpiade (688-685 a.C.). TI nostro concittadino Erostrato, in viaggio per mare per scopi commerciali, toccava molte terre. Un giorno approdò anche a Pafo, l676al nell'isola di Cipro, dove acquistò una statuetta di Mrodite di antica fattura, alta una spanna. Di ritorno a Naucrati, la portò con sé. Quando ormai era in vista dell'Egitto, poiché su di lui improvvisamente si abbatté una tempesta e non era più possibile capire in quale parte della terra fossero, andarono tutti quanti a rifugiarsi vicino alla statua di Mrodite e pregavano che la dea li salvasse. Quando i marinai, presi da grande nausea e da forti conati di vomito, disperavano ormai della salvezza, la dea (era benigna con gli abitanti di Naucrati) improvvisamente l 676bl riempì tutto lo spazio intorno a lei di verdi rami di mirto e sparse per tutta la nave un dolcissimo profumo. Allo spuntare del sole essi scorsero il porto e approdarono a Naucrati. Erostrato sbarcò portando con sé la statua e anche i verdi rami di mirto che gli erano apparsi improvvisamente, e li offrì al tempio di Mrodite. Dopo aver sacrificato alla dea e dedicato la statua ad Mrodite, invitò i l676cl suoi parenti e amici più stretti a un banchetto nello stesso tempio e a ciascuno di essi offrì una corona fatta con i rami di mirto, che da lui, già in quell'occasione, fu chiamata 'corona di Naucrati'.27

Questo è dunque il racconto di Policarmo; anch'io lo ritengo veritiero e penso che la corona di Naucrati non sia altro che quella di mirto, anche per­ ché Anacreonte8 dice che è portata insieme con quella di rose. Anche secon­ do Filonide9 la corona di mirto disperde i fumi del vino e quella di rose leni­ sce in qualche modo il mal di testa, oltre ad avere un potere rinfrescante. Dunque sono ridicoli coloro che sostengono che la corona di Naucrati sia 25 F 1 Garcia Lazaro. 16 FGH 640, F I. 27 Anche Archestrato di Gela, poeta di N secolo a.C., così esortava a partecipare ai banchetti (Hedypatheia F 62 Brandt): «Sempre alla mensa cingiti il capo di ghirlandette, acconce di ogni fiore,

di cui la terra nutrice di germogli sia tutta un prato. Stilla sulle tue chiome odori rugiadosi, profumati e sulla cenere che indugia, mollemente, ogni giorno mirra e incenso, odorata arbore di Siria>>. [Tra­ duzione di S. GRAsso (a cura di), Archestrato di Gela. I piaceri della mensa, Palermo 1987] . 28 F 104,2 Gentili. 29 F 2 Garcia Lazaro.

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quella fatta l 676dl con il papiro che gli Egiziani definiscono 'per corone' , traendone il nome dal tredicesimo libro della Storia dell'età di Filippo e dal­ l'undicesimo della Storia della Grecia di Teopompo.30 Questi dice che, quando il re di Sparta Agesilao giunse in Egitto, gli Egiziani gli mandarono fra gli altri doni anche un papiro per corone. lo ignoro l'utilità o il piacere che si ricava dal cingere una corona fatta di papiro e di rose, a meno che quelli che rica­ vano qualche piacere da questo tipo di corona non siano pronti a cingere nello stesso modo una corona di rose e di aglio. So inoltre che molti per corona di Naucrati intendono l676el quella fatta di maggiorana, un fiore che è diffuso in Egitto. ll mirto egiziano, come ricorda anche Teofrasto,3' se confrontato con quello che cresce in altre zone, si distingue per il suo profumo. [I9] Si stava ancora parlando di questi argomenti, quando entrarono dei fanciulli che recavano corone intrecciate con fiori di stagione. Allora Mirtilo disse: - Nobile Ulpiano, dicci quali sono i nomi delle corone. I fanciulli , in­ fatti, come si dice nel Centauro di Cheremone,32 Preparano corone, che lanciano come araldi di religioso silenzio prima delle preghiere agli dèi.

l676fl E nel Dioniso lo stesso Cheremone dice: 33 Dopo aver tagliato corone, messaggere di religioso silenzio.

Tu, però, non pensare di proporci le notizie che ricavi dall'opera di Elio Asclepiade intitolata Le corone, come se non ne avessimo mai sentito parlare, ma aggiungi a quelle qualcos' altro. In verità non sei in grado di dimostrare che qualcuno abbia detto rhodon stephanos ('corona di rose') o ion stephanos ('co­ rona di viole') tenendo separati i due termini, perché infatti l'espressione di Cratino narkisson olisboi ('falli di narcisi') è scherzosa.34 E Ulpiano ridendo rispose: - Presso i Greci, a quanto dice Semo di Delo35 nel quarto libro delle Antichità di Delo, fu chiamato per la prima volta stepha­ nos ('corona') quello che noi oggi chiamiamo l6nal stephos e alcuni stemma; perciò, dopo aver cinto questa benda, mettiamo sopra di essa la corona d'alJo FGH n5, FF 106a-b; 22. l' Storia delle piante VI 8,5. 1 • TGrF 71, F n. JJ TGrF 71, F 6. 34 F 394 Kassel-Austin. 1 s FGH 396, F 8. -

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APPENDICE DOCUMENTARIA

loro. Stephanos viene dal verbo steph ein ('intrecciare'). E tu, Tessalo dal par­ lare variopinto, credi che ciò che sto per dirti sia qualcosa di ovvio, una di quelle cose già trite e ritrite? Ricorrendo alla tua stessa lingua (glossa) ti ricor­ derò la corona di pungitopo (hypoglottis), della quale parla Platone (comico) nello Zeus oltraggiato: 36 Certo una linguetta (glossa) portate nei vostri calzarz; e se mai bevete, cingete la corona hypoglottis; l6nbl e se gli auspici sono buoni, voi parlate con lingua (glossa) propizia.

Invece Teodoro, nelle Voci attich e, come dice Panfilo nella sua opera Ter­ mini d'uso comune, definisce hypoglottis un modo di intrecciare corone.37 Dunque ricevi da me, secondo le parole di Euripide,38 A saper parlar bene, da ogni cosa una disputa di parole ambigue si potrebbe suscitare,

anche [20] la corona istmica (isth miakon). Aristofane, quando nei Friggitori disse: 39 l677cl Che dovremmo dunque fare? Prendere un bianco mantello; poi, con le istmiche corone, come i cori cantiamo un encomio al nostro signore,

ritenne che la corona che ha questo nome fosse degna di essere ricordata. Si­ leno, nelle Glosse, dice: «lsth mion , una corona», e Fileta: 40 «Corona (isth ­ mios), cioè parola con doppio significato, quale ornamento del capo e del col­ lo. Posso dire anche isth mion di un pozzo o di un pugnale». Timachida e Simmia,41 entrambi di Rodi, riportano i due termini come sinonimi uno del­ l' altro: . l677dl Callissino,42 anche lui originario di Ro­ di, ne parla nella sua opera Alessandria. Egli scrive [...] [21] Ma, visto che ho ricordato Alessandria, io so che in quella bella città c'è una corona detta Anti­ noeios ('di Antinoo'), fatta con il tipo di loto che lì chiamano 'di Antinoo'; questo cresce d'estate nelle paludi e può essere di due colori: una varietà è

.P

F 51 Kassel-Austin. Panfilo F 37 Schmidt; Teodoro FGH 346, F 3a. F 240b Mette. F 505 Kassel-Austin. F 41 Kuchenmiiller. Timachida F 28 Blinkenberg; Simmia F 27 Powell .

42

FGH 627, F 4·

36 37 38 39 4°

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di un colore simile a quello della rosa e con essa si intreccia la corona propria­ mente definita Antinoeios ('di Antinoo'); l'altra varietà si chiama lotinos ('di lo­ to') ed è di un azzurro cupo. l677el Pancrate,43 un poeta del posto, che anche noi conosciamo, mostrò all'imperatore Adriano in visita ad Alessandria il loto del colore della rosa come qualcosa di straordinario. Disse che esso deve essere chiamato Antinoeios in quanto era spuntato dalla terra bagnata con il sangue del leone di Mauritania, che Adriano aveva ucciso in una battuta di caccia nella regione libica vicina ad Alessandria. Si trattava di una bestia enorme, che per molto tempo aveva devastato la Libia intera, rendendola per largo tratto inabi­ tabile. Adriano allora si compiacque di quell'idea originale e singolare e ricom­ pensò il poeta concedendogli di essere mantenuto a pubbliche spese nel Museo. l677fl Anche il commediografo Cratino,44 negli Odissei, partendo dal fatto che gli Ateniesi definiscono 'piante da corone' tutte quelle frondose, chiama il loto 'pianta da corona'. Pancrate45 nel suo poema ha detto non senza eleganza: n folto serpillo, il bianco giglio e il giacinto purpureo e le foglie del glauco chelidonio e la rosa che si piega agli zefiri di primavera: non era ancor nato il fiore dal nome di Antinoo.

[22] l678al Pyleon. A detta di Panfilo46 ha questo nome la corona che i Lacedemoni cingono in onore di Era. So poi di una corona che, come dice Timachida 47 nelle Glosse, è chiamata iakcha ('bacchica') dagli abitanti di Sicione. Fileta 48 scrive: >. Apollo così finì di di­ re: l'alloro con i suoi rami formatisi da poco dà il suo assenso e sembrò che muovesse la cima come se fosse il capo. [Traduzione di N. SciVOLETTO, Ovidio. Metamorfosi, Torino 2000]

Giacinto

9.5 . OVIDIO, Metamorfosi X 174-219

E una volta che il sole era quasi in mezzo a una notte trascorsa e a una in arrivo e distava ugualmente dall'una e dall'altra, si tolgono di dosso le vesti e

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con i corpi lucidi, per essersi unti con il succo di grassa oliva, iniziano una gara di lancio del largo disco. Febo per primo lo bilanciò e lo scagliò in aria, squar­ ciando con quella massa le nubi che si trovavano nella sua traiettoria. TI disco ricadde dopo lungo tempo sul suolo duro e dimostrò l'abilità del dio insieme alla sua forza. Subito, incautamente, spinto anche dal desiderio di giocare, il ra­ gazzo del Tenaro correva a raccattare il disco, ma la dura terra, facendolo rim­ balzare in aria, lo spinse contro il tuo viso, o Giacinto. Impallidì il fanciullo e come lui lo stesso dio, che prende tra le braccia il corpo afflosciato e, ora cerca di rianimarlo, ora asciuga la funesta ferita, ora, applicandovi alcune erbe, tenta di fermare la vita che viene meno. A niente giovano le sue arti. La ferita non era curabile. Come quando qualcuno in un giardino irrigato spezza viole, papaveri, gigli che innalzano i gialli stami, subito quei fiori appassendosi piegano la testa senza linfa e non si reggono su, ma guardano con la cima verso il suolo, così si accascia il volto di Giacinto morente e il collo privo di vigore è di peso a se stes­ so e ricade sull'omero. «Tu ti spegni, o Ebalide, defraudato del fiore della gio­ vinezza - dice Febo - e vedo la tua ferita che mi accusa. Tu sei causa del mio dolore, provocato dal mio delitto; la mia destra deve essere ritenuta responsa­ bile della tua morte. Io ti causai la fine. Tuttavia, qual è la mia colpa? A meno che si possa dire colpa giocare o che si possa chiamare colpa amare. Oh! Se fosse possibile dar la vita per te e con te! Ma, poiché siamo vincolati da una legge voluta dal destino, tu sarai sempre con me, sarai sempre sulle mie labbra fedeli. La lira percossa dalla mia mano canterà di te, i miei versi ti celebreranno e tu, trasformato in un nuovo fiore, ripeterai con una parola scritta :;u di te il mio lamento. E verrà un tempo, in cui un eroe fortissimo si muterà in questo fiore e il suo nome si leggerà nei medesimi petali>>. Mentre queste parole usci­ vano dalla bocca di Apollo, ecco che il sangue, che versato sulla terra aveva macchiato l'erba, cessa di essere sangue e spunta un fiore più splendente della porpora di Tiro, che prende la forma dei gigli, tranne il fatto che uno è di colore vermiglio, gli altri sono bianchi argentati. Ma ciò non basta a Febo (poiché pro­ prio lui era stato l'artefice di tale omaggio): di suo pugno incide sui petali i suoi lamenti, sicché il fiore conserva l'iscrizione AI AI, che furono chiamate lettere luttuose. Né per Sparta fu disonorevole aver generato Giacinto e quel culto du­ ra fino alla nostra età e ogni anno ritornano le Giacinzie, che vanno celebrate con una solenne processione secondo il rito dei padri. 212 [Traduzione di N. SciVOLETIO, Ovidio. Metamorfosi, Torino 20oo]

212 Accanto ai miti ricordati, occorre menzionare quello della pantera considerata animale pro­ fumato da una leggenda accettata o contestata già nell'antichità: Aristotele, Ricerche sugli animali IX 6, 612.a,r2-r5; Teofrasto, Le cause dei fenomeni vegetali VI p; VI 17,9; Pseudo Aristotele, Problemi

APPENDICE DOCUMENTARIA

Leucotoe/incenso

9.6. OVIDIO, Metamorfosi IV 234-256

Clizia ne provò invidia (infatti in lei profondo era stato l'amore per il Sole) e, aizzata dal rancore contro la rivale (cioè Leucotoe amata dal dio Sole), diffon­ de la notizia di quella tresca e calunniando la riferisce al padre (di Leucotoe); il quale, spietato e implacabile, nonostante che la ragazza lo pregasse e tendendo le mani verso la luce del sole dicesse «Quello mi usò violenza contro la mia vo­ lontà>>, la fece seppellire, crudele, in una buca profonda e vi fece aggiungere un pesante cumulo di terra. TI figlio di Iperione con i suoi raggi cerca di allargarlo e ti offre una via per poter tirar fuori il viso sepolto, ma tu, o giovane, non potevi più sollevare il capo pressato dal peso della terra: giacevi ormai corpo senza san­ gue. Si dice che il guidatore dei cavalli alati non vide spettacolo più doloroso di quello dopo il corpo infiammato di Fetonte. Egli, invero, tenta, se possibile, di riportare al calore vitale con il potere dei suoi raggi le membra gelide, ma poi­ ché il destino si oppone a così grandi tentativi, cosparge di nettare profumato il corpo e il sepolcro, e tra molti lamenti «Ciononostante, giungerai fino al cielo» disse. Immediatamente il corpo imbevuto del nettare celeste si liquefece e irrorò la terra con il suo odore, e un ramoscello di incenso, che aveva messo a poco a poco le radici tra le zolle, spuntò rompendo il tumulo con la cima. [Traduzione di N. ScrvoLETTO, Ovidio. Metamorfosi, Torino 2000]

9.7 . APOLLODORO, Biblioteca III 14

Adone, invece, era ancora un ragazzo quando, a causa dell'ira di Artemide, durante una caccia fu ferito da un cinghiale e morì. Ma secondo Esiodo, Adone era figlio di Fenice e Alfesibea; secondo Paniassi, invece, era il figlio che Tiante, re di Assiria, ebbe da sua figlia Smima. Mrodite, adirata contro Smirna che non le tributava i dovuti onori, fece sì che si innamorasse di suo padre; con l'aiuto della nutrice, la fanciulla dormì per dodici notti insieme a suo padre, senza che questi la riconoscesse. Ma quando si accorse che era sua figlia, estras-

XIII 4, 907b, 35 ss. ; Plinio il Vecchio, Storia Naturale XXI 18 (testo n. 22.1); vedi F. WoTKE, s. v. Pan­ ther, in RE, XVIII . 3, 1949, coli. 747-767; DETIENNE, Dioniso e la pantera profumata, cit. "'l Vedi anche Ovidio, Metamorfosi X 3II ss.; 532 ss. - 166 -

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

se la spada e la inseguì, e lei, ormai alle strette, pregò gli dèi di renderla invi­ sibile. E gli dèi ebbero compassione di Smima e la tramutarono in quella pianta che si chiama appunto smima. Al decimo mese la pianta si spaccò, e nacque il bambino di nome Adone: era tanto bello che Mrodite, senza che gli dèi lo sa­ pessero, lo mise, ancora in fasce, dentro una cesta e lo affidò a Persefone per­ ché lo nascondesse. Ma Persefone, quando lo vide così bello, non volle più ti­ darlo ad Afrodite. Allo ra, per decisione di Zeus, l'anno venne diviso in tre parti. n dio ordinò che Adone stesse da solo per un terzo dell'anno, per un al­ tro terzo con Persefone e l'ultimo terzo con Mrodite. Ma Adone rimase con Mrodite anche per quella parte dell'anno in cui avrebbe dovuto stare da solo. Poi, durante una caccia, fu ferito da un cinghiale e morì. [Traduzione di M. CAVALLI, Apollodoro. Biblioteca, Milano 1998]

Minthe/menta - Adone/anemone

9.8. OviDIO, Metamorfosi X 717-739

Trasportata attraverso l'etere sul suo cocchio leggero dalle ali dei cigni, la dea di Citera non era ancora giunta a Cipro: da lontano percepì, riconoscen­ dolo, il gemito di Adone moribondo e indirizzò i bianchi uccelli verso quel luo­ go e, appena dall'alto del cielo lo scorse esanime, mentre si dibatteva nel pro­ prio sangue, balzò giù e si strappò ora le vesti, ora i capelli, e si percosse con le mani il petto senza colpa e, lagnandosi contro i fati, «Ma non tutto, invero, è in vostro potere - disse -; rimarrà in eterno il ricordo della mia pena, o Adone, e la rievocazione della tua morte annualmente rinnovata ripeterà anche la rap­ presentazione del mio dolore. n sangue poi si muterà in fiore. Se a te, Persefo­ ne, fu lecito un tempo trasformare un corpo di donna in menta profumata, 214 perché dovrebbe essere motivo di biasimo per me la trasformazione dell'eroe figlio di Cinira?». Dopo queste parole versò nettare profumato sul sangue, che appena in contatto si gonfiò, alla maniera cc r_ cui una bolla trasparente suole levarsi nel cielo rosso; non trascorse più di un'ora che dal sangue spuntò un fiore dello stesso colore di quelli portati dalle melagrane, che nascondono i chicchi sotto una morbida scorza; ma breve è il godimento dato da quel fiore, perché, essendo malamente attaccato allo stelo ed essendo fragile per l' ecces­ siva leggerezza, quegli stessi venti (anemoi) , che gli danno il nome, lo sfogliano. [Traduzione di M. CAVALLI, Apollodoro. Biblioteca, Milano 1998]

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Si tratta della ninfa Minthe.

APPENDICE DOCUMENTARIA

Narciso

9.9. OVIDIO, Metamorfosi III 502-510

Narciso abbandonò il capo stanco sulla verde erba e la morte chiuse gli oc­ chi che contemplavano la bellezza di colui che li possedeva. Dopo che fu ac­ colto nella sede degli inferi, anche allora continuava a guardare nell'acqua dello Stige. Lo piansero le sue sorelle, le Naiadi che, tagliate le chiome, le offrirono al fratello; lo piansero le Driadi e ai loro pianti rispondeva Eco. Già quelle pre­ paravano il rogo e le fiaccole da agitare e la bara: ma il corpo non c'era e al posto del corpo trovarono un fiore giallo cinto da petali bianchi. [Traduzione di N. ScrvOLETTO, Ovidio. Metamorfosi, Torino 20oo]

Ciparisso/cipresso

9 . 1 0. OVIDIO, Metamorfosi X 106-142

In mezzo a questo gruppo (di alberi) comparve il cipresso che richiama le mete del Circo, ora albero, un tempo fanciullo amato dal dio che per mezzo delle corde suona la cetra e tende l'arco. V'era un tempo un cervo smisurato, sacro alle ninfe che abitano nella campagna di Cartea, il quale con le coma ampiamente ramificate stendeva una fitta ombra al suo capo; le coma splen­ devano d'oro, sul collo tornito gli pendavano monili di gemme che scendeva­ no fino ai fianchi; sulla fronte gli oscillava una borchia d'argento legata cqn piccole corregge e della stessa sua età; in entrambe le orecchie aveva perle che luccicavano intorno alle cave tempie. Esso, per nulla pauroso e messa da parte la avidità naturale, soleva frequentare le case e porgere il collo a ogni mano, anche se sconosciuta, per farselo accarezzare: ma davanti a tutti era ca­ ro a te, o Ciparisso, a te il più bello della gente di Ceo. Tu guidavi il cervo ai nuovi pascoli, tu all'acqua delle limpide fonti, tu ora intrecciavi tra le sue cor­ na fiori variopinti, ora seduto sulla groppa, come un cavaliere, giosamente lo indirizzavi qua e là, guidando la sua bocca docile con le briglie di porpora. Si era d'estate e a metà della giornata: per la vampa del sole ardevano le chele ricurve del Cancro amante dei litorali: il cervo stanco adagiò il corpo su una terra erbosa e si godeva il fresco sotto l'ombra degli alberi. Ecco che il giovane Ciparisso poco accorto lo trafisse con un dardo acuto e, appena lo vide morire per la crudele ferita, stabili fermamente di morire. Quali e quante parole di conforto non gli disse Febo, esortandolo a dolersi moderatamente e in proporzione alla causa ! Ma quello continua a lamentarsi e chiede agli dèi questo dono supremo, cioè di piangere senza limite di tempo. E subito -

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

le membra, esauritosi il sangue per l'incontenibile pianto, cominciarono a tin­ gersi di verde e i capelli, che poco prima gli cadevano sulla fronte candida co­ me la neve, divennero una chioma ispida, che drizzandosi puntava con la cima sottile verso il cielo stellato. Se ne dolse il dio e con tristezza gli dice: «Sarai pianto da me e piangerai gli altri e sarai accanto a chi soffre». [Traduzione di N. ScrvoLETIO, Ovidio. Metamorfosi, Torino 20oo]

Attis/pino

9. 1 1 . OVIDIO, Metamorfosi X 99-105

Anche voi accorreste, edere dai tronchi tortuosi, e con voi le viti ricche di pampini e gli olmi coperti di viti e gli orni e i pini selvatici e i corbezzoli colmi di rosse bacche e le palme flessibili, premio per i vincitori, e il pino che si cin­ ge in alto di rami e irsuto nella cima, albero caro alla Madre degli dèi, in quan­ to Attis suo fedele per mezzo di esso si spogliò della natura umana e si inglobò in quel duro tronco. [Traduzione di N. ScrvoLETTO, Ovidio. Metamorfosi, Torino 2ooo]

10. PRoFUMI DA RE

10. 1 . PLuTARCO, Vita di Alessandro Magno XX 10-13

Splendida fu la sua vittoria,2'5 ma per quanto avesse ucciso no.ooo nemici, non poté far prigioniero Dario che in fuga gli aveva preso un vantaggio di quattro o cinque stadi; ritornò sui suoi passi dopo aver catturato soltanto il suo carro e il suo arco. Trovò che i Macedoni facevano razzia di tutto l'oro che trovavano nel campo barbaro, veramente in grande abbondanza, anche se i Persiani erano venuti a combattere con pochi ornamenti e avevano lascia­ to a Damasco la maggior parte del loro equipaggiamento; comunque i soldati avevano riservato a lui la tenda del re piena di splendidi arredi, di schiavi e di molti tesori. Egli depose subito le armi e andò al bagno dicendo: «Andiamo a detergere il sudore della battaglia nel bagno di Dario»; e uno degli amici: «Per Zeus - disse - no, ma in quello di Alessandro; è inevitabile che quanto era del vinto sia e sia detto del vincitore». Quando poi vide bacinelle, brocche, va1'5 Si tratta del successo di Alessandro sul re persiano Dario III a Isso nel 333 a.C.

APPENDICE DOCUMENTARIA

sche, vasi, alabastri, tutto in oro e finemente adorno, e il luogo odoroso in mo­ do soavissimo di aromi e unguenti, e passò poi nella tenda, mirabile per altez­ za e ampiezza e per le coperte e i tavoli e i cibi, rivoltosi agli amici disse: «Questo, a quanto sembra, è l'essere re! ». [Traduzione di D. MAGNINO, Plutarco. Vite Parallele. Alessandro, Cesare, Milano 1987]

10.2. PLUTARCO, Vita di Alessandro Magno XXV 6-8

(Alessandro) Mandando poi gran quantità di bottino alla madre Olimpia­ de, alla sorella Cleopatra e agli amici, aggiunse anche per il suo maestro Leo­ nida 500 talenti di incenso e 100 di mirra, memore di una speranza concepita da bambino. Infatti Leonida, a quanto sembra, durante un sacrificio, aveva detto ad Alessandro che con ambedue le mani prendeva profumi e li versava sul fuoco dell'altare: «Quando sarai signore delle regioni che producono pro­ fumi , o Alessandro, li brucerai con simile abbondanza; ma ora sii parsimonio­ so di quanto hai>>. In quel momento, dunque, Alessandro gli scrisse: «Ti ho mandato una gran quantità di incenso e di mirra perché tu cessi di essere ava­ ro con gli dèi>>.216 [Traduzione di D. MAGNINO, Plutarco. Vite Parallele. Alessandro, Cesare, Milano 1987]

10.3 . ATENEO, I so/isti a banchetto XIII 6o?f-6o8a

Ma anche i re avevano sempre avuto un debole per le virtuose di musica, come dimostra Parmenione in quella lettera ad Alessandro (Magno), che egli inviò al re dopo aver preso Damasco (333 a.C.) ed essersi impadronito del ba­ gaglio di Dario. Tirate le somme dei prigionieri catturati, scrive tra l'altro: Ho trovato 329 concubine del re, virtuose

di musica; 46 confezionatori di corone;

277 cuochi; 29 addetti alle pentole da bollito; 13 addetti alla lavorazione del latte; 17

preparatori

di bevande;

70 addetti a filtrare

il vino; 40 profumieri.

[Traduzione di M.L. GAMBATO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

" 6 Sul tema riferiscono anche Plutarco, Opere morali 179e; Plinio il Vecchio, Storia Naturale VII w8; Strabone, Geografia XV 2.3 C 721. Su Alessandro e i profumi: FAURE, Par/ums et aromates de l'Antiquité, cit., pp. 186 ss.; ID., Alexandre ou la rèvolution par/umée, , settembre 1987; G.W. BoWER· SOCK, Per/umes and power, in AvANZINI (a cura di), Profumi d'Arabia, cit., pp. 543-556: 545; SQUILLACE, I giardini di Saffo, cit., pp. 61-66); ID., Le lacrime di Mirra, cit., pp. 165-169; ID., Alessandro nelle terre degli aromi: tra realtà e aneddoto, in F.]. GòMEZ &PELOSiN - B. ANTELA BERNÀRDEZ (eds.), El Imperio de Ale­ jandro. Aspectos geogra/icos e historiogra/icos, Universidad de Alcalii 2016, pp. 157-173. -

qo

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

10.4. ATENEO, I so/isti a banchetto V 196a; 20of-2o1a

lr96al I commensali espressero il loro stupore sia per il comportamento del re (Antioco IV di Siria, 215-164 a.C.) , che giudicarono non Epiphanes ('eminen­ te'), ma davvero Epimanes ('demente'), [. . .] e quindi Masurio riprese il suo racconto, passando a descrivere la grande processione che si tenne ad Alessan­ dria (d'Egitto) a opera del migliore dei sovrani sotto ogni aspetto, Tolemeo Filadelfo (308-246 a.C.). Ne dà ampio resoconto Callissino di Rodi,2'7 nel libro quarto su Alessandria, dove racconta: l2oofl [. .. ] Poi venivano sei bighe tirate da cammelli, tre da un lato, tre dall'altro, seguite da carriaggi tirati da muli. Questi erano provvisti di tende di foggia barbarica, sotto le quali sedevano donne indiane e altre ancora, acconciate da prigioniere. l201al E poi altri cammelli, alcuni dei quali trasportavano 300 mine di incenso, 300 di mirra, e 200 di zafferano, cassia, cinnamomo, iris e altre spezie. Di seguito venivano i por­ tatori di tributi etiopi, tra i quali alcuni avevano 6oo zanne, altri 2000 fusti d'ebano, altri infine 6o crateri pieni di pezzi d'oro e d'argento e di polvere d'oro. [Traduzione di A. MARCHIORI, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

1 1 . PROFUMI E SOSTANZE AROMATICHE DURANTE LA SPEDIZIONE DI ALES­ SANDRO MAGNO

1 1 . 1 . BATONE, FGH 119, F I

Tanto Batone, che si occupava delle misurazioni durante la spedizione di Alessandro (Magno), nella sua opera Le tappe della spedizione di Alessandro, quanto Aminta nel suo scritto Le tappe dell'Asia affermano che il popolo dei Ta­ piri era così amante del vino da non utilizzare altro se non vino come profumo. [Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .2 . EFIPPO DI OLINTO, FGH 126, F 5

[. . . ] Alessandro (Magno) amava soprattutto i profumi ricercati e il buon vino. Perciò si bruciavano per lui mirra e altre resine profumate. [. . . ] [Traduzione di G. SQUILLACE]

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APPENDICE DOCUMENTARIA

1 1 .3 . NEARCO DI CRETA, FGH 133, F I

[. . . ] La notte essi navigano in acque profonde così come tutto il giorno seguente fino alla sera. Essi percorrono 900 stadi e alla fine approdano alla foce dell'Eufrate presso un villaggio della regione di Babilonia chiamato Dici­ doti. È là che i mercanti ammassano l'incenso inviato dalle regioni produttrici, al pari di tutte le spezie prodotte in Arabia. [ . . ] .

[Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .4. NEARCO DI CRETA, FGH 133, F 28

[ . . . ] All'imboccatura del Golfo Persico - ricorda Nearco - sorge un'isola che produce molte perle di buona qualità, le altre isole invece producono pie­ tre in materiale traslucido e brillante. Quanto alle isole antistanti alla foce del fiume Eufrate, vi crescono alberi che emanano un odore di incenso. Le loro radici rilasciano del liquido allorché vengano tagliate. [ . . . ] [Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .5 . ONESICRITO DI AsTIPALEA, FGH 134, F 22

[ ... ] La regione più a sud dell'India produce cinnamomo, nardo e altre so­ stanze profumate, al pari dell'Arabia e dell'Etiopia alle quali è simile per il cli­ ma. [ .. .] [Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .6. ARISTOBULO DI CASSANDREA, FGH 139, F 23

[ ... ] Sulla montagna del Caucaso nulla attecchisce tranne il terebinto e il silfio, come dice Aristobulo. [ . . . ] [Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .7 . ARISTOBULO DI CASSANDREA, FGH 139, F 41

[ . . ] Aristobulo dice di aver visto a Tassila due sofisti entrambi Bramani. TI più anziano aveva i capelli rasati il più giovane no. Entrambi erano accompa­ gnati da allievi. Essi trascorrevano il resto del tempo nelle piazze dove erano rispettati come consiglieri e avevano il privilegio di ricevere in dono ciò che .

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

desideravano. Chiunque si avvicinasse cospargeva la loro testa di olio di sesa­ mo, al punto che il liquido colava davanti agli occhi. [. .. ] [Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .8. ArusTOBULO DI CASSANDREA, FGH 139, F 49a

Aristobulo dice che nel deserto di Gedrosia crescono alberi di mirra in grande quantità e di dimensioni superiori che altrove. I Fenici, che erano al seguito delle truppe (di Alessandro Magno) come mercanti, raccoglievano le stille di mirra - abbondanti come mai ne avevano raccolto in passato, poi­ ché erano prodotte da tronchi di grandi dimensioni - e ne riempivano i cesti delle loro bestie da soma. Questo deserto produce anche le radici del nardo profumato, che i Fenici pure raccoglievano. Una grande quantità di questo nardo veniva calpestato dalle truppe in marcia e così un odore soave prove­ niente dal nardo appunto si diffondeva per una vasta area di quel luogo. In questo deserto crescono anche altri alberi. Uno di essi ricorda nel formato del­ la foglia l'alloro e attecchisce nelle zone bagnate dal mare. [. . .] Gli alberi di questa regione crescono fino a trenta cubiti e in questa stagione sono in fiore. I loro fiori richiamano quello della violetta bianca, ma hanno una fragranza più intensa. [. . . ] [Traduzione di G. SQUILLACE]

1 1 .9. STRABONE, Geografia XV 2,3 C 721

All'interno si estende la Gedrosia, terra meno infuocata dell'India, ma più del resto dell'Asia e carente di frutti e di acqua, salvo che in estate, e non migliore di quella degli Ittiofagi. È tuttavia produttrice di profumi, soprattutto nardo e mir­ ra, tanto che l'esercito di Alessandro, quando vi passò, ne usò le piante come tettoie e giacigli, godendone del profumo e oltre a ciò di un'aria più salubre. [Traduzione di N. BIFFI, L'Estremo Oriente di Strabone. Libro XV della Geografia, Bari 2005]

1 1 . 10. ArusToBuLo DI CAssANDREA, FGH 139, F 55 [ ... ] È anche la ricchezza del paese (l'Arabia) che influenza Alessandro, dal momento che il re aveva sentito dire che la cassia attecchisce nelle zone umi­ de, la mirra e l'incenso colano dai tronchi degli alberi, il cinnamomo si ricava dagli alberi, i prati forniscono spontaneamente il nardo. [. . . ] [Traduzione di G. SQUILLACE] -

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APPENDICE DOCUMENTARIA

11.11. ARISTOBULO DI CASSANDREA, FGH 139, F 57

[.. . ] La gente di Gerrha (città dell'Arabia) trasporta via terra i prodotti dell'Arabia e le sostanze profumate. Al contrario, Aristobulo afferma che tra­ sporta gran parte delle mercanzie via mare fino a Babilonia. Di là risale l'Eu­ frate con il carico fino a Tapsaco, poi prosegue ancora un poco via terra. [. . . ] [Traduzione di G. SQUILLACE]

12. PROFUMI E SOSTANZE AROMATICHE DOPO LA SPEDIZIONE DI ALESSAN­ DRO MAGNO

Demetrio Falereo (345 a.C. - circa 282 a.C.) 12.1. DURIDE DI SAMO, FGH 76, F IO Demetrio Falereo, come afferma Duride nel sedicesimo libro delle sue Sto­ rie, controllava circa 1200 talenti all'anno, e di questa somma ne spendeva una minima parte per il mantenimento dell'esercito e per l'amministrazione dello stato, mentre sperperava la restante parte per soddisfare i suoi innati desideri, celebrando ogni giorno splendide feste e intrattenendo un gran numero di ospiti. In effetti, egli superava i Macedoni nello sfarzo dei banchetti e i Ciprio­ ti e i Fenici nella raffinatezza. Essenze profumate scendevano a pioggia sul pa­ vimento e molti locali riservati ai simposi erano stati decorati da artisti con motivi floreali molto sofisticati. [Traduzione di G. SQUILLACE]

Demetrio Poliorcete (337-283 a.C.) 12.2. ELIANO, Le storie varie IX 9 Demetrio Poliorcete conquistò le città greche e, indulgendo alla sua smo­ datezza, fruì di una rendita di 1200 talenti all'anno. Di questi ne spendeva una minima parte per l'esercito, il resto per soddisfare i suoi eccessi. Egli faceva aspergere il pavimento di essenze profumate e spargere in ogni stagione del­ l'anno fiori attorno a sé per camminarvi sopra. [Traduzione di G. SQUILLACE]

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

Agatocle di Siracusa (360-289 a.C.)

12.3 . ELIANO, Le storie varie XI 4 Raccontano che Agatocle, tiranno di Sicilia,218 si acconciasse il capo in mo­ do assolutamente ridicolo. Dato che stava diventando calvo perché gli cade­ vano a poco a poco tutti i capelli, vergognandosi del suo stato, usava a mo' di parrucca una corona di mirto: un espediente per occultare la calvizie. I Si­ racusani, peraltro, erano al corrente del suo difetto e ben sapevano che i ca­ pelli cospiravano contro di lui, ma tacevano perché temevano la furia dei suoi atti violenti e scellerati. [Traduzione di C. BEVEGNI, in N. WILSON (a cura di), Eliano. Storie Varie, Milano 1996]

Antioco N re di Siria (215-164 a.C.)

12.4. ATENEO, I so/isti a banchetto V 193c; 195b l193cl Cosa dire, allora, cari amici, del simposio allestito dal re Antioco det­ to Epiphanes ('eminente') e, in seguito ai suoi atti, soprannominato Epimanes ('demente')? [ ] l195bl (Nel corso della processione a Dafne) Arrivarono poi 6oo schiavi con recipienti aurei e subito dopo 200 donne che spargevano oli profumati da brocche d'oro. ...

[Traduzione di G. SQUILLACE]

12.5 . POLIBIO, Storie XXX 25-26,I-2 25. Questo stesso re (Antioco IV), dopo avere sentito parlare dei giochi celebrati in Macedonia da Emilio Paolo (ad Anfipoli nel I67 a.C.) il coman­ dante romano, desiderando superare quest'ultimo in munificenza, inviò nelle città ambasciatori e legati sacri per annunciare i futuri giochi da lui indetti a Dafne,219 affinché i Greci avessero interesse a recarsi da lui. Ad apertura del­ la festa fece fare una sfilata organizzata in questo modo. [. .. ] Arduo raccon­ tare il resto della parata. [ ... ] 26. Svoltesi le gare, gli incontri di lotta e le cac­ ce per i trenta giorni nei quali ebbero luogo gli spettacoli, nei primi cinque giorni che seguirono tutti nella palestra si ungevano con olio di zafferano

218 Prima tiranno (3r6-304 a.C.) poi re (304-289 a.C.) di Siracusa. 219

Località della Siria nei pressi di Antiochia. -

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APPENDICE DOCUMENTARIA preso da recipienti d'oro; questi erano quindici, e in ugual numero quelli con unguento di cinnamomo e di nardo. Ugualmente anche nei giorni a seguire fu portato olio di fieno greco, di maggiorana, di iris, tutte essenze dal buon profumo.

[Traduzione di R. NICOLA! , Polibio. Storie, Roma 1998]

13. J>ROFUMIERI FAMOSI Atenogene

13 .1. lPERIDE, Contro Atenogene. Primo discorso (V) 5-19 MARzi220 5· (Antigona) combinò un incontro tra me e Atenogene, ci fece riappaci­ ficare e ci esortò da allora in avanti a volere l'uno il bene dell'altro. lo, per parte mia, promisi che non avrei mancato, e Atenogene, qui presente, pren­ dendo la parola a sua volta disse che, se ogni cosa s'era accomodata, dovevo esserne grato ad Antigona. «E ora- aggiunse- per amore di lei intendo di­ mostrarti quale grosso favore ti farò. Tu, vero? - disse - sei disposto a sborsare il denaro per l'affrancamento di Mida e dei suoi figli, e io invece te li cederò con un regolare atto di compravendita, perché, primo, nessuno possa importunarti né corrompere il ragazzo, secondo, perché essi stessi non tentino di comportarsi male in alcun modo, poiché avranno paura di te. 6. Ma c'è ancora un punto estremamente importante: oggi come oggi avrebbero l'impressione di essere divenuti liberi per merito mio; se al contra­ rio, dopo averli acquistati con regolare atto di compravendita, solo più tardi, quando ti piacerà, accorderai loro la libertà, la loro gratitudine per te sarà rad­ doppiata. Per tutti i debiti che hanno, il prezzo di un po' di unguento a Pacalo e a Prode e qualche altra somma, se c'è, depositata nella profumeria dall'uno e dall'altro dei clienti, come capita, questi- disse - te li accollerai tu. È poca cosa davvero e vi sono merci per ben di più in magazzino: unguento, fiale di alabastro, mirra (e snocciolava i nomi di non so quali articoli) con cui salderai tutti questi conti senza fatica». [... ] 9· Dopo essere andati alla profumeria, de­ positiamo il contratto presso Lisicle di Leuconoe e, sborsate le 40 mine, con­ clusi il mio bell'acquisto. Ma, ad affare fatto, cominciarono a presentarsi i for-

22.0 n personaggio era attaccato da lperide anche in un secondo discorso pervenuto in forma estremamente frammentaria: lperide, Contro Atenogene. Secondo Discorso F 1 Marzi.

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO nitori che avevano crediti presso Mida, e i finanziatori e discutevano con me. Così entro tre mesi tutti i debiti erano venuti a galla, sicché, compresi i pre­ stiti, come ho già detto poco fa, ne avevo per cinque talenti. 10. Quando mi fui reso conto del guaio in cui mi ero cacciato, allora senza indugio riunii i miei amici e parenti e ci mettemmo a leggere la copia del contratto. In esso erano segnati i nomi di Pancalo e Policle espressamente, con l'indicazione degli un­ guenti il cui prezzo era da me dovuto: si trattava di poca cosa, e i miei avver­ sari potevano affermare a ragione che l'unguento in magazzino ne rappresen­ tava il valore. Però i più numerosi e i più grossi dei debiti non erano segnati nominativamente ma solo in forma di postilla, come cosa di nessuna impor­ tanza «e se Mida deve qualcosa a qualcun altro». [. . . ] u. Consultandoci risol­ vemmo di andare da lui per discutere la cosa. Lo trovammo nel quartiere delle 221 profumerie e gli chiedemmo se non si vergognasse di mentire così e di aver­ ci teso un tranello con quel contratto, in cui non aveva precisato prima i de­ biti. Egli ci rispose che non sapeva di quali debiti parlassimo, che non aveva tempo di badare a noi e che d'altronde era in possesso di un contratto con­ cluso con me su questi particolari. 12. Molta gente si era raccolta intorno a noi e stava a sentire il fatto, poiché la discussione si svolgeva nella piazza. [... ] 19. Forse Atenogene dirà di non aver saputo che Mida avesse debiti, ma di essere stato all'oscuro dei prestiti da lui contratti. Ora io che non ho alcun interesse alle cose del commercio, senza darmi da fare, in soli tre mesi fui informato di tutti quanti i debiti e i prestiti, mentre costui, che è profumie­ re da tre generazioni, che sta piantato nella piazza per quanti giorni ha l'anno, che è proprietario di tre profumerie, che riceve i conti ogni mese, ignorava i debiti.

[Traduzione di M. MARzi, in M. MARzi- P. LEONE - E. MALCOVATI (a cura di) , Oratori attici minori, vol. I, Iperide, Eschine, Licurgo, Torino 1977]

Si trattava di una parte dell'agora: Aristofane, Lisistrata 657; Scolio ad Aristofane, Pluto 550; Lisia, Contro Pancleone (XXIII) 6; Eubulo F 74 Kassel-Austin; Polluce, Onomasticon IX 46-47 Be­ the. Sul mercato ateniese: WYCHERLEY, The market o/ Athens: topography and monuments, cit., pp. 223; A. LALLEMAND, Le marché aux par/ums à Athènes à l'époque classique, in VERBANCK PIÉRART MAssAR- FRÈRE (eds.), Par/um de l'antiquité. La rose et l'encens en Méditerranée, cit., pp. 175-179; SQuiLLACE, Nella bottega del pro/umiere, cit., pp. 231-239. 221

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APPENDICE DOCUMENTARIA

Dinia

13 2. ERACLIDE PONTICO F 61 WEHRLI Eraclide Pontico nel trattato

Il Piacere riporta questa notizia:

Spinto dalla lussuria, il profumiere Dinia si gettò sugli amori facili e finì per di­ lapidare il suo patrimonio, al punto che i suoi desideri non furono più alla sua por­ tata. Così, sconvolto dal dolore, si tagliò i genitali: ecco quali conseguenze produce la lussuria sfrenata. [Traduzione di M.L. GAMBATO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

13 .3 . STRATTIDE F 34 KASSEL-AUSTIN E dillo che le stai portando un profumo quale mai Megallo preparò, né l'egizio Dinia mai vide né possedette. [Traduzione di A. RIMEDIO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana commen­ tata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

Eschine

13 .4. ATENEO, I sofisti a banchetto XIII 6nf222 Eppure è proprio Lisia,223 nell'orazione intitolata Contro Eschine socrati­ co, per debiti- e io, indotto dalla vostra grande alterigia, o filosofi, intendo fame esposizione, anche se il passo è molto lungo -, ebbene, così comincia l'oratore: Non avrei mai creduto, o giudici, che Eschine osasse intentare una causa così ver­ gognosa; penso anzi che non avrebbe potuto facilmente trovarne una più degna di un sicofante. Perché costui, o giudici, doveva del denaro a titolo di interesse, in ragione di 3 dracme al mese, al banchiere Sosinomo e ad Aristogitone; presentatosi da me, mi chiedeva di non lasciare che a causa degli interessi egli fosse espropriato dei suoi beni:

112 Marziale nd I secolo d.C. cita sia il profumiere Cosmo, ddle cui pastiglie profuma-alito fa· ceva uso Fescennia (Epigramma I 87, ma anche III 55; VI 55), sia Nicerote noto, insieme a Cosmo, per la preparazione di bdletti utili a nascondere i segni dd tempo: Epigramma Xll 65. 223

Lisia F

r

Thalheim. -

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO «Sto mettendo in piedi>> - disse - «un'attività per la produzione di profumi, e mi ser­ ve una somma di partenza: ti darò un interesse di 9 oboli a mina». [Traduzione di M.L. GAMBATO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001 ]

Megallo

13 .5 . ATENEO, I so/isti a banchetto XV 69of Così anche per il megalleion ('megallio'): fu chiamato così da Megallo, un greco di Sicilia, ma alcuni dicono che Megallo fosse ateniese. [Traduzione di A. RIMEDIO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana commen­ tata su progetto di L. Canfora, Roma 2001 ]

Perone

13 .6. ANASSANDRIDE F 41 KASSEL-AUSTIN Anassandride nd

Protesilao:

ll profumo in vendita da Perone: sì, quello che si era comprato ieri Melanopo, l'Aigyption che costa una fortuna, con cui ora strofina i piedi di Callistrato. [Traduzione di A. RIMEDIO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana commen­ tata su progetto di L. Canfora, Roma 2001 ]

13 .7. TEoPoMPo CoMico FF

r;

AusnN

17 KAssEL-AusnN e .ANnFANE F 37 KAssEL­

Anche Teopompo nomina il profumiere Perone

nell'Admeto e nel Gau-

dente; Antifane neli'Antea dice: Lo lasciai dal profumiere Perone a provare i profumi [ . ] si accorderà sul prezzo e poi verrà a portarti quelli di cinnamomo e di nardo. ..

[Traduzione di A. RIMEDIO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana commen­ tata su progetto di L. Canfora, Roma 2001 ]

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APPENDICE DOCUMENTARIA

Plangone 224

13 .8. PoLEMONE F 64 PRELLER e Sosrnio FGH 595, F 9 Polemone, nella sua opera Contro Adeo, dice che presso gli Elei c'è un profumo chiamato plangonion, inventato da una certa Plangone. La cosa è confermata da Sosibio nelle Somiglianze. [Traduzione di A. RIMEDIO, in Ateneo, I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana commen­ tata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

Strattide

13 .9. ANACREONTE F 89 GENTILI Chiedevo al profumiere Strattide se avrebbe lasciato crescere i suoi capelli.225 [Traduzione di G. SQUILLACE]

14. QUALCHE RICETTA DI BELLEZZA 226 14.1. ERODOTO, Storie IV 75 Gli Sciti dunque, dopo aver preso semi di questa canapa, si introducono sotto quelle coperte e poi gettano i semi sopra le pietre roventi. TI seme gettato fa fumo ed emana un vapore tale che nessun bagno a vapore greco potrebbe vincerlo. Gli Sciti mandano urla di gioia soddisfatti da questo bagno di vapo­ re. Questo serve loro come bagno, perché non si lavano il corpo con acqua. Le donne, invece, triturano su una pietra scabra legno di cipresso, di cedro e dd1"�

È l'etera menzionata da Ateneo anche altrove: I so/isti a banchetto XIII 558b; 567e.

»s Nel mondo latino vi era la categoria degli unguentarii attestata, ad esempio in: AE 1963, 1o8b;

CIL IV 2184; CIL 9932a; CIL VI 4046; CIL 5638 CIL l 1334b; CIL VI 5681 CIL X 1o88,1o3; CIL VI 9998 CIL v 182; CIL VI 9999; CIL VI 10001; CIL VI 10002; CIL VI 10003 CIL XIV 223,2; CIL VI 10004 CIL XIV 218b; CIL VI 10oo5; CIL VI 1ooo6; CIL VI 1ooo7; CIL VI 33928; CIL VI 36819; CIL VI 3783o; CIL IX 471; CIL X 1965; CIL X 3968; CIL X 3974; CIL X 3975; CIL X 3979; CIL X 3982; CIL =

=

=

=

=

Xl1594· 116 Belletti di vario tipo sono ricordati da Aristofane, Donne all'assemblea 878, 929; Senofonte, Economico 10,2.; Plutarco, Vita di Lisandro XXI 7; Apuleio, Metamorfosi IIl21; Xl13; e, per il mondo romano, Plinio il Vecchio, Storia Naturale XVIII 191; XXVII 28; Marziale, Epigramma XIV 27 e, so­ prattutto, Ovidio, Amori IIl193 ss.; e Cosmetici (Medicamina faciez); Petronio, Satyricon passim; Gio­ venale, Satira VI.

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO l'albero dell'incenso, versandovi sopra acqua. Poi, con questo denso impasto si spalmano tutto il corpo e il viso. Non solo il profumo rimane su di loro, ma il mattino seguente, quando tolgono l'empiastro, hanno la pelle pura e splen­ dente. [Traduzione di A. Izzo D'AcCINNI, Erodoto. Storie, Milano 1984]

15. ALCUNI INGREDIENTI A. La

'noc'

rosa

15 .1. ERODOTO, Storie VIII 138,2-3227 n fiume, dopo che i Temenidi lo ebbero varcato, divenne così gonfio che i cavalieri non furono in grado di attraversarlo. Ed essi, giunti in un'altra regio­ ne della Macedonia, si stanziarono presso i giardini, che si dice fossero di Mi­ da, figlio di Gordio, nei quali spontaneamente nascono rose che hanno ciascu­ na sessanta petali e superano per profumo tutte le altre. In questi giardini, a quanto narrano i Macedoni, fu preso anche Sileno. Al di là dei giardini si trova un monte che chiamano Bermio, inaccessibile per il clima freddo e burrasco­ so. Muovendo di qua, dopo che ebbero occupata questa regione, essi assog­ gettarono anche il resto della Macedonia. [Traduzione di A. Izzo D'AcciNNI, Erodoto. Storie, Milano 1984]

15 .2. PLINIO IL VECCHIO, Storia naturale

XXI 10

(w) Tra i fiori da giardino, la nostra gente ne conosce solo pochissime spe­ cie da far ghirlande, praticamente solo le viole e le rose. La rosa nasce su un pruno più propriamente che su un arbusto, spunta anche sul rovo di macchia, e anche lì ha un profumo gradevole, per quanto leggero. n germoglio di ogni rosa è dapprima racchiuso in una corteccia granulosa, che presto si gonfia e si appuntisce in verdi boccioli; a poco a poco si colora di rosso, si apre e si espande, racchiudendo in mezzo al calice le punte gialle degli stami. n suo im­ piego nelle corone è quasi il meno importante. La si fa macerare nell'olio, e questo già dal tempo della guerra di Troia, come attesta Omero.228 Inoltre 227 TI passo va abbinato con Pseudo Aristotde, Problemi XII 8,907a,20 ss.; Plinio il Vecchio, Storia Naturale XIII 2; XXI 40; n; Ateneo,I so/isti a banchetto XV 682b-c (vedi testi nn . 5-4; 6.2; 7.1). >lll Iliade XXIII 186 ss.

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APPENDICE DOCUMENTARIA la si fa entrare nei profumi, come abbiamo detto. Ha di per sé proprietà medi­ cinali. Si mette negli empiastri e nei colliri, per la sua penetrante acredine. Si usa anche per profumare le prelibatezze della mensa, dato che non è per niente no­ civa. Le specie di rose che da noi hanno acquistato maggiore celebrità sono la prenestina e la campana; altri hanno aggiunto la milesia, che ha colore accesis­ simo e non più di dodici petali. Segue la trachinia, meno rossa, poi quella di Ala­ banda, di minor pregio, dai petali biancheggianti, poi quella meno pregiata di tutte, la rosa di macchia, dai moltissimi ma piccolissimi petali. Le rose differisco­ no infatti per la quantità dei petali, per la ruvidezza, la levigatezza, il colore, l'o­ dore. I petali vanno da un minimo di cinque in su, fino a una specie chiamata 'centifolia', che in Italia si trova nella Campania e in Grecia presso Filippi, dove però non nasce spontaneamente: nelle vicinanze, il monte Pangeo produce rose dai petali munerosi e piccoli; la gente del luogo le trapianta, ed esse migliorano proprio grazie al trapianto. Questa specie di rose però non è molto odorosa, e non lo è nemmeno quella dai petali molto larghi e grandi; in breve, è segno di fragranza il calice ruvido. Al tempo dell'imperatore Tiberio Cesare (14-37 d.C.), Cepione ha affermato che la centifolia non veniva messa nelle corone, se non alle estremità, perché facesse come da fermaglio, dato che non è apprez­ zabile né per odore né per aspetto. C'è anche una specie che da noi è chiamata 'greca', dai Greci 'licnide'; nasce solo nei luoghi umidi e non ha mai più di cin­ que petali; grande quanto una viola, manca di fragranza. Un'altra specie, chia­ mata 'rosellina greca', ha petali raccolti a pannocchia e non si schiude se non forzata con la mano, restando sempre simile a una rosa nascente; i suoi petali sono molto grandi. Un'altra si spiega su un gambo che pare quello della malva, con foglie simili a quelle dell'olivo; la chiamano muceto. A metà fra queste per grandezza sta la rosa d'autunno, che chiamano 'coroncina'. Tutte sono inodori, tranne la coroncina e quella che nasce sul rovo. Tante sono le adulterazioni pra­ ticate! Del resto, anche le virtù della rosa autentica dipendono moltissimo dal terreno. Quella di Cirene è la più odorosa e perciò lì si ottiene il miglior profu­ mo. A Cartagena, in Spagna, per tutto l'inverno è in fiore una rosa precoce. Con­ tano anche i fattori climatici: in certi anni , infatti, le rose profumano meno, e inoltre tutte sono più odorose nei luoghi secchi che in quelli umidi. La rosa non vuole essere piantata né nei terreni grassi né in quelli argillosi né in quelli irrigati; si appaga delle rugiade e ama in modo particolare il terreno frammisto di macerie. Quella della Campania è precoce, quella di Mileto tardiva, l'ultima a scomparire è comunque quella di Preneste. Si zappa il terreno più in profondità che per le messi, più in superficie che per le viti. Le rose nascono molto tardi dal seme, che si trova proprio nel calice, subito sotto il fiore, ed è coperto di lanu­ gine. Perciò è preferibile piantame il gambo tagliato. La sola specie che si pianta anche usando gli occhi della radice, come per la canna, è quella della rosa pal-

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO lida, spinosa, dai gambi lunghissimi, con cinque petali; si tratta della seconda delle rose greche. Tutte, comunque, traggono vantaggio dall'essere potate e bru­ ciate; crescono benissimo e molto velocemente anche con il trapianto, come le viti, se si piantano palloni di quattro o più dita di lunghezza dopo il tramonto delle Pleiadi e poi si trasferiscono col favonio lasciando intervalli di un piede e zappando intorno di frequente. Chi vuole ottenere rose precoci, scava intorno alla radice una fossa di un piede e vi versa dell'acqua calda, quando il calice co­ mincia a germogliare. [Traduzione di A.M. CoTROZZO, in G.B. CONTE (a cura di), Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, vol. ill , Botanica, Torino 1984]

B. Il croco-zafferano 15 .3 . STRABONE, Geografia XIV 5·5 C 670 Dopo Calicadno (in Cilicia) si arriva alla montagna detta Poicile, che ha una via scavata nella pietra che la collega a Seleucia, poi al promontorio Ane­ nurio, omonimo di quello menzionato in precedenza, all'isola Crambusa e al monte Corico. Su questo monte, a una distanza di 20 stadi, c'è la grotta Co­ rida nella quale fiorisce il croco migliore. [Traduzione di G. SQUILLACE]

15 .4. PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale XXI 17 Tra i tipi di zafferano, quello selvatico è il migliore. Non conviene assoluta­ mente piantarlo in Italia, perché il prodotto di un'area si riduce alla quantità di uno scrupolo. Se ne pianta il bulbo della radice. Quello coltivato è più largo, più grande e più bello, ma è molto più delicato e degenera dovunque; non rende molto nemmeno a Cirene, dove i suoi fiori sono sempre molto decantati. TI pri­ mo posto per rinomanza spetta a quello della Cilicia, e lì in particolare a quello del monte Corico, poi a quello lido del monte Olimpo, poi a quello di Centuripe in Sicilia.229 Alcuni hanno assegnato il secondo posto a quello di Tera.230 [Traduzione di A.M. CoTROZZI, in G.B. CoNTE (a cura di), Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, vol. III, Botanica, Torino 1984]

229

Sul croco-zafferano di Sicilia anche Strabone, Geografia VI 2,7 C 273; Dioscoride, Materia

Medica I 26.

23° Altre indicazioni sulla qualità dei prodotti aromatici e sui luoghi di produzione si ritrovano ancora in Plinio il Vecchio, Storia Naturale XXI, libro interamente dedicato a fiori e ghirlande.

APPENDICE DOCUMENTARIA

16. AROMI NELLA DOCUMENTAZIONE EPIGRAFICA 231 16.1. Iscrizione funeraria (da Astipalea: IG XII, Suppl. I52, I secolo a.C.) Non consentitemi di bere in questo modo- ho bevuto inutilmente infatti quando ero ancora in vita - tanto meno di mangiare. Questo è sufficiente. Queste cose sono sciocchezze. Se invece (volete onorare) il ricordo di coloro che sono vissuti con voi, allora, o amici, portate in dono zafferano e incenso offrendoli di valore uguale rispetto a quanto è stato stabilito. Queste cose si addicono ai morti e i morti non hanno nulla in comune con i vivi. Kleumatras [Traduzione di G. SQUILLACE]

16.2. Iscrizione di Sanatio (da Lebena, Creta: IC l, XVTI.I9, 11-1 secolo a.C.) [lacuna] testa [lacuna] rendendo grazie ad Asclepio Salvatore poiché è stata guarita da una dolorosa ferita al dito mignolo. n dio le ordinò di applicarvi sopra un gu­ scio di conchiglia abbrustolito e tritato impastato con olio di rosa (rhodinon) e di ungerla con olio unito a malva. In questo modo la curò. A lei che ne aveva visto in sogno le straordinarie doti, il dio ordinò di mettere per iscritto quanto aveva osservato. [lacuna] dito [lacuna] avendole il dio ordinato in sogno [...] [Traduzione di G. SQUILLACE]

16.3 . Elenco di sostanze aromatiche (da Delfi, in P. PEDRIZET, Fragment delphique de l' édite de Dioclétien, «BCH>>, XXII, I898, pp. 403-409, 30I d.C.) Opobalsamo di prima qualità I litra; mirra di prima scdta, I litra; mirra di seconda scdta, I litra; nardo/foliato, I litra; olio di rose di prima qualità, I litra;

>JI Sono prese in considerazione, a titolo meramente esemplificativo,solo alcune iscrizioni. So­ stanze aromatiche sono menzionate, ad esempio, anche in Ephesos 5; Ephesos 465; Ephesos 2102; FD III 5·37; FD III 5.38; IC I,XVTI 12; ID 354; I. Kition 2o9o; IG N 836; IG V 2,514; IG VII 1887; IG XI 2; IG P 386; IGLSyr 1.1; IGLSyr 1.47; !GR I 5,1376; !GR III 1056; SEG 28,749 (2); SEG 37,214; SEG 45,n6

bis; SEG 45,1244; SIG 1017.

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO olio di rose di seconda scelta, I litra; olio di storace, I litra; olio di iris, I litra; olio di hennalkypros affumicato di Canopo (Egitto), I litra; olio Partico, I litra; olio di giglio, I litra; miele unito a olio di rose, I litra; olio di nardo, I litra; olio di maggiorana, I litra; olio vergine di zenzero profumato, I litra; radice secca di zenzero, I litra; succo di euforbia, I litra; mirra del paese dei Trogloditi, I litra; mirra stakte, I litra; mirra sembracene, I litra olio di psilotro, I litra. [Traduzione di G. SQUILLACE]

17. UN PROVERBIO SUI PROFUMI 17 .1. STRATTIDE F 47 KASSEL-AUSTIN Voglio consigliare loro una cosa saggia: «Quando cucinate la minestra di lenticchie, non versateci sopra del profumo».232 [Traduzione di G. SQUILLACE]

17 .2. ATENEO, I so/isti a banchetto IV I6oc Il peripatetico Clearco:33 nella sua opera Sui proverbi, include il detto «Profumo nella minestra di lenticchie» menzionato anche dal mio antenato Varrone detto il Menippeo.234 [Traduzione di G. SQUILLACE]

•1• V aie a dire: non occorre cioè essere sofisticati nella realizzazione delle cose più semplici. Nel motto ci sarebbe un riferimento implicito a contesti ufficiali e lussuosi come i simposi, nei quali i profumi trovavano largo uso: vedi PoTZ, The symposium and komos in Aristophanes, cit., p. 223. •H FHG ll, p. 320 Miiller. •34 P. 219 Buecheler.

APPENDICE DOCUMENTARIA

18. PROFUMO E MORTE235 18.1. Iliade

XVI 666-675

Allora disse ad Apollo Zeus che raduna le nubi: «Su, ora, presto, caro Febo, il nero sangue pulisci, dopo avere sottratto Sarpedone dai dardi, poi portalo molto lontano, lavalo nella corrente del fiume, ungilo d'ambrosia e vestigli veste immortale; e dàllo da portare ai rapidi portatori, al Sonno e alla Morte, che velocemente lo deporranno nella grassa contrada di Licia, e là l'onoreranno i fratelli e i compagni di tomba e stele; questo è l'onore dei morti». [Traduzione di R. CALZECCIIT ONESTI, Omero. Iliade, Torino 1950]

18.2. ELIANO, Le storie varie XII 18 Faone, che era il più bello degli uomini, fu nascosto da Mrodite tra le lattughe. Secondo un'altra tradizione, Faone era un barcaiolo e faceva questo per mestiere. Un giorno si presentò a lui Mrodite per essere traghettata: Fao­ ne fu ben lieto di accoglierla, anche se non sapeva chi fosse, e la condusse con estrema sollecitudine dove desiderava. Come ricompensa, la dea gli donò un vasetto che conteneva un olio profumato: ungendosi con esso, Faone di­ venne il più bello degli uomini. Perciò le donne di Mitilene si innamoravano di lui, finché un giorno Faone venne colto in fragrante adulterio e fu giusti­ ziato. [Traduzione di C. BEVEGNI, in N. WILSON (a cura di), Eliano. Storie Varie, Milano

1996]

lJ5 Riferimenti all'ambrosia anche in

Iliade XIV 170 ss.; Odisseo IV 445; Inno omerico a Demetra

(ll) 236 ss.; Pindaro, Olimpica I 62; Pitica IX 63; Teocrito, Idillio XV 1o8; Ovidio,Metamorfosi XIV

605. Secondo Ibico (F 325 Davies),l'ambrosia era nove volte più dolce e gradevole del miele; per An­ ticlide (FGH 140,F 22) era composta da acqua pura, olio,frutti di tutte le specie. Altri passi in Ro. SCHER, s.v. Ambrosia und Nektar, cit., coli. 280-283.

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

19. OLI SPECIALI 19.1. ATENEO, I sofisti a banchetto II 66d-67b Olio. Antifane o Alessi, nomina l'olio di Samo:236 Ecco per te un metrete di olio di Samo il più chiaro di tutti.

Ofelione nomina l'olio di Caria237 Con olio di Caria, si unge.

Aminta nella Persia a tappe dice: 238 «Le montagne producono terebinto, lentischio, karya di Persia, da cui si ricava molto olio per il Re (persiano)». Ctesia 239 dice che in Carmania si trova un olio di acanto che viene usato dal Re; e lo stesso autore, anche quando elenca nell'opera I tributi dell'Asia240 tutti i cibi imbanditi al Re per il pranzo, non fa cenno né al pepe, né all'aceto, «che di gran lunga è il migliore di tutti i condimenti>>. Ma neppure Dinone vi accenna nella sua opera Sulla Persia; 24' egli sostiene che erano fatti venire dal­ l'Egitto per il Re anche il sale ammonio e l'acqua del Nilo. All'olio detto omo­ tribes fa cenno Teofrasto nell'opera Sugli odori242 e afferma che esso deriva dalle olive dette phauliai e dalle mandorle. Anfide menziona come eccellente l'olio prodotto a Turi: 243

A Turi l'olio, a Gela lenticchie. [Traduzione di A. MARcmoRI, in Ateneo. I Deipnosofisti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

2J6 Antifane F 212 Kassel-Austin; Alessi F 245 Kassel-Austin. 2l7 F 5 Kassel-Austin. 2l8 FGH r22, F 4· 239 24° 241 242

FGH 688, F 38 F 38 Lenfant. FGH 688, F 53 F 53 Lenfant. FGH 69o, F 23a. Sugli odori 14-15. =

=

243 F 40,1 Kassel-Austin.

APPENDICE DOCUMENTARIA

20. VINI AROMATICI 20.1. PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale XIV 15 Molto pregiati erano presso gli antichi i vini profumati con la mirra, come risulta dalle commedie di Flauto, per quanto in quella intitolata Il Persiano raccomandi di aggiungervi anche il calamo aromatico. Pertanto alcuni dedu­ cono che agli antichi piacesse soprattutto il vino aromatico. Ma Fabio Dossen­ no si pronuncia in proposito con questi versi: 244 Io mandavo dd buon vino, vino alla mirra.

Vedo che anche Scevola, Lucio Elio e Ateio Capitone furono dello stesso parere, poiché nello Pseudolo245 si legge: Ma se è necessario che egli sprema dd dolce dal medesimo posto, ne ha di che? E lo chiedi? Vino alla mirra, passito, de/rutum ,246 mide, -

da cui risulta che il vino alla rnirra era annoverato non solo tra i vini , ma anche tra i vini dolci. [Traduzione di A. ARAGosn, in G.B. CoNTE (a cura di), Gaio Plinio Secondo. Storia Na­ turale, vol. III , Botanica, Torino 1984]

20.2. PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale XIV 19 Daremo fra non molto la ricetta di Catone per preparare il vino di mirto

(myrtites).247 I Greci lo fanno anche in un altro modo: dopo aver fatto cuocere nel mosto salato dei rami giovani con le loro foglie, li pestano, ne bollono una libra in tre cangi di mosto, finché ne rimangano due. Quanto si ottiene, con lo stesso procedimento, dalle bacche di mirto selvatico, è chiamato rnirtidamo; es­ so tinge le mani. [. ..] n vino di arbusti si prepara facendo bollire nel mosto le bacche o il legno verde delle due varietà di

'44

cedrus,24B del cipresso, del lauro, del

Personaggio citato da Plinio tra le fonti dei libri

XIV e XV ma sul quale si sa ben poco.

145 Plauto, Pseudolo 740 ss. 146 Si tratta di mosto ristretto tramite bollitura: Plinio 147 Per la ricetta di Catone: Plinio

il Vecchio,Storia Naturale XIV n. il Vecchio,Storia Naturale XV 123. Sul myrtites: Dioscoride,

Materia Medica V 36. 148 Plinio il Vecchio,Storia Naturale XIll 52-53. -

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

ginepro, del terebinto, del calamo aromatico, del lentischio; così come il legno di olivo nano, di pino nano, di quercia nana. Con lo stesso procedimento si ot­ tiene vino anche dai fiori, aggiungendone dieci denari in un congio di mosto.249 [Traduzione di A. ARAGosn, in G.B. CoNTE (a cura di), Gaio Plinio Secondo. Storia Na­ turale, vol. ID, Botanica, Torino 1984]

21. LE

TERRE

DEI PROFUMI

A. India 21.1. STRABONE, Geografia XV 1,22 C 695 La parte meridionale dell'India ha anche il cinnamomo, il nardo e le altre piante profumate, proprio come l'Arabia e l'Etiopia, in quanto trae una certa somiglianza con quelle per via dell'esposizione ai raggi solari.250 [Traduzione di N. BIFFI, L'Estremo Oriente di Strabone. Libro XV della Geografia, Bari

2005]

B. Somalia 21.2. STRABONE, Geografia

XVI

4,14 CC 773-774

Subito dopo la città di Deire ha inizio la regione degli aromi; per prima quella da cui proviene la mirra (anch'essa da ascrivere al territorio degli Ittio­ fagi e dei Creofagi),25' ma che produce inoltre la persea e il sicamino egizio. All'interno si trova il territorio di caccia agli elefanti aperto da Lica. In diversi punti ci sono riserve di acqua piovana; quando sono prosciugate, gli elefanti scavano con la proboscide e con le zanne e vi ritrovano l'acqua. In questo trat­ to di litorale, fino al promontorio di Pitolao, si trovano due grandi laghi; il primo di acqua salmastra, che chiamano 'il Mare', l'altro di acqua dolce, in cui vivono ippopotami e coccodrilli, mentre ai bordi cresce il papiro. Sono po-

'-49 Su questi vini anche Dioscoride, Materia Medica V 28 ss. 25° Dell'India parla anche Tolomeo Geografo, Geografia VII 1 Nobbe. 25' Si riferisce al Nord della Somalia la cui forma a cuneo è divisa dall'Arabia Felix da un breve tratto di mare: vedi il commento al passo di N. BIFFI , Il Medio On'ente di Strabone. Libro XVI della Geografia, Bari 2002, p. 287. Sui viaggi esplorativi e le terre degli aromi: SQmLLACE, Le lacnme di Mi"a, cit., pp. 165-215.

APPENDICE DOCUMENTARIA

sti in cui si vedono anche gli ibis. Gli indigeni che abitano nei pressi del pro­ montorio di Pitolao non si circoncidono. Segue la regione dell'incenso, dove si trova un promontorio su cui sorge un tempio circondato da pioppi. Nell'en­ troterra, inoltre, si trovano, disposte lungo il fiume, una regione chiamata 'di Iside' e un'altra 'Nilo'; nell'una e nell'altra crescono la mirra e l'incenso. Se­ guono, poi, un invaso riempito dalle acque che scendono dai monti e, dopo di questo, la Specola di Leon e il Porto di Pitangelo. Nella regione che segue cresce anche la pseudocassia; 252 poi molte altre regioni fluviali, ai cui margini è diffuso l'incenso, e ancora corsi di acqua, fino alla regione del cinn amomo. Sulle rive del fiume che vi fa da confine prospera anche il giunco. Quindi è la volta di un altro fiume, del porto di Dafne e della regione fluviale detta 'di Apollo', che produce, oltre all'incenso, anche la mirra e il cinnamomo; questo però cresce in prevalenza nella parte più interna. Seguono il monte Elefante, che si protende in mare, un canale e subito dopo il grande porto e stazione di rifornimento idrico di Psygmos, la località detta dei cinocefali e l'ultimo promontorio di questo tratto costiero, il Como di Mezzodì. Una volta doppiato questo promontorio in direzione di mezzogiorno, non si regi­ strano più - attesta la nostra fonte53 - né porti, né località, perché mancano ulteriori informazioni sul successivo litorale. [Traduzione di N. BIFFI, Il Medio Oriente di Strabone. Libro XVI della Geografia, Bari

2002]

C. Arabia Eudairnon/Felix

21.3 . ERODOTO, Storie III 107-IIJ,I

107. Verso sud l'ultima delle terre abitate è l'Arabia, l'unica dove nascono incenso, mirra, cassia, cinnamomo e ladano. Tutti questi prodotti tranne la mirra gli Arabi se li procurano con difficoltà. L'incenso lo raccolgono bruciando lo sto­ race, che i Fenici esportano in Grecia: bruciando questo lo ottengono. Gli alberi che producono incenso li custodiscono dei serpenti alati, piccoli di dimensioni, vari di colore, molto numerosi attorno a ciascun albero, e sono gli stessi che in­ vadono l'Egitto. Solo il fumo dello storace riesce ad allontanarli dagli alberi. 108. Gli Arabi sostengono che tutta la terra si riempirebbe di questi ser­ penti se non accadesse loro qualche cosa di simile a ciò che io so che accade 212 Una specie di cassia non odorosa: Dioscoride,

Materia Medica I 12. Periplo di Artemidoro. Vedi il commento al passo di Brm,Il Medio Oriente di Strabone. Libro XVI della Geografia, cit., p. 290. 2!3 Si tratta del

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

alle vipere. Certo in qualche modo la provvidenza divina, essendo, com'è na­ turale, saggia, ha fatto prolifici tutti gli animali che sono timidi d'animo e atti a essere mangiati, per impedire che, divorati, si estinguessero; quelli invece che sono feroci e nocivi li ha fatti poco prolifici. Così, poiché la lepre viene cac­ ciata da tutti, dalle fiere e dagli uccelli e dagli uomini, proprio per questo è prolifica fino a tal segno che essa sola fra tutti gli animali concepisce anche mentre è gravida, e l'uno dei piccoli è nel ventre già coperto di peli, l'altro ancora privo di peli, l'altro si forma appena nella matrice, un altro viene con­ cepito. Quest'animale ha dunque tale particolarità; la leonessa invece, che è un animale assai vigoroso e fiero, genera una sola volta nella vita un solo pic­ colo: partorendo infatti espelle insieme col figlio anche le matrici. Questa è la causa: quando il leoncino stando nel ventre della madre comincia ad agitarsi, avendo gli unghioni molto più aguzzi di ogni altro animale lacera la matrice, e crescendo poi penetra molto più addentro graffiando e quando il parto è or­ mai vicino assolutamente nulla ne resta intatto. 109. Così se sia le vipere che i serpenti alati d'Arabia prolificassero secon­ do la loro natura, gli uomini non potrebbero più vivere. Ora invece quando si accoppiano e il maschio è proprio sul punto di emettere il seme, mentre egli lo emette la femmina lo afferra alla gola e non cessa di stringerlo prima di averlo divorato. n maschio così muore nel modo che ho detto, ma la femmina paga questa pena per l'uccisione del compagno: vendicando il genitore i serpentelli, mentre stanno ancora nel ventre, divorano la loro madre, e divorandone le vi­ scere si procurano in tal modo una via di uscita. Invece gli altri serpenti non dannosi agli uomini depongono le uova e facendole schiudere mettono alla luce una grande quantità di figli. Le vipere vivono su tutta la terra, mentre i serpenti alati, tutti uniti, vivono esclusivamente in Arabia e per questo sem­ bra che siano molti. no. Dunque gli Arabi si procurano l'incenso nel modo suddetto, la cassia invece nella seguente maniera: dopo essersi cinti di pelli di bue e di altre pelli tutto il corpo e il volto, eccettuati gli occhi, vanno in cerca di cassia. Essa cre­ sce in un lago non profondo; intorno e dentro a questo vivono delle bestie alate assai simili ai pipistrelli, che lanciano strida tremende e oppongono una forte resistenza: è necessario perciò raccogliere la cassia tenendo queste bestie lontano dagli occhi. m. n cinnamomo poi lo raccolgono in modo ancora più strano di quelli che ho indicato: dove nasca e quale sia la terra che lo alimenta non sono in grado di dirlo. Solamente alcuni, attenendosi a una opinione assai verosimile, dicono che nasce negli stessi luoghi in cui fu allevato Dioniso. Raccontano che grandi uccelli portano questi fuscelli che noi, con nome appreso dai Fenici, chiamiamo cinnamomo, e che essi lo portano per i loro nidi, che costruiscono -

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APPENDICE DOCUMENTARIA

con fango a ridosso di montagne scoscese, dove non c'è per l'uomo alcuna possibilità di salire. Allora, in vista di ciò, gli Arabi hann o escogitato il seguen­ te artificio: dopo aver tagliato a pezzi il più possibile grandi carcasse di buoi e di asini e di altre bestie da giogo, li portano in questi luoghi e, depostili vicino ai nidi, si allontanano. Gli uccelli allora volando giù trasportano i pezzi di car­ ne nei nidi. Questi, non potendo reggeme il peso, si sfasciano e cadono a val­ le. Gli Arabi, allora, accostandosi, li raccolgono. Così il cinnamomo da essi raccolto giunge negli altri paesi. 112. TI ladano poi, che gli Arabi chiamano ledano, cresce in modo ancora più meraviglioso. È di odore gradevolissimo pur nascendo nel luogo più feti­ do: si trova infatti nelle barbe dei caproni e vi si attacca come colla quando vengono dai boschi. Serve per preparare un gran numero di unguenti, e gli Arabi lo bruciano di preferenza come profumo. 113. Ho detto abbastanza riguardo agli aromi, e dalla terra d'Arabia esala un profumo di divina dolcezza. [Traduzione di A. Izzo D'AcciNNI, Erodoto. Storie, Milano 1984]

21.4. DIODORO, Biblioteca storica II 49

Quella parte dell'Arabia che confina al di sopra con la regione desertica è così diff erente che, per la quantità di frutti da essa prodotti e per le altre sue caratteristiche positive, è stata chiamata Arabia Eudaimon (Felice). Infatti le canne, i giunchi e ogni altra pianta dal forte aroma crescono qui in grande ab­ bondanza, e lo stesso accade per ogni genere di sostanza fragrante che è deri­ vata dal fogliame; così la terra è distinta in varie zone proprio dagli odori che ne derivano; infatti la mirra e l'incenso più gradito agli dèi sono esportati in tutto l'Ecumene e prodotti nelle parti più lontane delle sue regioni. TI costo, la cassia e il cinnamomo e tutte le altre piante di questo genere crescono nei campi e in cespugli di tale densità, che ciò che tutti gli altri popoli pongono sugli altari degli dèi da loro si usa come combustibile sotto le loro pentole, e ciò che fra gli altri si trova in esigue quantità, lì fornisce materiale per il gia­ ciglio dei servi nelle loro case. Inoltre il cinnamomo, com'è appunto chiamato, che è di grande utilità, la resina di pino e il terebinto sono qui abbondanti e molto odorosi. Nelle montagne crescono non solo l'abete e il pino, ma anche il cedro, il cedro fenicio e il cosiddetto boraton. Vi sono molti altri tipi di piante da frutto profumate, che generano linfa e odori gradevoli per colui che si avvi­ cini. La regione è per natura piena di un vapore simile all'incenso dolce. Per questo in alcuni luoghi, quando il terreno è lavorato, si trovano vene di vapore dolce e nelle cavità si sono formate querce di grandi dimensioni; da queste cave ottengono pietre da costruzione per le loro abitazioni. Per quanto riguarda que-

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

ste ultime, quando piove, quella parte della casa che è liquefatta dalla pioggia fluisce nelle giunture delle pietre e, emanando odore, rende le parti più solide. [Traduzione di A. BACCARIN, Diodoro Siculo. Storia universale, Torriana (FO) 1991]

21.5 . DIODORO, Biblioteca storica V 41

Ora che abbiamo descritto le terre occidentali e quelle settentrionali, com­ prese le isole dell'oceano, parleremo delle isole dell'oceano meridionale che bagna quella porzione d'Arabia estesa verso Oriente e che confina con la re­ gione conosciuta come Gedrosia. L'Arabia possiede molti vill aggi e famose città, che in alcuni casi sono poste su alte montagne e in altri sono costruite su collinette o in pianura. Le città più grandi sono sedi di residenze reali e di costruzioni lussuose. Hanno una popolazione numerosa e ampi possedi­ menti. Inoltre la terra degli Arabi abbonda di animali domestici di ogni razza, reca frutti senza scarseggiare di pascoli per gli animali grossi; molti fiumi scor­ rono per la regione irrigandola per buona parte, contribuendo in questo mo­ do alla piena maturità dei frutti. Di conseguenza la parte d'Arabia che possie­ de il primo posto per la sua fertilità ha ricevuto un nome a lei appropriato, essendo chiamata Arabia Eudaimon (Felice) . Sui suoi confini più lontani, dove è bagnata dall'oceano, ci sono molte iso­ le di cui tre meritano una menzione nel racconto; una di loro porta il nome di Hiera/Sacra. Su di essa non è permesso seppellire i morti, che vengono por­ tati in un'altra, postale vicino, a una distanza di sette stadi. L'isola Hiera non ha porti e non produce frutti. Di contro produce incenso in grande ab­ bondanza, tanto da essere sufficiente per gli onori resi agli dèi in tutta l'Ecu­ mene; reca anche un'eccezionale quantità di mirra, e ogni altra varietà di in­ censo dal profumo straordinario. La natura e la forma della pianta dell'incenso è la seguente: per quanto riguarda la grandezza l'incenso è una pianta piccola e all'apparenza assomiglia all'acacia egiziana bianca, mentre le sue foglie sono simili a quelle del cosiddetto salice; il fiore da essa prodotto ha un colore si­ mile all'oro e la resina che ne promana gocciola come le lacrime. L'albero del­ la mirra è simile al lentischio, sebbene le sue foglie siano più piccole e cresca­ no molto fitte. La mirra gocciola quando sin dalle sue radici è scavata la terra e se è piantata sul suolo fertile. Questo fenomeno avviene due volte all'anno, sia in primavera che in estate. La mirra della primavera è rossa a causa della ru­ giada, ma quella d'estate è bianca. Inoltre si raccoglie il frutto del paliuro, che (gli Arabi) usano come cibo e bevanda, ma anche come farmaco per la cura della dissenteria. [Traduzione di A. BACCARIN, Diodoro Siculo. Storia universale, Torriana (FO) 1991.

-

193

-

APPENDICE DOCUMENTARIA

21.6. DIODORO, Biblioteca storica m 46 Oltre questo popolo ci sono quelli detti Carbi e, dopo costoro, i Sabei, che sono la più numerosa tra tutte le popolazioni che abitano in Arabia. Abitano quella parte del paese conosciuta come Arabia Eudaimon (Felice), regione che produce la maggior parte dei frutti da noi ritenuti preziosi e nutre greggi e man­ drie in quantità. Un odore dolce e naturale pervade tutto il paese per il fatto che vi crescono costantemente tutte le piante famose per il profumo. Infatti lungo la costa cresce il cosiddetto balsamo, la cassia e un'altra erba dalla natura partico­ lare; quest'ultima, nel caso sia fresca, è più piacevole e bella a vedersi, ma quando è vecchia improvvisamente appassisce. Inoltre nella parte interna delle regioni ci sono fitte foreste, dove crescono grandi alberi di incenso e mirra, e ancora palme, canne, alberi del cinnamomo e ogni altra pianta dall'odore dolce, simile a quello emesso dai tipi precedenti; infatti è impossibile enumerare le proprietà e le particolarità di ciascuna, per il loro volume e per l'eccezionale ricchezza di dolci profumi emessi da ognuna di loro. È un fenomeno divino e indescri­ vibile la fragranza che saluta le narici e scuote i sensi di ciascuno. Sebbene quelli che navigano lungo questa costa passino lontano dalla re­ gione, ciò non li priva della partecipazione al godimento di questa fragranza; infatti in estate, quando il vento soffia dalla spiaggia, si può notare che i dolci profumi diffusi dalla mirra e da altri alberi aromatici penetrano nelle zone li­ mitrofe al mare; ne è causa il fatto che l'essenza di queste erbe non è, come da noi, estratta quando le piante sono secche e vecchie, ma la loro potenza sta nella piena manifestazione della loro freschezza aromatica, che penetra nelle zone più delicate del senso dell'odorato. Poiché il vento trasporta la fragranza della maggior parte delle piante ai viaggiatori che si avvicinano alla costa, vie­ ne trasportata sull'acqua una corrente di profumi, dolce e potente, salutare ed esotica, composta dai migliori odori, poiché il prodotto degli alberi non è sta­ to triturato in pezzi e così ha potuto diffondere il proprio profumo peculiare, né è stato immagazzinato in recipienti fatti di sostanze diverse, ma mantiene la sua freschezza cosicché la sua natura divina assume una potenza pura e incon­ taminata. Di conseguenza quelli che sentono quest'unica fragranza, godono dell'ambrosia di cui si narra nei miti, non essendo possibile, per l'incredibile dolcezza del profumo, trovare qualche altro nome adatto al fenomeno. [Traduzione di A. BACCARIN, Diodoro Siculo. Storia universale, Torriana (FO) 199!]

21.7. DIODORO, Biblioteca storica XIX 94,2-5 Per quanti lo ignorano è utile descrivere le usanze grazie alle quali questi Arabi sembrano salvaguardare la loro libertà. Vivono all'aria aperta, chiaman-

194

-

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

do patria un territorio disabitato senza né fiumi né sorgenti abbondanti con le quali possa dissetarsi un esercito nemico. È legge presso di loro non seminare grano né piantare alberi da frutto, non bere vino né costruire case; se per caso qualcuno viene trovato a fare queste cose, c'è per lui la pena di morte. Seguo­ no questa legge, poiché ritengono che i possessori di questi beni, facilmente, pur di poterne godere, possano essere costretti dai potenti a sottostare ai loro ordini. Alcuni di loro allevano cammelli, altri pecore che pascolano nel deser­ to. Delle numerose tribù arabe che portano al pascolo nel deserto i loro greg­ gi, questi superano di gran lunga gli altri per ricchezze e sono non più di 1o.ooo; non pochi di loro infatti sono soliti condurre al mare incenso, mirra e i più preziosi aromi che ricevono da coloro che giungono dall'Arabia detta Eudaimon (Felice). [Traduzione di A. SIMONETTI AGOSTINETTI, Diodoro Siculo. Biblioteca storica, libri XVIIT­

XIX, Milano 1988]

21.8. STRABONE, Geografia

XVI

4,2-4 CC 767-768

Ritorno ora su alcuni dettagli aggiunti da Eratostene54 nella sua descrizio­ ne dell'Arabia. In merito alla regione settentrionale e desertica - qual è quella che, posta tra l'Arabia Eudaimon (Felice), la Celesiria e la Giudea, giunge fino al fondo del Golfo Arabico - egli dichiara che da Heroonpolis (ovvero il re­ cesso del Golfo Arabico che dà sul Nilo) fino a Babilonia, passando per Fetra dei Nabatei, ha una larghezza di 56oo stadi. Estesa tutta nella direzione del levante d'estate, comprende nell'ordine il territorio dei Nabatei, dei Caulotei e degli Agrei. Al di sotto di queste popolazioni si trova l'Arabia Felix, che si allunga a mezzogiorno fino al mare Atlantico per 12.000 stadi. Per primi l'a­ bitano, insieme ai Siriani e ai Giudei, comunità di agricoltori; dopo diviene sabbiosa e sterile - con pochi alberi e piante di acanto e tamerisco e pozzi di acqua scavati nel terreno come la Gedrosia - ed è terra degli Arabi Scenici, popolazione che alleva cammelli. L'estrema parte meridionale è dirimpettaia dell'Etiopia ed è soggetta alle piogge estive; consente due raccolti all'anno, co­ me l'India. Vi scorrono dei fiumi che si dissipano nella pianura o nei laghi. Qui la produzione agricola, fra cui anche quella del miele, è generalmente buona; c'è abbondanza di bestie da pascolo, eccetto i cavalli, i muli e i maiali, e vi sono volatili di ogni specie, eccetto le oche e le galline. TI paese è ripartito fra quattro grandi popolazioni: i Minei, i quali risiedono nella parte che dà sul •s4 F III b,48 Berger.

-

195

-

APPENDICE DOCUMENTARIA

Mar Rosso e hanno come centro principale Carne ovvero Carnana. I loro abi­ tanti sono i Sabei, la cui capitale è Mariaba; i Cattabanei, che si estendono fino allo stretto e al punto di attraversamento del golfo arabico - la sede del loro re si chiama Tamna - e infine, più a oriente, i Catramatiti, ai quali appartiene la città di Sabata. [.. . ] La Cattabania produce l'incenso, la Catramotitis la mirra. [Traduzione di N. BIFFI , Il Medio Oriente di Strabone. Libro XVI della Geografia, Bari 2002]

21.9. STRABONE, Geografia

XVI

4,19 CC 778

Contiguo al loro paese55 è il fertilissimo territorio dei Sabei,256 la comunità più grande dove si trovano la mirra, l'incenso e il cinnamomo; nelle zone co­ stiere si trovano anche il balsamo e un altro tipo di erba dal profumo assai intenso, ma che si dissolve rapidamente. Non mancano palme odorose e giun­ chi e poi i serpenti: lunghi una spanna e di color rosso porpora, sono in grado di avventarsi fino all'altezza del fianco e il loro morso è incurabile. Gli abitan­ ti, data l'abbondanza dei prodotti della terra, sono sfaccendati e pigri; molti del popolo si fanno un giaciglio con le radici degli alberi e vi dormono su. Quanto alle mercanzie, le rilevano sempre i loro vicini e le smistano ai mercan­ ti che subentrano loro, i quali poi le trasportano fino alla Siria e alla Mesopo­ tamia. E poiché il profumo li stordisce, lo neutralizzano con suffumigi di asfal­ to e di barba di capro (!adano). La città dei Sabei, Mariaba, si trova sopra un monte boscoso e ospita il re che ha pieni poteri nelle cause giudiziarie e in altri campi. Però non gli è consentito uscire dalla reggia; in caso contrario la folla, come impone un vaticinio, lo lapiderebbe immediatamente. Vive, e con lui quelli che gli stanno attorno, in un lusso da effeminati; la gran parte della po­ polazione, invece, lavora la terra o è dedita al commercio delle spezie, sia quel­ le locali sia quelle provenienti dall'Etiopia, dove si reca a prelevarle attraver­ sando lo stretto a bordo di imbarcazioni di pelle. E la loro quantità è tale che, in luogo dei sarmenti e della legna da ardere, usano il cinnamomo, la cassia e le altre piante odorifere. In territorio sabeo nasce il 'larimno', il più penetrante degli incensi. Grazie al relativo commercio i Sabei e i Gerrei sono i più ricchi di tutti e mettono da parte un'enorme quantità di monili in oro e in argento, e

255 Quello di una serie di popolazioni che Strabone dice (Geografia XVI 4,18 C 777) di non vo­ lere menzionare in dettaglio sia perché poco importanti, sia per la difficoltà di pronunciarne corret­ tamente i nomi. 256 Su questa popolazione riferiscono anche Plinio il Vecchio, Storia Naturale XII 30 ss. (testo n. 6.1 in Appendice documentaria) e Agatarchide 1oo-102 Miiller.

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO poi di letti, tripodi, crateri, oltre ai vasi e ad altre sontuosità delle case, tanto che le porte, i muri, i soffitti sono variamente decorati con figure a mosaico in avorio, oro, argento. Questa è l'immagine che Artemidoro ci dà degli Arabi; quanto al resto, in parte coincide con ciò che ne ha riferito Eratostene, in par­ te lo attinge da altri storici.157 [Traduzione di N. BIFFI , Il Medio Oriente di Strabone. Libro XVI della Geografia, Bari 2002]

21.10. STRABONE, Geografia

XVI

4,25

CC

782-783

Come abbiamo anticipato,258 la terra degli aromi è suddivisa in quattro di­ stretti; degli aromi si dice che l'incenso e la mirra siano prodotti dagli alberi, la cassia dalle paludi. Alcuni sostengono che la maggior parte della cassia pro­ venga dall'India e il miglior incenso da una regione vicina alla Persia. In base a un'altra ripartizione, l'Arabia Eudaimon (Felice) si divide in cinque regni; nel primo ci sono i guerrieri, che combattono per tutti; nel secondo gli agri­ coltori, che producono il cibo per tutti; nel terzo coloro che esercitano i vari mestieri; dal quarto proviene la cassia; dal quinto l'incenso e da tutti la cassia, il cinnamomo e il nardo. Le rispettive competenze non sono interscambiabili, ma ciascuno conserva quelle che ha ereditato. TI vino che si produce è per la maggior parte di palma. [Traduzione di N. BIFFI , Il Medio Oriente di Strabone. Libro XVI della Geografia, Bari 2002]

21.11. STRABONE, Geografia

XVI

4,26

C

784

(Presso i Nabatei) alcuni beni sono importati del tutto, altri solo in parte, altri ancora si trovano in sede locale; per esempio, l'oro, l'argento, la maggior parte delle spezie. Invece il rame, il ferro, le vesti di porpora, lo storace, lo zafferano, la radice del costo, i lavori a cesello, i dipinti, le sculture non sono prodotti indigeni. I corpi dei defunti sono giudicati alla stregua di rifiuti, co­ me dice Eraclito: 259 gittar via i morti, più che i cascami;

8 Berger. Strabone, Geografia XVI 4,2 C 768 (testo n. F 96 Walzer.

157 F 158 159

-

197

21.9).

-

APPENDICE DOCUMENTARIA

per questo li seppelliscono presso le discariche, compresi i re. Praticano il cul­ to del Sole, erigendogli sul terrazzo di casa un altare. Su quello ogni giorno fanno libagioni e bruciano incenso. 26o [Traduzione di N. BIFFI , Il Medio On"ente di Strabone. Libro XVI della Geografia, Bari 2002]

D. Armenia 26'

21.12. SENOFONTE, Anabasi IV 4,12-13

Ma mentre pernottavano lì (in una pianura dell'Armenia occidentale go­ vernata da Tiribazo), cadde neve a non finire, tanto da coprire sia le armi, sia gli uomini sdraiati; la neve bloccò anche le bestie da soma, e si esitava mol­ to ad alzarsi: la neve caduta sugli uomini sdraiati, infatti, dava calore, almeno a quelli da cui non era scivolata via. Ma dopo che Senofonte ebbe avuto il co­ raggio di alzarsi nudo per spaccar legna, ben presto uno si alzò, e un altro, toltagliela, si mise a spaccare lui la legna. Dopo di ciò anche gli altri, alzatisi, accesero il fuoco e si unsero; lì si trovava, infatti, molto grasso, che usavano al posto dell'olio di oliva, ricavato dai maiali, dal sesamo, dalle mandorle amare, dal terebinto. [Traduzione di M. MARI, in U. BULTRIGIDNI - M. MARI, Seno/onte. Elleniche. Anabasi, Ro­ ma 1997]

22. QUALCHE SEGRETO 22.1. PLINIO

IL

VECCHIO, Storia Naturale XXI 18

La differenza tra tutte le sostanze odorose, e perciò anche tra le piante, è nel colore, nell'odore e nel succo. Raramente una sostanza odorosa non ha sa­ pore amaro, e viceversa è raro che le sostanze dolci siano odorose. Per questo >6o Sull'Arabia Felix vedi anche Ctesia FGH 688, F 71 F 71 Lenfant; Diodoro, Biblioteca storica 54; Strabone, Geografia XVI 3,1 C 765; Plirùo il Vecchio, Storia Naturale VI 23; Xll 41; Anonimo, Periplo del Mare Eritreo 27; 56, e passim Miiller. Sul 'porto degli aromi' in Arabia vedi anche: Ano­ nimo, Periplo del mare Eritreo 7; 8; w; 12; 24; 27; 29 ss. Miiller; Tolomeo Geografo, Geografia VI 7 Nobbe; Stefano Bizantino, s.v. 'Apa�ia. •6• Sulla regione vedi anche Filostrato, Vita di Apollonia di Tiana n 2; lli 4 (testi nn. 23.4; 23.5). =

n

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

il vino è più odoroso del mosto, e tutte le piante selvatiche lo sono più di quel­ le coltivate. La fragranza di certe piante, come quella della viola, è più soave da lontano; sentita da vicino si attenua. La rosa fresca profuma da lontano, quella secca da vicino. Tutti i fiori, comunque, hanno un profumo più pene­ trante in primavera e al mattino; man mano che si avvicina il mezzogiorno, il profumo si attenua. Le piante novelle, inoltre, sono meno odorose di quelle vetuste; comunque, l'odore più penetrante si ha per tutte nell'età di mezzo. La rosa e lo zafferano sono più odorosi se si colgono nei giorni di sereno, e tutte le piante sono più odorose nelle regioni calde che in quelle fredde. Non­ dimeno in Egitto i fiori profumano pochissimo, perché l'aria è resa nebbiosa e rugiadosa dall'imponente presenza del fiume. n profumo di certe piante è soa­ ve ma troppo intenso. Talune, quando sono verdi, non odorano per eccesso di umidità, come il bucerate, cioè il fieno greco. Nelle piante ricche di acqua, l'odore non è del tutto indipendente dal succo, come nella viola, nella rosa, nello zafferano, mentre tutte le piante acquose prive di succo hanno un odore pesante, come il giglio di tutte e due le specie.262 L'abrotano e la maggiorana hanno odori penetranti. Di certe piante solo il fiore è gradevole, le altre parti sono inerti: è il caso della viola e della rosa. Fra le piante dell'orto, le più odo­ rose sono quelle secche, come la ruta, la menta, l'apio, e quelle che crescono nei luoghi secchi. In certi casi il profumo aumenta con l'invecchiamento, come avviene alle mele cotogne, le quali inoltre odorano di più una volta colte che non sull'albero. Certe piante odorano solo se vengono spezzate o sfregate, al­ tre solo se vengono decorticate, certe poi solo se si bruciano, come l'incenso e la mirra. Tutti i fiori una volta pestati sono più amari di quando sono intatti. Alcune piante mantengono più a lungo l'odore quando sono seccate, come il meliloto. Certe rendono più odoroso il luogo dove si trovano, come l'iris, che anzi profuma per intero qualunque albero di cui tocchi la radice. L'espe­ ride odora di più di notte, e da ciò gli deriva il nome. Fra gli animali, nessuno è odoroso, a meno che non vogliano credere a ciò che è stato detto delle pan­ tere. [Traduzione di A.M. CoTROZZI, in G.B. CoNTE (a ura di), Gaio Plinio Secondo. Storia Naturale, vol. ill , Botanica, Torino 1984]

262 Vale

a

dire bianco e rosso: Plinio

il Vecchio, Storia Naturale XXI n. -

1 99

-

APPENDICE DOCUMENTARIA

23. QUALCHE CURIOSITÀ A. Strane usanze 23 .1. ATENEO, I solisti a banchetto n 45f-46a

Non bisogna bere prima dei pasti, come i Carmani, dice Posidonio; 263 questi, infatti, quando vogliono dimostrare la loro amicizia nei simposi aprono le vene della fronte e, mescondando al vino il sangue che scorre, lo assumono, considerando il massimo dell'amicizia gustare il sangue l'uno dell'altro. l46al Dopo questa bevuta, si ungono il capo di essenza profumata, soprattutto di rosa, altrimenti di mela cotogna, per allontanare gli effetti della bevanda e non subire danno dalle esalazioni del vino; altrimenti si ungono di essenza profumata di iris o di nardo. Dice bene quindi Alessi: 264 Si unge le narici di profumo; di buona salute mezzo validissimo è procurare buoni odori al cervello. [Traduzione di A. MARcmoRI, in Ateneo. I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

23 .2. ATENEO, I solisti a banchetto XII 553a-554b

Ad Atene era costume che gli amanti dei piaceri si ungessero persino i piedi con unguenti profumati, come dice Cefisodoro nel Trolonio: 265 E poi, per ungermi il corpo, comprami profumo di iris e di rosa, per favore, Santia, e a parte per i piedi comprami della baccaride.

Eubuio nello Slingocarione: 266 Mollemente sdraiato nel talamo; e ora, in cerchio, voluttuose fanciulle , squisite e indolenti, massaggeranno il delicato piede con balsami d' amaraco.

26J 264 265 266

F 72. F 195 Kassd-Austin. F 3,1-3 Kassd-Austin. F 107 Kassd-Austin.

FGH 87,

-

200

-

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

l 553bl Nella Procri un tale spiega come si deve accudire il cane di Procri, ma è come se parlasse invece di un essere umano: 267

[B] [A] [B ] [A]

Vi decidete a preparare una buona cuccia per il cane? Stendetegli sotto lana milesia, e sopra stendetegli una sistide. Apollo ! Poi gli inzupperete il grano nel latte di oca. Eracle ! E le zampe ungetegli di unguento megallio.

Antifane nell'Alcesti268 mette in scena un tale che si unge i piedi con olio di oliva; nel l 553cl Metragirte269 dice inoltre: E gli unguenti ricevuti dal dio chiese quindi all'ancella di spalmargli prima sui piedi, poi sulle ginocchia. Non appena l'ancella i suoi piedi ebbe spalmato e massaggiato, balzò dritto.

E nell' Uomo di Zacinto: 270 E allora non è giusto che io stia dietro alle donne, e che me la spassi con tutte le etère? E che anche io mi goda, per cominciare, la stessa cosa che fai tu, cioè farmi massaggiare i piedi da mani morbide e belle: l mdl non è forse una cosa magnifica?

E in Quelli di Torico: 27' [B] [A]

Ma ecco che si lava veramente ! E allora, cosa? Da una brocca con borchie di oro con Aigyption si unge piedi e gambe, con olio di palma le guance e le tettine,

F 89 Kassel-Austin. F 31 Kassel-Austin. 269 F 152 Kassel-Austin. 27° F 101 Kassel-Austin. 271 F 105 Kassel-Austin.

267 268

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201

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APPENDICE DOCUMENTARIA con balsamo di menta acquatica un braccio, con quello di maggiorana la sopracciglia e i capelli , con quello di serpillo il ginocchio e il collo . . .

E Anassandride nel Protesilao: 272 Con il profumo in vendita da Perone: sì, quello che si era comprato l mel ieri Melanopo, I'Aigyption che costa una fortuna, con cui ora strofina i piedi di Callistrato.

E inoltre Teledide, nei Pritani,273 mette in scena la vita ai tempi di Temi­ stocle, mostrandone la raffinatezza; Cratino, illustrando nei Chironi274 la vo­ luttuosità degli antichi, dice: Ciascuno stava assiso, gli orecchi ornati di menta flessuosa, rosa o giglio; e girellavano in piazza con un frutto fra le mani e un bastone da passeggio.

Clearco di Soli nelle Questz'oni d'amore dà vita a questa disquisizione: 2 75 Per quale motivo rechiamo tra le mani fiori e frutta e cose di tal genere? È forse perché, servendosi anche dell'amore manifestato per questi oggetti, l553fl la natura di­ svela coloro che della florida bellezza hanno desiderio? Non sarà questa la ragione che li spinge a tenere tra le mani, quasi come un saggio della desiata visione, le cose che hanno grazia fiorente, e a trame diletto? Oppure, può darsi che agiscano in tal modo per questi due motivi, perché tanto l'occasione di un felice incontro, quanto il chiaro segnale di quel che vogliono ottenere, possono nascere per loro da questi oggetti: per chi glieli domanda, sono un pretesto per farsi rivolgere la parola, mentre per chi li dona, sono i preliminari di una sorta di contratto che impegna l'altro a fare a sua volta dono delle sue grazie. l 55�l Infatti, la richiesta di fiori e frutti rigogliosi in­ vita quelli che li ricevono al contraccambio con il fiore del loro stesso rigoglio. Op­ pure, la ragione è che forse essi trovano nella bellezza di queste cose il sollievo e il conforto ai desideri suscitati in loro dalla bellezza di quelli che amano, e perciò di esse si dilettano, perché la presenza di questi oggetti allontana la nostalgia per gli amati; a meno che invece non tengano queste cose e si compiacciano di esse con l'intento di omarsene, al pari di altre che contribuiscono a migliorare l'aspetto; non soltanto le corone di splendidi fiori, ma anche i fiori tenuti in mano aggiungono ornamento a tutta la persona. l554bl Ma, forse, la ragione è piuttosto l'essere amanti della bellezza:

>7 > m

•H >7 5

F 41 Kassd-Austin. F 25 Kassd-Austin. F 257 Kassd-Austin. F 25 Wehrli. -

202

-

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO reggere fiori e frutti rivela infatti l'amorosa passione per le cose belle, e l'affettuosa propensione per ciò che è fiorente. Giacché bello è il volto della stagione matura e di quella in fiore, nei frutti e nei fiori contemplato. O anche, infine, la ragione è che tutti gli innamorati, spinti dalla passione a ogni sorta di voluttuoso eccesso, cer­ cando di avere un aspetto leggiadro, ingentiliscono le loro persone con ornamenti leg­ giadri. È cosa naturale infatti che quanti pensano di essere belli e fiorenti raccolgano fiori: perciò si racconta che le fanciulle del seguito di Persefone raccogliessero fiori, e Saffo 276 dice di vedere: Una fanciulla che coglie fiori, davvero delicata. [Traduzione di M.L. GAMBATO, in Ateneo. I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana com­ mentata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

23 .3 . LuCIANO, Storia vera II 5; 11-13 5· E già eravamo vicini a essa (un'isola), e una brezza meravigliosa soffiò verso di noi, deliziosa e odorosa, quale quella che lo storico Erodoto dice che esala dall'Arabia Eudaimon (Felice).277 Quale l'odore che diffondono rose, narcisi, giacinti, gigli e viole, e ancora, mirra, alloro e fiori di vite (ampelanthe), tale era l'odore soave che veniva fino a noi. Incantati da questo profumo e sperando cose buone dopo lunghe pene, ci avvicinammo ormai a poco a poco a quest'isola. [... ] n . Allora le corone ci caddero già da se stesse e fummo liberi e ci conducevano alla città e al simposio dei Beati. La città stessa è tutta quan­ ta d'oro e il muro che la cinge è di smeraldo, le porte sono sette, tutte di un solo pezzo, in legno di cinnamomo; il pavimento della città, però, e il suolo che si estende dentro le mura, sono di avorio; templi di tutti gli dèi, costruiti in berillo , e altari vi sono in essi, grandissimi, monolitici, di ametista, sui quali fanno le ecatombi. Intorno alla città scorre un fiume di mirra di eccellente qualità, di cento cubiti regi di larghezza, e di cinque di profondità, cosicché vi si può nuotare agevolmente. Sono adibiti a bagni vasti edifici di vetro, scal­ dati con legno di cinnamomo: invece dell'acqua però nelle vasche c'è rugiada calda; 12. come vesti hanno tele di ragno sottili, color porpora. 13. [.. .] TI paese è coperto di ogni sorta di fiori, di alberi coltivati e di alberi che fanno solo ombra; le viti producono dodici volte l'anno e si vendemmia ogni mese; dice­ vano che i melograni e i meli e gli altri alberi da frutto danno tredici raccolti e vi è un mese chiamato 'mese di Minosse' che produce due volte; invece di gra­ no le spighe producono sulla cima pane già pronto, come funghi. Quanto a

>76 F 122 Lobel Page. m

Storie m n3 (testo

n.

21.3).

- 203 -

APPENDICE DOCUMENTARIA

fonti, intorno alla città ve ne sono 365 di acqua, altrettante di miele, 500 di olio profumato, queste però più piccole, 7 fiumi di latte e 8 di vino. [Traduzione di Q. CATAUDELLA, Luciano. Storia

vera,

Milano 1990]

B. Animali e aromi 23 .4. Fn.osTRATO, Vita di Apollonia di Tiana II 2 li monte Caucaso può essere considerato l'inizio del Tauro che si estende attraverso l'Armenia e la Cilicia fino alla Panfilia e a Micale. [... ] Come è stato detto, il Tauro si estende nella regione oltre l'Armenia. Questa notizia, messa in dubbio nel tempo, la confermano le pantere. Esse, a quanto ne so, vengono poi catturate nella regione della Panfilia che produce le sostanze aromatiche. Questi animali, infatti, amano il profumo delle spezie e, sentendone la fragran­ za da lontano, migrano dall'Armenia attraverso le montagne verso la resina dello storace, allorché i venti soffiano da quella zona e gli alberi la emettono. [Traduzione di G. SQUILLACE]

23 .5 . Fn.OSTRATO, Vita di Apollonia di Tiana m 4

Le pendici del monte Caucaso producono cinnamomo. Le piante, che so­ migliano a giovani viti, possono essere individuate attraverso una capra. Infat­ ti, se dai da mangiare del cinnamomo a una capra, questa, come un cane, co­ mincerà a guaire in direzione della mano, ti seguirà se ti allontani premendo il naso contro il tuo corpo. Se il capraio poi la porta via, si lamenterà come se si staccasse da una pianta di loto. [Traduzione di G. SQUILLACE]

C. Un elenco di spezie

23 .6. ATENEO , I so/isti a banchetto IV qoa

Un elenco si spezie lo ha fatto Alessi nel Calderone: 278 [A] [B] [A]

Non voglio scuse adesso, nessun «non ce l'ho».

Dimmi cosa ti serve: prenderò tutto io.

Bene: anzitutto va' a prendermi del sesamo.

278 F 132 Kassel-Austin.

-

204

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I PROFUMI NEL MONDO ANTICO [B] [A]

Non ce l'hai già in casa? Uva passa tritata, finocchio, aneto, senape, steli e radice di silfio, coriandolo secco, somrnacco, cumino, capperi, origano, cipolla porrata, aglio, timo, salvia, sapa, seselio, ruta, porri.

[Traduzione di L. CITELLI, in Ateneo. I Deipnoso/isti, prima traduzione italiana commen­ tata su progetto di L. Canfora, Roma 2001]

D. Personaggi bizzarri

23 .7. TEOFRASTO, I caratteri 4 (La rusticità)

La rusticità parrebbe essere un difetto sconveniente di educazione e il ru­ stico suppergiù un tale che beve ciceone prima di avviarsi all'assemblea, e as­ serisce che l'odore di unguento non è migliore di quello del timo e porta le scarpe più grandi del piede e conversa urlando. [Traduzione di G. PASQUALI, Teofrasto. I Caratteri, Milano 19914]

23 .8. TEOFRASTO, I caratteri 5 (La piacenteria) n piacentiere è suppergiù un tale che, salutato uno da lontano, e chiama­ tolo 'uomo esimio' e mostratagli a sufficienza la propria devozione, afferratolo con tutte e due le mani, lo tiene fermo, e solo dopo averlo accompagnato per un pezzetto e avergli chiesto quando lo rivedrà, si allontana da lui seguitando ancora nei complimenti. [. . . ] E si taglia spessissimo barba e capelli, e smette i vestiti ancora buoni, e si unge con unguento profumato. �79 [Traduzione di G. PASQUALI, Teo/rasto. I Caratteri, Milano 19914]

23 .9. ELIANO, Le storie varie IX 24

Smindiride di Sibari raggiunse il culmine della mollezza (tutti i Sibariti, di fatto, non pensavano ad altro che a vivere tra gli agi e i lussi, ma Smindiride '79 Riferimenti a profumi e profurnieri anche in Teofrasto, I caratteri n, 7-8 («Lo sguaiato fa da sé la spesa e noleggia le flautiste, ma a tutti quelli che incontra per strada mostra le provviste, e li prega di favorirlo; e, avvicinatosi alla porta di una bottega di barbiere o di profurniere, dà voce che vuole sborniarsi a buono». [Traduzione di G. PASQUALI, Teo/rasto. I Caratteri, Milano 19914] ; 1 6 (chi è superstizioso offre continuamente rami di mirto, incenso e focasse agli Ermafroditi) ; 19 (chi è sporco usa olio rancido) ; 30 (chi è avaro usa l'olio degli altri per ungersi).

-

205

-

APPENDICE DOCUMENTARIA

più di ogni altro): un giorno, infatti, egli dormì adagiato su petali di rosa e, quando si alzò, disse che quel giaciglio gli aveva procurato delle vesciche. Per nulla al mondo si sarebbe sdraiato su uno strapunto o su un pagliericcio, su un prato in un dolce pendio o su una pelle di toro adatta invece a un sol­ dato rude e di razza come Diomede: sotto di lui era stesa la pelle di un bove selvaggio. 280 [Traduzione di C. BEVEGNI, in N. WrLSON (a cura di), Eliano. Storie Varie, Milano 1996]

23 . 10. ELIANO, Le storie varie XII 1

Aspasia era ricca di grazie come nessun'altra fanciulla del tempo. Aveva i capelli biondi e un poco ondulati, occhi grandissimi, un naso leggermente aquilino e orecchie piuttosto piccole. La sua pelle era delicata e la carnagione del volto color di rosa: è per questo motivo che i Focesi la chiamavano Milto (= terra rossa) fin dall'infanzia. [ . . . ] Un giorno Aspasia giunse al cospetto di Ciro, figlio di Dario e di Parisatide e fratello di Artaserse. [ . . . ]'-8' La prima volta che Aspasia incontrò Ciro, questi aveva finito di cenare e si apprestava a bere secondo l'uso persiano. [ . . .] Nel bel mezzo delle libagioni furono con­ dotte a Ciro quattro fanciulle greche - fra le quali vi era anche Aspasia di Fo­ cea -, tutte sontuosamente abbigliate. Le altre tre giovani erano state prepa­ rate dalle ancelle venute al loro seguito, e avevano i capelli raccolti in trecce e il viso illeggiadrito da belletti e unguenti. [ . . . ] Le tre fanciulle, allora, facevano a gara per primeggiare in bellezza. Aspasia, invece, si rifiutava di indossare tuniche sfarzose e non acconsentiva a cingere sopravesti ricamate né era di­ sposta a lavarsi, ma implorava a gran voce tutti gli dèi protettori dei Greci e insieme della libertà, invocava urlando suo padre e imprecava la morte a lui e a sé stessa: era infatti convinta che indossare quelle vesti per lei inusuali e quegli ornamenti ricercati fosse come soggiacere a una chiara e indiscutibile servitù. [Traduzione di C. BEVEGNI, in N. WILSON (a cura di) , Eliano. Storie Varie, Milano 1996]

23 . 11. ELIANO, Le storie varie XIV 39 li re dei Persiani (voglio infatti raccontarvi anche una storia gustosa) im­ merse una corona nel profumo (si trattava di un serto di rose) e la mandò ad

lllo lll l

Iliade X 155· Ciro

il Giovane, principe persiano (423-401 a.C . ) . -

206

-

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO Antalcida,21h che era giunto a corte come ambasciatore per trattare la pace. Al che Antalcida gli disse: «Accetto il dono e ti ringrazio per la cortesia, ma adw­ terandolo artificialmente hai rovinato il profumo delle rose e la loro fragranza naturale».

[Traduzione di C. BEVEGNI, in N. WILSON (a cura di) , Eliano. Storie Varie, Milano 1996]

23 .12. ELIANO, Le storie varie IX 8 Dionisio il Giovane,283 giunto nelle città di Locri (sua madre Doride era appunto di Locri), si impadronì delle case più grandi della città e ne fece co­ spargere i pavimenti di rose, serpilli e altri fiori; quindi mandava a prendere le giovani locresi e abusava di loro dando sfogo a tutta la sua libidine: ma per questa sua violenza fu punito.

[Traduzione di C. BEVEGNI, in N. WILSON (a cura di) , Eliano. Storie Varie, Milano 1996]

E. Un profumo straordinario

23 .13 . CTESIA DI CNIDO, Indike FGH 688, F 45,47

=

F 45,47

LENFANT

Ctesia afferma che presso gli Indiani crescono alberi alti come cedri o ci­ pressi le cui foglie sono come quelle delle palme ma un po' più larghe. I rami di quest'albero non si biforcano. La pianta fiorisce come l'alloro maschio e non produce frutti. Nella lingua indiana è detta karpion, in greco myroroda. È rara. Da essa stillano gocce di olio. Raccolte con della lana, esse poi vengono travasate in ampolle di pietra. Ristagnando, quest'olio ha un colore rosso in­ tenso e si presenta molto denso. Ha però il profumo più dolce di tutti e si dice che la fragranza riesca a espandersi fino a cinque stadi di distanza. Quest'olio può essere posseduto solo dal re e dalla sua famiglia. ll re degli Indiani una volta lo inviò al sovrano di Persia e Ctesia afferma di aver sentito un profumo che non avrebbe potuto né descrivere né paragonare ad altro.

[Traduzione di G. SQUILLACE]

181 18 l

Emissario spartano che nel 386 a.C. concluse la pace con Tiranno di Siracusa

dal 367 al 344 a.C. -

207

-

il re di Persia Artaserse TI.

APPENDICE DOCUMENTARIA

F. Un pranzo straordinario

23 .14 . PoLIENO, Stratagemmi IV 3,32

Alessandro (Magno) nel palazzo dei Persiani lesse l'occorrente per la cola­ zione e il pranzo del re, descritto in una colonna di bronzo, dove si trovavano anche le altre usanze che Ciro 284 aveva fatto registrare. Questo era l'elenco: 400 artabe di pura farina di frumento (un' artaba persiana corrisponde a un medimno attico); dopo quella pura, 300 artabe di farina di seconda scelta e altre 300 di terza scelta. In tutto IOoo artabe di farina di frumento per il pranzo. 200 artabe di farina d'orzo assolutamente pura; 400 di seconda scelta [e 400 di terza] ; in tutto IOoo artabe di farina d'orzo; 200 artabe di farina grossa di farro. IO artabe di fior fiore di farina per le bevande. + + + artabe di nastur­ zio tagliato, setacciato fine. IO artabe di orzo mondato; un terzo di artaba di grani di senape. Per quanto riguarda il bestiame: 400 montoni; Ioo buoi; 30 cavalli; 400 oche ingrassate; 300 tortore; 6oo piccoli uccelli di tutti i generi; 300 agnelli; Ioo piccoli d'oca; 30 caprioli. IO mari (un mari corrisponde a IO congi attici) di latte di giornata; IO mari di latte acido addolcito. Un talento di aglio; mezzo talento di cipolle piccanti. I artaba di frutti del silfio; 2 mine di succo di silfio; I artaba di cumino; I ta­ lento di silfio; un quarto di artaba di essenza di mele dolci; I artaba di bevanda di scorze acide di melograno; un quarto di artaba di essenza di cumino; 3 ta­ lenti di uva nera secca; 3 mine di fiori d'aneto; un terzo di artaba di cumino nero; 2 capeti di grani di senape; IO artabe di sesamo puro. 5 mari di vino nuo­ vo; 5 mari di ravanelli bolliti, di rape preparate in salamoia; 5 mari di capperi in salamoia, da cui si preparano le salse piccanti; IO artabe di sale. 6 capeti di cumino etiope (un capetis corrisponde a un chenice attico); 30 mine di aneto secco. 4 capeti di semi di sedano. IO mari di olio di sesamo; 5 mari di panna; 5 mari di olio di pistacchio e 5 di olio di legno d'acacia; 3 mari di olio di man­ dorle dolci; 3 artabe di mandorle dolci secche. 50 mari di vino. Quando si trovava a Babilonia e a Susa, Ciro offriva vino estratto metà dalle palme e metà dall'uva. 200 carri di legna secca; IOO carri di rami freschi; IOO dolci quadrati di frutta secca e miele stillante, del peso di IOO mine. Quan­ do era in Persia distribuiva queste razioni: 3 artabe di zafferano; 2 mine di zaf­ ferano bianco. Questo veniva consumato come bevande e pasti. 184 Si tratta di Ciro

il Grande,

re di Persia dal 559 al 530 a.C.

-

208

-

I PROFUMI NEL MONDO ANTICO

Distribuiva 500 artabe di farina pura di frumento; 1000 artabe di farina pura d'orzo; 1ooo artabe di farina di seconda scelta. 500 artabe di fior di fa­ rina; 500 mari di farina grossa di farro; 2o.ooo artabe di orzo per il bestiame, 10.ooo carri di paglia, 5000 di fieno. 200 mari di olio di sesamo; 100 mari d'a­ ceto; 30 artabe di nasturzio tagliato, setacciato fine. Quanto detto veniva di­ stribuito ai soldati. Queste erano le spese che il re affrontava ogni giorno per il suo pranzo e la sua cena e per le sue distribuzioni. Mentre gli altri Macedoni, leggendo quest'elenco di preparativi per il pranzo ne restavano ammirati, ritenendolo segno di ricchezza, Alessandro in­ vece lo derideva, considerandolo una disgrazia e un gran fastidio, a tal punto che ordinò addirittura di abbattere la colonna su cui era riportato, dicendo agli amici: «Non giova affatto ai re imparare a pranzare in modo così dissolu­ to; inevitabilmente a una gran dissolutezza e lusso segue una grande viltà; ve­ dete che coloro che si rimpinzavano di tali pasti sono stati rapidamente so­ praffatti in battaglia>>. [Traduzione di E. BIANCO, Polieno. Stratagemmi, Alessandria 1997]

-

209

-

UNITÀ DI MISURA

UNITÀ DI MISURA MONETALI AmCHE

Obolo (o,72-1,o5 g) Dracma = 6 oboli Mina = roo dracme Talento = 6o mine

UNITÀ DI MISURA MONETALI ROMANE

Sesterzio = r/4 di denario Denario (moneta d'argento pari a ro assi = r/72 di libbra = 4,55 g)

UNITÀ DI MISURA PER LIQUIDI

Cotile = r coppa circa Ciato = r/6 di cotile Ossibafo = r/4 di cotile Emicongio = 6 cotili (circa 1,7 litri) Congio = 12 cotili (circa 3,5 litri) Anfora = 72 cotili o r/2 metreta (circa 27 litri) Metreta = 2 anfore o 144 cotili (circa 55 litri) Otre = 520 litri

UNITÀ DI MISURA PER SOSTANZE SOLIDE

Cotile = r coppa circa Chenice = 4 cotili = r/48 di medimno nd sistema ateniese (= r,o8 litri) Sestario = 8 chenici Erniecte = r/4 di moggio (= 2,25 litri) Moggio = circa 9 litri Medimno = 6 sestari = 52 litri nd sistema ateniese -

211

-

UNITÀ DI MISURA

UNITÀ DI MISURA ROMANE PER

IL

CALCOLO DEL PESO

Oncia = !112 di libbra (circa 28 grammi) Libbra = circa 327 grammi

UNITÀ DI MISURA PER

IL

CALCOLO DELLE DIMENSIONI O DELLE DISTANZE

Dito (larghezza di un dito della mano) Condilo = 2 dita (circa 4 cm) Palmo (della mano) = 4 dita (= circa 8 cm) Spanna = 12 dita (circa 24 cm) Piede = r6 dita (piede attico = 29,6 cm) Pigone = 20 dita (circa 40 cm) Cubito = 24 dita (circa 45 cm) Orgìa = 6 piedi (circa 178 cm) Pietro = roo piedi (circa 30 m) Stadio = 6oo piedi (stadio attico = 177,6 m) Miglio (romano) = 1,48 km Parasanga (persiana) = 30 stadi (5500 m)

UNITÀ DI MISURA PERSIANE

Capetis = r chenice (r,o8 litri) Mari = ro congi (= 35 litri) Artaba = un medimno ( = 52 litri)

-

21 2

-

TABELLE

TEOFRASTO, Sucu ODORI TABELLA l.r

Le sostanze odorose A. Derivazione delle sostanze odorose - Corteccia - Fiori - Foglie - Frutti - Radici!Rizoma - Rami - Resina - Semi

Piante

B. Tipologie di profumi Aromi presenti naturalmente in: - Corteccia - Fiori - Foglie - Frutti - Radici!Rizoma

Profumi ricavati dall'uomo attraverso la techne: - Combinazione di sostanze aromatiche

- Rami

- Resina - Semi

-

213

-

TABELLE

C. Tipi di profumi I.

Osmai (sostanze odorose in generale)

2.

Aromata (essenze)

J.

Diapasmata (polveri profumate)



Myra (sostanze profumate liquide)



Chrismata (oli profumati)

D. Metodi di creazione delle fragranze I.

Diapasmata (polveri profumate): sostanze secche unite a sostanze secche

2.

Myra (sostanze profumate liquide): sostanze umide unite a sostanze umide



Chrismata (oli profumati): macerazione di spezie in oli

E. Coloranti NoME

PRoFUMI SENZA AGGIUNTA DI COLORANTE

Rhodinon, irinon ma Aigyption, kypros, anche tutti i profumi melinon

Anchusa

(piccola radice che dà un colore rosso porpora) Chroma (radice)

PRoFUMI CON AGGIUNTA DI COLORANTE

PRoVENIENZA

scadenti e a buon mercato Siria

TABELLA 1.2 Metodi di estrazione delle essenze

Estrazione a caldo

Estrazione a freddo

I.

Con olio caldo

2.

Con vino caldo

J.

Con acqua calda

I.

Con olio freddo

2.

Con vino freddo

J.

Con latte e miele (o con latte, vino e miele) -

21 4

-

TABELLE

TABELLA 1.3 Nomi e composizione dei profumi NoME

l COMPONENTI AROMATICHE

METODO DI ESTRAZIONE

CARATTERISTICHE E QUALITÀ DEL PRODOTTO

PRoPRIETÀ TERAPEUTICHE

CONTROINDICAZIONI

Aigyption

Cinnamomo, Lunga macerazio- Persistente mirra e altri ne degli ingredien- Costosissimo ingredienti ti in olio caldo

Amarakinon (maggiorana)

Tanti ingreclienti di qualità a esclusione della maggiorana

Persistente n più pregiato tra i profumi

Causa mal di testa

Daphninon

Alloro (bacche)

Scadente

Causa mal di testa

Eretrikon

Radice di cipero

Erysiskeptron

Radice di cipero

Irinon

Radice di iris

Herpyllinon

Fiori di timo

Krocinon

Pistillo di eroco (zafferano)

Croco

Macerazione del ri- Persistente zoma triturato in olio freddo

Lassativo

Henna

Stimola al lavoro Cipero, carda- Macerazione in olio Leggero Fragranza raffinata momo, aspa- freddo lato

Leukoi"non

Viole

Megaleion

Cassia, cinna- Lunga macerazio- Persistente momo, mirra ne degli ingredien- Costosissimo stakte, resina ti in olio caldo bruciata

Melinon

Mele cotogne Macerazione in olio Fragranza raffinata freddo (frutto)

Kypros

-

215

-

Antinfiammatorio Cicatrizzante

Causa mal di testa

TABELLE

NoME

COMPONENTI AROMATICHE

Myrrinon

Albero della mirra (foglie)

My"ha-smyrna stakte

Resina

CARATIERISTICHE E QUALITÀ DEL PRODOTIO

METODO DI ESTRAZIONE

PROPRIETÀ TERAPEUTICHE

CONTROINDICAZIONI

Macerazione in olio Persistente caldo con aggiunta di acqua Macerazione in vino dolce per steml'odore perarne pungente

Myrtinon

Bacche e foglie di mirto

Nardinon

Radice di nardo

Oinanthinon (oinanthe)

Foglie di enantelvite selvatica

Phoinix

Legno (rami) di palma

Rhodinon

Giunco, aspa- Macerazione in vi- Leggero lato, calamo, no dolce rose

Causa mal di testa

Persistente Pregiato

1.

Efficace contro

il mal d'orecchi per il suo conte-

nuto di sale; efficace contro la stranguria 2.. Elimina il senso di fastidio spesso creato da altri profumi

3· Stimola al lavoro

Sisymbrinon

Fiori di Cala-

mintha Nepeta Susinon

Giglio

-

21 6

-

TABELLE

TABELLA l4

Nomi delle sostanze odorose NOME

PARTE IMPIEGATA

CARATTERISTICHE AROMATICHE

Alloro (daphne)

Foglie, bacche

Pungente, caldo

Amomon

Foglie, radice

Caldo, piccante

Aspalato

Radice

Astringente

Balsamo

Frutto, resina, legno

Caldo, piccante

Calamo aromatico

Radice

Pungente, caldo, astringente

Cardamomo

Semi

Caldo, piccante

Cassia/Cannella

Corteccia

Calda, aspra, astringente

Cinnamomo

Corteccia

Caldo e moderatamente aspro

Cip ero

Radice

Astringente

Costo

Radice

Caldo e moderatamente aspro

Croco

Fiori

Giglio (krinon)

Fiori

Giunco (schoinos)

Legno

Incenso

Resina

Iris

Rizoma

Maron

Foglie

Meliloto

Fiori

Mela cotogna

Frutto (scorza)

Mi"a

Resina

Mirto

Bacche

Pungente, caldo

Nardo

Radice

Pungente, caldo

Palma (phoinix)

Legno, rami

Pungente, caldo

Rosa

Fiori

Pungente, caldo, astringente

Caldo

Pungente, caldo

- 217 -

TABELLE

TABELLA 15 Fragranze maschil; fragranze femminili Profumi leggeri

Fragranze maschili

Rhodinon, kypros, krinon

Fragranze femminili

Smyrna stakte, megaleion, Aigyption, Profumi intensi e persistenti amarakinon, nardinon

Come testare un profumo Polso (parte esterna)

Calore della pelle favorisce l'evaporazione immediata della fragranza

TABELLA 16

La conservazione A. Conservanti CARATI'ERISTICHE

NoME

Olio

r.

Olio amygdalinon

Grasso, giovane, privo di profumazione

2.

Olio di sesamo (sesaminon)

Grasso, giovane, privo di profumazione

J.

Olio di balano (Egitto, Siria)

Poco grasso, giovane, privo di profumaztone



Olio di olive selvatiche

Poco grasso, giovane, privo di profumaztone

5-

Olio di mandorle amare (Cilicia) Poco grasso, giovane, privo di profu-

m azione 6.

Poco grasso, giovane, privo di profumazione

Olio di oliva

Sale

-

21 8

-

TABELLE

B. Come preservare

un

profumo

Tenerlo al riparo dalla luce dd sole e da fonti di calore, che distruggono la fragranza Conservarlo in contenitori di piombo o alabastro che: - lo mantengono fresco - impediscono l'evaporazione - non lasciano penetrare aromi estranei

TABELLA l.7

La durata dei profumi NOME DEL PROFUMO

Lunga durata

DURATA MASSIMA

Tutti i profumi a base di radici

Aigyption (anche 8 anni) Irinon (anche

20

anni)

Amarakinon Nardinon Smyrna stakte

Breve durata

Tutti i profumi a base di fiori (du- Rhodinon, susinon rata massima: r anno)

- 219 -

TABELLE

II. PLINIO,

STORIA NATURALE XII -XIII I-6

TABELLA Il. I

Sostanze odorose da alberi elo arbusti (libro XII) PlANTA

PROVENIENZA

Adiposo

Egitto

Agresto

Siria

Albero del macir

India

Albero del pepe

Caucaso

PARTE USATA IN PROFUMERIA

PARTE USATA IN MEDICINA

PARTE USATA IN CUONA

AnULTERAZIONI DEL PRODOTTO

Olio Scorza della radice bollita e miele: rimedio efficace contro la dissenteria Aggiunta di bacche Pepe lungo Pepe nero (forte) di ginepro Pepe bianco (leggero)

Albero dello zuc- Arabia, India ehero

Resinoide dolce impiegato in medicina

Amomo a grappoli Armenia, Me- Foglie, radici

Foglie di melograno, gomma liquida

dia, Ponto

Arbusto spinoso India simile al pepe

Medicamento detto 'licio' ottenuto dalla corteceia bollita

Adulterato con arbusto simile del monte Pelio, radice di asfodelo, fiele di bue, assenzio, sommacco, morchia

Asaro o Nardo sel- Ponto, Frigia, Illirico vatico Aspalato

Egitto

Radice

Balsamo

Giudea

Resina samo)

Bdellio (gommoresina profumata)

Battriana (ma anche Arabia, India, Media, Babilonia)

(opobal-

Cera e resina Si aggiunge al vi- Mandorla, scorza no per profumarlo di scordaste

- 220 -

TABELLE

PIANTA

PROVENIENZA

PARTE USATA IN PROFUMERIA

PARTE USATA IN MEDICINA

Brato (pianta si- Paese degli Eli- Resina mile al cipresso) mei

PARTE USATA IN CUCINA

ADULTERAZIONI DEL PRODOTTO

I Parti aggiungono le foglie al vino

Calamo aromatico Arabia, India, Legno Siria

Cancamo

Etiopia

Resina

Cardamomo

Arabia

Semi

Cassia (cannella)

Etiopia

Legno Corteccia

Chiodi di garofano India

Proprietà balsamiche

Corteccia di storace

Fiore essiccato (Plinio lo chiama

granis) Cinnamomo (o cinnamo)

Etiopia

Legno/corteccia

Comico (specie di Siria cinnamo)

Legno

Costo (due varie- India tà, bianca e nera)

Radice profwnata

Ebano

India Etiopia

Bruciato sprigiona un profumo gradevole

E/ate (abete)

Egitto, Siria

Resina

Enante

Paropotamia, Resina Antiochia, Laodicea, Media, Cipro, Afri-

Sapore piccante

ca

Fenicobalano

Egitto

I frutti, se mangiati, hanno effetto soporifero Uso in medicina

Ferula

Siria

Fico

India

Gabalio

Etiopia

-

221

-

TABELLE

PIANTA

PROVENIENZA

PARTE USATA IN PROFUMERIA

PARTE USATA IN MEDICINA

PARTE USATA IN CUCINA

AnULTERAZIONI DEL PRODOTTO

Galbano

Siria

Henna

Egitto, Giudea, Seme da cui si ricava l'olio detto Cipro henna

Incenso

Si produce solo Resina in Arabia nella regione centrale detta Sariba

Succo della resina bianca

Latiano

Regione Nabatei

Bacche di mirto

Malobatro

Siria

Olio

Maro

Egitto

Foglie

Melo (agrume)

Assiria o Me- I semi cotti servi- Contro i vdeni dia vano ai Parti per profumare l'alito

Metopo

Mrica

Mirobalano

Paese dei Tro- Olio ricavato da gloditi, Arabia, corteccia e nocEgitto ciole

Mirra

Arabia

Muschio

Cnido, Caria

Nardo

India, rive dd Foglie e spighe Gange, Siria, Gallia, Creta

Fava o sacopenio

Resina

dei Succo dolciastro

Resina

Sabbia

Resina

Grumi di resina di lentischio e gomma, con succo di cocomero per renderla amara, e litargirio per appesantirla; mirra indiana

Sapore amaro

Pseudonardo, litargirio, cipresso, corteccia di cipresso, irculo (Valeriana

Saxatilis) Olivo

Arabia

Olio

Panacea

Siria

Resina

Rimargina le cicatrici delle ferite

- 222 -

TABELLE

PIANTA

PROVENIENZA

PARTE USATA IN PROFUMERIA

Sfagno

Cirenaica, Ci- Legno pro, Fenicia, Egitto, Gallia

Stobro

Carmania

PARTE USATA IN MEDICINA

PARTE USATA IN CUCINA

AoULTERAZIONI DEL PRODOTTO

n fumo fa dormi-

Resina

re gli ammalati

Storace

n fumo allontana

Siria, ma an- Resina Pisidia, che Cipro, Cilicia, Creta

i serpenti

Taro (o legno di Etiopia aloe) Zenzero

Arabia, Paese dei Trogloditi

-

223

-

Resina di cedrus o di gomma; miele o mandorle amare

TABELLE

TABELLA 11.2

I profumi (XIII I-6) TIPO DI PROFUMO

PROVENIENZA

Panathenaicum

Atene

Pardalium

Tarso

Profumo all'enante (oenanthinum)

Adramittio, Cipro

Profumo alla maggiorana (amaracinum)

Cos, Cipro, Mitilene

Profumo allo zafferano (crocinum)

Soli (Cilicia), Rodi

Profumo dell'isola di Delo

Delo

Profumo di benna (cyprinum)

Cipro, Egitto, Sidone

Profumo di iris (irinum)

Corinto, Cizico

Profumo di mele cotogne (melinum)

Cos

Profumo di Mende (Egitto)

Egitto

Profumo di rose (rhodinum)

Faselide in Panfilia, Napoli, Capua, Preneste

TABELLA 11.3

La composizione dei profumi (XIII 1-6) A. Profumi semplici INGREDIENTI

TIPO DI PROFUMO

QUALITÀ DEL PRODOTTO

Malobatrum

Malobatro talora unito a miele, fiore di Nobile unguentum sale, agresto, foglie di agnocasto, panacea

Irinum dell'Illirico

Iris

Nobile unguentum Nobile unguentum

Amaracinum di Cizico Maggiorana Murrinum (profumo Mirra stakte alla mirra)

-

-

224

-

TABELLE

B. Profumi composti TIPO DI PROFUMO Cinnamoninum

INGREDIENTI

QUALITÀ DEL PRODOTI'O

Cinnamomo, olio di balano, xilobalsa- Prodigiosa pretia mo, calamo aromatico, semi di giunco profumato, balsamo, mirra, miele profumato

Crocinum (profumo Uguale al rhodinon ma con l'aggiunta, allo zafferano) oltre allo zafferano, di cinabro, anchusa

-

e vino Cyprinum (profumo di Henna, agresto, cardamomo, calamo Tenuissimum o mh enna) aromatico, aspalato, abrotano, ma an- mum

che (in alcune preparazioni) , cipero, mirra, panacea. Si rinforza con cinnamomo Megalium

Olio di balano, calamo aromatico, giunco profumato, xilobalsamo, cannella, resina

Melinum (dalle mele Mele, agresto, olio di benna, olio di secotogne e da altre va- samo, balsamo, giunco profumato, casrietà di mele) sia, abrotano

-

-

Mendesium

Olio di balano, resina, mirra

Metopium

Olio di mandorle amare, agresto, cardamono, giunco profumato, calamo aromatico, miele, vino, mirra, seme di balsamo, galbano, resina di terebinto

Nardinum o foliatum

Nardo, agresto, olio di balano, giunco profumato, costo, amomo, mirra, baisamo

Profumo di alloro (laurus)

Alloro, maggiorana, giglio, fieno greco, Profumo scadente mirra, cassia, nardo, giunco profumato, cinnamomo

Profumo di mirto

Mirto, maggiorana, giglio, fieno greco, Profumo scadente mirra, cassia, nardo, giunco profumato, cinnamomo

-

225

-

-

-

-

TABELLE

INGREDIENTI

TIPO DI PROFUMO

QUALITÀ DEL PRODOTTO

Regale unguentum (o Mirobalano, costo, amomo, cinnamo- Pregiato unguentum Partho- mo, cardamomo, spiga di nardo, marum) ro, mirra, cassia, storace, ladano, opo-

balsamo, calamo aromatico, giunco profumato di Siria, enante, malobatro, sericato, benna, aspalato, panacea, zafferano, cipero, maggiorana, loto, miele, vino Rhodinum

Agresto, petali di rosa, olio di zafferano, cinabro, calamo aromatico, miele, giunco profumato, fiore di sale (o ancbusa), vino

Sampsuchinum (profu- Uguale al rhodinon ma con l'aggiunta, oltre alla maggiorana, di agresto e calamo di maggiorana)

-

-

mo aromatico Senza denominazione

Olio di mirto, calamo aromatico, ci- Vilissimum presso, benna, lentischio, scorza di melagrana

Susinum (profumo di Gigli, olio di balano, calamo aromatico, Tenuissimum o mmum miele, cinnamomo, zafferano, mirra giglio) Telinum (profumo di Olio fresco, cipero, calamo aromatico, meliloto, fieno greco, miele, maro, fenum graecum)

maggiorana

C. Coloranti SosTANZA

COLORAZIONE OTTENUTA

Olio di benna

Verde

Essenza di Mende

Nero

Rhodinum

Bianco

Mirra

Pallido

-

226

-

-

TABELLE

TABELLA n.4

Metodi di conservazione (XIIT I-6) Sale (o anchusa) in aggiunta al prodotto

- Conservanti naturali

Resina o gomma in aggiunta al prodotto

- Fissativi dell'aroma (impediscono una veloce evaporazione)

No esposizione alla luce del sole

- Luce distrugge la fragranza

Contenitori di piombo o alabastro

- Piombo e alabastro riparano dalla luce il prodotto

TABELLA ll.5 A. Struttura di

un

profumo (XIll I-6)

ELEMENTI

CARATTERISTICHE DEGLI ELEMENTI

NATURA DEGLI ELEMENTI

A. Succo (sucus)

Vari tipi di olio

B. Essenza (corpus)

Odori tratti dalle sostanze Hedysmata (aromi) odorose

C. Colore

Cinabro e anchusa

-

D. Conservante

Sale

-

Stymmata (elementi astringenti)

-

E. Fissativi dell'aroma Resina o gomma

B. Metodi di estrazione delle essenze (XIll I-6)

l Bollitura C. Come testare

l I vari ingredienti vanno messi tutti insieme J un

Sul dorso della mano

profumo (XIII 1 -6) Calore del palmo distrugge il profumo

- 227 -

TABELLE

III .

l PROFUMI IN ATENEO, I SOFISTI A BANCHETTO XV 675a-692f

TABELLA Ill . I TIPO DI PROFUMO O DI SPEZIA Croco

PROVENIENZA

PROPRIETÀ TERAPEUTICHE

Cirene

Iris nana Maggiorana (amarakinos) (corona)

Provoca intontimento e dà senso di pesantezza alla testa

Mirra stakte Mirto (corona)

Provoca stipsi e allontana i fumi del vino

Olio di benna (kypros)

Egitto, ma anche Cipro e Fenicia (presso Sidone)

Profumo alla rosa

n migliore si produceva a

Cirene all'epoca di Berenice la Grande sposa di Tolomeo Ill Evergete (284-221 a.C.) Profumo di baccaride Profumo basileion Profumo brentheion Profumo di croco/zafferano Soli in Cilicia e a Rodi

Profumo di enantelvite Cipro e Adramittio in Misia Digestivo, conserva la mente selvatica sveglia Profumo di fieno greco Siria (telinon) Profumo di incenso (liba- Pergamo notinon) Profumo di iris

Elide, Cizico

Profumo di maggiorana

Cos

Profumo di mela cotogna Cos

Favorisce anche la digestione ed è efficace contro la sonnolenza -

22 8

-

TABELLE

TIPO DI PROFUMO

PROVENIENZA

O DI SPEZIA

PROPRIETÀ TERAPEUTICHE

Taso

Profumo di nardo

Profumo di rosa (rhodi- Faselide in Panfilia, Naponon) li, Capua Profumo di timo Profumo di violetta bianca

Forte stimolante; capacità di risvegliare dal torpore

Profumo in generale Profumo megallio

Efeso

Profumo mendesio

Egitto (città di Mende)

Profumo metopio

Egitto

Profumo panathenaico

Atene

Profumo plangonion Profumo psagdas Rosa

Nisea di Megara

Rosa

Leucofri presso Magnesia Calma il mal di testa e dà una sensazione di fresco

Rosa (corona) Rosa a cinque petali

Cirene

Rosa centi/olia

Filippi

Rosa di Mida da Rosa selvatica da petali

6o petali 5

a

Emazia in Macedonia

I2

Viola

Cirene Eccita i nervi della testa

Violetta bianca (corona)

- 229 -

TABELLE

TABELLA Ill . 2

Pro/umieri famosi NOME

PRoFUMO INVENTATO

ATENOGENE

FONTE

Iperide, Contro Atenoge­ ne. Primo discorso (V) 519 Marzi.

DINIA

Eraclide Pontico F 61 Wehrli, in Ateneo, I so/isti a banchetto xn 552f-ma;

Strattide F 34 Kassel-Au­ stin, in Ateneo, I solisti a banchetto XV 69of.

ES CHINE

Ateneo, I so/isti a banchet­ to Xlli 6nf.

MEGALLO (greco di Sicilia Megalleion

Aristofane F 549 Kassel­ Austin, in Ateneo, I so/isti a banchetto XV 69of; Fe­ recrate F 149 Kassel-Au­ stin, in Ateneo, I so/isti a banchetto XV 69of; Stra t­ tide F 34 Kassel-Austin, in Ateneo, I solisti a ban­ chetto XV 69of; Anfide F 27 Kassel-Austin, in Ate­ neo, I solisti a banchetto XV 691a; Anassandride F 47 Kassel-Austin, in Ate­ neo, I solisti a banchetto XV 691a.

o di Atene)

PERONE

Anassandride F 41 Kassel­ Austin, in Ateneo, I so/isti a banchetto XII md-e; XV 689f-69oa; Teopompo FF 1; 17 Kassel-Austin, in Ateneo, I so/isti a banchet­ to XV 69oa.

Non specificato

-

230

-

TABELLE

PROFUMO INVENTATO

NOME

FONTE

PLANGONE

Plangonion

Polemone F 64 Preller, in Ateneo, I solisti a banche!to XV 69oe; Sosibio, FGH 595, F 9, in Ateneo, I solisti a banchetto XV 69of.

STRATTIDE

Non specificato

Anacreonte F 89 Gentili.

IV. PROFUMI E MEDICINA TABELLA IV.r

Usi terapeutici delle principali sostanze odorose nel Corpus Hippocrati­ cum PRINCIPALI IMPIEGHI TERAPEUTICI ALLORO

FONTE 1

- nelle fumigazioni uterine

Ippocrate VII 321

- nei lavaggi uterini

Ippocrate VIII 281

- nei pessari uterini

Ippocrate VIII 457

- tra gli ingredienti degli oli Ippocrate VIII 654 usati nella cura della febbre quartana

' TI riferimento è ai volumi della vecchia edizione curata da LITIRÉ, Ouvres complètes d'Hippo­ crate, vol. 1-X, cit. Per diverse opere del Corpus Hippocraticum nuove edizioni critiche sono apparse nel Corpus Medicorum Graecorum (CMG). Come è noto, gran parte del materiale pervenuto sotto il

nome di lppocrate in realtà non appartiene al medico di Cos. Sul problema, ampiamente dibattuto, vedi JouANNA , Ippocrate, cit. Sull'uso delle sostanza aromatiche a fini terapeutici nelle opere del Cor­ pus Hippocraticum e, in particolare, negli scritti ginecologici, vedi ToTELIN, Par/ums et huiles per/u­ mées en médicine, cit., pp. 2.2.7-2.32.; EAD., Hippocratic recipes, cit., pp. 141 ss. (ivi ampia bibliografia). Sulla terminologia inerente alla botanica nel Corpus Hippocraticum: M. MOISAN, Lexique du vocabu­ laire botanique d'Hippocrate, Université Lavai, Pubblication n. 7, 1990.

- 231 -

TABELLE

Ippocrate VII 419

AMARAKos (maggiorana)

- nei lavaggi uterini

CASSIA

- nelle fumigazioni e nei la- Ippocrate VIII 368; 405 vaggi uterini

CINNAMOMO

- nelle fumigazioni uterine

Ippocrate VII 373; VIII 365

CROCO/ZAFFERANO

Ippocrate II 521-523; V

- collirio

133

- contro le piaghe

Ippocrate VI 415

- nei pessari usati nella cura Ippocrate VII 427; VIII delle malattie delle donne 131; 185; 187; 189; 363; 427; 441

INCENSO

GIGLIO (susinum)

- contro le ulcerazioni della Ippocrate V 417 bocca - contro le piaghe

Ippocrate VI 415; 429

- come cicatrizzante

Ippocrate VI 427

- nei pessari uterini

Ippocrate VII 397

- nei pessari uterini

Ippocrate VII 363; VIII 363

Irus

- nelle fumigazioni e nei pes- Ippocrate VII 377; VIII 157; 381; 451 sari uterini

MIRRA

- contro i dolori agli occhi (an- Ippocrate II 523; V 133 che come ingrediente nei colliri)

- nelle fumigazioni e nei pes- Ippocrate VI 347; VII sari uterini 367; 369; 399; VIII 155; 209; 2II; 247; 279; 379; 365; 379; 401; 403; 405; 407; 437; 455

- nella cura delle fistole anali Ippocrate VI 453 -

232

-

TABELLE

MIRTO

- in infusione nella cura delle Ippocrate II 365 malattie acute - nei cataplasmi nella cura Ippocrate VII 317 delle infezioni ai genitali - nelle fumigazioni e nei pes- Ippocrate VII 375; VIII sari uterini 381; 399

NARCISO

- contro le febbri

Ippocrate V 139

- nei pessari uterini

Ippocrate VII 323; 345; 365; 431

- nelle ulcerazioni uterine

Ippocrate VII 141

NARDO

- nelle fumigazioni usate nel- Ippocrate VII 373 la cura delle malattie delle donne

RosA

- contro la stranguria

Ippocrate V 429

- nelle fumigazioni uterine

Ippocrate VII 337

- come pessario contro le ul- Ippocrate VIII cerazioni uterine

m;

399

- come pessario per facilitare Ippocrate VIII 187 l'espulsione del feto morto - nei pessari per facilitare il Ippocrate VIII 215, 455 concepimento - nelle fumigazioni uterine

-

233

-

Ippocrate VIII 353; 399

I TESTIMONI *

ANACREONTE. Poeta lirico, nacque a Teo, in Asia Minore, intorno al 570 a.C. Si recò prima a Samo alla corte del tiranno Policrate, poi ad Atene presso Ippia e Ippar­ co. Morì nel 485 a.C. circa. APoLLODORO. Apollodoro di Atene (II secolo a.C.) a lungo venne considerato autore della Biblioteca, opera in 3 libri a contenuto mitologico. Lo scritto oggi è attri­ buito a uno Pseudo Apollodoro vissuto nel II secolo d.C. ARcHILoco. Poeta lirico originario di Paro, visse nel VII secolo a.C. ArusTOBULO DI CASSANDREA. Vissuto tra IV e III secolo a.C., compose un'opera sulla spedizione di Alessandro Magno pervenuta in frammenti. ARisTOTELE. Nacque nel 384 a.C. a Stagira nella penisola Calcidica e frequentò, giovanissimo, ad Atene, l'Accademia di Platone. All'indomani della morte del mae­ stro nel 347 a.C., lasciò la scuola diretta da Speusippo. Nel 343 a.C., chiamato da Fi­ lippo II, si recò in Macedonia come maestro di Alessandro Magno. Al rientro ad Ate­ ne nel 335 a.C. fondò la sua scuola filosofica, il Liceo, !asciandone la direzione all'allievo Teofrasto alla sua morte awenuta nel 322 a.C. ATENEO. Originario di Naucrati, in Egitto, visse tra II e III secolo d.C. Compose I sofisti a banchetto un'opera a carattere erudito in 15 libri.

BATONE. Vissuto in data imprecisata, fu storico di Alessandro Magno. Scrisse Le tappe della spedizione opera pervenuta solo in frammenti.

BIONE DI SMIRNE. Poeta bucolico, visse intorno al I secolo a.C. La sua opera è pervenuta in frammenti. CTESIA DI CNIDO. Medico e storico vissuto tra V e IV secolo a.C., soggiornò a lungo presso la corte del re di Persia Artaserse II. La sua opera sull'impero persiano (Persike) è pervenuta in frammenti.

* Sono presi in considerazione solo gli autori dei passi raccolti nell'Appendice documentaria, non le fonti (poeti comici, eruditi, medici, storici) da questi citati.

-

23 5

-

I TESTIMONI

DIODORO. Originario di Agirio, in Sicilia, visse nel I secolo a.C. Fu autore di una Biblioteca storica in 40 libri, nella quale intese raccogliere i principali eventi storici dal­

le origini mitiche in poi. DIOGENE LAERZIO. Vissuto tra II e III secolo d.C., il suo nome è legato alle Vite dei filosofi, opera in ro libri nella quale raccolse preziose notizie su noti pensatori di

età precedente. DuRIDE DI SAMO Visse tra IV e III secolo a.C. La sua opera storica è pervenuta in .

frammenti. EFIPPO DI OLINTO. Vissuto tra IV e III secolo a.C. , narrò l'impresa di Alessandro Magno. La sua opera è pervenuta in frammenti. ELIANO. Autore erudito, nacque a Preneste intorno al 170 d.C. I suoi scritti più importanti furono Sulla natura degli animali in 17 libri e Le storie varie in 14. Morì nel 235 d.C. EMPEDOCLE. Filosofo nato ad Agrigento intorno al 490 a.C., ipotizzò come ele­ menti costitutivi del mondo quattro radici o elementi: Fuoco, Aria, Acqua e Terra capaci di catalizzarsi o di disunirsi attraverso due forze: Odio e Amore. Morì nel 430 a.C. circa. ERODOTO. Nato ad Alicarnasso in Asia Minore nel 484 a.C. circa, si trasferì ad Atene nel 445 partecipando un anno dopo alla fondazione, su iniziativa di Pericle, del­ la città di Turi, in Magna Grecia. Morì intorno al 424 a.C. TI suo nome è legato ad un'opera storica in 9 libri, nella quale narrò le guerre che i Greci combatterono con­ tro i Persiani tra il 499 e il 479 a.C. FILOSTRATO. Retore ateniese vissuto tra II e III secolo d.C. scrisse tra l'altro opere biografiche come la Vita di Apollonia di Tiana e le Vite dei Sofisti. lBICO. Poeta lirico originario di Reggio in Magna Grecia, tra il 564 e il 561 a.C. si trasferì a Samo alla corte del tiranno Policrate dove trascorse gran parte della sua vita. lPERIDE. Oratore e politico ateniese di IV secolo a.C. (390-322 a.C.) fu strenuo av­ versario di Filippo II e Alessandro Magno. I suoi discorsi sono pervenuti in forma frammentaria. lPPOCRATE. Nato a Cos, visse tra il 46o e il 370 a.C. esercitando la professione di medico. Sebbene la tradizione abbia tramandato sotto il suo nome una serie di scritti raccolti nel cosiddetto Corpus Hippocraticum, tuttavia solo pochi tra essi gli possono essere attribuiti. LuciANO DI SAMOSATA. Retore vissuto tra il 125 e il 190 d.C., scrisse numerose ope­ re tra le quali I dialoghi (delle cortigiane, degli dè� marinz; dei mortt) , La storia vera, Lucio o l'asino.

I TESTIMONI

NEARCO DI CRETA. Vissuto tra IV e lli secolo a.C., fu generale di Alessandro Ma­ gno. Narrò alcune fasi della spedizione in Asia in un'opera pervenuta solo in fram­ menti. NICANDRO. Nativo di Colofone in Asia Minore, visse nel II secolo a.C. Scrisse nu­ merose opere di argomento epico-didascalico, tra le quali gli Antidoti contro il morso di animali velenosi (Theriaka) e gli Antidoti contro i veleni (Alexipharmaka) . NONNO. Originario di Panopoli in Egitto, visse tra IV e v secolo d.C. n suo nome è legato alle Dionisiache, poema in esametri in 48 libri nel quale narrò le vicende di

Dioniso/Bacco.

0MERO. Vissuto in età imprecisata, la tradizione gli attribuisce l'Iliade e I'Odissea (ma la paternità delle due opere è da secoli oggetto di ampio dibattito). I due poemi epici narrano rispettivamente alcuni eventi relativi alla guerra di Troia, e il ritorno del­ l' eroe Odisseo/Ulisse nella sua patria Itaca. ONESICRITO DI AsTIPALEA. Vissuto tra IV e III secolo a.C., fu generale di Alessan­ dro Magno. Narrò alcune fasi della spedizione in Asia in un'opera pervenuta solo in frammenti.

OVIDIO. Nato a Sulmona nel 43 a.C. , fu poeta alla corte di Augusto. Tra le sue opere più celebri si ricordano le Metamorfosi e L'arte di amare. Morì nel 17 d.C. a Tomi sul mar Nero dove l'imperatore l'aveva relegato. PAUSANIA. Vissuto tra no e 180 d.C. circa, compose una Periegesi della Grecia nel­ la quale descrisse celebri monumenti e ricordò tradizioni di regioni e città elleniche. PINDARO. Poeta lirico, nacque nel 518 a.C. a Cinoscefale nei pressi di Tebe. Viaggiò di corte in corte celebrando nei suoi componimenti i potenti dell'epoca. Morì nel 438 a.C. PLATONE. Nato ad Atene nel 427 a.C. fu allievo di Socrate. Nel 388, al ritorno dal suo primo viaggio in Sicilia alla corte del tiranno Dionisio I di Siracusa, fondò nella sua città l'Accademia, scuola filosofica frequentata, tra gli altri, da Aristotele, Seno­ crate, Speusippo, Teofrasto. Morì nel 347 a.C. PLINIO IL VECCHIO. Nato a Como nel 23 d.C., dedicò la sua vita alla scienza rac­ cogliendo un gran numero di dati nella sua opera La storia naturale in 37 libri. L'a­ more per il sapere ne determinò anche la morte awenuta nel 79 d.C. nel corso del­ l' eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano, Pompei e Stabia. PLUTARCO. Autore erudito, nacque a Cheronea in Beozia intorno al 50 d.C. Viaggiò a lungo in Grecia componendo numerosi scritti di argomento vario. Morì nel 120 d.C. POLIBIO. Storico greco originario di Megalopoli, visse tra il 206 e il 124 a.C. Com­ pose un'ampia opera storiografica incentrata sulla nascente potenza di Roma. PoLIENO. Scrittore greco del II secolo d.C., il suo nome è legato soprattutto a una raccolta di stratagemmi militari in otto libri. -

23 7

-

I TESTIMONI

PoLLUCE. Gramm atico vissuto nel

II secolo d.C. scrisse l'Onomasticon.

SAFFo. Poetessa nata e vissuta tra VII e VI secolo a.C. a Mitilene nell'isola di Le­ sbo. La sua opera è pervenuta in frammenti. SENOFANE. Poeta lirico nato a Colofone in Asia Minore nel 565 a.C. circa e vissuto a Elea in Magna Grecia. La sua opera è pervenuta in frammenti. SENOFONTE. Nato ad Atene intorno al 430 a.C., trascorse gran parte della sua vita in esilio. Allievo di Socrate, compose numerose opere tra le quali l'Anabasi, le Elleni­ che, i Memorabili, il Simposio. Morì nel 355 a.C. circa a Corinto. STESICORO. Poeta lirico nato a Matauro in Magna Grecia tra il 632 e il 629 a.C. e vissuto prevalentemente a lmera in Sicilia. La sua opera è pervenuta in frammenti. STRABONE. Nato a Amasea nel Ponto intorno al 64 a.C., il suo nome è legato alla Geografia, opera in 17 libri, nella quale descrisse numerose regioni di Europa, Mrica, Asia. Morì intorno al 20 d.C. STRATIIDE . Poeta della Commedia Antica, visse tra V e IV secolo a.C. Le sue ope­ re sono pervenute in frammenti. TELES. Vissuto nel ID secolo d.C., esercitò la professione di maestro. Nella sua opera raccolse motti di filosofi di età precedente.

-

23 8

-

CARTINE GEOGRAFICHE

'

fr

Jcrn-

INOS

SEIUPHOS O

2

Fig. 1. Orbis veteribus notus. Fig. 2. La città di Corinto, nel Peloponneso, oltre che essere nota per il profwno di iris (Plinio il Vecchio, Storia Naturale Xlll 2, in Appendice documentaria n. 6.2), costituiva uno dei principali snodi commerciali e di smistamento delle sostanze aromatiche, mentre Atene, in Attica, era nota per le sue botteghe profwniere dislocate nell 'agora e per il profwno Pa­ nathenaicum (Plinio il Vecchio, ivz) .

,\I ,J r N c r u

4

Fig. 3 · Durante la sua spedizione contro i Persiani (33 5-323 a.C.) Alessandro Magno attraversò e conquistò molte regioni aromatifere come la Siria, la Giordania, l'Egitto, l'Armenia, la Cannania, la Gedrosia. Nel 326, interrotta la marcia verso Est ai confini con l'India, il re macedone, intrapren­ dendo il viaggio di ritorno via terra, ordinò ai suoi generali Nearco e Onesicrito di esplorare con la flotta le coste dall'Indo fino al Golfo Persico. Fig. 4· Arabia, terra degli aromi. Proprio all'abbon­ dante produzione di spezie come incenso, mirra, cassia, cinnamomo e !adano (Erodoto, Storie III I07-II3,I, in Appendice documentaria n. 21.3) impiegate nella produzione dei profumi, la regione do­ veva l'epiteto Eudaimon/Felix.

.,.

-

P T OL I: � L"!!

Fig. 5· Regione aromatifera nel como d'Mrica (Somalia) . Era nota, riferisce Stra­ hone (Geografia XVI 4,14 CC 773-774, in Appendice documentaria n. 21.2), per l'abbondante produzione di spezie.

6

7

Fig. 6. Carta del mondo secondo Erodoto.

Fig. 7· Carta del mondo secondo Strabone.

ABBREVIAZIONI

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L'Antiquité classique.

AE

L'Année epigraphique.

AFLB

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ArchClass

Archeologia Classica. Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Bullettin de Com"spondence Hellénique.

AJA

ASNP BCH

CIG CIL

Bollettino di Studi Latini. Corpus Inscriptionum Graecarum. Corpus Inscriptionum Latinarum.

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IC ICS

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ABBREVIAZIONI

IG IGLSyr IGR

Inscriptiones Graecae. Inscriptions Grecques et Latines de la Syrie. Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes.

JAOS

Journal o/ the American Orienta! Society. The ]ournal o/ Egyptian Archaeology. ]ournal o/ European Archaeology. Lexicon Iconographicum Mythologiae Graecae, Ziirich-Miinchen 1981 ss. Il mondo classico. Medicina nei secoli. Mélanges de l'École Française de Rome. Antiquité. Museum Helveticum. Ox/ord Journal o/ Archaeology. Papiri della società italiana. Quaderni Urbinati di Cultura Classica. Revue Archéologique. Rendiconti della classe di scienze mora!� stanche e filologiche dell'Accademia dei Lincei. Religioni e civiltà. G. WISSOWA - W. KRoLL - K. MITIELHAUS - K. ZIEGLER (eds.), Paulys Realen­ cyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart 1894 ss. Revue des Études Byzantines. Rheinische Museum. Revue Numismatique. Supplementum Hellenisticum. W. DITIENBERGER (ed.), Sylloge Inscriptionum Graecarum, I-IV, Leipzig 1915-

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