Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico [1] 8822252152

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Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico [1]
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ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E

LETTERE

«LA COLOMBARIA»

«STUDI» CCXVIII

ASPETTI DI LETTERATURA GNOMICA NEL MONDO ANTICO I A cura di MARIA SERENA FUNGHI

FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE M M III

ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA» UNION ACADÉMIQUE INTERNATIONALE UNIONE ACCADEMICA NAZIONALE

ACCADEMIA TOSCANA DI

SCIENZE E LETTERE

«LA COLOMBARIA»

«STUD I » CCXVIII

ASPETTI DI LETTERATURA GNOMICA NEL MONDO ANTICO I A cura di MARIA SERENA FUNGHI

FIRENZE L E O S. O L S C H KI E D I T O R E M M III

Volume pubblicato con il contributo dell'Unione-Accademica Nazionale e del Mi­ nistero per l'Istruzione, PUniveristà e la Ricerca per il Programma di ricerca di interes­ se nazionale «Corpus dei papiri filosofici greci e latini. Testi e lessico». TI Programma è cofinanziato dal M.I.U.R e dagli Atenei di Milano, Firenze e Pisa; il finanziamento è amministrato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, dal Dipartimento di Scienze dell'Antichità 'G. Pasquali• dell'Università degli Studi di Fi­ renze e dal Dipartimento di Filologia Classica dell'Università degli Studi di Pisa. ll patrocinio e r onere dell'impresa Corpus dei papiri filosofici greci e latini. Testi e lessico sono stati assWlti dall'Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria» di Firenze in collaborazione con rUnion Académique Intemationale e rUnione Acca­ demica Nazionale.

ISBN 88 222 5215 2

AVVERTENZA Questa raccolta di studi è il frutto di un incontro a carattere se­ minariale dal titolo «Aspetti e forme di tradizione letteraria senten­ ziosa nel mondo antico», svoltosi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa il 9- 1 1 maggio 2002 (di cui si riporta in calce J>intero pro­ gramma). Un secondo incontro di studi, dal titolo «Aspetti di tra­ smissione di letteratura gnomologica e apoftegmatica» si terrà sempre a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore, il 5-7 giugno 2003; la pubblicazione degli Atti è prevista per il 2004. Le giornate di studio sono state pensate per facilitare lo scambio di informazioni fra collaboratori del Corpus dei Papiri Filoso/ici Greci e Latini, cercando allo stesso tempo di prendere in esame - per al­ largare o approfondire il campo di indagine - tematiche che sconfi­ nano o si trovano al confine del complesso di testi che rappresentano l'oggetto di studio di un volume del CPF. All'interno di questo pro­ getto, la Parte 11.2-3 raccoglierà due tipi di una letteratura che ha co­ loritura filosofica. La prima ·sezione (II.2) comprende il genere aned­ dotico che è attestato nei papiri sia sotto forma di syggrammata del III sec. a.C., che potrebbero addirittura essere r"accolte 'd'autore' (come le chreiai di Diogene Cinico in PVindob G 29946 o quelle di Socrate testimoniate in PHibeh 182), sia sotto forma di esercitazioni scolastiche a vari livelli: dal detto, purtroppo non ricostruibile, di Ana� ·c arsi, fino all'ammonimento del filosofo Pitagora, declinato in tutti i casi, compreso il duale, che ritroviamo in una tavoletta lignea del IV sec. d.C. La seconda sezione (11.3) raccoglie la gnome, nei suoi due aspetti: il primo, come sentenza, precipuamente morale, che trova im­ piego nella prassi didattica scolastica, spesso come mero esercizio di copiatura. Quintiliano (!nst. I l, 35) auspicava: li quoque versus, qui ad ùnitationem scribendi proponentutj non otiosas velim sententias ha­ beant, sed honestum aliquid monentes; è un bene che, come viene te­

stimoniato dai reperti, questo principio sia stato applicato, perché gra­ zie ad esso disponiamo di un utile specchio di una morale, spicciola quanto si vuole, ma ancora viva in quanto è pervenuto dell'insegna­ mento greco in Egitto. Né si può ignorare che talora uno di questi versi può essere importante testimone per la ricostruzione o la tra- V-

AVVERTENZA

smissione di versi della Commedia o della Tragedia. Dato H largo im­ piego di questi versi sentenziosi, non desterà meraviglia il fatto che la maggior parte dei testimoni che compariranno in questo volume del Corpus sia costituita da prodotti scolastici. Non mancano tuttavia rappresentanti di raccolte di gnomai, che assumono dunque una fi­ sionomia di tipo letterario: secondo, importante aspetto di questo pa­ norama di testi 'gnomici'. Si tratta indiscutibilmente di una lettera­ tura secondaria, 'di consumo', come spesso si evince dal tipo di prodotti e dalle scelte bibliologiche e grafiche che la contraddistinguono. È stato interessante, a questo proposito, il confronto soprattutto per ra­ spetto bibliologico, compiuto da Edda Bresciani nel suo intervento, con testi demotici che riportano massime di comportamento: analoga appare la prassi di evidenziare con opportuni spazi le singole mas­ sime, dettata forse anche dallo scopo di facilitare l'apprendimento. Mentre però nel caso dei testi sapienziali egiziani abbiamo più esemplari di un'opera, che consentono di constatarne la diffusione e di inserirli in un genere letterario, la gnomologia greca che recupe­ riamo dall'Egitto greco-romano si riduce spesso a un 'testimone unico\ frutto della selezione personale di un ignoto antologista operante per fini propri, edonistici o professionali: in casi come questi solo una fo­ calizzazione a tutto campo del reperto può aiutarci a comprendere di che tipo di testo si tratti e se si debba considerarlo un esemplare della circolazione libraria di raccolte. Recuperare testimoni di un filone gno­ mologico, come le Menandri Sententiae, che si rivela, con l'attesta­ zione del titolo MENANL1P01 rNQMAI, costituito nei primi secoli dell'era cristiana da 'microtesti' con formazioni spesso analoghe per scelta (ma con selezioni numericamente più limitate) alle raccolte bi­ zantine, è uno dei doni che dobbiamo alle scoperte papirologiche: un dono che arricchisce ulteriormente le nostre conoscenze, e che ci ob­ bliga anche ad una rilettura dei testi che queste sentenze hanno re­ cepito, accolto e modificato o rimodellato, a ripensare ai rapporti in­ tercorsi fra culture diverse e a tentare di ripercorrere le vie e i modi di una letteratura 'di raccolta' che hanno consentito la loro trasmis­ sione fino a noi. Preziosa, da questo punto di vista, è stata ad esem­ pio l'illustrazione, offertaci nell'intervento di Cristina D'Ancona, del­ r ambiente culturale arabo, importantissimo tramite sia per la traduzione del testo delle Menandri Sententiae, sia per la dossografia e l' apof­ tegmatica filosofica greca. Le giornate pisane di studio del 2002, e quelle che seguiranno nel 2003, cercano di mettere a fuoco vari aspetti e modi di trasmissione di un 'sapere' dai percorsi complessi e dalle fisionomie multiple, nel tentativo di aprire qualche varco nel terreno già di per sé vasto e ac-

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AVVERTENZA

cidentato della tradizione testuale e dei modi di trasmissione della let­ teratura gnomica. Questo fine è stato perseguito con tecniche e ap­ procci diversi, non sempre in egual misura condivisibili, ma sempre fonte di stimolo alla riflessione. Come ha osservato Paolo Odorico nella relazione che ha concluso i lavori dell'incontro del 2002 «lo stu­ dioso che si rivolga all'esame degli gnomologi deve aver presente que­ sti processi di trasmissione del sapere, perché essi danno il senso della loro 'l:ltilizzazione durante tutto il periodo in cui circolarono. Questo utilizzo ha conseguenze anche sulla trasmissione del testo, perché il sentenziario è un prodotto aperto, suscettibile di accogliere o elimi­ nare continuamente parte del materiale, per adattarsi alle esigenze del copista-elaboratore, del lettore, del riutilizzatore. Considerare un pro­ dotto nella sua fissità di fonte scritta una volta per tutte, alla ricerca di una paternità spesso dubbiosa, significa ignorare tutto il processo di utilizzazione. Peccato mortale che la filologia classica ha troppo spesso commesso». Un testo come le Menandri Sententiae dal suo primo comparire nei reperti greco-egizi, quindi nelle rielaborazioni cristiane, e infine nelle selezioni più tarde, costituisce la prova più evidente della validità di queste assunzioni di metodo. Come ultima nota, vorrei sottolineare come sia stato fruttuoso e importante l'apporto che giovani dottori o dottorandi di ricerca della Scuola Normale Superiore hanno dato all'indagine nel suo complesso, offrendo con le loro ricerche un'eccellente messa a punto di problemi particolari che riguardano i temi trattati dai singoli collaboratori al volume del Corpus. Durante lo svolgimento del seminario e anche in seguito, al mo­ mento della preparazione di questo volume, è stato possibile operare con l'affiatamento di una squadra: mi è pertanto estremamente gra­ dito esprimere il mio debito di riconoscenza nei confronti dell'amica e collega Maria Chiara Martinelli, che ha collaborato anche all'orga­ nizzazione del seminario, e di Carlo Pernigotti, e inoltre di Marco Passino, Francesca Maltomini, Lucia Prauscello, Mario Telò. Doverosi, ma non formali, ringraziamenti vanno anche alla Scuola Normale Superiore - in particolare al Direttore, prof. Salvatore Set­ tis, e ai Presidi della Classe di Lettere che si sono avvicendati, i pro­ fessori Lina Bolzoni e Carmine Ampolo. La Scuola ha messo a di­ sposizione le sue strutture per lo sv_olgimento dell'Incontro e ha contribuito a finanziarne l'organizzazione insieme agli Atenei di Fi­ renze, Milano e Pisa, che lo hanno sostenuto nel quadro del Progetto di ricerca di interesse nazionale (M.I.U.R.) Corpus dei Papiri Filoso­ fici Greci e Latini. - VII -

AVVERTENZA

Si ringrazia l'Ashmolean Museum, e in particolare la dott.ssa He" len Whitehouse, per aver consentito alla riproduzione in questo vo­ lume degli ostraca Bodl. Gr. Inscr. 2942+2941 e 2943. Pur nel rispetto dei criteri editoriali della collana, si è cercato di mantenere le peculiarità dei singoli contributi (ad es. nelle modalità dei riferimenti bibliografici). Sono state adottate le sigle papirologiche utilizzate nelle pubbli­ cazioni del CPF; Monostici (maiuscolo tondo) indica� per comodità, le gnornai monostichoi tradite nel corpus delle Menandri sententiae. Maria Serena Funghi

Per completezza di riferimento, si riporta il programma originario dell'In­ contro di Studio da cui si origina que sto volume.

l)

Le 'Sentenze di Menandro'

A- L)apporto dei papiri alla tradizione dei Monostid: un bilancio e nuove pro­ spettive: M. SERENA FUNGHI (Scuola Normale S up eriore), Tipologie delle raccolte papiracee dei Monostici: vecchie e nuove testimonianze; M. CHIARA MARTI" NELLI (Scuola Normale Superiore), Estrazione e rielaborazione dei Mono­ stici: problemi di testo e di m etrica. B

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Influenze e contatti: M. JAGODA LUZZATTO (Università

di Firenze), Sentenze di Menandro e

Vita Aesopi; SILVIA AZZARÀ. (Scuola Normale Superiore), Fonti e rielabora­ zione poetica nei Carmina moralia di Gregorio di Nazianzo. C

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Le vie di trasmissione dei Monastici: SERGIO PERNIGOTTI (Università di Bologna), La redazione copta dei Mo­

nastici e il suo ambiente culturale; PAOLO BETTIOLO (Università di Padova), Il testo della versione siriaca; CRISTINA n�ANCONA (Università di Padova), L'ambiente culturale della versione araba; MORENO MORANI (Università di Genova}, La versione slava; CARLO PERNI G OTTI (Scuola Normale Superiore), La tradizione manoscritta delle Menandri Sententiae.

II) Aspetti di letteratura gnomica

GLENN MOST ( S cuola Normale Superiore), Euripide 6 yvro�tKCÒ1a1oç; EDDA BRESCIANI (Università di Pisa), Insegnamenti morali e produzione sco­ lastica nell'Egitto demotico; GUIDO BASTIANINI (Istituto Papirologico 'G. Vi­ telli'/Università di Firenze), Testi gnomici di ambito scolastico; PAOLO CAR· RARA (Università di Arezzo), La gnomologia ellenistica: le gnomai di Carete e dello Pseudo Epicarmo; CARLO PERNIGOTTI (Scuola Normale SuperioreL

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AVVERTENZA Formazione e schemi delle antologie: le testimonianze papiracee; FRANCESCA MALTOMINI (Scuola Normale Superiore)t Theognidea; CARLO MARTINO Lu­ CARINI (Scuola Normale Superiore), Le gnomai di Publilio Siro: questioni sulla genesi della raccolta; ROSA MARIA PICCIONE (Fr.-Schiller Universitat, JenaL Stobeo, Orione e Sopatro: fonti, modelli, architetture; ELENA GIAN� NARELLI (Università di Firenze), Gli acrostici alfabetici cristiani; PAOLO Ono­ RICO (École des hautes études en sciences sodales, Paris), Un esempio di lunga durata della trasmissione del sapere: Kekaumenos, l'antichità, l'età mo­ derna.

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PRESENTAZIONE La pubblicazione di un volume di Atti a meno di un anno dalla celebrazione del convegno di studi che li ha generati è un evento che si saluta con piacere, perché le varie relazioni vengono fatte conoscere a coloro che hanno potuto partecipare direttamente alla discussione e alla comunità degli studiosi nella loro freschezza, alin1entando effi­ cacemente il dibattito. Questo vale tanto più, visto che proprio a di­ stanza di un anno, nel giugno 2003, è previsto a Pisa un secondo in­ contro di studio che riaprirà ed allargherà la discussione su tematiche affini. Gli «Studi» della Colombaria appaiono una buona sede per ac­ cogliere questa ricca serie di riflessioni sulla letteratura sentenziosa nel mondo antico. Il convegno è stato organizzato nell'ambito degli studi preparatori al Corpus dei papiri filosofici greci e latini che già conta tre grossi vo­ lumi (fultimo in due tomi), contenenti i frammenti su papiro delle opere (conservate dai codici medievali o perdute) dei filosofi noti dalla tradizione e un quarto volume con i frammenti papiracei dei Com­ mentari antichi e tardoantichi a opere filosofiche. La prima cosa che vorrei sottolineare è proprio il carattere dinamico che ha assunto que­ sta impresa del Corpus dei papiri filosofici: quando è nata nel lontano 1982 aveva l'obiettivo già ambizioso di registrare criticamente l'esi­ stente, di raccogliere e ripresentare in veste critica, con i dovuti ag­ giornamenti, quanto dai papiri era stato recuperato del patrimonio fi­ losofico. Ma ci si è presto resi conto che non era sufficiente affidarsi alle 'edizioni_principi' e agli studi particolari sui papiri dipendenti da quelle edizioni, che era necessario in particolare in certi ambiti pro­ muovere nuove ricerche e procedere a complete revisioni, per tentare di dare una sistemazione organica al materiale, pubblicato in tempi diversi e con criteri diversi (spesso poco soddisfacenti). Per citare solo due casi di questi effetti (dinamici'; nei volumi già pubblicati hanno trovato collocazione edizioni completamente rinnovate, con nuova e fruttuosa ispezione degli originali, con ricco commento filologico e fi­ losofico, di due papiri importanti risalenti alla prima fase della storia delle scoperte papirologiche, prima sempre citati sulla base delle 'edi­ zioni principi': gli Elementa mo1'alia dello stoico I erode e il Commento -XI -

PRESENTAZIONE

al Teeteto di Platone curati entrambi per la parte papirologica da Guido Bastianini e per il versante filosofico rispettivamente da An­ thony Long e David Sedley. Ma il Corpus dei papiri filoso/ici prevede nella seconda parte an­ che la pubblicazione, in più volumi, dei Frammenti filoso/ici adespoti e delle Sentenze. È apparso allora necessario approfondire r analisi della trasmissione della letteratura gnomica, in particolare dei Mona­ stici di Menandro, che hanno una collocazione indubbiamente di ri­ lievo, perché si tratta di uno gnomologio antico che, pur nelle sue va­ rie redazioni, è stato ininterrottamente trasmesso dal I sec. d.C all'età bizantina avanzata e quindi offre validi elementi di confronto per in­ dagare altre tradizioni gnomologiche; questo voleva dire procedere da un lato a ulteriori 'scavi' nelle biblioteche europee alla ricerca di fonti testuali non segnalate, riprendere dall'altro l'esame analitico di tutte le testimonianze note, associando strettamente l'analisi fisica dei ma­ nufatti in tutti gli aspetti tecnico-bibliologici con l'esame critico del contenuto testuale, senza trascurare naturalmente i fattori culturali che promuovono la diffusione di particolari testi in determinati am­ bienti. Il lavoro di 'scavo> in biblioteca è stato premiato e ha prodotto an­ che un'espansione della base documentale, grazie al felice reperimento di nuove fonti testuali: da Maria Serena Funghi il Convegno ha avuto notizia e una prima interessante illustrazione di una serie consistente di frammenti di ostraca, alcuni ricomponibili, conservati nel Petrie Museum di Londra, finora non considerati, che contengono anche Monastici di Menandro. L'edizione di questi nuovi testi, che presen­ tano elementi di novità interessanti, è ormai vicina al compimento. Ma per inserire una nuova testimonianza in un quadro di riferi­ mento plausibile bisogna prima aver analizzato il materiale papiraceo conosciuto in modo accorto, seguendo l'aureo principio è stato giu­ stamente ribadito - «distingue frequenter»: si devono tenere ben di­ stinti frammenti papiracei che sono resti di veri esemplari librari, de­ stinati a una più o meno ampia circolazione, frammenti che sono resti di gnomologi tematid, frammenti che invece si configurano come pro­ dotti d'occasione, destinati magari a rapido consumo nella pratica sco-' lastica. Anche l'espressione 'ambito scolastico' è stata spesso usata in­ distintamente, mentre proprio per i documenti con contenuto gnomico riferibili alla scuola si impone, nei limiti del possibile, una più pre­ cisa definizione del carattere specifico. Guido Bastianini ha offerto al­ cune indicazioni orientative che integrano opportunamente i risultati già raggiunti da Raffaella Cribiore nella sua ricerca complessiva sui papiri 'scolastici'. -

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PRESENTAZIONE

Proprio l'ininterrotta, se pur tormentata, tradizione dei Monastici obbliga a un impegno severo di analisi prosodica e metrica del tri­ metro che a partire dall'età ellenistica presenta sempre nuovi e diversi fenomeni. Contro le conclusioni pessimistiche di chi vede l'analisi me­ trica troppo esposta a giudizi soggettivi, si possono invece mettere in luce, come ha mostrato Maria Chiara Martinelli, alcuni elementi og­ gettivi, che aiutano sia a capire l'origine del testo, sia a stabilire se le varianti che si registrano rispetto alle fonti note (comiche o tragiche) dei Monastici sono dovute semplicemente ai meccanismi della tra­ snlissione o, ben diversamente, sono frutto di consapevole rielabora­ ztone. L'abbandono della ricerca della Ursammlung dei Monastici, del tentativo di ricostruzione di un perduto capostipite da cui tutti i te­ stimoni a noi noti dovrebbero in ultima analisi dipendere (che ha ca­ ratterizzato l'opera pur meritoria di Jakel) ha aperto la strada invece all'individuazione e sempre più precisa caratterizzazione di 'redazioni' diverse che, nate in tempi diversi e in ambienti diversi, non possono essere mescolate (anche se si deve prendere atto di ampi fenomeni di contaminazione e conflazione), ma vanno analizzate (nei limiti del pos­ sibile) nella loro singolarità e autonomia, nelle loro particolari fisio­ nomie. Su questa via si è impegnato a fondo Carlo Pernigotti che ha fatto fruttuose ispezioni dirette su tutti i filoni tradizionali. Elementi per preziose messe a punto nella ricostruzione dei vari 'stati' del ·testo dei Monastici dà certamente lo studio delle versioni antiche in altra lingua. n confronto di esperienze metodiche e di la­ voro sul campo tra classicisti e orientalisti si è rivelato molto frut­ tuoso. Sull'ambiente culturale di produzione e ricezione del 'Menan­ dro' siriaco ha fatto penetranti osservazioni Paolo Bettiolo che invita a pensare alle élites ecclesiastiche e cittadine che nei primi decenni del V sec. 'fabbricano', con larga apertura alla cultura greca, la sto­ ria di un 'Ed essa cristiana. I testimoni superstiti della redazione copta sono stati indagati da Sergio Pernigotti: resta l'ipotesi che la reda­ zione greco-copta sia stata legata fin dall'origine all'insegnamento sco­ lastico, ma è ben possibile che i Monostici abbiano avuto una circo­ lazione anche al di fuori della scuola, in ambienti di cultura medio-alti. Per la ricostruzione del testo è soprattutto utile la versione slava che si rivela 'testimone' importante ed affidabile, anche perché mostra ca­ ratteri marcatamente conservativi (come ha mostrato Moreno Morani), rispetto a redazioni greche più esposte a subire processi di innovaz1one. Nel campo più proprio della tradizione 'indiretta' si colloca la pre­ senza già da tempo rilevata e analizzata di sequenze di monastici me.

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PRESENTAZIONE

nandrei nella redazione W del Romanzo di Esopo. Maria Jagoda Luz� zatto ha fatto notare però che anche nella redazione G ci sono «fram­ menti metrici di identica matrice (cioè trimetri del tipo dei Mono� stici)» e questo prova «che la prosa degli Insegnamenti di Esopo/Ahiqar era fin dall'origine intercalata da gnomai in trimetro giambico». Un buon deposito di sentenze .monostiche menandree si trova anche nelle opere in prosa e nei Carmina moralia di Gregorio di Nazianzo: Silvia Azzarà ha fatto vedere come il Cappadoce riusa accortamente e adatta creativamente gnomai accolte dalla tradizione. Ad un tipo speciale di sequenze gnomiche, gli acrostici alfabetici cristiani tematici, ha dato la sua· attenzione critica Elena Giannarelli. È stato commentato ovviamente il carme I 2 , 30 attribuito a Grego­ rio di Nazianzo > ma interessante è stata anche l'illustrazione del nuovo materiale papiraceo, da tempo acquisito, ma da poco reso fruibile con la pubblicazione dei Papiri Bodmeriani XXX-XXXVII che sono parte del cosiddetto Codex Visionum. Nel secondo giorno del convegno pisano si è risaliti alle sorgenti della corrente gnomologica antica, alla produzione poetica dell'età · classica, in particolare euripidea, da cui viene gran parte delle sen� tenze poetiche che hanno alimentato le grandi raccolte gnomologiche delle età successive. Glenn Most si è interrogato sul ruolo e la fun� zione delle gnomai in Euripide. Hanno avuto largo cr·edito le tesi in­ terpretative di alcuni studiosi secondo cui Euripide presterebbe ad al� cuni personaggi i suoi convincimenti filosofici (esempi molto noti: Fedra, nei vv. 3 73-90 dell Ippolito confuterebbe rintellettualismo etico di Socrate, Medea, in Medea, vv. 230-358 pronuncerebbe considera� zioni generali sulla condizione della donna); ma le riflessioni senten­ ziose dei personaggi euripidei non possono essere isolate dal conte­ sto poetico e dalle situazioni drammatiche che le generano, se non a prezzo di uno svigorimento dei valori scenico-espressivi. Anche Teognide ha alimentato le grandi raccolte di excerpta sen­ tenziosi, ma la silloge elegiaca, conservata dal Parisinus Suppl. Gr. 388 e da altri manoscritti, che porta in fronte il nome del poeta di Megara, in realtà mostra di essere stata completamente risucchiata dalla tradizione gnomologìca. Dall'esame dei papiri (che rendono molto probabile l'esistenza già nel sec. lVIII della silloge come noi r ab­ biamo) e dei testimoni indiretti che sembrano richiamarsi non a un'u� nica fonte, ma a più canali tradizionali nascono serie obiezioni, come ha argomentato Francesca Maltomini, alla teoria monogenetica che vedeva la silloge teognidea, Stobeo, Orione e gli altri antologisti tutti immessi in un'unica corrente gnomologica. La conoscenza di autori gnomici ellenistici come Carete e Ps.Epi'

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PRESENTAZIONE

carmo si deve, a parte qualche frammento di tradizione indiretta, ai papiri e a papiri di alta età, cronologicamente non molto lontani dal tempo in cui le opere sono state prodotte e diffuse. L'analisi fatta da Paolo Carrara (che curerà la riedizione con commento di questi testi per il Corpus dei papiri filosofici) ha messo in luce contatti con Me­ nandro e la tragedia attica, sçprattutto Euripide. Ma ci si dovrà chie­ dere se� oltre a queste riprese e rielaborazioni di materiale tragico e comico, nei due autori non d siano veri e propri excerpta da altre opere antiche, non escludendo per il secondo excerpta dello stesso Epicarmo. Precise assonanze tematiche rispetto ai Monastici, tracce di criteri ordinatori del materiale· sentenzioso tipici delle gnomologie si rin­ vengono anche nella raccolta di sentenze di Publilio Siro (Carlo ·Mar­ tino Lucarini) e questo rende vani i tentativi di cogliere l'orientamento etico che avrebbe ispirato l'autore. Resta il sospetto che nelle Sen� tenze siano presenti versi di più poeti. VAntologio di Giovanni Stobeo, presente in posizione d'evidenza nell'apparato dei testimonia nelle edizioni critiche di poeti e prosa­ tori dell'età classica, è da tempo nel fuoco dell'attenzione critica di Rosa Maria Piccione che ha ribadito, assodando nell'analisi anche l'Antolognomico di Orione, la necessità di studiare queste opere se­ condo una nuova prospettiva critica, non come mere testimonianze dell'antico, ma come prodotti di un particolare genere letterario, la letteratura 'di raccolta'. Questo comporta un riesame del ruolo auto­ nomo e in certa misura 'creativo' degli antologisti dell'età tardoantica (non va dimenticato Sopatro di Apamea, conosciuto solo dal cod. 161 della Biblioteca di Fozio) che impongono ordine e misura alla gran massa di materiale, proveniente da una molteplicità di rivoli gnonlo­ logici, che hanno davanti. Anche la relazione conclusiva di" Paolo Odorico ha presentato ri­ flessioni sulla 'cultura della o-uA.A.oy-rl' (il cui ambito non va limitato alle raccolte sentenziose, ma è ben più esteso). Il modo di operare dei classicisti che si misurano soprattutto nella ricerca dell'origine di una sentenza rischia di essere unilaterale e del tutto insufficiente, se non si accompagna al tentativo di cogliere la fisionomia complessiva di un sentenziario, il suo contributo nel senso più ampio alla produzione e trasmissione del sapere. I:esempio proposto, che ci ha portato in am­ biti cronologici diversi, è quello dello Strategikon di Cecaumeno messo in rapporto con la Cronaca di Serres di Sinadinos. TI lavoro sui papiri, amava ripetere Vittorio Bartoletti, si può con­ cepire solo sotto il profilo della collaborazione, del O'UIJ.$tA.oA.oyeiv. Aggiungeva che il lavoro sui papiri promuove una collaborazione 'larga' -XV-

PRESENTAZIONE

che abbatte facilmente i confini disciplinari. Il Convegno pisano ha fatto vivere felicemente questa collaborazione 'larga' tra papirologi, filologi classici, paleografi, metricologi, orientalisti, cristianisti, bi­ zantinisti. Antonio Carlini

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PARTE I LE

MARIA SERENA FUNGHI. TIPOLOGIE DELLE RACCOLTE PAPIRACEE DEI MONOSTICI: VECCHIE E NUOVE TESTIMONIANZE Se per un testo come le Menandri Sententiae con una tradizione così fluida ed eterogenea non è certo possibile operare una distin­ zione tra 'frammenti testuali' e 'testimonia' - criterio secondo il quale sono stati strutturati i volumi del Corpus dei Papiri Filosofici per gli Autori noti -1 non sembra però neppure accettabile mettere sullo stesso piano tutti i prodotti provenienti dall'Egitto greco-romano che riportano monastici. Negli ultimi anni questo ambito si è arricchito di nuove, impor­ tanti testimonianze e di recenti studi a carattere generale, ma di in­ dubbia pertinenza. Fra questi; l'analisi di carattere paleografico e con­ tenutistico di Raffaella Cribiore sui prodotti scolastici e sul tipo di cultura di ambito scolastico dell'Egitto greco·romano,2 quella di tipo tematico di Teresa Morgan,3 le significative caratterizzazioni delle ti­ pologie grafiche in stretto legame coi contenuti letterari offerte a più riprese da Guglielmo Cavallo, solo per citare alcuni nomi, hanno con­ tribuito, e non poco, a far riflettere su quanto sia importante inter­ rogare a fondo ogni singolo reperto nella sua duplice veste di 'con­ tenitore e contenuto'. In ogni caso non mi pare si potesse accettare) neppure in passato, il criterio adottato da Jakel:4 quello di premet-

1 Queste pagine sono state pensate in funzione del lavoro preparatorio all'edizione della parte II.2-3 del CPF (recentemente ristrutturata in due sezioni distinte: 2. Aneddoti; 3. Sentenze e gnomologi). Ringrazio l'amica Gabriella Messeri per aver verificato con me le tesi qui discusse. 2 R. CRIBIORE, Writing, Teachers, attd Stude11ts ùt Graeco-Roman Egypt, Atlanta, Schol­ ars Press 1996 («:Ameri�an Studies in Papyrology>>, .36); Gymnastic o/ the Mind. Greek Education in Hellminic and Roman Egypt, Princeton�Oxford, Princeton Univ. Pres� 2001. 3 T. MORGAN, Literate·Education in the Hellenistic and Romati Worlds, Cambridge, Cambridge University Press 1998, eh. 4: Literature #: maxims and morals, pp. 120-145. 4 S. JA.KEL, Memmdri SentetJtiae. Compara#o Men(mdri et Pbilistionis, Lipsiae. Teub­ ner 1964 («Bibliotheca Teubneriana»}.

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tere, senza alcuna distinzione, al testo della tradizione medievale la congerie dei vari prodotti grafici dell'antichità, semplicemente come 'fragmenta nuper reperta', indicando soltanto cursoriamente come pro­ dotti scolastici i papiri I (ma probabilmente II), IV, V, come si legge nella sua introduzione a p. XVIL5 Già al momento dell'edizione critica delle Menandri sententiae era possibile operare una distinzione fra i vari tipi di prodotti grafici che riportano gnomai monostichol al fine di una loro valutazione per la tradizione testuale. Sarebbe stato opportuno distinguere fra prodotti che presentavano una selezione di Monostici che presupponeva una circolazione libraria di raccolte analoghe alle selezioni dei codici, e prodotti estemporanei, prevalentemente ad usum scholae, come anche, per altro verso, fra prodotti che avevano una fisionomia diversa come gli gnomologi tematici.6 Dovrebbero cioè esser classificate, dal punto di vista della critica testuale, come testimoni di raccolte prebizantine di quelle che si definiscono Mev6:vopou rvroJ.L però, si tratta di un prodotto tardo (in gen�re datato al IV sec.> ma a ragione assegnato da Bastianini, in CPP 1.1** 48 lT, ad epoca ancora più tarda, VI sec.) e non dei primi secoli dell'era cristiana. 6 Cfr., in questo volume, l'articolo di C. PERNIGOTTI, Osservazioni sul rapporto fra tra­ dizione gnomologica e «Menandri Sententiae», pp. 187-202. 7 Il titolo presente in Piand V 77 (= Pap_ III J.}, papiro risalente al II/III sec.> testi­ monia 1'antichità dell'attribuzione> anche se certamente il titolo più indicato per l'intera rac­ colta sarebbe quello della t radizione planudea fvrojl(Xt J.I.OVOO''ttXOt èK otact>oprov 1t0tt)'t'OOV Katà Ke$aM:na O"UV'te'tayf.Lévat (relativamente alla prima parte). 8 Con questo non intendo dire che vi fossero nell'antichità raccolte di monostici che presentassero un numero di sentenze equivalente a quello che ora risulta a segui to del­ l'aggregazione prodotta da Jakel nel suo testo, ma che ne presentassero un numero ana� logo a quello che si ritrova nei singoli manoscritti, o magari anche i nferiore, come ha giu­ stamente sottolineato Carlo Pernigotri, sia in questo volume (La tradizione manoscritta delle «MenatJdri Sententiae»: linee generali, pp. 121�137), sia nei suoi studi precedenti (Ap­ punti per una nuova edizione dei Monostici di Menandro, in Papiri filoso/ici. Miscellanea di studi I, Firenze, Olschki 1997 («STCPF», 8), pp. 71-84; Raccolte e varietà redazionali nei papiri dei «Monostici di Menandro», in Papiri filosofici. Miscellanea di studi III, Fi­ renze, Olschki 2000 («STCPF», 10), pp. 171-228}, sulla base di quanto rileviamo dai te­ stimoni papiracei a nostra disposizione.

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di un'edizione critica, dunque, avrebbero dovuto figurare come testi" moni antichi solo Piand V 77 ( PGissLit 3.4), OPetrie 405 e 449, OMonEpiph 615 e PVat(Sarti), ovvero il testimone allora noto di quella c:he poi sarà la redazione greco-copta. Tutti gli altri prodotti sono soltanto 'testimoni della circolazione di monosticf, senza per questo perdere, naturalmente, il loro valore di testimoni e il loro in­ teresse come prodotti in sé: penso ad es. agli acrostici alfabetici con una sentenza per lettera, un genere a sé, che per la sua utilità didat­ tica ebbe una immensa e duratura fortuna.9 Questa distinzione si rende ancor più necessaria dal momento che, dopo l'edizione di Jakel, si sono aggiunti altri testimoni importanti della diffusione di tipo librario delle raccolte di gnomai monostichoi: oltre a PinnsbrCopt 7, l'altra parte di codice che si unisce a PVat(Sarti), e a PLond VIII f. la+3b (i quali hanno dato luogo alla dedizione complessiva dei testimoni greco/copti ad opera di Hagedorn e We­ her1 0 e hanno reso possibile parlare di una recensione), POxy 3 006 e PMìlVogliano 1241v. Si aggiunge ora anche un gruppo di ostraca ine­ diti del Petrie Museum di Londra, a cui accenneremo in seguito. Proprio in vista della dedizione di questi testi nel Corpus dei Pa­ piri Filosofie� e riprendendo gli studi di Carlo Pernigotti che hanno già delineato criteri ecdotici e percorsi di indagine� si rende necessa­ ria un'analisi più mirata dei reperti che riportano gnomai monostichoi per tentare di ricondurli nel loro ambito originario e vedere se pos" sano indicard la destinazione e il tipo di diffusione, ovvero se si tratta di esemplari destinati al commercio librario, di copie private, di co­ pie approntate per l'insegnamento. Quanto segue non è certo un'a" nalisi esaustiva sulr argomento, né pretende di dare risposte definitive alle problematiche di vario tipo offerte dai testi, numerosi, che com­ pariranno nel CPP; si è voluto illustrare qualche esemplare utile per mettere a fuoco le varie tipologie che i prodotti antichi ci offrono, avanzando o riformulando in qualche caso alcune ipotesi. =

Che le gnomai monostichoi siano state ampiamente utilizzate nel­ l'ambito scolastico è un fatto che ci era già noto dalle testimonianze letterarie 11 e che si è via via arricchito nella documentazione in se­ guito ai reperti greco·egizi. Recentemente, i già citati studi della Mor"

9 Per gli acrostici alfabetici cristiani si veda, in questo volume, l'articolo di Elena Giannarelli, pp. 263-282, con la bibliografia da lei citata. 10 D. HAGEDORN - M. \'V'EBER, Die griechsch-koptische i Rezension der Menandersen­ tettzen, «ZPE», III, 1968, pp. 15-50. 11 Si veda CRIBIORE, Writing, dt., pp. 44-45.

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gan e della Cribiore hanno contribuito a far luce sull'ambiente in cui circolavano le gnomai: la prima inquadrando contenutisticamente le gnomai, soprattutto quelle menandree, in relazione all'ambiente sco­ lastico, mettendo in rilievo come poco fossero cambiati ì temi durante i secoli, e soprattutto come le stesse gnomai circolassero sia nei vil­ laggi greco-egizi dell'età ellenistico-romana sia nei monasteri cristiani del V-VI sec. mantenendo la loro valenza educativa (anche se l'ottica interpretativa variava ovviamente secondo l'ambiente culturale}; la se­ conda, analizzando secondo precisi criteri grafici tutti i testi di am­ bito scolastico, 12 distinguendo con maggiore precisione rispetto al pas­ sato tra i prodotti con caratteristiche di chiara appartenenza a tale ambito: ostraca e tavolette in cui si riconosce una scrittura ancora in fase di apprendimento, oppure in cui si può vedere la contempora­ nea copia del maestro e dello scolaro, oppure ancora lo scritto in cui si riconosce la mano dello studente avanzato negli studi o del mae­ stro stesso. Su questa linea, tentiamo qualche ulteriore precisazione in merito a prodotti che testimoniano l'utilizzo di monastici, o di testi che hanno costituito la fonte di alcuni di essi, che sono appunto l'oggetto del nostro esame. In numerosi casi troviamo nello stesso supporto scrittorio il testo che serviva da modello, vergato dal maestro, e quello che lo scolaro· cercava di riprodurre, come ad es. in PLitLond 253/3 una tavoletta

t2 CruBIORE, Writing, cit.� si veda anche l'utile aggiunta, con l'elenco di tutti gli au­ tori e i passi citati nei vari esercizi offerta dalla stessa Cribiore in Literary School Exer­ cises, «ZPE», CXVI, 19971 pp. 53-60. 13 BrLibr Add Ms 34186(1) = Pap. XI J. = Cribiore 383. Ed. pr.: D.C. HEsSELING, On Waxen Tablets with Fables o/ Babrius, «JHS», XIII, 1893, p. 296� Pack2 2713; CGPF, p .3.35, nr .3.30 (ulteriore bibliografia in Cribiore); successivamente l'altra tavoletta dello stesso dittico, contenente sillabazioni di parole e tavole di moltiplicazione, è stata edita da \YJ. BRASHEAR, «ZPE», LXXXVI, 1991, pp. 2.31-232. La tavola riporta il Mon. 705: uo­ cpou nap' avopòc; npoaoéxou ndcn 1tLO'tEUEtv étei, tenendo presente la lezione di F cpiÀotç al posto di àei, ovvero: Jl'Ìl naatv ei'K:fl.1otç 4>0 ..otç 1ttO'tEUE't'at (lege 7ttO'TEUE'tE), scritto dal maestro in una grafia tesa a ri­ spettare il bilinearismo ad eccezione che per � e solo nell'ultima parola per t. Lo scolaro deve ripetere i due versi due volte all'interno del rigo delineato dal rigo di base superiore e inferiore; ma le ripartizioni delle rigature non sono omogenee: uguali le prime due, più ridotta la terza> angusta la quarta: evidentemente il maestro desiderava che lo scolaro si esercitasse con moduli di scrittura diversi (cosl anche CRIBIORE, Writing, cit., p. 105). Questa tavoletta è stata oggetto di numerose menzioni, partendo soprattutto dall'inter­ pretazione di E.G. TURNER, «BlCS», XIII, 1966, pp. 67-69, della testimonianza di Plat. Prot. 326d, per la quale lo studioso porta appunto a sostegno questa tavoletta, e dalla quale emerge che i maestri tracciavano le righe di scrittura che gli scolari erano poi costretti a seguire distribuendo le lettere come all'interno di binari (cfr. anche Quint. I 1> 27). .

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del II sec., e dunque è immediatamente percepibìle il tipo di desti" nazione e di uso dd testo; ma, in altre circostanze, ad es. nel caso di ostraca gemelli, che riportano cioè lo stesso testo, come quelli Milne 3 A e 3B,14 o quelli del Mons Claudianus 184-187,15 anch'essi del II secolo, può essere più difficile pronunciarsi. Nel caso degli ostraca Milne si può effettivamente pensare ad un esercizio di copiatura in cui troviamo un testo con errori fonetici, salto da simile a simile', errori diversi in · entrambi gli elaborati. In 3A sono conservati 15 righi di testo contenenti trimetri giambici sul tema della misoginia, versi riecheggiati anche in vari Monastici (342, 860, 823 ) , non divisi stichicamente, in 3 B sono conservati 10 righi di scrittura c

Si vedano, sempre in questo senso, gli studi.di F.D. HARVEY� I Greci e i Romani impa· rano a scrit,ere, in Arte e comunicazione nel mmulo antico (a cura di E.A. HAVELOCK - ].P. HERSHBELL), trad. it., Bari, Laterza 1981 («l!L» .590), pp. 89- 1 1 1 e M. ERLER, «Hermes», CXI, 198.3, pp. 221-226. Questa tavoletta si dimostra interessante anche per il tipo di er­ rori presenti; da una parte l'errore dello studente, che omette la prima lettera del primo monastico, ovvero invece di co$ou scrive tutte e due le volte o$ou, errore che è chiara­ mente dovuto ad un principiante (anche se la scrittura non è fra le più stentate), che non capiva quello che scriveva, ed era ancora al secondo livello, cioè quello di sillabare le pa­ role, e infatti è lo stesso tipo di errore che ritroviamo nell'esercizio della tav. 2 (cfr. W. BRASHEAR, «ZPE», LXXXVI, 1991, 232; un errore simile anche in PPetaus 121, cfr. ol­ tre, nota 2 1 ); dall'altra, il tipo di errore fonetico commesso dal maestro (grafia itacistica di 1tt pp. 172174 (Tavv. XXXII e XXXIII).

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con lo stesso testo di A, ed anche in questo caso il testo non viene diviso stichicamente. 16 Il tipo di errori condivisi da entrambi i testi, i modi in cui sono state effettuate le correzioni, la presenza di errori propri avevano in­ dotto all'ipotesi che due scolari stessero copiando contemporanea­ mente lo stesso testo, dal momento che non pareva possibile pensare né ad un modello del maestro ed alla relativa copia, visto che la scrit­ tura è quella di uno studente in fase di apprendimento, né alla riela­ borazione da parte della stessa persona di una bella copia, visti gli er­ rori peculiari: ma la somiglianza impressionante della scrittura non può considerarsi solo una conseguenza dell'insegnamento calligrafico. Visto il tratteggio particolare di alcune lettere e l'impostazione gene­ rale della scrittura, è molto più semplice pensare che si tratti di un esercizio del medesimo studente17 che copia, forse più volte, lo stesso testo cercando di migliorare la scrittura e di correggere gli errori, ma allo stesso tempo, poiché forse non comprendeva completamente il testo che scriveva, introducendone di nuovi. Penso che un'analisi de­ gli errori non smentisca l'evidenza fornita dall'identità di mano . 18 Quello che induce a ritenere che si tratti di un'esercitazione di am16 ll testo tratta del mito della creazione dei viventi da parte di Prometeo: un argo­ mento che aveva fortuna nella scuola, come dimostrano varie attestazioni (cfr. PCairo inv. 56226 = Cribiore 184 e PLugdBat XXV 16 = Cribiore 305 e l'introduzione a PLugdBat XXV 16). Si tratta di versi della commedia che Frankd attribuiva a Filemone, notando paralleli con Euripide e Menandro. D testo pare formato dalla giustapposizione di due estratti. In particolare, per quanto riguarda il primo, che si dispone sui primi due righi, offrendo un testo non completo, sembra riecheggiato il fr. 93 K.-A. di Filemone per quanto riguarda Prometeo e i 011pia (cito i primi tre versi del fr. che sono testimoniati anche in PStrasb G 306: -ci noa' ò np01J.fl9euc;, ov AÉ'YO'UG1 iu.uxs rtì..étoa t l 1CctÌ tàì..ì..a JtétV'tct ç�a, totc; ).l.èV 9'1'\piotc; l eoc:ox' €1CclO''tq> K>, come dice Cavallo caratte dzzando alcuni prodotti di letteratura di consumo,32 descrizione che, nel caso di PSchubart, si attaglia in modo più evidente, trattandosi di un testo scritto sul vetso, mentre, nel caso di POxy 2661, ne determinano la pertinenza sia il modo 'personale' di estrazione delle massime sia la scrittura.33 Sempre nell'ambito della copia d'uso si colloca un rappresentante che, invece, rispecchia la tipologia 'canonica' delle raccolte di gnomai monostichoi e che quindi può essere considerato testimone della cir­ colazione libraria di una di queste sillogi: si tratta di PMilVogliano 124lv, da me edito diversi anni fa,34 che riporta 22 monastici in a. Ancora in questa categoria, a causa del tipo di manufatto scrittorio, sono da collocare sia la tavola calcarea ritrovata nella cella di un mo­ naco del Monastero di Epifanie a Tebe,35 sia gli ostraca Petrie 405 e 449 di cui parlerò in seguito. Unico testimone diretto di un libro contenente una raccolta di Me­ nandri Sententiae pare dunque POxy 3006. La scrittura è fluida, e ac­ coglie l'influenza della cancelleresca nelle lettere iniziali di rigo in­ grandite, che consentono anche una più agevole individuazione del monastico, sebbene qui la disposizione alfabetica sia già stichica.36 Im-

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G. CAVALLO, Veicoli materiali della letteratura di consumo. Maniere di scrivere e ma­ niere di leggere, in La letteratura di consumo nel mondo greco-latino (a cura di. O. PECERE, A. STRAMAGLIA), Cassino, Università di Cassino 1996, pp. 1 1-46: 36 . .H Per quanto riguarda l'aspetto paleografko, si potrà vedere la riproduzione di POxy 2661 in POxy XXXIII, tav. V. Per quanto riguarda PSchubart, si tenga presente che con­ trariamente a quanto viene registrato in LDAB nr. 2448, non si tratta assolutamente dello stesso papiro di LDAB 2446 (= PVìndob 19999 A+B, riprodotto in MPER III). H M.S. FuNGHI, PMilVogliano inv. 1241tJ.: yvcJp.at p.ovou-ctzot, in Miscellanea Papy­ rologica, in occasione del bicentenario dell'edizione della Charta Borgia1ta, a cura di M. CA­ PASSO, G. MESSERI SAVORELLI, R. PINTAUDI, Firenze, Gonnelli 1990 («Papyrologica Fio­ rentina», XIX), l, pp. 181-188. PMilVogliano offre una serie non completamente aderente alla tradizione medievale: su 22 monostid, solo 10 compaiono fra le sentenze menandree tramandate; 2 rientrano nel corpo dei paremiografi; altri sono ricostruibili presupponendo varianti, inversioni di parole o adattamenti, spesso solo in via ipotetica, data la lacunosità del testo. }� OMonEpiph II 615: per il ritrovamento nella Cella A del monaco Mosè che aveva scritto numerosi testi sia greci sia copti, cfr. W.E. CRUM - H.G. EVELYN WHITE, The Mon­ astery of Epiphanius at Thebes, New York, The Metropolitan Museum of Art Egyptian Ex­ pedition 1926, I, p. 42; per la sua funzione di scriba, si veda la lettera copta PMonEpiph 386. Per un'analisi dei testi si veda CRIBIORE, Gymnastic, cit., p. 24. }6 Cfr. The Oxyrhynchus Papyri, vol. XLII (1974), tav. IV, edito da P. Parsons. Si ve­ dano anche le considerazioni su questo papiro espresse in questo stesso volume da M. ]a­ goda Luzzatto, pp. 42-43. -

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. pressionanti in questo papiro dell'inizio del III secolo sia la conver­ genza con le gnomai tradite nei codici medievali (22 su 26) sia l' am­ pia selezione attestata, in quanto provengono tutte dalla sezione in a. A stretto confronto con PMilVogliano, testimone coevo o di poco pre­ cedente, in cui si notava una maggiore attestazione di gnomai non pre­ senti nella tradizione medievale, pare di rilievo anche l'accordo mag.. giore che si rileva in questo papiro con la classe prima: 9 Monastici :esclusivi di questa dasse/7 accordo che non pare verificarsi in altri papiri se non, in parte, per le sentenze della recensione greco-copta con la classe seconda. Per ultimo tratterò di Piand V 7 7 ( PGissLit 3 .4),l8 il testimone forse più. interessante, perché conserva anche il titolo della raccolta, inspiegabilmente trascurato da Jakel nella sua edizione. Ma il suo in­ teresse risiede anche nell'anomala tipologia che testimonia: la scrit­ tura formalmente accurata, la selezione testuale, 10 Monastici in ro, che trovano riscontro, anche nella successione, con la traduzione slava, e il titolo finale ne avrebbero fatto un indubbio frammento di libro, ma la nota apposta da una seconda mano sotto il titolo, tS:[e] X, X, \!', n forse H, T, con una netta preponderanza della lettera O. Al gruppo, nel quale rientra

conto, sia rispetto al 'contenuto': testi di poco pregio; ma non bisogna mai trascurare la compresenza di altri fattori: archivi di ambito privato, che conservano un numero cospi­ cuo di esemplari, mostrano testi che forse si intendeva destinare anche ad una certa du­ rata nel tempo (cfr. ad es. l'archivio di BGU VII 1500-1562, Philadelphia III a.C.; un caso particolare, l'archivio catalogato degli ostraca demotici di Narmuthis: si vedano le ipotesi di GALLO , ODN II, cit., pp. XLI-LIII) ; per le considerazioni sull'uso scolastico basti ri­ mandare alle osservazioni di CRIBIORE, Gymnastic, cit., pp. 147-153. Si tenga poi presente che alcuni prodotti, specie dì età tolemaica, si presentano di buon livello grafico (OBerol inv. 12310, 12311, 12318, 12319 = Cribiore 23.3-236, e 12309, dallo stesso ritrovamento degli ostraca sopra citati di BGU VII: si veda anche l'articolo di G. BASTIANINI, Testi gno­ mici di ambito scolastico, in questo volume, pp. 167-175) ed indicano, per il contenuto, un'attività di raccolta di testi per uso personale, non soltanto ad usum scholae. In un caso come questo, ad es., forse dovremo pensare che proprio il tipo di testi selezionati dallo scriba, e l'influenza dell'usus scrittorio scolastico, abbiano indotto alla scelta del mate· riale. Altro fattore certamente determinante è stato la scarsità di papiro ma, relativamente aWEgitto, riguarda soprattutto l'Alto Egitto, e in particolar modo in epoca tarda (non mancano testimonianze in questo senso; le scuse che vengono rivolte in apenura di let­ tera per il fatto di inviare un ostracon al corrispondente, adducendo proprio questo mo­ tivo, costituiscono quasi un topos epistolare in molte lettere copte del Monastero di Epi· fanio: vd. W.E. CRUM, The Monasfery of Epiphanitts at Thebes, cit. (a nota 35), I, pp. 188-190; cfr. anche CRUM, CO, nr. 97, p. 49). 4' Un Catalogo degli Ostraca Greci di tale collezione verrà realizzato a cura di M.S. Funghi, G. Messeri Savorelli, R. Pintaudi, C.E. Romer, per la serie . Bisogna ora dire, a questo propo­ sito, che 1' esatta determinazione dello spazio a disposizione risulta problematica, vista la presenza di vari fattori, quali la discontinuità dell'area di scrittura dovuta al tipo di materiale utilizzato, l'ampiezza della lacuna, il tipo di scrittura, chç fa riscontrare oscillazioni nella realizzazione delle lettere, e la difficoltà di ricostruire l'ampiezza dei righi precedenti, dove il testo a disposizione non permette di ricono­ scere sentenze note,21 anche se elementi di riferimento sono dati dalla presenza di testo sul verso e dalla necessità di avere un numero di sil­ labe sufficiente per la ricostruzione di un trimetro giambico. In que­ sta situazione un testo delrestensione di quello ipotizzato da Spinelli non può dunque dirsi troppo lungo. Suscita semmai perplessità il fatto che un trimetro come eeòv �-tèv i)you 1tprotov, oeùtepov -cux11v sia me­ tricamente difettoso, con una lunga a realizzare il settimo elemento: anche se casi del genere (la cui interpretazione è discussa: spondei in sede pari o casi di falsa quantità consistente nella scansione breve di sillaba chiusa con vocale breve) non sono assenti nella poesia tarda, anche colta,22 mi sembra poco prudente introdurne uno per conget­ tura.

2° Cfr. SPINELLI, Sentenzer cit., p. 54. 21 Per ulteriori considerazioni riguardo alle caratteristiche di carattere papirologico ri­ mando alla nuova edizione, citata a nota 16. 22 Si vedano, ad esempio, i casi segnalati per Gregorio di Nazianzo da jUNGCK, De i /e, cit., p. 20; CRIMI, Sulla Virtù, vita sua, cit., p. 35 sg. e nota 15; MEIER, Ober die Bschò cit., p. 106; e, d'altra parte GDK XLII (Dioscoro di Afroditopoli, del VI sec.), 9, 12 ( 10, 12 Fournet). Per un caso del genere nei papiri dei Monostid si veda PCopt (per cui vd. oltre, nota 26), 67-68, dove si trova yaJLetv o cn;euòov etc JJ.e-ravotav epxn. da inten� dere YCXJ!etv 6 cmeuòrov eiç J1€tavouxv epxetat, a fronte del testo di Mon. 147 come ri­ portato dalla tradizione medioevale (AKW).. r) Y«JJ.e'iv 6 JLéÀA.ç yovetç BVP (Seòv np6}tov 'tiJta 1eaì 3ev�epov 1:o\>ç yovel.ç K) : Seòy npo·d.J.ta. 3evtepov 3è to\> ç Jtaté­ pa Edizioni delt Orso 1996, p. 56 sg. (nr. 153). 6 2 Con questa sigla intendo il più esteso dei due testimoni che permettono di rico­ struire la recensione greco-copta dei monostid, edita da D. HAGEDORN - M. WEBER, Die griechisch-koptische Rezension der Menandersentenzen, «ZPE>->, III, 1968, pp. 15-50: PVat(Sarti) + PinnsbrCopt 7, databile al VII sec. (l'altro è PLond VIII foLla + 3b, per il quale Hagedorn Weber, Menandersentenze1t> cit., p. 47, pensano ad una datazione pre­ cedente, VI o anche V sec.). Il testo greco di PVat(Sarti) era stampato da Jakel come Pap. XIV. Per ulteriore bibliografia su questi documenti dr. PERNIGOTTI, Raccolte, cit., p. 176 nota 15. 27 Cfr. HAGEDORN - \VEBER, Memmdersentetzzen, cit., p. 41 sg.; manca in questo caso la traduzione copta. •



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In un filone di questo genere, potrebbe allora essere proponibile una ricostruzione del tipo: aeòv J,tèv i}you 1tprotov et1:a 1:oùc; yovel.c;, che tuttavia si discosterebbe maggiormente dal possibile modello eu­ ripideo. 2. Come testo del Mon. 455 (tramandato da KPV) Jakel scrive: ÀcXAEt tà J,tétpta J.ti1 ÀcXÀet stampato da Meineke come Mon . .328 e segnalato da Kock28 come problematico: ha infatti un inopportuno iato. Alla testimonianza dei codici si aggiunge quella di diversi testimoni più antichi, che ha dato modo di riprendere la discussione. La tavola dd Monastero di Epifania (rr. 19-20) ha: ÀaÀet ta JJ? [ con un inizio quindi uguale a quello di K e P. Il suo editore ricostruiva il testo come ÀaAel { tò:} J.Létpta lCClt Jli1 ÀUAet a Jlft Ge Oet (dunque espungendo il tci, e ponendo lo iato), ed era in questo se­ guito da Eanowski;29 Jakel invece scrive il testo da lui accettato per il Mon. 455. Discutendo le scelte di Jakel, GrillP0 suggeriva, per la tabula Epipha­ nia e per il Mon. 455, di conservare A.ciA.et 'tà �té'tpta K.�, LXVI, fase. 1.31-1.32, 1991, pp. 221-225; J.L. FOURNET - M. PEZIN, Une inscrption i sur albatre à Périgueux, «ZPE», XCI, 1992, pp. 103106. Si tratta di un frammento di alabastro in cui compare il testo del Mon. 455, vergato come modello da un maestro di scuola, a cui fa seguito, secondo un uso ben testimoniato 29

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ESTRAZIONE E RIELABORAZIONE DEI MONOSTICI

Nachtergael stampa:

A.aA.et 'tÒ: J,té'tpa Ktlo1t6vet, inquadrata in una cornice. Sulla data­ :done del documento non c'è accordo tra gli studiosi: Nachtergael (cfr. Sentence, cit., p. 221 e nota .3) lo pone al IV sec. d.C. (nel catalogo dell'esposizione in cui era stato pre­ sentato per la prima volta - cfr. L'Égypte en Périgord. Dans les pas de Jean Clédat. Cata­ logue raisonné de l'exposition. Musée du Périgord, 16 mai-15 septembre 1991, Paris-Lou­ vain 1991, p. 93, nr. 116 - si parlava di «époque copte»); R. Cribiore, nel cui catalogo (cfr. Writing, cit . • p . 224) la tavola compare come nr. 220, ritiene più probabile una da­ tazione più tarda; Fournet - Pezin (cfr. Inscription, cit., p. 10.3) hanno proposto invece una datazione al II o al III secolo. La scrittura presenta in effetti delle caratteristiche di controversa interpretazione. 32 L'accento è, come altre volte nello stesso papiro (cfr. HAGEDORN - WEBER, Me­ nandersentem.en, cit., p. 25), collocato in maniera erronea. }l La traduzione copta, secondo quanto riportano HAGEDORN WEBER, Menander­ sentewun, cit., p. 44, suona: «denn massvoll zu sprechen ist, was sich fur dich ziemt»; a proposito del testo greco i due studiosi notano: «die von uns angenommene Fassung des Pap. ist banal, doch kommt eine andere Rekonstruktion kaum in Frage». )4 Cfr. SPINELLI, Sentenze, cit., p. 55 sg. >� Ad esempio con un finale tà lltl 1wlci, per cui cfr. �ur. Hipp. 466, Hec. 1250, Or. 492, fr. 1 128a, l N.2, in finale di trimetro. }6 Cfr. SPINELLI, Sentenze, cit., p. 56. -

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MARIA CHIARA MARTINELLI

KaÌ J.llt AOAEt O llil O'E ÒEl, espungendo il 't, in quanto - a meno di pensare, come si è detto, ad un diverso assetto testuale - privo di senso («non potendo essere inteso come prima lettera di un impro­ ponibile 'tcl, né come 'te enclitico, sottoposto ad elisione di fronte al relativo a»). La testimonianza dell'ostracon Petrie è stata ritenuta da Fournet e Pezin particolarmente interessante per la storia di questa sentenza. Secondo i due studiosP7 la presenza nell'ostracon (vero elemento di novità) del 't (a proposito del quale essi ribadiscono rimpossibilità di essere interpretato come -te eliso o come prima lettera di un -tci), po­ trebbe essere intesa come forma alterata di un o', possibile spia, a sua volta, di un tentativo di ritrovare una coordinazione metricamente ap­ propriata per il verso. Allora OPetrie 449 (che vede anche la presenza di Kcd.) potrebbe essere un testimone ibrido di due stati del testo 've­ nuti a collusione': Aa�et 'tÙ Jlé'tpta KaÌ Jl1Ì ÀOÀ.Et a Jlft O'e OEÌ (testo già corrotto in epoca antica e così giunto alla tradizione medioevale) e 1ciA.et 'trt J.Lé-tpta, JllÌ A.aA.et ò' a !J:ft O'e Òe'ì.

Io credo che dall'esame del materiale elencato si possano fare ora le seguenti considerazioni: - la parte iniziale, con articolo, ÀclÀEt -tà !lé-tpta38 è l'unica effet­ tivamente attestata nella tradizione papiracea (in PCopt, anche am­ mettendo nella lacuna iniziale un testo quale 1 ma prosodicamente sciatto, visto lo iato di cui si è detto. Uno iato che forse nel testo offerto da OPetrie si è cercato di sanare so­ stituendo a con un dimostrativo 't'a usato come pronome relativo, ri­ prendendo forse, sia pure con una costruzione sintattica diversa, il te­ sto dell'inizio del verso. Che il 'ta fosse proprio di un originario testo da cui quello con a si sarebbe corrotto sembra poco verosimile: com'è noto l'uso, omerico, del dimostrativo per il relativo è attestato nella tragedia,39 dalla quale un testo come il nostro, sia per la presenza del verbo A.aA.e'i v, sia per la costruzione duramente asindetica, mi sembra difficile che derivi. Anche se il testo di cui ho appeno detto, Àc:iA.et 'tà JlÉ'tpta, J.11Ì A.c:i­ A.et a JlTt cre oe'i, potrebbe derivare dalla corruzione di un A.ciA.et 'tà J.1É-rp1a, JlTt A.aA.et ò' a J.L'li cre Se'i, con caduta della particella connet­ tiva, la storia particolare di queste sentenze e il confronto con alcuni altri Monastici mi induce a formulare un'altra possibilità. I Monastici in questione, variazioni dello stesso tema, presentano il finale ìì Àa­ A.e:iv 0: f.l'Ìl npÉ1tet. Si tratta: di Mon. 7 1 0 cnyà v &J.!etvov 11 A.aA.eiv a f!Tt 1t pénet; di una sentenza che Jakel presenta in apparato come va­ riante di x del Mon. 306, tioù atro1tav i\ A.ctì..ei.v a J.11Ì 1tpé1tet;40 della sentenza che lo stesso editore presenta come variante di r del Mon. 409, KpE:t't'tOV O'tro1téiV tl Àpovei6 {ntèp 9eouç, e inoltre Mon. 498 (KU), derivato da Eur. Tro. 5 1 0 (!J,rtòéva VOf.l.içet , eù­ -cuxeìv 1tpÌv dv eavlJ), nella versione, difettosa anche dal punto di vi­ sta metrico, di K (�rtòéva v6�t�e e'Ù-tuxe'iv rcpìv 9, Peek), 2 e 6; GDK XLII (Dioscoro di Afroditopoli), 5, 56; 9, 10, 20; 10, 5 (= 18, 18; 10, 10, 20; 12, 5 Fournet) . Lo ia:to, inoltre, non è estraneo in epoca tarda alle composizioni di poeti dotti quali, ad esempio, Gregorio di Nazianzo: per gli iati nelle sue composizioni giambiche cfr. }UNGCK, De vita sua, cit., p. 37 sg.; MEIER, Ober die Biscbo/e, cit., p. 22; CRIMI, Sulla virtù, cit., p. 103. 44 Cfr. FOURNET - PEZIN, Inscription , cit., p. 105 nota 9. 45 La sentenza compare anche in OPetrie 449v, rr. 13-14, dove nel nuovo frammento si legge una forma del verbo VOIJ.tçro, la cui parte finale si trova però in lacuna.

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ESTRAZIONE E RIELABORAZIONE DEI MONOSTICI

camente difettosa, di un testo drammatico, e precisamente del cele­ bre verso che sappiamo essere dal Dis Exapaton menandreo: fr. 4 Sand­ bach ov oi 8eoì q>tA.oucrtv àn:o6v1j0'1cet véo ç;46 Mon. 179 (x. Vat r) nel testo di l Vat, oilnnoç icr6t tV non guardare solo a ciò che è umano ma à­ eava'til;etv. L'etica laica e molto quotidiana espressa dalle paraineseis di Esopo al figlio non piacque neanche ad un bizantino come Mas­ simo Planude,44 che sullo scorcio del XIII secolo confezionò una for-

'9 Si veda l'ottima riproduzione fotografica del papiro nello stesso volume (Tav. IV). 40 I codd. di ambedue i rami, eccetto R, hanno ridotto in prosa il trimetro originario: éiv0p(l)noç rov ètv9prontva $p6vEt.. Ma si noti, àv9prom.va (come in Arist. EN, vd. in/ra), non tav9pro7ttva come nei codici delle Menandri Sententiae. Utile in proposito l a nota di A. KòRTE, Zu Terem: Haut. 77, «Hermes», LXXVII, 1942, p. 102. 4 1 Cfr. M.S. FUNGHI - M.C. MARTINELLI, In margine a P. Oxy. 3004 e .3005, pov€tV àv9pcò1ttva è dispiaciuto al monaco: di ciò si può avere una conferma immediata osservando che anche nella sua raccolta autografa di Gnomai Mono­ stichoi nel codice Marciano greco 4 8 1 , capostipite della classe r delle Menandri Sententiae>49 il verso, che già Aristotele rifiutava) non è pre­ sente: una riprova, ancora una volta, che molti di questi microtesti erano letti dagli antichi, ma anche dai bizantini, con grande atten­ zione ai significati etico-culturali e anche filosofici da essi palesati. Dietro alla secolare tradizione manoscritta di queste brevi gnomai c'è una profonda e prolungata stratificazione di interessi culturali, e la presenza o l'assenza di una o più gnomai a parità di silloge non è

nità planudea (nel senso che la Vita è stata composta da Planude) è comunque testimo­ niata dalruso, nella titolatura della maggior parte dei codici, del verbo csuyypa�etv (e.g. cod. Vat. gr. 949, f. 1: Bio� Aicsronou ... O"U"('Ypa$eìç napà 1oi> cro$mtcitou Kal A.oytro'tci­ tou Kupoi> Ma;iJ.Lou 1ou I1A.avouo11). 4� Indicata dagli studiosi anche come ree. Accursiana perchè fu Bonus Accursius il cu­ ratore della sua prima edizione a stampa (Milano, 1479): seguirono le edizioni di A. Ma­ nutius (Venezia, 1505) e del Frobenius a Basilea, nel 1518. 46 Sembra non gli fosse nota la ree. G. Com e dimostra l'unico foglio sopravvissuto di una. bella edizione in Perlschrift del sec. XI (Thessal. Bìbl. Univ. 86, sigla Th, vd. nota .3, supra) solo la ree. W aveva una tradizione consolidata nelle biblioteche costantinopo­ litane. Per la ree. G abbiamo� nel cod. G della Pierpont Morgan Library (vd. nota 3 , su­ pra}, solo una copia eccentrica nella quale la Vita Aesopi è preceduta, non a caso, da una parziale traduzione greca del famoso Kalila wa Dimna arabo: cfr. G. CAVALLO, La cul­ tura italo-gt·eca nella produzione libraria, in I Bizantini ùz Italia, Milano, Scheiwiller 1982, p. 538. 47 L'Etica Nicomachea era notissima ed assai studiata nella prima età paleologa, cfr. C.N. CONSTANTINIDES, Higher Education in Byzantium in the XIIIth and Early XIVth Ce1z· turies (1204-ca.1310), Nicosia, Zavallis Press 1982, pp. .36, 125, 146 (Planude ad es. ne cita due passi nelle sue Epistole). 48 Vd. supra. Cfr. V. Aes. Pian. p. 290, 8 Eberh. dove si dice che il figlio, colpito nd­ l'anima ('lf'lxilv) «come da una freccia», dopo non molti giorni «abbandonò la vita» (-còv �tov J.Le'nlA.A.a�ev). 49 Cfr. la Praefatio di S. Jakel, ed. cit., p. x. Sul famoso autografo planudeo, da lui sottoscritto nel 1299, si veda la dettagliata descrizione con bibliografia in: A. TURYN, Dat­

ed Greek Manuscrpts i o/ tbe Thirteenth and Fourteenth Centuries in the Libraries o/ ltaly, Urbana-Chicago-London, Univ. of Illin. Press 1972, pp. 90-96.

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SENTENZE DI MENANDRO E «VITA AESOPI»

quasi mai solo un fatto meccanico ma coinvolge gli usi, i costumi e le credenze etico-religiose di una data epoca, di precise aree geogra­ fiche, di precisi livelli sociali. A noi, come spesso succede, sono ri­ maste le magre ossa di una vita che è stata intensissima. Perciò mi sembra riduttivo quanto osservava B.E. Perry a proposito dell'omis­ sione dei Monostici dalla Vita di Esopo composta da Planude: «the sayings of Menander were so popolar in Byzantine times that it would not be very difficult, for a man so well educated [. . . ) to recognize them [ . . . ] and to leave them out».50 Planude H ha eliminati per i loro contenuti e non per la loro forma o per supposte ragioni filologiche. Ma torniamo molti secoli indietro. Le Menandri Sententiae all'ini­ zio dei Praecepta Aesopi nella ree. W sono totalmente assenti nella ree. G, anche nel prezioso testimone del III secolo d.C., il POxy 3720. Spero di non sbagliare se ritengo che, dato il peso ideologico confe­ rito a questi microtesti filosofici in trimetri giambici da Aristotele in poi, è rischioso seguire l'opinione vulgata secondo la quale i Mona­ stici che compaiono in testa ai Praecepta nella ree. W sono frutto di una banale interpolazione tarda, magari bizantina.'1 Alla luce di quanto abbiamo visto finora potrebbe essere vero il contrario. Con la con­ cezione su indicata degli Insegnamenti di un sophos visti come fru­ state che colpiscono l'uditore (una concezione .Presente in ambedue le recensioni e quindi riferibile al redattore originario) appare in per­ fetta congruità la teoria didattica di antichi caposcuola dello stoici­ smo come Cleante. Secondo quanto a(ferma Seneca nella famosa epi­ stola 108,52 Cleante sosteneva che i praecepta o paraineseis entrano più a fondo nell'animo di coloro che non sanno (in animu.m imperitorum) se è un cptA.6cro(jloç a pronunciarli e se versus inseruntut: proprio come succede nella ree. W. L'Esopo delle paraineseis al figlio reprobo era considerato uno dei grandi sophoi della Grecia antica e proprio per5° Cfr. B.E. PERRY, The Text Tradition o/ the Greek Li/e o/ Aesop, «TAPhA», LXIV, 19.33, pp. 241-242. 51 Di «interpolations from Menander» parla a più riprese il Perry, cfr. The Text Tra­ dition, cit., pp. 225 nota 36, 2.31, 239, 240. M.W. Haslam, nel commento a POxy 3720, p. 152, afferma che «W has been invaded by gnomic monostichoi>>. Della stessa opinione anche G.A. Karla, op. dt. (nota 3 , supra), 63 e nota 76 secondo la quale la presenza delle Menandri Sententiae in ambedue i rami della ree. W (MORN e BPThSA) «als Ergebnis

einer Kontamination zu betrachten ist» . .52 Ep. ad Luc. 108, 9. Cfr. K. HOLSER, Die Frt-zgmente zur Dialektz'k der Stoiker, Bd. 2, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog 1987, /r. 610. Che Cleante amasse confe­ zionare gnomai in trimetri giambici e citare e modificare trimetri famosi è dimostrato da molti frammenti raccolti da von Arnim: cfr. e.g. SVF I 560, 562 (da Eur. El. 428), 570,

573, 583, 586, 607.

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MARIA JAGODA LUZZATTO

ciò ha potuto rivestire i panni del sapiente Ahiqar nella parte della Vita Aesopi che dalla Storia di Abiqar appunto deriva. L'antico re" dattore greco dei Praecepta di Esopo/Ahiqar sembra conoscere bene i meccanismi e gli espedienti della parenesi stoica sottolineati da Se­ neca:53 i praecepta colpiscono di meno (minus percutiunt) finché ven­ gono detti in prosa (quamdiu soluta oratione dictmtur), la sententia costretta entro una precisa struttura metrica velut lacerto . . . torque­ tur. Seneca, sempre influenzato dalla teorizzazione di Cleante, cita su­ bito dopo, come esempi di praecepta che hanno questo effetto imme­ diato e dirompente, quelli che nel I sec. d.C. erano in ambito latino i più precisi corrispondenti dei microtesti del tipo dei Monastici di Menandro, due senari 'monastici' di Publilio Siro, a proposito dei quali il filosofo latino ribadisce: magis tamen jeriuntu1· animi cum car­ mina eiusmodi dieta stmt. Uno stesso tipo di metafora per indicare l'effetto sferzante del praeceptum breve, per lo più in forma di tri­ metro, è usato da Seneca anche in Ep. ad Luc. 94, 43: quis autem ne­ gabit feriri quibusdam praeceptis e//icaciter etiam imperitissimos? Se" guono il famoso Jl'flOÈv ayav delfico in traduzione latina e due senari (ambedue inizianti con la prima lettera dell'alfabeto)54 del solito Pu­ blilio Siro. Seneca conclude con un'altra inconfondibile metafora: haec cz.tm ictu quodam audimus. I termini usati da Seneca per indicare l'efficacia della parenesi in versi sono assai concreti: percutiunt) fe­ rùmtt.tt; lacerto torquetut; cum ictu. Le 'frustate' degli Insegnamenti di Esopo/Ahiqar riverberano una concezione identica, di chiara matrice stoica come d dice Seneca stesso: i praecepta di Esopo nella ree. W sono prosa nella quale ve1·sus inseruntur ed i versi sono del tipo delle Sententiae Menandri proprio come negli esen1pi senecani. Tutto dò non sembra aver niente a che fare con lo spirito di una interpolazione tarda o bizantina. Anzi, addentrandoci ancor più in quest'ottica di re" cupero di un antico modello non possiamo non accorgerci che eè un altro passo di Seneca (Ep. ad Luc. 95, 53) che può essere accostato all' incipit dei Praecepta di Esopo nella ree. W, non solo per la cornice introduttiva e la forma in monastici menandrei, ma anche per i con­ tenuti. Discutendo, come in tutta l'epistola 95, sulla scelta dei metodi educativi più adeguati al conseguimento della sapientia, Seneca ritiene che ad esempio, per quel che riguarda la questione fondamentale del rapporto con gli altri uomini ( § 5 1 : quomodo hominibus st't utendum))

53 Ep.

ad Luc. 108, 10-11 .

.H E un caso o anche questo era un elemento che serviva ad insegnare meglio agli im­ peritissimi?

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SENTENZE DI MENANDRO E «VITA AESOPI»

nessun insegnamento possa essere più efficace del famoso verso greco 'tradotto' da Terenzio (Hau.t. 77) :55 Ille versus et in pectore et in ote sit: homo stlm, bu1nani nibil a me alienu1n puto. Habeamus in commune: nati su­ rnus.56

È evidente che Seneca (influenzato probabilmente da testi riguar­

danti l'oiKeirocnc; stoica) recupera nel verso latino un valore etico-fi­ losofico universale assente nel contesto della commedia terenziana, ma avvertito già da Aristotele-57 nell'anonimo trimetro greco che sta a monte della versione terenziana: questo monostico greco, come ab­ biamo visto poco fa, campeggia all'inizio degli lnsegnmnenti di Esopo nella ree. W (non nella ree. G) ed in quel contesto compare attorniato da termini e considerazioni filosofiche che hanno un perfetto corri­ spettivo nel passo senecano. Cito qui di seguito le parole più signifi­ cative da V Aes., ree. W, 109, 1-5: È1tOKO'UO'OV

. • •

lCClÌ ctr6A.al;ov Èv 'tU Kapoi� aou . . . av8prorcoç rov

Jl€J!V110'0 -cfJimmagine così radicata, ad esempio, nella letteratura cristiana di ambiente monastico: possiamo citare a questo proposito e.g. Apophthegmata Patrum, Coli. system. 6, 20: outroç òciÀel ò !lOVaxòç etvcu., 'Y'UI!VÒJl ' &uA.ov, exr.tç evooe t oflç KpaOi'llc;. rvmEh (J€C('U"COV, apl fn!EV,Utl'r(J)V t:ijq �OV'Ip(aq (anch'esso tràdito sotto il nome di Nilo, PG 79, 1145 A-1164 D), tutti dedicati al com· battimento contro i vizi e i cattivi pensieri. 26 Per un altro caso in Gregorio si veda Carm. I 2, l O, 197, dove l'immagine è usata in senso opposto: iòp.UtJ.et&' UÀfl1tOV Ècr'tt -rrov Ka­ A.rov), oltre che in Plotino (Enn. v 8, 3 , l ecr'ttV ouv KUÌ ÈV 't'ij ucret J...éyoç KclÀÀOUt; CÌpXÉt1>1tOt; 'tOU ÈV O'CÒ�l4 nelJ > oasi di el-Dakhla, redatti nello stesso dialetto di quelli 3 Cfr. S.

GIVERSEN, The Manichaean Coptic Papyri in The Chester Beatty Library, I-IV, Genève, Cramer 1984-1988, speciaL vol. I, pp. xv-xxvr; I. GARDNER, The Kephalaia o/ the Teacher, Leiden, Brill 1992 («Nag Hammadi and Manichaean Studies», XXXVII); A. BOH­

LIG, Die Bedeutung der Funde von Medinet Madi tmd Nag Hammadi /iir die Er/orschung des Gnostizismtls, in A. BOHLIG - CH. MARKSCHIES, Gnosis und Manichaismus, Berlin-New

York, De Gruyter 1994 («Beihefte zur Zeitschr. f. die neutest. Wiss.», 72), pp. 113-242; Manicheismo. Antologia dei Testi, Brescia, Morcelliana 2000 (con la bibliografia) . 4 Cfr. I. GARDNER, A Manichaeatz Litugical Codex Found at Kellis, «Orientalia», LXII,

A. MAGRIS (ed.), Il

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LA REDAZIONE COPTA DEI «MONOSTICI DI MENANDRO»

di Medinet Madi; prova evidente questa della loro genesi in un unico scriptorium medio-egiziano e di una diffusione nel territorio egiziano che può essere stata molto più ampia di quanto la documentazione a nostra disposizione ci permette ora di ipotizzare. Quanto al secondo punto, le opinioni della dottrina prevalente sono oggi completamente diverse. Vorrei citare a questo proposito quanto affermava, nell'ormai lontano 1969, un noto studioso di cri­ stianesimo delle origini in una sua sintesi sulla letteratura copta: La letteratura copta è quasi esclusivamente cristiana giacché essa fiorì in ambienti cristiani, sia ortodossi che eterodossi (gnostici, manichei). È tutta­ via esagerato e imprudente postulare necessariamente l'esistenza di un mo­ dello greco perduto per quegli scritti copti di cui non si possi ede r originale greco. A tale imprudente conclusione spesso si è portati dal largo uso di ter· mini greci che immancabilmente si presenta in qualunque testo copto: oc· corre invece tener presente che questi termini greci possono provenire oltre che dall'influsso del modello greco anche dal fatto di essere stati ormai ac­ quisiti alla stessa lingua indigena, a fianco o in sostituzione del vocabolo egi­ ziano, a seguito del costante e tenace processo di ellenizzazione a cui rE­ gitto fu sottoposto.�

Vi sono in questo brano cose su cui è facile consentire, altre in cui le prospettive sono oggi molto diverse (come quello della presenza del vocabolario greco in copto, su cui avremo occasione di tornare più oltre) da quelle di allora, altre come quella relativa ai testi greci (eventualmente perduti) di cui si può conservare solo l'invito alla cau­ tela; ma dati i presupposti, non si pqteva che giungere alla seguenti conclusioni:

L . . ] alla letteratura copta� priva di una propria intima forza costruttiva,

e pertanto orientata verso la versione, il rifacimento e l'adattamento, dob­ biamo pur riconoscere il grande merito di averci conservato, appunto per questo, opere di somma importanza non solo dal punto di vista storico e fi­ lologico, come ad esempio le opere gnostiche recentemente scoperte, ma an­ che dal punto di vista artistico, come la raccolta di salmi che figura nei' ma­ noscritti contenenti opere manichee.6

199.), pp. 30-59; In., The Manichaean Community at Ketlis. Progress Report, «Manichaean Studies Newsletter», XI, 1993, pp. 18-26; ID., Kellis Literary Texts, I, Oxford, Oxbow Books 1996 («Dakhleh Oasis Project Monograph», 4). 5 F. PERICOLI R.lDOLFINI, Letteratura copta, in O. BOTTO (ed.), Storia delle letterature d'Oriente, Milano, Vallardi 1969, I, p. 771. 6 PERICOLI RrDOLFINr, Letteratura copta, cit., p. 772.

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SERGIO PERNIGOTTI

È appena il caso di rilevare che le cose stanno ben altrimenti, come

avremo occasione di osservare. Il problema delle traduzioni:7 secondo valutazioni recenti le tra­ duzioni non vanno al di là del cinquanta per cento del totale delle opere conservate, anzi forse sono qualche cosa di meno) sempre in termini di percentuali: il resto è letteratura originale ricca di rapporti non solo con la coeva letteratura greco-cristiana, ma anche con quella ebraica, rapporti da lungo tempo riconosciuti, e con altre letterature cristiane del Vicino Oriente come quella siriaca (si ricordi inciden­ talmente che a Kellis, oltre che i manoscritti copto-manichei, sono stati trovati frammenti in siriaco oltre che naturalmente in greco8). È in questo contesto che si colloca ora il problema delle tradu­ zioni dal greco in copto, problema al quale sono stati recentemente dedicati alcuni studi di sintesi, due di Tito Orlandi9 e uno, recentis­ simo, di Paolo MarrassinP0 che ha allargato, per ragioni di compe­ tenza, la sua indagine anche ai testi in etiopico, che restano però, ov­ viamente, fuori del nostro assunto. Ci occuperemo in questa sede del solo problema delle traduzioni in copto dei testi classici. Come in­ troduzione, non posso fare a meno di citare quanto l'Orlandi dice a questo proposito: [. . . ]

il contributo che può dare la letteratura in lingua copta alla cono­ scenza, nonché al recupero di testi classici propriamente detti, cioè all'anti­ chità classica, è sostanzialmente nullo.11

È una visione pessimistica, ancorché pienamente giustificata, di uno stato di fatto che varrà la pena di ripercorrere brevemente anche perché la diversa distribuzione dei pochi casi documentabili consente di trarre alcune conclusioni di non poco interesse che, a loro volta, possono servire di introduzione alla traduzione dei Monastici di Me­ nandro che rappresentano un caso a sé, in un certo senso nuovo, per

1

Cfr. 0RLANDI, Letteratura copta, cit., pp. 82-94. 8 Cfr. nota 4. 9 T. ORLANDI, Le traduziotzi dal greco e lo sviluppo della letteratura copta, in P. NA­ GEL (ed.), Graeco-Coptica. Griechen und Kopten lm byzantlnischetl Agyptetz, Halle 1984, Martìn-Luther-Universitat Halle-Wittenberg Wissenschafcliche Beitrage, 48, pp. 1 81-20.3; Io., Traduzioni dal greco al copto: quali e perché, in G. FIACCADORI (ed.), Autori classici in lingue del Vicùzo e Medio Oriente, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 1990, pp. 9.3 -104. 10 P. MARRASSlNI, Traduzioni e citazioni dtll greco in copto ed etiopico, in S. SETTIS (ed.), I Greci. Storia, cultura, arte, società, .3, f Greci oltre la Grecia, Torino, Einaudi 2001, pp. 985-1008. 11 Cfr. ORLANDI, Traduzioni dal greco, cit.� p. 93.

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LA REDAZIONE COPTA DEI «MONOSTICI DI MENANDRO»

lo meno nel senso che esso non è stato preso in considerazione dagli studiosi sopra citati. L'Orlandi cita solo sei casi di traduzioni in copto di testi greci clas­ sici che comunque giudica non a torto «deludenti». Vediamoli. Il primo caso consiste nella traduzione in copto di un brano, del resto assai breve, della Repubblica di Platone (pp. 588bl-5 89b3 ) che si trova nel codice VI della 'biblioteca' di Nag Hammadi e serve, al­ meno in apparenza, da separatore tra la prima parte del codice in cui sono conservate opere di carattere gnostico dalla seconda in cui si trovano tre opere ermetiche e quindi sostanzialmente diverse, talvolta all'opposto, dal punto di vista concettuale, rispetto alle p re cedenti . 12 Il fatto più interessante è che il testo in copto non è affatto una tra­ duzione letterale dell'originale, ma presenta, rispetto ad esso, tutta una serie di divergenze, per così dire, che sommandosi tra di loro por­ tano a un suo totale stravolgimento. Alcune sono errori di traduzione, altre varianti del testo greco, in altre ancora sono da vedere abili manipolazioni del testo originale per trasformarlo in un testo con valenza religiosa adatto alla funzione che gli era stato riservato di separatore tra le opere gnostiche e quelle er­ metiche conservate nel codice. Ciò rende plausibile l'ipotesi che la ma­ nipolazione sia stata compiuta espressamente per questo scopo: mi sem­ bra assai meno probabile che si tratti del trasferimento al copto di una manipolazione tardo-antica del testo platonico già compiuta in greco. Nel codice II sempre della biblioteca di Nag Hammadi nel trat­ tato Exegesis de anima si trova una vera citazione america, dall' Odis­ sea. n La citazione è giustificata dalla situazione che viene descritta dall'autore del trattato, dell'anima privata del suo sposo, il Logos, e che anela a ricongiungersi ad esso. Il passo è tratto dal IV libro (vv. 261-263) del poema; assai breve, poco più di due versi, fa parte del racconto che Elena fa della 'visita di ricognizione' di Odisseo a Troia: E dopo aver aver trucidato molti dei Troiani col bronzo acuminato, [Odis­

seo] tornò tra gli Argivi recando copiose notizie. Le altre donne, le Troiane, gemevano con singhiozzi striduli, ma gioiva il mio cuore perché ormai si era volto a tornare indietro, in patria e mi dolevo della follia che mi istillò Afro­ dite quando dalla patria mi condusse laggiù, abbandonando mia figlia e il ta­ lamo e un marito non secondo ad alcuno per senno e bellezza (traduzione di F. Ferrari).

12 ORLANDI, Traduzio'ni dal greC07

cit.,

pp. 93-94.

Olschki 1999, pp. 616-619.

13 ORLANDI, Traduzioni dal greco, dt., p. 94.

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Cfr. A. CARLINI, CPF L l***, Firenze,

SERGIO PERNIGOTTI

La traduzione copta qui è assai più vicina all'originale che non nel caso del passo di Platone sopra citato e tuttavia anche in questo caso vi sono adattamenti al contesto in cui la citazione si inserisce: così «condusse» è diventato «ingannò» e 9aÀaf.tOV viene omesso, sì che la traduzione copta suona pressapoco così: «[. ] che mi istillò Afrodite . .

quando dalla patria laggiù mi ingannò abbandonando mia figlia e un 111arito».

Un altro caso significativo per ragioni completamente diverse dalle precedenti si trova nell'opera di Shenute, la maggiore personalità della letteratura copta, morto quasi centenario poco prima che avesse luogo il Concilio di Calcedonia, autore di molte opere originali, non di tra­ duzione, nelle quali ha modo di dispiegarsi la sua personalità, la più rilevante certamente di tutta la letteratura copta; egli cita due brani dagli Uccelli di Aristofane: si tratta in realtà poco più di una curio­ sità perché i passi citati sono quelli famosi in cui vengono imitati i versi appunto degli uccelli. 14 L'importanza della citazione sta però, se così mi posso esprimere, nella citazione in sé, nel fatto che Shenute conoscesse comunque tali passi: Orlandi, pur attribuendo a Shenute un ruolo molto significa­ tivo nello svolgimento della storia letteraria in copto per aver intro· dotto nella sua lingua «i modi retorici e stilistici della contemporanea cultura greca» pensa che il celebre abate) fondatore del Monastero Bianco e di quello Rosso che si trovano nei pressi di Sohag, possa es­ sere venuto a conoscenza di essi attraverso antologie scolastiche: 15 cosa ben possibile, si capisce, ma forse non necessaria. La cultura greca di Shenute poteva forse prescindere dali> uso di antologie: può ipotizzarsi un contatto diretto con le opere originali. Forse potren1mo fermarci qui, con questo magro inventario: l'Or­ landi in effetti cita qualche altro caso come la traduzione parziale del trattato ermetico Asclepius che si trova nello stesso codice VI di Nag Hammadi di cui fa parte la citazione di Platone sopra citata e la pos­ sibilità che alcuni frammenti di due omelie copte provengano dalla Theosophia a cui si può forse aggiungere le allusioni al Physiologus che si trovano in varie opere in copto: ciò che farebbe supporre che ne esistesse una versione non si sa quanto completa.16 Comunque stiano le cose è stato osservato che ben difficilmente rAsclepius, la

14 0RLANDI, Traduzoni i dal greco, dt., p. 94. n 0RLANDI, ibid. 16 ORLANDI, Traduzotti i dal greco, dt., pp. 94-95.

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LA REDAZIONE COPTA DEI TtJ.lEVOç' àÀÀa ae 1CÉJJ.\VE1

ày/..aà Moumirov oropa iooteq>civmv. 1tQO't o', OO'Ol U 29 virtutis omnis impedimentum est timor; mentre le sentenze menandree non offrono paragoni adeguati, lo Stobeo nei capitoli ne:pì àvòpe:iw; ed e1t M 4 ma/a causa est quae requirit ntisericordiam, N 45 nocentent qui de/endit sibi crimen parit; questi argomenti erano tipici degli gnomologi > cfr. Mon. 21

Per U 20 utrumque casum aspicere debet qui imperat non c'è accordo fra gli inter­ preti se con qui imperat si debba intendere un giudice o un capo politico {cfr. FRIEDRICH ad loc.); in favore della seconda ipotesi milita il titolo di un capitolo dello Stobeo (ttepì àpxfiç 1caì 1tepì toi> òno'ìov XP'IÌ elvcn -còv dpxov'ta) che contiene fra l'altro la citazione da Eur. Hcld. 179-180: tic; av oh:TJV Kpivetev i) 80iTJ Myov / 1tpÌv àv ttap' Òf.Lcpotv f.1U0ov èICf.la&Q

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CARLO MARTINO LUCARINI

174 o t l((ltOç eiva t jléìAÀOV 1Ì XP1lv, 'Ù'It09TIJCv, �t�A.ia -tÉuuapa ma 'AveoM:>ywv troviamo in Esichio di Mileto (s.v. 'Iropooh11c; Ilcxvoru.tou 7tapcxouonc; n,v ahiav 'tfjç yevéocroc; 't"Otç àv9p Non credo si possa affermare con un buon margine di verosimiglianza che i capi­ toli del frammento fossero in successione anche nella raccolta originaria, dal momento che anche questa possibilità di rimaneggiamento faceva parte delle libertà dei compilatori. Sul­ Yordine dei capitoli del frammento, cfr. PICCIONE, In margine a una tecente edizione, dt., pp. 144-146. 34 Nel codice si legge a margine Àebtet.

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ROSA MARIA PICCIONE

iniziale una selezione euripidea a propria disposizione, sulla base di quel principio associativo di cui si è ampiamente parlato. Ancor più interessante è I'Appendix Euripìdea, le cui sentenze sono del tutto prive di indicazioni lemmatiche ma vengono introdotte dal lemma generale Eùptttioou. La breve silloge consta di 23 passi di norma da uno a tre versi, con l'eccezione di due yvroJ.Lat di cinque versi ciascuna (Hipp. 916-920 in App. 19; fr. 1029 N.2 in App. 22a). Nella successione sembra riconoscibile un ordinamento tematico so­ stanziale, sia pure non dichiarato con titulationes, che si ravvisa nel­ l'uso di parole-chiave all'interno delle sentenze, decisamente più con­ sistente nel caso delle prime due unità tematiche: I 1tepì eeoi> (1-6); II 1tepì yovérov (7 -15); III 1tepì otKllç (16-17); IV 1tepì $povftcreroç (1819); V 1tepì àpe'tf\ç (20-22). Valgono per l'Appendix le medesime con­ siderazioni avanzate per la sezione euripidea intermedia: pur avendo una struttura inequivocabilmente gnomologica, esplicitata da un im­ plicito procedere per capita, anche per quest'ultima parte dei tre fo­ gli del Viennese non vi sono elementi identificativi davvero validi per considerarla una derivazione dal florilegio di Orione. È difficile stabilire se vi sia un legame di consanguineità fra le tre sezioni del codice viennese, e se sia possibile ricondurle tutte all'An­ tholognomicon. Il solo dato evidente è il lemma con rattribuzione ad Orione apposto al frammento iniziale, e non vi sono elementi incon­ testabili per rivendicare alla raccolta originaria anche le due sezioni euripidee, che non mostrano affinità di presupposti organizzativi. Va detto, inoltre, che quest'unica testimonianza a noi giunta della rac­ colta di Orione proviene da un codice miscellaneo retorico-epistola­ grafico > qual è appunto il Vind. phil. gr. 3 2 1 , che riporta anche una sezione dai Monos#ci menandrei e yvrofJ.CH dallo Ps. Fo cilid e e par­ rebbe un manuale per il bello scrivere, accessoriato di brevi reper­ tori gnomici. Le due sezioni euripidee potrebbero essere state ana­ logicamente incluse nel manuale, ad accrescere il piccolo prontuario di uso retorico, in quanto materiale sentenzioso di consolidata tra­ dizione. La testimonianza sul florilegio di Orione sembra ridursi dun­ que a otto capitoletti: poco più che uno gnomologio su un papiro ben conservato. -

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Il presupposto da cui ha preso le mosse questo intervento è stato dunque di individuare i principi costitutivi e i problemi metodologici che tale Literaturgattung pone nel tardo-antico, e così di osservare eventuali fenomeni caratterizzanti e di discuterne il rapporto di con­ tinuità o di innovazione rispetto alla tradizione antecedente. Abbiamo visto che l'Anthologion dello Stobeo si configura in realtà come un

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LE RACCOLTE

DI STOBEO

E ORIONE

testo di raccolta di orientamento filosofico, usando una definizione intenzionalmente aperta, che lasci spazio ad ulteriori precisazioni, e non stricto sensu come uno gnomologio sentenzioso. Come gnomolo­ gio in senso proprio può essere definito invece ciò che abbiamo dai tre libri di Orione (la definizione vale in questo caso per tutti e tre i fogli del Viennese, data la loro configurazione), anche se la mutila­ zione quasi radicale del testo vincola il giudizio ed impedisce qual­ siasi ipotesi che sia più che approssimativa. Assoluta appare in ogni caso l'unicità del prodotto letterario dello Stobeo nelle linee di svi­ luppo della tradizione del genere, ad un crocevia tra la produzione anteriore, rappresentata dalle antologie gnomiche, e la ricchissima tra­ dizione bizantina. Il grande cambiamento è dato dalla sistematizza­ zione del pensiero, che diverrà ad esempio il principio dei Sacra Paral­ lela di Giovanni Damasceno, e che per i suoi presupposti educativi sembra essere stata assimilata anche dalla cosiddetta letteratura di Adab della tradizione araba, sulla quale non è possibile tuttavia sof­ fermarsi in questa sede. Ciò che si rende necessario, adesso, è cercar di capire meglio i pre­ supposti genetici e ,funzionali di questa letteratura, dal tardo-antico in poi, precisando l idea che sta sotto il movimento generale, ovvero la forma di cultura che questo metodo di lavoro intende servire e rea­ lizzare. È essenziale dunque comprendere che cosa diventano le rac­ colte, in quanto fenomeno sistematico non solo puramente letterario, ed è importante che vengano affrontati problemi che riguardano prin­ cipalmente il metodo, in relazione all'attività dei compilatori e ai loro presupposti e per quanto riguarda pubblico e milieu come elementi determinanti nella genesi di opere di questa natura. Bisogna in breve chiedersi chi sono gli autori di questi testi miscellanei e per quale ra­ gione si sono dati sforzo di selezionare le voci della tradizione, riu­ nendole fra di loro ed armonizzandole secondo un disegno. Si tratta dunque di leggere l'intelaiatura logica in rapporto ai contenuti, e di determinare un approccio al prodotto letterario che non sia più quello della cosiddetta Quellen/orschung, della raccolta solo come testimone dell'antico.

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APPENDICE Nelrambito di questa discussione) alle due precedenti raccolte avevo ritenuto di una qualche utilità accostare anche un terzo prodotto dd tardo-antico. i dodici libri delle 'EKÀ.oyaì òux�opot attribuite ad un tal Sopatro sofista, dietro il quale si vuoi riconoscere l'omonimo di Apamea, allievo di Giamblico. Della raccolta non vi è al­ cuna tradizione, né diretta né indiretta, ma solo la descrizione che ne dà il patriarca Fozio, nel cod. 1 6 1 della Biblioteca� descrizione che consente di raccogliere preziose informazioni sui metodi di assemblamento del materiale, sulle fonti e sui destinatari, i membri di un ambiente chiuso, probabilmente appartenenti ad una scuola (la sil­ loge sarebbe costituita 'tO"i Xptcr't'oi >. Non è da sottovalutare la presenza in simili contesti di E/ 5, l yivecr9e o'Ùv JllJ.Ll'\'trtt 'tO'Ù 8eOU co nìv KeaA:IlV J.LOU. La verga del giusto con ogni probabilità per resegeta antico significa allusione a lCor 4, 2 1 dove Paolo chiede: èv pét�òcp eA.Sro 1tpòç ÙJ.taç lì èv aya1C1J 1tve-6)la-ri ,,, 'te 1tpetU't'll'tOç; La semplice contrapposizione di due concetti costituisce l'ossatura del v. 18 LO(OV 9upaç etctptPe� 1tAOU