Platone e la matematica nel mondo antico

Table of contents :
PRESENTAZIONE......Page 6
INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA DEGLI ELEMENTI DI EUCLIDE (FEDERIGO ENRIQUES)......Page 10
SULLO SVILUPPO DELLA MATEMATICA GRECA (FEDERIGO ENRIQUES)......Page 14
GLI ELEMENTI DI EUCLIDE......Page 20
LA CRITICA DI GALILEO ALLA DEFINIZIONE DI PROPORZIONE DI EUCLIDE......Page 33
LA RIBELLIONE A EUCLIDE. LA « GÉOMÉTRIE» DI CLAIRAUT......Page 41
IL RITORNO ALL'EUCLIDE CON BETTI E BRIOSCHI......Page 46
IL RIASSUNTO DI PROCLO......Page 53
UN CELEBRE BRANO DI GALILEO......Page 56
I DIALOGHI DI PLATONE COME FONTE PER LA STORIA DELLA MATEMATICA GRECA......Page 60
1. L'APOLOGIA DI SOCRATE......Page 63
2. IPPIA MINORE......Page 64
3. IPPIA MAGGIORE......Page 66
5. I RIVALI......Page 69
6. EUTIFRONE......Page 71
7. IONE......Page 73
8. CARMIDE......Page 74
9. GORGIA......Page 82
10. PROTAGORA......Page 89
11. MENONE......Page 92
12. EUTIDEMO......Page 116
13. CRATILO......Page 119
14FEDRO......Page 121
15. REPUBBLICA......Page 122
16. FEDONE......Page 155
17. TEETETO......Page 158
18. IL SOFISTA......Page 169
19. IL POLITICO......Page 171
20. FILEBO......Page 176
21. IL PARMENIDE......Page 180
22. TIMEO......Page 184
23. LE LEGGI......Page 195
INDICE DEGLI ARGOMENTI TRATTATI NEI "PASSI MATEMATICI DI PLATONE"......Page 202
INDICE GENERALE......Page 214

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PLATONE E LA MATEMAT CA NEL MONDO ANTICe> a cura di

ATTILIO FRAJESE

TESTI E DOCUMENTI

universale

STlIDIlIM TESTI E DOCUMENTI

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Poiché al pubblico colto si rivela di interesse sempre maggiore il prendere conoscenza diretta dei testi e dei documenti che costituiscono la base delle trattazioni di fatti, istituzioni, movimenti, idee nei singoli settori dello scibile, alla Editrice Studium è sembrato opportuno affiancare alle esposizioni monografiche della Universale una nuova serie di volumi comprendenti i « testi e documenti» che non solo giustifichino quanto nei primi è esposto, ma diano la possibilità di un ulteriore personale approfondimento dei singoli argomenti. La scelta della materia è condotta con la maggiore obiettività e nello stesso tempo con la necessaria compiutezza. I commenti si limitano all'essenziale, preoccupandosi prevalentemente di inquadrare ogni testo nel suo contesto storico e quindi nel suo autentico significato.

Il n. 2 dell'Universale: La matematica nel mondo antico ha il suo naturale completamento nel presente volume di Testi e documenti dovuto allo stesso Autore, Attilio Frajese. In particolare, nella seconda parte, viene offerta per la prima volta agli studiosi la lettura di tutti i passi matematici di Platone, che vengono tradotti, commentati e collegati, così da essere direttamente utilizzabili quale fonte per la storia della matematica greca.

PLATONE E LA MATEMATICA NEL MONDO ANTICO a cura di

ATTILIO FRAJESE

EDITRICE STUDIUM - ROMA

é)

C:opyright by Editrice Studium, 1963

Stampato in Italia - Prinled in Italy

PRESENTAZIONE

Nel volume «La matematica nel mondo antico» pubblicato dalla Universale Studium, avevo esposto i risultati delle ricerche svoltesi in particolar modo negli ultimi decenni sulla ricostruzione dello sviluppo della matematica greca. Trattandosi di un lavoro destinato anche ad un pubblico non composto di specialisti, mi fermai Più a lungo sull' opera elementare di Euclide, ed esposi i motivi che ricollegano l'opera del grande matematico alessandrino alla filosofia di Platone. Sono molto lieto, ora, di completare l'opera offrendo al lettore una serie di testi che si riferiscono in modo diretto alla trattazione precedente, e che potranno servire ad avvalorarla e ad illustrarla. A nche questo secondo lavoro vuole però esser destinato ad un vasto pubblico, e pertanto ho limitato allo stretto necessario i brani tecnici, riportando solo alcune tra le Più significative proposizioni degli Elementi di Euclide. Ho invece ritenuto utile offrire un quadro generale dello sviluppo della matematica greca sia attraverso il famoso Riassunto di Proclo, sia attraverso due passi tratti dalle opere di Federigo Enriques, mio indimenticabile maestro; e ho ritenuto pure utile seguire alcuni momenti essenziali della fortuna, o sfortuna, dell'opera di Euclide attraverso i secoli, riportando un brano di Galileo sulla teoria euclidea delle proporzioni, una serrata critica di Euclide ad opera del grande matematico francese del secolo XVIII Clairaut, e i documenti relativi

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PRESENTAZION E

alla restaurazione dell' Euclide nelle scuole italiane ad opera dei matematici Betti e Brioschi. Segue una seconda parte nella quale, a complemento di quanto esposto nel volumetto (l La matematica nel mondo antico » a proposito dell'influenza esercitata da Platone sullo sviluppo della matematica greca, si riportano i numerosi passi dei Dialoghi platonici che posson servire quale fonte per la storia della matematica greca, in particolare del I V secolo a. C. H o potuto così riportare qui i risultati di un mio Più che ventennale studio sull' argomento. JI i son servito del testo quale si trova nell' edizione Les belles lettres, ed ho tradotto i brani in questione, dando a ciascuno di essi un titolo, e corredandoli, dove m'è sembrato occorresse, di un commento che vuol essere soprattutto collegante, cioè tale da tendere ad ottenere, se possibile, una visione d'insieme del mosaico costituito da tante anche minuscole pietruzze. Il mio lavoro non ha alcuna pretesa di entrare nel campo filosofico o in quello filologico: introduce i brani, e li utilizza, soltanto in quanto possan valere (come s'è detto) quale fonte per la storia della matematica greca. E forse s'è raggiunto così il risultato di gettare qualche luce sui rapporti personali di Platone con la matematica, e soprattutto coi matematici, del suo tempo: rapporti che non dovettero risultare privi d'amarezza per il grande filosofo. Confido infine di aver fatto cosa gradita a tutti coloro ch~, avvicinandosi all'opera platonica senza una specifica preparazione matematica, potranno chiarire qualche eventuale dubbio sul significato dei passi matematici dei Dialoghi. ATTILIO FHAJESE

PARTE PRIMA

DA TALETE A EUCLIDE

Iniziamo questa A ntologia riportando due brani tratti dalle opere di Federigo Enriques (I872-I946) , il grande matematico e storico della scienza, che dedicò una notevole parte della sua feconda e geniale attività alla ricostruzione della storia della matematica greca.

1 INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA DEGLI ELEMENTI DI EUCLIDE * (FEDERIGO ENRIQUES)

Gli Elementi d'Euclide costituiscono una delle opere classiche di quella cultura greca, alla quale deve ognora riattaccarsi chi voglia comprendere le origini e lo spirito della nostra cultura europea, giacchè da una parte l'insegnamento del Medio Evo non è che un pallido riflesso dell'antica tradizione, e d'altra parte il Rinascimento italiano - che segna appunto gl'inizi della scienza moderna - è un consapevole ritorno e una più vigorosa rielaborazione dello stesso pensiero greco. Ora, nella storia della cultura greca si sogliono distinguere quattro periodi, corrispondenti a diversi caratteri sociali e politici, ciascuno dei quali occupa circa tre secoli: r) Il periodo ellenico propriamente detto, che va dal • Per concessione dell'editore Zanichelli, da: Gli Elementi di

Euclide e la critica antica e moderna, editi da

FEDERIGO ENRIQUES

col concorso di diversi collaboratori, voI. I, Bologna 1925, pp. 13-18 (voI. II, 1930; voI. III, 1932; voI. IV, 1936).

lO

DA TALETE A EUCLIDE

600 al 300 a. c., dominato dal conflitto col mondo orientale (impero persiano) e dallo sviluppo autonomo delle città greche, di cui la maggior parte conobbe le forme più libere della democrazia, nonchè dalle loro mutue competizioni, che culminarono nella guerra del Peloponneso (431-404). 2) Il periodo ellenistico, in cui la civiltà greca si allarga a tutto il mondo orientale, in seguito alle conquiste di Alessandro il Macedone. 3) Il periodo greco-romano, che abbraccia i primi tre secoli dell'èra cristiana, iniziandosi colla conquista romana dell'Egitto e terminando con Costantino. 4) Il periodo dei commentatori o della decadenza, che abbraccia parimente tre secoli, da Costantino ad Eraelio. La scienza sorge nel primo periodo, fecondo dei più alti pensieri: anzitutto nelle colonie joniche dell'Asia Minore, che fu culla, nel VI secolo, dei naturalisti Milesii: Talete, Anassimandro, Anassimene, ecc.; poi nelle colonie della Sicilia e dell'Italia meridionale, la cui vita spirituale è dominata dall'impulso di Pitagora (n. a Samo intorno al 572 a. C., venuto a Crotone circa il 532) e delle scuole pitagoriche da lui fondate: dalle quali si distacca, per assumere una propria fisionomia e un'importanza eccezionale nella storia della filosofia, la scuola d'Elea (Parmenide, Zenone, prima metà del secolo V). Soltanto in un'epoca posteriore il centro della scienza si trasporta nelle città della Grecia propriamente dette, e massime ad Atene, ove vedonsi convenire, all'epoca di Periele, Anassagora di Clazomene (circa 500-428) e il maestro della Sofistica Protagora d'Abdera (circa 480-410). In questa città appunto insegnò Socrate (469-399), e il suo grande discepolo Platone (427-347) fondò l'Accademia, intorno a cui si raccolsero i più eletti spiriti del tempo, come i matematici Teeteìo e Eudosso di Cnido, e il filosofo encielopedico Aristotele di Stagira (384-322), che a sua volta costituì il Liceo. Ma accanto ad Atene, deve almeno essere ricordata la piccola città di Abdera, che accolse la scuola degli atomisti (Leucippo di Mileto, c scgnatamente Democrito, circa 460-360).

IN1'RODUZIUNE ALL'EDIZIONE ITALiANA DI EUCLiDE

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Più tardi, con la diffusione della civiltà greca susseguente alle conquiste macedoni, sorsero altri centri splendidi di cultura, come Rodi, Pergamo, e soprattutto Alessandria d'Egitto. In questo periodo ellenistico la scienza si scioglie dalla filosofia (che sembra ormai dominata esclusivamente da interessi morali) e tocca ad una florida maturità: alla quale tuttavia succede assai presto, se anche lentamente, la decadenza. I più grandi monumenti delle matematiche greche, rioè le opere d'Euclide, Archimede, Apollonio, appartengono precisamente agli inizi di questo periodo, che comprende poi Eratostene, Nicomede, Diocle, Perseo, Zenodoro e altri geometri minori, gli astronomi Ipparco e Tolomeo, e il meccanico Erone d'Alessandria. Nei secoli che succederanno, la tradizione del periodo aureo sarà per alcun tempo continuata con Gemino, Teone, Pappo; ma la decadenza è visihile, e si arriva presto ad un'epoca di commentatori, diligenti ma poco intelligenti raccoglitori di notizie. Ai quali tuttavia, e massimamente a Proclo di Bisanzio (4I2-485 d. C.), dohbiamo la maggior parte delle informazioni che ci sono pervenute sullo sviluppo storico delle matematiche greche. Euclide, l'autore di questi Elunenti, si trova proprio al principio del periodo ellenistico, e nel più cospicuo centro, Alessandria, ove fiorì verso il 300 a. C. Infatti, dice Proclo: « Euclide dovette vivere al tempo del primo Tolomeo (306283 a. C.), poichè Archimede, che viene subito dopo, parla d'Euclide; ed inoltre si racconta che una volta Tolomeo gli avrebhe chiesto se vi fosse per lo studIO della geometria una via più breve degli Elementi, ed egli rispose che in geometria non vi sono vie regie. CosÌ dunque egli è più giovane degli scolari di Platone, e più vecchio di Eratostene e d'Archimede l). « Egli compilò i suoi Elementi raccogliendo molti teoremi di Eudosso, compiendo ciò che aveva cominciato Teeteto, c porgendo dimostrazioni esatte di quel che i Sùoi predecessori avevano dato senza il necessario rigore l). Ma i principali risultati che possono ascriversi ai predecessori d'Eu-

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DA TALETE A EUCLIDE

elide si vedranno registrati a suo luogo in questo commento. E, per quel che tocca ad una veduta d'insieme dello sviluppo della geometria piana d'Euclide, rimandiamo alle principali storie dell'argomento e al primo articolo della terza edizione delle Questioni riguardanti le matematiche elementari l. Il testo degli Elementi ci è pervenuto in gran parte attraverso la redazione di Teone alessandrino (IV secolo dell'e.v.), che tuttavia ha potuto essere criticamente emendata da Heiberg, col confronto di alcuni antichi papiri e di codici manoscritti, uno dei qua1i (il codice vaticano) si è riconosciuto far capo a fonti anteriori alla redazione teonina. Cosi abbiamo oggi l'edizione critica dei I3 libri degli Elementi di Heiberg e Menge, che contiene anche numerosi scolii, ricca sorgente d'informazione storica 2. Gli Elementi d'Euclide hanno avuto innumerevoli edizioni e traduzioni commentate, in tutte le lingue, delle quali si avrà un'idea confrontando il Saggio di Bibliografia euclidea di Pietro Riccardi (Bologna, r887, r888, r8go, r8g6).

l Raccolte e coordinate da F. ENRIQuEs, Zanichelli, Bologna J9 2 4· 2 I libri XIV e XV, sviluppanti lo studio dei polieùri regolari che figurano in molte edizioni, sono stati riconosciuti non appartenere ad Euclide, ma a geometri posteriori (forse, il XIV almeno, ad Ipsicle, circa 150 a. C.).

2 SULLO SVILUPPO DELLA MATEMATICA GRECA

*

(FEDERIGO ENRIQUES)

Sono stati rilevati gl'indizi di un'attività scientifica creativa presso i popoli che circondano il mondo greco, che si costitui più tardi l'erede della loro coltura. Ma all'epoca in cui i Greci si affacciano appena alla civiltà, la scienza orientale sembra caduta in un periodo di decadenza, in cui si conservano i risultati acquisiti soltanto come ricette pratiche: regole di calcolo o di misura, adoperate onnai senza ricercarne le ragioni. Invece, le prime conoscenze geometriche ed aritmetiche che i Greci apprendono dai loro vicini diventano subito per essi argomento di riflessione e di speculazione razionale. « I Traci e gli Sciti - dirà Platone nella Repubblica (435 e) - sono governati dalle passioni. Solo fra i popoli più evoluti si sveglia l'amore della conoscenza; ma è ancor più soffocato dalla cupidigia della ricchezza presso i Fenici e gli Egiziani l). Occorre aggiungervi lo spirito disinteressato che cerca la verità per se stessa, come accade per la gioia della contemplazione artistica presso gli Elleni: e questo è il «miracolo greco l). Talete di Mileto, intorno al 600 a. C., importa dall'Egitto le prime conoscenze di geometria e di astronomia e, al tempo stesso, si avventura già a formulare un'ipotesi cosmogonica, facendo dell' acqua il principio di tutte le cose.

* Per concessione dell'editore Zanichelli, da: FEDERIGO ENR1gUES, Le matematiche nella storia e nella cultura: lezioni pubblicate per cura di Attilio Frajese, Bologna 1938, pp. 8-12.

DA 1 Al,ETE A EUCLIDE

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Anassimandro di Mileto affronta subito i più formidabili problemi dell'Universo, ponendo al posto dell'acqua di Talete una sostanza primitiva infinita, capace di diffondersi per lo spazio e d'identificarsi con esso, la quale, differenziandosi, darebbe origine a innumerevoli mondi coesistenti e successivi. Nelle sue argomentazioni - per esempio dove dà ragione del perchè la Terra resti isolata nello spazio senza cadere - appare non solo una ricca fantasia poetica, che si spiega ingenuamente urtando in difficoltà profonde di cui non ha il più lontano sospetto, sÌ anche la logica diritta di un intelletto matematico l. Nella generazione successiva, un altro cittadino della Ionia, Pitagora di Samo, lasciata la patria intorno al 540 a. C., andava a costituire una scuola scientifico-religiosa nell'Italia meridionale; e qui troviamo per la prima volta il termine matematica ('t"oc fLot&YjfLoc't"LX&, da fL&&YjfLoc, «insegnamento ») nel senso di (, disciplina» o « scienza razionale ». Infatti la scuola pitagcrica poneva il problema di spiegare tutte le cose, partendo dal numero che ne costituirebbe l'essenza. Per comprendere come l'aritmetica potesse assumere per i Pitagorici un significato cosmologico, convien dire che (almenc, per i primi discepoli di Pitagora) i numeri (interi o naturali) erano concepiti, non già nel senso astratto che ci è familiare, bensÌ in una maniera più concreta, che tuttavia oltrepassa la semplice nozione del « numero concreto », quale si presenta nel computo degli oggetti: p. es. quando si parla di « 7 bovi» o di « 5 sassi ». Ricollegandosi alla tradizione ionica del problema della materia, i Pitagorici avevano cercato infatti di spiegarnc la natura, immaginando che la sostanza primitiva di Anassimandro (origine di tutte le cose) si condensi intorno a dei centri monadici, che per ogni specie di materia presenterebbero una certa configurazione caratteristica. In que1 Cfr_ fico, voI.

e DE SA~TILLA:-;rA, Storia del pensiero srientiZanichelli, Bologna 1932.

ENRIQUES

r.

SIIU.o SVILUPPO DELLA MATEMATICA GRECA

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sto senso le cose sono « numeri .), cioè gruppi di punti, o corpuscoli, aventi una certa estensione, e disposti secondo un certo ordine geometrico: dalla quantità e dall'ordine di codeste particelle costituenti, la materia stessa ritrae le sue proprietà. E pertanto il numero è, nella sua vera accezione, « numero figurato .), triangolare o quadrato o rettangolo, ecc., le cui unità o « monadi .) sono, ad un tempo, punti geometrici e fisici. Non è qui il luogo per spiegare come la dottrina pitagorica si collegasse a talune semplici osservazioni o scoperte che la scuola ebbe a fare fin dagl'inizi della sua attività, specie nel campo dell'acustica; ma giova. rilevare esplicitamente che codesta dottrina aveva non soltanto un valore fisico, sì anche geometrico: la linea veniva rappresentata come una « serie di punti successivi .) e analogamente si dica delle superficie e dei solidi. Tale rappresentazione si affaccia assai naturale ad un'intelligenza non diffidente e suggerisce subito l'idea della misura. A quanto sembra, i Pitagorici partirono appunto da questa per costruire una teoria della similitudine delle figure; sulla quale doveva essere basato il corpo di scienza che essi edificarono, dando per la prima volta alla geometria un ordine deduttivo, per salire dal possesso di casi particolari noti, alla verità generale del cosiddetto Teorema di Pitagora. Ma nella stessa scuola si affacciò presto la scoperta imbarazzante delle grandezze incommensurabili: lato e diagonale del quadrato. « Eccezione scandalosa.) siccome fu considerata dapprima da quegli antichi geometri, essa do\Teva suscitare una critica più profonda del significato degli enti geometrici, quale si esprime con la filosofia di Parmenide e di Zenone d'Elea, conferendo alla scienza un vero assetto razionale; e d'altra parte segnava una trasformazione del pensiero pitagorico: che, continuando a spiegare le cose coi « numeri .), ebbe a dare alla spiegazione un significato analogico e simbolico, intinto di quel misticismo che fin da principio troviamo mescolato alle speculazioni della scuola. Un secolo dopo Pitagora, Filolao diceva che « tutte

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DA TALETE A EUCLIDE

le cose conosciute posseggono un numero, e che nulla noi possiamo comprendere o conoscere senza di questo I). Frattanto il metodo deduttivo - che, come abbiamo accennato, dovette per la prima volta mettersi in opera per giungere ad una dimostrazione generale del teorema di Pitagora - dava, in breve tempo, larghi frutti. Nel corso di un secolo e mezzo i Pitagorici svolsero le matematiche e si accinsero a costituire un corpo di scienza che comprendeva: I) l'aritmetica; 2) la musica, come studio dei rapporti fra numeri connessi con le armonie dei suoni; 3) la geometria piana; 4) la sferica, preludio della geometria solida e soprattutto introduzione dell'astronomia. Questa classificazione delle scienze matematiche - aritmetica, musica, geometria, astronomia - si ritrova presso Platone, e poi nel tirocinio scolastico del Medio Evo, sotto il nome di quadrivio, in contrapposto al trivio (grammatica, rettorica e dialettica). Per quel che riguarda i risultati raggiunti, oltre all'aver messo in luce le proprietà fondamentali ed anche talune proprietà curiose dei numeri, i Pitagorici sembrano aver scoperto quasi tutti i fatti notevoli che formano oggetto della nostra geometria elementare del piano: similitudine delle figure e risoluzione dei problemi di trasformazione o applicazione delle aree, che rispondono ad equazioni di 2° grado, costruzione dell'esagono e del pentagono regolari, ecc. Tantochè, verso il 450 a. C. Ippocrate di Chio (siccome ci narra Eudemo in Proclo) poteva comporre, per la prima volta, il corpo delle nozioni acquisite, in un libro di «Elementi I). Al progresso delle conoscenze geometriche si accompagna il progresso della critica, iniziata - come si è detto - con la revisione filosofica dei concetti nella scuola d'Elea. La veduta razionale del «punto I) senza dimensioni (non più « punta acuminata) (J'nY!L~, ma « segno) (J'1j!LeLOV) , e analogamente della linea senza larghezza e della superficie senza spessore, porta davvero un duplice ordine di conseguenze:

SULLO SVILUPPO DELLA MATEMATICA GRECA

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I) da una parte pone il problema filosofico della realtà di «enti puramente intelligibili t, che non possono cadere sotto i sensi; 2) d'altra parte apre la via alla concezione dell'infinito e ai problemi che vi si riattaccano. Conviene dire che quest'ordine d'idee s'incontra necessariamente sul cammino della geometria, tostochè si cerchi di risolvere, al di là del caso dei poligoni, il problema delle aree. Certo occorre già una più o meno consapevole visione infinitesimale, per poter affermare che i cerchi sono proporzionali ai quadrati dei raggi, come sapeva Ippocrate di Chio. Zenone d'Elea, col suo argomento «l'Achille & scopri o dette occasione a scoprire la somma della progressione geometrica:

I

+ q + q2 + ... =

__1 _ (per q < I-q

I).

Poco dopo (cioè verso il 400 a. C.) Democrito d'Abdera trovava che il volume della piramide è un terzo del prisma con la stessa base ed altezza; la dimostrazione euclidea del teorema (modificata secondo lo schema del procedimento d'esaustione d'Eudosso) lascia ritenere che questo risultato fosse raggiunto da lui proprio mediante la somma di una progressione geometnca. Ma certo accanto ai risultati fruttuosi, apparivano anche i pericoli a cui l'uso dell'infinito espone i pensatori meno acuti e gli abusi a cui esso può dar luogo. Queste difficoltà reagiscono sul problema filosofico della realtà degli intelligibili che si dibatte allora fra razionalisti e empiristi. Alla tesi empirica di Protagora che vede nelle linee soltanto delle strisce sensibili, si contrappone il razionalismo di Democrito e di Platone, che affermano la realtà delle idee di là del sensibile, polemizzando contro il maestro della Sofistica. L'effetto di questa polemica, per quel che concerne la scienza, è di acquistare più chiara consapevolezza del suo carattere razionale e di dare incremento alla critica logica rigorosa dei principi. IlleUore avrà potuto constatare, attraverso questi due brani, quanto grande sia la semplicità dell'esposl:zione di Federigo

18

DA TALETE A EUCLIDE

Enriques. Questi, nemico di ogni elaborata e complicata erudizione, aveva il dono di presentare ai suoi discepoli in forma semplicissima i risultati che in forma altrettanto semplice, percll-è chiara e luminosa, raggiungeva nella sua ricerca. 50leva ripetere, citando da altra fonte, che si possiede davvero u'na dottrina quando si è in grado dI: spt'egarla con successo ad un amico, nel passeggiare conversando. E passeggiat'a, conversando non solo su argomenti dt' storia, ma anche sulle PI:Ù difficili questioni di geometria, che vedeva chiare quanto le Più facili per il dono della sua intuizione penetrante.

3 GLI ELEMENTI DI EUCLIDE

L'opera (composta intorno al 300 a. C.) offre una esposizione sistematica della geometria elementare e dell' aritmetica. ,"il: compone di tredici libri!. Al primo libro è premessa gran parte delle Definizioni, le quali vengono seguite dai Postulati e dalle Nozioni comuni. Le definizioni hanno tutte un valore puramente descrittivo. Tra di esse è celebre la prima, cioè quella del punto geometrico, che si ricollega alla definizione che Platone dà dell'unità aritmetica. Tra i postulati è Itl.moso l'ultimo, cioè il quinto, che è comunemente noto come postulato delle parallele o come postulato di Euclide propriamente detto. a)

LE DEFINIZIONI DEL LIBRO

I (=

TERMINI, I5po~).

I - Punto è ciò che non ha parti. II. - Linea è lunghezza priva di larghezza. III - Estremi della linea sono i punti. IV - Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti. V - Superficie è ciò che possiede soltanto lunghezza e larghezza. VI - Estremi della superficie sono le linee. VII - Superficie piana è quella che giace ugualmente rispetto alle 'sue rette. I

A.

FRA]ESE,

La matematica nel mondo antico, Universale Stu-

dilllll n. 2, Roma 1952, p. 75 ss.

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DA TALETE A EUCLIDE

VIII - Angolo piano è la mutua inclinazione di due linee giacenti in un piano e aventi un estremo comune, ma non poste per diritto. IX - Se le linee che contengono l'angolo sono rette, l'angolo si chiama rettilineo. X - Se una retta, innalzata su un'altra, forma angoli uguali tra loro, ciascuno degli angoli uguali è retto, e la linea retta si chiama perpendicolare all'altra. XI - È ottuso l'angolo che è maggiore del retto. XII - È acuto l'angolo che è minore del retto. XIII - Termine è ciò che è estremo di qualche cosa. XIV Figura è ciò che è compreso da uno o più termini. XV - Cerchio è la figura piana compresa da una sola linea, tutte le rette condotte alla quale da un punto situato all'interno della figura sono tra loro uguali. XVI - E quel tal punto si chiama centro del cerchio. XVII - Diametro del cerchio è una retta condotta per il centro e terminata da ambo le parti sulla circonferenza del cerchio: esso divide per metà il cerchio. XVIII - Semicerchio è la figura compresa tra il diametro e l'arco di cerchio da esso limitato. Centro del semicerchio è lo stesso punto che è centro del cerchio. XIX - Figure rettilinee son quelle comprese tra linee rette: trilatere quelle comprese fra tre, quadrilatere quelle comprese fra quattro, multilatere quelle comprese fra più di quattro rette. XX - Delle figure trilatere il triangolo equilatero è quello che ha tre lati uguali, l'isoscele è quello che ha due soli lati uguali, lo scaleno è quello che ha i tre lati disuguali. XXI - Delle figure trilatere, inoltre, il triangolo rettangolo è quello che ha un angolo retto, l'ottusangolo è quello che ha un angolo ottuso, l'acutangolo è quello che ha i tre angoli acuti. XXII - Delle figure quadrilatere il quadrato è quella che è equilatera ed ha gli angoli retti, il rettangolo è quella che ha gli angoli retti, ma non è equilatera, il rombo è quella che è equilatera, ma n011 ha gli angoli retti, il romboide è quella che ha i lati e gli angoli opposti uguali tra

(;U

ELEMENTI JJI EUCLIDE

21

loro, ma nè è equilatero nè ha gli angoli retti: gli altri quarlrilateri si chiamano trapezi. XXIII - Parallele sono le rette che, giacendo sullo stesso piano e prolungate indefinitamente da una parte e dall'altra, non s'incontrano da alcuna parte.

b) I

POSTULATI (oct't"~(LOC't"IX) 2.

I - Si chiede che da un qualunque punto ad un qualunque (altro) punto si possa condurre una linea retta. II - E che la linea retta terminata possa essere prolungata continuamente. III - E che con ogni centro ed ogni distanza (= raggio) si possa descrivere un cerchio. IV - E che tutti gli angoli retti siano uguali tra loro. V - E che se una retta, cadendo su altre due, forma due angoli interni dalla stessa parte minori di due retti 3, le due rette, prolp.ngate indefinitamente, s'incontrino da quella parte dove gli angoli sono minori di due retti. (Postulato delle parallele, o Postulato di Euclide propriamente detto) 4.

c) LE

NOZIONI COMUNI (KOLVIX.~ tVVOLOCL).

I - Le cose che sono uguali ad una stessa sono anche uguali tra loro. II - E se a cose uguali si aggiungono cose uguali, i totali sono uguali. III - E se da cose uguali si sottraggono cose uguali, residui sono uguali. VII - E le cose che coincidono tra loro sono uguali. VIII - E il tutto è maggiore dc·lla parte. • A. FRA]ESE, Lu matemuticu, op. cit., p. iS5 S~. a Cioè: due angoli coniugati interni la cui somma sia minore di due retti. 4 A. FRAJESE, La matematica, op. cit., p. 99.

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PA TALETE A EUCLlPE

d)

LE PROPOSIZIONI 16 E 17 DEL LIBRO

1.

I, 16 - In ogni triangolo, prolungato uno dei lati, l'angolo esterno è maggiore di ciascuno degli angoli interni e opposti.

z

A

D

Fig.

L

Sia il triangolo ABG, e si prolunghi il lato BG fino al punto D. Dico che l'angolo esterno AGD è maggiore di ciascuno degli angoli interni e opposti GBA, BAG. Si tagli AG per metà in E, e condotto BE si prolunghi per diritto verso Z, e si ponga EZ uguale a BE, si conduca la ZG e si prolunghi AG verso H. Poichè AE è uguale a EG, e la BE è uguale a EZ, le due AE, EB sono uguali alle due GE, EZ, ciascuna a ciascuna; e l'angolo AEB è uguale all'angolo ZEG: sono infatti opposti al vertice. Perciò la base AB è uguale alla base ZG, e il triangolo ABE è uguale al triangolo ZEG, e i rimanenti angoli sono uguali ai rimanenti angoli ciascuno a ciascuno, quelli opposti ai lati uguali. Dunque l'angolo BAE è uguale all'angolo EGZ. Ma l'angolo EGD è maggiore di quello EGZ: dunque l'angolo AGD è maggiore di quello BAE.

GLI ELEMENTI DI' EUCLIDE

23

Similmente, divisa BG per metà, (si vedrà che) l'angolo BGH, cioè quello AGD&, è maggiore dell'angolo ABG. Dunque in qualunque triangolo, prolungato uno dei lati, l'angolo esterno è maggiore di ciascuno degli angoli interni ed opposti: ciò che si doveva dimostrare.

I, 17 - I n ogni triangolo due angoli, comunque addizionati, fan meno di due retti. A

Fig.

2.

Sia il triangolo ABG. Dico che due angoli del triangolo ABG, in qualunque modo addizionati, fan meno di due retti. Si prolunghi infatti BG in D. E poichè nel triangolo ABG l'angolo AGD è esterno, esso è maggiore dell'angolo interno ed opposto ABG. Si aggiunga in comune l'angolo AGB: gli angoli AGD e AGB presi insieme superano gli angoli ABG, BGA presi insieme. Ma i due angoli AGD, AGB (presi insieme) sono uguali a due retti: dunque i due angoli ABG, BGA (presi insieme) fanno meno di due retti. Similmente dimostreremo che anche gli angoli BAG, AGB fan meno di due retti, e cosÌ pure gli angoli GAB, ABG. , Ad esso uguale. perchè opposto al vertice.

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DA TALETE A EUCLIDE

Dunque in ogni triangolo due angoli, comunque presi insieme (= addizionat~) fan meno di due retti: ciò che si doveva dimostrare. Le due proposizioni z6 e I7 del libro I degli Elementi sono forse opera personale di Euclide, come è possibile congetturare in base a notevoli dati di fatto. L'affermazione suddetta non rechi meraviglia: infatti gli Elementi costituiscono un punto d'arrivo nello sviluppo della matematica elementare greca, e quindi Euclide necessariamente utilizza, nella sua trattazione, i risultati raggiunti dai suoi predecessori. Così, ad esempio, sembra che buona parte del libro V degh Elementi (dedicato alla teoria delle proporzioni tra grandezze) sia dovuta al matematico Eudosso di Cnido, contemporaneo di Platone. e che pure buona parte del libro X (dedicato alla teoria degli irrazionali quadratici) sia dovuta al matematico Teeteto di Atene, che pure di Platone fu contemporaneo. Ma, come s'è detto, le proposizioni sopra riportate, così com.fUa __s(ste'f1Jtl:z.ion-.e della teoria delle parallele del libro I, sembra possano essere considerate opera personale di Euclide. Eppure la I, I6 e la I, I7 costituiscono due proposizioni di geometria non-euclidea, sia pure in senso ristretto: ossia le due suddette proposizioni prescindono dal postulato V, o postulato delle parallele, o postulato di Euclide propriamente detto. Certamente Euclide non nega la validità del suo V postulato (come avviene nelle moderne geometrie non-euclidee), ma mostra fino a quali risultati possa giungersi senza utilizzare 'il postulato stesso. I due risultati sono: I) che un angolo esterno di qualunque triangolo è maggiore di ciascuno degli angoli interni non adiacenti; 2) che la somma di due angoli di qualunque triangolo è minore di due retti. Ora qui di seguito diamo la proposizione 32 del libro l, nella quale viene invece utilizzato· il V postulato (siamo ivi dunque in piena geometria euclidea). Detta proposizione 32 comprende in sè tanto la I, z6 quanto la I, I7 e dice più di

GLI ELEMENTI DI EUCLIDE

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queste due proposizioni: ciò tuttavia (ripetiamo) utilizzando quel V postulato, dal quale, invece, la I, I6 e la I, I7 prescindono. La proposizione I, 32 dice infatti che in ogni triangolo un angolo eçterno è uguale alla somma dei due angoli interni ed opposti (ed è quindi evidente che è maggiore di ciascuno di essi, I, I6) e che la somma di tutti e tre gli angoli di qualunque triangolo è uguale a due retti (sicchè la somma di due soli angoli risulta minore di due retti, I, I7). e)

UN TEOREMA EUCLIDEO FONDAMENTALE.

Si tratta della proposizione I, 32 della quale sopra abbiamo trattato. Eccola:

I, 32 - In ogni triangolo, prolungato uno dei lati, l'angolo esterno è uguale ai due angoli (= è uguale alla:Somma dei due angoli) interni ed opposti, e gli angoli interni del triangolo sono uguali (addizionati insieme) a__ due retti. Sia il triangolo ABG, e si prolunghi il suo lato BG fino a D: dico che l'angolo esterno AGD è uguale ai due angoli interni e opposti GAB, ABG (ossia è uguale alla loro somma), e che i tre angoli interni del triangolo, ABG, BGA, GAB sono uguali a due retti (ossia che la loro somma è uguale a due retti). Si conduca per il punto G la GE parallela alla retta AB. E poichè la AB è parallela alla GE, e su di esse cade la AG, gli angoli alterni BAG, AGE sono uguali tra loro. Inoltre, poichè la AB è parallela alla GE, e Sll di esse cade la retta RD, l'angolo esterno EGD è uguale all'angolo interno ed opposto ARG.6 Ma s'è già dimostrato c1w l'angolo AGE • Oggi chiamiamo corrispo'ndenti angoli come EGD " ABG. mentre chiamiamo alterni interni angoli come BAG e AGE. Che rette parallele, tagliate da una trasversale, formino angoli corrispondenti uguali, ed angoli alterni interni uguali, è dimostrato da Euclide nella I, 29 aPPlicando il V post1llato.

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DA TALETE .4 EUCLIDE

è uguale all'angolo BAG: dunque tutto l'angolo AGD è uguale ai due angoli (= alla somma dei due angoli) interni ed opposti BAG, ABG. Si aggiunga in comune l'angolo AGB: gli angoli AGD, AGB (presi insieme) sono uguali ai tre angoli ABG, BGA,

A

E

IJ Fig. 3.

GAB (presi insieme). Ma gli angoli AGD, AGB (presi insieme) sono uguali a due retti, dunque anche i tre angoli AGB, GBA, GAB (presi insieme) sono uguali a due retti. Dunque in ogni triangolo, prolungato uno dei lati, l'angolo esterno è uguale ai due angoli (= alla somma dei due angoli) interni e opposti, e i tre angoli interni del triangolo, presi insieme, sono uguali a due retti, ciò che si doveva dimostrare. I) IL

TEOREMA DI PITAGORA.

È a tutti noto il teorema di Pitagora Sttl triangolo rettangolo: il quadrato dell'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati dei cateti. Euclide lo espone nella penultima proposizione del libro I, cioè nella quarantasettesima (l'ultima proposizione, cioè la quarantottesima, dello stesso Ubro I, è l'in-

GLI 'ELEMENTI DI EUCLIDE

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verso del teorema di Pitagora: se in un triangolo si verifica che il quadrato costruito su uno dei lati equivale alla somma dei quadrati costruiti sugli altri due lati, il triangolo è rettangolo). Sembra che la dimostraJ.ione offerta da Euclide s1:a proprio sua opera personale.' Ma che, oltre due secoli prima di Eudide, il teorema sia stato effettit'amente scoperto da Pitagora, è cosa assai dubbia, dato che l'attribuzione relativa si trova presso autori assai tardi (Plutarco, Diogene Laerzio, Ateneo). D'altra parte, la conoscenza del teorema sembra appartenere anche a geometrie pre-elleniche. Il caso particolare del triangolo rettangolo isoscele si trova esposto nel dialogo Menone di Platone, in relazione al problema della duplicazione del quadrato, e viene da noi riPortato (ved. Parte II).

I, 47 - Nei triangoli rettangoli il quadrato costruito sul lato che sottende t'angolo retto 8 è uguale 9 alla somma dei quadrati comprendenti l'angolo retto. Sia il triangolo rettangolo ABG avente l'angolo retto BAG: dico che il quadrato di BG è 2tguale ai quadrati, presi insieme, di BA e AG. Si costruiscano infatti il quadrato BDEG di BG, c i quadrati BH di BA, TG di AG e per A si conduca la AL parallela a ED, GE; e si conducano inoltre la AD e la ZG. E poichè ciascuno degli angoli BAG, BAH è retto, con la retta BA per il punto A le due rette AG, AH non giacenti dalla stessa parte (rispetto a BA) formano angoli uguali 7 La dimostrazione presenta come motivo fondamentale la divisione del quadrato dell'ipotenusa in due rettangoli, ciascuno dei quali risulta equivalente al quadrato di uno dei cateti. E la propo~izione che ciascun rettangolo equivalga al quadrato d'un cateto viene ancor oggi comunemente chiamata Teorema di Euclide. a $ che sottende D traduce' la parola greca U7tOTe:tVOUO'IX, da 'cui è derivato il nostro termine ipotenusa, • uguale = tooç significa per Euclide «uguale in grandezza ") (= equivalente).

DA TALETE A EUCLIDE

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(presi insieme) a due retti: dunque GA e AH sono sulla stessa retta. Per gli stessi motivi anche BA, AT sono sulla stessa retta. T

K

2

Fig. 4.

E poichè l'angolo DBG è uguale all'angolo ZBA, essendo retti ambedue, si aggiunga in comune l'angolo ABG. Allora tutto l'angolo DBA è uguale a tutto l'angolo ZBG. E poichè DB è uguale a BG e inoltre ZB è uguale a BA, i due lati DB, BA sono rispettivamente uguali a BG, ZB, e l'angolo DBA è uguale all'angolo ZBG, segue che la base AD è uguale alla base ZG, e che il triangolo ABD è uguale al triangolo

(;U b'LEMENTI DI EUCLIDE

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ZBG. Ma il doppio del triangolo ABD èil paral1elogrammo BL: hanno infatti (triangolo e parallelogrammo) la stessa base BD e sono compresi entro le stesse parallele BD, AL. I noltre il doppio del triangolo ZBG è il quadrato RB: hanno infatti (triangolo e quadrato) la stessa base ZB e sono compresi entro le stesse parallele ZB, RG. Dunque il parallelogrammo BL è uguale al quadrato RE. Condotte le rette AE, BK, similmente dimostreremo che il parallelogrammo GL è uguale al quadrato TG. Segue che tutto il quadrato BDEG è uguale all'insieme dei due quadrati RE, TG. Ma il quadrato BDEG è costruito su BG, i quadrati RB, TG sono costruiti su BA, AG. Quindi il quadrato costruito sul lato BG è ug~tale ai due quadrati (presi insieme) costruiti sui lati BA, AG. Dunque nei triangoli rettangoli il quadrato costruito sul lato che sottende l'angolo retto è uguale ai due quadrati (presi insieme) costruiti sui lati comprendenti l'angolo retto: ciò che si doveva dimostrare. g)

LE PRIME DEFINIZIONI DEL LIBRO

V.

Il libro V degli Elementi di Euclide è dedicato, come già è stato detto, alla teoria delle proporzioni tra grandezze. Ivi Euclide attinge alla teoria svolta, qualche decennio prima, da Eudosso di Cnido, pure rimaneggiando, a quanto è dato di scorgere, la teoria stessa secondo le proprie vedute ed il proprio gusto espositivo. Il libro V ha inizio con un gruppo di diciotto definizioni, delle quali ci limitiamo a riportare le prime sette. Tra queste sono particolarmentt' importanti le definizùlili quarta e ql~inta. La definizione qllarta limita la considerazione del rapporto tra due grandezze omogenee solo al caso in cui una di esse, moltiplicata, superi l'altra, cioè soltanto al caso in cui le grandezze soddisfino a quel postulato, che sembra dovuto a Eudosso, ma che i tardi posteri (con O. Stolz) hanno chiamato postulato di Archimede, per l'amPio uso che ne fece nelle sue opere il grande Siracusano.

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DA TAT..ETE A EUCUDE

La definizione quinta stabilisce quando si dice che due grandezze sono nello stesso rapporto di altre due (cioè, in sostanza, è la definizione di proporzione). Si tratta di una definizione necessariamente complicata, dal momento che essa vale tanto per copPie di grandezze commensurabili, quanto per copPie di grandezze incommensurabili. lO Essa, pertanto, non risponde ad una immediata intuizione di uguaglianza di rapporti: sotto tale aspetto venne criticata, come vedremo, da Galileo. Definizione I - Una grandezza minore è parte di una grandezza maggiore se (la minore) misura la maggiore. Definizione II - Multiplo è il maggiore del minore se è misurato dal minore. Definizione III - Rapporto (ì\6yoç) di due grandezze omogenee è un certo modo di comportarsi secondo la quantità. Definizione IV - Si dice che hanno rapporto tra loro le grandezze tali, che l'una di esse, moltiplicata, possa superare l'altra. Definizione V - Si dice che le grandezze sono nello stesso rapporto, la prima rispetto alla seconda e la terza rispetto alla quarta, se gli equimultipli della prima e della terza, rispetto agli equimultipli della seconda e della quarta, sono ordinatamente o insieme maggiori, o insieme uguali, o insieme minori. n Definizione VI - Le grandezze aventi lo stesso rapporto si dicono in proporzione (&.vcXÀoyov).

lO Vale a dire per grandezze che non ammettono alcuna misura comune, cioè alcun sottomultiplo comune. Tali sono, ad esempio, il lato e la diagonale di qualsiasi quadrato: non esiste cioè alcun segmento di retta, per quanto piccolo, che sia contenuto esattamente un numero intero di volte tanto nel lato quanto nella diagonale di qualunque quadrato. 11 Cioè: a : b = c : d se, in qualunque modo si scelgano due numeri interi m, n, secondo si abbia ma maggiore, uguale o minore di nb è corrispondentemente mc maggiore, uguale o minore di mi.

(;U E/,EMENTl DI EUCLIDE

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Definizione \'II - Se degli equimultipli 12 quello della prima (grandezza) supera quello della seconda, mentre quello della terza non supera quello della quarta, si dice che la prima grandezza ha rispetto. alla seconda rapporto maggiore di quello che la terza ha con la quarta.

11

Equimultipli della prima e della terza grandezza, ad esempio

ma, mc, ed equimultipli della seconda e della quarta grandezza, ad esempio nb, nà.

4 LA CRITICA DI GALILEO ALLA DEFINIZIONE DI PROPORZIONE DI EUCLIDE

Galileo Galilei (IS64-I642) nella sua opera: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, inserisce un «princiP1:o di giornata aggiunta ~ (giornata quinta) che s'intitola: « Sopra le definizioni delle proporzioni di Euclide~. [vi Galileo critica aspramente la definizione quinta del libro V degli Elementi di Euclide, cioè quella di rapporti uguali. Ed è notevole che tutti e tre gli interlocutori (Salviati, Sagredo, SimPlicio) si trov1:no d'accordo. È Sagredo che propone la questione: «Proporrò a V. S. uno scrupolo mio antico . .. Questa è una certa ambiguità che io ho sempre avuta nella mente i-ntorno alla quinta... definizione del V Ubro d'Euclide l). E 1:1 buon SimPlicio rincalza: «Non ebbi mai il Più duro ostacolo di questo in quella poca geometria che Ùl studiai già nelle scuole da giovanetto~. E Salviati: «[o poi confesso che per q1-1alche anno dopo aver studiato il V libro d'Euclide, restai involto con la mente netla stessa caligine l). È qui evidente, come si vede del resto ancor meglio dal seguito del brano, che ci si trova di fronte ad un' affermazione di carattere autobiografico: la famosa quinta definizione non garbò a Galileo in persona. L'attacco di Galt"leo si svolge essenzialmente sul Piano didattico-espositivo. La definizione euclidea sembra a Galileo talmente fuori dell'int1~izione, che egli ne propone una nuova_ 111a tale nuova definizione non soddisfa alle esigenze del rigore matematico, contrariamente alla formalmente perfettissima definizione euclidea. Galileo, in sostanza, vuole interpretare la definizione nel senso dei procedimenti di misura: cerca una parte d1' 1/11,(1 {;mntfez''XI che sia contenuta n-eli' altra_

l,A CRITICA DI GALILEO

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e se vi è un resto pensa di poterlo rendere Piccolo a Piacere. Si legge a questo proposito nell' edizione di Enriques dell'Euclide: l « Siffatte considerazioni non possono ritenersi estranee al pensiero di Eudosso e di Euclide, i quali per certo hanno cominciato col misurare le grandezze così come noi lo facciamo; e soltanto per le esigenze della formulazione rigorosa della dottrina furono condotti ad una definizione astratta, che si allontana alquanto dai procedimenti Più naturali. GalilBo rappresenta dunque, di fronte ad Euclide, un pensiero meno critico e raUinato; e tuttavia il ricorso storico è interessante, per la comprensione dei progressi dello spirito umano; una epoca creatrice come quella a cui appartiene Galileo deve riPrendere i conc,etti risalendo al loro significato originario e risuscitandone la virtù di sviluppo,' al di là della forma Più perfetta imposta dal rigore logico». Salviati - Grandissima è la consolazione ch'io sento nel vedere, dopo l'interposizione di qualch'anno, rinnovata in questo giorno la nostra solita adunanza. So che l'ingegno vivace del Sig. Sagredo è tale cbe non sa stare in ozio: però mi persuado che egli non avrà mancato di fare, nel tempo della nostra lontananza, qualche reflessione sopra le dottrine del moto, le quali furon lette nell'ultima giornata de' nostri passati colloqui. lo, che dalla virtuosa conversazione di V. S., ed anco del nostro Sig. Simplicio, ò sempre raccolto frutti. di non volgare erudizione, la prego a voler proporre qualche nuova considerazione sopra le cose del nostro Autore già lette da noi: cosi daremo principio a gli usati discorsi, per passare questa giornata nell'occupazione di virtuoso trattenimento. Sagredo - Non nego a V. S. che in questi anni mi sieno passati per la fantasia vari pensieri sopra le novità dimostrate da quel buon Vecchio intorno alla sua scienza del moto, sottoposta e ridotta da lui alle dimostrazioni della Gli Elementi di Euclide e la critica antica e moderna, editi da col concorso di diversi collaboratori: voI II, Bologna 1930; libro V, per cura di M. T. Zapelloni, p. 13. 1

FEDERIGO ENRIQUES

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DA TALETE A EUCLIDE

geometria. Ed ora, poichè ella così comanda, proccurerò di rammentarmi qualche cosa, e darò a lei occasione di beneficare il mio 'ntelletto co' suoi dotti ragionamenti. Per cominciar dunque per ordine dal principio del trattato de' moti, proporrò a V. S. uno scrupolo mio antico, rinnovatomi nel considerare la dimostrazione che 1'Autore apporta nella sua prima proposizione del moto equabile, la quale procede (come molte altre degli antichi e moderni scrittori) per via degli ugualmente multiplici. Questa è una certa ambiguità che io ò sempre avuta nella mente intorno alla quinta, o come altri vogliono sesta, difinizione del V libro d'Euclide. Stimo mia somma prosperità d'aver potuto incontrare occasione di conferir questo dubbio con V. S., del quale spero dover restar totalmente liberato. SimPlicio - Anzi che io ancora riconoscerò questo nuovo abboccamento colle SS. VV. per benefizio singolare della fortuna, se mi succederà di poter ricever qualche luce intorno a questo punto accennato dal Sig. Sagredo. Non ebbi mai il più duro ostacolo di questo in quella poca di geometria che io studiai già nelle scuole da giovanetto; però ella s'immagini quanto sia per dovermi esser caro, se dopo tanto tempo sentirò intorno a questo particolare qualche cosO! di mia soddisfazione. Sagredo - Dico dunque, che avendo sentito, nel dimostrar la prima proposizione dell'Autore intorno al moto equabile, adoprarsi gli ugualmente multiplici conforme alla quinta, ovvero sesta, difinizione del V libro d'Euclide, ed avendo io un poco di dubbio già antiquato intorno a questa difinizione, non restai con quella chiarezza che io avrei desiderato nella predetta proposizione. Ora mi sarebbe pur caro il poter intender bene quel primo principio, per poter poi con altrettanta evidenza restar capace delle cose che seguono intorno alla dottrina del moto. Salviati - Proccurerò di soddisfare al desiderio di V. S., con addomesticare in qualche altra maniera quella difinizione d'Euclide e spianar la strada, per quanto mi sarà possibile, all'introduzione delle proporzionalità. In tanto sappia pure di aver avutCJ per compagni in questa ambi-

lA CRITICA DI GALILEO

3S

guità nomini di gran valore, i quali per lungo tempo sono stati con la medesima poca soddisfazione con la quale V. S. mi dice di ritrovarsi fino a questo giorno. lo poi confesso che per qualche anno dopo aver istudiato il V libro d'Euclide, restai involto con la mente nella stessa caligine. Superai finalmente la. difficultà, quando, nello studiare le maravigliose Spirali d'Archimede, incontrai nel bel principio del libro una dimostrazione simile alla predetta del nostro Autore. Quell'eccasione mi fece andar pensando, se per fortuna ci fosse altra strada più agevole, per la quale si potesse arrivare al medesimo fine ed acquistare per me, ed aneo per altri, qualche precisa cogTJ.izione nella materia delle proporzioni: però applicai allora l'animo con qualche a.ttenzione a questo proposito, ed esporrò adesso quanto fu da me speculato in quell'opportunità, sottoponendo ogni mio progresso al purgatissimo giudizio delle SS. VV. Suppongasi primieramente (come le suppose anco Euclide, mentre le defini) che le grandezze proporzionali si trovino: cioè, che date in qualunque modo tre grandezze, quella proporzione, o quel rispetto o quella relazione di quantità, che à la prima verso la seconda, la stessa possa averla und terza verso una quarta. Dico poi, che per dare una difinizione delle suddettE' grandezze proporzionali la quale produca nell'anime del lettore qualche concetto aggiustato alla natura di esse grandezze proporzionali, dovremmo prendere una delle loro passioni, ma però la più facile di tutte e quella per appunto che si stimi la più intelligibile anco dal volgo non introdotto nelle matematiche. Cosi fece Eucl;de stesso in molt'altri luoghi. Sovvengavi che egli non disse, il cerchio essere una figura piana, dentro la quale segandosi due lineè rette, il rettangolo sotto le parti dell'una sia sempre uguale al rettangolo sotto le parti dell'altra; ovvero, dentro la quale tutti i quadrilateri abbiano gli angoli opposti uguali a due retti. Quand'anche cosi avesse detto, sarebbero state buone difinizioni: ma mentre egli sapeva un'altra passione del cerchio, più intelligibile della precedente e più facile da formarsene concetto, chi non s'accorge che egli fece assai meglio a mettere avanti quella

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DA TALETE A EUCLIDE

più chiara e più evidente come difinizione, per cavar poi da essa quell'altre più recondite e dimostrarle come conclusioni? Sagredo - Per certo che così è: ed io credo che rari saranno gl'ingegni i quali totalmente s'acquetino a questa difinizione, se io con Euclide dirò così: Allora quattro grandezze sono proporzionali, quando gli ugualmente multiplici della prima e della terza, presi secondo qualunque multiplicità, si accorderanno sempre nel superare, mancare o pareggiare gli ugualmente multiplici della seconda e della quarta. E chi è quello d'ingegno tanto felice, il quale abbia certezza che allora quando le quattro grandezze sono proporzionali, gli ugualmente multiplici s'accordino sempre? Ovvero chi sa che quegli ugualmente multiplici non s'accordino sempre anco quando le grandezze non sieno proporzionali? Già Euclide nelle precedenti difinizioni aveva detto, la proporzione fra due grandezze essere un tal rispetto o relazione tra di loro, per quanto si appartiene alla quantità. Ora, avendo il lettore concepito già nell'intelletto che cosa sia la proporzione tra due grandezze, sarà difficil cc. sa che egli possa intendere che quel rispetto o relazione che è fra la prima e la seconda grandezza, allora sia simile al rispetto o relazione che si trova fra la terza e la quarta grandezza, quando quegli ugualmente multiplici della prima e della terza s'accordan sempre nella maniera predetta con gli ugualmente multiplici della seconda e della quarta, nell'esser sempre maggiori, o minori, o uguali. Salviati - Comunque ciò sia, parmi questo d'Euclide più tosto un teorema da dimostrarsi, che una difinizione da premettersi. Però, avend'io 'ncontrato tanti ingegni i quali ànno arrenato in questo luogo. mi sforzerò di seccndare con la difinizione delle proporzioni il concetto universale degli uomini anche ineruditi nella geometria. e procederò in questo modo. Allora noi diremo quattro grandezze esser fra loro proporzionali, cioè aver la prima alla seconda la stessa proporzione che à la terza alla quarta, quando la prima sarà eguale

lA CRITICA DI GALILEO

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alla seconda e la terza ancora sarà eguale alla quarta; ovvero quando la prima sarà tante volte multiplice della seconda, quante volte precisamente la terza è multipli ce della quarta. Troverà dubbio a1cuno il Sig. Simplicio nell'intender q lesto? SimPlicio - Certo che no. Salviati - Ma perchè non semple accadrà che fra le quattro grandezze si trovi per appunto la predetta egualità ovvero multiplicità precisa, procederemo più oltre, e domanderò al Sig. Simplicio: Intepdete voi che le quattro grandezze allora sieno proporzionali, quando la prima contenga, per esempio, tre volte e mezzo la seconda., ed anco la terza contenga tre volte e mezzo la quarta? SimPlicio - Intendo benis"imo fin qui, ed ammetto che le quattro grandezze sieno proporzionali non solo nel caso esemplificato da V. S., ma ancora secondo qualsivoglia al-tra denominazione di muItiplicità, o superparziente, o S11perpartLoL.re. Salviati - Per raccoglier dunque ora in breve e con maggiore universalità tutto quello che si è detto ed esemplificato fin qui, direm(, che: Allora noi intendiamo quattro grandezze esser proporzionali fra loro, quando l'eccesso della prima sopra la seconda (qualunqne egli sia) sarà simile all'eccesso delle. terza sopra la quarta. SimPlicio - Fin qui io non avrei difficultà: ma mi pare che V. S. in questa maniera non apporti la difinizione delle grandezze proporzionali se non quando le antecedenti saranno maggiori delle loro conseguenti, poichè ella suppone che la prima ecceda la seconda e che anco la terza ecceda similmente la quarta. Ma ora interrogo io: come dovrò governarmi quando le antecedenti sieno minori delle loro conseguenti? Salviati - Rispondo, che quando V_ S. avrà le quattro srandezze in tal modo che la prima sia minor della seconda e la terza minor della quarta, allora sarà ]a seconda maggior della prima e la quarta maggior della terza: però V. S. Je consideri con quest'ordine inverso, e s'immagini che la se-

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DA TALETE A EUCLIDE

conda sia prima e la quarta sia terza. CosÌ avrà le antecedenti maggiori delle conseguenti, e non avrà bisogno di cercare allora difinizione diversa dalla già apportata da noi. Sagredo - Cosi è per appunto. Ma segniti V. S., per grazia, col prcsnpposto già fatto, di considerare sempre le antecedenti maggiori delle loro conspguenti, il che mi pare c:he faciliti assai a lei il discorso ed a poi l'intelligenza. Salviati -- Stabilita qnesta per difinizione, soggiugnerò anco in qual altro modo s'intendano quattro grandezze esser fra loro proporzionali; ed è questo. Quando la prima per avere alla seconda la medesima proporzione che la terza alla quarta non è punto nè maggiore nè minore di quello che ella dovrebbe essere, allora s'intende aver la prima alla seconda la medesima proporzione che à la terza alla quarta. Con questa occasione di finirei ancora la proporzione maggiore, e direi cosÌ: Ma quando la prima grandezza sarà a.lquanto più grande di quel che ella dovrebbe essere per avere alla seconda la medesima proporzione che à la terza alla quarta, allora voglio che convenghiamo di dire che la prima abbia maggiore proporzione alla sec.onda, di quella che à la terza alla quarta. Sagredo - Fin ora intendo benissimo il concetto di V. S. e l'introduzione con la quale ella dà principio alla speculazione delle proporzionali. Parmi ora che ella si sia messa in obbligo di adempiere una delle due cost': cioè, o di dimostrare con questi suoi principi tutto il V d'Euclide, ovvero di dedurre da queste due difinizioni, poste da V. S., quell'altre due che Euclide mette per quinta e per settima fra le difinizioni, sopra le quali poi egli fonda tutta la macchina del medesimo V libro. Se V. S. dimostrerà queste come conclùSioni, non mi resterà più che desiderare intorno a questa materia. Salviati -. Que!'ta per appunto è l'intenzion mia: poic.hè quando si comprenda con evidenza, che date quattro grandezze proporzionali conforme alla medesima difinizione, gli ugualmente multiplici della prima e della t('fZU s'accordano

LA CRITICA DI GALILEO

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eternamente per necessità in pareggiare o mancare o eccedere gli ugualmente multiplici della seconda e quarta, allora senz'altra scorta si può entrare nel V libro d'Euclide e si possono 'ntender con evidenza i teoremi delle grandezze proporzionali. Cosi ancora, se con la posta difinizione della proporzion maggiore dimostrerò che in qualche caso, presi gli ugualmente muItiplici della prima e della terza ed anco della seconda e della quarta, quel della prima ecceda quel della seconda, ma quel della terza non ecceda quel della quarta, si potrà con questa dimostrazione scorrere gli altri teoremi delle grandezze sproporzionali, poichè questa no:-;tra condusione sarà per appunto la difinizione della quale, come per principio, si serve Euclide stesso. SimPlicio - Quando io restassi persuaso di queste due passioni degli ugualmente multiplici, cioè che, mentre le quattro grandezze son proporzionali, quegli eternamente s'accordano nel pareggiare o eccedere o mancare, e che, quando le quattro grandezze non son proporzionali, quegli in qualche caso discordano, io per me non richiederei altra luce per intender con chiarezza tutto 'l quinto degli Elementi geometrici.

5 LA RIBELLIONE A EUCLIDE. LA « GÉOMÉTRIE» DI CLAIRAUT

Il trattato di Euclide domina, nell'insegnamento, attraverso i secoli nel campo della matematica elementare. Già abbiamo trovato, nel brano precedente, l'opposizione energica di Galileo alla definizione euclidea di proporzione: circa un secolo dopo troviamo la ribellione Più aperta col grande matematico Clairaut, che, coi suoi Elémens de géométrie del I745, rivoluziona le vie dell'insegnamento geometrico, staccandosi nettamente da Ef~clide e preparando la via al successivo compromesso dei trattati di A. l'vI. Legendre. Riteniamo opportuno riportare la prefazione composta dal Clairaut per la sua opera, dandola nella lingua e nella scrittura originali per non sciuparne la freschezza. PRÉFACE

Quoique la Géométrie soit par elle-mème abstraite, il faut avouer ccpendant que les difficultés qu'éprouvent ceux qui commencent à s'y appliquer, viennent le plus souvent de la manière dont elle est enseignée dans les Elémens ordinaires. On y débute toujours par un grand nombre de définitions, de demandes, d'axiomes, & de principes préliminaires, qùi semblent ne promettre rien que de sec au Lecteur. Les propositions qui viennent ensuite ne fixant point l'esprit sur des objets plus intéressans, & étant d'ailIeurs difficiles à concevoir, il arrive communément que Ies Commençans se fatiguent & se rebutent, avant que d'avoir aucune idée distincte de ce qu'on vouloit Ieur enseigner.

LA RIBELLIONE A EUCLIDE

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Il est vrai que, pour sauver cette sécheresse, naturellement attaehée à l'étude de la Géométrie, quelques Auteurs ont imaginé de mettre à la suite de ehaque proposition essentielle, l'usage qu'on en peut faire pour la pratique; mais par-là ils prouvent l'utilité de la Géométrie, sans faciliter beaueoup les moyens de l'apprendre. Car ehaque proposition venant toujours avant son usage, l'esprit ne revient à des idées sensibles, qu' après avoir essuyé la fatigue de saisir des idées abstraites. Quelques réflexions que j'ai faites sur l'origine de la Géométrie, m'ont fait espérer d'éviter ces ineonvéniens, en réunissant les deux avantages d'intéresser & d'éclairer les Commençans. l'ai pensé que eette Seienee, eomme toutes les autres, devoit s'etre formée par dégrés; que e'etoit vraisemblablement quelque besoin qui avoit fait faire les premiers pas, & que ces premier pas ne pouvoient pas etre hors de la portée des Commençans, puisque e'étoient des Commençans qui les avoient faits. Prévenu de eette idée, je me suis proposé de remonter à ce qui pouvoit avoir donné naissanee à la Géométrie; & j'ai tA.ehé d'en développer les prineipes, par une méthode assez naturelle, pour etre supposée la meme que celle des premiers Inventeurs, observant seulement d'éviter toutes les fausses tentatives qu'ils ont néeessairement dti. faire. La mesure des Terreins m'a paru ce qu'il y avoit de plus propre à faire naltre les premières propositions de Géométrie; & c'est, en effet, l'origine de eette Scienee, puisque Géométrie signifie mesure de Terrein. Quelques Auteurs prétendent que les Egyptiens, voyant eontinuellement les bornes de leurs Héritages détruites par les débordements du Nil, jettèrent les premiers fondemens de la Géométrie, en eherehant les moyens de s'assurer exactement de la situation, de l'étendue & de la figure de leurs domaines. Mais quand on ne s'en rapporteroit pas à ees Auteurs, du moins ne sauroit-on douter que dès les premiers tems, les hommes n'ayent eherehé des méthodes pour mesurer & pour partager leurs Terres. Voulant dans la suite perfeetionner ees méthodes, les reeherehes particulières les eonduisirent peu-

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à~peu à des recherches générales; & s'étant enfin proposé de connottre le rapport exact de toutes sortes de grandeurs, ils formèrent une Science d'un object beaucoup plus vaste, que celui qu'ils avoient d'abord embrassé, & à laquelle ils conservérent cependant le nom qu'ils lui avoient donné dans son origine. Afin de suivre dans cet Ouvrage une route semblable à celle des Inventeurs, je m'attache d'abord à faire découvrir aux Commençans les principes dont peut dépendre la simpIe mesure des Terreins, & des distances accessibles ou inaccessibles, & c. De-là je passe à d'autres recherches qui ont une telle analogie avec les premières, que la curiosité natureHe à tous les hommes, les porte à s'y arreter; & justifiant ensuite cette curiosité par quelques applications utiles, je parviens à faire parcourir tout ce que la Géométrie élémentaire a de plus intéressant. On ne sauroit disconvenir, ce me semble, que cette méthode ne soit au moins propre à encourager ceux qui pourroient etre rebutés par la sécheresse des vérités géométriques, dénuées d'applications; mais j'espère qu'elle aura encore une utilité plus importante, c'est qu'eHe accoutumera l'esprit à chercher & à découvrir; car j'évite avec soin de donner aucune proposition sous la forme de théorèmes; c'est-à-dire, de ces propositions, où l'on démontre que telle ou telle vérité est, sans faire voir comment on est parvenu à la découvrir. Si les premiers Auteurs de JVIathématiques ont présentr leurs découvertes en théorèmes, ç'a été, sans doute, pour donner un air plus merveilleux à leurs productions, ou pom éviter la peine de reprende la suite des idées qui les avoiel1t cOl1duits dans leurs recherches. Quoi qu'il en soit, il m'a pam beaucoup plus à propos d'occuper continuellement mes Lecteurs à résoudre des problèmes; c'est-à-dire, à chercher les moyens de faire quelqu'opération, ou de découvrir quelque vérité inconnue, en déterminant le rapport qui est entre des grandeurs données & des grandeurs inconnlles, qll'on se propose de trouver. En suival1t cette voie, le.s Commençans apperçoivcnt, à chaquc pas qu'on leur fait

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faire, la raison qui détermine l'Inventeur; & par-Ià ils peuvent acquérir plus facilement l'esprit d'invention .. On me reprochera peut-etre, en quelques endroits de ces Elémens, de m'en rapporter trop au témoignage de yeux, & de ne m'attacher pas assez à l'exactitude rigoreuse des démonstrations. Je prie ceux qui pourroient me faire.un pareil reproche, d'observer que je ne passe légérement, que sur des propositions dont la vérité je découvre, pour peu qu'on y fasse attention. l'en use de la sorte, sur-tout dans Ics commencemens, où il se rencontre plus souvent des propositions de ce genre, parce que j'ai remarqué que ceux qui avoient de la disposition de la Géométrie, se plaisoient à exercer un peu leur esprit; & qu'au contraire, ils se rebutoient, lorsqu'on les accabloit de démonstrations, pour ainsi dire, inutiles. Qu'Euclide se donne la peine de démontrer, que deux cercles qui se coupent n'ont pas le meme centre, qu'un triangle renfermé dans un autre, a la somme de ses còtés plus petite que celle des còtés du triangle dans lequel il est renfermé; on n'en sera pas surpris. Ce Géomètre avoit à convaincre des Sophistes obstinés, qui se faisoient gIoire de se refuser aux vérités les plus évidentes: il falloit donc qu'alors la Géométrie eut, comme la Logique, le secours des raisonnemens en forme, pour fermer la bouche à la chicane. Mais les choses ont changé de face. Tout raisonnement qui tombe sur ce que le bon sens seuI décide d'avance, est aujourd'hui en pure perte, & n'est propre qu'à obscurcir la vérité, & à dégoftter les Lecteurs. Un autre reproche qu'on pourroit me faire, ce seroit d'avoir omis différentes propositions, qui trouvent leur piace dans les Elémens ordinaires, & de me contenter, lorsque je traite des propositions, d'en donner seulement les principes fondamentaux. A cela je réponds qu'on trouve dans ce Traité tout ce qui peut servir à remplir mon projet, que les propositions que je néglige, sont celles qui ne peuvent etre d'aucune utilité par elles-memes, & qui d'ailleurs ne sauroient contribuer à faciliter l'intelligence de celles don t il importe

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d'etre instruit: qu'à l'égard des proportions, ce que j'en dis, doit suffire pour faire entendre les propositions élémentaires qui les supposent. C'est une matière que je traiterai plus a fond dans les Elémens d'Algébre, que je donnerai dans la suite. Enfin, comme fai choisi la mesure des Terreins pour intéresser les Commençans, ne dois-je pas craindre qu'on ne conionde ces Elémens avec les Traités ordinaires d'Arpentage? Cette pensée ne peut venir qu'à ceux qui ne considéreront pas que la mesure des Terreins n'est point le véritable objet de ce Lhre, mais qu'elle me sert seulement d'occasion pour fai re dpcouvrir les principales vérités géométriques. J'aurois pu de meme, remonter à ces vérités, en faisant l'Histoire de la Physique, de l'Astronomie, ou ùe toute autre partie des Mathémathiques que j'aurois voulu choisir; mais alors la multitude des idées étrangères, dont il auroit fallu s'occuper, auroit comme étouffé les idées géométriques, ausquelles seuI es je devois fixer l'esprit du Lecteur.

6 IL RITORNO ALL'EUCLIDE

CON BETTI E BRIOSCHI

Come è stato accennato, dopo il traUatello rivoluzionario del Clairaut, il matematico A. M. Legendre attuò una sorta di compromesso coi suoi trattati di geometria elementare che, giunti anche in Italia attraverso acconce traduzioni, dominarono nella prima parte del secolo XIX il campo della trattatistica matematica elementare. Ma poco dopo la metà del secolo ecco il ritorno all'Euclide, con l'edizione dei matematici Betti e Brioschi, della quale riportiamo la significativa prefazione. E riportiamo, dopo, anche la prefazione del trattato successivo di Sannia e d'Ovidio, col quale ha inizio un atteggiamento di indipendenza rispetto agli Elementi di Euclide, sia pure solo nel senso di variare, di completare, di perfezionare.

PREFAZIONE DI ENRICO BETTI E FRANCESCO BRIOSCHI 1

Se, come scrisse Pascal nei suoi Pensieri, «la Géométrie seule sait les véritables règles du raisonnement, et, sans s'arreter aux règles des syllogismes qui sont tellement naturelles qu'on ne peut les ignorer, s'arrete et se fonde sur la véritable méthode de conduife le raisl.nnement en toutes choses que presque tout le monde ignore, et qu'il est avan1 Gli Elementi d'Euclide, con note, aggiunte ed esercizi ad uso de' Ginnasi e de' Licei, per cura dei professori Enrico Betti e Francesco Brioschi (ad es. 138 ristampa, Successori Le Monnier, Firenze 1883).

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tageux de savoir, que nous voyons par expérience qu'entre esprits égaux et toutes choses pareilles, celui qui a de la Géométrie l'emporte et acquiert une viguf'ur toute nouvelle I) 2 egli è indubitato che coloro i quali per debito d'ufficio sono chiamati a dirigere la educazione nazionale, come quelli a cui essa è affidata o ne fruiscono, hanno stretto obbligo di curare che l'insegnamento della geometria nella istruzione media raggiunga quell'alto fine che da Pascal con tanta efficacia era espresso. Se non che negli elementi della geometria non si cerca da molti soltanto il mezzo forse più acconcio di ginnastica intellettuale, ma bensì una conveniente preparazione a studi più alti nelle scienze matematiche od anche uno strumento che possa tornare utile nelle applicazioni. Di qui la grande varietà di metodi coi quali in ogni tempo ed in numerosi trattati furono esposti quegli elementi, secondo che indirizzavansi piuttosto ad uno che ad un altro scopo. Parve però ai sottoscritti, che sebbene, come soleva dire il Galileo, la geometria sia « maestra dell'onesto acquistare l'utile, il dilettevole, il bello ed il buono» pure in molte pubblicazioni nostrali e forestiere, le quali servono di guida ai giovani nello studio della geometria elementare, siasi fatta una dannosa confusione fra quegli scopi, e non siasi veduto che l'insegnamento matematico coordinato al sistema degli studii classici e destinato a far parte di un insegnamento comune, non può confondersi coll'insegnamento matematico inteso ad uno scopo professionale. Noi abbiamo per ora rivolta specialmente la nostra attenzione all'insegnamento matematico che si dà nelle scuole classiche, dalle quali debbono uscire giovani opportunamente preparati agli alti studi del diritto, della filologia, delle scienze di osservazione ed esperimentali, delle matematiche; ed abbiamo perciò dovuto domandarci se alla parte che !'insegnamento della geometria è destinato ad avere in questo lavoro di preparazione della mente del 2

De l'esprit géométrique, tomo T «Des Pensées, Fragments et

T.ettres cle Pnscnl

D,

Paris rR.l1.

Il, RITORNO ALL'EUCLIDE CON BETTI E BRIOSCHI

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giovane corrisponda l'indirizzo che nei nostri licei è dato all'insegnamento stesso. Ristringendoci all'insegnamento della geometria, non dubitiamo affermare che tanto il punto di vista metafisico nel quale si sono posti alcuni autori, considerandola come una scienza di ragionamento puro, quanto l'altro pel quale si fa quasi di essa una scienza applicata facendo seguire ad ogni proposizione l'uso pratico della medesima, sono da condannarsi perchè evidentemente contraddittorii agli scopi prefissi. Perciò dobbiamo lamentare che quell'inimitabile modello di logica e di chiarezza lasciatoci dai Greci negli Elementi d'Euclide sia stato pressoché abbandonato dalle nostre scuole, e siansi invece introdotti e raccomandati libri nei quali esagerandosi il metodo di Legendre, 3 al rigore del ragionamento si è sostituito il meccanismo del processo aritmetico. La suprema accuratezza d'Euclide 4 non è più apprezzata nelle nostre scuole, e vi si preferiscono dimostrazioni inesatte di proprietà, le quali non ponno esserci rivelate che dai sensi, a quegli assiomi e postulati che il Galileo giudicava «domande cosi oneste e concedibili che se la fabbrica della geometria veniva inalzata sopra tali fondamenti, non poteva essere che fortissima e stabilissima ». In Euclide, scrive il sig. Roiiel, nel rimarchevole opuscolo che citammo più sopra, « in Euclide, la Geometria forma una scienza completa, che basta a se stessa e non invoca da nessuna parte nelle sue dimostrazioni il soccorso della scienza dei nwneri l). Che se qualche appunto fu fatto agli Elementi di Euclide, se, come osserva Clairaut: « C:e Géomètre avoit à convaincre des sophistes obstinés, qui se faisoient gIoire de se refuser aux vérités les plus évidentes: il falloit donc qu'alors la Géométrie eut, comme la Logique, le secours des raisonnements en forme pour fermer la bouche à la chicane Il, 3 HOUEL, Essai critique sur les princiPes fondarnentaux de la Géométrie élémentaire, Paris 1867. DUHAMEL, Des méthodes dan,ç les sciences de raisonnement, 2e Partie, 1866. • Dialoghi delle Nuove Scienge. Giornata quinta.

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se perciò fu costretto di fare continuo uso del ragionamento indiretto che non sempre s'accorda colla maggiore semplicità della dimostrazione, pure nè questa, nè qualche altra lieve menda varranno a modificare od a diminuire in alcun modo gli effetti che dallo studio di quel libro ci aspettiamo, di svegliare, cioè, nei nostri giovani il gusto delle nozioni nettamente determinate e l'abitudine del rigore nel raziocinio. Novembre I867. PREFAZIONE DI SANNIA E D'OVIDIO 6

Autorevoli matematici han tornato in onore nell'insegnamento secondario appo noi gli Elementi di Euclide. Pure, se venti due secoli non valsero a porre in oblio quell'aureo codice della Geometria greca, resero senza fallo desiderabile che esso venga in vari i punti emendato, semplificato, ed esteso. D'altra parte, è innegabile che i trattati del Legendre e de' suoi imitatori non sono riusciti ad ampliare l'insegnamento della Geometria senza farle alquanto perdere dell'antica purezza. Quindi apparisce evidente la utilità di un libro come il nostro; il quale, serbando la forma antica senza voler troppo parere, ed evitando l'uso dell'Aritmetica e dell'Algebra ove non è indispensabile, contenga quanto basti ad affinare con l'esercizio !'intelligenza del giovinetto, e a porlo in grado di proseguire gli studi matematici senza salti dannosi. Ormai questi Elementi son giudicati, e non riusciremmo a mutare il giudizio che il pubblico ne ha portato, anche se avessimo interesse a farlo. Ma questo interesse non l'abbiamo; poichè le lodi che da valenti matematici furono alla nostra opera pubblicamente tributate in Italia e fuori, 5 Elementi di geometria per A. SANNIA ed E. D'OVIDIO, 3& edizione, Pellerano, Napoli J876 (l'' edizione 1869, 2& edizione J872).

IL RITORNO ALL'EUCLIDE CON BETTI E BRIOSCHI

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la diffusione che essa andò spontaneamente ottenendo, e la conseguente opportunità di una nuova edizione, provano cosi chiaramente ch'essa ha incontrato il pubblico favore, da convincerne anche noi, che per indole non siam troppo confidenti nelle nostre forze. Tuttavia è necessario intrattenerci alquanto a dar notizia e ragione delle non radicali, ma pur numerose e rilevanti, modificazioni che qua e là abbiamo introdotte, ed altresi a dimostrare che, se non ci siamo arresi a talune delle poche e benevole critiche mosse alla precedente edizione, ciò non provenne dal non averle tenute nel debito conto, né da scarso desiderio di mostrarci ossequenti a consigli, per i quali anzi ci professiamo profondamente grati. Non vogliamo annoverare tra le censure più gravi questa, che il nostro trattato riesca in sulle prime alquanto difficile allo studente; giacchè un tale appunto, oltre a non esserci venuto da chi ha più minutamente esaminato questi Elementi, lo abbiamo udito ripetere contro tutti que' libri di testo che s'informano a rigore scientifico ed hanno un'impronta propria. E del resto nel caso nostro esso fu sempre seguito dalla confessione che però lo studente, una volta superate le prime difficoltà, e disciplinato dal linguaggio preciso e severo delle prime pagine, trovava ne' nostri Elementi una guida sicura e assai educativa per la sua mente. In verità noi non neghiamo che ad un giovanetto nuovo alle idee geometriche possano apparir soverchie e astruse alcune delle nozioni esposte nella Introduzione relativamente alle rette, agli angoli, e soprattutto a' piani; ma chiunque sia al fatto del lavorio incessante che oggi di si compie, intorno alle nozioni che servon di base all'edificio della scienza geometrica, da quegli stessi ingegni privilegiati che con più alacrità e successo intendono al coronamento, per cosi dire, dell'edificio, forse ci accuserà piuttosto di non aver insistito un po' di più sopra i dati logici e sperimentali su cui poggia la Geometria razionale. Nella Introduzione abbiamo enunciato più esplicitamente, che nelle precedenti edizioni, i postulati della retta,

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del piano c dell'angolo, vale a dire quelle proprietà che i sensi c'insegnano, e che noi assumiamo come primitive, non sapendole dedurre da altre più semplici: esse non van confuse con gli assiomi, poichè codesta denominazione conviene propriamente a quelle verità che sono evidenti logicamente e non come dati del senso. Mentre però la parola postulato ricorre nelle seguenti pagine men raramente che negli altri trattati, non è a credere che noi in effetti introduciamo un maggior numero di postulati; dappoichè molti trattatisti attribuiscono il nome di assiomi a parecchie delle proposizioni che noi, per proprietà di linguaggio, chiamiamo postulati, ovvero le accennano solo incidentalmente, e se ne servono senza distinguerle con l'uno o l'altro nome. Se si riflette che il progresso di una scienza non è riposto soltanto nella scoperta di nuovi veri, ma anche nella classificazione sempre più organica e compiuta delle cognizioni già ad essa acquisite, e che una classificazione cosiffatta è più che altrove desiderabile in quelle scienze che diconsi esatte o di ragionamento, e in que' trattati che hanno più in mira l'educazione della mente che la pratica; non si potrà che approvare il nostro proposito di enunciare esplicitamente ciascuna delle nozioni primordiali che vanno sotto il titolo di assiomi o postulati, assegnando a ciascuna il suo giusto titolo, e non rassegnandoci a dichiararla tale se non quando ogni sforzo sia tornato vano a farla derivare per via di argomentazioni logiche da altre nozioni più semplici. Noi dunque abbiam messo tutto il nostro buon volere a non avvalerci nelle successive dimostrazioni di alcun assioma o postulato o teorema che non sia stato in antecedenza annunciato, e come tale. Tuttavia non ci lusinghiamo di esser sempre riusciti nel difficile còmpito, giacchè vi sono verità cosi intuitive cosi ovvie, e così a noi familiari, che sovente ne facciamo uso senza quasi averne coscienza. A testimonio del nostro desiderio di ridurre al puro necessario il numero degli assiomi e postulati, il lettore troverà nel § 4 dimostrate, e quindi ridotte a teoremi, alcune proposizioni che Euclide dà come assiomi; e ne' §§ II, 27, 43 troverà dimostrato che ogni retta ammette una perpen-

TL RITORNO AU,'EUCLlDE CON BETTI E BRIOSCH'

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dicolare in ciascun suo punto, ogni segmento un punto medio e ogni angolo una bisecante; delle quali proposizioni la prima nelle precedenti edizioni era data come postulato e le altre due ammesse tacitamente e senza nome. Speriamo che le nostre dimostraziuni sian giudicate soddisfacenti, e che non ci si tacci di pedanteda.

7 IL RIASSUNTO DI PROCLO

Riteniamo opportuno, data la sua grande importanza, riportare qui il testo del famoso Riassunto, o Elenco dei geometri, di Proclo (V secolo d. C.). Esso, che si trova nel Commento al I libro degli Elementi di Euclide, costituisce una fonte stOr1:ca di massima importanza per la ricostruzione della geometria pre-euclidea. Per le questioni riguardanti il valore da attribuire alta tes# monianza di Proclo, si veda quanto detto nel volume.' La matematica, op. cit., pp. 24-27. Poichè conviene considerare gli inizi delle arti e delle scienze nel periodo attuale, diciamo che molti narrano che la geometria sia stata trovata dapprima dagli Egiziani, prendendo origine dalla misura dei terreni. Era infatti necessario ciò, a causa della piena del Nilo, che cancellava i confini spettanti a ciascuno. E non vi è da meravigliarsi se dalla necessità (pratica) sorse !'invenzione di questa scienza e delle altre, pcichè tutto ciò che (I diviene ) procede dall'imperfetto verso il perfetto: è verosimile dunque che il passaggio sia avvenuto dalla sensazione al ragionament0, e da questo all'intelligenza (pura). Dunque, come presso i Fenici per il commercio e le relazioni di affari ebbe principio l'esatta conoscenza dei numeri, cosÌ presso gli Egiziani sorse la geometria per la causa suddetta. Talete per primo, essendo andato in Egitto, portò in Grecia questa scienza (la geometria), ed egli stesso trovò molte cose, e di molte indicò i principi a coloro che vennero dopo di lui, di alcune cose trattando in modo piil generale, di

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RIASSUNTO DI PROCLO

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altre in modo più sensibile. Dopo di lui Mamerco (Ameristo?), il fratello del poeta Stesicoro, viene ricordato come preso da amore per la geometria, e Ippia di Elide riferì che egli si procurò fama in questa scienza. Dopo di loro Pitagora trasformò questo studio in una forma di insegnamento liberale, investigando dall'alto i suoi principi, e indagando i teoremi astrattamente e intellettualmente: egli scoprì il fatto degli irrazionali e la costruzione delle figure cosmiche. Dopo di lui Anassagora di Clazomene si occupò di molte questioni di geometria, ed anche Enopide di Chio, di poco più giovane di Anassagora: dei quali due anche Platone feCI' menzione nei suoi Rivali come di persone aventi (buona) fama in queste scienze. Dopo di lui Ippocrate di Chio, che scoprì la quadratura della lunula_. e Teodoro di Cirene divennero celebri nella geometria. Ed anzi Ippocrate, tra i nominati, fu il primo che scrisse gli Elementi. Platone, venuto clopo di costoro, fece prendere il massimo incremento alle altre scienze (matematiche) ed alla geometria, per il (suo) grande amore verso di esse: ciò è manifesto poichè riempi i suoi scritti di considerazioni matematiche e dovunque destò ammirazione per questa scienza in coloro che studiano filosofia. In questo tempo vissero anche Leodamante di 'l'aso, Archita di Tara.lto e Teeteto di Atene, dai quali furono accresciuti i teoremi e fatti progredire verso un insieme più scientifico. Neoclide, più giovane di Leodamap.te, e il suo allievo Leone, aggiunsero molte nozioni a quelle (possedute) prima di loro: cosi Leone compose Elementi migliori per quantità e necessità delle cose dimostrate, e trovò i diorismi, cioè quando il problema in questione è possibile e quando è impossibile. Eudosso di Cnido, poi, di poco più giovane di Leone, c compagno dei discepoli di Platone, per primo aumentò il numero dei teoremi detti generali e alle tre proporzioni ne aggiunse altre tre: fece inoltre progredire gli studi sulla sezione che ebbero inizio da Platone, e si servi per essi dell'analisi. Poi Amicla di Eraclea, uno dei compagni di Platone, e Menecmo, scolaro di Eudosso e di Platone, e il

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Dil TALETE A EUCLIDE

fratello di lui Dinostrato, ancora perfezionarono l'insieme della geometria. Teudio di Magnesia si fece una buona fama nella matematica come negli altri rami della filosofia, e compose anche buoni Elementi; rese inoltre più generali alcune cose (particolari). Così pure Ateneo di Cizico, che visse negli stessi tempi, divenne celebre nella matematica in generale, e specialmente nella geometria. Tutti costoro si riunivano nell'Accademia, facendo in comune le loro ricerche. Ermotimo di Colofone proseguì le ricerche di Eudosso e di Teeteto, trovò molte cose degli Elementi, e scrisse intorno ai luoghi. Filippo di Mende (o di Medrna) discepolo di Platone, e da questi indirizzato verso le scienze (matematiche), fece ricerche secondo le indicazioni di Platone, e si propose anche quelle questioni che credette utili per la filosofia di Platone. Coloro che hanno scritto la storia (della geometria) spingono fino a questo (Filippo) lo sviluppo di questa scienza.

8 UN CELEBRE BRANO DI GALILEO

Riportiamo, dai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1 un celebre brano di Galileo riguardante l'infinito matematico. Esso è da porre in rela'dane col passo n. I7 della Parte II di questa Antologia, che è tratto dal Carmi de di Platone. Salviati .- Avrò qualche mio pensiero particolare, replicando prima quel che poco fa dissi, cioè che l'infinito è per sè solo da noi incomprensibile, come anco gl'indivisibili; or pensate quel che saranno congiunti insieme: e pur se vogliamo compor la linea di punti indivisibili, bisogna fargli infiniti; e così conviene apprender nel medesimo tempo l'infinito e l'indivisibile. Le cose che in più volte mi son passate per la mente in tal proposito, son molte, parte delle quali, e forse le più considerabili, potrebb'esser che, così improvvisamente, non mi sovvenissero; ma nel progresso del ragionamento potrà accadere che, destando io a voi, ed in particolare al Sig. Simplicio, obiezioni e difficoltà, essi all'incontro mi facessero ricordar di quello che senza tale eccitamento restasse dormendo nella fantasia: e però con la solita 1ibertà sia 1ecito produrre in mezzo i nostri umani capricci, chè tali meritamente possiamo nominargli in comparazione delle dottrine soprannaturali, sole vere e sicure determinatrici delle nostre controversie, e scorte inerranti ne i nostri oscuri e dubbi sentieri o più tosto 1abirinti. 1

Giornata prima.

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DA TALETE A EUCLIDE

Tra le prime istanze che si sogliono produrre contro a quelli che compongono il continuo d'indivisi bili, suoI esser quella che uno indivisibile aggiunto a un altro indivisibile non produce cosa divisibile, per,hè, se ciò fusse, ne seguirebbe che anco l'indivisi bile fusse divisibile; perchè quando due indivisibili, come, per esempio, due punti, congiunti facessero una quantità, qual sarebbe una linea divisibile, molto più sarebbe tale una composta di tre, di cinque, di sette e di altre moltitudini dispari; le quali linee essendo poi segabili in due parti eguali, rendon segabile quell'indivisibile che nel mezzo era collocato. In questa ed altre obiezioni di questo genere si dà sodisfazione alla parte con dirgli, che non solamente due indivisi bili, ma nè dieci, nè cento, nè mille non compongono una grandezza divisibile e quanta, ma si bene infiniti. 5imPlicio - Qui nasce subito il dubbio, che mi pare in· solubile: ed è, che sendo noi sicuri trovarsi linee una maggior dell'altra, tutta volta che amendue contenghino punti infiniti, bisogna confessare trovarsi nel medesimo genere una cosa maggior dell'infinito, perchè la infinità de i punti della linea maggiore eccederà !'infinità de i punti della minore. Ora questo darsi un infinito maggior dell'infinito, mi par concetto da non poter esser capito in verun modo. 5()lviati - Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente, perchè stimo che questi attributi di maggioranza, minorità ed egualità non convenghino a gl'infiniti, de i quali non si può dire, uno esser maggiore o minore o eguale all'altro. Per prova di che già mi sovvenne un si fatto discorso, il quale per più chiara esplicazione proporrò per interrogazioni al Sig. Simplicio, cha ha mossa la difficoltà, lo suppongo che voi benissimo sappiate quali sono i numeri quadrati, e quali i non quadrati. 5imPlicio - So benissimo che il numero quadrato è quello che nasce dalla moltiplicazione d'un altro numero in se medesimo: e così il quattro, il nove, etc., son numeri

UN CELEBRE BRANO DJ GALILEO

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quadrati, nascendo quello dal due, e questo dal tre, in se medesimi moltiplicati. Salviati - Benissimo: e sapete ancora, che sì come i prodotti si dimandano quadrati, i producenti, cioè quelli che si multiplicano, si chiamano lati o radici; gli altri poi, che non nascono da numeri multiplicati in se stessi, non sono altrimenti quadrati. Onde se io dirò, i numeri tutti, comprendendo i quadrati e i non quadrati, esser più che i quadrati soli, dirò proposizione verissima: non è così? Sz'mPlicia - Non si può dir altrimenti. Salviati - Interrogando io di poi, quanti siano i numeri quadrati, si può con verità rispondere, loro esser tanti quante sono le proprie radici, avvenga che ogni quadrato ha la sua radice, ogni radice il suo quadrato, nè quadrato alcuno ha più d'una sola radice, nè radice alcuna più d'un quadrato solo. SimPlicio - CosÌ sta. Sa/viati - Ma se io domanderò, quante siano le radici, non si può negare che elle non siano quante tutti i numeri, poichè non vi è numero alcuno che non sia radice di qualche quadrato; e stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano quanti tutti i numeri, poichè tanti sono quante le lor radici, e radici son tutti i numeri; e pur da principio dicemmo, tutti i numeri esser assai più che tutti i quadrati, essendo la maggior parte non quadrati. E pur tuttavia si va la moltitudine de i quadrati sempre con maggior proporzione diminuendo, quanto a maggior numeri si trapassa; perchè sino a cento vi sono dieci quadrati, che è quanto a dire la decima parte esser quadrati; in diecimila solo la centesima parte son quadrati, in un milione solo la millesima: e pur nel numero infinito, se concepir lo potessimo, bisognerebbe dire, tanti essere i quadrati quanti tutti i numeri insieme. Sagredo - Che dunque si ha da determinare in questa occasione? Salviati - lo non veggo che ad altra decisione si possa venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro radici, nè la moltitudine de'

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DA TALE TE A EUCLIDE

quadrati esser minore di quella di tutti i numeri, nè questa maggiore di quella, ed in ultima conclusione, gli attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo ne gl'infiniti, ma solo nelle quantità terminate. E però quando il Sig. Simplicio mi propone più 1inee diseguali, e mi domanda come possa essere che nelle maggiori non siano più punti che nelle minori, io gli rispondo che non ve ne sono nè più nè manco nè altrettanti, ma in ciascheduna infiniti: o veramente se io gli rispondessi, i punti nell'una esser quanti sono i numeri quadrati, in un'altra maggiore quanti tutti i numeri, in quella piccolina quanti sono i numeri cubi, non potrei io avergli dato sodisfazione col pome più in una che nell'altra, e pure in ciascheduna infiniti? E questo è quanto alla prima difficoltà. Sagredo - Fermate in grazia, e concedetemi che io aggiunga al detto sin qui un pensiero, che pur ora mi giugne: e questo è, che, stanti le cose dette sin qui, parmi che non solamente non si possa dire un infinito esser maggiore d'un altro infinito, ma nè anco che e' sia maggior d'un finito, perchè se 'l numero infinito fusse maggiore, v.g., del millione, ne seguirebbe, che passando dal millione ad altri ed altri continuamente maggiori, si camminasse verso l'infinito; il che non è: anzi, per l'opposito, a quanto maggiori numeri facciamo passaggio, tanto più ci discostiamo dal numero infinito; perchè ne i numeri, quanto più si pigliano grandi, sempre più e più rari sono i numeri quadrati in essi contenuti; ma nel numero infinito i quadrati non possono esser manco che tutti i numeri, come pur ora si è concluso; adunque l'andar verso i numeri sempre maggiori è un discostarsi dal numero infinito. Salviati - E così dal vostro ingegnoso discorso si conclude, gli attributi di maggiore, minore, o eguale non aver luogo non solamente tra gl'infiniti, ma nè anco tra gl'infiniti e i finiti.

PARTE SECONDA

I DIALOGHI DI PLATONE COME FONTE PER LA STORIA DELLA MATEMATICA GRECA (r

PASSI MATEMATICI TRADOTTI, COMMENTATI E COLLEGATI)

Attraverso i passi matematici dei Dialoghi platonici si ricavano, direttamente o indirettamente, notizie, o sia pur briciole di notizie, sulla matematica a Platone contemporanea. Sicchè, data specialmente la quasi assoluta mancanza di documenti diretti sulla matematica pre-euclidea, quei bram: recano un contributo non trascurabile ai tentativi di ricostruzione e di comprensione dei motivi fondamentali della matematica greca del IV secolo a. C. Abbiamo perciò ritenuto utile di offrire al lettore il testo pressochè completo dei passi matematici di Platone, in traduzione italiana (con la citazione dei princiPali termini tecnici greci quando ce ne sia apparsa l'opportunità). La nostra traduzione non ha alcuna pretesa di esattezza, anzi è molto libera nella parte (per dir così) generica: tende invece ad u'na precisione interpretativa nella parte Più strettamente tecnica. Per il testo greco ci siamo riferiti all' edizione de «Les belles lettres» (Parigi). Per l'ordine di successione dei Dialoghi ci siamo attenuti et quello che ci è sembrato meglio rispondente alte vedute delta cr#ica moderna, con qualche variante in relazione al contenuto matematico. Per maggiori notizie sulle relazioni tra l'opera di Platone e la matematica greca, si veda quanto detto nel volume: La matematica, op. cit., pp. 55-74. A vvertiamo che viene stampato in carattere tondo il testo platonico, mentre t1engono stampati in corsitlO 1: riassunti e i commenti.

1 L'APOLOGIA

l. (19 d-20

a) -

DI

SOCRATE

L'INSEGNAMENTO DEL SOFISTA IpPIA DI

ELIDE.

(Parla Socrate) - Se avete udito da qualcuno che io insegno agli altri a pagamento, si tratta di cosa non vera. Certo che mi sembra sia cosa bella esser capaci di istruire gli uomini, come sono Gorgia di Leontini, o Prodico di Cco e Ippia di Elide. Costoro, o giudici, andando in ogni città, persuadono i giovani ad abbandonare coloro che prima frequentavano, e ad unirsi a loro pagando denaro ed insieme serbando gratitudine. Proprio quei giovani che potrebbero far capo a quello dei loro concittadini che volessero scegliere (come maestro)! 2. (26

d) -

MENZIONE 1>1 ANASSAGORA.

(Socrate) - O meraviglioso Meleto, che intendi tu dire? Che io non credo che né il sole né la luna siano divinità, così come credono gli altri uomini? (Meleto) - Proprio così, giudici, dal momento che egli dice che il sole è (fatto di) pietra e la luna è (fatta di) terra. (Socrate) - Ma tu accusi, o ritieni di accusare, Anassagora, o caro Meleto! E credi che questi giudici siano così ignoranti da non sapere che le opere di Anassagora di Clazomene trattano di queste teorie! E i giovani verrebbero proprio da me a imparare, quando per una dracma potrebbero comprare questi libri nell'orchestra l e burlarsi poi di Socrate, che spaccerebbe per sùe quelle idee, cosÌ fuori dell'ordinario. l Passo di dubbia interpretazione. L'orchestra era una parte del teatro.

2 IPPIA MINORE

3. (366 c-368 a) -

IpPIA QUALE MATEMATICO. 1

Socrate - Dimmi, Ippia, non sei tu esperto nei calcoli (ÀOyLO"(.LWV) e nella logistica (ÀOyI.O"'t"LX~r;)? 2 IpPia - Più di chiunque altro, o Socrate. Socrate - Sicchè se qualcuno ti domandasse quanto fa tre volte settecento, se tu volessi, potresti con maggior velocità e meglio di tutti rispondere esattamente (dire la verità) su questo? IpPia - Certamente. ilIa anche per dire it falso, sicuramente it falso, in fatto di (operazioni sui) numeri, occorre un bravo calcolatore, come è ad esempio I pp1~a. Socrate - Dunque è la stessa persona che è capace eli dire tanto il falso quanto il vero a proposito dei calcoli: è colui che è eccellente in queste cos~, cioè il calcolatore (ÀoYLO",t"Lx6r;) .

l Un matematico Ippia, secondo testimonianze di Prodo, ideò una curva, detta quadratrice, che permette di risolvere il problema della trisezione dell'angolo e della quadratura del cerchio. È, il matematico. da identificarsi col sofi~ta Ippia di Elide? La questione venne sollevata nello scorso secolo dal Blass, dallo Allman e da altri: venne risposto ad essa in senso positivo da M. Cantor, da P. Tannery, da Heiberg. I brani di Platone che si riferiscono al sofista Ippia di Elide, mettendo in luce l'attività di questi nel campo matematico, confermano decisivamente l'identificazione del ~ofista col matematico (quindi con l'inventore della quadratrice). 2 LogisticfI è la parte pratica di quella che noi chiamiamo oggi aritmetica.

64

l

DlAWGHI DI PLATONE

Socrate - Sei tu esperto anche in geometria, non è vero? IpPia - Certo, lo sono. Socrate - Ebbene: non avviene ugualmente in geometria? Lo stesso uomo è il più capace a dire il falso e il vero a proposito delle figure (7t~pl TGlV 8LOCYPX!L!L(X-r6)v), cioè il geometra? (o YS6)!LSTPLXOt;). Vien portato un terzo esempio: quello dell'astronomia, scienza che IpPia dice di conoscere ancor meglio delle altre.

3 IPPIA MAGGIORE

4. (28r LITICA.

c) -

I

SAPIENTI CHE NON SI OCCUPANO DI PO-

Ma come mai appare che quei famosi antichi, ancora ricordati per la loro sapienza, Pittaco, Biante, Talete di Mileto e giù giù fino ad Anassagora, tutti o quasi tutti si siano tenuti lontani dagli affari pubblici?

5. (282 c-283 a) - IRONIA SULLA PRETESA INFERIORITÀ DEGLI ANTICHI SAPIENTI: IL CASO DI ANASSAGORA. Ottima cosa dici, o Ippia, e fornisci una importante prova del fatto che la sapienza tua e dei nostri contemporanei ~upera di gran lunga quella degli antichi. Secondo il tuo ordine di idee grande fu la loro ignoranza: ad esempio si dice che ad Anassagora avvenne il contrario che a voi: essendogli state lasciate in eredità grandi ricchezze non se ne curò e cadde in miseria: tanto era priva di senno la.~;ua scienza! 6.

(285

b, c) -

GLI SPARTANI NON AMANO LA MATEMATICA.

Socrate - O Ippia, quali discorsi ascoltano da te COn piacere (gli Spartani)? Certamente quelli sugli astri e Sui fenomeni celesti, cioè sugli argomenti che tu maggiormente domini? IpPia - Per nulla affatto: essi non li sopportano. Socrate - Allora essi amano ascoltarti sulla geometria? IPPia - Neppure: e inoltre arriverei quasi dire che più di loro non sanno neppure contare (&.PL&(J.e:'ì:V).

a

66

I DlAWGHI DI PLATONI!

Socrate - Non sopportano neppure i tuoi discorsi sui calcoli! (nep~ Àoyr.a!L6)v). I pPia _. Proprio così!

7. (302 a, poi 303 b) - UN BRANO CONTENENTE ESPRESSIONI MATEMATICHE GROSSOLANE. Socrate aveva espresso l'oPinione che una qualità non posseduta singolarmente da ciascuna di due persone potesse invece esser posseduta collettivamente dalle due persone prese nel loro insieme, e inversamente. I pPia è di parere contrario (se ciascuno di loro è giusto, essi ambedue son gius#, ecc.). Socrate, per sostenere la sua tesi, si rivolge alla matematica: Socrate ed IpPia son due, e secondo IpPia ciascuno di loro non sarebbe uno, ma due. Socrate - Ciascuno di noi non è forse uno, e questa è una sua proprietà? IpPia - Certamente. Socrate - Dunque ciascuno di noi se è uno è dispari (nepLff6c;): ritieni infatti che l'uno sia dispari? IpPia - Certo: lo ritengo. Socrate - E allora ambedue (presi insieme), essendo due, siamo pure dispari? IpPia - Non può essere, o Socrate. Socrate - Ma ambedue (presi insieme) siamo pari (&P'no~), non è vero? IpPia - Certamente. Socrate - Dlmque, se presi insieme siamo pari, segue che ciascuno di noi è pari? IpPia - Per niente affatto. Socrate - Non avviene dunque necessariamente che, come prima dicevi, le qualità della coppia siano anche di CIascuno preso singolarmente e che le qualità di ciascuno siano anche della coppia. (303 b) - Qualcosa forse impedisce che (per la qualità della bellezza) avvenga come per due cose prese insieme,

l/'l'IA MAGGIORE

67

che sono pari, mentre le cose singole possono essere o pari o dispari, e come per due cose singole irrazionali mentre il loro insieme può essere o razionale (fl'1)'r6v) o irrazionale (otp Pl)'t'ov ) ?

La Più grande grossolanità di espressione matematica si trova nella prima parte del ùrano, dove si il/lerma che due persone sono pari. mentre una sola persona è dispari. C'è una confusione tra ~l numero (astratto) e le cose che vengon numerate: un caso simile è unico in tutti i Dialoghi, nei quali Platone, invece, è sempre preciso nelle espressioni che si riferiscono alla matematica. La perplessità aumenta nella seconda parte del brano. Che la somma di due numeri essendo pari, i due numeri possano essere ambedue pari o ambedue dispari, è cosa evidente (4 + 4 = 8; 3 + 3 = 6). E che la somma di due linee irrazionali possa essere tanto una linea razionale quanto una linea irrazionale, è pure cosa esatta. 1 Se nel Dialogo si fosse usato il termine otÀoyoç per indicare l'irrazionale, nulla vi sarebbe da dire. Viene invece adoperato il termine dtPP'rl't'oç che denota quell'irrazionalità che oggi esprimeremmo come radice quadrata di un numero che non sia un quadrato perfetto. E la somma di due tali radici non è razionale. Si dovrebbe concludere che Platone ha usato erroneamente un termine tecnico riguardante l'irrazionalità. Via d'uscita è quella che consiste nel ritenere non autentico il Dialogo Ippia maggiore: il vero autore, inesperto in matematica, avrebbe commesso le due grossolanità sopra esposte. Una tale idea viene prospettata soltanto perchè con altri argomenti non matematici si dubita della autenticità del Dialogo (autenticità negata, ad esempio, dal Wilamowitz-Moellendorf). L'elemento matematico reca così un contributo alla tesi della non-autenticità. I Ad esempio, se si sommano due linee irrazionali uguali la somma è pure irrazionale. E invece, se una linea razionale viene divisa in media ed estrema ragione (costruzione della sezione aurea), la parte aurea e la parte residua sono irrazionali e la loro somma è razionale, perchè è la linf'a di partenza.

4 L'ALCIBIADE MAGGIORE (o ALCIBIADE PRIMO) (Dt:alogo la cui azefenticità non è da tutti ammessa)

8. (114 c) -

L'ARITMETICO È COMPETENTE SUI NUMERI.

Socrate - Non è forse la stessa persona che è capace di persuadere su un argomento riguardante i numeri (7t€pt &.pt.&(LOU) 1 tanto una sola persona quanto un vasto uditorio? Alcibiade - Certamente. Socrate - E questi sarà il competente, cioè l'aritmetico (&'pt'&(L1JTLX6ç) .

9.

(126

c) -

L'ARITMETICA NON È UN'OPINIONE!

Socrate - Per mezzo di quale scienza (= arte, TÉ)(VYj) si trovan d'accordo le città per quel che riguarda i numeri? Alcibiade - Per mezzo dell'aritmetica (&.pL.&(L1JTLX~). (Similmente l'accordo sulle misure si raggiunge con l'arte, o scienza. del misurare = (L€TP1Jnx~).

1

Nel testo greco al singolare: • intorno al numero •.

5 I RIVALI (Dialogo ritenuto da molti non autentico: eppure viene menzionato, proprio per il passo da noi riportato, da Proda [v.1)

IO. (I32

a-b) -

AXASSAGORA ED ENOPIDE.

(Socrate) - Presso il grammatico Dionisio, tra gli altri mi capitò di vedere due giovinetti che disputavano, non capii bene a proposito di chC'. Mi sembrò invC'ro che disputassero a proposito (delle dottrine) di Anassagora e di Enopide: l tracciavano cerchi e cercavano di imitare con la posizione delle mani le inclinazioni, e molto si appassionavano. 2

Enopide di Chio: matematico del quale ci dà notizie ProcIo (v.). • Si trattava forse dell'obliquità dell'eclittica.

1

6 EUTIFRONE

II.

(7 b-c) -

CALCULEMUS!

Socrate - Se, dovendo stabilire quale di due numeri sia più grande, io e te non fossimo d'accordo, questa differenza d'opinione ci renderebbe forse nemici e ci hrebbe entrare in collera l'uno con l'altro; oppure verremmo al calcolo (~n:l ÀOyLG(L6v) e ci metteremmo presto d'accordo? Eutilrone - Certamente. (Similmente per la misura). 12. (12

c) -

IL DISPARI È PARTE DEL NUMERO.

Il (numero) dispari (n:e:pLn6v) è parte del numero, sicchè non è vero che dove sia il numero ivi sia il dispari, ma certamente dove è il dispari ivi è il numero.

13. (12

d) -. UN PARALLELO TRA ARITMETICA E

GEOMETlUA.

Se tu mi domandassi quale parte del numero è il (numero) pari (&p't"Lov) e quale specie di numero sia, ti risponderei che non è scaleno, ma isoscele. 1 1 Riteniamo che si tratti di una corrispondenza posta in modo elegante, ma ingenuo e puramente intuitivo. I due lati uguali del triangolo isoscele, sommati insieme, ci dànno l'intuizione del numero pari, che è formato appunto dalla somma di due numeri uguali (ad es.: 8 = 4 + 4; 6 = 3 + 3). Al contrario, due lati disuguali d'un triangolo scaleno offrono l'intuizione del numero di-

EUTIFRONE

71

spari, che è formato appunto dalla somma di due numeri disuguali; uno pari ed uno dispari (ad es. 5 = 3 + 2). Sarebbe certo assai suggestivo vedere qui un'allusione a primitive teorie pitagoriche, anteriori alla scoperta delle grandezze incommensurabili ed alla concezione del punto senza dimensioni, e pensare che l'isoscele e lo scaleno qui introdotti corrispondano al quadrato e al rettangolo (eteromeco = a lati disuguali), opposti nella lista pitagorica dei contrari che Aristotele ci fa conoscere nella Metafisica (A. FRAIESE, La matematica, op. cit., p. 34). Ma contro una tale ipotesi sta il fatto che in Platone i lati uguali corrispondono al pari, i lati disuguali al dispari, mentre l'opposto avviene nella famosa lista pltagorica, in cui il quadrato corrisponde al dispari, il rettangolo al pari.

7 IONE

(Dialogo la cui autenticità è stata da alcuni contestata)

14. (53 1 d-e) -

LA COMPETENZA DELL'ARITMETICO.

Socrate - Se parecchie persone discutono sull'argomento dei numeri, l ed una di esse ne parla in modo eccellente, vi sarà qualcuno che saprà riconoscerla tra le altre? Ione - Certamente. Socrate - È forse lo stesso che sa riconoscere anche quelle persone che parlano male sull'argomento, oppure è un altro? Ione - È certamente lo stesso. Socrate - E costui non è forse quello che possiede l'arte aritmetica (ocp~&lLll'n)(~ 'C'É)(Vll)? 2

15. (537 e) -

ANCORA SULL'ARTE ARITMETICA.

Socrate - Per esempio, io so che queste dita sono cinque, e tu, come me, sai la stessa cosa. E se io ti domanùassi se io e te sappiamo ciò per mezzo della stessa arte ('C'ÉXYll), quella aritmetica (OCp~IL7j'C'L)(~), o per mezzo di altra arte, tu risponderesti certamente che lo sappiamo in base alla stessa.

J 2

Nel testo greco: c intol'no al numero o, al singolare. Arte. o scienza, aritmetica.

8 CARMIDE

16. (165 d-166 c) -

SAGGEZZA E LOGISTICA.

(Socrate) 1 - Per quanto riguarda la saggezza (crwcppocruV'r)), poichè tu dici che essa è scienza di se stessa (hUTOU ÈmO''t~­ [L'r)) devi essere in grado di rispondere, o Cri zia, a qualcuno che ti domandasse: essendo la ~aggezza scienza di se stessa quale opera bella c degna del suo nome realizza? Dimmelo. (Crizia) -- Ma, o Socrate, disse, non domandi rettamente: la saggezza, infatti, non è simile alle altre scienze, nè le altre scienze son simili tra loro: tu imposti invece la questione come se fossero simili. Ma dimmi qual è l'opera prodotta dall'arte logistica (ÀoyLO'n)(~ Téxv'r)) o dall'arte geometrica (ì'e:W!Le:TPL)(~), paragonabile alla casa prodotta dall'architettura o alla stoffa prodotta dalla tessitura? (Socrate) - (}ltla ogni scienza ha un suo oggetto, distinto dalla scienza stessa). La logistica, per esempio, ha per oggetto il pari e il dispari (TÒ &p'nov )(011 TÒ 7te:pLTT6v) e le loro quantità considerate a sè stanti e in rapporto le une alle altre, non è così? (166 a). (Crizia) - Certamente, rispose. (Socrate) - Essendo il pari e il dispari altra cosa che la logistica? (Crizia) - E come no? disse. (Similmente per la statica, scienza del Più pesante e del Più leggero). 1 Poniamo tra parentesi i nomi degli illt.erlocutori, poichè essi non figurano nel testo. trattandosi di un dialogo narrato.

74

I DIALOGHI DI PLATONE

(Crizia) - La cosa sta cosÌ: tutte le altre scienze hanno un oggetto distinto da esse stesse, mentre soltanto la saggezza è scienza che ha per oggetto le altre scienze e se stessa.

17. (168 a-168 c) - UNA COSA INSIEME PIÙ GRANDE E PIÙ PICCOLA DI SE STESSA.

(Socrate) - Ma diciamo, come sembra, che esiste una certa scienza,2 la quale non ha nessun oggetto suo proprio, ma che è scienza di se stessa e delle altre scienze? (Crizia) - È questo, che diciamo. (Socrate) - Non è certo bizzarra, se esiste? Ma noi non sosteniamo che essa non esista: vediamo invece se esista. (Crizia) - Dici bene. (Socrate) - Or dunque, si tratta di una scienza che ha un oggetto e che ha una certa capacità di avere un oggetto, non è così? (Crizia) - Certamente. (Socrate) - Così diciamo che la cosa maggiore 8 ha una capacità di esser maggiore di un'altra cosa? (Crizia) - Certo che l'ha. (Socrate) - Maggiore di qualcosa che è minore. (Crizia) - Necessariamente. (Socrate) - Dunque se trovassimo una cosa che fosse maggiore della altre cose maggiori e di se stessa, ma. non fosse maggiore di nessuna delle cose minori,' avverrebbe necessariamente che questa cosa, pur essendo maggiore di se stessa, sarebbe di se stessa anche minore, non è vero? (Crizia) - Sarebbe strettamente necessario, o Socrate, disse. (Socrate) - E cosi, se una cosa è doppia degli altri doppi e di se stessa, essa è doppia della metà che la costituisce La saggezza, che nel Dialogo si tratta appunto di definire. • Nel testo greco c'è il neutro = il maggiore. • «Ma non sia maggiore di ciò di che l'altre son maggiori. (trad. Diano, ed. Laterza). 2

CARMlDE

75

e delle altre metà: infatti un doppio non può esser doppio che di una metà. (Crizia) - È vero. (Socrate) - Dunque sarebbe insieme maggiore e minore di se stessa. Si conclude (I68 e) che si è trovato essere impossibile per le grandezze (fLeyé.&rj) e per le quantità (1tÀ~~hl), cioè per i numeri, la caratteristica che si vorrebbe fosse posseduta dalla saggezza.

Questi brani del Carmide richiedono un commento in relazione al loro significato matematico. Per il primo (definizione della logistica, r66:J) rinviamo il lettore al commento al passo parallelo del Gorgia (ved. passo n. 20; 45I a-c) in cui si stabilisce, dando una dopPia definizione (pure piuttosto oscura), la differenza tra l'aritmetica e la logistica. Circa la cosa maggiore o minore di se stessa (Più tardi, I68 e, viene chiarito che si tratta di grandezze o di numeri) riPortiamoci anzitutto al presupposto. La saggezza sarebbe una scienza che avrebbe per oggetto se steçsa e le altre scienze, pur senza avere come oggetto l'oggetto di queste altre scienze. Il rapporto sCt'enza-oggetto viene trasformato da Platone m quello maggiore-minore e poi anche, Più in· particolare, in quello dopPio-metà. Cioè ad una scienza qualsiasi si fa corrispondere una grandezza (o un numero) S e al suo oggetto si fa corrispondere un'altra grandezza (o numero) s con la condizt'one che S sia maggiore di s:

s>s Alla saggezza si fa corrispondere una grandezza (o un numero) X. Allora il fatto che la saggezza sia una scienza avente per oggetto se stessa si traduce nella disuguaglianza:

X>X

l

76

f)/ALOGHI f)/ PLATONE

cioè X risulta maggiore di se stessa. Naturalmente la stessa disuguaglianza può esser letta in senso contrario 6 e ci dà perc1:ò pure: cioè X, essendo stata supposta maggiore di se stessa, risulta contemporaneamente minore di se stessa. M a questo risultato può esser raggiunto anche per altra via, cioè ricorrendo alla seconda caratteristica che si vorrebbe tosse posseduta dalla saggezza: t'essere cioè scienza delle altre scienze, pur senza essere scienza dei loro oggetti. Essere la saggezza una scienza X avente per oggetto fma qualsias1· altra scienza S S1: traduce neila disuguaglianz1: (X maggiore di S). :vla una scienza qualsiasi S ha un s/w oggetto s, c questo tatto si traduce nella disuguaglianza:

S

>s

Dunq14e X è maggiore di S che a sua volta è maggiore di s; quindi è maggiore di s, cioè:

X >s A[a quest' ultima disvguaglianza potrebbe essere interpretata come il tatto che la scienza-saggezz4 X av.esse per oggetto s (cioè l'oggetto di un'altra scienza qualsiasi): ciò che invece viene escluso dalla pretesa definùione di saggezza. Quindi, non potendo essere X maggiore di s (nè potendo essere uguale a s, perchè la saggezza non può essere oggetto di altra scienza) dovrà essere X minore di s, ossia s risulterà maggiore di X, cioè:

• Ad esempio la disuguaglianza 5 > 3 (cioè: 5 è maggiore di 3) può esser letta in senso contrario cosÌ: 3 < 5 (cioè: 3 è minore di 5)·

77

CARMIDE

Abbiamo dunque insieme:

X>s da cui si ricava

X > X e quindi, leggendo in senso inverso: X(l.hpcxL) - tu mi comprenderai ugualmente - che ciò che la. cosmetica è rispetto alla ginnastica, questo è la cucina rispetto alla medicina, e inoltre che ciò che la cosmetica è rispetto alla ginnastica, questo è la sofistica rispetto alla legislazione, e ciò che la cucina è rispetto alla medicina, questo è la retorica rispetto alla giustizia. Platone considera nel Gorgia quattro arti (la legislazione e la giustizia, che si occupano dell' anima; la ginnastica e la medicina, che si occupano del corpo). Accanto a queste quattro fiere arti si sviluppano quattro • Quante sono le cose del numero: OO"IX EO"'rlv "Òt ,"OU apt'&fLou. 7 Traduzione che cerca di armonizza.rsi col brano precedente. • Lettera.lmente: come i geometri.

85

GORGIA

attività pratiche di adulazione, che sono la sofistica, la retorica, la cosmetica, la cucina, con la corrispondenza segzlente: legislazione giustizia ginnastica medicina

sofistica retorica cosmetica cuctna.

Detta corrispondenza viene espressa (per brevità, dice 50crafe) col" linguaggio dei geometri, e vengono appunto stabilite le tre proporzioni seguenti: Cosmetica Cosmetica Cucina

ginnastica ginnastica medl'cina

cuctna sofistica retorica

mediciJul legz'slazione giustizia

Va osservato: I) Che Platone riferisce l'uso delle proporzioni ai geometri, e non agli aritmetici. È questa la prova che le propofzioni tra grandezze erano già patrimonio di una matematica pre-euclidea. Del resto la comune proporzione era nota ai Greci sotto il nome di proporzione geometrica. 9 2) Che la terminologia usata da Platone è leggermente diversa da quella talvolta ·usata da Euclide. I n Platone abbiamo: Ciò che ('t'L) A rispetto a (7tp6c;) B, questo ('t'oiho) C rispetto a (7tp6c;) D. In Euclide abbiamo invece (ad esempio in VI, I): Come (WC;) A rispetto a. (7tpòC;) B, cosi (oih'Cùc;) C rispetto a (7tp6c;) D. 3) Che la differenza Più importante rispetto alla terminologia Più usata da Euclide consiste nell' assenza completa, nel Platone del Gorgia, sia deUa parola ì.6yoC; (= rapporto), sia del composto à,vocÀoyov (= in proporzione). Le parole • È l'uguaglianza di due rapporti, mentre la proporzione aritmetica è l'uguaglianza di due differenze. Supposti uguali i due medi, si ha la media geometrica o la media aritmetica rispettivamente.

86

I DIALOGHI DI PLATONE

M1Ot; e à.vocÀoyov trovano invece uso nel Platone deUa Repubblica (ved. passo n. 45) con qualche altra ancor leggera variante rispetto al Gorgia. In Dialoghi Più tardi, come il Politico (257 b) e il Timeo (3I c) si trova usato anche il termine à.V:lÀoy(oc:, ed anche, poco oltre neUo stesso Timeo, viene usato À6yot; come termine tecnico. 23.

(465 e) -

ALTRA MENZIONE DI ANASSAGOnA.

Socrate - Se l'anima non intervenisse per distinguere la c'ucina dalla medicina, e dovesse, tale distinzione, farla il corpo in base al Piacere procurato, allora . .. - ... varrebbe il principio di Anassagora, o caro Polo (queste cose le conosci bene): « Tutte le cose insieme ».

24. (488 d-489 a-48g b) -

GIUSTIZIA È UGUAGLIANZA.

. . .. La giustizia consiste nell'uguaglianza (TÒ taov ÉXELV =, avere l'ug1Ulle).

Ntl seguito verrà chiarito che si tratta deUa cosiddetta «uguaglianza geometrica ».

25. (501

a) -

IRRAZIONALE IN OPPOSIZIONE A NUMERO?

La tecnica deUa cucina procede completamente in modo irrazionale (à.My6)t;), per dir così, senza calcolare (oMè:v LOC:P r.&/L'ljaOC:/Lév'lj). Il punto interrogativo nel titolo sta a ind~care che è dubbio che i termini sopra riportati siano stati impiegati nel loro significato tecnico matematico. Se, invece, ciò fosse, si avrebbe un' affermazione del fatto che l'irrazionale non può riportars1: aU'aritmetica (dei numeri interi).

87

GORGIA

26. (507 e-508 a) -

IMPORTANZA SOMMA DELL'UGUAGLIAN-

ZA GEOMETRICA.

Socrate - Dicono i sapienti, o Callide, che il cielo, e la terra, e gli dèi, e gli uomini, sono riuniti dall'amicizia, dal rispetto, dalla saggezza, dalla giustizia, e per questo essi chiamano cosmo il tutto,lO o amico, e non disordine o sregolatezza. Ma mi sembra che tu, pur essendo sapiente, non ponga mente a queste cose, e che tu abbia dimenticato che l'uguaglianza geometrica (i) t0'6't'7j~ i) ye:(ù!Le:'t'pL)(~) è grandemente potente presso gli dèi e presso gli uomini. Ma tu pensi che occorra dedicarsi al prevalere sugli altri, e non ti curi della geometria. L'uguaglianza geometrica, di cui qui si tratta, è, a quanto pare, la proporzione geometrica, ossia la comune proporzione. Questa verrebbe esaltata in confronto con la uguaglianza antmetica, che è la semPlice uguaglianza numerica. La proporzione, invece, è a base della giustizia, dando a ciascuno il suo: cioè ad ognuno quel che merita, ad ogni cosa ciò che ad essa pertiene. Della proporzione (geometrica) Platone farà l'elog1:o anche in un passo, già citato, del Timeo (3I c). Dalla matematica rigorosamente concepita si sbocca qui, 'nel Gorgia e nel Timeo, in una specie di mistica. Non ci sembra perciò che nel rimprovero «Non ti curi della geometria I), debba addirittura veder::i un appello allo studio della matematica, o comunque un riconoscimento dell' alto valore della geometria: ci sembra trattarsi invece soltanto di un appello, nel campo strettamente morale, a procedere secondo giustizia e saggezza.

lO

La parola cosmo, passata a indicare l'universo, significa ap-

punto propriamente ordine.

lO PROTAGORA

27. (318

d-e) -

IpPIA INSEGNANTE DI MATEMATICA. l

(protagora dice) - Se Ippocrate verrà da me, non gli accadrà ciò che gli sarebbe capitato presso un altro dei sofisti: gli altri infatti danneggiano i giovani. Questi erano fuggiti dalle arti tecniche, ed i sofisti ve li riportano per forza, insegnando loro i calcoli (ÀOyLO"!LOU