Gesù Cristo: l'unità del Nuovo Testamento? 8826311056, 9788826311050

Questo libro è uno studio ampio e magistrale, ben condotto e ben costruito. Esso moscatra come il tema di Gesù Cristo, c

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Gesù Cristo: l'unità del Nuovo Testamento?
 8826311056, 9788826311050

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Questo libro è uno studio ampio e magistrale, ben condotto e ben costruito. Esso mostra come il tema di Gesù Cristo, con le sue numerose varianti, pervade tutto il Nuovo Testamento. Tutti i testi su Dio, sulla salvezza, sulla fine dei tempi, sulla chiesa, sulla mora:lè, eccetera, riflettono, infatti, fortemente questo elemento impregnante che li struttura. Il Nuovo Testamento deve la sua unità a questo fatto c.aratteJjstico. E questo, nonostante la diversità dei generi e delle forme (lettere, racconti della vita di Gesù, testi apocalittici, ecc.) che l'autore di volta in volta esamina. La messa in atto di questa unità intorno al motivo "Gesù Cristo" è descritta con rigore. Si sviluppano cosi nel Nuovo Testamento numerosi assi che si incontrano e si incrociano in una rete ricca di relazioni: la relazione familiare (i ruoli di padre, di figlio e di fratello), .le relazioni maestro-discepolo, testa-corpo e sposo-sposa. Il concorso di tutti questi legami e fattori di unità non impedisce la diversità evidente nel Nuovo Testamento. Ecco un'altra fonte di ricchezza per l'interpretazione. JEAN-Non ALETTI, gesuita francese, è professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma. È noto per i suoi libri, studi e commenti, sulle lettere di san Paolo.

05-0 ISBN 978-88-263-11

L. 40.000

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Jean-Noel Aletti

Gesù Cristo: unità del Nuovo Testamento?

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Titolo originale

Jésus-Christ fait-il l'unité du Noveau Testament? © 1 994, Éditions Desclée, Paris © 1 995, Edizioni Borla s.r.L Via delle Fornaci 50 - 00165 Roma

Traduzi one di Carlo Valentino

ISBN 88-263- 1 105-6

Stampato nel mese di Maggio 1995 dalle Grafiche G.A. Lama (Pg) -

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Joseph Doré Presentazione

1. Che sul problema di « Gesù e Gesù Cristo>> , così come su tutti quelli che riguardano la fede cristiana, sia necessario procedere in una ricerca il più dettagliata possibile attra­ verso tutti e ciascuno dei libri del Nuovo Testamento è un fatto evidente per la teol ogia. È in gioco infatti , né più né meno, l'autenticità della confessione e quindi del discorso della fede. Sono quindi auspicabili es pl orazi oni in grande stile sui grandi insiemi letterari del Nuovo Testamento: i sinottici , il corpus paolina e gli scritti giovannei. N on si può però s ottovalutare un'altra istanza, correlativa e complementare, della teologia cristiana: quella di una presentazi one e di una valorizzazi one di ciò che può, no­ n ostante tutto, costituire l'unità di una simile diversità. In­ fatti, se la ricerca analitica è, come si è detto, condizione d'autenticità, il proposito di sintesi è, anch'esso, condizi o­ ne al tempo stesso di intelligibilità ultima e, a partire da essa, di decisi one. Nella misura in cui si tratta, per la fede cristiana, di decidersi a riconoscere Gesù come il Cristo di Dio, è necessario giungere a una comprensi one sufficien­ temente unificata di questi due termini e del loro rappor­ to, secondo la stessa testimonianza neotestamentaria. Come procedere, altrimenti, alla confessione di fede ri­ chiesta? Come accedere, diversamente, a una sufficiente intelligibilità e di ciò a cui rimanda il nome «Gesù», e di ciò di cui è portatore il titolo «Cristo», e, di c onseguenza, di ci ò che la relazione tra i due e il riconoscimento della loro convergenza può autorizzare, o addirittura sollecita­ re?

2. Si potrebbe pensare, almeno a prima vista, che in realtà questa ricerca di unità non è molto necessaria a proposi5

to di Cristo, a proposito di « Gesù-Cristo)). Che gli scritti del Nuovo Testamento differiscano in ciò che concerne la loro antropologia o ecclesiologia, nella loro protologia o esca­ tologia, lo si ammette senza tante difficoltà, anche a costo di spiegare questo fatto, in maniera più o meno convin­ cente, con la differenza dei contesti da cui provengono, nei loro stati successivi, con le diverse tradizioni riportate e raccolte nel Nuovo Testamento. È invece un dato di fatto che una simile opinione ripugna quando viene chiamata in causa la cristologia. Bisogna però rendersene perfettamente conto: i diversi scritti neotesta­ mentari differiscono anche in questo! E non soltanto nei titoli che danno a Gesù - è chiaramente per brevità che, conformemente all'uso corrente tra quelli che sono chia­ mati proprio cristiani, sopra si parlava soltanto di Cristo-, ma anche, e già, si può dire, nelle «immagini» che danno di Gesù stesso, secondo il modo che adottano per riportare tanto i suoi insegnamenti quanto i suoi comportamenti. Ammesso ciò, si potrebbe tuttavia pensare che ci si trovi di fronte a un compito che appartiene propriamente al teo­ logo stesso e non veramente al biblista come tale . Non è forse solo a condizione di osservare una distanza rispetto al «diverso » dei testi che deve trattare che quest'ultimo po­ trebbe conservare questa intenzione di unità? Non è forse cedendo irresistibilmente al rischio di abbandonare ciò stes­ so di cui gli tocca parlare, e che solo l'autorizza alla paro­ la, che l'esegeta potrebbe pretendere di presentare una «Sin­ tesi » su Gesù e il Cristo? Non è forse riuscendo sempre a evitare di imporre agli scritti di cui intende trattare un prin­ cipio di intepretazione o di lettura che non può che esse­ re loro estraneo, che lo specialista del Nuovo Testamento potrebbe sforzarsi di proporre quella che si potrebbe chia­ mare una (per non dire più: la) «cristologia del Nuovo Te­ stamento» ? Eppure, s e questo compito di evidenziare e valorizzare l'unità di cui, all'inizio, si è detta l'importanza per la fede e la teolQgia cristiane, si rivela problematico per il bibli­ sta, quanto, a maggior ragione, non lo sarebbe per il teo­ logo, per il «dogmatico » ? Bisogna allora dichiarare impossibile ciò d i cui prima è stata riconosciuta l'importanza, se non la necessità? È qui che appare in tutta la sua luce l'interesse della presente opera. 6

3. Come dice lo stesso autore, ben dieci anni fa il sotto­ scritto, teologo, chiedeva al biblista J.-N. Aletti di racco­ gliere la sfida rappresentata da questo compito, al tempo stesso così necessario e così problematico, di cui abbiamo parlato. Bisogna riconoscerlo chiaramente: non ci si rammaricherà tanto per il lungo tempo impiegato se si considera che la risposta al proble ma posto allora appare più magistrale . . . Nel frattempo infatti, l'autore ha potuto far tesoro d i una quantità considerevole di conoscenze e di riflessioni su cia­ scuno degli scritti neotestamentari e mettere a punto una metodologia particolarmente precisa ed efficace. Invece di seguire le piste di una teologia biblica che mirerebbe solo a costruire, tutto considerato, un riassunto dei dati mate­ riali (o dei contenuti, o degli insegnamenti) trasmessi dal Nuovo Testamento su Gesù Cristo, formalizzandoli neces­ sariamente, per unificarli, in base a una presentazione ap­ plicata dall'esterno, il presente lavoro riesce, al contrario, a evidenziare e a presentare delle strutture formali che so­ no immanenti al Nuovo Testamento stesso. Talmente im­ manenti che sembrano costituirlo, nella sua stessa diver­ sità, in quanto testimonianza resa a Gesù confessato come Cristo. Il frutto così raccolto dall'applicazione, alla diversità del materiale neotestamentario, di un «approccio strutturale» compreso come spiega debitamente l'autore, è di grande importanza dal punto di vista teologico del dogmatico e del sistemati co, dando al tempo stesso prima di tutto otti­ mi risultati dal punto di vista biblico ed esegetico. Infatti egli arriva non soltanto a mettere evidenza un punto di vi­ sta unificante sul mistero di Cristo come viene presentato dalla molteplicità degli scritti neotestamentari, ma, col fa­ vore di questa dimostrazione, fornisce anche una risposta positiva alla domanda- fondamentale sotto tutti gli aspet­ ti, sia sul piano cristologico in particolare che cristiano in generale - che di conseguenza egli ha dato come titolo a tutta la sua ricerca in questo libro: « È Gesù Cristo l'unità del Nuovo Testamento? » . Quest'opera, che non è né una pura raccolta d i dati nu­ merosi e ricchi ma che resterebbero abbandonati alla loro diversità e non articolati gli uni con gli altri col pretesto che bisognerebbe «attenersi alla Bibbia» , né è un discorso di «teologia biblica» che pretende di non abbandonare la 7

Bibbia nel momento in cui tuttavia impone ad essa delle categorie organizzatrici di fatto ampiamente eterogenee, quest'opera, dicevamo, arriva al tempo stesso a trattare da una parte teologicamente un testo biblico che rispetta e leg­ ge innanzitutto come tale, e, dall'altra, a fare biblicamente una vera e forte teologia. Il risultato di un simile approccio al Nuovo Testamento non è solo di mostrare che tutto quello che viene detto di Gesù è di ordine cristologico e che tutto quello che viene detto di cristologico è rapportato a Gesù. Il risultato è an­ che di far apparire che il Nuovo Testamento è da una par­ te all'altra e come tale strutturato «gesu- cristologicamen­ te » . Cosl che si può affermare che ciò che fa della testi­ monianza neotestamentaria su Ges ù Cristo un discorso profondamente unificato è al tempo stesso ciò che unifi ca e struttura il Nuovo Testamento come tale. C ome negare che si tratta di un lavoro raro e come non ri­ conoscere, di conseguenza, che, tanto per i bi blisti che per i dogmatici, non può che essere di grande valore!

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Introd uzione

1. Limiti del progetto

I libri che fonnano il Nuovo Testamento sono sempre pub­ blicati insieme, per cui il lettore cristiano è portato a pen­ sare molto naturalmente che l'unica rilegatura sia motiva­ ta dall'unità di contenuto: tutti questi scritti non sono for­ se la testimonianza dello stesso vangelo? Le secolari lotte confessionali hanno però dimostrato che l'unità del Nuo­ vo Testamento è stata, e resta, contestata. Spero di mostra­ re, nel corso di queste riflessioni, la posta in gioco di que­ sti problemi per la fede delle Chiese. Recentemente un esegeta ha fatto notare, a ragione, che dopo Bultmann nessuno ha potuto rifare una teologia del Nuovo Testamento degna di questo nome1• Questa lacuna è dovuta certamente al fatto che l'ese gesi incontra oggi un'enorme difficoltà a ridurre il divario tra gli studi spe­ cialistici (sui diversi li bri e temi del Nuovo Testamento), che manifestano una completa trasformazione degli ap­ procci esegetici, e le grandi sintesi teologiche, ancora chia­ mate «teologia/e biblica/che » . Quella di Bultmann, tanto per citare solo lui, sfortunatamente è stata fatta senza le procedure esegetiche oggi necessarie alla sua sopravviven­ za. Essa, per quanto brillante e stimolante, per l'ampiezza delle sue problematiche e l'ombra che queste hanno diffu­ so sulle ricerche delle generazioni di esegeti che ci hanno preceduto, fornisce delle risposte che non soddisfano af­ fatto tutte le nostre attese. Come diceva con umorismo uno

1 H. R.aisanen, Beyond New Testament Theology. A story and a program , London Philadelphia 1 990. -

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dei miei vecchi professori di esegesi, Bultmann ha affron­ tato problemi di importanza capitale, ma non ha fornito soluzioni. . . e noi nemmeno! Comunque sia del progetto dell'impresa bultmanniana, le difficoltà che essa solleva ob­ bligano gli esegeti alla modestia. Il mio progetto si situa al di qua. Non è né un'esposizione globale della o delle cristologie del Nuovo Testamento, né un esame dei diversi titoli cristologici presentati da Pietro, Paolo, Giacomo, dagli evangelisti o dal libro dell'Apocalis­ se, per studiare la loro origine, la loro funzione e l'evolu­ zione del loro uso 2• Non è nemmeno uno studio dello svi­ luppo della cristologia, dalle prime confessioni di fede in Gesù morto e risorto alle formulazioni relative alla preesi­ stenza e alla mediazione creatrice del Logos 3• In un primo tempo ho voluto piuttosto individuare come e perché la cristologia - con la sua componente gesulogica, di cui par­ leremo immediatamente - abbia progressivamente alimen­ tato se non addirittura invaso i diversi discorsi e scritti del­ la Chiesa primitiva. In un secondo momento è stato ne­ cessario interpretare una tale invasione: essa implica for­ se che l'insieme degli scritti chiamati Nuovo Testamento siano stati elaborati a partire dalla gesucristologia? Non ci sono altre dimensioni strutturanti, che non siano quelle stesse della memoria? 4• Il sostantivo «gesucristologia» e l'aggettivo che ne deriva, « gesucristologico», richiedono qualche precisazione. La lo­ ro scelta non è molto felice, sono d'accordo, ma questi ter­ mini hanno però il vantaggio di sottolineare il rapporto im­ prenscindibile che esiste tra le componenti delle diverse

2 L'opera di F. Hahn, Christologische Hoheitstitel, è un tipico esempio di

questo genere di approccio. 3 Su questo genere di approccio, cfr. J. Dunn, Christology in the Making. Nel corso delle nostre analisi dovremo dialogare di più con questo auto­ re che ha voluto anche affrontare al tempo stesso i problemi dell'evolu­ zione teologica del Nuovo Testamento (Christology in the Making) e quel­ li della sua unità/diversità ( Unity an d Diversity ). 4 Cfr. P. Gisel, «La mémoire comme structure théologique•, RTP 1 25 (1993) 66: «Traccerò e svilupperò qui la tesi che la memoria può valere come struttura teologica fondamentale, tentando di mostrare come nel­ la tematica della memoria si cristallizzino i due poli che, nell'enunciato dottrinale classico del cristianesimo, organizzano globalmente la vita cre­ dente, il polo cristologico e il polo pneumatologico ».

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cristologie neotestamentarie e colui al quale esse riman­ dano, Gesù, la cui vita giustifica i titoli che gli furono in seguito attribuiti. Dobbiamo essere grati a Kasemann per aver mostrato, dopo un lungo periodo di silenzio terrori­ stico sulla consistenza della vita di Gesù, la necessaria col­ locazione di questa vita, nella sua stessa contingenza e sin­ golarità, dentro il discorso cristiano. Tuttavia, qui non pre­ varrà direttamente l'importanza della verità storica dei rac­ conti evangelici, quanto piuttosto il fenomeno della com­ posizione, in forma di biografia, dell'esistenza di racconti ordinati e del loro ruolo nella strutturazione del Nuovo Te­ stamento. È a questo sviluppo narrativo, che non ha nien­ te di esasperato né di nostalgico, che io faccio soprattutto riferimento parlando di « componente gesucristologica», di­ stinguendo così questo modo di procedere da altri, dalle formulazioni più discorsive o eulogiche. Mostrare che la strutturazione del Nu ovo Testamento è pri­ ma di tutto gesucristologica su ppone e implica un con­ fronto con le altre ipotesi che la vedono altrove. Così, per le lettere paoline, ci si domanderà se la loro matrice sia an­ tropologica, come si è a lungo affermato; o, con altri qua­ li Kasemann e Becker, se le componenti teologiche fonda­ mentali del messaggio paolina siano apocalittiche 5• C'è del resto una (sola) struttura del Nuovo Testamento? E l'unità di struttura implica forse l'unità o la diversità (e fino a che punto) delle cristologie ? La molteplicità delle cristologie, o addirittura la loro contraddi zione, obbligherebbero il no­ stro progetto a restare s olo un pio sogno, destinato al fal­ limento prima ancora di aver visto la luce? È necessario ricordare che i livelli di strutturazione sono m olteplici e che, a rischio di perdere la sua pertinenza, ogni analisi strutturale deve distinguere questi livelli, per esaminare i loro rapporti, la loro gerarchia? L'obiettivo primario (ma non ultimo) è in ogni caso chia­ ro: determinare i pesi della cristologia nella costituziòne degli scritti neotestamentari e provare così esegeticamente l'unità del Nuovo Testamento, a diversi livelli, dalle peri­ copi all 'insieme del canone, passando per i diversi libri. Po­ trà allora essere affrontato il problema del carattere del

5 J.C . Beker, The Triumph of God.

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Nuovo Testamento. Il percorso risulta così tracciato, per­ ché la messa in evidenza di una o di strutture affini sup­ pone che si parta dai testi nella loro singolarità per vede­ re poi in che modo essi possano formare delle reti, in cui sia possibile leggere uno s tesso sistema di relazioni, delle omologie fondamentali, che possono generarne al tre. Si può nondimeno costatare come il fatto di non trattare la cristologia neotestan:tentaria per se stessa, nella sua storia e n elle sue componenti, non ci vieti di porre delle questio­ ni di teologia bibl ica, che, come si sa, è in cris i 6, per indi­ care modestamente alcune piste attraverso la foresta . . . Emerge qui chiaramente ciò che distingue il mio progetto da quello, ad esempio, di un J.D.G. Dunn, che studia il rap-· porto dell'unità e della diversità del Nuovo Testamento in term ini di centro e di periferia 7• Infatti , se c'è una struttu ­ ra, questa deve funzionare allo stesso modo - in altre pa­ role , secondo le stesse omologie - al centro (supponendo che ce ne sia uno) e alla periferia. Del resto, per queste stesse ragioni, come vedremo, la valutazione del Nuovo Te­ stamento in termini di centro (cristologico o altro) e di cir­ conferenza non appare pertinente. Provare esegeticamente l'unità e la strutturazione del Nuo­ vo Testamento, ho detto. Certo, le discussioni contempo­ ranee, che sono altrettante ondate provocate dalle posizioni di E. K.asemann8, non sembrano più ritornare, per rimet-

6 Per l'accertamento e il ventaglio delle soluzioni proposte, cfr. ad esem­

pio B.S. Childs, Biblica/ Theology in Crisis , Philadelphia 1 970; Id., Bibli­ ca! Theology of the Old and New Testaments. A 11zeological Reflection on the Christian Bible, London 1 992; P. Stuhlmacher, Schriftauslegung auf dem Wege zur biblischen Theologie, Gottingen 1 975; P. Beauchamp, «Accomplir les Écritures. Un chemin de théologie biblique», RB 99 (1 992) 1 32- 1 62. 7 Cfr. Unity and Diversity, 6: ccii nostro interrogativo di base è il seguen­ te: c'è un filo che unifica il cristianesimo primitivo e permette di identi­ ficarlo come tale? ... C'era una diversità di fede e di prassi? - diversità in­ terna all unità diversità intorno al centro unificatore? .. Le due imma­ gini - interno/esterno; centro/intorno-al-centro - che cercano di esprimere la dialettica dell'unità e di moltiplicità, non sono equivalenti, ma piutto­ sto complementari. 8 Cfr. quanto detto dallo stesso interessato in Das Neue Testament als &­ non. Dokumentation und kritische Analyse zur gegenwiirtigen Diskussion, Gòttingen 1 970. Per una riflessione sulle posizioni degli uni e degli altri, si veda tra gli altri Ch. Theobald, «Le canon des Écritures: l'enjeu d'un '

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,

. ».

terla in questione, sulla constatazione di differenze irridu­ cibili e sostanziali, interne al Nuovo Testamento9, che ren­ dono del resto uguali le scelte confessionali posteriori e giusti ficano (o perfino impongono) un canone nel Cano­ ne. Queste divergenze sono state tuttavia individuate e sot­ tolineate da un tipo di esegesi, essenzialmente storico-cri­ tica, che solleva considerevoli di fficoltà metodologiche ed ermeneutiche. Semplificando, si potrebbe dire che i meto­ di storico-critici mettono in rilievo le dimensioni storiche e teologiche dei testi, il cui interesse deriva allora princi­ palmente dalle informazioni che forniscono sugli eventi de­ scritti (così come sugli ambienti che hanno veicolato le tra­ dizioni riportate e la loro situazione storica) e sulle rap­ presentazioni, in breve sulla teologia del o dei redattori . Una volta ricostruito- con un forte coefficiente di incer­ tezza - l'origine e la storia delle unità letterarie minime, l'esegeta ha il dovere di mostrare come esse sono state ri­ prese, con delle s fumature, rielaborazioni o perfino corre­ zioni, dall'ultimo redattore, identificato o meno con l'au­ tore sacro. Non è certo a caso che l'approccio detto della «Storia della redazione» abbia fissato le sue ricerche sul vocabolario, in cui si indica l'originalità di una teologia, in contrasto (o addirittura in opposizione) con quelle che l'hanno preceduta. Ma rimane ancora da vedere se le op­ posizioni e le correzioni tocchino o meno le relazioni teo­ logiche strutturanti. Inol tre, gli approcci , le procedure, in breve i modelli, sono profondamente mutati, il che invita l 'esegeta a una mag­ giore prudenza nella valutazione dei dati. Un'attenzione co­ stante alla sincronia dei testi permette di individuare la lo­ ro intenzione globale 10 , sia essa narrativa, retorica o altro. In breve, la messa in evidenza di strutture discorsive, at-

conflit des facultés"» , in Ch. Theobald (éd.), Le canon des Écritures, Le Cerf 1990, pp. l 3-73. 9 Si potrebbero menzionare qui molti esegeti e teologi. Mi limiterò a J. Ansaldi, L'articulation de la foi, che ragiona ugualmente in termini di strut­ turale e le cui analisi, molto simolanti, arrivano a delle conclusioni com­ pletamente opposte alle mie. 10 Si potrebbe ancora parlare di «strategia» . Certo, il termine sembra far ricadere nella problematica dell'intenzione dell'autore, ma non è che il risultato della convergenza degli indizi che permettono di trarre una con­ clusione sulla dinamica e la coerenza di un testo.

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toriali e assiologiche, permette di prendere in considera­ zione l'enorme residuo lasciato da parte dall'approccio sto­ rico-critico. Questo saggio risu ona dello sconvolgimento dei modelli e «paradigmi » 11, anche se il tono resta misu­ rato: infatti è superato il tempo delle dichiarazioni sensa­ zionali. Alle mie proposte si obietterà certamente che non c'è ese­ gesi e a fortiori teologia senza presupposto di fede, e che è il presupposto di fede che «decide)) dell'unità e della mol­ teplicità, delle divergenze o delle convergenze, tra le di­ verse testimonianze del NT. Lungi da me l'escludere la fe­ de e dimenticare il suo ruolo di presupposto. Ma, (i) le op­ zioni sull'unità o la diversità delle testimonianze neotesta­ mentarie non derivano in primo luogo o soltanto da pre­ supposti confessionali. (ii) Ciò contro cui insorgo qui è la rapidità con la quale le divergenze o convergenze sono sta­ te finora affermate o negate. Che il teologo sistematico pas­ si senza alcun procedimento da un vangelo all'altro, pa­ zienza, anche se rincresce! Ma è inaccettabile che gli ese­ geti non percorrano tutto il lungo cammino, c he è l'unico che permette di spostare, modificare i problemi.

11 Per la denominazione «modelli» cfr. le ossetvazioni di L. Alonso Schokel, cOf methods and models», in Congress Volume. Salamanca 1983 VTS 36 ( 1 985) pp. 3- 1 3 , le cui osservazioni non sono però in nessun modo strut­ turali, e per l'uso recente del termine «paradigma», Ch. Theobald, «Les 41Changements de paradigme" dans l'histoire de l'exégèse et le statut de la vérité en théologie», Revue de l'Jnstitut Catholique de Paris 24 ( 1 987), 791 1 1 . Si veda, nello stesso senso e in modo più chiaro, R. Rendtorff, «The Paradigm is Changing: Hopes and Fears», Biblical lnterpretation l ( 1 993) 34-53 ; Rendtorff ricorda molto opportunamente che il termine «paradig­ ma» viene da oltre Atlantico e descrive pregnanza di una prospettiva me­ todologica: è stato usato di Th. Kuhn, The Structure of Scientifìc Revolu­ tions, Chicago 1 962, per designare un modello metodo logico comune­ mente accettato in un determinato campo, tanto da diventare il punto di riferimento per giudicare le ipotesi e i risultati; se Kuhn l'intendeva so­ prattutto delle scienze fisiche, si è poi da allora esteso alle discipline sto­ riche e letterarie, dove si distingue tra «historical Criticai Paradigm» e ccLiterary Paradigm,,. Alcuni affermano con molta leggerezza che l'ese­ gesi ha cambiato paradigma, ma non è affatto vero: se essa ha abbando­ nato l'antico o gli antichi, la dilagante dispersione dei metodi e degli ap­ procci dimostra che non ha ancora trovato il suo punto di riferimento.

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2. La storia del la redazione e l problemi che comporta

Le risposte relative alla configurazione del canone del Nuo­ vo Testamento possono essere storiche, esegetiche e dog­ matiche; queste ultime sos tengono generalmente le prime due e ne determi nano le conclusioni, come dimostrano le polemiche contemporanee 12• È compito dell'esegeta - lo storico potrebbe vedersi rivolgere la stessa domanda- ve­ rificare la canonicità dei testi, e con ciò giustificare il giu­ dizio di canonicità, che fu teologico 13 e, evidentemente, er­ meneutico, perché il riconoscimento confessionale abbia delle basi scientifiche? Non voglio dire che il pregiudizio di fede si basa sull 'approccio « Scientifico»: dove sarebbe allora la fede? Ma le giustificazioni esegetiche fatte a po­ steriori sono spesso truccate, in ogni caso rapide. È neces­ saria l'autonomia relativa dell'esegesi. Senza voler rispon­ dere subito al presupposto di fede, per invalidarlo o con­ fermarlo, il mio lavoro cercherà soltanto di mostrare che le differenze tra i libri dell'attuale Canone non sono sem­ pre lì dove si pensava e che si rende necessaria un'indivi­ duazione sistematica delle analogie (meglio, delle omolo­ gie) semantiche e teologiche costitutive dei diversi libri, o, in altri termini, un'analisi di tipo strutturale , se non si vo­ gliono giustificare i contorni di un canone nel Canone ma, al co ntrario, valorizzare una vera unità polifonica. È a que­ sto livello (strutturale) che è possibile determinare la rea­ le u nità o l'irriducibile diversità del canone neotestamen­ tario. Ed è ancora a questo livello che è possibile supera­ re la tendenza, ancora tenace presso gli esegeti, a proce­ dere per esclusione, senza alcuna dialettica: per gli uni l 'af­ fermazione dell'unità si fa a detrimento della diversità, per gli altri la diversità rimane irriducibile ed esclude l'unità! Dovremo quindi individuare il processo di strutturazione, le sue costanti, in altre parole le omologie semantiche co-

12 Cfr. un recente punto della situazione di Ch. Theobald, «Le canon des Écritures: l'enjeu d'un "conflit des facultés'\,, in Id. (ed.), Le Canon des

Écritures, 20-57. 13 Giudizio che fu anche dommatico (oggetto di definizione ufficiale da

parte delle autorità ecclesiastiche), ma abbastanza tardivamente: per la prima volta al concilio di Laodicea (verso il 360), e finalmente nel con­ cilio di Trento.

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si c reate tra libri che sono diversi per l'origine della loro tradizione, per il loro genere letterario e per la loro fun­ zione ecclesiale 14• Prima di valutare il processo di cristologizzazione degli scritti che in seguito sono stati chiamati « Nuovo Testa­ mento » , è importante, ho detto, verificarne la realtà, dalle unità di piccole dimensioni ai libri interi. Ma l'ipotesi stes­ sa di un processo di cristologizzazione suppone un'evolu­ zione nel tempo, sempre difficile da determinare, tuttavia essenziale per la comprensione della fanna che hanno pre­ so le rappresentazioni neotestamentarie. L'approccio deve così comportare una tappa diacronica, applicabile a tutti i livelli del discorso. Per le lettere paoline, ad esempio, es­ sa consiste nel tener conto, per quanto possibile, della lo­ ro presunta data di redazione, dell 'eventuale ripresa di tra­ dizioni anteriori e delle evoluzioni costatate sia nelle let­ tere dalla prigionia che nelle pastorali, avendo sempre sul­ lo sfondo il problema dell'importanza di queste evoluzio­ ni nei riguardi della strutturazione del Nuovo Testamento. Per la tradizione evangelica la questione è evidentemente più complessa perché gli esegeti discutono ancora accani­ tamente sulla datazione delle quattro recensioni attuali. L'ipotesi dell'anteriorità di Mc è quella più condivisa, ma sono ugualmente numerosi anche coloro che, sulla scia di Griesbach, difendono il primato di Matteo... Ciò che uno scrittore contemporaneo diceva del nostro destino vale per lo sviluppo delle tradizioni e delle redazioni evangeliche: «Quando vogliamo isolarlo, (esso) somiglia a quelle piante

J4 Prima di ritornarci in seguito, notiamo che la funzione o il ruolo degli scritti apostolici è mutato con la loro accettazione canonica. Le lettere di Paolo non furono originariamente un annuncio del vangelo, ma una se­ rie di scritti destinati a illuminare le Chiese sulle conseguenze della loro adesione a Cristo, e a proteggerle di fronte a dei problemi di ogni sorta; la loro accoglienza da parte delle Chiese, molto precoce (favorita dallo scambio di queste lettere; cfr. Col 4, 16; e a livello locale l Ts 5,27), e no­ nostante il silenzio di cui furono oggetto nel II secolo (Marcione non ha reso un servizio a Paolo, è il meno che si possa dire), ne ha indubbia­ mente cambiato la funzione: da documento di circostanza sono diventa­ te testimoni privilegiati del vangelo, per tutti i tempi e per tutti i creden­ ti in Cristo. Per questo slittamento della funzione degli scritti neotesta­ mentari, cfr. M. Pesce, «La trasformazione dei documenti religiosi: dagli scritti protocristiani al canone neotestamentario,,.

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che è impossibile s trappare con tutte le loro radici» 15• A di ­ re il vero, per il nostro cammino, queste questioni sono di minore importanza, in confronto al fenomeno della com­ posizi one in forma biografica: che si sia passati da una se­ rie di discorsi (o di logia) e di racconti circostanziati a un racconto continuo del ministero e della passione di Gesù, cominciando perfino, in MtJLc, con la nascita e gli eventi che l'accompagnano, merita, come vedremo, molta più at­ tenzione. Il cammino deve però privilegiare la componente sincro­ nica dei testi. Prendendo in considerazione la compl essità e la gerarchizzazione dei diversi linguaggi, dalle uni tà di ­ scorsive minime alle più ampie (i grandi insiemi dell'at­ tuale canone del Nuovo Testamento: i racconti, le lette­ re/epistole e l'Apocalisse di Giovanni), essa deve studiare la strutturazione cris tologica ai diversi livelli testuali, per valutarne le conseguenze teoriche e pratiche. Per la loro complementarità, ma anche per i risultati che forniscono, qu esti due approcci soll evano un difficile in­ terrogativo: una tale s truttura del Nuovo Testamento, sup­ ponendo che esista, comporta una dim ensione diacronica, e quale? Altrimenti, a cosa serve un approccio che rispet­ ta la diacronia? Diciamo subito, prima di più ampie ri­ flessioni, che essa ha almeno il vantaggio di m ostrare che il tempo non ha fatto cambiare radicalmente le relazioni strutturanti, e che così la struttura continua il suo lavoro unificante, senza per questo impedire la diversità. Del re­ sto, il rapporto tra diacronia e sincronia obbliga forse a di­ stinguere tra la teologia della Chiesa primitiva (più antica e spazialmente più diversificata) e la teologia riflessa dall 'at­ tuale canone del Nuovo Testamento (più recente e più uni­ ficata, o addirittura più stereotipata) ? Del protocattolice­ simo è possibile parlare solo in termini negativi e peggio­ rativi (come perversione della struttura kerigmatica pri­ mitiva) ? Dalle analisi vedremo emergere progressivamen­ te un'immagine unificata o, al contrario, una diversità con­ finan te con l'eterogeneità? Altrettanti scogli nei quali si im­ batteranno i nostri interrogativi, soll evati dal metodo stes -

15 F. Mauriac, Thérèse Desqueyroux, Oeuvres romanesques et théatrales complètes, Gallimard 1 979, p. 28.

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so, e la cui importanza non è sfuggita all'esegesi. Senza dubbio oggi siamo in grado di dare loro delle risposte più affidabili. 3. L'approccio strutturale e la sua pertinenza

Alcuni lettori, a causa delle turbolenze epistemologiche di questi ultimi decenni, penseranno forse che io sia solo un venditore di fumo o che voglia «cantare un inno alla Strut­ tura» (in sé e per sé), dato che molti studiosi ne hanno già mostrato i limiti e denunciato le pretese dello strutturali­ smo a rinchiudere in un unico sistema tutti campi del sa­ pere 16• Lungi da me il fare dell 'approccio strutturale, che d'altra parte non ha bisogno di cantori, una panacea. Se qui l'ho preferito ad altri, senza cadere in una ideologia panstrutturalista, è perché la questione dell'unità del ca­ none neotestamentario non può non comportare una di­ mensione strutturale; essa tocca infatti una serie di testi riuniti insieme - per le ragioni che conosciamo - e, inol­ tre, dato che la confessione (cattolica) alla quale appar­ tengo dichiara - senz' altro un po' rapidamente - che essi formano un'unità (non uniforme, ma ugualmente reale), è importante verificare se il pregiudizio di fede abbia degli appoggi linguistici con leggi reperibili e ferme, a meno che l'esegesi non arrivi a dimostrare il contrario, cosa che al­ cuni (di confessione soprattutto protestante) pensano di aver fatto. Senza inutili polemiche, ma con allegria e in­ dubbiamente molta audacia, cercherò di dimostrare che le conclusioni finora addotte contro l'unità teologica del ca­ none neotestamentario restano esegeti camente - intenden­ do con ciò «Strutturalmente» - insufficienti. La pertinen­ za dell'approccio sarà quindi giudicato dai risultati. Ho anche parlato di strutturazione gesucristologica. Non bisogna forse vedere in questo una polarizzazione o una spiacevole riduzione? Cosa diventano infatti il Padre, lo Spirito Santo, la stessa Chiesa, se è vero, come è stato giu­ stamente sottolineato, che la (gesu)cristologia è solo uno 16

Per una breve storia dell'ideologia strutturalista, cfr. B. Saint-Semin, cLes états du structuralisme» , Études, aprile 1 993, 487-495. L'espressio­ ne «cantare un inno alla struttura)) viene da questo articolo (p. 494 ) .

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dei poli del la scrittura e della memoria neotestamenta­ ria ? 17• Non sarebbe più opportuno designare una struttu­ ra con una relazione 18,- poiché è di questo che si tratta­ piuttosto che con uno dei suoi elementi, per quanto im­ portante sia? Ammettiamolo provvisoriamente. Ricordia­ mo nondimeno che ci sono diversi livelli di strutturazio­ ne 19, e che è importante determinare cosa li legh i: forse per no i sarà necessario costatare che ad ogni livello la ge­ sucristologia, più che un elemento del sistema, è uno, se non addirittura il fattore decisivo di strutturazione che uni­ sce tra loro i diversi livelli . Gettando semplicemente uno sguardo sul vocabolario simbolico del Nuovo Testamento e sul modo in cui esso si distribuisce, il lettore non può non vederlo svilupparsi in campi molteplici, ma ogni vol­ ta legati, agganciati alla (gesu)cristologia 20 , in modo che quest'ultima possa effettivamente essere riconosciuta co­ me strutturante. 4. L'occasione

Il desiderio di portare a buon fine questo studio non deri­ soltanto da un costante interesse personale per i pro­ blemi di struttura - suscitati senza dubbio dalle questioni di compiutezza in matematica-, ma �olto è dovuto anche

va

17 Cfr. P. Bonnard, Anamnèsis, al quale rimanda anche P. Gisel nell'arti­ colo già menzionato, «La mémoire comme structure théologique». Non si deve dimenticare che prima di essere designato come Nuovo Testa­ mento questi scritti non furono messi in rapporto di alterità con un «An­ tico», ma ricevettero il nome di «memorie degli Apostoli» (apomnèmo­ neumata; Giustino utilizza anche il verbo corrispondente apomnèmo­ neuein). 1 8 Alleanza, salvezza, famiglia, ecc. 19 È importante quindi indicare ogni volta di che tipo di struttura si trat­ ta (letteraria, attanziale, semantica), altrimenti si rischia di appiattire il linguaggio e di generare una grande confusione. 2° Cfr., tra gli altri, il simbolismo della famiglia (relazioni: paterna, spon­ sale, filiale, fraterna), il linguaggio corporale (corpo, testa, membra), il sistema sacrificale (tempio, santuario, offerta, agnello, sacerdote), le fi­ gure e gli eventi biblici (Adamo e l'Eden; Mosè e l'Esodo; Davide, Salo­ mone; il profeta Elia ed Eliseo; ecc.), la tematica pastorale (pastore, greg­ ge, pascolo), senza parlare dei simboli direttamente legati alla sussisten­ za (vita, morte, luce, pane, acqua, vino, ecc.). Naturalmente ci ritornere­ mo sopra.

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all'evoluzione (recente) delle posizi oni esegetiche. Ricor­ diamo infatti che, per le lettere paoline, sono sempre più numerosi gli specialisti secondo cui l'origine e lo sviluppo del pensiero dell'Apostolo non si spiega in primo luogo a part ire dai contesti rel igi osi (il giudaismo, nella sua pietà farisaica e la sua osservanza della Legge, nei suoi sviluppi rabbinici e/o apocalittici; o ancora le religioni misteriche), culturali (l'ellenismo nelle sue componen ti cinico-stoiche), o sociali, ma a partire dalla sua esperienza (personale ed ecclesiale) in Cris to e, di conseguenza, dalla sua cristolo­ gia 21• Una simile inversione di tendenza esigeva evidente­ mente una verifica - non unicamente storico-critica - del­ l'ipotesi per le lettere paoline; invitava ugualmente ad al­ largare la ricerca agli altri scritti del Nuovo Testamento, lettere, vangeli e Apocalisse. In verità, il mutato atteggiamento della ricerca esegetica paolina è in gran parte dovuto all 'atteggiamento ecumeni­ co condiviso oggi da numerosi esegeti . Questa conversio­ ne mentale non riguarda soltanto le confessioni cristiane, ma si estende fino al giudaismo. È ugualmente significati­ vo che gli esegeti, protestanti o cattolici, siano arrivati pro­ gressivamente a riconoscere e ammettere, e poi corregge­ re, le concezioni talvol ta grossolane che essi avevano e an­ cora.conservano del giudaismo: questo cambiamento in ogni caso scuote l'esegesi paolina. Senza dubbio per que­ ste ragioni possono manifestarsi ora, da parte del giudai­ smo, le vere difficoltà e resistenze: esse riguardano preci­ samente il modo in cui il cristianesimo - fedele in questo agli scritti neotestamentari - presenta Gesù di Nazaret 22• Avevo parlato per la prima volta di questo progetto che mi accingo ora a real izzare con Joseph Doré ben dieci anni fa! Senza dubbio è grazie a lui che queste pagine hanno vi­ sto lentamente la luce: lo ringrazio per i suoi suggerimen­ ti, i suoi incoraggiamenti.

Natale 1993

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Cfr. E.P. Sanders, Kim, Fitzmyer e Merklein.

22 Le note a piè pagina non sono indispensabili alla lettura; possono per­

ciò essere omesse (almeno in un primo tempo). Sono tuttavia utili a chi desidera delle informazioni supplementari o una giustificazione detta­ gliata di alcune argomentazioni.

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Parte prima

Epistole

Nel Nuovo Testamento le epistole - o lettere• - sono più numerose degli altri scritti, anche se la loro lunghezza o il loro volume è minore 2• Il loro numero può spiegarsi in due modi diversi e complementari: (i) La necessità in cui si tro­ vavano gli apostoli e i missionari itineranti di conservare un contatto con le Chiese che avevano fondato; (ii) il fat­ to che la lettera era diventata, fin da prima della nostra era, una forma letteraria abbastanza flessibile per integra­ re altri generi: trattati, istruzioni, esortazioni, racconti, ecc., e si prestava i noltre a molteplici funzioni: si scriveva per una raccomandazione, una richiesta, il commercio, un con­ tratto, per intrattenere legami di amicizia . . .

1 Gli specialisti tengono a distinguere tra l e «lettere» , che sarebbero oc­ casionali e avrebbero lo scopo di rispondere ai problemi particolari del­ le comunità alle quali erano indirizzate, e le «epistole,,, più sistematiche e più vicine ai discorsi antichi. Questa distinzione fu stabilita in un'epo­ ca in cui ancora non si faceva differenza tra il tipo di retorica proprio di ciascun genere: la prima sarebbe propriamente epistolare e la seconda discorsiva (o anche oratoria) . Chiunque esamini un po' più da vicino gli scritti paolini non può che costatare l'inadeguatezza (o addirittura la fal­ sità) di questa distinzione. Questi scritti, pur avendo numerosi tratti co­ muni con questi due tipi (vicini) di retorica, non possono essere tuttavia ridotti né all'una né all'altra. Così, Rm è certamente più vicina alla reto­ rica discorsiva di lTs, l Cor, Fil o Fm (che invece seguono di più la reto­ rica epistolare), ma non può essere classificata puramente e semplice­ mente come discorso. È chiaro che, nelle pagine seguenti, non farò al­ cuna differenza tra «lettera» ed «epistola» . 2 n NT è formato d a cinque racconti, u n sermone (l' « epistola» agli Ebrei), un'apocalisse, e venti lettere: tredici di Paolo, tre di Giovanni, due di Pie­ tro, una di Giacomo e una di Giuda. Se si confronta il numero approssi­ mativo delle parole, la proporzione è inversa: le venti lettere formano so­ lo un totale di circa 40.000 parole (29o/o), contro le 98.000 (71 %) del re­ sto del NT.

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Le lettere del Nuovo Testamento non trattano prima di tut­ to né esclusivamente di cristologia, ma affrontano vari ar­ gomenti, a seconda delle difficol tà incontrate dalle Chiese. Diciamo pure che nessuna di esse deve la sua composi­ zione alla cristologia, a differenza dell'«epistola» agli Ebrei, nella quale si potrebbe vedere i l primo tentativo o il primo saggio di cristologia 3• La nostra ricerca potrebbe quindi fallire proprio a proposito di queste lettere: la cristologia le ha veramente influenzate, unificate, perfino strutturate? Ecco perché bisogna cominciare da esse, in particolare dal­ le lettere paoline, di cui almeno sette sono riconosciute da­ gli esegeti come gli scri tti più antichi del Nuovo Testa­ mento. Nelle lettere paoline la frequenza delle formule cristologi­ che è stata da molto tempo riconosciuta, analizzata e va­ lutata4: «Cristo», «in Cristo», «da Cristo», «con Cristo» e al­ tre espressioni dello stesso genere 5 ricorrono con tanta fre­ quenza 6 che il lettore appena appena un po' attento si in­ terroga sulla loro ragion d'essere. Senza dubbio esse pro­ vengono dalla pienezza di un incontro straordinario e da una con tinua esperienza che bisognava annunciare, come le buone notizie che uno è impaziente di diffondere e che instancabilmente si ripetono e si raccontano. Ma , nono­ stante tutto, non si trova sotto la penna dell'apostolo alcu­ na descrizione minuziosa di quello che fu il suo persona­ le itinerario spirituale 7: è un altro autore, il narratore de­ gli Atti, che ri ferisce la sua conversione e fa poi parlare Paolo su questo episodio 8• Si può quindi presumere che la

3 Sulla composizione di Eh, cfr. gli studi di A. Vanhoye, lA structure litté­ raire de l'épitre aux Hébreux, Bruges 21976; Situation du Christ, Le Cerf, Paris 1 969; Prétres anciens, pretre nouveau selon le Nouveau Testament, Le Seuil, Paris 1980, 84-263 (tr. it., LDC, Torino-Leumann 1985). 4 Cfr. F. Neugebauer, In Christus. Eine Untersuchung zum paulinischen Glaubensverstiindis, Gottingen 1961; M. Bouttier, En Christ, P.U.F., Paris 1 962. 5 Con o senza «Gesù)) e «Signore». In questo numero vanno inclusi an­ che tutti gli « in luh) che hanno questo stesso riferimento. 6 Secondo Morgenthaler, su un totale di 529 ricorrenze di Christos nel NT, 3 79 appartengono al corpus paolina. 7 Perfino un passo come 2Cor 12,1-4 non dice nulla sul contenuto cri­ stologico (pure probabile) della rivelazione. 8 Cfr. At 9, 1 - 1 9; 22,6- 1 6; 26, 1 2- 1 8.

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menzione frequente del Cristo derivi dall'esperienza di Pao­ lo, che dice qua e là: « Per me vivere è Cristo» (Fil l ,2 1 ), «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2 ,20), formule che non lasciano alcun dubbio sulla forza di que­ sta relazione. Si può ugualmente cercare di dimostrare, con molti esegeti contemporanei, che la riflessione di Paolo de­ rivi tutta dalla sua esperienza eristica, e ciò dopo il cam­ mino di Damasco 9• Noi però non cercheremo di risalire fi­ no all'esperienza che può (e deve) sostenere le affermazio­ ni: ci limiteremo ai testi, per cercarne le leggi di struttu­ razione interna. Prima di mettere in evidenza la funzione strutturante del­ la cristologia nell'insieme delle epistole 10, è tuttavia im­ portante rilevare la sua presenza multi forme, dalle espres­ sioni più semplici agli sviluppi più importanti. Nell 'introduzione ho affermato, invero abbastanza rapida­ mente, che la diacronia aveva qui il suo posto e la sua im­ portanza per mettere in evidenza le costanti ma anche le evolu zioni . Rimane da mostrarlo. È necessario però de­ terminare prima l'ordine crono logico. Per l'itinerario se­ guito qui, che prende in considerazione solo le grandi li­ nee dello sviluppo del pensiero paolina, possiamo limitar­ ci a un ordine che, partendo da l Ts e arrivando fino alle pastorali, non confuta, perché evita di affrontarle nei det­ tagli 11, le questioni di cronologia: (a) le lettere dette del mi­ nistero ( 1 -2 Tessalonicesi, 1-2 Corinzi, Galati, Romani) ; (b) le lettere dalla prigionia (Filippe si, Filemone, Colossesi , Efesini); (c) infine le Pastorali ( 1 -2 Timoteo, Tito) . Simil­ mente, non insisteremo sulle questioni di autenticità, se­ condarie per il nostro scopo, utili unicamente nella misu­ ra in cui e sse mostrano come sia difficile situare certe let­ tere nella serie; segnaliamo una divisione - abbastanza neu­ tra - che ricalca solo in parte la precedente, ma che la com­ pleta: (a) sette lettere attribuite oggi unanimemente 12 a Pao-

9 Cfr., ad esempio, S. Kim, 11ze Origin of Paul's Gospel. 10

l -3Gv saranno trattati con gli altri scritti della tradizione giovannea. Cfr. il problema dell'unità di alcune lettere, come 2Cor e Fil, che sa­ rebbero, secondo numerosi esegeti, composte di due, tre biglietti (o ad­ dirittura di più) scritti in date diverse. 12 Infatti non è stato sempre cosi. Nel secolo scorso, la scuola di Tubin­ ga riconobbe come paoline solo quattro lettere: Rm, l -2Cor e Gal. (N.d. T.: nella versione italiana si è preferito usare l'espressione «lettere di Paolo» 11

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lo (chiamate per questa ragione homologoumena): 1 -2Ts, 1 -2Cor, Gal, Rm, Fil, Fm; (b) quelle la cui autenticità è for­ temente discussa (e che meritano perciò il loro appellati­ vo di antilegomena): Col, Ef, 2Ts; (c) infine le pastorali, at­ tribuite dalla maggior parte degli esegeti a dei discepoli di Paolo 13• Ma l'ordine cronologico, anche se esige di essere rispetta­ to, almeno per le lettere paoline, perché le altre sono più difficili da datare 1 4 , non traccia il cammino: non percor­ rerò gli scritti gli uni dopo gli altri, esaminandone ogni vol­ ta la teologia, l'escatologia, l'ecclesiologia, l'etica, ecc., per vedere fino a che punto essi sono segnati dalla cristolo­ gia 15• Ma in ciascuno di questi diversi campi (Vangelo, esca­ tologia, soteriologia, etica, ecclesiologia, ecc.) si vedrà co­ me la cristologia abbia avuto la sua influenza e abbia pro­ gressivamente attuato la sua opera di unificazione e di strutturazione. Detto ciò, bisogna iniziare da una duplice constatazione negativa: (a) L'ordine di apparizione delle lettere paoline nell'attuale canone del Nuovo Testamento non ne fa un «corpus» , nel senso che formerebbero un blocco a parte, ben delimitato e chiuso, il che non significa evidentemen­ te che non possano essere studiate per se stesse né che non

per indicare le lettere riconosciute come autentiche di Paolo, e l'appella­ tivo «deuteropaoline>> per le altre lettere, invece dei termini homologou­ mena e antilegomena dell'edizione francese). 13 Senza pronunciarmi in maniera apodittica su tutte le epistole conte­ state, propendo definitivamente per l'autenticità di Col (cfr. Aletti, Co­ lossiens). Senza dubbio bisognerebbe anche rivedere in direzione più an­ tica la datazione di alcune lettere finora dichiarate tardive. L'opinione che numerosi esegeti si facevano della paternità degli scritti antichi sta del resto cambiando. La partecipazione dei segretari o collaboratori di Paolo ha potuto infatti assumere fanne molto diverse, dal semplice det­ tato alla redazione attiva. Su questo punto, cfr. E.R. Richards, The Se­ cretary in the Letters of Paul, Tiibingen 1 99 1 . 1 4 Mentre per l e lettere paoline s i ammette che sono state scritte prima del 70, così come anche l'«epistola» agli Ebrei, per le altre la data di re­ dazione cambia da un autore all'altro; considero, senza del resto preci­ sarla, soltanto la datazione più tardiva di 2Pt e di 1 -3Gv, per seguire una possibile evoluzione al livello del ruolo del Cristo nei diversi campi teo­ logici. 15 Per un percorso simile si veda l'introduzione di S.B. Marrow, Paul, his Letters and his Theology, Mahwah, New Jersey 1 986.

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siano facilmente identificabili, come testimoniano le su­ perscriptiones 1 6• (b) Inoltre, le lettere non sono classificate

a partire da criteri teologici o cristologici, ma materiali: in primo luogo il tipo di destinatari - le Chiese (da Rm a 2Ts) e gli individui (da l Tm a Fm) -, poi la loro lunghezza de­ crescente 1 7• Se l'ordine di classificazione delle lettere (paoline e altre) non è determinato dalla cristologia, quest'ultima determi­ na tu ttavia la riflessione del loro Autore? Senza alcun dub­ bio; ma al punto da strutturarla interamente? L'unità de­ gli scritti paolini deriva dal fatto che, nonostante la diver­ sità delle loro ecclesiologie, delle loro escatologie, ecc., es­ si trovano in Gesù Cristo il loro «Centro», come volentieri si ripete? In breve, la fede in Gesù Cristo è su fficiente a te­ nere insieme delle affermazioni peraltro divergenti? 18• È possibile che una cristologizzazione di tutti i campi della riflessione paolina uni fichi questi scritti in profondità? Va da sé che questi interrogativi devono estendersi alle altre

1 6 La superscriptio designa colui/colei che invia o scrive una lettera e il cui nome (qui « Paolo») figura (quasi sempre) in testa. Quest'ordine si tro­ va già nelle numerose lettere dei libri dei Maccabei . Cfr. 1 Mac 1 0, 1 8; 1 1 ,30.32; 1 2,6.20; 1 3 ,36; 14,20; 1 5, 1 6; 2Mac 1 , 1 . 1 0; 9, 1 9 (con un ordine inverso: destinatario, saluto, mittente); 1 1 , 1 6.22.27.34. 17 Ecco la classificazione delle lettere in funzione del loro numero di pa­ role (prendendo come base il Nuovo Testamento greco della ventiseiesi­ ma edizione di Aland): (i) quelle alle Chiese: Rm (7 1 1 4 parole), 1 Cor (684 1 ), 2Cor (4488), Gal (2232), Ef (2423), Fil ( 1 63 1 ), Col ( 1 582), 1Ts ( 1 482), 2Ts (823); (ii) quelle a individui: l Tm ( 1 59 1 ), 2Tm ( 1 239), Tt (659), Fm (335). In realtà, il fatto stesso che Gal preceda Ef, che però è più lun­ ga, dimostra che la classificazione si basa su un terzo principio, meno in­ fluente: le prime quattro lettere (Rm, 1 -2Cor e Gal) sono diventate inse­ parabili, perché furono probabilmente composte in uno stesso luogo (sen­ za dubbio Efeso) e circolarono insieme da una Chiesa all'altra. 18 Cfr. le conclusioni di Dunn, Unity and Diversity, 1 22, relative ai modelli ministeriali nel NT, e che potrebbero essere applicate alle divergenze tra le lettere paoline: «Un solo centro di unità può essere svelato con una cer­ ta consistenza - ed è, ancora una volta, Gesù e la fede in lui » . Stessa ri­ flessione qualche pagina dopo: «In breve, quando si esamina il culto del­ le chiese cristiane del primo secolo, si scopre lo stesso tipo di modello di unità e di diversità messo in evidenza negli altri campi della nostra ri­ cerca - un'unità il cui centro sarebbe la fede nell'uomo Gesù ormai esal­ tato, ma, tutt'intorno, una diversità che manifesta una varietà pressoché indefinita» (p. 149; il corsivo è dell'autore). Queste constatazioni solleva­ no i mmediatamente la questione del grado di unificazione di cui è capa­ ce la cristologia in generale, e quella di Paolo di particolare.

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lettere del Nuovo Testamento. Indipendentemente dagli aspe tti teologici che sono in gioco, sui quali ritorneremo, riconosciamo che grandi sono anche le sfide esegetiche. Nel capitolo seguente, per non essere troppo lungo, mi li­ miterò spesso a segnalare, appoggiandolo ogni volta con alcuni .esempi , il processo di cristologizzazione dei diversi campi della ri flessione paolina. Ogni punto avrebbe meri­ tato sviluppi più ampi, ma così facendo sarei andato oltre i confini che mi ero imposto. Ho resistito alla tentazione della lunghezza nella convinzione che il lettore me ne sarà grato. Il secondo capitolo affronta direttamente le questioni di omologia e mostra come la cristologizzazione multifor­ me delle epistole abbia paradossalmente una funzione uni­ ficatrice.

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Capitolo primo Le lettere paoli ne Una cristolog izzazione diffusa

Considerato da una certa altezza, il nostro percorso sarà semplice: costatando che la (gesu)cristologia pervade tut­ ti i campi della riflessione paolina, vedremo se e fino a che punto essa ne è il fattore principale di strutturazione. Ma, considerandolo un po' più da vicino, il cammino apparirà senza dubbio più tortuoso, perché le diverse lettere non trattano tutte delle stesse questioni : essendo per la mag­ gior parte degli scri tti di circostanza, esse non pretendono di dire tutto su tutto, ma si sviluppano in funzione delle difficoltà affrontate . Dato che l'escatologia, l'ecclesiologia, l 'etica, ecc. , non progrediscono in modo lineare da una let­ tera all'altra, cercherò di cogliere le costanti e i cambia­ menti decisivi attraverso o al di là della sinuosità di u n ar­ gomentazione difficile, anche per gli specialisti . '

VANGELO E CRISTOLOGIA Il vangelo che è Cristo

Il vangelo, la Buona Notizia per eccellenza, che Paolo ha proclamato, dall'inizio alla fine del suo ministero, per la quale è stato inviato ( l Cor l , 1 7a) e che le sue lettere ri­ flettono con costanza, è evidentemente « il vangelo di Dio» 1, .perché in esso si mat:ti festano pienamente e paradossalmente le «Vie inaccessibili » di Dio (Rm 1 1 ,33). Ma questo

1 l Ts 2,2.8.9; 2Cor 1 1,7; Rm 1 5, 1 6. Il genitivo tou Theou ( «di Dio») può essere oggettivo ( « il vangelo, quello che riguarda Dio••) o di origine ( « il vangelo che viene da Dio») . .

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non esclude in nessun modo un contenuto cristologico; al contrario, come mostra chiaramente l'inizio della lettera ai Romani, dove Paolo afferma di essere stato messo a par­ te «per il vangelo di Dio. . . , riguardo al Figlio suo . . . » (Rm 1 , 1 -3), e tutte le volte in cui utilizza l'espressione «Vange­ lo di Cristo» 2• E se, a differenza dei precendenti, altri pas­ si non collegano sintatticamente questi due termini, ma­ nifestano nondimeno che annunciare il vangelo equivale ad annunciare Gesù Cristo 3• In l Cor 1 , 1 7-2 ,5 l'apostolo stabilisce del resto il legame tra le due componenti inse­ parabili , teologica e cristologica, del vangelo, sottolinean­ do l'ostinazione con la quale la seconda componente era stata un tratto costante e prioritario della sua predicazio­ ne («lo ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso», 2,2). Non cre­ diamo che Paolo abbia proceduto in questo modo con la sola Chiesa di Corinto, a causa delle difficoltà incontrate lì; altri passi dimostrano che questo annuncio era lo stes­ so dovunque egli si recasse 4• In Col ed Ef, lettere più tardive, senza sopprimere il ter­ mine «vangelo» dal suo vocabolario, Paolo vi aggiunge un altro vocabolo, quello di «mistero», per descrivere il conte-

i

l Ts 3,2; l Cor 9, 1 2; 2Cor 2, 1 2; 4,4; 9, 1 3; 10, 1 4; Gal 1 ,7; Rm 1 5 , 1 9; Fil 1 ,27. Ugualmente 2Ts 1 ,8. Come indicano le diverse ricorrenze, l'espres­ sione copre tutto il periodo del ministero di Paolo e risulta pertanto sin­ tomatica. Alla fonnula di Rm l, 1 -3 corrisponde quella più ricca, ma ugual­ mente molto esplicita, di Rm 1 6,25 : «A colui che ha il potere di confer­ marvi secondo il vangelo che io annunzio predicando Gesù Cristo (kata to euaggelion mou kai to kerygma lèsou Xhristou) ... ». Come si sa, questo versetto (con tutto Rm 1 6) è considerato non autentico da alcuni esege­ ti. Nondimeno conferma totalmente ciò che è stato detto sul contenuto cristologico del vangelo, così come ne parlano i testi «paolini» . Stessa esplicitazione in 2Cor 4,3-5: «II vangelo della gloria di Cristo che è . im­ magine di Dio. Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Si­ gnore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù>> . 3 Cfr. l Cor 1 5 , 1 - 1 1 : «Vi ricordo, fratelli, i l vangelo che avete ricevuto e nel quale restate saldi. .. Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati ». Ugual­ mente 2Cor 1 , 1 9: «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi . . . » . E, più tardi, Fil 1 , 1 2- 1 8 . 4 Cfr., ad esempio, Gal 3, 1 : «O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati, pro­ prio voi agli occhi dei quali fu rappresentato dal vivo Gesù Cristo (e Ge­ sù Cristo) crocifisso? » .

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nuto del suo annuncio: « Pregate anche per me, perché mi sia dato di aprire la bocca per far conoscere, con sicurez­ za, il mistero del vangelo» (Ef 6,9) 5 • Se non si sofferma di più sul significato di questa espressione è perché nei capi­ toli precedenti (Ef 2-3 ) ha parlato più a lungo del « miste­ ro» , sottolineandone dimensioni cris tologiche ed ecclesio­ logiche. Quanto abbiamo appena detto su Ef vale a fortio­ ri per Col, dove la componente cristologica del mistero è dominante 6, e che può essere così riassunta: Cristo in mez­ zo alle nazioni (Col 1 , 27). Il carattere cris tologico del vangelo paolina è una costan­ te . Ma questo suscita un interrogativo: perché l'apostolo rion considera la Buona Notizia senza Gesù Cristo? Perché la proclamazione è essenzialmente CRISTOlogica, e non soltanto (né principalmente) TEOlogica? La parte finale dell'inno di Filippesi (Fil 2 ,9- 1 1 ) lasci a già intuire la ri­ sposta: se Dio ha glorificato Gesù e l'ha costituì to Signore perché tutto il creato, senza eccezione alcuna, lo ricono­ sca come tale, non si vede come Paolo potrebbe esimersi dal p assare sotto silenzio questa signoria (con tutto ciò che l'ha preceduta). L'annuncio di Cristo e la risposta che es­ so esige mostrano chiaramente che la fede in lui è essen­ ziale alla salvezza, e questo per tutti, senza eccezione. In breve, aderire al vangelo equivale praticamen te a credere in Cristo Gesù. Rm 9,30-1 0,2 1 illustra ugualmente molto bene questa affermazione, poiché il solo rimprovero che Paolo vi formul a nei riguardi di Israele è quello di aver ri­ fiutato il vangelo, in altre parole Gesù Cristo 7, in nome stesso della sua fedeltà alla Torah. Infatti , per Paolo è pro­ prio questo il dramma del suo popolo - dramma che fu an­ che il suo, quando perseguitava la Chiesa -: i doni più gran­ di che Dio ci fa possono impedirci di riconoscere le sue

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Si obietterà senza dubbio che il genitivo tou euaggeliou non è attestato da tutti i manoscritti. È vero, ma Ef 3,6, che descrive il « mistero» ag­ giunge « in Cristo Gesù per mezzo del vangelo» , sottolineando, se ce ne fosse bisogno, il legame esistente tra questi tre termini (Cristo, \'angelo e mistero). E possibile comprendere il genitivo tou euaggeliou come geni­ tivo epesegetico («il mistero che è il vangelo>>). 6 Cfr. Col l ,24-2,5. Su questa sezione di Col, si veda Aletti, Colossiens, 1 37- 1 57. Ugualmente 4,3. 7 Cfr. Sanders, Paul, the Law and the Jewish People, 1 54; Aletti, Comment Dieu est-il juste?, 1 1 9- 1 27.

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vie. Annunciare che la giustizia divina si è de finitivamen­ te e pienamente mani festata in Gesù Cristo equivale qui n­ di a descrivere l'itinerario di Cristo, a presentarlo crocifis­ so, morto e risorto per la nostra salve zza. Gesù Cristo non ci stacca da Dio, poiché contemplandolo noi riconosciamo fin dove è voluta arrivare la follia del Dio sapiente, come fa capire l Cor 1 , 1 8-3 1 . La morte di Gesù In croce, cuore del vangelo

Ma non basta riconoscere che Cristo costituisce l'oggetto ptimario del vangelo di Paolo. Bisogna anche notare che l'apostolo dell'itinerario ha voluto praticamente conside­ rare solo la morte di Cristo in croce, di cui si può dire con certezza che costituisce il cuore del suo vangelo. Non che egli abbia una predilezione per questo tipo di morte; ben al contrario, egli stesso l'aveva trovata indegna delle vie di Dio, impensabile, scandalo per lui e i suoi correligionari, i giudei, follia per gli altri. Da evento insopportabile, essa diventa per lui il luogo stesso di ogni conversione, il leit­ motiv del suo annuncio. Ciò non significa nemmeno che dopo la sua conversione Paolo abbia cercato di minimiz­ zare lo scandalo, nel senso che la sua finalità soteriologi­ ca (una morte in croce per noi tutti ) permetterebbe di rias­ sorbirne l'enigma, l'eccesso; anche se, sulla scia della tra­ dizione apostolica, l'apostolo ha interpretato e riletto l' even­ to alla luce delle Scritture (cfr. l Cor 1 5 ,3), anche se ha su­ perato i motivi del suo rifiuto e percepito la coerenza di una simile morte, questa viene sempre da lui espressa in termini paradossali. Vediamo perché. 1 Cor 1-2 è senza dubbio il passo in cui viene meglio de­ scritto il ruolo della morte in croce di Cristo in rapporto al vangelo. È infatti per non annullarla che l'apostolo ri­ fiuta ogni discorso brillante, costruito secondo le regole della logica mondana, che si preoccupa sempre di strap­ pare l'approvazione. Optando per una retorica dell'umiltà, della semplicità, Paolo ha definitivamente rinuncia to alla seduzione della parola. Ma la morte di Cristo in croce non cambia soltanto il gioco delle regole retoriche; determina il messaggio stesso, perché in essa si indicano in maniera definitiva le scelte povere di Dio: nel « fin là » della croce si rivela la follia divina più sapiente della sapienza umana, la 31

povertà più forte e potente di tutto. La croce cambia il mo­ do di considerare il mondo e i suoi valori: « Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo » (Gal 6, 1 4) . La morte di Gesù in croce può essere annunciata, proclama­ ta solo come sovversione suprema e definitiva dei valori mondani : obbliga tutti i campi del discorso umano (tutte le semiotiche) a convertirsi. Una tale importanza data all'«estremo» , al rovesciamento dei valori imposto da questo evento, senza dubbio spiega anche perché Paolo non dice praticamente nulla della vi­ ta di Gesù, se non che è nato da una donna ed ebreo sot­ to Ja legge (Gal 4,4), della discendenza di Davide (Rm 1 ,3). Ciò non significa che l'apostolo non possa trovare in que­ sta vita nessun evento degno di essere menzionato, ma è la logica di questa vita che egli coglie in una sola espres­ sione , «riconosciuto in tutto simile agli uomini » (Fil 2, 7), perché essa obbedisce esattamente alla dinamica dell'ab­ bassamento. Certo, il «fino all'estremo» dell'umiliazione e della kenosi non è la fine dell 'itinerario, e il vangelo paoli­ na contiene anche un elemento «risurrezione» , senza il qua­ le la predicazione non sarebbe altro che una falsa Buona Notizia, e la nostra fede vuota, vana 8• Ma questo elemen­ to non deve far dimenticare il primo, perché trova in esso la sua indispensabile condizione: l'esaltazione è quella di un crocifisso, di un umiliato . . . che è il Figlio stesso di Dio. La composizione globale di Fil 2,6- 1 1 sottolinea efficace­ mente questi punti di forza del vangelo paolina 9:

8 Cfr. l Cor 1 5, 1 4. 1 7. 19. 9 Numerosi sono gli esegeti che vedono in questo pezzo, e forse a ragio­

ne, un inno prepaolino. Non mi dilungherò su questa questione che è qui secondaria. È più importante sapere che, anche se così fosse, Paolo ha ripreso l'inno perché va precisamente nello stesso senso del suo vangelo. Come indica lo schema, le parole schiavo/signore e i prefissi hypolhyper (al di sopra/al di sotto) si oppongono rispettivamente: al movimento di abbassamento volontario di Cristo segue la risposta inversa di Dio, poi del creato.

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A (vv. 6- 7a ) si è fatto schiavo (doulos) v. 7a

B (vv. 7b- 8) umiliò se stesso facendosi obbediente (hy­ pèkoos) v. Ba ------------------ - - ---------- e alla morte su una croce (v. Se). B (v 9) Dio l'ha hyper-esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra (hyper) di ogni altro nome v. 9b A' (vv. 1 0 - 1 1 ) Gesù Cristo (è) Signore (kyrios) v. 1 1 10• '

.

Un'unica cristologi a e un u nico vangelo?

Il vangelo paolino ha quindi principalmente Gesù Cristo per oggetto. Ma questo oggetto primario (o addirittura uni­ co) determina necessariamente l'unicità del messaggio? Fi­ nora, infatti, abbiamo parlato, con Paolo, del vangelo co­ me se la questione della sua unicità non si ponesse. Ma non è perché annunciano il Cristo che i predicatori ne par­ lano tutti allo stesso modo e i loro discorsi sono compati­ bili: l'unicità del referente non implica quella del discorso. Del resto, lo stesso vangelo di Cristo non può essere for­ mulato in modi diversi, tutti autentici? Certamente, infat­ ti il vangelo è sempre «Secondo Matteo, Marco, Luca, ecc. » , plurale, a meno d i diventare puro psittacismo. M a ciò che Paolo stigmatizza nei cristiani di Corinto, e con un'ironia sferzante, non è una molteplicità feconda, ma piuttosto «Un errore di persona» , come si direbbe oggi : «Se il primo ve­ nuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno Spirito diverso da quello che avete ricevuto o un vangelo diverso da quel-

10 Mi permetto di segnalare, dato che non è stato ancora fatto né dai com­ mentari né dalle monografie, la composizione (concentrica) della secon­ da parte dell'inno (vv. 9- 1 1 ), che descrive una duplice reazione, - quella di Dio a che esalta b e dà il nome al di sopra di ogni altro nome - quella del creato, che risponde con la lode: . perché nel nome di Gesù (x) a' ogni ginocchio si pieghi (y) . nei cieli, sulla terra e sotto terra (z) b' ogni lingua proclami (y') . Gesù Cristo Signore (x').

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lo che avete accolto, voi siete ben disposti ad accettarlo»

(2Cor 1 1 ,4). Il vangelo è unico nel senso che rimanda a

un

solo Gesù, morto in croce e risorto per tutti noi , a u n solo Spirito agente della nostra santi ficazione. L'unicità dei re­ ferenti (Dio, Cristo, Spirito) autorizza così a parlare di uni­ co vangelo, anche se Paolo non utilizza la categoria di uni­ cità 1 1 • E con «Un Gesù diverso>> bisogna senza dubbio in­ tendere un Gesù di cui si tacerebbe la morte scandalosa, o che sarebbe venuto per rimetterei sotto il giogo della Leg­ ge. È quindi la morte di Cristo in croce che determina le altre componenti dell'annuncio evangelico paolina, come egli dice ai Galati: « Quanto a me, fratelli, se io predico an­ cora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce?» (Gal 5, 1 1 ). In altri termini, la circoncisione non è parte integrante del vangelo; essa non potrebbe costituire l'oggetto di un an­ nuncio universale. Un passo precedente della stessa lette­ ra lo afferma in modo diverso, ma con la stessa chiarezza: « Se la giustificazione viene dalla Legge - da intendere: il sistema mosaico -, Cristo è morto invano» (Gal 2,2 1 ) . Do­ vremo confrontare queste affermazioni con quelle del di­ scorso sulla montagna in cui è Gesù stesso che sembra con­ ferire alla Legge un ruolo salvifico 12 • Limitiamoci qui a no­ tare che è la morte di Cristo in croce che serve a Paolo da criterio per specificare ciò che appartiene o meno al van­ gelo. Che ci possano tuttavia essere diverse formulazioni del van­ gelo rispettose dello scandalo della croce, e quindi diversi modi per descrivere l'itinerario di Cristo, con le sue impli11 In Gal t ,6 egli dichiara piuttosto che i credenti hanno aderito a un al­ tro vangelo. Molti traducono così l'inizio del versetto seguente: «non che ce ne sia un altro» - e alcuni esegeti vedono in questa negazione la pro­

positio di Gal (ciò che Paolo vuole dimostrare nel corso della lettera). In realtà il sintagma greco ouk estin allo ei mè non ha questo significato: Paolo si meraviglia che i Galati siano passati a «Un altro (heteron) van­ gelo, che non è altro che questo: ci sono persone che seminano confusio­ ne tra voi . . . » (Devo queste osservazioni ad A. Vanhoye, in un suo corso sulla lettera ai Galati dato al Pontificio Istituto Biblico). 12 D. Marguerat, Le jugement, che nota, p. 2 1 9: « Per l'apostolo Paolo l'av­ vento di Cristo rende caduca la Legge nella sua funzione di cammino di salvezza. Matteo condivide con la tradizione veterotestamentaria la con­ vinzione che il dono della Torah sia una grazia di Dio: la Legge appar­ tiene per lui al campo della soteriologia».

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cazioni, uno per i giudei, i circoncisi, e un altro per i non giudei , Gal 2,2 lo ammette implicitamente. La difficoltà è evidentemente quella dei criteri che permettano di dichia­ rare compatibili o incompatibili delle "buone notizie" e le loro rispettive cristologie, e noi dovremo riflettere sulla com­ patibilità, o addirittura sull'omologia delle cristologie del NT, al fine di determinare se queste ultime siano struttu­ ranti per i diversi libri e le loro sezioni principali.

CRISTOLOGIA E ANNUNCIO DELLA SAL VEZZA Com'è noto, i Padri della Chiesa e i primi concili vagliava­ no la loro cristologia al crogiolo della soteriologia 1 3 • Per giudicare la verità delle affermazioni relative a Cristo, che riguardassero o meno i loro awersari, essi si domandava­ no quasi sempre quali conseguenze avessero nei riguardi della salvezza dell'umanità e del cosmo: un Gesù né vera­ mente Dio né pienamente uomo avrebbe potuto riscattare in tutte le sue dimensioni la nostra umanità ferita? Ciò che vale per la letteratura patristica vale anche per il NT? An­ che se in un modo del tutto differente, i vangeli fanno ugual­ mente dipendere la cristologia dalla soteriologia, per gli at­ tori del racconto primario, poiché è l'agire salvifico di Ge­ sù che spesso suscita i loro interrogativi circa la sua iden­ tità 1 4• Però non è lo stesso per i lettori, ai quali i diversi narratori notificano fin dall'inizio l'origine e la dignità di Gesù 1 5 • Paolo, da parte sua, fa chiaramente dipendere la soteriologia dalla cristologia 16• Vediamo come.

1 3 Infatti gli effetti della salvezza (in qualità ed estensione) permettono di dedurre lo stato e la dignità del mediatore. 14 Cfr. , ad esempio, Mc 1 ,27; 2,7; 4,4 1 ; 6,2-3. 1 4- 1 6; da notare ugualmen­ te che Gesù chiede ai discepoli di pronunciarsi sulla sua identità dopo aver operato numerosi miracoli e aver a lungo insegnato (Mc 8,27-30 e par. ); Gv 4, 39-42; 5, 1 2; 9, 1 6. 1 7.24-25 .30.3 1 -32; 1 1 ,37 . . . 1 5 Cfr. l'incipit del vangelo di Marco ( M c l , l ), gli annunci angelici d i M t 1-2 e Le 1 -2, il prologo di Giovanni (Gv 1 , 1 - 18). Sul percorso diverso che devono effettuare gli attori del racconto e il lettore, cfr. Aletti, L 'arte di raccontare Gesù Cristo, 65-68, 1 9 1 - 1 93. 1 6 Questo è riconosciuto abbastanza generalmente dagli esegeti. Cfr. , ad esempio, D. Ltihrmann, «Christologie und Rechtfertigung>>, 363: «L'an­ nuncio della giustificazione da parte di Paolo è (quindi) in realtà un'in-

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Le moltepl ici di mensioni della mediazione di Cristo A seconda dei passi, in altre parole in funzione di ciò che

vuole dimostrare, Paolo descrive in due modi diversi l'in­ tervento salvifico passato. Dio può esserne il soggetto, pren­ deme l'iniziativa, allo scopo di mostrare la sua giustizia e la sua misericordia, ma Cristo viene menzionato ogni vol­ ta, perché è lui che Dio ha inviato per il nostro riscatto o la nostra liberazione 17• Gli stessi eventi possono così esse­ re descritti a partire da Cristo: egli è morto per noi, ci ha amati e si è consegnato per noi, si è fatto povero per ar­ ricchirci della sua povertà, è stato obbediente in tutto per­ ché la moltitudine fosse giustificata, ha voluto essere soli­ dale con la nostra umanità fino alla morte in croce e ha ri­ conciliato l'umanità nel suo corpo, ecc. 18• In questi diver­ si passi Paolo utilizza del resto parecchi campi semantici per esprimere l'intervento di Dio e di Cristo: amore, gra­ zia, riscatto, liberazione (dalla legge, dal peccato, dalla mor­ te), giustificazione, perdono, riconciliazione, solidarietà, obbedienza e umiliazione , espiazione (o propi ziazione), sa­ crificio, creazione, vita, salvezza 1 9• Oltre ai campi seman­ tici, egli insiste anche sulla qualità e l'estensione (univer­ sali) dell'opera redentrice di Cristo.

terpretazione e una conseguenza della sua cristologia». K.asemann (al quale è dedicata la miscellanea) lo aveva già sostenuto con forza. 17 Cfr., tra gli altri passi, 2Cor 5, 1 8- 1 9.2 1 ; Gal 4,4-6; Rm 3,2 1 -26 (con il termine hilastèrion, strumento d'espiazione); Rm 5,8; 8,3-4; Col 1 ,22; 2, 1 3; Ef 2,4-Sa. 18 Testi principali: 1 Ts 5,9- 1 0; 1 Cor 8, 1 1 ; 1 5,3; 2Cor 5 , 1 4- 1 5 ; 8,9; Gal 1 ,4; 2,20; 3 , 1 3; Rm 5,6 8 ; 5, 1 2- 1 9; 1 4, 1 6; Fil 2,7-8; Col 1 20; 2, 1 4- 1 5; Ef 2, 1 31 7; 5, 2 (offerta, vittima); 5,23.25. Le espressioni paradossali di Paolo che uniscono indissolubilmente Dio e Cristo, sono state felicemente riprese dalla preghiera della XIV domenica ordinaria: « Dio, che hai risollevato il mondo con l'abbassamento del tuo Figlio» . 19 È noto che l a tradizione posteriore al Nuovo Testamento svilupperà al­ tre due categorie, quella di soddisfazione e di sostituzione. Cfr. Sesboiié, Jésus Christ l'unique médiateur, 327s. Molto recentemente, e dopo tanti altri, Temant, Le Christ est mort pour tous , è ritornato sulla teoria della sostituzione, secondo la quale Gesù avrebbe subito al posto dei peccato­ ri il castigo da essi meritato, per negare decisamente la sua presenza nel NT, che vedrebbe al contrario questa morte come l'espressione suprema di una solidarietà fraterna. Si vedano anche le critiche pertinenti di Moingt, L'homme qui venait de Dieu , 4 1 3-4 1 5 . Se le lettere di Paolo riservano il termine salvezza all'intervento di Dio (e .

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,

Ma il dono che Cristo ha fatto di se stesso per noi, e il cui culmine per Paolo è, come abbiamo già segnalato, la mor­ te in croce, non dice tutto della sua mediazione salvifica, che continua ancora oggi, perché Cristo è risorto e, come tale, regna sui morti e sui vivi ( 1 Cor 1 5 ,23-28; Rm 1 4,9; Fil 2, l 0- 1 1 ). La sua vittoria sul peccato e la morte non è sol­ tanto un evento passato; essa determina l'essere dei cre­ denti, che sono morti con lui alla Legge, al peccato, sep­ pelliti con lui per vivere con lui (Rm 6, 1 - 1 1 ; 8 , 1 7 ; Col 2 , 1 1 ; Ef 2,4), per lui (2Cor 5 , 1 5 ; Rm 1 4 ,7-8), per conoscerlo (Fil 3,8. 1 0; Col 2,2 ; Ef 3 , 1 9; 4, 1 3) , e perfino vivere grazie a lui, poiché abita, vive in essi (Gal 2,20; Ef 3 , 1 7) e la sua vita (di risorto) si manifesta, brilla nella loro esistenza morta­ le (2Cor 3, 1 8 ; 4,8. 1 1 ; Rm 8,29); poiché essi appartengono a lui ( 1 Cor 3 ,23) e, per essi, vivere è Cristo (Fil 1 ,2 1 ; Col 3,4 ). La mediazione di Cristo continua anche nel rappor­ to dei credenti con Dio, perché egli li protegge dall'ira fu­ tura ( 1 Ts 1 , 1 0) e intercede per loro (Rm 8,34). In breve, Cristo non abbandona quelli che ha riportato nell'amicizia di Dio: la sua azione in loro favore è sempre efficiente e durerà fino alla fine dei tempi 20 . Del resto sono gli effetti della mediazione di Cristo, nella sua stessa vita e in quella dei creden ti , che determinano il modo in cui Paolo interpreta il ruolo della Legge mosai­ ca 2 1 . Con molta costanza egli ripete che la Legge, per quan­ to buona e santa, rimane fondamentalmente al servizio del peccato, perché lo fa conoscere ma si rivela incapace di li­ berarci da esso 22 •

di Cristo) alla fine dei tempi ( lTs 1 ,8; 1 Cor 1 , 1 8, dove si nota il partici­ pio presente passivo, che indica un processo che sta per accadere; 3, 1 5; 5,5; 1 5,2 ancora con il presente; Rm 5,9. 1 0; 8,24; 1 0,9. 1 3 ; 1 1 ,26), Efesini (cfr. 2 ,5.8) ne parla al passato. Dovremo perciò domandarci se il cam­ biamento è dirimente al livello strutturale. 2° Cfr. infra , la sezione sul rapporto tra cristologia ed escatologia. 21 Punto sottolineato molto giustamente da Sanders, Paul, the Law and the Jewish People. Cfr. Gal 3; Rm 3,20; Rm 5,20; 7,7-25. Cfr. ugualmente Merklein, « Bedeutung», 1 2 , 39s; Penna, «Legge>>, 340-344 e 350-35 1 . 22 Molto recentemente, Thielmann, From Plight to Solution, ha voluto di­ mostrare, contro Sanders, che, come nel giudaismo della sua epoca, Pao­ lo parte sempre dalla situazione drammatica dell'umanità per apportar­ vi la soluzione (la salvezza per mezzo di/in Cristo). Ma si tratta di una tecnica retorica: l'apostolo inizia col riprendere i punti forti di riflessio­ ne del giudaismo della sua epoca sulla giustizia divina e la sua manife-

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;C ertamente si obietterà che in certi passi, quali Rm 7, 7-2 5 , Paolo mostra l'impotenza della Legge a proteggere dal pec­ cato e dalla morte, prima di proporre la fede in Gesù Cri­ sto come unica via d'uscita (7 , 25ss). In realtà, anche e so­ prattutto in questa unità letteraria, la soluzione (l'espe­ rienza della salvezza in Cristo) è anteriore e guida l'argo­ mentazione. È sufficiente presentare il filo del discorso in Rm 5-8 . Infatti il riconoscimento dell'IO prigioniero del peccato e della carne (in 7, 7-25) è preceduto da sviluppi che sottolineano la l ibertà ottenuta dal credente in Cristo (6, 1 -7,6), e che sono a loro volta annunciati da una pre­ sentazione della mediazione di Cristo ( 5 , 1 2-2 1 ). Così Rm 7,7-25 si trova racchiuso tra due serie di affermazioni re­ lative alla situazione del cristiano, unito a Cristo e abitato dallo Spirito: ciò vuoi dire che il passo dev'essere inter­ pretato alla luce di essi 23• Ora, non si parla lì del cristiano: è piuttosto Paolo che, da uomo libero perché unito a Cri­ sto, può mettere a nudo il meccanismo dell'imprigiona­ mento nel quale si trova colui che è soggetto alla Legge 24•

stazione per mostrare, progressivamente, la loro applicazione straordi­ naria, impensabile per chi resta sotto la legge. Cfr. Aletti, Comment Dieu est-il juste?, 54-80; Id., « Comment Paul voit la justice de Dieu en Rm . Enjeux d'une absence de définition >> , Bib 7 3 ( 1 992) 359-375. 23 La composizione di Rm S-8 è la seguente: dapprima un esordio (5, 1 l l ), poi una specie di narratio (5, 1 2-2 1 ), i n cui Paolo presenta la supe­ riorità della mediazione eristica (con un procedimento retorico usato spes­ so al suo tempo, il confronto o synkrisis, qui tra Cristo e Adamo); la nar­ ratio termina con l'esposizione delle affermazioni (la propositio, 5,20-2 1 ) che poi l'argomentazione (o probatio, 6 , 1 -8, 30) giustificherà e preciserà in tre tappe, 6, 1-7,6 (a prevalenza cristologica) + 7,7-25 + 8, 1 -30 (a pre­ valenza pneumatologica); l'unità si conclude con una conclusione dagli accenti profetici (8,3 1 -39). 24 Ci si interroga ancora sull'identità dell'IO che parla in Rm 7,7-25. Sen­ za entrare in un'esegesi necessariamente lunga, qui facciamo notare sol­ tanto che non si tratta (a) né di Paolo unito a Cristo, (b) né di Paolo che descrive l'esperienza del cristiano non ancora totalmente abitato dallo Spirito di Cristo; (c) e se il passo descrive la situazione di chiunque vo­ glia obbedire alla Legge mosaica, a gridare aiuto non è innanzitutto il giudeo osservante che percepisce la gravità del suo stato. Chi si esprime è il Paolo che, in Gesù Cristo, può mettere in evidenza il modo in cui il peccato utilizza la Legge, buona e santa, ai suoi fini mortiferi e può va­ lutare, a cose fatte (perché all'epoca non ne era stato cosciente), quello che era stato il suo cammino di giudeo zelante per la Legge e ingannato dal peccato.

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Oltre al suo ricupero per mezzo del peccato, la Legge mo­ saica ha avuto e continua ad avere, secondo Paolo, una funzione più limitata, quella di essere la carta d'identità del popolo dell'alleanza, proteggendolo (con i suoi divieti alimentari e cultuali), e « separandolo» dal resto delle na­ zioni; questo ruolo differisce così da quello di Cristo, uni­ versale e unificatore. Con una rara costanza, le lettere di Paolo e le deuteropaoline sottolineano questo ruolo sepa­ ratore della legge mosaica, che Efesini arriva fino a quali­ ficare come «muro», come «odio» (Ef 2 , 1 4- 1 5) . Ma sotto­ lineando l'universalità salvifica della morte in croce e - co­ me vedremo più avanti - della risurrezione di Cristo, Pao­ lo può abbozzare, in modo rapido ma suggestivo, la voca­ zione unica di tutta l'umanità, senza eccezione alcuna. l destinatari della salvezza e il loro status

Abbiamo visto che la situazione dei credenti, giudei e non, è espressa spesso da Paolo in termini cristologici: essi so­ no «in Cristo» 2 5, morti e sepolti con lui; Cristo si forma progressivamente in loro (Gal 4, 1 9), essi stessi vivono del­ la sua vita, i loro corpi sono le sue membra ( 1 Cor 6, 1 5); la sua grazia è con loro 26; sono stati fidanzati a lui (2Cor 1 1 ,2), e sono suoi fratelli 27, la grazia più grande è quella di com­ prendere la straordinarietà del suo amore per loro, come dice Ef 3, 1 4 1 9 All'inizio della sua seconda lettera ai Co­ rinzi , Paolo, con una formula molto felice, afferma perfi­ no che Dio ci ha fatti «Cristi» 2 8, ben indicando il rapporto di identificazione che esiste tra il credente e colui di cui egli porta il nome. Quando però l'apostolo vuole esprimere l'identità dei ere-

.

25 Su questa formula, cfr. Bouttier,

En Christ. Formula tipica del finale di lettere: 1Ts 5,28; 1 Cor 1 6,23; 2Cor 1 3, 1 3; Gal 6, 1 8; Rm 1 6,20.24; Fil 4,23; Fm 25; 2Ts 3, 1 8. 27 La frequenza con la quale Paolo chiama i suoi lettori «fratelli >> si basa sul loro rapporto a Cristo, quale viene sommariamente enunciato in Rm 8,29. 28 Traduzione letterale del verbo chrizein («ungere>> ), dal quale deriva il termine christos, unto: «Dio ci ha unti )) . Paolo gioca evidentemente sul­ la parola. Da notare che l'ap:pellativo «cristiano» esprime abbastanza be­ ne questo rapporto del battezzato con Cristo. 26

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denti e la loro dignità in rapporto a Dio, il suo vocabola­ rio non sembra direttamente cristologico. Dice infatti di essi che sono diventati figli/figlie di Dio 29, che in cambio possono chiamare veramente «Abba! Padre! » 3 0 • Certo, in Gal 4,4-6, Paolo non manca di segnalare che l'adozione fi­ liale ha come condizione l'invio del Figlio. Ciò non toglie che, di per sé, la relazione Padre/figli abbia soltanto due attori : Dio e l'umanità. Avendo compiuto (e ben compiu­ to) il suo lavoro, il mediatore sembra eclissarsi. .. In realtà Cristo non è estraneo alla relazione instaurata, a differen­ za di una persona che, senza appartenere alla famiglia, aiu­ terebbe un padre a far tornare da lui i suoi figli perché pos­ sano partecipare dei suoi benefici, in particolare della sua eredità! Infatti, come dice Gal 4,4: «Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» : Cristo vive in noi , ama in noi; siamo figli/figlie con e in lui. Ecco perché pos­ siamo dire «Abba! Padre! » a Dio - metafora viva, perché l'adozione filiale non ha niente di una relazione da stra­ pazzo ! Questo è anche il motivo che fa ripetere diverse vol­ ta a Paolo che Dio vuole vedere i battezzati riprodurre l'im­ magine di suo Figlio 3 1 , perché più noi somigliamo a que­ st'ultimo più diventiamo ciò che egli è, Figlio. Il mediato­

re non scompare né rimane estraneo alla relazione che ha permesso di allacciare; ci ha fatto piuttosto entrare in que­

sta relazione che egli ha in proprio con il Padre suo: l'es­ sere figli diventa così inseparabile dal suo itinerario, quel­ lo di Figlio. Questo spiega ancora perché sia necessario imitarlo, avere i suoi stessi sentimenti, soffrire per essere glorificati con lui (Rm 8, 1 7; Fil 3 , 1 0- 1 1 ), ecc.

CRISTOLOGIA E A TTESA DELLA FINE DEl TEMPI H o affermato sopra che il contesto apocalittico era relati­ vamente meno importante della componente cristologica. Ma non ne ho affatto tratto la conclusione che la perti­ nenza del vangelo non derivi dalla sua capacità di risve-

29

Cfr. 2Cor 6, 1 8; Gal 3,26; 4,5; Rm 8, 1 5 . 1 6. 1 7. 1 9.2 1 .23; 9,26; Fi' 2, 1 5 ; Ef 1 ,5 . 30 Gal 4,6; Rm 8, 1 5 . 31 l Cor 1 5,49; 2Cor 3, 1 8; 4,6; Rm 8,29.

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gliare una speranza duratura. Del resto, per il nostro per­ corso ciò che è importante studiare è la dimensione cri­ stologica di questo futuro. Da qualche decennio si è fatto a gara nel ripetere che l'esca­ tologia (o il discorso sulla fine dei tempi) degli scritti giu­ daici paratestamentari non è fondamentalmente messia­ nica. D'altronde è vero che, per il giudaismo, il messia non ha la stessa importanza che nel Nuovo Testamento, e ciò per evidenti ragioni ! Questo non fa che sottolineare, come dimostreremo, il carattere eminentemente cristologico del­ l'escatologia degli scritti neotestamentari, in particolare paolini 32• Cristologia o apocalittica?

Nell'introduzione abbiamo solo sfiorato il problema di una possibile strutturazione apocalittica della teologia (e quin­ di dell'escatologia) paolina. È nota l'ipotesi, ripresa di re­ cente da Beker, secondo la quale è l'apocalittica che forma la matrice della cristologia di Paolo, e non il contrario 33• Infatti, dice Beker, se la morte e la risurrezione costitui­ scono il contenuto del suo vangelo, è stata la loro interpre­ tazione apocalittica a conferire ad esse un significato e una portata decisivi 34; e ciò che interessa prima di tutto Paolo è la vittoria imminente e definitiva di Dio sul male, la ma­ nifestazione gloriosa della sua giustizia: per lui la posta in gioco sarebbe teo-logica, non cristo-logica! È vero? Nel prossimo capitolo studieremo l'influenza della cristologia

32 Ridderbos, Paul p. 49, fa notare l'interdipendenza e l'inseparabilità dell'escatologia e della cristologia, e ne fa una delle caratteristiche prin­ cipali del pensiero paolina. 33 J.C. Beker, The Triumph of God, soprattutto 1 8-36. Questo libro ebbe uno strepitoso successo negli USA. Alcuni decenni fa il dibattito si era polarizzato intorno a due concetti: escatologia e/o apocalittica; gli uni so­ stenevano che l'escatologia paolina non era fondamentalmente apocalit­ tica, e gli altri invece che lo era, altrimenti essa perderebbe significato! 34 Ibid. 20. A p. 2 1 l'autore enuncia i quattro motivi dell'apocalittica giu­ daica che avrebbero modellato il pensiero paolino: (a) la fedeltà e la ven­ detta finale di Dio, (b) la salvezza universale, (c) la struttura dualista del mondo, (d) l'imminente venuta di Dio nella gloria.

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sulla formazione delle macra-unità 35, e ritorneremo sull' ar­ gomento . Ma possiamo già domandarci se, per Paolo, la posta in gioco principale sia la manifestazione imminente della gloria di Dio. In effetti l'argomentazione di Rm, che Beker sollecita in appoggio alla sua tesi, mostra che certi enunciati , pur menzionando la venuta futura di questa giu­ stizia e gloria 36, hanno un'importanza molto relativa, per­ ché Paolo sottolinea molto di più le modalità in cui si so­ no già manifestate questa giustizia e questa gloria; la dif­ ficoltà viene in realtà dal «come» 37 di questa manifesta­ zione, cioè la morte in croce, e dallo scandalo che ciò ha provocato tra i suoi correligionari. Al punto che bisogna dire, contro Beker e altri, che il contesto apocalittico non influisce molto su quella che è la reale posta in gioco, in­ fatti esso passa sotto silenzio le vie inaudite che formano il cuore del vangelo paolina e che sono state segnalate so­ pra. Paolo non è per nulla interessato alla vendetta finale divina: non che la neghi 38, ma tutta la sua predicazione in­ siste sul contrario, cioè sulla misericordia accordata alla nostra umanità, in una folle generosità, quella della croce, perché è paradossalmente lì che il Dio di gloria e di mae­ stà non è mai stato più potente! Si ribatterà certamente che le rare volte in cui Paolo par­ la dell'importanza decisiva della risurrezione generale dei morti, la descrive ricorrendo a uno scenario apocalittico 39• Lo scenario apocalittico, però, non ha un'importanza er­ meneutica decisiva; è piuttosto la presenza di Cristo che dà tutta la sua portata all'evento, perché permetterà ai cre­ denti, vivi e morti, di essere allora per sempre con lui nel­ la gloria . L'insistenza è sulla designazione, sul CHI (Cristo e la sua venuta salvifica, tutti i credenti con lui) piuttosto che sul contenuto dei tratti apocalittici . Certo, l Cor 1 5 ,2328 termina con una nota teologica: la vittoria di Cristo sul­ la morte annuncia il regno totale e definitivo di Dio, quan-

35 In altre parole, sull'argomentazione d'insieme delle epistole. 36 Rm 3,25-26; 9,22-23; 1 1 ,36.

37 Mediante la follia della croce; senza le legge, soltanto mediante la fe­

de; mediante la fede in Gesù Cristo; senza la circoncisione; ecc. 38 Egli lo ricorda in molti passi: lTs 4,6; 5,3.9; 2Ts 2, 1 2; Gal 5,2 1 ; l Cor

6,9. 1 0; Rm 1 ,32; 2,5- 1 0; 2, 1 6; 3,6; Ef 5,5.

39 l Ts 4, 1 5- 1 7; l Cor 1 5,23-28; l Cor 1 5,52-53.

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do egli sarà «tutto in tutti » . Ciononostante Paolo mette di più l'accento sulla funzione e sul significato della vittoria di Cristo sulla morte che su questo regno finale di Dio; in­ fatti, grazie alla risurrezione di Cristo, il cristiano sa che la sua stessa vittoria è già acquisita, secondo l'esclamazio­ ne di Paolo al termine dell'argomentazione: « Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore no­ stro Gesù Cristo! » ( l Cor 1 5 ,57). Il g iorno e la venuta del Signore

Prima di parlare però del legame tra la risurrezione di Cri­ sto e la nostra notiamo come la venuta finale di Dio in glo­ ria, menzionata nelle apocalissi paratestamentarie, venga totalmente cristologizzata da Paolo: il giorno del Signore è quello della venuta (la «parusia ») di Gesù nella gloria 40 , con i suoi angeli, ecc. Ciò che Paolo ritiene di questa pa­ rusia è che essa è la consolazione per eccellenza, infatti Cristo verrà per prendere i suoi per sempre con lui , siano essi vivi o morti. Molte volte l'apostolo ripete che, fin da ora, Cristo ci protegge dall'ira e dalla condanna 41 • Il gior­ no della sua venuta dà a questa mediazione attuale un ca­ rattere definitivo, perché Cristo rifiuta di vedere i suoi se­ parati da lui, e li vuole vivi per sempre in sua compagnia. Cristo non è dunque semplicemente, come in certi scena­ ri giudaiçi del tempo, il segnale che annuncia la fine dei tempi. La sua presenza infatti è la nostra consolazione: l'unica e vera sventura è quella di non essere per sempre con lui ! La risurrezione di Cristo e la nostra

La cristologizzazione dell'escatologia paolina si opera in maniera ancora più decisiva: la vita eterna non è soltanto l'essere con lui (in una relazione esteriore), ma il ricevere in eredità la sua stessa vita di risorto! Sappiamo infatti che

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Cfr. 1 Ts 2, 1 9; 3, 1 3; 4, 1 5; 5,23; 1 Cor 1 ,8; 5,5; 1 5,23; 2Cor 1 , 14; Fil 1 , 10; 2, 1 6; 3,2 1 -22; 4,5; 2Ts 1 ,7. 1 0; 2, 1 .2; 1 Tm 6,4. 4 1 Cfr. 1 Ts 1 , 1 0; Rm 8, 1 ; 8,3 1 -39.

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certe correnti giudaiche dell'epoca credevano fermamente nella risurrezione generale dei morti alla fine dei tempi. Ma, per essi, questa risurrezione doveva precedere il giu­ dizio finale: gli empi sarebbero risorti per i tormenti sen­ za fine e i fedeli di Dio (avendo obbedito alla sua legge) per le gioie eterne 42• Una traccia di questo modo di pen­ sare si ha in Gv 5,29, dove il fatto di risorgere non è suffi­ ciente a determinare una retribuzione positiva: «quanti fe­ cero il bene per una risurrezione che porta alla vita e quan­ ti fecero il male per la risurrezione che porta al giudizio » . In queste tradizioni i l fatto di risuscitare non è quindi una garanzia automatica della gloria eterna. In Paolo, invece, la risurrezione finale è impensabile sen­ za Cristo, che ne resta il modello, la primizia; la sua ri­ surrezione annuncia, chiama la nostra, la rende certa: l Cor 1 5 afferma che ciò che è accaduto al Cristo permette di comprendere quanto accadrà a noi, indica ciò a cui siamo chiamati. Se la risurrezione finale è impensabile senza Cri­ sto, la sua risurrezione non è più un evento isolato, che avrebbe valore in se stesso e susciterebbe la nostra ammi­ razione: «Quanto è bella! » ; Paolo ne ha percepito il valore di anticipazione: essa chiama la nostra e le dà forma. In­ fatti risuscitando diventiamo come lui, raggianti di gloria: una risurrezione per la punizione o la distruzione rimane così esclusa 4 3• Mi permetto di insistere con più forza: il di­

scorso di Paolo sulla risurrezione fìnale è talmente impre­ gnato di cristologia che senza di essa perde significato.

L'argomentazione di tutta la seconda sezione ( l Cor 1 5,35-

42 Cfr. 4Esd 7,32-44: tutti i morti risusciteranno in vista del giudizio e del­ la retribuzione finale, cioè la geenna (i tormenti) per gli empi e il para­

diso di delizie per i fedeli. Ugualmente 2Bar 49,2: i morti risusciteranno, ma senza alcun cambiamento nel corpo (affinché si possano riconosce­ re gli uni gli altri); 5 1 , l : poi ci sarà un cambiamento radicale di forma per gli uni e gli altri, forma peggiore per quelli che hanno agito male e bellezza luminosa per quelJi che hanno rispettato la legge; 5 1 , l 0: saran­ no simili agli angeli e come le stelle (perciò splendenti). 43 Il peggio che possa capitare a qualcuno è di non risuscitare, cioè di non riflettere la gloria divina con e in Cristo. La sorte di quelli che non sa­ ranno glorificati con Cristo non viene precisata: alcuni passi come Rm 2, 1 2a sembrano fare allusione a una distruzione, a una scomparsa tota­ le; in altri, al contrario, il risorto viene come giudice escatologico e in­ fligge ai malvagi un castigo eterno (2Ts 1 ,7-8).

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38) merita d'altra parte una digressione, perché indica con parole velate che i corpi risorti avranno una gloria simile a quella di Cristo 44• Meglio ancora, che riceveranno la vi­ ta stessa del Risorto . In che modo procede l'apostolo per arrivare a questa conclusione? Comincia stabilendo due paragoni (vv . 36-4 1 ), per dimostrare come il corpo risorto non sia la semplice rianimazione di questo corpo che ab­ biamo, che invecchia e un giorno muore 45• Il primo, basa­ to sull'osservazione di allora 46, mette in rilievo la discon­ tinuità: come la pianta non somiglia affatto al seme, così il corpo risorto non somiglia affatto al corpo deperibile. Ma il paragone zoppica perché la pianta non è eterna, muo­ re a sua volta. Paolo deve così ricorrere a un altro para­ gone: ogni corpo ha il suo tipo di gloria, i corpi celesti (so­ le, luna, stelle) sono di una gloria eterna, risplendono da sempre e per sempre 47• E il nostro corpo risorto sarà di una gloria analoga a quella degli astri 48• Ma questo secon­ do paragone zoppica quanto il primo, perché non abbia­ mo mai visto un corpo terrestre (animale o uomo) diven­ tare corpo celeste (stella o altro); se per il primo paragone

44 Per il lettore interessato allo sviluppo del passo ne presento qui la com­ posizione, che segue originalmente molti modelli allora in uso, quello del­ la retorica discorsiva e quello dei parallelismi lessicografici: * v. 35: esposizione del problema: quale tipo di corpo? * vv. 36-57: spiegazioni e prove A vv. 36-4 1 : paragoni che sottolineano alterità e trasformazione vv. 42-44a: applicazione al caso studiato; B vv. 44b-49: prova che il passaggio è stato effettuato, che c'è quindi un corpo glorioso, celeste o spirituale; A ' = vv. S0-57: applicazione a quelli che saranno ancora vivi al momento della parusia del principio emerso nei vv. 46-44a: la necessità di una tra­ sformazione per entrare nella gloria. * v. 58: esortazione a vivere in funzione della gloria preparata. 45 E fa dei paragoni perché non è possibile confrontare con ciò che già si conosce ciò che è fuori della portata dell'esperienza, in particolare un cor­ po risorto. 46 Oggi non vale più perché gli strumenti hanno permesso di costatare che le cellule sono le stesse nel seme e nella pianta che ne deriva. 47 Per la cosmologia antica i corpi celesti non erano della stessa natura dei corpi terrestri, che mutano e periscono. Oggi bisognerebbe perciò tro­ vare un altro esempio. 48 Cfr. ugualmente 2Bar 5 l , l O, dove si dice che quelli che risuscitano per la gloria diventano simili agli angeli (esseri spirituali) e uguali alle stelle (in splendore e luminosità). =

=

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s'impone la trasformazione, ora essa sembra impossibile. Ecco perché Paolo deve mostrare che il passaggio dal cor­ po terrestre al corpo celeste è possibile; e la ragione sta nel fatto che, con la risurrezione, il corpo di Cristo è passato dal terrestre al celeste, dal perituro all'imperituro, o, in al­ tre parole, dallo «psichico » allo «Spirituale » . Se i parago­ ni cercavano di far comprendere la necessità del cambia­ mento e la natura inaudita del corpo risorto, non poteva­ no in ogni caso assicurare che il passaggio sarebbe awe­ nuto o era già awenuto, ciò che invece testimonia esatta­ mente la risurrezione di Cristo. Ma la sua risurrezione non prova soltanto l'esistenza di un corpo spirituale, glorioso. Elevato nella gloria, Cristo inaugura una nuova umanità: la sua risurrezione chiama la nostra, la sua vita sarà la no­ stra; come dice Paolo in l Cor 1 5 ,45 : «L'ultimo Adamo è un essere spirituale datore di vita» . E quale vita potrebbe do­ nare se non quella che ha come propria? Questo passo non è del resto il solo ad affermare che Cristo ci darà la sua stessa gloria. Le deuteropaoline riprendono queste affer­ mazioni in maniera ancora più netta. Così Fil 3 ,20-2 1 fa di Cristo l'operatore della trasformazione, e 2Ts 2 , 1 4 indica che la nostra gloria futura sarà quella stessa di Cristo: «A questo Dio vi ha chiamati con il nostro vangelo , affinché possediate la gloria del Signore nostro Gesù Cristo» . E Col 3 ,4 indica con chiarezza dove porta il rapporto inalienabi­ le dei credenti con Cristo: la loro sorte è totalmente lega­ ta alla sua, da ora e per sempre. La cristologia attraversa quindi l'escatologia da una parte all'altra, poiché le dà la sua finalità ( «affinché . . . » ) , il suo contenuto (avremo la gloria di NSGC, l'Adamo escatologi­ co ci dà già la sua vita e fa di noi un'umanità nuova) e la sua estensione (Cristo verrà a cercare tutti i suoi). Dio ci vuole come e con suo Figlio, e l'itinerario della nostra ado­ zione filiale arriva fin là. Per concludere questo paragrafo notiamo soltanto che la riflessione paolina è stata certamente pervasa dalla cristo­ logia grazie alla dimensione di vittoria e di universalità che la risurrezione dava al cammino e alla figura di Gesù, co­ me Adamo escatologico, opposto al protologico, perché vin­ citore del peccato e della morte, e capace così di trasmet­ tere la sua vita, la sua gloria a tutta l'umanità.

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Le trasformazioni dell 'escatolog ia

Ma questa insistenza sulla relazione di Cristo con i cre­ denti (egli dà già loro la sua vita e li renderà partecipi del­ la sua gloria) non è forse la causa diretta dello spostamento dell'escatologia paolina, che da una risurrezione futura dei credenti (nelle lettere di Paolo) va verso una risurrezione e una salvezza già effettuate (in Colossesi ed Efesini) ?49• E questo spostamento colpisce drasticamente la struttura dell'escatologia paolina? Riconosciamo prima di tutto che, anche se l'escatologia delle deuteropaoline è «realizzata» , come dicono gli specia­ listi, non ha eliminato la tensione tra il «già qui» e il «non ancora» . Prendiamo infatti un versetto come Col 2, 1 2 do­ ve si dice che i credenti sono risuscitati con Cristo. Siamo quindi alla parusia? No, perché Paolo non intende dire che i credenti hanno già il corpo glorioso che la risurrezione garantirà loro. L'uso del verbo « risuscitare» è perciò figu­ rato e non implica, come nelle lettere di Paolo, che il no­ stro corpo terrestre sia già glorificato: del resto l' esperien­ za quotidiana dimostra il contrario. Col 2 , 1 2 (e 3 , 1 -4; Ef 2) opera soltanto una distinzione tra il già dell'essere ri­ sorti con Cristo - che le lettere di Paolo chiamavano la vi­ ta nuova e trasformata del battezzato50 - e la manifesta­ zione finale quando i credenti saranno nella gloria con il loro Salvatore. Questo spostamento di vocabolario indica semplicemente che i credenti non sono affatto separati dal loro Salvatore e Signore, che ricevono fin da ora la loro vi­ ta da lui o anche che la sua vita è già la. loro, e che non hanno quindi bisogno di alcun altro mediatore: tutta la lo­ ro esistenza di credenti è animata dal Cristo risorto ed es­ sa manifesta, fin nel loro stesso corpo, i frutti della risur­ rezione, in altre parole dell'uomo nuovo: purezza, dolcez­ za, compassione, accoglienza, carità. Possiamo anche spiegare il carattere «realizzato» dell'esca-

49 Col 2 , 1 2; 3 , 1 ; Ef 2,5.6.8.

5° Cfr. Rm 6,4; 7,6; 8, 1 0- 1 3; 2Cor 5, 1 7; Gal 2, 1 9-20; 6, 1 5 ; Fil 1 ,20-2 1 . Rm 6, 1 3 delinea lo spostamento perché parla della vita presente del battez­ zato come di una risurrezione: «offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti» . Col ha semplicemente fatto sparire il «come» e ha aggiunto il «COn lui» .

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tologia delle deuteropaoline come un'operazione di rie­ quilibrio. Infatti, insistendo sulla preminenza assoluta di Cristo, queste lettere avrebbero potuto far pensare ai let­ tori che essi si trovavano ormai separati da lui. Afferman­ do, al contrario, che sono risuscitati con lui 5 1 , le deutero­ paoline sottolineano l'unione definitiva del cristiano col suo Signore. Ma, si obietterà, perché, a differenza delle lettere di Pao­ lo, la lettera ai Colossesi non insiste sul dono dello spirito di filiazione, che trasforma ·i credenti e li rende capaci di amare come il Figlio, dal momento che è il suo Spirito che agisce in essi ? 52• Descrivendo la sua presenza attiva, Pao­ lo non avrebbe potuto facilmente mostrare che i credenti non mancano di nulla e non sono per niente separati dal Risorto? Non dimentichiamo tuttavia l'obiettivo principa­ le di Colossesi, che è quello di situare il potere e la condi­ zione degli esseri angelici superiori in rapporto a Gesù Cri­ sto, la cui mediazione creatrice ne sottolinea il primato. Se Col l , 1 6 ma anche il resto della lettera 53 nomina gli es­ seri celesti secondo il loro nome di funzione e il potere che rappresentano (Troni, Dominazioni, Principati, Potestà) non è certo a caso. La valorizzazione della situazione di Cristo, legata in particolare alla sua mediazione creatrice, testimonia il necessario sviluppo al quale era chiamata la cristologia: in rapporto a tutta la serie dei mediatori (Leg­ ge, sapienza, angeli superiori, ecc.) le prime generazioni cristiane dovevano un giorno o l'altro precisare la situa­ zione del mediatore Gesù, proclamando la sua assoluta pre­ minenza, ma anche la partecipazione dei credenti alla sua -

-

5 1 Ef 2,6 dice perfino che Dio ha fatto sedere i cristiani con Cristo «nei cieli » . Non si creda che la lettera voglia distogliere i cristiani dalla storia del mondo; semplicemente che il Risorto li fa vivere, anima la loro vita e gli dà senso. Il termine greco utilizzato non è del resto ouranoi, refe­ rente spaziale, ma epouranoi, dimora invisibile divina, non spaziale. Si tratta di un'altra dimensione data alla vita, non di una fuga in un altro­ ve lontano. 52 Alcuni esegeti pensano anche che lo Spirito in Colossesi sia sottoccu­ pato! Questa osservazione non vale per Efesini, dove gioca un ruolo mol­ to importante; nondimeno la lettera conserva la profondità cristologica raggiunta in Colossesi (la supremazia totale di Cristo), con le sue conse­ guenze per la situazione dei credenti, già intronizzati nei cieli con Cristo. 53 Cfr. Col 2, 10. 1 5 . Si veda anche Col 1 , 1 3 («il potere della Tenebra»).

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vita e alla sua gloria. Si spiega così l'importanza quantita­ tiva (e qualitativa) della cristologia in Col. Era necessaria una messa a punto, e l'autore di Col se ne è fatto carico. Ma, pur dichiarando i credenti risuscitati col loro Signo­ re, Col ed Ef non fanno abbandonare loro la storia. Al con­ trario, è l'unione totale e definitiva con Cristo che permette alla loro esistenza di cristologizzarsi in tutte le sue di­ mensioni, personale, ecclesiale e sociale. Non desta perciò meraviglia vedere le deuteropaoline basare le esortazioni etiche su delle giustificazioni principalmente cristologiche, e allargarsi all'esistenza sociale, con l'apparizione dei co­ dici di morale «domestica» 54• In breve, lo spostamento di vocabolario delle deuteropao­ line non modifica fondamentalmente la struttura dell'esca­ tologia paolina: il legame indefettibile esistente tra Cristo e i battezzati, cioè il «già qui» , riceve un'accentuazione nuo­ va - per dichiarare che i frutti della risurrezione di Cristo pervadono il credente fin nel suo corpo, eticamente s'in­ tende -, ma il «non ancora» della glorificazione corporale (il corpo spirituale) rimane oggetto di fiduciosa attesa. Nelle lettere paoline la cristologia struttura quindi l'esca­ tologia, poiché determina le relazioni (presenti e future) tra i diversi attori, il loro contenuto e la loro qualità. Ma in un passo decisivo, l Cor 1 5, 28 , si dice che il Figlio si sot­ tometterà a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, Dio, per­ ché Questi sia «tutto in tutti » ; non significa questo che la strutturazione cristologica è prowisoria, che finirà con il regno di Cristo? A titolo di risposta notiamo innanzitutto che, per Paolo, il regno attuale del Risorto non è affatto in concorrenza con il potere del Padre, poiché è proprio que­ st'ultimo che gli ha sottomesso tutto (eccetto Se stesso). Affermazioni come quelle di Fil 2 , 9- 1 1 ; Col l , 1 3 ed Ef 5,5 sono del resto del tutto omologhe a quelle di l Cor 1 5 ,2728, poiché Dio Padre costituisce Cristo Signore di tutto e vuole che egli sia riconosciuto come tale da tutto l'univer­ so, dagli angeli agli esseri più umili . Il regno di Cristo è lo stesso di Dio. Ma, aggiungendo che dopo la sua vittoria su tutti i nemici Cristo sarà sottomesso al Padre, Paolo non

54 Col 3, 1 8-4, 1 ; Ef 5,2 1--6,9, dove le motivazioni cristologiche continua­ no a incuriosire i commentatori.

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dice che la signoria di Cristo sul creato avrà fine; indica piuttosto che, essendo la sua signoria riconosciuta da tut­ to il creato, potrà allora manifestare che la sua vittoria era da sempre ordinata a quella di Dio, suo Signore e Padre. Del resto come potrebbe lui , il Figlio, comportarsi in con­ correnza con suo Padre? Questo problema dei rapporti di signoria tra Padre e Fi­ glio ci offre l'occasione di vedere come, in Paolo, la cri­ stologia abbia ugualmente la sua influenza sulle afferma­ zioni teo-logiche 55•

CRISTO E IL DISCORSO SU DIO Ancora molto recentemente un esegeta dichiarava che, in rapporto all'An tico Testamento, il Nuovo non ha elabora­ to una dottrina originale su Dio 56, intendendo senz'altro dire che i libri neotestamentari hanno sviluppato di più la soteriologia e la cristologia. Ma se è vero fin a un certo punto che Paolo si fa araldo del trionfo e della gloria di Dio, come sostiene Beker - già menzionato -, bisogna tut­ tavia notare che l'apostolo non sembra mai voler separare Dio e Cristo, come se non fosse possibile conoscerli l'uno senza l'altro; del resto li mette spesso in relazione di con­ tiguità 5 7 • In che misura dunque la cristologia ha influen­ zato la teo-logia paolina? È possibile considerare la que­ stione partendo dall'uno o l'altro attore. Cristo nel suo rapporto con Dio

In un primo tempo notiamo la tendenza sempre più ac­ centuata di Paolo a mettere Cristo accanto a Dio, tenden­ za che potremmo qualificare .come progressiva teologizza­ zione della sua cristologia. L'uno o l'altro titolo divino vie-

55 Quando intendo riferirmi al discorso su Dio (in senso stretto), utiliz­ zo, sulla scia di J. Schlosser, Le Dieu de Jésus, la forma grafica teo-logia (con l'aggettivo corrispondente), per distinguere questo discorso dall'al­ tro, teologico in generale. 56 H.D. Betz, art. theos, EWNT II, 2 1992, 346-352. 57 Il numero dei passi è impressionante. È sufficiente menzionare qui gli inizi delle lettere, rappresentativi di questo stato di fatto.

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ne così attribuito a Cristo, con grande costanza, dalle pri­ me alle ultime lettere. Egli viene ad esempio dichiarato Si­ gnore 58 (kyrios), grazie alla sua risurrezione. Certo, il ter­ mine può designare molti esseri, come dichiara lo stesso apostolo in l Cor 8 , 5 : «e difatti ci sono molti signori » ; in particolare può essere riferito ai signori umani 59• Ciono­ nostante, riferito a Cristo, ha una connotazione forte. In parecchi testi, infatti, Paolo riprende delle citazioni bibli­ che dove kyrios designa chiaramente Dio e traduce l'ebrai­ co Adonai, cioè YHWH, e le applica molto semplicemente a Cristo, con un gesto audace. Così , la profezia di Gl 3 , 5 : «Chiunque invocherà i l nome d i YHWH (kyrios nella LXX) sarà salvato» , che Rm 1 0, 1 3 vede realizzarsi in Cristo; o il «davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua» di Is 45 ,23, che rinvia a Dio in Rm 1 4, 1 1 ma a Cristo i n Fil 2, l 0- 1 1 : la sottomissione resa al secondo è la stessa di quella resa al primo. Similmente, Colui che Is 8, 1 4 definisce «la pietra di inciampo» d'Israele è YHWH, ma per Rm 9,32-33 è evidentemente Cristo 60• Altri titoli , quali sotèr ( «salvatore»), che appaiono solo nelle lettere dal­ la prigionia o nelle pastorali , valgono ugualmente per Dio e per Cristo 61 • La lettera a Tito ( 1 ,3b.4b; 3 ,4.6) adoperan­ do il titolo in maniera contigua per Dio e Cristo vuole mo­ strare chiaramente che l'opera di salvezza appartiene in­ dissociabilmente ai due. La sintassi di Tt 2 , 1 3 sembra an­ che indicare un'affermazione della divinità di Cristo: «nel­ l'attesa. . . della manifestazione della gloria del nostro grande

58 Le ricorrenze sono numerose. Ecco le più pregnanti: 1 Cor 2 8; 8,5-6; 2Cor 3 , 1 4- 1 7; Rm 1 0,6- 1 3; Fil 2,9- 1 1 . Si possono anche aggiungere dei passi a prima vista dubbi come l Cor 1 ,3 1 e 2Cor l O, 1 7, a causa di 2Cor 10, 1 8 ; infatti abbiamo già segnalato che il nominativo kyrios come sog­ getto grammaticale, e preceduto dall'articolo, rinvia a Cristo. c;9 Cfr. Col 4, 1 ; Ef 6, 9; il vocabolo è seguito da un determinante: «padro­ ni secondo la carne», Col 3 ,22 ; Ef 6,5. 6 0 È possibile che Rm 9,32-33 riprenda ancora ls 28, 1 6 - interpretato del resto messianicamente dal Targum di Isaia. La lista dei passi riportati da Capes, Paul's Christology, per un trasferi­ mento del titolo kyrios da Dio a Cristo, cioè I Cor 1 ,3 1 e 2Cor 1 0, 1 7 (Ger 9,24); l Cor 2, 1 6 (Is 40, 1 3 ); t Cor 1 0,26 (Sal 24 1 ); Rm 1 0, 1 3 (Gioele); Fil 2, 1 0- 1 1 (ls 45,23); 2Tm 2, 1 9 (Nm 1 6,5; Is 26, 1 ), pecca per eccesso. 6 1 Cristo in Fil 3,20, Ef 5,23 e l Tm 4, 1 0; 2Tm 1 , 1 0; Tt 1 ,4; 2, 1 3; 3,6; Dio in I Tm 1 , 1 ; 2,3; Tt 1 ,3; 2, 1 0; 3,4. ,

,

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Dio e salvatore Gesù Cristo» 62 • Affermazione che molti ese­ geti vedono già presente in Rm 9,5b, alla fine dell'enume­ razione dei privilegi storici che riconosce a Israele: « da essi proviene Cristo secondo la carne; egli che è sopra ogni cosa, Dio, benedetto nei secoli. Amen>> 63 È possibile, con alcuni esegeti, pensare che questo versetto sia una glossa posteriore, ma questo non rimette in questione la tenden­ za, che si accentua col tempo (e quindi con le deutero­ paoline), a mettere Cristo accanto a Dio, quanto all'essere e quanto all'agire, come avremo modo di costatare subito. Abbiamo già notato che molte volte Paolo identifica l'agi­ re salvifico di Dio e di Cristo, sottolineando cosl la loro unità. La mediazione di Cristo trova del resto la sua più forte espressione in Ef 2, 1 5, dove viene assimilata a una creazione: « Egli (Cristo) ha voluto così creare in se stesso un solo uomo nuovo». E per l'oggi della vita ecclesiale, Ef 4 insiste sul fatto che è Cristo stesso che procura alla sua Chiesa tutto quanto è necessario alla sua crescita armo­ niosa. Paolo mette ugualmente Cristo con Dio quando menziona l'opera della creazione. In l Cor 8,6 enuncia già, ma molto brevemente, la mediazione creatrice del Cristo 64, in una •.•



62 Alcuni traducono •la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo» . Ma l'assenza dell'articolo determi­ nativo greco davanti a «nostro Salvatore» e il versetto seguente (v. 1 4), che descrive al singolare l'opera di Cristo, favoriscono l'altra interpreta­ zione. 63 Così traducono la BJ e la TOB. Altri troncano prima della relativa e comprendono quest'ultima come una dossologia riguardante il Padre: « Colui che è al di sopra di tutti, Dio, benedetto (egli sia) in eterno. Amen » . Una tale divisione può essere giustificata, se s i considera la lista dei pri­ vilegi del v. 4, soltanto storici, e la prima parte della frase, che parla del messia secondo la carne: la relativa farebbe un salto inatteso, andando molto al di là di quanto precede. Ciononostante, il cambio di referente che tale lezione suppone è molto difficile da giustificare grammatical­ mente. Alcuni commentatori vorrebbero che theos applicato a Cristo sia un aggettivo, essendo il sostantivo riservato al Padre; ma l'argomento non regge perché, a meno di avere una funzione di designazione (come in Col 1 , 1 8a: « Egli è IL capo del corpo>>, cioè lui e lui solo), l'attributo non è pre­ ceduto dall'articolo: come distinguere allora l'aggettivo dal sostantivo? È in ogni caso evidente che Paolo non intende affatto dire di Cristo che è Dio il Padre. 64 Il versetto è ambiguo, perché mancano i verbi. Generalmente si sup-

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formula che imita chiaramente la professione di fede mo­ noteista, il famoso «Ascolta, Israele» di Dt 6,4 65 che il giu­ deo osservante è invitato a recitare ogni giorno; 1 Cor 8,6 manifesta un rifiuto del politeismo (cfr. il v. 5), un rifiuto di confondere o di identificare il Padre e il Figlio, ma al tempo stesso un'impossibilità a considerarli separatamen­ te, uniti nel loro agire nel contempo unico e complemen­ tare. E ciò che l Cor 8 ,6 enuncia brevemente, Col 1 , 1 5-20 lo presenta con tutta la solennità voluta, prendendo in pre­ stito le sue categorie dalla letteratura sapienziale 66• Alcu­ ni hanno concluso affermando una identificazione tra Cri­ sto e la Sapienza, poiché la maggior parte dei tratti che serve a descrivere il Figlio nei vv. 1 5-20 sono gli stessi di cui si serve l'AT per parlare della Sapienza. Le differenze saltano però agli occhi: negli scritti biblici e giudaici non si dice mai che tutto fu creato e pacificato in vista della Sapienza (eis autèn), come invece dicono di Cristo i vv. 1 6 e 20. Inoltre, lo scopo dell'inno chiaramente non è quello di mettere in parallelismo il Figlio e la Sapienza degli scrit­ ti sapienziali per suggerire una identificazione: se c'è un paragone, questo è tra il Figlio e gli esseri invisibili, ange­ lici, per affermare la straordinaria superiorità del primo sui secondi , e metterlo accanto a Dio, di cui è il primoge­ nito prima di ogni creatura . Ma, ponendolo accanto a Dio, Paolo non ne fa un concorrente: per descrivere Cristo non utilizza un vocabolario teologico (dicendo, ad esempio: « Egli che è DIO, perché . . . »), come se intendesse fame una

pone il verbo «essere», traducendo: «Un solo Signore Gesù Cristo, per il quale (sono) tutte le cose e per il quale noi (siamo) » . Alcuni esegeti pe·n­ sano però che non ci sia alcuna allusione alla mediazione creatrice, ma piuttosto all'altra, quella salvifica; il versetto dovrebbe essere interpreta­ to cosi: « Un solo Signore per il quale tutte le cose sono state rinnovate e per il quale noi siamo riconciliati » . L'interpretazione corrente sembra da preferire per almeno tre motivi: (i) in greco, il verbo da sottintendere è quello che precede immediatamente, e qui si tratta del verbo «essere>> (nel senso di «esistere») del v. 5; (ii) l'interpretazione salvifica sarebbe stata accompagnata da verbi adeguati, allo scopo di evitare qualsiasi incom­ prensione; altrimenti (iii) il lettore sottintenderebbe naturalmente il ver­ bo «essere>> , come del resto è stato unanimemente fatto fin dai Padri del­ la Chiesa. 65 Chiamato in ebraico shema; da notare come la fraseologia di 1 Cor 8,6 è vicina a quella di Dt 6,4 LXX (kyrios hèmon kyrios heis estin ). 66 Cfr. Aletti, Colossiens, 86- 1 1 7.

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divi nità di secondo ordine, nell'orbita di Dio Padre; del re­ sto i titoli « immagine» , « primogenito» , non sono attribui­ bi l i al Padre 67• La funzione del Figlio è soltanto quella di un (DEL) mediatore, perché il creato non viene da lui (ex autou ) come viene da Dio. Ciò che prima di tutto questi versetti vogliono manifestare è che il Figlio supera in di­ gnità gli esseri celesti e spirituali più alti e più potenti, e che come tale egli non appartiene alla serie delle creature. Il titolo di Figlio diletto (Col 1 , 1 3) sottolinea d'altra parte la relazione unica, intima col Padre. In breve, in Paolo, Cristo è costantemente in relazione con Dio, che l'ha costituito Signore di tutti risuscitandolo e di cui è dichiarato Figlio, con un agire che si sostituisce al suo o che gli somiglia sempre di più, quanto alla qualità e quanto al contenuto. L'apostolo mostra così che il Figlio non è in nulla separabile da Dio suo Padre 68• Dio e Cristo

Viceversa, Paolo non cessa ugualmente di cristologizzare la teologia. Come abbiamo già segnalato, egli non può par­ lare dell'opera redentrice di Dio senza menzionare ogni vol­ ta Cristo, che diventa così il criterio per eccellenza - di­ ciamo pure, senza timore di esagerare: esclusivo - della mi­ sericordia, dell'amore di Dio: «In questo Dio dimostra il suo amore verso di noi: mentre eravamo ancora peccato­ ri, Cristo è morto per noi » (Rm 5, 8) 69• Ma aniviamo al punto più importante, a tutte le afferma­ zioni relative alla paternità di Dio, del Dio che è « il Padre del Signore nostro Gesù Cristo» 70• Leggendo l'insieme del­ le lettere non si può fare a meno di pensare che, per Pao­ lo, ciò che descrive meglio Dio, che lo definisce in proprio, è la paternità: Dio ha un Figlio e, in un gesto d'amore inau-

67 E «principio» (archè; Col l , 1 8b), che potrebbe essere un predicato di­ vino, non viene mai detto di Dio nella LXX. 68 Che « Figlio» sia un titolo utilizzato fin nelle lettere più tardive, ne so­ no una testimonianza le deuteropaoline: Col 1 , 1 3 ; Ef 4, 1 3. 69 Altre affermazioni simili in Gal 2,20-2 1 ; Rm 8,39 ; Ef 2,4; 4,32; 5, 1 ; 2Ts 2, 1 6. 7° Cfr. 2Cor 1 ,3 ; 1 1 ,3 1 ; Rm 1 5,6; Col 1 ,3; Ef 1 ,3.

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dito, l'ha inviato in mezzo a noi per la nostra redenzione e perché diventassimo anche noi figli. Si può obiettare che la Bibbia aveva da tempo chiamato Dio Padre degli orfani e degli oppressi, Padre dei poveri, Padre d'Israele, titoli che esprimono efficacemente la paternità di un Dio che va ver­ so il più povero e si dichiara suo difensore 7 1 , che sa anche correggere, insegnare, esortare, come un padre, il suo po­ polo indocile. Ma, (i) nelle lettere paoline, questa relazio­ ne di Dio con gli uomini si comprende solo in funzione di quella esistente tra il Padre e suo Figlio Gesù Cristo, rela­ zione che la struttura: la nostra filiazione, o piuttosto la nostra adozione filiale (hyiothesia ) è collegata alla filiazio­ ne di Gesù, come indica Gal 4,4-6, in un efficace compen­ dio: Dio mandò suo Figlio perché ricevessimo l'adozione filiale e potessimo in verità gridare « Padre » . Ciò che un teologo contemporaneo dice della paternità di Dio nei van­ geli corrisponde esattamente alle lettere paoline: la singo­ larità storica della rivelazione di Dio in Gesù «consiste nel fatto che Dio gli ha affidato una missione di Figlio» 72 • (ii) Per Paolo sono le modalità in cui si esprime la paternità di Dio che sovvertono i discorsi filosofici o teologici ante­ riori, e che rendono folle ogni sapienza umana. Con le sue formule scabre, urtanti per le nostre orecchie contempo­ ranee (ma non lo erano anche per quelle di allora?) tanto esse mettono in guardia sugli estremi delle vie divine, l'apo­ stolo dice di Dio che ha consegnato suo Figlio (Rm 8,32): come potrebbe un padre che ama il proprio figlio conse­ gnarlo, fosse anche per le motivazioni più nobili? Esite­ rebbe egli allora a consegnare qualsiasi altra persona, e quindi l'intera umanità? Tutta la teologia è scossa dalle af­ fermazioni paradossali di Paolo, che ha percepito che l'aspet­ to inaudito di Dio si fa riconoscere nel cammino di Cristo, in particolare nella sua morte in croce, e che meditando sulla croce noi entriamo nel mistero di Dio stesso. Ecco perché mi domando con stupore come si possa ancora di­ re che il Nuovo Testamento non dice niente di originale su Dio.

71 Cfr. Sal 68,6-7; 1 03, 1 3-1 4; ecc. 72 Moingt, L'homme qui venait de Dieu , 6 1 2.

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Cristo . e lo Spirito 73

Tratto il problema della strutturazione cristologica della pneumatologia all'interno di questa sezione perché molti esegeti preferiscono situarla in rapporto alla teologia, ma­ nifestando così che la pneumatologia paolina non è una semplice appendice alla sua cristologia, e che, «lungi dal basare la sua pneumatologia sulla cristologia, Paolo basa entrambe sulla sua teologia)) 74• Certo, l'apostolo sottolinea l'iniziativa divina, con l'invio del Figlio e poi dello Spirito filiale 75, ma, come altri hanno fatto notare, si rifiuta «di separare lo pneuma del Signore e di Dio » ; così « non c'è pneumatologia che possa essere autonoma in rapporto al­ la cristologia e alla teologia ( l Cor 1 2,4-6) e che non sia d'al­ tra parte legata all'ecclesiologia ( l Cor 1 2, 1 2-30) » 76• Per un approccio strutturale sarebbe anche riprovevole trascura­ re ciò che è proprio di ogni attore. Lungi da noi perciò di­ menticare Dio, il donatore dello Spirito. Ma il dono dello Spirito filiale, lo Spirito della promessa, è avvenuto unitamente alla morte/risurrezione di Gesù. È anche chiaro, per Paolo, che «il messia ha inaugurato l'era dello pneuma » e che c'è pertanto «una priorità storica e teologica della cristologia sulla pneumatologia» 77• Bisogna anivare fino a sostenere, con altri, che dopo la risurrezio­ ne Gesù diventa la personalità dello Spirito, che ne è in

73 Cfr. R. Penna, Lo spirito di Cristo; M.-A. Chevallier, Le souffle voli. II e III. 74 Cfr. C. Ménard, L'Esprit, 1 8 1 . che del resto in nota aggiunge che «que­ sta affermazione non contraddice l'evidenza dello stretto legame che Pao­ lo stabilisce tra la sua cristologia e la sua pneumatologia>>. Cfr. ugual­ mente Vos, Paulinische Pneumatologie, 1 4 1 - 1 42. 75 Cfr. l Ts 4,8; e soprattutto Gal 4,4-6 dove il verbo è lo stesso per i due invii. Per quanto io sappia, Paolo non dice mai che Cristo invia o dona lo Spirito Santo. 76 Chevallier, Le souffle, 354. Più avanti, p. 396, aggiunge: «l'azione dello pneuma nel credente non si dissocia mai dall'opera di Cristo, il che la ga­ rantisce contro le aberrazioni del soggettivismo illuminista» (p. 396). Co­ me per i titoli che abbiamo menzionato sopra, Rm 8,9 e 8, 1 4- 1 6 dimo­ strano, menzionando il Padre e il Figlio, che lo Spirito è inseparabile dai due. Si veda anche Tt 3 ,6, che menziona il donatore (Dio ha effuso lo Spi­ rito), il mediatore (per mezzo di Gesù Cristo) e i destinatari (su noi). 77 Chevallier, Le souffle, 608.

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qualche- modo la definizione ? 78. Sì e no. Sì, nella misura in cui lo Spirito è (ma non esclusivamente) quello di Cri­ sto79. No, tuttavia, se ci si rifà al passo, già citato, di l Cor 1 5 ,44b-SO, dove l'ultimo Adamo (Cristo) è giustamente chiamato «Spirito che dà vita» : qui è piuttosto lo pneuma che definisce l'essere di Cristo. Detto ciò, che il Risorto sia chiamato «pneuma che dà vita» indica chiaramente che per Paolo d'ora in poi ogni vita esiste per Gesù Cristo. Il legame Cristo/Spirito ha ugualmente una funzione deci­ siva per l'apertura delle Scritture, secondo quanto Paolo dice in 2Cor 3, poiché è lo Spirito che vivifica e che toglie il velo che impedisce di comprendere come le Scritture, chiamate qui «antico testamento» (2Cor 3 , 1 4), acquistino significato in riferimento a Cristo, perché portano a lui.

CRISTO E IL DISCORSO SULLA CHIESA La cristologia non garantisce il contenuto esaustivo dell' ec­ clesiologia. Basta infatti passare in rassegna l'uso del ter­ mine « Chiesa» per costatare che il sostantivo è seguito da diversi complementi («di Dio » , «dei Tessalonicesi» , «di Ma­ cedonia» , «di Galazia» , « di Laodicea »), tra i quali non fi­ gura mai Cristo 80 . Inoltre, per descrivere il gruppo dei cre­ denti nella sua unità e nella sua crescita, Paolo non utiliz­ za solo espressioni cristologiche; così, noi formiamo il Tem­ pio di Dio, una dimora abitata dallo Spirito, o anche un solo uomo nuovo 8 1 . Aggiungiamo nondimeno che la pre­ sentazione multiforme dell'essere-Chiesa non è separata dalla cristologia, poiché Cristo è il fondamento ( l Cor 3) o la pietra angolare (Ef 2) del tempio costituito dalla Chie­ sa. Ma questa relazione con Cristo è forse secondaria? In

78 Dunn, Jesus an d the Spirit, Philadelphia 1 97 5, 3 1 9,324-325, che vede un forte contrasto tra il dopo la risurrezione e il prima, quando lo Spiri­ to abitava in Gesù e assicurava la sua identità divina, almeno questa ori­ gine. Ma allora usciamo dall'ambito paolina. 79 Rm 8,9; Ph 1 , 1 9; cfr. anche 2Cor 3, 1 6- 1 8 (con il titolo « Signore» che, molto probabilmente, designa Gesù Cristo) , e Gal 4,6, con «Figlio,> . 80 I Ts 1,1; 1Ts 2, 14; 1 Cor 1 ,2; 1 0,32; 1 1 , 1 6.22; 1 5,9; 2Cor 1 , 1 ; 8, 1 ; Gal 1, 13; 2Ts 1 , 1 ; 1 ,4; 1Tm 3,5. 1 5 . 8 1 1 Cor 3,9. 1 6- 1 7; Ef 2, 1 5.2 1 -22.

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altre parole, l'ecclesiologia paolina è o no strutturata prin­ cipalmente dalla cristologia? La Chiesa corpo di Cristo

Che la Chiesa sia descritta da Paolo soprattutto in termi­ ni cristologici lo dimostrano chiaramente numerose espres­ sioni. Innanzitutto la ripetizione continua del sintagma « in Cristo» . Poi il fatto che quasi mai si dice che i cristiani for­ mano «il popolo di Dio» - le due eccezioni sono citazioni bibliche: Rm 9,25-26 e 2Cor 6 , 1 782• In effetti Paolo sembra riservare il termine «popolo >> (laos) a Israele, che com­ prende due categorie di giudei, quelli che hanno creduto in Cristo e quelli che hanno rifiutato il vangelo in nome della loro fedeltà alla legge mosaica . Infatti la tematica del popolo resta troppo particolare o troppo ristretta per espri­ mere adeguatamente il progetto di Dio su tutta l'umanità, progetto che Paolo preferisce esprimere ricorrendo al vo­ cabolario familiare, paradossalmente più adeguato e cer­ tamente più strutturante, perché fa dell'umanità credente «la famiglia di Dio >> . Però è il vocabolario del corpo che permette a Paolo di manifestare la relazione privilegiata tra la Chiesa e Cristo. Poco importano qui le ragioni, cer­ tamente numerose, che hanno favorito questo vocabolario: connotazione della crescita, dell'unità nella diversità e la complementarità dei membri, ecc., perché più fondamen­ tale è la sua determinazione cristologica; i credenti non formano soltanto un corpo (sociale), ma questo corpo è quello di Cristo , essi sono gli uni e gli altri membra di Cri­ sto 83.

82 Ecco il testo di Rm 9,25-26: « Egli [Dio] di ce in Osea: chiamerò "mio

popolo" quello che non era mio popolo e "mia diletta" quella che non era la diletta, e dovunque si diceva di loro "voi non siete mio popolo" saran­ no chiamati "figli del Dio vivente"» . Su questo versetto, cfr. Aletti, Com­ ment Dieu est-il juste?, 1 69- 1 73, dove viene mostrato come Paolo ricorra paradossalmente a un passo di Osea che parla chiaramente di Israele per descrivere l'appello dei pagani. Se l'apostolo riprende il « mio popolo» di Osea, preferisce terminare la citazione con l'espressione « figli del Dio vi­ vente» che corrisponde di più alla sua problematica. Per il terzo uso del temine «popolo» applicato alla Chiesa, in Tt 2, 1 4, si veda il capitolo se­ gu ente 83 La tema ti ca è più sviluppata in t Cor e nelle deuteropaoline. Cfr. t Cor .

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Che la cristologia aiuti l'apostolo a formulare le relazioni intraecclesiali è del resto dimostrato in modo magistrale da un passo come l Cor 1 --4, che si divide in due parti, di cui la prima, principalmente cristologica, fornisce i valori a partire dai quali si delinea la fisionomia del gruppo ec­ clesiale e la sua vera gerarchia 84• In breve, in l Cor 1 --4 la cristologia fonda il discorso ecclesiologico. Nella stessa li­ nea, le lettere dalla prigionia insistono sulla cristologizza­ zione della condizione della Chiesa, corpo inseparabile dal suo Signore, che è il suo capo (Col l , 1 8a). L'espressione «Capo del corpo, cioè della Chiesa » indica qui senza alcun dubbio l'autorità e potrebbe essere tradotta così: « Egli stes­ so ha piena autorità sulla Chiesa» 85• In effetti il Figlio non è «Capo» nel senso biologico, perché in tal caso avrebbe bi­ sogno delle altre membra per sussistere: Col l , 1 6- 1 7 di­ chiara al contrario che è prima di tutte le cose e che tutte le cose sono state create per mezzo di lui . Ma la Chiesa non può sussistere né reggersi senza Cristo, dato che non dipende affatto dalle potenze angeliche o celesti . Si vede del resto perché l'affermazione su Cristo Capo della Chie­ sa segua immediatamente quelle sulla sua mediazione crea­ trice universale; Colossesi unisce infatti l'autorità del Fi­ glio sulla Chiesa alla sua superiorità su questi esseri al li­ vello della loro stessa esistenza: essi furono creati in lui , per lui e in vista di lui ! Da parte sua la Chiesa è IL «cor­ po » di Cristo. Nella sua dipendenza fondamentale essa de­ ve essere testimone dell'unica signoria del Figlio su di lei .

1 , 1 3 (« Cristo è forse diviso?,,); 1 Cor 6, 1 5 (c< i vostri corpi sono membra di Cristo,,); l Cor 1 2 , 1 2-26 (confronto tra corpo e membra); l Cor 1 2 ,27; Rm 1 2 ,5 ( «pur essendo molti formiamo un solo corpo,,); Rm 1 2 ,5 ed Ef 4,2 5 (cc membra gli uni degli altri ))); per la Chiesa come corpo di Cristo si ve­ da soprattutto Col l , 1 8 .22; Ef l ,23; 4, 1 2- 1 3 ; 5,23.30. 84 La composizione della sezione obbedisce innanzitutto alle leggi della retorica discorsiva: l , l 0- 1 7 ha la funzione di esordio e menziona il pro­ blema (rivalità tra gruppi che si fanno forti dell'appoggio dell'apostolo o di grandi figure missionarie); al v. 1 7 Paolo enuncia (in una propositio) il modo in cui risponderà, in due parti: A, il capovolgimento dei valori suggellati con la croce di Cristo, valori che i cristiani di Corinto sfortu­ natamente non hanno compreso ( l Cor 1 , 1 8-3 ,4); B, a partire da questo capovolgimento, un'esposizione delle corrette relazioni ecclesial i, dove gli apostoli non sono eroi da servire o onorare, ma semplici servitori inca­ ricati della crescita della Chiesa e che soffrono per essa (3 ,5-4,2 1 ). 85 Su Col 1 , 1 8a, cfr. Aletti, Colossiens , 1 04- 1 06.

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Il vocabolario di Col 1 , 1 8a è lo stesso di quello delle lette­ re di Paolo 86, ma l'insistenza è diversa: ciò che qui ha più importanza non è la Chiesa nella sua realtà organica , co­ me unità nella molteplici tà e nella complementarità delle sue membra, ma la sua dipendenza in rapporto al Figlio e l'unicità di questo rapporto (essa sola è il suo corpo) . Efe­ sini va ancora più oltre: la Chiesa, perché strettamente uni­ ta al suo Signore e vivificata da lui, diventa il segno privi­ legiato della grazia di Dio offerta all'umanità intera; rice­ ve anche la responsabilità di manifestare l'amore total­ mente gratuito e riconciliatore di Cristo per noi, e in essa deve prendere forma la nuova umanità, il corpo stesso di Cristo in crescita. È chiaro che, sfruttando la tematica te­ sta/corpo, le deuteropaoline non hanno soltanto prosegui­ to la cristologizzazione dell'ecclesiologia, ma hanno so­ prattutto affidato alla Chiesa l'incarico di testimoniare vi­ sibilmente, come corpo, la sua indefettibile unione con Cri­ sto e la pienezza ricevuta in lui. Utilizzando il simbolismo del corpo, le lettere di Paolo e le deuteropaoline non insistono sugli stessi punti , come ab­ biamo appena costatato. Ma le relative modifiche sono es­ se strutturanti? In altre parole, il fatto che Cristo non sia chiamato capo in 1 Cor 12 ma lo diventa in Col/Ef cambia la natura del rapporto? No, perché il titolo «capo» in Col/Ef non significa affatto che Cristo diventa un membro del cor­ po tra gli altri, soltanto che è il capo assoluto della Chie­ sa, che ha completa autorità su di essa, e che questa non può essere separata da lui. Lo spostamento metaforico non modifica il tipo di legame esistente tra la Chiesa e il suo Signore; al contrario, mira a rafforzarlo. La relazione testa/corpo, anche se Paolo la richiama più spesso, non è la sola a descrivere il legame privilegiato e unico esistente tra Cristo e la sua Chiesa, poiché 2Cor 1 1 ,2 usa il campo semantico del fidanzamento, delle nozze, in­ dicando implicitamente che la relazione Cristo/Chiesa è del tipo sposo/sposa, relazione sulla quale Ef 5 ,26-27 ritorna più a lungo, articolandola del resto con quella del corpo. Qui è importante ritenere solo la funzione simbolizzante (e quindi strutturante) della cristologia, poiché queste re-

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Cfr. Rm 1 2,4-5; 1 Cor 1 0, 1 6- 1 7; 1 2, 1 2- 1 3 .

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lazioni testa/corpo e sposo/sposa rafforzano, senza distrug­ gerlo, il quadro familiare fornito inizialmente dalla rela­ zione Padre/Figlio. l sacrament i di Cristo La Chiesa resta indefettibilmente unita al suo Signore at­ traverso ciò che la più antica tradizione cristiana chiama i sacramenti, perché ha visto in essi i doni di Cristo per la sua identità e sussistenza. Il battesimo è ricevuto in Cri­ sto, con Cristo o nel nome di Cristo e sigilla l'unione con lui 87• Attraverso la cena del Signore, la comunità riceve ugualmente la sua unità: «D calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comu­ nione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi , pur essendo molti, siamo u n corpo solo: tutti infatti par­ tecipiamo dell'unico pane» ( l Cor 1 0, 1 6- 1 7). Battesimo ed eucaristia sono quindi degli operatori eristici strutturanti. Si potrebbe certamente obiettare che Paolo menziona la cena del Signore solo in due brevi passi della stessa lette­ ra 88 e che perciò non le attribuisce una grande importan­ za, a differenza di altri motivi cristologici, come la me­ diazione salvifica, ripetuti di lettera in lettera perché deci­ sivi a tutti i livelli. L'obiezione non regge : le lettere paoli­ ne non pretendono di dire tutto su tutto, in particolare sui riti della vita ecclesiale; esse hanno il solo scopo di pro­ porre degli elementi di risposta alle difficaltA incontrate dalle comunità. Se perciò l'apostolo parla tanto poco del­ la cena del Signore è perché nella maggior parte delle Chie­ se essa si svolgeva nel modo dovuto. Ma ciò non vuoi dire che non costituisse un'istituzione essenziale della vita ec­ clesiale. Infatti Paolo fa notare che questa cena è stata vo­ luta da Gesù stesso: « Fate questo in memoria di me», co­ me un'istituzione: «tutte le volte che . . . », per nutrire la sua Chiesa: « Questo è il mio corpo, questo è il calice del mio sangue» . Fin dall'inizio la Chiesa ha compreso che il Si-

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Cfr. , ad esempio, l Cor 1 , 1 3; Gal 3,27; Rm 6,3-4; Col 2, 1 2; e forse Ef 4,5

( cc un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo»).

88

l Cor 1 0, 1 6-22; 1 1 ,20-30.

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gnore aveva voluto essere il suo nutrimento, la sua vita; Paolo si limita a riprendere una tradizione che proveniva da Gesù stesso e trovava in lui la sua autorità. Il battesimo, da parte sua, determina la vera dignità (eri­ stica e spirituale) dei credenti e permette a Paolo di lotta­ re contro ogni specie di falsa gerarchizzazione intraeccle­ siale. Non che non ci siano ministeri o carismi superiori ad altri 89, ma questi non devono determinare diverse ca­ tegorie (o, utilizzando un anacronismo, diverse «classi») di cristiani, le élites e gli altri; esemplare è a tale scopo l'ar­ gomentazione di l Cor 1 -4 90 • Non sta a noi sviluppare questi punti, ma solo interrogar­ ci su ciò che essi riflettono della funzione strutturante di Cristo per il gruppo credente. Egli ne assicura la sussi­ stenza e la crescita, essendo il suo nutrimento duraturo, continuo. Da notare inoltre che Paolo articola esplicita­ mente il simbolismo della cena eucaristica con quella del corpo, e che così i diversi campi si intersecano grazie alla cristologia. Cristo e i ministeri

Se Paolo determina cristologicamente l'essere della Chie­ sa, definisce o descrive in modo analogo anche il ministe­ ro apostolico e la proclamazione del vangelo: all'inizio di quasi tutte le lettere egli si presenta come apostolo, mini­ stro (diakonos) o servo «di Cristo» 91 • Abbiamo anche notato la finalità eristica del ministero apo­ stolico: far conoscere Cristo, far crescere i credenti in lui , aiutare l a Chiesa a raggiungere la sua statura, ecc. 92 • È in

89 Cfr. 1 Cor 1 2,27-29. In 1 Cor 1 4, Paolo determina l'importanza dei cari­

smi in funzione dell'edificazione. 90 In particolare 1 Cor 3,5-23; Fm 1 0- 1 7; si veda ugualmente Ef 2 , 1 1 -22.

91 Cfr. 1 Ts 2,7; 1 Cor 1 , 1 . 1 7; 2Cor 1 , 1 ; 1 1 ,23; Gal 1 , 1 . 1 0; Rm 1 , 1 ; Fil 1 , 1 ;

Col 1 , 1 ; Ef 1 , 1 ; 6,6; 1Tm 1 , 1 ; 2Tm 1 , 1 ; 4,6; Tt 1 , 1 . L'origine divina viene menzionata frequentemente, mentre la determinazione al genitivo lo è meno: I Cor 3,9 ( « noi siamo collaboratori di Dio»); 1 Ts 3,2 (Timoteo col­ laboratore di Dio); Tt 1 , l ( « Paolo se:nro di Dio e apostolo di Gesù Cri­ sto»). 92 Cfr. Gal 4, 1 9 (l'apostolo che fa tutto perché Cristo sia formato nei suoi convertiti); 2Cor 1 1 ,2 (è come un padre che custodisce pura e vergine la propria figlia per presentarla allo sposo, Cristo); Ef 4, 1 2 (Cristo, che or-

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riferimento a questa finalità che Paolo qualifica del resto quelli che annunciano il vangelo; così egli vede in Timoteo il modello del servo del vangelo, perché - aggiunge - «tut­ ti (gli altri) cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2,2 1 -22). E il vero apostolo si riconosce nel mo­ do in cui soffre per il vangelo, riproducendo nella propria carne il cammino di Cristo per la sua Chiesa 93 . Notiamo, concludendo, la completa cristologizzazione dei ministeri in Ef 4, 7- 1 2 94, poiché è Cristo che distribuisce i doni (domata ), cioè i ministeri, alla sua Chiesa, assicuran­ do in un altro modo ancora la sua crescita. Ciò non signi­ fica affatto, come abbiamo visto, che Dio non faccia più niente né che Cristo abbia preso tutti i suoi poteri, ma che Dio stesso, facendo di Cristo il capo della Chiesa, ha volu­ to con lui dare tutto a quest'ultima (Ef l ,20-23). Il passo non fa che trarre le conseguenze ecclesiologiche di una ta­ le pienezza eristica. A quanto appena detto della comple­ ta cristologizzazione dei ministeri si obietterà certamente che Ef 4,7- 1 2 non menziona né i vescovi, né i presbiteri, né i diaconi (diakonoi) 95 e che, da parte loro, le pastorali non fondano cristologicamente questi tre incarichi. È ve­ ro, ma la lista di Ef 4,7- 1 2 non è esauriente, e l'incarico di pastore (poimèn ) può includere i ministeri indicati in Fi­ lippesi o nelle pastorali . Bisognerà inoltre - nel prossimo capitolo - mettere in evidenza le ragioni per cui le pasto­ rali non giustificano cristologicamente gli incarichi di ve­ scovo, di presbitero e di diacono.

ganizza i santi per renderli idonei al ministero, in vista dell'edificazione del corpo di Cristo). Quando la finalità è teologica o altra, è accompa­ gnata da una determinazione cristologica («in Cristo», o equivalente), co­ me in l Cor 3 . 93 Cfr. l Cor 4 e 9; 2Cor 6,4- 1 0: 1 1 ,2 3-12, 1 0; Fil 3; Col 1 ,24; 2Tm 1 , 1 2 . Il paradosso delle vie di Dio rivelato dalla croce di Cristo si vede riprodot­ to e confermato dal cammino dell'apostolo: forte nella debolezza, ecc. 94 Il lettore può confrontare con Rm 1 2,3-8 e l Cor 1 2,4-30. Da notare che la lista di Ef 4 non ha la pretesa di essere esauriente; essa è determinata dal contesto prossimo. Ecco perché i ministri menzionati hanno tutti qualche relazione con la Parola da annunciare o trasmettere. 95 Per i «vescovi », cfr. Fil l , l ; l Tm 3,2; Tt 1 ,7; i «presbiteri », 1 Tm 5, 1 7. 1 9; Tt 1 ,5 ; i «diaconi >>, Fil 1 , 1 ; 1 Tm 3,8.

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L 'ARGOMENTO CRISTOLOGICO IN MORA LE Che la morale paolina non trovi le sue motivazioni princi­ pali nella Torah mosaica è chiaro. Ma, nonostante tutto, è innegabile lo sfondo giudaico di molte direttive e, quando vuole esprimere ciò che costituisce lo spirito e l'apice dell'agire cristiano, l'apostolo fa appello al comandamen­ to dell'amore del prossimo enunciato nel libro del Leviti­ co (Lv 1 9, 1 8 ) . Cristo avrebbe allora qui un posto seconda­ rio? Oppure questa legge dell'amore non sarebbe altro che la legge (giudaica) ripresa e compiuta da Cristo in manie­ ra piena, totale, con il suo amore? Sarebbe in ogni caso sorprendente vedere la morale cristiana riservare poco spa­ zio a Cristo, se è vero che tutti gli altri campi della sua ri­ flessione sono stati profondamente segnati dalla cristolo­ gia. l motivi cristolog ici

Questa cristologizzazione avviene·, in Paolo, in modi di­ versi 96• (a) A volte esorta i credenti facendo riferimento al Signo­ re Gesù, perché è a dei convertiti «in Cristo» che egli si ri­ volge: « ecco le mie richieste e le mie esortazioni nel Si­ gnore Gesù » ( l Ts 4, 1 ) 97• La richiesta può anche presentarsi come una conseguenza dell'appartenenza a Cristo - cioè, dell'essere-cristiani: «Comportatevi tra voi come si fa in Ge­ sù Cristo» ( Fil 2,5) 98, cosa che oggi si potrebbe parafrasa­ re così: il vostro agire sia quello di cristiani ! Oppure: «Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è in se stesso impuro» (Rm 1 4, 1 4) 99• Gli capita anche di esortare

96 Cfr. Hays, « Christology and Ethics in Galatians»; Cruz, Christological Motives and Motivated Actions in Pauline Paraenesis ; Fumish, « Belonging to Christ. A Paradigm for Ethics in First Corinthians>> . 97 Ugualmente 2Ts 3,6. 1 2; l Tm 5,2 1 ( « Ti scongiuro davanti a Dio, a Cri­ sto Gesù e agli angeli eletti»). 9 8 Un'altra traduzione, abitualmente accettata e appoggiata anche dal con­ testo seguente (2,6- 1 1 ) : «abbiate gli stessi sentimenti che furono di Cri­ sto stesso» . Le due interpretazioni chiaramente non si escludono. 99 Confrontare con Mc 7 , 1 4-23 e paralleli. Per delle esortazioni in o per Cristo Gesù, si veda anche Rm 1 5,30.

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nel nome di Cristo, le cui parole sono normative 100, in l Ts 4, 2 o anche in l Cor 7, l 0- 1 1 : «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore . . . » . L'ordine del Signore non si confonde con il parere o la decisione dell'apostolo, che deve dire la sua quando la situazione è nuova e richiede un conseguente discernimento: «Agli altri (le coppie miste, di cui uno dei partner non è cristiano) dico io, non il Signore: se un no­ stro fratello ha la moglie non credente . . . )) ( 1 Cor 7, 1 2). Ciò non significa affatto che la parola dell'apostolo non sia au­ toritativa, ma solo che è subordinata a quella di Cristo. E, molte volte, Paolo implora o esorta «per Cristo (Gesù) » , come s e l a sua parola acquistasse tutto il suo valore solo in virtù di Cristo, del suo cammino e del suo amore 1 0 1 • (b) In alcuni passi, la cui importanza è a tutti nota, Paolo fa esplicita allusione all'atteggiamento di Cristo, in parti­ colare alla sua liberalità, alla sua umiltà, al suo amore per tutti e specialmente per i più piccoli, e chiede ai suoi let­ tori di imitarlo in questo 1 02• Cristo è così, con Dio Padre, un modello etico che Paolo invita a seguire. E se doman­ da ai suoi convertiti di imitarlo, è perché egli stesso imita Cristo, nel suo cammino di povertà, di dolcezza, di bontà 1 03 • Ecco perché per Paolo non si pone il problema della prio-

100 Gli esegeti discutono ancora per sapere se si tratti del Gesù terreno (di qualcuno dei suoi logia) o del Risorto, che parla per la mediazione dei profeti cristiani (sotto forma di rivelazioni o di oracoli). Dato che ci li­ mitiamo qui allo studio del fenomeno di cristologizzazione, non affron­ tiamo questa questione. Per le pastorali, cfr. lTm 6,3. 101 1 Cor 1 , 1 0; 2Cor 1 0, 1 ; Rm 1 5,30; Ef 4, 1 ; Fm 9. Una sola volta Paolo esorta «per la misericordia di Dio» Rm 1 2, 1 . 102 2Cor 8,9, dove Paolo chiede ai Corinzi di essere generosi nel donare per le Chiese di Giudea: «Conoscete infatti la liberalità (charis) del Si­ gnore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, per­ ché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» ; Fil 2,6- 1 1 , già men­ zionato; Col 3, 1 3 : «perdonatevi scambievolmente, come Cristo vi ha per­ donato»; Ef 5,2: «camminate nell'amore, come Cristo vi ha amato e ha dato se stesso a Dio per noi »; e il famoso passo di Ef 5,25-30. Cfr. infine 2Ts 3,5b. Sull'imitazione di Cristo in Paolo, cfr. Hurtado, «Jesus as Lordly Example in Philippians 2:5- 1 b) ; Kurz, «Kenotic Imitation of Paul and of Christ in Philippians 2 and 3)) ; Stanley, «Imitation in Paul's Letters)) , 103 1 Cor 4, 1 6; 1 1 , 1 ; 2Ts 3,7; cfr. anche 1Ts 1 ,6; 2, 1 4. Sulla questione si può consultare Fiore, The Function of Personal Exemple in the Socratic and Pastoral Epistles, che mostra l'importanza dell'imitazione nel mondo ellenistico di allora.

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ri tà della Torah su Cristo: se il requisito «amerai il prossi­ mo tuo come te stesso » rimane più che mai attuale per il cristiano non è in primo luogo perché si tratta di un ordi­ ne della Torah, che esprime indubbiamente la volontà di­ vina, ma piuttosto perché il cristiano ha sperimentato fi­ no a che punto è arrivato l'amore di Dio e di Cristo. (c) Cristo è anche il destinatario ultimo dell'agire etico, co­ lui che indica la sua enorme posta in gioco: « Peccando con­ tro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi pecca­ te contro Cristo» ( l Cor 8, 1 2- 1 3); la dignità del credente, che deriva dall'amore che gli ha testimoniato il Cristo (mo­ rendo per lui) e dalla sua unione con lui, trova forse qui la sua conseguenza più importante. (d) L'essere e l'agire di Cristo possono anche servire da principio argomentativo più elaborato: « Purificatevi dal lie­ vito vecchio . . . infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immo­ lato ! » ( 1 Cor 5,6-8); « il corpo non è per la porneia , ma per il Signore» ( l Cor 6, 1 3 ); « non sapete che i vostri corpi so­ no membra di Cristo» ( l Cor 6, 1 5); «per la tua scienza tu fai perire un tuo fratello, per il quale Cristo è morto» ( l Cor 8, 1 1 ); i battezzati non possono più vivere nel peccato, poi­ ché sono, con Cristo, morti al peccato (Rm 6 ). Stesso mo­ vimento in Rm 1 4 , 1 5 : « Guardati dal rovinare per una que­ stione di cibo un tuo fratello per il quale Cristo è morto! » ; e per giustificare l e tradizioni nelle assemblee d i preghie­ re Paolo ragiona così : «Il capo (kephalè) di ogni uomo (anèr) è Cristo, capo della donna è l'uomo . . . ogni uomo che pre­ ga o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo (Cristo) » ( 1 Cor 1 1 ,4); l'argomentazione è ana­ loga in Ef 5,23, in cui si chiede alle mogli di essere sotto­ messe ai loro mariti: «perché il marito è capo/testa (kephalè) della moglie, come anche Cristo è capo/testa della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo» 1 04 • Formalizzando un po' le osservazioni precedenti si po­ trebbe dire che le giustificazioni cristologiche appartengo­ no a ciò che si è convenuto chiamare «l'indicativo» sul qua­ le si innesta «l'imperativo» etico: è in virtù del loro essere­ in-Cristo (o con Cristo), in virtù di ciò che essi stessi han-

104 Sulle argomentazioni più ampie e cristologicamente fondate, si veda il capitolo seguente.

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no percepito e ricevuto dall'amore di Dio in Gesù Cristo che Paolo esorta i suoi lettori 10 5, esperienza che Col 3 , l riassume drasticamente: « Dal momento che siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo» . Nelle deuteropaoline l e motivazioni cristologiche sono del resto più numerose, estendendosi all'insieme della vita del gruppo ecclesiale, in particolare all'insieme degli abitanti della casa di quel tempo: ai rapporti tra gli sposi, tra ge­ nitori e figli , tra padroni e servi. Ma la cristologia non ser­ ve allora a copri re tutti i compromessi con un mondo ·che imponeva la sottomissione delle mogli, l'obbedienza in­ .condizionata degli schiavi, ecc.? Alcuni hanno effettiva­ mente interpretato queste esortazioni domestiche di Co­ lossesi ed Efesini come un ritorno all'ordine antico, per ra­ gioni apologetiche provenienti dall'esterno 106, o perfino per ragioni interne: di fronte alle rivendicazioni delle donne e degli schiavi (in nome delle direttive paoline sulla caducità delle condizioni sociali per indicare i rapporti tra creden­ ti), i responsabili li avrebbero esortati al realismo, ricor­ dando innanzitutto le regole sociali in uso, che era neces­ sario rispettare se non si voleva passare per distruttori del­ la società, rileggendo anche questi codici alla luce del van­ gelo per renderli vivibili all'interno della Chiesa. Altri ese­ geti hanno anche proposto di vedere in tali codici una con­ seguenza della confessione di Gesù Cristo come mediato­ re della creazione e della riconciliazione universale, per­ ché questa mediazione rende infine possibile la coabita­ .z ione, o addirittura la riconciliazione tra le comunità cri-

1 05 Lascio da parte le difficoltà sollevate da questo rapporto indicativo/im­ perativo, perché non toccano direttamente la cristologizzazione dei di­ versi campi teologici. Ecco tuttavia come le vedono gli esegeti del Nuo­ vo Testamento: se l'indicativo è già sicuro, fermo, qual è allora la forza dell'imperativo? E se l'imperativo è necessario, qual è la profondità vis­ suta dell'indicativo? Altra questione lasciata da parte qui: l'indicativo e l'imperativo paolini riprendono in modo diverso i concetti giudaici di sal­ vezza mediante la grazia e di giudizio secondo le opere? Sanders, Pau! and Palestinian Judaism , 5 1 5-5 1 8. 106 L'ordine e la pace nei rapporti quotidiani tra i cristiani testimonie­ rebbero in loro favore e in quello del vangelo; costituirebbero così «una risposta apologetica a delle critiche provenienti dall'esterno della comu­ nità» (Balch, «Household Codes» , 29, che rimanda a I Pt 2, 1 2h; 3, 1 5b; Col 4,6; Tt 3,5; l Tm 5 , 1 4).

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stiane e l'ordine sociale del mondo circostante. Ho mo­ strato altrove che queste ragioni, di peso diverso, non so­ no sufficienti a spiegare le esortazioni domestiche né, so­ prattutto, le loro motivazioni cristologiche. Vanno in realtà interpretate come un desiderio di evangelizzare - di uma­ nizzare e trasformare - le strutture sociali legate alle cul­ ture, non per «battezzarle,> ingenuamente, ma per mo­ strare, grazie alle motivazioni teologiche e cristologiche, in che cosa possono e devono aprirsi al vangelo 1 07• Lungi da far piegare il vangelo ai valori mondani, le lettere dalla pri­ gionia ne fanno al contrario uno strumento di conversio­ ne degli usi e delle regole sociali, in breve dei diversi co­ dici . !:umanità nuova in Cristo

In connessione con l'etica va notata anche la cristologiz­ zazione dell'antropologia paolina. La vocazione di Adamo, e quindi dell'umanità, è in effetti ritrovata ed espressa nuo­ vamente in funzione di Cristo. Quando in 1 Cor 1 5,44b-49, ad esempio, Paolo parla del rapporto tra il primo e l'ulti­ mo Adamo, la sua antropologia è eminentemente cristolo­ gica: l'ultimo Adamo è Cristo, anche se quest'ultimo non viene menzionato di proposito perché le affermazioni pos­ sano estendersi o applicarsi a tutta l'umanità riscattata. In breve, l'uomo della fine, l'uomo escatologico ha i tratti di Cristo! È anche grazie all'unità e alla dignità della nostra umanità in Cristo che Paolo può abbozzare il tipo di rela­ zioni ormai escluse, perché basate su privilegi mondani: né giudeo né greco (esclusioni religiose), né uomo né don­ na, né schiavo né libero (discriminazioni sessuali e socia­ li) 1 08 • Ed è ·a partire dalla redenzione in Cristo che descri­ ve, in Rm 7,7-25, l'asservimento dell'uomo soggetto alla leg­ ge e ancora sottomesso alla carne (sarx). È anche in fun­ zione di Cristo che le deuteropaoline abbozzano il concet­ to di «Uomo nuovo» , opposto all'«antico » , prigioniero del peccato e della morte 109 • Ed è nel Figlio, come abbiamo già 1 07 Per una dimostrazione più approfondita, si veda Aletti, Colossiens, 246256. 1 08 Gal 3,28; Col 3, 1 1 . 1 09 Col 3,9b- 1 1 ed Ef 4,22-25.

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visto, che la nostra umanità scopre le dimensioni della sua dignità filiale unitamente all'esigenza di fraternità, di at­ tenzione amorevole, per formare veramente la famiglia di Dio t to. È poi necessario aggiungere che la preferenza di Paolo per il celibato è determinata principalmente da ragioni cristo­ logiche, cioè la proclamazione del vangelo ? 1 1 1 •

CRISTO E LE SCRITTURE Alcune applicazioni

In tutti i campi che abbiamo passato in rassegna, i titoli e le relazioni descritte da Paolo tradiscono spesso una let­ tura cristologica delle Seri tture. Ciò è vero per molte delle metafore paoline che descrivo­ no le relazioni nuove in Cristo. Quella delle nozze e del ma­ trimonio, applicata dall'Apostolo a Cristo e alla Chiesa, è molto probabilmente una trasposizione dei rapporti tra YHWH e il suo popolo, tra YHWH e la figlia di Sion 1 1 2• L'ap­ pellativo «Figlio» dato da Dio al messia, proviene dalla tra­ dizione apostolica prepaolina, ma riprende anche un cer­ to numero di passi biblici 1 1 3• Abbiamo anche notato, nel paragrafo dedicato alla teologia paolina, che molte espres­ sioni della Torah, dei profeti o dei salmi, riferite inizial­ mente a YHWH o ad altre realtà, sono rilette cristologica­ mente dall'apostolo 1 1 4 • 1 1° Cristo è nostro fratello (Rm 8,29). E noi dobbiamo amarci come fra­ telli (la philadelphia , 1 Ts 4,9; Rm t 2,9- 1 0), 1 1 1 Cfr. t Cor 7,29-35 e t Cor 9. 1 1 2 Si faccia riferimento in particolare a Os 1-2; Ez 1 6; Is 54; 62. 1 1 3 Oltre ai salmi messianici (2,7 «YHWH mi ha detto: tu sei mio figlio . » ; Sal 89,27 « Egli [il messia] mi chiamerà mio Padre»), cfr. 2Sam 7, 1 4, do­ ve Dio annuncia a Davide, attraverso Natan, che farà alleanza con Salo­ mone: « lo gli sarò padre ed egli mi sarà figlio» (ripreso in 1 Cr 1 7, 1 3 ; 22, t 0; 28,6). Il titolo di Figlio è anche applicato al messia dagli scritti giu­ daici paratestamentari. Cfr. 1 En t 05,2; TestLevi 4,4; 4Esd 7,28 (sir.); 1 3 ,32.37.52. Senza dimenticare il midrash su 2Sam 7, 1 4 in 40 Florile­ gium. 1 1 4 Alla lista fornita sopra - is 8, 1 4 (Rm 9,32-33); Is 45,23 (Fil 2 , 1 0- 1 1 ); Gl 3,5 (Rm 1 0, 1 3) - bisogna aggiungere Sal 68, 1 9 ( Ef 4,8); Is 2, 1 0. 1 9.2 1 (2Ts t ,9). .

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La sua esegesi delle Scritture è, in alcuni passi 1 1 5 , diretta­ mente cristologica, o addirittura tipologica, mentre in mol­ ti altri no; ma non è quantitativamente che si determina qui l'importanza di Cristo. Cri sto, ch iave delle Scrittu re

Al di là delle applicazioni particolari, ciò che Paolo affer­ ma esplicitamente, in 2Cor 3 , 1 4, è il principio stesso della lettura delle Scritture a partire da Cristo. Infatti, egli dice, i giudei che leggono l'Antico Testamento (p alaia diathèkè) senza alcun legame con Gesù di Nazaret, il Messia, lo leg­ gono con un velo che non può essere tolto; solo la fede in Cristo toglie il velo, « perché è in Cristo che esso viene eli­ minato» . In altri termini è la fede in Cristo Gesù che apre all'intelligenza delle Scritture. Questo principio è all'opera ovunque, anche se l'apostolo non mostra così spesso come noi desidereremmo in che modo le Scritture parlano di Cristo Gesù o l'annunciano. È senza dubbio nelle lettere ai Galati e ai Romani, spe­ cialmente in Gal 3 e Rm l O 1 1 6, che Paolo indica le conse­ guenze della fede in Cristo per lo status della Torah ; status duplice, poiché, come parola di Dio, essa resta in tutto pro­ fetica, ma, annunciando il Cristo, annuncia anche la pro­ pria fine come codice legislativo essenziale per un'allean­ za che si è allargata all'intera umanità.

Dt 30, 1 2- 1 4, che parla della legge, è applicato a Cristo in Rm 10,6-9. Al­ lo stesso modo, secondo l Cor l 0,5, la roccia che seguiva gli Israeliti e dalla quale Dio fece scaturire l'acqua nel deserto, era Cristo (cfr. Nm 20,9; Sal 78, 1 6 .20; 1 05,4 1 ; Is 48,2 1 ). 115 Così , l'affermazione di Sal 1 1 0, 1 relativa alla dominazione del messia sui suoi nemici, e applicata, com'era dovuto, a Gesù glorificato in l Cor 1 5 ,25 . O anche Gal 3, 1 3 , che riprende molto naturalmente la maledizio­ ne di Dt 2 1 ,23 a proposito della morte in croce di Gesù. Ugualmente Gen 1 5 ,5 in Gal 3 , 1 6 (cfr. infra), e Gen 2,24 in Ef 5,3 1 -32. 1 16 In Rm 1 0,4, si può tradurre il greco telos con « fine» (nel senso di « met­ tere fine a>> ) o «scopo»: « Perché la fine (o lo "scopo") della legge è Cristo per la giustizia di chiunque crede » . Su questo passo, sulla storia della sua interpretazione, cfr. Aletti, Comment Dieu est-il juste?, 1 1 3- 1 33.

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Una p resentazione paradossale

Ho appena detto che per Paolo è la fede in Cristo che apre all'intelligenza delle Scritture. Ma riferendosi ad esse per mostrare come fin dall'inizio, cioè da Abramo, Dio giusti­ fica per la sola fede (senza le opere), l'apostolo non lega in maniera esclusiva la giustificazione per la fede e Cristo. Certo, in Gal 3 , 1 6 egli dichiara, a partire dal singolare « la tua discendenza» di Gen 1 5 ,5, che questa discendenza di Abramo è Cristo e che così la promessa (e quindi la fede del patriarca) ha Cristo per oggetto, almeno implicito. Ma il ragionamento di Rm 4 non ha questa colorazione cri­ stologica. Il contenuto della promessa rimane al plurale: «Ti ho fatto padre di una moltitudine di popoli » (Geo 1 7,5 citato in Rm 4, 1 7- 1 8), perché la situazione di Abramo de­ ve valere anche per tutti coloro che come lui saranno giu­ stificati per la sola fede, soprattutto i non giudei . Ciò che del resto in Rm 4 è importante è più lo stato dell'atto di credere (come condizione necessaria e sufficiente per la giustificazione da parte di Dio) che i contorni precisi del suo contenuto. Ecco perché Cristo, come oggetto - ultimo o pieno, poco importa qui - della promessa e della fede di Abramo, non ha bisogno di essere menzionato 1 17• Le ra­ gioni di questa assenza sono quindi retoriche e le sue con­ seguenze, paradossali : se per Paolo la fede in Cristo deter­ mina l'intelligenza delle Scritture, la presentazione che egli fa dello stato dell'atto di credere (non soltanto quello del cristiano, ma di tutti i credenti anteriori alla venuta di Cri­ sto) a partire dalle Scritture non è tuttavia necessariamente cristologica 1 1 8 • Lasciamo da parte i paradossi per ritenere solo il posto er­ meneutico decisivo accordato a Cristo da Paolo quando legge il passato biblico: si esprime qui tutta la dimensione di memoria e di coerenza dell'essere cristiano.

1 17 Gli esegeti che si appoggiano su Gal 3, 1 6 per affermare che in Rm 4 Cristo è l'oggetto della fede di Abramo, hanno purtroppo contro tutti gli indizi letterari e semantici. Certo, Cristo appare in Rm 4,24, conclusione dell'argomentazione midrashica (chiamata f}atima), ma è a proposito del­ la fede dei cristiani. 1 18 Per maggiori precisazione su questo paradosso, cfr. Aletti, Comment Dieu est-il juste ?, 98- 1 05.

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CONCLUSIONE Al termine di questo primo capitolo spero di aver ricorda­ to un fenomeno conosciuto, la massiccia cristologizzazio­ ne del discorso paolino, da l Ts a Ef: abbiamo verificato che tutta la riflessione dell'Apostolo, sulla storia d'Israele e dell'umanità, sulla legge, il peccato, la salvezza futura, la Chiesa, ecc., trova la sua articolazione a partire da o con l'aiuto di Cristo. Che il processo di cristologizzazione all'opera nei diversi campi della teologia paolina abbia la sua ragion d'essere nello scandalo della croce, dove si suggellano e si manife­ stano pienamente le vie e la sapienza di Dio - la morte in croce come eccesso dell'amore, come vittoria suprema sul­ la morte e sul peccato, come forza nella debolezza, come tempo dell'adozione filiale, ecc. -, è più che verosimile. La theologia crucis non spiega però tutto, in particolare l'esca­ tologia e l'ecclesiologia delle deuteropaoline. La signoria di Cristo su tutto il creato - che la si chiami o meno theo­ logia gloriae, qui poco importa - ha la stessa importanza perché, come abbiamo visto, ha permesso a Paolo di af­ fermare che i credenti hanno definitivamente accesso alla sua pienezza, al livello personale e al livello ecclesiale. Rimane il fatto che il processo di cristologizzazione è sta� to qui stabilito con l'aiuto delle lettere di Paolo e delle deu­ teropaoline. Lo stesso vale per le Pastorali? Bisogna ora in­ terrogarsi sul principio di strutturazione di queste lettere e vedere se ci sia omologia con le precedenti . Dopo aver passato i n rassegna l'insieme dei campi della ri­ flessione paolina, è ancora troppo presto per parlare con certezza di strutturazione. Se i diversi campi sono deter­ minati dalla cristologia, fino a che punto quest'ultima è un fattore di strutturazione? La domanda esige una risposta.

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Capitolo secondo Le lettere paoline e le altre. Problem i CII strutturazione

Il capitolo precedente ha mostrato che, per le micro-unità discorsive, la cristologizzazione è reale. Cosa dire delle unità superiori e delle lettere prese come un tutto? L'esame della cristologizzazione delle lettere di Paolo e del­ le deuteropaoline non è però sufficiente. È importante ve­ rificare se questo processo si accompagna a una struttu­ razione della riflessione paolina, e se è della stessa natura, o addirittura omologa, nelle Pastorali, e poi nelle lettere dette cattoliche.

LE LETTERE PAOLINE Le argomentazioni In un certo numero di esposizioni la prova cristologica, co­ me abbiamo visto, ha un posto notevole. (a) In molti capitoli o sezioni l'argomentazione dell'Apo­ stolo culmina perfino sulla prova cristologica. Così , in l Cor 1 5 , Paolo affronta due problemi differenti , quello di una risurrezione finale dei morti (vv. 1 2-34) e quello della na­ tura del corpo risuscitato (vv. 35-58). Ora, in ciascuna di queste parti, il climax (in questo caso, l'unità B) è cristo­ logico1 , perché sottolinea il ruolo essenziale e universale di

1 Per la composizione dei vv 35-58, si veda la nota 44 del capitolo pri­ mo. I vv. 1 2-34 seguono anch'essi un duplice modello, retorico (con il v. 12 come propositio, i w. 1 3-32 come probatio, i w. 33-34 come peroratio) e concentrico (in A = vv 1 3- 1 9, sotto forma negativa; B vv 20-28, sot­ to forma positiva; A' vv 29-32, di nuovo negativamente). .

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Cristo - ogni volta vi si parla dell'opposizione tra il primo Adamo e l'ultimo - : i vv . 20-28 affermano che la sua stes­ sa risurrezione richiama la nostra, che sarà un essere-per­ sempre-con-lui, e i vv. 44b-49 , che il passaggio dal corpo terrestre al corpo celeste non è un'illusione, poiché Cristo l'ha già effettuato. Allo stesso modo, in Galati, la narratio dei due primi ca­ pitoli, fatta per stabilire che il vangelo di Paolo non viene dagli uomini ma da Dio 2 , culmina su un periodo cristolo­ gico (2, 1 5-2 1 ). Seguiamo l'Apostolo, che procede in diver­ se tappe: (i) il vangelo che predica non viene da lui, per­ ché, prima di essere stato raggiunto da Cristo, egli si op­ poneva violentemente ai suoi adepti al punto da persegui­ tarli; si può spiegare umanamente un tale capovolgimen­ to? (ii) Paolo nemmeno ha ricevuto il vangelo dagli apo­ stoli che hanno seguito Cristo prima di lui, poiché ha ini­ ziato la sua missione molto prima di averli incontrati; (iii) inoltre, questi stessi apostoli hanno riconosciuto il valore e la verità del suo vangelo: non hanno imposto la circon­ cisione del suo collaboratore Tito, ammettendo così , con Paolo, che la circoncisione non è essenziale per apparte­ nere a Cristo; (iv) e quando Pietro ha un atteggiamento contrario alla verità del vangelo predicato da Paolo, que­ sti arriva fino a rimproverarlo aspramente, e davanti a tut­ ti; (v) dopo aver enumerato i fatti che sottolineano l'origi­ ne divina del suo vangelo, Paolo può, nei w. 1 5-2 1 , pre­ sentarne i tratti salienti, principalmente cristologici. Il v. 1 6, che afferma la giustificazione per la sola fede in Cristo Gesù, somiglia ugualmente a una prepositio; se è così, tut­ ta la probatio - che segue immediatamente (Gal 3-4) - de­ ve avere una dimensione cristologica 3•

2 Le narrationes paoline non sono soltanto dei racconti o addirittura dei semina probationum, provano «Con i fatti» . E qui la narratio (Gal 1 , 1 1-2, 1 5) accumula i fatti appoggiando la propositio che l'abbozza (cioè Gal l , 1 1 - 1 2), e termina con una peroratio, di tonalità cristologica, solen­ ne e patetica (Gal 2, 1 5-2 1 ). 3 Ecco l'enunciato di Gal 2, 1 6: «Sappiamo che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo (pistis Ièsou Christou ); abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per es­ sere giustificati dalla fede in Cristo (pistis Christou) e non dalle opere del­ la legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessu­ no» . Alcuni esegeti preferiscono tradurre il genitivo Christou, ccfede di (Ge-

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(b) In altre dimostrazioni l'argomento cristologico è deci­ sivo, se non addirittura centrale, anche se non vi è presente come punto culminante. Così è per l Cor 5, 1 - 1 3; Fil 2, 1 - 1 8; Col 2,6-2 3 e 3, 1 - 1 7, sviluppi esortativi che seguono uno schema concentrico, tipico delle esortazioni paoline e del­ le esortazioni in generale, dove la direttiva viene giustifi­ cata prima di essere ripetuta 4:

a esortazione o ordine (non fare questo, fa' attenzione a,

ecc.): 1 Cor 5 , 1 - S ; Fil 2 , 1 -5 ; Col 2,6-8; Col 3,5-9a b ragioni cristologiche (perché tu sei. .. ; perché Cristo ... ) : 1 Cor 5,6-8; Fil 2 ,6- 1 1 ; Col 2 ,9- 1 5 ; Col 3 ,9b- 1 1 a ' esortazione o ordine rinnovati (perciò fai/non fare que­ sto . . . ): 1 Cor 5,9- 1 3 ; Fil 2, 1 2- 1 8 ; Col 2, 1 6-23 ; Col 3 , 1 2- 1 7. A questa lista bisogna aggiungere 1 Ts 4, 1 3- 1 8 e 5 , 1 - 1 1 ; 1 Cor 1 -4 5; 1 Cor 8; Rm 1 0; Fil 3 ; Ef 2, 1 1 -22 6; Ef 4,7- 1 6; Ef 5 ,2 1 6,9. In Rm 6-8 Paolo vede anche la legge a partire dall'es­ sere-con-Cristo (e non a partire dal suo status o dall'inca­ pacità umana a eseguirla) , e sembra si possa anche arri­ vare a dire che, per lui, l'agire etico del credente manife­ sta la giustizia stessa di Cristo7• Altri hanno anch� segna-

sù) Cristo» o « fedeltà di (Gesù) Cristo». In realtà il contesto non favori� sce questa interpretazione, e questo tanto più che, essendo il versetto pro­ babilmente una propositio, si dovrebbe veder riapparire nella probatio che segue il tema della fede di Cristo, ma questo non awiene. 4 Mi permetto di segnalare fin d'ora la sezione di una lettera cattolica, I Pt 3, 1 3�,6. che obbedisce allo stesso movimento: a 3, 1 3- 1 6 esortazio­ ne; b 3, 1 7-22 motivazione cristologica; a ' 4, 1 -6 esortazione. 5 Cfr. la nota 84 del capitolo precedente e il testo che vi rimanda. 6 La composizione di questo passo è globalmente concentrica: A vv. 1 1 - 1 3 (il v. 1 3 fa da cerniera) dove il soggetto dei verbi è «VOi » ; la sottounità è segnata da una forte opposizione tra l'«una volta» negativo (sul quale Paolo insiste) e l' «adesso» positivo (in Gesù Cristo); B vv. 1 4- 1 7 dove il soggetto è Cristo; la sottounità descrive come è avve­ nuto il passaggio dal negativo al positivo, in altre parole la mediazione salvifica di Cristo; A' vv. 1 8-22 dove il soggetto è nuovamente «noi/voi »; con ancora l'oppo­ sizione tra l'«una volta» negativo e !'«adesso>> positivo (sul quale Paolo può ora insistere). 7 Cfr. B. Byrne, « Living out the Righteousness of God: The Contribution of Rom 6, 1 -8, 1 3 to an Understanding of Paul's Ethical Presuppositions», CBQ 43 ( 1 98 1 ) 557-58 1 .

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lato l'influenza della cristologia sull'articolazione e il ra­ gionamento di 1 Tm8• Non dimentichiamo, infine, che la prova cristologica domina in tutte le sezioni della lettera ai Colossesi 9• (c) Ma questa osservazione indica indirettamente che nel­ le altre (del resto numerose) sezioni delle lettere paoline l'argomentazione non è principalmente cristologica. La cri­ stologia non sarebbe quindi l'anna favorita dell'apostolo? Se la cristologia non sostiene molte argomentazioni ciò è dovuto talvolta al tema affrontato, come quello dell' obbe­ dienza alle autorità politiche, in Rm 1 3 , 1 -7, o quello della schiavitù, in Fm e l Cor 7, 1 7-24. E chi potrebbe lamentar­ sene? L'apostolo si guarda bene dal dire che bisogna in co­ scienza obbedire alle autorità politiche, perché Cristo stes­ so ha riconosciuto la loro legittimità, perché egli l'ha chie­ sto o vi si è egli stesso sottomesso. Similmente, egli non dichiara che gli schiavi possono restare nel loro stato, se­ guendo l'esempio di Cristo che si è voluto fare schiavo di tutti 1 0 • Giustificare tutto cristologicamente avrebbe potuto destare sospetto e avrebbe potuto nascondere un desiderio di conformai-si ai valori del mondo, subordinando ad essi il vangelo. L'assenza di argomentazione cristologica deriva anche dal tipo di probatio . Cosi, non bisogna sorprendersi se Cristo è quasi del tutto assente nella prima sezione della lettera ai Romani ( l , 1 8-4, 25) 1 1 • Paolo inizia infatti la sua rifles­ sione sulla giustizia divina rifacendosi al giudaismo del suo tempo, riprendendone anche le idee principali, per ma­ strame progressivamente la sorprendente conseguenza: tutti, greci e giudei devono essere giustificati allo stesso mo-

8 Cfr. S.E. Fowl, The Story of Christ in the Ethics of Pau[. 9 Cfr. Col 1 , 1 5-20; 1 ,24-2,5; 2,6-23 e 3, 1 -4, 1 .

10 L'espressione «assumendo forma di schiavo)) di Fil 2,7 non indica evi­ dentemente una condizione sociale, e un'esortazione a restare nella con­ dizione di schiavitù basata sull'esempio di Cristo sarebbe irrimediabil­ mente fallita. 11 Viene menzionato solo in 2, 1 6; 3,22-26 e 4,24. Non è possibile, eviden­ temente, rispondere, come fanno alcuni esegeti, che la sezione arriva fi­ no a Rm 5,2 1 e che finisce quindi in modo eminentemente cristologico. Sfortunatamente tale divisione disprezza tutti gli indizi formali: va ab­ bandonata perché errata e non fondata. Cfr. Aletti, Comment Dieu est-il juste? , 38-49.

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do ( 1 , 1 8-3 ,20). Nell'unità seguente (Rm 3 ,2 1 -4,25), l'as­

senza - come abbiamo visto, apparentemente sorprenden­ te - di argomentazione cristologica si spiega ancora più fa­ cilmente: per dimostrare la conformità delle sue posizioni sulla giustificazione con la volontà di Dio e quindi con la sua Parola, l'apostolo non può che ricorrere alla prova scrit­ turistica; ecco perché Rm 4 studia a lungo il caso di Abra­ mo in Gen 1 5,6 allo scopo di mostrare la sua emblemati­ cità 1 2 • Del resto, in Gal e Rm, un'argomentazione cristologica po­ teva forse essere sufficiente a mostrare che il cristiano, fa­ cendosi circoncidere (per diventare soggetto alla legge mo­ saica), rende vana la croce di Cristo e insignificante il van­ gelo? Infatti Paolo aveva al tempo stesso il dovere di pro­ vare che le sue affermazioni erano in accordo con le Scrit­ ture, o addirittura annunciate da esse, e ciò con l'aiuto di un'argomentazione scritturistica. Inoltre, una riflessione sul contenuto del vangelo implicava un approfondimento e una necessaria riflessione sulle categorie di appartenen­ za alla famiglia dei credenti (chi è figlio/figlia di Dio e quin­ di figlio/figlia di Abramo? Come lo si diventa, come lo si resta, ecc. ?), seguendo le regole dell'esegesi midrashica in vigore in quel tempo. Ma non è certo perché intere sezio­ ni non sono basate su prove cristologiche coerenti che Cri­ sto non ha un ruolo globalmente strutturante. Ciò detto, la cristologia manca in alcune argomentazioni dove invece si sarebbe aspettata. In l Cor 1 3 non sarebbe stato forse più vantaggioso per Paolo ricordare, come in Fil 2,6ss, il cammino di Cristo, che non si era gloriato di tutti i doni da lui posseduti, ma aveva voluto essere il ser­ vo di tutti , amando pazientemente, sopportando tutto, ecc.? Di fatti, una descrizione dell'amore longanime, umile, di Cristo, avrebbe mostrato adeguatamente la superiorità e la necessità della carità, senza la quale gli altri doni spiri­ tuali non servono a nulla, ma solo a dividere la Chiesa. E l'elogio13 che l Cor 1 3 fa della carità deve certamente ave12 Sulla particolarità delle prove di questa sezione, si veda Aletti, Com­ ment Dieu est-il juste?, 2 1 2-2 1 6. 13 In greco, egk6mion . Si tratta di una tecnica appartenente al genere epi­ dittico, e conosciuta dagli autori del tempo. Il lettore avrà certamente os­ servato l'uso paradossale che Paolo fa di questa tecnica: fare l'elogio di ciò che non ricerca l'elogio (l'agape «non si vanta)) , v. 4b) !

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re come modello Cristo. Eppure non viene menzionato, perché il ragionamento di Paolo sarebbe stato, nonostan­ te tutto, seriamente limitato. Procedendo in maniera ne­ gativa, ma anche positiva e comparativa, l'apostolo può mostrare facilmente che i criteri di valutazione dei Corin­ zi non reggono 1 4• Se in l Cor 1 4 Cristo non appare è per­ ciò soprattutto per ragioni retoriche. Secondo alcuni esegeti , le ragioni sarebbero le stesse in 2Cor 1 0- 1 3 , dove ci si aspetterebbe l'esempio del Cristo sofferente, cioè un ricorso alla theologia crucis : « In fin dei conti, si è portati. .. a mettere in rilievo l'assenza di teolo­ gia della croce in questi capitoli, quando invece sarebbe stata di una grande efficacia dimostrativa. Paolo si è aste­ nuto deliberatamente dal farvi ricorso per "farsi valere" ! » 15 • Si potrebbero addurre altri esempi, ma questi sono già suf­ ficienti. Essi dimostrano che, in assenza di prova cristolo­ gica in certe sezioni, non si può trarre alcuna conclusione, in un senso o nell'altro, sulla funzione strutturante di Cri­ sto per l'insieme della riflessione paolina. Struttu razio ne a quali livelli?

Troppo spesso, del resto, quando si parla di cristologizza­ zione, si pensa allo sviluppo stesso della cristologia. Le let­ tere paoline, però, non sono caratterizzate da una rifles­ sione progressivamente più ampia e approfondita sull'es­ sere di Cristo. Certo, nelle lettere dalla prigionia 16, si in­ contrano vari risalti cristologici, ma soltanto in poche ri­ ghe, e sempre sotto forma di inno, cioè senza pretesa teo­ rica. Ci si può perciò domandare perché non ci sia in Pao­ lo una cristologia sistematica o dispiegata, ad esempio, al­ la maniera dell' «epistola » agli Ebrei. In realtà, l'apo�tolo

14 Com'è noto, l'elogio della carità è composto concentricamente, a vari livelli (sintattico, tematico). Il procedimento retorico è quello dell'accu­ mulazione. Segnalo qui solo le divisioni d'insieme, perché il lettore potrà facilmente verificare i parallelismi: a vv. 1 -3: necessità della carità (senza di essa niente ha valore); b vv. 4-7: descrizione della carità (ciò che essa fa, non fa, e fa ancora); a ' vv. 8- 1 3 : durata illimitata e superiorità della carità. 1 5 M.-A. Chevallier, « L'argumentation de Paul dans II Corinthiens 10 à 1 3 » , RHPR 70 ( 1 990) 3- 1 5 . La citazione viene dalla p. 1 5. 1 6 Fil 2,6- 1 1 ; Col 1 , 1 5-20.

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non studia la cristologia in se stessa (la filiazione divina di Cristo, la sua preesistenza, il suo invio nel mondo, la ve­ rità della sua umanità, il carattere sacrificate della sua mor­ te, ecc.), ma si interessa piuttosto alle conseguenze o alle implicazioni della sua morte e della sua risurrezione per l'essere cristiano, per l'agire dei battezzati, per la loro li­ bertà, la vita come Chiesa, il rapporto col mondo, ecc. Co­ sì, la cristologizzazione delle lettere paoline consiste, più che

in una riflessione approfondita sull'essere e lo stato di Cri­ sto, in una irrigazione dei diversi campi del discorso, in par­ ticolare nelle piccole unità lessicali 1 7 , come si è visto nel pre­ cedente capitolo. L'importanza della cristologia dell' apo­ stolo si misura quindi con la sua influenza, con la sua dis­ seminazione, più che col suo sviluppo interno. Le componenti strutturanti

Abbiamo visto che la figura di Cristo permette all'Aposto­ lo di mettere in rilievo i cambiamenti radicali intervenuti a tutti i livelli, dato che il legame dei credenti con Cristo determina la qualità nuova del rapporto con Dio e con gli altri. In effetti, nelle lettere di Paolo e nelle deuteropaoli­ ne, Cristo - la sua morte e risurrezione - determina le op­ posizioni spazio-temporali fondamentali: tra il primo Ada­ mo e l'ultimo, tra il prima della morte, della schiavitù al peccato, e l'adesso della vita e della libertà dei figli, tra il prima dell'inimicizia Israele/nazioni, giudei/non giudei, e l'adesso della loro riconciliazione in un solo corpo, tra il mondo antico e la creazione nuova, tra l'alleanza antica e la nuova nel suo sangue 18, ecc.

17 È a questo livello che abbondano le formule « in Cristo», «per Cristo» , «con Cristo» , ecc. 18 Ecco i testi in cui appare il vocabolario della novità: l Cor 5,7 («Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova»); 1 Cor 1 1 ,25 («La nuova al­ leanza nel mio sangue»); 2Co r 5, 1 7 («Se uno è in Cristo, è una creatura nuova»); Gal 6, 1 5 (« Ciò che conta non è né la circoncisione, né la non circoncisione, ma la nuova creazione»); Col 3 , 1 0 («Avete rivestito il nuo­ vo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo crea­ tore»); Ef 2, 1 5 ( Cristo, «ha voluto, a partire dal giudeo e dal pagano, crea­ re in se stesso un solo uomo nuovo»); 4,24 (bisogna « rivestire l'uomo nuo­ vo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità che viene dalla ve­ rità»).

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Queste opposizioni, che devono effettivamente la loro esi­ stenza all'evento Gesù Cristo, non sono però sufficienti da sole a mostrare che le lettere paoline sono strutturate dal­ la cristologia, perché Cristo potrebbe discretamente farsi da parte nei rapporti che egli ha permesso tra l'umanità e Dio - come ho già detto, il ruolo abituale dei mediatori è quello di scomparire, una volta portato a termine il loro compito. Perché ci sia strutturazione cristologica è perciò necessario che il contenuto delle relazioni instaurate ab­ bia Cristo come elemento cardine, cioè che egli sia colui grazie al quale le relazioni si allacciano e permangono. Che dire quindi del o dei simboli attraverso i quali Paolo espri­ me la condizione dei credenti e della Chiesa? l campi simbol ici

Paolo descrive le relazioni nuove con l'aiuto non di un so­ lo campo semantico, bensì di molti. Certo, questi campi a volte coincidono, ma il loro numero mostra già che la si­ tuazione dei credenti, senza dubbio a causa della sua ric­ chezza, non si lascia ridurre a un solo sistema o a un so­ lo tipo di strutturazione. L'importante, per il nostro scopo, è che Cristo sia presente in ciascuno di questi campi e che ne renda possibile il funzionamento. Mi sembra che le diverse aree simboliche incontrate nei te­ sti paolini possono essere ridotte a cinque, o a sei (se si conta il vocabolario della signoria), e che in ciascuna Cri­ sto è essenziale alla strutturazione. (a) Il simbolismo mor­ te/vita: il cammino del cristiano dal battesimo all'eschaton, è una morte con Cristo, un seppellimento, ma anche una vita e una risurrezione con lui. (b) Il simbolismo familia­ re, chiaramente più pregnante degli altri, sottolinea l'unio­ ne della nostra umanità con Dio; questa famiglia è quella del Dio Padre che invia il suo unico Figlio per conferirci l'adozione filiale (hyiothesia ), con tutte le conseguenze che questo comporta: libertà, dignità, eredità, non apparte­ nenza alla legge mosaica, riconciliazione e unità dell'uma­ nità nel Figlio, fraternità che esige che si ami secondo il suo esempio. Quanto alla dimensione ecclesiale, essa vie­ ne descritta con l'aiuto di tre campi, non direttamente so­ vrapponibili, (c) quello delle nozze e del matrimonio con Cristo (2Cor 1 1 ,2; Ef 5,27), (d) quello della dimora di cui Cristo è il fondamento o la pietra angolare, (e) e soprat80

tutto quello del corpo con, nelle deuteropaoline, una chia­ ra insistenza sul rapporto del corpo con la testa, Cristo. Non basta però che Cristo sia un elemento chiave in cia­ scuno dei campi enumerati: la cristologia può coprire qual­ siasi cosa e ci si può appoggiare su Cristo per dimostrare una cosa e il suo contrario! Ancora una volta è necessario che le variazioni interne al «Corpus » paolina non siano de­ cisive. Ora, nel precedente capitolo abbiamo mostrato ciò per i diversi campi della riflessione paolina. Così, l'escato­ logia « realizzata» delle deuteropaoline non modifica so­ stanzialmente la struttura simbolica dell'itinerario dei cre­ denti in e con Cristo19• Ugualmente, in tutte le lettere pao­ line, è la statura e la mediazione di Cristo, che unifica l'uma­ nità in lui, a far considerare la legge mosaica come un ele­ mento di separazione tra il giudeo e il non giudeo. Infine, l'ecclesiologia delle deuteropaoline, con la sua insistenza sulla relazione testa/corpo, non subisce drastici rimaneg­ giamenti in confronto a quella delle lettere di Paolo 20 • In breve, è possibile dimostrare, e noi l'abbiamo fatto, che ai livelli diacronico e sincronico la strutturazione della rifles­ sione paolina non ha conosciuto modifiche sostanziali. Lo ripetiamo, i diversi campi simbolici non sono direttamente sovrapponibili 2 1 • Alcuni sembrano perfino incompatibili: ad

19 Anche se le lettere di Paolo parlano della risurrezione e della salvezza come di un evento della fine e le deuteropaoline come di qualcosa già av­ venuto (siete risuscitati con lui, Col 2, 1 2; 3, 1 ; Ef 2,5-6). Ripetiamo che l'importante è spiegare lo spostamento. 20 Ho già segnalato che le lettere paoline non nominano praticamente mai la Chiesa popolo di Dio. L'osservazione vale per il vocabolo «Madre>> (Ma­ ter Ecclesia), ad eccezione forse - il passo è molto difficile - di Gal 4,26. Le ragioni di questo silenzio sono evidentemente strutturali, come ho mo­ strato per il termine «popolo» . Che la Chiesa non sia chiamata «Madre» è dovuto alla coerenza dell'uso paolina: «corpo» e «sposa)) di Cristo van­ no insieme, mentre l'apostolo utilizza la funzione materna - e quella pa­ terna - per descrivere la sua sollecitudine in favore delle comunità. Cfr. l Ts 2,7 «Come una madre (o una nutrice, trophos) ha cura delle proprie creature . . . »; 1 Ts 2, 1 1 «Come un padre verso i propri figli ... >> ; 1 Cor 4, 1 4 dove Paolo dice dei Corinzi che sono i suoi « figli carissimi »; 2Cor 6, 1 3 «Vi parlo come a dei figli»; Gal 4, 1 4 «Figlioli miei, che io d i nuovo par­ torisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi». 21 Le relazioni tra Cristo e i credenti, quali le vede Paolo, possono esse­ re riassunte in alcuni binomi: Cristo è Signore, di tutti e noi obbediamo a lui (kyriosldouloi), siamo suoi coeredi (klèronomoslsynklèronomoi, Rm 8,-

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esempio, come può Cristo essere al tempo stesso fratello e sposo? Si potrebbe rispondere (i) chè non è sposo e fra­ tello allo stesso livello, (ii) che in certi scritti giudaici gli sposi si chiamano reciprocamente « sorella» e «fratello» 22 , (iii) o anche che due sposi cristiani, in quanto battezzati, sono fratello e sorella, giustificando così indirettamente la compatibilità di queste relazioni, meglio l'assunzione del­ l'uno nell'altro e il «magis» che ciò implica, (iv) infine che i poeti veterotestamentari avevano già utilizzato parados­ salmente il simbolismo del matrimonio dicendo di Geru­ salemme che sarebbe stata sposata da YHWH e dai suoi figli 2 3! Ciò nondimeno, la relazione di fraternità non è del­ la stessa natura di quella del matrimonio. Non è perciò suf­ ficiente invocare il carattere poetico dell'uso paolino per appianare la difficoltà - chi ci capisce qualcosa è bravo! -, lasciando così intendere che solo gli imbecilli vi vedranno un'incongruenza. L'esegeta ha il dovere ogni volta di de­ terminare ciò che le relazioni sollecitate da Paolo conno­ tano e come il Cristo permetta le loro articolazioni , altri­ menti si rischia di attribuire al simbolismo il ruolo di un deus ex machina . Ciò detto, l'esempio delle nozze verifica emblematicamente il processo di cristologizzazione ope­ rato da Paolo, poiché è YHWH che, negli scritti profetici, si dichiara lo sposo - spesso tradito, ma fedele - della fi­ glia di Sion 24• Più globalmente, come abbiamo visto, le let­ tere paoline sembrano aver trasferito su Cristo e sui cre­ denti molte delle relazioni simboliche articolate intorno a YHWH negli scritti profetici e nei Salmi. Il primo capitolo ha quindi dimostrato che, per le lettere paoline, la figura di Cristo pervade tutti i campi della ri­ flessione dell'Apostolo e fa veramente tenere insieme degli scritti le cui rispettive ecclesiologie ed escatologie sono di­ verse, ma non fondamentalmente differenti. Inoltre, tra le

1 7), è il nostro fratello maggiore ( «il primo di una moltitudine di fratel­ li ,, , Rm 8,29), è lo sposo della Chiesa (anèrlgynè) e la sua testa (kephalè!so­ ma). 22 Cfr. la traduzione greca del Cantico, dove l'ebraico «diletto,, viene tra­ dotto con adelphidos . Si noti del resto che, fin dall'ebraico, il diletto chia­ ma la sua amata «sorella)) in Ct 4,9. 1 0. 1 2; 5, 1 .2; ugualmente Tb 7, 1 5; 8,4. ' 2 3 Is 62,5: «(come) il giovane sposa la sua fidanzata, i tuoi figli ti spose­ ranno, e dello stesso entusiasmo dello sposo per la sua sposa Dio si en­ tusiasmerà per te,, (traduzione TOB).

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lettere di Paolo e le deuteropaoline non abbiamo indivi­ duato alcuna modifica fondamentale all'interno dei diver­ si campi. Cosa dire però delle pastorali?

LE PASTORALI A differenza delle lettere inviate alle Chiese, queste si pre­ sentano più come serie di regole, di raccomandazioni, spes­ so molto brevi, che come argomentazioni approfondite, fat­ te per regolare le difficoltà incontrate dalle comunità, o an­ che destinate a presentare le straordinarie conseguenze del vangelo al livello ecclesiale e familiare - ci si ricordi degli Efesini ! L'estensione della cristologizzazione e il suo ruo­ lo sono più facili da individuare. l punti comuni

Senza riprendere, come nel capitolo precedente, le diver­ se aree teologiche, iniziamo col ricordare i punti di con­ vergenza fondamentali esistenti tra le pastorali e le altre lettere paoline. La cristologia delle pastorali, simile a quella delle prece­ denti lettere, è più disseminata che sviluppata. Di Gesù vi si dice soltanto che è uomo, nato dalla stirpe di Davide, che ha reso testimonianza davanti a Ponzio Pilato, che ha donato se stesso per noi, è morto, risorto, Signore, unico mediatore venuto nel mondo per salvare tutti gli uomini 25, che è misericordioso con i peccatori 2 6, che per lui lo Spi­ rito è stato effuso sui credenti , e la vita (eterna) promessa, che apparirà nella gloria e giudicherà i vivi e i morti 27•

25

Cfr. 1 Tm 1 , 1 5 ; 2,5-6 (uomo e unico mediatore); 6, 1 3 (la sua testimo­ nianza e la sua professione di fede); 2Tm 1 , 1 0; 2,8. 1 0; Tt 1 ,4; 2, 1 3; 3,6. Da notare che le pastorali qualificano anche molte volte Dio come Sal­ vatore, indicando così che Dio e Cristo sono due attori dell'opera salvifi­ ca ( l Tm 1 , 1 ; 2,3; 4, 1 0; Tt 1 ,3; 2, 1 0; 2, 1 4 ; 3,4). Sull'interpretazione con­ " troversa di Tt 2, 1 3 (e di Rm 9,5), si veda quanto detto sopra p. [5 1 s.]. 26 Cfr. l Tm l , 1 6: «Ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha vo­ luto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità (makro­ thymia)». 27 Cfr. l Tm 6, 1 4; 2Tm l , l («la promessa di vita che è in Cristo Gesù)) ); 2Tm 4, 1 ; Tt 2, 1 3; Tt 3,6 (Spirito e ffu so) La cristologizzazione di questa .

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Della fede si dice che «è in Cristo Gesù » , per indicare la sua specificità: è cristiana, cioè inseparabile da Cristo, dal suo cammino, dall'amore e dalla grazia ricevuti da lui, dal­ la speranza promessa grazie a lui, ecc. 28 • È una testimo­ nianza resa a Cristo 2 9, un vero combattimento da impe­ gnare senza paura ( l Tm 6, 1 2 ; 2Tm 1 ,7), perché è minac­ ciata, dall'interno, da coloro che professano false dottri­ ne 30 , dall'esterno dai persecutori 3 1 • Certamente si dirà che le pastorali non parlano di giustificazione per la fede; ma anche molte altre lettere paoline sono nella stessa situa­ zione. Non si può pertanto vedere in questo un cambia­ mento drastico, tanto più che l'inizio della seconda lettera a Timoteo ripete quasi testualmente questa dottrina: Dio «che ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione san­ ta, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo di­ segno e la sua grazia. . . in Cristo Gesù» ( 1 ,9) 32 • L'elemento nuovo delle pastorali è proprio questo conte­ sto di fede minacciato, che, con la futura scomparsa di Pao-

funzione divina del giudizio finale va più lontano delle lettere di Paolo e delle deuteropaoline, dove si dice che Cristo viene nella gloria a cercare e prendere i suoi con lui, ma non per esercitare il giudizio . L'affermazio­ ne della risurrezione finale dei morti, in 2Tm 2, 1 8, non è accompagnata da un'argomentazione cristologica, perché il versetto si limita a un ri­ chiamo. 28 l Tm 1 , 1 4; 3 , 1 3; 2Tm 3, 1 5. Altrove Paolo parla di «fede che è comune» a lui e a Tito, e anche lì va intesa la fede «cristiana» (Tt 1 ,4). Espressio­ ni analoghe, > o «questa parola», senza utilizzare il termine nomos) sono rare: l Tm 5 , 1 8 (Dt 25,4; come in l Cor 9,9, «non metterai la museruola al bue che trebbia» ) e 5, 1 9 (Dt 1 7,6 che esige la testimonian­ za di almeno due testimoni, quando si muove un'accusa); 2Tm 2, 1 9 (N m 1 6,26 che ordina di stare lontano dall'iniquità). Altrove le esortazioni mo­ rali delle pastorali non si rifanno esplicitamente alla Torah, anche quan­ do sono richiamati usanze o doveri - come quello di pregare alzando le mani al cielo, in 1Tm 2,8; o di onorare i genitori, in 1 Tm 5,4 - già enun­ ciati da essa; queste esortazioni somigliano di più ai codici domestici del­ le deuteropaoline, ma senza le motivazioni cristologiche. 45 1 Tm 3, 1 ; 5 , 1 0.25; 6, 1 8; Tt 2,7. 14; 3,8. 14. 46 Cfr. 2Tm 2 , 1 -7; 2,8- 1 3; 2,22; 3 , 1 0- 1 3; 4, 1 ; Tt 2, 1 . 1 0 (dove il termine « dot­ trina» rimanda al vangelo). Da notare che l'uno o l'altro riferimento a Cri42 Espressione parallela, «mistero della fede•• , in l Tm 3,9.

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Nelle pastorali la Chiesa non viene definita in riferimento Cristo47• L'unica eccezione è Tt 2 , 1 4; ma questo versetto descrive l'appartenenza della Chiesa a Cristo in termini che non sono privi di interesse. Ecco il testo, che riprende chia­ ramente, con una certa libertà, alcune formule bibliche: Cristo « ha dato se stesso per noi , per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelan­ te nelle opere buone» 48• Sono necessarie due osservazioni: (i) abbiamo qui un bell'esempio di quello che ho chiama­ to sopra il fenomeno del transfert, poiché si attribuisce a Cri­ sto un passo biblico che parlava inizialmente di YHWH49; (ii) è l'unica volta in cui le lettere paoline chiamano la Chie­ sa «popolo» , e popolo DI CRISTO; ma il termine «popolo» è meno importante - si tratta di un prestito biblico, come quello di Rm 9,25 - di ciò che esso connota, cioè la rela­ zione di appartenenza della Chiesa a Cristo, che è un'al­ leanza definitiva. Anche se la formulazione differisce, l'obiettivo resta lo stesso. Segnaliamo ancora un'affinità esistente tra le pastorali e le altre lettere paoline, cioè la descrizione cristologica del ser­ vizio del vangelo. Paolo, scelto da Cristo, è suo apostolo 50, e suo soldato fedele ( 2Tm 2,3). Ma anche Timoteo . si sen­ te definire «buon ministro (diakonos) di Cristo» 5 1 : proclaa

sto comincia o termina una serie di esortazioni, segno che la serie è al­ lora colorata cristologicamente. 47 In l Tm 3,5. 1 5 il termine ekklèsia è accompagnato dal genitivo Theou. Da notare, in l Tm 3, 1 5, il termine oikos che designa la dimora, ma an­ che gli abitanti della casa: «la casa di Dio che è la Chiesa di Dio)) , 48 La prima parte del versetto riprende Sal l 29- 1 30,8: «YHWH (greco: ky­ rios) redimerà Israele da tutte le sue colpe»; e la seconda parte, «Un po­ polo che gli appartiene)), appare in Es 1 9,5; Dt 7,6; 1 4,2; 26, 1 8. 49 In 2Tm 4, 1 4 (a un certo Alessandro che gli ha procurati molti mali, Paolo augura che «il Signore gli renda secondo le sue opere))) abbiamo certamente lo stesso fenomeno, se il kyrios designa Cristo (a causa del nominativo preceduto dall'articolo; si confronti con la citazione di 2Tm 2, 1 9a), poiché in 2Sam 3,39; Sal (27) 28,4; (6 1 ) 62, 1 3, Pr 24, 1 2 è YHWH (2Re 3,39 LXX e Pr 24, 1 2 LXX hanno il nominativo kyrios senza artico­ lo) che retribuisce ciascuno (in particolare il malvagio) secondo le sue opere. 50 l Tm 1 , 1 ; 2Tm 1 , 1 ; Tt 1 , 1 . Sulla scelta, cfr. l Tm 1 , 1 2. SI l Tm 4,6. n termine diakonos ha qui un'accezione generica (queJla di servire) e non designa il ministero dei diaconi menzionato in lTm 3 � 8-

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mare il vangelo, insegnare, esortare, consolare, ecc., è ser­ vire Cristo. l campi non cristolog ici

Questi sono quindi i maggiori punti di convergenza delle pastorali con le lettere esaminate precedentemente. Si obiet­ terà certamente che le differenze superano, e di molto, le somiglianze. Vediamo quali ! (a) Nell'insieme, i comportamenti etici richiesti a i cristia­ ni non sono giustificati cristologicamente. Per certe esor­ tazioni, in particolare quelle che domandano la sottomis­ sione alle autorità politiche e giudiziarie, ci si rallegrerà evidentemente dell'assenza di un fondamento cristologico, come in Rm 1 3 , 1 -7 52 • Notiamo tuttavia che Cristo può spun­ tare a margine di un'esortazione: l Tm 2, 1 -7 chiede che si preghi per tutti gli uomini senza eccezione, anche e so­ prattutto per coloro che detengono l'autorità, perché Dio vuole la salvezza di tutti , e Cristo è morto per questo! (b) Al livello delle relazioni intraecclesiali ci si sarebbe aspettato molte volte una menzione di Cristo: perché non si dice che Timoteo e Tito devono diventare dei modelli a esempio di lui, e che a loro volta i battezzati devono amar­ si come Cristo stesso li ha amati, e avere in ogni circostan­ za gli stessi suoi sentimenti: umiltà, dolcezza, ecc.? Ma, an­ cora una volta, le esortazioni vanno prese nel loro conte­ sto, che fornisce talvolta il fondamento cristologico desi­ derato. Così, in Tt 2,2- 1 0, Paolo moltiplica le esortazioni senza menzionare Cristo; ma non si devono dimenticare i versetti seguenti (Tt 2 , 1 1 - 1 5), dove si indica precisamente la finalità dell'agire dei battezzati, e quindi delle esorta­ zioni : Cristo ha dato se stesso per noi, per renderei puri e pieni di zelo per le opere buone! Veniamo ai codici domestici. E siamo riconoscenti al Pao­ lo delle pastorali di non domandare alle donne di essere sottomesse o agli schiavi di obbedire in tutto ai loro pa­ droni, a causa o in nome di Cristo 53• Nonostante tutto, l'apo-

52 Cfr. Tt 3, 1 , molto più laconico di Rm 1 3, 1 -7. 53 L'esortazione di l Tm 2,8- 1 5 sembra valere per tutte le donne, non sol-

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stolo non fa forse della condizione sociale d'inferiorità del­ le donne una norma infrangibile? Infatti , rimandando al­ la Genesi, ricorrendo al principio dell'anteriorità 54, il suo argomento sembra valere per sempre. Certo, egli ricono­ sce che in Cristo tutti sono fratelli e sorelle, e che questa è la vera dignità dei battezzati (cfr. 6,2). Ma ciò non tocca né modifica la gerarchia sociale corrente. Del resto, il pas­ so non permette di concludere che le donne della Chiesa di allora rivendicassero una condizione sociale uguale a quella degli uomini. Il problema veniva sollevato dalle as­ semblee di preghiera, dove quelle che si sentivano mosse dallo Spirito dovevano profetizzare, istruire e interpretare le Scritture. Ora, Paolo non si limita a ricorrere a degli ar­ gomenti di convenienza proporzionati alla situazione - il rischio di disordine, la ribellione degli uomini o, al con­ trario, la loro umiliazione -, va ben oltre, invocando la Scrittura e ciò che essa dice fin dagli inizi. Ma, la sua ar­ gomentazione biblica non sarebbe un alibi per piegare le comunità alle leggi sociali allora diffuse? Possiamo negar­ lo, facendo osservare che l'ingiunzione riprende quella di 1 Cor 1 4,34 e che il passo si limita alle assemblee cristiane. Però non basta. La prova biblica utilizzata in l Tm 2, 1 3 ss non è senza rischi: i passi della Genesi ai quali si fa riferi­ mento possono essere invocati dai misogini di tutti i tem­ pi per mantenere nella Chiesa le donne in stato di subor­ dinazione. Lasciando da parte la debolezza relativa dell' ar­ gomentazione del passo, per il mio scopo mi limito a con­ siderare l'omologia esistente con gli altri scritti paolini: l'uguale dignità dei credenti (sono tutti figli di Dio, fratel­ li e sorelle, santi e sante davanti a Dio, ecc.) non implica un egualitarismo per i carismi e le funzioni ecclesiali 55•

tanto per le spose. Sugli schiavi . cfr. 1Tm 6, 1 -2; Tt 2,9- l l . Si sarà notato che nelle lettere di Paolo e nelle deuteropaoline, la questione della con­ dizione delle donne e degli schiavi non viene affrontata, anche se si per­ cepisce uno spostamento in questa direzione. 54 Il principio, conosciuto anche dall'esegesi giudaica, si enuncia così: ciò che è anteriore ha la precedenza. Da notare che Paolo lo applica nella sua esegesi di Gen 15 in Gal 3 e Rm 4: la giustificazione per la sola fede vale per tutti, circoncisi e incirconcisi, perché fu accordata prima anco­ ra che fosse imposto il segno della circoncisione, in Gen 1 7 . 55 Sull'assenza di discriminazione, cfr. Gal 3,28; Col 3 , 1 1 ; sulla gerarchia dei carismi, cfr. l Cor 1 2,28-30; 1 Cor 1 4, 1 -33; Ef 4,7- 1 2.

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(c) Le pastorali parlano anche di ministeri, o piuttosto di diversi ministri - vescovi, diaconi, anziani o presbiteri 56 che Paolo aveva soltanto menzionato all'inizio della lette­ ra ai Filippesi 57• Come situarli in rapporto ai carismi (cha­ rismata) o ai doni (domata) elencati in l Cor 1 2 o Ef 1 4? Bisogna vedere in essi gli elementi di una struttura eccle­ siale diversa, spazialmente e/o temporalmente, e far pro­ pria l'opinione di coloro che ritengono che le lettere di Pao­ lo riflettono un tempo in cui i ministeri si moltiplicavano sotto l'azione dello Spirito, e le pastorali un'epoca di isti­ tuzionalizzazione ?58• Cominciamo col notare che la finalità dei ministeri men­ zionati nelle pastorali è la stessa di quella dei carismi o dei doni enumerati in l Cor 12 ed Ef 4, cioè il bene della Chie­ sa. l Cor 1 4 insiste sull'edificazione dell'assemblea59, Ef 4, 1 2 sull'edificazione del corpo di Cristo, e il Paolo delle pasto­ rali afferma similmente che i vescovi devono prendersi cu­ ra delle Chiese locali, che i diaconi devono, come indica il nome del loro incarico, servire (diakonein ) 60• I doni o i mi­ nisteri hanno in definitiva come scopo il servizio: chia­ mando se stesso e i suoi collaboratori diakonoi di Cristo, Paolo non dice niente di diverso61 • Si obietterà certamen-

.56 Il termine

presbyteroi non designa soltanto le persone più anziane (co­ me sembra essere il caso di 1 Pt 5,5), ma una funzione, conosciuta già nel giudaismo. Nelle lettere del NT, si tratta quasi certamente di un mini­ stero (collegiale?) di presidenza di una comunità locale (cfr. l Pt 5, 1 -2), con attributi vari senza dubbio diversi secondo l'ambiente (giudaico o non) delle comunità (cfr. Gc 5, 1 3- 1 4). Non è certo che il modello cnstia­ no sia esattamente quello in vigore nel giudaismo. 57 Per i > . Basando la verità della testimonianza apostolica sull'essere-con-Gesù, Pietro riporta quindi le ge­ nerazioni future verso l'esistenza di Gesù. Ciò facendo, egli include nella regola di fede i racconti apostolici sui diver­ si eventi di questa esistenza. 2Pt stabilisce in qualche modo la necessità del passaggio da Paolo, che non menzionava gli episodi della vita di Ge­ sù, ai vangeli attuali che ce li riferiscono. Non che la let­ tera menzioni altri episodi all'infuori della trasfigurazione; essa riflette piuttosto una certezza: la vita di Gesù non è soltanto quella di un uomo straordinario, è il luogo privi­ legiato, anzi unico, in cui si esprime e si fa leggere la ve­ rità dell'essere Figlio di Gesù. I racconti che ne vengono fatti dagli apostoli, testimoni veritieri, costituiscono di con­ seguenza la regola di fede dei credenti di tutti i tempi. Con 2Pt possiamo quindi parlare di un terzo tipo di cri­ stologizzazione. Non che 2Pt cristologizzi più delle altre lettere apostoliche i diversi campi della riflessione teologi­ ca, ma dichiara necessari, per la conoscenza che i battez­ zati devono avere di Cristo, i ricordi che gli apostoli han­ no trasmesso della vita di Gesù. Va da sé che raccontare ­ poco importa qui con quali intenzioni - gli episodi della vita di Gesù equivale a fare della cristologia. Questi rac­ conti apostolici sono certamente delle (gesu)cristologie, in cui le elaborazioni posteriori non possono che trovare il loro fondamento o la loro regola.

CONCLUSIONE Mi auguro che questo capitolo abbia mostrato, al seguito del precedente, che la verità delle affermazioni di Dunn 1 1 1 vanno ben al di là di ciò che il loro autore potesse imma­ ginare. Non c'è opposizione tra un nucleo consistente (la fede in Gesù Cristo) e dei modelli ecclesiali senza legame tra loro e con questa fede. Lasciando da parte il livello

1 1 1 Cfr. Unity, 1 22: «Un solo centro di unità può essere individuato con qualche consistenza, ed è, ancora una volta, Gesù e la fede in lui)).

1 16

dell'organizzazione, di cui ho segnalato l'aspetto differen­ ziato1 12, mi sono fermato al livello delle strutture, mo­ strando come il ricorso a Cristo abbia segnato in modo de­ cisivo la riflessione teologica delle lettere apostoliche. Senz' altro si obietterà che la cristologizzazione non è uniforme da uno scritto (o, a rigore, da un autore) a un al­ tro. Così, Paolo è il solo a descrivere e sfruttare il legame della Chiesa con Cristo facendo ricorso al registro corpo­ rale (corpo/testa), mentre Giacomo o Pietro praticamente non sviluppano un'ecclesiologia. Nonostante tutto, l'obie­ zione non regge, perché gli scritti che sono stati passati in rassegna sono fondamentalmente omologhi a molti livel­ li 1 13; e non si può pretendere da scritti che hanno inten­ zioni diverse che sviluppino gli stessi argomenti e le stes­ se componenti teologiche. La mia intenzione è stata prima di tutto quella di indicare come la cristologizzazione è av­ venuta in tre modi distinti . (i) Le lettere di Paolo e le deu­ teropaoline hanno articolato la maggior parte delle rela­ zioni intorno all'idea di Cristo - ciò che ho chiamato la cri­ stologizzazione per disseminazione, o anche per rilettura. (ii) L'epistola di Giacomo ha attinto dall'insegnamento del Maestro, riprendendo all'occorrenza alla lettera i suoi lo­ gia, per determinare le relazioni fondamentali dei battez­ zati con Dio, con gli altri e con il mondo: cristologizza­ zione senza cristologia - insisto sul paradosso -, come di­ scorso di Cristo e non su di lui. (iii) Infine, le pastorali e soprattutto 2Pt fissano le parole e i ricordi degli apostoli su Cristo come regola della proclamazione e dell'insegna­ mento delle generazioni future. La cristologizzazione è quindi il fenomeno più caratteristico degli scritti finora stu­ diati. Avevamo cominciato interrogandoci sulla questione del grado di unificazione di cui era capace la cristologizzazione

1 1 2 Del resto sono troppo numerosi quelli che credono a torto che le or­ ganizzazioni ecclesiali neotestamentarie, diverse e mutevoli, non riflet­ tono una struttura comune. Il discorso esegetico sull'unità/diversità dei modelli è pertinente solo se distingue tra organizzazione e struttura. 1 1 3 Prendiamo due esempi tipici: a livello ecclesiale, i responsabili (qua­ lunque sia il loro appellativo) sono invitati a servire (prendersi cura del gregge, farlo pascere, ecc.); a livello morale, la perfezione, la dolcezza, l'umiltà, l'agape, ecc., sono dei denominatori comuni a tutti gli scritti.

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(che dev'essere distinta dalla cristologia, come sviluppo di­ scorsivo su Gesù Cristo) in Paolo e nelle lettere del NT. Spero di aver mostrato come questa unificazione sia rea­ le e fondamentale. Non ho voluto verificare la mia ipotesi con l'aiuto dell' «epi­ stola» agli Ebrei, forse perché, essendo un saggio di cri­ stologia, questo scritto costituiva una testimonianza idea­ le 1 14• Il fenomeno di cristologizzazione dei diversi campi della teologia mi è sembrato molto più interessante, per­ ché va di pari passo con la stnltturazione, soprattutto at­ tanziale, manifesta grazie alle omologie fondamentali esi­ stenti tra le diverse lettere.

1 14 Si obietterà certamente che questo scritto non cristologizza la fede, che non viene mai lì definita come fede in Gesù Cristo. Ma l'insistenza di Eb sulla mediazione di Cristo e i suoi effetti relega in secondo piano la fede in lui. Da notare anche che la fede è lì messa in rapporto con Cristo in due passi importanti: 12, 1 -2 (dove Cristo è modello di fede) e in 10, 1 925 (dove egli ha reso possibile l'obbedienza della fede). Cfr. Hamm, ccFaith in the Epistle to the Hebrews: The Jesus Factor» .

1 18

Parte seconda

L'elaborazione in forma di racconto e le biog rafie di Gesù

Per me il mio archivio è Gesù Cristo; il mio archivio inviolabile, è la sua croce e risurrezione, e la fede che viene da lui 1

Cristologia e gesuologia

Sottolineando il carattere insostituibile dei ricordi aposto­ lici su Gesù, la seconda lettera di Pietro ci ha praticamen­ te portati e condotti all'inizio di una nuova tappa attra­ verso i racconti neotestamentari, dove la cristologizzazio­ ne avviene grazie a una o più cristologie. Anche se questi racconti non si presentano evidentemente come un trattato di cristologia alla maniera dell' «epistola» agli Ebrei, testimoniano in ogni caso una lunga matura­ zione della riflessione apostolica e un interesse non dissi­ mulato per la persona e la sorte di Gesù; in breve, scritti gesucristologici. Una simile elaborazione è certamente av­ venuta in un lasso di tempo non trascurabile, almeno per arrivare a1la sua fonna canonica, ma è avvenuta e pone dei problemi . Bisogna infatti domandarsi , come fa Kasemann, perché la Chiesa primitiva non si sia fermata alla sola proclamazio­ ne della signoria del Risorto e all'attesa della sua venuta gloriosa, ma sia ritornata sulla consistenza di questa vita terrena in un movimento di anamnesi sempre più ampio. La predicazione ha effettuato questo ritorno, colmando co­ sì il divario tra annuncio e racconto, e il racconto diventa a sua volta annuncio della parola di Dio 2 •

1 Ignazio d'Antiochia, A d Philad. , 8,2.

2 E dato che il racconto degli eventi rimanda alla storia di Gesù, Kase­

mann ne trae la conclusione che la teologia ha la storia come unico luo­ go di pertinenza. Per le ragioni già enunciate (nell'introduzione), non esa­ minerò qui il rapporto tra racconto ed evento.

1 20

l racconti e il loro oggetto

A dire il vero, il movimento di anamnesi esiste già nelle let­ tere che abbiamo presentato brevemente. Infatti, come è sta­ to giustamente detto, essa è «la struttura fondamentale del Nuovo Testamento» 3• Ciò che cambia con i racconti evan­ gelici, più che la natura dell'anamnesi è la sua estensione ; un'estensione di cui si può benissimo pensare che doveva prima o poi diventare massimale. Indipendentemente dal­ la massa di ricordi selezionati e riferiti, i racconti evange­ lici ci ricordano - tale è infatti una delle loro funzioni - che l'oggetto centrale della cristologia neotestamentaria resterà il Gesù che va verso la sua morte, che soffre e che muore, e infine risorge. Ma la determinazione (agevole) dell'oggetto centrale non dice ancora nulla sulla funzione di ogni racconto. Obbe­ discono essi, come le biografie di Plutarco, alle leggi del ge­ nere? In altre parole: mirano a diffondere la vita di un uo­ mo illustre perché se ne ammiri l'insegnamento e se ne imi­ ti il comportamento, superiore sotto tutti i punti di vista? I narratori hanno voluto convincere della storicità dei fat­ ti e delle azioni di Gesù, o addirittura ricostruire la verità sul Gesù prepasquale? O, meglio, indicare la bellezza di un itinerario e la forza di un insegnamento? Hanno voluto ri­ velare il progetto e l'intenzione di Gesù? Suscitare la fede? Ecc. Tenuto conto di questi interrogativi, il cammino dell'ese­ geta diventa più lungo. Non è possibile infatti a priori di­ chiarare che l'intenzione dei racconti 4 coincida con quel­ la del Gesù che presentano, ma, poiché mi limito alla strut­ turazione dei racconti nel loro stato attuale, senza consi­ derare direttamente il divario tra ciò che Gesù ha potuto volere, dichiarare, fare, ecc., e ciò che ne riferiscono le pro­ clamazioni successive, la storia della tradizione e della re­ dazione avrà qui meno importanza di quanto ne ha nella maggior parte dei commentari contemporanei. Mi soffer­ merò sul lavoro di cristologizzazione, con le sue conseguen­ ze, a tutti i livelli.

3 Bonnard, Anamnèsis, 1 1 . 4 La sola che possa essere determinata, dato che quella degli autori la

possiamo conoscere - supponendo che sia possibile - solo attraverso di questa.

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I racconti evangelici combinano idealmente i tre tipi di cri­ stologizzazione messi in evidenza a proposito deile lettere. Se, dopo la morte e risurrezione del Signore, le sue affer­ mazioni, i suoi aforismi, le sue parabole e altri logia ini­ ziarono a circolare in tutte le comunità, altri fatti, in par­ ticolare quelli della passione, divennero oggetto di una pri­ ma elaborazione in forma di racconto, per ragioni abba­ stanza evidenti : i discepoli di Gesù non potevano soltanto annunciare che il loro maestro era stato esaltato da Dio , costituito Cristo e Signore, ma era per loro ugualmente ne­ cessario affrontare lo scandalo del suo destino, cioè la pas­ sione e la morte in croce, percependone, con l'intelligenza della fede, la paradossale coerenza. L'elaborazione in for­ ma di racconto della passione, multiforme e molto lunga - se paragonata agli altri episodi della vita di Gesù -, mo­ stra che i primi cristiani hanno visto in essa l'evento fon­ damentale, decisivo per il cammino di Gesù e al tempo stesso per la loro fede. Sull'esempio di Paolo, l'hanno ben mantenuto davanti agli occhi, senza paura, per riceveme loro stessi consolazione. L' omologia tra gli scritti neote­ stamentari inizia e finisce con la croce, non altrove. Quali cristologie?

Le somiglianze dei racconti con le lettere derivano più dal­ la loro capacità di integrare nei loro rispettivi tessuti un numero indefinito di forme diverse che dalla loro funzio­ ne e articolazione, chiaramente diverse; così, in certi rac­ conti gli attori scrivono delle lettere il cui contenùto viene fatto conoscere al lettore 5, e nelle lettere è possibile rac­ contare molti fatti, reali o fittizi. Racconti e lettere con­ tengono o ri feriscono preghiere (inni, suppliche) , colloqui giudiziari, discorsi, dialoghi, ecc. È forse un caso che gli scritti neotestamentari abbiano utilizzato questi due tipi di scrittura, capaci di assorbire o integrare tutti gli altri? Ma, a differenza delle lettere già presentate, i racconti met­ tono il lettore davanti a una cristologia in evoluzione, (i)

5 Cfr., ad esempio, 1 -2 Maccabei e Atti. Ho già fornito la lista delle lette­ re del racconto dei maccabei, p. 26. Quanto a quella degli Atti, cfr. 1 5,2329; 23,25-30.

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perché essa non costituisce innanzitutto né soltanto il mo­ do di essere dei narratori, che spesso cedono il passo agli attori, i cui rapporti con Gesù conosceranno anch'essi un'evoluzione, (ii) perché sarà legata al divenire stesso di Gesù: i titoli che gli vengono dati dovranno passare per la prova, con lui, per acquistare tutta la loro verità e la loro forza dopo la Pasqua! Dopo tutto, l'analisi dei titoli non è sufficiente, perché gli scritti del Nuovo Testamento non si sono limitati a dare dei titoli a Gesù; alla domanda «chi è Gesù? » hanno risposto innanzitutto con dei racconti, e so­ lo questi possono dare tutto il loro peso di verità ai titoli. Oltre alla sua evoluzione, la cristologia dei racconti neote­ stamentari si caratterizza anche per ciò che non dice, per la densità e l'ambiguità delle relazioni : lasciando «fare» fino a un certo punto, s'intende - i loro attori, i narratori fanno entrare nello spessore e nell'ambiguità delle relazioni umane, dove il non detto e i silenzi vietano spesso al letto­ re un'interpretazione immediata e facile. In questo senso, ciò che i narratologi dicono dei racconti e della loro di­ mensione catartica vale a fortiori per quelli del Nuovo Te­ stamento: là più che altrove il lettore è senza dubbio invi­ tato a numerosi spostamenti ! Le cristologie e la loro unità

Ma le cristologie dei diversi racconti neotestamentari in­ terpretano la figura e il cammino di Gesù allo stesso mo­ do? L'unità del referente (Gesù) implica necessariamente quella del messaggio, come afferma Paolo ? 6 • Le cristolo­ gie dei racconti devono essere compatibili? In questi ulti­ mi decenni ci si è compiaciuti di opporre due tipi di cri­ stologia, discendente e ascendente, ed è vero che i racconti evangelici ci interrogano sull'oscillazione - come passag­ gio sempre difficile - tra una cristologia dell'invio (del Fi­ glio da parte di Dio), pregnante in Paolo, o dell'incarna­ zione ( nel prologo di Gv), e una cristologia del divenire-Si-

6 Cfr.

supra, il paragrafo sul rapporto tra cristologia/vangelo, pp. 34-35. Ricordiamo che unità non significa uniformità: per Paolo l'unità del mes­ saggio evangelico si esprime nella molteplicità delle testimonianze.

123

gnore di Gesù, forte in Marco, ad esempio. Ma è forse ne­ cessario ricordare che il mio intento non è quello di vede­ re come l'una e l'altra cristologia possano articolarsi 7, ma solo di esaminare se le differenze prevalgono sulle somi­ glianze, in breve di determinare a quale livello di strutto­ razione si situino le omologie e le opposizioni tra i rac­ conti? Oltre a queste questioni importanti, il nostro percorso at­ traverso i racconti dovrà infine determinare il posto della gesuologia narrativa nell'insieme canonico neotestamen­ tario. L'elaborazione in forma biografica funziona forse co­ me una ricerca dell'originario? Sta forse a significare o im­ plica un attaccamento sconsiderato (che sarebbe allora un imprigionamento) a un passato definitivamente morto? Scommettiamo il contrario, perché si fa sempre memoria nell' «oggi » , in cui si fa riconoscere una storia strutturan­ te, anche se l'oggetto o l'evento ricordato resta obbligato­ riamente in ilio tempore, con i suoi segni di contingenza. Ma non è forse lì che possiamo giustamente cogliere la straordinarietà dei modi grazie ai quali le proclamazioni della fede hanno preso corpo?

Dai micro-racconti ai vangeli

In un primo tempo mi soffermerò su un certo numero di

logia e di episodi evangelici, per mostrare come essi riser­

vano un posto straordinario a Gesù, la cui parola e il cui agire determinano le relazioni tra gli altri attori . Potremo allora, nel capitolo seguente, considerare i racconti nella loro totalità, per metterne in evidenza le rispettive inten­ zione e compatibilità, allargando così la ricerca sul diffi­ cile problema dell'unità interna del Nuovo Testamento, mettendola alla prova sul caso tipico delle affermazioni di Paolo e (del Gesù) di Matteo sulla Legge mosaica.

7 Numerosi sono i teologi contemporanei che hanno riflettuto su questo

passaggio decisivo, da Kasemann a Moingt, l'ultimo in ordine di tempo. Dato che il mio percorso si muove in una direzione diversa, non posso che rinviare alle loro opere, di cui si avrà una buona presentazione sin­ tetica in J. Moingt, L'homme qui venait de Dieu , pp. 243-28 1 .

1 24

Prima di intraprendere il viaggio attraverso i sinottici, vor­ rei rispondere brevemente a un'obiezione che si potrebbe formulare così: è immaginabile che si possa va]orizzare, nei testi attua1i, il fenomeno della cristologizzazione sen­ za prendersi la briga di risalire verso le fonti e le tradizio­ ni non ancora cristologizzate? Una tale procedura non avrebbe il vantaggio di mostrare come sia avvenuta la cri­ stologizzazione? Senza negare l'interesse di questo tipo di ricerca, ossetviamo soltanto che la sua lunghezza e i suoi risultati sempre aleatori mi impedirebbero di arrivare all'obiettivo che mi sono fissato, cioè il confronto tra gran­ di insiemi. E per questo, come si vedrà, non è affatto ne­ cessario soffermarsi sulla storia della redazione; è suffi­ ciente accumulare i dati, per individuare l'ampiezza e l'im­ portanza del fenomeno. Procederò quindi per i sinottici co­ me ho fatto per le lettere. Quanto alla funzione della cri­ stologizzazione, l'esaminerò innanzitutto con l'aiuto dell'approccio narrativo. Sorge allora una nuova obiezio­ ne, forte come tutte quelle che toccano il metodo: è pro­ prio sicuro che tutti gli evangelisti siano dei veri narrato­ ri? Passi per Luca, a rigore per Marco, ma per Matteo e Giovanni? Senza voler giustificare teoricamente la fonda­ tezza del mio percorso, credo di poter dimostrare pro­ gressivamente che gli evangelisti sono, per gradi diversi, narratori abbastanza buoni, conoscitori delle tecniche del loro tempo.

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Capitolo terzo Le piccole unità narrative Trad izione sinottica e AHi degli Apostol i

I l Gesù che inizia la sua predicazione parla soprattutto di sé? Gli esegeti, ancora divisi sui suoi primi insegnamenti, ne fanno ora un saggio che parla alla maniera dei saggi, ora un araldo dell'imminente arrivo del regno di Dio. Con­ cordano tuttavia nell'affermare che egli non ha annuncia­ to se stesso: è quanto dice di Dio e dell'uomo che colpisce i suoi ascoltatori. «Inviato da Dio, egli non cerca di disto­ gliere l'attenzione dei credenti da Dio per attirarla su di sé: non si ha il diritto di imputargli una simile manovra. Egli cerca di far conoscere Dio quale questi si rivela per tutti parlandogli come un padre a un figlio » 1 • Sia pure! Ma l'op­ posizione tra la proclamazione di Gesù, non cristologica, almeno nel suo contenuto esplicito 2, e quella della Chiesa primitiva, principalmente cristologica, appare ancora più forte. Su questo punto costateremo lo stesso fenomeno di cristologizzazione delle lettere. Più si va avanti nei racconti evangelici, più la questione della sua identità· interessa gli altri attori , e più Gesù parla di se stesso e del suo destino. La cristologizzazione progredisce con il ministero e in pro­ porzione agli incontri. Poco importa qui che i vangeli, una­ nimi su questo punto, riflettano o meno gli eventi così co­ me li ha vissuti il loro eroe, perché questo fenomeno di cri­ stologizzazione verifica ciò che sto per dimostrare! In al­ tri termini, meno le affennazioni e i gesti del Gesù dei van­

geli saranno considerati storici, più darò loro importanza.

E proprio questa la costatazione: i racconti evangelici so-

1 J. Moingt,

L'homme qui venait de Dieu, 498.

2 Cfr. Dunn, Unity, 1 3- 1 6, che vi vede un'opinione esegetica condivisa da

molti.

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no strutturati dalla questione gesucristologica. Nulla è in essi veramente aneddotico: i diversi. episodi hanno prati­ camente tutti la funzione di indicare i rapporti fonda­ mentali instaurati o trasformati dalla presenza di Gesù, tra­ sformazione dovuta alla sua identità di profeta della fine dei tempi, di Figlio e di Messia: tutte le relazioni sono co­ sì enunciate e annunciate, tra lui e Dio, tra Dio e l'uma­ nità, tra i suoi correligionari e lui, tra i suoi discepoli e lui - bisogna preferirlo a tutto, anche ai congiunti -, infine le relazioni da discepolo a discepolo, tra quelli che formano la sua famiglia e devono vivere da fratelli. Andiamo dunque incontro a lui, ascoltandolo mentre ci parla di Dio, della Legge, del tempio, del dovere di amare i nemici. . . Ma prima di intraprendere il viaggio voglio ri­ petere al lettore che, a differenza degli esegeti desiderosi di ritrovare quelle che dovettero essere le affermazioni di Gesù, io rinuncio a risalire a monte dei testi, verso la tra­ dizione presinottica, e prenderò principalmente in consi­ derazione ciò che ne conservano o ne riferiscono gli episo­ di comuni alle tre recensioni evangeliche e, in secondo luo­ go, quelli propri di Mt/Lc nella misura in cui essi confer­ mano i precedenti.

GESÙ E IL SUO 010 3 Abbiamo già menzionato l'opinione secondo la quale, in rapporto all'Antico Testamento, il Nuovo non ha formula­ to una dottrina originale su Dio 4• Se si considerano i van­ geli, l'affermazione contiene una parte di verità nella mi­ sura in cui Gesù non fa in essi dei discorsi sistematici su Dio: sono le circostanze, spesso le reazioni negative dei suoi correligionari, che lo spingono a dire, sotto forma di parabole, in che modo Dio si fa riconoscere da lui. Ugual­ mente, il modo in cui Gesù nomina Dio non è nuovo: non è il primo né il solo a dire che Dio è Signore, Padre, mi­ sericordioso, ecc. , anche se sembra essere unico nel suo

3 Chiunque si interessi alla storicità delle designazioni di Dio fatte da Ge­

sù nei suoi diversi logia evangelici, troverà utile leggere lo stimolante stu­ dio di J. Schlosser, Le Dieu de Jésus . 4 Cfr. p. 50.

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modo di rivolgersi a Lui con la designazione abba 5; del re­ sto quest'ultimo vocabolo, più che un contenuto, connota l'atteggiamento semplice e totalmente fiducioso di Gesù. In questo senso la teo-logia del Gesù dei sinottici resta al di qua di quella di Paolo perché i loro racconti hanno cer­ cato di rispettare - fino a un certo punto - le incertezze cui si erano trovati di fronte gli attori del dramma: saran­ no necessarie la morte e la risurrezione del Signore per po­ ter dire che Dio l'aveva «consegnato>) per noi, dimostran­ do così fin dove arriva il suo amore. Seguendo le unità nar­ rative dei tre vangeli, cercheremo tuttavia di cogliere l'ori­ ginalità del legame esistente tra Gesù e il suo Dio. Da Dio a Gesù

Prima che Gesù parli di Dio, i narratori segnalano ai let­ tori 6 che egli riceve dal cielo la sua identità di Figlio fin dall'inizio del suo ministero. Così, il lettore sa chi è Gesù fin dall'inizio del racconto o quasi. D'altra parte, Mt e Le non hanno atteso il ministero di Gesù per utilizzare i tito­ li che sottolineano il suo rapporto con Dio, quello di Em­ manuele ( « Dio-con-noi » , in Mt 1 ,23) direttamente notifi­ cato al lettore, quello di «Figlio di Dio» (Le 1 , 3 7) comuni­ cato a Maria dall'angelo, vero attore divino! Ma nel batte­ simo l'informazione ha un'altra portata perché lo stesso in­ teressato, Gesù, si sente chiamare « Figlio prediletto» . Non è un caso che egli riceva un simile titolo all'inizio del rac-

5 Cfr. su questo punto le osservazioni prudenti di Schlosser, Le Dieu de Jésus, 1 97-209. 6 Dato che questo studio non pretende di mostrare un rigore assoluto nel­ la terminologia relativa alle istanze extra-diegetiche, non menzionerò il narratario, preferendo chiamarlo «lettore»; gli specialisti faranno subito la necessaria trasposizione! 7 Si sarà notato che il Battista dei sinottici annuncia Gesù ricorrendo a delle perifrasi, che indicano tuttavia chiaramente la sua grandezza: lascio al lettore il compito di mostrare o di verificare che queste perifrasi han­ no la funzione di lasciare alla voce celeste la prima delle dichiarazioni cristologiche, con un titolo che mette Gesù in rapporto con Dio e non sol­ tanto con la sua missione (messianica). Le differenze tra i sinottici sono minori: certo, in Mc/Le la voce si rivolge a Gesù («tu sei mio figlio» ), men­ tre in Mt parla rivolgendosi a tutti, facendo degli altri attori i primi de­ stinatari del messaggio; ma, in ciascuna recensione, Gesù sente la voce!

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conto - che corrisponde del resto all'inizio della storia, al­ meno per Marco - non dalla bocca di attori umani più o meno qualificati 7, ma dalla stessa voce celeste 8• Gesù ini­ zia quindi il suo ministero sapendo chi è. L'appellativo con­ nota forse la filiazione divina assoluta ?9• Molti lo negano, a ragione, poiché l'evidente allusione al Sal 2, 7 fa capire che Gesù, Giovanni Battista e il lettore, se conoscono le Scritture altrettanto bene quanto gli esegeti, devono inter­ pretare il titolo in senso messianico . Gesù apprende quin­ di da Dio che è il Messia, e si sa teneramente amato. Ac­ cettiamo questo primo significato, senza però dimentica­ re le circostanze che circondano la rivelazione e gli danno il suo rilievo. È nel momento stesso in cui Gesù vuole es­ sere con quelli che riconoscono i loro peccati e ricevono il battesimo di penitenza e in cui egli stesso si lascia battez­ zare che Dio gli dà la sua investitura messianica. La sua elezione Gesù la riceve dopo che si è avvicinato in modo anonimo, umile, povero tra i poveri: la voce celeste, dichia­ razione e al tempo stesso reazione d'amore, qualifica quell'uo­ mo lì e non un altro. Si possono valutare gli effetti narra­ tivi di questo episodio con la fiducia totale che Gesù avrà d'ora in poi nei riguardi di Dio. La voce divina interviene una seconda volta dopo la tra­ sfigurazione 10, in modo imprevedibile come nel battesimo. Nulla prepara del resto narrativamente l'episodio della tra­ sfigurazione: l'iniziativa divina emerge, evidentemente, an­ cora di più . Ma se gli eventi precedenti non sembrano esi­ gere un intervento divino, la trasfigurazione a sua volta non genera il seguito del racconto, tanto più che Gesù chie­ de ai tre discepoli di non dire nulla fino alla sua morte e risurrezione: appare come un episodio narrativamente iso­ lato. Qual è allora la sua funzione? La voce che viene dal­ la nube ci fornisce in parte la risposta; senza limitarsi a ri­ petere ai discepoli le espressioni enunciate per Gesù dopo

8 Il termine «cielo» è evidentemente una metonimia dell'attore divino.

Non voglio discutere qui la funzione narrativa e teo-logica di questa fi­ gura. Ma si vede che per i narratori non c'è alcun dubbio sull'origine di­ vina della voce, tanto più che essa va di pari passo con la venuta o di­ scesa dello Spirito ( «di Dio» in M t; « santo» in Le). 9 O eterna, se la si interpreta con categorie temporali. 10 Mt 1 7,5; Mc 9 7 ; Le 9,35. ,

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il battesimo, essa aggiunge: «Ascoltatelo ! ,> . Questa ingiun­

zione fornisce la chiave dell'episodio: i discepoli devono ascoltare Gesù anche e soprattutto qua ndo dice di dover sof­ frire, perché è proprio questo che essi si rifiutano di con.:. siderare e di credere ! 1 1 • Proprio come nel battesimo, al qua­ le l'umiltà l'aveva spinto, Dio esalta Gesù, lo glorifica nel suo corpo, appena dopo che egli ha annunciato la soffe­ renza di questo stesso corpo, la sua messa a morte. È pro­ prio quest'uomo che accetta di soffrire e di morire che Dio proclama «Figlio prediletto» . La trasfigurazione di Gesù annuncia così la gloria di colui che ha voluto passare at­ traverso le umiliazioni. Ma, come nel battesimo, la voce di­ vina parla per degli attori in numero ridotto (Gesù e i tre privilegiati), e che del resto non dovranno dire nulla ai lo­ ro colleghi; essa si rivolge ugualmente al lettore, che è come sempre - nei primi posti ma ancora non conosce la funzione che l'evento avrà nel seguito del racconto. Se i tre attori devono (provvisoriamente) tacere, a che serve aver sentito la rivelazione della filiazione divina di Gesù? Tan­ to più che, durante la passione di Gesù, Pietro sembra pro­ prio aver perso la memoria: le più belle rivelazioni non re­ sistono quando la paura si impadronisce di noi. Allora, per­ ché? La risposta evidentemente va oltre il livello intra-die­ getico: dopo la risurrezione gli apostoli comprenderanno la portata dell'evento, che non attesta soltanto la filiazio­ ne di Gesù, ma anche la necessità del passaggio attraver­ so la sofferenza e quindi di una rilettura del percorso che ne tenga veramente conto, perché Dio il Padre aveva dat o il suo assenso! Quanto al lettore, grazie a1la trasfigurazio­ ne e all'ingiunzione della voce celeste che si rivolge anche a lui , potrà leggere gli episodi che seguono come un cam­ mino verso la passione, che può, anzi che deve avere senso. La voce celeste proclama quindi l'identità di Gesù in due momenti decisivi, che sono a loro modo degli inizi: quello in cui Gesù ha voluto essere tra i peccatori per manifesta­ re loro la misericordia, e quello in cui accetta inoltre (o in più) di passare attraverso le sofferenze e il rifiuto. Ciò fa­ cendo, i sinottici indicano l'importanza della risposta di-

-

11 Si vedano, in Mt/Mc/Lc, gli episodi che precedono immediatamente la trasfigurazione (Mt 1 6,2 1 -23 e par.).

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vina, che garantisce il modo in cui Gesù concepisce la sua missione e le sue modalità; e non desterà meraviglia il mo­ do in cui gli oppositori interpellano Gesù, ai piedi della cro­ ce, quando tutta la sua vita esige proprio un'approvazione da parte di Dio 12 • Ora, in questo momento in cui Gesù non è mai stato così vicino ai peccatori, appunto da passare co­ me tale, il cielo non risponde, segno, per gli stessi opposi­ tori, che tutto il cammino era sbagliato. E che Dio non sia intervenuto prima della morte, ma solo dopo, per risusci­ tarlo e farlo Signore di tutto il creato, obbliga i discepoli e il lettore con loro, a domandarsi in che modo il cammi­ no di Gesù manifesti le vie di Dio e perché era necessario passare per questa croce ignominiosa. L'identità di Dio è in gioco tanto quanto quella di Gesù, e la vittoria del secon­ do equivale a quella del primo. Da Gesù a Dio

La voce celeste ha così la funzione primaria di orientare il

lettore, di aiutarlo a interpretare l'insieme degli episodi del­

la vita di Gesù come un cammino in cui Dio è implicato fin dall'inizio. Se però si parte dalle parole e dall'agire di Gesù, essi non colpiscono in primo luogo il lettore che co­ nosce l'identità di Gesù, ma gli altri attori, per suscitare il loro interrogativo su questa stessa identità, perché la po­ sta in gioco non è soltanto la teo-logia, vera o falsa, che emer­ ge dalle affermazioni di Gesù, ma la sua relazione con Dio: è lui il suo inviato, il suo profeta, il suo messia, suo figlio, o, al contrario, un seguace di Satana? Degli appellativi che Gesù dà a Dio, Mt/Lc vogliono soprat­ tutto prendere in considerazione quello di «Padre», così co­ me riconoscono tutti i commentatori 1 3• Il lettore avrà senz'al12 Mt 27,43 ( «Dio lo liberi ora, se gli vuole bene; ha detto infatti: sono Fi­ glio di D io » ) accentua maggiormente l'importanza della risposta divina favorevole; ma le affermazioni precedenti dei testimoni in M t/Mc/Le («sal­ va te stesso, scendi dalla croce!») avevano già la stessa portata (cfr. an­ che Mt 27 ,40b; 27,42b parallelo a Mc 1 5 ,32b; Le 23,35b). 1 3 La formulazione è differenziata: (i) «Padre » (pater, o ho patèr), quan­ do Gesù si rivolge a Lui: Mt 1 1 ,25.26.27; Mc 1 4,36; Le 1 0,2 1 .22; (ii) de­ signato come «Padre mio» o « Padre suo» : Mt 7,2 1 ; Mt 1 0,32.33; Mt 1 6, 1 7.27; Mt 1 8, 1 0. 14. 1 9.35; Mt 20,23; Mt 25,34.4 1 ; Mt 26,29.39.42.53; Le

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tro notato che questo appellativo viene dopo il battesimo, dove Dio aveva design ato Gesù come suo Figlio: esso si pre­ senta qu indi narrativamente come u na risposta 1 4 in cui si indicano la vicinanza e la fiducia. Mt e Le riferiscono an­ che il grido di gioia di Gesù 15, che sottolinea ripetutamente, anche se in modo velato 1 6 , il rapporto esistente tra la sua filiazione e la rivelazione di Dio che avviene attraverso di lui. Gesù non monopolizza però l appel lati vo per se stesso («è mio Padre » , sottinteso: «non vostro»); al contrario, uti­ lizza ancora di più l'espressione «Padre vostro», per co­ municare ai suoi discepoli che hanno in Dio un Padre che li ama 1 7, al qua] e devono rivolgersi con fiducia filiale, to­ tale. Anche se il Gesù dei sinottici non dice che noi siamo ,

'

2,49; Le 9,26; Le 22,29.42; Le 23,34.46; Le 24,49; (iti) designato come « Pa­ dre vostro/nostro» (seguito o non da «del cielo», cedei cieli »): M t 5, 1 6.45.46; Mt 6, 1 .4.6 .9. 1 4. 1 5 . 1 8.26.32; Mt 7 , 1 1 ; Mt 1 0,2 1 .29; Mt 23,9; Mc 1 1 ,25.26; Le 6,36; Le 1 1 ,2. 1 3 ( cd) Padre del cielO>>); Le 1 2,30.32. Come dimostrano queste citazioni, la paternità di Dio enunciata da Gesù è ampiamente pre­ sente in Mt, meno in Le, e molto poco in Mc. Sull'appellativo «Abba» nel giudaismo, si è già fatto riferimento al quanto detto da Schlosser, Le Dieu de Jésus , 1 82-203. È vero che certi testi del giudaismo antico sembrano evitare o «edulcorare» (termine di Schlosser, p. 20 1 , e che descrive bene questo stato di fatto) le affermazioni sulla paternità di Dio, il che mette in contrasto gli usi così numerosi del NT: « Dio nostro Padre)) , ecc. La spiegazione del fenomeno sfugge ancora: distanza in rapporto alla mito­ logia greca? rispetto per la trascendenza divina da parte di certi autori? Forse c'è un po' di tutto questo. 1 4 In Le il processo è più complesso. Se, narrativamente, la voce angeli­ ca che dice a Maria che Gesù sarà chiamato « Figlio di Dio» ( l ,35) pre­ cede la designazione « Padre» fatta da Gesù al tempio (2,49), quest'ulti­ ma non appare tuttavia, sempre a livello narrativo, come una risposta. Comunque sia, il vocabolo «Padre» utilizzato da Gesù durante il suo mi­ nistero è senz'altro una risposta alla voce che l'ha per primo chiamato « mio Figlio» . 1 5 M t 1 1 ,25-27; Le 1 0,2 1 -22. 16 Ogni racconto ha i suoi imperativi, e, per tale ragione, la dichiarazio­ ne di Gesù non ha la stessa funzione in Mt e in Le: in Mt essa segue un lungo passo relativo all'identità di Gesù e alla sua riconoscenza; in Le non si mancherà di notare che essa awia la sezione del viaggio e gli dà tutta la sua portata, essendo questa sezione un lungo percorso cristologico, una rivelazione del fatto che il regno viene con Gesù (non si dimentichi che in Le Gesù annuncia la vicinanza del regno di Dio solo a partire dal viag­ gio). 17 Menzionato soltanto da Mt 7, 1 1 e Le 1 1 , 1 3 , in un'argomentazione a for­ tiori (cfr. il «quanto più»). Ma si trova l'equivalente in Mc 1 1 ,26, dove la paternità divina va di pari passo con il perdono.

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figli e figlie di Dio in (con o grazie a) lui l8, è nondimeno lui che dice quali debbano essere i rapporti tra i figli e il loro Padre, e soprattutto tra fratelli: la nostra relazione con Dio nostro Padre ci è rivelata dal Figlio prediletto. Come sottolineano i racconti, Gesù non è il solo a parlare del suo rapport() con Dio. D'altra parte è la sua identità re­ ligiosa che interessa gli abitanti della Palestina di allora. Altri hanno già menzionato tutti i passi in cui la sua «fa­ ma» circola grazie ai miracoli, perciò non mi soffermerò su di essi 19• Ma al di là dell'insegnamento circostanziato di Gesù su Dio, che si ricollega del resto a quello dei profeti - misericordia, perdono, salvezza, giudizio 2 0 - è ciò che dicono gli altri attori (discepoli, folla e oppositori) del suo rapporto con Dio che indica quale sia la posta in gioco. Quando Gesù dichiara al paralitico: « I tuoi peccati sono perdonati » , si comincia a dire che egli bestemmia, perché solo Dio può fare ciò. E Gesù aggiunge che ha autorità di perdonare i peccati 2 1 : il meno che si possa dire è che non elude i problemi. Collocando quest'episodio all'inizio del ministero, i tre racconti intendono mostrare che Gesù è consapevole di quale tipo di autorità sia investito, e quin­ di quale salvezza venga a portare. Ma, rivendicando per sé una qualifica riseiVata soltanto a Dio, egli dà anche ai suoi oppositori l'impressione di aggravare la bestemmia, di non venire da Dio. I racconti menzionano altri episodi dello stesso genere, sulla sua indulgenza verso i peccatori 22, sul rispetto del sabato 23, ecc. ; ogni volta Gesù rivendica un'au,

18 Il racconto giovanneo, il cui intreccio è di un altro tipo, culmina al con­ trario su questa rivelazione, poiché dopo la sua risurrezione Gesù dice a Maria: ((Va' a dire ai miei fratelli: Io salgo al Padre mio e Padre vostro » (Gv 20, 1 7): la sua morte salvifica ci ha fatto entrare nella famiglia di Dio. 1 9 Sulla fama concernente Gesù, cfr. G. Theissen, L'ombre du galiléen, e, in un genere del tutto diverso, J. Moingt, L'homme qui venait de Dieu . È forse necessario ripetere che non cerco di vedere come si sviluppa la cri­ stologia nelle sue componenti fondamentali, quella espressa tra l'altro dai titoli (cfr. F. Hahn, Hoheitstitel, ad es.), quanto piuttosto se sia la (ge­ su)cristologia a strutturare le relazioni intra- ed extra-diegetiche? 20 Su queste componenti della teo-logia di Gesù, si veda J. Schlosser, Le Dieu de Jésus , passim. 21 Mt 9,2-6; Mc 2,5- 1 1 ; Le 5,20-24 (che ha il perfetto: «i tuoi peccati sono stati perdonati»). Cfr. anche Le 7 ,47.49. 22 Mt 9, 1 1 - 1 2; Mc 2, 1 6- 1 7; Le 5,30-3 1 . Cfr. anche Le 1 5 , 1 -2; 1 9, 1 - 1 0. 23 Mt 1 2,8; Mc 2,28; Le 6,5 .

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torità divina: dichiarandosi padrone o signore (kyrios) del sabato, non potrebbe del resto pretendere di più! Il suo mo­ do di essere e di agire provoca discepoli 24 e oppositori 25 e li obbliga a interrogarsi sulla sua identità , sulla sua origi­ ne; in breve sul suo rapporto con Dio. Nel battesimo, come abbiamo visto, l'affermazione della fi­ liazione divina di Gesù dev'essere compresa come una de­ signazione messianica e/o un'investitura profetica. Au­ menta d'intensità nella trasfigurazione, per le modalità che implica: un Figlio messo a morte per fedeltà alla sua mis­ sione! Ma acquista tutta la sua densità drammatica durante l'ultima settimana, con le parabole dei vignaioli omicidi 26 e delle nozze del Figlio 27, con la domanda sull'origine del messia - figlio di Davide o suo Signore? 28 e soprattutto con la domanda-chiave delle autorità giudaiche davanti al­ la quale Gesù appare in trappola: « Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio? » 29• Il lettore deve pesare la forza narrativa di que­ sta dom anda: Gesù potrà così essere messo a morte per ciò che è stato e ha voluto essere, Messia e Figlio di Dio. Cer­ to, egli viene respinto, ma, grazie alle voci celesti prece­ denti, il lettore sa bene che il percorso deve avere questo passaggio obbligato e che bisogna lì scoprire la profondità di questa fil iazione contemporaneamente a quella della pa­ ternità di Dio. Se i suoi oppositori rifiutano di vedere in lui l'inviato di Dio, Gesù , da parte sua, fa di t u tto perché riconoscano nel suo comportamento la forma concreta che assume l'azio­ ne salvifica di Dio: il suo agire, «è l'agire stesso di Dio: ec­ co perché Gesù non può spiegare se stesso senza chiama­ re in causa Dio» 30• Così gli capita molte volte, davanti al mormorio o all'incomprensione di quelli che lo circonda-

24 Così, dopo la tempesta sedata, 32• Teo-logia e gesucristologia sono inseparabili . La cristologia i ndiretta

Oltre alla questione dei rapporti di Gesù con il suo Dio, in molte pericopi dei vangeli sinottici è possibile individuare una notevole cristologizzazione, ma sempre obliqua. Ci si ricordi della risposta di Gesù ai farisei che rimproverano ai suoi discepoli di non digiunare: «Gli invitati a nozze pos­ sono forse digiunare mentre lo sposo è con loro? » 33; agli stessi scribi e farisei, incapaci di riconoscere in lui un in­ viato di Dio, ribatte: «Al momento del giudizio quelli di Ni­ nive si alzeranno contro questa generazione e la condan­ neranno, perché essi si convertirono alla predicazione di G iona. Ecco, ora qui c 'è più di Giona! » 34; oppure la sua di­ chiarazione ai discepoli: « Molti profeti e giusti hanno de­ siderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascol­ tare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono! » 35• Gli esempi si potrebbero moltiplicare 36, soprattutto tra le parabole, molte delle quali hanno una connotazione cri­ stologica implicita molto netta 37, come quella del seme (Mc 4, 1 -9 e par.): il seminatore sa infatti che non tutto il seme 31

Dupont propone, tra le altre, le parabole della pecora smarrita (in Mt 1 5 , 1 2- 1 4), del padre e dei due figli (Le 1 5 , 1 1 -32), degli operai (Mt 20, 1 1 5). 3 2 Schlosser, u Dieu de Jésus, 69. 33 Mt 9, 1 5; Mc 2, 1 9-20; Le 5,34-3 5. 34 Mt 1 2 ,4 1 ; Le 1 1 , 30. 35 Mt 1 3 , 1 6- 1 7; Le 1 0,23-24. 36 Mt 1 0,24-25 par.: « Un discepolo non è da più del maestro)> ; Mt 22,4 1 4 6 par. (logion sul figlio d i Davide e al tempo stesso suo signore). Mt 1 1 ,27b (par. Le 1 0,22b) costituisce senza dubbio l'esempio più bello: «Nes­ suno conosce il Padre se non il Figlio (non dice IO, il Figlio) e colui al quale il Figlio . . >) ; ecc. 37 Punto, questo, messo ben in evidenza da J. Dupont, Pourquoi les para­ boles ? .

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seminato porterà frutto, perché c'è sempre u na parte che cade tra le pietre, tra i rovt sulla terra battuta dove gli uc­ celli lo mangiano, ma, nonostante queste perdite, semina ugualmente perché sa che il seme caduto nella terra buo­ na porterà molto frutto. Applicato al ministero di Gesù, il significato è chiaro: anche se molti rifiutano di ascoltare la sua parola, là dove viene accolta essa cresce e fruttifica al punto da far dimenticare le perdite. Non bisogna perciò disperarsi per gli ostacoli, che si manifestano sempre ma non impediscono alla parola accolta di dare dei risultati sorprendenti. L'interpretazione di Mc 4, 1 4-20 (e par.) spo­ sta la prospettiva del seme-parola sul terreno che la rice­ ve, ecco perché, secondo il parere di molti, essa potrebbe essere stata dettata dalla situazione della Chiesa (persecu­ zione, ecc.). Possibilissimo. Ma indipendentemente dalla pertinenza della risposta al livello della storia della reda­ zione, dobbiamo costatare che la parabola e la sua inter­ pretazione sono ben inserite nella trama narrativa dei tre sinottici; e, a questo livello, la parola è la Buona Notizia ­ cristologicamente marcata - che determina dal punto di vista assiologico i suoi destinatari: quelli che rifiutano di credere in Gesù, quelli che credono ma non fino in fondo, ecc. Il lettore verificherà facilmente che più ci si avvicina alla passione, più il fenomeno diventa ampio. Quanto agli episodi che sono propri dell'uno o l'altro van­ gelo, il processo di cristologizzazione è in essi analogo, spesso anche più spiccato. Così Mt 1 3 ,36-43 interpreta in termini cristologici la parabola sulla zizzania, raccontata in 1 3 ,24-30 38• E questa cristologizzazione non va spiegata unicamente in termini di storia della redazione 39: attri­ buendo a Gesù stesso l'interpretazione cristologica, il nar­ ratore indica al lettore che deve leggere le altre parabole come Gesù 40: l'episodio ha una evidente funzione enneneu-

38 Come ben dimostra D. Marguerat, Le jugement dans l'évangile de Matthieu , 80-82. Al livello della storia della redazione, Mt 25,3 1 -46 appa­ re anche come la cristologizzazione di tradizioni giudaiche allora in vo­ ga, in cui si attribuiva a Dio il giudizio escatologico, la separazione dei buoni dai malvagi. 39 Nel caso presente, in termini di interpretazione ecclesiale postpasqua­ le. 40 Ma già al livello intra-diegetico Gesù indica ai suoi discepoli e alle fol­ le che le sue parabole indirettamente parlano di lui.

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tica e tradisce la retorica narrativa matteana. Ma l'osser­ vazione vale anche per la recensione lucana. È sufficiente menzionare il racconto di Le 1 9, 1 2-27, giustamente chia­ mato «parabola del re » (e non delle mine) 41 • In breve, un certo numero di passi manifesta una cristologia molto pre­ gnante il cui carattere indiretto è dovuto agli imperativi della narrazione 42• Il posto determinante che Gesù dà ali� sua persona arriva tuttavia fino al punto da determinare il carattere e l'agire di tutti gli altri attori?

LA STRUTTURAZIONE DELLE RELAZIONI Dio dunque si fa conoscere eminentemente in e per Gesù. Le tre recensioni sinottiche mostrano ciascuna a suo mo­ do che la teo-logia non può (più) essere che gesucristolo­ gica. Ma in che cosa l'identità di Gesù e il suo discorso su Dio hanno un'influenza decisiva sulla strutturazione delle relazioni tra i diversi attori del racconto? In che modo Ge­ sù distribuisce i diversi ruoli e li collega tutti alla sua mis­ sione? Quale semantica delle identità è possibile costruire a partire dai dati riportati dai sinottici? Le tre recensioni sinottiche, pur dichiarando la filiazione messianica di Ge­ sù, come abbiamo visto, non stabiliscono direttamente un legame tra questa filiazione e la nostra: Gesù non dice mai che noi siamo figli in lui e per lui. Questo deriva senza al­ cun dubbio dal tipo di intreccio sviluppato43• Ma ciò che egli è, dice e fa permette di vedere come si costituiscono le vere relazioni.

4 1 Questa denominazione non è dovuta soltanto ai w. 1 1 e 28, ma al suo tipo di intreccio. Cfr. Aletti, L'arte di raccontare, 1 1 6- 1 28. 42 L'intreccio di rivelazione che caratterizza i racconti evangelici riguar­

da l'identità di Gesù (Messia, Figlio di Dio, ecc.). Ma, dato che i sinotti­ ci legano la rivelazione della sua identità e il suo riconoscimento (da par­ te degli altri), non lasciano mai a Gesù la preoccupazione di autodesignarsi chiaramente. . 43 Nei sinottici, Gesù non applica mai esplicitamente a se stesso i titoli che lo riguardano. Ciò vale in particolare per l'appellativo «Figlio dell'uo­ mo». Con un'unanimità sorprendente i tre racconti mettono la questione della designazione sulla bocca degli altri attori («sei tu colui che deve ve­ nire?», «chi è mai costui che ... ?)) , « sei tu il Cristo, il Figlio di Dio?», ecc.).

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Gesù e l ' u rgenza delle decisioni

Che la missione di Gesù abbia un'estensione massimale, che essa tocchi l'umanità di tutti i tempi, i racconti lo fan­ no capire. La sua missione si sviluppa infatti in un conte­ sto escatologico e finirà esattamente al termine della sto­ ria; inoltre, Gesù stesso annuncia che Dio farà sedere il « Figlio dell'uomo» alla sua destra, volendo con ciò dire che, avendo vinto i suoi nemici, avrà potere su tutte le cose 44• Fin dall'inizio del suo ministero Gesù domanda a quelli che incontra o che vengono ad ascoltarlo di comprendere l'ur­ genza della situazione. La sezione detta delle parabole (Mc 4 e par. ) , che abbiamo visto sopra, dimostra in modo chia­ ro come l'autorità inaudita di Gesù manifesti la vicinanza del regno: aderire alla sua parola equivale ad accogliere il regno, e non credere nella sua parola significa che si ri­ fiuta la basileia di Dio 45• L'urgenza del momento va di pari passo con l'universalità della figura di Gesù . In un sapiente montaggio retorico, i sinottici ampliano l'orizzonte del ministero di Gesù e mo­ strano come gli stranieri che credono in lui sono anch'es­ si misteriosamente invitati a beneficiare delle benedizioni divine 46• Ma, si obietterà, inviando i dodici in missione, il 44 Cfr. Mt 24,30-3 1 ; Mc 1 3 ,26-27; Le

2 1 ,27. L'insistenza non è sul potere giudiziario del Figlio dell'uomo, ma sulla sua completa vittoria. Mt/Mc vedono anche l'aspetto di protezione di questa potenza per i credenti. Si ritrova la stessa affermazione durante il processo di Gesù, in Mt 26 ,64; Mc 1 4,62; Le 22,69. Il trasferimento delle prerogative giudiziarie su Ge­ sù si opera solo in Mt 25; perciò non lo considero qui. Non voglio sof­ fennarmi di più sul titolo «Figlio dell'uomo)), con il quale Gesù ha espres­ so la sua identità e la sua missione, se non per segnalare che con l'espres­ sione bar endsha Gesù è consapevole di utilizzare un modo di designar­ si enigmatico che rafforza il fenomeno della cristologia indiretta. Cfr. V. Hampel, Menschensohn und historischer Jesus. Ein Riitselwort als Schlus­ sel zum messianischen Selbstverstii.ndnis Jesu , Neukirchen 1 990. 45 Si veda, a proposito di Mc 4 e 7, le osservazioni di E. Cuvillier, Para­ bo/è, 1 48, 1 68- 1 69. 46 A parte la guarigione dell'indemoniato (Mt 8,28-34; Mc 5 , 1 -20; Le 8 26 39), non c'è episodio comune ai tre sinottici; ma molti, raccontati in due vangeli o propri di uno solo, verificano l'affermazione: cfr. ad esempio quelli sulla fede del centurione (Mt 8,5- 1 3 , Le 7, 1 - 1 0), sulla fede della stra­ niera (Mt 1 5,2 1 -28; Mc 7,24-30), e sulla fede del samaritano in Le 1 7, 1 1 1 9 . Quest'ultimo passo merita un'attenzione speciale, poiché il narratore mostra lì come d'ora in poi rendere grazie a Dio si fa ai piedi di Gesù: non si poteva cristologizzare in modo più netto la teo-logia! ,

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Gesù di Mt non vieta forse loro di andare dai pagani o dai samaritani ?47• Certo, ma questo deriva dalle esigenze nar­ rative de] racconto mat teano 48, dove la missione si sposterà ai pagani solo dopo che si sarà consumato il rifiuto del po­ polo eletto 49• D'altro canto non va dimenticato l'episodio dei magi (Mt 2, 1 - 1 2), che ha lo scopo di avvertire il letto­ re e annunciargli in modo prolettico il riconoscimento del­ le nazioni. Gesù stesso andrà in territorio pagano e vj tro­ verà una fede che non avrà mai incontrato tra i suoi cor­ religionari, e alla fine del racconto si presenta come sal­ vatore e giudice di tutti, pagani e giudei: i tre racconti for­ niscono delle testimonianze talmente convergenti che sa­ rebbe tracotante, o almeno disdicevole, ritornare su que­ sto punto. E che la fede in lui sia decisiva per l'avvenire di ogni uomo, Gesù stesso lo dichiara, con molta chiarezza: « Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio)> 50• L'op­ posizione uomini/angeli indica chiaramente che la figura di Gesù non interessa soltanto il giudaismo, della Palesti­ na o della diaspora, ma l'intera umanità, nello spazio e nel tempo.

M t l 0,5 è il solo a menzionare questo particolare. In M t 1 5 ,24 Gesù ri­ prende questa formulazione, ma le obiezioni di Gesù hanno l'evidente funzione narrativa di valorizzare la fede della donna pagana. 48 Come altrove. bisogna evitare di ragionare subito con schemi redak­ tionsgeschichtlich : ogni racconto ha la sua logica, la sua dinamica, ed è soprattutto da lì che l'interpretazione acquista la sua pertinenza. 49 Le parabole dei vignaioli omicidi (Mt 2 1 ,4 1 .43) e del banchetto nuzia­ le (Mt 22,8- 1 0) fanno chiaramente allusione a questa situazione. 50 Mt 1 0,32-33; Le 9,26; 1 2,8-9. È risaputo che si tratta di un logion diffi­ cile, perché dal parallelismo me/Figlio dell'uomo alcuni hanno concluso con un'identificazione, mentre altri con una differenza. La denomina­ zione diversificata ha due ragioni: (i) il parallelismo (tipicamente semiti­ co) che esigeva una modifica dell'uno o dell'altro stico, non rimette af­ fatto in discussione l'identificazione di Gesù con il Figlio dell'uomo; (ii) il testo vuole mettere in rilievo la figura gloriosa di Gesù nel giudizio fi­ nale, come Figlio dell'uomo (di Daniele) la cui intercessione è onnipo­ tente. Altri logia (Mt 1 0,34-36; Le 1 2,5 1 -53) sottolineano ancora che la fi­ gura di Gesù ha una portata mondiale: «Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra . >> . 47

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Gesù, Israele e le sue istituzioni 5 1

I sinottici presentano quindi Gesù come una figura esca­ tologica e universale. È su questo sfondo che acquista tut­ to il suo rilievo il suo modo di situarsi in rapporto alle isti­ tuzioni di Israele.

Le Legge Il Gesù dei sinottici differisce molto dai veggenti, dai pa­ triarchi, i cui libri paratestamentari ci raccontano le visi­ te al cielo e i lunghi discorsi, e anche dai rabbi famosi per i loro trattati sulla Torah. Questi saggi, come vengono chia­ mati, chiedono ai loro ascoltatori e lettori, per restare nell'al­ leanza, di obbedire scrupolosamente alla Legge (o Torah) Gesù domanderebbe forse i l contrario? Certamente no. Quando qualcuno viene da lui per chiedere cosa bisogna fare per avere la vita eterna, egli rimanda alla Legge mo­ saica, di cui non dice mai che non fa conoscere la volontà divina sull'uomo. Al ricco che viene a interrogarlo su ciò che deve fare per avere la vita eterna, egli enumera i co­ mandamenti della seconda tavola 52• Inoltre, anche se l' ese­ gesi che Gesù fa della Torah sembra nuova, essa non va contro lo spirito della Torah, poiché, come è stato giusta­ mente fatto osservare, l'innovazione non è novità assoluta, ma manifestazione di aspetti non ancora svelati di questa stessa Torah 53• E quando, in Mt 5 , 1 7-20, Gesù afferma di essere venuto per «dare compimento» alla Scrittura, non intende forse dire, come i saggi del suo tempo, che egli sco...

5 1 Sul rapporto di Gesù con la Legge, si veda lo studio di D. Marguerat,

«Jésus et )a Loi » , il quale giustamente segnala che bisogna evitare i giu­ dizi sommari e domandarsi piuttosto come la posizione di Gesù abbia permesso che si dispiegassero, dopo la Pasqua, delle teologie della Leg­ ge e della sua funzione non sempre compatibili (almeno direttamente). Cfr. ugualmente J. Moingt, L'homme qui venait de Dieu , 470-486. A par­ tire dai testi e al di là di essi, questi due autori (e molti altri) cercano di ritracciare l'insegnamento di Gesù, nel suo contenuto e nella sua forma (profetica, rabbinica, ecc.). Mi asterrò da questa ricerca storica, limitan­ domi" ostinatamente alla logica narrativa delle recensioni sinottiche. 52 Mt 1 9, 1 8- 1 9; Mc 1 0, 1 9; Le 1 8,20. · 53 P. Lenhardt, «Voies de la continuité juive•, 506.

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pre attraverso l'esegesi ciò a cui la Scrittura impegna e in­ vita, fosse anche a prezzo della vita 54, o che vuole compiere con la sua vita ciò che ha già compiuto con la sua esege­ si, cioè le esigenze inaudite alle quali invita la Torah? Ri­ torneremo presto sulle affermazioni del Gesù matteano. Qui notiamo soltanto che egli rispetta pienamente lo spi­ rito della Torah, la fedeltà, l'amore e la misericordia, alle quali invita, come testimonia il logion sul divorzio 55 o quel­ lo che lega indissociabilmente l'amore di D io e l'amore del prossimo 56. Ma, d'altro canto, egli sembra molto indulgente nei riguardi dei peccatori . Questo avviene, come pensano alcuni 57, senza pentimento? Indipendentemente dai segni richiesti per manifestare il pentimento, il loro incontro con Gesù li trasforma interamente, ed è questo l'essenziale, per­ ché egli manifesta loro l'amore di Dio per essi. Egli è ugual­ mente poco osservante delle regole di purità: mangia in­ fatti con i peccatori, si lascia toccare da essi come da altri colpiti da impurità, ricordando a coloro che mormorano quale sia la vera purezza, quella che instaura delle rela­ zioni vere 58• Ma, si obietterà, alcune di queste posizioni in Mt 5-7 non indicano forse che egli arriva fino a cambiare la lettera stes­ sa della Torah? Questa difficoltà può sorprendere solo chi non conosce i procedimenti del giudaismo (non ancora rab­ bini co) dei due secoli che hanno preceduto l'era cristiana. K. Miiller ha mostrato, a proposito dei divieti relativi al ma-

54 Lenhardt,

ibid. , 5 1 1 . Mt 1 9, 1 -9; Mc 1 0, 1 - 1 2; Le 1 6, 1 8. Cfr. Marguerat, «Jésus et la Loi», 64. Per una storia della tradizione del logion , da Gesù alla Chiesa, cfr. R.F. Collins, Divorce in the New Testament. 56 M t 22,34-40; Mc 1 2,28-34. Questo forte legame non ha esatti paralleli nel giudaismo del tempo, in cui si mette anche l'accento sullo spirito (e non soltanto sul rispetto materiale dei 6 1 3 comandamenti (divisi in leg­ geri e pesanti) dell'obbedienza alla Torah. Si consulti (con discernimen­ to) Strack-Billerbeck, Kommentar, 1,357.907-908. 57 E.P. Sanders, Jesus and Judaism, 206. Per il giudaismo, il pentimento era manifestato da un sacrificio (cfr. Lv 6, 1 -5; Nm 5,5-7; e Baba Kamma 9,6; Baba Metzia 4,8 per l'interpretazione rabbinica; per la regola rabbi­ nica, Sanders rinvia a Sifra Ahare Mot pereq 8, 1 -2). 58 Cfr. Mt 1 5, 1 -20; Mc 7 , 1 -23. Cfr. Mc 1 ,4 1 , per il lebbroso; Mc 5,25-34, per la donna che aveva perdite di sangue; per i morti, Mt 9,25; Mc 5,4 1 ; Le 8,54 e Le 7, 1 4; e M t 8,2 1 -22; Le 9,59-60 per i l seppellimento dei mor­ ti. 55

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trimonio 59, l'esistenza di interpretazioni già originali e tal­ volta opposte alla lettera della Torah. L'osservanza di tut­ ta la Legge non ha mai impedito la casistica, richiesta dal­ le circostanze, sempre mutevoli, perché la Legge è fatta per l'uomo, perché egli viva. Le trasgressioni del sabato da par­ te di Gesù non sono forse dello stesso ordine? Sì , nella mi­ sura in cui egli indica molte volte che c'è di mezzo ]a sal­ vezza e la vita degli uomini che guarisce; ma non soltan­ to, perché egli rivendica un'autorità inconcepibile, che lo porta a dichiararsi signore del sabato, pretesa che, Io ripe­ to, lo colloca in qualche modo al di ]à deJla Legge e suona come una dichiarazione di guerra !60• Gesù non si limita, quindi, come i profeti a stigmatizzare la disobbedienza, l'ipocrisia o la cattiva fede dei suoi cor­ religionari, né la loro spiccata tendenza al legal ismo, che rende l'uomo prigioniero di regole fatte per renderlo libe­ ro. Non è nemmeno l'urgenza che, da sola, lo spinge a rea­ gire in quel modo, perché, nel nome della stessa urgenza, cioè la venuta imminente della fine, gli apocalittici insi­ stevano sull'obbedienza scrupolosa a tutti i comandamen­ ti. Ma è la sua autorità, con la quale vuole rivelare la vo­ lontà salvifica di Dio stesso: autorità nell'insegnamento, notata da tutti i suoi ascoltatori, che l'oppongono perfino al modo di insegnare degli scribi 6 1 ; autorità che attira in ultima analisi l'attenzione dei responsabili (aventi anch'es­ si autorità) a causa della sua origine: «Chi ti ha dato que­ sta autorità? » , sottolineando, se ce ne fosse ancora biso­ gno, che la questione su Gesù è inseparabilmente teo-logi­ ca62. A causa dell'interrogativo delle folle, ammirate, e dei re­ sponsabili, sospettosi e diffidenti, bisogna ritornare, anche

59 «Gesetz und Gesetzeserfii l lung im Friihjudentum ». Questi divieti ri­

guardano l'unicità della sposa, la sua origine (si può sposare una non giu­ dea?), i legami di parentela tra sposi, il divorzio e a quale dei due coniu­ gi spetti l'iniziativa, ecc. I cambiamenti sono ugualmente notevoli a pro­ posito del rispetto del sabato (bisogna, ad esempio, ossetvarlo anche in tempo di guerra?), o dei casi di uccisione ... 60 C fr . V. Fusco, «Gesù e la Legge )). 61 Mt 7,29; Mc 1 ,22; Le 4,32 ( Le non menziona il paragone con gli seri­ bi). Mc l ,27 ritorna con insistenza su questa autorità e sulla novità dell'in­ segnamento. 62 M t 2 1 ,23-27; Mc I l ,28-33; Le 20,2-8.

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brevemente, sul modo in cui Gesù si situa all'interno del­ la tradizione giudaica, ma anche di fronte ad essa: quan­ do dichiara di essere venuto per compiere le Scritture (Mt 5, 1 7-20) , non intende soltanto mettere in pratica, sul pia­ no dell'azione, ciò che la sua interpretazione casistica e/o halachica 63 vi avrebbe trovato di nuovo, di più esigente 64• Senza dimenticare di rivelare le esigenze ancora nascoste delle regole della Torah, egli propone a n che i suoi propri imperativi, talvolta del tutto opposti a quelli di questa stes­ sa Torah 65•

Tempio e culto Gli storici hanno fatto osservare anche che Gesù ha tolto all'interpretazione giudaica del suo tempo tutto ciò che es­ sa aveva di nazionalistico 66; i racconti non gli fanno dire che la Legge è ciò che protegge I sraele dai pagani e ne fa un popolo a parte . Su questo punto, Gesù e il Battista han­ no esattamente la stessa posizione: non si presentano co­ me araldi di una salvezza nazionale, ma propongono la conversione a tutti senza eccezione 67• Difatti, nelle affer63 Dal verbo ebraico halak, «Camminare»; da cui « comportarsi» (moral­

mente). Una halakah è innanzitutto una regola stabilita a partire dallo studio delle Scritture per stabilire i limiti o le modalità di applicazione dei comandamenti della Torah, in circostanze nuove. Del resto, i com­ mentatori recenti (soprattutto Luz, Das Evangelium nach Matthiius , nel­ la collana EKK) sottolineano a ragione che i racconti sinottici non pre­ sentano l'interpretazione di Gesù come una casistica, ma come un inse­ gnamento che libera gli umili e i piccoli dalla tutela degli scribi. Cfr. un logion come Mt 1 1 ,30. 64 Uno sguardo, un pensiero, possono già essere adulteri (Mt 5,27-28); in­ cludere il nemico nella categoria «prossimo,, (Mt 5,43-47; Le 6,27-35). 6 5 Cfr. in Mt/Lc, i passi sullo spergiuro, sul taglione. I cambiamenti ope­ rati non vanno contro lo spirito della Legge, che voleva proprio che si di­ cesse la verità e si stroncasse la violenza. Ma il modo apodittico in cui Gesù formula i suoi imperativi non ne fa una semplice casistica, ma piut­ tosto dei comandamenti che si sostituiscono ai precedenti. 66 Aspetto che si manifesta con evidenza con i rituali di purità (alimen­ tare o altri). 67 Cfr. M t 3,9; 8, 1 1 - 1 2; Le 1 4, 1 6-24. Sanders insiste molto sulla sedicen­ te escatologia di restaurazione nazionale di Gesù (Jesu s and Judaism , 591 1 9). Essendo il mio progetto «canonico,,, e non storiografico, non mi pronuncerò su questo problema specifico. Si veda tuttavia più avanti co­ sa penso del modo in cui egli tratta le sue fonti.

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mazioni di Gesù il lettore non troverà nulla che sottolinei la separazione che esigono i riti di purificazione: egli gua­ risce degli stranieri e li addita perfino come esempi di fe­ de ai suoi correligionari. È altrettanto vero che egli critica il ritualismo ipocrita e soprattutto la sterilità spirituale 68 di coloro che si credono l'élite religiosa di Israele 6 9 • Stando agli stessi racconti, è la purificazione del tempio da parte di Gesù che scatena il desiderio mortifero delle autorità religiose 70• Questo gesto viene forse compreso da loro come una critica radicale al sistema cultuale vedendo in esso l'annuncio di un tempio nuovo, cioè di un culto rinnovato? Alcuni lo pensano 7 1 , ba­ sandosi su l En 90 72 • Se si rispetta il filo dei racconti, bi­ sogna certamente ammettere l'importanza dell'episodio, ma, più che l'annuncio di un tempio nuovo, si tratta di una rivendicazione di autorità: Gesù dichiara di avere la re­ sponsabilità del tempio, che vuole degno di Dio e al quale vuole resti tu ire la sua funzione di spazio in cui si preghi in verità. Infatti, una volta liberato dai suoi venditori, il tempio ridiventa il luogo in cui Gesù può parlare di Dio e

68

Cfr. l'episodio della maledizione del fico che rappresenta simbolica­ mente la sterilità del sistema religioso, ivi compreso, e soprattutto, quel­ lo dei sacrifici, perché compiuto senza ciò che veramente dà ad essi va­ lore (penitenza vera, umiltà, misericordia e perdono, ecc.) 6 9 Mt 23; Mc 1 2,38-40; Le 1 1 ,39-52; 20,45-47. 7 0 Mt 2 1 , 1 0- 1 7; Mc 1 1 , 1 5- 1 9; 1 3 , 1 -2; Le 1 9,45-48; l'evento viene riportato anche in Gv 2, 1 3-22 . 71 Cfr. E.P. Sanders, Jesus and Judaism. 72 È noto che 1 En 90 appartiene al libro dei sogni (che risale al II sec. a.C . ): verso la fine dei tempi il vecchio tempio viene gettato via e sosti­ tuito da una Dimora nuova, più grande e più alta della precedente. Di­ mora non fatta da mano d'uomo, perché tutte « le pecore» (i fedeli di YHWH) avranno lì direttamente accesso a Dio. È azzardato basarsi su questo passo per interpretare la portata dell'episodio dei venditori del tempio, in quanto è difficile sapere quale influenza avesse il testo a quel tempo. Cfr. la critica di G. Segalla, in Stt_tdia Patavina 40 ( 1 993) 93 e 99, che dimostra molto bene come l'argomentazione di Sanders sia mini­ malista quando esamina i vangeli e massimalista quando rimanda gli scritti giudaici paratestamentari, dove molti silenzi diventano delle allu­ sioni o delle prove in favore delle sue ipotesi. E se rinuncia a prendere in considerazione l'insegnamento di Gesù, per ritenere praticamente solo i fatti, fa esattamente l'opposto per le fonti giudaiche che richiama, senza mai dare una spiegazione su questo trattamento completamente oppo­ sto, e in questo caso contraddittorio!

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farlo conoscere, con un'autorità di cui si rifiuta di rende­ re conto e che scatena esattamente la collera delle autorità religiose che sono sul posto. Si potrebbe obiettare che gli oppositori considerano soltanto la volontà di screditare le strutture religiose correnti per creare un nuovo culto; e, in effetti, quando Gesù è di fronte al Sinedrio o sulla croce, i falsi testimoni e i passanti l'accusano di aver voluto (o af­ fermato di) distruggere il tempio 73• Malgrado tutto, anche se queste affermazioni accusatorie rifletto n o e riportano ciò che hanno voluto comprendere i capi religiosi, tradu­ cono bene l'impressione prodotta dall'autorità stessa di Ge­ sù. A dire il vero, scacciando i venditori, Gesù cita quasi testualmente le parole di Geremia 7, 1 1 : «Forse è una spe­ lonca di ladri questa casa sulla quale è stato proclamato il mio nome?» ; non dimenticando nulla di ciò che aveva sof­ ferto il profeta a causa di queste affermazioni e di altre an­ cora sul tempio, egli doveva quindi sapere che il suo gesto, di un'altra gravità, inaudita, gli avrebbe attirato l'odio e che la sua vita sarebbe stata minacciata. È altrettanto vero che le tre recensioni sinottiche riporta­ no le sue parole sulla distruzione totale del tempio 74, e ciò, in rapporto alla morte di Gesù: tutti riferiscono che il ve­ lo del tempio si squarcia prima (Le) o dopo (Mt/Mc) la sua morte 75, indicando così che la morte di Gesù squarcia ciò che impediva di vedere Dio. Nel crocifisso si fa riconosce­ re il volto stesso dell'Invisibile. Ma, prima di quest'apertu­ ra simbolica, che pe rmette il riconoscimento, da parte di tutti, e in primo luogo dai pagani, del vero Dio, in que­ st'uomo morto come figlio prediletto e fedele, Gesù aveva più volte indicato la portata universale di una vita che egli offriva per tutti e che sigillava l'alleanza nuova tra Dio e tutta l'umanità 76• Sì, è proprio Gesù che, con la sua auto­ rità e la sua parola, dà alla Torah, al tempio e al culto la loro vera funzione, è ancora lui che indica la portata sal­ vifica del proprio cammino. 73 Mt 26,6 1 ; 27,40; Mc 1 4,58; 1 5,29.

74 Mt 24 , 1 -3; Mc 1 3, 1 -4; Le 2 1 ,5-7. 7 5 Mt 27,5 1 ; Mc 1 5 ,38; Le 23,45. 76 Mt 20,28; 26,28; Mc 1 0,45; 1 4,24. L'espressione « la/le moltitudini» (hoi

polloi) non designa qui soltanto il gruppo simbolico degli eletti (come nel caso di Qumran), ma, secondo il parere unanime degli esegeti, l'intera umanità (come in Is 53, 1 2).

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Gesù e il suo popolo Anche se Gesù determina la vera funzione delle istituzio­ ni e indica come di conseguenza obbedire ad esse, non manca nondimeno di dire che la sorte del suo popolo di­ penderà dall'accoglienza che esso farà della sua paro]a. Le parole di Gesù oscillano dalla costatazione triste, a Naza­ ret: « Un profeta non è disprezzato se non nella sua pa­ tria» 77, alla profezia di sciagura: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! » 7 8 , «Gerusalemme, Gerusalemme, che uc­ cidi i profeti. .. la vostra casa vi sarà lasciata deserta! » 79; es­ se possono anche prendere la forma di un severo monito, alle autorità che gli tendono una trappola: « generazione malvagia e adultera» , « menti petverse» , con un annuncio di condanna: «Al momento del giudizio la regina del sud si leverà contro questa generazione e la condannerà» 80• Non riconoscere in Gesù l'inviato escatologico fa irrimediabil­ mente cadere nella sciagura quelli che avrebbero potuto o dovuto riconoscerlo. Ma, a dire il vero, tutti questi passi considerano solo il castigo di «questa generazione» , senza che si possano trame delle conclusioni per l'Israele di tut­ ti i tempi . Solo Mt, nella parabola dei vignaioli omicidi, che descrive l'atteggiamento del popolo eletto come una di­ sobbedienza continua e crescente, che trova il suo apogeo nell'uccisione del Figlio, parla chiaramente dell'allontana­ mento di Israele 81 • Alcuni vedono lì una delle prime for­ mulazioni della teoria della sostituzione 82 • Che ci sia so­ stituzione in Mt 2 1 ,43 nessuno lo nega, ma essa dev'esse­ re intesa in funzione del resto della parabola: se la Chiesa, formata quasi interamente da credenti di origine non giu­ daica, si sente incaricata della diffusione del vangelo, del­ la parola di Dio, non è detto che Israele sia defi nitivamente allontanato dalla salvezza, ma unicamente dal suo compi-

77 Mt 1 3 ,57; Mc 6,4; Le 4,24. 78 Mt 1 0, 1 5; 1 1 ,20-24; Le 1 0, 1 2- 1 5. 79 Mt 23,37-39; Le 1 3,34-35 . 80 81

Mt 1 2 ,39; 1 6, 1 -4; L e 1 1 , 29; 1 2,56. Cfr. Mt 2 1 ,43: «Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà da­ to a un popolo che lo farà fruttificare)); versetto assente in Mc/Le. 82 La Chiesa prenderebbe il posto di Israele, come popolo eletto, amato, e come araldo, segno e luogo in cui opera la salvezza di Dio.

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to o dalla sua responsabilità di far conoscere Dio, di es­ serne l'araldo, in parole e . in azioni, perché egli possa un giorno essere riconosciuto e lodato da tutte le nazioni. Il lamento di Gesù su Gerusalemme, che ho citato sopra, sem­ bra del resto supporre che un giorno, senza dubbio l'ulti­ mo, Israele vedrà, meravigliato, venire Gesù, il suo messia, e lo benedirà! Comunque sia, l'importante per il mio sco­ po è che sia Gesù (in Mt) a notificare il cambiamento di ruolo e che questo cambiamento si operi in relazione al proprio destino, alla propria morte. Gesù e q uelli che vogliono segu irlo

Una preferenza assoluta A dire il vero, Gesù non vuole mettere fuori gioco né il tem­ pio né il culto, che conservano il proprio valore per chiun­ que voglia «Ottenere la vita eterna» . Eppure, a tutti quelli che ha scelto come discepoli e a tutti quelli che desidera­ no esserlo, egli pone delle esigenze che relativizzano le isti­ tuzioni religiose, perfino la Torah. All'uomo che vuole se­ guirlo, ma chiede di andare a seppellire prima suo padre, e compiere così i riti funebri previsti dalla Legge, rispon­ de: « Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti » 83• Si potrebbe pensare che una tale risposta sia dettata solo dall'urgenza del momento. Altri logia mostrano che la sua persona dev'essere preferita a tutti gli affetti più cari: «Chi ama suo padre o sua madre più di me non è degno di me . . . » 84• Non che Gesù voglia togliere ogni valore alla To­ rah o rendere caduchi i doveri verso i genitori - altre con­ troversie dimostrano ben il contrario85 - ma sottolinea ciò

83 Mt 8,2 1 -22; Le 9,57-60. Per una spiegazione sul significato del termine

e> 90• Sorprenden-

86 Ben dimostrato da D. Marguerat, «Jésus et la Loi>>, 66. 87

La persecuzione a causa di Gesù sembra essere un «passaggio obbli­ gato>> (come si dice oggi) per i discepoli: Mt 1 0, 1 8; Mc 1 3,9; ma devono rallegrarsene (Mt 5, 1 1 - 1 2; Le 6,22). 88 Cfr. Mt 1 9,29; Mc 1 0,29; Le 1 4,26 89 Mt 1 3 , 1 1 ; Le 8, 1 0; la formulazione di Mc 4, 1 1 («a voi è stato dato il mi­ stero del regno di Dio») differisce da quella di M t/Le, ma il significato è lo stesso. 90 Questo testo che ho citato non corrisponde a nessuna delle recensioni, ma non ne deforma il movimento. Cfr. Mt 1 2 ,46-50; Mc 3,3 1 -35; Le 8, 1 92 1 . ll tema della famiglia di Gesù viene ripreso in 1 1 ,27-28.

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te, perché la famiglia di Gesù non è legata a un clan, una tribù, una nazione, ma dipende unicamente dal desiderio di obbedire a Dio: il criterio è etico-teologico, e non fissa un'identità certa, perché chi può affermare di compiere (to­ talmente) la volontà di Dio? Ma, paradossalmente, Gesù sembra voler dire che la sua famiglia sia molto più nume­ rosa di quanto si creda. Del resto non è certo che tutti i suoi congiunti, per la carne e il sangue, cugini e cugine, ne abbiano fatto parte. Ugualmente sorprendente, perché tut­ ti quelli che fanno la volontà di Dio non sanno necessa­ riamente che sono madre e/o fratelli di Gesù 9 1 ; è lui che li riconosce e li nomina così: «Ecco i miei fratelli! » . Ancora sorprendente, perché voler essere vero figlio di Dio per l' ob­ bedienza equivale a diventare (per di più e/o per una mi­ steriosa necessità) il fratello di Gesù, dichiarato figlio pre­ diletto da Dio stesso. Non bisogna sottovalutare il rappor­ to tra queste due serie di enunciati : come Dio conferisce a Gesù la sua identità di figlio nelle circostanze che sappia­ mo, così Gesù riconosce come suoi congiunti, come sua famiglia, quelli che vogliono obbedire a Dio da veri figli!

Che fare? A coloro che vogliono essere suoi discepoli Gesù non si li­ mita a offrire il marchio della fraternità, domanda di in­ traprendere un cammino che somiglia al suo: egli è il mo­ dello etico del discepolo. Infatti le tre recensioni, in modi diversi ma con una comune insistenza, enunciano le im­ plicazioni dell'appello. I discepoli sono invitati a ricalcare il loro agire su quello del loro maestro: non essere serviti ma servire 92 , non giudicare i fratelli ma perdonarli 93• So bene che, esigendo dai suoi discepoli un'impossibile per-

91 In Le 8,2 1 , la riposta di Gesù è ancora più sorprendente, perché quel- . li che egli chiama suoi fratelli non necessariamente lo conoscono: si trat­ ta di tutti coloro che, in ogni luogo, vogliono fare la volontà di Dio; for­ se non sentiranno nemmeno mai parlare di Gesù. Non importa. Egfi li riconosce come membri della sua famiglia, come suoi fratelli. 92 Cfr. ad esempio, Mt 20,28; Mc 1 0,45; Le 22 ,25-27. 93 I passi sul perdono per chiunque («tutti quelli che)) o «gli uomini )), a seconda dei testi) ci abbia offeso sono evidentemente significativi, per­ ché la caratteristica del perdono predicato da Gesù è quella di avere

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fezione, questo Gesù sinottico rischia di portarli all'estre­ mo opposto, come nel caso di quei ragazzi che si è cerca­ to di educare in modo irreprensibile e che a un certo pun­ to ne hanno fin sopra i capelli e . . . mandano tutto a quel paese . . . ; o di scoraggiarli, a meno che non li si imprigioni in un modello alienante che impedisce in essi l'emergenza di un soggetto che parla in prima persona, con le sue fra­ gilità riconosciute e assunte, senza ripetere il «discorso » del maestro, saggiamente appreso. Alcune sue ingiunzioni sembrano persino orientare i discepoli verso un reale ma­ sochismo. Le 1 4,26 fa dire a Gesù che per essere suoi di­ scepoli bisogna odiare non soltanto i congiunti, ma la pro­ pria stessa vita . È possibile evidentemente aggirare la dif­ ficoltà invocando l'esagerazione orientale. Ma la portata dell'affermazione si basa su una costatazione tante volte verificata: voler legarsi a qualcuno perché lo si ama im­ plica delle separazioni. Non mi si farà credere che le pa­ role di Gen 2,24 («l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie )>) non comportino l' espe­ rienza di vite imbarcate nella fiducia totale e nell'amore. Gesù dice semplicemente che lo stesso capita per chiun­ que vuole dare con lui tutta la propria vita per il vangelo. Ma certi logia sono ancora più difficili da accettare perché Gesù sembra c h e in essi voglia fare della sequela un vero supplizio: « Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» 94• Prendere la propria croce equivale a farsi del male, a coltivare il dolo­ re? Molti restano sconvolti da questa frase: che Gesù ab­ bia accettato di passare attraverso la sofferenza, il rifiuto, a causa della sua missione unica, lo ammettono tutti, tan­ to più che vedono spesso nel suo cammino un talismano contro ogni tipo di sofferenza ! Ma, chiedendoci di seguir­ lo in questo cammino, Gesù non ci propone in fin dei con-

un'estensione massimale: Mt 6, 1 2. 1 5 ; Le 1 1 ,4; Mt 6, 1 4; Mc 1 1 ,25. Ma quel­

li sul perdono tra fratelli lo sono altrettanto, perché insistono sulla sua

durata: non si finisce mai di perdonare anche e soprattutto il fratello (il che vuoi dire anche il fratello che pecca contro di noi, ci offende, ecc.). Paradossalmente la perfezione richiesta da Gesù per i suoi discepoli sup­ pone la loro imperfezione, perché tutto inizia e finisce con il perdono re-. ciproco. Cfr. Mt 1 8, 1 5- 1 8; 1 5,2 1 -22; 1 5,23-35; Le 1 7,4. 94 Mt 1 6,24; cfr. anche Mt 1 0,38; Mc 8,24; Le 9,23; 1 4,27.

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ti di restare prigionieri di un modello alienante, che im­ pedisce l'emergere del soggetto ?95• Alcuni risponderanno dicendo che la frase è anacronistica, quindi non autentica, e che fu probabilmente coniata dai discepoli solo dopo la morte in croce del Signore, ma allora manifesta ancora di più la cristologizzazione dell'itinerario de] discepolo e me­ rita per questo una duplice attenzione 96• Altri preferisco­ no aggirare la difficoltà mostrando che l'interpretazione tradizionale del versetto si basa su un equivoco, e che Ge­ sù in realtà avrebbe detto delle cose contrarie a quelle che gli si fanno dire. No, si afferma, il maestro non vuole che lo si segua restando dietro 97, che si rinneghi se stessi, che si perda la propria autonomia, perché la sequela equivarreb­ be allora a non esistere più. L'ingiunzione di Gesù andrebbe compresa così: « Chi mi vuole seguire restando dietro, sen­ za rischiare di aprirsi la propria strada, deve rinunciarvi, perché questo desiderio è illusorio ! Allora potrà veramen­ te accompagnarmi, camminare accanto a me, accettare la sua morte, essere il portatore libero del suo destino di crea­ tura mortale» 98• Questa esegesi ha ragione nel non vedere nelle parole di Gesù un invito ad abbandonare ogni iniziativa, ogni crea­ tività, a restare prigionieri di un model1o. Il Signore pro­ nuncia abbastanza frasi che suscitano la nostra libertà e la 95 Interrogativo posto da M. Balmary, La divine origine, 29 1 s. 96

Sui problemi, soprattutto storici, posti da M t l 0,38 e 1 6,24, si vedano le osservazioni pertinenti di U. Luz, Matthiius (8- 1 7) , 1 42- 1 44 e 490-493. Qualunque cosa abbia potuto designare originalmente l'espressione « por­ tare la propria croce» , le recensioni sinottiche le danno un significato am­ pio (sofferenza per il vangelo, che può arrivare fino al martirio). 97 È vero che, come indica Platone nel Cratilo (405cd), il verbo greco ako­ louthein significa « accompagnare»: « . Come nelle parole akolouthos e akoitis, l a significa spesso insieme il compagno di strada e la compa­ gna di letto sono stati da noi chiamati akolouthos e akoitis » . Basandosi sul Cratilo, Balmary, La divine origine, 298, pensa che Gesù chieda che si «Cammini con» lui , senza che ci sia un primo (che determini il cam­ mino, da Signore e Maestro) e dei secondi (che si rimettano totalmente al primo, come servi, come Leporello segue Don Juan). 98 Parafraso il testo - più verboso - di Balmary, La divine origine, 301 . Si dirà senza dubbio che do più del dovuto a un'interpretazione chiaramente erronea: più che la sua debolezza, mi interessano le difficoltà, del tutto reali, sulle quali mette il dito, cioè le conseguenze delle affermazioni di Gesù (diciamo piuttosto: del modo in cui sono state comprese e trasmesse) sulla psychè di numerosi credenti. ..

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nostra iniziativa perché ci si guardi dal vedere in questa un ritorno indietro o una contraddizione. Ma, ripetiamo­ lo con ostinazione, la sua dichiarazione non può essere se­ parata dal contesto narrativo che le dà la sua pertinenza. Non è pura fantasia che le frasi di Gesù siano state inseri­ te in una trama biografica! Dimenticandolo, si preclude la strada alla loro comprensione: è ovvio che un logion non ab­ bia lo stesso significato se pronunciato all'inizio o alla fi­ ne del ministero, perché il tempo e le modalità della sua realizzazione acquistano più importanza. Mi spiego. Dopo che Gesù ha finito la sua dichiarazione sulle condizioni della sequela, i narratori non menzionano alcuna reazione degli ascoltatori, i quali non domandano che cosa si deb­ ba intendere con «portare la propria croce)> , né quando debbano soddisfare questa esigenza: immediatamente o più tardi? Ora, alcuni di essi sono già chiamati suoi discepoli dai narratori 99: hanno già portato la loro croce per meri­ tare questo appellativo? E come avrebbero potuto saperlo dal momento che Gesù non aveva ancora comunicato la condizione della sequela? La porteranno più tardi, anzi su­ bito, poiché conoscono ormai l'esigenza del loro maestro? Ma allora la frase di Gesù sembra perdere la sua perti­ nenza, perché, almeno per essi, la propria croce da porta­ re non fu la condizione indispensabile della sequela . I nar­ ratori non fanno piuttosto parlare Gesù per i potenziali let­ tori, anch'essi discepoli? Senza dubbio. Ma Gesù stesso non ha ancora portato la sua croce, quella sulla quale sarà in­ chiodato e sulla quale morirà. I racconti cadrebbero allo­ ra in un'incoerenza? No, perché mettendo una tale di­ chiarazione in questo punto della narrazione, cioè dopo il primo annuncio della passione e dopo il rifiuto - o alme­ no l'incomprensione - di Pietro, i narratori intendono chia­ ramente cristologizzare il cammino dei discepoli. Non che questi ultimi abbiano da portare la croce del loro maestro, ma devono comprendere che la loro missione li porterà ad affrontare prove, sofferenze e rifiuto. A causa del loro at­ taccamento a Gesù, dovranno rinunciare ai propri modi di vedere, ai loro desideri di vittoria o di evangelizzazione fa-

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Segnalato in M t 1 6,24 («Gesù disse ai suoi discepoli»), ugualmente in Mc 8,34 (discepoli e folle) . In Le 9,23 l'uditorio si allarga ulteriormente (tutti, ivi compresi i discepoli).

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cile, per entrare nella notte della fede, che caratterizza l'es­ sere-discepolo, per camminare come lui, senza tirarsi in­ dietro di fronte al rifiuto. È quindi il finale del racconto che permetterà di determi­ nare il significato dell'espressione «portare la propria cro­ ce» , in rapporto a quanto gli apostoli vivranno, in un cam­ m ino che passerà attraverso le belle dichiarazioni 1 00 , le pre­ sunzioni, le paure, le cadute, il perdono, perché l'attacca­ mento a Gesù acquisti la sua dimensione di umiltà , di gra­ tuità, di riconoscenza, e quindi di eternità. Il terzo vange­ lo fa ripetere a Gesù l'affermazione (Le 1 4 ,27), proprio do­ po la parabola di coloro che rifiutano l'invito al banchetto per delle ragioni le une migliori delle altre; così facendo, egli sottolinea maggiormente quanto sia radicale la prefe­ renza accordata a Gesù: come è possibile seguirlo se le scu­ se ci impediscono di fare il passo decisivo? Ma cammina­ re con lui, accettare di «portare la propria croce» non di­ spensa dalle disillusioni: il racconto evangelico enuncia le �sigenze, affinché il lettore ne misuri gli effetti negli atto­ ri stessi, attraverso le tribolazioni di Gesù, e poi attraver­ so le vicissitudini, le peripezie dell'annunzio evangelico. Il cammino del discepolo, essendo raccontato in legame e in dipendenza da quello di Gesù , è totalmente cristologi zza­ to, e questa cristologi zzazione è enunciata da Gesù stesso. Cristolog lzzazione totale?

Altri campi dei racconti sinottici sono ugualmente toccati dalla cristologizzazione. Ho già menzionato l'escatologia, che subisce chiaramente una nuova inquadratura, sebbe­ ne l'intensità non sia la stessa nelle tre recensioni: anche se Mt/Mc riferiscono la venuta gloriosa di Cristo alla fine dei tempi, Mt è veramente il solo a fare di Cristo il giudi­ ce escatologico 1 0 1 • All'inizio di questo capitolo abbiamo visto che Gesù inizia

1 00 Quelle dei figli di Zebedeo (Mt 20,20-28; Mc 1 0 ,35-45). E soprattutto quelle di Pietro, proprio prima della Passione (Mt 26,33; Mc 1 4,29; Le 22,33). 101 Vedremo subito perché in Mt sia cosi. Per il Cristo giudice, cfr. Mt 2 5,3:1 -46. Gli esegeti si domandano ancora, senza arrivare a un accordo,

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il suo ministero dopo aver ricevuto lo Spirito, al momen­

del battesimo; ha il potere di scacciare gli spiriti impu­ ri 102 , e dà ai dodici lo stesso potere, quando li manda in m i ssione 103• Si può dire qualcosa di più e concludere che la pneumatologia dei sinottici sia cri stologica ? 1 04• Certo, i tre sinottici riferiscono unanimemente le affermazion i di Giovanni Battista che esprime chiaramente la differenza t ra il proprio ministero e quello di Gesù: «Egli vi battez­ zerà nello Spirito Santo» 105• Ma Mt e Mc non dicono mol­ to di più, senza dubbio perché il battesimo nello Spirito Santo determina il tempo della Chiesa postpasquale, inca­ ricata di annunciare il vangelo. A dire il vero, Luca è il so­ lo dei sinottici a riportare la promessa del risorto: (( E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso)) (24,49a), e a segnalare che lo Spirito sarà inviato da Gesù, perché la formula battesimale trinitaria del finale del rac­ conto matteano non ha nulla di una pneumatologia cri­ stologica. Del resto, se Mt non sviluppa una pneumatolo­ gia, è proprio perché la sua preoccupazione è cristologica, o più esattamente ecclesio-cristologica. Infatti la questio­ ne alla quale egli cerca di rispondere nel corso del suo rac­ conto è, come vedremo, quella del passaggio dalla genera­ zione apostolica alle seguenti: noi che non abbiamo cono­ sciuto Gesù, che non abbiamo camminato con lui sulle strade della Palestina, che non l'abbiamo visto in Galilea dopo la sua risurrezione, siamo forse dei credenti di cate­ goria inferiore? C'è un fossato incolmabile tra quelli che sono vissuti con Gesù e noi? La risposta matteana resta into

se la risposta di Gesù davanti al Sinedrio (Mt 26,64; Mc 1 4,62; Le 22,69) vada interpretata come un annuncio della sua funzione d i giudice al ter­ mine della storia. La piccola apocalisse di Mc dice chiaramente che egli verrà nella gloria per cercare i suoi (Mc 1 3 ,26-27; Mt 24,30-3 1 ). Le 2 1 ,27 non riferisce il raduno finale di tutti gli eletti . Le, infatti, non menziona la venuta gloriosa di Cristo perché la riserva per l'inizio della seconda ta­ vola del suo racconto, in A t l , 1 1 , perché, è la prolessi di Gesù (At 1 ,7 -8) che genera il racconto: gli apostoli, non dovendo più attenderlo restando con gli occhi rivolti al cielo, possono diventare mobili, fino ai confini stes­ si del mondo, e impiegare tutte le loro energie nel testimoniare Gesù. 1 02 Mt 8, 1 6; Mc 1 ,27; 3, 1 1 ; 5,8. 1 3; 7,25; 9,25; Le 8,29; 9,42 . 103 Mt 1 0, 1 ; Mc 6,7; Le 9, 1 (dove si legge «demoni •• invece di « spiriti >• ) . 104 Per una presentazione quasi esauriente, Cfr. M.-A. Chevallier, Le souf­ fle de Dieu , vol. 1-111. tos Mt 3, 1 1 ; Mc 1 ,8; Le 3, 1 6.

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teramente cristologica , poiché è il risorto che dà la solu­ zione e proclama solennemente: « Io sono con voi fino al­ la fine dei tempi» , e che nell'inviarli dice loro: « Di tutte le nazioni fate dei discepoli » ; beninteso: questi discepoli sa­ ranno i suoi, discepoli di Gesù , non degli apostoli. Rima­ nendo presente con noi fino alla fine dei tempi, e afferman­ do che la relazione che ha con noi è della stessa natura di quella che ha con Pietro, Giacomo o Giovanni, una rela­ zione da maestro a discepolo, il risorto cristologizza il tem­ po della Chiesa; si comprende allora come lo Spirito abbia in lui meno spazio che in Le o Gv: non che il narratore matteano non creda nello Spirito Santo né che non perce­ pisca il suo ruolo essenziale, ma il suo obiettivo è altrove e lo porta a insistere sul rapporto tra Gesù e i discepoli di tutti i tempi, a determinare le condizioni e le modalità di questo essere-discepolo, ecc. Se Mt non sviluppa una pneu­ matologia è per ragioni cristologiche. Insisto, infatti , an­ cora una volta: la cristologia determina il posto e lo svi­ luppo degli altri campi teologici. Era del resto normale che uno dei campi più cristologiz­ zati fosse l'ecclesiologia, e per ragioni evidenti: la Chiesa postpasquale aveva il dovere di riflettere sul suo rapporto col Gesù prepasquale; come Chiesa, era essa nata dall'ini­ ziativa di Gesù, da quella di Simon Pietro, o semplicemente dall'immaginazione (feconda) di discepoli desiderosi di continuare l'opera del loro maestro? C'era una separazio­ ne radicale, irrimediabile, tra il prima e il dopo Pasqua? La Chiesa era lasciata a se stessa, o Gesù restava il suo Signo­ re, più che mai presente nella sua vita , nella sua crescita, confermandola continuamente nella sua missione? A que­ sti interrogativi i sinottici hanno risposto in modo diver­ so. Ma, e la posta in gioco è decisiva, l'hanno fatto in mo­ do complementare, o divergente, se non addirittura con­ traddittorio? Faccio qualche anticipazione sulla prossima tappa . . . Finora ho voluto soltanto sottolineare i punti co­ muni, molto numerosi al livello delle pericopi (o delle mi­ ero-unità narrative). Avrei del resto potuto passare in ras­ segna altri campi in cui la cristologizzazione gioca un ruo­ lo importante 1 06• Ma era necessario non stancare il letto-

1 06

Ho presentato solo la teo-logia, l'escatologia, la pneumatologia, e l'ec-

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re. Vedremo nondimeno come essa abbia compenetrato l'etica matteana e indicheremo i sentieri di una giusta in­ terpretazione, che sottolinei le omologie profonde tra Mt e le lettere paoline. Tuttavia, non vorrei concludere questa sezione sulle piccole unità narrative senza ricordare che queste spesso fanno appello, anche se in modo velato, a una lettura cristologica delle Scritture sulla quale mi sof­ fermerò brevemente, per confrontare i vangeli e gli Atti de­ gli Apostoli. l TESTIMONI DI GESÙ

Nel libro degli Atti, il tema della testimonianza è eminen­ temente cristologizzato e determina in parte l'organizza­ zione delle pericopi. Cristologizzazione totale, a dire il ve­ ro, perché proviene da Cristo stesso: egli è il primo a pro­ nunciare questa parola «testimone» (martys; At l ,8) 107, per designare quelli che lo saranno, per dire chi (lui, Gesù) es­ si dovranno testimoniare, infine per indicare i limiti tem­ porali 1 0 8 e geografici (da Gerusalemme ai confini del mon­ do) della loro testimonianza. In At l ,8 vengono taciute so­ lo le modalità della testimonianza, ma vedremo che an­ ch' esse sono cristologizzate! U na lettura cristologica delle Scritture

Mentre del ministero di Gesù ci sono diverse descrizioni, degli inizi della Chiesa e dell'espansione del vangelo ab­ biamo solo un racconto. Ma nei suoi diversi episodi anche il lettore poco esperto costata subito che conti nuamente vi si parla di Gesù, si annuncia che è stato esaltato, costitui­ to Cristo e Signore. Se, nei sinottici, la cristologia era pro­ clamata soprattutto dagli attori divini (angeli delle annun-

clesiologia (a dire il vero quest'ultimo campo è stato appena sfiorato, sol­ tanto a proposito dell'essere-discepolo in Mt) . 107 Il tema sarà ricorrente fino alla fine del racconto (26, 1 6.22). 1 08 In At 1 ,7 Gesù indica chiaramente che i discepoli devono approfitta­ re del tempo che viene dato loro per fare ciò che devono: testimoniare lui, grazie allo Spirito ricevuto.

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ciazioni, voce celeste al battesimo e alla trasfigurazione) 1 09, continuata e sottilmente raffinata da Gesù, sotto forma di allusioni e di suggerimenti continui, era in verità poco ri­ presa dagli altri attori umani: le folle consideravano Gesù un profeta, e Simon Pietro aveva confessato la sua mes­ sianicità per sentirsi dire che era meglio per lui tacere 1 1 0 • Per gli altri attori umani l'identità di Gesù resterà fino al­ la fine dei racconti sinottici il vero punto interrogativo, al quale non vorranno o, nel migliore dei casi, non potranno dare una risposta. Fatta eccezione delle voci angeliche o celesti, la cristologia dei vangeli progredisce quindi solo grazie a Gesù, ma sempre in modo indiretto, come abbia­ mo ampiamente verificato. Se gli attori dei racconti faticano nella loro ricerca dell'iden­ tità di Gesù, per il lettore il compito è più agevole. Mt e Mc 1 1 1 l'aiutano spesso, facendogli capire che alcuni episo­ di acquistano tutta la loro importanza solo se messi in rap­ porto con certi passi veterotestamentari. Sono note le for­ mule: « Si adempiva così ciò che era stato detto dal profe­ ta, ecc. )) 1 1 2 , senza che del resto il passo scritturistico a cui si fa riferimento si applichi direttamente a Gesù 1 1 3 • D ca­ so di Le merita uno studio speciale. 1 09 Gli attori demoniaci avevano anch'essi e fin dall'inizio del ministero, riconosciuto in Gesù il FiW.io di Dio, ma quest'ultimo aveva imposto lo­ ro il silenzio. 1 10 Mt 1 6,20; Mc 8,30; Le 9,2 1 . 1 1 1 Derogando - una volta tanto - al principio che mi sono imposto, di non tener conto della distanza tra i sinottici e le fonti, mi pennetto di ri­ cordare, senza poterlo purtroppo provare nemmeno brevemente, che a proposito di Gesù, il narratore marciano non dispiega alcuna lettura ti­ pologica delle Scritture degna di questo nome (con una correlazione pro­ tonleschaton o, almeno, una corrispondenza tra diverse figure). Certo, il racconto inizia con una tipologia, ma essa mette in relazione Giovanni ed Elia; se c'è una tipo1ogia (cristologica) in Mc, essa viene dalle sue fon­ ti; il narratore ne smussa tutti gli angoli, perché insiste su ciò che di uni­ co c'è in Gesù (il suo essere e il suo agire di Figlio) . 1 12 Sono le famose fonnule di compimento, abbastanza numerose in Mt. Ecco quelle che si applicano direttamente a Gesù , fatte a uso diretto del lettore: Mt 1 ,22; 2,5. 1 5.23; 3,3; 4, 1 4- 1 6; 8, 1 7; 1 2, 1 7-2 1 ; 1 3 ,35. 1 1 3 Cfr. Mt 2, 1 7- 1 8 (commento del narratore al lettore); Mt 3,3 (idem; cfr. anche Mc 1 ,2-3 ; Le 3,4b-6); Mt 1 3, 1 4- 1 5 (commento di Gesù ai suoi di­ scepoli; il rimando a ls 6,9- 1 0 è soltanto implicito in Mc 4, 1 2; Le 8, 1 0); Mt 2 1 ,4 (commento del narratore al lettore); Mt 2 1 , 1 3 e paralleli (Gesù ai suoi oppositori).

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Non è possibile comprendere le affermazioni cristologiche degli Atti se non si tiene presente il modo di procedere del narratore del III vangelo. È infatti Gesù che, durante il suo ministero, sviluppa, per le folle, una cristologia indiretta e che, dopo la sua risurrezione, riprende 1 14, questa volta espli­ citamente, il titolo di messia, perché è andato egli stesso fino in fondo a ciò che il titolo imponeva prima di essere proclamato, gravido di tutta la storia passata. Con la Pen­ tecoste, la cristologia non verrà più dalle voci celesti (Dio, gli angeli , o il risorto stesso 1 1 5 ) , ma sarà affidata ai disce­ poli, che dovranno proclamare a tutti ciò che Gesù era sta­ to e ciò che Dio ci ha dato in suo nome: quasi tutti gli even­ ti riferiti negli Atti, a cominciare dalla Pentecoste, hanno una colorazione cristologica. Ma ciò che, nel libro degli Atti, colpisce anche il lettore me­ no attento è il fatto che , per parlare di Cristo, gli apostoli fanno ampio ricorso alle Scritture. E su questo punto il contrasto con il III vangelo è evidente , perché, nel suo pri­ mo racconto, Luca aveva lasciato a Gesù il compito di ri­ mandare alle Scritture, ma più per allusione che per cita­ zioni esplicite, e a favore dei disc epoli 1 1 6 • Ci si poteva per-

1 1 4 NeJI'episodio di Emmaus i due discepoli dicono di Gesù che era un profeta, ma il narratore non fa pronunciare loro la parola « Cristo>> (Mes­ sia), e mette sulla loro bocca solo una circonlocuzione: «Noi speravamo che fosse lui [Gesù] a liberare Israele>> . Vuole forse sottolineare la loro incapacità a confessare che Gesù è il Messia, o vuole piuttosto riservare a Gesù la novità di questa rivelazione? Per una risposta, cfr. Aletti, L'ar­ te di raccontare, 1 70- 1 84. 1 15 C'è una sola eccezione, quando il risorto raggiungé Paolo sulla via di Damasco e gli dice: «lo sono Gesù, che tu perseguiti ! » (9,5). Nessuno svi­ luppo cristologico. solo una designazione, ma fondamentale, poiché, in­ dicando un'identificazione dei credenti col loro Signore, essa rafforza il processo di cristologizzazione: non soltanto il risorto non ha abbando­ nato i suoi, ma si identifica con loro. Paolo riporterà l'affermazione in 22,8 e 26, 1 5 , prova che questa cristologizzazione gioca un ruolo fonda­ mentale nel racconto degli At li. 1 1 6 Le citazioni esplicite vengono dalla duplice (Mt/Lc) o triplice (Mt/Mc/Lc) tradizione. Per un quadro delle citazioni bibliche in Luca, cfr. Aletti, L'arte di raccontare, 1 65 . Il quadro mostra che Gesù parla di com­ pimento delle Scritture a proposito della sua morte e glorificazione fu­ ture (cfr. Le 1 8 , 3 1 , dove la formula è generale; 22,37 che rinvia esplici­ tamente a Is 53, 1 2 ) solo davanti ai suoi discepoli , che saranno i soli, nei ra�conti dopo la risurrezione, a beneficiare del percorso scritturistico.

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ciò domandare perché il narratore avesse aspettato la con­ clusione (Le 24) del suo racconto sulla vita di Gesù per se­ gnalare che quest'ultimo riprende tutte le Scritture, «Co­ minciando da Mosè e da tutti i profeti » (Le 24,27), per di­ mostrare che esse parla(va)no di lui. Non sarebbe stato me­ glio fare ciò prima della passione, così da preparare i di­ scepoli e aiutarli a superare le avversità, soprattutto le lo­ ro paure, che li avrebbero portati a tradirlo o rinnegarlo? In realtà, un versetto come Le 1 8,3 1 mostra che il Gesù del III vangelo aveva parlato della sua morte violenta e J'ave­ va messa in relazione con gli annunci profetici, ma il nar­ ratore sottolinea immediatamente che i dodici non aveva­ no capito : «Ma non compresero nulla di tutto questo» ( 1 8 , 34). Del resto egli indica molte volte, e con finezza, che i dodici (e i discepoli in generale) non vedono la gravità dell'ora: al contrario, convinti dell'imminenza del regno, discutono sui posti migliori ( Le 22,24); certe affermazioni di Gesù ( «voi sederete in trono per giudicare le dodici tribù d'Israele », Le 22,30) e i fatti sembrano dar loro ragione: le folle entusiaste non vengono forse ad acclamare il loro mae­ stro (cfr. Le 1 9,38) ? E se i fatti danno loro ragione, in che modo i discepoli potrebbero allora aprirsi alle parole pre­ monitorie di Gesù ? Bi sognerà che il loro Signore esca vit­ torioso dalla morte e dimostri loro la coerenza del suo cam­ mino perché i loro occhi e le loro menti si aprano. I discepoli possono quindi (ri)leggere cristologicamente le Scritture solo dopo la risurrezione. Ma perché il narrato­ re del III vangelo nasconde o spesso fa i n modo che anche il suo lettore non percepisca immediatamente - e neppu­ re dopo tante ripetute letture - tutto ciò che il suo racconto deve ai testi narrativi e poetici della Bibbia greca? Il pro­ cedimento è ancora una volta narrativo: il lettore, che non ha conosciuto Gesù né l'ha incontrato dopo la sua risur­ rezione come gli apostoli, si vedrà insegnare il rapporto di Gesù con le Scritture solo dalla bocca degl i apostoli, nel secondo volume (At). Da essi e solo da essi conoscerà l'ese­ gesi cristologica alla quale il risorto li ha iniziati. L'assen­ za di argomentazioni scritturistiche in Le trova perciò la sua spiegazione nel progetto del narratore, che, riman­ dando l'esegesi esplicitamente cristologica delle Scritture al libro degli Atti, non poteva da sé, come voce narrativa, intervenire a questo livello. Ciò detto, la valanga di argo­ mentazioni scritturistiche offerte nei primi capitoli degli

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Atti compensa ampiamente la discrezione che li precedeva e li preparava... Cristologizzazione p i ù c h e cristologia

Della cristologia di queste lezioni e di questi discorsi apo­ stolici i commentari hanno già parlato molto: il lettore li conosce abbastanza perché io debba ritornare su di essi. Che ci sia inoltre omologia tra la cristologia di At e quelle che abbiamo fin qui sfiorato, lo do per scontato, tanto più che, come negli scritti precedentemente presentati, la cri­ stologia di At procede più per estensione e designazione che per comprensione. Gli apostoli passano molto tempo a mostrare che Gesù è risorto, vivo e operante, che dove­ va anche soffrire prima di essere glorificato. Quanto alle altre affermazioni, sulla sua signoria universale, ecc. , esse sono ripetute tante volte· quanto occorre, ma senza essere analizzate o sviluppate per se stesse: gli apostoli annun­ ciano in tutti i luoghi e a tutti , giudei e non giudei 1 1 7 , che Gesù è il Signore, il messia annunciato dai profeti , la pie­ tra angolare di cui parlava il Sal 1 1 8, il Figlio dell'uomo che aveva contemplato Daniele, l'agnello sofferente di Isaia, il salvatore di Israele e di tutti gli uomini , giudei e non giu­ dei, il giudice dei vivi e dei morti 1 1 8; ma queste diverse af­ fermazioni cristologiche sono più utilizzate pastoralmen­ te - credere in lui , convertirsi - che rafforzate e approfon­ dite sistematicamente. Il narratore dimostra infatti abilmente che, da sola, la cri­ stologia - il discorso degli apostoli su Gesù, la sua origine, la sua missione, le sue parole, il suo agire salvifico, la sua morte, la sua esaltazione, la sua signoria universale, la sua venuta gloriosa - non è sufficiente a provocare la missio­ ne verso i pagani né a spiegare la loro condizione di cre­ denti che hanno ricevuto la stessa dignità di quelli venuti dal giudaismo. Perché Pietro accolga il centurione Corne­ lio, è necessaria una visione; perché Paolo passi in Mace-

1 17 Il narratore eccelle nel cambiare il contesto (discorsi omiletici, giudi· ziari, testamentari, ecc.) e nell'amplificare di conseguenza l'una o l'altra caratteristica della cristologia esposta dai diversi apostoli. 1 18 Solo due volte in At ( 1 0,42; 1 7,3 1 ) .

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donia, è necessaria un'altra visione. E la sua vocazione di Apostolo delle nazioni, il Paolo degli Atti dice che gli è sta­ ta assegnata da Gesù stesso sul cammino di Damasco 1 1 9 • È dunque Cristo che, con i suoi interventi diretti, spinge gli apostoli ad andare verso i pagani e a farne dei discepoli di pieno diritto: è la cristologizzazione (come ordine pro­ veniente da Cristo) e non la cristologia (discorso su di lui) a determinare la svolta della missione apostolica! Sopra ho parlato di utilizzazione. Effettivamente è possi­ bile vedere un inizio di cristologizzazione dei diversi cam­ pi teologici. Così, quelli che noi chiamiamo oggi i due sa­ cramenti principali, il battesimo e la frazione del pane, so­ no compiuti nel nome del Signore e in memoria di lui. Quanto alla pneumatologia, essa è ugualmente articolata alla cristologia, non soltanto perché Gesù promette di in­ viare lo Spirito Santo e i suoi discepoli ripetono la stessa cosa, ma perché il suo Spirito è operante attraverso di es­ si; inoltre, il legame tra la fede in Gesù Cristo (o il batte­ simo nel suo nome) e l'effusione dello Spirito in molte cir­ costanze viene menzionato esplicitamente 1 20 • Per il narra­ tore è un modo per mostrare che l'adesione di fede a Ge­ sù Cristo comporta una trasformazione e dona la salvez­ za, in tutte le sue dimensioni. Cristologizzazlone dell' Itinerario del testimoni

Degli altri campi che il narratore degli Atti cristologizza, quello dell'itinerario dei testimoni merita di essere descritto più a lungo, perché fa comprendere la scelta e la disposi-

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At 22,2 1 ; 26, 1 7- 1 8. Già Le 24,49 (« manderò su di voi . . . »); At l ,8 (annunzia ai discepoli che riceveranno lo Sp.S., ma non dice che ne sarà il destinatore); At 2,33 (Ge­ sù, esaltato, ha ricevuto dal Padre lo Sp.S. e l'ha effuso); 2,38 (ricevere il battesimo nel nome di Gesù e al tempo stesso lo Sp.S.); 1 1 , 1 6- 1 7 (Gesù aveva annunciato il battesimo nello Sp.S.; analessi di At l ,5; il v. 1 7 lega esplicitamente la fede nel Signore Gesù e al dono dello Sp.S.); 1 6,7 (con l'espressione, unica negli Atti: « lo Spirito di Gesù »); 1 9, 5-6 (legame tra il battesimo nel nome del Signore Gesù, l'effusione dello Spirito e suoi ef­ fetti). Va da sé che il narratore non menzioni Gesù tutte le volte che par­ la dello Sp.S. e della sua azione, ma il passo decisivo di At 2,33 indica molto bene il legame inscindibile Cristo/Spirito. 1 20

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zione di molti episodi importanti. Tutti i commentari no­ tano infatti che Luca utilizza in At una tecnica retorica già presente nel suo primo racconto, i] confronto (synkrisis) 1 2 1 • Ma in Le il procedimento copre solo i primi due capitoli, per mettere in rilievo al tempo stesso i punti comuni e le di fferenze che esistono tra Giovanni Battista e Gesù. Nel­ la seconda tavola del dittico (At), i confronti, stabiliti que­ sta volta tra Pietro e Paolo, hanno un'estensione massi­ male, poiché si estendono praticamente all'insieme del rac­ conto. Le ripetizioni sono sufficientemente note perché io debba riprenderle in dettaglio 1 2 2 • M a la synkrisis non si estende soltanto al libro degli Atti, bensì anche all'insieme delJa narrazione lucana, al dittico Le/At, e questo stesso fatto deve mettere in guardia il let­ tore sulla sua funzione inglobante e sulla sua importanza per l'interpretazione dell'opera lucana: se Pietro e Paolo hanno in comune tanti tratti del ]oro ministero, non è cer­ to perché hanno lo stesso temperamento, la stessa origine o la stessa formazione, ma perché somigliano a Gesù, per­ ché il loro cammino aderisce progressivamente al suo e, nel descriverlo, il narratore riscrive originalmente quello di Cristo. Vediamo come e perché. Visto da una certa altezza, il cammino effettuato dai due apostoli somiglia evidentemente a quello di Gesù. Certo, entrambi si guardano bene dall'essere dei salvatori, degl� dèi o semidèi che si possano pregare o venerare 12 3, ma han-

121 Tecnica onnipresente nella letteratura antica, ed etichettata dai greci, evidentemente. Gli esempi paolini più conosciuti di synkrisis sono Rm 5, 1 2- 1 9, tra Adamo e Cristo; Gal 4,2 1 -3 1 , Agar e Sara. Dopo le lettere pao­ line e gli Atti degli Apostoli, Plutarco ha utilizzato con costanza se non con brio la synkrisis, nelle sue Vite parallele . 122 Eccone alcuni: i due apostoli annunciano Gesù Cristo davanti a udi­ tori giudei (At 2 , 1 4-36 e 1 3 , 1 6-4 1 ; molte citazioni dell'AT sono comuni ai due discorsi), davanti a uditori pagani ( 1 0,34-43 e 1 7,22-3 1 ), sono con­ vocati davanti al Sinedrio (4,5-7; 23, 1 - 1 0) e frustati (5,40; 1 6,37); sono en­ trambi pieni di Spirito Santo (4,8; 1 3 ,9), guariscono degli infermi di na­ scita (3,2-26; 1 4,8- 1 7), risuscitano dei morti (9,36-43; 20,9- 1 2) , operano numerosi miracoli (è sufficiente toccarli: 5, 1 2- 1 6; 1 9, 1 2}, lottano contro dei maghi ( 8 , 9s ; 1 3, 6-8 ), sono messi in prigione e salvati miracolosamente ( 1 2,3- 1 1 ; 1 6,22-26). 123 Si noti la loro stessa reazione, di fronte a quelli che si vogliono pro­ strare (Cornelio ai piedi di Pietro, in At 1 0,25) od offrire un sacrificio (gli abitanti di Listra a Paolo e Barnaba, in At 1 4, 1 5) . Il verbo proskynein ,

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no la stessa forza taumaturgica del loro maestro, perché, al solo toccarli , numerosi malati sono liberati dai loro ma­ li, e due episodi sono dedicati alla guarigione di un infer­ mo dalla nascita, e due alla risurrezione di credenti appar­ tenenti alla giovane Chiesa. Ma, più che i miracoli 1 24, so­ no le sofferenze sopportate per testimoniare il vangelo che li assimilano di più al loro Signore. Del resto, ad Anania il risorto dichiara in visione a proposito di Saulo/Paolo ver­ so il quale lo manda: « Io gli mostrerò quanto dovrà (dei) soffrire per il mio nome» (At 9, 1 6) 125• A loro volta, gli apo­ stoli ripetono lo stesso messaggio a tutti i discepoli, do­ vunque si rechino: «È necessario (dei) attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» ( 1 4,22). Che Pie­ tro e Paolo siano assimilati progressivamente al loro Si­ gnore è dimostrato dallo sviluppo degli episodi, perché è necessario che essi, come lui, subiscano la gelosia dei lo­ ro correligionari, compaiano davanti alle autorità religio­ se giudaiche, e poi davanti alle altre (regale e/o romana) 1 26 , subiscano il carcere, ed escano miracolosamente dalle pro­ ve. Il lettore trova nella passione di Paolo, così come rac-

«prostrarsi » , denota l'adorazione ed è utilizzato da Le solo dopo la ri­ surrezione in Le 24,52, per quella che i discepoli rendono a Gesù. Prece­ dentemente, altre persone si erano gettate ai piedi di Gesù (il samarita­ no guarito dalla lebbra in 1 7 , 1 6), ma il narratore aveva accuratamente evitato allora il verbo proskynein . 124 Il termine è lo stesso che per Gesù: gli apostoli operano delle dynameis (opere di potenza); cfr. At 8, 1 3 1 9, 1 1 . 1 25 Come nel III vangelo, il racconto degli At è in un certo modo genera­ to dalle voci celesti, che annunciano gli eventi prossimi. Questo indica evidentemente che è Dio che guida il ministero degli apostoli, ma anche che essi sanno ciò che Dio vuole da loro poiché questa volontà divina vie­ ne loro rivelata in visioni . Questo inizia con il discorso di Gesù prima del­ la sua ascensione (A t l ); ma avviene lo stesso per tutte le decisioni im­ portanti , come il battesimo di Paolo (At 9 , 1 0- 1 6); l'annuncio del vangelo ai pagani (At 1 0,3; 1 0, 1 0b- 1 6; 1 0 ,30-3 1 ; 1 1 ,5; 22, 1 7- 1 8; 26, 1 3- 1 9); il pas­ saggio in Macedonia (At 1 6,9- 1 0); la partenza verso Roma (At 23, 1 1 , do­ ve si ritrova il «è necessario», dei, caro al narratore), riconfermata in 27,24 (ancora con il « necessario»). 1 26 Come Gesù, essi compaiono ciascuno davanti al re (Erode per Pietro; Agrippa per Paolo); Paolo comparirà anche, sull'esempio di Gesù, davanti al governatore romano. Ancora come Gesù, Pietro viene arrestato al mo­ mento della Pasqua (At 1 2 ,3-4). Quanto a Paolo, la folla domanderà la sua morte, cosa che aveva fatto già per Gesù (At 2 1 ,36; si confronti con Le 23, 1 8).

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contata negli Atti, lo stesso processo di verifica di quello di Gesù, che finisce con il riconoscimento della vera iden­ tità dell'eroe: più si cerca di affondarlo} più egli è in grado di testimoniare il suo Signore, di farlo conoscere ed egli stesso di essere riconosciuto come vero testimone. Se­ guendo il percorso di Paolo, si comprende perché Luca ave­ va detto, a differenza di Matteo e Marco, che il discepolo doveva portare la sua croce ogni giorno (Le 9 ,2 3 ) . L a synkrisis che i l narratore opera tra gli apostoli e Gesù sottolinea sempre di più la cristologizzazione della testi­ monianza apostolica 1 27: partendo dai discorsi su Gesù, dal­ le prove apportate dalle Scritture alla necessità delle sue sofferenze, alla sua risurrezione e alla sua messianicità, il racconto dà progressivamente più peso alla vita dei testi­ moni, a tutte le loro vicissitudini, alla loro battaglia davanti ai tribunali, ai pericoli incorsi, ecc., al punto che per Pao­ lo parlare di Cristo equivale a parlare sempre di più del proprio cammino; la sua vita diventa sempre di più cristia­ na , nel senso etimologico del termine: una vita che non è né la pura ripetizione né il semplice ricalco di quella di Ge­ sù, ma che ne riflette la dinamica e lo Spirito, perché è gui­ data da lui, offerta per lui e, sul suo esempio, per la Chie­ sa, ma è anche fedele alla sua parola e alla sua verità, per­ ché è continuamente martirio, testimonianza efficace di ciò che egli è stato per Dio e per la nostra umanità. Ma ciò che abbiamo detto non vale soltanto per Pietro e Paolo. Infatti, come ha recentemente notato un esegeta, per il narratore lucano «la vita cristiana è caratterizzata da una relazione molto stretta tra Gesù e il discepolo» 1 28 • La fedeltà della Chiesa a Cristo non è soltanto una questione degli apostoli, ma di tutta la Chiesa: i credenti sono bat­ tezzati nel nome di Gesù, e la gente darà del resto ad essi il più bello dei nomi : «Cristiani» , nome che li situa defini­ tivamente in rapporto a lui, Cristo (cfr. At 1 1 26 ) La fe­ deltà evidentemente non si esaurisce lì, poiché questi cri­ stiani seguono l'insegnamento degli apostoli e, per ciò stes­ so, quello del loro Signore. A tale proposito, il narratore ,

.

127 Si può affermare, senza timore di sbagliare, che il racconto degli At progredisce grazie al paradigma della testimonianza, nello stesso tempo in cui esso ne fa emergere tutti gli aspetti. 1 28 G. Segalla, Evangelo e Vangeli, 258.

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consetva dei tratti che erano già quelli di Gesù in Le: la 9 preghiera 1 2 e la rinuncia alle ricchezze 1 30 • Si potrebbe continuare con la lista dei tratti che manife­ stano una cristologizzazione dell'ecclesiologia di A t. Quel­ li che ho segnalato sono ampiamente sufficienti a mostra­ re come la cristologizzazione sia un fenomeno in espan­ sione, che si estende sia alle lettere che ai racconti. Ma que­ sto fenomeno non ha solo il merito di esistere, implica una strutturazione delle relazioni e delle istanze narrative, in­ tra- ed extra-diegetiche. È Cristo infatti che dà a tutti gli attori (allo stesso lettore) il loro ruolo, e che, inviando il suo Spirito, dà loro la forza di mantenerlo.

CONCLUSIONE Al termine di questo viaggio attraverso i diversi episodi dei sinottici e degli Atti possiamo quindi constatare che, come per le lettere, il fenomeno di cristologizzazione è ben ope­ rante. Per descrivere completamente questo processo sa-

1 29 Preghiere di Gesù: Le 3 ,2 1 ; 5 , 1 6; 6, 1 2; 9, 1 8; 9,28-29; 1 0 ,2 1 ; 1 1 , 1 ; 22,32; 22 ,40-46; 23,34.46. Passi propri di Le in cui Gesù parla della preghiera: 1 1 ,5-8; 1 8, 1 -8; 1 8 ,9- 1 4. La Chiesa (apostoli e assemblee) in preghiera (lo­ di, intercessioni , richieste): 1 , 1 4.24; 2,42; 3, 1 ; 4,24-3 1 ; 6,4.6; 8, 1 5; 9, 1 1 .40; 1 0,4; 1 0,9.30.3 1 ; 1 1 ,5; 1 2,5. 1 2; 1 3,3; 1 4,23; 1 6, 1 6.25; 20,36; 2 1 ,5; 22, 1 7 ; 28,8. 1 30 L'insegnamento di Gesù sul pericolo delle ricchezze: Le 6,24; 8, 1 4; 1 2 , 1 6-2 1 ; 1 6, 1 9-3 1 ; 1 8,23.24.25; sull'arte di utilizzarle: Le 1 6, 1 -9. La Buo­ na Notizia ai poveri: Le 4, 1 8 ; 6,20b; 7,22. Dono dei beni ai poveri o l'in­ vito fatto ai poveri: Le 1 2 , 33; 1 4, 1 2- 1 4; 1 4,2 1 (proprio di Le); 1 8,22.28; 1 9,8. La povertà di Gesù: Le 9,57-58; e quella di Paolo, che egli stesso de­ scrive così: « Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessu­ no. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani>> (At 20,3 3-34). A tale proposito, i commen­ tatori notano, molto giustamente, che in Le Gesù non ha una casa che sia di sua proprietà o di un membro del gruppo dei discepoli. La messa in comune dei beni nella Chiesa primitiva: At 4,32. Il termine « povero>> (pt6chos) e quelli dalla stessa radice sono assenti in At; il narratore si compiace al contrario di sottolineare che nessuno nella comunità era in­ digente (endeès) , grazie alla condivisione dei beni (4,34-35), che d'altra parte non era imposta (come a Qumran), ma volontaria (cfr. At 5,4). Al­ cuni commentatori si domandano se At 20,35 non faccia allusione alle persone povere (lett. «deboli>>), ma bisogna allora spiegare perché il nar­ ratore eviti il termine pt6chos .

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rebbe stato necessario considerare tutte le pericopi. Se mi sono praticamente limitato a quelle della triplice e/o du­ plice recensione, non è stato certo per appoggiarmi sul de­ nominatore più grande o sull'accordo più ampio, sebbene questa ragione non vada sottovalutata. Ho soltanto voluto mostrare che, nelle loro articolazioni principali, i sinottici erano sostenuti dal fattore gesucristologico che, al di là del­ le loro differenze narrative e teologiche, del resto molto normali, li rendeva sorprendentemente vicini e omologhi. Lungi da me l'aver voluto ricomporre la/una vita di Gesù, le sue relazioni con Dio e gli altri. Quello che ho preso in considerazione è il Gesù dei racconti e dei narratori, per le ragioni che ho già molte volte enunciate . .. Confrontati con le lettere, i racconti hanno anche il van­ taggio di mettere a nudo le lentezze, le resistenze, le in­ comprensioni e le contraddizioni dei loro attori . E se la re­ lazione stabilita e delineata nel corso dei vangeli e degli At­ ti è quella tra maestro e discepolo/i, allora il lettore non ha mai finito di interrogarsi sul proprio ruolo: perché diven­ tare discepolo di Gesù ? Quando e come lo si diventa? Ecc. Se le lettere avevano mostrato l'importanza del simbolismo familiare, le unità narrative sembrano privilegiare la rela­ zione maestro-discepolo/i . Certo, i narratori non dimenti­ cano, come abbiamo visto, che Dio è nostro Padre e che noi siamo fratelli, ma descrivono il rapporto dei credenti con Gesù ricorrendo al binomio maestro/discepoli. In che modo si articolano i due simbolismi (e le loro rispettive strutture)? A questa domanda e ad altre, relative alla com­ patibilità tra i diversi racconti, cercherà di rispondere il prossimo capitolo.

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Capitolo quarto Diversi van g el i e vangeli d iversi Studio d1 alcune omolog ie

Il capitolo precedente mi ha permesso di mostrare come

Gesù non sia soltanto l'attore principale dei racconti si­ nottici, corrispondentemente al suo ruolo ultimo e decisi­ vo nella storia della salvezza; c'è di più: con un'autorità so­ vrana egli suggerisce le relazioni che dobbiamo avere con Dio, con gli altri e con noi stessi; bisogna soprattutto cre­ dere in lui, seguirlo, diventare suoi discepoli, per scoprire fin dove è arrivata la bontà di Dio, e annunciarla a tutti gli uomini, come la Buona Notizia per eccellenza. Era quindi necessario, in un primo tempo, rilevare tutta la cristologizzazione operante nelle pericopi, e indicarne le somiglianze fondamentali, sintomatiche di una struttura­ zione in profondità. Ma cosa avviene quando i diversi epi­ sodi sono sistemati secondo logiche e progetti teologici di­ versi ? Dobbiamo riconoscerlo, Gesù può restare un burat­ tino al comando dei narratori anche se è l'eroe dei racconti e dominatore degli eventi . Perché allora i narratori non avrebbero preso la vita di Gesù come un pretesto eccel­ lente per sviluppare ciascuno la propria teoria della storia della salvezza o presentare la propria carta dell'essere di­ scepolo? È anche probabile che i tre sinottici non abbiano dato la stessa funzione (ecclesiale) ai loro racconti. Li con­ sideravano come semplici biografie, come dei romanzi, dei racconti edificanti , come la carta del regno, o piuttosto co­ me delle testimonianze trasmesse per suscitare la fede o anche per regolare quella delle generazioni posteriori, ecc . ? 1 • E le differenze a questo livello relegano in secondo

1 Molti esegeti concordano nel dire che i nostri «Vangeli )) . pur riprendendo dei generi allora in uso. fanno mostra di originalità, e che è praticamen-

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piano le omologie fondamentali rilevate-precedentemente? Abbiamo costatato delle reali omologie tra lettere che pu­ re erano diverse per il loro progetto, per il tipo di argo­ mentazione, o non so cos'altro; è lo stesso per i vangeli? Più che un denominatore comune, la cristologia che vi si deli­ nea e il processo di cristologizzazione dei diversi campi teologici perinettono forse di individuare una vera strut­ turazione? Interrogativi la cui posta in gioco, spero, non sfugge a nessuno. Dopo aver esaminato i d ivers i progetti narrativi e la loro compatibjlità, riprenderò la questione a partire dal modo in cui i vangeli e le lettere paoline parlano della legge mo­ saica. Sarà allora possibile cogliere la funzione specifica della narratività neotestamentaria, funzione che gli scritti giovannei ci aiuteranno a precisare ulteriormente.

LA FINALITÀ E IL CARA TTERE DE/ RACCONTI Differenze fondamentali

La finale del primo vangelo

Abbiamo notato che, decidendo di comporre un dittico, il narratore lucano ha potuto mostrare che la scomparsa fi­ sica del risorto non e quivaleva a un abbandono, a un'as­ senza. Il tema già presente alla fine della prima tavola (cioè in Le 24), acquista tutta la sua densità con la testimonianza degli apostoli: essi sono stati battezzati nello Spirito San­ to, che è il suo Spirito, e possono essere suoi testi moni sen­ za mai venir meno. La giovane Chiesa non deve perciò aver ,

te impossibile classificarli nelle categorie esistenti all'epo ca . Per i tratti comuni alle biografie di tipo ellenistico (come la Vita di Mosè di Filone), cfr. A. Dihle > non figurano in tutti i testimoni . 38

P. Lamarche, Révélation de Dieu chez Mare, insiste giustamente sui pri­ mi versetti del racconto marciano, in cui si indica il progetto del narra­ tore. 39 E non, come in Mt 27,54, « alla vista del terremoto e di quello che suc­ cedeva»· (i segni apocalittici).

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velato) veramente e definitivamente come tale 40• E, ripen­

sandoci bene, il narratore marciano ha eluso le scene di apparizione e di riconoscimento del risorto 41 per dare al riconoscimento dell'identità di Gesù da parte del centu­ rione pagano tutta la sua portata: l'ultima e definitiva ap­ pari zione è quella del Figlio in croce, per il quale abbiamo pieno accesso a Dio. Certo, il messaggio della risurrezione non viene omesso 42; ma non si tratta di questo. Il narra­ tore ci teneva al fatto che il lettore avesse quello come ul­ timo riconoscimento, che inoltre è un riconoscimento di identità filiale. Mc fa culminare la rivelazione della filia­ zione di Gesù e il suo riconoscimento in questo punto estre­ mo, del quale il lettore deve sempre più stupirsi .

Luca Ho già sufficientemente descritto la prospettiva del III van­ gelo e mostrato la sua cristologizzazione, non è perciò ne­ cessario ritomarci qui 43 • Discrezione (da parte mia) e pa­ zienza (da parte del lettore) lo obbligano. Della prospetti­ va lucana riporto solo un tratto importante: la sua con­ fessione di non essere esauriente. Nel momento in cui ab­ bozza il suo racconto, il narratore segnala l'esistenza di al­ tri racconti, anch'essi affidabili, relativi agli eventi di cui egli stesso si accinge a parlare. Ma, affermando la loro af­ fidabilità, Luca non pretende di sostituirsi ad essi, anche se sente che un altro racconto, il suo, è necessario; ciò fa­ cendo, mostra che per lui la pluralità è fondamentale per la testimonianza; è una ricchezza non un difetto. Insisto su questo duplice gesto di Luca, in cui si indica al tempo stes40

In Mt Gesù è già riconosciuto come il Figlio di Dio nel mezzo del van­ gelo (in 1 4,33 ; scena sulle acque). L'affermazione del centurione dopo la morte non ha ad ogni modo la stessa forza che in Mc. 4 1 Solo un approccio narrativo può determinare con certezza la ragione dell'assenza delle scene di riconoscimento in Mc 1 6. Purtroppo, non es­ sendo il presente saggio uno studio esegetico dettagliato delle pericopi, non posso fornire le prove narrative di quanto sostengo. Ci sono chiara­ mente altre ragioni (cristologiche e, evidentemente, narrative, che tocca­ no ugualmente il carattere del racconto marciano). 42 In Mc 1 6, 1 -8, il messaggio della risurrezione viene nondimeno dato dai due giovani (attori celesti), in modo che le prolessi di Gesù relative alla sua risurrezione (cfr. Mc 8, 3 1 c; 9,3 1 c; t 0, 34c) siano dette realizzate; 43 Cfr. Aletti, L'arte di raccontare, cc. IX e X.

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so la coscienza di una competenza e la convinzione della sua non esclusività. Nel capitolo precedente avevamo costatato che i tre sinot­ tici attribuivano a Gesù un'autorità e una statura impo­ nente, un Gesù che determina il ruolo delle istituzioni e degli altri attori (in particolare i suoi discepoli) . Lo studio delle prospettive ha mostrato che questi stessi narratori condividono il punto di vista di Gesù a proposito di Dio e della sua volontà, a proposito della Legge, ecc. In questo senso il loro racconto non vuole essere neutro (anche se resta spesso oggettivo 44), ma piuttosto una testimonianza fedele. Sappiamo però bene che ogni narratore, anche ri­ spettoso del suo modello, (ri)costruisce a suo modo i per­ sonaggi, e Gesù non fa eccezione alla regola. Poco impor­ ta qui che l'eroe dei sinottici corrisponda o meno all'uomo di Nazaret: il mio intento non è storico, ma canonico, e vo­ glio continuare questa ricerca, domandandomi se le diffe­ renze tolgano la loro forza alle omologie già rilevate.

Mt e la cristologizzazione della Legge . Nel passato Mt e Mc sono stati contrapposti per le loro di­ verse concezioni della Legge mosaica: il primo ne farebbe una condizione essenziale per l'essere-discepolo e quindi per entrare nel regno, mentre il secondo ne riterrebbe so­ lo lo stretto necessario. Fortunatamente queste opposizio­ ni nette sono oggi confutate: il Gesù di Mc non mette in discussione l'autorità della Torah più di quanto faccia quel­ lo di Mt; egli si oppone soltanto alle interpretazioni alie­ nanti e ipocrite degli scribi, dei farisei o dei sadducei. Cer­ to, Gesù non dice che non bisogna osservare la Legge - il contrario sarebbe stato sorprendente -, ma abbiamo an­ che visto che i tre sinottici sottolineano la sua straordina­ ria autorità, che gli fa interpretare in modo sovrano i co­ mandamenti, per rispettarne lo spirito e stigmatizzare ogni falso comportamento. Nonostante questi punti comuni, la differenza tra Mt e Mc sta soprattutto nel fatto che il secondo non si interessa in

44 In particolare nella descrizione (senza compiacimento) dei discepoli.

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modo speciale della Legge45• È innegabile in ogni caso che �

il primo ne parli a lungo: Gesù com incia il suo insegna­

mento con un discorso legislativo, esso stesso preceduto da una dichiarazione che ha suscitato tanti commenti: «Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento . . . » . M t sottolinea così la continuità fondamentale che esiste tra l'insegnamento etico del suo Maestro e quello della Torah 46: con le sue parole e il suo agire 47 Gesù risponde pienamente alle sue esigenze, ne è del resto l'interprete sQ.Vrano e le conferisce la sua legittimità domandando ai discepoli di osservarla in modo perfetto48• Si potrebbe a prima vista pensare che Gesù sia subordinato alla Torah, ma non è co­ sì. Egli rispetta la Legge, ma mostra al tempo stesso un'au­ torità che ne fa il legislatore: essa diventa la sua Legge e, obbedendo ad essa, il discepolo in realtà obbedisce al Mae­ stro 49 • Gli ascoltatori del discorso della montagna non si sbagliano quando delle parole di Gesù ritengono solo l'au­ torità con la quale egli le ha proferite (M t 7 ,2 8-29): la To­ rah ha acquisito una funzione cristologica, quella di ma­ nifestare la competenza di Gesù, che ne indica la finalità, lo spirito con la quale essa dev'essere osservata, e ne desi­ gna i suoi primi destinatari, i discepoli 5 0• Alla fine del rac­ conto matteano è il Gesù risorto che, investito di un'auto­ rità sono delle figure paradigmatiche (il loro ruolo non è stori­

cizzato). Cfr. La condition du croyant, 47-68 e 8 1 . Sugli attori-tipo, si ve­ da anche Adele Berlin , «Characterization i n Biblical Narrative: David's

Wives », 230. 65 R i pren do qui, ampliandole, alcune pagine di uno studio che doveva co­ stituire una parte del presente libro, e apparso sotto il titolo «Matthieu et Paul: deux évangiles d ivergen t s ? » , in Penser la Foi: Mélanges offerts à l. Moi ngt . L'articolo di J. Guillet, «Justifiés par la foi du Christ. L'Évan­ gile selon Paul et selon Matthieu», che segue il mio, tratta, come si vede, dello stesso problema e arriva a conclusioni analo gh e, ma con un approccio abbastanza diverso. . 66 « Le serrnon sur la montagne ou les tribulations d'un théologien prote­ stant » , 68-74. I protestanti non mi sembrano i soli a essere nelle tribola­ zioni con Mt S-7: anche molti cattolici sembrano soffrire a causa di es­

si. 67 L'autore segnala anche delle difficoltà di ordine psicologico e antro­ pologico. Infatti il Gesù di Mt sembra ingenuamente credere che l'uma­ nità possa raggiungere questo punto estremo dell'obbedienza. Ma a vo­ ler insistere troppo sull'ideale dell'io, come fa lui, non ha involontaria­ mente scatenato quella che oggi si chiama la nevrosi cristiana? Le obie­ zioni sono infine di ordine sociale: se la comunità deve amare i propri oppressori, mette in pericolo l'ordine sociale e battezza i valori mondani dove i più deboli sono sempre oppressi; il vizio nascosto di questo estre­ mo del discorso consisterebbe nel fatto che domanda di amare i perse­ cutori ! 68 Ibid. , p. 68 . 69 Ibid., p. 69.

1 96

ge mosaica? Più drasticamente, bisogna ammettere che la Legge in Mt (concepita al tempo stesso come grazia ed esi­ genza, come indicativo e imperativo assoluti) rientra nel campo della soteriologia ?70 • Ma, se è così , il Qesù mattea­ no non reintroduce un'etica delle opere necessarie alla sal­ vezza, la quale, come dimostra r esperienza, si trasforma progressivamente in un'etica della paura? In breve, M t sem­ bra assumere qui una posizione del tutto opposta a quel­ la dell'apostolo Paolo. l diversi modi di affrontare la difficoltà

È finito il tempo in cui ci si limitava a isolare degli enun­ ciati e a confrontarli senza tener conto del contesto in cui apparivano. Anche se, ad esempio, dei versetti come Mt 5 , 1 7 e Rm 1 0,4 sono letteralmente opposti 7 1 , l'esegesi ha imparato a differire il confronto, collocando i versetti che ho appena menzionato all'interno di un'argomentazione o di una teologia senza le quali perderebbero coerenza e si­ gnificato. Il primo sforzo dell'esegeta consiste quindi nel vedere come si elabora la teologia di un libro del Nuovo Testamento nelle sue molteplici componenti e trasforma­ zioni e, solo in seguito, nel confrontarlo su dei punti pre­ cisi con quelli di altri libri. Così, Mt 5, 1 7-20 troverà la sua vera funzione non solo a partire dal contesto prossimo, evi­ dentemente, ma anche dall'insieme delle affermazioni mat­ teane sulla Legge. Questo lungo giro attraverso un libro e la sua logica in­ terna evita di opporre Matteo e Paolo su dei punti ritenu­ · ti a prima vista inconciliabili. Sappiamo infatti che Paolo non esorta mai i credenti in nome della Legge, ma fa con­ tinuamente appello all'esperienza della salvezza dove il cre­ dente può valutare la grazia di cui è stato fatto oggetto e alla quale è a sua volta chiamato, mentre il discorso della montagna rimanda alle prescrizioni mosaiche e porta an-

7° Cfr. D. Marguerat,

Jugement, 2 1 9ss.

7 1 In Comment Dieu est-il juste? Clefs pour interpréter l'épitre aux Romains, 1 1 9- 1 27, ho mostrato che non è possibile interpretare Rm 1 0,4 come una dichiarazione analoga a Mt 5 , 1 7: per Paolo, Cristo è venuto per mettere fine al regno della Legge.

1 97

che le esigenze della Legge al limite del realizzabile Que­ sto permette forse di co ncludere che se, per Paolo, è l'in­ dicativo della giustificazione gratuita a suscitare l'agire eti­ co, il discorso della montagna funziona al contrario come legge, radicando l'agire del discepolo nell'assoluto della vo­ lontà div ina ? In breve, Paolo non rappresenterebbe forse il vangelo della grazia e il discorso dèlla montagna un van­ gelo che altro non sarebbe che la Legge ?72• .

Le stesse esigenze in Paolo e in Mt Notiamo innanzitutto, al seguito di tanti altri, che le esi-. gelhze etiche formulate da Paolo sono altrettanto forti quan­ to quelle del Gesù di Mt. Nell'uno e nell'altro si dice che i credenti/discepoli sono la luce del mondo 73, che devono es­ sere perfetti e senza macchia 74, che devono fare la volontà divina 75 e ossetvare i comandamenti 76, che è esclusa ogni i mpudi cizia 77; l'uno e l'altro ricordano la necessità della misericordia 78, dell'ospitali tà 79, dell'aiuto agli affamati o del­ l' elemosina 80; è meglio subire l ingiustizia che vendicarsi 8 1 , e, più ancora, rendere il bene per il male ricevuto 82, ani­ vare fino a perdonare 83; Paolo vede nell'agape la pienezza '

72

Cfr. J. Ansaldi «Le sennon sur la montagne » pp. 67-84. Si sarà nota­ to che il discorso della montagna fa parte del vangelo annunciato da Ge­ sù in Mt; cfr. 4,23 che annuncia senza dubbio tutti i discorsi di Gesù nel pri mo vangelo, in particolare i capitoli 5-7 . I commentato ri si basano su Mt 4 ,23 e 9,35 per giustificare l appel lat ivo di «Carta del regno» dato al discorso della montagna, appellativo giustificato perché Mt 5-7 espone proprio l'insieme del le esigenze proposte da Gesù, ma non esclusivamente, come dimostra Mt 1 8. 73 F il 2, 1 5 ; Mt 5, 1 4. 74 1 Ts 5 ,23; Rm 1 2 ,2; Fil 3 , 1 5 ; Mt 5,48; «senza macchia» Fil 2, 1 5. 75 Rm 1 2 ,2; Mt 6, 1 0; 7,2 1 ; 1 2 ,50; 1 8 , 1 4; 2 1 ,3 1 . 76 l Cor 7, 1 9; M t 5 , 1 9. Non devono com m ettere omicidio (Rm 1 3 ,9; Mt 5, 2 1 ; 1 9, 1 8), adulterio (Rm 1 3,9; Mt 5 ,27-30; 1 9, 1 8}, ma nemmeno furto ( l Cor 6, 1 0; Mt 1 9, 1 8). 7 7 I Ts 4,3; l Cor 5 , 1 ; 6, 1 3 . 1 8; Gal 5, 1 9 ; Mt 1 5 , 1 9. 78 Rm 1 2 ,8; Mt 5,7; 9 , 1 3 ; 1 2 ,7. 79 Rm 1 2 , 1 3 ; Mt 1 0,40-42; 25,35. 80 Aiuto agli affamati: l Cor 1 1 ,2 1 -22; 1 3,3; Rm 1 2 , 1 3 .20; elemosina: Mt 6, 1 -4; l 0,42; 25, 35. 8 t 1 Cor 6,7; Mt 5 ,38-4 1 . 82 Rm 1 2 ,20; Mt 5,43-47. 83 Col 3, 1 3 ; Ef 4,22; Mt 6, 1 4; 1 8 ,23-25. ,

,

'

1 98

della Legge 84, e in Mt il comandamento dell'amore si tro­ va ogni volta alla fine di una lista di esigenze sempre più sottili (Mt 5 ,43 ; 1 9, 1 9). Da notare anche che l'umiltà, e non la vanteria, deve caratterizzare il discepolo 85, il quale non deve né giudicare né scandalizzare 86, ecc. In definitiva, la differenza tra il Gesù matteano e Paolo non deriva dal fat­ to che il primo formulerebbe delle esigenze etiche irrea­ lizzabili, perché le esigenze paoline lo sarebbero allora al­ trettanto. Mt non si caratterizza di più per un ottimismo etico che sarebbe assente dal corpus paolina: se l'Aposto­ lo invita i credenti alla perlezione è perché Dio dà loro, mediante il suo Spirito, la forza e la perseveranza di di­ ventare tali 87. Non si vede del resto come M t e Paolo po­ trebbero dispensarsi dal notificare ai cristiani che il Dio santo vuole la loro santità. Rivelando la volontà di Dio, il Gesù di Mt può forse domandare agli uomini qualcosa di diverso dalla perfezione alla quale sono chiamati? Potreb­ be infatti il Dio santo volere per l'uomo graziato, giustifi­ cato, santificato ( l Cor 6, 1 1 ) solo una santità dimezzata? Ma, si obietterà, per Paolo l'agire etico non è, come in Mt, condizione della salvezza, bensì solo il segno della sua pre­ senza, del suo agire efficiente in e per i credenti. Per esse­ re pertinente, questa obiezione richiede qualche precisa­ zione. Infatti , in Rm e nelle lettere di Paolo, questi fa una netta distinzione tra la giustificazione, già effettuata, e la salvezza che è (solo) awenire 88, e se il credente non è af­ fatto l'agente della giustificazione, interamente gratuita, non sembra essere la stessa cosa per la salvezza, a meno di ignorare tutti i passi che suppongono o affermano il con­ trario 89. La differenza tra Mt e Paolo sembra del resto venire, più che dalla colorazione salvi fica dell'agire etico o dal conte-

84 Rm 1 3 ,8- 1 0; l Cor 1 3,4s; Gal 5 , 1 4.

85 1 Cor 1 3 ,4; 2,2; Gal 5, 1 4; Mt 6, 1 . 86 Giudicare: Rm 1 4,4. 1 0; 1 Cor 5 , 1 2 ; Mt 7 , 1 ; scandalizzare: Rm 1 4,2 1 ; 1 Cor 8, 1 3; 1 1 ,29; Mt 1 8,6.

87 Su questi temi, cfr. J. M. Gundry Volf,

Paul and Perseverance. Staying in and Falling Away, J.C.B. Mohr, Ttibingen 1 990. 88 Questa distinzione non è più quella delle deuteropaoline (cfr. Ef 2 ,56).

89 Cfr., ad es., Rm 1 4, 1 0. 1 2; 1 4,23; 1 Cor 6 , 1 0; 1 1 ,27-34; Gal 5, 1 9-2 1 ; Col

3,6.

1 99

nuto delle esigenze, dal modo in cui queste ultime sono ar­ ticolate all'essere-credente. In effetti, se l'Apostolo bada in generale a collegare le sue esortazioni con l'esperienza che i credenti hanno fatto dei benefici divini e se sottolinea che Dio agisce in loro con il suo Spirito, se cioè àncora l'im­ perativo dell'agire etico nell'indicativo dell'essere-battezza­ to, il discorso della montagn� enuncia al contrario i co­ mandamenti in modo abrupto, apodittico, senza menzio­ nare una qualunque azione preliminare di Dio in favore dei discepoli oppure una trasformazione del loro essere. In breve, se in Paolo l'etica è solo una manifestazione dell'es­ sere-giustificato del credente, in Mt la fede sembra defi­ nirsi inizialmente e fondamentalmente come un agire 90• Perché allora, a differenza di Le 4, 1 6-30 e Mc 4, il primo vangelo presenta come primo discorso di Gesù una serie di esigenze etiche, invece di manifestare il peccato, l'osti­ nazione di un'umanità ferita e la venuta del perdono? È certamente importante, e gli esegeti non hanno mancato di segnalarlo, che questo discorso inizi con delle beatitu­ dini , ma ci si può domandare se un tale insegnamento, nel suo radicalismo, tenga sufficientemente conto del peccato e della debolezza umana 91 • L'opposizione tra Paolo e Mt non si ferma qui, come ci di­ cono i commentatori , che la vedono culminare nella fun­ zione che ciascuno degli autori accorda alla Legge: se, per l'Apostolo dei Gentili, la legge perde tutta la sua pretesa di assicurare la giustizia e la salvezza, per Mt il suo ruolo sal­ vifico sembra invece assicurato 92• Certo, come abbiamo vi­ sto sopra, la Legge è inseparabile da Gesù, che la promul­ ga e la interpreta in modo sovrano, ma il giudizio finale av-

90

D . Marguerat, u jugement, 232, dove l'A. osserva anche che la verità del credo si esprime in una rettitudine etica (Mt 7,2 1-23). 9 1 Cfr. ancora D . Marguerat, Le jugement, 230: «>); 1 3, 1 1 ( «perché a voi è dato di co­

noscere il mistero del regno dei cieli, ma a loro non è dato»); 2 1 ,43 ( « il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a un popolo che lo farà fruttifica­ re»); 2 5 , 1 5 (il padrone dà dei talenti ai suoi servi). 1 17 Mt 26,3 1 -35; Mc 14,27-3 1 . 1 1 8 Nell'episodio del rinnegamento, Mt è il solo a far progredire le rispo­ ste di Pietro al livello della loro chiarezza e della forza di enunciazione, fino ai giuramenti e alle imprecazioni (26,69-75). Mt è anche il solo a par­ lare del suicidio di Giuda (cfr. 27,3- 1 0).

210

t�tti gli altri campi teologici . È allora possibile fare un pas­ so ulteriore: questa relazione maestro/discepolo aveva bi­ sogno del tessuto narrativo per esprimersi?

RAGIONI PER UN'ELABORAZIONE IN FORMA BIOGRAFICA �umerose sono le ragioni che spinsero i primi cristiani ad adottare il genere «biografico» . Talbert ne menziona so­ prattutto due. Perché il vangelo non fosse deformato era necessario evitare alle tradizioni, alle sentenze, alle contro­ versie, ai piccoli racconti di miracoli, ecc., di essere utiliz­ zati senza la dinamica in cui si inserivano e che dà loro senso. Evitare poi il riduzionismo, che venissero cioè as­ solutizzati una parte o un tipo di racconto (i logia , i rac­ conti della passione, ecc ) 1 1 9• Come si vede, queste ragioni toccano il problema dell'ac­ coglienza e dell'util izzazione delle tradizioni concernenti Gesù . Ce ne sono altre, relative ai narratori e ai loro pro­ getti, che furono invocati fin dagli inizi della Chiesa. La se­ conda lettera di fietro e l'evangelista Luca non parlano in­ fatti della solidità e della veracità dei testimoni oculari_gra­ zie ai quali conosciamo gli eventi della salvezza ?120• «Bio­ grafia» di Gesù e apostolicità si ricollegano definitivamen te: i raccontj evangelici ricevono la loro affidabilità da questo stato di cose. La messa in ordine di tutti i micro-racconti (sentenze, controversie, miracoli, passione) poteva indica­ re la dinamica, la coerenza e la bellezza dell'itinerario di Gesù, e dare così loro forza di convinzione: coerenza e ve­ racità si richiamano! Ancora più importante è il ricorso alla specificità stessa del racconto, perché questo non ha la stessa funzione del con­ cetto, che non potrebbe del resto sostituirlo. Come ha det1 1 9 C.H. Talbert, «Once Again: Gospel Genre», Semeia 43 (1 988) 53-73. È necessario segnalare che certe antiche distinzioni sono diventate del tut­ te inadeguate. Dire che i racconti evangelici sono uno sviluppo o un'esten­ sione del kerigma cristiano primitivo ( supposto breve) rasenta la carica­ tura. La forma dei racconti non viene dal kerigma: ha il suo contesto vi­ tale nella letteratura del tempo (non solo nelle vite dei profeti, come pen­ sa Baltzer, ma anche nelle vite ellenistiche). 1 20 2Pt 1 , 1 6- 1 8; Le l , 1 -4.

21 1

to un filosofo, d'ora in poi non è possibile «costruire delle teologie dell'Antico o del Nuovo Testamento che conside­ rino ]a categoria narrativa come un procedimento retori­ co estraneo al contenuto che esso veicola; al contrario, ap­ pare chiaro che viene detto qualcosa di specifico e di uni­ co su YHWH e sulle sue relazioni con Israele, suo popolo, proprio perché ciò viene detto sotto la forma di una nar­ razione, di un racconto, che narra gli eventi di liberazione del passato. Il concetto stesso di teologia delle tradizioni, che è il titolo del primo volume della Teologia dell'Antico Testamento di von Rad, esprime l'indissolubile solidarietà della confessione di fede e del racconto » 1 2 1 • In questo sen­ so, cominciamo appena a renderei conto, dopo tanti seco­ li di riflessione teologica, che i racconti evangelici sono un elemento inalienabile della proclamazione della Chiesa nel suo cammino di fede, perché il Gesù storico sigilla l'in­ carnazione di Dio, ma anche perché la proclamazione non awiene senza racconto. Con un teologo contemporaneo, bi­ sogna augurarsi che i racconti evangelici non siano più sol­ tanto ricevuti come fonte della fede, ma che siano anche letti come regola di fede 1 22 • Infatti ritornare alle narrazioni su Gesù significa molto semplicemente leggere una storia tipica e diventare disce­ poli con colui che ha imparato a essere ciò che era, Figlio, per camminare con lui lungo episodi dove il simbolismo delle relazioni invita alla conversione e al riconoscimento. Ma, se da una parte il percorso descritto dai racconti evan­ gelici è tipico, perciò imitabile e riproducibile, dall'altra è anche unico: la natura gesuologica dei racconti invita in ef­ fetti a interrogarsi su questa esistenza, con le sue modalità, nella loro contingenza 1 23• Da questo punto di vista, l'eia-

121

Cfr. P. Ricoeur, «Les ••fonnes" du discours biblique• 1 20- 1 2 1 . J . Moingt, L'homme qui venait de Dieu, 22 1 . 123 In termini più astrusi, si dirà che l'elaborazione in forma di racconto dell'esistenza di Gesù evita la destoricizzazione del kerigma, alla quale po­ trebbe ridursi la demitologizzazione di un Bultmann: il Was è insepara­ bile dal Dass ! È l'insieme della vita di Gesù (parole, segni, passione, mor­ te e risurrezione) che deve suscitare la fede. Il racconto evangelico è il luogo dove si sviluppa e si verifica la coerenza d i un cammino (che mo­ stra come Gesù non sia né manipolato, né incosciente, né paranoico, ecc.) e dove si fa il riconoscimento: perché quest'uomo, questi mezzi e questi segni ? Come si indicano gli estremi delle vie di Dio? Come si opera il 122

212

borazione in forma biografica fonda la serietà della tipo­ logia, che è la serietà di una storia in cui i tipi tendevano verso il loro compimento, ma in cui il fatto eristico (l'even­ to Gesù) appartiene alla discrezione delle figure, e dà quin­ di tutto il suo peso di carne all'assunzione del significato. La narrativizzazione degli eventi salvifici ha così favorito la focalizzazione su Gesù e, di conseguenza, sull'umanità di Dio, sulla forza del suo amore. Ma, ciò facendo, ha sca-­ vato una distanza critica in rapporto all'oggi (a tutti gli «og­ gi ») della Chiesa e dei cristiani, perché possono non se­ guire il loro salvatore: rileggendo i vangeli, essi verificano a che punto sono nel loro divenire-discepoli. ' In breve, mi sembra chiaro che la narrativizzazione ha provocato un cambiamento qualitativo nella cristologia degli autori dell'età apostolica. (i) È infatti tutta l'esistenza di Gesù (e non soltanto la sua morte in croce e la sua esalta­ zione) che compie le Scritture, che è rivelazione parados­ ­ sale della potenza e della misericordia divine. Ritornando a lungo sugli estremi nei quali si è rivelata la sapienza di­ vina, i racconti hanno potuto mostrare come in questa esi­ stenza sia possibile leggere il piano divino di salvezza e la verità della rivelazione. (ii) Ma i racconti che riferiscono il ministero di Gesù, la sua morte e gli incontri con lui do­ po la sua risurrezione, attribuiscono anche un posto uni­ co a coloro che sono stati « testimoni oculari» , come dice Luca: rileggendo e nutrendosi delle «loro memorie)) 1 24, i credenti di tutti i tempi mostrano soltanto che la Chiesa sarà sempre apostolica, segnata da questa testimonianza, da questa memoria che la porta verso il proprio futuro. CONCLUSIONE

Spero di aver mostrato come le differenze esistenti tra i racconti evangelici non sopprimano né rendano eccentri­ che le omologie rilevate nel capitolo precedente.

cammino del riconoscimento e della fede o il rifiuto (con le loro ragio­ ni)? Il racconto sottolinea, senza attenuarla, la resistenza del reale stori­ co. 124 Prima di diventare il «Nuovo Testamento», gli scritti apostolici furo­ no chiamati memorie degli apostoli.

213

Se la prima parte aveva sottolineato l'importanza del sim­ bolismo familiare, questa ha messo in evidenza un'altra re­ lazione, più direttamente gesucristologica, quella tra mae­ stro e discepolo. È chiaro che i due campi non sono pie­ namente sovrapponibili 1 25 , ma, come abbiamo visto, que­ s t e relazioni strutturano in profondità gli ins i em i finora analizzati. La cristologizzazione dei racconti, anch'essa estesa, ha una componente enunciativa, di cui abbiamo vi­ sto l'importanza per la strutturazione: facendo propria la prospettiva di Gesù, i narratori anivano fi no a }as ciargl i istituire i diversi ruoli 1 26 • Non è sol tanto il rapporto con Gesù che determina quello degli uomini con Dio (rifiuto o fede; tenebre o luce), è G esù stesso che definisce i rappor­ ti, ormai definitivi, che esistono tra Dio e lui stesso, tra i suoi discepoli e Dio, ecc. La strutturazione è al tempo stes­ so relazionale, spaziale, temporale e semantica. Senza polemica, ricordiamo un'ultima volta che molte op­ posizioni stabil i te nel passato tra i vangeli da una parte, tra i vangeli e le lettere paoline dall'altra, devono essere ab­ bandonate o attenuate 1 27: i vecchi parad i g m i non reggono più, e prima di trovarne altri dovremo forse attendere mol­ to l 2 s .

1 25 La proporzione non è del tipo « maestro/discepoli equivale a Padre/fi­ glio» , perché Cristo è anche Figlio, quindi nostro fratello, pur essendo al tempo stesso nostro maestro. 1 26 Il che non impedisce di abbozzare la cristologia grazie a degli attori divini (angeli, voce celeste, Spirito Santo). Cfr. i racconti di annuncia­ zione (a Giuseppe, Maria) e l'episodio del battesimo. ' 1 27 Cfr. su questo punto lo studio di H. Koester, Ancient Christian Gospels. 1 28 La prova della cristologizzazione della soteriologia dei vangeli è sta­ ta già fornita da B. Sesbotié, Les récits du salut; si comprenderà perché mi sono soffennato poco su questo aspetto, del resto molto importante.

2 14

Capitolo

quinto

La cristologizzazione deg l i scritti giovan nei

Le lettere del Nuovo Testamento ci hanno messo in pre­ senza di una diffusa cristologizzazione che pervade tutti gli aspetti della riflessione teologica, fin nei suoi prolun­ gamenti etici. I vangeli e gli Atti hanno mostrato la fun­ zione decisiva della narrativizzazione del ministero di Ge­ sù e dei primi decenni della vita ecclesiale per descrivere la relazione essenziale e permanente tra Gesù e i suoi , quel­ la di un Maestro con i suoi discepoli, Maestro la cui voce e il cui insegnamento risuonano ancora, per consolare e sollecitare i cuori alle urgenze di tutti i tempi. Sarebbe stato più facile e normale trattare le lettere gio­ vannee e il IV vangelo all'interno di questo quadro, tanto più che, se gli esegeti ammettono unanimemente che il van­ gelo e le lettere provengono dalla comunità giovannea, non sono concordi circa l'unità di autore 1 • Il caso dell'Apoca­ lisse suscita ancora molte discussioni, e alcuni rifiutano per essa anche l'appellativo di giovannea. Ma spero che non ci sia più bisogno di mostrare che, per il mio scopo,

1 Mentre una reale unanimità regna oggi, per quanto io ne sappia, circa l'unicità redazionale di Lc/At (attribuita a Luca), perché vi si riconosco­ no le stesse tecniche narrative, stilistiche e la stessa teologia. Negli ulti­ mi anni sono apparsi diversi repertori bibliografici sugli scritti giovannei (due monografie su Gv, di E. Malatesta nel 1 967, e G. Van Belle nel 1 988; una su tutti gli scritti giovannei, di R. Rabanos Espinosa nel 1 990; la ri­ vista di J. Beutler, nel 1 988, sulle lettere, in ANRW II, 3773-3790). Uno status quaestionis si può trovare in J. Beutler, « Méthodes et problèmes de la recherche johannique aujourd'hui », in J.D. Kaestli (ed.), La com­ munauté johannique et son histoire. La trajectoire de l'évangile de Jean aux deux premiers siècles, Genève 1 990, 1 -38; X. Léon-Dufour, «Où en est la recherche johannique? Bilan et ouvertures», in ACFEB, Origine et posté­ rité de l'Évangile de Jean , Le Cerf, Paris 1 990, 1 7-4 1 .

215

l'unità d'autore non ha alcuna importanza, e tanto meno l'unità di ambiente produttore (una comunità o una scuo­ la 2 ) . Ho raggruppato gli scritti di cui sto per trattare in que­ sto capitolo sotto l'appellativo > ; 1 5 , l « io sono la vera vite>> . 22 Si veda anche Gv 1 2, 1 9; 1 8,6.8. Il motivo comincia indirettamente con

222

te scomparire Dio come attore che guida gli eventi e in­ terviene per illuminare i discepoli - e anche il lettore -, perché Egli è conosciuto solo attraverso ciò che il Figlio fa e dice di Lui: in Gv è Gesù l'unico interamente responsa­ bile della rivelazione di Dio e di lui stes�o. Si potrebbero invocare molti passi , tra i quali questo: « Filippo, chi ha vi­ sto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Pa­ dre?» ( 1 4,9). Ma, per mettere in evidenza l'effetto di signi­ ficato che provoca il non intetvento di Dio, mi limiterò semplicemente a considerare le scene ai piedi della croce, che sono a questo riguardo molto sintomatiche.

L'indispensabile gesucristologia Cominciamo col costatare che, a differenza dei racconti si­ nottici della passione, quello di Gv è, a un livello che pre­ ciserò in seguito, un deserto teo-logico 23• Il nome di Dio viene pronunciato solo una volta, nel processo davanti a Pilato, dagli oppositori (chiamati dal narratore «i giudei » ) , secondo i quali Gesù deve morire, i n virt ù della loro legge, «perché si è fatto Figlio di Dio» ( 1 9,7); essi naturalmente sot­ tintendono che Gesù ha bestemmiato. Oltre a questa di­ chiarazione, decisiva, è vero, perché indica chiaramente che Gesù morirà per ciò che è, il nome divino non viene menzionato né dal narratore né dagli attori, ivi compreso Gesù. Ed è un fatto sorprendente: ai piedi della croce so­ no del tutto scomparse le scene di oltraggio («Se sei il Fi­ glio di Dio, salva te stesso. . . ») e Gesù non si rivolge al suo Dio, a Colui di cui ha tanto parlato e che chiamava SUO Padre, per invocarLo in aiuto (Mt/Mc) o peE affidarsi te-

4,26 (Gesù dice alla samaritana che gli parla del Messia: «sono io che ti parlo»); stessa espressione ambigua in 6,20, dove Gesù che cammina sul­ le acque rassicura i suoi discepoli spaventati dicendo «ego eimi, non ab­ biate paura». I commentatori hanno ben mostrato il duplice significato dell'espressione (significato owio: «sono io»; significato forte: «io sono (Dio), ecco perché non dovete avere paura, io vi proteggo, sono con voi.. . »). 23 Nei tre sinottici, dal Getsemani alla sepoltura, il problema del rappor­ to di Gesù (la sua identità di Messia, di Figlio) con Dio suo Padre è una costante che solo un cieco non potrebbe rilevare: costituisce la posta in gioco di questi eventi e dei racconti che li riferiscono. Ecco i riferimen­ ti: «Padre» Mt 26,39.42 .53; Mc 1 4,36; Le 22,42 ; 23 ,34. « Dio» Mt 26,61 .63; 27,40.43 .46 .54; Mc 1 5 ,34.39; Le 22,69.70; 23,35.40.47.5 1 .

223

neramente a Lui (Le). Ciò è dovu to certamente al model­ lo scelto dal narratore per descrivere questa morte. Si ri­ corderà che Mt/Mc riprendono fedelmente i motivi del fe­ dele ingiustamente perseguitato dei salmi di supplica , che in Le gl i oppositori, con le loro grida e ingiurie nei riguardi del crocifisso, mettono paradossalmente in evidenza la sua costanza e la sua fedeltà, al punto che la sua morte appa­ rirà a tutti come quella di un giusto e susciterà il penti­ mento, o almeno il rimorso. Nel N vangelo i nemici sono s_comparsi: nessuno schern isce Gesù né mette in discus­ sione il suo rapporto con Dio. Nessuno gli fa del male, nem­ meno il soldato che gli trafigge il costato, prima perché Ge­ sù è già morto, poi perché il colpo di lanc ia che apre il suo èò stato fa uscire sangue e acqua, segni che il dono fu to­ tale e, soprattutto, che vengono donati lo Spirito e la vi­ ta 24: il colpo di lanci a ha un'altra funzione positiva, quel­ la di scrivere nel corpo stesso di Gesù il compimento del­ le figure 25• Forse si obietterà che il modello seguito da Gv è ancora quello delle suppliche del giusto perseguitato, poiché in 1 9,24 cita Sal 22, 1 9 ( « Si dividono le mie vesti, sul mio ve­ stito gettano la sorte» ) e il grido di sete di Gesù segu ito dalla scena dell'aceto ( 1 9,2 8-29) fa verosimilmente allu­ sione a Sal 69 ,22. Certo, Sal 69,22 descrive una situazione di inimicizia e di oltraggio, ma niente di tutto questo in Gv 1 9 ,28-29: Gesù emette il suo grido per compiere le Scrit­ ture, e nessuno lo oltraggia; il narratore rende persino eva­ nescente, fino a farlo sparire, l'attore che accosta a Gesù

24 Il mio scopo, lo ripeto, non è quello di presentare la cristologia di Gv,

ma il fenomeno di cristologizzazione e di determinare fino a che punto esso abbia degli effetti strutturanti. Non mi soffennerò perciò sull'inter­ pretazione (sacramentale o meno) del simbolismo del sangue e dell'ac­ qua. 25 Gli esegeti vedono giustamente in questa scena una serie di analessi: interne (cioè al racconto giovanneo stesso), come Gv 7,37-39; ed esterne (bibliche), come Zc 14,8 (acqua viva che esce da Gerusalemme); Ez 47, l s (tempio escatologico dal quale scorra l'acqua d i vita); E s 1 2,46 (agnello pasquale al quale non viene spezzato alcun osso); Sal 34,2 1 (il giusto che esce indenne dalla prova grazie all'aiuto divino) . Fertilità escatologica, che riprende e porta a compimento quella del paradiso, agnello ucciso il cui sangue ha salvato il popolo dalla morte, ma le cui ossa non spezzate annunciano già la vittoria sulla morte: il narratore fa convergere tutte queste figure nel corpo di Gesù.

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la spugna imbevuta d'aceto ( 1 9,29): il verbo è al plurale e non ha soggetto ; il modo migliore per rispettare questo ano­ nimato sarebbe quello di tradurre: «Si fissò una spugna e la si accostò alla sua bocca» . Questi due versetti meritano del resto un esame più approfondito, perché il narratore descrive un Gesù onnisciente: « Sapendo che ogni cosa era compiuta e perché si adempisse la Scrittura» ; sa di dover gridare « ho sete» . Ma si è visto mai qualcuno gridare «ho sete» per compiere la Scrittura, solamente per calcare un modello scritturistico? Il grido di sete deriva da un biso­ gno che vien espresso: ogni altra motivazione (fosse anche il desiderio di dare compimento a un passo di salmo) sem­ bra essere una parodia, un simulacro. Gesù finge forse di aver sete? Certamente no. Ha sete, ma il narratore gioca sulle parole . Rifiutando l'aceto che gli viene proposto, Ge­ sù manifesta che non è di bevanda che ha bisogno, ma, co­ me lascia intendere il versetto seguente, di trasmettere il dono ultimo e perletto, lo Spirito 26• In questo episodio il narratore invita quindi a leggere il compimento della Scrit­ tura, attraverso un gesto di sovversione che dà un valore nuovo ai significanti dei salmi, che indicavano originaria­ mente la violenza, la persecuzione e l'abbandono. Le scene ai piedi della croce in Gv non narrano perciò un dram ma: Gesù non viene né schernito, né rigettato. So­ prattutto non viene abbandonato. Nei racconti sinottici, dove il modello del giusto perseguitato impone al narrato­ re che lasci scappare gli amici o li tenga a distanza, Gesù è nella più completa solitudine. In Gv, il discepolo che egli ama e soprattutto sua madre sono lì, accanto a lui; ed egli parla loro, ma non dice nulla che somigli a un lamento, né a una consolazione: « Madre, non piangere ! » . La sua paro� l.a ha una portata diversa, poiché distribuisce ruoli nuovi: «Donna, ecco tuo figlio» ( 1 9,26), e al discepolo: « Ecco tua madre» ( 1 9 ,27). Gli esegeti di tutti i tempi, a cominciare dai Padri della Chiesa, non hanno del resto mai trascura­ to la portata di questa duplice designazione. Nel momen­ to in cui muore, Gesù suscita una nuova famiglia; non ho --

.. . _ _ _ · · - ·

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26 Il verbo paradidomi designa l'atto di consegnare, di trasmettere, posi­ tivamente (un dono, come qui) e negativamente (consegnare uno a dei nemici, cioè tradirlo; il verbo designa anche il tradimento di Giuda).

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detto che la fa nascere, come se l'avesse generata; in realtà la crea con la sua parola . . . Il dire è fare! La morte di Gesù ha così una funzione creatrice, quindi strutturante. Ci ri­ torneremo sopra. Ho segnalato prima, w sfuggita, che Dio era il grande as­ �ente da queste scene ai piedi della croce. Perché, se è giun­ ta l'ora della glorificazione del Padre, che è anche la sua, Gesù non parla di lui ? Perché muore senza nemmeno pro­ nunciare questo nome che aveva sempre sulla bocca, in un grido di totale fiducia e affetto: «Oh, Padre! » . Tutti gli ele­ menti che abbiamo evidenziato mostrano che doveva es­ sere così: Gesù ha un'iniziativa sovrana, è lui che crea le nuove relazioni , che sa di dover portare a termine tutto dando in questo modo compimento alle Scritture . . . Ma co­ me non percepire che il narratore lo colloca molto sem­ plicemente il'!: posizione divina : gl i altri attori e il lettore non hanno bisogno di sentire il nome di Dio, è per loro sufficiente contemplare il crocifisso dal fianco squarciato. È sintomatico che il racconto della morte termini proprio con il richiamo della profezia di Zaccaria 27• È in questo momento che acquista tutta la sua verità la frase di Gesù a Filippo dopo l'ultima cena pasquale: « Chi ha visto me ha visto il Padre » ( 1 4,7-9). La morte in croce, morte gloriosa, dà una durata indefinita al processo di rivelazione: è n che i credenti possono comprendere che in qt.testo Gesù di Na­ �aret si rivela definitivamente la gloria del Figlio, che è la stessa di Dio. Il narratore, nel corso del suo racconto, in­ siste sulla carne di Gesù , cioè sull'umanità del Figlio di Dio, perché essa costituisce un aspetto insostituibile della rive­ lazione piena e ultima di Dio nel suo Figlio. Le scene di Gv 1 9 mostrano chiaramente dove il narratore giovanneo col­ loca la posta in gioco della fede: riconoscere nella reale umanità di Gesù di Nazaret ( l ,45s; 6,42) la- gloria di Di, fl m istero dell'« IO SODO» divino.

27 « Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto,, (Zc 1 2 , 1 0). Cfr. M.­ A. Chevallier, Le Souffle de Dieu , 4 1 8. «Tutta l'operazione giovannea con­ siste nel rileggere la tradizione di Gesù come illuminata dall'interno, fa­ cendo apparire paradossalmente la gloria nascosta nella carne e in mo­ do particolare nella morte in croce» .

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Crlstologizzazione originale del campi teologici

Come i sinottici, e più di essi, ma in modo unico, il nar­ ratore giovanneo impregna gesucristologicamente tutti i campi della sua riflessione. Non ripeterò qui ciò che le let­ tere e gli altri vangeli ci hanno permesso di percepire cir­ ca il ruolo strutturante giocato da Cristo 28, ma mi limiterò a mettere in evidenza l'originalità di Gv. La teo-logia Le scene della croce, dove Gesù è in posizione di Dio e Lo manifesta, mi permettono così di prendere di petto il pro­ blema della teo-logia del racconto giovanneo. Le osserva­ zioni fatte sopra confermano ciò che gli specialisti hanno notato da molto tempo, cioè che nel IV vangelo l'elemen­ to più cristologizzato è il discorso su D io, Jter una ragio-

28 Cosl, come negli scritti precedenti, il Gesù di Gv dice che la preghiera dev'essere fatta nel suo nome ( 1 4, 1 3; 1 6,23), che bisogna servire come lui ha servito, che il più grande deve farsi il più umile ( 1 3 , 1 2- 1 7). La soteriologia è ugualmente cristologizzata: credere in Gesù, il Figlio, significa avere la vita eterna (Gv 3,36; 6,40; 1 1 ,26-27), e viene sottolinea­ ta la sua estensione universale (per tutti gli uomini). Anche la pneuma­ tologia: lo Spirito ha preso dimora in Gesù (Gv 1 ,32-34; cfr. ls 1 1 , 1 -2); egli battezza nello Spirito Santo ( 1 ,33), e promette di mandarlo dal Pa­ dre ( 1 4, 1 6.25; 1 5,26; 1 6,7; 1 9,30); lo Spirito comunica ciò che avrà senti­ to e ricevuto di Gesù ( 1 6, 1 4- 1 5). Allo stesso modo, le parole di Gesù so­ no Spirito e vita (6,63). Cfr. l. de la Potterie, «Parole et Esprit dans saint JeanJt, in M. de Jonge (ed.), L'Évangile de Jean. Sources, rédaction, théo­ logie, Leuven 1 977, 1 77-20 1 . Da notare anche che il dono dello Spirito da parte del risorto è strettamente unito all'invio in missione (assicurazione di continuità: è il suo Spirito; anche dono di autorità: nel suo nome, sot­ to la sua ispirazione, andranno nel mondo; autorità divina, poiché lo pne u ­ ma è lo Spirito Santo, quello stesso di Dio). Per il rapporto tra la tra­ smissione dello pneuma in Gv 1 9,30 e il dono dello pneuma hagion in 20,22, cfr. M.-A. Chevallier, u souffle de Dieu , 436-439: Gv 19 insiste sull'evento ultimo che permette la trasmissione dello Spirito, senza no­ minare i destinatari; Gv 20 insiste sulla qualificazione dei discepoli e quin­ di sulla continuità della missione di Gesù. La pneumatologia (cristolo­ gizzata) ha la sua importanza in Gv, perché lo Spirito supplisce all'«as­ senza)) di Gesù, salito verso il Padre. Ma, con lo Spirito, i discepoli non Sono orfani: non mancano di nulla, al contrario (egli li difenderà, li pro­ teggerà, insegnerà e farà loro ricordare ogni cosa, ecc.). Per l'escatologia, cfr. infra .

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ne, già decisiva: il termine ccDio» è detto del Verbo nel Pro­ logo 2 9. Un simile inizio lascia evidentemente presagire che la cristologia e la teologia saranno indissociabili . Ed effet­ tivamente lo sono. Ma, a differenza di Mt e Le, dove fin dall'inizio Gesù si ri­ volge ai di scepoli o alle foll e designando Dio come loro Pa­ dre 30 , in Gv lo chiama « Padre mio» o «il Padre» , ma non dice «Padre vostro», almeno fino alla risurrezione 3 1 . L' espres­ sione «padre nostro» viene, sì. utilizzata dai suoi interlo­ cutori , ma designa i patriarchi: «nostro padre Giacobbe » , dice la samaritana (4, 12), « nostro padre è Abramo» (8,39.53; cfr. 8 , 5 6 ) , rispondono i giudei a Gesù che aveva dichiara­ to loro: «lo dico quello che ho visto presso il Padre, men­ tre invece voi fate quello che avete as coltato dal padre vo­ stro ! » (8,28); e il referente viene dopo: «Vostro padre è il diavolo! » (8 ,44). Gv 8,4 1 ss è l'unico passo del ministero di Gesù in cui viene affrontata la questione della paternità de­ gli altri attori; in realtà gli oppositori. Quando Gesù parla di Dio ai suoi discepoli lo chiama sempre « mio Padre » o « il Padre», ma mai dice loro: «A proposito, una buona no­ tizia: mio Padre è anche il vostro». Certo, l'appellativo « il Padre>, può signifi care che tutti sono suoi figli e fanno co-

29 Ho già detto, nel primo capitolo, a proposito di Rm 9,5 e lo ripeto a proposito dell'affermazione di Gv 1 , 1 c («e il Verbo era Dio••), che è im­ possibile affermare che il theos sia aggettivo piuttosto che sostantivo: l'at­ tribuzione (senza articolo) complica le cose, tanto più che il « il Verbo era ho theos •• , perché ho theos , quando è usato in modo assoluto designa Dio Padre. Il «mio Signore (ho kyrios mou) e mio Dio (ho theos mou ))) di Tom­ maso in Gv 20,28 non costituisce un'eccezione, perché la presenza del pronome personale mou («di me» ) esige anche l'articolo. Inoltre, prima di pronunciarsi sulla natura del termine, bisogna esaminare il modo di procedere di Gv, che mette talvolta l'articolo davanti ai suoi attributi per insistere sulla designazione più che sull'attribuzione stessa (cioè le com­ ponenti semantiche). In Gv 20,28, il titolo è appropriato: ciò che il nar­ ratore ha suggerito nelle scene ai piedi della croce può ora essere rico­ nosciuto e confessato. 3° Cfr. la nota 1 3 del cap. III (p. 1 3 1 s ) . Per la prima ricorrenza di «Padre vostro» , cfr. Mt 5, 1 6 e Le 6,36. 3 1 Ecco i riferimenti: « Padre mio•• : Gv 2, 1 6; 5, 1 7.43; 6,32.40; 8,1 9.49.54; 1 0, 1 8 .25.29.37; 1 4,2.7.20.2 1 .23; 1 5 , 1 .8. 1 O . I 5.23 .24; 20, 1 7. « IL Padre»: 1 , 1 8; 2, 1 6; 3,35; 5, 1 9.2 1 .22.23.26.36.45; 6,27.37.44.45.46.57.65; 8,27.28.38; 10, 1 5. 1 7; 1 0,30.32.36.38; 1 2,26.50; 13, 1 .3; 14, 6.8.9; 1 4, 1 0. 1 1 . 1 2. 1 3. 1 6.26.28.3 1 ; 1 5 ,9. 1 6.26; 1 6,3. 1 0; 1 6, 1 5 . 1 7.23.25.26.27.28.32; 1 8, 1 1 ; 20,2 1 .

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sì parte della famiglia divina, ma le supposizioni diventa­ no certezze solo alla fine del racconto, dopo che il risorto ha detto a Maria Maddalena: « Salgo al Padre mio e Padre vostro» (20, 1 7). È necessario perciò rileggere il racconto 'perché ciò che era sottinteso diventi chiaro. Questa rivelazione finale, che alcuni considerano come il vertice del racconto, è stata ritardata dal narratore perché i discepoli (e il lettore) comprendano che è la morte in cro­ ce di Gesù che ha fatto del Padre di Gesù il loro, e che d'ora in poi, lui e noi, siamo fratelli: «Va' dai miei fratelli e di' lo­ ro . . . » (20, 1 7) . L'insistenza sulla filiazione di Gesù aveva quindi questa finalità salvifica: fare entrare l'umanità nel­ la famiglia di Dio, e a un grado superiore, poiché lo Spiri­ to di filiazione è il frutto diretto della morte/risurrezione di Gesù. La strutturazione familiare delle relazioni tra Dio e _l'umanità ·deriva quindi dal cammino effettuato da Ge­ 2 ·sù 3 . Ma ritorniamo alla teo-logia di Gv. Si può dire che sia fon­ damentalmente cristologizzata? Senza alcun dubbio, per­ ché Dio vi è presentato come il Padre di Gesù. Egli viene del resto conosciuto come tale solo dalla voce di Gesù: è quest'ultimo che ha il monopolio della teo-logia, una teo­ logia le cui componenti sono essenzialmente «paterne» : Dio ha inviato il suo Figlio, è i l Padre di Gesù, ecc. Ma Ge­ sù non si limita a dire che Dio è SUO Padre, ma vive da Fi­ glio e il lettore è portato progressivamente a comprendere che la vita del Figlio rivela pienamente l'essere stesso del Padre: chi vede lui vede il Padre, perché il Padre e lui so­ no Uno ( 1 0,30}, perché il Padre è in lui e lui nel Padre 33, perché egli dice ciò che gli ha detto il Padre ( 1 2,50), per­ ché non fa niente da se stesso (8,28), perché tutto quello che il Padre possiede è suo ( 1 6, 1 5) , ecc. Il racconto fa in modo che non si possano più separare le parole Padre e Figlio e che Dio sia per sempre conosciuto e rivelato come il Padre di Gesù, Padre che ama fino al punto da manda­ re il suo unico Figlio. Q uesto è del resto ciò che il mondo

32 Segnaliamo per inciso un interrogativo sollevato dallo sviluppo narra­ tivo del simbolismo familiare in Gv 1 9-20: qual è il rapporto tra la nuo­ va famiglia creata da Gesù che muore (dà sua madre al discepolo predi­ letto) e quella di cui rivela la composizione dopo la sua risurrezione (Dio è nostro Padre e lui stesso è nostro fratello)? 33 Cfr. Gv 1 0,38; 14, 1 0. 1 1 ; 1 7,2 1 .

229

deye sapere di Dio, ciò che il discepolo deve prima di tut­ to manifestare (con l'amore fraterno), e il lettore deve far proprio! 34•

Figli o discepoli? La nuova relazione che si instaura tra Dio e i credenti sol­ leva un interrogativo, già posto a proposito di Paolo 35: d'ora in poi possiamo chiamare in verità Dio « Padre » , ma la re­ lazione tra il Padre e i figli sembra limitarsi a due attori, [!io e l'umanità. Avendo fatto il suo lavoro di mediatore, Gesù si fa quindi da parte? Egli stesso dice espressamen­ te il contrario: suo Padre e lui stesso prendono dimora nei credenti 36; Gesù non può essere esteriore alla relazione di filiazione che abbiamo con il Padre. Ma cosa ne è dell'altra relazione, tra Maestro e discepoli, sottolineata dagli altri evangelisti ? Si potrebbe pensare che Gv la tenga nascosta; altrimenti come comprendere l'ab­ bondanza del vocabolario familiare 37, che culmina con l'ul­ tima rivelazione del racconto, fatta dal risorto: il Padre mio è Padre vostro, e voi siete miei fratelli (20, 1 7) ? Se la mor­ te/risurrezione di Gesù amplia e conferma l'importanza strutturante del simbolismo familiare, il legame tra Mae­ stro e discepoli non per questo scompare. I commentato­ ri hanno sufficientemente analizzato l'episodio del cieco nato (Gv 9) come una descrizione dell'itinerario esempla­ re del diventare-discepolo perché lo debba a mia volta di­ mostrare. E nel suo discorso di addio Gesù non dichiara forse ai suoi che saranno riconosciuti come suoi discepo­ li dall'amore che avranno gli uni per gli altri ( 1 3,35)? E più

34

Il numero dei passi indica da solo un'insistenza poco comune. Gv 3, 1 7. 34; 4,34; 5,23.24.30.36.37.38; 6,29.38.39.44.57; 7, 16. 1 8.29.33; 8 , 1 6 . 1 8.26.29.42; 9,4; 1 0,36; 1 1 ,42.44.45.49; 1 3 , 1 6.20; 1 4,24; 15,2 1 ; 1 6,5; 1 7,3.8. 1 8.2 1 .23.25; 20,2 1 . Il tema dell'invio dei Figlio (o di Gesù) da parte di Dio è pratica­ mente assente, se non (e in maniera indiretta) nella parabola dei vignaioli omicidi; cfr. Mt 2 1 ,37 (apostello); Mc 1 2 ,6 (id. ); Le 20, 1 3 (pempo). 35 Cfr. , nel cap. I, il paragrafo intitolato Cristologia e attesa della fìne dei tempi (pp. 40-4 1 ) . 36 C fr. 1 4,23. Il verbo connota una presenza stabile, tutto il contrario di un'intrusione fugace . 37 I termini Padre e Figlio.

2 30

avanti: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» ( 1 5 , 8 ) . Il racconto non procede quindi per esclusione: il Padre non vuole sol­ tanto che noi siamo suoi figli, ci vuole anche legati al no­ stro Maestro, Gesù, e fino alla fine dei secoli , perché que­ ste affermazioni si applicano evidentemente al tempo del­ la Chiesa. L'essere-discepolo rinvia qui ndi a Gesù: i cre­ denti non possono essere discepoli gli uni degli altri, ma l'amore (agapè) che li lega dimostra che sono discepoli di Gesù : unico segno richiesto, la cui qualità deve dimostra­ re senza ambiguità l'identità di coloro che lo vivono o l'esprimono. Ma in che cosa tale relazione è ancora oggi essenziale? Ciò equivale a domandarsi a cosa serve il rac­ conto giovanneo: rileggerlo continuamente, nutrirsene, per diventare discepoli, questo è l'itinerario che propone. In Gv infatti viene tracciato un percorso del discepolo, che bisogna seguire, per vedere che cosa comporta: a comin­ ciare dalla fede senza riserve in Gesù (2 , 1 1 ; 6,60-7 1 ; 8,3 1 ), dall'imitazione ( 1 2 , 1 3- 1 5), l'amicizia ( 1 5 , 1 4), che suppone la conoscenza interiore, la gioia di essere insieme, per scambiare, dialogare. �'essere-discepolo non ha pertanto niente a che vedere con una dipendenza servile che favo­ risce l'infantilismo: si esprime con l'amore, che va di pari passo con la libertà. Ma, per fare ciò, il credente-discepo­ lo deve avere sempre davanti a sé il «come io vi ho ama­ ti » , che si può scoprire solo ripercorrendo l'itinerario di Gesù, con la lettura e la contemplazione: il racconto gio­ vanneo manifesta la sua ragion d'essere, essenziale, come si poteva sospettare. Anche su questo punto si ricollega ai sinottici. L 'escatologia

Dire che l'escatologia di Gv sia cfistologizzata è poco. Mol­ ti commentatori la vedono anche «realizzata» , nel senso in cui il Gesù di Gv dichiara che egli ha vinto il mondo 38 o che colui che ascolta la sua parola ha (già) la vita eterna (5,24). Certo, la sua passione è l'ora della prova, della di-

38 Gv 1 6,33 . Questa vittoria, che viene con l'ora del suo innalzamento sul­ la croce, può essere già annunciata come sicura da Gesù quando non è

stato ancora consegnato né giustiziato in croce.

23 1

spersione, delle tenebre 39, ma è finalmente quella della glo­ rificazione e quindi proprio quella della vittoria sulla mor­ te. Detto ciò, la vittoria già acquisita non sopprime il ruo­ lo di Cristo alla fine dei tempi, perché egli ha ricevuto dal Padre il potere di esercitare il giudizio (5, 22-30) e di risu­ scitare i credenti nell'ultimo giorno (6,54 ) Ciò che distingue l'escatologia giovannea è una _çJjstolo­ gizzazione delle sue componenti molto più forte ed espli­ cita che negli altri scritti neotestamentari. Quando Gesù dichiara: «lo sono la risurrezione e la vita » ( 1 1 ,2 5 ) , proce­ de in effetti per designazione (ed esclusione); l'espressione potrebbe essere tradotta così: « Sono io (ed io solo) la ri­ surrezione e la vita » . L'oggetto desiderato si identifica quin­ di con una persona. Ma la designazione non esaurisce la ricchezza dell'affermazione, che non equivale a: « Io sono colui p�r il quale viene la risurrezione, o colui che fa ri­ sorgere» . Gesù non dà soltanto (nel nome del Padre) la vi­ ta e la risurrezione come si possono dare degli oggetti ester­ ni a sé: è l'uno e l'al tro; il donatore e i doni sono una sola cosa: dona ciò che è, si dona e, ciò facendo, non può che dare la vita. Ecco perché Gv 1 9 doveva logicamente de­ scrivere la morte di Gesù come il dono della sua vita (co­ me la trasm issione del suo Spirito). Non si deve dimenti­ care anche che l'affermazione è al presente ( « io sono»); se la vita è quella stessa di Dio, vita eterna, il dono è infinito qualitativamente e temporalmente. L'osservazione è la stes­ sa per la risurrezione finale: l'oggetto coincide con il do­ natore, Gesù! Qui l'omologia con Paolo è forte, poiché Gv 6,54 invita a pensare che il credente risusciterà perché ha mangiato la carne di Cristo e bevuto il suo sangue; non può pertanto essere separato da colui che gli dà la propria vita. Risuscitare significa quindi essere trasformati da e in ciò che egli stesso è. La risurrezione è l'unione ultima e piena con Gesù. Come abbiamo visto nel capitolo I (p. 44), l'unica eccezione è Gv 5,29, che non va nella direzione di tutte le altre affermazioni giovannee relative alla risurre­ zione, ma riprende la dottrina apocalittica giudaica inter.

39 1 6,32. Il simbolismo delle tenebre è sviluppato molto sottilmente: cfr.

Gv (3,2); 9,4-5; l l , fO; 1,2,35; 1 3,30; 1 9,39; 20, 1 .

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testamentaria di unà risurrezione indifferenziata (per la punizione o la ricompensa eteme) 40 . C'è ancora un punto in cui, pur essendo fondamentalmente omologa a quella degli altri scritti neotestamentari 4 1 , l'esca­ tologia giovannea mostra la sua originalità: nel suo modo di trattare il tema del giudizio 4 2 . Infatti , a partire da Gv 7, più il racconto avanza, più descrive i suoi attori come i protagonisti di un processo, quello di Gesù , che è al tem­ po stesso quello del mondo: accusato, accusatori, capi d'ac­ cusa, difensori, testimoni, giudice, audizione, condanna, esecuzione della sentenza; c'è tutto. La vita di Gesù è il tempo del giudizio, dell'ora escatologica dove l'uccisione di colui che è la vita si trasforma in vittoria definitiva sul­ la morte. Con Gv il giudizio escatologico è quindi intera­ mente cristologizzato. La rivelazione secondo Gv

Dalle rappresentazioni della fine dei tempi possiamo pas­ sare al modo in cui il narratore giovanneo descrive la ri­ velazione 43, poiché è l'attesa giudaica della fine dei tempi (dell'eschaton) che ha favorito la letteratura che tratta del­ la rivelazione della sua venuta e delle sue modalità. Tutti i commentatori insistono sull'importanza del tema in Gv, e notano come esso sia fondamentalmente segnato dall�at� tore principale del racconto, Gesù 44, e costituisca per que­ . sto u no degli assi portanti del IV vangelo 45• Noi stessi ab­ biamo già visto come �� sù riveli la paternità di Dio suo 40

Più che un'affermazione propriamente giovannea, questo versetto mi sembra il testimone isolato (e aberrante) di un'apocalittica non ancora cristologizzata. 4 1 Nessuno degli scritti del NT presenta un'escatologia cosi «realizzata» . Venuta in gloria d i Cristo, giudizio finale e risurrezione finale dei corpi sono ancora futuri; ma, secondo i bisogni, gli scritti insistono di più o sul già (il già ricevuto) o sul non ancora. 42 Gv insiste sul fatto che il principe di questo mondo è stato giudicato e condannato senza appello (cfr. Gv 1 2,3 1 ; 1 6, 1 1 ) . Ma l'affermazione af­ fiora anche nei sinottici (almeno in Le; cfr. Le 1 0, 1 8; 1 1 ,20) . 43 In greco, apokalypsis, cioè svelamento, messa in luce di qualcosa di na­ scosto, da cui il termine «apocalisse» , che designa contemporaneamente la rivelazione stessa e il tipo di scritto che la fa conoscere. 44 Fenomeno che ho chiamato «gesuologizzazione» . 45 È nota l a posizione d i Bultmann, secondo i l quale Gesù è u n rivelato·

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Padre e la s.ua stessa filiazione. Abbiamo ugualmente se­ gnalato il progresso di questa rivelazione, con il suo pun­ to culminante, la croce ; è possibile del resto seguirlo attra­ verso le diverse testimonianze e il chiaro contesto giudi­ ziario dove acquista una colorazione ufficiale. Qui notia­ mo soltanto l'importanza del vocabolario della rivelazione in Gv, le numerose volte in cui Gesù dice di essere venuto per dare la luce (23x), per testimoniare (33x), dire la verità (2 Sx), ecc. 46• Parecchi termini possono descrivere adeguatamente il mo­ do in cui Gv «gesuologizza, il tema: cammino, luce, verità e parola 47• Gli esegeti hanno sottolineato l'identità tra la p�rola di Gesù e quella del Padre: «La parola di Gesù non è altro che la parola del Padre: totalmente ricevuta, viene anche integralmente trasmessa: essa ci fa scoprire insieme il Padre, dal quale proviene e il Figlio, che ce la rivela iden­ tificandosi con essa» 48 • Anche se Gesù non dice, sulla scia ,

re. Cfr. la sua Theologie des NTs, Ttibingen 4 1 96 1 , 4 1 8.420. L'esegesi nel suo insieme non condivide più questa posizione. Ma non bisogna di­ menticare che essa fu formulata per superare le difficoltà sollevate dall'ese­ gesi riduttrice che si faceva allora della vita di Gesù. 46 Cfr. anche le parole testimonianza ( l 4x), conoscere (ginoskein 56x; ei­ denai 24x), vedere o contemplare (theasthai 6x; theorein 24x; horan 3 1 x), sentire (58x). Dato il contesto di rivelazione, certamente ci si meraviglierà del fatto che in Gv non si incontrino due termini che nella letteratura giu­ daica di allora l'esprimevano: il sostantivo apokalypsis non appare in Gv (solo in Ap 1 , 1 ); quanto al verbo apokalyptein, viene usato solo una vol­ ta, in Gv 1 2 ,38, ma si tratta di una citazione di Is 53, t («A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?»), seguita immediatamente da quella di ls 6, 1 0 («ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore. . . ,, ), dove si sottolinea l'accecamento in cui sono stati immersi i correligiona­ ri di Gesù. Evitando la radice apokalypt- , il narratore ha voluto senz'al­ tro mostrare che la rivelazione operata da Gesù andava intesa non come un'iniziazione ai segreti divini per pochi privilegiati, per mezzo di visio­ ni o di un rapimento in cielo (cfr. le Apocalissi intertestamentarie), ma come una manifestazione aperta, comunicabile a tutti. 47 Nella letteratura apocalittica, il termine «porta>> è ugualmente associato al vocabolario della rivelazione. Cfr. TestLevi 5, 1 ; 3Bar 2,5; 3, 1 ; 4Esd 3, 1 9; TestAbramo l t , l -5, che, come Mt 7, 1 3- 1 4 e Le 1 3,23-24, associa il tema delle porte celesti a quello della via (una stretta, presa dai giusti; l'altra spaziosa, presa dai peccatori); ugualmente Ap 4, 1 . Detto ciò, in Gv 1 0, 1 .2 .7.9 la porta non sembra avere una funzione «rivelatrice)), come nei testi apocalittici citati. 48 I. de la Potterie, «Le Christ comme figure de révélation d'après Saint Jean)), 67. Cfr. Gv 7, 1 6- 1 7; 1 2 ,49-50; 1 4, 1 0.

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del Prologo, che egli è «LA Parola», dichiara di essere «la lu­ · ce» , «la via» , «la verità» , in altre parole, la rivelazione per · "eccellenza. Le osservazioni fatte a proposito dei titoli «ri­ surrezione» e «Vita» valgono anche per questi; l'articolo implica un'identificazione stretta ed esclusiva: Gesù è tutta la verità, tutta la luce, l'unica via: non solo la rivelazione non è concepibile senza di lui o inseparabile da lui, ma è to­ talmente contenuta in lui . Ciò vuoi dire pertanto che tutte le rivelazioni anteriori alla sua venuta erano già in rap­ porto con lui e perfino incluse in lui. La storia della rive­ lazione diviene così interamente cristologica. Il lettore per­ cepisce, lo spero, le conseguenze di questi titoli, enuncia­ ti apoditticamente da Gesù stesso. Ci ritornerò sopra nell'ul­ tima parte di questo saggio. Questi titoli potrebbero far credere che Gv faccia di Gesù un essere etereo, sfumato, oscillante tra cielo e terra; ma non possono essere interpretati avulsi dal resto del rac­ conto giovanneo, che dà loro carne e insiste tanto sull'uma­ nità di Gesù, perché è in essa che Dio si rivela. È sufficiente ricordare qui l'importanza del termine «uomo » (anthro­ pos) 49 in tutto il macro-racconto 50: «Ve n i te a vedere un uo­ mo che mi ha detto tutto quello che ho fatto» , annuncia la samaritana ai suoi compatrioti (Gv 4,29); e i farisei al pa­ ralitico: « Chi è quest'uomo che ti ha detto prendi il tuo let­ tuccio e cammina?» (5, 1 2- 1 3); le guardie inviate dalle au­ torità religiose per arrestare Gesù se ne tornano senza di lui e confessano: «Mai un uomo ha parlato come parla que­ st'uomo! » {7,46); ecc.51 • La serie termina con la scena del­ l'ecce homo : «Ecco l'uomo ! » , dice Pilato ai giudei, presen­ tando loro Gesù flagellato. Verità profonda, perché nel ve­ derlo po�iamo contemplare l'umanità ferita e straziata dal-

49 n sostantivo anèr è utilizzato solo due volte e designa lo sposo o il ge­

nitore ( 1 , 1 3 e 4, 1 6). 50 Questo inizia anche prima del racconto, nel Prologo, con la testimo­ nianza di Giovanni Battista: «dopo di me viene un uomo che mi è pas­ sato avanti )) ( 1 , 1 5). 5 1 Cfr. Gv 8,40; 9, 1 1 .33; 1 0,33 («tu, che sei uomo, ti fai Dio• dicono i giu­ dei a Gesù); 1 1 ,47 .50; alla lista va aggiunta l'espressione «tu sei un figlio d'uomo )) di 5,27, perché non è un titolo, a differenza di Gv 9,35 («il figlio dell'uomo))), dove è netta l'allusione a Dn 7, 1 3- 1 4. Su questi passi, si ve­ da I. de la Potterie, « Le Christ comme figure de révélation d'après Saint Jean•, 53-57.

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la menzogna e dal rifiuto, ma anche l'umanità di Dio 52 • Dio e l'uomo non sono mai stati così uniti in questo Gesù. So­ no anche uniti per sempre! È quest'uomo, non un altro, che ci rivela la gloria e la signoria di Dio. Ancora una vol­ ta il racconto evangelico si mostra indispensabile: senza questi episodi potremmo noi progressivamente far nostre (nel vero senso della parola) le vie che Dio ha voluto in­ traprendere per salvarci? Diversità e unità D IV vangelo ha confermato l'importanza dei racconti bio­

' grafici per la strutturazione del Nuovo Testamento. Il ter: mine «gesucristologizzazione» esprime bene, nonostante la sua poca eleganza, le due componenti di questo proces­ so: (i) una cristologizzazione dei diversi campi del discor­ so teologico, (ii) essa stessa sempre più determinata da tut­ ta l'esistenza di Gesù . Gv è a questo riguardo sintomatico. Ho infatti segnalato, all'inizio di questo capitolo, come gli esegeti siano oggi sensibili all'evoluzione della comunità giovannea per analizzare e interpretare gli scritti nati in seno ad essa. Questo tipo di ricerca è essenziale - inevita­ bile, come si dice oggi -, ma non spiega perché le difficoltà interne ed esterne incontrate dalla comunità (defezioni, esclusione dalla sinagoga, eresie, nascita dello gnosticismo) siano state sistematicamente integrate dal narratore gio­ vanneo nel racconto del ministero e della morte di Gesù, al punto da diventare una profezia delle prove incontrate dalla Chiesa nella sua storia: una simile «retroiezione» non può accontentarsi di una spiegazione (soltanto o princi­ palmente) descrittiva e storica. Nonostante i punti di accordo fondamentali (le omologie) tra i sinottici e Gv sulla funzione strutturante del simboli­ smo familiare e della relazione Maestro-discepolo, è ne�

52 Questa scena dimostra chiaramente come la flustrazione di non poter possedere l'altro arriva fino alla violenza nei suoi riguardi, e spesso per­ sino alla sua soppressione; l'uomo mutilato, l'uomo schernito sono l'im­ magine opposta dell'idolo, il segno di un fallimento, perché si arriva a umiliare ciò che non si è potuto possedere o ammansire. L'uomo umi­ liato di Gv 1 9,5 è per ciò stesso rivelazione di Dio, che, in lui, si fa con­ templare e attira senza sedurre.

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cessarlo interrogarsi sul modo in cui il IV vangelo presen­ ta la morte di Gesù: se Mt/Mc insistevano come Paolo sul­ la solitudine, il rifiuto, lo scandalo che essa provocava, Gv vede in essa la glorificazione del Figlio 53• Ma la sua de­ scrizione degli ultimi momenti di Gesù, ieratico al punto da ignorare i nemici e gli oltraggi, non nasconde forse lo scandalo? A dire il vero, Gv non nasconde né tace gli ol­ traggi, le grida, le ingiurie, i colpi, ma li conserva per la com­ parsa davanti al governatore: la scena dell'ecce homo ne co­ stituisce senza alcun dubbio l'apice. Lo scandalo è sempre lì: Gesù è muto, davanti ai suoi oppositori; colui che si è definito il Messia, il Figlio di Dio, sta per morire per ciò che ha affermato di essere e che gli altri rifiutano di rico­ noscere: «Deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» ( 1 9,7). Gv non tace questa morte, anzi presenta proprio un Mes­ sia crocifisso «scandalo per i giudei e follia per i greci » . Dopo tutto, la risposta degli oppositori che ho citato sup­ pone uno scandalo ancora più grande, perché la cristolo­ gia «alta» di Gv rende semplicemente insostenibile la mor­ te di Gesù: se egli fosse stato (soltanto) un profeta, sareb­ be stata, sì, una grande disgrazia, ma non sarebbe stato il primo a soffrire così 54• Ma Gesù si è proclamato il Figlio di Dio, e se, come crediamo, lo è veramente, il mistero si fa àncora più fitto: egli ha accettato di passare attraverso tut­ to questo, e Dio non si è mai rivelato tanto quanto in que­ sto uomo crocifisso! La narrazione degli eventi del Calvario fatta da Gv non elu­ de la difficoltà, ma è quella di un credente che vede come, al di là - e al di qua - dei fatti, si compiano le figure: l'Agnel­ lo pasquale, il Tempio nuovo da cui scaturisce l'acqua che dona la vita eterna. . . Il suo racconto non ha niente di un resoconto, è una rilettura di fede, che, come tutte le rilet­ ture, fa eme rgere il significato conservandone solo degli aspetti importanti, in breve discernendo e d�lineando un percorso. Ciò facendo, il racconto giovanneo della morte di Gesù non pretende di sostituirsi agli altri modelli di let-

53 Le resta a metà strada: da una parte Gesù totalmente fiducioso e sicu­ della protezione di Dio suo padre, dall'altra i passanti c le aut orità lo scherniscono e l'oltraggiano (come in Mt/Mc). Solo dopo la sua morte 1i

ro

opera un capovolgimento.

54 Cfr. Mt 23,29;

Le 1 1 ,48.

237

tura scelti dai sinottici; al contrario, ne ammette implici­ tamente la necessità, perché l'interpretazione è sempre plu­ rale, e ciascuno percepisce solo uno dei molteplici aspetti del mistero. Per essere veritiero, il racconto giovanneo do­ veva riconoscere che una testimonianza è necessariamen­ te pa rziale: «Gesù operò molti altri segni che non sono sta­ ti scritti in questo libro,> (20,30). Nel momento stesso in cui manifesta il carattere e la funzione del proprio rac­ conto, il narratore ne indica i limiti: gesto che conferma l'affidabilità della sua opera. LE LErrERE

Le lettere riflettono certamente le tensioni che aveva forse provocato la cristologia «alta» nella comunità giovannea 55• Come avrebbe potuto infatti il Verbo eterno di Dio, il Fi­ glio onnipotente, passare attraverso le umiliazioni della fla­ gellazione, della crocifissione e la morte? Per alcuni mem­ bri della comunità, il Ges·ù che aveva sofferto sotto Ponzio Pilato non poteva perciò essere il Verbo o il Figlio. Come si può vedere, queste difficoltà spiegano la problematica fortemente cristologica delle lettere giovannee: tutto ruota_ attorno alla confessione gesucristologica (l'uomo Gesù è il Cristo; sì, proprio quest'uomo è il Figlio di Dio 56) e al suo opposto ( il rifiuto di credere nella venuta di Gesù Cristo nella carne, 2Gv 7). Si può valutare facilmente, leggendo questi biglietti, quale fosse la posta in gioco degli interro­ gativi e, di conseguenza, l'insistenza posta da Giovanni sull'umanità del Verbo di vita 57: i credenti innanzitutto non

55 Il racconto (Gv) molto probabilmente fu scritto prima delle lettere, co­ me ammettono nell'insieme i commentatori (cfr. quello di R.E. Brown su 1 -3 Gv nella collana Anchor Bible [tr. it., Assisi 1 986], dove si può trova­ re uno status quaestionis completo). Per il mio scopo, l'anteriorità del rac­ conto o delle lettere (il racconto avrebbe allora lo scopo di rimediare o rispondere ai problemi riflessi in 1 -3 Gv) non ha importanza. 56 Cfr. 1 Gv 2,22 ; 4, 1 5; 5,5. 57 Cfr. il magnifico esordio di l Gv: « Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, os­ sia il Verbo della vita . . » . .

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devono lasciarsi fuorviare dagli anticristi 58, cioè da coloro che rifiutano di credere che l'uomo Gesù possa essere il Fi­ glio unico di Dio, inviato nel mondo per la nostra salvez­ za. La gesucristologia diventa così il criterio dell' apparte­ nenza alla Chiesa: « Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non saluta­ tela» 59 • A differenza di quanto ho fatto per le altre lettere, non pas­ serò in rassegna i campi teologici che l'autore di 1 -3 Gv ha cristologizzato 60, né mostrerò la funzione strutturante del simbolismo familiare 61 ; il lettore potrà verificare tutto que­ sto personalmente. Il risultato della ricerca sarà del resto equivalente: in 1 -3 Gv la cristologizzazione è anche più estesa che nelle altre lettere del NT, perché, forse per la prima volta, le difficoltà cui ci si trova di fronte sono prin­ cipalmente gesucristologiche. Queste difficoltà sono di enorme interesse per il seguito della nostra riflessione. E, con molti storici delle origini cristiane bisogna forse ammettere che la gesucristologia «alta» degli scritti giovannei ha ulteriormente accresciuto il divario già esistente tra i discepoli di Gesù e le autorità giudaiche. Se Paolo parlava soprattutto dello scandalo di un Messia crocifisso, la gesucristologia giovannea, facen­ do del Nazareno non soltanto il Messia, ma il Figlio eter­ no, il Verbo, la Luce, la Risurrezione, ha certamente raffor­ zato, agli occhi del giudaismo, la convinzione di bestem­ mia che il IV vangelo riporta fedelmente: «Secondo (la no­ stra) legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» (Gv 1 9 , 7) 62 • Certo, gli scritti giovannei non sono i primi rap-

58 Cfr. l Gv 2 , 1 8.22; 4,3; 2Gv 7. Certamente un'allusione allo stesso erro­ re bisogna vedere in l Gv 2,26. 59 2Gv l O. Giovanni non vieta i contatti, ma le relazioni che manifestano una vera e propria comunione di cuore e di fede. 60 Due campi lo sono in particolare: la soteriologia ( l Gv 2, 1 -2. 1 2.25; 3,8. 1 6; 4,9- 1 0; 5, 1 1 . 1 3.20), e l'etica in cui Gesù è al tempo stesso colui che do­ manda di amare e il modello dell'amore ( l Gv 2,3; 3,7. 1 6.23; 4, 1 1 ). L'esca­ tologia (cfr. la venuta dell'anticristo), ( l Gv 2, 1 8; 4,3) e la pneumatologia lo sono anch'esse, ma in misura minore. 61 I n 1 Gv viene costantemente ripreso il legame tra il Padre, il Figlio e i fratelli (la fraternità si esprime con l'amore ricevuto da Dio per il Figlio). Da notare anche il motivo della nascita (essere nati da Dio, ecc.). 62 Cfr. già Gv 5, 1 8: «Proprio per questo i giudei cercavano ancor più di

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presentanti di una cristologia «alta» 63 , ma la sviluppano con una rara costanza. Ritorneremo sulle conseguenze di una tale cristologizzazione. L 'A POCALISSE

Nella lista dei libri neotestamentari quello dell'Apocalisse di Giovanni ( Ap) occupa l'ultimo posto per la semplice ragione che parla della fine dei tempi o di qualche cosa che vi somiglia 64; si comprende facilmente che ciò che trat­ ta della fine sia messo per ultimo. Ma l'interesse che la no­ stra ricerca trova in esso deriva soprattutto dalla cristolo­ gizzazione, che anima o pervade in profondità gli altri cam­ pi, in particolare l'escatologia, come si poteva facilmente intuire, ma anche la soteriologia, la pneumatologia, l'ec­ clesiologia, la teo-logia. =

Cristologia e teo-logia

Se il cielo è la dimora di Dio, allora la cristologizzazione della teo-logia inizia da quella del cielo. In questo spazio dove tutto si organizza intorno al trono divino, prende po­ sto Cristo, come si dice familiarmente: già questo indica le modifiche che la sua presenza fa subire alla teo-logia. Ve­ diamo come. La cristologia dell'Ap è molto ricca, perché vi si parla mol­ to di Gesù, di ciò che egli è, ha fatto, farà, ecc. Alcuni ti­ toli gli vengono attribuiti dal narratore, che li formula di

ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio » ; ugualmente l 0,33. 63 Cfr. il cap. l, sulle lettere paoline. 64 All'inizio di questo capitolo (nota 4) ho menzionato lo studio di E. Cor­ sini, secondo il quale Ap non descrive la fine del mondo. Anche se Cor­ sini avesse ragione, bisognerebbe ancora mostrare (egli non l'ha fatto suf­ ficientemente, e questo non ha facilitato l'accoglienza della sua tesi) per­ ché l'autore di Ap utilizzi un simbolismo e una drammatica (soprattutto in Ap 1 7-2 1 ) che fanno giustamente credere al lettore (anche buon co­ noscitore delle apocalissi intertestamentarie) che si tratta effettivamente della fine dei tempi.

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p�opria iniziativa 65, o perché Cristo glieli ha dettati 66, o perché li ha sentiti dalla voce celeste, dagli angeli e dagli abitanti del cielo 67 o addirittura dai nemici vinti 68• Il tito­ lo di Agnello è utilizzato più degli altri e ricorre lungo tut­ to il libro 69• Dato che il mio scopo non è quello di presen­ tare la cristologia dell'Ap, quanto piuttosto di indicare la sua funzione strutturante, mi limito qui a segnalare che è Gesù stesso che abbozza la cristologia « alta)), come mostra la visione inaugurale e gli indirizzi (alle sette Chiese) che

65 Cfr. l'introduzione (Ap l , 1 -8), soprattutto il v. 5: Gesù è « il Cristo, il te­ stimone fedele, il primogenito tra i morti, il principe dei re della terra>> . In 1 9, 1 3, il narratore dice di Cristo in una formula densa: «e il suo nome è Verbo di Dio», indicando forse cosi che il titolo non proviene da lui, ma che l'ha sentito pronunciare dagli abitanti del cielo. 66 Cfr. gli indirizzi alle Chiese, dove Cristo dice sette volte a Giovanni: «scrivi, cosi parla ... » . Seguono le qualifiche che egli si dà: «io sono il Pri­ mo e l'Ultimo>> 1 , 1 7; « il vivente» 1 , 1 8 , «colui che tiene le sette stelle nel­ la sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro» (2, 1 ), > . 3 M i permetto di citare ancora i l passo corrispondente d i Unity and Di­ versity: « La nostra domanda di base è la seguente: c'è un filo che unifica il cristianesimo primitivo e permette di identificarlo come tale? ... C'era una diversità di fede e di prassi? - diversità interna all'unità, diversità in­ torno al centro unificatore? . . (p. 6). 4 J.D.G. Dunn, Unity and Diversity, 372 . Queste forme sarebbero le se­ guenti: un cristianesimo giudaico, un cristianesimo ellenistico e un cri­ stianesimo apocalittico. Ogni forma avrebbe la sua confessione di fede, il suo culto e la sua organizzazione. Queste tre forme sembrano essere andate verso un certo protocattolicesimo, visibile in ciascuno dei diversi insiemi. .

»

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riducibile, tra i diversi libri del NT: l'escatologia degli uni è più «realizzata» di quella degli altri, ma la loro struttu­ ra resta la stessa, la tensione tra il «già qui » e il « non an­ cora » non scompare: la risurrezione finale è più che mai oggetto di speranza! Abbiamo anche visto che Giacomo e Paolo non sono gl i opposti rappresentanti di u na giustizia per le opere e di una giustizia per la fede, che Matteo e Paolo non hanno posizioni così opposte come a volta si di­ ce circa il ruolo sahifico della Legge . . . Il fatto che tra i di­ versi libri ci siano omologie non implica che la loro eccel­ siologia o la loro etica siano le stesse, ma soltanto che le relazioni si articolano in maniera analoga in ciascun in­ sieme. È importante anche definire il livello delle omologie e di­ scernere quali, delle differenze o delle omologie, prevalga­ no in un determinato insieme. Allo scopo di precisare que­ sta affermazione riprendiamo le scene evangeliche ai pie­ di della croce. Abbiamo visto lì che i modelli seguiti dai quat­ tro racconti sono sensibilmente diversi. Mc/M t riprendono fedelmente quello del fedele ingiustamente perseguitato, abbandonato da tutti e, apparentemente, da Dio stesso; i nemici sono lì che ridacchiano, minacciano, e vedono nel­ la passione dell'uomo crocifisso la prova che il suo mes­ saggio e la sua vita sono falliti. Riprendendo gli elementi della struttura precedente, Le li utilizza per i suoi fini: met­ tere in evidenza la totale fiducia in Dio del giusto perse­ guitato, al punto che il suo atteggiamento permette alla grande maggioranza degli attori di riconoscere, a gradi di­ versi, la sua giustizia e abbozzare un camm ino di penti­ mento. In Gv i nemici sono tutti scomparsi e di Dio non si fa menzione, perché Gesù, in posizione divina, crea una nuova famiglia e trasmette lo Spirito5• Ma queste differenze sostanziali, grazie alle quali i narratori possono presenta­ re parecchie facce di un mistero che resta opaco nono-

5 Le opposizioni tra i racconti sono chiare, in primo luogo perché gli at­ tori non hanno gli stessi ruoli: presenza/assenza di nemici; Dio silenzio­ so/Dio Padre che accoglie suo figlio/ Dio non menzionato; Gesù senza rapporto con quelli che sono intorno a lui (perché tutti nemici)/Gesù che parla ai suoi amici, che sono lì accanto a lui. Queste differenze culmina­ no nell'interpretazione della morte stessa: senza connotazione salvifica da una parte (sinottici), salvifica dall'altra (Gv).

25 Q

stante i modelli a partire dai quali lo rileggono e l'inter­ pretano, si basano nondimeno su tre omologie soggiacen-= ti: (i) Gesù resta saldamente ancorato a Dio, fino alla mor­ te 6, (ii) non grida vendetta né esige la punizione di coloro che lo hanno condannato, (iii) questa morte non è l'ultima tap pa del cammino, perché Dio l'ha risuscitato e glorifica­ to. E su questa solida base comune che i tre, o quattro, mo­ delli biblici possono funzionare come griglie di lettura coe­ rente, nonostante le loro differenze. Di conseguenza i racconti neotestamentari hanno proget­ ti differenti, cristologie differenti; non sviluppano tutti una vera a propria pneumatologia. Così anche la loro ecclesiO.: logia non considera allo stesso modo il rapporto (o l' as­ senza di rapporto) delle comunità cristiane con l'Israele che ha respinto il vangelo. È vero che sulla questione del­ le omologie tra cristologie io e Dunn aniviamo alle stesse conclusioni: i diversi scritti (lettere, racconti o Ap) non se­ parano mai il Cristo dall'uomo Gesù 7• Abbiamo anche vi­ sto che, con Gv e Ap, più la cristologia è in essi «alta » , più forte è l'insistenza sull'uomo Gesù: è nel Nazareno, sì, pro­ prio in quest'uomo, che si rivela definitivamente la gloria di Dio Padre! Ma le omologie non si fermano lì . Tutti i rac­ conti sottolineano il tipo di messianismo voluto da Gesù, il suo desiderio di servire e di vedere i suoi discepoli ser­ vire, con questa frase che ben riassume il suo modo di es­ sere: «Chi tra voi vuole essere il più grande, si faccia il più umile ! » . Tutti segnalano anche il dovere di aiutare e di ama­ re il fratello continuamente, la misericordia e il perdono. Ma ho creduto doveroso insistere su due altri punti in cui forti sono le omologie tra i racconti evangelici : (i) la sali­ ta verso Gerusalemme, durante la quale Gesù annuncia il rifiuto cui andrà incontro, le sue sofferenze, la sua morte,

6 Tutta la logica dei motivi mostra che il «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» di Gesù in Mt/Mc dev'essere interpretato come la do­ manda di un uomo fedele a Colui di cui non comprende l'agire, e non co­ me un grido di disperazione. Oltre ai commentari, cfr. Aletti, « Mort de Jésus et théorie du récit )) , RSR 73 ( 1 985) 1 48- 1 5 l . 7 Ciò che io stesso ho chiamato la componente «gesucristologica». A ra­ gione Dunn nota anche che gli scritti neotestamentari sottolineano a lo­ ro modo l'unità tra Cristo che incontriamo e nel quale ora crediamo e il Gesù di Nazaret. Cfr. Unity and Diversity, 37 1 .

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durante la quale egli descrive anche l'itinerario del di­ scepolo che desidera camminare con lui 8; (ii) il modo in cui ogni narratore determina lo status e la funzione del proprio scritto9• Ho del resto legato questi due punti alla costruzione dell'essere-discepolo, indicando come, ciò fa­ cendo, i racconti avevano in parte risposto alla domanda circa il tipo di presenza di Gesù risorto alla sua Chiesa. Non ho ripreso sistematicamente, per apportarvi delle sfu­ mature o criticarlo, lo studio di J.D.G. Duno, che, a pro­ posito di quelle che egli chiama le diverse forme di cri­ stianesimo, confronta i tipi di ministeri , la vita sacramen­ tale, il rapporto delle Chiese con la Legge 1 0 , ecc. Mi è sem­ brato più vantaggioso e più proficuo un altro percorso, che arrivasse alle radici stesse dei diversi discorsi. Avevo di me­ glio da fare che costruire la mia esposizione unicamente o principalmente benedicendo o contestando quella degli al­ tri ! Certo, non ho trattato in modo esauriente le diverse omologie - e quindi le differenze - tra i libri del NT 1 1 , ma quelle che ho esaminato, a proposito di Giacomo e di Pao­ lo, di Paolo e di Matteo, mi sembrano le più rappresenta­ tive degli spostamenti operati dall'esegesi in questi ultimi decenni. e

8 Gv gli fa corrispondere il discorso di addio (Gv 1 3-1 7).

9 Questo vale anche per l'Ap, dove questa preoccupazione viene indicata

più volte: soprattutto Ap 1 , 1 -3 e 22, 1 8-2 1 . 10 In Unity and Diversity; 2 52 -257, si troverà anche un paragrafo sul rap­ porto Giacomo/Paolo. Duno ha ragione di dire che ci sono delle tracce {in ciò che Paolo dice nelle sue lettere a proposito degli altri superapo­ stoli) di un'opposizione, che arrivava forse fino alla « denigrazione)) , co­ me egli dice. Ma, che io sappia, Paolo stesso non ha mai detto che i di­ scepoli di Gesù di origine giudaica dovevano abbandonare completamen­ te la Legge. E non si troverà nessun autore neotestamentario che dica che la Legge mosaica (come sistema religioso) sia essenziale alla salvezza. È importante distinguere tra i conflitti che si rilevano negli scritti neote­ stamentari (e quasi tutti ne portano le tracce) e le omologie dei loro di­ scorsi in materia di soteriologia, ecclesiologia, ecc. 11 In particolare la questione dei ministeri. Ho soltanto ripetuto a questo riguardo che era falso opporre i carismi e i ministeri di « discernimento» o di «direzione», come se alcune comunità paoline avessero totalmente ignorato i secondi. Credo sia tempo di abbandonare le petizioni di prin­ cipio, poco scientifiche perché poco fondate. Non ho voluto perdere tem­ po nel ritornare su posizioni che mi sembrano superate.

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Altri tipi di strutturazione?

Forse non è inutile ripetere che la strutturazione gesucri­ stologica, pur essendo molto ampia, non si estende a tutti i livelli di discorso né ne descrive tutte le relazioni. Abbia­ mo, sì, costatato che la gesucristologia permette di espri­ .mere molte delle relazioni fondamentali esistenti d'ora in poi tra Dio e i riscattati: nel Figlio noi siamo figlie e figli; nel nuovo Adamo l'umanità nuova trova le sue radici e il suo avvenire; con lo Sposo la Chiesa è unita per sempre; da lui, Capo, essa dipende totalmente; con lui, il Pastore, essa va alle fonti della vita, ecc. Ma alcune relazioni, an­ che se essenziali , possono nondimeno essere espresse sen­ za il riferimento a Cristo: così è della Chiesa come popolo di Dio 12; dimora o tempio di Dio, tempio santo nel Signo­ re 1 3 • Certo, queste relazioni non sono create e allacciate senza Cristo14• Questi pochi esempi sono comunque istrut­ tivi, perché mostrano che gli scritti neotestamentari evita­ no un linguaggio pancristologico, saturo e che . perciò sca­ de nell'insignificanza. Bisogna pertanto distinguere tra la strutturazione delle relazioni e il discorso che la esprime. Pro­ babilmente non è sbagliato ricordare qui una buona vec­ chia regola di ogni semantica la quale vuole che, per fare senso, un discorso non deve - perché non lo può - dire tut­ to. Ho del resto ricordato di passaggio, nella prima parte di questo saggio, che non si può esigere da scritti che do­ vevano affrontare problemi diversi che sviluppino lo stes­ so tipo di argomentazione e insistano sulle stesse compo­ nenti. Ma la strutturazione gesucristologica che ho messo in evi­ denza è l'unica? E che ne è della struttura di alleanza, di

12 Abbiamo visto che il termine non è applicato alla Chiesa in Paolo, ec­ cetto in Rm 9,25 (che cita Os 2,25); ma lo è in l Pt 2,9- 1 0 (allusione allo stesso passo di Osea); ugualmente in Ap 8,4; 2 1 ,3. 1 3 1 Cor 3,9 . 1 6- 1 7; 2Cor 6, 1 6; Ef 2 ,2 1 . Ma Ap, riservando il tempio per l'an­ tica alleanza, lo dichiara soppresso alla fine dei tempi (Ap 2 1 ,22): la Chie­ sa non può perciò ricevere lì questo titolo. 1 4 Lo stesso fenomeno si ha nei vangeli, quando Gesù definisce i rappor­ ti nuovi senza necessariamente menzionarsi come fattore di relazione: « siate perfetti come il Padre vostro celeste»; «amate i vostri nemici» , ecc. Si ha allora cristologizzazione (al livello dell'enunciazione) non cristolo­ gizzata (al livello dell'enunciato).

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cui non ho praticamente parlato15, o ancora di quella che viene chiamata la matrice apocalittica del NT? E vero, co­ me dice A. Pau], che l'apocalittica giudaica ha mostrato il suo carattere interpretativo totale, trasponendo in cielo (di­ mensione verticale) il sistema di valori del giudaismo pq­ stesilico e dei punti di riferimento che implicava (tempio, sacerdozio, Torah e Scritture, monarchia) 16• E se si consi­ dera come apocalittica ogni rivelazione critica, che defini­ sce nuovi ruoli e una nuova mediazione (totale), allora l'an� nuncio del regno e di Gesù da parte di lui stesso sono en­ trambi apocalittici. Ma, così facendo, non si attribuisce al tenni ne «apocalittico» un'estensione massimale, il che gli dà automaticamente una comprensione minimale, a dir po­ co fiacca? Abbiamo anche notato che se da una parte il cie­ lo di Ap ha una evidente funzione interpretativa 1 7, dall'al­ tra non si trova in esso alcuna critica delle istituzioni e del­ le liturgie ecclesiali. ·Riconosciamo che il NT ha dei tratti apocalittici e che al­ cuni dei suoi libri (in particolare A p) riprendono questo sfondo, con le sue categorie e i suoi simboli assortiti. In l Cor 1 5 Paolo stesso dice ai Corinzi che l'annuncio della risurrezione di Cristo non ha alcun significato se non è pri­ mizia della nostra, se non c'è cioè risurrezione generale dei morti , che manifesta la vittoria di Dio sulla morte ( l Cor 1 5 , 1 2-34) 18• Ma il problema non per questo è risolto, per­ ché bisogna poi domandarsi se la credenza nella risurre­ zione dei morti fosse all'epoca un bene esclusivo della let­ teratura apocalittica, o se costituisse lo sfondo, del resto

15 Cfr. i racconti evangelici dell'ultima cena («l'alleanza nel mio sangue>>);

l Cor 1 1 ,25; 2Cor 3, 1 - 1 8; Gal 3, 1 5 . 1 7; 4,24; la parte centrale dell'«episto­ la >> agli Ebrei; Ap 1 1 ,29. A questi testi bisogna aggiungere tutte le di­

chiarazioni del protocollo d'alleanza o che fanno allusione ad essa, come Ap 2 1 ,7; Rm 9,25; l Pt 2,9- 1 0; ma anche episodi come Gv 2, 1 - 1 2 (Cana). 16 Per sistema, A. Pau] intende: (a) una concezione e una visione di Dio e del mondo e dei loro rapporti, (b) istituzioni diverse che riflettono que­ sta visione e assicurano il suo funzionamento sociale (tempio e sacerdo­ zio, Legge, monarchia), (d) con la loro evoluzione (continuità, disconti­ nuità, inizi, rotture, ecc.) che va nel senso di una morte del sistema o di una soprawivenza indefinita. Cfr. «De l'apocalyptique à la théologie» . 1 7 Dispone i n serie gli eventi vissuti dai credenti , l a morte salvifica d i Ge­ sù e tutte le figure veterotestamentarie. La rilettura è owia. 1 8 Cfr., supra , il paragrafo «Cristologia e attesa della fine dei tempi» del cap. I (pp. 43-46 ).

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essenziale, di alcune concezioni escatologiche 19, come quella dei farisei. Bisogna infatti distinguere tra le condi­ zioni di produzione e il prodotto, e soprattutto non ridur­ re il secondo alle prime. In altri termini, che l'apocalittica abbia creato le condizioni propizie all'annuncio del van­ gelo è molto probabile, anzi sicuro, ma ciò non significa che questo messaggio abbia ripreso le categorie apocalit­ tiche né che potesse esprimersi solo in termini apocalitti-. ci. Si obietterà giustamente che questa fine non può a sua volta essere descritta senza lo sfondo di giudizio, di vitto­ ria finale di Dio sul male e la morte. Ma queste credenze sono originariamente e unicamente apocalittiche? Essen­ do le discussioni su questo punto ancora abbastanza ac­ cese, preferisco attenermi a una posizione minima sicura. E anche se il vangelo non può essere annunciato senza la sua matrice concettuale, cioè l'apocalittica, bisogna consi­ derare che l'insistenza del NT è sulla cristologizzazione del­ le sue componenti . Non escludo perciò l'apocalittica, ma mi rifiuto di farne l'unico e forse perfino il motore principa­ le della riflessione degli autori neotestamentari . Ce ne so­ no in effetti anche altri . Arriviamo così al problema dell'influenza della tematica dell'alleanza sulla strutturazione del NT. Confrontati con l'AT, i libri in cui la tematica prevale sono poco numero­ si: l' «epistola» agli Ebrei mi sembra essere l'eccezione che confenna la regola. Ma l'approccio strutturale ci invita for­ tunatamente a non credere troppo frettolosamente che l'as­ senza di vocabolario implichi anche quella della struttura. Ciò che i testi riportano della relazione di alleanza 20 può riassumersi in poche parole: (i) la scelta gratuita di un po­ polo da parte di Dio 2 1 , (ii) la sua promessa di fedeltà eter­ na, (iii) le disposizioni relative ai destinatari, per entrare

1 9 Mi limito volutamente a questo aggettivo generico: infatti una creden­ za può uscire dal suo ambiente di origine e diventare un bene comune, con un conseguente allentamento dei legami originali. 20 Il tennine diathèkè significa «disposizione» . Ma J. Barr ci ha insegna­ to a non confondere tra il significato corrente, il significato etimologico, le connotazioni (spesso assiologiche), le designazioni, ecc. In Paolo, le connotazioni e i campi aperti dal termine sono diversi, anche se il signi­ ficato «disposizione» rimane. 2 1 n popolo è cosi chiamato possesso, eredità, popolo di Dio.

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in essa e restarvi 22• In realtà tutto il vocabolario della giu­ stizia, della giustificazione, suppone la relazione d'allean­ za, poiché rimanda alle condizioni volute da Dio per colo­ ro che Egli ha scelto o chiamati a una simile relazione. È ugualmente evidente che il simbolismo familiare si com­ bina con quello dell'alleanza, come mostra egregiamente la dichiarazione divina di Ap 2 1 ,7: «lo sarò il suo Dio ed egli [il vincitore della prova] sarà mio figlio» . Tuttavia, se questa relazione non è mai totalmente assente in numero­ si libri neotestamentari, si trova difatti inglobata nel sim­ bolismo familiare, anch'esso relazione di alleanza, che sup­ pone delle disposizioni, una totale fedeltà, l'amore, ecc. E dato che, nel NT, il simbolismo familiare è fortemente cri­ stologizzato, ritorniamo al nostro punto di partenza: se da una parte esistono parecchi tipi di relazioni strutturanti nel NT, dall'altra esse sono state tutte cristologizzate: ecco perché il motore della strutturazione neotestamentaria è e resta la gesucristologia, intorno ai due assi che ho segna­ lato sopra. In breve, non minimizzo né l'apocalittica né la relazione d'alleanza nel NT, ma far loro giustizia equivale a ricono­ scere la loro cristologizzazione. La crlstologlzzazione e Il canone del NT

Problemi di composizione L'ordine dei libri del NT (vangeli, Atti, epistole, Apocalis­ se) è una questione della generazione post-apostolica 23 • Man mano che venivano ricevuti, i libri furono collocati i n

22 Dopo E.P. Sanders, Paul and Palestinian Judaism, London 1 977, que­ sti due termini sono rimpiazzati da quelli, molto più chiari, di «getting

in» e «staying in>>.

23 Ma le generazioni che hanno definito la chiusura del canone neotesta­

mentario erano al tempo stesso consapevoli di non crearlo , semplicemente di ricevere i libri che lo componevano come regola di fede apostolica. In questo senso, c'è « interruzione simbolica», come dice J. Ansaldi, L'arti­ culation de la foi, de la théologie et des Ecritures, Le Cerf, Paris 1 99 1 , p. 1 24. Ciò non significa che si assolutizzi questa scrittura apostolica, ma che si riconosce in essa la nostra regola di fede, conformemente al pro­ getto stesso che si davano i diversi libri che compongono il NT.

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funzione del loro genere e del loro presunto autore 24• Al di là del suo aspetto congiunturale, questa classificazione, co­ me abbiamo notato, riflette una logica gesucristologica profonda. In effetti, l'attuale organizzazione del NT riflet­ te abbastanza bene quella del kerigma 2 5, che annunciava Gesù di Nazaret, nato, vissuto facendo del bene, morto sot­ to Ponzio Pilato, risorto (= vangeli), e ora Signore dei vivi e dei morti, guida della sua Chiesa (= epistole), e che verrà nella gloria (= Ap). In altri temini, (i) i vangeli rimandano al « passato» degli eventi unici, fondatori (la vita di Gesù, la sua portata salvifica), ma ugualmente emblematica per chi vuole essere discepolo di Gesù Cristo; (ii) le lettere si rivolgono alle Chiese nell' «oggi » delle loro speranze e del­ le loro prove, dei loro dubbi e dei loro progressi, fornendo loro dei criteri di discernimento, ricordando l'insegna­ mento e l'esempio del loro Signore, interpretando lo con l'autorità apostolica ricevuta da lui in persona; (iii) l'Apo­ calisse infine mantiene sveglia la dimensione «futura » , l'in­ contro con il Signore Gesù al quale i credenti sono invita­ ti come Chiesa 26 • Non va dimenticato neppure che le quattro «vite» di Gesù hanno un ruolo analogo ai libri della Torah nell'AT: Gesù annuncia e insegna la volontà di Dio nella sua perfezione, e mostra con tutta la sua esistenza come obbedire a que­ sta stessa volontà: vita e parole (o vita e comandamenti) di Gesù sono inseparabili e costituiscono la norma per eccel­ lenza proposta a chiunque voglia essere suo discepolo. L'attuale composizione del NT è quindi anch'essa cristolo­ gizzata, e, più che un fatto casuale o una felice coincidenza, bisogna vedere in questa disposizione una reale coerenza . . . gesucristologica, evidentemente.

24 Cfr. supra, pp. 24-27, le osseiVazioni fatte a proposito delle lettere pao­ line e della loro attuale classificazione. 25 Parallelismo rilevato da J.D.G. Dunn, Unity and Diversity, 29-30. 26 In questa classificazione mancano At e Eh. Gli Atti degli apostoli for­ mavano inizialmente un'unità con il II vangelo, ma sono stati separati, venendo così rafforzata l'unità dell'insieme formato dalle «biografie)) su Gesù. Nel NT, gl i Atti hanno una posizione analoga a quella che, nell'AT, hanno i racconti storici , chiamati «profeti anteriori,, dalla tradizione giu­ daica. Senza fare troppa violenza ai due blocchi (AT/NT), si possono co­ sì tracciare le seguenti analogie: Torah!vangeli; Gdc-2Re/Atti; Profeti/epi­ stole; altri scritti!Ap.

263

Unità

e

diversità

Possiamo così ritornare sulla questione dell'unità e della diversità del canone neotestamentario. Il meno che si pos­ sa dire è che l'unità del NT non si realizzò allo stesso mo­ do dell'Antico. Nel primo Testamento l'unificazione fu so­ prattutto realizzata grazie a una lunga serie di riscritture e, tenuto conto di questo processo, si può veramente. dire che la sua teologia è quella degli ultimi redattori. Certo, è importante cercare di capire quali furono le prime elabo­ razioni, anche se le nostre ricostruzioni restano aleatorie, ma, preso come tale, l'AT è il risultato di uno straordina­ .ri o lavoro di riprese. Il tempo di redazione degli scritti del jNT fu al contrario breve 27, e il numero di strati o di riscrit­ ture molto minore: la sua unificazione, se unificazione c'è, non è dovuta alle riscritture ma alla gesucristologia, cosa che penso di aver mostrato nel corso di queste pagine. Non è perciò il caso di ricominciare. Certo, l'unità del NT rimane discussa e da alcuni è anche rifiutata nettamente, perché vi vedono delle divergenze ir­ riducibili a tutti i livelli. Mi sembra di aver dimostrato che sui punti essenziali, le omologie tra scritti neotestamenta­ ri sono nette e che superano di gran lunga le differenze, che si comprendono molto bene come altrettanti tentativi, necessariamente diversi, per rispondere ai problemi af­ frontati da comunità di origine e cultura diverse. È vero che il vangelo è unico, ma ho indicato, a proposito delle lettere paoline, come andava intesa questa unicità 28• Pao­ lo non ha del resto mai escluso che l'unico vangelo possa diventare oggetto di parecchie formulazioni. La questione sulla quale è ritornato molte volte riguarda soltanto la com­ patibilità di queste formulazioni come pure i criteri che permettono di dichiarare conformi al vangelo i diversi an­ nunci e i loro rispettivi campi teologici. È qui che l'approc­ cio strutturale , con le omologie che eviden�ia, rende un enorme servizio. La diversità è, esattamente come l'unità, un fatto inn egabi·

27 All'inizio del II secolo tutto era praticamente finito. 28 Cfr. pp. 33-35. Il vangelo è unico nel senso che rinvia a un solo Gesù,

che è Cristo, Signore, Salvatore, e nel senso che tutte le sue formulazio­ ni non sono compatibili.

264

le. Ma quale conclusione se ne può trarre? Che forse l� di­ versità è la norma, come ripete J.D.G. Dunn1 29• Posso sot­ toscrivére questa affermazione a due condizioni : (i) Che per diversità non si intenda incompatibilità fondamentale tra. gli scritti. :.È importante infatti distinguere a quale li­ vello si situino le divergenze. Riprendendo l'esempio dei . racconti della :r:norte di Gesù, la loro lettura non permette di armonizzarli! e non bisogna in alcun caso farlo se non si Vuole mutilare la forza e la bellezza - perché anche que­ sto è impQJtante - della loro testimonianza. Ma queste di­ vergenze non i Ìnp ediscono agli stessi scritti di obbedire a delle profonde �omologie. (ii) Che la diversità non faccia ignorare o sfuggire i punti di unità senza i quali essa por­ ta alla più grande confusione. C'è infatti un modo di elo­ giar� la diversità che equivale in realtà ad accentuarla: «Cia­ scuno per sé e Dio per tutti », o: «Come norma del vange­ lo tu prenditi Matteo, io invece mi tengo Paolo. E vinca il migliore ! )) . Considerare in questo modo la diversità degli scritti neotestamentari equivale a privarla di quella unità che costituisce la sua ricchezza, come la linfa che passa at­ traverso il tronco per vivificare i rami . Si tagli pure il tron­ co, e se ne vedranno gli effetti ! Ciò detto, riconosciamo che nessuno dei discorsi teologici neotestamentari (cristologia, soteriologia, pneumatologia, ecclesiologia, ecc.)· è in se stesso normativa: solo insieme, come testimonianze multiformi 30 , essi rimandano allo stes­ so vangelo, che è sempre secondo Pi etro, Giacomo, Paolo o Giovanni . Saremmo più che handicappati se avessimo un solo racconto della vita e del ministero di Gesù ! Lo stes­ so sarebbe se avessimo solo le lettere paoline. Il percorso che abbiamo effettuato insieme dà un contenuto sufficien­ temente chiaro a queste affermazioni perché debba anco­ ra precisarle; mi limito ad aggiungere che il rispetto delle omologie tra i libri del NT mi sembra essere un criterio molto operativo per valere come (o al posto del) «Canone nel Canone» .

29 Unity and Diversity, 373 (ed anche altrove). 30 Unità non equivale mai a uniformità.

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Unificazione protocattolica? Voglio . infine ricordare l'obiezione avanzata da coloro che vedono l'unità del canone neotestamentario come il frutto del protocattolicesimo3 1 • È un dato di fatto che tutti i libri, spesso apocrifi, che non erano in accordo con la fede del­ le autorità ecclesiali di allora (II secolo), non fanno parte di quello che noi chiamiamo il Nuovo Testamento. Ma mi sono preoccupato proprio di confrontare gli scritti consi­ derati già come segnati dal protocattolicesimo (le lettere dalla prigionia, i racconti matteani o giovannei) con quel­ li considerati anteriori per mostrare come le differenze non siano essenziali, e che, al di là delle di fferenze, notevoli su certi punti, ciò che emergeva era la stessa testimonianza nella forza del vangelo. Che la Chiesa che ha riconosciuto il canone sia stata già istituzionalizzata è un dato di fatto, ma il confronto degli scritti del Nuovo Testamento con gli apocrifi, che restano para:testarnentari o non canonici, mi fa pensare che i nostri antenati nella fede non mancasse­ ro né di gusto né di discernimento. Per il mio scopo costato soprattutto che gli scritti tacciati in genere di protocattolicesimo hanno ben sottolineato l'im­ portanza del fattore gesucristologico per la fede e la vita delle loro Chiese. È sufficiente ricordare qui la lettera ai Colossesi , la cui argomentazione da un capo all'altro cri­ stologica non poteva che evitare di far cadere le Chiese lo­ cali nelle pratiche ascetiche che si prefiggevano di favori-

31 S. Schulz (discepolo di IGisemann), nel suo Die Mitte der Schrift, mi

sembra che ha ben descritto il protocattolicesismo (= PC) come veniva visto vent'anni fa. Il PC è una corrente del pensiero del cristianesimo pri­ mitivo, posteriore al paolinismo e al giudeo-cristianesimo, che si era co­ stituito in reazione allo gnosticismo nascente. Se ne individuano le pri­ me tracce in Col ed Ef, è già più elaborato in Mt, LdAt, Gv e Ap. Ecco alcune delle sue caratteristiche: (a) un'ellenizzazione del discorso cri­ stiano, (b) un'escatologia realizzata e spazializzata (la salvezza già pre­ sente e il cielo che prende il sopravvento sull'attesa finale del Cristo), (c) una storicizzazione della persona di Gesù e del suo messaggio (l'immi­ nenza della fine scompare e Gesù viene inserito nella storia globale), (d) una istituzionalizzazione della Chiesa (nascita dei ministeri ordinati, del magistero, dei sacramenti), (e) una moralizzazione del vangelo (insistenza sulle pratiche, le buone opere, i comandamenti). Per una comprensione più aggiornata del protocattolicesimo, cfr. M. Pesce, «La trasformazione dei documenti religiosi» .

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re l'accesso alle più grandi rivelazioni: quelli che stigma­ tizzano lo spostamento del protocattolicesimo verso le pra­ tiche ascetiche e moraleggianti, hanno compreso veramente che questa lettera, tacciata da essi di protocattolicesimo, va esattamente nel senso contrario? Gesucrlstologizzazlone e status del NT

Riprendendo le osservazioni fatte a proposito dei diversi libri, mi resta da ricordare che la gesucristologizzazione tocca direttamente lo status del NT. Ho già fatto notare che la seconda lettera di Pietro insi­ steva sulla necessità della testimonianza apostolica per ave­ re accesso alla conoscenza di Gesù Cristo e ho aggiunto: « questa testimonianza non è vera solo perché è apostoli­ ca, né perché ci rimanda al Gesù della storia, ma grazie al­ la congiunzione di questi due elementi : perché gli aposto­ li hanno visto e sentito Gesù, perché sono stati con lui, per­ ché hanno anche sentito la voce celeste che lo chiamava "Figlio prediletto". Basando la verità della testimonianza apostolica sull'essere-con-Gesù, Pietro riporta quindi le ge­ nerazioni future verso l'esistenza di Gesù. Ciò facendo, egli include nella regola di fede i racconti apostolici sui diver­ si eventi di questa esistenza» (pp. 1 1 5- 1 1 6 ). Ciò che vale per la 2Pt vale anche per il racconto matteano, la cui fi­ nale (28, 1 6-20) mira in parte a rendere noto il progetto: ri­ leggendo Mt i lettori credenti di tutti i tempi potranno sa­ pere ciò che Gesù esige da loro come discepoli, seguendo­ lo lungo tutti gli episodi viene dato loro di entrare nell'esi­ gente libertà dei discepoli. La finale di Gv (20,30-3 1 ) 32 dà ugualmente al libro il suo status di testimonianza e la sua ragion d'essere: suscitare la fede in questo Gesù di Naza­ ret che è il Cristo e il Figlio di Dio, questo Gesù che il let­ tore avrà imparato a conoscere e seguire grazie al raccon­ to di Giovanni . Ma è probabilmente in Ap che la gesucri­ stologizzazione manifesta chiaramente la sua importanza per la determinazione dello status del libro. Infatti, Gio­ vanni deve scrivere non soltanto perché un angelo glielo domanda ( 1 9,9), ma perché Cristo stesso gli ordina di seri3 2 Gv 2 1 ,24-25 va nella stessa direzione.

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vere quanto avrà visto (ed è il Cristo che egli vede), e det­ poi testualmente ciò che deve dire alle Chiese per risve­ gliarle, stimolarle e incoraggiarle 33• Se è Cristo stesso che detta, chi potrebbe contraddire, resistere? Non è tutto. Al­ la fine del racconto, Dio, l'autorità suprema, dice al veg­ gente di scrivere (2 1 ,5), e Cristo sigilla definitivamente l'au­ torità del libro, dichiarando che ad esso non dev'essere ag­ giunto né cancellato niente (22 , 1 8-20). Ma si vede perché: come potrebbe un libro scritto sotto la dettatura di Dio e di Cristo essere modificato da un'autorità umana? La cri­ stologizzazione (al tempo stesso come ordine di Cristo e come messaggio su di lui, essendo egli l'attore principale del film celeste) dà allo scritto la sua autorità definitiva. Proprio questo è quindi l'effetto della gesucristologizza­ zione dei diversi scritti neotestamentari : la Chiesa non de�· ve soltanto accoglierli come testimonianze preziose della sua origine, ma come regola della sua fede . Altri libri avrebbero indubbiamente potuto far parte del ca­ none neotestamentario. Senza soffermarci qu i sulle ragia� ni che hanno impedito la loro integrazione nella lista34, le osservazioni che abbiamo fatto dimostrano che i libri che vi figurano combinano apostolicità, gesucristologia e ge­ sucristologi zzaz ione 35. In breve, spero di aver mostrato l'im­ portanza degli ultimi due sia per la strutturazione del NT che per il suo status.

ta

LA CRISTOLOGIZZAZIONE E l SUOI PROBLEMI

La gesucristologizzazione ha pertanto una funzione strut­ turante, per gli attori che popolano i racconti e le lettere

33 Cfr. 1 , 1 1 . 1 9; 2, 1 .8. 1 2 . 1 7. 1 8; 3, 1 .7. 1 2 . 1 4.

34 Oltre all'etichetta apostolica e al contenuto, ha giocato un ruolo im­ portante anche il riconoscimento delle diverse C p iese: poiché gli scritti circolavano da una Chiesa all'altra, solo quelli riconosciuti da tutti come apostolici e conformi alla fede ricevuta dagli apostoli sono potuti entra­ re a far parte della lista. 35 C'è bisogno di ricordare che per gesucristologia intendo il discorso (qua­ lunque sia il suo genere: narrativo, epistolare, omiletico, apocalittico, si­ stematico) relativo a Gesù Cristo, e per gesucristologizzazione l'utilizza­ zione dell'argomento o del motivo (gesu)cristologico negli altri campi: teo-logia, ecclesiologia, etica, ecc.

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del NT, per i lettori e per gli scritti stessi, che devono ad essa (in parte} il loro status. Ma il NT è salvo nel sapersi principalmente strutturato dalla (gesu)cristologizzazione? Mettendo Cristo dappertutto, il discorso cristiano non per­ de in sfumatura e in incisività? Questa (gesu)cristologiz­ zazione non equivale forse anche a un'ipertrofia o a un'ido­ latria: la statura e il ruolo conferiti a Gesù dal NT rifletto­ no veramente ciò che egli è stato e ha voluto essere? Que­ sti interrogativi sono radicali, ma non intendo trattarli in niodo esauriente, perché già lo sono stati e continuano a esserlo. Gli specialisti sanno che faccio qui allusione a una disciplina chiamata teologia fondamentale . Tenendo conto del mio progetto, posso !imitarmi al presupposto di fede che è quello del cristiano (come lo sono io) : il Nuovo Te­ stamento si presenta come un' «attestazione della rivela­ zione ultima, definitiva e insuperabile di Dio, cioè del Van­ gelo di Gesù Cristo »36• Ciò nondimeno, mi propongo di ab­ bozzare rapidamente, più per interesse e passione che per onestà, il cammino che altri potrebbero fare.

Cristologizzazione e teo-logia I ndipendentemente da tutte le critiche avanzate alla cri­ stologizzazione posteriore al NT, dalle femministe 37 e da altri, che vedono in essa, a torto o a ragione, un recupero o uno sfruttamento della figura di Cristo per fare ingoiare

36 B. Sesboiié, «Essai de théologie systématique sur le canon des Écritu­ res» , in Ch. Theobald [ed.], u Canon des Écritures, Le Cerl, Paris 1 990, 535. 3 7 Cfr. supra, pp. 92-93. L'argomento gesucristologico può anche essere utilizzato a proposito dei ministeri ordinati. Cfr., ad esempio, un saggio recente sul ministero sacerdotale, dove a proposito di Ef 5,25-27, l'auto­ re conclude: «Consegnandosi quindi per la Chiesa Gesù ha manifestato il suo amore per essa. È un amore specificamente maschile, che affron­ ta il pericolo e protegge l'Amata contro l'avversario. Reciprocamente, la Chiesa manifesta un amore specificamente femminile, facendosi bella per il suo sposo. Il banchetto è la rappresentazione simbolica di questo scam­ bio d'amore tra l'agnello immolato e la sua sposa immacolata. Il presi­ dente del banchetto occupa li , di fronte all'assemblea, il posto del Cristo Sposo, che offre per l'umanità amata il suo corpo e il suo sangue. È quin­ di un essere maschile che deve presiedere l'eucaristia, sacrificio della nuo­ va alleanza» .

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ai credenti (e agli altri) le oppressioni, le ingiustizie, o le descriminazioni, c'è una prima domanda alla quale i teo­ logi e soprattutto i pastori non possono sottrarsi: come uti­ lizzare al meglio l'argomento (gesu)cristologico? Dove fer­ marsi? Ma questo interrogativo ne nasconde un altro, molto più forte: il processo di cristologizzazione e l'importanza data dal NT alla cristologia rispettano l'identità stessa di Dio? Parlare tanto di Cristo non ha impoverito il discorso su Dio? Non lo ha ugualmente reso insignificante? Non biso­ gna d'altra parte vedere in questo discorso cristologico in­ vadente uno schermo o un alibi che dispensa dal parlare di Dio ?38• Questo rimprovero affiora anche sotto la penna di esegeti per i quali gli studi contemporanei mettono trop­ po in evidenza la cristologia dei vangeli 39• E possibile mostrare, con molta precisione, che i vangeli e gli altri scritti del NT descrivono un Gesù che porta al Pa­ dre. Quale esegeta non sottoscriverebbe la seguente affer­ mazione di un filosofo stilla cristologia giovannea: «In quan­ tq rivelatore del Padre, il Cristo giovanneo scompare per aprire a Colui che egli non è. Egli è la verità solo in quan­ to è la via che conduce alla vita . . . In questa prospettiva, la mediazione eristica, anche se compresa come incarnazio­ ne della realtà divina, è tutto il contrario di un antropo­ centrismo, perché porta a ordinare l'uomo a Dio in un at­ to di disprezzo di sé>> ? 4 0 • Gesù è veramente Figlio in quan­ to viene dal Padre e conduce a Lui. Questo movimento che lo porta verso il Padre e nel quale ci porta con lui non im­ pedisce però al discorso gesucristologico di Gv di essere ancora più prolisso di quello dei sinottici. n nostro cam­ mino verso il Padre non avviene senza Gesù, ma seguen-

38 Cfr. l'osseiVazione di M. de Certeau in La faiblesse de croire, Le Seuil,

Paris 1 987, 1 1 5: «È stata segnalata molte volte, nella storia cristiana, la tentazione dottrinale che consisteva nel privilegiare il Figlio a detrimen­ to del Padre, quindi nel misconoscere il rapporto di Gesù con suo Padre . . . » .

39 Cfr. , ad es., J.R. Donahue, «A Neglected Factor in the Theology of Mark»,

JBL 101 ( 1 982) 563-594; l'autore riprende N. Dahl, «The Neglected Fac­ tor in New Testament Theology)) , Reflection 13 ( 1 975) 5-8. Giustamente questi autori insistono sul movimento che da Gesù porta a Dio: il pro­ blema di fondo in Mc (e nel NT, aggiunge Dahl) è teo-logico. -40 P. Valadier, Nietz,sche et la critique du christianisme, Cerf 1 975, 595.

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do e guardando Gesù, instancabilmente: è per il fatto che dimentica se stesso e perché questo dimenticare se stesso arriva fino alla croce, che egli attira gli sguardi senza se­ durre e, restando fissi su di lui, i nostri sguardi possono riconoscere grazie a lui che Dio è Padre. Il movimento di dimenticanza di sé del Figlio non può interrompere il di­ scorso gesucristologico; al contrario, perché è in lui e con lui, ma non senza di lui, che possiamo andare verso Dio e confessarLo come si deve. La prolissità giovannea in que­ sto campo non si spiega diversamente. Ed è per questa stes­ sa ragione che la critica di antropocentrismo mossa al­ l.a gesucristologia del NT non preoccupa un esegeta come me 4 1 , perché la trovo esterna al discorso che essa critica e al cammino senza ritorno che il NT propone.

Le obiezioni del giudaismo Se c'è un discorso che è stato tacciato di antropocentrismo e di etnocentrismo è certamente il discorso biblico, dove fin dall'inizio Dio si preoccupa dell'umanità dell'uomo - non è forse lui che domanda a Caino: che hai fatto di tuo fratel­ lo? - e si mostra pieno di amore geloso per il suo popolo. Ecco perché il giudaismo che cerca di essere fedele alla tradizione biblica rimprovera al NT, più che il suo antro­ pocentrimo, la sua versione del messianismo, a cominciare dalla sua presentazione del Messia. C'è certamente la difficoltà centrale, quella dell'identità che il NT riconosce a Gesù, e ben rilevata da C. Thoma: «Non sono i racconti sul Gesù prepasquale che costituiscono uno scandalo per i giudei, ma la fede cristiana in Gesù Cri­ sto» 42 • Infatti, secondo lui, l'affermazione che fa di Gesù il Figlio di Dio (in senso assoluto) costituisce l'unica pre­ messa veramente pagana operante nel NT, ed egli la vede coniata da Paolo, o almeno propagata da lui. In realtà i racconti concernenti il Gesù prepasquale sono molto più cristologizzati di quanto pensi Thoma. Ma una cosa è vera: ·

4 1 A dire il vero, la critica di antropocentrismo tocca soprattutto il con­

cetto di Dio diventato uomo (cioè l'incarnazione). 42 C. Thoma, Christliche Theologie des Judentums , Aschaffenburg 1 978,

1 86 [tr. ital., Teologia cristiana dell'ebraismo, Marietti, Genova 1 984].

27 1

se c'è un contenzioso, esso si situa al livello della gesucri­ stologia, anche se, nel giudaismo, sono molti quelli che di­ chiarano di non essere interessati a questo tipo di dibatti­ to, secondo loro interno al cristianesimo. Ciò che scandalizza di più un giudeo è il fatto che Paolo abbia potuto presentare un Messia senza Torah e che il cri­ stianesimo nel suo insieme ne abbia abbandonato l'osser­ vanza43, appoggiandosi in questo a Gesù stesso. Non è for­ se il NT che ha messo sulle labbra di Gesù tutte le dure espressioni pronunciate contro i farisei 44, con l'effetto di separare le tradizioni «cristiane» da quelle dei giudei e ren­ derle in de fini tiva nemiche? Non è forse la gesucristologia che ha favorito la separazione tra il profeta di Nazaret e il suo popolo, Israele? È auspicabile che, su questi punti del­ la storia, il dialogo, già esistente, progredisca, al fine di ar­ rivare a una visione sempre più rigorosa delle origini cri­ stiane, dell'ambiente vitale delle affermazioni di Gesù re­ lative alla Legge e della loro ripresa da parte delle prime comunità45 • Può darsi pure che al di là delle precedenti ragioni, il di­ scorso del NT, ripreso e ampliato dalla tradizione cristia­ na posteriore, non possa non infastidire un orecchio giu­ deo. Com'è possibile discutere e, nel migliore dei casi, dia­ logare con una Chiesa che si crede la vera erede delle pro­ messe fatte ad Abramo e afferma di poter, grazie allo Spi­ rito ricevuto, portare alla sua perfezione l'intenzione della Legge mosaica? 46• A queste reticenze, nate spesso dall'arra-

43

Non delle esigenze etiche, ma delle altre, che definiscono il gruppo re­ ligioso nella sua singolarità, e relative alle feste, alla purità e all'alimen­ tazione. Cfr. già, in At 2 1 ,2 1 , il rimprovero fatto a Paolo dai giudei di­ scepoli di Gesù e fedeli osseiVanti della Legge mosaica. 44 Mt 23; Mc 1 2,38-40; Le 1 1 ,39-52 ; 20,45-47; Gv 8-1 0. 45 F. Mussner, nel suo Traktat uber die Juderz [tr. it.: Il popolo della pro­ messa, Roma 1 982] (cap. 5 intitolato > , in P. Richards - J.C. Hurd (edd .), From Jesus to Paul (FS F.W. Beare), Waterloo, Ontario 1 984, 1 1 3- 1 26. STOCK K. , Boten aus dem Mit-Ihm-Sein. Das Verhiiltnis zwischen Jesus und den Zwolf nach Markus, Rome 1 975. STANLEY

28 1

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Ind ice

Joseph Doré Presentazione Introduzione l . Limiti del progetto 2 . La storia della redazione e i problemi che comporta 3 . L'approccio strutturale e la sua pertinenza 4 . L'occasione

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PARTE PRIMA Epistole

Capitolo primo Le lettere paoline . Una cristologizzazione diffusa

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VANGELO E CRISTOLOGIA D vangelo che è Cristo La morte d i Gesù in croce, cuore del vangelo Un'unica cristologia e un unico vangelo?

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CRISTOLOGIA E ANNUNCIO DELLA SALVEZZA L e molteplici dimensioni della mediazione I destinatari della salvezza e il loro status CRISTOLOGIA E ATTESA DELLA FINE DEI TEMPI Cristologia o apocalittica? Il giorno e l a venuta del Signore La risurrezione di Cristo e la nostra Le trasformazioni dell'escatologia CRISTO E IL DISCORSO SU DIO Cristo nel suo rapporto con Dio Dio e Cristo Cristo e lo Spirito

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di Cristo

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CRISTO E IL DISCORSO SULLA CHIESA La Chiesa corpo di Cristo I sacramenti di Cristo Cristo e i ministeri

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L'ARGOMENTO CRISTOLOGICO IN MORALE

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I motivi cristologici L'umanità nuova in Cristo

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CRISTO E LE

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CONCLUSIONE

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Capitolo secondo Le lettere paoline e le altre. Problemi di strutturazione



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SCRITTURE Alcune applicazioni Cristo, chiave delle Scritture Una presentazione paradossale

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LE LETTERE PAOLINE

Le argomentazioni Strutturazione a quali livelli? Le componenti strutturanti I campi simbolici

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LE PASTORALI

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I punti comuni I campi non cristologici In che modo Cristo è il fattore di unificazione?

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Giacomo e Paolo: divergenze irriducibili? L'insegnamento di Gesù e la sua influenza · LE LEITERE DI PIETRO E

DI GIUDA La cristologizzazione della l Pt La cristologizzazione in 2Pt e Giuda

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LA LETTERA DI GIACOMO

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Capitolo terzo Le piccole unità narrative. Tradizione sinottica e Atti degli Apostoli

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GESU E IL SUO DIO

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Da Dio a Gesù Da Gesù a Dio La cristologia indiretta

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CoNCLUSIONE PARTE SECONDA

L'elaborazione in forma di racconto e le biografie di Gesù Cristologia e gesuologia I racconti e il loro oggetto Quali cristologie? Le cristologie e la loro unità Dai micro-racconti ai vangeli

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LA STRUTTURAZIONE DELLE RELAZIONI

Gesù e l'urgenza delle decisioni Gesù, Israele e le sue istituzioni Gesù e quelli che vogliono seguirlo Cristologizzazione totale?

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l TESTIMONI DI GESU

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Una lettura cristologica delle Scritture Cristologizzazione più che cristologia Cristologizzazione dell'itinerario dei testimoni

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1 56 1 56 1 60 161

CONCLUSIONE

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Capitolo quarto Diversi vangeli e vangeli diversi. Studio di alcune omologie

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LA FINALITÀ E IL CARATTERE DEI RACCONTI

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Differenze fondamentali Differenti tipi di cristologizzazione

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MATIEO: GIUSTIZIA PER LA LEGGE?



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I diversi modi di affrontare la difficoltà La logica matteana

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RAGIONI PER UN'ELABORAZIONE IN FORMA BIOGRAFICA

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CONCLUSIONE

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Capitolo quinto La cristologizzazione degli scritti giovannei

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IL RACCONTO EVANGELICO Una cristologizzazione amplificata Cristologizzazione originale dei campi teologici Diversità e unità

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LE LETTERE

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L'APOCALISSE

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Cristologia e teo-logia Cristologizzazione dell'ecclesiologia Cristologia e apocalittica

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CONCLUSIONE

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PARTE TERZA Gesù Cristo e l'unità del Nuovo Testamento Capitolo sesto

La strutturazione gesucristologica del NT e sue conseguenze

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GESUCRISTOLOGIZZAZIONE E UNITÀ DEL

NT Questioni di metodo Altri tipi di strutturazione? La cri stologi zzazio ne e il ca none del NT Gesucristologizzazione e status del NT

Pag.

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255 255 259 262 267

LA CRISTOLOGIZZAZIONE E I SUOI PROBLEMI

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Conclusione

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Bibliografia

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286

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