Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae [Vol. 26]
 9788821010545, 8821010546

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MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XXVI

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STUDI E TESTI ———————————— 541 ————————————

MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XXVI

C I T T À D E L VAT I C A N O B I B L I O T E C A A P O S T O L I C A V AT I C A N A 2020

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La collana “Studi e testi” è curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Maria Gabriella Critelli (Segretario f.f.) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz (Presidente) Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni Delio V. Proverbio Andreina Rita Il © copyright Biblioteca Apostolica Vaticana riguarda tutte le immagini di questo volume con le seguenti eccezioni: Basel/Stalden, Courtesy Dr. Jörn Günther Rare Books (pp. 209, 210 figg. 19 e 20); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery (pp. 343, 345); Bologna, Archivio di Stato (p. 210 fig. 21); Bologna, Museo Civico Medievale (pp. 192, 193, 203, 207); Città del Vaticano, Governatorato SCV – Direzione dei Musei (pp. 166 tavv. III e IV, 167, 170, 171); Kraków, Biblioteka Jagielloñska (p. 195); London, Christie’s (p. 341); London, Courtesy of Sotheby’s (p. 337); London, The Trustees of the British Museum (pp. 338, 339, 347); London, Tate (pp. 342, 344); London, Victoria and Albert Museum (pp. 340, 346); Napoli, Archivio ILMN [Iscrizioni Latine del Museo Archeologico Nazionale di Napoli] (pp. 403 figg. 9 e 10, 404 figg. 11, 405 figg. 12, 13, 14); Nonantola, Archivio dell’Abbazia (p. 442 tav. XIXa); Novara, Archivio Storico Diocesano (p. 205 fig. 12); Oxford, Bodleian Library (p. 421); Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile (p. 73); Paris, Bibliothèque nationale de France (pp. 440, 442); Perugia, Archivio di Stato (p. 168); Perugia, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria (p. 176); Roma, Biblioteca Casanatense (pp. 165, 182); Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka (pp. 422, 423, 424, 425, 426, 427, 431, 432, 440, 441); Torino, Archivio di Stato (p. 69); Trieste, Biblioteca Civica Attilio Hortis (p. 205 fig. 15); Venezia, Biblioteca Correr – Fondazione Musei Civici (pp. 70, 71); Washington, National Gallery of Art (p. 172).

Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va

—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2020 ISBN 978-88-210-1054-5 Edizione digitale: ISBN 978-88-210-1055-2

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SOMMARIO I MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL VOLUME XXV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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J. T. CARD. DE MENDONÇA, Saluti istituzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

9

M. BUONOCORE, La tradizione vaticana nei XXV volumi dei Miscellanea: bilanci e prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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M. GUARDO, Traditio e renovatio nei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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C. CALVANO, L’attività epigrafica di Aldo Manuzio il Giovane attraverso i suoi codici conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana: il Vat. lat. 5248 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

27

C. CASTELLI, Sul testo di Giorgio ‘Monos’ di Alessandria: nuovi elementi dal Vat. gr. 1298 e dal Vat. lat. 9539 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

75

G. CATTANEO, Adversaria sirletiana nel Vat. gr. 1890: appunti sulla biografia, le opere e le letture del cardinal Guglielmo Sirleto . . . . . . . . .

89

E. CSILLAG, Natural history illustrations in Michael Boym’s Chinese atlas (Borg. cin. 531) and Flora Sinensis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

115

F. GUALDI, Nuovi studi sull’attribuzione delle miniature del grande Antifonario di papa Clemente VII (Capp. sist. 4) e del Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V (Borg. lat. 420) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

143

D. GUERNELLI, Appunti di miniatura bolognese trecentesca. Nuove attribuzioni al Maestro della Crocifissione D, Nicolò di Giacomo e Stefano degli Azzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

187

M. B. GUERRIERI BORSOI, Vicende editoriali e repertorio iconografico del De secretariis basilicae vaticanae veteris, ac novae di Francesco Cancellieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

217

R. HISSETTE – M. PERANI, Des annotations en hébreu à la fin du manuscrit vatican Urb. lat. 221 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

237

D. MAZZUCONI, Sottrazioni, confusioni e disordini di libri: il caso del Vat. lat. 13721 dall’abbazia olivetana di Santa Croce di Sassovivo ai camaldolesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

249

E. PIERAGOSTINI, Su un acquerello di William Pars nel fondo Ashby della Biblioteca Apostolica Vaticana: una veduta delle mura vaticane nel Settecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

321

E. PONZI, Tra Ferrara e Urbino: la ‘Bibbia’ Ubaldini (Urb. lat. 548) e l’officina artistica di Guglielmo Giraldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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SOMMARIO

U. SOLDOVIERI, Ricerche isagogiche per un’edizione dei signacula ex aere del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: la collezione Borgia . . .

385

F. TRONCARELLI, “Posui vos ut eatis”. Uomini e libri dal Laterano a San Pietroburgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

407

Indice dei manoscritti e delle fonti archivistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

445

Indice degli esemplari a stampa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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I MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL VOLUME XXV (BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, SALA BARBERINI, 27 NOVEMBRE 2019)

Questo volume pubblica in apertura (pp. 7-26) le relazioni tenute durante la giornata dedicata a I Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae in occasione dell’uscita del volume XXV. I saluti di Sua Eminenza José Tolentino Card. de Mendonça, Archivista e Bibliotecario di S.R.C., introducono i contributi che ripercorrono significativamente la storia della pubblicazione, iniziata nel 1987: quello di Marco Buonocore, Scriptor Latinus, già direttore della Sezione Archivi della Biblioteca Apostolica Vaticana, segretario della Commissione per l’editoria, e quello di Marco Guardo, direttore della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana.

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JOSÉ TOLENTINO CARD. DE MENDONÇA Archivista e Bibliotecario di S.R.C.

SALUTI ISTITUZIONALI Siamo riuniti, in questo pomeriggio autunnale, per due motivi: da un lato, per presentare questa recente pubblicazione dei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, volume XXV, e, dall’altro, per guardare in prospettiva il contributo dei Miscellanea nella costruzione del progetto integrale della Biblioteca Apostolica Vaticana. Avremo l’opportunità di ascoltare la saggia voce del professor Marco Buonocore che viaggerà — e ci farà viaggiare — attraverso sentieri e solchi che ci permetteranno di mappare questo territorio in profondità. Voglio esprimere a lui la mia gratitudine. Ringrazio altresì il professor Marco Guardo, che tramite il suo dotto intervento ripercorrerà in modo significativo la storia dei Miscellanea tra traditio e renovatio. Ma vorrei anche elogiare il ruolo che i Miscellanea hanno svolto nell’affermare la Biblioteca Apostolica Vaticana non solo come luogo di custodia e conservazione di un patrimonio straordinario di conoscenza, ma anche come centro di costruzione attiva della scienza. Questa è una dimensione fondamentale nella vita della nostra Biblioteca ed è importante mantenerla e rafforzarla. Solo come centro impegnato nella produzione del pensiero la nostra Istituzione potrà affermarsi sempre di più nella contemporaneità, come una grande e diversificata comunità di ricercatori in grado di identificare il potenziale del tesoro del passato e metterlo in dialogo con gli interrogativi del presente e i progetti del futuro. Questo è, sappiamo, un compito sempre aperto, che si traduce, alla fine, nel resoconto del nostro amore alla ricerca della verità, forse la forma più inconclusa d’amore. Mi ricordo di un passaggio del romanzo di Rainer Maria Rilke I quaderni di Malte Laurids Brigge, dove, parlando della musica, l’autore ricorda come essa ci porta oltre noi stessi e quando ritorniamo a casa non rientriamo esattamente allo stesso posto di prima, ma a «quelque part dans l’inachevé». Per gli uomini e le donne di scienza, «l’inachevé», l’inconcluso (traduciamolo così) diventa un modo cosciente d’abitare il mondo. Una parola di gratitudine è dovuta agli autori che hanno collaborato al presente volume, ma anche ai pazienti artigiani di questa storia che occupa già un quarto di secolo. In particolare, voglio ringraziare pubblicamente Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 9-10.

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JOSÉ TOLENTINO CARD. DE MENDONÇA

tutta la Commissione per l’editoria della Biblioteca Vaticana, presieduta dal prof. Ambrogio Piazzoni, in particolare ringrazio lui per l’entusiasmo e la competenza (per l’amore) che ha messo nel seguire la pubblicazione dei Miscellanea, nel corso di tanti anni. Tra tante altre cose, anche questo la Biblioteca deve al nostro Vice Prefetto.

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MARCO BUONOCORE

LA TRADIZIONE VATICANA NEI XXV VOLUMI DEI MISCELLANEA: BILANCI E PROSPETTIVE La Biblioteca Vaticana, da sempre luogo d’incontro e dialogo fra le diverse prospettive culturali, per la ricchezza e unicità del materiale che preserva rimane un’eccezionale e stimolante crocevia finalizzato al continuo rinnovamento degli studi sulla tradizione, sulla fortuna e la storia dei testi. Già sul finire dell’Ottocento, per la necessità di offrire alla comunità intellettuale gli strumenti necessari per orientarsi dinanzi a questo oceano sconfinato di cultura, si diede avvio a edizioni, cataloghi di manoscritti, collectanea, raccolte di scritti e altro, con l’obiettivo di consentire, grazie a una vera e propria “attrezzatura bibliografica”, una comoda esplorazione del ricchissimo patrimonio documentario: se ne riconosceva, pertanto, il merito di punto di eccellenza per il progresso degli studi e il conseguente beneficio intellettuale, in perfetta sintonia con quanto la dinamica scientifica nei settori di ricerca a essa pertinente promuoveva e avviava. Di questa maestosa produzione editoriale (ne trattai circa dieci anni fa al Convegno internazionale che la Biblioteca Vaticana organizzò i giorni 11-13 novembre 2010 in occasione della sua riapertura al pubblico dopo i tre anni di chiusura per gli improrogabili lavori di restauro e ampliamento, ST 468), potrei fare tanti esempi, ma almeno uno mi pare opportuno richiamare in questa occasione: la grande impresa editoriale della collana Studi e testi (= ST) giunta, dopo 120 anni, al nr. 541. Obiettivi e finalità di questa prestigiosa pubblicazione sono stati ampiamente discussi nel corso degli anni in occasione di specifiche ricorrenze e sempre grande è stato l’apprezzamento per questa attività degna della tradizione editoriale scientifica della Biblioteca. Non è certo la sede per regestare tutti i complessi e variegati traguardi che la collana fino ad oggi è riuscita a conseguire, una collana che definirei un “giardino incantato” dove si potrà anche incorrere, talvolta, in qualche cespuglio spinoso. La Vaticana ha sempre agevolato nella ricerca chiunque avesse come obiettivo quello di escudere il patrimonio ivi conservato al fine di rendere sempre più accessibile il confronto e, come anticipato, potrei a lungo incuriosire il lettore discorrendo su questa meravigliosa collana isolando quelle tessere di un mosaico che ben ci faMiscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 11-17.

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MARCO BUONOCORE

rebbero comprendere la tessitura della sua formazione. Ma non è questa, ripeto, la finalità del mio intervento. Questo era, e lo è ancora attualmente, l’ambiente scientifico che mi accolse giovedì 1 ottobre 1981, quando venni assunto nell’organico della Biblioteca. Cardinale era sua Eminenza Antonio Samorè e prefetto Alfonso Maria Stickler, il quale, dopo i colloqui preliminari, volle indicarmi ufficialmente quali sarebbero stati i miei compiti di lavoro: redigere un catalogo di manoscritti per la series maior e curare la bibliografia dei manoscritti vaticani. La bibliografia dei manoscritti, appunto. La Vaticana, per venire incontro agli studiosi e orientarli nello sconfinato mare delle pubblicazioni, dei titoli bibliografici utili alla descrizione dei codici — conoscenza che di anno in anno era resa sempre più difficile per il moltiplicarsi di edizioni, di monografie e di riviste —, della crescita esponenziale degli studi, aveva dato inizio dal 1970 a sussidi bibliografici che sono invidiati da più parti, proprio per la complessità e la ricchezza del patrimonio manoscritto e a stampa censito. Nel 1970 videro la luce i Sussidi bibliografici per i manoscritti greci, curati da Paul Canart e Vittorio Peri, costruiti nonché aggiornati sulla base di quanto Giovanni Mercati aveva iniziato a compilare per suo uso personale (ST 261). La fortuna scientifica ed editoriale che ebbe quel repertorio, per quanto riservato ai soli manoscritti greci, fu di sprone a proseguire nel progetto, questa volta, però, da estendersi a tutti i fondi nonché cercando nei limiti del possibile di mantenere periodicità e non solo occasionalità. E questo è ciò che a suo tempo Stickler mi incaricò di fare. Parallelamente alla descrizione di un gruppo di codici Vaticani latini che avevo scelto in linea con la mia giovanile formazione universitaria, le giornate di lavoro trascorrevano nella lettura di centinaia di pagine di riviste, italiane e straniere (la Vaticana ne possiede tuttora una formidabile raccolta che supera il numero di 1500 titoli), al fine di reperire tutte quelle informazioni sui nostri codici e stampati oggetto di approfondimenti da parte degli studiosi che con essi si erano confrontati. Durante questo paziente e meticoloso lavoro che tanto mi ha fatto crescere culturalmente, rimanevo meravigliato di come notazioni anche marginali sul nostro posseduto librario si reperissero su riviste che mai avrei pensato potessero veicolare argomenti così specifici. Inoltre, quasi invidiavo quelle riviste che ospitavano lavori di grande interesse e lo spessore di tali contributi risiedeva proprio nella circostanza che oggetto del dibattito era un codice vaticano. Ma perché, mi domandavo più volte, tutte queste occorrenze dovevano “espatriare” in altre sedi? Perché quegli articoli, frutto di ricerche serie e filologicamente solide, dovevano trovare ospitalità in riviste estranee alla Santa Sede, arricchendole con risultati inediti e della massima attenzione? Insomma, alla fine di quegli anni di duro tirocinio, che si conclusero nel

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LA TRADIZIONE VATICANA NEI XXV VOLUMI DEI MISCELLANEA

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1986 quando furono pubblicati i miei due volumi di Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana riservata agli anni 1968-1980 (ST 318319), mi chiedevo: ma la Biblioteca Vaticana non poteva avere una sua rivista, nella quale far convogliare una parte, ovviamente, di quei risultati scientifici che i vari autori aveva conseguito e non farli così “disperdere” altrove? Ne parlai con il nuovo Prefetto padre Leonard Boyle e poi, naturalmente, con Stickler, nel frattempo — esattamente dal 27 maggio 1985 — nominato cardinale bibliotecario, e con mons. José Ruysschaert, l’allora Vice Prefetto. Tutti furono concordi sulla necessità di promuovere questa iniziativa editoriale che, per essere più facilmente distribuita, si decise inserire proprio nella prestigiosa e affermata collana appena richiamata Studi e testi, con una numerazione autonoma ma che nel frontespizio doveva mantenere la sequenza numerica della collana stessa. Ma non si era certi sul titolo da dare né che taglio dovesse avere. Gli scriptores più volte furono interpellati da padre Boyle, il quale chiese anche la mia opinione: si pensava a una pubblicazione “tematica”, cioè che fosse riservata a specifici argomenti, ma questo avrebbe inevitabilmente portato alla conseguenza che la rivista non sarebbe stata annuale, come si era stabilito; anche sul titolo le convergenze non erano totali; ricordo che mons. Ruysschaert quasi sponsorizzava un titolo che richiamasse alla memoria la figura di Bartolomeo Platina, prefetto della Vaticana dal 1475 al 1481. Poi si concordò sul generico titolo Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, così in questo modo potevano essere ospitati contributi su tutti i fondi della Vaticana, non solo quelli specificamente manoscritti e stampati. Al primo numero, uscito nel 1987, parteciparono solo gli officiales della Biblioteca perché, come è facilmente intuibile, si doveva pur “partire”, ma l’auspicio era ovviamente che la rivista sarebbe stata aperta a tutti gli studiosi che presentassero lavori qualificati. Per questo si creò un Comitato Editoriale (una sorta di “peer review” ante litteram) con la finalità di valutare e selezionare gli articoli proposti dalla comunità scientifica; ne facevano parte il prefetto, Leonard E. Boyle, e il collegio degli scriptores, che qui mi piace ricordare: Paul Canart, Louis Duval-Arnould, Luigi Fiorani, Salvatore Lilla, Vittorio Peri, Joseph-Marie Sauget. A me fu dato il compito di Segretario di Redazione. Nella presentazione del primo numero il Cardinale Stickler così scriveva: «S’era da tempo auspicata la nascita di una pubblicazione periodica della Biblioteca Apostolica Vaticana, capace di ospitare contributi scientifici particolari o parziali consacrati allo studio dei suoi fondi manoscritti, ma anche di altre collezioni o sezioni, forse meno note, ma non meno significative (quali l’Archivio della Biblioteca, gli Indirizzi, il Museo sacro e quello profano, le Incisioni, Stampe e Disegni, ecc.). Nascono così i Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, inseriti nella collana degli

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MARCO BUONOCORE

“Studi e Testi” con un ritmo di apparizione che si spera annuale. L’intento è quello di permettere al personale scientifico della stessa Biblioteca, ma anche a tutti gli Studiosi qualificati che la frequentano ed utilizzano, di rendere noti i risultati delle proprie ricerche, facilitandone, in una sede idonea creata a tale scopo, una più facile reperibilità». Era appunto quello che desideravo. Gli anni 1987-1990 videro l’uscita dei primi quattro numeri, in rispetto di quella auspicata cadenza annuale e tutte le recensioni che uscirono (ad esempio in Scriptorium, Archivum Franciscanum Historicum, Byzantinische Zeitschrift, Medioevo Latino, Nouvelle revue théologique, Roma nel Rinascimento), oltre a soffermarsi su specifici contributi, salutarono con vivo plauso l’iniziativa vaticana. Ma una forzata pausa avvenne con il numero V dei Miscellanea. In occasione del sesto centenario della fondazione dell’Università di Heidelberg fu organizzata nel 1986 anche una grande mostra nella Heiliggeistkirche con l’esposizione di numerosi manoscritti vaticano-palatini che in qualche modo sanciva una solida e fattiva alleanza tra la biblioteca Palatina di Heidelberg e la Biblioteca Vaticana dove, come si sa, nel 1623 era confluita quella ricchissima biblioteca, quale trofeo di guerra strappato a un principe protestante nel corso della Guerra dei Trent’Anni e donato dal duca Massimiliano I di Baviera a Gregorio XV. Il convegno, tra le altre iniziative, promosse la riproduzione su microfiches di tutti gli stampati vaticano-palatini e fu concepita l’idea di un volume che accogliesse una serie di saggi finalizzati allo studio testuale, paleografico, codicologico, storicoartistico di quel posseduto. Ne furono artefici il cardinale Stickler e il prof. Walter Berschin, autore tra l’altro del volume del 1992 Die Palatina in der Vaticana. Eine deutsche Bibliothek in Rom, che in quegli anni ricopriva la carica di presidente della International Association of Medieval Latinists. Fu proprio Stickler a volere che i contributi (in tutto 13) venissero accolti nella sede editoriale della Vaticana e pensò appunto di dedicare un volume “monografico” dei Miscellanea a tale pubblicazione. D’altronde la Vaticana non era nuova (e non lo è tuttora) a ospitare nelle proprie collane atti di convegni svolti in Vaticano o altrove ma sempre attinenti alla tradizione manoscritta e a stampa del suo posseduto. Mi riferisco a quello, veramente innovativo, tenuto nell’ottobre del 1975, dedicato alla elaborazione delle strategie di tutela e delle tecniche di conservazione e di restauro dei manoscritti e degli stampati, idealmente congiunto a quanto padre Ehrle aveva promosso nel 1898 a San Gallo (ST 276); questo illuminato traguardo fu seguito dalla pubblicazione degli atti del convegno tenuto a Erice nel settembre 1992 (ST 357-358). Vanno inoltre ricordate le pubblicazioni del convegno tenuto a Sarzana nell’ottobre del 1998 per celebrare il sesto centenario

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LA TRADIZIONE VATICANA NEI XXV VOLUMI DEI MISCELLANEA

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della nascita di Niccolò V (ST 397); di quello dedicato all’Inquisizione dello stesso anno (ST 417); di quello che raccoglie una serie di saggi che affrontano «i fecondi paradossi e le aporie dell’immagine di Cristo nel processo della sua formazione», esito di un convegno internazionale organizzato nel marzo 2001 dalle biblioteche Hertziana e Gregoriana e della relativa mostra Il Volto di Cristo tenuta presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (ST 432); di quello di Macerata del 2006 intitolato Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice (ST 434); di quello riservato alla figura di Angelo Colocci e gli studi romanzi (ST 449), pubblicazione nata a seguito dei due incontri svoltisi presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Per cui dedicare un volume di Studi e testi, e nel particolare un numero della neonata rivista, era sembrata operazione quanto mai intelligente, per di più in linea con la tradizione editoriale della Vaticana. Purtroppo per una serie di motivazioni il volume tardò a uscire, e per questo motivo Berschin dovette redigere un postscriptum in cui spiegava nel dettaglio le cause del ritardo della pubblicazione degli Atti di quel Convegno tenuto ad Heidelberg nel 1986 e che solo nel 1997 poté vedere la luce. Fu un periodo, almeno per me, non facile, in quanto mi trovavo costretto a non poter accettare i contributi che gli studiosi mi presentavano, dal momento che non sapevo quando sarebbe uscito il volume V dei Miscellanea già da tempo annunciato e vedevo miseramente crollare il progetto di una periodicità annuale della rivista. Ma l’occasione per darle nuovo impulso, anche agli occhi della comunità scientifica, fu quella di festeggiare il settantacinquesimo compleanno di padre Leonard Boyle e di dedicare a questo evento un numero proprio dei Miscellanea. Ne parlai con i colleghi scriptores i quali furono pienamente concordi con il mio progetto editoriale. Vide così la luce, nel 1998, un anno dopo il numero dedicato ad Heidelberg, il volume VI dei Miscellanea con il sottotitolo Collectanea in honorem Leonardi E. Boyle septuagesimum quintum annum complentis. Vi parteciparono 20 tra colleghi e collaboratori della Vaticana con uno sviluppo tipografico di ben 743 pagine. D’altronde, anche in questo caso, la Vaticana continuava nel solco della sua tradizione editoriale. Negli anni passati, infatti, erano stati pubblicati, sempre nella collana Studi e testi, collectanea per onorare coloro che avevano consacrato tutta la propria vita di studio all’istituzione pontificia, intesi come veri e propri patriarchi della cultura internazionale: penso alle quattro miscellanee (in più volumi) in onore di Francesco Ehrle (ST 37-42) del 1924, di Giovanni Mercati (ST 121-126) del 1946, di Anselmo Maria Albareda (ST 219-220) del 1962 e di Eugène Tisserant (ST 231-237) del 1964; a cui seguirono quelle dedicate nel 2013 a Raffaele Farina (ST 477) e nel 2019 a Cesare Pasini (ST 535).

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MARCO BUONOCORE

Ripresa quindi l’attività, i nostri Miscellanea cominciarono a riprendere la loro cadenza annuale e dal 2000 fino a oggi hanno visto la luce 19 numeri (venne saltato solo l’anno 2013: ST 396, 402, 409, 416, 423, 430, 433, 443, 453, 458, 462, 469, 474, 484, 496, 501, 516, 529, 534). Alcune inevitabili precisazioni statistiche. Sono stati pubblicati 393 articoli e 237 sono stati gli autori, italiani e stranieri, alcuni dei quali più volte hanno firmato per la rivista. 13.181 pagine; oltre 1200 illustrazioni, in gran parte a colori; oltre 10.000 riferimenti a codici e stampati vaticani e di altre istituzioni discussi nei vari contributi, regolarmente censiti in un indice disposto alla fine di ciascun volume. Si può solo immaginare la complessità e la ricchezza delle tematiche presenti nelle pagine di questi 25 volumi dei Miscellanea, che confermano la dinamicità culturale della Biblioteca stessa. Infatti, oltre a specifiche incursioni in quello scrigno prezioso qual è la nostra Istituzione e in tutte le varie discipline che il suo posseduto consente di valorizzare (che spaziano dall’archeologia al medioevo, dal Rinascimento all’età moderna e contemporanea, scandagliando tutte le diverse esperienze che da Occidente ad Oriente hanno pervaso la produzione scritta), questi Miscellanea hanno il merito di portare all’attenzione anche alcune iniziative che la Vaticana sta promuovendo. Più volte sono stati presentati i rapporti della “Fondazione Pio XI per lo studio dei documenti pontifici del medioevo” (ricordo che la Biblioteca edita gli Acta Romanorum Pontificum e l’Index Actorum Romanorum Pontificum); nel volume XVII sono stati ospitati gli Atti della Tavola Rotonda — tenutasi a Roma il 25 febbraio 2010 — presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra per discutere le nuove esperienze e prospettive della Catalogazione dei manoscritti liturgico-musicali. Proprio nel volume XXV il lettore potrà confrontarsi sui risultati del Mellon Projet, progetto di ricerca, finanziato dalla Fondazione Andrew W. Mellon, realizzato in collaborazione con le Stanford University Libraries, e consultabile online all’indirizzo https://spotlight.vatlib.it: si tratta di un originale passo in avanti nell’applicazione del modello d’interoperabilità sui manoscritti medievali digitalizzati. Il “Progetto Mellon”, con gli strumenti acquisiti, che forniscono la navigazione e la ricerca delle immagini, delle annotazioni e dei testi prodotti, consentirà alla Vaticana di presentare ulteriori temi derivati dallo studio della collezione dei manoscritti, in una vetrina web, al servizio degli studi e potrà certamente essere di stimolo ad analoghe iniziative da parte di altre Istituzioni. Non mancano contributi che riflettono le iniziative tecniche di laboratorio, sia nel settore del restauro sia in quello fotografico, a conferma di come la Vaticana cerchi sempre di stare al passo con la “modernità”.

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LA TRADIZIONE VATICANA NEI XXV VOLUMI DEI MISCELLANEA

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I miei lavori di rilettura dei contributi, di redazione, di revisione finale e infine di realizzazione degli indici delle fonti manoscritte e archivistiche e degli stampati sono stati impegnativi e complessi, portati avanti con quello spirito di servizio che per quasi quarant’anni ho cercato di dimostrare, ma nel contempo si sono rivelati assai proficui per il mio accrescimento culturale. Anche in questa sede devo ringraziare tutti i colleghi della Vaticana e gli autori, che in questi oltre trent’anni hanno collaborato alla costruzione di ciascun volume della rivista con i loro contributi: a essi sono grato soprattutto per i numerosi scambi di idee avuti nel corso di questa esperienza, per avermi molto insegnato e ampliato l’orizzonte culturale. Ringrazio inoltre lo staff dirigenziale della Biblioteca che ha sempre dimostrato nell’espletamento della mia funzione di segretario delle pubblicazioni fiducia e apprezzamento. Una biblioteca, di qualunque spessore essa sia, non deve essere considerata unicamente un luogo di conservazione. Le biblioteche devono essere innanzitutto frequentate, scrutinate, scandagliate da tutti coloro che sono proiettati verso la conoscenza; non devono rimanere “muti e freddi sepolcri”, per riprendere le parole dello storico Ammiano Marcellino, il quale, descrivendo la sua Roma del IV secolo, apoditticamente lanciava un grido accorato sulla desolante situazione in cui versavano le biblioteche un tempo fastose, ma ormai chiuse per sempre, prova indiscussa di un ineludibile crepuscolo culturale: bibliothecae, sepulchrorum ritu, in perpetuum clausae. Esse devono continuare a “vivere”, a rappresentare quel crocevia di vivacità culturale non sempre presente nella situazione odierna e perciò ai giorni nostri devono più che mai poter offrire tutti i servizi secondo le modalità delle innovazioni tecnologiche, necessari non solo per la consultazione ma anche per una conservazione adeguata del proprio patrimonio: la Vaticana rappresenta a livello internazionale un ottimo esempio, dove tradizione e innovazione sono alla base del proprio statuto culturale. Infatti, nella sua secolare storia la Biblioteca Vaticana, in cui quel cultus e quella humanitas di cui parlava Cesare a esordio del De bello Gallico felicemente si armonizzano, ha avuto sempre l’obiettivo di offrire gli strumenti necessari a tutti coloro che, isolandosi con tranquillità d’animo dal mondo esterno, facendo proprio il detto di Plinio il Giovane quidquid est temporis futilis et caduci certe studiis proferamus, avranno il desiderio di studiare il suo patrimonio documentario, testimonianza irripetibile delle vicende e delle speculazioni intellettuali dell’uomo. Questi primi XXV volumi dei Miscellanea credo ne siano prova indiscussa.

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TRADITIO E RENOVATIO NEI MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE La novità editoriale e i fini dei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae appariranno più comprensibili richiamando il testo della presentazione del Cardinale Alfons Maria Stickler, pubblicato nel 1987 nel primo volume della nuova serie inserita nella collana degli Studi e testi. Il breve scritto, dall’intento dichiaratamente programmatico, auspica la «nascita di una pubblicazione periodica della Biblioteca Apostolica Vaticana, capace di ospitare contributi scientifici particolari o parziali consacrati allo studio dei suoi fondi manoscritti, ma anche di altre collezioni e sezioni, forse meno note, ma non meno significative […]. L’intento è quello di permettere al personale scientifico della stessa Biblioteca, ma anche a tutti gli studiosi qualificati che la frequentano ed utilizzano, di rendere noti i risultati delle proprie ricerche, facilitandone, in una sede idonea creata a tale scopo, una più facile reperibilità»1. Da tale premessa emerge evidente lo scopo della rivista: lo studio di un corpus di fonti estremamente vasto e variegato, sulle quali mi soffermerò a breve; la loro più ampia divulgazione; l’apertura della Biblioteca alle indagini degli studiosi; il ruolo giustamente ascritto alla figura del bibliotecario. A quest’ultimo aspetto credo opportuno dedicare alcune osservazioni, muovendo dal testo di un’intervista dal titolo eloquente, concessami da Tullio Gregory nel 2017: Bibliotecari e libridinosi2. In essa l’illustre storico della filosofia esordisce rivelando inaspettatamente che avrebbe desiderato essere il bibliotecario di un cardinale o di un principe del Settecento. A quel tempo, infatti, il bibliotecario non era colui che si limitava a schedare o a catalogare, ma era persona di grande cultura, che costruiva la biblioteca, incrementandone i fondi, con eguale attenzione nei riguardi delle humanae litterae e delle scienze. Gregory mi confessò che pensava spesso a Giovanni Gaetano Bottari3, bibliotecario della Corsinia1

A. M. STICKLER, Presentazione, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, I, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 329), p. non numerata. 2 M. GUARDO, Bibliotecari e libridinosi. Conversazione con Tullio Gregory, in Charta 153 (2017), pp. 11-15. 3 A. PETRUCCI, I bibliotecari corsiniani fra Settecento e Ottocento, in Studi offerti a GiovanMiscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 19-26.

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na4 dal 1735, grazie al quale la biblioteca conobbe un notevole incremento nell’acquisizione dei manoscritti ed ebbe quella fisionomia composita fra il letterario, il teologico e il documentario-politico, rispondente agli interessi suoi e a quelli dei suoi proprietari. Secondo Gregory vi sono stati esempi illuminanti sino al secolo scorso. Due per tutti: Manara Valgimigli, direttore della Classense, ed Emanuele Casamassima, direttore della Nazionale Centrale di Firenze, i quali in primo luogo realizzarono una struttura culturale, compito oggi sempre più difficile da affrontare, giacché il bibliotecario viene sovraccaricato di funzioni amministrative, così che il suo ruolo vira pericolosamente verso quello del burocrate. Si consideri, inoltre, che quasi tutte le biblioteche storiche sono state declassate, tra le quali anche la Medicea Laurenziana. Dobbiamo tenere presente che le biblioteche vanno concepite come luoghi di ricerca, non come magazzini o raccolte casuali di vecchi libri. Va pertanto difesa la funzione del bibliotecario, che deve assicurare la struttura scientifica della biblioteca in modo coerente con la sua storia, mentre oggi, ad aggravare la crisi, concorre un malaccorto impiego del digitale e si rischia di smarrire il senso della biblioteca come spazio di ricerca. A ciò si aggiunga il rapporto sempre più difficile tra Scuola, Università e Biblioteca: a tale riguardo occorre premettere che la Scuola deve insegnare ai giovani la necessità di reperire le fonti e il loro uso, soprattutto quando si ricorra al mezzo informatico. Molte delle notizie in rete non hanno validazione scientifica di sorta: occorre allora usare il computer con giudizio, sono necessari i controlli, dobbiamo distinguere tra informazione e discorso critico. Oggi, inoltre, assistiamo a una progressiva aziendalizzazione dell’università: le ore di lezione sono assai di più rispetto al passato e questo produce molti risvolti negativi. Oggi si quantificano le ore di studio, lo studente porta all’esame un numero predefinito di pagine da studiare, è difficile, se non impossibile, pretendere una lettura integrale. «Nessuno è morto leggendo troppo», per citare ancora una volta Gregory. Fatte queste premesse, è indubbio che la Biblioteca Apostolica Vaticana non solo difende, ma esalta e valorizza la figura del bibliotecario, come emerge dalla lettura degli indici dei Miscellanea, che attestano altresì la presenza di quegli «studiosi qualificati», ai quali rinvia il cardinale Stickler ni Incisa della Rocchetta (Miscellanea della Società Romana di Storia Patria, XXIII), Roma 1973, pp. 401-424, in particolare pp. 404-407. 4 T. GREGORY, La biblioteca dei Lincei: percorsi e vicende, Roma 2019, pp. 16-21 e M. GUARDO, La “sceltissima biblioteca” e il “grandioso palazzo”: libri e luoghi della Biblioteca Corsiniana, in La collezione del principe da Leonardo a Goya. Disegni e stampe della raccolta Corsini, a cura di E. ANTETOMASO e G. MARIANI, Roma 2004, pp. 2-15.

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nella sua presentazione. Meraviglia, inoltre, la vastissima congerie degli argomenti trattati: la codicologia, la paleografia, l’editoria, la filologia, il paratesto, la traduzione, la storia dell’Arte, l’orientalistica, le fonti archivistiche, la numismatica, la conservazione e gli aspetti tecnico-scientifici legati alla digitalizzazione5. Pare pertanto di ravvisare i tratti di quella enkýklios paideía, la formazione circolare del sapere, così denominata dai Greci per la figura del cerchio, simbolo di perfezione. Grazie a tale paideía le diverse conoscenze, umanistiche e scientifiche, si coordinano e dialogano tra loro, antitetiche ai cosiddetti saperi orizzontali e trasversali, oggi prevaricanti. Si affermano allora l’unità della cultura e la visione di insieme sulla frammentazione delle iperspecializzazioni mutile della conoscenza dell’intero6. Non solo: il binomio traditio-renovatio, potentemente sotteso al profilo editoriale dei Miscellanea, fa da nobile contraltare a un fenomeno che oggi viene prepotentemente affermandosi, il dominio del presente che ci priva della conoscenza storica e del senso diacronico, esaltando le coordinate dello spazio a scapito di quelle del tempo. A questo riguardo T. S. Eliot affermò opportunamente che «nell’epoca nostra, quando gli uomini sembrano sempre più portati a confondere la saggezza con la dottrina e la dottrina con l’informazione, e a cercare di risolvere i problemi della vita in termini d’ingegneria, sta sviluppandosi una nuova specie di provincialismo, che forse merita anch’esso un nome nuovo. È un provincialismo non di spazio ma di tempo: per cui la storia non è che la cronaca delle invenzioni umane via via superate e messe da parte, e il mondo proprietà esclusiva dei vivi, una proprietà di cui i morti non possiedono azioni […] e a coloro che non vogliono essere provinciali non resterà che farsi eremiti»7. Già Petrarca aveva compreso il rapporto tra patres e posteri, conscio del proprio ruolo di ponte tra auctores e moderni: «simul ante retroque prospiciens» («con lo sguardo rivolto contemporaneamente avanti e indietro»). Non solo: egli afferma altresì che i classici «nobiscum vivunt, cohabitant, colloquuntur» («vivono con noi, abitano con noi, parlano con noi»). Il dialogo diretto con la classicità accomuna autori molto diversi. 5

Per la storia del libro mi limito a citare L. LALLI, I libri di Aldo Manuzio il giovane nella Biblioteca Apostolica Vaticana: il progetto BAV-ALDUS, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019 (Studi e testi, 534), pp. 229-246; per la conservazione, G. MORELLO, Le raccolte d’arte della Biblioteca Apostolica Vaticana: nuove strategie di conservazione, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 193-206 e B. JATTA, Il Fondo Matrici del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Apostolica Vaticana: interventi di restauro e conservazione, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 471-538. 6 I. DIONIGI, Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza, Milano 2019, pp. 45-46 e 63. 7 I. DIONIGI, Il presente non basta. La lezione del latino, Milano 2016, p. non numerata successiva al frontespizio.

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San Bernardino da Siena qualche decennio più tardi esorta: «va’, leggi i loro libri, qual più ti piace; e parlerai con loro, ed eglino parleranno teco; udirannoti e tu udirai loro». E Machiavelli, nella celebre lettera al Vettori, scrive: «entro nelle antiche corti degli antiqui uomini […] dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni, e quelli per loro umanità mi rispondono»8. Torniamo alla iunctura petrarchesca «simul ante retroque», che possiede intatta la sua forza di novità anche oggi, quando il sapere tecnologico, che ricerca affannosamente la novità del presente, deve coabitare con la tradizione, intesa con Gustav Mahler «salvaguardia dal fuoco, non adorazione delle ceneri» e con Johann Wolfgang Goethe eredità da conquistare e non patrimonio inerte da custodire («ciò che hai ereditato dai padri, conquistalo per possederlo»)9. Riguardo al rapporto tra traditio e renovatio, solo un cenno per ricordare che la separazione tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica è relativamente recente. Per secoli, infatti, poesia e scienza, pensiero filosofico e pensiero scientifico, cultura della mano e cultura della mente hanno convissuto senza conoscere sostanziali autonomie o contrapposizioni. Si pensi, per citare solo tre esempi eloquenti, a Lucrezio, che compone il De rerum natura in versi esametri, a Seneca, che indaga prima se stesso, poi l’universo («me prius scrutor, deinde hunc mundum»), ai programmi della Schola palatina, rimasti in vigore per tutto il Medioevo10. Più recentemente Steve Jobs sembra rinviare alla citazione di Petrarca quando sostiene la necessità del ritorno alla figura dell’ingegnere rinascimentale: «Non è possibile unire i punti guardando avanti; si possono unire solo guardando indietro». Si teorizza, dunque, il connubio tra saperi scientifico-tecnologici e saperi umanistici, anzi l’unità e l’unicità del sapere, che, torno a ripetere, si riflettono nella strategia culturale della Biblioteca Apostolica Vaticana, e in particolar modo nei contributi dei Miscellanea. Ancora una volta soccorre in tal senso un’affermazione di Steve Jobs: «La tecnologia da sola non basta. È la tecnologia sposata con le arti liberali, sposata con le scienze umane, che produce i risultati che fanno cantare il nostro cuore»11. E proprio l’unione di tecnologia e arti liberali scorgiamo nell’articolo di Ambrogio Maria Piazzoni, dedicato alle riflessioni sulla straordinaria esperienza della Vaticana nel campo della digitalizzazione dei manoscritti. In questo contributo appaiono particolarmente 8

Ibid., pp. 77-78. Cfr. nt. 7. 10 DIONIGI, Osa sapere cit., pp. 43-44. 11 Ibid., pp. 61-62. 9

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significativi gli interrogativi dell’autore sull’elemento casuale, uno dei quali è: «Quante volte un paleografo è riuscito a riconoscere un autografo non firmato solo per caso, perché si era imbattuto nella stessa scrittura e ne aveva conservato memoria?»12. Oggi all’elemento casuale, che nel passato ha fatto registrare i progressi nel campo della paleografia, subentra l’impiego sapiente della tecnologia che permette di trascenderlo. Vengo adesso ad altri contributi della rivista, limitandomi necessariamente a citarne un florilegio. Mette conto, in primo luogo, di porre in luce che i contenuti non soltanto attengono all’aspetto codicologico, paleografico, filologico, artistico, materiale, ma mettono in campo gli uomini e la Storia, anche quella non lontana da noi e che ancora riverbera tragici bagliori. Alludo all’articolo di Giulio Battelli, nel quale la prosa cronachistica, e nel contempo rigorosa e partecipe, fa rivivere istante dopo istante le minacce della guerra nei confronti dei beni culturali e l’eroico tentativo di studiare strategie per conservarli e trasmetterli ai posteri13. Ma rinvio anche ai contributi che pongono al centro l’uomo: si vedano le indagini di mons. Cesare Pasini su Giovanni Mercati e di Paolo Vian sull’opera del cardinale a favore degli studiosi che furono vittime di odio razziale14. Contributi, questi, che oggi ancor rispetto al passato recente, si pongono come pietre miliari e come straordinaria rivisitazione dell’insuperata dichiarazione terenziana «Homo sum, humani nihil a me alienum puto», ossia «Sono un uomo e penso che nulla di quanto riguardi gli uomini mi sia estraneo»15. Non posso poi tacere di aver letto con molto interesse gli articoli di argomento linceo, in primo luogo quello che riguarda la vendita della bi-

12 A. M. PIAZZONI, Verso una paleografia elettronica? Riflessioni sull’esperienza della Biblioteca Vaticana nella digitalizzazione dei manoscritti, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VI, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 385), pp. 473-483, in particolare p. 479. 13 G. BATTELLI, Archivi, Biblioteche e Opere d’arte. Ricordi del tempo di guerra (1943-46), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 53-104. 14 C. PASINI, «Don Scurati che fece conoscere a Ceriani la dissertazione mia». A proposito della chiamata di Giovanni Mercati in Biblioteca Ambrosiana (1893), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXI, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 496), pp. 383-402 e ID., Giovanni Mercati e il codice ravennate di S. Ambrogio, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018 (Studi e testi, 529), pp. 497-552; P. VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati per gli studiosi perseguitati per motivi razziali. L’appello alle Università Americane (15 dicembre 1938), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 427-500. Si veda anche A. CAPRISTO, “Ai noti questionari non conviene rispondere”. Pio XI, i fratelli Mercati e il censimento antiebraico nelle accademie del 1938, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVII, Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 469), pp. 15-28. 15 PUBLIUS TERENTIUS AFER, Heautontimorumenos, V. 25.

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blioteca di Cassiano dal Pozzo16, ultimo dei sodali della prima Accademia, grande esperto di res antiquaria e proprietario del Museum chartaceum17, il più compiuto emblema della cosiddetta “pittura filosofica” teorizzata dal sodalizio di Federico Cesi, il quale insiste sulla necessità di poter disporre di un «pictor ad naturalia observata effingenda et figuras delineandas ad impressiones» («per la rappresentazione grafica degli elementi naturali e il disegno delle immagini per le stampe»)18 e di un intagliatore per poter «figurare ogni osservatione e capriccio»19. Mi preme poi notare che la prima Accademia cesiana (attestata inizialmente come «ordo» o «classis», il termine «Academia» ricorrerà infatti alla fine della sua parabola) insiste sull’«observare», sullo «scribere», sull’«imprimere» e sull’«evulgare»20, dando senz’altro priorità alle discipline scientifiche, ma accogliendo altresì le «poetiche e filologiche eruditioni»21. Ne deriva un approccio a tutti i campi del sapere, del quale si rimarca il carattere unitario. Venendo a tempi più recenti, le indagini di Marco Buonocore su Theodor Mommsen22 conducono al decennio della Presidenza dell’Accademia da parte di Quintino Sella, che ne riforma lo statuto nel 1875, fondando la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche23. Anch’egli è persuaso, al pari di Cesi, della necessità di un sapere unitario che accolga sia le scienze sia le humanae litterae, e non a caso si chiede: «Può l’Accademia delle scienze di Roma, della capitale del regno, essere circoscritta alle scienze 16 M. G. CRITELLI, La vendita della biblioteca di Cassiano Dal Pozzo alla Vaticana e il ruolo di Clemente XI Albani. Circostanze poco note e documenti inediti (1703-1714), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV cit., pp. 85-114. 17 S. BREVAGLIERI – L. GUERRINI – F. SOLINAS, Sul Tesoro Messicano e su alcuni disegni del Museo Cartaceo di Cassiano dal Pozzo, Roma 2007. 18 Lynceographum quo norma studiosae vitae Lynceorum philosophorum exponitur, a cura di A. NICOLÒ, Roma 2001 (Storia dell’Accademia dei Lincei. Fonti, 2), p. 91. 19 Il carteggio linceo, a cura di G. GABRIELI, Roma 1996, p. 68. 20 Cronache e statuti della prima Accademia dei Lincei. Gesta Lynceorum, “Ristretto delle costituzioni”, Praescriptiones Lynceae Academiae, a cura di M. GUARDO e R. ORIOLI, Roma 2014 (Storia dell’Accademia dei Lincei. Fonti, 6), p. 151. 21 F. CESI, Del natural desiderio di sapere et institutione de’ Lincei per adempimento di esso, in Galileo e gli scienziati del Seicento, II: Scienziati del Seicento, a cura di M. L. ALTIERI BIAGI e B. BASILE, Milano – Napoli 1980, pp. 39-70, in particolare p. 49. 22 M. BUONOCORE, Nel centenario della morte di Theodor Mommsen. Le sue lettere nel fondo Autografi Ferrajoli della Biblioteca Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 75-118 e ID., Inediti di Theodor Mommsen nel fondo Autografi Patetta, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 209-240. Si veda anche ID., Lettere di Theodor Mommsen agli Italiani, I-II, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 519-520). 23 T. GREGORY, Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei, in Quintino Sella linceo, a cura di M. GUARDO e A. ROMANELLO, Roma 2012 (Storia dell’Accademia dei Lincei. Cataloghi, 1), pp. 19-42.

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fisiche, matematiche e naturali? […] ammessa la utilità delle Accademie per le scienze naturali, non puossi dubitare dell’opportunità delle Accademie di scienze morali e politiche? Forse il dubbio reggerebbe presso chi non credesse che il metodo seguito anche in queste scienze non si andasse ognor più accostando a quel metodo di osservazione e di induzione che fece la fortuna delle scienze naturali. Quante scienze morali e politiche non procedono oggi come le naturali? Quanta analogia nel modo d’indagine fra i geologi e gli archeologi, fra i filologi e i botanici o zoologi? […] Quante scienze dei due campi che sembravano separate da abissi, ed ora con il progredire delle osservazioni, si congiungono con saldi anelli! Chi avrebbe detto pochi anni fa che gli archeologi, i geologi e paleontologi avrebbero trovato un campo comune nei trogloditi?»24. Ne consegue che, a seguito della riforma del dettato statutario, sono eletti soci Lincei studiosi fra i più significativi della cultura italiana ed europea, con un cospicuo numero di stranieri che sono per Sella la nota essenziale del carattere cosmopolita del sodalizio accademico e della nuova Roma: fra gli stranieri proprio Mommsen, oltre a Ferdinand Gregorovius ed Herbert Spencer, per limitarci ad alcuni nomi. Vi sono, inoltre, due altre tematiche trattate nei Miscellanea, sulle quali desidero spendere qualche parola: in primo luogo lo studio del paratesto che, grazie all’indagine sui marginalia, ha fatto dei Miscellanea, per così dire, l’apripista in un campo, oggi dilatatosi notevolmente sulla scia delle riflessioni di Gérard Genette25; inoltre i contributi che hanno per tema la traduzione26, secondo Paul Ricoeur paradigma dell’«ospitalità linguistica» e dell’«incontro con l’alterità»27. Siamo in presenza del transferre e del traducere propri della storia della cultura, che sin dalle origini ha comportato un ereditare e un trasmettere: pertanto il tradurre è sempre un interpretare, un suggerire modelli e punti di orientamento. Da ciò deriva che la traduzione prolunga sì nel tempo e nello spazio la vitalità di un testo, ma è 24 M. GUARDO, Nel solco della tradizione. Da Federico Cesi a Quintino Sella, ibid., pp. 63-79, in particolare p. 73. 25 Si vedano, a titolo di esempio, G. ABBAMONTE, Un manoscritto di Servio con marginalia di Niccolò Perotti (Vat. lat. 1507), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 7-51 e M. BUONOCORE, Sulle copie postillate vaticane degli Epigrammata Antiquae Urbis, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 91-102. 26 Si vedano R. HISSETTE, La traduction latine médiévale du commentaire moyen d’Averroès sur les Catégories et les lemmes de certains témoins anciens du texte dont le ms. Vaticano, Urb. Lat. 221, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IX cit., pp. 245-274 e D. D’ELIA, Su una inedita traduzione in lingua inglese de Una partita a scacchi di Giuseppe Giacosa (Patetta 839), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV cit., pp. 99-122. 27 DIONIGI, Osa sapere cit., p. 26.

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in sé operazione articolata e complessa28. Lo aveva compreso, ai primi del XVII secolo, Miguel de Cervantes, il quale in un noto passo del Don Chisciotte fa dire al suo eroe: «Mi pare che il tradurre da una lingua in un’altra (a meno che non sia dalla greca o dalla latina, regina di tutte le lingue) sia come quando si guarda le tappezzerie fiamminghe da rovescio. Le figure si vedono sempre bene, ma attraverso tanti fili che le confondono, e non appaiono così nitide e a vivi colori come da diritto. Il tradurre da lingue facili non è prova d’ingegno e di stile più grande che copiare un foglio da un altro; tuttavia non voglio dire che questo lavoro di traduzione non sia lodevole: ce ne sono anche dei peggiori e meno proficui». Vorrei porre a suggello di questo mio intervento un breve cenno al latino, secondo Cervantes «regina di tutte le lingue»29, indiscusso e silenzioso protagonista di molti dei contributi pubblicati nei Miscellanea, che ne sottendono non solo il perfetto dominio ma un’analisi testuale e contenutistica, puntualmente condotta con notevole acribia. È noto che «il latino ha compiuto molte traversate e abbattuto molte barriere»30. Storicamente esso conobbe la fase arcaica, classica, tardoantica, cristiana, medievale, umanistica, moderna e contemporanea, conobbe il plurilinguismo, dal sermo ornatus e gravis a quello cotidianus, sicché, se l’Europa ha la facies della diversità, il latino ne è espressione storica e culturale31. Oggi, declinata pericolosamente la conoscenza delle lingue classiche, potrebbero aprirsi due scenari contrapposti: uno, dalle tinte decisamente fosche, potrebbe vederne smarrita la funzione culturale e avviarlo a una lenta, inesorabile emarginazione; l’altro, che auspichiamo con forza, potrebbe farne un formidabile strumento per riappropriarsi della prospettiva storica, gradatamente rimossa, e riconquistare il senso del tempo e della distanza. Senza dimenticare un’affermazione di Alfonso Traina, mio indimenticato Maestro, mancato di recente32: grazie alla preziosa testimonianza del bilinguismo del Pascoli «il latino è ricco del suo futuro, l’italiano del suo passato»33.

28 T. GREGORY, Translatio linguarum. Traduzioni e storia della cultura, Firenze 2016 (Lessico intellettuale europeo. Opuscula, 2). 29 MIGUEL DE CERVANTES, Don Chisciotte della Mancia, II, Cles (Trento) 1991, p. 1129. 30 DIONIGI, Il presente non basta cit., p. 86. 31 F. WAQUET, Latino. L’impero di un segno (XVI-XX secolo), traduzione di A. SERRA, Milano 2004 (Campi del sapere). 32 P. PARADISI, Ricordo di Alfonso Traina (Palermo 1925 – Bologna 2019), in Studi e problemi di critica testuale 99 (2019), pp. 9-21. 33 A. TRAINA, Il latino del Pascoli. Saggio sul bilinguismo poetico, Bologna 20063, p. 226.

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CHIARA CALVANO

L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE ATTRAVERSO I SUOI CODICI CONSERVATI NELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA: IL VAT. LAT. 5248* ABSTRACT a p. 67.

«Quel tuo libro cresce tanto che credo non si stamperà mai, a guisa delle fatiche di Pirro Ligorio»1

Non ancora quattordicenne, Aldo Manuzio il Giovane, rampollo nonché ultimo erede della celebre famiglia di stampatori veneziani, pubblicò l’Orthographiae ratio ab Aldo Manutio Paulli f. collecta (Venetiis, [Paolo Manuzio], 1561), opera in cui si prefiggeva di comprovare le diverse forme dell’ortografia latina con libri et lapides2. Il volume rappresentò il primo ri* Per i suggerimenti e l’aiuto fornitomi durante la stesura di questo contributo desidero ringraziare Lorenzo Calvelli (Università Ca’ Foscari Venezia), Xavier Espluga (Universitat de Barcelona), Enrica Culasso (Università degli Studi di Torino), Simona Antolini (Università degli Studi di Macerata), Laura Lalli (Biblioteca Apostolica Vaticana), Lorenzo Mancini (Pontificia Università Gregoriana – Archivio storico), Isabella Cecchini (Università Ca’ Foscari Venezia), Federica Kappler (Università di Roma “La Sapienza”), Massimo Bandini. Un ringraziamento speciale desidero rivolgerlo a Marco Buonocore per aver creduto in me senza riserva alcuna sin dal principio, per avermi costantemente spronata e seguita durante le mie ricerche e per aver accolto il mio elaborato all’interno di questo volume. 1 Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. E 33 inf. ff. 195r-202r. Il testo dell’epistola, datata 3 giugno 1570 e indirizzata da Paolo Manuzio al figlio Aldo, è edito in A. A. RENOUARD, Lettere di Paolo Manuzio copiate sugli autografi esistenti nella Biblioteca Ambrosiana, Paris 1834 (rist. 1953), pp. 201-204, il quale omette i testi epigrafici che in essa erano registrati; cfr. E. PASTORELLO, L’epistolario Manuziano. Inventario cronologico-analitico, 1483-1597, Firenze 1957, p. 112 nr. 1454. 2 Così Manuzio nella dedica prefatoria dell’Orthographia indirizzata all’amico paterno Francesco Sirena Morando, f. 3r: «In hoc libello consuetudinem antiquorum indicavi, ut eos ~ testimonio. in scribendo liceat imitari. usus sum lapidum, nummorum, veterumq'. Libroru etymologiae rationem ostendi […]». Il manuale riscosse un notevole successo e fu più volte riedito, anche in forma epitomata: cfr. A. SERRAI La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane, Milano 2007, pp. 24-25, 62-67. Per approfondimenti sulla biografia del giovane Manuzio, si rinvia a ibid., pp. 9-18; PASTORELLO, L’epistolario Manuziano cit., pp. 287-292; E. RUSSO, Manuzio, Aldo, il Giovane in DBI, 69, Roma 2007, pp. 245-250; M. BUONOCORE, Profili biobibliografici dei personaggi citati nelle lettere, in Lettere di Theodor Mommsen agli italiani, Città Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 27-73.

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sultato di un lavoro di raccolta e analisi di materiale epigrafico cominciato già almeno un paio di anni prima e che ricevette nuovo impulso a partire dall’ottobre di quello stesso 1561, quando Aldo raggiunse il padre Paolo a Roma, che lì aveva contribuito a fondare la Stamperia del Popolo3. Il materiale, costituito da appunti, bozzetti autografi e non, ritagli di stampe e disegni che egli riuscì ad accumulare negli anni di permanenza nella città papalina4, confluì in buona parte nella nuova edizione di molto ampliata della Orthographia (Venetiis, [Paolo Manuzio], 1566), in cui Manuzio affermò di averne raccolto ormai in diversi libri che destinava di pubblicare in futuro5. Probabilmente non era ancora ben delineata nella sua mente la forma che quella pubblicazione avrebbe dovuto assumere; è certo, però, che negli anni successivi seguitò a reperire iscrizioni un po’ ovunque servendosi della sua vastissima rete di conoscenze, chiedendo trascrizioni, collezionando egli stesso sassi e domandando in prestito numerose raccolte manoscritte, come apprendiamo da molteplici lettere a lui indirizzate e in gran parte ancora inedite, tra cui anche quelle scritte da Ottaviano Ferrari6 e conservate nel Vat. lat. 5237. Grazie a una di queste in particolare7, si ha contezza del Vaticano 2017 (Studi e testi, 519-520), p. 226. La nota biografica relativa ai componenti della famiglia Manuzio che occupa la parte introduttiva di A. ZENO, Notizie letterarie intorno ai Manuzi stampatori e alla loro famiglia, in Le Epistole famigliari di Cicerone, già tradotte, et hora in molti luoghi corrette da Aldo Manutio Con gli argomenti a ciascuna epistola, & esplicationi de luoghi difficili, Venezia 1736, pp. I-LXXI, risulta completa di albero genealogico e della riproduzione delle marche di bottega. Sull’attività editoriale dei Manuzio si veda da ultima L. LALLI, I libri di Aldo Manuzio il Giovane nella Biblioteca Apostolica Vaticana: il progetto BAV-Aldvs, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019 (Studi e testi, 534), pp. 229-245 con bibliografia precedente in calce. 3 Su questa impresa editoriale e tipografica voluta da papa Pio IV si vedano F. BARBERI, Paolo Manuzio e la Stamperia del popolo romano (1561-1570) con documenti inediti, Roma 1942; L. LALLI, In aedibus Populi Romani, in Strenna dei Romanisti 73 (2013), pp. 395-405 e bibliografia precedente in calce. 4 Già nel 1563, all’interno della dedica prefatoria dei suoi frammenti di Sallustio egli scrisse a Francesco Sirena Morando: «postquam ad urbem veni, totus in cognoscenda antiquitate fui, itaque magnum volumen effeci veterum inscriptionum»: cfr. G. SALLUSTIUS CRISPUS, Coniuratio Catilinae, et Bellum Iugurthinvm fragmenta eiusdem historiarum, e scriptoribus antiquis ab Aldo manutio, Pauli f. collecta. Scholia Aldi manutii index rerum, & verborum memorabilium, Romae, apud Paulum Manutium, 1563 (colophon: 1564). 5 A. MANUZIO, Orthographiae ratio ab Aldo Manutio Paulli f. collecta, [Paolo Manuzio] Venetiis 1566, p. 612: «Quae aliquando, si vita, valetudo, et otium suppetet, ex nostris Antiquarum Inscriptionum libris cognoscentur». 6 Su di lui C. PASINI, Giovanni Donato Ferrari e i manoscritti greci dell’Ambrosiana (con note su Francesco Bernardino e Ottavio Ferrari e sui manoscritti di Ottaviano Ferrari all’Ambrosiana), in Nea Rhome 1 (2004), 351-386, in particolare pp. 354-356 e riferimenti biografici in nt. 6. 7 Vat. lat. 5237, ff. 313r-314v: «Mag.co S.r. mio osserv.mo, […] ho fatto un poco di diligentia per havere le raccolte da l’Alciato, et dal Cicerini, e di più quelle di Como, già coppiate

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delle trattative che il filosofo e storico milanese portò avanti per assicurare al giovane Aldo le sillogi epigrafiche di Andrea Alciato8, Francesco Ciceri9 e Benedetto Giovio10. Qualunque fosse il suo progetto, esso non vide la luce. Manuzio morì nel 1597 e l’enorme mole di materiali da lui raccolti giunse in Biblioteca Vaticana a partire dall’anno successivo, dove tutt’ora si conserva nei venti codici registrati come Inscriptiones veteres variae all’interno dell’inventario manoscritto della biblioteca manuziana, oggi Vat. lat. 712111. Tra questi vi è anche un codicetto di piccole dimensioni molto interessante in quanto fu la prima raccolta di iscrizioni confezionata da Manuzio: il Vat. lat. 524812. et dichiarate da il Benedetto Iovio fratello di Paolo. Credo ch’ io possa promettervi di poterle havere, et servirvene. Però quando voi siate per fermarvi in Venetia, et voglio che dette antichità se vi mandino, degnate farmelo sapere. Et io mi ingegnero, con il mezzo di alcuno amico mio ch’ venga a Venetia, di farvele portare: accioche coppiate, me le rimandiate per renderle a padroni. […] Da Milano il 18 di Giugno 1566. Di V.S. Servitore affett.mo, Ottavian Ferraro […]». 8 La Inscriptionum veterum collectio, oggi Vat. lat. 10546. Per le innumerevoli copie della raccolta epigrafica alciatina si rinvia a I. CALABI LIMENTANI, L’approccio dell’Alciato all’epigrafia milanese, in Andrea Alciato umanista europeo, in Periodico della Società Storica Comense, 61 (1999), pp. 27-52, in particolare pp. 28-35 (rist. in EAD., Scienza epigrafica. Contributi alla storia degli studi di epigrafia latina, Faenza 2010, pp. 249-279). 9 Ciceri compose due opere di interesse epigrafico: le Inscriptiones antiquae et sepulcrales Mediolani, Modoetiae et Comi, il cui autografo è conservato presso Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, ms. Morbio 22, e un’integrazione alla raccolta di epigrafi milanesi di Andrea Alciato, che godette di una certa fortuna già ai tempi dell’autore, ossia l’Antiquorum monumentorum urbis Mediolani ab Alciato praetermissorum ad Galeatium Brugora libri duo, di cui si conservano l’autografo in Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 240 inf. e cinque copie (Milano, Biblioteca Ambrosiana, mss. C 65 inf. e D 123 inf.; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, ms. AD XII 29; Modena, Biblioteca Estense Universitaria, mss. ΓB.4.20 e ΓW.5.10): cfr. ora F. GALLO, I manoscritti di Francesco Ciceri nella Biblioteca Ambrosiana, PhD Dissertation, Pázmány Péter Katolikus Egyetem, Budapest 2019. 10 Per una trattazione sui Veterum monumentorum quae tum Comi tum eius in agro reperta sunt collectanea e i numerosi testimoni che li tramandano si rinvia all’ancora validissimo studio di I. CALABI LIMENTANI, La lettera di Benedetto Giovio ad Erasmo, in Acme 25 (1972), pp. 5-37 (rist. in EAD., Scienza epigrafica cit., pp. 211-247). Il materiale presente nelle tre sillogi fu successivamente utilizzato per la compilazione dell’attuale codice Vat. lat. 5236, in gran parte autografo di Aldo Manuzio stesso: CIL V, p. 563 nr. II.6: «Manutius quae descripsit ex Iovii Comensibus missis sibi a. 1569 a Fr. Cicereio una cum Alciati et ipsius Cicereii Mediolanensibus, hodie extant in libro Vaticano n. 5236 f. 283 sq. post Alciatina illa et Cicereiana». 11 I manoscritti in questione sono i Vat. lat. 5234-5253. Sulla vicenda del sequestro della Biblioteca di Aldo Manuzio da parte della Biblioteca Apostolica Vaticana si vedano A. CAMPANA, Contributi alla biblioteca del Poliziano, in Il Poliziano e il suo tempo, atti del IV Convegno internazionale di studi sul Rinascimento (Firenze, Palazzo Strozzi, 23-26 settembre 1954), Firenze 1957 (Istituto nazionale di studi sul Rinascimento) p. 208 nt. 919; LALLI, I libri di Aldo Manuzio il Giovane cit., pp. 238-240, dove si fa riferimento anche agli inventari della biblioteca manuziana conservati presso la Biblioteca Vaticana e la Biblioteca Ambrosiana di Milano. 12 Il codice è ora digitalizzato e liberamente consultabile sul sito della BAV al seguente permalink https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.5248.

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Il manoscritto, mm 197  134, consta di ff. IX + Ir-v + 44r-v + IX cartacei (bianchi i ff. Ir, 7v, 8v, 11v, 12v, 16v-17v, 18v, 20v-21r, 23v, 24v, 27v-30v, 33v, 37v-38v, 39v, 40v, 41v, 44r-v) ordinati secondo tre diverse foliazioni: una prima in cifre arabe a inchiostro stampate nell’angolo esterno del margine inferiore destro, adottata anche nel presente contributo; una seconda sempre in cifre arabe a inchiostro bruno apposte da Manuzio stesso da f. 1r a f. 22v nell’angolo superiore esterno di ciascun bifoglio, per un totale di 44 bifogli più un ulteriore bifoglio (23r) su cui compare ripetuta la numerazione del bifoglio precedente (44); una terza in cifre romane sopralineate apposte sempre per mano di Manuzio e col medesimo inchiostro subito al di sotto della foliazione a stampa nell’angolo inferiore destro del recto di ff. 9, 19, 24 e, con tre salti di numero, 32, 37, 43 (stante quest’ultima cartulazione, i fogli risulterebbero essere complessivamente 41 anziché 44). Unica eccezione è costituita da f. I a inizio raccolta, sul cui angolo esterno destro del margine inferiore è stata successivamente aggiunta a matita un’indicazione in cifre romane. Sulla prima carta di guardia anteriore e sull’ultima posteriore è adesa la stessa carta marmorizzata speculare dei rispettivi contropiatti anteriore e posteriore; sulla controguardia anteriore è incollata un’etichetta cartacea di color carta da zucchero sulla quale è indicata la segnatura del manoscritto, che si ripete identica sull’etichetta presente sul dorso della legatura nel compartimento compreso tra terzo e quarto nervo; il numero identificativo, poi, si riscontra impresso con inchiostro dorato sul dorso, all’interno del compartimento delimitato da primo e secondo nervo, e a inchiostro scuro lungo il margine superiore di f. VIIr e il margine inferiore di f. 1r; al f. 1r, inoltre, risulta impresso a inchiostro il sigillo della BAV, che si ripete identico al f. 43v. La legatura in pelle bruna è databile al periodo in cui, sotto il pontificato di Pio VI, bibliotecario di Santa Romana Chiesa era il cardinale Francesco Saverio de Zelada (1779-1797)13. Tale 13 Nato da nobile famiglia di origine spagnola, Francesco Saverio de Zelada fu creato cardinale da Clemente VIII il 19 aprile 1773. Nel 1779 fu nominato bibliotecario da Pio VI, incarico che mantenne fino alla sua morte sopraggiunta in tarda età nel 1801, e successivamente, sempre sotto papa Braschi, ricoprì l’incarico di Segretario di Stato, divenendo figura di primo piano nel panorama politico di fine Settecento (cfr. Die päpstlichen Referendare 1566-1809. Chronologie und Prosopographie, III, bearbeitet von C. WEBER, Stuttgart 2003, p. 989 (Päpste und Papsttum, 31.3); CH. M. GRAFINGER, Francesco Saverio de Zelada, in I Cardinali bibliotecari di Santa Romana Chiesa. La quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di J. CARD. MEJÍA – CH. M. GRAFINGER – B. JATTA, Città del Vaticano 2006 (Documenti e riproduzioni, 7), pp. 239-243 nr. 24; BUONOCORE, Profili bio-bibliografici cit., p. 188). Dotato di grande cultura, Zelada fu anche collezionista e mecenate oltre che raffinato bibliofilo. Nell’appartamento a Tor de’ Venti, concessogli in uso dal pontefice, egli allestì la sua ricca collezione di antichità (monete, statue, reperti fittili e 259 epigrafi successivamente collocate nella Galleria Lapidaria Vaticana e ordinate a classificate da Gaetano Marini, su cui R. BARBERA – M. BUONOCORE, Gaetano Marini e la genesi della “Galleria Lapidaria”. Tradizione e

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datazione è desumibile dalla presenza dei rispettivi stemmi pontificio e cardinalizio dorati impressi l’uno all’interno del compartimento racchiuso tra la cuffia superiore e il primo dei cinque nervi presenti sul dorso, l’altro tra l’ultimo nervo e la cuffia inferiore14. Si tratta di una miscellanea epigrafica composta da fascicoli e schede di diversa provenienza relativi prevalentemente al territorio veneto15. In buona parte dei primi 23 fogli, tutti autografi, Manuzio procedette alla suddivisione dello spazio scrittorio piegando le pagine in due nel verso della lunghezza applicandovi una leggera pressione al centro; successivamente tracciò una linea divisoria in corrispondenza di tale piega e diverse altre linee ad essa perpendicolari. Tali passaggi non sempre vennero rispettati nella loro consequenzialità. I testi delle epigrafi, infatti, pur mantenendosi innovazione, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, IV: La Biblioteca Vaticana e le arti nel Secolo dei Lumi (1700-1797), a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2016, pp. 215-228; A. RITA, Tra rivoluzione e restaurazione. La Vaticana di Marini, Battaglini e Baldi, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, V: La Biblioteca Vaticana dall’Occupazione francese all’ultimo papa re (1797-1878), a cura di A. RITA, Città del Vaticano 2020, pp. 56-105: pp. 64-67) e la sua biblioteca, che constava di più di 6000 volumi, un quarto dei quali costituito da manoscritti. Gran parte di questi ultimi fu traslata nella Biblioteca Capitolare di Toledo durante il periodo dell’occupazione francese e successivamente passò alla Biblioteca Nazionale di Madrid (tra di essi anche di uno degli esemplari della silloge giocondiana vergato da Bartolomeo Sanvito, il ms. 10096 della Biblioteca Nacional de España, su cui A. C. DE LA MARE – L. NUVOLONI, Bartolomeo Sanvito. The Life and Work of a Renaissance Scribe, edited by A. HOBSON – C. DE HAMEL, Paris 2009, pp. 346-347). L’inventario in due volumi della sua raccolta libraria (Latinorum Italorum Gallorum Hispanorumque manuscriptorum codicum Zeladianae Bibliothecae catalogus), redatto da Angelo Battaglini, si conserva presso Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 4256. Cfr. M. E. MICHELI, Naturalia e artificialia nelle raccolte del cardinale Francesco Saverio de Zelada, in Illuminismo e ilustración: le antichità e i loro protagonisti in Spagna e in Italia nel XVIII secolo, a cura di J. B. FORTES – B. CACCIOTTI – X. B. REVENTÓ – B. P. VENETUCCI, Roma 2003, pp. 231-242; M. G. CRITELLI, “L’impazzamento nel collocare una sì gran machina di cose”. Acquisizioni di manoscritti nel secolo XVIII, in La Biblioteca Vaticana e le arti cit., pp. 231-306, particolarmente p. 262; P. ERRANI, I libri del papa tra Quirinale e Vaticana: Le biblioteche di Zelada e Pio VII, in La Biblioteca Vaticana dall’Occupazione francese all’ultimo papa re cit., pp. 107-131. 14 Il restauro della quasi totalità delle legature dei fondi manoscritti greco e latino della BAV è avvenuto in epoca moderna in almeno tre riprese; la più invasiva fu proprio quella operata da Francesco Saverio de Zelada negli ultimi due decenni del XVIII sec. Cfr. A. MANFREDI, Antichi inventari e legature di manoscritti. Una linea di ricerca, in Gazette du livre médiéval 29 (1996), pp. 7-11, in particolare p. 7. 15 Così già Augusto Campana ad Attilio Degrassi: «È una miscellanea epigrafica, in gran parte veneta, messa insieme da Aldo Manuzio iun.; comincia con estratti (iscrizioni di Venezia) dal codice del Marcanova che si conservava a Padova nella bibl. di San Giovanni di Verdara [...], ma è formato di fascicoli e schede di varia provenienza ed indole, anche non di sua mano». Il testo è stato trascritto dallo stesso Degrassi in A. DEGRASSI, Le sortes di Bahareno della Montagna in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di Scienze Morali e Lettere 110 (1952), pp. 351-359: p. 351 nt. 1 (rist. in ID., Scritti vari di antichità raccolti da amici e allievi nel 75° compleanno dell’autore, II, Roma 1962, p. 1019 nt. 1).

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più o meno costantemente entro i limiti delle due colonne originatesi grazie alla piegatura, furono quasi sempre trascritti prima che le linee divisorie venissero tracciate: ne è riprova il fatto che i riquadri entro cui sono inscritti hanno tutti dimensioni differenti l’uno dall’altro e che l’andamento della linea che corre lungo la piega centrale del foglio tende a variare adattandosi allo spazio occupato dal testo. Nei restanti fogli i tituli risultano disposti in modo tale da occupare l’intera superficie scrittoria e sono tra loro divisi per mezzo o di linee orizzontali o di un segno a forma di piccola spirale, marca tipica di Aldo il Giovane che si riscontra con un’altissima frequenza all’interno dell’intera sua produzione manoscritta. Secondo quanto suggerito da Theodor Mommsen, la prima sezione del codice risalirebbe al periodo subito precedente la stampa della prima edizione dell’Orthographiae ratio16. Sebbene non sussistano elementi interni che comprovino incontrovertibilmente la validità dell’assunto, la pertinenza geografica molto ristretta delle epigrafi raccolte in queste pagine nonché il successivo trasferimento a Roma del giovane Aldo e il conseguente ampliamento dei suoi “orizzonti epigrafici” porterebbero in linea di massima a concordare su tale datazione. In base a quanto riportato da Manuzio stesso al f. Iv, la silloge nacque come selezione di iscrizioni di Venezia da lui stesso tratte dall’esemplare che tramanda la seconda redazione della Collectio antiquitatum di Giovanni Marcanova17 e che, in ossequio alle direttive testamentarie dello stesso artium et medicinae doctor Patavinus, venne trasferito post eius mortem presso il cenobio dei canonici lateranensi di San Giovanni in Verdara insieme a tutta la sua biblioteca privata18. Quasi certamente fu durante il 16 CIL V, p. 205: «auctor [scil. Aldo Manuzio] eam exaravit ante a. 1561 puer annorum XV (nam in Orthographia eo anno edita iam adhibita sunt Veneta haec)». 17 Modena, Biblioteca Estense Universitaria, ms. Lat. 992 (= α.L.5.15) (1465). L’ultima puntuale analisi del codice è stata condotta da X. ESPLUGA, Il contributo dello Studium bolognese al progresso dell’epigrafia nella seconda metà del Quattrocento, in L’Officina epigrafica romana. In ricordo di Giancarlo Susini, 16-18 settembre 2010, a cura d A. DONATI – G. POMA, Faenza 2012, pp. 9-36 con bibliografia precedente in nt. 33. Ibid., pp. 32-36, e in S. CARTWRIGHT, The Collectio Antiquitatum of Giovanni Marcanova: Modena, Biblioteca Estense Universitaria Ms. alfa. L.5.15 = Lat. 992 and the Quattrocento Antiquarian Sylloge, PhD dissertation, New York University 2007, pp. 101-146, è possibile reperire informazioni e bibliografia relative a ciascuna delle quattro copie note della Collectio antiquitatum. 18 Vat. lat. 5248, f. Iv: «ex libro Ioannis Marchanovae, artis et medicinae doctoris, existente Patavii in coenobio revendorum dominorum patrum Sancti Ioannis in Viridario anno gratiae MCDLXV kalendis octobris»: si veda P. TOSETTI GRANDI, Giovanni Marcanova in San Giovanni di Verdara in Padova, in Sulle pagine, dentro la storia. Atti delle Giornate di studio LABS (Padova, 3 e 4 marzo 2003), a cura di C. BETTELLA, Padova 2005, pp. 175-219. Il testamento, datato 13 luglio 1467, è edito in E. BARILE, La famiglia Marcanova attraverso sette generazioni, in Cittadini veneziani del Quattrocento: i due Giovanni Marcanova, il mercante e l’umanista, a cura di E. BARILE – P. C. CLARKE – G. NORDIO, Venezia 2006, pp. 1-245, nello

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1558 che Manuzio, in quel periodo in visita a Padova, poté avere accesso alla silloge marcanoviana19, da cui copiò per intero e in maniera pressoché pedissequa i tituli relativi per l’appunto al centro storico di Venezia (ff. 4r5r = app. 31-49) e le isole di Torcello (f. 8r = app. 68-73) e Murano (f. 9r = app. 74-75) nella laguna nord, ma anche ad Adria (f. 10r = app. 79-84), Grado (ff. 13v-14v = app. 95-103), Salona (ff. 15r-16r = app. 105-113) e Nona (f. 16r = app. 114-115)20. All’interno delle carte a questi inframmezzate, così come ai ff. 1r-3v, egli registrò numerose altre iscrizioni da lui personalmente visionate in territorio lagunare, molte delle quali attestate ora per la prima volta21 e in parte giunte a Venezia seguendo le molteplici e articolate vie del collezionismo. È questo il caso di alcune iscrizioni segnalate in casa degli eredi del diplomatico e umanista Girolamo Donà del ramo Dalle Rose22. Fra i tituli tramandati da Manuzio al f. 3v (tre in totale) e da questi allocati nella dimora in Rio Terà della Maddalena nel sestiere di Cannaregio, due menzionano personaggi il cui cognomen (Donatus), contribuiva a riconoscere antiche origini ai membri della famiglia23. specifico pp. 240-245. Per quanto concerne la storia del complesso conventuale e della sua biblioteca si rinvia qui a M. C. VITALI, La biblioteca del convento padovano di S. Giovanni di Verdara, in Archivio Veneto 119 (1982), p. 5-25; G. BRAGGION, Un indice cinquecentesco della biblioteca di S. Giovanni di Verdara a Padova, in Italia medioevale e umanistica 29 (1986), pp. 233-280. 19 Testimonianza della sua presenza in città è un’epistola indirizzata a Paolo Manuzio da Marc-Antoine Muret, all’interno della quale il filologo e umanista francese, con cui Paolo intratteneva rapporti lavorativi e d’amicizia, si dice sinceramente impressionato dalla precocità dell’allora undicenne Aldo. Il testo della lettera è edito in M. Antonii Mureti Liber Epistolarum nunquam antehac editus, Venetiis 1618, p. 6; cfr. PASTORELLO, L’epistolario manuziano cit., p. 78 nr. 757. Un riferimento all’episodio è anche in RUSSO, Manuzio, Aldo cit., p. 245. 20 Tra la Collectio del Marcanova e la piccola silloge manuziana vi è corrispondenza quasi perfetta di sequenza di trascrizione, impaginazione dei testi epigrafici, lemmi topografici e varianti testuali. 21 CIL V 2226 (= app. 9), 2292 (= app. 10), 2174 (= app. 12), 2147 (= app. 13), 2218 (= app. 15), 2173 (app. 16), 2148 (= app. 23), 2256 (= app. 28), 2248 (= app. 29), 2169 (= app. 30), 2280 (app. 52 e 52bis), 2222 (= app. 54 e 54bis), 2300 (= app. 55), 2144 (= app. 54), 2145 (= app. 57 e 57bis), 743 (= app. 58), 746 (= app. 60), 2293 (= app. 63), 2294 (= app. 64). 22 Personaggio politico di grande rilievo e amante delle antichità, Girolamo Donà (o Donato) riuscì a dar vita a una raccolta antiquaria che, seppur non vasta, poteva vantare pezzi di un certo livello, molti dei quali provenienti da Ravenna, dove fu podestà dal 1492 al 1495. Informazioni sulla sua figura e la sua collezione sono reperibili in Collezioni di antichità a Venezia nei secoli della Repubblica. Dai libri e documenti della Biblioteca Marciana, catalogo della mostra (27 maggio – 31 luglio 1988) a cura di M. ZORZI, Roma 1988, pp. 23-24; P. RIGO, Donà, Girolamo, in DBI, 40, Roma 1991, pp. 731-743; Girolamo Donà. Dispacci da Roma (19 gennaio – 30 agosto 1510), trascrizione di V. VENTURINI, introduzione di M. ZORZI, Venezia 2009, pp. IX-XIII. 23 CIL V 2248 (= app. 29: Q. Nonnius Donatus, prima attestazione), 2937 (= app. 27:

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A Ca’ Cappello in Rio della Canonica giunse un gruppo di epigrafi tergestine ivi fatte trasportare nel 1509 dall’allora podestà veneziano di Trieste Francesco Cappello24. Successivamente, tali iscrizioni furono dislocate dal figlio Carlo nell’immobile di loro proprietà situato nelle immediate vicinanze del ponte lapideo che conduce alla chiesa di Santa Croce sull’isola della Giudecca, dove Manuzio ne segnalò la presenza25. Di provenienza aquileiese, invece, sono tre tituli che Manuzio trascrisse al f. 5v localizzandoli nel palazzo di proprietà della famiglia patrizia veneziana Grimani del ramo di Santa Maria Formosa26. Quivi giunsero, insieme ad altre iscrizioni (quasi tutte con dedica al dio Beleno), come dono da parte di Giovanni Savorgnan27, feudatario di Belvedere, al nuovo patriarca di Aquileia, Giovanni Grimani28. Queste iscrizioni sono probabilmente da annoverare tra quei «sassi» che al f. 19r Manuzio annotò come presenti «in casa del Patriarcha Grimani», ma di cui non riportò alcuna trascrizione (tav. I)29. Assieme a tali «sassi» si trovano annoverate anche «2 iscrizioni in L. Cossius Donatus), 2256 (= app. 28, prima attestazione). Per un caso analogo cfr. L. CALVELLI, Monumenti altinati da Torcello. 1. L’urna cineraria di Cusonia Posilla, in Rivista di archeologia 38 (2014), pp. 93-108. 24 Cfr. Collezioni di antichità a Venezia cit., p. 43. Per un inquadramento biografico sul Capello (il nome della famiglia è noto anche nella sua versione scempia “Capello”) si rinvia a A. VENTURA, Cappello, Francesco, in DBI, 18, Roma 1975, pp. 775-778. 25 Vat. lat. 5248, f. 3r: «In domo cl(arissi)mi viri Caroli Capellii eq(uitis) Francisci eq(uitis) filii, in Iudaica penes pontem lapideum qui ducit ad Cruceiam aedem». Le iscrizioni in questione sono CIL V 534 (= app. 21), 541 (= app. 19), 554 (= app. 20), 563 (= app. 17), 611 (= app. 18). Su Carlo Capello si veda A. VENTURA,Cappello, Carlo, in DBI, 18, Roma 1975, pp. 767-772. 26 CIL V 743 (= app. 58), 738 (= app. 59), 746 (= app. 60). 27 Per ingraziarsi il nuovo patriarca di Aquileia, noto per essere grande collezionista di antichità, intorno al 1548 Savorgnan promosse la prima campagna di indagini “archeologiche” nell’area pressoché abbandonata dell’Abbazia di San Martino della Beligna. I tre monumenti erano parte integrante di un gruppo di iscrizioni costituito prevalentemente da altari votivi del dio Beleno: CIL V 736, 738, 739, 740, 742, 743, 744, 746, 747, 749, 754, 833, 837, 1115. Cfr. C. ZACCARIA, Vicende del patrimonio epigrafico aquileiese. La grande diaspora: saccheggio, collezionismo, musei, in Antichità Altoadriatiche 24 (1984), pp. 117-167. Informazioni sul casato dei Savorgnan sono reperibili in L. CASELLA, I Savorgnan. La famiglia e le opportunità del potere, Roma 2003. 28 Sulle vicende collezionistiche dei Grimani e per una ricostruzione della loro raccolta di antichità si veda ora L. CALVELLI, Conclave plenum inscriptionibus quae per cancellos a limine solum salutare licuit. Le epigrafi delle raccolte di Palazzo Grimani a Venezia, in L’iscrizione nascosta, atti del Convegno Borghesi 2017, a cura di A. SARTORI (Epigrafia e Antichità, 42), Faenza 2019, pp. 379-419, con bibliografia precedente. 29 Cfr. ibid., p. 391. Difficile stabilire a quali iscrizioni facesse invece riferimento al f. 23r, dove appuntò di essere a conoscenza di epigrafi precedentemente di proprietà di Giovanni Grimani ma transitate poi a Padova presso il Ramusio (non è dato sapere se Giovanni Battista o il figlio Paolo) nella sua casa nei pressi della chiesa di San Pietro, dove si trovavano nel momento in cui stava scrivendo: anche in questo caso Manuzio non trascrisse alcun testo epigrafico e una disamina dei tituli registrati in CIL V non ha condotto all’individuazione di

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bronzo», probabilmente due tra i tre diplomi militari riportati da Manuzio ai ff. 19v-20r30. Altre due epigrafi (una greca e una latina) trascritte al f. 3v erano collocate, secondo la testimonianza di Manuzio, nella casa di proprietà di Giovanni Corner, figlio di Benedetto, alla Giudecca31. Il titulus latino (CIL III 3192c = app. 24) è da annoverare con certezza tra i 22 monumenti iscritti che lo storico savoiardo Emanuele Filiberto Pingone, all’interno della sua Antiquitatum Patavinarum Collectanea (1547), per primo aveva segnalato nella collezione allestita dal patrizio veneziano Daniele Vitturi Lippomano all’interno della sua villa a Strà, a cinque miglia da Padova (tav. II)32. Circa le sorti di tale raccolta antiquaria non si conosce altro all’infuori delle brevi notizie fornite dal domenicano Jacopo Salomonio, il quale nel 1696 registrò come ancora esistenti in situ solo tre iscrizioni, due latine e una greca33. È opinione condivisa che i pezzi della collezione attestati a Venezia epigrafi appartenute a entrambe le famiglie. Sulla domus Rhamusiana, «ammirabile per l’eleganti pitture, per li monumenti di antichità, per le iscrizioni e per li marmi vetusti di che il padrone (scil. Giovanni Battista Ramusio) avevala arricchita» (E. A. CICOGNA, Delle inscrizioni veneziane raccolte ed illustrate Emmanuele Antonio Cicogna, cittadino veneziano, II, Venezia 1827, p. 331), si veda P. SAMBIN, Note Ramusiane I. Case padovane dei Ramusio affittate a studenti universitari: i patti del 1559, in Quaderni per la Storia dell’Università di Padova 25 (1992), pp. 567-574, in particolare pp. 567-569. Paolo Ramusio redasse di suo pugno il catalogo della collezione di famiglia, oggi conservato in Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. XIV 260 (4258), ff. 27r-43v, 46r-55v. Su di esso P. ZORZANELLO, Catalogo dei codici latini della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia non compresi nel catalogo di G. Valentinelli, III, Trezzano sul Naviglio 1985, pp. 450-460; A. CARACCIOLO ARICÒ, La più vasta silloge di iscrizioni spagnole del primo Cinquecento italiano: il codice marciano, Lat. Cl. XIV, CCLX (= 4258), in Venezia, l’archeologia e l’Europa, atti del congresso internazionale (Venezia, 27-30 giugno 1994), a cura di M. FANO SANTI (Rivista di Archeologia. Supplementi, 17), Roma 1996, pp. 26-33. 30 CIL XVI 38 (= app. 118), CIL V 4091 (= app. 120), 4092 (= app. 119). 31 L’abitazione dei Corner, celebre per essere dotata di uno tra i giardini più belli di tutta l’isola, era collocata in Fondamenta Rio della Croce. Dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1903 essa divenne sede dell’Ospedale Cosmopolitano voluto dall’allora proprietaria Lady Layard. L’argomento è stato trattato nel recente lavoro di F. BASALDELLA, Palazzo Sanudo, Casa del Leone, Ospedale inglese, Giudecca, Venezia 2016. 32 Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, cat. 2, Storie generali, m. 6, fasc. 1, f. 228v: «In Stra’ pago ad V lapidem in domo magnifici Danielis Vetulli Lippamani haec antiquissima exscripsimus». Su Emanuele Filiberto Pingone e i suoi manoscritti si vedano CIL V, pp. 264 e 772; CIL III, p. 401 (ove sono presenti notizie anche sulla collezione Lippomano); G. SARONI, Manoscritti antichi nella biblioteca di Filiberto Pingone, in Bollettino storico-bibliografico subalpino 110 (2013), pp. 635654; A. MERLOTTI, Pingone, Filiberto, in DBI, 83, Roma 2015, pp. 738-741; S. GIORCELLI BERSANI, Falsari piemontesi del XVI secolo. Monsù Pingon e gli altri, in La falsificazione epigrafica. Questioni di metodo e casi di studio, a cura di L. CALVELLI, Venezia 2019, pp. 132-138. Circa la figura di Daniele Vitturi Lippomano cenni sono in G. BODON, Veneranda Antiquitas. Studi sull’eredità dell’antico nella rinascenza veneta, Bern 2005, p. 178 e bibliografia in nt. 79. 33 J. SALOMONII Agri Patavini Inscriptiones sacrae et prophanae, Patavii ex Typographia

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siano stati quasi certamente trasportati dalla laguna sulla terraferma in casa Lippomano34. Cionondimeno, la testimonianza di Manuzio consente di formulare una duplice ipotesi su quali possano essere stati gli sviluppi della vicenda collezionistica. La prima, che concorrerebbe ad avvalorare la lettura pocanzi prospettata dei fatti, ammette l’utilizzo in fase di compilazione del Vat. lat. 5248 di una o più fonti manoscritte precedenti da cui l’autore avrebbe tratto i testi delle due iscrizioni. Tale ipotesi risulterebbe percorribile in primo luogo a motivo della reiterata alternanza dei nomi Giovanni e Benedetto nel ramo dei Corner proprietari dell’immobile giudecchino35, che porterebbe a identificare nei personaggi citati da Manuzio nel lemma topografico due avi dei Giovanni e Benedetto Corner a lui contemporanei. In tale ottica i tituli sarebbero dunque effettivamente passati dalla loro collezione a quella dei Lippomano a Strà. Quella di attingere a materiale già esistente era pratica nota al giovane autore, il quale in altri punti della sua piccola silloge copiò materiale epigrafico relativo a Trieste e contado sia da un non meglio precisato volume manoscritto che molto probabilmente ottenne in prestito dall’amico di famiglia Paolo Ramusio (ff. 11r, 13r)36, sia da una epistola che Jacopo Valvassone di Maniago37 inviò al conte Mario Aurelio Savorgnan (f. 12r), pubblicata da Tommaso Giunti nel 1553 all’interno del volume De Balneis38. Tuttavia, in ognuno di questi casi Manuzio fece esplicita menzione delle sue fonti in postille apposte lungo il margine e l’angolo

Seminarii 1696, p. 344 (CIL III 3162b, cfr. p. 1650 = CIL V 333*, CIL III 3192b, cfr. p. 1650 = CIL V 333*, CIG 6748 (= app. 155)). La villa di Riviera sul Brenta era nel frattempo divenuta proprietà dei fratelli Geronimo e Alessandro Molin, figli di Alvise, del ramo dei Molin d’oro di Santa Caterina. Cfr. L. BOREAN, Alvise Molin, in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, a cura di L. BOREAN – S. MASON, Venezia 2007, pp. 288-289. 34 Cfr. CIL III, p. 401. 35 G. A. CAPPELLARI VIVARIO, Campidoglio Veneto, I; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. It. VII, 15 (8304), f. 332v. 36 Vat. lat. 5248, ff. 11r, 13r: «Ex libro Paulli Rhamnusii» (CIL V 562 = app. 87, 525 = app. 88, 497 = app. 89, 484 = app. 93). Per le poche notizie note sul Ramusio cfr. supra, p. 34 nt. 29. 37 Sullo storico udinese si veda L. SIMONETTO, Valvasone di Maniago Jacopo, storico, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani. L’età veneta, II, a cura di C. SCALON – C. GRIGGIO – C. ROZZO, Udine 2009, pp. 2569-2573; F. MAINARDIS, Per uno studio dei falsi nel manoscritto inglese di Jacopo Valvasone di Maniago (1499-1570), in La falsificazione epigrafica cit., pp. 161-178. 38 Vat. lat. 5248, f. 12r: «Ex (?) Utini, Iac(opum) Valvasonu(m) ad Mariu(m) Savornianum» (CIL V 707 = app. 90, 706 = app. 91, 709 = app. 92). Il testo dell’epistola è edito in De Balneis, quae extant omnia apud Graecos, Latinos et Arabes, Venetiis, apud Iuntas, 1553, pp. 307r-308v. Notizie biografiche sul Savorgnan sono reperibili in R. NORBEDO, Savorgnan del Monte (d’Ossopo, dello Scaglione) Mario Aurelio detto Mario il Vecchio, erudito e ingegnere, in Nuovo Liruti cit., pp. 2283-2288.

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destro superiori dei fogli in cui il materiale da esse tramandato era stato inserito. L’assenza di indicazioni di tal genere al f. 3v indurrebbe dunque a escludere questa prima ricostruzione dei fatti e a leggere nell’indicazione fornita da Manuzio una reale rappresentazione del suo tempo. È infatti noto come, all’epoca della compilazione della silloge, non solo i Corner, ma anche i Lippomano detenevano possedimenti sull’isola della Giudecca e così fu fino all’aprile del 1577, quando questi ultimi cedettero le loro proprietà isolane alla Serenissima per consentire la costruzione della chiesa del Redentore39. Appare perciò tutt’altro che priva di fondamento l’ipotesi che, a seguito di accordi di natura a noi ignota, alcuni pezzi della collezione Lippomano giunsero in laguna successivamente alla prima segnalazione che fu di Pingone, a maggior ragione in quanto il testo di CIL III 3192c risulta trascritto insieme con tutta quella serie di iscrizioni di cui Manuzio, come suddetto, ebbe modo di condurre l’autopsia40. Per quanto concerne l’epigrafe in lingua greca conservata anch’essa «In regione Iudaicae, in aedibus Ioannis Cornelii Benedicti», non vi sono dati che consentano di verificare se anche questo monumento sarebbe transitato da Strà a Venezia né di comprendere se vi giunse per altre vie in quanto questa nel Vat. lat. 5248 risulta la prima e ad oggi unica sua attestazione: Στραυτων (!) Πραύλου ἐ̣των ιαʹ χαῖρε.

Si tratta di un’iscrizione funeraria incisa su un supporto di cui non è possibile determinare forma, materiale e dimensioni in quanto disperso. Essa menziona un individuo di sesso maschile morto all’età di soli 11 anni il cui nome, Strato, era estremamente diffuso in tutto il mondo greco, diversamente dall’antroponimo paterno, Praulos, le cui poche attestazioni si concentrano per la maggior parte in Grecia settentrionale, nelle isole egee e 39 Il contratto di compravendita per 3000 ducati del terreno, sito accanto al romitorio dei cappuccini, venne firmato tra il doge Alvise Mocenigo e Girolamo Lippomano il 17 aprile 1577 (Archivio di Stato di Venezia [ASVe], Notarile, Atti, 14046, fasc. f, f. 259). Cfr. V. PIZZIGONI, I tre progetti di Palladio per il Redentore, in Annali di architettura: rivista del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio 15 (2003), pp.163-178. 40 Di nessuna utilità per la ricostruzione delle vicende che interessarono la collezione si rivela essere la testimonianza dell’ecclesiastico patavino Bernardino Scardeone, il quale, in apertura del paragrafo dedicato alle iscrizioni di Strà all’interno dell’opera De antiquitate urbis Patavii (1560), dichiarò la sua dipendenza proprio da Pingone. Sull’argomento cfr. infra, p. 41.

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in Asia Minore41. L’estrema semplicità del testo non consente di assegnare una precisa datazione al titulus; tuttavia, la scelta del sistema numerale alfabetico per l’espressione dell’indicazione biometrica suggerirebbe una sua realizzazione in età imperiale42. Inedite e genuine paiono essere anche altre due epigrafi funerarie in lingua greca trascritte rispettivamente ai ff. 3r e 3v, anch’esse disperse. La prima doveva essere conservata, parimenti a un’iscrizione in latino trascritta subito di seguito43, nei pressi della chiesa di Santa Maria Maddalena a Cannaregio, all’interno dello stabile a quel tempo recentemente acquistato da un non meglio identificato Messer Cocco44, la cui residenza precedente si trovava nel sestiere di Castello nella zona di Santa Giustina: Ἑρμογένης Ἑρμαίου χρηστὲ χαῖρε. Ἑρμαῖε Ἑρμογέν(ου) Ἐφέσιε χρηστὲ χαῖρε. Σρατονίκη Ἑρμαίου χρηστὴ χαῖρε.

Il titulus menziona tre individui della stessa famiglia, la cui onomastica 41 I dati onomastici sono il risultato dello spoglio incrociato dei database PHI (The Packard Humanities Institute) e LGPN (The Lexicon of Greek Personal Names). 42 Cfr. M. GUARDUCCI, Epigrafia greca, 3: Epigrafi di carattere privato, Roma 1974, p. 149. 43 CIL V 2148 (= app. 23: prima attestazione). 44 L’approssimazione con cui Manuzio tratteggiò il nome del possessore dell’iscrizione ha dato adito a letture differenti, a partire dallo stesso Mommsen che nel lemma di CIL V 2148 ha riportato il nome “Corea”. Tale proposta, tuttavia, non trova riscontro nella realtà in quanto non è mai esistita a Venezia una casata con tale nome. Questi possedettero effettivamente un palazzo nei pressi della chiesa della Maddalena, nella calle che da loro ha tratto il suo nome, ma ad oggi non si conosce alcuna loro proprietà nei pressi della chiesa di Santa Giustina, contrariamente ai Cocco (o Cauco), dei quali già Emmanuele Antonio Cicogna (CICOGNA, Delle inscrizioni veneziane cit., V, Venezia 1842, p. 257) ricorda un Andrea, consigliere del doge Andrea Dandolo, che abitò presso Santa Giustina fin dal 1379, dove si trova una calle a loro dedicata. I Cocco figurano anche tra le famiglie menzionate da CAPPELLARI VIVARIO, Campidoglio Veneto cit., I, ff. 266r-269r.

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consente di individuare il capostipite (Hermogenes, figlio di Hermaeus), suo figlio (Hermaeus, figlio di Hermogenes) e la figlia di quest’ultimo (Stratonike, figlia di Hermaeus). La presenza dell’etnico conferma per loro una morte lontana dalla terra natia, in questo caso Efeso; tuttavia la diffusione estremamente elevata in tutto il mondo greco dei loro antroponimi rende difficoltoso stabilire la provenienza dell’epitaffio, per la cui realizzazione in età ellenistico-romana fa propendere la presenza della formula di saluto χαῖρε unita all’attributo elogiativo χρηστὲ (al femminile χρηστὴ). Quello della provenienza delle iscrizioni conservate nelle collezioni di antichità veneziane è un dato estremamente difficile da ricavare in quanto, a seconda dei tempi e della progressiva espansione dell’impero marittimo della Serenissima, i reperti affluirono in laguna da tutta la Grecia continentale, dalle isole del Mar Ionio e dell’Egeo, dalle coste dell’Asia Minore nonché dalle ben più lontane regioni della Propontide e della Tracia45; lo è forse ancor più per quelle epigrafi ivi attestate nel Cinquecento, un secolo per molti aspetti ben più avaro di altri in quanto a informazioni giunte sino a noi. Non è esente da tale difficoltà anche la seconda iscrizione, allocata in un palazzo di proprietà del patrizio Giuseppe Michiel (o Micheli)46, situato su Canal Grande nei pressi dell’ex chiesa di Santa Maria della Carità, oggi sede delle Gallerie dell’Accademia. In base a quanto trascritto da Aldo Manuzio iuniore, che tra parte superiore e inferiore del testo ripeté per ben tre volte la didascalia «una figura», l’epitaffio in questione doveva essere scolpito su una stele a ritratto o comunque figurata: Ευφι[- - -] Ἀμμωνί(ου) τροφος χρηστὴ χαῖρε. ((signum ignotum)) ((signum ignotum)) ((signum ignotum))

Ἀμμώνιος Ἀπολλώνιος Ἀλεξανδρε(ς)47 [χρηστοὶ χαίρετε]

In base all’onomastica, si è portati a credere che il primo personaggio, il 45 M. GUARDUCCI, Le iscrizioni greche di Venezia, in Rivista del Regio Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte 9 (1942), pp. 7-53. 46 Non si sa con certezza a quale membro della potente famiglia patrizia dei Michiel appartenesse: cfr. G. A. CAPPELLARI VIVARIO, Campidoglio Veneto cit., III; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. It. VII, 17 (8306), ff. 72v-84v. 47 Non è possibile tuttavia escludere, data la frequenza abbastanza elevata di errori di trascrizione all’interno della silloge, una ricostruzione testuale del tipo Ἀμμώνιος Ἀπολλωνίο Ἀλεξανδρεύ[ς].

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cui sesso femminile è reso manifesto dalla terminazione in η dell’aggettivo χρηστός, dunque Euphi[---] figlia di Ammonius, avesse relazioni di parentela con i due individui che seguono, ricordati con il solo antroponimo ed entrambi espressi in caso nominativo. I nomi Ammonius e Apollonius conobbero un’ampissima diffusione nel mondo greco antico. L’ultimo elemento è l’etnico, solitamente espresso in iscrizioni funerarie in cui l’individuo menzionato moriva all’estero. All’interno di questa prima sezione del Vat. lat. 5248, al f. 6v compare anche un’altra iscrizione non altrimenti nota, le cui singolarità di contenuto e impaginazione ne escludono a priori l’antichità:

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Crede quod in dulcem vertentur et arma saporem. Divo Iulio Caesari imperatori invictissimo S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus) [- - -] qua tibi de futuris contingentibus tabel[- - -] [- - -]ibus aetatis tue armis impavidus provi(n)c[- - -] [- - - G]allos et Germanos, sed in sede tua sed [- - -] [- - -] qui no(n) armis sed solo verbo remes[- - -] [- - -] reges eor(um) pedes prostrati deo seu [- - -] [- - -] ex omni natione signis et mira(bilia)[- - -] [- - -]neci damnabuntur ab impijs Par[- - -] [- - -]itentibus liberabuntur cu(m) pâup[eribus ? - - -] [- - -]itati geme se[- - -] et in Diver[- - -] [- - -]onec videbitur [- - -] vero u[- - -] [- - -] virtute expellentur Itali[ae - - -] [- - -] neq(ue) ultra auri erunt [- - -] [- - -]atame(n)[- - -] ------

Secondo la testimonianza fornita da Manuzio, l’epigrafe era incisa su una lastra marmorea che Iacopo Sansovino aveva portato con sé da Roma, collocandola nell’abitazione ricevuta in concessione dal governo della Serenissima sin dal 1529, ubicata nei pressi delle Procuratie vecchie, nelle immediate adiacenze della Torre dell’orologio in Piazza San Marco48. Così come da lui trascritto, il testo in r. 1, rivisitazione del v. 52 del Dittochaeon di Prudenzio (Conicite, in dulcem uertentur amara saporem)49, doveva 48 Vat. lat. 5248, f. 6v: «Jacobum Sansovinum, Florentinum insignem Architectum et Statuarium, Francisci patrem, Tabella marmorea e Roma. Fragmentum». Della dimora veneziana del Sansovino ne fa menzione anche CICOGNA, Delle inscrizioni veneziane cit., IV, Venezia 1834, p. 25. Cfr. ora M. MORRESI, Jacopo Sansovino, Milano 2000, p. 89. 49 Sul titulus historiarum prudenziano, consistente in una serie di quarantotto tetrasti-

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essere stato inciso in maniera tale da delimitare uno specchio scrittorio di forma circolare all’interno del quale era riportato il testo in r. 2. Quest’ultimo è chiaramente una costruzione anacronistica, non rispondente al dato reale in quanto fu Commodo il primo imperatore a ricevere nel 192 d.C. l’epiteto di invictus50. Il carattere frammentario delle restanti righe rende piuttosto complicata l’individuazione delle fonti utilizzate per comporre quella che si presenta, dunque, come un’iscrizione moderna creata per puro esercizio di erudizione e fatto incidere su pietra51. Nel bifoglio 21v-22r il giovanissimo Aldo si premurò di copiare di suo pugno le trascrizioni che, come recita l’intestazione stessa, ricevette da Bernardino Loredan, il quale le localizzò erroneamente a Traù52. Si tratta in realtà di alcune delle epigrafi facenti parte della collezione antiquaria allestita da Dmine Papaliò (Domenicus Papales) nel suo palazzo a Spalato, il cosiddetto Museum Papalinum53. I reperti iscritti che componevano ci esametrici in cui si narrano rispettivamente ventiquattro scene dell’Antico e ventiquattro scene del Nuovo Testamento, si veda F. LUBIAN, I tituli historiarum a tema biblioco della tarda antichità latina: Ambrosii Disticha, Prudentii Dittochaeon, Miracula Christi, Rustici Helpidii Tristicha. Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento, tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2014, pp. 162-435, con bibliografia precedente. 50 CIL XIV 3449 = ILS 400; B. RÉMY, Loyalisme politique et culte impérial dans les provinces des Alpes occidentales (Alpes cottiennes, graies, maritimes et pœnines) au Haut-Empire, in Mélanges de l’école française de Rome – Antiquité [MEFRA] 112, 2 (2000), p. 915 nr. 25; E. ROSSO, L’image de l’empereur en Gaule Romaine. Portraits et inscriptions, Paris 2006, p. 533 nr. 290. Sull’utilizzo di tale epiteto si vedano A. CHASTAGNOL, Le formulaire de l’épigraphie latine officielle dans l’antiquité tardive, in La terza età dell’epigrafia. Colloquio AIEGL Borghesi 86, Faenza 1988, pp. 11-65, in particolare p. 30; A. MAGIONCALDA, Lo sviluppo della titolatura imperiale da Augusto a Giustiniano attraverso le testimonianze epigrafiche, Torino 1991, pp. 48-49, 84-86; G. L. GREGORI – A. FILIPPINI, L’epigrafia costantiniana. La figura di Costantino e la propaganda imperiale, in Costantino I. Enciclopedia costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto editto di Milano (313-2013), Roma 2013, pp. 517-541, particolarmente p. 518. 51 Sulla classificazione dei falsi epigrafici si rinvia a H. SOLIN, Falsi epigrafici, in L’officina epigrafica romana cit., pp. 139-151; A. BUONOPANE, Il lato oscuro delle collezioni epigrafiche: falsi, copie, imitazioni. Un caso di studio: la raccolta Lazise-Gazzola, in L’iscrizione e il suo doppio. Atti del Convegno Borghesi 2013 (Bertinoro, 6-8 giugno 2013), a cura di A. DONATI, Faenza, 291-313; L. CALVELLI, La ricerca sulla falsificazione epigrafica oggi. Dove siamo e dove andiamo, in La falsificazione epigrafica cit., pp. 7-13. 52 Figlio del senatore Andrea Loredan del ramo di San Pantalon (cfr. infra, pp. 52-53), noto per la sua ricca collezione di antichità che il giovane Aldo ebbe certamente modo di visitare e che più volte utilizzò come fonte per la prima redazione dell’Orthographia, Bernardino divenne Bibliotecario della Libreria di San Marco nel 1558, incarico che mantenne fino all’anno 1575: cfr. M. ZORZI, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987, pp. 173-176. 53 Per le non molte informazioni biografiche di cui si dispone sulla sua figura si veda B. LUÇIN, Litterae olim in marmore insculptae: Humanist Epigraphy on the Eastern Coast of the Adriatic until the Age of Marko Maruliò, in Classical Heritage from the Epigraphic to the Digital:

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la raccolta furono prelevati tutti dalla vicina città di Salona e successivamente trascritti e commentati dall’umanista Marko Maruliò all’interno di una apposita sezione del suo In epigrammata priscorum commentarium54. L’autografo dell’opera, che fu redatta tra il 1503 e il 1510, è stato rinvenuto a Oxford solo nel 1995 e ha consentito di fissare a 29 e non a 27 il numero delle iscrizioni appartenute all’antiquario spalatino55; tante, infatti, erano per Theodor Mommsen, il quale utilizzò un altro testimone come fonte per la redazione di CIL III, ovvero il primo fascicolo (ff. 1-16) del Vat. lat. 5249, copia dunque parziale, ma diretta, del suddetto codice oxoniense e di cui Aldo Manuzio il Giovane divenne successivamente possessore56. Academia Ragusiana 2009-2010, a cura di I. BRATIÇEVIÒ – T. RADIÒ, Zagreb 2014, pp. 23-65, in particolare pp. 54-58. 54 Comunemente ritenuto il padre della letteratura croata, Maruliò mostrò sin da giovane amore per l’antichità classica e propensione per la versificazione. Si trasferì a Padova dove apprese il greco e frequentò l’università. Al termine del suo ciclo di studi tornò a Spalato e lì rimase fino alla sua morte divenendo una delle figure più importanti del circolo degli umanisti spalatino. Su di lui B. LUÇIN, Iter Marulianum. Od Splita do Venecije tragovima Marka Maruliòa [Da Spalato a Venezia sulle tracce di Marko Maruliò], Roma 2008; G. PAOLIN, Marulo, Marco, in DBI, 71, Roma 2008, pp. 406-408; B. LUÇIN, Marko Maruliò Padova, in Kulturna baština 39 (2013), pp. 39-58. 55 Oxford, Bodleian Library, ms. Add. A. 25 (olim 28398 [591]). Sarebbe dunque questo il codex Meermannianus di cui Mommsen in CIL III, p. 274 nr. XVIII: «Nactus sum praeterea Ritschelii beneficio alterum Marulinae syllogae exemplum descriptum ex codice olim Meermanniano T. V. (chart. 4.) saec. XVI, hodie nescio ubi servato». Sul manoscritto si veda la breve scheda catalografica in M. FALCONER, A summary catalogue of western manuscripts in the Bodleian Library at Oxford which have not hitherto been catalogued in the Quarto series with references to the oriental and other manuscripts, 5 (collections received during the second half of the 19th century and miscellaneous MSS. acquired between 1695 and 1890) nos. 24331-31000), London 1905, p. 443.; D. NOVAKOVIÒ, Dva nepoznata Maruliòeva rukopisa u Velikoj Britaniji: MS. ADD. A. 25 u oxfordskoj Bodleiani i Hunter 334 u Sveuçilišnoj knjiànici u Glasgowu, in Colloquia Maruliana 6 (1997), pp. 5-31, in particolare pp. 6-7, 11; B. LUÇIN, Jedan model humanistiçke recepcije klasiçne antike: In epigrammata priscorum commentarius Marka Maruliòa [One Model of the Humanist Reception of Classical Antiquity: In epigrammata priscorum commentarius of Marko Maruliò], PhD Dissertation, University of Zagreb, 2011, specialmente pp, 38-39; LUÇIN, Litterae olim in marmore insculptae cit., pp. 59-63. Ad oggi dell’opera maruliana si conoscono 3 copie integrali (Glasgow, University Library, ms. Hunter 334 (U.8.2); Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. Lat. XIV 112 (4283); Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, ms. 842) e 5 copie parziali, per le quali si veda la nota successiva. 56 Vat. lat. 5249, ff. 1-16, copiato da Ivan Luçiò nella silloge ora in Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. Lat. XI 67 (3859), ff. 161-173v; Zadar, Znanstvena knjiànica, ms. 1098/I, ff. 362-397v; Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms. 6389, ff. 1-2; Zagreb, Arhiv HAZU (Hrvatske Akademije Znanosti i Umjetnosti), II. d. 161, ff. 2-2v. Sulla miscellanea vaticana ICUR II, p. 389: «In codice Vaticano miscello 5249, olim Manutiano, una cum sylloge Salonitana Marci Maruli (de qua Mommsen, C. I. L. III p. 274) compactus est fasciculus inscriptionnm veterum»; cfr. P. O. KRISTELLER, Iter Italicum: A Finding List of Uncatalogued or Incompletely Catalogued Humanistic Manuscripts of the Renaissance in Italian and Other Libraries. II: Italy, Orvieto to Volterra, Vatican City, London – Leiden 1998, p. 332;

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I tituli segnalati dal Loredan furono solo 11 e, seppur non trascritti con la massima accuratezza, sono frutto di autopsia e documentano il processo di dispersione che interessò la collezione Papaliò57. L’analisi delle informazioni attualmente disponibili in merito al ciclo di vita di ciascuna di queste iscrizioni a quel tempo ancora in situ non consente purtroppo di stabilire con precisione il momento storico esatto a cui risalirebbe tale testimonianza, ma l’assenza in questo elenco di CIL III 131* permette di individuare quantomeno un terminus post quem nel 1560, anno in cui tale epigrafe venne localizzata a Padova in casa dell’umanista Bernardino Scardeone58. Tutto ciò che è compreso nei seguenti fogli 24r-43v è frutto di successive e progressive addizioni di materiale autografo e non. Il primo fascicoletto (ff. 24r-27r) fu messo per iscritto nel «MDLXVI a gli XI di gennaio in Venetia», dove era tornato da Roma l’anno precedente, e al suo interno Manuzio registrò una serie di iscrizioni da lui visionate principalmente a Padova e contado59. Tra queste figuravano anche alcune delle lapidi che a quel tempo erano ospitate nella ricca collezione di antichità allestita da Alessandro Maggi da Bassano nel suo palazzo in via Vescovado60, e alLUÇIN, Jedan model humanistiçke recepcije klasiçne antike cit., pp. 42-43. Ibid., pp. 49-50, con bibliografia in nota, è presente lo stemma codicum della tradizione del In epigrammata priscorum commentarium. Parte delle iscrizioni della collezione Papaliò risulta trascritta anche in altri codici. Di particolare interesse il manoscritto composito conservato presso Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. C 61 inf., ff. 70r-86v, vergato prima della silloge di Maruliò e da questi utilizzato come fonte: cfr. CIL III 273-274 nr. XVII; LUÇIN ibid., pp. 71-87; la sua descrizione è in L. MONTEVECCHI, Spogli da codici epigrafici ambrosiani, in Aevum 11.4, Milano 1937, pp. 504-602. Esso è uno dei tre codici (insieme con i mss. D. 199 inf e D. 436 inf) in cui si distribuisce principalmente la raccolta epigrafica di Gian Vincenzo Pinelli, dotto napoletano che si trasferì a Padova nel 1558: «quamquam et alia eiusdem bibliothecae volumina Pinelliana inscriptiones quasdam continent», cfr. CIL III, p. XXXI. 57 Cfr. CIL III pp. 274-275 nr. XXIV: «Cod. 5248 […] proponuntur tituli musei Papalini quod fuit Spalati non accurate, sed tamen ex ipsis lapidibus excepti». 58 B. SCARDEONE, De antiquitate urbis Patavii, Basileae 1560, p. 77. Sulla figura del letterato ed ecclesiastico vissuto nel Cinquecento cfr. M. BANDINI, Bernardino Scardeone sacerdote ed umanista padovano (1482-1574): relazioni sociali e culturali, biografia, opere religiose, tesi di Laurea (vecchio ordinamento), Padova 1993 e F. PIOVAN, Scardeone, Bernardino, in DBI, 91, Roma 2018, pp. 330-332; sui suoi interessi di tipo storiografico cfr. A. OLIVIERI, La storiografia a Padova nel Cinquecento, in Padova e il suo territorio 17 (2002), pp. 21-24. 59 Degrassi attribuisce erroneamente tale datazione alla copia manuziana della silloge di Marcanova, che si è precedentemente visto essere parte integrante del nucleo originario del codice. Cfr. DEGRASSI, Le sortes di Bahareno cit., p. 352 nt. 5 (rist. in Scritti vari di antichità, II, Roma 1962, p. 1020 nt. 5). 60 CIL V 3048 (= app. 136), 3069 (= app. 138), 2826 (= app. 138), 2824 (= app. 153). Poco prima di morire nel 1587, Alessandro Maggi fu costretto a vendere parte della sua variegata collezione. Le iscrizioni invece, eccetto alcuni pezzi comperati più tardi da altre famiglie patrizie quali i Nani, gli Erizzo e gli Obizzi, si conservarono in maniera compatta e, trasportate nel Palazzo della Regione da Giuseppe Furlanetto nel 1825, costituirono il nucleo originario

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tre attestate nell’abbazia di Santa Giustina, quali l’incipit del titulus che compare nell’affresco realizzato da Bernardino Parenzano nel sottoportico del chiostro maggiore del monastero61. La quasi totalità di queste epigrafi erano a quel tempo già note per il tramite del De antiquitate urbis Patavii (1560) del succitato Bernardino Scardeone, anche se pure tra queste non mancano lapidi di prima attestazione62 e un paio di piccoli frammenti ad oggi irreperibili che non trovano corrispondenza in nessuno dei corpora e dei database epigrafici esistenti, entrambi pertinenti a monumenti di cui non è possibile determinare forma, materiale e dimensioni: C(ai) Clodi Secundi ------

L’esiguità del testo del primo frammento e l’elevata occorrenza sia del gentilizio63 sia del cognomen64 del personaggio in esso menzionato non consentono né di datare né di localizzare con precisione l’iscrizione, la cui realizzazione può comunque essere inserita in un arco temporale compreso tra l’età cesariana e la piena età imperiale per la presenza dei tria nomina65. Per quanto concerne il secondo frammento, esso fu visto da Manuzio indicativamente nel settimo decennio del XV secolo in prossimità del fiume Liri ad un’altezza non precisata del suo corso: -----[---]cena[---] -----del lapidarium patavino: cfr. BODON, Veneranda Antiquitas cit., pp. 69-122, con bibliografia precedente in calce. 61 CIL V 219* (= app. 137). Cfr. M. P. BILLANOVICH, Una miniera di epigrafi e di antichità. II Chiostro Maggiore di S. Giustina a Padova, in Italia medioevale e umanistica 12 (1968), pp. 197-293, in particolare pp. 230-231. 62 CIL V 219*, 2101 (= app. 139), 217* (= app. 141), 3055 (= app. 149), 2838 (= app. 162), CIL XI 848 (= app. 142). 63 W. SCHULZE, Zur Geschichte Lateinischer Eigennamen, Berlin-Zürich-Dublin 19662, p. 150. 64 I. KAJANTO, The Latin cognomina, Helsinki 1965 (rist. Roma 1982), pp. 30, 74-77, 292. 65 L’assenza di indicazione dello status sociale all’interno della formula onomastica di Caius Clodius Secundus suggerisce per lui una condizione libertina, circostanza che in linea di massima potrebbe portare ad anticipare la realizzazione del titulus a fine II-inizio I sec. a.C. Tuttavia, nel territorio patavino e altinate il numero di tituli così risalenti è molto basso. Sull’adozione del cognomen in età repubblicana cfr. I. KAJANTO, On the Cronology of the Cognomen in the Republican Period, in L’Onomastique Latine. Colloques internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Paris, 13-15 octobre 1975), édités par N. DUVAL avec la collaboration de D. BRIQUEL – M. HAMIAUX, Paris 1977, pp. 63-70.

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Ammesso che il frustolo sia effettivamente antico, nulla può evincersi dalle poche lettere superstiti tramandateci. Nella stampa dello Scardeone si ritrovano anche le iscrizioni (una greca e due latine) trascritte al f. 36r, cui si riferisce incontrovertibilmente la didascalia presente sul verso del foglio66. Si tratta di ulteriori tre monumenti iscritti appartenuti alla collezione Lippomano allestita a Strà, la cui prima testimonianza, come precedentemente ricordato, si deve a Emanuele Filiberto Pingone67. A costui si rifece successivamente Scardeone, il quale, in apertura del paragrafo dedicato alle iscrizioni presenti nella piccola frazione padovana, dichiarò di aver tratto i testi da un manoscritto avuto in dono proprio dall’amico savoiardo prima della partenza di quest’ultimo dal capoluogo antenoreo (1550)68. Di questo fascicoletto, ad oggi disperso, è giunta fino a noi parte di una copia autografa che l’ecclesiastico patavino redasse in fase preparatoria della stampa del suo De antiquitate, oggi conservata in un manoscritto miscellaneo presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia (tavv. III-IV)69; ne è conferma la pressoché esatta corrispondenza delle varianti e della sequenza con cui le epigrafi risultano trascritte e nella stampa (pp. 65-67) e nel manoscritto (f. 387r-v), che tuttavia manca almeno di un foglio. Tale infelice circostanza ha determinato la perdita dei

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CIG 6748 (= app. 155bis), CIL III 3162a (= app. 194), CIL III 3174c (= app. 195). Cfr. supra, pp. 35-37. L’epitaffio CIG 6748 coincide con l’unica iscrizione greca menzionata da Salomonio nel 1696 quale superstite dell’intera raccolta insieme a CIL III 3162b, cfr. p. 1650 = CIL V 333* e CIL III 3192b, cfr. p. 1650 = CIL III 333*: cfr. supra, p. 35 nt. 33. 68 SCARDEONE, De antiquitate cit., p. 65: «Inscriptiones antiquae […] quas exscripsit vir nobilis Philibertus Pingon sabaudius, et mihi (scil. Bernardino Scardeone) dono dedit antequam in patriam proficisceretur». 69 Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Malvezzi 128, ff. 384r-387v. Il fondo Malvezzi è stato oggetto di una tesi di Laurea Magistrale discussa nell’a.a. 2013/2014 da M. LAVEZZI, Catalogo del Fondo Malvezzi del Museo Correr (Università Ca’ Foscari), in cui la descrizione del manoscritto in esame occupa le pp. 154-157. Chi vi scrive ha riconosciuto in questo fascicoletto, intitolato De antiquis notis priscarum inscriptionum in urbe et territorio Patavino, l’autografia dell’ecclesiastico e umanista padovano Scardeone. Tali fogli potrebbero a buon diritto essere definiti come una prima bozza preparatoria alla stampa della sezione del De antiquitate urbis Patavii che comprende le iscrizioni tratte dalle sillogi di Marcanova, Apiano e quelle presenti per l’appunto nella collezione Vitturi Lippomano (pp. 58-67), ascrivibili, queste ultime, a quella che Theodor Mommsen definì come sezione delle Dalmaticae incertae, in cui fece confluire tutte quelle iscrizioni che identificò come dalmatiche per motivi prevalentemente linguistici e contenutistici; cfr. CIL III, p. 401: «Tituli hi cum nec cum Patavinis ullam similitudinem habeant et multo minus haberi possint pro urbanis, qui universos percurrerit non dubitabit referre inter Dalmaticos; nam eo ducunt et legio VII Claudia (n. 3162a) et cohors I Belgarum (n. 31626) et universa condicio plebeculae quasi urbanae aetatis labentis conveniens, hominum nomina sine praenominibus, collegia servilia, lingua corrupta, litterae contignatae multae et implicatae». 67

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testi di ben 8 iscrizioni, tra cui anche CIL III 3192c (= app. 24bis) e CIL III 3183b (= app. 154)70. Subito successiva alla sezione padovana è una serie di tituli urbani distribuiti nei ff. 32r-33r71. Vergate da una mano non ancora identificata72, tali iscrizioni erano a quel tempo conservate presso i cardinali Paolo Emilio e Federico Cesi, proprietari di una fra le collezioni di antichità più rinomate nella Roma della prima metà del Cinquecento. Tale raccolta venne ospitata nel palazzo in Borgo a Porta Cavalleggeri73 fino al 1622, quando i loro eredi, assillati da problemi economici e sotto pressione del cardinale Ludovico Ludovisi e di suo zio, papa Gregorio XV, ruppero il fidecommesso imposto nel testamento del 1555 da Federico Cesi e cedettero loro parte dei pezzi di cui era composta74. 70

Le iscrizioni che dovevano essere riportate nel foglio andato perduto sono CIL V 333* = CIL III 3174b, 3184c, 3182b, 3179a, 3184d, 3183a, cfr. p. 1650, e le succitate CIL III 3183b e 3192c, cfr. p. 1650, più due frammenti di una epigrafe effettivamente ricondotta al territorio di Padova (CIL V 2986). Il ricorso a questa fonte manoscritta, per altro citata un’unica volta in CIL III, p. XXXI, spiegherebbe anche il perché nella maggior parte dei casi Mommsen riporti in apparato a ciascun titulus la dicitura «inde male Scardeonius», rifacendosi questi alla versione del manoscritto torinese. 71 Si segnala qui l’assenza della testimonianza fornita dal Vat. lat. 5248 in apparato alle iscrizioni di questa sezione all’interno di CIL V. 72 La medesima mano è riscontrabile, ad esempio, anche in Vat. lat. 5249, ff. 68r-69v. 73 Con le rendite provenienti dagli uffici ricoperti durante la sua brillante carriera ecclesiastica, nel 1521 Paolo Emilio Cesi acquistò il palazzo in Borgo (Archivio di Stato di Roma [ASR], Fondo Massimo, vol. 271, f. 77), che alla sua morte, sopraggiunta nel 1537, passò in eredità al fratello Federico, il quale si adoperò grandemente per arricchire la raccolta di antichità in esso alloggiata e apportò numerose modifiche all’immobile. Una ricostruzione architettonica recente dell’edificio con planimetria e foto è in S. EICHE, On the Layout of the Cesi Palace and Gardens in the Vatican Borgo, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 39, Firenze 1995, pp. 258-281. Sulla collezione Cesi si vedano F. RAUSA, La collezione del cardinale Paolo Emilio Cesi (1481-1537), in Collezioni di antichità a Roma fra ’400 e ’500, a cura di A. CAVALLARO, Roma 2007, pp. 205-217, in particolare p. 209; B. P. VENETUCCI, Le collezioni di antichità del card. Paolo Emilio Cesi a Roma, in I Cesi di Acquasparta, la dimora di Federico il linceo e le accademie in Umbria nell’età moderna. Atti e nuovi contributi degli incontri di studio ad Acquasparta (TR), Palazzo Cesi (26 settembre – 24 ottobre 2015), a cura di G. DE PETRA – P. MONACCHIA (Biblioteca di Storia Patria per l’Umbria, 17), Perugia 2017, pp. 173-2014. 74 Il testamento venne rogato la prima volta il 5 aprile 1555. L’atto si trova in Archivio Storico Capitolino [ASC], Notarile, not. Saccoccius Sanctis (de) Curtius, vol. 1, fasc. 9, ff. 380-390; una copia è anche in ASR, Archivio Massimo d’Aracoeli, Eredità Cesi, b. 237. La collezione doveva essere trasmessa di primogenito in primogenito e doveva restare invariata sia nel numero di pezzi sia nella loro disposizione all’interno del palazzo. A ulteriore garanzia di ciò, il cardinale impose che venisse stilato un inventario completo da conservare in perpetuo, entro otto giorni dopo la sua morte, inventario del quale sembra però non essere purtroppo rimasta traccia. Cfr, F. KAPPLER 2017, Sul cardinale Federico Cesi committente, in I Cesi di Acquasparta cit., pp. 215-242, in particolare pp. 218-220.

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Sicuramente autografe, invece, sono le 15 sortes raccolte ai ff. 34r-35r sotto il lungo titolo «Ritr(atto) delle Inscr(izio)ni delle tavolette di metallo trovate à Bahareno della Montagna ubi dicitur Casaleccio e forse servivano p(er) metter le sorti overo p(er) responsi o sono sentenze» e di cui Manuzio è primo testimone75. I testi, distribuiti su due righe, appaiono qui inscritti entro lamine rettangolari a rievocare il supporto su cui i responsi oracolari erano realmente incisi76. Tra le ultime iscrizioni riportate all’interno del codice, collocate subito prima del breve stralcio di Orthographia che chiude definitivamente la silloge (ff. 42r-43v)77, si registrano anche due tituli al f. 40r non altrimenti noti. Forma, materiale e dimensioni non sono determinabili in quanto le lapidi risultano disperse e si ignorano anche le circostanze del rinvenimento. La loro trascrizione non è infatti corredata da lemmi topografici o indicazioni cronologiche di sorta: M(arcus) Livius Acha= icus sibi et Ne= viae Maritimae coniugi suae vivos (!) fecit.

La prima epigrafe, che per formulario può essere ascritta all’ambito sepolcrale, fu commissionata dal liberto Marcus Livius Achaicus per se stesso e per sua moglie Nena Maritima quand’egli era ancora in vita. Il gentilizio del dedicatario è ampiamente diffuso nel mondo romano, compresa la Gallia Cisalpina, dove è Aquileia a far registrare il maggior numero di sue ricorrenze unito al praenomen Marcus78; diversamente, il suo cognomen ricorre con una frequenza nettamente inferiore in tutte le provincie

75 Cfr. CIL I2, p. 689: «Ex septendecim quae sequuntur aereis lamellis testis omnium antiquissimus scriptor codicis Vaticani n. 5248 quindecim (n. 2174-2182. 2184-2189) affirmat uno eodemque loco repertas esse a Bahareno della Montagna ubi dicitur Casa Ceccio»; e ancora, in apparato a CIL I2 2174 (= app. 184): «[…] extremo loco leguntur sub eo quem supra rettuli titulo sorticulae quindecim, id est exceptis duabus (n. 2173. 2183) omnes quotquot adhuc innotuerunt». 76 Delle quindici sortes, tre esemplari sono giunti fino a noi: CIL I2 2182 (= app. 182), 2184 (= app. 185), conservati presso il Museo Archeologico nazionale di Firenze; CIL I2 2189 (= app. 191), in Bibliothèque Nationale de France. Per approfondimenti sull’intera sezione si rinvia al già menzionato contributo di DEGRASSI, Le sortes di Bahareno cit.; CIL I2 2, 4, p. 190; SupplIt 28, p. 62. 77 L’Orthographia in questione diverge da tutti gli elenchi di notae individuate da Theodor Mommsen e da lui illustrate in TH. MOMMSEN, Notarum laterculi, in Grammatici latini, IV, ex recensione H. KEILII, Hildesheim 1961, pp. 265-352. 78 CIL V 1275 = EDR116961; CIL V 8251 = EDR007122; CIL V 8289 = InscrAq 672.

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occidentali79. Parimenti, anche il gentilizio della sua consorte registra un consistente numero di attestazioni nell’Italia settentrionale, specie nella Regio X80, mentre risulta poco diffuso il suo cognomen (Maritima), che rinvia evidentemente alla dimensione del mare e alla navigazione81. Dal punto di vista lessicale è da evidenziare l’utilizzo della forma vivos per vivus82. L’iscrizione si data probabilmente non oltre il I sec. d.C.; molto più cautamente si avanza l’ipotesi di una sua possibile provenienza aquileiese o comunque adriatica. Di natura frammentaria è, invece, il testo della seconda epigrafe: D(is) M(anibus). Flaviae Calpur[niae] coniugi bene m[erenti ?] exclusi Euych[us et ?] Libonianus et [- - -] Iulio Onesim[o - - - ?] post[erisque eorum ? - - -] ------

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Il titulus si configura come la dedica di un sepolcro a una donna di nome Flavia Calpurnia da parte di suo marito e a un secondo individuo di condizione libertina di nome Iulius Onesimus83, legato ai primi due da rap79

Il dato è frutto dello spoglio dei database epigrafici EDR ed EDH. Si veda anche H. SOLIN, Die griechischen Personennamen in Rom 1-3, Berlin – New York 20032, pp. 621, 1482. 80 SCHULZE, Zur Geschichte Lateinischer Eigennamen cit., pp. 35, 263. Possibile si tratti qui di romanizzazione di un nome epicorico quale *Nevus/Neva, che dà anche i gentilizi Nevica, Nevilla, Nevola: cfr. SupplIt 10, p. 195 nr. 41. 81 KAJANTO, The Latin cognomina, Helsinki 1965 (rist. Roma 1982), p. 308. In tutta la Cisalpina solo tre sono le attestazioni del cognomen Maritimus e tutte concentrate nella Venetia et Histria: Aquileia (CIL V 1275 = EDR116961; AE 1976, 232 = EDR076542); Altino (CIL V 2238 = EDR099238). 82 La desinenza in -os cambiò in -us nel periodo classico, tranne quando preceduta da v, o, u: cfr. L. R. PALMER, La lingua latina, Torino 1977 (trad. it. di London 1954), p. 221. Diversi i casi in cui l’abitudine ortografica di scrivere o per u dopo u semivocalica persistette fino all’età di Quintiliano, rendendo frequente la forma vivos: cfr. A. ZAMBONI, Contributo allo studio del latino epigrafico della X Regio augustea (Venetia et Histria). Introduzione. Fonetica (vocalismo), in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti 124 (1965-1966), pp. 463-517, in particolare p. 494. 83 La gens di appartenenza dei primi imperatori risulta diffusa dappertutto («passim» in H. SOLIN – O. SALOMIES, Repertorium nominum gentilium et cognominum latinorum, Hildesheim-Zürich-New York 1994, p. 98). Per le attestazioni in area cisalpina della gens Iulia si veda CIL V index II. Cognomina virorum et mulierum, pp. 1115-1116. Per quanto concerne il cognome Onesimus, anch’esso risulta molto diffuso, compreso in Cisalpina: SOLIN, Die griechischen Personennamen cit., pp. 986-993; OPEL III, p. 113.

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porti di natura a noi ignota. Esso era inciso su un monumento pensato per una sepoltura multipla, come si evince anche dalla presenza della formula di esclusione in r. 4. Sebbene il formulario fosse ampio84, la scelta di tale soluzione linguistica appare molto singolare in quanto si è a conoscenza di una sola altra iscrizione in cui compare la formula composta dal verbo excludere più il nominativo degli interessati dal provvedimento di esclusione, questi ultimi quasi sempre schiavi o liberti che non avevano adempiuto alle loro mansioni o mantenuto un atteggiamento corretto nei confronti del loro padrone o patrono85. Destinatari di tale provvedimento dovettero perciò essere Eutychus, il cui nome ne rivela la condizione servile86, Libonianus e, a motivo della presenza della congiunzione et subito successiva, almeno un terzo individuo. Di quest’ultimo non si conosce l’identità poiché risultava incisa sulla parte destra dell’iscrizione, persa già al tempo di Manuzio, il quale si premurò di segnalare tale perdita con segni obliqui. Il titulus, inoltre, risultava mutilo anche della parte inferiore, dov’era registrato il nome del dedicante del monumento. Per quanto concerne la sua datazione, essa risale almeno al II sec. d.C. per la presenza del gentilizio imperiale Flavia, del cognome Libonianus, esito dell’aggiunta al gentilizio del suffisso -anus, procedimento molto comune a partire proprio da II-III sec. d.C.87 e, a meno che non fosse inciso nella parte perduta dell’iscrizione, dell’assenza del praenomen di Iulius Onesimus, che comincia ad essere attestata nella prassi epigrafica solo intorno alla fine del I secolo e si afferma a partire dal II sec. d.C. con maggiore regolarità88. Queste, così come le altre epigrafi trascritte negli ultimi fogli, sono frutto di autopsie condotte da Manuzio o per questi da terzi all’incirca nel 1566. A riprova di ciò è la presenza al f. 41r dell’iscrizione CIL V 2287 (= app. 200), che fu ritrovata sull’isola di San Giorgio Maggiore durante i lavori di costruzione della nuova basilica commissionata nel 1565 dai monaci benedettini ad Andrea Palladio, il quale presentò il modello ligneo entro i primi mesi dell’anno successivo89. 84 Si vedano a tal proposito i consuntivi all’interno del volume Libitina e dintorni. Libitina e i luci sepolcrali, le leges libitinariae campane, Iura sepulcrorum: vecchie e nuove iscrizioni. Atti dell’XI Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie, Roma 2004. 85 SupplIt 4, pp. 336-338 nr. 18 = EDR081909. 86 Tra i cognomina di origine grecanica più diffusi: cfr. TLG III, 2486-2488; SOLIN, Die griechischen Personennamen cit., pp. 1320-1324; H. SOLIN, Nomi greci nel mondo romano, in L’onomastica di Roma. Ventotto secoli di nomi. Atti del Convegno, Roma, 19-21 aprile 2007, a cura di E. CAFFARELLI – P. POCCETTI (Quaderni di RIOn 2), Roma 2009, p. 80. 87 H. SOLIN, Die innere Chronologie des römischen Cognomens, in L’onomastique latine (Paris, 13-15 octobre 1975), Paris 1977, pp. 103-146. 88 Cfr. A. BUONOPANE, Manuale di epigrafia latina, Roma 2009, p. 157. 89 Gli esecutori del modello di San Giorgio, alla cui preparazione partecipò anche il Palla-

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CHIARA CALVANO

Il manoscritto, tuttavia, non può dirsi concluso in tale data. Come testimoniato da una serie di correzioni, Manuzio rimise più volte mano a queste carte, almeno fino ai primissimi anni di matrimonio con Francesca Lucrezia Giunti, figlia di Bartolomeo e appartenente alla famiglia di tipografi da sempre grandi antagonisti dei Manuzio. Dopo la loro unione nel marzo del 1572, la loro vita coniugale fu segnata da continui cambiamenti di domicilio. Sfumato l’acquisto della dimora degli Odoni in Fondamenta del Gaffaro nel 157390, dopo un breve periodo di permanenza a Murano, i due abitarono per circa un anno in una casa quasi sicuramente di proprietà dei Giunti dietro la loro bottega a San Zulian (San Giuliano) nel sestiere di San Marco91. Qui, infatti, doveva essere conservata l’iscrizione IGUR II 824 (= app. 66) che Manuzio affermava trovarsi «in marzaria appresso i Giunti»92 e che successivamente entrò in suo possesso, tanto che cancellò la precedente localizzazione e vi scrisse a fianco «l’ho io» (f. 6r)93. Di poco precedenti sono altre due correzioni alle localizzazioni rispettivamente di CIL V 1867 (= app. 1) e CIG 713 (= app. 14). La prima iscrizione (f. 1r) transitò dal sito di Iulia Concordia a Venezia nel primo Cinquecento, dove trovò sistemazione nella casa del «disertissidio, vennero pagati tra la fine del 1565 e il mese di marzo dell’anno successivo. La polizza del modello, che si trova in ASVe, San Giorgio Maggiore, b. 26, fu pubblicata già in A. MAGRINI, Memorie intorno la vita e le opere di Andrea Palladio pubblicate nell’inaugurazione del suo monumento in Vicenza, Padova 1845, p. XXII, nr. 41. Sfortunatamente Palladio morì nel 1580 senza vedere completata la sua opera, che fu terminata nel 1610 dall’architetto Vincenzo Scamozzi seguendo fedelmente i disegni dell’architetto vicentino e inaugurata, nello stesso anno, dal patriarca Francesco Vendramin. Sulle vicende inerenti la chiesa di San Giorgio A. GUERRA, Quel che resta di Palladio. Eredità e dispersione nei progetti per la chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia, in Annali di architettura cit. 13 (2001), pp. 93-110, con bibliografia precedente in calce; per quanto concerne la biografia del Palladio, gli studi sono ormai numerosi. Si rinvia qui alla recente voce a cura di G. BELTRAMINI, Palladio, Andrea, in DBI, 80, Roma 2014, pp. 460-474. 90 La dimora era famosa per aver ospitato la ricchissima collezione di Andrea Odoni, con il quale Manuzio era imparentato in quanto sua madre, Margherita Odoni, era nipote del ricco commerciante. Notizie sulla collezione e cenni biografici su Andrea Odoni sono reperibili in Collezioni di antichità a Venezia cit.; I. FAVARETTO, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 2002, pp. 75-79. 91 Cfr. PASTORELLO, L’epistolario Manuziano cit., p. 189. 92 Le Marzarie (Mercerie in italiano) sono la principale arteria commerciale sin dai primissimi tempi della Serenissima che, con una serie di calli, collega San Marco a campo San Bartolomeo a Rialto. 93 Non è chiaro se l’epigrafe si trovasse semplicemente nell’abitazione e Manuzio ne fosse entrato in possesso una volta aver occupato lo stabile o se fosse parte della dote che Francesca Lucrezia Giunti portò con sé al momento delle nozze: l’inventario dotale completo non è ancora stato ritrovato e la sua repromissione purtroppo non è di ausilio in quanto non vi è menzione di alcuna iscrizione. Il testo è in F. PITACCO, La repromissione di dote di Francesca Lucrezia Giunti e la bottega veneziana di Aldo Manuzio il Giovane, in Miscellanea Marciana 16 (2001), pp. 217-238.

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mus caussarum patronus» Francesco Fileto a San Geremia94. Alla morte di quest’ultimo, sopraggiunta nel 1544, nuovo proprietario della dimora divenne l’avvocato Marino de’ Silvestri, da cui acquistò l’epigrafe Francesco Querini, che la trasportò in una data non meglio precisata, ma sicuramente successiva al 1560, nella dimora padovana che fu prima di suo padre Gerolamo e poi sua in Borgo Ognissanti al Portello95. A conferma di tale datazione è la sua assenza tra le epigrafi patavine registrate sia nella silloge di Pingone sia nel De antiquitate urbis Patavii di Scardeone. Lì Manuzio ebbe modo di vedere personalmente il titulus, come si apprende dalla nota da questi aggiunta successivamente a lato del testo epigrafico (tav. V). L’autopsia fu condotta da Manuzio prima del 1569, quando il Querini morì e l’immobile venne venduto ad Alvise Priuli96. Tale terminus ante quem è fornito da una postilla manoscritta che Paolo Ramusio appose sulla sua copia personale della stampa dello Scardeone (tav. VI) facendola precedere alle trascrizioni di suo pugno dei testi di CIL V 1867 e CIL V 2224 (= app. 2)97. Sempre al 1569 o poco più tardi risale anche la rettifica del lemma topografico di CIG 713 (f. 2r). Al momento della stesura della silloge, Manuzio 94 La prima attestazione della presenza dell’iscrizione in casa del famoso oratore e avvocato si trova nel cosiddetto Auctarium Iucundi (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Cicogna 1632, olim 2704). Cenni biografici su Francesco Fileto sono in Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. P.D. c 4/2, f. 196. Come celebre avvocato lo ricorda F. SANSOVINO, L’avvocato, Venezia 1554, p. 14. L’epigrafe fu precedentemente proprietà di un parente di Francesco, il vescovo di Concordia Sagittaria Antonio Fileto, il quale si interessò al reperto a motivo del testo su di esso iscritto: si tratta infatti dell’ara votiva di un Copetrius Philetus, perfetta per avvalorare la tesi dell’appartenenza della famiglia ad una gens di antiche origini. Cfr. V. MANCINI, Antiquari, «vertuosi» e artisti. Saggio sul collezionismo tra Padova e Venezia alla metà del Cinquecento, Albignasego (PD) 1995, p. 77. 95 Prima del 1518 i Quirini non vantavano alcuna proprietà immobiliare a Padova in Borgo Ognissanti. In quell’anno l’edificio venne donato a Gerolamo da Zaccaria Bembo di Matteo del ramo di San Lorenzo a motivo della «fratternità ho avuto con il quondam Magnifico Messer Francesco Quirini suo padre et perché ho avuto et ho Hieronimo predetto non men che fiolo» (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Dandolo, 935/92). Cfr. MANCINI, Antiquari, «vertuosi» e artisti cit., p. 63. 96 Non si è in grado di datare con precisione la vendita dell’immobile ai Priuli; tuttavia, poiché si sa che nel 1567 Francesco risiedette ancora nella sua dimora padovana, è sensato ipotizzare che l’alienazione del palazzo sia avvenuta solo dopo la morte di quest’ultimo e la successione di tutti i suoi beni al figlio Gerolamo. Altrettanto incerti si è sull’identità di Alvise Priuli. Cfr. ibid., pp. 69-71. 97 Padova, Biblioteca del Seminario, ms. 285. L’esemplare ebbe diversi possessori: da Paolo Ramusio passò prima al vescovo ed erudito Jacopo Filippo Tomasini, e dopo ancora a Jacopo Facciolati, che nel 1761 donò la copia dello Scardeone al Seminario, dove tuttora si conserva. Del volume parla Theodor Mommsen in CIL V, p. 265. Una sua breve descrizione è nel catalogo manoscritto della Biblioteca del Seminario di Padova redatto da A. COI, Catalogus codicum manu scriptorum biliothecae seminarii patavini, Padova 1810-1836, p. 266 (ora consultabile al seguente link: http://www.bibliotecaseminariopda.it/i-cataloghi/manoscritti/, data di visita 11/12/21019).

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CHIARA CALVANO

localizzò il titulus a San Pantalon, nel sestiere di Dorsoduro, nel palazzo in cui almeno dal 1538 abitò il patrizio veneziano Andrea Loredan quondam Bernardino con la sua famiglia98, di cui vengono ricordati i figli Bernardino e Piero99. Il nome di Andrea Loredan è legato principalmente a quello della sua raccolta di antichità, lodata da diversi intellettuali tra cui anche Paolo Manuzio, al quale, entrando in casa Lorendan in occasione della sua visita nel 1552, parve «di esser entrato nel Romano foro»100. All’interno del palazzo le iscrizioni e le statue dovevano essere disposte nella corte, nel portico e nella facciata acquea, che presenta almeno due nicchie dove le statue potevano essere alloggiate101. In un secondo momento, però, Manuzio depennò il nome del senatore lasciando solo quelli dei suoi due figli gemelli. Non esiste traccia alcuna di un passaggio di proprietà dell’immobile dal padre ai figli mentre Andrea era in vita; al contrario, nel testamento da quest’ultimo redatto poco prima di morire nel 1569, Bernardino e Piero vennero nominati eredi universali e costretti a vivere in concordia, assieme come già facevano102, nel palazzo di San Pantalon, vincolato a una primogenitura da conservarsi sempre sotto il nome dei Loredan103. La correzione apportata da Manuzio al lemma topografico va quindi cronologicamente collocata post mortem Andreae. Inoltre, esattamente un anno prima del suo decesso, dopo lunghe ed estenuanti trattative durate sette anni, Andrea Lo98 Nel proprio testamento datato 4 luglio 1569 (ASVe, Notarile, Testamenti, Angelo da Canal, b. 209, n. 55) Andrea ricorda i lavori di ristrutturazione e di messa in uso con botteghe al piano terra fatti eseguire da lui personalmente. Tali operazioni risultano già menzionate nella dichiarazione di decima del 1537 (ASVe, Dieci savi alle decime in Rialto, redecima 1537, b. 101, Condizioni Dorsoduro, n. 106). 99 Dall’unione con Elena Cornaro (1532) nacquero 4 figli: i già citati gemelli Bernardino e Piero, Giovanni e Andrea. Di loro, soltanto Bernardino pare seguire la passione erudita paterna: studioso e letterato egli stesso, e protettore di letterati come il padre, nel 1558 venne nominato bibliotecario della Pubblica Libreria di San Marco, incarico da cui si licenzierà già nel 1575. Cfr. ZORZI, La Libreria di San Marco cit., pp. 173-176. 100 Cfr. P. MANUZIO, Lettere volgari di M. Paolo Manutio divise in quattro libri, II, Venetia 1560, p. 74. 101 Questo particolare delle nicchie nella facciata sul canale, oltre alla generale eleganza della struttura, ha permesso di identificare nell’attuale sede della Banca Unicredit il palazzo che fu di proprietà dei Loredan. 102 Ancora fino alla prima metà del Seicento la forma più comune di vita familiare era quella in fraterna, una forma giuridica riconosciuta di condivisione di spese abitative sotto uno stesso tetto, che riunisce la famiglia allargata di un nucleo. Sulle condizioni abitative del patriziato si rimanda al saggio L. MEGNA, Grandezza e miseria della nobiltà veneziana, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, VII, Roma 1997, pp. 161-200. 103 Lo stabile non risulta venduto per almeno un secolo dalla morte di Andrea Loredan in quanto nelle decime del 1661 risultava di proprietà delle sorelle Laura e Franceschina Loredan, ultime discendenti del ramo: cfr. la voce biografica curata da I. CECCHINI, Andrea Loredan, in Il collezionismo d’arte a Venezia. Dalle origini al Cinquecento, a cura di M. HOCHMANN – R. LAUBER – S. MASON, Venezia 2008, pp. 293-294, e relativa bibliografia archivistica.

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redan vendette la sua collezione al duca Alberto V di Baviera, per conto del quale operava Jacopo Strada104. A questi fu permesso di scegliere qualsiasi cosa desiderasse con l’intento di non disperdere la raccolta, ma non tutto venne portato via105. L’epitaffio menzionante tale Zosimus di Mileto, figlio di Zoilus, è dunque tra quei pezzi che non presero la via dell’Antiquarium di Monaco, ma rimasero in laguna. Stessa sorte toccò forse al monumento su cui era incisa l’iscrizione CIL V 2218 (= app. 15), qui attestata per la prima volta e localizzata anch’essa in Ca’ Loredan a San Pantalon (ibid.). Esito di ricognizione autoptica sono anche le non molte correzioni che Manuzio apportò alle epigrafi che aveva tratto dal Marcanova, come nel caso di CIL V 2166 (= app. 74) e 2225 (= app. 5bis), in cui non solo emendò il testo, ma lo reimpaginò riproducendone esattamente la distribuzione su pietra106. Altro intervento successivo al 1566 fu l’inserimento di una piccola annotazione accanto ad alcuni tituli con la quale Manuzio segnalò la loro presenza all’interno della seconda edizione dell’Orthographiae ratio, fornendo anche il numero di pagina in cui erano da lui stesso stati editati107. Inoltre, uno di questi tituli (CIL V 7989 = app. 85), per il colore leggermente diverso dell’inchiostro utilizzato e per il modulo nettamente inferiore rispetto a quello dell’altra iscrizione riportata al f. 10v, parrebbe essere stato trascritto in un secondo momento rispetto alle altre iscrizioni riportate nel nucleo originario. Come questa, anche altre iscrizioni furono inserite successivamente nella silloge, vergate in corsiva o capitale decisamente meno posate rispetto alla già elevata velocità di esecuzione della scrittura tipica di Aldo Manuzio iuniore108. 104 Cenni biografici sul pittore, architetto, orafo e mercante di antichità di origini mantovane sono in F. MATTEI, Strada, Jacopo, in DBI, 94, pp. 292-295; circa la sua attività al servizio del duca Alberto V di Baviera si rimanda alla recente pubblicazione di D. J. JANSEN, Jacopo Strada and the cultural patronage at the imperial court. The Antique as Innovation, II, Leiden – Boston 2019, in particolare pp. 580-592. 105 Nell’inventario redatto per la vendita nel maggio 1567 sono registrati almeno centoventi bronzi, novanta teste di marmo e una settantina tra statue e rilievi e iscrizioni. Si veda E. WESKI – H. FROSIEN-LEINZ, Das Antiquarium der Münchener Residenz. Katalog der Skulpturen, I-II, München 1987 pp. 46-50, 454-456. Sulle travagliate vicende inerenti alla compravendita della collezione cfr. Collezioni di antichità a Venezia cit., pp. 63-64; FAVARETTO, Arte antica e cultura antiquaria cit., pp. 82-83; CECCHINI, Andrea Loredan cit. 106 Già Mommsen ebbe modo di sottolineare il lavoro di autopsia condotto da Manuzio in apparato a entrambe le epigrafi. Cfr. CIL V 2166: «Manutius […] exemplum ex Marcanova descriptum ad lapidem emendavit»; CIL V 2225: «legitur ex Marcanova descripta, emendata ad lapidem». Cionondimeno, il suo giudizio complessivo sul manoscritto risulta alquanto infelice: «Exempla enim pessima sunt et ne versuum quidem ordinem observant, ut fragmenta maxime plane corrupta iaceant», cfr. CIL V, p. 205. 107 CIL V 743 (= app. 58), 7989, 545 (= app. 86). 108 Tra le iscrizioni che sembrerebbero essere state aggiunte successivamente vi sono

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CHIARA CALVANO

Il Vat. lat. 5248 può dunque essere a buon diritto definito come un “quaderno” di lavoro sul quale un giovanissimo e precoce intellettuale quale Manuzio svolse il suo tirocinium epigrafico109. Tale codice, nonostante sia stato ampiamente utilizzato per la redazione del Corpus Inscriptionum Latinarum, non è mai stato oggetto di uno studio accurato, circostanza questa che ha fatto sì che alcuni testi epigrafici, sia latini sia greci, riportati al suo interno risultassero ancora inediti110.

APPENDICE Nella tavola seguente si riproducono le iscrizioni (quasi tutte identificate) riportate nel Vat. lat. 5248, con indicazione del numero sequenziale, il foglio, il riferimento ai principali corpora e i rispettivi lemmi topografici. Il testo del codice è stato riportato in corsivo, mentre il tondo è utilizzato per le aggiunte operate da chi scrive. Lo scioglimento delle abbreviazioni è inserito tra parentesi tonde; lì dove, a causa del deterioramento del supporto scrittorio o della rarità dell’abbreviazione stessa, non è stato possibile completare la trascrizione del testo, si è preferito segnalare tale mancanza al lettore inserendo un punto interrogativo sempre tra parentesi tonde. Per le edizioni di riferimento sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni: AE: L’année épigraphique, Paris 1888-; BudRég: Budapest Régiségei, Budapest 1963-; CIG: Corpus Inscriptionum Graecarum, Berolini 18281877; CIGP: Corpus Inscriptionum Graecarum Pannonicarum, edidit P. KOVÁCS, Budapest 20073; CIL: Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1863-; EDH: Epigraphic Database Heidelberg; EDR: Epigraphic Database Roma; IG: Inscriptiones Graecae, Berolini 1873-; IGUR: Inscriptiones Gral’iscrizione inedita di Ἀμμώνιος Ἀπολλώνιος (pp. 39-40), CIL V 2143 (= app. 73), 2261 (= app. 76). 109 In CIL V, p. 1070, Mommsen riferisce di un altro manoscritto autografo di Manuzio (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms. 5667, f. 74r-v), che definisce come exemplum gemellum del Vat. lat. 5248. Effettivamente al f. 74r-v compare un numero consistente di epigrafi già riportate nella silloge manuziana oggetto di questo studio e con una serie di elementi che fanno pensare, oltre che ad una ovvia dipendenza, anche a una compilazione molto ravvicinata nel tempo. Tuttavia, l’impossibilità di avere accesso all’intero manoscritto vieta a chi scrive di spingersi oltre in un’analisi ben più approfondita, che si rimanda a uno studio successivo. 110 La silloge manuziana non parrebbe essere stata tra le fonti utilizzate da Böckh per la redazione dei volumi del Corpus Inscriptionum Graecarum. Esito negativo ha dato anche lo spoglio dei database online dedicati all’epigrafia greca.

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ecae Urbis Romae, curavit L. MORETTI, Roma 1986-1990; ILCV: Inscriptiones Latinae Christianae Veteres, edidit E. DIEHL, Berlin 1925-1967; ILS: Inscriptiones Latinae selectae, edidit H. DESSAU, Berolini 1892-1916; InscrAq: Inscriptiones Aquileiae, a cura di J. B. BRUSIN, Udine 1991-1993; InscrIt: Inscriptiones Italiae, Roma 1931-; OPEL: Onomasticon Provinciarum Europae Latinarum, edd. A. MÓCSY – R. FELDMANN – E. MARTON – SZILÁGYI, Budapest – Wien 1994-2002; Pais, SupplIt: Corporis inscriptionum Latinarum. Supplementa Italica, I, edidit E. PAIS, Roma 1888; SEG: Supplementum Epigraphicum Graecum, Lugduni Batavorum 1923-; SupplIt: Supplementa Italica, n.s., Roma 1981-; SupplIt Imagines. Roma: Supplementa Italica – Imagines. Roma, Roma 1999-; TitAq: Tituli Aquincenses, edidit P. KOVÁCS, Budapest 2009; TLG: Thesaurus Linguae Grecae, Paris 1831-1865.

N.

Vat. lat. 5248

Editiones

Loci adservationis

1

1r, 1

CIL V 1867 = EDR097740

In domo Marini Silvestrii, penes turrim sacram deiparae in Subanico. Basis marmorea “in qua olim Franciscus Feletus disertissimus caussarum patronus, habitabat”. A latere nunc Patavii in domo Fr(ancisc)i Quirinii ad omnium sanctorum aedes al Portello.

2

1r, 2

CIL V 2224 = EDR099224

Ad D(ivae) Iustinae, in aede Delphinia, quae ad orientem, Aede accubat. Basis marmorea.

3

1r, 3

CIL V 2242 = EDR099242

In rivo pontis Angeli. In rivulo Santi Marci, in ripa Lucae Superanzo.

CIL V 2242

In rectangulo inscriptus est.

3 bis 1r, 4 4

1r, 5

CIL V 2188 = EDR099188

Apud Michaelim Salomonium, patricium venetum ad Divae Mariae Formosae.

5

1r, 6

CIL V 2225 = EDR099225

In turri sacra Olivolensi.

6

1r, 7

CIL V 796 = InscAq 291 = EDR093892

Apud Marcum Grasolarium ad D(ivae) Clarae, Venetianus. Postea adscripsit ad po(n)te(m) in puteali.

CIL V 796

In rectangulo inscriptus est.

6 bis 1r, 8

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CHIARA CALVANO

7

1v, 1

CIL V 2162 = EDR099162

In turri Sancti Vitalis.

8

1v, 2

CIL V 2199 = EDR099199

In templo Divae Mariae Matris Domini. Nella pietra sagrata dell’altare mag(gior)e.

9

1v, 3

CIL V 2226 = EDR099226

Apud Rinaldum Odonium, avunculum meum.

10

1v, 4

CIL V 2292 = EDR099292

In ecc(les)ia Divi Marci.

11

1v, 5

CIL V 749

Ad D(ivi) Vitali.

12

1v, 6

CIL V 2174 = EDR099174

Ibidem

13

1v, 7

CIL V 2147 = EDR099147

Ibidem

14

2r, 1

CIG I 713, cfr. IG II2 9648

In Aedibus Andreae Lauretani, q(uondam) Bernardini, Petrique eius filii Lauret(ani) patricii Veneti ad D(ivum) Pantaleonem.

15

2r, 2

CIL V 2218, cfr. p. 1070 = InscrAq 131 = EDR116836

Ibidem

16

2v, 1

CIL V 2173 = EDR099173

In Rio Terrao, in casa della m(agnifi)ca madonna Lisetta Soranzo. A latere un delfino.

17

3r, 1

CIL V 563 = InscIt X, 4, 77 In domo cl(arissi)mi viri Caroli = SupplIt 10, p. 223 ad nr. = Capellii eq(uitis) Francisci eq(uitis) EDR007362 filii, in Iudaica penes pontem lapideum qui ducit ad Cruceiam aedem.

18

3r, 2

CIL V 611 = InscrIt X, 4, 302 = SupplIt 10, p. 232 ad nr. = EDR007407

19

3r, 3

CIL V 541 = InscrIt X, 4, 52 Ibidem = SupplIt 10, p. 220 ad nr. = EDR007347

20

3r, 4

CIL V 554 = InscrIt X, 4, 62 Ibidem = SupplIt 10, p. 221 ad nr. = EDR093872

21

3r, 5

CIL V 534 = InscrIt X, 4, 33 Ibidem = SupplIt 10, pp. 216-217 ad nr. = EDR007341

Ibidem

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57

22

3r, 6

Inedito

A S(ancta) M(ari)a Magd(ale)na, nella casa hora di M(esser) Cocco da S(anta) Giust(in)a.

23

3r, 7

CIL V 2148 = EDR099148

(sine loco)

24

3v, 1

CIL III 3192c, cfr. p. 1650 = In regione Iudaica, in aedibus IoanCIL V 333* = HD062138 nis Cornelii Benedicti.

25

3v, 2

Inedito

Ibidem

26

3v, 3

Inedito

Ven(eti)a, ad D(ivae) Caritatis, in aedibus Iosephi Michaelis, p(atricii ?) V(eneti ?) s(opr)a Canal grande.

27

3v, 4

CIL V 2937 = SupplIt 28, p. 208 ad nr.

In domo filior(um) ill(ustrissimi) q(uondam) viri Hier(onym)i Donati.

28

3v, 5

CIL V 2256 = Pais, SupplIt 1235 = EDR099256

Ibidem

29

3v, 6

CIL V 2248, cfr. p. 1071 = CIL XI 1379 = EDR099248

Ibidem

30

3v, 7

CIL V 2169 = EDR099169

In domo Nicolai Salomonii, Hier(onim)i filii.

31

4r, 1

CIL V 2249 = EDR099249

In canonica S(anc)ti Marci, in domo Primicerii

32

4r, 2

CIL V 2255 = EDR099255

In rivulo an(te) plateam S(anc)tae Mariae Matris Domini nuncupatae.

33

4r, 3

CIL V 2170 = EDR099170

In alio loco, ibidem

34

4r, 4

CIL V 2177 = EDR099177

In rivulo, repositorii farinae.

35

4r, 5

CIL V 2167 = EDR099167

Penes ecclesiam Sancti Zachariae.

36

4r, 6

CIL V 2182 = EDR099182

In rivulo Sanctae Mariae Matris Domini.

37

4r, 7

CIL V 2181 = EDR099181

Sub porticu Sancti Martini.

5 bis 4r, 8

CIL V 2225 = EDR099225

In fundamentis turris sacrae Sancti Petri de Castello; Olivolen(sis) regionis.

38

4v, 1

CIL V 2257 = EDR099257

In rivulo Macelli.

39

4v, 2

CIL V 2205 = EDR099205

In choro ecclesiae cathedralis S(ancti) Petri de Castello.

40

4v, 3

CIL V 2198 = EDR099198

In solo chori ecclesiae Sancti Petri de Castello. A latere crediderim vacare.

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58

CHIARA CALVANO

41

4v, 4

CIL V 2192 = EDR099192

In fundamentis monasterii S(anc)ti Georgii Maioris, verso S(an) Marco.

42

4v, 5

CIL V 2277 = EDR099277

In platea ecclesiae S(anc)ti Io(ann) is a Bragula, supra quoddam puellae simulacrum.

43

4v, 6

CIL V 2230 = EDR099230

In rivulo S(anc)ti Ioannis a templo.

44

4v, 7

CIL V 2245 = EDR099245

Ibidem

45

4v, 8

CIL V 126*

In domo Leonardi, presbyteri S(anc) ti Ioannis a Bragula. In vase.

46

5r, 1

CIL V 2239 = ILCV 4541 = EDR099239 + CIL V 2197, cfr. p. 1070 = ILCV 3527a = EDR099197

A tergo ecclesiae Sancti Augustini. In fundamentis eccl(esi)ae.

47

5r, 2

CIL V 2207 = EDR099207

In rivulo Sancti Eustachij.

48

5r, 3

CIL V 2163 = SupplIt 28, pp. Apud Sanctum Eustachium. 105-106, ad nr.

49

5r, 4

CIL V 2235 = EDR099235

In rivulo Sancti Pantaleonis.

50

5r, 5

CIL V 2252 = EDR099252

Apud hospitale S(anc)ti Antonii.

51

5r, 6

CIL V 2231 = EDR099231

In domo Prioris S(anc)ti Ioan(nis) a templo.

52

5r, 7

CIL V 2280, cfr. p. 1071 = CIL V 2222 = EDR099280

In D(ivo) Petro de Castello.

53

5r, 8

CIL V 2290 =

Ibidem

54

5r, 9

CIL V 2222 = CIL V 2280, cfr. p. 1071 = EDR099222

Ibidem

55

5r, 10 CIL V 2300 = EDR099300

Ibidem

56

5r, 11 CIL V 2144 = HD033347 = EDR099144

Ad S(anctae) Ermachorae in cohorte Barborum. Ibidem

57

5r, 12 CIL V 2145 = EDR099145

58

5v, 1

CIL V 743, cfr. Pais, SupplIt, Ad D(ivae) Mariae cogn(omine) 63 = InscrAq 114 = Formosae in aed(ibus) Griman(i) EDR117424 patriarchae.

59

5v, 2

Ibidem CIL V 738, cfr. p. 1024 = CIL XII 172*,2 = ILS 4868 = InscrAq 136 = EDR116830

60

5v, 3

CIL V 746, cfr. p. 1024 = CIL XII 229* = InscrAq 115 = EDR116834

Ibidem

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

59

61

5v, 4

CIL V 2217 = EDR099217

In puteali. Adiectus est supra In curia Barb(orum?) ad aedem D(ivi) Leonis, vel D(ivae) Mariae de Faba.

62

5v, 5

CIL V 2247 = EDR099247

Ibidem. In Curia Gradonic(orum). Puteus.

63

5v, 6

CIL V 2293 = EDR099293

Ad D(ivi) Apollinaris.

64

5v, 7

CIL V 2294 = EDR099294

Ad S(anc)ti Eustachij, gradus marmoreus, in fundo loco.

65

5v, 8

CIL V 2301, cfr. p. 1071 = EDR099301

Ibidem sup(er) portam tabernae vinariae. Mira pulchr(itudine) notae.

66

6r, 1

IGUR II 824

In un marmo antico appresso un antiquario, in marzaria appresso i Giunti. Postea adiectus est l’ho io

67

6v, 1

Inedito

Apud Jac(obum) Sansovinu(m), Flor(entinu)m insignem archit(ectum) et statuarium, F(rancis)ci patrem, Tabella marmorea e Roma fragment(um).

68

8r, 1

CIL V 2223 = CIL III 264* = Torcelli. In aede D(ivi) Ariani. EDR099223

69

8r, 2

CIL V 2234 = EDR099234

Alibi

70

8r, 3

CIL V 2155 = EDR099155

In puteali, sito in platea, Torcelli.

71

8r, 4

CIL V 2241 = EDR099241

In turri sacra ecclesiae cathedralis.

72

8r, 5

CIL V 2176 = EDR099176

Torcelli.

73

8r, 6

CIL V 2143 = EDR099143

In campanili e(pisco)patus.

74

9r, 1

CIL V 2166 = EDR099166

In basilica D(ivi) Io(annis) Bap(tis) tae in urna baptismatis.

75

9r, 2

CIL V 2258 = EDR099258

Muriani.

76

9r, 3

CIL V 2261 = EDR099261

Buriani.

77

9v, 1

CIL V 2309 = CIL XI 29*, 3 Fossae Clodiae. A S(ancta) Maria, = SupplIt 28, p. 109 ad nr. = al domo, in imis summi templi paEDR099309 rietibus.

78

9v, 2

CIL V 2312 = SupplIt 28, p. 110 ad nr. = EDR099312

79

10r, 1 CIL V 2333 = CIL V 429*, 200

Ibidem Epigrammata Hadriae. Lapis marmoreus.

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60

CHIARA CALVANO

80

10r, 2 CIL V 2332

In alio lapide.

81

10r, 3 CIL V 2372 = Pais, SupplIt 484

In alio lapide.

82

10r, 4 CIL V 2315

In alio lapide.

83

10r, 5 CIL V 8115,29

Ad urnam ex fictile ornatam foliis monstruosisq(ue) hominum capitibus.

84

10r, 6 CIL V 8110, 4b = ILS 8648b Ad antiquam tegulam.

85

10v, 1 CIL V 7989 = ILS 487 = InscrAq 2893a = EDR0116987

86

10v, 2 CIL V 545 = InscrIt X, 4, 59 Tergeste. = SupplIt 10, pp. 220-221 ad A latere 375. In Orthographia. nr. = HD033044 = EDR093873

87

11r, 1 CIL V 562 = InscrIt X, 4, 76 Ex libro Paulli Rhamnusii. = SupplIt 10, p. 223 ad nr. = EDR007361

88

11r, 2 CIL V 525 = ILS 77 = InscrIt Ibidem X, 4, 20 = SupplIt 10, p. 213 ad nr. = EDR007327

89

11r, 3 CIL V 497 = InscrIt X, 3, 37 Ibidem = SupplIt 10, p. 194 ad nr. = EDR007660

90

12r, 1 CIL V 707 = InscrIt X, 4, 326 = SupplIt 10, p. 234 ad nr. = EDR117370

In templo D(ivi) Io(hannis) in Tubis, a q(ui)b(us)da(m) olim Diomedes. Monfalcone. Postea adiectus est supra Ex (?) Utini, Iac(opum) Valvasonu(m) ad Mariu(m) Savornianum.

91

12r, 2 CIL V 706 = InscrIt X, 4, 324 = SupplIt 10, p. 234, ad nr. = EDR117376

Ibidem

92

12r, 3 CIL V 709 = InscrIt X, 4, Ibidem. Fragmentum. 329 = InscrAq 360 = SupplIt 10, p. 234 ad nr. = EDR117374

93

13r, 1 CIL V 484 = InscrIt X, 3, 1 = Iustinopoli in e(pisco)patu. SupplIt 10, p. 190 ad nr. = Postea adiectus est a latere Ex libro HD033005 = EDR007627 Paulli Rhamnusii.

Aquileiae. A latere 156 / Orthographia /

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

61

94

13v, 1 CIL III 2979 = HD060367

Nonae civ(itati)s Delmatae. In eccl(esi)a S(ancti) Ambrosii prope forum.

95

13v, 2 CIL V 1634 = InscrAq 3375 = ILCV 4373a

In oppido Gradentis in maiore ecclesia.

96

13v, 3 CIL V 1599 = ILCV 1871 = InscrAq 3348 = EDR156655

Ibidem

97

13v, 4 CIL V 1604 = ILCV 01883 = InscrAq 3351 = EDR156573

Ibidem

98

13v, 5 CIL V 838 = InscrAq 3258 = EDR117352

Ibidem

99

14r, 1 CIL V 1362 = InscrAq 3300 = EDR163244

Extra moenia in eccl(esi)a D(ivi) And(re)ae.

100

14r, 2 CIL V 1099 = InscrAq 3274 = EDR163200

Apud porta(m) castri, quae principalis nuncupat(ur).

101

14r, 3 CIL V 1386 = InscAq 3304 = Extra oppidum per tria miliaria in EDR163247 insula Barbanzae.

102

14r, 4 CIL V 751 = InscrAq 122 = EDR116838

Ibidem

103

14v, 1 CIL V 1958 = EDR156646 + CIL V 1956 = EDR097825

In Hortis e(pisco)patus Caprulani.

104

14v, 2 CIL III 2862 (?) = HD058233

Aedibus Ioannis Marchanovae.

105

15r, 1 CIL III 1933, cfr. pp. 1030, 1509 = CIL V 336* = ILS 4907 = HD049788

In Salona in un sasso grandissimo.

106

15r, 2 CIL III 2204, cfr. p. 1509 = HD062898

Nel med(esi)mo loco di Salona.

107

15r, 3 CIL III 1942, cfr. p. 1509 = HD053745

Ibidem

108

15r, 4 CIL III 2579 = HD062546

Ibibem

109

15v, 1 CIL III 2324 = CIL III 8621 = HD062214

Ibidem

110

15v, 2 CIL III 2235, cfr. pp. 1509, 2325 = CIL XI 160, cfr. p. 1228 = HD062878

Non troppo lontan da Salona.

111

15v, 3 CIL III 173a*, cfr. p. 2328 = Ibidem CIL III 14244 = CIL XI 21, cfr. p. 1227 = HD062044

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62

CHIARA CALVANO

112

15v, 4 CIL III 2568 = CIL V 2276, cfr. p. 1071 = Pais, SupplIt 472 = HD045585 = EDR099276

Ibidem

113

15v, 5 CIL III 2386 = HD062770

Nel Castel Elipso, non lonta(n) da Salona.

114

16r, 1 CIL III 2277, cfr. p. 1031 = CIL III 8617 = HD062210

In Spalato.

115

16r, 2 CIL III 2868 = HD058236

Appresso Vadi loco di Dalmatia.

116

16r, 3 CIL III 2871 = HD058241

Ibidem

117

16r, 4 CIL III 2942 = HD060271

In un’altra pietra.

57 bis 18r, 1 CIL V 2145 = EDR099145 33 bis 18r, 2 CIL V 2170 = EDR099170 19r

Saxa inscripta

118

19v, 1 CIL XVI 38, cfr. p. 215 = CIL III pp. 859, 1966 = CIL XII 74*

Aeneae tabellae (?) perantiquae, ex musaeo Iohannis Grimani, Aquileiae Patriarca, (?) perantiquis sigillis, signis, imaginibus luculenter refert repraesentata. Una tabella. A tergo.

119

19v, 2 CIL V 4092 = CIL III pp. 883, 1988 = CIL XVI 102, cfr. p. 215 = EDR166294

Una tabella. A tergo.

120

20r, 1 CIL V 4091 = CIL III pp. 875, 1976 = CIL XVI 74 = EDR166293

Una tabella. A tergo.

121

21v, 1 CIL III 1935, cfr. p. 1509 = Havuti dal Magnifico Messere LoreCIL XI 642(1)* = ILS 4005 = dano. [A Traù] sic ora HD053727

122

21v, 2 CIL III 1979, cfr. pp. 1509, Ibidem 2135 = CIL XI 642(5)* = ILS 2616 = HD054166

123

21v, 3 CIL III 2501, cfr. p. 1510 = CIL XI 642(13)* = HD062669

Ibidem

124

21v, 4 CIL III 2191, cfr. p 1031 = CIL III 8606 = CIL XI 642(7)* = HD062195

Ibidem

125

21v, 5 CIL III 130* = CIL XI 642(14)*

Ibidem

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

126

22r, 1 CIL III 2125 = CIL III 8594 = CIL XI 642(11)* = HD062177

Ibidem

127

22r, 2 CIL III 2551, cfr. pp. 1031, 1510, 2135 = HD063031

Ibidem

128

22r, 3 CIL III 1961, cfr. pp. 1509, Ibidem 2135 = CIL XI 642(3)* = ILS 4282 = HD053927

129

22r, 4 CIL III 1981, cfr. p. 1509 = Ibidem CIL XI 642(6)* = HD000677

130

22r, 5 CIL III 2095 = CIL III 8583 = CIL XI 642(9)* = HD063847

Ibidem

131

22r, 6 CIL III 2096, cfr. p. 2135 = CIL III 8584 = CIL XI 642(10)* = HD063857

Ibidem

54 bis 22v, 1 CIL V 2222 = EDR099222

63

Venetiis, in aede D(ivi) Petri di Castello, in pulpito sinistro. Fragmentum.

132

22v, 2 CIL V 1994 = EDR098226

In agro Opitergino.

133

22v, 3 CIL V 1979 = EDR098211

Ibidem

40 bis 23r, 1 CIL V 2205 = EDR099205

Ad D(ivi) Petri de Castello. In terra.

53 bis 23r, 2 CIL V 2290 = EDR099290

Nel pulpito.

52 bis 23r, 3 CIL V 2280, cfr. p. 1071 = EDR099280

(sine loco)

134

23r, 4 CIL V 2275, cfr. p. 1095 = CIL V 241 = InscrIt X, 1, 404 = EDR099275

In casa di M(esser) Giustin(ia)n Badoer, tra S(an) Canzian e S(anti) Apostoli.

65 bis 23r, 5 CIL V 2301 = EDR099301

A S(an) Stae, sulla fondam(en)ta, giù del ponte del Bastion.

41 bis 23r, 6 CIL V 2192 = EDR099192

Nei fondamenti del mon(aste)rio di S(an) Giorgi(o) Mag(gio)re in Canal Grande di S(an) Marco, verso la Giudecca.

135

23r, 7 BudRég 10, pp. 60-62 = SEG In un intaglio, di cameo, di Messer Vincenzo Riccio, della sponda. 29, 1047 = SEG 46, 1378 = CIGP1 83 = CIGP2-3 96 = TitAq 1432 = HD072227 = HD035889

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64

CHIARA CALVANO

136

25r, 1 CIL V 3048 = SupplIt 28, p. 258

(Patavi)

137

25r, 2 CIL V 219* = EDR007031 = SupplIt 28, pp. 97-98

(Patavi)

138

25r, 3 CIL V 3069 = SupplIt 28, p. (Patavi) 266 ad nr. + CIL V 2826, cfr. p. 195 = SupplIt 28, pp. 144145 ad nr.

139

25r, 4 CIL V 2101 = EDR097526

(Patavi)

24 bis 25r, 5 CIL III 3192c, cfr. p. 1650 = (Patavi) CIL V 333* 140

25r, 6 CIL V 2963 = SupplIt 28, pp. (Patavi) 219-220 ad nr.

141

25v, 1 CIL V 217* = Pais, SupplIt 525

(Patavi)

142

25v, 2 CIL XI 848 = EDR138408

(Patavi)

143

25v, 3 CIL V 194* (pars posterior)

(Patavi)

144

25v, 4 CIL V 194* (pars prior)

(Patavi)

145

26r, 1 CIL VI 3e*

(Patavi)

146

26r, 2 CIL V 2650 = CIL V (Patavi) 429*,212 = SupplIt 15, p. 96 ad nr. = EDR143079

147

26r, 3 CIL V 2652

148

26r, 4 CIL V 2504 = SupplIt 28, pp. (Patavi) 110-112 ad nr. = EDR168410

149

26r, 5 CIL V 3055

(Patavi)

150

26r, 6 CIL V 3052

(Patavi)

151

26v, 1 CIL V 2578

(Patavi)

152

26v, 2 CIL V 3760

(Patavi)

153

26v, 3 CIL V 2824 = SupplIt 28, 20 (Patavi) = EDR168244

154

26v, 4 CIL III 3183b, cfr. p. 1650 = (Patavi) CIL V 333* = HD062155

155

26v, 5 CIG 6748 = IG XIV 350*

(Patavi)

156

27r, 1 Inedito

(Patavi)

157

27r, 2 IGUR II 433

(Patavi)

(Patavi)

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

158

27r, 3 CIL V 3001 =

(Patavi)

159

27r, 4 CIL III 2862 = HD058233

(Patavi)

160

27r, 5 Inedito

Vidi egomet, si ad Lirim amnem.

161

31r, 1 CIL V 2688

(sine loco)

162

31r, 2 CIL V 2838 = SupplIt 28, p. 152 ad nr.

A Corte di Piove di Sacco.

163

32r, 1 CIL VI 17327 = CIL IX 28a3* = CIL XIV 173,1*

(sine loco)

164

32r, 2 CIL VI 629, cfr. p. 3006, (sine loco) 3757 = CIL VI 30802 = CIL X 1088,3* = EDR138593

165

32r, 3 CIL VI 19257 = EDR137526 (sine loco)

166

32r, 4 CIL VI 29859 = EDR144849 (sine loco)

167

32r, 5 CIL VI 287, cfr. p. 3004, 3756 = CIL VI 36784 = EDR072367

168

32r, 6 CIL VI 2188 (p. 3304, 3826), (sine loco) cfr. CIL VI 2189

169

32r, 7 CIL VI 12572, cfr. p. 3511, 3911 = SupplIt Imagines. Roma (CIL, VI) 1, 2099 = EDR121575

(sine loco)

170

32v, 1 CIL VI 29853 = CIL X 67 = EDR144843

(sine loco)

171

32v, 2 CIL VI 1634, cfr. p. 3163, 3811, 4723 = ILS 1423 = EDR111445

(sine loco)

172

33r, 1 CIL VI 16979 = EDR136624 (sine loco)

173

33r, 2 CIL VI 19665

174

33r, 3 CIL VI 25987, cfr. p. 3532 (sine loco) = CIL V 23,5* = CIL V 583,02* = SupplIt Imagines. Roma (CIL, VI) 5, 5340 = EDR125486

175

33r, 4 CIL VI 8499, cfr. p. 3459, 3890 = CIL X 1089*,123 = ILS 1489 = EDR171764

(sine loco)

176

33r, 5 CIL VI 1752, cfr. pp. 3174, 3813, 4751 = ILS 1268 = EDR128599

(sine loco)

65

(sine loco)

(sine loco)

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66

CHIARA CALVANO

177

33r, 6 CIL VI 26901, cfr. p. 3533 = (sine loco) CIL XI 569,2* = SupplIt Imagines. Roma (CIL, VI) 3, 4079 = EDR125865

178

33r, 7 CIL VI 15118, cfr. p. 3517 = (sine loco) EDR136179

179

34r, 1 CIL I2 2188 = CIL I2 2, 4, p.190 = SupplIt 28, p. 62

Ritratto delle Inscrizioni delle tavolette di metallo trovate a Bahareno della Montagna, ubi dicitur Casa Ceccio. O forse servivano per metter le sorti, overo per dare responsi, o sono sentenze.

180

34r, 2 CIL I2 2177 = CIL I2 2, 4, p.190 = SupplIt 28, p. 62

Ibidem

181

34r, 3 CIL I2 2179 = CIL I2 2, 4, p.190 = SupplIt 28, p. 62

Ibidem

182

34r, 4 CIL I2 2182 = CIL I2 2, 4, p.190 = SupplIt 28, p. 62

Ibidem

183

34v, 1 CIL I2 2176 = CIL I2 2, 4, p.190 = SupplIt 28, p. 62

Ibidem

184

34v, 2 CIL I2 2174 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

185

34v, 3 CIL I2 2184 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

186

34v, 4 CIL I2 2185 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

187

34v, 5 CIL I2 2181 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

188

34v, 6 CIL I2 2186 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

189

35r, 1 CIL I2 2187 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

190

35r, 2 CIL I2 2180 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

191

35r, 3 CIL I2 2189 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

192

35r, 4 CIL I2 2175 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

193

35r, 5 CIL I2 2178 = CIL I2 2, 4, p.190; SupplIt 28, p. 62

Ibidem

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

67

155 bis

36r, 1 CIG 6748 = IG XIV 350*

194

36r, 2 CIL III 3162a, cfr. p. 1650 = (sine loco) CIL V 333* = CIL XI 123a4* = HD062298

195

36r, 3 CIL III 3174c, cfr. p. 1650 = (sine loco) CIL V 333* = CIL XI 123a5* = HD062266

196

37r, 1 CIL V 7988 = InscrIt X, 1, 707 = EDR139921

A S(an) P(iet)ro di Castello in Patriarcato.

197

39r, 1 IG II2 10193, cfr. SEG 28, 306

In casa di Francecchi a S. Lorenzo.

198

40r, 1 Inedito

(sine loco)

199

40r, 2 Inedito

(sine loco)

200

41r, 1 CIL V 2287 = EDR099287

Nel cavare d’i fondamenti della cappella grande, a S(an) Giorgio maggiore.

(sine loco)

ABSTRACT I codici epigrafici di Aldo Manuzio il Giovane, sebbene largamente utilizzati per la redazione del Corpus Inscriptionum Latinarum, non sono mai stati oggetto di uno studio specifico. Il presente contributo, nella prospettiva della realizzazione di un lavoro più ampio di analisi dell’intero corpus manuziano, prende in esame la prima silloge epigrafica realizzata dall’umanista e stampatore veneziano, lata dal Vat. lat. 5248. Despite the fact that they have been used extensively in the preparation of the Corpus Inscriptionum Latinarum, the epigraphic manuscripts of Aldo Manuzio the Younger have never been studied on their own. As a first step to a fuller analysis of Manuzio’s entire corpus, this contribution assesses the first epigraphic collection created by the Venetian humanist and printer, as preserved in Vat. lat. 5248.

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68

CHIARA CALVANO

Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5248, f. 19r.

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

69

Tav. II – Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, cat. 2, Storie generali, m. 6, fasc. 1, f. 228v.

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70

CHIARA CALVANO

Tav. III – Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Malvezzi 128, f. 387r.

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

71

Tav. IV – Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Malvezzi 128, f. 387v.

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72

CHIARA CALVANO

Tav. V – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5248, f. 1r.

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L’ATTIVITÀ EPIGRAFICA DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE

73

Tav. VI – Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile, ms. 285, p. 68.

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CARLA CASTELLI

SUL TESTO DI GIORGIO ‘MONOS’ DI ALESSANDRIA: NUOVI ELEMENTI DAL VAT. GR. 1298 E DAL VAT. LAT. 9539 ABSTRACT a p. 86.

Nell’anno 1827, dando alle stampe gli importanti frammenti inediti degli storici greci e il Dialogo sulla scienza politica, Angelo Mai riferì brevemente di un’orazione perduta di Lisia, Contro Callifonte, menzionata in un commentario inedito a Ermogene — un inedito che il Cardinale, avido cercatore ed editore di testi antichi ancora ignoti, eccezionalmente non pubblicò, forse perché il testo tecnico gli parve poco interessante a fronte delle altre e ben più importanti scoperte o forse perché riteneva di dover fare ulteriori controlli, poi mai effettuati1. Secondo le sue note abitudini, Mai elencò la numerazione dei cinque fogli del manoscritto, palinsesti, che riportano nella scriptio inferior una parte del commentario ermogeniano, ma trascurò di menzionare la segnatura del codice, limitandosi a riferirlo ai frammenti del dialogo De scientia politica che egli attribuiva a Pietro Patrizio. Da ciò si evince che il commentario ermogeniano fu reperito nel Vat. gr. 1298, un testimone di Elio Aristide in due tomi (gli attuali Vat. gr. 1298, pt. 1 e pt. 2) redatto alla fine del sec. X e restaurato all’inizio del sec. XV integrando le parti mancanti con fogli provenienti da diversi codici2. La scriptio inferior di alcuni di essi 1 A. MAI, Scriptorum veterum nova collectio e vaticanis codicibus edita, II, Romae 1827, p. 584. Sulla necessità di controlli ulteriori, cfr. infra, p. 80. 2 Per i dati codicologici e per la complessa struttura del manoscritto si veda Menae patricii cum Thoma referendario De scientia politica dialogus, a cura di C. M. MAZZUCCHI, Milano 20022 (Bibliotheca erudita, 17), in particolare pp. VII-XIII. L’editore si diffonde analiticamente sui fogli palinsesti con la Politica di Aristotele e il Dialogo sulla scienza politica: i due testi apparterrebbero a un unico codice magni ponderis databile al 920/930, redatto a Costantinopoli. I fogli usati per il restauro del manoscritto nel suo complesso, collocati nell’ultimo quarto del codice, erano tuttavia «di varia provenienza» (C. MAZZUCCHI, Per una rilettura del palinsesto Vaticano contenente il dialogo ‘Sulla scienza politica’ del tempo di Giustiniano, in L’imperatore Giustiniano: storia e mito. Giornate di studio, Ravenna 14-16 Ottobre 1976, a cura di G. G. ARCHI, Milano 1978, pp. 237-247: p. 239 [Biblioteca tardoantica, 5]; cfr. D. ARNESANO, Ermogene e la cerchia erudita. Manoscritti di contenuto retorico in Terra d’Otranto, in La tradizione dei testi greci in Italia meridionale. Filagato da Cerami philosophos e didaskalos: copisti, lettori, eruditi in Puglia tra XII e XVI secolo, a cura di N. BIANCHI – C. SCHIANO, Bari 2011, Biblioteca tardoantica, 5, p. 109); i fogli sarebbero tratti da almeno «sei codici, differenti per

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 75-88.

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CARLA CASTELLI

presenta testi di grande interesse: oltre al dialogo sulla scienza politica, di cui non esiste altro manoscritto, vi si legge la Politica di Aristotele nel più antico testimone medievale a noi noto. A questi si aggiunge, documentato nel Vat. gr. 1298, pt. 2 (Vα) dai ff. 332, 335, 345, 348, 353, il più modesto ma interessante commento tardoantico (sec. V d. C.?) alle staseis di Ermogene dovuto all’altrimenti sconosciuto Giorgio ‘Monos’ di Alessandria e raccolto ἀπὸ φωνῆς da un allievo, Zenone, il cui nome è conservato nella sottoscrizione al ms. Par. gr. 2919 (P)3. origine e datazione» (D. BIANCONI, Cura et studio. Il restauro del libro a Bisanzio, Alessandria 2018 (Hellenica 66), p. 57, che desume il dato da C. FÖRSTEL – D. GROSDIDIER DE MATONS, Quelques manuscrits grecs liés à Manuel II Paléologue, in Actes du VIe Colloque International de Paléographie Grecque (Drama, 21-27 septembre 2003), edités par N. TSIRÔNÊ – B. ATSALOS, Athêna 2008, p. 379). Mazzucchi (in Menae patricii cit., p. VIII e ntt. 6 e 8), ricorda due elementi essenziali vergati al f. 1v da una mano cuiusdam Itali graecae linguae palam ineruditi: una data — 1421 — e l’indicazione ἀπὸ τοῦ Μακαρίου καλογέρου. Macario avrebbe dunque copiato le parti mancanti del testo aristideo integrando i fogli mancanti con pergamene, secondo l’uso documentato a Costantinopoli nel monastero del Prodromo per manoscritti destinati all’Italia meridionale. Cfr. anche FÖRSTEL – GROSDIDIER DE MATONS, Quelques manuscrits grecs cit., pp. 380-381, che, alla luce della rilegatura, collocano il restauro in una bottega costantinopolitana (il monastero del Prodromo?), a cui sono riconducibili altre rilegature consimili; cfr. anche BIANCONI, Cura et studio cit., pp. 57 e 107. Anche Mazzucchi colloca il restauro del manoscritto a Costantinopoli, Turcis urbem obsidentibus (p. IX). Diversamente interpreta la posizione di Mazzucchi T. JANZ, Palinsesti greci del “Fondo Orsini”, in Libri palinsesti greci: conservazione, restauro digitale, studio. Atti del Convegno internazionale, Villa Mondragone – Monte Porzio Catone – Università di Roma Tor Vergata – Biblioteca del Monumento Nazionale di Grottaferrata, 21-24 aprile 2004, a cura di S. LUCÀ, Roma 2008, p. 92, ripreso da ARNESANO, Ermogene cit., p. 109, secondo cui la nota sarebbe stata apposta da Macario stesso, che avrebbe vergato le parti mancanti del manoscritto in una minuscola italo-greca. La storia del testimone merita una breve menzione: esso appartenne a Niccolò Leonico Tomeo (di cui porta un ex libris al f. 1); nel 1575 un Aristide identificabile con il Vat. gr. 1298 fu descritto in una lettera di Pinelli, che riferì a Fulvio Orsini di averlo visto presso Pietro Bembo, cfr. P. NOLHAC, La Bibliothèque de Fulvio Orsini. Contributions à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887, p. 184 e nt. 2 e pp. 171 e 410-411, cfr. G. FIACCADORI, Intorno all’anonimo vaticano Περὶ πολιτικῆς ἐπιστήμης, in La Parola del Passato 34 (1979), pp. 127-147: p. 129; per datare l’ingresso nella biblioteca del Bembo, si noti che nel 1545 il manoscritto non risultava ancora registrato, cfr. M. DANZI, La biblioteca del cardinal Pietro Bembo, Genève 2005 (Travaux d’Humanisme et Renaissance). Il codice appartenne infine a Fulvio Orsini, da cui nel 1602 giunse in Vaticana. Sul manoscritto, cfr. anche P. CANART, Études de paléographie et de codicologie, a cura di M. L. AGATI – M. D’AGOSTINO, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 450), pp. 441 nt. 6, 442, 1312; S. VOICU, Note sui palinsesti conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 458), pp. 445-454: p. 453. 3 Sull’autore e sul suo nome, sulla collocazione cronologica, sul commentario e su aspetti della tradizione manoscritta cfr., dopo Mai, L. SCHILLING, Quaestiones rhetoricae selectae, Lipsiae 1903, pp. 667-693; H. RABE, Aus Rhetoren-Handschriften.7. Georgios, in Rheinisches Museum für Philologie 63 (1908), pp. 517-526; J. DUFFY, Philologica Byzantina, in Greek, Roman, and Byzantine Studies 21 (1980), pp. 261-268: pp. 265-268; HERMOGÈNE, Corpus rhetoricum, II: Les états de cause, texte établi et traduit par M. PATILLON, Paris 2009 (Collection des universités de France. Série grecque, 470), p. XCIV; ARNESANO, Ermogene cit., pp. 109-110.

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SUL TESTO DI GIORGIO ‘MONOS’ DI ALESSANDRIA

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Secondo Carlo Maria Mazzucchi, che ringrazio, la scriptio inferior di questi fogli risale alla metà del sec. X4. Essi si affiancano ad altri due testimoni principali: al già citato P, manoscritto pergamenaceo del sec. X, si aggiunge infatti il Vat. gr. 1328 (V), cartaceo della seconda metà del sec. XIII5. Per ricostruire il testo di Giorgio, i fogli del Vat. gr. 1298, pt. 2 vanno letti nel seguente ordine, che rende evidente un’ampia lacuna (VI 74.2 – VIII 3.1): 345 (VI 54.2-64.2) 335 (VI 64.2-74.2) 353 (VII.3 1-12.3) 332 (VII 12.3-23.7) 348 (VII 23.7-VIII 1.2). In due casi (ff. 332 e 335; ff. 345 e 348), il testo di Giorgio, disposto su due bifogli, è servito a completare un quaternione che è stato totalmente integrato, in terza posizione6. Rispetto agli altri fogli del manoscritto, la loro dimensione è inferiore, pari a ca. cm 18  25. La piegatura del secondo bifoglio dell’originale manoscritto di Giorgio è stata invertita, come si evince dalla sequenza del testo. Il f. 353, penultimo del manoscritto aristideo, appare inserito singolarmente7. Cfr., soprattutto, la prima edizione integrale del testo, su cui a breve si tornerà: GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études sur les États de cause d’Hermogène. La division, texte établi et traduit par M. PATILLON, Paris 2018 (Collection des universités de France. Série grecque, 543). Sui materiali raccolti ἀπὸ φωνῆς, cfr. M. RICHARD, Ἀπὸ φωνῆς, in M. RICHARD, Opera minora, Turnhout 1976-1977, pp. 191-222. 4 Mazzucchi rileva che la scrittura ricorda quella del Laur. 59.9 (Demostene), a sua volta simile al Ravennas 429 (Aristofane); su queste ed altre possibili analogie cfr. P. ORSINI, Gráfein oúk eis Kállos: le minuscole greche informali del X secolo, in Studi Medievali 47 (2006), pp. 594-588: pp. 578-580; P. ORSINI, L’Aristofane di Ravenna. Genesi e formazione tecnica e testuale di un codice, in Scriptorium 65 (2011), pp. 321-337: p. 326 (con bibliografia precedente). Fra le caratteristiche rilevanti della scrittura, si notano il tratto regolare e inclinato a destra, con stilizzazione per lo più tonda e spaziatura tra le parole ridotta; la presenza di ε con cresta ascendente nella legatura εξ; la forma ad arco di δ; la forma tondeggiante degli spiriti; la presenza di numerose maiuscole (Κ sempre; Ν e Λ spesso, Γ e H raramente); l’uso assai parco di abbreviazioni. Il testo del commento di Giorgio è disposto su 30 righi per pagina; lo specchio scrittorio è di ca. 13 x 17 cm con rigatura 00A1 Leroy. Sul contenuto e la disposizione dei fogli palinsesti si veda infra nel testo. 5 Il manoscritto, appartenuto anch’esso a Fulvio Orsini, è di mano di Giovanni Atychates come attesta un monocondilo sul f. 131v (Repertorium griechischem Kopisten 800-1600, III, Wien 1997, p. 265); cfr. ARNESANO, Ermogene cit., pp. 109-110; HERMOGÈNE, Corpus rhetoricum cit., pp. LXXXVIII-LXXXIX, XCIV; GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études cit., p. LIX. 6 I dati derivano dall’osservazione diretta e si avvalgono di Menae patricii cit., pp. X-XI, ove si schematizza l’impiego dei 35 fogli di Aristotele e del Dialogus per integrare il manoscritto aristideo. 7 In esso, come nel f. 348, la scriptio superior non risulta visibile. Il fatto potrebbe essere dovuto alla modalità di applicazione degli acidi, probabilmente unica e non ripetuta. Si noti

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CARLA CASTELLI

L’insieme originario copriva dunque tre bifogli, in cui il testo perduto occupava esattamente lo spazio di un foglio, recto e verso8: f. 345 = VI 54.2-64.2 f. 335 = VI 64.2-74.2 [Manca = VI 74.2 – VII 3.1] f. 353 = VII.3 1-12.3* f. 332 = VII 12.3-23.7 f. 348 = VII 23.7-VIII 1.2*. Il contenuto comprende parzialmente il capitolo περὶ τῆς τῶν ἐλέγχων ἀπαιτήσεως (cap. VI); e quello περὶ βουλήσεως καὶ δυνάμεως (capp. VII e VIII). Nel 1908 Hugo Rabe, nell’ambito di una serrata incursione fra i manoscritti dei commentari ermogeniani tuttora ricca di preziose informazioni, rilevò con irritazione l’assenza di segnatura nella comunicazione di Mai e, soprattutto, i danni che costui causò al manoscritto (siglato Vα) nel tentativo di fare emergere la scrittura inferiore, tali da renderlo quasi illeggibile. Dichiarò di non essere stato in grado di recuperare la menzione dell’orazione di Lisia, ma ritrovò il riferimento nel Vat. gr. 1328 (V)9, f. 14v, e ne pubblicò un estratto (VII 20-33), riscontrandolo sul poco che di Vα ancora poteva distinguere ma rifacendosi soprattutto a V e rendendo esplicita una sola divergenza testuale alla riga 6 delle poche edite10. Con lo scrupolo che, pur nel rapido succedersi delle pubblicazioni, ne caratterizzò l’attività, il filologo tedesco diede comunque conto se non della lettera almeno dell’estensione dei cinque fogli palinsesti di Vα, sempre verificata sul più leggibile V11. tuttavia che il contiguo foglio 354, ultimo del manoscritto, numquam, ut vid., rescriptum (Menae patricii cit., p. XI). 8 Tale è anche la ricostruzione di RABE, Aus Rhetoren-Handschriften cit., p. 518 (sul cui intervento cfr. infra). Secondo Patillon (in GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études cit., p. LX) si tratterebbe di «quatre bifolios, avec […] disparition du troisiéme […] ainsi que de la deuxième page du quatrième». La lacuna non è tuttavia abbastanza ampia da coprire l’intero terzo bifoglio, ma solo il primo foglio di esso. Postulando una struttura a quaternioni (la più comune per i manoscritti greci, cfr. M. L. AGATI, Il libro manoscritto da Oriente a Occidente. Per una codicologia comparata, Roma 2009, p. 155), sarebbe andato perduto il bifoglio più esterno. 9 Rabe sigla il testimone Vγ, ma sarà qui indicato con V, in armonia con la già citata prima edizione critica del testo di Giorgio a cura di M. PATILLON, Paris 2018. 10 RABE, Aus Rhetoren-Handschriften cit., pp. 518-519. 11 Ibid., p. 519: «Ein Citat Λυσίας ἐν τῷ Κατὰ Καλλιφῶντος stellte A, Mai in Vα f. 335v fest (…); bei seinen vergeblichen Versuchen, den Fund zu bergen, ist das Blatt nicht besser geworden, auch ich habe hier vieles nicht entziffert. In Vγ, f. 14v (…) ist trotz der Ueberklebung alles lesbar»; segue l’estratto di cui si è detto, che parrebbe dunque desunto primariamente da

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SUL TESTO DI GIORGIO ‘MONOS’ DI ALESSANDRIA

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Lo studio del commentario di Giorgio si è completato solo in tempi recentissimi con la prima edizione integrale del testo a cura di Michel Patillon12, nell’ambito di una meritoria impresa editoriale che punta a dotare di testi criticamente vagliati una tradizione retorica tanto importante quanto finora trascurata nell’allestimento ecdotico. Patillon dichiara di non aver potuto procedere alla lettura della scriptio inferior di Vα tramite il microfilm di cui disponeva13. Nell’edizione, la collazione di un passo comune ai tre testimoni14, per Vα coincide con il passo edito da Rabe (VII 20-33, dalla metà del f. 332v fino all’ intero f. 348). La conoscenza del testo di Vα può tuttavia essere accresciuta in modo significativo. Anzitutto, la digitalizzazione del Vat. gr. 1298, e in particolare della pt. 2 che contiene il testo di Giorgio15, consente una lettura dei fogli palinsesti che resta difficoltosa e disuguale16 ma è tuttavia possibile, integrando utilmente l’ispezione diretta del testimone17. A documentare il dettato dello scritto di Giorgio, inoltre, esiste un quarto testimone, sicuramente descriptus e recentior, anzi recentissimus, ma non per questo privo di importanza: si tratta della trascrizione di Vα effettuata da Angelo Mai e conservata tra le sue carte presso la Biblioteca Apostolica Vaticana entro il Vat. lat. 9539, ff. 73r-77v, rilegata insieme ad altri materiali eterogenei risalenti ad anni diversi dell’attività dello studioso. Le carte non riportano alcuna data, ma la trascrizione è collocabile con certezza entro i primi nove mesi del 1820. Il Dialogo sulla scienza politica e le pagine retoriche non compaiono fra i primissimi reperimenti di Mai, annunciati al Pontefice il 23 dicembre 1819, anche se potrebbero essere implicati nel cenno ad altri codici volutamente omessi dalla relazione

Vγ. In Lysiae Orationes, recensuit T. THALHEIM, Lipsiae 19132 (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana), fr. 52a, si rinvia sia a Mai che a Rabe, senza menzionare manoscritti; in Lysiae Orationes cum fragmentis, recognovit C. CAREY, Oxonii 2007 (Oxford Classical Texts), fr. 194, si riporta l’excerptum pubblicato da Rabe. 12 GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études cit., con importanti anticipazioni in HERMOGÈNE, Corpus rhetoricum cit. 13 GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études cit., p. LX e nt. 45. 14 HERMOGÈNE, Corpus rhetoricum cit., p. XCIV. 15 La riproduzione è disponibile dal giugno 2018 al permalink https://digi.vatlib.it/view/ MSS_Vat.gr.1298.pt.2. I fogli con lo scritto di Giorgio sono presenti in duplice versione. La prima, in luce naturale, è stata acquisita con scanner ad altissima risoluzione. La seconda, in fluorescenza ultravioletta, è stata effettuata con due lampade di Wood a quadruplo neon con intensità di 365 nm e una macchina fotografica Nikon D800. 16 Di ardua leggibilità già per Mai sono i ff. 332 e 335 (il cui recto risultò unleserlich anche a Rabe); di leggibilità alterna il f. 348. Decisamente più agevoli i ff. 345 e 353. 17 Un vivo ringraziamento al Prefetto mons. Cesare Pasini e ai molti che nella Biblioteca Apostolica Vaticana hanno generosamente facilitato questo studio.

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CARLA CASTELLI

«benché pur siano degni di menzione e di luce»18. Al 28 settembre del 1820 risale invece la prima menzione pubblica del Dialogo entro un articolo sul Giornale arcadico, firmato dallo stesso Mai19, ove si menziona anche la presenza di «qualche squarcio retoricο», con tutta probabilità il testo di Giorgio ‘Monos’: la trascrizione era dunque stata compiuta e il testo era già stato oggetto di una prima valutazione. Il degrado dell’antigrafo conferisce peso testimoniale alla copia ottocentesca: nessun altro studioso ha avuto o avrà mai l’occasione di leggere a occhio nudo la scrittura dei fogli palinsesti con la chiarezza che fu riservata a Mai, subito dopo l’applicazione degli acidi che fecero emergere con vivezza la scriptio inferior prima di condannare il supporto al deterioramento: si tratta di un dato metodologicamente interessante, che la mancata pubblicazione del testo di Giorgio fino ad anni recentissimi fa emergere con particolare chiarezza, ma che potrebbe rivelarsi utile anche in altri casi. Nel valorizzare il descriptus ottocentesco, non si potrà naturalmente ignorare la fisionomia di Mai ‘copista’ e al tempo stesso esegeta nonché, in prospettiva, editore, in molti casi offuscata da accertate debolezze nella conoscenza del greco20. Nel caso del breve testo di Giorgio, tuttavia, sono rari gli errori o le indebite rinunce alla lettura21. La trascrizione procede senza molti pentimenti o correzioni22, riproducendo con scrupolo la mise en page dei fogli palinsesti, su righi numerati, e rispettando attentamente la suddivisione del testo originale tra recto e verso. Numerosi righi non completi comunicano materialmente la rinuncia alla lettura, soprattutto ai ff. 332 e 335. 18

L’originale è conservato nel Vat. lat. 9540, ff. 3r-6v (preceduto da una copia posteriore) ed è pubblicato da G. MERCATI, Prolegomena de fatis Bibliothecae monasterii S. Columbani Bobiensis et de codice ipso Vat. Lat. 5757, [Romae] 1934, pp. 225-228. In forma modificata, la relazione indirizzata a Pio VII fu ripubblicata nel Diario di Roma del 29 dicembre 1819 (nr. 104). 19 A. MAI, Annunzi letterari della biblioteca Vaticana, in Giornale Arcadico di Scienze, Lettere e Arti 7 (1820), pp. 342-343; il 24 settembre Mai aveva anticipato per lettera le notizie al Papa e al cardinal Consalvi, Arch. Bibl. 105, f. 146. Cfr. G. GERVASONI, Le prime scoperte di Angelo Mai nella Biblioteca Vaticana ed i suoi rapporti con G. B. Niebuhr, in Athenaeum 6 (1928), pp. 55-84: pp. 57-58. La scoperta venne richiamata in una lettera al cardinal Consalvi datata 9 marzo 1821, Arch. Bibl. 105, f. 230r in MERCATI, Prolegomena cit., p. 230. 20 Sul tema, mi permetto di rinviare a C. CASTELLI, Angelo Mai scopritore ed editore dei classici. Metodi, scoperte, risultati in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, V: La Biblioteca Vaticana dall’occupazione francese all’ultimo Papa re (1797-1878), a cura di A. RITA, Città del Vaticano 2020, pp. 171-192, con bibliografia precedente. 21 E. g. a 56.2 ἐξ ἀρχῆς ἐπενοήθησαν si legge chiaramente al f. 345r, ma Mai offre […] ἐπεκοήθεσαν. 22 Si segnala un saut du même au même al f. 74v della copia di Mai, che determinò inizialmente l’omissione delle rr. 8-9 del f. 348v del testo di Giorgio, poi rimediata con l’inserimento delle stesse a fondo pagina.

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SUL TESTO DI GIORGIO ‘MONOS’ DI ALESSANDRIA

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Nella trascrizione offerta nel Vat. lat. 9539, Mai segue l’ordine qui indicato: f. 73 = f. 332 (VII 12.3-23.7) f. 74 = f. 348 (VII 23.7-VIII 1.2) f. 75 = f. 345 (VI 54.2-64.2) f. 76 = f. 353 (VII.3 1-12.3) f. 77 = f. 335 (VI 64.2-74.2). In calce ai ff. 73v, 74v, 76v, egli tuttavia indica il numero di foglio da leggere subito dopo per ricostruire l’orginale, chiaro indizio di una revisione successiva alla prima trascrizione. Il titolo Rhetorica compare nel margine superiore dei ff. 73r, 74r, 75r, 76r, 76v. Al f. 76r, accanto al titolo, compare la dizione: cod. 1278 (errato per 1298, ndr). p. 353. saec. XIII. Nel margine inferiore, tuttavia, si legge Scriptum est saec. firme XII23. Sempre nel margine inferiore, si legge un titolo vergato in corpo maggiore e con tratto più spesso, Solitario, forse in riferimento all’unicità del manoscritto dichiarata nel Nota Bene che segue: Hanc decem paginae continent commentarium anonymi ad Hermogenis rhetoricam. Videtur opus ineditum; neque enim mihi occurrit inter editos Hermogenis interpretes, quamquam res diligenter est consideranda. Mai prosegue sottolineando come la menzione dell’orazione di Lisia Contro Callifonte non sia nota altrimenti e come ciò confermi che le pagine retoriche siano inedite24. Una lettura più estesa e migliore, ancorché non integrale, di Vα risulta importante per la costituzione del testo là dove esso è offerto da tutti e tre i testimoni (VII.18-33)25. Nei casi che seguono — degni di menzione, perché documentano rapporti tra i testimoni diversi da quelli segnalati da Patillon26 — i riscontri sul manoscritto, le riproduzioni digitali e la trascrizione di Mai sono concordi: laddove il testo è di difficile lettura oppure ormai degradato, le riproduzioni digitali, in particolare quella in luce ultravioletta, ne permettono la decifrazione, che trova conferma o integrazione nel prezioso lavoro di Mai. Per 23

Sulla datazione della scrittura, cfr. tuttavia supra, p. 75 e nt. 4. Una nota in calce al f. 74r conserva un appunto bibliografico: De interpretibus Hermogenis depertitis atque ineditis lege Fabricium bibl. gr. ed. nov. T.VI p. 75-76. Altre notarelle marginali in latino, per lo più contenenti riferimenti a Ermogene, si leggono ai ff. 73v, 75v, 76r-v, 77v (Oratio incognita, a margine della menzione della Contro Callifonte di Lisia a 335v l. 8). 25 «Lorsq’on a le témoignage de Vα, le texte de l’archétype est donné par l’accord de Vα avec P et/ou V» (GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études cit., p. LXI). Non sempre, tuttavia, il criterio è applicabile meccanicamente. 26 Sono corretti i dati di Vα a 25.2 (in accordo con P); 25.4 (con V); 30.2 (con V); 30.9 (con P); 32.1 (con P); 32.2 (con P); 32.3 (con P). 24

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esempio, P (non V, com’è invece indicato) e Vα condividono un errore: VII 24.3-4 (ἀνάγκη … πάντα σχεδὸν εἰδέναι τὰ … γενόμενα Patillon, V : ἀνάγκη … πάντα σχεδὸν εἰδέναι τῶν … γενομένων P Vα). Quando il testo coincidente è corretto, secondo i criteri adottati dallo stesso Patillon andrebbe scelto, come a VII 31.1 (τὸ ἕτερον ἔγκλημα Patillon, V : τὸ δεύτερον ἔγκλημα P Vα)27. Dai riscontri effettuati, emerge che Vα e V condividono rispetto a P, e non viceversa, una breve lacuna a VII 20.3 (τὴν βούλησίν τε … δύναμιν) e un errore (30.8 Ἠβούλετο); inoltre, in due casi, i due testimoni vaticani presentano un diverso ordine delle parole rispetto al manoscritto parigino: a VII 26.3-4 (εἰκότως προτερεύειν τὴν βούλησιν ἐλέγομεν) e a 33.2 (τελευταίαν αὐτὴν)28. I testimoni vaticani presentano infine nella stessa forma il titolo del cap. VIII: Σὺν θεῷ P Patillon : om. V Vα29. Per quanto riguarda la porzione di testo da VI 54.2 a VII 18, in cui non disponiamo di P, Patillon offre, come è logico, il solo testo di V30. La rilettura di Vα, laddove è possibile procedere con accettabile certezza confortata dalla riproduzione digitale e dalla trascrizione di Mai, fa emergere anzitutto la condivisione di un errore constatabile anche attraverso la tradizione di Demostene: VI 62.4 ἐκ λόγων Dem. XXII 23 Patillon : ἐλέγχων Vα V31.

Vα e V condividono anche altrove errori oppure un testo che Patillon ritiene di non dover scegliere: VI 66.4 ὃ δηλοῖ ὅτι Patillon : ὃ δῆλον ὅτι VαV. 66.5 τῷ … ἀπαγγέλλειν Patillon, Vpc : τὸ … ἀπαγγέλλειν Vα Vac 68.2 ἐλέγχων Patillon cf. 69.7: μαρτύρων Vα V 69.2 δείκνυ ὡς Patillon : δεικνύων Vα V32. 27 Si offre per comodità del lettore la collocazione in Vα dei passi discussi, seguendo l’ordine in cui sono presentati nel testo: VII 24.3-4 = f. 348r ll. 3-4; VII 31.1 = f. 348v l. 14 (nonostante il testo scelto, Patillon traduce ad loc. «La deuxième accusation»). 28 VII 20.3 = Vα, f. 332v l. 11; VII 30.8 = f. 348v l. 12; VII 26.3-4 = f. 348r ll. 14-15; VII 33.2 = f. 348v l. 26. 29 Come risulta in Vα, f. 348v l. 29. La formula in P si deve secondo Patillon a Zenone, lo studente che raccolse le lezioni del maestro (GEORGES ‘MONOS’ D’ALEXANDRIE, Études cit., p. XVII). 30 Per VI 74.2 – VIII 3.1, mancante in Vα, V resta l’unico testimone. Segnalo un errore: a VI 58.7 Patillon pubblica ταῦτα τὰ πράγματα ma sia Vα che V riportano ταῦτα τὰ ἔγγραφα. 31 F. 345v l. 21 Vα; sul passo demostenico cfr. anche infra nel testo e nt. 33. Si segnala che la citazione di Dem. XIX 120 in Vα contiene gli stessi errori di V: 61.5 ὡς ἢ Dem. Patillon : ἢ Vα V 61.6 τοιαῦτα Dem. Patillon : τὰ τοιαῦτα Vα V. 32 VI 66.4 = f. 335r ll. 12-13; VI 66.5 = f. 335r l. 14; VI 68.2 = f. 335r l. 21; VI 69.2 = f. 335r l. 29.

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A 62.7, nello stesso passo della Contro Androzione sopra ricordato, Vα ha il corretto τούτῳ contro l’errato τούτων di V. Vα conferma una proposta di Patillon contro V (VI 69.3 ἰσχυρότερον). Non sempre, tuttavia, è Vα ad essere corretto: è palese dalla sequenza degli argomenti, ad esempio, che a VI 56.1 è giusto τέταρτον di V e non πέμπον che si legge nel palinsesto. Il passo della Contro Androzione di cui sopra s’è già detto compare in Vα con un incongruo ἐπιδεικνύμενον contro l’ἐπιδείκνυμεν demostenico e di V33. Offro di seguito una selezione di passi di lettura certa o altamente probabile, vagliata, oltre che sul testimone, sulla copia digitale e sulla trascrizione di Mai, con lo scopo di documentare alcune caratteristiche del testo di Vα. Talora Vα presenta un testo un poco ampliato con l’esplicitazione di termini funzionali al senso, l’inserimento di particelle o avverbi, un più ampio uso dei preverbi: VI 55.10 Νόμος ἐστι κελεύων καὶ τοῖς τυχοῦσι πιστεύει Patillon : Νόμος ἐστι κελεύων καὶ τοῖς τυχοῦσι πιστεύει μάρτυσιν Vα 57.4 κατὰ τὴν εἰρημένην ἡμῖν ἐκ διαιρέσεως μέθοδον Patillon : κατὰ τὴν εἰρημένην ἡμῖν ἀνωτέρω ἐκ διαρέσεως μέθοδον Vα 63.1 Οὕτω καὶ τὸ πρόσωπον συνίστησιν. Patillon : οὕτως μὲν καὶ τὸ πρόσωπον συνίστησιν. Vα VII 3.7 τῆς βουλήσεως, φημί, καὶ δυνάμεως Patillon : τῆς τε βουλήσεως φημί, καὶ δυνάμεως Vα 4.1 Οἱ μέν φασι ὅτι εἰκότως Patillon : Οἱ μὲν οὖν φασι ὅτι εἰκότως Vα 4.2 ταῦτα γὰρ τὰ δύω κεφάλαια ὥσπερ ἀκολουθεῖν θέλει Patillon ταῦτα γὰρ τὰ δύω κεφάλαια ὥσπερ παρακολουθεῖν θέλει Vα 4.7 δηλῶν τὸ ἀδιάπαστον ἀμφοτέρων Patillon : δηλῶν τὸ ἀδιάπαστον αὐτῶν ἀμφοτέρων Vα 6.5 τὰ κεφάλαια, τὴν βούλησίν φημι καὶ δύναμιν Patillon : τὰ δύο κεφάλαια, τὴν βούλησίν φημι καὶ δύναμιν Vα 10.8 θατέρου λειπoμένου Patillon : θατέρου ἀπολειπoμένου Vα 19.7 Ἐν τούτοις καὶ τὸ δεύτερον ἐστι κεφάλαιον Patillon : ἐν τούτοις τοίνυν καὶ τὸ δεύτερον ἐστι κεφάλαιον Vα34.

Si segnala in Vα la tendenza, sia pure non costante e certo artificiosa, 33

Vα f. 345v l. 22. VI 55.10 = Vα f. 345r l. 13; VI 57.4 = f. 345r ll. 24-25; VI 63.1 = f. 345v l. 25; VII 3.7 = f. 353r l. 6; VII 4.1 = f. 353r l. 7; VII 4.2 = f. 353r ll. 7-8; VII 4.7 = f. 353r l.12; VII 6.5 = f. 353r ll. 22-23; VII 10.8 = f. 353v ll. 21-22; VII 19.7 = f. 332v l. 9. 34

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all’impiego dell’ottativo in luogo dell’indicativo futuro o del congiuntivo aoristo: VII 10.4-7 εἴτε … ἀποδείξει ὅτι ἠδύνατο, μὴ δείξῃ δὲ ὅτι καὶ ἠβούλετο, ἄκυρα αὐτῷ τὰ τῆς δυνάμεως, καὶ ἔμπαλιν εἰ ἀποδείξει μὲν ὅτι ἠβούλετο, μὴ ἀποδείξει δὲ ὅτι ἠδύνετο (sic) Patillon, ἠδύνατο V – : εἴτε … ἀποδείξοι, μὴ δείξοι δὲ ὅτι καὶ ἠβούλετο, ἄκυρα αὐτῷ τὰ τῆς δυνάμεως, καὶ ἔμπαλιν εἰ ἀποδείξει μὲν ὅτι ἠβούλετο, μὴ ἀποδείξοι δὲ ὅτι ἠδύνατο Vα 14.5 οὐκ ἄν ἐπιχειρήσῃ λέγειν Patillon : οὐκ ἄν ἐπιχειρήσοι λέγειν Vα35.

Talora, Vα presenta un testo proprio: VI 57.3 εἰ μὲν … ἐκβάλλει … ὁ φεύγων Patillon : εἰ μὲν … ἐκβαλεῖ … ὁ φεύ-

γων Vα Poche righe sotto (58.1) si trova un futuro: εἰ δὲ … ἀγωνίσεται ὁ φεύγων. 59.4 ἐρωτᾷ πρὸς αὐτὸν ὁ Αἰσχίνη Patillon : ἔφη πρὸς αὐτὸν ὁ Αἰσχίνη Vα 63.3 πρὸς μαρτυρίαν Patillon : εἰς μαρτυρίαν Vα VII 4.3 ὁ ἕτερος Patillon : τὸ ἕτερον Vα Il riferimento è a τὰ … κεφάλαια (4.1-2) 8.3 ἐναργέστερον Patillon : ἐντελέστερον Vα Il retore rimanda alla maggiore chiarezza oppure alla maggiore compiutezza di una parte successiva della trattazione. Scegliendo uno dei due termini, non si modifica il senso complessivo36. 8.6 Καὶ αὕτη ἂν εἴη ἡ αἰτία τοῦ κοινὴν τῷ τεχνικῷ ποιήσασθαι διδασκαλίαν τῶν κεφαλαίων Patillon : Καὶ αὕτη ἂν εἴη ἡ αἰτία τοῦ κοινὴν τὸν τεχνικὸν ποιήσασθαι τῶν κεφαλαίων τὴν διδασκαλίαν Vα 9.2 μέντοι Patillon : μὲν οὖν Vα 9.3 οὐκ ἐμπίπτει βούλησις ἢ δύναμις Patillon : οὐκ ἐμπίπτει βούλησις οὔτε δύναμις Vα 9.5 ἐκλείποντος γὰρ τοῦ προσώπου συνεκλείπουσι καὶ τὰ ἑξῆς. Κεφάλαιον τοῦτο οὖν οὐ ζητοῦμεν Patillon : ἐκλείποντος γὰρ τοῦ προσώπου, συνεκλείπουσι καὶ τὰ ἐξ αὐτοῦ κεφάλαια. Τοῦτο οὖν οὐ ζητοῦμεν Vα In apparato, Patillon segnala difficoltà di lettura da ἐκλείποντος a Κεφάλαιον, confermate dall’ispezione diretta di V. 9.7 ἐμπίπτει … πάντως ἐν τοἰς λόγοις βούλησις ἀεὶ καὶ δύναμις Patillon : ἐμπίπτει … πάντως ἐν τοῖς λόγοις βούλησις ἅμα καὶ δύναμις Vα 35

VII 10.4-7 = Vα f. 353v ll. 17-20; VII 14.5 = f. 332r l. 13. Si rileva che ἐντελέστερον ricorre di frequente in analoghi rimandi nella trattatistica tecnico-linguistica, a partire da APOLL. DYSC. De pronom. (ad es. 2.1.37.3; 121.4; 141.19; 1441.10 SCHNEIDER et al.). 36

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11.2 τὰ ἀμφότερα Patillon : ἀμφότερα Vα 11.6 μὲν, μὴ Patillon : μὴ Vα 15.6 σκηπτοῦ κατενεχθέντος εἰς τὴν Περικλέους οἰκίαν, εὕρονται … πανοπλίαι καὶ κρίνεται Περικλῆς Patillon : ]τοῦ κατενεχθέντος εἰς τὸν Περικλέους οἶκον, εὕρηνται … [ ] καὶ κρίνεται Περικλῆς Vα 18.3 ὅσα Patillon : ὅσον Vα 25.3 γὰρ Patillon : δὲ Vα37.

Il testo di Vα appare talvolta meno pregevole oppure errato rispetto a quello che Patillon desume da V: oltre ad alcuni dei casi sopra citati, si vedano ad esempio: VI 60.2 Δεῖ δὲ καὶ τοῦτο γινώσκειν ὅτι, ὅπερ τις εὐπορεῖ πρὸς ἔλεγχον, τοῦτο καί συνιστέον Patillon: Δεῖ δὲ καὶ τοῦτο γινώσκειν ὅτι, ὅπερ τις εὐπορεῖ πρὸς ἔλεγχον, τοῦτο καί συνίστησιν Vα. 60.4 e 5 ἐυπορεῖ Patillon : ἠυπόρει Vα. 63.4-5 εὐποροῦμεν Patillon : ἀποροῦμεν Vα. Il verbo utilizzato da Giorgio è sempre εὐπορέω, nel senso tecnico di «disporre (in abbondanza) di prove». VII 4.4 θἀτέρου δὲ ἐκλείποντος, ἀνάγκη καὶ τὸ ἕτερον ἐκλείπειν Patillon : θἀτέρου δὲ ἐκλείποντος, ἀνάγκη καὶ τὸ ἕτερον ἐμπίπτειν Vα 7.2 εὐλόγως καὶ κοινὴν… ποιεῖται τὴν διδασκαλίαν Patillon : εὐλόγως καὶ κοινῇ ποιεῖται τὴν διδασκαλίαν Vα 7.3 ἵνα μὴ φαινῇ (sic) Patillon,V paene legitur : ἵνα μὴ φανῇ Vα V 8.1 εὑρίσκετο ⟨ἄν⟩ ὥσπερ ταυτολόγων καὶ οὕτως τὸ περιττόν λέγων Patillon : εὑρίσκετο ὥσπερ ταυτολόγων καὶ οὐδὲν περιττὸν λέγων Vα 8.2-3 κοινὰς ἔχουσι τὰς μεθόδους ἐν ἐνίοις, διαφέρουσι δὲ καὶ ἐν ἐνίοις Patillon : κοινὰς ἔχουσι τὰς μεθόδους ἐνίους διαφέρουσι δὲ καὶ ἐν ἐνίοις Vα 27.7 ἰσχυρὰς Patillon : ἰσχυροτέρας Vα38. Il termine usato da Vα reitera τῶν ἰσχυροτέρων di 27.5, accentuando la tautologia dell’espressione. 37 VI 57.3 = Vα f. 345r ll. 23-24; VI 59.4 = f. 345v ll. 4-5; VI 63.3 = f. 345v l. 27; VII 4.3 = f. 353r l. 9; VII 8.3 = f. 353v l. 3; VII 8.6 = f. 353v ll. 5-7; VII 9.2 = f. 353v l. 9; VII 9.3 = f. 353v l. 10; VII 9.5 = f. 353v ll. 11-13; VII 9.7 = f. 353v ll. 13-14; VII 11.2 = f. 353v l. 23; VII 11.6 = f. 353v l. 27; VII 15.6 = f. 332r ll.17-19; VII 18.3 = f. 332r l. 29; VII 25.3 = f. 348r l. 8. 38 VI 60.2 = Vα f. 345v l. 7; VI 60.4 e 5 = f. 345v ll.9 e 9-10; VI 63.4-5 = f. 345v l. 28; VII 4.4 = f. 353r ll. 9-10; VII 7.2 = f. 353r ll. 26-27; VII 7.3 = f. 353r l. 27; VII 8.1 = f. 353r l. 30 – 353v l. 1; VII 8.2-3 = f. 353v ll. 2-3; VII 27.7 = f. 348r l. 21.

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CARLA CASTELLI

Nel complesso, dunque, per quanto la breve porzione testuale contenuta in Vα consente di valutare, il testo dei due Vaticani ha un’origine comune, come si evince dagli errori condivisi che sopra ho segnalato. Quello di V, più recente, non solo è utile per supplire una porzione del testo che non sarebbe altrimenti documentata ma talora è migliore di Vα, il quale tuttavia, a sua volta, ha differenti pregi. Non si può dunque inverare completamente l’annotazione di Rabe secondo cui V è una «Verschlechterung von Vα»39: entrambi i testimoni vanno tenuti in conto nella constitutio textus. L’auspicio è che più evolute tecnologie digitali permettano una lettura completa e sicura del testimone, per giungere a una scelta meditata del testo da costituire, integrando i dati dell’edizione Patillon che ha il grande merito di aver strappato all’oblio le parole pronunciate da Giorgio nelle sue remote lezioni, devotamente trascritte da un allievo.

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RABE, Aus Rhetoren-Handschriften cit., p. 518.

ABSTRACT Il Vat. gr. 1298, pt. 2 conserva cinque fogli palinsesti che nella scriptio inferior tramandano parte di un commento alle staseis di Ermogene, opera di Giorgio ‘Monos’ di Alessandria (sec. V d. C?). Angelo Mai, scopritore del testo nel 1820, trascrisse il contenuto dei fogli nel Vat. lat. 9539, dopo aver fatto emergere la scrittura inferiore con l’applicazione di acidi. L’ispezione diretta del Vat. gr. 1298, integrata da quella delle riproduzioni digitali (https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.gr.1298.pt.2), permette di rivedere e integrare in modo sostanziale l’apparato della prima edizione critica dello scritto retorico (Parigi 2019), che non si è potuta avvalere di questi strumenti. Le collazioni di Mai confermano i dati della duplice lettura del testimone, analogica e digitale. Esse si rivelano preziose, poiché il manoscritto risulta degradato dallo stesso processo chimico che ne permise a Mai, con chiarezza transitoria, la lettura. The manuscript Vat. gr. 1298, pt. 2 contains five palimpsest folios the scriptio inferior of which preserves a part of a commentary on the staseis of Hermogenes, a work by George of Alexandria, also known as George “Monos” (ca. 5th century AD?). Angelo Mai discovered this text in 1820 and transcribed the contents of these folios in Vat. lat. 9539, after he had applied acids to expose the scriptio inferior. The direct examination of Vat. gr. 1298, combined with its digital reproductions (https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.gr.1298. pt.2), permits a revision and amplification of the apparatus to this rhetorical work’s first critical edition (Paris 2019), which did not have access to these tools. When the manuscript is read from both an analogical and digital perspective, the resulting data confirms Mai’s initial examinations. His work proves all the more precious because the manuscript has since deteriorated on account of the very same chemical procedure that allowed Mai to read it with transitory clarity.

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Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1298, pt. 2, f. 332r, in luce naturale.

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CARLA CASTELLI

Tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1298, pt. 2, f. 332r, in fluorescenza ultravioletta.

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GIANMARIO CATTANEO

ADVERSARIA SIRLETIANA NEL VAT. GR. 1890: APPUNTI SULLA BIOGRAFIA, LE OPERE E LE LETTURE DEL CARDINAL GUGLIELMO SIRLETO* ABSTRACT a p. 114.

Il codice Vat. gr. 1890 è un manoscritto composito oggi diviso in due tomi (Vat. gr. 1890, pt. 1 e pt. 2)1 che contiene una serie di carte appartenute al cardinale Guglielmo Sirleto (Guardavalle, 1514 – Roma, 1585), cardinale di San Lorenzo in Panisperna dal 1565 e cardinale Bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana dal 1572 alla sua morte. Esso consta di 617 fogli in parte copiati da Sirleto stesso2, in parte da suoi collaboratori come Demetrio Damilas (ff. 254-293)3, Emanuele * Ho svolto questa ricerca su Sirleto e il Vat. gr. 1890 durante un periodo di studio presso la Katholieke Universiteit di Leuven, con un progetto finanziato dall’“Ufficio Pio – Compagnia di San Paolo”, e l’ho ultimata grazie ad una Frances Yates short-term fellowhship presso il Warburg Institute di Londra. Ho visionato il manoscritto Vat. gr. 1890 sia presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, sia in riproduzione digitale, conservata presso l’Instituut voor Vroegchristelijke en Byzantijnse Studies dell’Università di Lovanio. Ringrazio Shari Boodts e Reinhart Ceulemans per aver messo a mia disposizione la riproduzione, la prof.ssa Concetta Bianca per aver letto in anteprima l’elaborato, d. Giacomo Cardinali e i due anonimi referee per i loro preziosi suggerimenti. Sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni: ACO: E. SCHWARTZ – J. STRAUB, Acta conciliorum oecumenicorum, I-IV, Berolini 1914-1984; BHG: F. HALKIN, Bibliotheca Hagiographica Graeca, I-III, Bruxelles 19573 (Subsidia hagiographica, 8a); CPG: Clavis Patrum Graecorum, I-V, cura et studio M. GEERARD – F. GLORIE, Turnhout 1974-1987; Supplementum, cura et studio M. GEERARD – J. NORET, adiuvantibus F. GLORIE – J. DESMIT, Turnhout 1998; Addenda volumini III, a J. NORET parata, Turnhout 2003; Clavis Patrum Graecorum IV, deuxième édition, revue et mise à jour par J. NORET, Turnhout 2018; Edit16: Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo (http://edit16.iccu.sbn.it/ web_iccu/ihome.htm); PG: Patrologiae cursus completus. Series Graeca, I-CLXI, accurante J.-P. MIGNE, Lutetiae Parisiorum 1857-1866; PL: Patrologiae cursus completus. Series Latina, I-CCXXI, accurante J.-P. MIGNE, Lutetiae Parisiorum 1844-1864. Le traduzioni dal greco sono mie, eccetto dove altrimenti specificato. 1 Il manoscritto è magistralmente catalogato in P. CANART, Codices Vaticani Graeci: Codices 1745-1962, I-II, Città del Vaticano 1970 (Cataloghi ed inventari di manoscritti, 39): I, pp. 499-520; II, pp. liii-liv. I due tomi di cui è oggi costituito contengono rispettivamente i ff. 1-303 (Vat. gr. 1890, pt. 1) e i ff. 304-617 (Vat. gr. 1890, pt. 2). 2 Cfr. CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, pp. 500-512. 3 Ibid., pp. 516-517. Su questo copista si rimanda a P. CANART, Demetrius Damilas, alias le «librarius Florentinus», in Studi Bizantini, n.s., 24-26 (1977-1979), pp. 281-347 (rist. in ID., Études de paléographie et de codicologie, I, reproduites avec la collaboration de M. L. AGATI – M. D’AGOSTINO, Città del Vaticano 2008 [Studi e testi, 450]). Si veda anche C. CASETTI BRACH, Demetrio da Creta, in Dizionario biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI), 38, Roma 1990, pp. 634-636.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 89-114.

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Provataris (ff. 10, 38-40, 373-374, 436-440)4 e Giovanni Santamaura (ff. 358-366)5. Alla morte di Sirleto la sua biblioteca fu acquistata dal cardinale Ascanio Colonna6 e, il 16 agosto 1611, la biblioteca di Colonna passò al duca Giovanni Angelo Altemps. Nel 1690 i libri della famiglia Altemps confluirono nella biblioteca di papa Alessandro VIII Ottoboni, e nel 1748 Benedetto XIV Lambertini acquistò l’intera collezione ottoboniana, che andò a formare il fondo omonimo della Biblioteca Vaticana7. Nel 1612, dalla raccolta di Sirleto appena acquistata da Altemps, la Biblioteca Vaticana acquisì 36 manoscritti greci e 48 latini, che per questo motivo non sono inclusi nel fondo ottoboniano8. 4 Cfr. CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, pp. 512-513. Su Provataris si veda ID., Les manuscrits copies par Emmanuel Provataris (1546-1570 environ). Essai d’étude codicologique, in Mélanges Eugène Tisserant, VI, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 236), pp. 183-287 (rist. in ID., Études de paléographie et de codicologie cit.). 5 Cfr. CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, pp. 512-513, p. 518. Su Santamaura si vedano M. D’AGOSTINO, La scrittura di Giovanni Santamaura, in Segno e Testo 7 (2009), pp. 301-340; ID., Manoscritti datati e manoscritti non datati di Giovanni Santamaura: confronto paleografico e proposte di ordine cronologico, in In uno volumine. Studi in onore di Cesare Scalon, a cura di L. PANI, Udine 2009, pp. 193-206; ID., Giovanni Santamaura. Gli ultimi bagliori dell’attività scrittoria dei Greci in Occidente, Cremona 2013 (Fonti e sussidi. Biblioteca Statale di Cremona); D. SURACE, Giovanni Santamaura e l’ortodossia liturgica: documenti dal codice Vallic. K 17. Con nuove identificazioni della sua mano in appendice, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici, n.s., 50 (2013), pp. 327-366; G. DE GREGORIO – D. SURACE, Giovanni Santamaura, copista al servizio del cardinale Guglielmo Sirleto, in Il “Sapientissimo Calabro”: Guglielmo Sirleto nel V centenario della nascita (1514-2014). Problemi, ricerche, prospettive, a cura di B. CLAUSI – S. LUCÀ, Roma 2018 (Quaderni di Nea Rhome, 5), pp. 495-532. 6 Su Sirleto, la sua biblioteca e la sua attività di cardinale bibliotecario della Vaticana si vedano J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 51-55, 64-69; F. RUSSO, La biblioteca del Card. Sirleto, in Il Card. Guglielmo Sirleto, 1514-1585. Atti del convegno di studio nel IV centenario della morte. Guardavalle, S. Marco Argentano, Catanzaro, Squillace, 5-6-7 ottobre 1986, a cura di L. CALABRETTA – G. SINATORA, Catanzaro – Squillace 1989, pp. 219-299; I. BACKUS – B. GAIN, Le cardinal Guglielmo Sirleto (1514-1585), sa bibliothèque et ses traductions de saint Basile, in Mélanges de l’École française de Rome 98,2 (1989), pp. 889-955; S. LUCÀ, La silloge manoscritta greca di Guglielmo Sirleto. Un primo saggio di ricostruzione, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIX, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 474), pp. 317-355; S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, in Storia della Biblioteca Vaticana, II: La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle nuove collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012, pp. 145-188. 7 Sulla storia di questo fondo basti il rimando a F. D’AIUTO, Ottoboniani, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento Manoscritti, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 446-450; F. D’AIUTO, Ottoboniani greci, in Guida ai fondi manoscritti cit., pp. 450-453; F. D’AIUTO – M. BUONOCORE, Ottoboniani latini, in Guida ai fondi manoscritti cit., pp. 453-455. 8 Cfr. G. MERCATI, Codici latini Pico Grimani e di altra biblioteca ignota del secolo XVI esi-

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Oltre ai codici, per disposizione testamentaria9 Guglielmo Sirleto lasciò alla Biblioteca Apostolica Vaticana un cospicuo numero di carte, tra cui parte del suo carteggio10, le sue Adnotationes al Nuovo Testamento11 e altri documenti, che furono in seguito rilegati a formare numerosi codici oggi conservati nel fondo dei Vaticani latini12. Le carte greche lasciate in eredità alla Biblioteca Apostolica furono anch’esse successivamente rilegate, e si possono trovare negli attuali manoscritti Vat. gr. 1862, 1890, 1898, 190213 e 194914. All’interno di questo insieme di codici spicca in particolare il Vat. gr. 1890, giacché è l’unico manoscritto di questo gruppo a contenere un nucleo consistente di carte copiate dal cardinale stesso. In questo contributo stenti nell’Ottoboniana e i codici greci di Pio di Modena, Città del Vaticano 1938 (Studi e testi, 75), pp. 106-107, 113-114; LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana cit., p. 166. 9 Sul testamento di Sirleto, conservato nel codice Barb. lat. 4760, ff. 43r-46v, si rimanda a L. DOREZ, Recherches et documents sur la bibliothèque du cardinal Sirleto, in Mélanges d’archéologie et d’histoire 11 (1891), pp. 457-460; F. LO PARCO, Il cardinale Guglielmo Sirleto. Notizie bio-bibliografiche con la pubblicazione del suo testamento inedito dal Cod. Vat. Barb. lat. 4760 (già LII, 36, ff. 43-46), in Bollettino del bibliofilo 1 (1919), pp. 261-276 (la cui trascrizione del testamento è però piuttosto mendosa); G. DENZLER, Kardinal Guglielmo Sirleto (1514-1585): Leben und Werk: Ein Beitrag zur nachtridentinischen Reform, München 1964 (Münchener theologische Studien: Historische Abteilung, 17), pp. 67-69. 10 Nel suo testamento Sirleto fa esplicito riferimento alle lettere da lui inviate a Marcello Cervini (oggi conservate nel Vat. lat. 6177) e a Girolamo Seripando (Vat. lat. 6179), e alle loro risposte (Vat. lat. 6178 e 6189, pt. 1); si veda DOREZ, Recherches et documents cit., p. 259: «Excipiendo tamen […] libellum litterarum que scriptae sunt tempore celebrationis Concilii Tridentini ad Ill.mum Card. S. Crucis, postea Marcellum Secundum Pont. Max. fel. rec., et Ill.mum D. Card. Seripandum bo. mem., et illorum responsa». Sull’epistolario sirletiano si veda il recente catalogo online (sebbene parziale) http://emlo-portal.bodleian.ox.ac. uk/collections/?catalogue=guglielmo-sirleto. 11 Ibid.: «Excipiendo tamen manu scripta annotationum super Novo Testamento una cum Biblia Lovanii impressa et emendata». Si tratta dei manoscritti Vat. lat. 6132-6143 e 6151, su cui si veda C. ASSO, Lampas clarissima. Appunti su Sirleto e la Sacra Scrittura, in Il “Sapientissimo Calabro” cit., pp. 249-251. 12 Ad esempio, contengono carte riconducibili a Sirleto i Vat. lat. 6181, 6198, 6207, 6236, 6792, pt. 1 e pt. 2. 13 A proposito del Vat. gr. 1902, al f. 78r ho individuato una nuova versione del cosiddetto “Esorcismo di Gello”, testo magico paracristiano, non ancora registrata nei repertori. Questa scoperta mi è stata confermata da Tommaso Braccini (che qui ringrazio), il quale ha tracciato una panoramica sulla questione, con numerosi aggiornamenti e novità, in Nuove attestazioni dell’“Esorcismo di Gello” da manoscritti vaticani, in Medioevo Greco 18 (2018), pp. 19-44 (i manoscritti dell’“Esorcismo di Gello” finora noti si leggono alle pp. 20-21). Questa è un’ulteriore testimonianza dei vastissimi interessi culturali di Guglielmo Sirleto. 14 A proposito di questi codici greci miscellanei di carte sirletiane si vedano P. CANART, Les Vaticani Graeci 1487-1962. Notes et documents pour l’histoire d’un fonds de manuscrits de la Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano 1979 (Studi e testi, 284), p. 89; LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana cit., p. 166.

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ci occuperemo proprio di questa sezione, che Paul Canart ha definito Adversaria Sirletiana (ff. 1-9, 12-15, 18-36, 44-118, 123-128, 367-372, 385-434, 447-448, 451-458, 487-502, 530-617). 1. Documenti per la biografia di Guglielmo Sirleto All’interno del Vat. gr. 1890 si può individuare innanzitutto un piccolo nucleo di lettere di cui Guglielmo Sirleto fu o il mittente o il destinatario. Ad esempio, al f. 49r-v si legge una lettera di un non altrimenti conosciuto Pietro Gallerano a Sirleto, che inizia in questo modo: «Dico a Vostra Signoria che Monsignore non andarà altrimenti»15. O ancora, al f. 30r-v si legge di una lettera in greco inviata da Βικτώριος Ταραντίνος a Guglielmo Sirleto16. La grafia non è di Sirleto, ma, come già notava Canart, dovrebbe essere dello stesso Vittorio Tarantino, il quale fu maestro di greco di Sirleto mentre quest’ultimo si trovava a Napoli. Su questo personaggio, Santo Lucà ha recentemente fornito un’importante e ricchissima messa a punto, con l’edizione di tutti i documenti che lo riguardano17. La lettera18 non contiene data ma, siccome Sirleto è chiamato cardina19 le , deve essere stata scritta dopo il 12 marzo 1565, anno in cui questi fu 15

Cfr. CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, p. 502. Ibid., p. 501: «(ff. 30+37) (f. 30r) Victoris Taranteni epistula ad cardin. Sirletum, Καρδ: Συρλαίτῳ Βικτώριος Ταραντένος εὖ πράττειν. οὐχ ἅπαξ μόνον, ἀλλὰ καὶ δὶς καὶ τρὶς, des. καὶ Βικτωρίου μέμνησο νῦν, εἴπερ οὐ προτοῦ, καὶ φίλησον. ἔρρωσο etc.; eadem manu additum est (f. 30v) post-scriptum, inc. ἁπάσας τὰς τοῦ Γρηγορίου τοῦ μεγάλου γνώμας; des. ἔρρω [sic] σὺν πάσῃ ἐν θεῷ εὐτυχίᾳ – F. 37r-v vacuum. Fasc. bifolium. Script. manu ipsius Victoris exaratum, ut puto». 17 S. LUCÀ, Vittorio Tarantino, maestro di lingua greca di Guglielmo Sirleto a Napoli, in Ambrosiana, Hagiographica, Vaticana. Studi in onore di Mons. Cesare Pasini in occasione del suo settantesimo compleanno, a cura di A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2020 (Studi e testi, 535), pp. 311-366. 18 Rispetto all’edizione di Lucà della lettera, che si legge ibid., p. 344, credo che nell’inscriptio si debba leggere non Βικτώριος Ταραντένος, ma Βικτώριος Ταραντίνος. La lettera letta dall’editore come ε mi pare sia invece uno ι legato con il tratto orizzontale del τ, che sporge leggermente dal corpo di ι. Infatti, l’ε non è mai realizzata da Vittorio in questo modo, come si può notare dalla riproduzione del f. 30r ibid., p. 362. Inoltre, al f. 30v, τι di τινι («γράψαι μοι εἴ τινι τρόπῳ ἐν Ῥώμῃ παρὰ σοὶ καλῶς δυναίμην βιοῦν») è realizzato nello stesso modo, con il tratto orizzontale di τ che sporge dal tratto verticale di ι (o si veda anche πι di ἐπιδώσει al f. 30r). Ho aggiunto questa precisazione solamente a completamento di quanto detto ibid., pp. 319-320, a proposito del cognome di Vittorio. 19 Fornisco qui una traduzione della lettera, sulla base di ibid., p. 344, con alcune minime modifiche nella punteggiatura: «Vittorio Tarantino al cardinal Sirleto. Non una, ma due, tre e con questa quattro volte ti ho mandato lettere, Sirleto, il più caro tra i tutti i miei allievi sia per costumi sia per educazione, ma credo di essere privo di portalettere affidabili; infatti, non mi hanno risposto né coloro cui avevo mandato le lettere per te, né tu. Di tutte questo è 16

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creato cardinale diacono di San Lorenzo in Panisperna. Vittorio dice di voler andare a Roma per congratularsi con Sirleto20 e si potrebbe pensare che egli abbia voluto raggiungerlo proprio in occasione della sua creazione a cardinale per felicitarsi e, soprattutto, ottenere favori da lui: infatti, questa nomina potrebbe aver spinto Vittorio a chiedergli un posto sicuro per sé a Roma. Oltre a questa, un’altra lettera conservata in questo manoscritto è di particolare interesse poiché ci permette di acquisire nuovi dati sulla biografia di Sirleto. 1.1. Prima dell’arrivo a Roma: una lettera a Giovanni Onorio da Maglie? Al f. 448r Sirleto ha vergato la minuta di una lettera in volgare, datata 12 aprile 1540 e indirizzata ad un tale Giovanni21. Il futuro cardinale, il quale in quel momento si trovava poco distante da Roma, precisamente nel paese di Vicovaro22, chiede a Giovanni un aiuto per trovare un impiego a Roma: Magnifico ms. Gioanne mio, è grande il dispiacere de non esser in Roma, ma multo pìo è de stare alienato da la conversacione de Vostra Signoria, siché desidero possere ritrovare alcuno modo de ritornare in Roma e, bisognoso, recurrere all’amici, nello numero de li quali tengo la Signoria Vostra. E La prego che per amor mio se ingegni de videre se qualche partito Le accascasse per le mani, perché non me cureria stare in Roma con uno scuto il mese, piò presto che nell’altre parte per quattro. Me farete gracia se possete far qualche accordi con quello ms. Damiano medico, e promettetele securamente che io spero sail sunto: io mi rallegro con te, e voglio venire a Roma per vederti e congratularmi con te, ma la povertà, non la vecchiaia, mi blocca. Sono infatti vecchio per canizie e anni, non per forza. Ora forse colui al quale ho dato la lettera te la consegnerà. Ora possa tu, o favorito da Dio, vivere in salute e felicità, e ricordati e ama Vittorio ora, se non prima. Stammi bene: ti possa essere consegnata questa lettera. Ho tradotto in endecasillabi italiani tutte le sentenze in monostici, distici e tetrastici del grande Gregorio, così come gli epitaffi per il grande Basilio, che ti chiedo di leggere e vedere se per caso ti sembrano degni di poter essere pubblicati e dati al pubblico così tradotti insieme con gli altri. Scrivimi se in qualche modo io possa vivere confortevolmente da te a Roma. Stammi bene con tutta la buona sorte che Dio può darti». 20 Vat. gr. 1890, pt. 1, f. 30r: «Ἐν οἷς ἅπασι τόδε ἦν τὸ κεφάλαιον, ἐμὲ συνησθῆναί σοι, καὶ βούλεσθαι ἐς Ῥώμην ἐλθεῖν τοῦ ἰδεῖν σε καὶ συγχαίρειν σοι»; f. 30v: «Καὶ γράψαι μοι εἴ τινι τρόπῳ ἐν Ῥώμῃ παρὰ σοὶ καλῶς δυναίμην βιοῦν». 21 CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, p. 568: «Directe scripserat G. Sirletus temptamen epistulae ad Iohannem quendam: inc. Magnifico m/ Gioanne mio […]». 22 Oggi comune della città metropolitana di Roma, a circa 45 km dalla capitale. Dal XII secolo Vicovaro era sotto il controllo della potente famiglia romana degli Orsini (cfr. G. CURZI, Conti di Tagliacozzo, signori di Vicovaro: gli Orsini tra Stato della Chiesa e Regno di Napoli, in Gli Orsini e i Savelli nella Roma dei papi. Arte e mecenatismo di antichi casati dal feudo alle corti barocche europee, a cura di A. AMENDOLA – C. MAZZETTI DI PIETRALATA, Cinisello Balsamo 2017, pp. 179-191).

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tisfarlo nello leger tanto graeco quanto latino, e di tutto me avisarete. Et habia pacientia Vostra Signoria se Le do fastidio, perché la fede et amore Le porto me dà animo servirme da Lei in questa et in magior cosa. Ms. Matteo insieme con me ne ricomandamo a Vostra Signoria et a ms. Raugio, e state sani. Da Vicovaro, allj 12 de aprili del 1540.

Sebbene la lettera non riporti il nome del mittente, il fatto che sia un autografo sirletiano ne dirime l’identità. Il contenuto di questa lettera, inoltre, trova conferma con la situazione in cui Sirleto si trovò al suo arrivo a Roma: egli giunse nella città con pochi oggetti e libri e inizialmente si trovò costretto a vendere un volume per sfamarsi23. Solo in seguito egli divenne membro della familia di Marcello Cervini (1501-1555)24, il quale aveva ammirato in Vaticana l’abilità di Sirleto nel tradurre il greco e perciò lo aveva assunto come precettore dei figli del fratello Alessandro25. Per quanto riguarda i nuovi dati sulla vita di Sirleto ricavabili dall’epistola, egli dice di aver già trascorso un periodo a Roma, e desidera tornarci anche a costo di ricevere uno stipendio minore che altrove («desidero possere ritrovare alcuno modo de ritornare in Roma», «perché non me cureria stare in Roma con uno scuto il mese, piò presto che nell’altre parte per quattro»). Quindi, l’informazione che si trova solitamente nelle biografie di Sirleto secondo cui egli sarebbe giunto a Roma tra gli anni 1539 e 1540 deve essere precisata in questo senso: Sirleto arrivò sì per la prima volta a Roma tra la fine del 1539 e il 1540, ma si spostò in seguito a Vicovaro e si stabilì nella città solo dopo il 12 aprile 1540. 23 Si veda, su questo episodio, P. PASCHINI, Guglielmo Sirleto prima del cardinalato, in Tre ricerche sulla storia della Chiesa nel Cinquecento, Roma 1945, p. 159. 24 Su Marcello Cervini si rimanda a A. M. PIAZZONI, Marcello Cervini, in I cardinali bibliotecari di Santa Romana Chiesa: la quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di J. M. MEJÍA – CH. M. GRAFINGER – B. JATTA, Città del Vaticano 2006 (Documenti e riproduzioni, 7), pp. 99-102; G. BRUNELLI, Marcello II, papa, in DBI, 69, Roma, 2007, pp. 502-510; C. QUARANTA, Marcello II Cervini (1501-1555). Riforma della Chiesa, concilio, Inquisizione, Bologna 2010 (Collana di studi della Fondazione Michele Pellegrino). Sulla sua biblioteca si vedano in particolare G. MERCATI, Sulla venuta dei codici del Cervini nella Vaticana e la numerazione loro, in ID., Per la storia dei manoscritti greci di Genova, di varie badie basiliane d’Italia e di Patmo, Città del Vaticano 1935 (Studi e testi, 68), pp. 181-202; R. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de Marcello Cervini, in Scriptorium 22 (1968), pp. 250-270; P. PIACENTINI, La Biblioteca di Marcello II Cervini. Una ricostruzione delle carte di Jeanne Bignami Odier: i libri a stampa, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 404); P. PIACENTINI, Marcello Cervini (Marcello II). La Biblioteca Vaticana e la Biblioteca personale, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica cit., pp. 105-143; G. CARDINALI, Autoritratto di cardinale bibliofilo: undici nuovi codici greci di Marcello Cervini (e uno di Angelo Colocci), in Archivum mentis 8 (2018), pp. 185-226. 25 Sull’arrivo di Sirleto a Roma e l’ingresso nella familia di Cervini si vedano PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., pp. 158-159; DENZLER, Kardinal Guglielmo Sirleto cit., pp. 5-7.

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Nella lettera Sirleto chiede al suo corrispondente di tenerlo aggiornato sulla possibilità di trovare un’occupazione a Roma («La prego che per amor mio se ingegni de videre se qualche partito Le accascasse per le mani») e, in particolare, di prendere accordi per lui con un tale medico Damiano così da ottenere un lavoro come maestro di greco e di latino («Me farete gracia se possete far qualche accordi con quello ms. Damiano medico, e promettetele securamente che io spero satisfarlo nello leger tanto graeco quanto latino»). Non sono riuscito però a ricostruire l’identità di questo medico con cui Giovanni avrebbe dovuto accordarsi per conto di Sirleto. Si può invece riflettere sull’identità del destinatario della lettera. In una lettera di Sirleto a Marcello Cervini datata 28 settembre 1549 e conservata nel manoscritto Vat. lat. 6177, pt. 226, troviamo citato un «Ms. Gioanne» che accompagna Guglielmo a vedere una bibbia «qual che dice che sia stata scritta nel tempo di Carlo Magno»27. Maria Luisa Agati suggerisce di identificare questo Giovanni con lo scriptor Giovanni Onorio da Maglie (†1563), dicendo: «Proponiamo l’identificazione di messer Giovanni — come d’altra parte è menzionato di consueto — col Nostro»28. Giovanni Onorio da Maglie era stato nominato nel 1535 scriptor della Biblioteca Vaticana da papa Paolo III Farnese29, e, tramite l’analisi dei riferimenti a Giovanni contenuti nel carteggio tra Cervini e Sirleto, la Agati ha messo in evidenza la stretta collaborazione che si instaurò tra Cervini, Sirleto e Giovanni Onorio a partire dagli anni Quaranta del Cinquecento30. Ad esempio, a dimostrazione della familiarità che intercorreva tra questi tre personaggi, il 3 luglio 1546 Sirleto scriveva a Cervini: «saria bene stampare quella synodo ephesina che scrive ms. Gioanne Honorio al reverendissimo et illustrissimo Farnesi [il cardinal Alessandro Farnese]31, perché è bellissima»32. 26

Come anticipato nell’introduzione, le lettere di Sirleto a Cervini sono conservate nel Vat. lat. 6177, pt. 1 e pt. 2, quelle di Cervini a Sirleto nel Vat. lat. 6178. Su questo carteggio si veda S. EHSES, Korrespondenz des Kardinals Cervini mit Wilhelm Sirlet (1546), in Römische Quartalschrift 11 (1897), pp. 595-602; BACKUS – GAIN, Le cardinal Guglielmo Sirleto (15141585) cit., pp. 917, 930-931; LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana cit., p. 143. 27 Vat. lat. 6177, pt. 2, f. 178r. 28 M. L. AGATI, Giovanni Onorio da Maglie (1535-1563). Copista greco, Roma 2001 (Supplemento al Bollettino dei Classici, 20), p. 54. Il corsivo è mio. 29 Su di lui si vedano B. RAINÒ, Giovanni Onorio da Maglie trascrittore di codici greci, Bari 1972, ma soprattutto AGATI, Giovanni Onorio cit. 30 Cfr. AGATI, Giovanni Onorio cit., pp. 51-54. 31 Il cardinal Alessandro Farnese (1520-1583) era figlio di Pier Luigi Farnese, figlio naturale di papa Paolo III: quindi Alessandro era nipote di papa Farnese. Sul cardinale Alessandro Farnese si veda S. ANDRETTA, Farnese, Alessandro, in DBI, 45, Roma 1995, pp. 52-65. 32 Vat. lat. 6177, pt. 2, f. 240v.

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È possibile quindi che anche il «ms. Gioanne» destinatario della lettera del 1540 sia da identificare con Giovanni Onorio da Maglie, il quale allora viveva a Roma e ricopriva l’incarico di scriptor della Biblioteca Apostolica già da cinque anni. Se fosse così, Sirleto potrebbe averlo incontrato durante il suo primo soggiorno romano e, in seguito, avergli chiesto un aiuto, conscio del fatto che Onorio lavorava a contatto sia con papa Paolo III sia con gli altri membri della famiglia Farnese33. Forse proprio un esponente dei Farnese potrebbe celarsi dietro al «ms. Raugio» menzionato da Sirleto: questo strano nome, che non ritrovo attestato altrove, potrebbe essere una variante del nome di battesimo di Ranuccio Farnese (1530-1565), fratello del cardinale Alessandro e nipote di papa Paolo III. Nel 1540 Ranuccio aveva solo dieci anni, ma, per intercessione del papa, aveva ricevuto già alcune commende ecclesiastiche34. In conclusione, sebbene non vi siano prove stringenti che associno il destinatario della minuta sirletiana a Giovanni Onorio da Maglie, alcuni dettagli sembrano spingere per questa identificazione. Inoltre, i toni dell’epistola rientrano pienamente in quel rapporto di amicizia e stima che, come ha notato Giacomo Cardinali, esisteva tra il futuro cardinale e il copista35. 2. Gli adversaria come retroterra dell’attività letteraria sirletiana La congerie di note raccolta nel Vat. gr. 1890 è di particolare importanza in quanto ci consente di gettare una nuova luce sul “laboratorio filologico” e il retroterra della produzione letteraria di Guglielmo Sirleto. Infatti, è possibile mettere in relazione alcuni testi da lui ricopiati nel Vat. gr. 1890 con le opere del cardinale e con la sua attività di ricerca nella Biblioteca Vaticana. 2.1. Un’epistola di Basilio di Cesarea alla patrizia Cesaria e il carteggio tra Guglielmo Sirleto e Marcello Cervini Ai ff. 18r-19r si legge la trascrizione completa di una celebre lettera sulla comunione indirizzata da Basilio di Cesarea alla patrizia Cesaria (Ep. 93 33

Sui lavori eseguiti da Giovanni Onorio per i Farnese si veda AGATI, Giovanni Onorio cit., pp. 192-198. 34 Su Ranuccio si rimanda a G. FRAGNITO, Farnese, Ranuccio, in DBI, 45, Roma 1995, pp. 148-160. 35 Cfr. G. CARDINALI, Il Barberinianus gr. 532, ovvero le edizioni mancate di Marcello Cervini, la filologia di Guglielmo Sirleto e il surmenage di Giovanni Onorio, in Byzantion 88 (2018), p. 60; quanto al legame con Cervini cfr. ID., En jouant avec les poupées russes: 88 manuscrits grecs de Gabriel Naudé, dont 50 de Guillaume Sirleto, dont certains de Marcel Cervini, dont 2 d’Ange Colocci, in Journal des Savants 1 (2019), pp. 57-59.

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Courtonne)36. Questa copia è interessante poiché mi pare si possa collegare ad uno scambio epistolare avvenuto tra Sirleto e Cervini nella seconda metà degli anni Quaranta. Il 23 febbraio 1547, mentre si trovava a Trento per seguire i lavori del concilio in qualità di legato papale, Marcello Cervini scrisse una lettera a Guglielmo Sirleto, che in quel momento si trovava a Roma. La richiesta contenuta nella lettera era la seguente: «Mi sarebbe chiaro intendere quel che si trova scritto in dottori antichi circa l’uso dela communione sub altera specie tantum. Et però vi prego che tra voi, D. Basilio37 et qualche altro vostro amico, vogliate raccorre i luoghi, che in questa materia vi saranno occorsi o occorriranno»38. Sirleto rispose a Cervini il 12 marzo 154739 riportando parte dell’epistola a Cesaria (Ep. 93, 10-28) sia in originale sia in traduzione latina: Reverendissimo monsignor molto osservando. Poiché non se ha potuto ritrovar persona per la quale s’avesse potuto mandare il Gioanne Νηστευτής, io, accioché Vostra Signoria Reverendissima se possa servire di le materie che fanno al proposito, tutto quel che giudico essere notabile, me forzarò tradurlo et mandarlo, come già ho fatto per una o due altre mie. Al presente Le mando tradutto un pezo d’una epistola di san Basilio sopra la materia del sacramento, la quale anche fa al proposito di provare che appresso Dottori antichi non è cosa nova l’uso de la communione sub altera specie tantum. «Sancti Basilii ex Epistola ad Caesarium patritium. Quod grave non sit aliquem, non praesente episcopo, communionem propria manu accipere coactum esse, supervacaneum est demonstrare, propterea quod longa consuetudo ex rebus ipsis hoc factum comprobat. Omnes enim qui in eremo monasticam vitam degunt, ubi non est sacerdos, communionem domi habentes, per se ipsos accipiunt. In Alexandria vero atque Aegypto unusquisque etiam ex his, qui ex populo sunt, utplurimum habet communionem domi suae et, cum vult, per se ipsum assumit. Cum enim semel sacerdos ipse sacrificium illud perfecerit ac dederit, qui ipsum accipit atque assumit tanquam a sacerdote id se assumere debet credere. Etenim in ecclesia sacerdos ipse dat particulam, eamque detinet qui suscepit cum omni potestate, atque ita ori suo illam offert propria manu. 36 In verità, come giustamente dimostrato da Sever Voicu, non si tratta di una lettera di Basilio di Cesarea, ma di Severo di Antiochia. Si veda a questo proposito S. J. VOICU, Cesaria, Basilio (Ep. 93/94) e Severo, in Augustinianum 35 (1995), pp. 697-703. 37 Si tratta di Basilio Zanchi (1501-1558), umanista, bibliofilo e custos sovrannumerario della Vaticana tra il 1553 e il 1558. Sulla sua attività e i suoi rapporti con Cervini e Sirleto si vedano R. DE MAIO, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli 19922 (Saggi, 38), pp. 326-327; LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana cit., p. 181. 38 La lettera è edita parzialmente in Concilii Tridentini Epistularum pars prima, ed. G. BUSCHBELL, Friburgi Brisgoviae 1916 (Concilii Tridentini diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, 10), p. 954, e si legge nel manoscritto Vat. lat. 6178, f. 148r. 39 Cfr. ibid., p. 955; BACKUS – GAIN, Le cardinal Guglielmo Sirleto (1514-1585) cit., p. 931. La lettera si legge nel manoscritto Vat. lat. 6177, pt. 2, ff. 279r-280r.

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Idem igitur in potentia est sive unam particulam acceperit aliquis a sacerdote, sive multas particulas simul». […] Che questa epistola sia di san Basilio, oltre che il Gioanne Νηστευτής l’allega, io l’ho veduta in un libro d’epistole canonice nella Libraria Vaticana et ho la transcritta. È ben vero ch’el titulo è Ad Caesariam patritiam et qui in questo di Vostra Signoria Reverendissima ad Caesarium patritium, il che poco importa. Et accioché Quella intenda le parole stesse, ho voluto scriverle greche: «Τὸ δὲ ἀναγκάζεσθαί τινα, μὴ παρόντος ἱερέως, τὴν κοινωνίαν τῇ ἰδίᾳ χειρὶ λαμβάνειν μηδαμῶς εἶναι βαρὺ περιττόν ἐστιν ἀποδεικνύναι, διὰ τὸ καὶ τὴν μακρὰν συνήθειαν τοῦτο δι’ αὐτῶν τῶν πραγμάτων πιστώσασθαι. Πάντες γὰρ οἱ κατὰ τὰς ἐρήμους μονάζοντες, ἔνθα μή ἐστιν ἱερεύς, κοινωνίαν οἴκοι κατέχοντες ἀφ’ ἑαυτῶν μεταλαμβάνουσιν. Ἐν Ἀλεξανδρείᾳ δὲ καὶ ἐν Αἰγύπτῳ ἕκαστος καὶ τῶν ἐν λαῷ τελούντων, ὡς ἐπὶ τὸ πλεῖστον, ἔχει κοινωνίαν ἐν τῷ οἴκῳ ἑαὐτοῦ καὶ ὅτε βούλεται μεταλαμβάνει δι’ ἑαυτοῦ. Ἅπαξ γὰρ τοῦ ἱερέως τὴν θυσίαν τελειώσαντος καὶ δεδωκότος, ὁ λαβὼν αὐτὴν καὶ μεταλαμβάνων, ὡς παρὰ τοῦ ἱερέως μεταλαμβάνειν πιστεύειν ὀφείλει. Καὶ γὰρ καὶ ἐν τῇ ἐκκλησίᾳ ὁ ἱερεὺς ἐπιδίδωσι τὴν μερίδα καὶ κατέχει αὐτὴν ὁ ὑποδεξάμενος μετ’ ἐξουσίας ἁπάσης καὶ οὕτω προσάγει τῷ στόματι τῇ ἰδίᾳ χειρί. Ταὐτὸ τοίνυν ἐστὶ τῇ δυνάμει, εἴτε μίαν μερίδα δέξεταί τις παρὰ τοῦ ἱερέως εἴτε πολλὰς μερίδας ὁμοῦ»40. […]

Dalla lettera ricaviamo i seguenti dati: per rispondere alla richiesta del suo patrono, Sirleto avrebbe voluto mandare a Cervini un manoscritto di Giovanni Nesteutes («Poiché non se ha potuto ritrovar persona per la quale s’avesse potuto mandare il Gioanne Νηστευτής») appartenente allo stesso Cervini («in questo di Vostra Signoria Reverendissima»). Giacché non aveva potuto inviarglielo, Guglielmo Sirleto aveva deciso comunque di trarre da esso un brano di una lettera di Basilio ad Caesarium patritium, che viene riportato prima in traduzione latina, poi in greco («Al presente Le mando tradutto un pezo d’una epistola di san Basilio sopra la materia del sacramento […] Sancti Basilii ex Epistola ad Caesarium patritium»). Secondo Sirleto, la stessa lettera basiliana era contenuta anche in un manoscritto della Biblioteca Vaticana e da tale codice egli aveva ricavato una trascrizione («io l’ho veduta in un libro d’epistole canonice nella Libraria Vaticana et ho la transcritta»)41. Nel manoscritto vaticano il destinatario dell’epistola non era Caesarius bensì Caesaria («È ben vero ch’el titulo è Ad 40 Vat.

lat. 6177, pt. 2, f. 279r-v. Allora la lettera basiliana all’epoca non era ancora stata pubblicata a stampa. Si veda a questo proposito C. CRIMI, «Editiones principes» dell’epistolario di Basilio di Cesarea, in «Editiones principes» delle opere dei Padri greci e latini, a cura di M. CORTESI, Firenze 2006 (Millennio Medievale, 68), pp. 313-354, in particolare le pp. 350-354, in cui vengono elencate le lettere di Basilio pubblicate in Epistolae diversorum philosophorum oratorum rhetorum sex et viginti, Venetiis, apud Aldum, 1499; BASILII MAGNI et GREGORII NAZANZENI THEOLOGORUM Epistolae Graecae, Haganoae, per Iohan. Sec., 1528; En amice lector, thesaurum damus 41

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Caesariam patritiam et qui in questo di Vostra Signoria Reverendissima ad Caesarium patritium»). A conferma di quanto detto da Sirleto, il passo della lettera di Basilio ad Caesarium (anziché ad Caesariam) è spesso tramandato insieme al Canonarium di Giovanni Nesteutes o alla Synopsis nomocanonis Iohannis Nesteuti di Matteo Blastares42, come ad esempio si può notare nel manoscritto Par. gr. 1337: in questo codice, Bas. Ep. 93, 10-28 si legge al f. 298r43, pochi fogli dopo la fine della Synopsis di Blastares. Ho citato proprio questo manoscritto poiché, in un recente studio, Giacomo Cardinali ha dimostrato come esso fosse appartenuto prima a Marcello Cervini e poi a Guglielmo Sirleto44. Tuttavia, il Par. gr. 1337 non può essere identificato con il codice cerviniano che Sirleto avrebbe voluto inviare, dal momento che il manoscritto parigino fu fatto confezionare da Cervini a Venezia mentre si trovava a Trento45, e nel 1547 non poteva già trovarsi nella sua biblioteca a Roma. Purtroppo, negli inventari dei codici cerviniani acquisiti dal cardinal Sirleto per conto della Vaticana e poi confluiti nella sua biblioteca non è registrato nessun codice di Giovanni Nesteutes46, né ho trovato la lettera basiliana all’interno di due codici vaticani contenenti il Canonarium di Nesteutes, ovvero l’Ott. gr. 160 e l’Ott. gr. 344, l’ultimo dei quali è stato ricondotto da Santo Lucà alla biblioteca di Sirleto47. Quindi per ora non mi è stato possibile identificare il codice di Giovanni Nesteutes appartenuto a Cervini. Per quanto riguarda invece «il libro d’epistole canonice nella Libraria Vaticana», Sirleto dice di aver tratto da esso una copia dell’Ep. 93 «ad Caesariam patritiam», e, pur in assenza di prove certe, si può ipotizzare che la trascrizione realizzata da Sirleto sia quella attualmente contenuta nei ff. 18r-19r del Vat. gr. 1890, pt. 148. Nell’inventario dei manoscritti della inaestimabilem D. Basilium vere magnum sua lingua disertissime loquentem quem hactenus habuisti Latine balbutientem, Basileae, ex officina Frobeniana, 1532. 42 Sul Canonarium si vedano in particolare F. VAN DE PAVERD, The Kanonarion by John, Monk and Deacon, and Didascalia Patrum, Roma 2006; ID., The Kanonikon by John the Faster, in Orientalia Christiana Periodica 81 (2015), pp. 83-137. 43 Par. gr. 1337, f. 298r: «Ἐκ τῆς πρὸς Καισάριον ἐπιστολῆς τοῦ ἐν ἀγίοις πατρὸς ἡμῶν Βασιλείου τοῦ Μεγάλου περὶ τῆς ἀγίας κοινωνίας. Τὸ δὲ ἀναγκάζεσθαι τινὰ […] εἴτε πολλὰς μερίδας ὁμοῦ». 44 Cfr. G. CARDINALI, Legature «alla Cervini»?, in Scriptorium 71,1 (2017), pp. 52-53. 45 Cfr. ibid., p. 53. 46 Cfr. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de Marcello Cervini cit. 47 LUCÀ, La silloge manoscritta cit., p. 333. 48 Una copia della lettera si legge anche al f. 18r-v del Vat. gr. 1862, altra raccolta di carte sirletiane, ma in questo caso non è di mano di Sirleto, bensì di uno scriba anonimo (cfr. CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, p. 377).

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Vaticana del 1518 è registrato un codice contenente «Ius canonicum et acta conciliorum, Dionysii, Petri, Athanasii et Basilii epistolae, ex papyro in rubro», che è stato identificato con il Vat. gr. 82949 e non è riportato negli inventari precedenti50. In questo manoscritto, databile tra il XIII e il XIV secolo51, l’epistola di Basilio a Cesaria si legge al f. 192v e questa potrebbe essere la fonte da cui attinse Sirleto per la sua lettera a Cervini52. Confrontando i due testimoni, il testo del Vat. gr. 829 non presenta alcuna differenza rispetto a quello della copia sirletiana, se si eccettua una piccola variatio nell’inscriptio: «τοῦ ἁγίου Βασιλείου ἀρχιεπισκόπου Καισαρείας

Καππαδοκίας πρὸς Καισαρίαν πατρικίαν περὶ τῆς μεταλήψεως τῶν ἁγιασμάτων» nel Vat. gr. 829, «τοῦ ἁγίου Βασιλείου τοῦ μεγάλου ἀρχιεπισκόπου Καισαρείας πρὸς Καισαρίαν πατρικίαν περὶ τῆς μεταλήψεως τῶν ἁγιασμάτων» nel Vat. gr. 1890. Non vi sono altri indizi che connettano il Vat. gr. 829 con l’attività di Cervini e Sirleto, ma il modo con cui il codice è indicato nel catalogo vaticano del 1518 potrebbe autorizzare a pensare che questo sia il «libro d’epistole canonice» citato da Sirleto. Per concludere, notiamo come la lettera basiliana a Caesarius/Caesaria verrà effettivamente utilizzata e citata all’interno degli atti del Concilio di Trento a proposito del modo in cui ricevere la comunione. Infatti, in un atto del 10 luglio 1562, sette anni dopo la morte di Cervini, si legge: «Tertullianus lib. ad uxorem; Cyprianus serm. 5 de lapsis, de puella, quae servabat corpus Christi in arca; Basilius in epist. ad Caesarium patritium: deferebantur particulae domum, non autem sanguis. Usus igitur sub una tantum specie semper viguit in ecclesia, etiam quod vigeret sub utraque»53. 49

Si veda Index seu inventarium Bibliothecae Vaticanae Divi Leonis Pontificis Optimi, anno 1518 c. series graeca, curantibus M. L. SOSOWER – D. F. JACKSON – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 427), p. 216. Il codice è poi registrato nel catalogo dell’anno 1533, come «Canonicae leges et statuta synodalia, ex papiro in rubro. Κύριλλος»; si veda Librorum Graecorum Bibliothecae Vaticanae index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno 1533, curantibus M. R. DILTS – D. F. JACKSON – A. MANFREDI, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 384), p. 64. 50 Cfr. R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 244); Inventari di manoscritti greci della Biblioteca Vaticana sotto il pontificato di Giulio II, a cura di G. CARDINALI, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 491). 51 Si veda la descrizione contenuta in R. DEVREESSE, Codices Vaticani Graeci. Codices 604-866, Città del Vaticano 1950 (Cataloghi ed inventari di manoscritti, 27), pp. 374-378. 52 La raccolta di epistole canoniche Vat. gr. 430 entrerà in Vaticana solo dopo la lettera di Sirleto, ovvero intorno al 1551, quando Cervini era già diventato cardinale bibliotecario. A tal proposito si veda DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 430. 53 Concilii Tridentini actorum pars quinta, collegit, edidit, illustravit S. EHSES, Friburgi Brisgoviae 1919 (Concilii Tridentini diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, 8), p. 539.

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2.2. Un’antologia di vite di santi e le traduzioni delle Vitae patrum a cura di Luigi Lippomano Un gruppo di fogli (ff. 20-25, 84-86, 90-97, 100-101, 104-105) contiene una serie di passi tratti da vite greche di santi, e sono stati considerati da Canart un’unica unità codicologica sulla base del contenuto e delle filigrane. A tal proposito, sappiamo che Sirleto si interessò a questa tipologia di testi quando fu coinvolto nel progetto editoriale del vescovo di Verona Luigi Lippomano (1496-1559) della traduzione latina del menologio di Simeone Metafraste. La traduzione del menologio si può leggere nei volumi quinto54, sesto55 e settimo56 delle Vitae sanctorum priscorum patrum, una raccolta di vite di santi curata da Lippomano e pubblicata a partire dal 1551 sotto gli auspici del cardinal Cervini57. Nell’introduzione al sesto volume, Lippomano dice che il settimo volume avrebbe ospitato la traduzione delle vite dei santi di marzo e aprile curata da Pier Francesco Zini (1520-1580)58 e quella di altre vite curata da Sirleto:

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Tomus quintus Vitarum sanctorum Patrum, numero nonagintatrium, per Simeonem Metaphrastem, auctorem probatissimum conscriptarum. Et nuper instante R.P.D. Aloysio Lipomano Episcopo Veronense ex Graecis Latinitate donatarum, cum scholiis eiusdem solitis, contra haereticorum blasphemias. Librum hunc Occidentalis Ecclesia primum nunc videt, et recipit, quem Latinum fecit Gentianus Hervetus Gallus, Venetiis, in vico Sanctae Mariae Formosae, ad signum spei, 1556 (Edit 16 CNCE 33191). 55 Tomus sextus Vitarum sanctorum priscorum Patrum quae instante R.P.D. Aloysio Lipomano, episcopo Veronensi, nunc primum ex Symeone Metaphraste Graeco auctore Latinae factae sunt, ac per eundem in vnum volumen collectae cum solitis scholiis aduersus praesentium haereticorum delirationes, Romae, ex officina Salviana, 1558 (Edit 16 CNCE 30703). 56 Septimus tomus Vitarum sanctorum patrum quae a R.P.D. Aloysio Lipomano, episcopo Veronensi, ex praeclaris auctoribus Graecis Latine redditis, in hoc volumen collectae sunt, cum scholiis aduersus recentium hareticorum deliramenta, Romae, apud Antonium Bladum, 1558 (Edit 16 CNCE 24826). 57 Su questo progetto si vedano in particolare S. BOESCH GAJANO, La raccolta di vite di santi di Luigi Lippomano. Storia, struttura, finalità di una costruzione agiografica, in Raccolte di vite di santi dal XIII al XVIII secolo. Strutture, messaggi, fruizioni, a cura di S. BOESCH GAJANO, Fasano 1990, pp. 111-130; PIACENTINI, La Biblioteca di Marcello II Cervini cit., p. XVI; A. KOLLER, Lippomano, Luigi, in DBI, 65, Roma 2005, pp. 245-246; QUARANTA, Marcello II Cervini cit., pp. 442-444. Mi sono occupato del manoscritto modello di alcune di queste traduzioni in Un appunto sul codice Vat. Ott. gr. 92 (Menologio di febbraio): Cervini, Sirleto e la traduzione latina di Gentien Hervet, in Byzantion 88 (2018), pp. 93-102. Su Sirleto e i progetti editoriali di Cervini si veda ora P. SACHET, Guglielmo il Greco: Sirleto e i progetti editoriali del cardinale Marcello Cervini, in Il “Sapientissimo Calabro” cit., pp. 209-220. 58 Su Pier Francesco Zini si veda L. BOSSINA – E. V. MALTESE, Dal ’500 al Migne. Prime ricerche su Pier Francesco Zini (1520-1580), in I Padri sotto il torchio. Le edizioni dell’antichità cristiana nei secoli XV-XVI, a cura di M. CORTESI, Firenze 2002 (Millennio Medievale, 35), pp. 217-287, in particolare pp. 231-236 per la sua collaborazione con Lippomano.

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In Vaticana bibliotheca non Martius modo et Aprilis defuere, sed nec Maii initium repertum fuit. Necessitate itaque compulsi, ad illustrissimi dominii mei Venetorum bibliotheca pro hac expletione confugimus […] Obtento ex serenissimi dominii gratia libro, illum venerabili nostro Petro Francisco Zino Veronensi, viro eruditissimo et pientissimo, interpretandum dedimus, quem adhuc habet in manibus. Hoc igitur sexto tomo, lector candide, ad praesens contentus esto, habiturus in septimo et partem hanc, quae hic deesse videtur, et alias vitas ab ipso Metaphraste conscriptas, quae, cum in Vaticana bibliotheca deessent, apud Criptae Ferratae monasterium Thusculanae diocesis […] inventae fuerunt, quas doctissimus Guillelmus Sirletus Protonotarius Apostolicus […] ex Graecis Latinas fecit59.

Il manoscritto della Biblioteca Marciana utilizzato da Zini dovrebbe essere l’odierno Marc. gr. Z. 359 (816), contenente vite di santi di marzo e aprile. Questa ipotesi è confermata sia confrontando il contenuto del manoscritto con le Vite tradotte da Zini60 sia dal fatto che il 12 febbraio 1555 Pietro Contarini (1491-1563), figlio di Zaccaria di Francesco Contarini, prese in prestito questo manoscritto per conto di Lippomano61. 59 Tomus sextus cit., pp. [IVr]-[Vv]r. Allo stesso modo, ad introduzione della prima parte del settimo volume delle Vitae patrum, Lippomano scrive: «Habes in hac prima septimi huius tomi parte, optime lector, reliquias sanctorum vitas quae in libris Symeonis Metaphrastae ex Vaticana bibliotheca habitis desiderabantur, Martium et Aprilem complectentes. Defectum autem huiusmodi, impetrato ab illustrissimo domino meo Venetorum qui in sua celebratissima bibliotheca reperiebatur codice, supplevimus, ex quo vitae hae per eruditissimum nostrum Petrum Franciscum Zinum Veronensem, Lonati archipresbyterum, desumptae sunt, nunc primum Latine ab eo redditae» (Septimus tomus cit., p. 1r). 60 Nella traduzione di Zini si leggono: Passio SS. Martyrum XL Sebastenorum (BHG 1201); Passio SS. Codrati, Cypriani, Dionysii, Anecti, Pauli et Crescentis (BHG 357); Passio S. Pionii (BHG 1546); Vita S. Gregorii papae (BHG 721); Laudatio S. Theophanis (BHG 1790); Passio S. Sabini (BHG 1612); THEOPH. PRESB., De exilio S. Nicephori (BHG 1337); Vita S. Alexii (BHG 51); Passio SS. Chrysanthi et Dariae (BHG 313); ANDR. CRET., In annunciationem (BHG 1093g; CPG 8174); IOHAN. CHRYS., In annunciationem (BHG 1128f; CPG 4519); Vita S. Isacii (BHG 955); Passio SS. Ionae et Barchisii (BHG 942); EUS. CAES., De martyribus Palestinae (CPG 3490); Passio SS. Theoduli et Agathopodis (BHG 1784); Passio S. Perbuthae cum sorore et ancilla (BHG 1511); EUSTR. CONST., Vita S. Eutychii (BHG 657; CPG 7520); Passio S. Calliopii (BHG 290); Passio SS. Terentii, Africani et sociorum (BHG 1700); Passio S. Antipae (BHG 138); Passio S. Sabae (BHG 1607); GEORG. SIC., Vita Theodori Siceotae (BHG 1748; CPG 7973); PANCR., Passio S. Georgii (BHG 672). Salvo alcune omissioni nella traduzione, le medesime opere si leggono nello stesso ordine nel manoscritto marciano. 61 Si veda C. CASTELLANI, Il prestito dei codici manoscritti della Biblioteca di San Marco in Venezia n’ suoi primi tempi e le conseguenti perdite de’ codici stessi, in Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti 55 (1896-1897), p. 363: «1554 (1555), die 12 februarii. D. Petrus Contarenus, q. Ser Zachariae equitis, pro R.do D. Episcopo Veronensi, Lippomano, habuit librum grecum qui dicitur Vitae Sanctorum mensis martii et aprilis, ex mandato d. Reformatorum, et deposuit penes me annulum cum gemma saphiro. Liber est signatus 23. B. n.° 795. 1555, die 10 octobris. Restituit librum, et habuit annulum».

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La seconda parte del settimo volume delle Vitae patrum si apre con un’altra lettera di Lippomano al lettore. In questa epistola, il vescovo di Verona dice innanzitutto di aver fornito, nei volumi quinto, sesto e settimo, la traduzione dell’intero menologio del Metafraste. Tuttavia, aggiunge di aver ricevuto una lettera di un amico che aveva trovato a Grottaferrata un altro menologio con vite inedite. Per tale motivo, Lippomano aveva chiesto a Guglielmo Sirleto di prendere in prestito il libro dai monaci, trovare le vite di cui mancava la traduzione e realizzarla. Sirleto aveva adempiuto al compito e aveva inviato le sue traduzioni in Polonia, dove in quel tempo si trovava Lippomano62. Attraverso il confronto tra i testi tradotti da Sirleto e i menologi che nel Cinquecento erano conservati nel monastero di Grottaferrata, si può notare come Sirleto abbia utilizzato per la sua traduzione non solo un manoscritto, ma numerosi codici criptensi63. Sono il menologio di aprile Vat. gr. 166064, il menologio di maggio Vat. gr. 203365, il menologio di giugno Vat. gr. 166766, il menologio di agosto Vat. gr. 167167, il menologio di novembre Vat. gr. 166968, il menologio di dicembre Vat. gr. 164169 e il menologio di 62

Cfr. Septimus tomus cit., p. 256r. Sui manoscritti criptensi utilizzati da Sirleto e il loro passaggio in Vaticana si veda CANART, Les Vaticani Graeci 1487-1962 cit., pp. 193, 199. Si vedano anche P. CANART, Cinq manuscrits transférés directement du monastère de Stoudios à celui de Grottaferrata, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in memoria di Agostino Pertusi, Milano 1982 (Scienze filologiche e letteratura, 22), pp. 19-28 (rist. in CANART, Études de paléographie et de codicologie cit.); A. LUZZI, La traduzione sirletiana della Vita Nili e la sua influenza sulle successive interpretazioni di alcuni episodi del Bios, in Il “Sapientissimo Calabro” cit., pp. 357-359. 64 A. EHRHARD, Überlieferung und Bestand der hagiographischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche. Titelzusatz: von den Anfängen bis zum Ende des 16. Jahrhunderts, I, Leipzig 1937, pp. 608-611; C. GIANNELLI, Codices Vaticani Graeci. Codices 1485-1683, Città del Vaticano 1950 (Cataloghi ed inventari di manoscritti, 28), pp. 396-398; S. PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata nel Typikon dell’egumeno Biagio II, in Byzantinische Zeitschrift 95 (2003), p. 649. 65 HAGIOGRAPHI BOLLANDIANI – P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Catalogus Codicum hagiographicorum graecorum Bibliothecae Vaticanae, Bruxellis 1899 (Subsidia hagiographica, 7), pp. 184-186; EHRHARD, Überlieferung cit., pp. 360-362; PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., p. 649. 66 EHRHARD, Überlieferung cit., pp. 641-645; GIANNELLI, Codices Vaticani Graeci cit., pp. 410-415; PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., p. 649. 67 EHRHARD, Überlieferung cit., pp. 673-676; GIANNELLI, Codices Vaticani Graeci cit., pp. 421-425; PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., p. 650. 68 EHRHARD, Überlieferung cit., pp. 488-491; GIANNELLI Codices Vaticani Graeci cit., pp. 416-419; T. MATANTSEVA, Le Vaticanus graecus 1669, ménologe prémétaphrastique de novembre, in Scriptorium 50 (1996), pp. 106-113; PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., p. 647. 69 EHRHARD, Überlieferung cit., pp. 286-293; GIANNELLI, Codices Vaticani Graeci cit., pp. 350-357; PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., p. 655. 63

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gennaio Vat. gr. 163870. Tranne il Vat. gr. 1641, sono tutti menologi premetafrastici. Alcuni dei testi tradotti da Sirleto per Lippomano furono anche antologizzati nel Vat. gr. 1890, ovvero la Passio S. Acacii (BHG 13)71, la Passio SS. Agapes, Irenes et Chiones (BHG 34)72, la Laudatio S. Platonis hegumeni di Teodoro Studita (BHG 1553)73. I manoscritti di cui Sirleto si servì per il florilegio del Vat. gr. 1890 sono i Vat. gr. 1638, Vat. gr. 1660, Vat. gr. 1667 e Vat. gr. 2033, nonché il Vat. gr. 1595, che, sebbene non sia stato utilizzato da Sirleto per le sue traduzioni, contiene il De vita Beatae Virginis di Epifanio (BHG 1049), ed era allora conservato a Grottaferrata74. Tramite una dettagliatissima analisi dei reclamantes e del contenuto, Canart ha cercato di ricostruire l’ordine in cui Sirleto copiò questo insieme di fogli, alcuni dei quali furono rilegati non solo disordinatamente, ma anche al contrario, con il testo che inizia sul verso e prosegue sul recto. Questa è la ricostruzione proposta, cui abbiamo aggiunto il manoscritto allora criptense da cui Sirleto trasse i brani delle vite dei santi: 1

f. 84r, Passio S. Acacii (BHG 13); Vat. gr. 2033, ff. 87v-100v ff. 84v-86v, 20r-21v, THEOD. STUD., Encomium S. Arsenii (BHG 169); Vat. gr. 2033, ff. 100v-115v 3 ff. 22r-25v, 87r-89v, 95r, Vita S. Epiphanii (BHG 596-597); Vat. gr. 2033, ff. 146r-199r 4 ff. 95v-96r, Passio Theoduli lectoris et Agathopodis (BHG 1784); Vat. gr. 1660, ff. 35r-49r 5 ff. 96r-v, 101v, Passio SS. Agapes, Irenes et Chiones (BHG 34); Vat. gr. 1660, ff. 49r-56r 6 f. 101r, Passio S. Pherbutae (BHG 1511); Vat. gr. 1660, ff. 63v-68r 7 f. 101r, Passio S. Terentii (BHG 1700); Vat. gr. 1660, ff. 68r-75r 8 f. 100v-100r, 97r, AMMON., De excidio SS. Patrum in Sina (BHG 1300); Vat. gr. 1638, ff. 208v-226v 9 f. 97r-v, Passio S. Tatianae (BHG 1699); Vat. gr. 1638, ff. 189v-193v [lacuna] 10 f. 90r, Passio martyrum 2

70 EHRHARD, Überlieferung cit., pp. 542-544; GIANNELLI, Codices Vaticani Graeci cit., pp. 343-345; PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., pp. 648-649. 71 La traduzione si legge in Septimus tomus cit., pp. 158r-162v; il testo greco utilizzato da Sirleto è in Vat. gr. 2033, ff. 87v-100v. 72 La traduzione si legge in Septimus tomus cit., pp. 106v-108r; il testo greco utilizzato da Sirleto è in Vat. gr. 1660, ff. 49r-56r. 73 La traduzione si legge in Septimus tomus cit., pp. 275r-283v, il testo greco utilizzato da Sirleto è in Vat. gr. 1660, ff. 75v-108r. 74 PARENTI, Manoscritti del monastero di Grottaferrata cit., p. 653.

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ff. 90r-91r, THEOD. STUD., Laudatio S. Platonis hegumeni (BHG 1553); Vat. gr. 1660, ff. 75v-108r f. 91v, EUSTRAT., Vita S. Eutychii (CPG 7520; BHG 657); Vat. gr. 1660, ff. 108v-190v f. 92r, Vita S. Calliopi (BHG 290); Vat. gr. 1660, ff. 194v-200r f. 92r, Vita S. Athanasiae (BHG 180); Vat. gr. 1660, ff. 211v-228r f. 92r, Vita SS. Maximi, Dadae et Quintiliani (BHG 1238); Vat. gr. 1660, ff. 341v-347r f. 92v, THEOD. STUD., Laudatio S. Platonis hegumeni (BHG 1553); Vat. gr. 1660, ff. 75v-108r ff. 92v-94r, Passio S. Irenes (BHG 953a); Vat. gr. 2033, ff. 38r-63r f. 94v, EPIPH., De vita Beatae Virginis (BHG 1049); Vat. gr. 1595, ff. 68v-77v [lacuna] f. 104r, ALEX. CYPR., Laudatio S. Barnabae (BHG 226); Vat. gr. 1667, ff. 110r-127v ff. 104r-105r, Vita S. Metodii (BHG 1278); Vat. gr. 1667, ff. 148v-156v.

Come si può notare dallo schema, Sirleto trasse le citazioni dai manoscritti per blocchi, ovvero dal Vat. gr. 2033 (1-3), dal Vat. gr. 1660 (4-7; 1115), dal Vat. gr. 1638 (8-10) e dal Vat. gr. 1667 (19-20), oltre ad un blocco di varia (16-18). Dalla ricostruzione proposta, tuttavia, stupisce che Sirleto abbia interrotto i testi copiati dal Vat. gr. 1660 (4-7; 11-15) per inserirne due tratti dal Vat. gr. 1638 (8-9). Questa aporia può essere risolta attraverso l’identificazione del testo 10 (f. 90r). Si tratta di un brano tratto della parte finale della Passio S. Terentii (BHG 1700): «λαβόντες οὖν τὰ σώματα τῶν ἁγίων μαρτύρων ἄνδρες εὐλαβεῖς

καὶ κοσμίως κηδεύσαντες αὐτὰ ἀπέθεντο ἐν τῇ γῇ ὡς ἀπὸ μιλίων δύο τῆς πόλεως»75, e, siccome l’inizio dei brani antologizzati dalla Passio S. Terentii è al f. 101r (testo 7), prima della rilegatura moderna il f. 90r si trovava immediatamente dopo il 101r. Perciò, il blocco di testi 10-18, che non può essere separato, deve essere spostato dopo il testo 7. In questo modo, si ripristina l’ordine dei testi copiati dal Vat. gr. 1660 (4-12), e il blocco tratto dal Vat. gr. 1638 rimane isolato: 1 2

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f. 84r, Passio S. Acacii (BHG 13); Vat. gr. 2033 ff. 84v-86v, 20r-21v, THEOD. STUD., Encomium S. Arsenii (BHG 169); Vat. gr. 2033 ff. 22r-25v, 87r-89v, 95r, Vita S. Epiphanii (BHG 596-597); Vat. gr. 2033 ff. 95v-96r, Passio Theoduli lectoris et Agathopodis (BHG 1784); Vat. gr. 1660 ff. 96r-v, 101v, Passio SS. Agapes, Irenes et Chiones (BHG 34); Vat. gr. 1660 f. 101r, Passio S. Pherbutae (BHG 1511); Vat. gr. 1660 Cfr. Passio S. Terentii, PG 115, coll. 105-106.

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f. 101r, 90r, Passio S. Terentii (BHG 1700); Vat. gr. 1660 ff. 90r-91r, THEOD. STUD., Laudatio S. Platonis hegumeni (BHG 1553); Vat. gr. 1660 9 f. 91v, EUSTRAT., Vita S. Eutychii (CPG 7520; BHG 0657); Vat. gr. 1660 10 f. 92r, Vita S. Calliopi (BHG 290); Vat. gr. 1660 11 f. 92r, Vita S. Athanasiae (BHG 180); Vat. gr. 1660 12 f. 92r, Vita SS. Maximi, Dadae et Quintiliani (BHG 1238); Vat. gr. 1660 13 f. 92v, THEOD. STUD., Laudatio S. Platonis hegumeni (BHG 1553); Vat. gr. 1660 14 ff. 92v-94r, Passio S. Irenes (BHG 953a); Vat. gr. 2033 15 f. 94v, EPIPH., De vitae Beatae Virginis (BHG 1049); Vat. gr. 1595 [lacuna] 16 f. 100v-100r, 97r, AMMON., De excidio SS. Patrum in Sina (BHG 1300); Vat. gr. 1638 17 ff. 97r-v, Passio S. Tatianae (BHG 1699); Vat. gr. 1638 [lacuna] 18 f. 104r, ALEX. CYPR., Laudatio S. Barnabae (BHG 226); Vat. gr. 1667 19 ff. 104r-105r, Vita S. Metodii (BHG 1278); Vat. gr. 1667. 8

Quindi, identificando le fonti di Sirleto, si può in parte ripristinare l’ordine originario di questo gruppo di fogli prima della rilegatura. Inoltre, sebbene non sia escluso che Sirleto abbia realizzato tale antologia in altri momenti, è molto probabile che la trascrizione di questi testi sia da collegare alla sua traduzione dei menologi conservati nel cenobio criptense, e che essa sia avvenuta poco prima del 1558, anno in cui le traduzioni di Sirleto furono pubblicate da Luigi Lippomano. 2.3. Gli Atti del Concilio di Efeso e la traduzione latina di Theodor Peltan Altri fogli del manoscritto Vat. gr. 1890 danno testimonianza dei servigi che Sirleto fornì a studiosi italiani ed europei grazie alle sue conoscenze dei codici vaticani76. Ad esempio, tra gli anni Sessanta e Settanta Sirleto aiutò in alcune ricerche in Vaticana il gesuita Theodor Peltan (1511-1584), il quale all’epoca stava preparando una traduzione latina degli Atti del Concilio di Efeso, poi pubblicata a Ingolstadt nel 1576. A quanto dice Peltan stesso nella prefazione alla traduzione, nel 1562, su consiglio del duca di Baviera Alberto V, egli aveva inviato a Roma un esemplare della sua traduzione e un codice con il testo greco degli Atti che apparteneva alla biblioteca del duca. Peltan aveva richiesto al cardinale tedesco Ottone di Waldburg (1514-1573), allora residente a Roma, 76

Sui rapporti tra Sirleto e gli intellettuali suoi contemporanei si veda LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana cit., pp. 158-159.

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di trasmettere a qualche esperto la bozza della sua traduzione affinché la confrontasse con il codice greco monacense e la correggesse. In seguito, Peltan aveva perso le tracce dei due volumi inviati, perciò, nel 1573, mentre si trovava a Roma per alcuni affari, si era rivolto a Guglielmo Sirleto77. Sirleto aveva confidato a Peltan di aver ricevuto il testo latino e il manoscritto greco, di aver confrontato quest’ultimo con un codice greco della Vaticana e aver annotato le lezioni differenti su carte separate, di aver letto la traduzione e di averla apprezzata molto; infine, gli aveva rivelato di aver consegnato i codici ad un’altra persona, che però non ricordava chi fosse78. Nel 1575 Peltan aveva ritrovato il codice greco che aveva spedito a Roma nella biblioteca del duca di Baviera, con all’interno le carte sulle quali Sirleto aveva annotato le lezioni del codice vaticano79. Il codice della biblioteca del duca di Baviera è l’attuale Mon. gr. 11580, mentre il manoscritto vaticano collazionato da Sirleto è l’attuale Vat. gr. 83081, che contiene gli Atti del Concilio di Efeso nella versione della cosiddetta Collectio Vaticana82 e la cui presenza nella Biblioteca Apostolica è testimoniata già a partire dal Quattrocento83. Aggiungiamo che l’inventario dei manoscritti greci appartenuti Sirleto che fu realizzato da Giovanni Santamaura dopo la morte del cardinale e che è conservato nel manoscritto Vat. lat. 616384 77 Cfr. Sacrosancti magni et oecumenici concilii Ephesini primi acta omnia in sex tomos distributa, Inglostadii, ex typographia Davidis Sartorii, 1576, f. c2v: «Anno porro LXXIII, Romam alia de causa veniens, tum de nostris, tum de alienis hominibus, quid istis libris factum esset, sedulo exquisivi: Vaticanam etiam Bibliothecam lustravi, si quo casu essent illuc importati. Nihil usquam apparuit. Tandem de quorundam consilio ad illust. et eruditionis fama clarissimum Guilelmum Sirletum Cardi. summumque Vaticanae Bibliothecae praefectum me contuli; meam calamitatem illi narravi». 78 Cfr. ibid.: «Inter cetera autem referebat a Cardinale Augustano utrumque venisse ad Cardinalem Paleottum, inde ad Cardinalem Amulium, postea ad Onuphrium Panvinum, postremo ad se, cum libris aliis bene multis, seseque id, quod principis nomine petitum fuerat, effectum dedisse: codicem Bavaricum cum Vaticano accurate contulisse, et varietatem lectionis annotasse in chartis separatim; non contulisse autem Latina cum Graecis, legisse tamen, adeoque sibi placuisse, ut excudendum librum putarit, et se iam aliquo misisse, nescire tamen quo». 79 Cfr. ibid., ff. c2v-c3r: «Anno LXXV liber Graecus nec opinato a nostris in Bibliotheca Ducis repertus est, quem pervolutans ipsissimum esse comperio, quem Romam miseram. Fidem autem certiorem faciebant castigationes Sirleti, paginis aliquot insertae libro, de quibus ipse mihi Romae dixerat». 80 Cfr. K. HAJDÚ, Katalog der griechischen Handschriften der Bayerischen Staatsbibliothek München. 3. Codices graeci Monacenses 110-180, Wiesbaden 2003, pp. 51-57. 81 Il manoscritto è descritto in DEVREESSE, Codices Vaticani Graeci cit., pp. 378-379. 82 Cfr. E. SCHWARTZ, Acta conciliorum oecumenicorum, I: Concilium Universale Ephesenum. 1. Acta Graeca. Collectio Vaticana 1-6, Berolini 1927-1928. 83 Cfr. DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 42. 84 Su questo inventario si vedano in particolare RUSSO, La biblioteca del Card. Sirleto cit.; LUCÀ, La silloge manoscritta cit.

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registra all’item 40 una raccolta di Atti del Concilio di Efeso85, che però né gli studiosi che si sono occupati del catalogo sirletiano né noi siamo finora riusciti a identificare con sicurezza86. Alcuni fogli del Vat. gr. 1890 possono essere ricondotti con buona probabilità al lavoro svolto da Sirleto per conto di Theodore Peltan. Infatti, i f. 530r-v, il cui contenuto è stato catalogato come «Correctiones in varios locos ss. Patrum», contengono in realtà una tavola di confronto tra alcune lezioni del codice Mon. gr. 115 (in Germano) e quelle del manoscritto posseduto da Sirleto (in meo). In particolare, Sirleto sembra voler segnalare alcune lezioni del codice monacense ritenute migliori di quelle contenute nel suo (corrige, lege): (ACO I, 1, 1, p. 18 Schwartz) ὄντος δὴ οὖν ἐναργῶς: corrige ὄντος δὴ οὖν ἐναργοῦς (M87) (ACO I, 1, 1, p. 19 Schwartz) καί σφόδρα εἰκότως: lege σφόδρα καί μάλα εἰκότως (M) (ACO I, 1, 1, p. 19 Schwartz) παρακαλέσατε: lege παρακαλεῖσθε (M) […] (ACO I,1,1, p. 22 Schwartz) καὶ τοῦτο ἀληθὲς: lege καὶ τοῦτο ὡς ἀληθὲς (M) (ACO I,1,1, p. 22 Schwartz) καταβιάζεσθαι βραχὺ: in Germano legitur καταβιβάζεσθαι βραχὺ (M) […] (ACO I,1,1, p. 46 Schwartz) διαρκῆ τὴν βάσανον (M) in meo est διαρκῆν τὴν

βάσανον88

In conclusione, sulla base del contenuto di questo foglio, notiamo come Sirleto non solo abbia portato a termine la richiesta di Peltan collazionando il manoscritto, ma si sia anche servito del manoscritto di Monaco per correggere il proprio esemplare. Per questi motivi, il foglio fu sicuramente copiato tra il 1562, anno in cui Peltan inviò il manoscritto a Roma, e il 1573, quando Sirleto gli comunicò di persona di non avere più con sé il codice monacense.

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Cfr. Vat. lat. 6163, f. 30v. Un codice con gli Atti è registrato anche negli inventari dei manoscritti di Cervini acquistati da Sirleto per conto della Vaticana e poi rimasti nella sua biblioteca. Devreesse ipotizza che questo manoscritto sia l’Ott. gr. 23, pt. 1 e 2; cfr. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de Marcello Cervini cit., pp. 251, 260. 87 Utilizzo la sigla del manoscritto monacense impiegata nell’edizione di Eduard Schwartz. 88 Vat. gr. 1890, pt. 2, f. 530r-v. 86

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ADVERSARIA SIRLETIANA NEL VAT. GR. 1890

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3. Tra le letture di Guglielmo Sirleto La maggior parte dei fogli dello zibaldone Vat. gr. 1890 contiene la schedatura di opere che pare non abbiano prodotto ulteriori sviluppi all’interno della produzione letteraria sirletiana. Si possono portare come esempi la raccolta di passi patristici de ieiunio contenuta nei ff. 3-6, 26-29, 50-53, 545789 e gli excerpta de passione Christi ai ff. 102-10390. D’altra parte, questi frammenti ci consentono di acquisire nuove informazioni sulla biblioteca e sulle letture del cardinale. Come esempi prenderò in esame alcuni testi copiati nel Vat. gr. 1890 che non sono ancora identificati dagli studiosi. 3.1. Il prologo alla catena ad Isaia e un’edizione basileense di san Girolamo Il primo, contenuto nel f. 79r, è un passo dal prologo della catena esegetica in Isaiam (CPG C60; typus I Karo-Lietzmann); esso si legge in numerosi manoscritti91 tra cui anche in due lussuosi codici che nel Cinquecento si trovavano in Vaticana, ovvero il Vat. gr. 75592 e il Vat. gr. 115393: Μηδεὶς δὲ ὡς ἑτεροδόξων ἑρμηνείας συναγαγόντι ἐγκαλείτω, φημὶ δὴ Ὠριγένους καὶ Εὐσεβίου τοῦ Καισαρείας καὶ Θεοδώρου Ἡρακλείας καὶ Εὐσεβίου Ἐμέσης καὶ Ἀπολιναρίου καὶ Θεοδωρίτου Κύρου· ἐν οἷς γὰρ μὴ περὶ τῶν ἰδίων δογμάτων διαλέγονται, ἔστιν ὅτε καλῶς ἐπιβάλλονται. Καὶ τοῦτο δὲ οὐκ αὐτονόμως πεποίηκα, ἀλλ’ ἀκολουθήσας τῷ ἀγιωτάτῳ ἡμῶν πατρὶ ἀρχιεπισκόπῳ Ἀλεξανδρείας (τῷ Ἀλεξάνδρου φιλοχρίστου μεγαλοπόλεως ἀρχιεπισκόπῳ mss.) Κυρίλλῳ φήσαντι ἐν τῇ πρὸς Εὐλόγιον ἐπιστολῇ· “οὐ πάντα ὅσα λέγουσιν οἱ αἱρετικοὶ φεύγειν καὶ παραιτεῖσθαι χρή· πολλὰ γὰρ ὁμολογοῦσιν ὧν καὶ ἡμεῖς ὁμολογοῦμεν”94. (Nessuno mi accusi di aver raccolto testimonianze di autori eterodossi, cioè di Origene, Eusebio di Cesarea, Teodoro di Eraclea, Eusebio di Emesa, Apollinare e Teodoreto di Cirro; quando infatti non parlano delle loro proprie credenze, dicono cose pregevoli. E ho fatto questo non autonomamente, ma seguendo il nostro santissimo padre Cirillo, arcivescovo di Alessandria, che dice nella lettera ad Eulogio: “Non si deve fuggire e deprecare tutto quello che dicono gli eretici; infatti professano molte cose che anche noi professiamo”). 89

CANART, Codices Vaticani Graeci cit., I, p. 501. Ibid., p. 505. 91 Cfr. G. KARO – J. LIETZMANN, Catenarum Graecarum Catalogus, Gottingen 1902, pp. 335-337. 92 Su questo manoscritto si veda DEVREESSE, Codices Vaticani Graeci. Codices 604-866 cit., pp. 271-272. 93 Sulla presenza di questi codici in Vaticana si vedano DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 22, 40; Inventari di manoscritti greci della Biblioteca Vaticana cit., pp. 131, 136. 94 Il prologo della catena è edito interamente in M. FAULHABER, Die Propheten-catenen nach römischen Handschriften, Freiburg 1899, pp. 192-196. 90

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In coda, Sirleto ha scritto «Αὕτη ἡ ἐπιστολὴ παρεμβέβληται ἐν τοῖς πεπραγμένοις συνόδου τῆς ἐν Ἐφέσῳ κέφ. ρμγ΄» («Questa lettera è inserita negli atti del sinodo di Efeso, capitolo 143»)95, ma in questo caso non siamo riusciti ad individuare la fonte da cui Sirleto trasse questa citazione, né possiamo escludere che sia stato lo stesso Sirleto l’autore di tale osservazione. Si può invece fornire qualche informazione aggiuntiva sul testo latino che Sirleto trascrisse di seguito nello stesso foglio, ovvero un passo del commento al Cantico dei cantici di Origene nella traduzione latina di Rufino di Aquileia96. Sirleto dice di trarre questo brano «Ex beati Hieronymi homilia 3, quam vertit ex Origene, car. 90», e, sulla base di questa indicazione, possiamo risalire al suo “antigrafo”: si tratta della ristampa del settimo tomo degli opera omnia di san Girolamo pubblicati nel 1525 da Froben a Ginevra97, in cui il passo copiato da Sirleto si trova esattamente alla pagina 90. Infatti, sebbene l’escerto provenga dal commento di Origene al Cantico dei cantici, nell’edizione Froben quest’opera è registrata come «Homilia tertia» all’interno delle «Origenis in Cantica canticorum homiliae quatuor» tradotte da Girolamo. La confusione è nata dal fatto che Girolamo tradusse effettivamente due omelie di Origene sul Cantico dei cantici98, ma il passo citato da Sirleto non si trova al loro interno. Marcello Cervini possedeva una copia degli opera omnia di Girolamo, che, al momento della redazione dell’inventario della biblioteca cerviniana oggi conservato nel Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 258r-330v, figurava tra i libri «prestati a diversi». Paola Piacentini ha identificato questo item con l’editio princeps uscita a Basilea tra il 1516 e il 152099, ma, siccome nell’inventario si parla solo di «S. Hieronymi opera omnia», è possibile che Cervini posse95 Infatti, la lettera cirilliana ad Eulogio è tramandata negli Atti del Concilio di Efeso. Questo passo in particolare si legge in ACO, I, 1, 4, p. 35 Schwartz. 96 ORIG., In Cantica Canticorum, II, 5: «Omnes sancti qui de hac vita decesserunt, habentes adhuc charitatem erga eos qui in hoc mundo sunt, si dicantur curam gerere salutis eorum, et iuvare eos precibus suis atque interventu suo apud Deum, non erit inveniens. Scriptum namque est in Machabaeorum libris ita: Hic est Hieremias propheta Dei, qui semper orat pro populo (2Macc 15, 14)» (cfr. ORIGÈNE, Commentaire sur le Cantique des Cantiques, introduction, traduction et notes par L. BRÉSARD – H. CROUZEL, Paris 1991-1992 [Sources chrétiennes, 375-376]). 97 Septimo tomo haec insunt: in parabolas Salomonis commentarii, in Ecclesiasten divi Hieronymi Stridonensis commentarii, Homiliae in Canticacanticorum quatuor Origenis nomine. Denique in Iob commentarii, Basileae, apud Ioannem Frob., 1525. 98 Cfr. ORIGÈNE, Homélies sur le Cantique des Cantiques, introduction, traduction et notes par O. ROUSSEAU, Paris 1954 (Sources chrétiennes, 37). 99 Cfr. PIACENTINI, La biblioteca cit., p. 180, F21. Su Cervini lettore dei classici si rimanda a R. MOUREN, La lecture assidue des classiques. Marcello Cervini et Piero Vettori, in Humanisme et Église en Italie et en France méridionale (XVe siècle – milieu du XVIe siècle), sous la direction de P. GILLI, Roma 2004 (Collection de l’École française de Rome, 330), pp. 433-463.

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desse non la prima stampa, ma una ristampa come quella frobeniana del 1525 o la parigina del 1546100. D’altra parte, non possiamo neppure essere sicuri del fatto che questo libro sia stato restituito alla biblioteca cerviniana e che Sirleto ne sia entrato poi in possesso: infatti, come sostiene la stessa Piacentini, «fino ad oggi non si è trovata nessuna documentazione in merito alla destinazione dei libri a stampa che facevano parte delle raccolte cerviniane»101. 3.2. Una possibile inedita traduzione sirletiana da Teocrito e due passi da Achille Tazio Come secondo esempio, il f. 447r contiene alcuni versi di Saffo (fr. 1 Voigt, 1-14, da Dionigi di Alicarnasso, De compositione verborum, 23) e delle Bacchides di Plauto, mentre sul verso, che è stato trascritto al contrario rispetto al recto e sul quale Sirleto ha anche apposto il suo nome («Goglielmo Sirleto»), vi sono tre testi che non sono ancora stati identificati. Il primo testo è in latino ed è la versione latina dell’inscriptio e dei versi 1-5 della Σύριγξ di Teocrito (Anth. Pal. XV, 12 = p. 256 Gow = 47 Gallavotti), nonché di alcuni scolii ai versi: Syrinx nomen habes canit pro canunt autem te metra sapientiae. O coniunx neminis idest Ulixis, mater autem Telemachi nutricis Iovis id est caprae Amalteae velocem peperisti directorem custodem Pana caprarum non cornigerum quem quondam nutrivit filia tauri apis quae habet patrem taurum sed reliquisti cuius urebat antea mentem finis scuti peperisti extra uterum, emisisti illum quem ardenter amabat extremitatem scuti, id est scutum, id est illum Pana bellicosum. cuius nomen pro specie totum ex duobus animalibus qui amore102.

Nel 1569 fu pubblicata l’edizione con traduzione latina e commento delle poesie di Teocrito, inclusa la Siringa, a cura di Jean Crispin103; tuttavia la traduzione di Crispin non corrisponde a quella di Sirleto. Quindi, questa prova di traduzione potrebbe essere stata realizzata da Sirleto stesso e non 100 Septimo tomo haec insunt: in parabolas Salomonis commentarii, in Ecclesiasten divi Hieronymi Stridonensis commentarii, Homiliae in Canticacanticorum quatuor Origenis nomine. Denique in Iob commentarii, Parisiis, apud Carolam Guillard, 1546. 101 PIACENTINI, La biblioteca cit., p. XXIII. 102 Segnaliamo in tondo i versi di Teocrito, in corsivo gli scolii tradotti. 103 Theocriti, Simmiae, Moschi et Bionis Eidyllia et epigrammata quae supersunt, omnia Graecolatina et exposita, Genevae, apud Crispinum, 1569-1570.

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avere rapporti con la versione di Crispin. Non è possibile però formulare altre ipotesi a riguardo. I due passi successivi, invece, provengono dal romanzo greco Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio. Questo romanzo riscosse un notevole successo nel Cinquecento: sebbene l’editio princeps del testo greco sia datata 1601104, già nel 1544 fu pubblicata la traduzione latina dei libri IV-VIII, curata da Annibale della Croce105 e poi ritradotta in italiano da Ludovico Dolce106; nel 1551 Francesco Angelo Coccio pubblicò la prima versione completa in volgare107 e nel 1554 Annibale della Croce realizzò la traduzione latina completa108. Inoltre, a proposito di personaggi che frequentavano la Curia romana nel Cinquecento, Fulvio Orsini (1529-1600) progettò un’edizione dei romanzieri greci e a lui appartennero i manoscritti di Achille Tazio Vat. gr. 1348, 1349, 1350109. I passi trascritti da Sirleto provengono, con alcune minime modifiche, da ACH. TAT., II 14, 7, e VI 10, 4-5: Ἡ Σικελικὴ πηγὴ κεκερασμένον ἔχει τὸ ὕδωρ πυρὶ· καὶ φλόγα μὲν κατόψει κάτωθεν ἁλλομένην ἄνωθεν· θιγόντι δέ τὸ ὕδωρ ψυχρόν ἐστιν οἷόνπερ χιών, καὶ οὔτε τὸ πῦρ ἀπὸ τοῦ ὕδατος κατασβέννυται οὔτε τὸ ὕδωρ ἀπὸ τοῦ πυρὸς φλέγεται, ἀλλὰ ὕδατός εἰσὶ ἐν τῇ κρήνῃ καὶ πυρὸς σπονδαί. (La fonte siciliana ha l’acqua mista a fuoco: puoi vedere la fiamma guizzare dal fondo verso l’alto, ma se la tocchi senti l’acqua gelida come la neve; l’acqua non spegne il fuoco, né il fuoco è fatto ribollire dall’acqua, ma è come se in quella fonte i due elementi avessero stipulato una tregua)110. 104 Achillis Tatii De Clitophontis et Leucippes amoribus lib. VIII, Longi Sophistae De Daphnidis et Chloes amoribus lib. IV, Parthenii Nicaeensis De amatoriis affectibus lib. I iterum edita Graece et Latine, Heidelbergae, ex officina Commeliniana, 1601. 105 Narrationis amatoriae fragmentum e Graeco in Latinum conversum L. Annibale Cruceio interprete, Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1544. 106 Amorosi ragionamenti. Dialogo, nel quale si racconta un compassionevole amore di due amanti, tradotto per Lodovico Dolce, da i fragmenti d’uno antico scrittor greco, Venetiis, Gabriele Giolito de Ferrari, 1546 (Edit 16 CNCE 195). 107 ACHILLE TATIO ALESSANDRINO, Dell’amore di Clitofonte, e Leucippe, nuouamente tradotto dalla lingua greca, Venetiis, Piero et fratelli de Nicolini da Sabio, 1551 (Edit16 CNCE 197). Su Francesco Angelo Coccio e questa traduzione si vedano P. PROCACCIOLI, Note e testi per Francesco Angelo Coccio, in La Cultura 27 (1989), pp. 387-417; N. BIANCHI, Achille Tatius édité et inédit au XVIe siècle, in Revue des Études Tardo-antiques 2 (2012-2013), pp. 43-50. 108 Achillis Statii Alexandrini de Clitophontis et Leucippes amoribus libri VIII e Graecis Latini facti a L. A. Cruceio, Basileae, per Ioannem Heruagium, 1554. 109 Cfr. N. BIANCHI, Fulvio Orsini e i romanzi greci. Una lista di scrittori di amatoria nel Vat. gr. 1350, in Quaderni di Storia 73 (2011), pp. 87-103; BIANCHI, Achille Tatius édité cit., pp. 50-52. 110 Traduzione adattata da ACHILLE TAZIO, Leucippe e Clitofonte, a cura di F. CICCOLELLA, Alessandria 1999 (Millennium, 2), p. 117.

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Περὶ Φήμης καὶ Διαβολής Ἡ Φήμη θυγάτηρ ἐστὶ Διαβολῆς. Καὶ ἔστι μὲν ἡ Διαβολὴ μαχαίρας ὀξυτέρα, πυρὸς σφοδροτέρα, Σειρήνων πειθανωτέρα (sic), ἡ δὲ Φήμη ὕδατος ὑγροτέρα, πνεύματος δρομικωτέρα, πτερῶν ταχυτέρα. Ὅταν οὖν ἡ Διαβολὴ τοξεύσῃ τὸν λόγον, ὁ μὲν δίκην βέλους ἐξίπταται καὶ τιτρώσκει μὴ παρόντα καθ’ οὗ πέμπεται· ὁ δὲ ἀκούων ταχὺ πείθεται, καὶ ὀργῆς αὐτῷ πῦρ ἐξάπτεται, καὶ ἐπὶ τὸν βληθέντα μαίνεται. Τεχθεῖσα δὲ ἡ Φήμη τῷ τοξεύματι ῥεῖ μὲν εὐθὺς πολλὴ καὶ ἐπικλύζει τὰ ὦτα τῶν ἐντυχόντων, διαπνεῖ δὲ ἐπὶ πλεῖστον καταιγίζουσα τῷ τοῦ λόγου πνεύματι καὶ ἐξίπταται κουφιζομένη τῷ τῆς γλώττης πτερῷ. (La Diceria e la Calunnia La Diceria è figlia della Calunnia. E la Calunnia è più appuntita di un coltello, più forte del fuoco, più persuasiva delle Sirene, mentre la Diceria è più insinuante dell’acqua, più agile del vento, più veloce di un paio di ali. Quando la Calunnia scaglia le parole dal suo arco, quelle volano via come frecce e colpiscono il loro bersaglio anche se non è presente. Ma chi le ascolta subito si convince: in lui si accende il fuoco dell’ira, e si infuria contro la vittima ferita. La Diceria nasce da quelle frecce: subito si riversa copiosa e sommerge le orecchie di chi la incontra; spira con estrema violenza scatenandosi al soffio della parola, e vola sollevata in aria dalle ali della lingua)111.

Il modello da cui Sirleto trasse queste citazioni sembra essere il codice Vat. gr. 114112, codice cartaceo del XIII secolo che contiene il romanzo ai ff. 53v-98v. Secondo l’edizione di Jean-Philippe Garnaud113, questo è l’unico manoscritto di Achille Tazio, insieme al Vat. gr. 914, a leggere in ACH. TAT., II 14, 7 ἀπὸ τοῦ ὕδατος anziché ὑπὸ τοῦ ὕδατος, ma il Vat. gr. 914 ha alcune lezioni che non permettono di identificarlo con l’antigrafo utilizzato da Sirleto (ad esempio, Ἡ Σικελικὴ πηγὴ κεκερασμένον ἔχει τὸ ὕδωρ πυρὶ : τὸ γοῦν τῆς Σικελῆς ὕδωρ κεκερασμένον ἔχει τὸ ὕδωρ Vat. gr. 914). 4. Conclusione In conclusione, questa serie di note conferma il giudizio dato da Santo Lucà sulle carte consegnate dagli eredi di Sirleto alla Vaticana, un «“mare magnum” pressoché inesplorato, che richiede sagacia e pazienza allo stu111

Traduzione adattata da ibid., pp. 274-275. Cfr. G. MERCATI – P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Codices Vaticani Graeci. Codices 1-329, Città del Vaticano 1923 (Cataloghi ed inventari di manoscritti, 14), pp. 140-142. Il codice è citato per la prima volta nell’inventario del 1475 dei codici greci della Vaticana; cfr. DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 49. 113 ACHILLES TATIUS D’ALEXANDRIE, Le Roman de Leucippé et Clitophon, texte établi et traduit par J.-PH. GARNAUD, Paris 1991 ( Collection des Universités de France, Budé. Série grecque, 342), p. 46. Cfr. anche ACHILLES TATIUS, Leucippe and Clitophon, edited by E. VILBORG, Stockholm 1955 (Studia Graeca et Latina Gothoburgensia, 15), p. 32. 112

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dioso che vorrà cimentarsi nel difficile compito»114. Data la quantità di opere e documenti di Sirleto ancora inediti, risulta spesso difficile ricostruire i collegamenti tra le carte vaticane e altri lavori sirletiani. Inoltre, la rilegatura moderna ha fatto sì che si perdesse qualsiasi ordine nella disposizione delle carte, non agevolando il lavoro dello studioso. Tuttavia, dall’analisi di questi testi si possono acquisire nuovi dati riguardanti la biografia (il maestro Vittorio Tarantino; l’arrivo di Sirleto a Roma), le opere (la traduzione del Metafraste, i lavori di ricerca in Vaticana svolti per conto di Marcello Cervini e Theodor Peltan) e le letture del “sapientissimo calabro” Guglielmo Sirleto115. 114

LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana cit., p. 166. Mutuo questo appellativo dal recente volume, già citato numerose volte, Il “Sapientissimo Calabro” cit. Si veda anche LUCÀ, Vittorio Tarantino cit., p. 311. 115

ABSTRACT Il Vat. gr. 1890 contiene un gruppo di carte che Guglielmo Sirleto lasciò in eredità alla Biblioteca Vaticana. Lo studio del manoscritto qui condotto consente di acquisire nuove informazioni a proposito della biografia (l’arrivo a Roma) e delle opere del celebre cardinale Bibliotecario (la collaborazione con Marcello Cervini, l’attività di traduttore per conto di Luigi Lippomano, l’aiuto prestato a Theodor Peltan per la versione latina degli Atti del Concilio di Efeso), nonché delle sue letture. The manuscript Vat. gr. 1890 contains a collection of papers that Guglielmo Sirleto bequeathed to the Vatican Library. This study of the manuscript reveals new historical information concerning Sirleto’s biography (his arrival in Rome) and works (his collaboration with Marcello Cervini, the translation activity he did on behalf of Luigi Lippomano, the assistance he gave to Theodor Peltan for the Latin version of the Acts of the Council of Ephesus), and finally the literary interests of the famous cardinal Librarian.

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NATURAL HISTORY ILLUSTRATIONS IN MICHAEL BOYM’S CHINESE ATLAS (BORG. CIN. 531) AND FLORA SINENSIS* ABSTRACT a p. 141.

This article explores the natural history illustrations in Michael Boym SJ’s (1612-1659)1 Magnum Cathay (Borg. cin. 531) and Flora Sinensis (Viennae Austriae 1656). When read together, these two works provide a fuller perspective for our historical understanding of the natural world in China, especially when the images that appear in both texts are compared. These texts provide details about the origins, cultivation, usage, and preparation of select plants and animals and thereby offer a new view on exotic botany2. Of particular importance is the close connection between the illustrations of these two works, which comprise a central aspect of * I would like to thank Alexandra Cook and Dániel Margócsy for their comments. I would also like reconise the generous funding I received from the Hong Kong PhD Fellowship and the Louis Cha Fellowship for the Visiting Student Program at the Department of History and Philosophy of Science at the University of Cambridge (January-March 2020). Finally, I would like to thank my English, Chinese, and Latin editors: Marie-Josée Sheeks, Sandy Wan Sen Ying, and Judit Babcsányi, as well as for the editorial staff of the Vatican Library for their thorough and generous assistance. 1 Many articles and several books exist about Michael Boym SJ. The following publications include only those comprehensive writings which are the most quoted in studies on Michael Boym: R. CHABRIÈ, Michael Boym Jésuite Polonaise et la Fin des Ming en Chine (16461662). Contribution à l’histoire des Missions d’Extrême-Orient, Paris 1933; B. SZCZESNIAK, The Writings of Michael Boym, in Monumenta Serica 14 (1949-1955), pp. 481-538; E. KAJDANSKI, Michael Boym’s Medicus Sinicus, in T’oung Pao 73 (1987), pp. 105-119; L. POLGÁR, Bibliographie sur l’histoire de la Compagnie de Jésus 1901-1980, III/1, Roma 1990; E. MALATESTA, The Tragedy of Michael Boym, in Images de la Chine. Le contexte occidental de la sinologie naissante, actes du VIe colloque international de sinologie de Chantilly, 11-14 septembre 1989, Taipei – Paris 1995, pp. 353-370; Special Section on Michael Boym in Monumenta Serica 59 (2011). For recent publications about Michael Boym see G. POMATA – M. HANSON, Medical Formulas and Experiential Knowledge in the Seventeenth-Century Epistemic Exchange between China and Europe, in Isis 108 (2017), pp. 1-25; Il gesuita Michaá Boym nella Cina del Seicento, a cura di D. CONTIN – L. TONGIORGI TOMMASI, Sansepolcro 2018; N. GOLVERS, Two New Letters from Michael Boym, SJ in Europe (1656; 1658), and the Editorial Dossier of his Various European Works on China, in Symbolae Philologorum Posnaniensium 29 (2019), pp. 107-116. 2 B. SCHMIDT, Inventing Exoticism: Geography, Globalism, and Europe’s Early Modern World, Philadelphia 2015; M. J. CRAWFORD, The Andean Wonder Drug: Cinchona Bark and Imperial Science in the Spanish Atlantic World, 1630-1800, Pittsburgh 2016. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 115-141.

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my research3. By means of this analysis, it is possible to reposition the overlooked Boym in early-modern European natural history and see him as someone who, instead of searching for unrecorded plants, provided complex botanical and zoological information about plants and animals which were already known to the European public. Furthermore, Boym’s presentation of species can be considered in terms of their commercial utility within the realm of economic botany. Thus, it becomes clear that the Jesuits acted as much as economic agents as they did as missionaries4. Boym was one of the first Western authors to study Chinese flora in order to illustrate not just the origins but even more the applications of these goods in medicine and everyday life by indicating their exact provenance. Michael Boym’s first book, Briefve Relation de la notable conversion des personnes royales et de l’estat de la religion chrestienne en la Chine (Paris 1654)5, contains a description of his legation as ambassador to the Southern Ming Dynasty and also of his original plan to publish different works. In this list one can recognise the ideas in nuce of the forthcoming Flora Sinensis and the manuscript containing the Magnum Cathay: III. Fructus et Arbores quae in Regnis Sinarum tantummodo aut in sola India Orientali reperiuntur, depicti cum brevi descriptione suarum proprietatum. (III. The fruits and trees which can only be found in the Chinese Empire of Eastern India, depicted with a short description of their special character). VII. Mappa Imperij Sinarum, quod olim vocabatur Serica, et magnum Cathay cum summaria dilucidatione earum rerum quae spectant ad Regna Sinarum, sinicis ac Europaeis characteribus impressa. (VII. The map of the Chinese Empire once called Serica and the large region of Cathay with a summarized exposition of the things pertaining to the Chinese Empire, written down with Chinese and European letters)6. 3 The interdisciplinary research I am conducting as a Ph.D. candidate at the Fine Arts Department at The Hong Kong University is on the visual material in Michael Boym’s works, including printed books and manuscripts. 4 D. BLEICHMAR, Visible Empire, Botanical Expeditions and Visual Culture in the Hispanic Enlightenment, Chicago 2012; E. SPARY, Of Nutmegs and Botanists: the Colonial Cultivation of Botanical Identity, in Colonial Botany: Science, Commerce, and Politics in the Early Modern World, edited by L. SCHIEBINGER – C. SWAN, Philadelphia 2005, pp. 187-203. 5 Briefve relation de la notable conversion des personnes royales, et de l’estat de la religion chrestienne en la Chine. Faicte par le tres R.V. Michel Boym de la Compagnie de Jesus, envoyé par la cour de ce royaume la en qualité d’ambassadeur au S. Siege Apostolique, et recitee par luymesme dans l’eglise de Smyrne, le 29 septembre de l’an 1652, Paris, chez Sebastien Cramoisy, imprimeur ordinaire du Roy et de la Reyne, et Gabriel Cramoisy, M.DC. LIV. Avec privilege de sa Maiesté. 6 Ibid., pp. 72-73.

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The resulting atlas, Magnum Cathay7, is now preserved in a manuscript at the Vatican Library (Borg. cin. 531). A recent study by Nöel Golvers sheds light on Boym’s effort to publish the atlas in Amsterdam8. On the first folio there appears this title: Magni Catay Quod olim Serica, et modo Sinarum est Monarchia. Quindecim Regnorum. Octodecim geographicae Tabulae. It is an atlas of China containing one large map of the country, measuring 85.5  82 cm, which can be unfolded9. This is followed by seventeen smaller maps, arranged according to the administrative divisions of the Ming Dynasty: fifteen provinces and two special territories, Liaodong and Hainan10. Each of these smaller maps is 31  43 cm. The manuscript was composed between 1652-1655, during Boym’s stay in Europe before the publication of his Flora Sinensis. Each page contains drawings of different kinds, including portrayals of plants, flowers, animals, and crosses, as well as of Chinese rulers and military leaders performing various activities. Boym comments on these drawings in the section Ad Lectorem as follows: Addidimus etiam muschi animalis et avium regiarum pulcherrimam Fum huam, Rhabarbari radicis sinicae et gingiberis genuinas imagines quod illis rebus Sinarum terrae abundent, cruces quoque quae fuerunt repertae cum […]. (We have also added some accurate pictures of the musk deer and the most beautiful royal birds Fum huam and of the Chinese rhubarb root and of ginger, because the land of China abounds in these, and also crosses which have been found [...])11.

In addition to these images there are astronomical symbols on the map 7

The nominative form Magnum Cathay, often misquoted in the secondary literature, features on f. 2r: «Utrum antiqua Serica, et Magnum Cathay fuerit Sina, et unde nomen Sinarum». 8 For further information see N. GOLVERS, Two New Letters from Michael Boym, SJ in Europe (1656; 1658), and the Editorial Dossier of His Various European Works on China, in Symbolae Philologorum Posnaniensium Graecae et Latinae 29, 1 (2019), pp. 107-116. The atlas has been published in a smaller format in Chinese, see卜弥格文集 – 中西文化交流与中医西 传,上海 2010, pp. 196-243. 9 The manuscript is digitized on Vatican Library’s website, permalink https://digi.vatlib. it/view/MSS_Borg.cin.531. 10 There are other two Chinese maps by Boym, which I do not discuss in this article. For further information see B. SZCZESNIAK, The Mappa Imperii Sinarum of Michael Boym, in Imago Mundi 19 (1965), pp. 113-115 and ID., Maps of China by Michael Boym, in Études d’histoire de la géographie et de la cartographie, Warsaw 1973, pp. 141-146. According to Szczesniak the map «should be dated 1652, the year Boym arrived in Italy as an ambassador of the Ming Pretender Yung Li». 11 Borg. cin. 531, f. 3r, at the bottom right. The end of the sentence was lost, together with its material support.

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of each province and a list of the metals locally available such as gold, silver, iron or salt. This information added commercial value to the more general geographical representation of China12. Although earlier articles on the Magnum Cathay, which are rich in information, described these side drawings as “graceful pictures”, here I will focus precisely on those drawings of plants, flowers, animals and figures that, when scrutinised, reveal Boym’s original intention and confirm his progressive thinking which was not always understood by his contemporaries13. Nathan Sivin and Gari Ledyard have said that «some maps are geographic, but cartography is culture»14. Following this approach, my focus will be on contextualising the images in the Magnum Cathay in a cultural realm, in which maps are used not only for geographic orientation but also for other types of knowledge transmission. The circulation of knowledge was an important challenge for European natural philosophers, who had to adopt novel ways of assimilating newly arrived commodities, a process that fundamentally destabilised the authority of scholastic knowledge15. Previous notions of the extent of nature were undermined by the knowledge of new species16. The actors responsible for bringing knowledge of these newly discovered or rediscovered worlds, such as the Americas and the Far East, were travellers. They were asked to transmit depictions of landscapes, flora, animals, and other as12 The publication of a general overview on European maps of China is forthcoming in 2021; for further information see M. CABOARA, Regnum Sinicum, Historical Introduction and Cartobibliography of European Printed Maps of China, 1584-1735, Leiden – Boston, in press. 13 Other articles on Magnum Cathay are as follows: W. FUCHS, A Note on Father M. Boym’s Atlas of China, in Imago Mundi 9 (1952), pp. 71-72; ID., The Atlas and Geographic Description of China: a Manuscript of Michael Boym (1612-1659), in Journal of the American Oriental Society 73 (1953), p. 65; ID., Maps of China by Michael Boym, in Etudes d’histoire de la géographie et de la cartographie (1973), pp. 141-146; N. GOLVERS, Michael Boym and Martino Martini: Contrastive Portrait of Two China Missionaries and Mapmakers, in Monumenta Serica 59 (2011), pp. 259-271. 14 N. IRVIN – G. L. SCOPE, Introduction to East Asian Cartography, in History of Cartography, edited by B. HARLEY – D. WOODWARD, II, Chicago 1994, p. 23. 15 Merchants and Marvel. Commerce, Science, and Art in Early Modern Europe, edited by P. SMITH – P. FINDLEN, New York 2002; Colonial Botany, Science, Commerce, and Politics in the Early Modern World, edited by L. SCHIEBINGER – C. SWAN, Philadelphia 2005; P. FINDLEN, Anatomy Theaters, Botanical Gardens, and Natural History Collections, in The Cambridge History of Science. Early Modern Science, III, edited by K. PARK – L. DASTON, Cambridge 2006; A. G. COOK, Plant Science and Technology: Managing seventeenth- and eighteenth-century plant data, in A Cultural History of Plants in the Seventeenth and Eighteenth Centuries, edited by J. MILAM, London, in press. 16 A. ARBER, Herbals: Their Origin and Evolution. A Chapter in The History of Botany, 1470-1670, 3rd edition, Cambridge 1986; K. M. REEDS, Botany in Medieval and Renaissance Universities, New York – London 1991.

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pects of interest. Recently, some of these visual descriptions have become the topic of analysis17, and research on the relation between art and science has become a rich interdisciplinary field which has opened many doors for further studies18. These are the dynamics within which I will place Boym’s illustrations. Boym’s other work, Flora Sinensis, fructus floresque humillime porrigens, serenissimo et potentissimo principi, ac domino, domino Leopoldo Ignatio, Hungariae regi florentissimo, & c. fructus saeculo promittenti augustissimos, emissa in publicum a r. p. Michaele Boym, was published in 1656 at the typis Matthaei Rictij in Vienna after Boym had already left Europe19. It was dedicated to the King of Hungary and the Archduke of Austria, Leopold Ignatius (1640-1705) who was known to be a supporter of the Society of Jesus20. The Flora Sinensis is one of the first European natural history books about China, containing a collection of visual and written description of plants and animals. On one page, the plant is represented in whole, while next to it, the fruit is shown in cross section, accompanied by its Chinese name in characters, its Latinised form, and finally its Latin name. On another page, a description provides information about the plant’s cultivation, time of harvesting, taste, economic value and medicinal uses. The twenty-three illustrations are etchings, in most copies hand-coloured, which, similarly to traditional botanical illustrations, show the plants in whole and in parts. Their high quality, by the standards of the era, made this book particularly sought after. While earlier studies have been eager to find novelties in the book, my 17 K. SLOAN, A New World, England’s first view of America, Chapel Hill 2007; K. TODD, Chrysalis, Maria Sibylla Merian and the Secrets of Metamorphosis, Orlando – New York – London 2007. 18 The Jesuits, Cultures, Sciences and Arts, 1540-1773, edited by J. W. O’MALLEY – G. A. BAILEY – S. J. HARRIS – T. F. KENNEDY, Toronto 1999; B. M. STAFFORD, Artful Science: Enlightenment Entertainment and the Eclipse of Visual of Visual Education, Cambridge 1996; Beyond Mimesis and Convention: Representation in Art and Science. Boston Studies in the Philosophy of Science, edited by R. FRIGG – M. HUNTER, London 2010; Thinking About Science, Reflecting on Art, Bringing Aesthetics and Philosophy of Science together, edited by O. BUENO – G. DARBY – S. FRENCH – D. RICKLES, Abington 2017. 19 The exemplar which I relied on for the comparison is the Stamp. Chig. II.881 of the Vatican Library (published images are taken from this exemplar). 20 The book was published in a CD-ROM format by Harald Fischer Verlag in 2003, with an introduction and translation into German by Hartmut Walravens; see also the Polish historian Monika Miazek’s book: M. MIAZEK, Flora Sinensis Michaáa, Gniezno 2005. The most recent publication is a facsimile edition of Flora Sinensis enriched with studies in Italian language: Flora Sinensis, Una Nuova Natura The Jesuit Michaá Boym in Seventeenth-Century China, a cura di D. CONTIM – L. T. TOMMASI, Sansepolcro 2019.

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approach is to place the Flora Sinensis within a contextualised process of knowledge accumulation, so that Boym’s choices become meaningful21. The illustrations are integral to this approach, making it also possible to grasp the reasons why the depicted plants or animals that derive from a common model are present both in the Flora Sinensis and in the Magnum Cathay. The ten illustrations indeed show Boym’s intention to indicate the exact province of China where these animals were typically located and plants cultivated on the Chinese map. Boym’s selection of plants and animals in the Flora Sinensis shows a contemporaneous view of the time when the products of the Columbian Exchange had already been domesticated in China and Southeast Asia, and therefore he shifted his focus from native plants to those which were then available22. His orientation therefore was towards ambiguous or unknown details of plants and animals that were already familiar. These goods were often luxury items with a high commercial value. Consequently, information regarding how to identify the geographic location where they were cultivated and how they were used locally represented important knowledge with commercial implications. His family background — partly embedded in the world of medicine but also in commerce and related interests — is constantly present in the book. For example, while he often emphasised the medical applications of these goods, he gave as much importance to their economic usefulness and value23. The Magnum Cathay focuses on China geographically, yet it contains different kinds of details in natural history. In addition to botany, zoology, and mineralogy, Boym’s interest in Chinese traditional medicine is also present as some of the illustrated plants are used as medicine. For example, the beautiful lotus flower (lianhua, 蓮花; fig. 1) depicted on the map of Guangdong is known to stop haemorrhage, reduce headaches and for its calming properties. Next to the drawing, the annotation confirms that it is a highly prized flower in China and that it is found in abundance in Guangdong province. Indeed, it is included in the popular illustrated Chinese pharmacopeia of Li Shizhen (1518-1593), the Ben cau gang mu (Compendium of Materia Medica, 本草綱目). Boym was learning about Chinese medicine and pharmacopeia from original sources. In his writings, he translated some important Chinese medical texts, and annotated them to make them understandable to Euro21

H. WALRAVENS, Flora Sinensis Revisited, in Monumenta Serica 59 (2011), pp. 341-352. A. W. CROSBY, Columbian Exchange: Biological and Cultural Consequences of 1492, 30th Anniversary Edition, Greenwood 2003. 23 S. CIEÙLAK, The Boym Family in Lwów, in Monumenta Serica 59 (2011), p. 219. 22

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pean audiences24. This method of transmitting indigenous knowledge also involved a major challenge that had to be overcome, such as translating the Chinese names and interpreting the Chinese logic underlying these medical practices25. Boym’s appreciation of Chinese medicine is obvious by reading his impassioned description about a book that he was planning on the subject: Medicus Sinicus seu singularis ars explorandi pulsum et praedicendi et futura symptomata, et affectiones agrotantium a multis ante Christum seculis tradita, et apud Sinas conservata; quae quidem ars omnino est admirabilis et ab Europea diversa. (The Chinese Doctor, i.e. the unique art of testing the pulse and predicting also the future symptoms and conditions of the sick, an art which has been handed down since centuries BC and thus preserved by the Chinese; this art is absolutely wonderful and different from European medicine)26.

Today, Boym’s work is more relevant than ever. As Kapil Raj indicated in Relocating Modern Science, historians have turned their studies of the construction of knowledge from “local” sites to spaces of circulation27. Boym is a perfect actor within this perspective. Indeed, he adapted his practice and interest from one place to another depending on the circumstances. This also marks an important difference between the Magnum Cathay and the Flora Sinensis. While the first contains only plants and animals native to China, the second, as mentioned above, is a contemporary selection of available plants and animals. Reading his works together, one can gain an understanding of a global network which connected Europe, South America, Africa, and Southeast China. While China remained his main interest, the information he collected also related to the other 24 Two books on Chinese medicine related to Boym are Specimen medicinae sinicae, sive opuscola medica ad mentem Sinensium, edidit A. CLEYER, Francofurti, sumptibus Joannis Petri Zubrodt, 1682 and Clavis medica ad Chinarum doctrinam de pulsibus, auctore R. P. Michaele Boymo, Norimbergae 1686. There are ongoing discussions regarding the authorship of Specimen medicinae sinicae. For further readings see M. HANSON – G. POMATA, Medicinal Formulas and Experiential Knowledge cit., pp. 1-25. 25 B. A. ELMAN, On Their Own Terms, Science in China 1550-1900, Boston 2005. For further readings on Chinese logic and science, see also D. SCHÄFER, The Crafting of the 10,000 Things: Knowledge and Technology in Seventeenth-Century China, Chicago 2011. For further readings on the history of Chinese pharmacopoeias, see H. BIAN, Know Your Remedies, Pharmacy & Culture in Early Modern China, Princeton 2020; for a general overview, see P. UNSCHULD, Traditional Chinese Medicine, Heritage and Adaptation, New York 2018. 26 BOYM, Briefve relation cit., p. 73. 27 K. RAJ, Relocating Modern Science: Circulation and the Construction of Knowledge in South Asia and Europe, 1650-1900, New York 2007.

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places he had explored. Indeed, his wide range of interests made him an open-minded traveller who was keen on collecting visual and literary indigenous knowledge from China and elsewhere, as well as on translating and enriching it with information relevant to European audiences. In the paragraphs that follow, I present a close analysis of ten illustrations of exotic plants and animals that reveals the immediate connection between Boym’s Magnum Cathay and Flora Sinensis through a common model of depictions. Boym intended to indicate the exact province of China where these animals were typically located and plants cultivated. The Polish missionary was not searching for novelty but sought to enrich western knowledge about already known goods. The Magnum Cathay, when read together with Flora Sinensis, helps to better understand how Michael Boym, as a scholar of natural history, used visual depictions as a vehicle to deepen the knowledge of his contemporaries on botany and zoology of China. In this way, not only will Boym’s importance for our understanding of early-modern European natural history become clear, but it will also show the close relationship between the two works and draw attention to his priorities and intentions when presenting this information to a European audience already familiar with many of these species.

Fig. 1 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. cin. 531, f. 19r, Quamtum (Guangdong, 廣東) province with lotus flower.

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Following the order of the atlas, the first image which appears in both of the works is the leopard (fig. 2). Besides other illustrations of the emperor on the same page, the animal appears on the bottom left part on the map of Beijing (Borg. cin. 531, f. 4r). The ink drawing, left uncoloured, was made on a different paper which was then glued onto the map. It is accompanied by a note: Tygridis est species (Pao Hiuen Sinice dicitur) pellem, sed praecipue pulcherrimam ejus caudam in pretio habent. ([This is] a leopard species (called ‘Pao Hiuen’ in Chinese). Its fur, but above all its beautiful tail, is held very precious)28.

The animal is surrounded by mountains which were executed after the drawing had been glued to the map, as the lines of the mountains continue uninterrupted on the two parts of the paper. The tiger is facing left, while it appears in the opposite position in the Flora Sinensis, where it is also the last to be shown (fig. 3). The fact that the Latinised form of its Chinese name and its Latin name — present for all of the other illustrations — are missing suggests that the publisher had lacked the time to finish the book as he planned. While the other animals barely have a surrounding scene, this leopard is sitting on a riverside, presiding over a Chinese landscape. Many observations can be made here: most importantly, the artist used engraving and etching simultaneously for the illustration which was hand-coloured in a later step in the examined exemplar. To find the drawing which acted as the prototype, we can look at the leopard on the map, which is shown in the opposite direction; thus it is the positive image of the printed one, a necessary confirmation of a prototype. While the two leopards are identical in shape, their surroundings are different. The natural scenery by which the leopard is surrounded in the Flora Sinensis suggests that here the source was a Chinese scroll painting or a richly illustrated Chinese book, such as the Treatise on Lei Gong’s Methods of Drug Preparation (Lei gong pao zhi lun, 雷公炮炙論). Chinese books on natural history usually had the illustration of the leopard without any contextualisation as can be seen for example in Ben cao gang mu (本草綱目). While Chiara Bocci suggested the illustration in the Ben cao gang mu as a possible source, the landscape with the soaring branches of the pine tree, the river, brownish rocks, and green, hilly riverside all suggest another source which still remains to be found29. 28

Borg. cin. 531, f. 4r. C. BOCCI, The Animal Section in Boym’s (1612-1659) Flora Sinensis: Portentous Creatures, Healing Stones, Venoms, and Other Curiosities, in Monumenta Serica 59 (2011), p. 366. 29

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The text about the leopard immediately follows the description of the mongoose in the Flora Sinensis, which is a few pages before the illustration itself. It reveals information about its habitat, notes that it is less ferocious than the tiger, and finally that it is a highly esteemed good in China. Among Boym’s reasons for including the leopard was no doubt the fact that it had an important economic value.

Fig. 2 – Borg. cin. 531, f. 4r, Beijing with the leopard.

Fig. 3 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, Viennae Austriae 1656, plate II, leopard.

In analysing the next drawing found in both works, we must clarify a longstanding misinterpretation. The phoenix was a mythical bird in Europe, but Boym never used the name phoenix to identify its Chinese counterpart, the fum hoam. Indeed, these are two different mythical animals from two different cultures. In the China monumentis Athanasius Kircher cited Boym’s text, and it remained fum hoam30. However, in current secondary sources instead of using the Chinese name, scholars simply designate it as the phoenix. It is important to note the difference between the two birds when consulting primary material from the seventeenth century as they refer to two different animals and represent the different meanings they carried at that time. On the bottom left part of the map of Liaodong province, there is a bird (fig. 4) with a note next to it which reads: 30

Athanasii Kircheri e Soc. Jesu China monumentis, qua sacris, qua profanis, nec non variis naturæ et artis spectaculis, aliarumque rerum memorabilium argumentis illustrata, Amstelodami, apud Johannem Janssonium à Waesberge & Elizeum Weyerstract, 1667, pp. 195196.

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Fig. 4 – Borg. cin. 531, f. 6r, Leaotum (Liaodong,遼東) province with the fum hoam.

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Fig. 5 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, p. K1v, fum hoam.

Fum hoam aves regiae apud Sinas aestimatae, in Leao tum plurimae nascuntur. Imperatores et magistratus Sinarum in humeris et pectore depictas auro pro insignibus deferre solent. (The birds ‘fum hoam’ are highly esteemed in China, many are born in Leao tum. The Emperor and the magistrates of China usually wear golden pictures of them on their shoulders and chest as badges of honour)31.

In the Flora Sinensis, Boym calls it the royal bird, and according to him, the Latinised version of the Chinese name 鳳凰 is fum hoam (fig. 5). Today it is transliterated fenghuang, the mythical bird of China. At some point, it began to be identified with the phoenix, a mythical bird of Europe. In fact, most natural philosophers of Early Modern Europe, such as Ulisse Aldrovandi (1522-1605) or Conrad Gessner (1516-1565) included the phoenix in their books about animals32. Yet, the name Boym gave to it was that of “royal bird”. He knew about the phoenix and its corresponding European myths. Thus, he could have easily exchanged or identified the fenghuang with the phoenix. By not doing so, he was pointing to a difference between the two birds that should be noted accordingly. There are two royal birds in the Flora Sinensis, the male which is called 31

Borg. cin. 531, f. 6r. Ulyssis Aldrovandi Ornithologiae hoc est de avibus historiae, Bononiae, apud Nicolaum Tebaldinum, 1646, lib. 12, cap. 28 (De Phoenice), pp. 816-832; Conradi Gesneri medici Tigurini Historiae Animalium, III, Tiguri, apud Christ. Froschoverum, 1555, pp. 611-614 (De avium natura). 32

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Fig. 6 – Borg. cin. 531, f. 7r, Xan Sy (Shanxi, 山西省) province with a musk deer.

‘feng’ and the female ‘huang’. On the map, only the feng is present, which is coloured, and the distinctive protuberance at the neck is the same for both. The colouring is similar, with a red upper and yellow lower part and with a rich pattern on the wing. The head however, seems to be slightly different. The engraver, whose name remains Boym’s unknown, had to work using a prototype of a bird he had never seen. As was common at that time, engravers tended to rely on familiar things to substitute unclear or unknown details33. Boym in the Flora Sinensis compared the head of the royal bird to the head of the peacock, which may have guided the engraver. Both birds are standing on the ground, which probably reflected the drawing that 33

D. MARGÓCSY, How One 17th-Century Artist Produced a Good Painting of an Animal He’d Never Seen, in Slate Vault, November 21, 2014, available at https://slate.com/humaninterest/2014/11/history-of-animals-in-art-rubens-hippo-painting-and-accuracy.html (accessed on 4 April 2020).

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Fig. 7 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, p. K2v, musk deer and cobra.

the engraver received. This also suggests that the drawings that arrived in Vienna were exact copies of the ones in the Magnum Cathay. If this is the case, these drawings can be read as prototypes. The engraver then faithfully followed their shapes and colours, and, when he was not satisfied with the drawing, relied on the text. Another example is the musk deer (shexiang, 麝香) which is placed on the map of the northwest province of Shanxi (fig. 6) and which is also found not only in the Flora Sinensis (fig. 7) but also in the last part of Boym’s Specimen medicinae sinicae (Francofurti 1682), the Medicamenta Simplicia, in which 289 Chinese drugs are listed and briefly described34. Here again, we can see a commodity already known in Europe. The musk deer’s scent glands were highly valued by consumers and were fa-

34

Cfr. https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8623308c/f220.image, accessed on 3 April 2020.

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Fig. 8 – Stamp. Barb. X.I.46, Martino Martini, Novus Atlas Sinensis, Amsterdam 1655, between pages 42 and 43, Xensi (Shaanxi, 陝西省) province with musk deer.

miliar to Europeans since the time of Marco Polo35. Musk was also used as a medicinal substance in Chinese pharmacology, which explains why it is found in the Medicamenta Simplicia. The short description says that its taste is bitter, that it heals any kind of illness, and that it also kills insects. The text which accompanies the illustration in the Flora Sinensis lists the different names used by the Portuguese and the Chinese, its high commercial value, and its use in Chinese medicine. The two drawings are mirror images of one another: the one in the Magnum Cathay looks to the right, while the one in the Flora Sinensis faces left. The drawing of the musk deer was made on a separate paper and glued onto the map in a later step, a practice which is repeated elsewhere in the Magnum Cathay. Both illustrations show the two front canine teeth of the animal. The position of the animal — with its muzzle pointing towards the ground — as well as its proportions and protruding canine teeth are identical to the illustration of the musk deer that appears in the left corner of Xensi province in Martino Martini’s (1614-1661) Novus Atlas Sinensis (fig. 8). Another similar image is found in the China Illustrata by Athanasius 35 For further readings on the musk deer, see P. BORSCHBERG, The European Musk Trade With Asia in The Early Modern Period, in The Heritage Journal 1 (2004), pp. 1-12; K. KLEUTGHEN, Exotic Medicine: How Ignatius Sichelbart’s Painting of a Musk Deer Appeared in the Philosophical Transactions, in Orientations 50, 6 (2019), pp. 103-109; and also https://scholar. harvard.edu/goeing/objects-medical-collections-musk-asg, accessed on 30 March 2020.

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Fig. 9 – Borg. cin. 531, f. 8r, Xan Sy (Shaanxi, 陝西省) province with rhubarb.

Kircher (1602-1680), the Jesuit father who taught Martino Martini. Kircher relied to a great extent on Boym’s Flora Sinensis in describing the Chinese flora and fauna in his widely circulated book about China which was published in Amsterdam in 166736. Given that all three of them used the same illustration, we can infer that images and texts circulated between them. Chronologically, Boym’s map came first, as it is dated 1652, indicating that it was possibly his drawing which served as a model. It is hoped that further confirmation will come in due course. Another example is that of rhubarb, a plant which appears on the map of Shen xi province, known to have the best rhubarb (fig. 9). The drawing shows a fresh green specimen which matches the lower illustration of rhubarb in the Flora Sinensis, where it is shown in both its dried and fresh forms and is accompanied by a one-page description (fig. 10). In Chinese 36

Athanasii Kircheri e Soc. Jesu China monumentis cit., between p. 190 and p. 191.

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Fig. 10 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, f. H2v, rhubarb.

medicine, it is used to treat digestive problems such as constipation, diarrhoea, and stomach pain. The plant was known in Europe since antiquity and appears in writings from Dioscorides to Pliny the Elder. Marco Polo mentioned that it grows in «great abundance» and that merchants bring it to all parts of the world37. Europeans began trading rhubarb very early, but they did not know exactly 37

Cfr. M. O. ROMANIELLO, True Rhubarb? Trading Eurasian Botanical and Medical Knowl-

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where it came from and opinions about it varied. At that time, it was used more for its medicinal properties and it was only later (in the eighteenth century) that it started to be used in cooking. In fact, it was the root — not the edible stem — of the plant which was sought after because Europeans knew about the effects of the root. In fact, some of its varieties were grown in Europe. Nevertheless, Boym provided the first image of Chinese rhubarb. This illustration and the description in the Flora Sinensis not only provided first-hand information but also revealed the Chinese way of using it in both fresh and dried forms. This manner of representation, just as his use of Chinese characters, positioned Boym as an authority who collected data in situ. It was the common practice of botanists and zoologists at the time to have a model of a dried specimen which they portrayed as a fresh one in their drawing38. In the descriptive part, Boym mentions that winter is the best time to harvest the root. While the plant puts out its first leaves in early spring, the potency of the root is at its maximum when collected in winter. He adds the Chinese name, Tay huam 太黄, which today is written 大黄. Later on, this information was copied and reused verbatim by the famous Jesuit scholar, Athanasius Kircher in his China monumentis (Amsterdam 1667). Beside the important information in the Flora Sinensis about its origins and the usage of rhubarb in China, the Magnum Cathay orients the reader to Shen xi province, providing a geographical location for the plant as well. This confirms that Boym’s intention was to look for local information that was unknown to his European audience. After rhubarb, the hairy turtle on the map of Honan province is placed again in the bottom left corner (fig. 11). The coloured animal is drawn directly on the map against a background of a small landscape with hills, in front of some sort of tree trunks or stems, and in the water from which the turtle is looking up. It is a graceful drawing with the head and shell of the hairy turtle being especially elaborate (simplified, by contrast, in the Flora Sinensis, fig. 12). The hair on the forelimbs seems not to be a separate part of the animal, which might have confused the engraver. The text next to the hairy turtle says: Alata testudo sinice Lomao quey vocatur virides, et interdum caeruleas alas habet, gradum tardissimum volatu, aut potius quodam saltu extensis pedium alis compensat. edge in The Eighteenth Century, in Journal of Global History 11 (2016), pp. 3-23; and also C. M. FOUST, Rhubarb, The Wondrous Drug, New Jersey 1992. 38 We know that Boym had drawn the hippopotamus from his own observation of one in his writing about Kafraria (Mozambique). This drawing was also used in Flora Sinensis, f. L2v. Cfr. Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), Goa 34, I, ff. 150-160.

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Fig. 11 – Borg. cin. 531, f. 9r, Ho Nan (Henan, 河南) province with the green haired turtle.

(Hairy turtle, called ‘Lomao quey’ in Chinese, is green and sometimes has blue forelimbs. It compensates for its slow steps with a flying or rather some kind of jumping movement of its extended limbs)39.

Chiara Bocci has already noted the discrepancy between the transliteration of the character 毛 in the text (meo) and on the image (mâe) in the Flora Sinensis. She suggested that the cause could be either that the two of them were made at different times or that the engraver made a mistake40. On the map, however, there is a third transliteration of the same character (maó), meaning that this issue remains unanswered for now. As mentioned above, the image in the Flora Sinensis, which is a simplified version of the drawing of the hairy turtle, appears on the map along with the Sum xu on the same page, where it appears that the Sum xu is trying to catch it. Other animals and plants are depicted on the same page too, but the reason for this has not yet been ascertained. They may have been placed on the same page by Boym, by the publisher, or by the Jesuits in Vienna, each of whom would have had a different reason for doing so. The next image is extremely important becasue it again confirms that Boym was not searching for novelties but for essential information about 39 40

Borg. cin. 531, f. 9r. BOCCI, The Animal Section in Boym’s (1612-1659) Flora Sinensis cit., p. 367.

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Fig. 12 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, f. Lv, Sum xu and the hairy turtle.

plants which had relevant commercial value. The drawing of ginger, Zin— giber officinale — Sinice Sem Kìám (shengjiang, 生姜) — is shown at Fujian province, a territory in the eastern part of China known for its ginger (fig. 13). The same image is repeated in the Flora Sinensis (fig. 14), visually guiding Boym’s reader from the map to the book in order to learn more about its cultivation, harvest and medicinal usage in China: Apud Indos in Dabul, Bengala, Brasilia, & apud Sinas optimum & in maxima Copia producitur […]. Medici Sinenses Zingibere utuntur in Medicinis, & quem aegrorum sudare volunt, aquam cum illo decoctam ferventem ab Bibendum propinant. Qui fecum radicem defert, creditur posse esse, immunis a morbis artericis. Qui autem jeiunus ex illo aliquid sumit, liber a veneno illo die esse putatur. Vulgo Conservam ex illo conficiunt, quam morbis ventriculi frigidis inservire est exploratum.

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(It grows best and most abundantly in India, in Dabul, Bengal, Brazil and in China. It is considered better for it to be green all year [...]. Chinese doctors use ginger as a medicine; they give patients hot water boiled with ginger to drink when they want to sweat. They believe a person carrying ginger around with him is able to be immune from gout41. And a person fasting and eating some of it is believed to be poison free that day. Usually they preserve it, and it is tested to cure cold stomach diseases)42.

Fig. 13 – Borg. cin. 531, f. 12r, Fokien (Fujian, 福建) province with ginger.

Boym relied on Yang Shouzhong’s Shen Nong Ben Cao Jing (The Divine Farmer’s Materia Medica, 神農本草經), one of the oldest Chinese pharmacopoeias, for the Medicamenta Simplicia, although he made his own selection, ordering, translation, and commentaries. It is in a section of the Medicamenta Simplicia that different kinds of ginger are included. Entry 117 is galangal (gaoliangjiang, 高良姜) which Boym describes as warm in nature and is used to treat a body which has been damaged by cold. Entry 147 is dried ginger (ganjiang, 干姜), where the text first makes a reference 41 42

This probably means ‘coagulatum’. BOYM, Flora Sinensis cit., p. Kr.

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Fig. 14 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, f. I2v, the ginger plant.

to galangal (nr. 117) in its dried form, which is very warm in nature. Accordingly, it is used for dying patients because it brings down fever, but it cannot be used on a person in good health. Dried ginger reappears at entry 287, where it is compared to fresh ginger. The root is also mentioned elsewhere as an ingredient in preparing other kinds of medicine to remove poison from the following plants or animals. This is how it reoccurs at Chinese wolfsbane (nr. 73, dafuzi [fuzicao], 附子草), pinellia (nr. 74 banxia, 半 夏), Arisaema erubescens (Wall.) (nr. 88, nanxing [tiannanxing], 田南星)43, and at the insect Phryganea Japonica (nr. 151, shican, 石蚕). It can only be surmised how physicians in Europe accepted or rejected the use of these substances, as well as how European readers perceived Chinese nature and natural history based on the descriptions found in these books.

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Arisaema erubescens (Wall.) is a kind of rhubarb.

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Fig. 15 – Borg. cin. 531, f. 15r, Su Ciuen (Sichuan, 四川) province with Gallina sylvestris.

Fig. 16 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, f. Kv, Gallina sylvestris.

Although the reason for pairing two animals or plants on the same page in the Flora Sinensis has yet to be identified, the certainty that there was a reason becomes more obvious when we observe the inscription gallina sylvestris appearing under the royal bird in the Flora Sinensis (fig. 16). Among the pairs, this is the most suggestive, as according to Chinese culture it is a simile used when someone becomes famous suddenly or marries a rich person, thus turning from a wild chicken into a royal bird. This gallina sylvestris appears on the map of Sichuan province (Borg. cin. 531, f. 15r, fig. 15). There is no additional note next to the drawing, which is again a mirror image of the one in the Flora Sinensis. The colouring of the two is similar, with brownish tones and light blues dominating. Similarly with regard to the head of the royal bird, the engraver was probably not satisfied with the original drawing and relied instead on the more familiar chicken’s head, while in fact its eyes and beak are different. The printed version is less expressive and thus also better met the requirement of the “true to nature” objectivity of the time44. In the Flora Sinensis, similar to this representation of the fenghuang, there are two birds of the same species, but at gallina sylvestris the difference between the female and male is not 44

L. DASTON – P. GALISON, The Image of Objectivity, in Representations 40 (1992), Special issue: Seeing Science, p. 84.

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NATURAL HISTORY ILLUSTRATIONS IN MICHAEL BOYM’S CHINESE ATLAS

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obvious. However, a certain connection between the two is visible, as the one behind seems to be an object. The next province in the atlas is Yunnan, where the animal Sum xu, appears (fig. 17). It is in the same hunting or running position in a mirror image, accompanied by a short note in the page’s upper right section: Sum xu animal aestimatum apud Sinas. (The animal Sum xu [Chinese lop-eared cat], highly esteemed in China)45.

Fig. 17 – Borg. cin. 531, f. 16v, Iunnan (Yunnan, 雲南) province with Sum xu.

Fig. 18 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, f. Lv, Sum xu and green haired turtle.

Boym again mentions that it is a valuable animal, in the same way he often did with others, thus suggesting Boym’s sensitivity towards commercial aspects. What is different between the two images is the surface 45

Borg. cin. 531, f. 16v.

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on which the animal is portrayed. In the Magnum Cathay (Borg. cin. 531, f. 16v), Sum xu appears on the left upper corner of Yunnan province and is shown running down a brownish tree trunk. The same orientation is present in the Flora Sinensis, albeit in the opposite direction, but here the shape of the trunk becomes green grassy ground (fig. 18). The identification of the Sum xu is a subject of debate. The Chinese characters state that it is a squirrel, but both the illustration and the description place it closer to a mongoose46.

Fig. 19 – Borg. cin. 531, f. 17r, Kueycieu (Guizhou, 貴州) province with the China root.

Fig. 20 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, p. H1v, China root.

In Early Modern Europe, the China root was an important remedy for syphilis and was often identified with Smilax, as Anna E. Winterbottom has indicated47. It was in high demand after its introduction to the European market in 1535. In fact, Boym again gave more information about a plant that was an important medicine but also had significant commercial value. While he includes non-indigenous species in the Flora Sinensis, this is not the case in his Magnum Cathay, which only presents plants and animals native to China. While the shape of the root is identical in the two images, in the atlas it is only the contour which is coloured with brown ink (fig. 19), 46 For further information, see BOCCI, The Animal Section in Boym’s Flora Sinensis cit., pp. 363-364. 47 A. E. WINTERBOTTOM, Of the China Root: A Case Study of the Early Modern Circulation of Materia Medica, in Social History of Medicine 28 (2015), pp. 22-44.

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as opposed to the image in the Flora Sinensis in which brown ink covers the entire root (fig. 20). The branches are curled and twisted in both, and the engraver largely followed the shape we see on the map. Such essential details are provided as the leaves’ nervures, which are useful for botanists and merchants as well as for any kind of plant identification. The china root’s characteristic lengthwise striations are clearly marked on the drawing glued to the page in the Magnum Cathay (Borg. cin. 531, f. 17r), but are not emphasised in the Flora Sinensis. Indeed, prickles that are inexistent on the atlas’ drawing are emphasised here. The plant is shown growing underneath pepper, an extremely valuable spice then. The subheading of this section after that of the fruits is called Aromaticae arbores. It includes pepper, china root, rhubarb, cinnamon and ginger. This page thus shows two economically important plants together, whose juxtaposition can be plausibly explained by their similar appearance and trading value. The last plant which appears in both works is Cinnamomum cassia or, according to its vernacular name, Chinese cinnamon. Boym reveals details about its cultivation in China and in Ceylon, such as how it was dried, used in medicine, and traded from Syria to Ethiopia, as well as, finally, the origin of the name in his Flora Sinensis. According to him, the first part of the name stands for “China” while the second part means “sweet root”. In the Magnum Cathay, the drawing of the plant is at Guangxi province (Borg. cin. 531, f. 18r, fig. 21) and is glued onto the map. This area was known to produce good quality cinnamon, a fact that confirms Boym’s intention to place the plants and animals on the maps of the provinces famous for them. Europeans had long been familiar with this spice, but its trade route traversed the Middle East. Consequently, many details of its exact origin and cultivation remained unknown, making Boym’s observations quite valuable. There were two other books concerning Asian plants that were published before Boym’s Flora Sinensis, both of which included cinnamon: Garcia de Ora’s (1501-1568) Colóquios dos simples e drogas he cousas medicinais da Índia e assi dalgũ as frutas achadas nella onde se tratam algũ as cousas tocantes a medicina, pratica, e outras cousas boas pera saber (Goa 1563) and Cristobal Acosta’s (1515-1594) Tractado de las drogas, y medicinas de las Indias Orientales (Burgos 1578)48. These authors presented information that they had learned in India. Boym, by contrast, advanced the state of European knowledge by adding further details concerning cinnamon which he had learned from the Chinese while he was in China. Inter48

Cfr. https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k854046k/f6.planchecontact; pp. 54v-64v, accessed on 31 May 2020.

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ESZTER CSILLAG

Fig. 21 – Borg. cin. 531, f. 18r, Quamsy (Guangxi, 廣西) province with the Cinnamomum cassia.

Fig. 22 – Stamp. Chig. II.881, Flora Sinensis, p. G1v, Cinnamomum cassia.

estingly, the square-shaped drawing of cinnamon that appears in Boym’s work recalls the illustration in Pietro Andrea Mattioli’s (1501-1577) Discorsi (Venetiis 1560). Indeed, more must be known about the process of the execution of these drawings. Because Boym finished both his atlas and Flora Sinensis during his three-year stay in Europe (1652-1655), the influence of European sources are plausible but not certain. A crucial advance in this regard would be to know whether Boym made these drawings himself or whether someone assisted him. The illustration of cinnamon in the Flora Sinensis is accompanied with the durian tree; the Cinnamomum cassia is placed just where the section of fruits ends and that of the aromatic herb begins (fig. 22). They are on the same page and the engraving was cut due to lack of space. The left side of the cinnamon ends with a vertical line which frames the illustration, although the leaves are not finished. Boym attributed importance to the images which, in addition to the text, provided detailed information about the nature and natural history

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of a land which was completely different from Europe. Their images and descriptions enabled a scholar like Athanasius Kircher to imagine places he had never seen and to write about them successfully. However, it is interesting to see how Kircher transformed Boym’s practical approach in presenting Chinese nature and natural history into a wondrous land filled with often mythical animals and plants. Thus, the illustrations were able to give readers a much more complex idea of China than the text alone, and as such, they are an essential part of the descriptions. Boym was looking for locally sourced material, which he translated, illustrated, and transformed in his own way to suit European audiences, thus giving the latter an opportunity to not only see Chinese plants, animals, and flowers, but also to know how they were perceived and used by the Chinese.

ABSTRACT This article compares for the first time the common illustrations which are present in Michael Boym’s (1612-1659) Magnum Cathay (Borg. cin. 531), a Chinese atlas preserved in a manuscript at the Vatican Library, and also in his Flora Sinensis (Viennae Austriae 1656), one of the first European books on Chinese and South-Eastern Asian botany and zoology. A closer analysis of ten illustrations of exotic plants and animals reveals the immediate connection between the two works through a common model of depictions. Boym intended to indicate the exact province of China where these animals were typically located and plants cultivated. The Polish missionary was not searching for novelty but sought to enrich western knowledge about already known goods. The Magnum Cathay, if read together with Flora Sinensis, helps to better understand how Michael Boym SJ, as a scholar of natural history, used visual depictions as a vehicle to deepen the knowledge of his contemporaries on botany and zoology of China. Questo contributo compara per la prima volta le illustrazioni comuni a due opere del gesuita Michael Boym (1612-1659), Magnum Cathay (Borg. cin. 531), un atlante cinese conservato in un manoscritto della Biblioteca Vaticana, e Flora Sinensis (Viennae Austriae 1656), uno dei primi libri europei sulla botanica e la zoologia cinese e del sud-est asiatico. L’analisi di dieci illustrazioni di piante ed animali esotici presenti in entrambe le opere rivela immediate connessioni tra di esse e suggerisce un modello comune per la realizzazione delle immagini. Boym ha indicato la provincia cinese dove questi animali e queste piante erano presenti. Il missionario polacco non era alla ricerca di notizie inedite, ma intendeva arricchire la conoscenza occidentale su tali argomenti. Magnum Cathay, se letto insieme a Flora Sinensis, aiuta una migliore comprensione di come Boym, in quanto studioso di storia naturale, usò le immagini come strumento per approfondire la conoscenza degli europei suoi contemporanei relativamente alla botanica e alla zoologia cinese.

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FAUSTA GUALDI

NUOVI STUDI SULL’ATTRIBUZIONE DELLE MINIATURE DEL GRANDE ANTIFONARIO DI PAPA CLEMENTE VII (CAPP. SIST. 4) E DEL CERIMONIALE PER L’INCORONAZIONE DI CARLO V (BORG. LAT. 420)* ABSTRACT a p. 163.

Negli ultimi anni hanno nuovamente suscitato il mio interesse le miniature dei manoscritti Capp. Sist. 4 e Borg. lat. 420, stimolando confronti, oltre che con altre opere di miniatura, con pitture ed arazzi dei primi decenni del Cinquecento. In questa sede presento la sintesi degli studi che mi hanno permesso di identificare l’autore delle miniature dei due codici, entrambi eseguiti durante il pontificato di Clemente VII e databili intorno ai primi anni Trenta del Cinquecento1. Il Capp. Sist. 4 è un Antifonario di dimensioni notevoli (cm 57,5  4,10) fatto eseguire da papa Clemente VII per la Cappella Sistina2. Il Borg. lat. 420 è un Cerimoniale realizzato per l’incoronazione di Carlo V a Imperatore del Sacro Romano Impero da parte del medesimo pontefice3: l’antico * Ringrazio vivamente i professori A. Piazzoni, già Vice Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, e P. Vian, Vice Prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano, il dott. A. M. Sartore dell’Archivio di Stato di Perugia con la dott.ssa A. Alberti, la dott.ssa I. Ceccopieri della Biblioteca Casanatense, la dott.ssa L. Vattuone dei Musei Vaticani, la dott.ssa M. G. Critelli della Biblioteca Apostolica Vaticana, i Responsabili del settore di opere italiane della National Gallery of Art di Washington che in situ mi hanno consegnato le foto per la pubblicazione di confronto, il prof. A. Roca de Amicis del mio Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura alla Sapienza, il prof. E. Lunghi, il personale della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. Un pensiero riverente va alla memoria di E. Carli e a P. Scarpellini. 1 Stimolata per di più da quanto era stato precisato nella prefazione al catalogo della mostra Liturgia in figura. Codici liturgici rinascimentali della Biblioteca Apostolica Vaticana (Biblioteca Apostolica Vaticana, Salone Sistino 29 marzo – 10 novembre 1995), a cura di G. MORELLO e S. MADDALO, Città del Vaticano – Roma 1995. Qui infatti la Maddalo scriveva «[…] la mostra e il catalogo vogliono rappresentare un punto di avvio e uno stimolo a ulteriori ricerche […]» (p. 85). 2 Il nome del pontefice, «Clemens VIJ po(ntifex) Max(imus)», campeggia in oro all’interno della fascia di colore azzurro posta sul margine inferiore del f. 3v (tav. I). Per la descrizione del codice cfr. Capellae Sixtinae Codices musicis notis instructi sive manu scripti sive praelo excussi, recensuit J. M. LLORENS, Città del Vaticano 1960 (Studi e testi, 202), pp. 3-4. 3 Borg. lat. 420, f. 1r: «Cerimoniae servatae p(ro) corona ferrea qua S.D.N. Clemens VII in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 143-185.

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FAUSTA GUALDI

rito si svolse a Bologna, con l’imposizione della corona ferrea il 22 febbraio 1530, giorno della solennità della Cattedra di San Pietro, e l’imposizione della corona imperiale il 24 febbraio 1530 nella Basilica di San Petronio. Le miniature che impreziosiscono il Capp. Sist. 4 furono attribuite al miniatore di origine francese Vincent Raymond da José María Llorens Cisteró4, attribuzione condivisa da Mark L. Evans5, ma non da Emilia Talamo6, con la quale concordo: tutte le miniature riferibili con certezza al Raymond palesano uno stile completamente diverso7. Sulla base della firma Aloisius e dell’anno 1532 che figurano al f. 51v dell’Antifonario, la Talamo ha proposto l’identificazione del copista dei ff. 3-51 con Aloisio Cassanense, scrittore della Camera Pontificia dal 1529 al 15338; al f. 114r figurano invece la data 1534 e il nome del copista Galeazzo Ercolano, che successe al citato Aloisio come scrittore della Camera Pontificia9. Il f. 3v presenta una notevole miniatura, pressoché a piena pagina (cm 53,7  38,5), ove nella parte centrale sono rappresentate le due figure allegoriche della Giustizia e della Prudenza, ai lati del grande simbolo araldico di papa Clemente VII dei Medici, su un fondo aureo con cinque “palle” rosse ed una azzurra con tre gigli (tav. I). Il tutto è sormontato a mo’ di baldacchino, arricchito da un ampio tendaggio di un vivo rosso, sostenuto e sollevato ai lati da due dinamici angioletti. La tonalità di rosso presenta dei cangiantismi di color giallo dorato, mentre il baldacchino mostra dei motivi quadrati del medesimo vivace azzurro presente nello sfondo di tutta la scena miniata. die Cathedrae Sancti Petri coronavit Carolum Quintum Romanorum Imperatorem electum in Civitate Bononiae i(n) Capella Palatii Ap(osto)lici. 1530» (v. tav. XVII); cfr. Inventarium codicum manu scriptorum Borgianorum, M. MORSELETTO confecit, III: Borg. lat. 301-500 [dattiloscritto: Biblioteca Vaticana, Sala Cons. Mss., 423 (1-6) rosso; 219 (1-2) rosso], p. 501). 4 J. M. LLORENS CISTERÓ, Miniaturas de Vincent Raymond en los manuscritos musicales de la Capilla Sixtina, in Miscellanea Homenaje a Mons. Higinio Anglès, Barcelona 1958, pp. 483-484. 5 M. L. EVANS, Scheda nr. 88, Antiphonar Clemens’ VII, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Liturgie und Andacht im Mittelalter [Museo Diocesano di Colonia, 9 ottobre 1992 – 10 gennaio 1993], herausgegeben von Erzbischöfliches Diözesanmuseum Köln, Stuttgart – Zürich 1992, pp. 410-413. 6 E. A. TALAMO – A. ROTH, Scheda nr. 39, in Liturgia in figura cit., pp. 196-199. 7 Di recente è stato pubblicato su Vincent Raymond un nuovo studio: F. GUALDI, La cultura artistica dei miniatori pontifici Vincent Raymond e Apollonio de’ Bonfratelli, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXI, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 496), pp. 119207, con XLVIII tavole. 8 TALAMO, Scheda nr. 39 cit., p. 196. Per il colophon cfr. f. 51v: «PP. VII Aloysius S.D.N. CLEM. scriptor scribebat MDXXXII». 9 Cfr. Capp. Sist. 4, f. 114r: «MDXXXIIII Galeatius Haerculanus Clericus Bononien(sis) scriptor S.D.N.D. Clementis PP. VII eiusdem Pontificatus Anno XI hoc Officium scripsit».

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NUOVI STUDI SULL’ATTRIBUZIONE DELLE MINIATURE

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Emilia Talamo, basandosi sulle due date dei copisti, ascrive le miniature per la prima parte del codice «senza alcun dubbio» al miniatore fiorentino Jacopo del Giallo10. Non condivido tale attribuzione, poiché dall’esame approfondito e diretto del Messale di Federico Cornaro (Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 458) — opera firmata dal citato miniatore fiorentino e compilata tra il 1538 e il 1539 — non ho infatti potuto constatare un’affinità stilistica con il miniatore operoso nell’Antifonario di Clemente VII. Proprio per dimostrare la diversità stilistica del Messale Cornaro, scelgo qui il f. 82v con la Crocifissione che pubblico perciò — sia ben chiaro — non come confronto, ma per puntualizzare la diversità del miniatore Jacopo del Giallo (tav. II). Nel corso dei miei studi ho potuto invece constatare, come dimostrerò qui di seguito, notevoli rapporti stilistici con l’ambiente pittorico umbro e con quello “pontificio” e romano. Le due citate figure della Prudentia e della Iustitia del f. 3v sono state messe in rapporto con alcune figure della Sala di Costantino in Vaticano sia da Reiss11 e sia da Evans12, seguiti dalla Talamo13. Ritengo di dover qui precisare come la figura femminile simboleggiante la Prudentia a lato della raffigurazione di papa Damaso nella già citata sala sia, in parte iconograficamente e in particolare nello stile, del tutto diversa da quella della miniatura in esame, anche nella disposizione della figura. La donna allegorica simboleggiante la Iustitia nella suddetta sala, a lato di papa Urbano I mostra sì qualche consonanza nella parte superiore con la figura che lascia scoperto il seno e nel gesto del braccio sinistro che sostiene la bilancia, ma è completamente diversa nel trattamento della parte inferiore del corpo ed anche nello svolgimento del panneggio. Ambedue le figure nella sala, inoltre, palesano una differenza nell’uso dei valori cromatici, non di certo squillanti come quelli del miniatore in esame al f. 3v dell’Antifonario per papa Clemente VII. A mio parere, invece, la figura femminile simboleggiante la Prudentia (v. tav. I) mostra una conoscenza, che suppongo diretta, della figura della Musa Calliope accanto all’Apollo citaredo nell’affresco del Parnaso di Raffaello nella Stanza detta della Segnatura nei Palazzi Apostolici Vaticani (tav. III). Infatti, nel minio è identico l’atteggiamento della figura seduta, 10 TALAMO, Scheda nr. 39 cit., p. 198. Segue in tale attribuzione quella di M. LEVI D’ANCOMiniatura e miniatori a Firenze dal XIV al XVI secolo, Firenze 1962. 11 S. E. REISS, Cardinal Giulio de’ Medici’s 1520. Berlin Missal and Other Whorks by Matteo da Milano, in Jarbuch der Berliner Museen 33 (1991), pp. 111, 118. 12 EVANS, Scheda nr. 88 cit., pp. 410-411. 13 TALAMO, Scheda nr. 39 cit., p. 198; ritiene tra l’altro che «le figure si dimostrano assai vicine agli esiti figurativi di Giulio Romano». NA,

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identico è lo svolgimento del panneggio che lascia, nella parte superiore del corpo, scoperto il seno destro. La figura si diversifica da quella vaticana ad affresco perché, al posto di una tonalità chiara del panneggio, il miniatore usa invece una tonalità di azzurro cangiante in rosa, mentre la gamba destra della Prudenza lascia scoperto il nudo piede proprio come nell’affresco. Inoltre, ho potuto constatare come il miniatore del f. 3v, nella figura della Prudentia, mostri un’eco precisa della figura centrale con la Prudentia nella lunetta alla medesima Stanza della Segnatura (tav. IV), sia nell’atteggiamento, sia nel viso che presenta nel retro del volto femminile quello simbolico del vecchio barbuto. Lievi differenze sono costituite dalla postura del braccio destro: infatti, nel già citato affresco “vaticano” la figura sostiene lo specchio che le porge l’amorino, mentre nel minio in esame questo è direttamente sostenuto dalla Prudentia. Non va dimenticato che tale figura della lunetta nella Stanza della Segnatura ebbe fortuna anche attraverso le incisioni; desidero, fra l’altro, ricordare qui almeno quella firmata nel 1516 da Agostino Veneziano14. Esaminando le altri parti miniate del grande f. 3v dell’Antifonario, sempre su un fondo del solito vivo azzurro, nella fascia superiore si svolge la scritta a caratteri d’oro «Soli Deo honor et gloria»; nella zona inferiore invece è un’altra targa, come la precedente su fondo azzurro, ma con l’aggiunta di una decorazione di color rosso con motivi ornamentali e con ai fianchi due telamoni in monocromo di palese eco classica, con la scritta dedicatoria al papa «Clemens VIJ Po[ntifex] Max» (v. tav. I). Alcune vivaci qualità cromatiche e certi cangiantismi al f. 3v, specie il rosso e l’azzurro si avvicinano ad alcuni di una notevole tavola che per molti anni ebbe svariate attribuzioni15, mentre ora è concordemente assegnata a Giovanni Battista Caporali (che si firmava Giambattista Caporali e talora era detto Bitti o Bitte) ed anche considerata da alcuni suo capolavoro, cioè la grande pala detta “di San Girolamo” con Madonna e Santi16, e collocata cronologicamente verso il 1510-1515. In Roma, il Caporali aveva lavorato

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A. BARTSCH, Le peintre graveur, XIV, Vienne 1813, pp. 213, 357. Si vedano per la bibliografia le schede a cura di C. MADDOLI nel volume Pittura in Umbria tra il 1480 e il 1540: premesse e sviluppo nei tempi di Perugino e Raffaello, a cura di F. F. MANCINI – P. SCARPELLINI, Milano 1983, p. 85 e P. MERCURELLI SALARI, Scheda nr. 88, in Pintoricchio, catalogo della mostra (Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, 2 febbraio – 29 giugno 2008), a cura di V. GARIBALDI e F. F. MANCINI, Cinisello Balsamo (MI) 2008, p. 336, ivi ottima foto a colori p. 337. 16 L’opera di grandi dimensioni (cm 277  190) proviene infatti dall’altare maggiore della Chiesa di San Girolamo dei Frati Minori Osservanti. Dal 1863 nella Galleria Nazionale dell’Umbria, inv. nr. 271. 15

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NUOVI STUDI SULL’ATTRIBUZIONE DELLE MINIATURE

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fra l’altro in collaborazione con il Pintoricchio nell’affresco della volta della Cappella Maggiore della Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma17. A questo punto, anche se già noto, desidero ricordare — come riferisce lo stesso Caporali — il suo intervento, su invito, nella casa del Bramante a Roma18 ad una cena, chiara manifestazione della considerazione e fama della quale godeva, lui il più giovane di tutti gli altri artisti convitati cioè Perugino, Pintoricchio, Signorelli. Il motivo dell’ampio tendaggio sostenuto da due vivaci angioletti al f. 3v dell’Antifonario poté, a mio parere, essere sortito nel miniatore dal ricordo della pentura de padiglione, forse un finto drappo di stoffa dipinto per incorniciare un tabernacolo scolpito su commissione di Suor Eufrasia Alfani e Suor Battista sua sorella, clarisse del Monastero di S. Maria di Monteluce19 a Perugia, e sistemato nella chiesa de fuore, cioè quella che poteva essere frequentata al di fuori della clausura. Per tale modesto incarico il Pintoricchio ricevette pagamenti nel 1484-1485 come risulta dai documenti20. Inoltre, motivi di tendaggi sostenuti da angioletti figurano anche dietro ai troni sui quali siedono le figure femminili simboleggianti la Musica (tav. V) e la Retorica, affreschi nella Sala delle Arti Liberali dell’Appartamento Borgia in Vaticano: ove, con probabilità, il perugino Giovanni Battista Caporali fu uno dei collaboratori-aiutanti del Pintoricchio. Già molti anni fa, in occasione del mio esame diretto dei restauri, ebbi la possibilità di notare un finto tendaggio che sormonta il camino della Sala dei Misteri21. Ora, tale motivo del tendaggio al f. 3v lo si ritrova a coronamento di 17 Per il restauro di questa si veda B. FABJAN, Pintoricchio nella cappella maggiore di Santa Maria del Popolo, in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., pp. 141-147 ed ivi altri lavori della Fabian nella Bibliografia a p. 426. Nel volume sono stati purtroppo completamente ignorati i miei tre saggi inseriti pubblicati in Santa Maria del Popolo. Storia e restauri, I, Roma 2008 e in particolare anche il saggio richiestomi sulla volta La decorazione pittorica della volta della Cappella maggiore, pp. 413-426. Tali saggi furono segnalati alla Dott.ssa Garibaldi con mio scritto. 18 Architettura con il suo Comento et figure di Vetruvio in volgar lingua raportato per M. Gianbatista Caporali di Perugia, In Perugia, nella Stamparia del conte Iano Bigazzini, il di primo d’aprile 1536, f. 102r. 19 Per tali fonti di notizie: Memoriale di Monteluce. Cronaca del monastero delle clarisse di Perugia dal 1448 al 1838, Assisi 1983, p. 39. 20 Per i documenti si veda nel Regesto dei documenti a cura M. R. SILVESTRELLI, in P. SCARPELLINI – M. R. SILVESTRELLI, Pintoricchio, Milano 2003, specialmente p. 285, nrr. 26 e 29; si veda anche ivi il documento nr. 30. In merito cfr. pure F. F. MANCINI, Alla ricerca di qualche spazio in patria, in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., pp. 93-102: pp. 93 e 101 (ntt. 4 e 5). 21 Si tratta di un drappeggio che è solo in tale sala, non «dietro a camini» come riferito invece da F. F. MANCINI, in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., p. 93.

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una miniatura del 1553 con papa Giulio III in trono (tav. VI)22 attribuita da Scarpellini a Giovanni Battista Caporali23, un’opera dell’ultimissimo periodo dell’artista. Concordo con tale assegnazione e osservo che, sebbene sia databile ad un periodo più tardo rispetto alla miniatura del f. 3 dell’Antifonario di Clemente VII in esame, presenta anch’essa un ampio padiglione che incornicia il complesso monumento ove il papa è seduto in una nicchia con due colonne marmoree che sostengono un timpano triangolare sormontato dallo stemma papale e fiancheggiato da due giovani nudi. Anche se l’opera attribuita giustamente, a mio parere, al Caporali è del 1553, perciò ventun anni dopo la miniatura “vaticana” in esame del 1532, ritroviamo, sebbene di levatura inferiore, vivaci angioletti intenti a sollevare il tendaggio. Torno ora a considerare la decorazione miniata del bordo terminale superiore che, sia al f. 3v (v. tav. I) sia al f. 4r (tav. VII), è campita sulla base chiara della pergamena ed è costituita, al di sotto di cinque “arcate” delimitate da un sottile listello ocra dorato bordato ai due lati con penna nera, da uno svolgimento di tralci di mirto verdi che sono miniati con un andamento semicircolare. Tali rami al f. 3v partono da sei coppe nelle quali il miniatore indugia minuziosamente sulle lenticolari venature marmoree24. Entro l’arcata centrale, più grande, domina la colomba simbolo dello Spirito Santo in un alone di giallo-celeste, mentre nel campo scuro punticchiato25 delle altre quattro arcate nella seconda a sinistra della colomba, entro un tondo bordato d’oro e arricchito da nastri è l’emblema papale con la scritta in un cartiglio candor ilesus [sic] con un albero su un cielo azzurrino, nell’arcata a destra è un’aquila con l’anello con diamante e nell’interno del cartiglio la scritta semper26. Attraverso lo studio particolareggiato della produzione miniatoria, pittorica, degli arazzi dei primi quattro decenni del Cinquecento, ho rinve22

La dott.ssa Alessi dell’Archivio di Stato di Perugia mi ha precisato che la presente dicitura è: Perugia, Archivio di Stato, Comune di Perugia. Consigli e Riformanze 136, f. 1r, mentre P. Scarpellini (v. nota seguente) alla fig. 89 scriveva Annali Decemvirali 1553, f. 2r. 23 P. SCARPELLINI, Giovanni Battista Caporali e la cultura artistica perugina nella prima metà del Cinquecento, in Arte e musica in Umbria tra Cinquecento e Seicento. Atti del XII Convegno di Studi Umbri, Gubbio-Gualdo Tadino 30 novembre – 2 dicembre 1979, Gubbio 1981, pp. 76-77. La miniatura, in precedenza, era stata citata nel secolo scorso da V. G. DEGLI AZZI, Una miniatura rappresentante Giulio III, in Giornale illustrato dell’Esposizione umbra, 10 settembre 1899, p. 11; A. SERAFINI, Ricerche sulla miniatura umbra, in L’Arte 15 (1912), p. 261. 24 Ciò è visibile anche nella citata miniatura con papa Giulio III all’Archivio di Stato di Perugia. 25 Tale caratteristica è frequente nelle opere di Pintoricchio. 26 Su tali emblemi: M. PERRY, “Candor illaesus”, the “Impresa” of Clement VII and Other Devices in the Vatican Stanze, in The Burlinghton Magazine 119,2 (1977), pp. 676-686.

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nuto tralci di mirto di tipo molto simile in uno dei bordi, l’inferiore, di un arazzo che raffigura la Salita al Calvario di Cristo27, il cosiddetto “Spasimo” (tav. VIII). L’opera (cm 193  158)28 figura tra quelle dell’inventario del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena amico di Raffaello29 e che gli autori della mostra tenutasi a Madrid e a Parigi nel 2012-2013, T. Henry e P. Joannides, ritengono sia stato, con probabilità, tessuto nell’atelier di Pieter van Aelst a Bruxelles30. Secondo la mia opinione, il miniatore dei ff. 3v e 4r dell’Antifonario di Clemente VII conobbe tale opera e di conseguenza ne trasse uno “spunto figurativo” per lo svolgimento dei tralci, insieme ad altre influenze. I due bordi verticali dell’Antifonario in esame, sia al f. 3v che al f. 4r (v. tav. VII) presentano motivi decorativi di svariata frutta con raffinati nastri di un bel colore celeste su fondo aureo, sostenuti alla sommità da due puttini sdraiati che al f. 4r palesano come il miniatore abbia inoltre tratto ispirazione da decorazioni di tipo simile affrescate nella Loggia detta di Raffaello in Vaticano; cito ad esempio quelli ai fianchi delle finestre e delle edicole a forma di finestra che recano il nome di papa Leone X (tav. IX). Li ritroveremo di sovente “ricopiati”, talora con lievi varianti: mi limito a segnalare un solo esempio ad affresco sotto Paolo III, ai lati delle storie di Alessandro Magno nella Sala Paolina di Castel Sant’Angelo a Roma. Tornando al Messale in esame, il f. 4r (v. tav. VII) presenta miniato nel bordo superiore, oltre alle solite arcate a forma semicircolare di mirto di identico tipo a quelle del f. 3v, sul fondo della pergamena, al posto della colomba dello Spirito Santo, lo stemma di papa Clemente VII con nastri svolazzanti sormontati dalla tiara pontificia e ai lati tornano, sebbene di dimensioni più piccole, i due emblemi papali già rinvenuti al f. 3v. Al punto di partenza dei rami di mirto, sono qui, al posto dei vasi, figure di putti nudi e alle due estremità un putto che regge i nastri pendenti dei bordi verticali del minio. Sono proprio tali coppie centrali di putti che, nella loro disposizione, mi hanno indotta a metterli in connessione con figure in simile posizione rinvenute in un’opera che ho potuto esaminare direttamente nella mia ricerca 27 L’arazzo venne acquistato da papa Pio VII nel 1819 e attualmente si trova nell’Appartamento Pontificio di Rappresentanza del Palazzo Apostolico Vaticano. Musei Vaticani, inv. nr. 43840. 28 Le dimensioni sono comprensive dei bordi ai quattro lati. 29 Non sappiamo, come già riferito dagli autori della mostra, quando il cardinal Bibbiena, il cui stemma figura nel bordo inferiore dell’arazzo, lo abbia commissionato. 30 T. HENRY – P. JOANNIDES, in Raphaël. Les dernières annees (Paris, Musée du Louvre – Madrid, Museo Nacional du Prado, 11 octobre 2012-14 janvier 2013), Paris 2012, pp. 100-102, fig. 59.

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e studio di opere umbre emigrate all’estero31, e cioè nella piccola opera a tempera (cm 40  36) su legno della Collezione H. Kress nella National Gallery of Art di Washington con una Annunciazione32 (tav. X) attribuita al pittore perugino Giannicola di Paolo e datata circa 1510/1515. Nella tempera “americana” i putti, lì alati, hanno una posizione simile ai nostri più giovani del f. 4r del grande Antifonario clementino. A mio avviso, ora è certo che la miniatura in esame non è opera del pittore Giannicola che, del resto, non esercitò mai un’attività miniatoria; sono però del parere che, con molta buona probabilità, sia da attribuirsi all’artista anch’esso perugino Giovanni Battista Caporali che, tra l’altro, esercitò la miniatura e che, in molte occasioni, fu uno stretto collaboratore proprio di Giannicola di Paolo. È noto che Giovanni Battista, dopo un molto probabile apprendistato nella bottega del padre Bartolomeo, miniatore e pittore33, aveva operato come collaboratore sia di Perugino che di Pintoricchio, con quest’ultimo nella ben nota tavola con l’Incoronazione della Vergine per la Chiesa di Santa Maria della Pietà alla Fratta, odierna Umbertide (PG)34. Per tale opera ci restano i documenti di ricevuta di pagamenti, sia quello inedito del 13 febbraio 1503 pubblicato nel 2003 e rinvenuto nell’Archivio Notarile di Umbertide, «per il quale una parte del denaro deve darsi a Mastro Bernardino [....] pro pretio tabule per ipsum Pentorichio pingende in ecclesie Sancte Marie Pietatis», sia l’altro anch’esso inedito del 19 dicembre 150235. 31

In tale occasione, fui invitata a tenere una conferenza il 17 ottobre 1989 alla Columbia University di New York, Center for Italian Studies and The Italian Department: F. GUALDI, L’influenza di Raffaello sulla pittura umbra del Rinascimento. 32 Washington, National Gallery of Art, inv. nr. 1939.1.155 – former accession number 266. 33 Sull’artista Bartolomeo Caporali (Perugia ca. 1420-1503/1505) è stata pubblicata da A. M. SARTORE in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., p. 204, fig. a p. 205, una cedola autografa: 1478-nov. 1479, ove egli annota vari pagamenti effettuati per lui da parte della badessa delle Clarisse di Santa Maria di Monteluce per una tavola: si tratta della Adorazione dei Magi (Archivio di Stato di Perugia, Corporazioni religiose soppresse, Santa Maria di Monteluce, Conti diversi, 164, carta sciolta non numerata). 34 Musei Vaticani, Pinacoteca, inv. nr. 40312. 35 I documenti furono rinvenuti da A. ROSSI, Nuovi documenti. Bernardino Pinturicchio, in Archivio storico dell’arte 3 (1890), pp. 465-466; W. BOMBE, Urkunden zur geschichte der peruginer Malerei im 16 Jahrunden, Leipzig 1929, pp. 30-31; U. GNOLI, Pittori e Miniatori nell’Umbria, Spoleto 1923, p. 287. Va inoltre ricordata l’assegnazione di K. OBERHUBER che nel 1977 identificò in due disegni nel Gabinetto dei disegni del Louvre quelli per i due santi inginocchiati in primo piano, pubblicando lo studio The Colonna Altarpiece in The Metropolitan Museum and Problems of the Early Style of Raphael, in Metropolitan Museum Journal 12 (1977), pp. 55-90. Durante le celebrazioni per il quinto centenario della nascita di Raffaello, in occasione del Congresso Internazionale di Studi su Raffaello a Urbino e Firenze (6-14 aprile 1984), svolsi la mia relazione ad Urbino, Aula Magna dell’Università, il 9 aprile 1984:

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Il Caporali strinse con il perugino Giannicola di Paolo un rapporto di amicizia e di collaborazione che durerà molto a lungo: tra il 1511 e il 1512 figurano aver dipinto in società la mostra dell’orologio sull’esterno del Palazzo dei Priori di Perugia e, per tacere tante altre collaborazioni, ricorderò qui il contratto del 5 luglio 1516 per affreschi nella Cappella di Sant’Ivo della Cattedrale di San Lorenzo in Perugia, anch’essi perduti. Da documenti dal 1521 in poi36 apprendiamo che il complesso degli affreschi nella Basilica benedettina di San Pietro di Perugia nella Cappella Vibi (ultima della navata sinistra) e nella adiacente Cappella Ranieri furono dapprima commissionati a Giannicola di Paolo, ma dalle parti superstiti della Cappella Vibi (perché nella Cappella Ranieri non è rimasto quasi nulla) si palesa la mano di Giovanni Battista Caporali. Una delle zone affrescate maggiormente conservate della Cappella Vibi è la parte superiore della parete dell’altare con l’Annunciazione, ove in particolare nel profilo dell’Arcangelo Gabriele (tav. XI) ho notato una affinità stilistica con il volto della Giustizia nella miniatura del f. 3v del Messale clementino in esame. Ritengo inoltre che tale affresco con l’Annunciazione vada ampiamente rivalutato e considero adeguato il vecchio giudizio di A. Lupattelli37 che esaltò la sua bellezza; mentre, pur ricordando l’ispirazione del Caporali dallo scomparto di predella della Pala Oddi di Raffaello38, Scarpellini ritenne il disegno del Caporali teso «ad amplificare le forme e a gonfiarle artificiosamente»39 e lo Gnoli, invece, già in precedenza aveva attribuito l’affresco a Giannicola di Paolo40. Non va sottaciuta quella deliziosa piccola opera dell’Annunciazione detta Ranieri, uno dei grandi capolavori del Perugino, che fu di ispirazione per molti artisti. Il tema dell’Annunciazione era stato trattato già nel 1507 dal pittore Eusebio di Jacopo di Cristoforo, più comunemente detto Eusebio da San Giorgio (documentato dal 1480 al 1539), in uno dei due affreschi nel chiostro del Monastero di San Damiano L’influenza di Raffaello sulla scuola umbra nella prima metà del Cinquecento. Tale relazione (registrata) purtroppo non venne inviata alla stampa con le correzioni per gli Atti in Studi su Raffaello nel 1987, per due successivi gravi lutti. In tale occasione, K. Oberhuber ebbe la gentilezza di regalarmi con dedica il suo citato importante studio: rivolgo al caro studioso, purtroppo defunto, il mio pensiero. 36 L. MANARI, Documenti e note ai cenni storico-artistici della Basilica di San Pietro, in L’Apologetico 4 (1865), pp. 440-468: pp. 463-468. 37 A. LUPATTELLI, Storia della pittura in Perugia e delle arti ad essa affini dal Risorgimento sino ai giorni nostri, Foligno 1895, p. 46. 38 Incoronazione della Vergine, Musei Vaticani, Pinacoteca, inv. nr. 40334. 39 SCARPELLINI, Giovanni Battista Caporali e la cultura artistica cit., p. 57. 40 GNOLI, Pittori e miniatori cit., pp. 146-148, nella voce Giannicola di Paolo citò L’Annunciazione per svista nella cappella vicino alla Vibi, cioè nella Cappella Ranieri, attribuendola erroneamente a lui.

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in Assisi41 ove anche lui nel 1507 aveva ripetuto l’analogo tema della predella di Raffaello già citata e che io già nel 1983 giudicavo «opere pienamente da rivalutare». Torno ora all’esame di altri mini dell’Antifonario di Clemente VII. La grande R di Rex pacificus di tipo mantiniano al f. 4r, in oro, risalta sul fondo scuro, interrotto da drappeggi decorativi gialli sostenuti da due putti alati che fiancheggiano un putto, alato anch’esso e suonante una lunga tuba. Il miniatore entro l’occhiello presenta una scenetta lenticolare con la Natività (tav. XII) che, a mio parere, non mostra affatto lo stile di opere di Jacopo del Giallo: si veda infatti a proposito la differenza, anche iconografica, con la Natività nell’opera firmata dal fiorentino Jacopo nel ms. 458 della Biblioteca Casanatense di Roma. È invece presente, a mio parere, pur nelle dimensioni lenticolari della scena, l’eco di alcune famose opere d’arte umbra su tavola, in affresco ed anche in miniatura, di tal soggetto o simile. Cito qui l’Adorazione dei pastori, tavola eseguita per le suore di Monteluce di Perugia, che — dopo una lunga assegnazione a Fiorenzo di Lorenzo — da Scarpellini è stata data al pittore e miniatore Bartolomeo Caporali sulla base di pagamenti (1477-1479)42. La parte dell’opera più vicina al f. 4r dell’Antifonario clementino è proprio la Vergine con il Bambino, che a terra è rivolto verso la Vergine con le braccine tese. Ma Bartolomeo Caporali, oltre ad altre varie desunzioni stilistiche, mostra puntuali riprese dall’Adorazione dei Magi del Perugino per la Chiesa di Santa Maria dei Servi a Perugia. Non va inoltre taciuta la grande perdita della Natività affrescata nella parete dell’altare della Cappella Sistina (ove poi sarà dipinto il Giudizio Universale da Michelangelo), opera che fu di molta scuola, e principalmente il famosissimo affresco del Pintoricchio nella Cappella della Rovere o di San Girolamo nella basilica romana di Santa Maria del Popolo43 (tav. XIII) 41 Sotto l’altro affresco con le Stimmate di Francesco è la data 1507. Su tale artista cfr. anche F. GUALDI SABATINI, Scheda nr. XLIII, in Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello [catalogo della mostra tenuta a Urbino nel 1983], a cura di M. G. CIARDI DUPRÈ DAL POGGETTO e P. DAL POGGETTO, Firenze 1983, pp. 322-328, fig. a p. 324. Si vedano anche le schede dedicate ad Eusebio di Jacopo di Cristoforo detto da Sangiorgio, specie quella di A. PALLOTTELLI in MANCINI – SCARPELLINI, Pittura in Umbria cit., p. 118, con bibliografia precedente; inoltre R. SILVESTRELLI, Pintoricchio (Bernardino di Betto detto il), in La pittura in Italia, II: Il Quattrocento, pp. 707-708; F. TODINI, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I, Milano 1989, p. 66; L. TEZA, Precisazioni su Eusebio da Sangiorgio, in Commentari d’arte 14 (1999), pp. 13-22; F. ORTENZI, in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., p. 308. 42 Dal 1870 nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, inv. nr. 178. Per una scheda con bibliografia si veda P. MERCURELLI SALARI, in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., p. 218, foto in colori a p. 219. 43 F. GUALDI, Pintoricchio e collaboratori nelle cappelle della navata destra, in Santa Maria del Popolo. Storia e restauri, a cura di M. RICHIELLO e I. MIARELLI MARIANI, I, Roma 2009, pp. 259-294, con bibliografia.

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che Giovanni Battista Caporali dovette ben conoscere per aver collaborato con Pintoricchio nella volta della Cappella Maggiore. L’impianto compositivo della Natività dell’Antifonario clementino è anche memore di quello adottato dal Perugino nella parte centrale del Polittico Albani Torlonia44, opera che ispirò anche la notevole Natività di un’altro minio, quello del Corale umbro A di Montemorcino, un foglio staccato a f. 54v, asportato e poi recuperato ed ora fortunatamente tornato nella sua sede nella Biblioteca del Convento di Monte Oliveto Maggiore45, miniatura molto vicina a Giovanni Battista Caporali se non proprio sortita da lui. Il ricordo “stilistico” e iconografico delle Natività o Adorazioni dei pastori o dei Magi di mano umbra qui menzionate e in specie della Adorazione del Bambino in Santa Maria del Popolo a Roma, mi ha consentito di poter attribuire anche il minio al f. 4r dell’Antifonario in esame, sebbene di piccole dimensioni, al pennello di Giovanni Battista Caporali. L’artista infatti, e ciò non va dimenticato, nel corso della sua lunga produzione si è dedicato spesso ad opere di piccola dimensione come ad esempio a decorazioni miniate di grottesche: menziono qui quella conservata nell’Archivio di Stato di Perugia46. Come affreschi di notevoli dimensioni cito le quattro Storie di Sant’Antonio Abate nell’omonima chiesa di Deruta (PG) e la decorazione della volta della Chiesa della Madonna della Luce a Perugia nella quale il restauro nel 1978 ha rilevato l’esatta data MDXXXII (tav. XIV). A proposito del f. 54r (tav. XV) dell’Antifonario, Emilia Talamo, «pur ritenendo lecito supporre un intervento del miniatore fiorentino Jacopo del Giallo»47 (opinione, come già scritto, da me non condivisa) nella prima 44

Roma, Collezione Torlonia. Dopo la menzione nel 1912 di A. SERAFINI, Ricerche sulla miniatura umbra dei secoli XIV-XVI, in L’arte 15 (1912), p. 12; me ne occupai io giovanilmente: F. GUALDI, I corali di Monte Morcino, in Rivista d’arte 33 (1958), pp. 3-26; EAD., Contributi alla miniatura umbra del Rinascimento, in Commentari 18 (1967), pp. 297-321; EAD., Giovanni Di Pietro detto lo Spagna, I-II, Spoleto 1984: I, pp. 30, 100, 112, 202, 250 – II, tavv. 240a-240b; E. LUNGHI, Per la miniatura umbra del Quattrocento, in Atti dell’Accademia Properziana del Subasio, ser. 6, 8 (1984), pp. 149-197, specie p. 183; F. TODINI, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, Milano 1989, p. 576; F. GUALDI, Le miniature dei corali di Monte Morcino di Perugia, in Miniatura umbra del Rinascimento, saggi e schede per il catalogo della mostra di Perugia («La miniatura in Umbria dal XV al XVI secolo», 2004), a cura di M. G. CIARDI DUPRÈ DAL POGGETTO e F. GUALDI con la collaborazione di S. GIACOMELLI, Miniatura umbra del Rinascimento. Saggi e schede per il catalogo della mostra di Perugia, in Rivista di storia della miniatura 9-10 (2005-2006), pp. 71-102, 221-254; M. G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Perugino e la miniatura umbra del Rinascimento, ibid., pp. 7-69; e in particolare, tra altre, la scheda nr. 39 di F. GUALDI, Natività di Gesù (foglio recuperato), ibid., p. 239 nr. 39, con foto in colori e bibliografia. 46 Perugia, Archivio di Stato. Si veda per la foto la scheda di M. SANTANICCHIA (con bibliografia precedente) in GARIBALDI – MANCINI, Pintoricchio cit., p. 409. 47 TALAMO, Scheda nr. 39 cit., pp. 198-199. 45

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sezione del codice (ff. 3-51), tuttavia non ritiene sia possibile identificare la sua mano nella seconda parte del codice (ff. 54-114), giudicando il f. 54r comunque opera di un miniatore fiorentino48. Il f. 54r con l’Officio dei morti presenta una grande P aurea di Placebo attorno alla quale si svolge un bianco cartiglio appena venato di rosa che, nell’interno della P, su fondo nero, presenta una piccola croce con due rami di palma e olivo, mentre tutta l’iniziale è miniata su un campo azzurro con lenticolari motivi decorativi di fiorellini. Il mosso cartiglio mi ricorda alcuni motivi della cultura tardo quattrocentesca nel campo della pittura e della miniatura umbra, quali ad esempio quello aureo presente su fondo di un vivo celeste nella tempera su tavola con il Trigramma bernardiniano proveniente, come le famosissime otto tavolette con i miracoli di San Bernardino, dalla Chiesa di San Francesco al Prato di Perugia. Nella “marea” di studi attributivi con pareri molto discordi, cito qui almeno lo studio approfondito di Laura Teza tra i molti della studiosa dedicati all’argomento49. Non vanno dimenticati, inoltre, i numerosi cartigli sostenuti da Profeti e Sibille ad esempio nella Sala delle Sibille dell’Appartamento Borgia in Vaticano, anche essi di non concorde assegnazione, dei quali il miniatore, come tanti altri miniatori umbri, manifestano la loro influenza. Alla base del f. 54r, ai lati della scritta dedicatoria «CLEM VIJ PONT. MAX.», tornano in due tondi gli emblemi di Clemente VII, sebbene di minori dimensioni, già rinvenuti nel bordo superiore del f. 3v. In due ovali sono poi presenti due amorini alati con le faci abbassate in segno di lutto50, e in due scomparti un teschio sormontato da una corona e con due ossa. Al f. 54r non escludo complessivamente che, nonostante il carattere stilistico umbro, possa essere intervenuto un aiutante di Giovani Battista Caporali. Anche nel f. 4v con il David in preghiera nel campo della iniziale D di Dixit Dominus (tav. XVI, immagine inedita) non ho rinvenuto una affinità stilistica notevole con opere del Caporali. Nella seconda parte del presente saggio, passo ora ad esaminare le miniature del Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V (Borg. lat. 420). Il Morello ricordava che il 22 febbraio del 1530 papa Clemente VII aveva incoronato Carlo V con la corona ferrea quale Imperatore dei Romani 48

Anche su tale opinione non concordo con la TALAMO, Scheda nr. 39 cit., p. 199. La bottega del 1473, scheda in Dipinti, sculture e ceramiche della Galleria Nazionale dell’Umbria. Studi e Restauri a cura C. BON VALSASSINA e V. GARIBALDI, Firenze 1994, pp. 209-220. Ricordo la precisa descrizione dei restauratori S. FUSETTI e P. VIRILLI e, per quanto riguarda il Trigramma bernardiniano, quella di R. COPPOLA e A. LANDAU, ibid., pp. 220-221; bella foto in colori a p. 215. 50 Questo motivo è molto frequente anche in scultura nei monumenti funerari. 49

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nella città di Bologna, piuttosto che a Roma in San Pietro come avveniva secondo la tradizione51. Il presente Cerimoniale, sempre secondo Morello, venne portato «verosimilmente» da Roma e realizzato forse dell’ambito della Cappella Pontificia, apparendo come parte di un più ampio Cerimoniale realizzato per Clemente VII. Ritengo che nel Borg. lat. 420, forse a causa della fretta della compilazione per l’evento fastoso, abbiano lavorato, dal punto di vista stilistico delle miniature, almeno tre miniatori: quello di maggior levatura ha prodotto i fogli 3v e 4r che costituiscono i due mini più notevoli del Cerimoniale, un altro eseguì le sedici iniziali miniate e, con probabilità, anche le otto più piccole iniziali auree52. La miniatura al f. 1r presenta una decorazione di tipo completamente diverso da quelle dei citati ff. 3v e 4r e ciò mi induce a pensare alla mano di un diverso miniatore. Il codice presenta tre fogli miniati figurati: il f. 1r nel bordo superiore delimitato da un listello d’oro è, in campo rosso, il nome del pontefice «CLEMENS VII» in oro, mentre nella zona inferiore è sulla pergamena lo stemma del papa con le cinque “palle” e le chiavi decussate, arricchito da nastri (tav. XVII, immagine inedita). Nei due bordi laterali si svolgono, su una fitta punteggiatura eseguita ad inchiostro sulla pergamena, senza altra base cromatica, motivi vari di grottesche tra i quali spiccano nel bordo di destra la testa di un bue di color arancio, due busti di putti affrontati, la testina di un cherubino alato, una targa rettangolare su fondo scurissimo, una ovale dalla quale pendono tre fiocchi. Nel bordo di sinistra sono raffigurati, tra l’altro, una coppia di fiori rossi, una targa ovale con il campo punteggiato di scuro bordato da un listello aureo, una microscopica testina di bue, due esili cornucopie, una targa esagonale dalla quale pende un fiocco e parte un nastro con motivi fogliacei e una ulteriore targa ove, su un fondo nero, proprio sotto lo stemma papale è la scritta «CLE». L’iniziale invece di color azzurro (cm 7  6,5) C di Cerimonie è di stile più simile ad altre del codice ed è campita su fondo aureo. Nel centro pende, accompagnato da nastri svolazzanti, un medaglione ovale su fondo nero bordato d’oro, nei lati esterni alla lettera sono miniati tre rami fogliacei con fiori a petali rosacei. Il foglio reca la scritta in inchiostro rosso «Cerimoniae servatae p(ro) corona ferrea qua S.D.N. Clemens VII in die Cathedrae Sancti Petri coronavit Carolum Quintum Romanorum Imperatorum electum in Civitate Bononie i(n) Capella Palatii Ap(osto) lici. 1530». Il miniatore che ha operato nei motivi decorativi dei due ff. 3v e 4r 51 G. MORELLO, Scheda nr. 73, in Liturgia in figura cit., pp. 295, 297: notando che due giorni dopo egli riceveva anche la corona d’oro del Sacro Romano Impero. 52 Se non si vogliono assegnare queste ad un altro miniatore affine.

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è stato giustamente messo in relazione dal Morello con l’artista operoso nell’Antifonario di Clemente VII (Capp. Sist. 4), ma lo studioso ha riportato per quest’ultimo l’attribuzione proposta a Jacopo del Giallo già nelle precedenti pagine di questo saggio da me non condivisa. I bordi laterali e quello orizzontale sottostante nel Borg. lat. 420 sia al f. 3v che al f. 4r sono molto simili, sia nelle decorazioni con motivi di color giallo-oro che risaltano su fondo nero con una puntinatura raffinata, quest’ultima caratteristica frequentissima sia nelle vesti, sia negli sfondi in generale specie nell’umbro Pintoricchio. Anche gli stemmi papali al centro dei bordi orizzontali dei due fogli già indicati sono molto simili e recano lo stemma di papa Clemente VII sormontato dal triregno con le chiavi pontificie. Inoltre, il f. 3v presenta nel bordo superiore su uno sfondo di un vivo azzurro una targa con la scritta alludente all’evento: Coronatio ferrea. Il campo centrale del minio si svolge su una “finta” pergamena dai bordi accartocciati che risaltano sul piano lilla di fondo. In ambedue i fogli sono presenti nei bordi verticali, al f. 3v, uno per lato a pendant, due ovali aurei delimitati da profili di mascheroni fogliacei che includono in quello di sinistra la scritta su fondo di un vivace azzurro «CLEMENS VII» e nell’altro a destra la scritta «SEMPER VIVAT». Simili profili di mascheroni arricchiti da foglie tra i motivi decorativi a grottesche li ho rinvenuti specie nella volta della tribuna della Chiesa romana di Santa Maria del Popolo, ove i critici sono concordi nel ritenere il perugino Giovanni Battista Caporali tra gli aiuti del Pintoricchio. Anche negli altri bordi del f. 4r entro simili ovali sono incluse una scritta a sinistra «GLOVIS» e a destra «CLES VII P.O.M.», sempre delimitati dai profili di mascheroni. Ho potuto constatare principalmente che i motivi decorativi dei due fogli già indicati presentano una affinità stilistica e iconografica molto notevole con alcuni presenti proprio nell’ambiente artistico perugino e precisamente mi riferisco ai quattro bordi decorativi del frontespizio della famosa opera stampata, edita da Jano Bigazzini53, Architettura con il suo Comento et figure di Vetruvio in volgar lingua raportato per M. Gianbatista Caporali di Perugia (tav. XVIII)54. Nell’opera il Caporali pubblicò con alcune varianti l’edizione vitruviana di Cesare Cesariano; sicuramente suoi sono il frontespizio e il ritratto del Bigazzini. 53 Cfr. V. A. CIONI, Bigazzini, Giano, in Dizionario biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI), 10, Roma 1968, pp. 401-402. 54 Non è stata mia intenzione in questo studio dedicarmi all’intera opera a stampa, ma solo ai motivi decorativi dei bordi. Il prezioso esemplare è conservato, tra l’altro, nel fondo Guglielmo De Angelis d’Ossat della Biblioteca del Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura, Sapienza Università di Roma, al quale ho appartenuto per numerosi anni.

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Giovanni Battista Caporali è stato sicuramente una delle figure più rappresentative dell’ambiente perugino della prima metà del Cinquecento, ed estremamente versatile come ben noto: pittore, architetto, miniatore, poeta, trattatista ed anche interessato alla musica55. I motivi decorativi dei ff. 3v e 4r dell’Antifonario e quelli presenti nella citata opera a stampa nei quattro bordi per la palese stretta affinità stilistica mi hanno indotto a considerarli usciti da una medesima mano, quella di Giovanni Battista Caporali. Nel frontespizio, come ben noto, oltre al ritratto con il nome di Giovanni Battista Caporali e la data dell’opera MDXXXVI, si trovano i simboli dell’Architettura che domina tra due grifi simbolo di Perugia e ai quattro lati quelli della Matematica, Musica, Literatura [sic], Pittura. Il f. 4r, invece della iniziale A di Accipe Regie dignitatis Anulum, mostra un riquadro di notevoli dimensioni con una scena figurata con l’Incoronazione di Carlo V. Morello nella scheda da lui redatta l’ha messa in relazione iconografica con la parte destra della scena ad affresco dell’Incoronazione di Carlo Magno nella Stanza dell’Incendio di Borgo dei Palazzi Vaticani56. A mio avviso, invece, il miniatore nella figura del papa seduto che sta inchinandosi per porre la corona sul capo dell’ imperatore inginocchiato ai suoi piedi con le mani devotamente giunte, mostra, rispetto a quella sopra menzionata, una cultura anche anteriore cronologicamente e cioè palesa una particolare affinità iconografica con la zona sinistra dell’affresco con l’Imposizione del cappello cardinalizio a Enea Silvio Piccolomini da parte di papa Callisto III opera del Pintoricchio nella Libreria Piccolomini del Duomo di Siena57. Si veda ad esempio come il miniatore nella scena del Cerimoniale mostra di aver ben conosciuto la scena senese, tanto da ricordare nella figura rappresentata parzialmente all’estrema sinistra con un manto di un vivo rosso quella della figura intera vista di spalle a sinistra accanto al papa a Siena. 55 Si veda in proposito il saggio di A. ZIINO, “A dimandar pietà” laude musicale in un dipinto attribuito a Giovanni Battista Caporali, in Arte e musica in Umbria tra Cinquecento e Seicento, atti del XII Convegno di Studi Umbri (Gubbio-Gualdo Tadino 30 novembre – 2 dicembre 1979), Gubbio 1981, pp. 81-87. 56 MORELLO, Scheda nr. 73, in Liturgia in figura cit., pp. 295-297, si veda ivi figura in colore p. 296. 57 Su tali affreschi P. Scarpellini, in SCARPELLINI – SILVESTRELLI, Pintoricchio cit., p. 270, sostenne che la scena e le linee generali furono ideate dal Pintoricchio che però, secondo il suo parere, dovette intervenire solo in poche figure quali il Pontefice e il Piccolomini, ma nel complesso non ebbe un giudizio positivo definendolo «lavoro di routine e abbastanza convenzionale e meccanico». Tale opinione non è pienamente condivisa da me. K. Oberhuber invece ritenne che, addirittura, per tale affresco vi potesse essere un modello di Raffaello poi modificato dal Pintoricchio (cfr. K. OBERHUBER, Raphael and Pintoricchio, in Studies in the History of Art 17 (1986), pp. 155-172: p. 166).

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Tornando alla miniatura in esame, sono inoltre del parere che il miniatore mostri nella scena non solamente una «indubbia qualità nella ricerca fisiognomica dei personaggi» già messa giustamente in evidenza da Morello58, ma anche un sentore di profondità spaziale nell’ambiente interno decorato con grande raffinatezza miniatoria nei tendaggi arricchiti da svariati disegni con un cromatismo di notevole effetto. Specie alcuni ritratti, quali i volti del pontefice e quelli dei numerosi prelati astanti, sono trattati con uno stile simile al papa Giulio III nella miniatura citata dell’Archivio di Stato di Perugia, che è stata giustamente attribuita da Scarpellini a Giovanni Battista Caporali59 e sulla quale già nel presente saggio mi sono soffermata. Anche al f. 4r torna il motivo adottato al f. 3v dei bordi accartocciati della finta pergamena. Passo ora a considerare lo stile delle sedici grandi iniziali (immagini inedite), concordando con il Morello che sono dovute ad un altro artista imitatore dello stile del grande miniatore Matteo da Milano60, basandomi particolarmente sulla ricerca comparativa effettuata su altre iniziali anteriori e coeve. Le iniziali citate sono una D a f. 2r, due E al f. 2v, una D al f. 5r, una A al f. 6r, una A e una E al f. 8v, una E e una A al f. 9r, una A al f. 11r, una Q al f. 12v, una S al f. 13r, una T e una Q al f. 14v, una D al f. 15v. Nelle iniziali miniate su un fondo aureo con motivi di fiori dai petali multicolori e con motivi nelle lettere, ad esempio nelle due E al f. 2v (tav. XIX), ho rinvenuto elementi molto simili ad alcune lettere iniziali di un prezioso codice cinquecentesco di piccolissime dimensioni (cm 17,2  12), il De musica et poetica opera del fiorentino Raffaele Lippo Brandolini61, consultato direttamente nella Biblioteca Casanatense di Roma, ms. 805 (tav. XX), ove l’autore «oltre a delineare una sorta di storia della musica, considerata la prima delle arti liberali, difende la poesia dalle accuse di paganesimo, definendola fonte di civiltà»62. 58

MORELLO, Scheda nr. 73, in Liturgia in figura cit., p. 297. SCARPELLINI, Giovanni Battista Caporali e la cultura artistica cit., pp. 76-77. 60 MORELLO, Scheda nr. 73, in Liturgia in figura cit., p. 296. 61 Cfr. G. BALLISTERI, Brandolini, Raffaele Lippo, in DBI, 14, Roma 1972, pp. 40-42; M. QUARTANA, Un umanista minore alla corte di Leone X Rafael Brandolinus, in Atti della Società Italiana per il progresso delle scienze 20 (1932), pp. 464- 472. Dopo un periodo a Napoli, il Brandolini tornò a Firenze e si fece monaco agostiniano come anche suo fratello Aurelio; nel 1493 si stabilì definitivamente a Roma ed ebbe varie volte l’incarico di predicare nella Sistina alla presenza di papa Alessandro VI, da papa Giulio II venne nominato suo cubiculario e da papa Leone X venne nominato professore di retorica con stipendio e alloggio nel Palazzo Apostolico Pontificio. G. B. Caporali può averlo conosciuto qui. 62 Come figura nella scheda del manoscritto a cura di A. A. CAVARRA, in La Biblioteca Casanatense, ideazione e presentazione di C. PIETRANGELI, Firenze 1993, p. 164. 59

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Il piccolo codice per Giovanni de’ Medici (poi papa Leone X) è stato decorato dal famoso miniatore Matteo da Milano ed è da datarsi intorno al 1513, periodo nel quale l’artista risulta attivo a Roma per la corte papale. A tale periodo appartengono anche i tre voluminosi codici della Biblioteca Apostolica Vaticana commissionati dal cardinale Leonardo Grosso della Rovere per la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma63 e i codici del cardinale Lorenzo Pucci fiorentino64 sui quali non mi soffermo in questa sede65. Il codicetto ms. 805 della Casanatense presenta una decorazione nei bordi secondo lo stile gandobruggese con dovizia raffinata di motivi di fiori di diversa tipologia, fragole, frutti vari e caratteri stilistici che si rinvengono in molti bordi della sua ampia produzione di livello notevolmente alto. Anche le iniziali del codicetto casanatense sono di notevole levatura e raffinatezza e, a mio parere, il miniatore operoso nelle sedici succitate iniziali del Cerimoniale in esame dovette conoscerle direttamente. Per un esempio che mi sembra palmare, pongo a confronto in specie le due lettere E al f. 2v e l’altra E al f. 8v di Et mox surrexit (cm 4,7  5,2) (tav. XXIa) con una lettera E del f. 7r del codice citato della Casanatense. La prima E del f. 2v è campita in un quadrato con fondo aureo bordato da una linea a penna nera ed è di colore dominante azzurro, con l’asta della lettera con decorazioni color azzurro e verde e una parte centrale con delle particolari decorazioni lenticolari auree su fondo rosso contornate da quattro rami, dei quali uno ha un fiore rosso a cinque petali e un altro un bocciolo a tre petali. L’altra E di Et per eundem (cm 4,5  4,5) è dello stesso tipo e presenta due rami con due fiori uno rosso uno azzurro, l’altro privo di fiori ed inoltre sulla destra è un gioiello ovale rosso66. Il f. 8v presenta due lettere, una A e la E di Et mox Resurrexit pressoché identica a quella superiore di f. 2v, mentre la A di Accingere gladio tuo, di 63 È stato G. Morello che ha rinvenuto per la prima volta la mano del miniatore Matteo da Milano nei codici per Santa Maria Maggiore, in ID., Scheda nr. 67, in Liturgia in figura cit., pp. 279-283. 64 Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. C.VIII.228 e Chig. C.VIII.230. 65 Per alcune notevoli influenze del Pintoricchio nel Chig. C.VIII.228, specie ai ff. 14r e 57r, già da me pubblicate, rinvio a F. GUALDI, Per Pintoricchio e Raffaello giovane: nuovi esisti di ricerche e “adornamenti”, libri, animali, orificerie, in Accademia Raffaello. Atti e Studi 2 (2007), pp. 75-108, fig. 26. Su questi notevoli codici, alle miniature dei quali ho rivolto già da molti anni il mio studio, ho in via di pubblicazione il volume I codici per Santa Maria Maggiore Biblioteca Apostolica Vaticana nr. 12, 13, 14 e i codici per il cardinal Lorenzo Pucci, con nuovi apporti stilistici ed esame nella loro completezza e totale amplissima bibliografia. 66 Sebbene di dimensioni più ridotte e di fattura di minore levatura, tale gioiello mostra l’eco di quelli frequentissimi, di maggior grandezza, nei bordi del miniatore Matteo da Milano.

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dimensioni leggermente più grandi (cm 5,7  6,2), si differenzia lievemente dalle altre: dalla sommità scendono due ramoscelli verdi che hanno, uno per lato, due fiori gialli a cinque petali con pistillo azzurro e all’interno della lettera sono nell’asta trasversale della A una perla azzurrina e una borchia a mo’ di gioiello ovale rosso decorato con nastri. Ora le tre E già indicate non hanno certo lo splendore cromatico, ad esempio, della lettera E citata del codice della Casanatense, ma mostrano che il miniatore delle lettere del Cerimoniale fu un seguace di Matteo da Milano, pur raggiungendo un livello stilistico inferiore. Desidero osservare che addirittura “copiò” nell’asta della E dei motivi decorativi lenticolari a quadratini gialli, su fondo rosso, che desidero qui precisare saranno molto frequenti nella produzione delle iniziali del miniatore lombardo. Per le altre iniziali, dopo aver notato le già indicate caratteristiche stilistiche, mi limito qui di seguito alla semplice descrizione. Al f. 2r nell’iniziale D di Deductus coronandus è miniata sul solito fondo aureo l’iniziale che su un fondo nero cupo reca la scritta «CLE» e intorno tre rametti fogliacei (tav. XXIb). Al f. 5r torna nell’iniziale D di Deus cui est omnis potestas (cm 4,7  5,2), al centro, il fondo scurissimo del f. 2r, qui con un cartiglio, e i soliti motivi decorativi rossi con l’aggiunta di una perla, mentre intorno sia superiormente sia inferiormente alla lettera sono due rami con foglie, uno con una rosa selvatica color celeste, l’altro con un fiore rosso con piccoli tocchi dorati (tav. XXIc). Al f. 6r la A di Accipe gladium (cm 6,2  6) ha motivi finissimi di ramages con dei rami verdi e azzurri, con fiori a cinque petali e due che sembrano delle pannocchie gialle (tav. XXId). Il f. 9r presenta due iniziali miniate, la superiore è una E di Et iterum genuflexus pontifex [sic] (cm 4,5  4,7) avvolta da rami, uno dei quali ha un fiore azzurro con cinque petali; l’altra lettera, A di Accipe coronam regni Lombardie, di dimensioni leggermente maggiori, è avvolta come l’altra da rami (tav. XXIIa). Al f. 11r la A di Accipe virgam virtutis (cm 5,2  5,2) mostra nell’asta trasversale della lettera tre piccoli fiori celesti, all’esterno invece pendono una a destra, l’altra sinistra due pere. Al f. 12v la Q di Quo dicto ductus (cm 5,3  4,8), su una base più scura nel campo dell’iniziale, mostra lo stemma mediceo su fondo giallo e intorno tre rami, due dei quali con fiori rosso e azzurro (tav. XXIIb). Al f. 13r si trova un’iniziale S di Sta et retine (cm 5,4  5,2); questa volta però, sul consueto fondo aureo, la miniatura si differenzia da tutte le altre quindici del codice perché intorno ai soliti motivi decorativi, rossi con

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piccoli motivi gialli, già citati, di eco dalle iniziali di Matteo da Milano, vi sono due puttini alati. Quello a sinistra sta quasi planando verso il basso guardando verso lo spettatore e l’altro, alquanto danneggiato, si aggrappa all’iniziale; sia questo che l’altro putto sostengono dei mossi cilici e il miniatore, per i contorni dei loro corpi, si è servito dell’uso dell’inchiostro di color marrone (tav. XXIIc). Il f. 14v presenta due lettere (ed una piccola Q sulla quale farò più oltre un breve cenno). L’iniziale superiore Q di Quo dicto Pontifex (cm 5,6  5,4) mostra di nuovo un colore scuro nel campo (ossidato?) che si è rinvenuto al f. 11r, con una targa su fondo azzurro con la scritta «CLE VII» e nell’esterno della lettera tre rami, dei quali uno con un fiore rosso a tre petali, l’altro con fiore rosso con pistillo giallo. L’iniziale sottostante, che cromaticamente contrasta con la superiore poiché ha il solito fondo aureo, è una T di Te Deum laudamus (cm 5,4  5,3), che nella sommità della lettera, al centro, mostra un lenticolare volto frontale grottesco; ai lati con nastri sono bacche e pendono due frutti che sembrano fichi (tav. XXIIIa). Anche il f. 15v nella D di Deus (cm 5,2  4,9) palesa i soliti lenticolari motivi decorativi di color rosso con fregi giallastri che abbiamo rinvenuto frequentemente imitati dal nostro miniatore, un tralcio che termina con una piccola fragola, motivo anche questo spesso adottato dall’artista lombardo, e nel campo dell’iniziale torna la scritta «CLE VIJ». Anche all’ultimo foglio con iniziali miniate del Cerimoniale, il f. 16v, tornano nell’interno della D di Deus (cm 5,3  5,2), su una base di nero cupo, le lettere dorate «CLE VIJ» e accanto a un fiore azzurro con cinque petali pende un piccolo nastro nero con un fiore giallo con tre petali e sembra un frutto. Oltre alle citate iniziali con decorazioni, nel Cerimoniale esistono iniziali miniate in oro su fondo azzurro decorato: una al f. 14v, ben cinque al f. 15r (tav. XXIIIb), dello stesso stile e della stessa mano, un’altra lenticolare P al f. 10v. Nel complesso delle opere miniate con figure oggetto del presente saggio è palese, a mio parere, come ho puntualizzato, l’eco di una cultura artistica umbra, romana, vaticana da parte del miniatore che non dovette essere necessariamente un miniatore di Cappella67, ma che fu artista molto stimato nell’ambiente romano e vaticano, come fu il perugino Giovanni Battista Caporali. Occorre inoltre tener sempre presente che il suo livello artistico fu spesso discontinuo: cito quale esempio gli affreschi della Chiesa di Sant’Anto67

TALAMO, in Liturgia in figura cit., p. 198, ha invece ricercato il miniatore nell’ambiente degli scriptoria pontifici.

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nio di Deruta (PG) con le scene relative a Sant’Antonio Abate68, di elevatezza artistica modesta rispetto all’esito stupendo della Natività di Gesù69 nella Chiesa di San Michele di Panicale datata 1519; oppure, nel periodo della sua maturità, una delle sue opere datata 153270, la decorazione della volta succitata della Chiesa di Santa Maria della Luce a Perugia, già menzionata, che mostra una pluralità di interessi specie per Michelangelo e Raffaello. Non va inoltre sottaciuto il fatto che molte opere del Caporali in affresco andarono perdute e che sicuramente dovettero essere di molta scuola come gli affreschi eseguiti nella Chiesa di Montemorcino Vecchio di Perugia71, e in particolare gran parte della decorazione della Cappella Vibi e della cappella adiacente nella Chiesa di San Pietro di Perugia. Pur non essendo oggetto del presente saggio, ricorderò qui che fu proprio un alto prelato, il cardinale Silvio Passerini72, che affidò al Caporali la costruzione e la decorazione della notevole Villa detta del Palazzone presso Cortona, poi proseguita pittoricamente da altri73 fra i quali principalmente Tommaso Bernabei da Cortona detto il Papacello. La nota partecipazione già citata del Caporali alla famosa cena74, probabilmente “di lavoro”, nella casa del Bramante in Borgo (Palazzo dei Penitenzieri in Via della Conciliazione a Roma, attualmente sede dell’Hotel Columbus) insieme a Perugino, Pintoricchio e Signorelli fa ulteriormente fede di quanto l’artista perugino fosse stimato a Roma: e perciò, a mio parere, dai confronti in questa sede da me istituiti, poté essere interpellato in Vaticano per decorazioni miniatorie, anche se i documenti tacciono. 68 Per queste si veda, tra l’altro, C. MADDOLI, scheda nel volume MANCINI – SCARPELLINI, Pittura in Umbria cit., p. 103. 69 L’opera in pittura è senz’altro una delle più riuscite e notevoli dell’artista, da me esaminata direttamente più volte. 70 La datazione fu scoperta durante il restauro del 1978. Cfr. scheda in MANCINI – SCARPELLINI, Pittura in Umbria cit., p. 55. 71 È chiamata così per distinguerla dalla Chiesa settecentesca di Montemorcino Nuovo, ora chiesa della sede centrale dell’Università degli Studi di Perugia. 72 Il cardinale Passerini rivestì la carica di Legato per l’Umbria, conferitagli da papa Clemente VII. 73 Sulla decorazione pittorica in specie: F. MAGI, Laocoonte a Cortona, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 40 (1967-1968), pp. 275-294; M. WINNER, Zum Nachleben des Laokoon in der Renaissance, in Jahrbuch der Berliner Museen 16 (1974), pp. 83121, specie p. 111; F. GUALDI SABATINI, Giovanni di Pietro detto Lo Spagna, I, Spoleto 1984, p. 406; M. GORI SASSOLI, Di un misconosciuto raffaellesco e preteso signorelliano: Tommaso Bernabei da Cortona detto il Papacello, in Bollettino d’Arte, anno LXXIII, serie VI, 47 (1988), pp. 17-34. 74 SCARPELLINI, in SCARPELLINI – SILVESTRELLI, Pintoricchio cit., p. 277. La cena è anche ricordata nella famosa opera del Caporali con il Commento di Vitruvio precedentemente citata.

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I risultati di questi nuovi studi, quindi, convergono nell’attribuzione all’arte di Giovanni Battista Caporali delle miniature del grande Antifonario di papa Clemente VII (Capp. Sist. 4) e del Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V (Borg. lat. 420).

ABSTRACT Lo studio propone l’attribuzione alla mano del pittore perugino Giovanni Battista Caporali delle miniature di due manoscritti eseguiti durante il pontificato di Clemente VII (1523-1534): il grande Antifonario (Capp. Sist. 4) fatto eseguire da Papa Clemente VII per le funzioni religiose nella Cappella Sistina e il Cerimoniale (Borg. lat. 420) per l’incoronazione di Carlo V a Imperatore del Sacro Romano Impero da parte di Papa Clemente VII, avvenuta a Bologna nel febbraio 1530. L’identificazione è il risultato dell’esame di molte opere di miniatura, pittura ed arazzeria dei primi decenni del Cinquecento, rispetto alle quali sono proposti confronti iconografici e stilistici. This study proposes that the artist Giovanni Battista Caporali from Perugia created the miniatures that appear in the following two manuscripts from the reign of Pope Clement VII (1523-1534): the large Antifonario (Capp. Sist. 4) for religious services in the Sistine Chapel, and the Cerimoniale (Borg. lat. 420) for the coronation of Charles V as Holy Roman Emperor at Bologna in February 1530. This attribution is based upon iconographic and stylistic comparisons of many miniatures, pictures and tapestries from the sixteenth century.

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Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Sist. 4, Antifonario di Clemente VII, f. 3v.

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Tav. II – Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 458, Messale di Federico Cornaro, f. 82v, JACOPO DEL GIALLO, Crocifissione.

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Tav. III – Palazzi Apostolici Vaticani, Stanza della Segnatura, RAFFAELLO, Parnaso, particolare con la musa Calliope.

Tav. IV – Palazzi Apostolici Vaticani, Stanza della Segnatura, RAFFAELLO, Giustizia, lunetta, particolare con la Prudenza.

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Tav. V – Palazzi Apostolici Vaticani, Appartamento Borgia, Sala delle Arti Liberali, PINTORICCHIO, Musica, particolare.

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Tav. VI – Perugia, Archivio di Stato, Comune di Perugia. Consigli e Riformanze 136, f. 1r, papa Giulio III in trono.

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Tav. VII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Sist. 4, Antifonario di Clemente VII, f. 4r.

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Tav. VIII – Musei Vaticani, inv. 43840, Salita al Calvario di Cristo, arazzo con scena tratta da Raffaello.

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Tav. IX – Palazzi Apostolici Vaticani, Loggia di Raffaello, fregio ai lati di una edicola a forma di finestra che reca il nome di Papa Leone X.

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Tav. X – Washington, National Gallery of Art, in. Nr. 1939.1.155, Annunciazione attribuita al pittore GIANNICOLA DI PAOLO.

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Tav. XI – Perugia, Basilica di S. Pietro, Cappella Vibi, GIOVANNI BATTISTA CAPORALI, Annunciazione, particolare con l’Arcangelo Gabriele (da Pittura in Umbria tra il 1480 e il 1540: premesse e sviluppo nei tempi di Perugino e Raffaello, a cura di F. F. Mancini – P. Scarpellini, Milano 1983).

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Tav. XII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Sist. 4, Antifonario di Clemente VII, f. 4r, particolare con la Natività.

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Tav. XIII – Roma, Basilica di S. Maria del Popolo, Cappella della Rovere (o di San Girolamo), PINTORICCHIO, Adorazione del Bambino (da F. Gualdi, Pintoricchio e collaboratori nella cappella della navata destra, in Santa Maria del Popolo. Storia e restauri, a cura di I. Miarelli Mariani e M. Richiello, I, Roma 2009).

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Tav. XIV – Perugia, volta della Chiesa della Madonna della Luce, GIOVANNI BATTISTA CAPORALI, L’Eterno in gloria tra angeli ed evangelisti.

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Tav. XV – Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Sist. 4, Antifonario di Clemente VII, f. 54r.

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Tav. XVI – Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Sist. 4, Antifonario di Clemente VII, f. 4v, David in preghiera.

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Tav. XVII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 420, Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V, f. 1r.

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Tav. XVIII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Ross. 3448, Architettura con il suo Comento et figure di Vetruvio in volgar lingua raportato per M. Gianbatista Caporali di Perugia, In Perugia, nella Stamparia del conte Iano Bigazzini, il di primo d’aprile 1536, frontespizio.

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Tav. XIX – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 420, Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V, f. 2v.

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Tav. XX – Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 805, R. L. Brandolini, De musica et poetica.

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NUOVI STUDI SULL’ATTRIBUZIONE DELLE MINIATURE

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Tav. XXI – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 420, Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V, particolari: a) f. 8v; b) f. 2r; c) f. 5r; d) f. 6r.

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FAUSTA GUALDI

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c Tav. XXII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 420, Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V, particolari: a) f. 9r; b) f. 12v; c) f. 13v.

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NUOVI STUDI SULL’ATTRIBUZIONE DELLE MINIATURE

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b Tav. XXIII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 420, Cerimoniale per l’incoronazione di Carlo V, particolari: a) f. 14v; b) f. 15r.

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DANIELE GUERNELLI

APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA NUOVE ATTRIBUZIONI AL MAESTRO DELLA CROCIFISSIONE D, NICOLÒ DI GIACOMO E STEFANO DEGLI AZZI ABSTRACT a p. 216.

Non vi è dubbio che la città di Bologna sia stata un luogo particolarmente importante per la cultura basso medievale europea, a fronte della forza trascinante che la sua università seppe esercitare in tutto il continente. Il rifondato diritto diventò dall’undicesimo secolo in poi una condizione fondamentale per la formazione intellettuale di gran parte dell’establishment di quel tempo, convogliando in città un nutrito numero di studenti assetati di cultura giuridica. Questo fenomeno non avrebbe potuto compiersi senza la presenza in loco di una forte struttura produttiva libraria in grado di fornire testi all’università1. Un mercato capace di reperire pergamena, trattarla, distribuirla ai copisti, ai calligrafi e ai rilegatori, e tutto questo in tempi sempre più stretti, a fronte della pressante richiesta di testi. Non è un caso se proprio in centri universitari come Bologna e Parigi si affermò la pecia, sistema di distribuzione dei singoli fascicoli a più copisti in grado di accelerare i tempi di produzione. Il tutto coordinato da uno stazionario, in grado di gestire i rapporti con l’università e di governare il sistema manifatturiero2. Naturalmente, accanto alla realizzazione di tomi più economici si af1 S. L’ENGLE – R. GIBBS, Illuminating the Law. Legal Manuscripts in Cambridge Collections [catalogo della mostra, Cambridge, Fitzwilliam Museum, 3 novembre – 16 dicembre 2001], London – Turnhout 2001; Juristische Buchproduktion im Mittelalter, herausgegeben von V. COLLI, Frankfurt am Main 2002; V. COLLI, Giuristi medievali e produzione libraria: manoscritti, autografi, edizioni, Stockstadt am Main 2005. 2 La production du livre universitaire au moyen âge. Exemplar et pecia, Actes du symposium tenu au Collegio San Bonaventura de Grottaferrata en mai 1983, textes réunis par L. J. BATAILLON – B. G. GUYOT – R. H. ROUSE, Paris 1991; F. SOETERMEER, Utrumque ius in peciis. Aspetti della produzione libraria a Bologna fra Due e Trecento, Milano 1997; G. MURANO, Opere diffuse per exemplar e pecia, Turnhout 2005; F. SOETERMEER, Between Codicology and Legal History. Pecia Manuscripts of Legal Texts, in Manuscripta 49 (2005), pp. 247-267; M. E. G. BARRACO, In petiis: il sistema della pecia e la produzione del libro universitario nel medioevo, Roma 2014; Outils et pratiques des artisans du livre au Moyen Âge, [par J.-L. DEUFFIC], Turnhout 2017, numero monografico della rivista Pecia. Le livre et l’écrit 19 (2016); ma si vedano anche gli interventi in Pecia. Ressources en médiévistique 1 (2002).

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 187-216.

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fiancò quella di manoscritti di pregio, se non di vero e proprio taglio suntuario, nei quali la decorazione miniata ebbe la parte del leone. Non a caso lo stesso Dante Alighieri, in un famoso passo sulla ‘fama’ della Divina Commedia, citò due miniatori attivi a Bologna nei suoi anni, Oderisi da Gubbio e Franco Bolognese: «“Oh!”, diss’io lui, “non se’ tu Oderisi, l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi?”, “Frate”, diss’elli, “più ridon le carte che pennelleggia Franco Bolognese; l’onore è tutto or suo, e mio in parte”» (Purgatorio, XI, vv. 79-84)3. Purtroppo, se Oderisi da Gubbio è presente nei documenti cittadini, di Franco non vi è al momento alcuna traccia, e comunque di entrambi ignoriamo la facies artistica4. Tuttavia, nella prima metà del Trecento si osservano a Bologna un importante numero di maestri che seppero occupare la scena con grande autorità, abbellendo con la loro opera pagine e pagine di testi, si pensi al Maestro di Gherarduccio (o Maestro degli Antifonari padovani), a Nerio, a Lando d’Antonio, al Maestro del B18, al Maestro di Seneca, al Maestro del 1328, a l’Illustratore, o al Maestro del 1346, solo per citarne qualcuno5. E del resto, ancora non mancano nuove personalità da scoprire, come mostra il Mae-

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Sulle successive e ancor più famose terzine, dedicate a Cimabue e Giotto, si veda F. FLORES D’ARCAIS, Considerazioni attorno alla terzina vv. 93-96 del canto XI del Purgatorio dantesco, in De lapidibus sententiae. Scritti di storia dell’arte per Giovanni Lorenzoni, a cura di T. FRANCO – G. VALENZANO, Padova 2002, pp.157-160. 4 F. FILIPPINI – G. ZUCCHINI, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti dei secc. XIII e XIV, Firenze 1947, pp. 183-185; G. FALLANI, Ricerca sui protagonisti della miniatura dugentesca: Oderisi da Gubbio e Franco Bolognese, Firenze 1971; D. GIOSEFFI, Una traccia per Oderisi e un’ipotesi per Franco, in Miniatura in Friuli, crocevia di civiltà, atti del convegno (Passariano, Udine, 4-5 ottobre 1985), a cura di L. MENGAZZI, Pordenone 1987, pp. 83-91; A. ROSSI, La miniatura da Dante a Boccaccio: Oderisi da Gubbio, Buffalmacco, Boccaccio disegnatore, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia. Quaderni 9/10 (2000, ma 2002), pp. 69-86; E. LUNGHI, Le arti del Duecento a Gubbio: il mito di Oderisi da Gubbio tra miniatura e pittura, in Gubbio al tempo di Giotto, a cura di G. BENAZZI – E. LUNGHI – E. NERI LUSANNA, Perugia 2018, pp. 28-45. 5 Per una panoramica della miniatura bolognese di questo periodo si veda il sempre fondamentale A. CONTI, La miniatura bolognese. Scuole e botteghe, 1270-1340, Bologna 1981, insieme alle singole voci del Dizionario biografico dei miniatori italiani: secoli IX-XVI, a cura di M. BOLLATI, Milano 2004, e a M. MEDICA, La miniatura a Bologna, in La miniatura in Italia, I: Dal tardoantico al Trecento, con riferimenti al Medio Oriente e all’Occidente europeo, a cura di A. PUTATURO DONATI MURANO – A. PERRICCIOLI SAGGESE, Città del Vaticano – Napoli 2005, pp. 177-193. Ai saggi citati qui di seguito si aggiungano da ultimo: S. L’ENGLE, Master of B 18, the Roermond ‘Volumen Parvum’, and Early Fourteenth-century Illumination in Bologna, in Codices Manuscripti. Zeitschrift für Handschriftenkunde 52-53 (2005), pp. 1-20; M. MEDICA, Da Guglielmo a Lando di Antonio: miniatori e pittori tra Due e Trecento nella Compagnia dei Lombardi, in L’antica Compagnia dei Lombardi in Bologna. Un passato presente, catalogo della mostra (Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, 12 ottobre 2019 – 9 febbraio 2020), a cura di M. MEDICA – S. BATTISTINI, Cinisello Balsamo 2019, pp. 41-55.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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stro del Pontificale di Autun (Bibliothèque municipale, ms. S. 276)6. Nella seconda metà del secolo, invece, spiccano senza dubbio Nicolò di Giacomo e Stefano degli Azzi. Tutti maestri che ebbero un notevole successo sia in patria che fuori, venendo chiamati non di rado in altre città a lavorare7. Questo breve saggio aggiunge al catalogo dei tre miniatori trattati alcune nuove opere. Maestro della Crocifissione D L’ambiente figurativo bolognese ebbe modo di forgiarsi grazie ad una situazione di particolare apertura verso il mondo gotico. E questo non solo in ragione della circolazione internazionale di studenti, che spesso portavano con se anche codici miniati e oggetti prodotti a nord delle Alpi, ma anche a fronte degli anni nei quali la città venne preparata ad accogliere un ritorno del papato in terra italiana. Infatti, tra 1327 e 1334, periodo nel 6 Per questo importante codice si veda il numero ad esso dedicato in Art de l’enluminure 35 (2010), ed il catalogo della mostra Bologne et le pontifical d’Autun. Chef-d’œvre inconnu du premier Trecento, 1330-1340, [par] B. MAURICE-CHABARD – M. MEDICA – F. AVRIL, Autun 2012. 7 M. MEDICA, Tra Università e Corti: i miniatori bolognesi del Trecento in Italia settentrionale, in L’artista girovago. Forestieri, avventurieri, emigranti e missionari nell’arte del Trecento in Italia del Nord, atti del convegno (Losanna, 6-7 maggio 2010), a cura di S. ROMANO – D. CERUTTI, Roma 2012, pp. 101-134. In merito alla centralità di Bologna nell’ambito della decorazione libraria conviene segnalare come, sebbene alcuni anonimi miniatori qui sopra citati siano stati associati a Padova, il ruolo della città felsinea continua ad apparire indisputabile. A riprova di questo è particolarmente significativo il caso di tre copie del Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, cod. 2571; Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 782; Sankt-Peterburg, Rossijskaja nacional’naja biblioteka, fr. F.v.XIV.3), che nonostante la presenza di imponenti apparati figurativi di stampo bolognesizzante la critica ha teso a considerare come opere padovane (da ultimo si veda S. L’ENGLE, Produced in Padua: Three Manuscripts of the Roman de Troie, in Il codice miniato in Europa. Libri per la chiesa, per la città, per la corte, a cura di G. MARIANI CANOVA – A. PERRICCIOLI SAGGESE, Padova 2014, pp. 277-288; ID., Three Manuscripts of the Roman de Troie. Codicology, Pictorial Cycles, and Patronage, in Alle Mären ein Herr. Rittliches Troja in illuminierten Handschriften – Lord of all Tales. Chivalric Troy in Illuminated Manuscripts, edited by C. CIPOLLARO – M. V. SCHWARZ, Wien – Köln – Weimar 2017, pp. 67-128). Tuttavia, la recente scoperta nella copia di San Pietroburgo della mano del copista bolognese Galvano (S. DE SANTIS, Galvano di Bologna. Tra la Commedia dantesca e il Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure. Ricerche, Roma 2019), responsabile anche della scrittura di una importante Divina Commedia con il commento di Iacopo della Lana (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 1005, Inferno e Purgatorio; Milano, Biblioteca Braidense, ms. AG XII 2, Paradiso), realizzata a Bologna, pare confermare che seppur Padova attrasse studenti e maestranze librarie, la città felsinea aveva numeri e status che conviene tenere bene a mente nella valutazione del problema (si consideri che secondo P. F. GRANDLER, The Universities of the Italian Renaissance, Baltimore – London 2002, p. 515, nella prima metà del XV secolo Bologna ebbe una media di migliaio di studenti, mentre Padova variò dai 300 ai 500: le unità si parificano solo nella seconda metà del XVI, mentre in precedenza non dovette essere comunque partita).

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quale Bologna fu sottoposta al controllo papale, vennero approntati gli interventi necessari per rendere la Rocca di Porta Galliera sede di sufficiente rango per l’arrivo del papa. Tale progetto si infranse con la cacciata del legato pontificio Bertrando del Poggetto, il francese Bertrand du Pouget, allontanato in malo modo, insieme alla delegazione papale, da una città in rivolta desiderosa di riavere il controllo su sé stessa8. Come ricordato da un bellissimo saggio di Enrico Castelnuovo, una Bologna come Avignone9, con la quale non solo ebbe modo di chiamare a sé artisti come Giotto e Giovanni di Balduccio, incaricati di realizzare la cappella papale della sopra citata Rocca10, ma anche di veder transitare alti prelati transalpini che si fecero veicolo di una circolazione di oggetti di stile gotico che impattarono profondamente sull’arte locale. Il risultato di questo melting pot fu uno stile particolarmente legato al mondo nordico, e carico di una umoralità e di una espressività che risulta assolutamente peculiare in tutto il panorama della penisola. Oltre alla pittura monumentale, la quale con figure come Vitale da Bologna, il Maestro del 1333 o gli artisti dell’ex gruppo ‘Pseudo-Jacopino’ ebbe modo di raggiungere alti tassi di eccentricità, tra citazioni giottesche e asimmetrie goticheggianti11, anche la miniatura raccolse tali istanze, che peraltro ebbero gioco facile a manifestarsi negli spazi concessi dal layout della pagina manoscritta. Accanto alla produzione giuridica si affiancò inevitabilmente 8 G. BENEVOLO, Bertrando del Poggetto e la sede papale a Bologna: un progetto fallito, Giotto e le arti a Bologna al tempo di Bertrando del Poggetto, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Medievale, 3 dicembre 2005 – 28 marzo 2006), a cura di M. MEDICA, Cinisello Balsamo 2005, pp. 20-35. 9 E. CASTELNUOVO, Bologna come Avignone, in Il luogo ed il ruolo della città di Bologna tra Europa continentale e mediterranea, atti del colloquio C.I.H.A. 1990, a cura di G. PERINI, Bologna 1992, pp. 45-53; ID., Bologna come Avignone, quindici anni dopo, in Giotto e le arti a Bologna cit., pp. 17-19. 10 M. MEDICA, Giotto e Giovanni di Balduccio: due artisti toscani per la sede papale, in Giotto e le arti a Bologna cit., pp. 36-53; G. BENEVOLO, Il Castello di Porta Galliera. Fonti sulla fortezza papale di Bologna (1330-1511), Venezia 2006; F. CAGLIOTI, Giovanni di Balduccio a Bologna: l’Annunciazione per la rocca papale di Porta Galliera, in Prospettiva 117-118 (2005, ma 2006), pp. 21-62; G. BENEVOLO, La committenza del polittico bolognese di Giotto tra carenze documentarie e iconografia papale, in Giotto e Bologna, a cura di M. MEDICA, Cinisello Balsamo 2010, pp. 15-27; D. CERUTTI, Angeli per il papa. Il polittico di Bologna, in Giotto, l’Italia, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 2 settembre 2015 – 10 gennaio 2016), a cura di S. ROMANO – P. PETRAROIA – M. BELLINI, Milano 2015, pp. 154-163. 11 D. BENATI, Tra Giotto e il mondo gotico: la pittura a Bologna negli anni di Bertrando del Poggetto, in Giotto e le arti a Bologna cit., pp. 54-77; ID., Nuovi dipinti bolognesi su tavola negli anni di Bertrando del Poggetto, in Giotto e Bologna cit., pp. 79-85; M. FERRETTI, Funzione ed espressione nella pittura su tavola del Trecento bolognese, in Giotto e Bologna cit., pp. 51-77; M. MEDICA, Les arts à Bologne dans la première moitié du Trecento: peinture, sculpture et miniature, in Bologne et le pontifical d’Autun cit., pp. 28-67.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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anche quella liturgica, che andò a rispondere alla necessità degli ordini religiosi di aggiornare i loro set di corali. Le più importanti realizzate nella prima metà del secolo furono quelle per San Domenico, per i Serviti, e per la cattedrale di San Pietro12. Si tratta di imprese che venivano realizzate da team di miniatori diversi in grado di licenziare un prodotto dalle caratteristiche di una certa affinità, pur nella diversità di mani che lo andavano a realizzare. Il lavoro della critica non è dunque stato agile nella delineazione di queste personalità, per la maggior parte anonime. La serie Servita, conservata nell’omonima chiesa bolognese e dal punto stilistico più omogenea rispetto alle altre due, venne realizzata per la comunità di Borgo San Petronio, e dovrebbe datarsi agli anni 1325-30, in corrispondenza del capitolo generale dell’ordine celebrato a Bologna nel 132613. In questa, accanto a uno dei principali suoi protagonisti, il Maestro di Esaù14, si distinse un suo collaboratore che lo affiancò nei Corali C, D, F (f. 47v), G, H. La critica ha soprannominato questo artista Maestro della Crocifissione D, poiché responsabile nel Corale D di un’iniziale O in cui è presente una Crocifissione15. Da questo pacchetto di miniature si è potuti partire per la creazione di un catalogo del miniatore, che partecipò anche all’altra serie servita, realizzata poco prima dalla stessa équipe bolognese, per i padri di Faenza, ove si fece carico del Corale B16. In ambito religioso, il Maestro della Crocifissione D partecipò anche alla decorazione 12 L. GERLI, Aspetti della miniatura bolognese del Trecento: il Maestro dei corali di San Pietro, in Il Carrobbio 5 (1979), pp. 190-198; I corali di San Domenico a Bologna, a cura di E. D’AGOSTINO – P. ALUNNI, Bologna 2005; L’Archivio Capitolare della Cattedrale Metropolitana di San Pietro in Bologna (secoli X.XX), a cura di M. FANTI, Bologna 2010, pp. 63-64. 13 P. M. BRANCHESI, I libri corali di Bologna di S. Maria dei Servi (secoli XIII-XVII), in L’organo di Santa Maria dei Servi in Bologna, Bologna 1967, pp. 97-122; V. SCARSELLATI SFORZINI RICCARDI, Nuove determinazioni cronologiche di un gruppo di corali dei Servi di Bologna, ibid., pp. 123-125. 14 S. BATTISTINI, Maestro di Esaù, in Dizionario biografico dei miniatori italiani cit., pp. 680-681. 15 CONTI, La miniatura bolognese cit., p. 78; M. MEDICA, «Miniatori-pittori»: il «Maestro del Gherarduccio», Lando di Antonio, il «Maestro del 1328» ed altri. Alcune considerazioni sulla produzione miniatoria bolognese del 1320-30, in Francesco da Rimini e gli esordi del gotico bolognese, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Medievale, 6 ottobre – 25 novembre 1990), a cura di R. D’AMICO – R. GRANDI – M. MEDICA, Bologna 1990, pp. 97-112, 101-103. 16 A. CORBARA, Santa Maria dei Servi di Faenza. Parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo, Faenza 1975, pp. 109-111; B. MONTUSCHI SIMBOLI, Libri liturgici manoscritti e a stampa, Faenza 1981, pp. 28-30; F. LOLLINI, Miniature a Imola: un abbozzo di tracciato e qualche proposta tra Emilia e Romagna, in Cor unum et anima una. Corali miniati della Chiesa di Imola, a cura di F. FARANDA, Faenza 1994, pp. 103-139, 110; S. BATTISTINI, in Corali miniati di Faenza, Bagnacavallo e Cotignola. Tesori dalla diocesi, catalogo della mostra (Bagnacavallo, Centro Culturale Le Capuccine, 2000), a cura di F. LOLLINI, Faenza 2000, pp. 173-177; C. MAGNANI, I corali miniati della chiesa dei Servi di Faenza, in I quaderni del m.æ.s. 10 (2007), pp. 181-198.

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DANIELE GUERNELLI

Fig. 1 – Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 544, f. 44v.

del Graduale di Santa Maria Maddalena di Val di Pietra (Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 544; fig. 1)17, e di un Messale ora a Zagabria (Arhiv Hrvatska akademija znanosti i umjetnosti, ms. II.d)18. Accanto a questa produzione, il miniatore affiancò quella su codici giuridici, come nel Decretum Gratiani, della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera (ms. Clm. 23552), in cui lavora anche l’Illustratore19, nella Novella super 17 MEDICA, «Miniatori-pittori» cit., p. 103; S. RONCROFFI, Psallite sapienter. Codici musicali delle domenicane bolognesi, Firenze 2009, pp. 24-28, 45-49, 155-157; M. MEDICA, Un esempio di miniatura di “primo stile”: il Collettario di Santa Maria Maddalena di Val di Pietra, in Un Libro per le Domenicane. Il restauro del Collettario duecentesco (ms. 612) del Museo Civico Medievale di Bologna, a cura di M. MEDICA, Padova 2011, pp. 63-83: 81. 18 M. MEDICA, Libri, miniatori e committenti nella Bologna di Bertrando del Poggetto, in Giotto e le arti a Bologna cit., pp. 78-93: 90-91, e scheda 30, pp. 192-195. 19 MEDICA, «Miniatori-pittori» cit., pp. 103-105; U. BAUER-EBERHARDT, Die illuminierten Handschriften italienischer Herkunft in der Bayerischen Staatsbibliothek. 1: Vom 10. bis zur Mitte des 14. Jahrhunderts. Textband, Wiesbaden 2011, pp. 234-238, cat. 213; G. DEL MONACO, L’Illustratore e la miniatura nei manoscritti universitari bolognesi del Trecento, Bologna 2018, pp. 191-194.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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Fig. 2 – Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 634, f. 1r.

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sextum decretalium della Bibliothèque municipale di Cambrai (ms. 620)20, e nella Lecturae codicis di Cino da Pistoia della Bibliothèque municipale di Lione (ms. 374)21. A questa lista non si deve dimenticare di aggiungere una copia delle Decretales (Pal. lat. 631) ed una del Codex (Pal. lat. 759) della Biblioteca Apostolica Vaticana22, ed una Miscellanea di testi giuridici della Houghton Library dell’Harvard University (ms. Typ 489)23, tutti attribuitigli da Susan L’Engle. Si tratta di codici databili al terzo-quarto decennio del secolo, a cui sono state aggiunte, a ragione, due opere tarde del Museo Civico Medievale di Bologna quali la Matricola e Statuti dell’Arte dei Drappieri, del 1339 (ms. 634), e f. 55r degli Statuti dell’Arte dei Merciai, del 1340 (ms. 631; fig. 2)24. A questo gruppo di opere si possono sommare un paio di nuovi testimoni. Il primo è un Canon Medicinae di Avicenna della Biblioteka Jagielloñska di Cracovia (ms. Rps 780), finora mai citato dalla critica in relazione al miniatore, ma a suo tempo già avvicinato alla Matricola e Statuti della Società dei Drappieri del 1339 dalla Ameisenowa25. Il codice è miniato solo nella prima carta (fig. 3), in cui è rappresentata la più tipica scena universitaria bolognese, utilizzata poi anche dagli scultori incaricati di realizzare i monumenti tombali dei dottori dello studio in città26. Avicenna viene rappresentato in cattedra nell’atto di insegnare a due studenti, mentre due libri vengono mostrati aperti, a manifestare plasticamente l’importanza della produzione libraria sopra descritta. I profili dei personaggi mostrano le ca20 M. MEDICA, La miniatura a Bologna al tempo di Bertrando dal Poggetto, in Corali miniati di Faenza, Bagnacavallo e Cotignola cit., pp. 83-92: 87. 21 R. JACOB, Peindre le droit ou l’imaginaire du juriste, in Le Moyen Âge en lumière: manuscrits enluminés des bibliothèques de France, a cura di J. DALARUN, Parigi 2002, pp. 207-233; G. DEL MONACO, L’Illustratore e la miniatura nei manoscritti universitari bolognesi del Trecento cit., p. 76, nt. 47. 22 S. L’ENGLE, The Illumination of Legal Manuscripts in Bologna, 1250-1350. Production and Iconography, tesi di dottorato, New York University, maggio 2000, pp. 300-301. 23 S. L’ENGLE, Scheda 172, in Beyond Words. Illuminated Manuscripts in Boston Collections [catalogo della mostra, Harvard University, Houghton Library e Boston, McMullen Museum of Art, 12 settembre – 10 dicembre 2016; Boston, Isabella Stewart Gardner Museum, 22 settembre 2016 – 16 gennaio 2017], edited by J. F. HAMBURGER, W. P. STONEMAN, A.-M. EZE, L. FAGIN DAVIS, N. NETZER, Chestnut Hill 2016, pp. 207-208. 24 M. MEDICA, Scheda 13, in Haec Sunt Statuta. Le corporazioni medievali nelle miniature bolognesi, catalogo della mostra (Vignola, Rocca, 27 marzo – 11 luglio 1999), a cura di M. MEDICA, Modena 1999, pp. 124-125. 25 Z. AMEISENOWA, Rèkopisy i pierwodruki iluminowane Biblioteki Jagielloñskiej, Wrocáaw – Kraków 1958, pp. 29-30. 26 R. GRANDI, I monumenti dei dottori e la scultura a Bologna (1267-1348), Bologna 1982; ID., Dottori, scultori, pittori: ancora sui monumenti bolognesi, in Skulptur und Grabmal des Spätmittelalters in Rom und Italien, a cura di J. GARMS – A. M. ROMANINI, Roma 1990, pp. 353-365.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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Fig. 3 – Kraków, Biblioteka Jagielloñska, ms. Rps 780, f. 1r.

ratteristiche tipiche del Maestro della Crocifissione D, mentre lo spiovente della cattedra chiarisce che gli imprestiti giotteschi che il miniatore seppe interpretare, come nel Messale di Zagabria, si affiancarono nella sua produzione, come in quella di gran parte dei suoi colleghi miniatori e pittori in quegli anni27, a ‘licenze’ espressive e di parziale disinteresse alle questioni di plausibilità spaziale. La seconda opera riconducibile al Maestro della Crocifissione D è una copia delle Institutiones di Giustiniano, il Vat. lat. 143228. Il manoscritto,

27 Da ultimo sul tema A. DE MARCHI, Ricezione di Giotto da Assisi a Bologna e oltre: metamorfosi della Disputa di Cristo fra i dottori, in Studi in onore di Stefano Tumidei, a cura di A. BACCHI – L. M. BARBERO, Verona 2016, pp. 12-23. 28 G. MORELLO, Scheda 13, in Hochrenaissance im Vatikan. Kunst und Kultur im Rom der Päpste I. 1503-1535, [catalogo della mostra, Bonn, Austellunghalle, 11 dicembre 1998 – 11 aprile 1999], herausgegeben von P. KRUSE, Ostfildern-Ruit 1998, p. 439. Per lo studio del Codex di Giustiniano si vedano: L. DEVOTI, L’architettura della pagina glossata: la «mise en page» del Codex di Giustiniano, in Gazette du Livre Medieval 27 (1995), pp. 25-33; EAD., Un rompicapo medievale: l’architettura della pagina nei manoscritti e negli incunaboli del Codex di Giustiniano, in La fabbrica del codice: materiali per la storia del libro nel tardo medioevo, a cura di P. BUSONERO – M. A. CASAGRANDE MAZZOLI – L. DEVOTI – E. ORNATO, Roma 1999, pp. 143-206.

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DANIELE GUERNELLI

Fig. 4 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1432, f. 1r.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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Fig. 5 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1432, f. 15r.

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DANIELE GUERNELLI

Fig. 6 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1432, f. 56v.

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che dopo la sua realizzazione venne ‘condotto’ a Padova29, dove pure esisteva un’altra importante università, presenta tre carte miniate. La prima rappresenta l’imperatore assiso frontalmente sul suo trono ed affiancato da militari e dignitari della sua corte (f. 1r). Il tutto è inquadrato da un’architettura palaziale che sembra essere un prestito da quelle giottesche, prestito non ‘digerito’, come conferma il poggiapiedi dell’imperatore, che importa la stessa malcerta soluzione presente nella rappresentazione di simili scene nei secoli precedenti, fin dalla tradizione carolingia (fig. 4). Le altre due vignette sono ad illustrazione del secondo e del quarto libro, rispettivamente dedicate alle questioni legate alla proprietà ed alle successioni testamentarie, e ai casi di atto illecito ed in genere al diritto criminale (ff. 15r, 56v). La prima di queste presenta un panorama esterno fatto di scarni dirupi e di tre alberelli che appare evidentemente confrontabile con simili soluzioni del già citato Decretum Gratiani, della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera, solo per fare un esempio. Inoltre, i volti mostrano taglio di occhi e capigliature sovrapponibili a quelle del repertorio del Maestro della Crocifissione D, permettendo dunque di iscrivere l’opera nel catalogo dell’artista, che come noto condivise tale motivo con pittori come il Maestro dei polittici di Bologna (figg. 5-6)30. Nicolò di Giacomo Come detto, nella seconda metà del secolo gli artisti del minio riscontrabili in ambito bolognese si riducono di molto, forse a fronte degli effetti della peste nera del 1347-49. Sebbene i documenti citino un certo numero di miniatori, le opere di cui disponiamo raccontano la storia di un duopolio, quello impostato da Nicolò di Giacomo e Stefano degli Azzi. La figura di Nicolò rappresenta senza dubbio una interessante testimonianza del grado di affermazione che un miniatore poteva raggiungere nella società dell’epoca31. Lo confermano le cariche pubbliche che ricoprì durante la 29

L. GARGAN, Nuovi codici “condotti” a Padova nel Tre e Quattrocento, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova 22-23 (1989-90), pp. 1-57: 47. 30 Oltre alla letteratura già citata, sul pittore si veda, A. VOLPE, Proposte sulla pittura bolognese dei primi decenni del Trecento, in Arte Cristiana 83 (1995), pp. 403-414; ID., Aggiunte al “Maestro dei polittici di Bologna”, in Arte a Bologna 6 (2007, ma 2008), pp. 19-29. 31 Sul miniatore si veda I corali di San Giacomo Maggiore. Miniatori e committenti a Bologna nel Trecento, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Medievale, 14 dicembre 20002 – 31 marzo 2003), a cura di G. BENEVOLO – M. MEDICA, Bologna 2002; F. PASUT, Nicolò di Giacomo di Nascimbene, in Dizionario biografico dei miniatori italiani cit., pp. 827-832; D. GUERNELLI, Nicolò di Giacomo: due ulteriori codici, in Rara Volumina 1 (2007), pp. 13-21; I corali di Nicolò di Giacomo della Collegiata di San Giovanni in Persiceto, a cura di D. BENATI – L. MARCHESINI, Bologna 2008; F. PASUT, Un maestro di stile: Nicolò di Giacomo, in Alumina. Pagine miniate 24 (2009), pp. 28-35; D. GUERNELLI, Una Retorica per Nicolò di Giacomo. Tre

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sua vita, quali magistrato dei Collegi (1380, 1381, 1391), procuratore della Società dei Devoti di San Procolo (1382), podestà di Zappolino (1383), soprastante al dazio della barattiera (1386), podestà di sacco dei comuni di Bibulano, Scascoli e Campiano (1391), vicario delle terre di Savigno (1391), e castellano nel Castello di Serravalle (1395). Le prime testimonianze documentarie del miniatore risalgono al 1357, quando si ritrova il suo nome iscritto nel registro delle “venticinquine”32. Ma i suoi esordi sono da retrocedere alla fine del decennio precedente, come mostra l’Offiziolo della Stiftbibliothek di Kremsmünster (ms. 4), sottoscritto il 23 marzo 1349 da Bartolomeo de’ Bartoli33, uno dei principali calligrafi attivi a Bologna34. La carriera di Nicolò, durata fino a circa il 1403, verosimilmente data di morte35, conta dunque almeno cinquant’anni di attività, e un numero densissimo di opere, realizzate dalla sua sapiente mano e da quella dei suoi fedeli collaboratori, che seppero assecondare pedissequamente lo stile del nostro, tanto da farsi notare solo dagli inevitabili momenti di caduta di qualità. Solo per citarne alcune, si ricorda che il miniatore fu responsabile di molti cicli di corali, come quello per gli agostiniani di Bologna (Museo Civico Medievale, mss. 599, 604, 605, 607, 608, 609)36, per gli antoniani di nuove opere ed un punto su catalogo e cronologia, in Strenna Storica Bolognese 63 (2013), pp. 229-250; ID., Ancora su Nicolò di Giacomo e Stefano degli Azzi, in Strenna Storica Bolognese 65 (2015), pp. 273-283; F. TONIOLO, Un graduale miniato da Nicolò di Giacomo alla Biblioteca del Museo Correr di Venezia, in Inedita mediævalia. Scritti in onore di Francesco Aceto, a cura di F. CAGLIOTI – V. LUCHERINI, Roma 2019, pp. 345-354. 32 FILIPPINI – ZUCCHINI, Miniatori e pittori a Bologna cit., pp. 175-181: 176; R. PINI, Il mondo dei pittori a Bologna, 1348-1430, Bologna 2005, pp. 61-64. 33 Il primo ad ascrivere il manoscritto austriaco a Nicolò fu J. NEUWIRTH, Italienische Bilderhandschriften in Österreichischen Klosterbibliotheken, in Repertorium für Kunstwissenschaft 9 (1886), pp. 383-409, in particolare pp. 386-391. Sul codice, a suo tempo ascritto ad Andrea de’ Bartoli da G. SCHMIDT, “Andrea me pinsit”. Frühe Miniaturen von Nicolò di Giacomo und Andrea de’ Bartoli in dem bologneser Offiziolo der Stiftsbibliothek Kremsmünster, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte 36 (1973), pp. 57-73, proposta rigettata da C. VOLPE, Andrea de‘ Bartoli e la svolta antigotica nella seconda metà del Trecento, in Paragone XXXII, 373 (1981), pp. 3-16: 15-16, si veda ora F. MANZARI, in Giotto e il Trecento. “Il più sovrano maestro stato in dipintura”, catalogo della mostra (Roma, Museo Centrale del Risorgimento, 6 marzo – 29 giugno 2009), a cura di A. TOMEI, Milano 2009, pp. 295-296, nr. 1. 34 G. ORLANDELLI, Bartoli, Bartolomeo de’, in Dizionario biografico degli Italiani, 6, Roma 1964, pp. 559-560. Il copista fu responsabile della Canzone della Virtù e delle Scienze, Chantilly, Musée Condé, ms. 599 (XX C (1) 6), scritta nel 1349, cfr. P. STIRNEMANN, in Enluminures italiennes. Chefs-d’œuvre du Musée Condé, [catalogo della mostra, Chantilly, Musée Condé, 27 settembre 2000 – 1 gennaio 2001], Chantilly 2000, pp. 12-17. 35 Sulle vicende famigliari del miniatore, che fu imparentato con Jacopo di Paolo (R. GIBBS, Two Families of Painters at Bologna in the Later Fourteenth Century, in Burlington Magazine 121 (1979), pp. 560-568), vedi da ultimo PINI, Il mondo dei pittori a Bologna cit., pp. 61-64. 36 I corali di San Giacomo Maggiore cit.

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Fig. 7 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1094, f. 3r.

Fig. 8 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1094, f. 72r.

Fig. 9 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1094, f. 114r.

Fig. 10 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1094, f. 124r.

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Padova (Corali VII, XI e XII)37, o per gli olivetani di San Michele in Bosco (Bologna, Museo Civico Medievale, mss. 537-539)38, questi ultimi realizzati in collaborazione con artisti toscani come Don Simone Camaldolese39. Accanto alla produzione di carattere liturgico Nicolò fu vicino alle istituzioni bolognesi ed alle associazioni di categoria, che ebbero modo di usufruire dei suoi servigi per tutta la sua carriera, come mostrano gli Statuti del Comune del 1376 (Bologna, Archivio di Stato, Comune Governo, Statuti XIII)40, la Matricola della Società degli Orefici (Washington D. C., National Gallery, ms. B-13, 659), del 138341, o i Libri dei Creditori del Monte di pubbliche Prestanze dell’Archivio di Stato di Bologna (cod. min. 25-27), del 139442, opere che rappresentano una goccia nel mare della sua alacre attività. La ragione per tornare a trattare qui brevemente di questo miniatore risiede in ulteriore opera, all’oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana e finora mai riferitagli, che mostra per l’ennesima volta Nicolò come una macchina da guerra nella sua arte, capace di farsi carico di un numero illimitato di commissioni e opere, che continuano a saltar fuori dalle raccolte di tutto il mondo. In questo caso di tratta del Vat. lat. 1094, contenente le Quaestiones super libris Sententiarum di Ugolino da Orvieto, teologo agostiniano morto ad Aix-en-Provence nel 1374, che papa Innocenzo VI volle tra i fondatori del Collegio Teologico di Bologna43. Il manoscritto presenta quattro interventi miniati dell’artista (figg. 7-10), realizzati all’interno di relativi capilettera: Pietro Lombardo che fa lezione (f. 3r); Cristo benedicente con il globo in mano (f. 72r), una Natività (f. 114r), ed un Battesimo di Cristo (f. 124r). L’opera sembra databile agli anni cinquanta, epoca nella quale Nicolò mostra un forte influsso del Maestro del

37

G. ABATE – G. LUSETTO, Codici e manoscritti della Biblioteca Antoniana, con catalogo delle miniature a cura di F. AVRIL – F. FLORES D’ARCAIS – G. MARIANI CANOVA, Vicenza 1975, pp. 679-711, 739-742; da ultimo, F. TONIOLO, Nicolaus de Bononia fecit: miniatore d’eccellenza nei Graduali del Santo, in Angeliche armonie. Il restauro del Graduale Liber VII della Pontificia Biblioteca Antoniana di Padova, a cura di A. FANTON, Padova 2011, pp. 56-83. 38 M. MEDICA, Scheda 6, in I corali di San Giacomo Maggiore cit., pp. 205-210. 39 M. BOSKOVITS, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento 1370-1400, Firenze 1975, pp. 110-114, 426-430; MEDICA, I miniatori dei corali agostiniani cit., pp. 85-86, 105 nt. 23; A. LABRIOLA, Simone Camaldolese, in Dizionario biografico dei miniatori italiani cit., pp. 940-942. 40 S. BATTISTINI, Scheda 1, in Haec Sunt Statuta cit., pp. 96-99. 41 Medieval and Renaissance Miniatures from the National Gallery of Art cit., pp. 55-57, scheda 17; S. BATTISTINI, Scheda 23, in Haec Sunt Statuta cit., pp. 146-147. 42 BATTISTINI, Scheda 2, in Haec Sunt Statuta cit., pp. 100-101. 43 Schwerpunkte und Wirkungen des Sentenzenkommentars Hugolins von Orvieto, a cura di W. ECKERMANN, Würzburg 1990, pp. 118-120.

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Fig. 11 – Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 635, f. 1r.

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134644, dalla cui bottega è possibile fosse passato45. Si tratta di un decennio nel quale il miniatore licenzia opere come il Liber primus decretalium (Vat. lat. 2538), firmato e datato 135346, la Novella sulle Decretali di Giovanni di Andrea (Vat. lat. 1456; Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. B. 42 inf.; Salzburg, Stiftsbibliotek Sankt Peter, cod. a. XII. 10)47, che nel tomo milanese e salisburghese è datata 1354, o gli Statuti e Matricola della Società dei Merciai (Bologna, Museo Civico Medievale, mss. 635-636), del 1360 (fig. 11)48. Il Vat. lat. 1094 è confrontabile con opere prodotte in questo periodo, quali l’Ordene della vita cristiana di Simone di Cascia della British Library di Londra (ms. Add. 27428)49, il Corale dell’Archivio Storico Diocesano di Novara (Ant. XIII; fig. 12)50, o i sei Antifonari per i domenicani di Imola (Museo Diocesano, Corali 1, 2, 4, 5, 11), primo ciclo liturgico a noi noto dell’artista51. Il confronto più stringente, per composizioni e tono cromatico, è infine quello con il Breviario Tavelli della chiesa di San Michele Arcangelo di Borgo Tossignano (senza segnatura)52. Una seconda opera dell’artista che mi pare sia finora sfuggita è una Miscellanea contenente una Tabula rerum in libros S. Augustini de Civitate Dei, una Tabula moralium Beati Gregorii di Michele Aiguani, ed una Tabula super quatuor libris magistri sententiarum Petri Lombardi. Si tratta del ms. Arch. Cap. S. Pietro B.51, sempre conservato in Biblioteca Vaticana, che presenta tre interventi miniati, in corrispondenza delle tre unità testuali: la prima iniziale è abitata da Sant’Agostino (f. 1r), la seconda da San Gregorio (f. 51r), l’ultima mostra Pietro Lombardo (f. 108r). Mentre quest’ultima pare essere realizzata da un altro anonimo miniatore, le prime due devono essere ricondotte alla mano di Nicolò e della sua bottega (figg. 13-14), ad una data che pare da collocare tra circa il 1365 ed il 1375. Possibili ope44

M. MEDICA, Maestro del 1346, in Dizionario biografico dei miniatori italiani cit., pp. 475-

476. 45 M. MEDICA, I miniatori dei corali agostiniani: Nicolò di Giacomo e Stefano di Alberto Azzi, in I corali di San Giacomo Maggiore cit., pp. 62-107: 64-71. 46 E. CASSEE, The Missal of Cardinal Bertrand de Deux. A Study in Fourteenth Century Bolognese Miniature Painting, Firenze 1980, pp. 22-23, 25-28. 47 CASSEE, The Missal of Cardinal Bertrand de Deux cit., pp. 47, 52. 48 M. MEDICA, Scheda 2-3, in I corali di San Giacomo Maggiore cit., pp. 187-192. 49 D. H. TURNER, Illuminations from the school of Nicolò di Giacomo, in British Museum Quarterly 29 (1965), 3-4, pp. 86-87; F. PASUT, Qualche considerazione sul percorso di Nicolò di Giacomo, miniatore bolognese, in Arte cristiana LXXXVI, 789 (1998), pp. 431-444: 442 nt. 12. 50 D. GUERNELLI, Sulla via Emilia: appunti sulla decorazione libraria tardogotica tra Bologna e Parma, in Rivista di Storia della Miniatura 13 (2009), pp. 108-119: 116, nt. 11. 51 F. LOLLINI, Miniature a Imola: un abbozzo di tracciato e qualche proposta tra Emilia e Romagna, in Cor unum et anima una. Corali miniati della Chiesa di Imola, a cura di F. FARANDA, Faenza 1994, pp. 103-139: 112-114. 52 LOLLINI, Miniature a Imola cit., p. 114.

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Fig. 12 – Novara, Archivio Storico Diocesano, Ant. XIII, f. 188v.

Fig. 13 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.51, f. 1r.

Fig. 14 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.51, f. 51r.

Fig. 15 – Trieste, Biblioteca Civica, alfa EE 12, f. 54v.

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re da confrontare con questa Miscellanea sono gli Statuti della Società dei Fabbri (Roma, Biblioteca del Senato della Repubblica, Statuti, ms. 26)53, del 1366, il Liber Pontificalis della Biblioteca Civica di Trieste (alfa EE 12; fig. 15)54, o la pagina riutilizzata per la Matricola dei Toschi del 1459-1671 (Bologna, Archivio di Stato, cod. min. 42)55, oltreché i già citati corali agostiniani di Bologna, solo per fare qualche esempio. Stefano degli Azzi L’altro personaggio che occupa con la sua produzione artistica la seconda metà del XIV secolo, in affiancamento e sinergica collaborazione con Nicolò di Giacomo, è Stefano degli Azzi56. Stefano era figlio di Alberto, citato come miniatore in un documento del 133057, mentre i suoi due fratelli Iacopo e Pietro furono rispettivamente orafo e notaio58. Stefano risiedette inizialmente nella parrocchia di San Lorenzo, poi dal 1363 si spostò in quella di San Procolo, dove visse fino alla morte. Il primo documento relativo al miniatore lo vede al lavoro nel 1368, anno in cui fu retribuito per due Messali realizzati per il Collegio di Spagna. Come Nicolò di Giacomo, anche Stefano ricoprì cariche pubbliche, come dimostra la sua elezione l’11 maggio 1383 a podestà delle terre di Ceretolo, Lauro, Predosa e San Martino in Casola. Nel 1385 risulta essere in possesso di tre case nella sua parrocchia, atto che ne mostra la posizione economica, e del resto lo si ritrova a trattare case ancora il primo dicembre 1402, sua ultima testimo53 S. BATTISTINI, Scheda 17, in Haec Sunt Statuta. Le corporazioni medievali nelle miniature bolognesi, catalogo della mostra (Vignola, Rocca, 27 marzo – 11 luglio 1999), a cura di M. MEDICA, Vignola 1999, pp. 132-135. 54 S. SKEREL DEL CONTE, Un tesoro della Biblioteca Civica di Trieste: il «Liber Pontificalis», Trieste 1996. 55 S. BATTISTINI, Scheda 3, in Petronio e Bologna. Il volto di una storia. Arte, storia e culto del Santo Patrono, catalogo della mostra (Bologna, Palazzo Re Enzo e del Podestà, 24 novembre 2001-24 febbraio 2002), a cura di B. BUSCAROLI – R. SERNICOLA, Ferrara 2001, pp. 253-254; MEDICA, I miniatori dei corali agostiniani cit., p. 106 nt. 43. 56 Da ultimo si veda F. AVRIL, Azzi, Stefano, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma 1991, pp. 816-818; M. MEDICA, Azzi, Stefano di Alberto, in Dizionario biografico dei miniatori italiani cit., pp. 54-46; D. GUERNELLI, Un vignettista di successo. Stefano degli Azzi, in Alumina. Pagine miniate 30 (2010), pp. 18-25; F. FLORES D’ARCAIS, Osservazioni su Stefano degli Azzi, miniatore delle Metamorfosi di Ovidio (Venezia, Biblioteca Marciana, ms. Lat. Z 449), in Miniatura. Lo sguardo e la parola. Studi in onore di Giordana Mariani Canova, a cura di F. TONIOLO – G. TOSCANO, Cinisello Balsamo 2012, pp. 133-139; D. GUERNELLI, Ritratti di autori. Nuovi documenti figurativi per Stefano degli Azzi (e Nicolò di Giacomo), in Paratesto. Rivista internazionale 13 (2016), pp. 9-18. 57 Sul padre di Stefano si veda ora GUERNELLI, Ancora su Nicolò di Giacomo e Stefano degli Azzi cit., in particolare pp. 282-285. 58 PINI, Il mondo dei pittori a Bologna cit., pp. 65-66.

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Fig. 16 – Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 637, f. 2v.

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nianza nota, quando ne vendette una in borgo Torsaglie a Domenico della Seta. La morte dell’artista data tra questa ed il 30 marzo 1412, quando si ritrova la moglie Giacoma vedova59. In quanto secondo monopolista, anche Stefano ebbe agio ad occupare il mercato toccando i principali filoni testuali60. Dai best sellers contemporanei come il Bucolicum Carmen del Petrarca (Oxford, Bodleian Library, ms. Bodl. 580) o la Divina Commedia di Dante (Perugia, Biblioteca Augusta, ms. B. 25; Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 8530)61, alla produzione legata allo Studio, da cui, molto probabilmente grazie all’intermediazione del fratello notaio, scaturirono diverse commissioni, come il Liber sextum decretalium di Bonifacio VIII (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, cod. 2042), o il Decretum Gratiani (München, Bayerische Staatsbibliothek, ms. Clm. 13003)62. Naturalmente, in affiancamento a Nicolò di Giacomo, arrivarono anche chiamate dalle corporazioni cittadine, come ad esempio i Salaroli e Lardaroli, e i Cartolai, per cui realizzò i rispettivi Statuti della Società (Museo Civico Medievale, ms. 637, del 1376; Bologna, Archivio di Stato, cod. min. 20, del 1379; fig. 16), o gli stessi Notai, di cui nel 1382 miniò gli Statuti (Bologna, Archivio di Stato, cod. min. 22)63. Infine, non mancarono i grandi classici latini, come il De re rustica e de agricoltura di Marco Catone (Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II, ms. V. A. 8), il De architectura di Vitruvio (Eton, College Library, ms. 137), o le Tragedie di Seneca (Urb. lat. 364; Sevilla, Biblioteca Colombina, ms. 248). Alla mano del miniatore devono essere ascritte tre opere al momento sul mercato antiquario. La prima è un ritaglio con la Creazione di Eva al momento presso Jörn Günther Rare Books, a Basilea (mm 135  95)64. Una scenetta molto curiosa, dato che Dio padre ‘cava’ Eva da un Adamo dormiente tenendola in mano ancora incompleta nella parte inferiore del corpo, mentre in quella superiore la devota fanciulla incontra lo sguardo 59

FILIPPINI, ZUCCHINI, Miniatori e pittori a Bologna cit., pp. 221-222. Oltre alla letteratura precedentemente citata, si veda almeno F. PASUT, Alcune novità su Nicolò di Giacomo, Stefano degli Azzi e altri miniatori bolognesi della fine del Trecento, in Arte Cristiana XCII, 824 (2004), pp. 317-332, in particolare pp. 317-318; A. PUTATURO MURANO, Tre codici inediti di Stefano degli Azzi nella Biblioteca Nazionale di Napoli, in Immagine e ideologia. Studi in onore di Arturo Carlo Quintavalle, a cura di A. CALZONA – R. CAMPARI – M. MUSSINI, Milano 2007, pp. 411-415. 61 S. BATTISTINI, Scheda 9, in I corali di San Giacomo Maggiore cit., pp. 218-223. 62 U. BAUER-EBERHARDT, Die illuminierten Handschriften italienischer Herkunft in der Bayerischen Staatsbibliothek. 2: Von der Mitte des 14. Jahrhunderts bis um 1540. Textband, Wiesbaden 2014, pp. 44-46, cat. 31. 63 S. BATTISTINI, Schede 20, 22, in Haec Sunt Statuta cit., pp. 140-141, 144-145. 64 Spotlight. Mesmerizing Miniatures. New at Jörn Günther Rare Books at TEFAF Maastricht 2019, Champs Elysées, Stand 109, p. 8. 60

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Fig. 17 – Basel, Jörn Günther Rare Books.

del suo creatore (fig. 17). Nella scheda dedicata all’opera compilata per la libreria antiquaria, l’amica Helen Wüstefeld notava giustamente la dipendenza di questo soggetto iconografico da un’altra composizione simile, nel già citato Corale dell’Archivio Storico Diocesano di Novara (Ant. XIII), avvicinando dunque il ritaglio alla sua immediata cerchia (fig. 12). Tuttavia, confrontando le morfologie facciali del cutting è possibile istruire un confronto con l’arte di Stefano degli Azzi. Si pensi al Factorum et dictorum memorabilium di Valerio Massimo della Vaticana (Reg. lat. 945; fig. 18)65, 65 F. PASUT, I miniatori del Vaticano lat. 1645 e del Laurenziano 37.5 (e altri codici bolognesi delle Tragedie di Seneca), in Aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche 73 (1999), pp. 535-547: 543; GUERNELLI, Niccolò di Giacomo: due ulteriori codici cit., p. 14, nt. 3.

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Fig. 18 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 945, f. 4r.

Fig. 20. Collezione privata.

Fig. 19. Collezione privata.

Fig. 21. Bologna, Archivio di Stato, cod. min. 22, f. 4r.

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ai già visti Statuti della Società Salaroli e Lardaroli, o agli Statuti della Società di San Giacomo di Loreto (Bologna, Archivio di Stato, cod. min. 58), del 137166, opere in cui si coglie immediatamente l’imparentamento con il ritaglio svizzero. Le altre due opere provengono da un ignoto volume contenente un altro Valerio Massimo. Si tratta di due fogli con iniziali miniate corrispondenti al quarto e all’ottavo libro ora sul mercato antiquario (rispettivamente di mm 275  200 e 277  195), che come mi conferma Helen Wüstefeld dopo essere passati di recente da Jörn Günther Rare Books sono stati venduti alla TEFAF di Maastricht nell’autunno 201967. Alla vendita portavano la generica didascalia di ‘Bologna 1350 circa’, ma mi pare che possano essere ascritti al nostro miniatore (figg. 19-20). L’iniziale del quarto libro presenta una figura maschile con la barba che tiene un cartiglio, mentre quella dell’ottavo ne mostra una femminile leggente. Entrambe possono essere messe in relazione con la produzione di Stefano degli Azzi. Si confrontino le tipiche morfologie facciali di quest’ultima figura con il Reg. lat. 945, la Miscellanea di più mani e date della Biblioteca Comunale e dell’Accademia Etrusca di Cortona (ms. 110)68, o i già citati Statuti dei Notai del 1382 (fig. 21). Un altro termine di paragone possono essere i già visti Statuti della Società Salaroli e Lardaroli, che rappresentano un buon confronto anche per l’iniziale del quarto libro che decora l’altro foglio ora sul mercato. Questa figura, infatti, può essere affiancata al volto di Sant’Ambrogio presente sulla sinistra dell’Incoronazione della Vergine della scena, sebbene i due fogli sono antecedenti al 1376, anno degli Statuti bolognesi. In effetti, la datazione dei due fogli ex Günther appare collocarsi nel terzo quarto del secolo, come sembra suggerire un tono che sembra alludere allo stile che pare attribuibile al padre Alberto. A chiusura di queste brevi note, non è forse fuori luogo riepilogare velocemente l’ipotesi critica relativa alla facies artistica di Alberto di Prendiparte Azzi, dato che la Biblioteca Vaticana possiede due opere legate alle due ipotesi finora fatte per la sua possibile identificazione. Una prima proposta è stata fatta da Robert Gibbs, che ha suggerito di riconoscere la mano del padre di Stefano nelle Decretales di Gregorio IX (Vat. lat. 1388), in cui si scorgono elementi di anticipazioni all’arte di Stefano (fig. 22). La decorazione di questo manoscritto, datato 1342, trova al momento un solo 66

S. BATTISTINI, Scheda 7, in I corali di San Giacomo Maggiore cit., pp. 211-213. Spotlight. Mesmerizing Miniatures. New at Jörn Günther Rare Books at TEFAF Maastricht 2019, Champs Elysées, Stand 109, pp. 6-7. 68 G. MANCINI, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, 18. Cortona. Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca, Forlì 1911, pp. 50-51, n. 110; GUERNELLI, Ritratti di autori cit., pp. 15-16. 67

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DANIELE GUERNELLI

altro intervento della stessa mano nel Digestum Vetus del Museo Municipale di Roermond (ms. 1), miniato anche dal Maestro del 1328 e dal Maestro del B18. La data del Vat. lat. 1388 si avvicina all’unica testimonianza documentaria dell’attività di Alberto, del 133069. Tuttavia, il sottoscritto ha proposto un’altra possibilità, che mi pare decisamente più calzante. Molto acutamente, accanto alla mano di Stefano degli Azzi, Robert Gibbs aveva riconosciuto nel Parvum Volumen sempre alla Vaticana (Urb. lat. 164), quello che ha ritenuto un alter ego di Stefano (fig. 23), responsabile anche di parte della decorazione della Novella in libros Decretalium di Giovanni d’Andrea della Biblioteca Ambrosiana di Milano (ms. B 42 inf.), per la restante porzione miniata da Nicolò di Giacomo70. Tuttavia, lo studioso escludeva la possibilità che questo alter ego potesse essere in effetti il padre poiché il manoscritto ambrosiano presenta un colophon vergato nel 1354, mentre riteneva Alberto deceduto nel 135371. Nondimeno, come ho avuto modo di mostrare, i documenti citano Stefano come «Stephanus Alberti miniator» negli anni 1354 e 1357, e solo nel 1359 come «Stephanus q. Alberti miniator» (nel 1360 è citato come «Stephanus m. Alberti miniator»)72, notizia confermata il 1363, quando viene nuovamente riportato come «quondam Alberti»73. Poiché si tratta di opere giovanili, e a fronte della lunga carriera di Stefano, non ha alcun senso ipotizzare che questo alter ego possa essere un membro della sua bottega. Al contrario, appare decisamente più calzante l’ipotesi che proprio questo altro miniatore, così vicino alla sua arte, possa essere suo padre, col suo stile fumettistico e narrativo dalla più spiccata caricaturalità. Del resto, nel 1353 i due risiedevano in Cappella di San Lorenzo, e non è certo azzardato immaginare che potessero collaborare74. Si tratta degli anni in cui vennero realizzati lo Speculum iudiciale di Guglielmo Durando della 69 Lo studioso avvicina prudentemente a questa mano anche uno Speculum iudiciale di Guglielmo Durando della Biblioteca Apostolica Vaticana (ms. Ross. 306), R. GIBBS, Vat. lat. 1388. A Novel Copy of Gregory IX’s Decretals Considered in Relation to the Origins of the Stefano Azzi Workshop, in Buchschätze des Mittelalters. Forschungsrückblicke – Forschungsperspektiven, Beiträge zum Kolloquium des Kunsthistorischen Instituts der Christian-Albrechts-Universität zu Kiel (24-26 aprile 2009), Regensburg 2011, pp. 251-263: 261-263; M. BOLLATI, in Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana, I: I manoscritti Rossiani. 1: Ross. 2-413, a cura di S. MADDALO, Città del Vaticano 2014 (Studi e testi, 481), pp. 570-572. 70 GIBBS, Vat. lat. 1388 cit., pp. 259, nt. 22, e p. 262. 71 GIBBS, Vat. lat. 1388 cit., p. 261. 72 A. I. PINI, Miniatori, pittori e scrittori nelle “venticinquine” bolognesi del Due e Trecento (integrazioni ed aggiunte ai registri documentari di Filippini-Zucchini), in Il Carrobbio 7 (1981), pp. 348-365: 365. 73 FILIPPINI – ZUCCHINI, Miniatori e pittori a Bologna cit., p. 221. 74 PINI, Il mondo dei pittori a Bologna cit., p. 65.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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Fig. 22 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1388, f. 1r.

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DANIELE GUERNELLI

Fig. 23 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 164, f. 275r.

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APPUNTI DI MINIATURA BOLOGNESE TRECENTESCA

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raccolta libraria di Holkham Hall (ms. 225)75, o il Digestum vetus di Giustiniano della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera (ms. Clm 3503)76, in cui Stefano appare molto vicino ai modi dell’ipotetico padre. Se un possibile incunabolo della prima produzione di Alberto è riconoscibile a c. 1r del Corale n. 30 della Biblioteca Comunale Saffi di Forlì, parte di una serie di provenienza Servita databile agli anni venti del secolo77, per certo la sua mano è riscontrabile nelle Meditationes vitae Christi dello Snite Museum of Arts della University of Notre Dame (ms. Snite 85.25), facilmente confrontabile con il B. 42 inf ambrosiano78. Questo codice americano è stato di recente ascritto a Stefano degli Azzi da Chiara Balbarini79, ma a mio parere deve essere ricondotto alla mano di questo ‘alter ego’, a cui mi pare debba spettare anche il Liber sextus con glosse di Giovanni d’Andrea della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera (ms. Clm 14015)80. Dunque, un ‘alter ego’ che appare il candidato più plausibile alla figura del padre Alberto per cronologia e simpateticità stilistica con l’arte di Stefano81. Per sapere se questa pista sia corretta sarà necessario attendere nuove 75

S. REYNOLDS, A Catalogue of the Manuscripts in the Library at Holkham Hall. I: Manuscripts from Italy to 1500. Part I. Schelfmarks 1-399, Turnhout 2015, pp. 146-150. 76 BAUER-EBERHARDT, Die illuminierten Handschriften italienischer Herkunft in der Bayerischen Staatsbibliothek. 2 cit., pp. 39-42, cat. 29. 77 Realizzati da maestranze bolognesi tra 1325 e 1330 circa, e ritagliati in epoca imprecisata, i volumi forlivesi di provenienza Servita (plutei 4 corale n. 11; 5, n. 15; 6, n. 17; 7, nn. 21-22; 10, nn. 29-39; 11, n. 33) contano anche un’opera miniata dal Maestro del B18 (che miniò il 33). La vicinanza con lo stile di Stefano dell’Ascensione di Cristo del Corale 30 era a suo tempo stata notata dal sottoscritto, Massimo Medica e Fabrizio Lollini (pareri riportati in F. LOLLINI, Scheda 31, in Giotto e le arti a Bologna cit., pp. 196-197). Sulla serie si veda S. NICOLINI – F. LOLLINI, I corali miniati della Biblioteca “A. Saffi” di Forlì, in Studi Romagnoli 52 (2004), pp. 103-122. Per l’attribuzione ad Alberto degli Azzi si veda GUERNELLI, Ancora su Nicolò di Giacomo e Stefano degli Azzi cit., pp. 282-285. 78 D. PHILLIPS, The Meditationes on the Life of Christ. An Illuminated Fourteenth-Century Italian Manuscript at the University of Notre Dame, in The Text in the Community. Essays on Medieval Works, Manuscripts, Authors, and Readers, edited by J. MANN – M. NOLAN, Notre Dame 2006, pp. 237-281. 79 C. BALBARINI, Le “Meditationes vitae Christi” della Notre Dame University: uno studio iconografico e un’aggiunta al catalogo di Stefano degli Azzi, in Rivista di storia della miniatura 20 (2016), pp. 103-11. L’opera era già stata ascritta ad un artista prossimo a Stefano degli Azzi da F. MANZARI, Migration de textes et d’images entre livres d’heures et livre de devotion en Italie (XIIIe-XVe siècles), in Cahiers du leopard d’or 17 (2014), Des Heures pour prier. Les livres d’Heures en Europe méridionale du Moyen Âge a la Renaissance, pp. 269-299, in particolare p. 276. 80 BAUER-EBERHARDT, Die illuminierten Handschriften italienischer Herkunft in der Bayerischen Staatsbibliothek. 2 cit., pp. 38-39, cat. 28. 81 Sul tema si veda anche D. GUERNELLI, Questioni di stile, questioni di cronologia nell’illustrazione dantesca: una scheda per il ms. 2 della Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova, in Letteratura & Arte, in corso di pubblicazione.

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DANIELE GUERNELLI

scoperte, che sono certo non mancheranno di appalesarsi presto agli occhi interessati a questo secolo così accattivante e produttivo della miniatura bolognese.

ABSTRACT L’articolo prende in esame alcuni manoscritti vaticani di origine bolognese poco noti, proponendo attribuzioni inedite. Della prima metà del secolo XIV è il Vat. lat. 1432, attribuibile al Maestro della Crocifissione D, un artista che partecipò ai cicli di corali serviti tra Bologna e Faenza, responsabile anche del Rps 780 della Biblioteka Jagielloñska di Cracovia. Della seconda metà del secolo sono invece il Vat. lat. 1094 e l’Arch. Cap. S. Pietro B.51, entrambi ascrivibili alla mano di Nicolò di Giacomo e della sua bottega, leader della produzione cittadina di questo periodo, affiancato dal solo Stefano degli Azzi, responsabile invece di tre nuove opere ora sul mercato antiquario, di cui la Vaticana conserva importanti codici forse attribuibili alla mano del padre Alberto. This article examines some little-known Vatican manuscripts of Bolognese origin and proposes new attributions. The codex Vat. lat. 1432, which dates from the first half of the fourteenth century, can be ascribed to an artist named Maestro della Crocifissione D, who assisted in the making of choir hymnals that were used in Bologna and in Faenza. The same artist was also responsible for the manuscript Rps 780 of the Jagiellonian Library in Cracow. Manuscripts Vat. lat. 1094 and Arch. Cap. S. Pietro B.51, which date from the second half of the century, are each ascribable to Nicolò di Giacomo and his workshop, which was a leader in the city’s production during this period. Stefano degli Azzi, another miniaturist from Bologna, was responsible for three works now available on the antiquarian market. Finally, the Vatican conserves important manuscripts that might be attributable to the hand of Stefano’s father Alberto.

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MARIA BARBARA GUERRIERI BORSOI

VICENDE EDITORIALI E REPERTORIO ICONOGRAFICO DEL DE SECRETARIIS BASILICAE VATICANAE VETERIS, AC NOVAE DI FRANCESCO CANCELLIERI* ABSTRACT a p. 235.

Lo splendido libro De secretariis basilicae Vaticanae veteris, ac novae è un autentico monumento editoriale dell’avanzato XVIII secolo a Roma. Strutturato in due volumi, per quattro tomi complessivi, si dispiega su oltre duemila pagine e fu edito presso la «Officina Salvioniana ad Lyceum Sapientiae» ovvero dallo stampatore vaticano Luigi Perego Salvioni1. L’opera è considerata il miglior frutto della vasta erudizione dell’abate Francesco Cancellieri (1751-1826), ottimo latinista, studioso curioso ed eclettico, sempre particolarmente interessato alla storia della Chiesa e dei monumenti sacri romani, temi ampiamente presenti anche in quest’opera2. Essa fornisce importanti informazioni su numerosi argomenti relativi all’intera area vaticana, come le varie partizioni interne agevolmente suggeriscono. Grande attenzione è riservata a due edifici che sorgevano accanto al lato meridionale dell’antica basilica, distrutti in tempi diversi. Il primo, detto Rotonda di Santa Petronilla era sorto come mausoleo di Onorio ed era stato demolito per la costruzione della basilica michelangiolesca, mentre il secondo, anch’esso di origine romana, comunemente noto come chiesa della Madonna della Febbre, era stato convertito nella sacrestia della basilica, ma atterrato allorché fu costruita la nuova sacrestia su progetto * Ringrazio il dottor Marco Buonocore per aver agevolato con grande cortesia la mia ricerca nel fondo Archivio del Capitolo di San Pietro conservato in Biblioteca Vaticana. 1 De secretariis basilicae Vaticanae veteris, ac nouae libri II; praemittitur syntagma De secretariis ethnicorum, ac veterum christianorum apud Graecos et Latinos; accedunt disquisitiones: I. De cellis Gregorianis, II. De bibliotheca basilicae Vaticanae, III. De circo Caii et Neronis, IV. De aedibus rotundis S. Petronillae et D. N. Mariae Febrifugiae, V. De monasteriis Vaticanis et Lateranensibus; sequitur Sylloge veterum monumentorum, Romæ, ex officina Salvioniana ad lyceum Sapientiæ, 1786. I quattro tomi hanno numerazione continua delle pagine. L’opera è integralmente consultabile on line: https://catalog.hathitrust.org/Record/ 008589305, data di visita 28/03/2020. La descrizione qui presentata si basa sull’esemplare conservato in Biblioteca Vaticana, Roma IX.13 (1-4) Cons. 2 A. PETRUCCI, Cancellieri, Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI), 17, Roma 1974, pp. 736-742; cfr. inoltre quanto citato infra. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 217-235.

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MARIA BARBARA GUERRIERI BORSOI

di Carlo Marchionni. Proprio a questo sontuoso edificio, eretto per volontà di Pio VI, è dedicata una cospicua sezione del testo e, come vedremo, ampia parte del repertorio illustrativo del volume3. A detta dell’autore stesso l’opera gli costò dieci anni di studi (I, p. XIX) e la frase testimonia, al di là della possibile esagerazione retorica, una lunga preparazione. La genesi dell’opera è testimoniata da varie fonti, in particolare i biografi dell’artefice. In occasione della demolizione dell’antica sacrestia Cancellieri recitò al cardinale Leonardo Antonelli un suo componimento collegato all’argomento e questi gli consigliò di scrivere un’opera sulla vecchia e la nuova sacrestia. La raccolta del materiale cominciò sin dal 1777 e proseguì con non poche difficoltà per una certa ostilità dei canonici vaticani, ma il pontefice stesso trasmise all’autore notizie che aveva personalmente raccolto e gli consigliò di inserire nell’opera un trattato sugli antichi “secretarij” della chiesa greca e latina, fatti dei quali Cancellieri dette testimonianza nei suoi diari4. Il papa ordinò che l’opera venisse stampata a spese del Capitolo, attingendo il denaro dalla «cassa degli incerti». Cancellieri, ritenendo che questa disposizione avrebbe suscitato forti malumori, provò a suggerire di addossare la spesa alla Reverenda Fabbrica, ma Pio VI replicò che «Il Capitolo dovrà godere di contribuire alla divulgazione di un’opera che gli fa tanto onore». Effettivamente Cancellieri trovò sul suo cammino molte difficoltà, non solo economiche, ma anche una sorta di congiura a non far conoscere l’opera di cui il Capitolo non volle inizialmente dargli neanche una copia5. Naturalmente le notizie fornite sono di parte, e quindi forse amplificate, ma certamente i tempi di realizzazione furono dilatati. Nel 1784, allorché uscì in italiano e con un modesto formato in ottavo il volume Sagrestia vaticana eretta dal regnante pontefice Pio Sesto (Roma, Arcangelo Casaletti), il testo dell’opera più ampia e ambiziosa era già completo come attesta una recensione nelle Efemeridi letterarie, che presenta analiticamente il contenuto del libro in fieri, ma alla fine il De secretariis riuscì opera infinitamente più sontuosa, «veramente regia»6. 3 La bibliografia su questo monumento è molto ampia, si rimanda in linea generale a S. BENEDETTI – A. S. PERGOLIZZI, La Sagrestia della Basilica vaticana, in Roma sacra 23-24 (2001), con bibliografia precedente; si veda inoltre quanto citato infra. 4 G. BARALDI, Notizia biografica sull’abate Francesco Cancellieri, Modena 1828, pp. 17-22. 5 S. SIEPI, Elogio del Chiarissimo Abbate Francesco Girolamo Cancellieri, Perugia 1827, pp. 16, 21-22 nt. 6; F. SENI, Vita di Francesco Cancellieri, Roma 1893, pp. 26-27, 68-69 ntt. 67-69. 6 Le recensioni pubblicate su questo giornale non sono firmate. La grande attenzione tributata alle opere di Cancellieri si spiega considerando che l’abate collaborò con la testata. Efemeridi letterarie 13 (1784), nr. XXVII, 3 luglio, pp. 209-212; nr. XXVIII, 10 luglio, pp. 217221, qui, dopo la recensione del libro del 1784, si legge: «Noi dunque non sapremmo ralle-

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VICENDE EDITORIALI E REPERTORIO ICONOGRAFICO

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Le recensioni furono numerose e la più analitica, in ben otto parti, uscì proprio sulla rivista ricordata dove non solo si commentarono i contenuti, ma si fornirono anche notizie sul divenire della preparazione, informazioni che potrebbero essere derivate direttamente dall’autore7. La stampa avvenne tra maggio 1786 e novembre dell’anno successivo, come scritto sull’ultima pagina del quarto tomo, e molte presentazioni dicono l’opera disponibile nel 17888. Negli anni successivi Cancellieri produsse, con ritmo incalzante, una cospicua serie di scritti molto spesso editi ancora dalla Stamperia vaticana, testimonianza della stima che lo circondava e comunque della notorietà procuratagli da questo lavoro. Effettivamente le spese editoriali per la pubblicazione dell’imponente lavoro furono sostenute dal Capitolo di San Pietro, come attesta la documentazione qui pubblicata rintracciata nell’Archivio dell’ente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana9. Un decreto della Congregazione economica del 25 novembre 1785, in esecuzione della volontà papale, stabilì di procedere alla stampa, ma i preparativi erano in corso già da tempo. Il 25 agosto, infatti, era stato sottoscritto il contratto editoriale tra l’autore e l’editore, approvato dal Canonico Camerlengo Charles Erskine, che stabiliva i caratteri da utilizzare, i materiali, i costi, i processi esecutivi e i tempi, in modo assai minuzioso. Ad esempio, in soli due mesi Perego Salvioni avrebbe dovuto approntare i caratteri da utilizzare — ben cinque, uno dei quali da creare appositamente — e cominciare a stampare a novembre; fornire iniziali, finali e vignette; impegnarsi a non tirare copie per sé e consegnare tutte quelle pattuite all’autore10. Dell’opera furono impressi 500 esemplari, tiratura in linea con le abitugrarci abbastanza coll’egregio autore, a cui auguriamo tutti i comodi necessarj, per produrre la sua eccellente e faticosissima opera, e per ornarla ancora de’ rami, che vorrebbe inserirvi, e che ne raccomanderebbero vie più l’acquisto a tutti gli amatori delle lettere, e delle belle arti». 7 Efemeridi letterarie 17 (1788), nr. XIX, 10 maggio, pp. 145-148 (qui l’opera è detta «veramente regia»); nr. XX, 17 maggio, pp. 153-156; nr. XXIV, 14 giugno, pp. 185-188; nr. XXV, 21 giugno, pp. 193-197; nr. XXIX, 19 luglio, pp. 225-228; nr. XXX, 26 luglio, pp. 233-236; nr. XXXI, 2 agosto, pp. 241-244; nr. XXXIV, 23 agosto, pp. 265-268. 8 «Compositio litterarum inchoata VIII. Kal. Maii anno M.DCC.LXXXVI. Absoluta VII. Idus novembris anno M.DCC.LXXXVII. XIII pontificatus D.N. Pii VI». 9 Si veda l’Appendice documentaria. I pagamenti ad personam rintracciati si fermano ai primi mesi del 1786 ma il costo dell’opera fu certamente diluito in numerosi anni successivi come si ricava da registrazioni di questo tenore: «A Cr(edit)o del R.mo Cap.lo di S. P.ro in Vaticano p. l’eredità Carcarasi a dispo.ne dell’Ill.mi e R.mi S.ri Can.ci Cam.ghi pro tempore s. 500 m. p. reintegrazione dell’Opere delle Sagrestie della N.ra Ss.ma Basilica» in Arch. Cap. S. Pietro, Registri di mandati 27 (1789-1795), f. 66r nr. 513. Altre analoghe registrazioni seguono sino alla fine di questo volume, ma la ricerca non è stata ulteriormente estesa. 10 Arch. Cap. S. Pietro, Giustificazioni del Capitolo I, 142, f. 399r; si veda l’Appendice do-

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dini del tempo per testi di questo genere. Si trattava di un’opera lussuosa visto il costo dei volumi che era pari a ben 8 scudi. Per offrire un elemento di confronto il testo di Cancellieri in italiano del 1784 costava invece solo 3 paoli (decimi di scudo)11, mentre gli 8 scudi ricordati erano la cifra necessaria ad una famiglia di quattro persone per vivere poveramente un mese a Roma12. Ciò nonostante libri così onerosi erano presenti nel mercato editoriale romano e può essere interessante ricordare qui, visto il tema, Il tempio vaticano di Carlo Fontana, anch’esso riccamente illustrato, venduto prima a 12 scudi, ma successivamente ribassato ad 813. Il rilevante costo certamente era dovuto non solo al formato e al numero molto elevato di pagine, ma anche alla presenza di un ricco repertorio illustrativo, costituito in parte da grandi tavole ripiegate. È un dato veramente singolare che l’opera presenti anche l’elenco degli artisti che ne realizzarono l’apparato iconografico, tangibile testimonianza che lo si considerava di particolare rilievo14. Non è invece esplicitamente detto chi abbia sovrinteso alla scelta dei vari soggetti da illustrare, spesso dotati di un evidente valore simbolico, scelta che rivela altresì una notevole conoscenza del patrimonio sacro e della storia della basilica petrina. Appare assai probabile che proprio il colto autore possa aver operato questa selezione. Come detto, il contratto editoriale fu siglato il 25 agosto 1785, ma già il 12 dello stesso mese era stato fatto un semplice contratto con Giacomo Sangermano per l’esecuzione dei disegni architettonici che costituiscono l’aspetto più rilevante della decorazione del volume. Probabilmente si era consapevoli che si trattava di elaborati complessi, da realizzarsi con grande cura e quindi con lentezza, tanto che furono saldati a distanza di nove mesi. Il 15 novembre 1785 fu firmato l’accordo con Pietro Angeletti che

cumentaria. In Arch. Cap. S. Pietro, Registri di mandati 26 (1782-1788), f. 330r nr. 96, in data 6 gennaio 1786 è registrato un pagamento di 300 scudi a Salvioni per la carta dell’opera. 11 Il costo del De secretariis è già enunciato nel Diario ordinario, 19 aprile 1788, nr. 1388, pp. 20-21, dove si mette in evidenza che era in quattro tomi, con 2178 pagine e con 36 rami. Per il costo dell’opera del 1784 si veda, ad esempio, F. CANCELLIERI, Descrizione delle funzioni della Settimana Santa nella cappella pontificia, Roma 18023, pp. 188-189: «Indice delle opere stampate da Francesco Cancellieri con i loro prezzi a moneta fina». 12 H. GROSS, Roma nel Settecento, Bari 1990, p. 130. 13 A. ANTINORI, New light on the production of “Il Tempio Vaticano”, in The Burlington magazine 160 (2018), 1378, pp. 22-30. 14 CANCELLIERI, De Secretariis cit., p. 2133: «Artifices operis librarii. Pictor linearis diagrammatum V. ad frontem librorum Petrus Angeletti rom./ Pictor linearis sciagraphicus ichnographicus ortographicus Iacobus Sangermano rom./ Scalptor linearis formarum Marcus Carloni rom. /Dominus officinae librariae Aloysius Salvioni mediol./ Officinator salvionianus Damasus Petretti rom.». Nell’elenco manca l’indicazione di qualche autore secondario, come vedremo.

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VICENDE EDITORIALI E REPERTORIO ICONOGRAFICO

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Fig. 1 – Biblioteca Apostolica Vaticana, R.G. Storia III.3571 (1), F. Cancellieri, De secretariis basilicae Vaticanae veteris, ac novae, I, Romae 1786, frontespizio generale dell’opera.

dopo un solo mese ricevette il pagamento conclusivo, mentre il 6 dello stesso mese si stabilirono i compensi più consistenti per l’incisore dei rami15. Il De secretariis presenta un frontespizio generale e uno per ciascun tomo, tutti illustrati da una immagine collegabile al contenuto del testo, realizzate da Pietro Angeletti. Il primo (fig. 1), con due medaglie affiancate aventi il volto del pontefice volto verso destra e la sacrestia vaticana collegate da un angioletto, riutilizza in parte un’immagine precedente, poiché l’incisione con la sacrestia era già comparsa nel volume ad essa dedicato da Cancellieri nel 1784 ed era opera firmata di Carlo Antonini. Secondo quanto afferma l’autore (p. 1827) le due immagini rappresentano il recto della medaglia che fu coniata nel 1777 e la nuova sacrestia con la scritta «SACRARIVM BASIL. VATICANAE 15

Arch. Cap. S. Pietro, Giustificazioni del Capitolo I, 142, ff. 403r-409r; saldo nel vol. 143, f. 46r, in data1 aprile; si veda l’Appendice documentaria.

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MARIA BARBARA GUERRIERI BORSOI

Fig. 2 – R.G. Storia III.3571 (1), Cancellieri, De secretariis, I, vignetta del frontespizio raffigurante Cristo e l’emorroissa.

Fig. 3 – R.G. Storia III.3571 (2), Cancellieri, De secretariis, II, vignetta del frontespizio raffigurante la Rotonda di Santa Petronilla.

Fig. 4 – R.G. Storia III.3571 (3), Cancellieri, De secretariis, III, vignetta del frontespizio raffigurante Santa Maria della Febbre e l’obelisco vaticano.

Fig. 5 – R.G. Storia III.3571 (4), Cancellieri, De secretariis, IV, vignetta del frontespizio raffigurante il Gallo in bronzo conservato nella sagrestia vaticana.

A FVNDAMENTIS EXSTRVCTVM AN. MDCCLXXXIII», assai simile alla medaglia

di quell’anno. Sugli altri frontespizi figurano Cristo e l’emorroissa (fig. 2), la Rotonda di Santa Petronilla (fig. 3), la chiesa di Santa Maria della Febbre con l’obelisco vaticano (fig. 4), la scultura del Gallo in bronzo su un piedistallo (fig. 5). Il miracolo di Cristo che risana l’emorroissa non fu scelto solo per il suo significato simbolico, alludente alla forza della fede, grazie alla quale la donna fu guarita, come Gesù stesso le disse. Cancellieri si sofferma sul celebre gruppo raffigurante Cristo e la miracolata conservato nel diaconicon di una chiesa greca, sostenendo che vi fosse mostrato proprio il Salvatore. Potrebbe forse aver contribuito a far scegliere questa protagonista il fatto che l’emorroissa era considerata coincidente con la Veronica, personaggio del quale i Vangeli non parlano, la cui memoria è legata al celebre ‘Velo’ raffigurante il volto di Cristo, ovvero una delle più venerate reliquie della

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Fig. 6 – R.G. Storia III.3571 (4), Cancellieri, De secretariis, IV, p. 1993, lettera T con la raffigurazione di Sant’Andrea.

Fig. 7 – R.G. Storia III.3571 (3), Cancellieri, De secretariis, III, p. 1101, lettera Q con la raffigurazione della “ungula” vaticana.

Fig. 8 – R.G. Storia III.3571 (4), Cancellieri, De secretariis, IV, p. 1617, lettera I con la raffigurazione della statua di San Pietro in cattedra.

Fig. 9 – R.G. Storia III.3571 (2), Cancellieri, De secretariis, II, p. 627, lettera A con la raffigurazione di San Gregorio Magno.

basilica vaticana, conservata nella Sagrestia per lungo tempo e custodita dai canonici16. Anche la scelta di rappresentare il gallo che non è solo un generico rimando alla figura di Pietro. Invece, si è voluto mostrare la scultura di bronzo, giudicata antichissima, che si credeva fosse stata collocata un tempo sopra la torre campanaria di San Pietro, e poi spostata nella basilica 16

D. REZZA, Il “Sudario” della Veronica: storia e testimonianze di una devozione, Città del Vaticano 2010 (Archivum Sancti Petri. Bollettino d’archivio, 11).

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vaticana come attestano varie fonti. Il prezioso manufatto, probabilmente risalente al IX secolo e di recente restaurato, aveva un alto valore per la sua antichità e perché simbolo di vigilanza e preghiera. In realtà Angeletti ne rispettò assai poco la reale forma caratterizzata dal forte protendersi in avanti del collo dell’animale, che si riscontra nella Tavola V del De secretariis (fig. 10) ove il gallo è chiaramente visibile all’interno della vecchia sacrestia17. Anche sette diverse maiuscole furono disegnate da Angeletti (figg. 6-9), benché nei conti si parli di solo sei capilettera. Nella prima compare un busto di Sant’Andrea mentre la figura intera del santo con la croce orna la T, poiché a questo apostolo era dedicata la chiesa poi intitolata alla Madonna della Febbre e una sua statua era conservata nella sagrestia. L’ungula rappresentata nella lettera Q era un oggetto famoso, trovato a San Pietro, che si riteneva fosse stato usato per martirizzare i primi cristiani. La statua di Pietro, visibile nella I, proveniva dalla chiesa di Santo Stefano degli Ungari di cui si parla nel libro, e la cattedra era stata custodita nella antica sagrestia. La lettera A è ornata con la figura di San Gregorio Magno probabilmente perché questo pontefice riconsacrò la chiesa di Sant’Andrea e le donò la reliquia del braccio dell’apostolo. Nella E sono invece inserite tre stelle e un giglio ovvero gli elementi araldici dello stemma Braschi18. Bisogna sottolineare che Angeletti (1737-1798) era allora all’apice della sua carriera, avendo già realizzato importanti opere nel palazzo romano dei Doria Pamphili e per i Borghese, così come dipinti sacri, ed era membro influente nelle organizzazioni artistiche romane19. Non disdegnò questo lavoro, apparentemente minore, probabilmente perché ben retribuito, ma soprattutto perché legare il suo nome ad un’opera tanto prestigiosa avrebbe contribuito al suo prestigio. In merito al compenso si può evidenziare che 51,25 scudi per questi disegni, in buona parte assai semplici, non sono pochi se paragonati, ad esempio, ai 260 che ebbe per una grande tela con numerose figure inserita in un soffitto di palazzo Borghese20. 17 Il gallo vaticano. Museo storico artistico del tesoro di San Pietro, a cura di S. GUIDO, Città del Vaticano 2013 (Archivum Sancti Petri. Bollettino d’archivio, 22/23). 18 Lettera M (p. III: busto di Sant’Andrea), D (p. 1: figura femminile incoronata con un gagliardetto in mano sul quale si leggono le lettere CAN ?), A (p. 627: San Gregorio Magno), Q (p. 1101: ungula), I (p. 1617: statua di San Pietro), T (p. 1993: Sant’Andrea con la croce), E (p. 2033: stelle e gigli, elementi dello stemma Braschi). Non scorgo differenze tra le sette iniziali che permettano di non considerarne una di Angeletti, né è spiegabile il cambiamento intercorso dopo l’accordo iniziale. 19 Segnalo solo lo studio di A. TANTILLO MIGNOSI, Dipinti di Pietro Angeletti ad Anguillara, in Neoclassico 23-24 (2003), pp. 70-83, con bibliografia precedente. 20 E. FUMAGALLI, Palazzo Borghese. Committenza e decorazione privata, Roma 1994, p. 164 e p. 184 nt. 231.

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Come detto, Giacomo Sangermano (doc. 1754-1787) fu chiamato a realizzare i disegni per le illustrazioni architettoniche, alcune delle quali decisamente complesse. L’architetto era strettamente collegato all’ambiente della Reverenda Fabbrica per aver lavorato vari anni come aiuto di Carlo Marchionni e quindi aveva una conoscenza della sacrestia non solamente teorica21. Il suo nome, o la sigla, compare su dodici tra piante e alzati che illustrano la planimetria generale della basilica, le strutture demolite per la costruzione della nuova sacrestia e questo edificio, con dovizia di dettagli. Si ritiene che tali disegni siano derivati da originali di Marchionni, realizzati ad inchiostro acquerellato, parte ancora conservati presso la Fabbrica di San Pietro e parte in collezione privata22. Si è scritto che l’artista sarebbe stato pagato dalla Reverenda Fabbrica, ma in effetti un pagamento registrato a suo nome non ebbe seguito e ricevette il compenso dal Capitolo23. Complessivamente riscosse 100 scudi, ma l’elenco delle tavole contenuto nell’accordo iniziale ne enumera solo dieci contro le dodici effettivamente presenti nel volume24. Le raffigurazioni architettoniche sono strettamente correlate al testo e certamente aiutano il lettore a comprendere la complessità del sito interessato dai lavori della nuova sagrestia, ma soprattutto la grandezza e articolazione di quest’ultima. Le due piante iniziali mostrano l’antica basilica e la stessa in rapporto alla nuova, seguono tre stampe dedicate agli edifici preesistenti, di cui sono presentati pianta, alzato e sezione (fig. 10), ma ben 21 G. SILVAN, Sangermano, Giacomo, in Architetti e ingegneri a confronto, III: L’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 2008 (Studi sul Settecento Romano, 24), pp. 211-215. 22 B. TORRESI, La sagrestia, in La Basilica di San Pietro in Vaticano, III: Saggi, a cura di A. PINELLI, Modena 2000 (Mirabiliae Italiae, 10), pp. 253-281: è propenso a ritenere che i fogli attribuiti a Marchionni spettino invece allo stesso Sangermano (p. 275). 23 Città del Vaticano, Archivio della Fabbrica di San Pietro (d’ora in poi AFSP), Arm. 27, E, 434 (Giornale 1758-1787), f. 507r, in data 1 settembre 1785. La registrazione si conclude con l’espressione «non siegue» e l’importo indicato è 0. Questi dettagli non erano stati rilevati da SILVAN, Sangermano, Giacomo cit., pp. 212-213, p. 215 ntt. 35-36, che comunque conosce anche il pagamento disposto dal Capitolo. Su Marchionni si vedano i profili complessivi di E. DEBENEDETTI, Marchionni, Carlo, in Architetti e ingegneri a confronto, II: L’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 2007 (Studi sul Settecento Romano, 23), pp. 149-156; S. CECCARELLI – E. DEBENEDETTI, Marchionni Carlo, in DBI, 69, Roma 2007, pp. 701-706; S. CECCARELLI, Racconto biografico: Carlo Marchionni, in EAD. – E. DEBENEDETTI, Rossiano 619: caricature. Carlo Marchionni e Filippo, Città del Vaticano 2016 (Studi e testi, 503), pp. 39-144. Per i disegni di Marchionni si veda da ultimo N. MAFFIOLI, Disegni inediti per la sacrestia di S. Pietro in Vaticano, in Palladio 21 (2008), pp. 27-54, con bibliografia precedente. 24 Si veda l’Appendice documentaria. Sangermano ricevette il saldo in data 1 aprile 1786: Arch. Cap. S. Pietro, Giustificazioni del Capitolo I, 143, f. 46r nr. 18.

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sette incisioni raffigurano l’edificio di Marchionni. La pianta è fornita su due quote, sono mostrati tre prospetti esterni e due sezioni cosicché la sagrestia è analiticamente documentata, persino con i suoi elementi decorativi, tanto che, ad esempio, vi si può osservare la statua del pontefice di cui si parlerà a breve (fig. 11). L’osservatore è aiutato ad orientarsi indicando delle lettere sulle piante che ritornano negli alzati permettendo di collegare tutti gli elaborati. Veniamo adesso al problema più complesso riguardante il lavoro svolto dall’incisore. I compensi pattuiti con Marco Gregorio Carloni (1742-1803) differivano fortemente a seconda del tipo di lavoro da eseguire. Per i cinque frontespizi, i caratteri e i «capilettera», la statua del papa e il sarcofago avrebbe avuto complessivamente 225 zecchini, mentre per gli altri rami il compenso era stabilito in forma unitaria, ovvero 50 zecchini per ogni «elevazione», mentre solo 25 per ciascuna pianta. La differenziazione dei prezzi doveva tener conto non solo della grandezza dell’opera, ma anche della difficoltà di realizzazione, evidentemente notevole per un alzato architettonico molto dettagliato come quelli inseriti nelle grandi tavole ripiegate. Singolare è che il prezzo venga stabilito in zecchini e non in scudi, moneta usata più frequentemente a Roma. Poiché una cifra nei conti rintracciati è espressa in entrambe le valute se ne ricava che lo zecchino valeva allora 2,05 scudi, e siamo quindi di fronte a compensi decisamente significativi25. Carloni avrebbe dovuto avere per quanto elencato nel contratto iniziale 700 zecchini, cioè 1.435 scudi26. Proprio il riferimento contenuto nell’accordo iniziale alla stampa rappresentante la statua di Pio VI (fig. 12) crea un problema di interpretazione dei dati. Infatti Carloni aveva ricevuto nel febbraio 1784 un cospicuo compenso di 250 scudi dalla Reverenda Fabbrica per una incisione rappresentante la statua del papa che doveva essere realizzata da Agostino Penna e collocata nella Sagrestia, e l’opera fu effettivamente impressa. Cancellieri 25 Secondo S. CECCARELLI (Carlo Marchionni e la Sagrestia Vaticana, in Carlo Marchionni architettura decorazione e scenografia contemporanea, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 1988 [Studi sul Settecento Romano, 4], pp. 57-133: p. 97 nt. 60) tutte le incisioni di Carloni per il libro De secretariis dovrebbero essere state eseguite tra 1783 e 1784 poiché i pagamenti vanno dall’inizio del 1784 a giugno 1785, ipotesi che è contraddetta da quanto qui ricostruito. A. MARTINI, Manuale di metrologia ossia Misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino 1883 (ristampa Roma 1976), pp. 619, 666, ricorda che lo zecchino era una moneta in oro, lo scudo in argento e propone valori in lire molto vicini a quelli qui ricordati (1 scudo 5,45 lire, 1 zecchino 11,80 lire). 26 In Arch. Cap. S. Pietro, Registri di mandati 26 (1782-1788), f. 319r nr. 547, in data 16 dicembre 1785 è registrato un pagamento di 250 scudi a Carloni.

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Fig. 10 – R.G. Storia III.3571 (3), Cancellieri, De secretariis, III, tavola V raffigurante la sezione delle chiese di Santo Stefano degli Ungari e Santa Maria della Febbre verso Est.

Fig. 11 – R.G. Storia III.3571 (3), Cancellieri, De secretariis, III, tavola IX raffigurante la sezione della nuova sagrestia verso Est.

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Fig. 12 – R.G. Storia III.3571 (1), Cancellieri, De secretariis, I, tra frontespizio generale e frontespizio del tomo, statua di Pio VI nella sagrestia vaticana.

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la ricorda nel suo libro del 1784, precisando che il disegno fu realizzato da Lorenzo Roccheggiani27. Come mai, dunque, un nuovo compenso fu pattuito dal Capitolo per il medesimo soggetto? O esistettero due diverse stampe — ma si trova menzione solo di quella inserita nel De secretariis — o, forse, si intervenne nuovamente sul rame preesistente. Non sono invece pertinenti al lavoro per il libro qui esaminato i notevoli pagamenti che Carloni ebbe dalla Reverenda Fabbrica subito prima del 1785. Ottenne 300 scudi per una raffigurazione del «prospetto verso levante dalla parte di Campo santo» della Sagrestia, da identificarsi con l’incisione dedicata al pontefice da Francesco degli Albizi, economo e segretario della Reverenda Fabbrica. Ancora più sorprendente è che gli siano stati corrisposti ben 903 scudi per la «ripulitura» e il ritocco di rami, tra i quali certamente quelli relativi all’opera di Nicola Zabaglia (Castelli e ponti, 1743), al Tempio Vaticano di Carlo Fontana (1694) e al monumento funebre della Regina d’Inghilterra28. Carloni fu l’unico incisore impiegato per realizzare la mole imponente di illustrazioni del libro De secretariis. A partire dagli anni Settanta si era messo in luce soprattutto con la realizzazione di stampe ricavate da soggetti antichi, come nelle Vestigia delle terme di Tito e loro interne pitture (1776-1778), o il volume sui Bassorilievi volsci in terra cotta dipinti a vari colori trovati nella città di Velletri nel 1781 (1785), dedicato al nipote del pontefice dall’artista che si presenta orgogliosamente come pittore e incisore. Poco dopo aver lavorato per il libro di Cancellieri eseguì anche le illustrazioni del Museo Pio-Clementino (1783) di Giambattista Visconti. Gli anni Ottanta segnarono l’apice della sua attività, successivamente calata e 27 CANCELLIERI, Sagrestia vaticana cit., p. 71 (Rochegiani). Detti notizia dell’esecuzione di questa stampa in Tra invenzione e restauro: Agostino Penna, in Le sculture del Settecento a Roma, I, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 2001 (Studi sul Settecento Romano, 17), pp. 137182, 143 e p. 156 nt. 28 che contiene anche un breve riferimento ai documenti qui esaminati, ma l’interpretazione allora fornita va corretta alla luce di quanto ora precisato. Ne furono stampate 154 su carta imperiale grande e 24 su carta d’Olanda: AFSP, Arm. 44, B, 128 (Liste mestrue 1784), f. 181r pagamento al «tiratore» Mattia d’Ambrogio. La statua di Penna sarebbe stata effettivamente scolpita dopo la realizzazione della stampa, messa in opera solamente nel febbraio del 1786: Arch. Capitolo S. Pietro, Registri di mandati 26 (1782-1788), f. 338r nr. 205. 28 AFSP, Arm. 12, D, 4, f. 732r: «Nota di quanto la Rev.da Fabrica di S. Pietro ha pagato al S.r Marco Carloni Incisore de Rami/ Per ripulitura dei rami incisi veduti da V.S. Ill.ma, e R.ma la mattina del 5 marzo 1785 corr.e s. 903/ Pagatigli scudi 300 per avere inciso il Prospetto della Sagrestia s. 300/ Pagatigli per avere inciso la statua del Papa da collocarsi alle Scale nobili s. 250/ [totale] 1453». I rami ritoccati che ho citato sono elencati in AFSP, Arm. 27, E, 434 (Giornale 1758-1787), f. 481r: 400 scudi in data 2 aprile 1784. L’incisione del monumento dovrebbe essere quella di Rocco Pozzi. L’incisione della sagrestia fu resa nota da CECCARELLI, Carlo Marchionni cit., p. 71 e fig. 19. Sempre nel 1785 Carloni realizzò anche una stampa raffigurante la caserma dei soldati corsi: ibid., pp. 69, 71, 96, figg. 15, 19.

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apparentemente esauritasi già vari anni prima della scomparsa, avvenuta nel 1803 come ora accertato29. L’incisore palesò nel De secretariis il suo consumato mestiere, adattando il suo operato al soggetto che doveva raffigurare. Le immagini di Angeletti sono rese con fare pittorico e morbido, come mostra, ad esempio, il trattamento delle fronde e della vegetazione nella vignetta dell’emorroissa. Nella statua mutila di fiume e nella Madonna della Febbre punti e linee si accostano per meglio modulare il chiaroscuro che sfrutta anche il bianco naturale della carta lasciato in vista. Anche l’incisione del sarcofago è molto efficace, con il fondo sottilmente rigato per far emergere la volumetria delle figure. Le immagini architettoniche sono di grande perizia e nitore. Ad esempio nella tavola II che mostra la pianta antica e quella moderna della basilica sovrapposte la diversità di trattamento delle superfici appare gestita molto efficacemente. Negli alzati la frequenza del segno, l’andamento dei tratti verticali e orizzontali, il parallelismo di linee dritte o l’accostamento di altre curve e irregolari, tutto è sapientemente utilizzato per restituire il senso dei volumi e il variare della luce. Una illustrazione di particolare bellezza, anch’essa inserita nel volume in forma di tavola ripiegata, rappresenta un celebre sarcofago con protomi leonine e thiasos dionisiaco (fig. 13), trovato nel 1777 nelle fondamenta dell’antica sacrestia in demolizione e trasportato nel Museo Pio Clementino, ove ancora è conservato. In questo caso, autore del disegno fu Vincenzo Dolcibene (c. 1746-1820). Il disegnatore poteva probabilmente contare sull’appoggio di un fratello canonico, come ci riferisce una fonte del tempo, ed è noto soprattutto per i suoi disegni dall’antico, spesso tradotti in incisioni, ad esempio, nel Museo Pio-Clementino. Era considerato da vari ‘antiquari’ particolarmente capace nel rendere il «carattere» della scultura antica30. Nel IV tomo del De secretariis, nelle pp. 1826-1827 è contenuto l’Elenchos formarum ex aere che ne elenca 20, ovvero le 12 tavole ripiegate con piante e alzati (segnate I-XII), i cinque frontespizi, il sarcofago bisomo, la statua di Pio VI e la Madonna della febbre. 29 L. VINELLA, Carloni Marco Gregorio, in DBI, 20, Roma 1977, pp. 401-402. Per l’inedito atto del decesso si veda Archivio Storico del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Morti 1800-1810, f. 61v, in data 11 marzo 1803: è indicato sessantenne, figlio di Tommaso e vedovo di Giovanna Martinelli, residente a piazza di Spagna. 30 Sul sarcofago G. SPINOLA, Il Museo Pio Clementino, I: Il settore orientale. Il cortile ottagono e la sala degli animali, Città del Vaticano 1996 (Guide cataloghi dei Musei Vaticani, 3), pp. 37-38. Sul disegnatore A. M. D’AMELIO, Memorie pubbliche e private nelle caricature di Giuseppe Barberi, in Bollettino dei Musei Comunali 23 (2009), pp. 69-102: 96; V. COLTMAN, Classical Sculpture and the Culture of Collecting in Britain since 1760, Oxford 2009, pp. 72-73.

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Fig. 13 – R.G. Storia III.3571 (3), Cancellieri, De secretariis, III, p. 1442, sarcofago con Thiasos dionisiaco.

Il contratto con Carloni ricordato non fa però riferimento a quest’ultima immagine né ad altre incisioni pur presenti nel libro. La Madonna della Febbre è una raffigurazione ad affresco già conservata nell’omonimo edificio, oggetto di particolare devozione e ritenuta protettrice contro le febbri, che fu spostata nella cappella dei Beneficiati della nuova sagrestia ed era stata la prima immagine mariana coronata dal Capitolo vaticano, come ricorda la lunga iscrizione in calce alla figura31. Né i conti né l’elenco delle lastre incise ricordano la bella tavola dedicata alla nuova campana per la basilica vaticana realizzata da Luigi e Giuseppe Valadier. In effetti, nelle Efemeridi letterarie si legge che «Dopo terminata la stampa di tutti quest’indici, fu acquistato il rame della nuova campana maggiore, rifusa per ordine del generosissimo Pontefice, che solennemente la benedisse agli 11. di giugno 1786 come si narra nella descrizione di quell’augusta cerimonia»32. Il ‘Campanone’ di San Pietro fu ordinato a Luigi Valadier, ma ultimato da Giuseppe dopo il suicidio del padre nel 1785 e fu benedetto l’anno successivo. Esso è documentato da più stampe, una disegnata da Luigi Valadier e incisa da Giacomo Bossi, l’altra recante l’indicazione del disegnatore 31 Oggi è conservata nel Museo del Tesoro di San Pietro, è normalmente riferita al XIV secolo ma di recente si è ipotizzato che possa essere stata ridipinta dal beato Angelico su un originale trecentesco: G. DE SIMONE, Il Beato Angelico a Roma 1445-1455. Rinascita delle arti e Umanesimo cristiano nell’Urbe di Niccolò V e di Leon Battista Alberti, Firenze 2017, pp. 208210 (con bibliografia precedente). 32 Efemeridi letterarie 21 (1788), nr. XXXIV, 23 agosto, p. 267.

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mentre l’incisore compare come dedicante del foglio e corrisponde, salvo la scritta, alla terza, quella contenuta nel libro di Cancellieri, ove invece è scomparso il primo nome e inserito in calce quello di Carloni33. Il repertorio iconografico del volume comprende altre quattro piccole illustrazioni corredate di rimandi al testo. Due rappresentazioni sono relative a sculture antiche, una «Pastophora» egiziana confluita nel Museo Pio Clementino e un Fiume mutilo, ma più interessanti sono le altre due. La prima riproduce una miniatura di un codice considerato del XIII secolo raffigurante San Romualdo adolescente e il sacrista (sagrestano) dell’abbazia di Classe, mentre l’altra rappresenta un affresco posto sopra la porta dell’antica sacrestia di San Giovanni in Laterano che mostrava Papa Giovanni XII nell’atto di indossare le veste pontificali, pittura del 960, scialbata e poi riscoperta nel 163334. Interessante è che Cancellieri cerchi testimonianze iconografiche antiche a sostegno delle tesi sostenute nel volume, fornendo anche riferimenti bibliografici per le opere riprodotte. Infine, nel quarto volume le iscrizioni cristiane e quelle spettanti al Collegio dei Frati Arvali furono studiate e pubblicate da Gaetano Marini e alcune sono corredate di tavole in rame; come sottolinea ancora una volta il giornale Efemeridi letterarie, cinque furono incise con gli stessi caratteri e la stessa grandezza degli originali, talora su fogli ripiegati35. Ancora una volta, nel raffinato volume l’immagine ha una funzione primaria, non semplicemente esornativa, ma di integrazione al testo, ausilio al lettore per una piena comprensione, e anche per questo aspetto il testo di Cancellieri è un eccellente esempio dell’editoria tardo settecentesca nella quale la diffusione delle opere riccamente illustrate fu particolarmente rilevante.

33 G. SILVAN, Una nota in più per il “Campanone” di San Pietro, in Sculture romane del Settecento, III, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 2003 (Studi sul Settecento Romano, 19), pp. 483-503, con illustrazioni delle incisioni nelle figg. 4-5. 34 Rispettivamente inserite nelle pp. 6, 50, 1616, 914; si aggiunga una vignetta con il pellicano a p. 1620. 35 Efemeridi letterarie 17 (1788), nr. XXXIV, 23 agosto, p. 268. Su Marini si veda Gaetano Marini (1742-1815) protagonista della cultura europea, a cura di M. BUONOCORE, I-II, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 492-493).

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APPENDICE DOCUMENTARIA BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Giustificazioni del Capitolo I, 142 In alto a destra 83 (su tutti i fogli a seguire) I. Contratto con l’editore, f. 399r «Io Sottoscritto mi obbligo nella più ampla forma della R.C.A. con questa privata scrittura, da valere come se fosse un pubblico, e solenne Istrumento di stampare l’opera del Sig. abate Francesco Cancellieri intitolata = De Secretarys Basilicae Vaticanae veteris, ac novae = divisa in quattro Tomi in quarto, da ridursi in due volumi, colle seguenti condizioni Mi obbligo di stampare la Dedica in carattere soprasilvio, la Prefazione in testo tondo, l’Opera in Silvio da gettarsi a bella posta, le note in testino, e l’indice in filosofia, contentandomi per la composizione di ciascun foglio di tante righe quante piaceranno all’autore, con note, o iscrizioni, o senza le une, e le altre di s. 01 a riserva però de fogli dell’ultimo Tomo, in cui saranno solo Iscrizioni illustrate con note, da pagarmisi due paoli di più per foglio Per inchiostro, e consumo de’ Caratteri nuovi da non potersi adoperare in verun’altra opera, prima di questa, e per gli spazioni da farsi far nuovi, unitamente al Carattere s. 00.80 Per tiratura di cinquecento Copie per ciascun foglio s. 00.60 Per la carta real Soprafina di Pioraco consimile alla presente in cui dovranno tirarsi tutti i fogli, compresi i quinterni da aggiungersi ai fogli mancanti nelle risme s. 03.15 Il tutto per le spese di ciascun foglio di stampa, fuori di quelli dell’ultimo Tomo delle Iscrizioni con note s. 05.55 da darmisi di mano in mano, che sarà tirato ciascun foglio, con mia ricevuta. Mi obbligo inoltre di incominciare la stampa al principio del futuro mese di Novembre del decorrente anno 1785, in cui dovrà essere all’ordine il nuovo carattere; di tirarne tre fogli la settimana, dopo quel numero di correzioni di ciascun foglio, che l’autore crederà necessarie; di consegnare al medesimo tutte le copie di ogni foglio stampato, a sua requisizione, e di dover somministrare del mio tutte le iniziali, finali e vignette di rame che vorrà l’autore, dichiarando però di dover avere tre paoli per la tiratura di ogni centinajo di ciascun rame. Mi obbligo infine di non tirarne neppure una copia di più a conto mio. In fede questo dì 25 agosto 1785 Io Carlo Erskine approvo [a lato delle due firme seguenti] Io Luigi Perego Salvioni affermo quanto sopra/ Io Francesco Cancellieri mi obbligo a quanto sopra». II. Ordine di pagamento cumulativo, f. 403r «Il Computista di S. Pietro in Vaticano potrà spedire Un’ ordine di scudi 500 al Sig. Luigi Perego Salvioni a conto della spesa della Carta dal medesimo provveduta Altro di scudi 60 al Sig. Giacomo Sangermano Architetto a conto de’ Disegni da lui fatti, e da farsi

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MARIA BARBARA GUERRIERI BORSOI

Altro di scudi 250 al Sig. Marco Carloni Incisore a conto de’ lavori dal medesimo fatti, e da farsi Altro di sc. 51,25 al Sig. Pietro Angeletti Pittore per saldo di lavori da lui fatti E tutti li sud.i lavori per la Stampa dell’Opera delle Sagrestie Vaticane del Sig. Ab. Francesco Cancellieri, come dal Decreto della Cong.ne Economica delli 25 Novembre 1785 in esecuzione degli Ordini di N.S. Questo dì 17 Dicembre 1785 Carlo Erskine Can.co Cam.o, e Dep.to». III. Accordo con Giacomo Sangermano, f. 404r «Pianta del Pian Terreno Pianta del piano della Sagrestia Prospetto in vista dell’arco di Carlo M. Profilo che comprende il Peristilio, lo spaccato della Scala grande Prospetto tra i due Ponti che conducono al Tempio Profilo per traverso da una Cappella all’altra Prospetto incontro (?) la Porta Fabrica Pianta dell’antica Sagrestia Profilo, e indicazione dello Stato della Sagrestia vecchia Pianta dell’antica Basilica vaticana Io sotto. mi obbligo di fare i sud.i disegni nel sesto già convenuto, per la somma di scudi dieci un per l’altro Roma questo dì 12 agosto 1785 Giacomo Sangermano ma.pa Io Carlo Erskine accetto come sopra». IV. Accordo con Marco Carloni, f. 406r «Io sotto. mi obbligo incidere tutti li Rami che occorreranno nel Opera della Sagrestia Vaticana da unirsi alla Stampa descritta dal Sig. Abb.te Cancellieri, per li Seguenti prezzi acordati con l’Ill.mo R.mo Monsig.re Aschin Canonico Camerlengo della Sudetta Basilica Vaticana Per Incisione di ogni Rame di Elevazione giometrica (sic) zecchini cinquanta per Incisione di ogni Pianta zecchini venticinque per Incisione della Statua del Papa con suo ornamento Incisione del Urna trovata sotto i fondamenti della sudetta sagrestia con l’Incisione di n.o cinque frontespizi con suoi caratteri incisi diversi con i capilettere per il prezzo di zecchini Duecentoventicinque In fede dì 6 Novebbri (sic) 1785 Marco Carloni come sopra Io Carlo Erskine accetto, e convengo come sopra». V. Accordo con Pietro Angeletti, f. 408r «Io sottoscritto mi obbligo di fare cinque disegni per lopera dell’Ill.mo Sig.re Abate Cancellieri nella forma e grandezza con lui convenuta oltre sei letre Iniziali per il prezzo di venti cinque zechini In fede questo dì 15 Novembre 1785 Pietro Angeletti Pittore Accademico di S. Luca et Ass.e della Antichita di Roma Io Carlo Erskine accetto come sopra».

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VICENDE EDITORIALI E REPERTORIO ICONOGRAFICO

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VI. Saldo a Pietro Angeletti, f. 409r «Io sotto. dichiaro di aver fatto in esecuzione delli ordini dell’Ill.mo e Rmo Mons. Erakine Canonico di S. Pietro cinque disegni per l’opera sopra le Sagrestie de Cristiani antichi, e della Basilica Vaticana del S. Ab. Cancellieri, cioè una rappresentante la medaglia coniata da N.S. per la nuova Sagrestia Vaticana = un altro rappresentante l’Emorroissa sanata dal salvatore = il terzo raffigurante il Tempio rotondo di S. Petroniana = il quarto del Tempio demolito della Madonna della Febbre coll’obelisco contiguo = il quinto rappresentante il Gallo dell’orologio della Sagrestia = e inoltre sei altri disegni di sei lettere iniziali, e tutto per venticinque zecchini secondo il patto fatto col. Sud.o Mons.e, dichiarandomi contento, e soddisfatto del medesimo pagamento. In fede questo dì Decembre 1785 Pietro Angeletti Pittor Academico di S. Luca et As.e della Antichita di Roma questo di Novembre 1785 mi dichiaro come sopra».

ABSTRACT Il De secretariis basilicae Vaticanae veteris, ac novae di Francesco Cancellieri è uno dei più importanti prodotti editoriali realizzati a Roma verso la fine del XVIII secolo, anche per lo splendido apparato illustrativo che prende forma di frontespizi, capilettera, immagini di varia natura e tavole di soggetto architettonico di grandi dimensioni. Attraverso la lettura delle fonti contemporanee il presente studio ricostruisce la faticosa messa a punto del testo, nonostante il patrocinio del pontefice Pio VI. Nel fondo dell’Archivio del Capitolo di San Pietro, conservato in Biblioteca Vaticana, sono stati rintracciati i documenti relativi alla stampa e alla realizzazione del materiale illustrativo che fu affidato ad artisti e incisori di alto livello. Con atteggiamento moderno, le immagini non hanno solo un valore decorativo, ma agevolano il fruitore nella lettura. The De secretariis basilicae Vaticanae veteris, ac novae by Francesco Cancellieri is one of the most important editorial undertakings produced in Rome in the late eighteenth century. In particular, it contains a splendid illustrative apparatus in the form of frontispieces, decorative initials, images of various kinds and plates with large architectural motifs. In light of contemporary sources, this study reconstructs the development of the text, which proved quite difficult even though it enjoyed the patronage of Pope Pius VI. The Archivio del Capitolo di San Pietro of the Vatican Library provides important evidence concerning the book’s printing and the composition of the illustrations, which were entrusted to artists and engravers of high quality. From a modern prospective, these images not only have decorative value of their own but also aid the reader’s understanding and appreciation of the text.

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ROLAND HISSETTE – MAURO PERANI

DES ANNOTATIONS EN HÉBREU À LA FIN DU MANUSCRIT VATICAN URB. LAT. 221 ABSTRACT a p. 247.

I. LE CORPUS DES MSS VATICANS URB. LAT. 220 ET 221 par Roland Hissette Les deux manuscrits vaticans Urb. lat. 220 et 221 sont complémentaires : ensemble ils conservent le corpus presque complet de tous les commentaires aristotéliciens d’Averroès connus par le moyen âge latin ; il manque seulement dans ce corpus le commentaire moyen de la Rhétorique et, semble-t-il, quelques fragments : ceux du compendium du De animalibus et ceux de ce qui pourrait être le compendium du De caelo1. Or, dans ce tout que constituent ensemble les deux codices, cinq copies, dont l’écriture est une même gothica textualis, sont manifestement plus anciennes. Elles donnent à lire les textes et les grands commentaires de la Physique (ms. 220, ff. 3ra-198ra)2, du De anima (ms. 220, ff. 200ra-269va) et de la Métaphysique (ms. 220, ff. 272ra-414rb), puis les commentaires moyens des Prédicaments (ms. 221, ff. 244ra-250ra) et du Peri Hermeneias (ms. 221, ff. 250ra-256va). D’après le colophon du commentaire du De anima (ms. 220, f. 269va), le copiste doit avoir été un certain Thierry d’Erfurt ; il pourrait avoir œuvré entre le milieu du XIVe siècle et la fin de celui-ci3. 1À

ce sujet, cfr. R. HISSETTE, Le corpus averroicum des manuscrits vaticans Urbinates latins 220 et 221 et Nicoleto Vernia, dans Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, III, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 333), p. 258 et ntt. 5-7. À propos des extraits supposés « avoir été traduits de l’Épitomé » (ou Compendium) du De caelo, noter toutefois l’avis contraire de H. HUGONNARD-ROCHE, L’Épitomé du De caelo d’Aristote par Averroès. Questions de méthode et de doctrine, dans Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge 59 (1984), p. 9 et ntt. 10-11 : « la comparaison que nous avons faite de ces fragments avec le texte arabe original démontre qu’ils ne peuvent pas être des traductions de l’Épitomé, même s’ils présentent quelque ressemblance (…) avec ce dernier commentaire ». 2 On va voir (ci-dessous p. 239) que la copie du f. 2r-v est d’une autre main plus récente. 3 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 287 ; cfr. aussi Codices Urbinates Latini, recensuit C. STORNAJOLO, I : Codices 1-500, Romae 1902 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti), pp. 211-215. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 237-247.

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ROLAND HISSETTE – MAURO PERANI

Il fut sans doute un temps, où les cahiers requis pour ces cinq copies — ils sont au nombre de 54 — étaient rassemblés en un volume unique4. On ignore pour qui ces cinq copies ont été réalisées. Mais au XVe siècle, un des possesseurs fut sûrement le maître averroïste padouan, Nicoleto Vernia5 ; il entreprit d’en corriger les textes, parfois de les compléter, et c’est lui sans doute qui leur fit ajouter ceux d’une quinzaine d’autres œuvres. Elles sont toutes réunies dans le ms. 221, où elles précèdent les deux commentaires des Prédicaments et du Peri Hermeneias repoussés, eux, tout à la fin6. Durant l’été 1481, Nicoleto Vernia perdit toutefois nos deux manuscrits : avec d’autres livres et objets, il dut les envoyer à l’université de Pise, où il s’était engagé à aller enseigner7. Mais il se rétracta peu après, si bien que, par représailles, livres et objets furent saisis : le 7 mars 1482, leur mise en vente fut décidée8. C’est alors que, grâce à la médiation possible du libraire florentin Vespasiano da Bisticci, le duc d’Urbino Federico da Montefeltro put acquérir les deux mss Urb. lat. 220 et 221 ; cela se passa entre ce 7 mars 1482 et le 10 septembre de la même année, jour de la mort de Federico da Montefeltro9. Finalement en décembre 1657, c’est-à-dire sous Alexandre VII (16551667), ils sont entrés à la Bibliothèque Vaticane, comme la majeure partie de la collection des ducs d’Urbino10. 4

Ibid., pp. 269-271 et 286-292. Ibid., pp. 276-278. 6 Ibid., pp. 270-271 et 296-297. 7 Cfr. R. HISSETTE, À propos des manuscrits vaticans Urb. lat. 220 et 221, Nicoleto Vernia aurait-il écrit « non erant mei », dans Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018 (Studi e testi, 529), p. 321. 8 Ibid., pp. 321-322 et nt. 15. 9 Ibid. Ainsi dépossédé de nos deux manuscrits, Nicoleto Vernia, n’a pu les utiliser pour établir les modèles (exemplaria) qui ont servi lors de l’impression de la grande édition des Opera d’Aristote-Averroès qu’il fit paraître en 1483 (-84) ; cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., pp. 297-309. C’est peut-être ce qui les sauva de la destruction ; voir à ce sujet la préface d’Alde Manuce au f. *IIr, l. 30-35, du tome 2 de son édition d’Aristote parue à Venise en 1497 (= ISTC ia00959000 ; GW 2334 ; pour l’exemplaire de la BAV : Inc. II.692, accessible en ligne — avril 2020 — cfr. https://digi.vatlib.it/view/Inc.II.692) ; voir aussi M. SICHERL, Griechische Erstausgaben des Aldus Manutius, Druckvorlagen, Stellenwert, kultureller Hintergrund, Paderborn 1997 (Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, Neue Folge, 1. Reihe : Monographien, 10), p. 3. 10 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 268 ; voir aussi M. MORANTI – L. MORANTI, Il trasferimento dei “Codices urbinates” alla Biblioteca Vaticana. Cronistoria, documenti e inventario, Urbino 1981 (Collana di studi e testi, 9), pp. 40 et 278 ; F. D’AIUTO, [Urbinati], in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 538-545 ; A. MANFREDI, Urbinati latini, ibid., pp. 550-553 ; M. PERUZZI, « Lectissima politissimaque volumina » : i fondi urbinati, in 5

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DES ANNOTATIONS EN HÉBREU À LA FIN DU MANUSCRIT URB. LAT. 221

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Nul doute que l’agencement des deux volumes, tel qu’on le trouve de nos jours, n’a pas été obtenu en une seule fois. En effet, dans le ms. 220, le premier folio (= 2r-v) a été remplacé11 : il pourrait avoir été copié directement pour Nicoleto Vernia12. En outre, dans le ms. 221, le folio 187 (= fin du cahier 19) a été coupé et est devenu une page de garde13. Mais il y eut d’autres changements beaucoup plus conséquents. Le médaillon qui orne le folio 1v du ms. 221 mentionne les trois commentaires de la Physique, du De anima et de la Métaphysique comme s’ils faisaient partie de ce manuscrit14. Pourtant ces trois commentaires ont été mis à part, puisqu’ils forment le ms. 22015. Par ailleurs, entre les deux commentaires du De caelo et des Météores (livre IV) d’une part, et le commentaire de la Poétique d’autre part, le même médaillon intercale dix autres oeuvres16 : on les trouve effectivement à l’endroit correspondant du ms. 22117 ; ce sont : 1-4) les commentaires moyens de l’Isagoge (ff. 114ra-116va), des Prédicaments (ff. 116vb-118ra)18, des Analytiques premiers (ff. 118rb-142va) et seStoria della Biblioteca Apostolica Vaticana, III : La Vaticana nel Seicento (1590-1700) : una biblioteca di biblioteche, a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014, pp. 337-394 : 370-384. 11 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 269 (et nt. 52). 12 Ibid., pp. 282-284 et p. 297. 13 Ibid., p. 292, nt. 149. 14 Voir ci-dessous planche II. 15 Deux opuscules intercalés dans les espaces restés libres entre les textes de la Physique et ceux du De anima appartiennent bien entendu aussi au ms. 220 ; ce sont : 1. l’Epistola commentatoris aueroys de intellectu et intellecto (f. 198ra-b), qui est en réalité d’Al-Kindí (cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 257 et nt. 3) ; 2. la versio vulgata (due semble-t-il à Michel Scot) du compendium du De longitudine d’Averroès (f. 198rb-198vb) ; d’après la souscription, la copie de ces deux textes aurait été terminée le 16 juin 1440 par un certain Antonellus d’Osimo, inconnu par ailleurs ; cfr. ibid., pp. 269-270. La version du compendium du De longitudine en cause ici est appelée vulgata parce que plus répandue qu’une autre appelée versio Parisina, propre au ms. Paris BNF lat. 16222 ; cfr. AVERROIS CORDUBENSIS Compendia Librorum Aristotelis qui parva naturalia vocantur, recensuit A. L. SHIELDS adiuvante H. BLUMBERG, Cambridge, Mass. 1949 (Corpus Commentariorum Averrois in Aristotelem, Versionum Latinarum VII), pp. xiii-xviii et 129-149 ; sur l’attribution à Michel Scot de la versio vulgata, cfr. ibid., p. xiii et nt. 9 ; voir aussi D. N. HASSE, Latin Averroes Translations of the First Half of the Thirteenth Century, Hildesheim 2010, pp. 5-38 (passim) ; sur l’unicité du ms. contenant la version dite Parisina, cfr. également J. HAMESSE et S. SZYLLER, Repertorium initiorum manuscriptorum latinorum medii aevi, II, Louvain-la-Neuve 2008 (Fédération Internationale des Instituts d’Études Médiévales. Textes et études du moyen âge, 42,2), p. 585, nr. 19885. 16 Voir encore ci-dessous planche II. 17 Aux dix œuvres en cause s’en ajoute toutefois une onzième, qui propose un texte anonyme Continue alterantur (ms. 221, ff. 163vb-164ra ; cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 271), placé entre les commentaires du De longitudine et du De sensu. 18 La copie est interrompue au milieu d’une phrase après le premier quart du texte, sans doute parce qu’on s’est rendu compte de la présence du même commentaire parmi les cinq copies supposées de Thierry d’Erfurt ; cfr. supra p. 237 ; voir aussi HISSETTE, Le corpus averroicum cit., pp. 270 et 296 (et nt. 163) ; ID., « Préface » dans AVERROES, Commentum medium

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ROLAND HISSETTE – MAURO PERANI

conds (ff. 142vb-157ra) ; 5) le De substantia orbis (ff. 157rb-160va) ; 6-10) les commentaires du De somno (ff. 160va-163ra), du De longitudine (ff. 163rbvb), du De sensu (ff. 164rb-166ra), du De memoria (ff. 166ra-167rb), du De generatione (ff. 167rb-177vb). Pourtant, d’après les réclames et plusieurs signatures notamment, le commentaire de la Poétique (ff. 178ra-184vb) devrait suivre immédiatement le bloc que forment à eux deux le commentaire du De caelo (ff. 2ra-107vb) et celui du livre IV des Météores (ff. 107vb112rb)19. Enfin, le même médaillon présente encore les deux commentaires des Prédicaments et du Peri Hermeneias comme s’ils faisaient suite au commentaire de la Métaphysique20 ; on les trouve pourtant dans le ms. 221 après le commentaire de l’Éthique (ff. 188ra-242rb). En ce qui concerne les cahiers eux-mêmes, hormis le remplacement du folio 2 dans le ms. 220 et le déplacement dans le ms. 221 du folio 187 devenu page de garde, il est sûr que la constitution d’origine a été maintenue : pour chacun des cahiers, cela est garanti par l’emplacement des fils de couture21. On compte 52 cahiers pour le ms. 22022, mais 27 pour le ms. 22123. Or, à la fin de certains cahiers, plusieurs folios sont restés non écrits. Dans le ms. 220, c’est le cas des folios 198vb 54-199v (fin du cahier 25)24, 269va 30-271v (fin du cahier 34)25, 416vb 46-417v (fin du cahier 52)26. Pareillement, dans le ms. 221, non écrits sont les folios 112rb 23-113v (fin du cahier 11)27, 177va 23-b (fin du cahier 18)28, 206vb 22-207v (fin du cahier 21)29, 242rb 52-243r-v (fin du cahier 25)30. Peut-on dire aussi que, dans le dernier cahier du ms. 221 (= cahier 27), super libro Praedicamentorum Aristotelis. Translatio Wilhelmo de Luna adscripta, Lovanii 2010 (Averrois opera, Series B : Averroes Latinus XI), p. 35*. 19 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 293. 20 Voir encore ci-dessous planche II ; voir également ci-dessus p. 238 et nt. 4. 21 Pour le ms. 220, cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 285, nt. 120 ; pour le ms. 221, cfr. ibid., p. 286, nt. 125 et p. 292, nt. 150. 22 Et non 53, comme on le lit par erreur, ibid., p. 285. 23 Soit 25 (cfr. ibid., p. 292), auxquels s’ajoutent les deux cahiers dévolus aux commentaires moyens des Prédicaments et du Peri Hermeneias (cfr. ibid., p. 286). 24 Après la fin du commentaire de la Physique (cfr. supra nt. 2) et l’ajout par une autre main de l’Epistola de intellectu et intellecto d’Al-Kindí et du compendium du De longitudine d’Averroès (cfr. supra nt. 15). 25 Après la fin du commentaire du De anima ; cfr. ibid., p. 269. 26 Après la fin du commentaire de la Métaphysique et l’ajout par Nicoleto Vernia des §§ 76-79 du livre VIII du grand commentaire de la Physique ; cfr. ibid., pp. 270 et 276-278. 27 Après la fin du livre IV du commentaire moyen sur les Météores ; cfr. ibid., pp. 270-271 et 292, nt. 149. 28 Après la fin du compendium du De generatione et corruptione ; cfr. ibid. 29 Après la fin du commentaire moyen sur le livre IV de l’Éthique à Nicomaque ; cfr. ibid. 30 Après la fin du commentaire moyen sur le livre X de l’Éthique à Nicomaque ; cfr. ibid.

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DES ANNOTATIONS EN HÉBREU À LA FIN DU MANUSCRIT URB. LAT. 221

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les folios 256v-257v sont restés vierges (= six colonnes), hormis le début de la première colonne, où six lignes ont été écrites, puis annotées sur la gauche et sur la droite31 ? Je n’ai pas hésité à le faire32 ? Il est vrai que le verso du folio 257 comporte des annotations en partie grattées et illisibles. Mais c’est en partie seulement et la lisibilité de la numérisation a pu être augmentée grâce à la lumière ultraviolette33. J’ai donc eu tort de d’abord négliger ces annotations du folio 257v34. Elles sont partiellement en hébreu et, à leur sujet, j’ai consulté un spécialiste, le prof. Mauro Perani (Univ. Bologna)35. Sa lecture des annotations est proposée ci-après. Il paraît sûr que des noms propres y ont été mentionnés ; deux sont assurément mutilés : Gabri(- ?)36 et ( ?)-iozo37, mais deux autres sont mieux lisibles : Burgundis38 et Giovanni Donà39, ce dernier nom désignant le vendeur d’un livre de médecine40 ; s’y ajoutent des indications de prix : fixés en florins41, et des dates : placées dans les années 138042, 140643 et 140744. Le nom de Burgundis évoque évidemment celui du traducteur pisan, célèbre pour ses versions latines de textes théologiques, philosophiques et scientifiques du monde grec, et mort en 119345 ? Il est certain cependant qu’aucune des traductions de Burgundio de Pise n’est reprise dans nos deux manuscrits et il est partant très improbable qu’il s’agisse de lui dans l’annotation concernée. Il est du reste tout aussi improbable que la personne 31

Ces six lignes sont celles de la fin du commentaire moyen sur le Peri Hermeneias ; cfr.

ibid. 32

Ibid., p. 286, nt. 125. Voir ci-dessous planche I. 34 Comme me l’a gentiment fait remarquer Martin Pickavé (Univ. Toronto), à qui j’exprime ma gratitude. 35 Par l’intermédiaire d’Antonino Rubino (Köln, Thomas-Institut). À ce dernier, comme à Mauro Perani lui-même, mais aussi à Silvia Donati (Bonn, Albertus-Magnus-Institut) et à Guy Guldentops (Köln, Thomas-Institut), j’exprime ma vive reconnaissance. 36 Cfr. ci-dessous partie II, nr. 3. 37 Ibid., nr. 4. 38 Ibid., nr. 2. 39 Ibid., nr. 5. 40 Ibid. 41 Ibid., nrr. 4 et 5. 42 Ibid., nr. 5. 43 Ibid., nr. 4 (2 ). 44 Ibid., nr. 4. 45 Ou 1194 selon le style de Pise ; cfr. F. LIOTTA, Notice “Burgundione”, dans Dizionario biografico degli Italiani, 15, Roma 1972, pp. 423-428 ; sur l’activité de Burgundio comme traducteur, on peut voir aussi Translating at the Court. Bartholomew of Messina and Cultural Life at the Court of Manfred, King of Sicily, edited by P. DE LEEMANS, Leuven 2014 (Mediaevalia Lovaniensia, Series I, Studia XLV), passim. 33

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ROLAND HISSETTE – MAURO PERANI

réellement visée ait un rapport direct avec notre corpus averroicum et cela vaut pareillement pour toute autre personne citée, y compris donc Giovanni Donà46. En effet, selon M. Perani, « la nature des annotations, n’est pas hypothétique, mais évidente : ce sont sans aucun doute des notes de vente ou d’acquisition, une espèce d’aide-mémoire pour se rappeler quelque chose, mais sans lien avec l’acquisition du manuscrit sur lequel elles ont été écrites. Du reste, sur les pages blanches de divers manuscrits hébreux, on trouve des listes d’enfants nés et circoncis à l’intérieur d’une famille et beaucoup d’autres informations. Le manuscrit était en quelque sorte un dispositif sûr et personnel, sur lequel une personne ou une famille pouvait consigner des choses importantes à se rappeler, y compris des listes de livres possédés ou des choses acquises par héritage »47. Cela étant, une donnée est acquise : c’est que les annotations du folio 257v dans le ms. 221 n’ont rien à voir directement avec le contenu du corpus averroicum qui précède. Mais à son tour une autre certitude est, elle aussi, acquise : c’est que, à une époque donnée, une partie au moins de ce corpus averroicum a dû se trouver dans un milieu juif. Quelle partie ? Celle à laquelle appartenait non seulement le folio 257, mais encore le dernier cahier tout entier du ms. 221. Le folio 257 en effet ne peut pas être isolé du folio 252, car d’après les caractéristiques du parchemin, je l’ai examiné encore en mai 2019, ces deux folios constituent une seule et même feuille : la première du ternion qu’est ce dernier cahier du ms. 22148. Or ce cahier fait partie des 54 copiés « per manus theodorici theotonici de Erfordia », Thierry d’Erfurt, dont l’écriture pourrait remonter au milieu du XIVe siècle49. C’est dire que les annotations du folio 257v pourraient déjà y avoir été écrites, quand, de notre corpus averroicum, seuls existaient ces 54 cahiers, le dernier folio de l’ensemble étant précisément notre folio 25750. Cela signifie aussi que les annotations ont pu être écrites avant que, de cet ensemble, Nicoleto Vernia devienne possesseur. Cette dernière hypothèse, compatible avec les dates mentionnées dans les annotations, est en fait la seule qui puisse être retenue. Le caractère personnel des annotations du folio 257 implique en effet qu’elles sont aussi 46 Ce dernier, déclaré vendeur en 1380, ne peut évidemment pas être un des dénommés Giovanni (ou Giovanni Battista) Donà dont la vie est située aux seizième et dix-septième siècles par le Dizionario biografico degli Italiani, 40, Roma 1991, pp. 732-741. Sur les Donà, vieille famille vénitienne, cfr. Enciclopedia on line, notice Donà : http://www.treccani.it/enciclopedia/ricerca/DONÀ/ (accessible en avril 2020). 47 Courriel du 9 avril 2019. 48 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 286, nt. 125. 49 Ibid., p. 287 ; cfr. aussi Codices Urbinates Latini cit., p. 212. 50 Cfr. supra p. 238 et nt. 4.

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DES ANNOTATIONS EN HÉBREU À LA FIN DU MANUSCRIT URB. LAT. 221

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en quelque sorte des marques de propriété. Or elles ne peuvent pas provenir de Nicoleto Vernia, car il ne devait pas connaître l’hébreu51. Remonteraient-elles éventuellement aux vicissitudes qui ont occasionné la perte de nos deux manuscrits par le même Nicoleto52 ? Mais rien n’indique qu’alors ils seraient passés aux mains de quelque acquéreur juif. Sous ce rapport, rien ne changea d’ailleurs par la suite, puisqu’au terme d’une halte possible chez Vespasiano da Bisticci, les deux volumes sont devenus propriété des ducs d’Urbino, puis de la Bibliothèque Vaticane. Ils n’eurent donc au cours de ces ultimes étapes aucun propriétaire juif, qui eût pu y porter des annotations en hébreu. La conclusion dès lors s’impose : c’est que les annotations du folio 257v doivent avoir été introduites avant l’entrée en action de Nicoleto Vernia. Quant au grattage de ces mêmes annotations, s’il est compréhensible par exemple dans le contexte d’un changement de possesseur ou de travaux de restauration, rien ne permet d’en préciser les circonstances exactes. *

*

*

51 Cfr. R. HISSETTE, « Préface » dans AVERROES, Commentum medium super libro Peri Hermeneias Aristotelis. Translatio Wilhelmo de Luna attributa, Lovanii 1996 (Averrois opera, Series B : Averroes Latinus, XII), p. 76*. 52 Cfr. supra p. 238 et ntt. 7-9.

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ROLAND HISSETTE – MAURO PERANI

II. LES ANNOTATIONS DU F. 257V DU MS. VATICAN URB. LAT. 221 par Mauro Perani Cinq endroits d’annotations ont été repérés. Sur la photographie cijointe, ils sont marqués des chiffres 1 à 553. Pour chacun d’eux, l’interprétation proposée ne peut être que résolument hypothétique. 1. Tout en haut, une écriture très grattée et illisible, tandis que le premier mot à droite semble être en latin. 2. En-dessous, à gauche « Burgundis », suivi par un mot latin de 5 à 6 lettres indéchiffrables. 3. À sa droite, dans la même écriture « Gabri(- ?)… » ; sous ce mot, un ou deux mots en latin difficiles à lire, le dernier étant caractérisé par une très longue fioriture, ornement qui n’est pas présent dans les notes écrites en hébreu. 4. À gauche, trois annotations en hébreu. Les deux premières sont identiques et je les lirais :

‫ח' משקלות י' פרח']ים[ ח' במרצו ק''סו‬ c’est-à-dire : 8 poids 10 florins, 8 de mars [5]166 = A.D. 1406.

La troisième inscription est différente :

....‫יוצו כד' לולייו קס''ו ]ק[ס''ז‬......? ‫מש' מייד‬ c’est-à-dire : Mes.[ser] aux mains de ….. ( ?)-iozo 24 juillet [5]166 - [5]167 = A.D. 1406-1407.

5. Annotation en hébreu ; ce n’est pas un colophon, mais encore toujours une note de vente :

/ ‫מש' יואני דונא זבן‬ / [‫א' פרחים ח׳ יינ']יר‬ / ‫ק''מ ספר רפואה‬ / ‫חילוף הרבעה‬ c’est-à-dire : Messer Giovanni [Ioanni] Donà vendeur, 1 florin, le 8 janvier (Yener) de l’année [5]140 = A.D. 1380 un livre de médecine : L’alternance de la copulation.

53

Voir planche I.

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DES ANNOTATIONS EN HÉBREU À LA FIN DU MANUSCRIT URB. LAT. 221

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5

Pl. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 221, f. 257v.

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ROLAND HISSETTE – MAURO PERANI

Pl. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 221, f. 1v.

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DES ANNOTATIONS EN HÉBREU À LA FIN DU MANUSCRIT URB. LAT. 221

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ABSTRACT Avant de passer dans la bibliothèque du duché d’Urbino, le corpus averroicum des manuscrits vaticans Urb. lat. 220-221 (XIVe-XVe s.) a appartenu au maître averroïste padouan Nicoleto Vernia (1420 environ – 1499). Le verso du dernier folio du manuscrit 221 comporte des traces d’annotations : le grattage du parchemin les a rendues à peine lisibles. Elles étaient écrites partiellement en hébreu et n’avaient strictement aucun rapport avec le contenu du manuscrit. Elles témoignent qu’une partie au moins de ce corpus averroicum a dû se trouver dans un milieu juif avant d’appartenir à Nicoleto Vernia. Before they became part of the library of the Duchy of Urbino, the manuscripts that preserve a Corpus averroicum (14th-15th century) in Urb. lat. 220-221 of the Vatican Library belonged to the Paduan Averroist master Nicoleto Vernia (ca. 1420-1499). Faint traces of notes can be seen on the verso of the last folio in Urb. lat. 221, but the attempted erasure of the text by scraping has made it difficult to read. These notes were written partially in Hebrew and have nothing to do with the contents of the manuscript. They indicate that at least part of this Corpus averroicum must have been present in a Jewish context before belonging to Nicoleto Vernia.

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DANIELA MAZZUCONI

SOTTRAZIONI, CONFUSIONI E DISORDINI DI LIBRI: IL CASO DEL VAT. LAT. 13721 DALL’ABBAZIA OLIVETANA DI SANTA CROCE DI SASSOVIVO AI CAMALDOLESI ABSTRACT a p. 320.

1. Il Vat. lat. 13721: da un monastero olivetano a un fondo camaldolese Il Vat. lat. 13721 figura nella Biblioteca Apostolica Vaticana fra le segnature considerate di provenienza dal monastero dei Ss. Andrea e Gregorio al Celio, a seguito dell’acquisto effettuato nel 1931 di una cinquantina di manoscritti e di 67 incunaboli. I libri, sopravvissuti alla soppressione del 1875, furono venduti dai monaci del monastero celimontano, ma provenivano per lo più dal monastero di S. Michele di Murano di Venezia1. La inequivoca collocazione originaria nell’archivio del monastero di Santa Croce di Sassovivo presso Foligno, di cui descrive la sistemazione settecentesca, tuttavia ne denuncia l’appartenenza olivetana e non camaldolese2. È la storia delle due congregazioni, che si intreccia nella prima metà dell’Ottocento, malgrado l’avverso parere dei soppressi olivetani, uniti da Gregorio XVI, già monaco camaldolese, alla propria congregazione, a spiegare probabilmente questa presenza. Il fatto risale al 6 agosto 1831, ma già da alcuni anni con Leone XII, a partire dal 14 giugno 1828, era stata proibita la vestizione di nuovi novizi e gli olivetani erano incerti circa la propria sorte3. 1

A. RITA, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica. Cronologia e fonti romane, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 470), p. 206. Ringrazio vivamente per i preziosi consigli Antonio Manfredi della Biblioteca Apostolica Vaticana e per l’aiuto nelle ricerche documentarie a Monte Oliveto Maggiore don Roberto Donghi, archivista dell’abbazia. La riproduzione è disponibile al permalink https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.13721, consultato il 30 gennaio 2019. 2 Per l’abbazia di Sassovivo e la relativa bibliografia si veda: Monasteri Benedettini in Umbria. Alle radici del paesaggio umbro, a cura di G. FARNEDI – N. TOGNI, Cesena 2014 (Biblioteca del Monasticon Italiae, 1), scheda 16, Santa Croce di Sassovivo a Foligno 1486-1807; 18141834, pp. 54-60; sui fondi archivistici presso gli Archivi di Stato: P. MONACCHIA, Olivetani in Umbria, in Fonti per la storia della Congregazione benedettina di Monte Oliveto negli archivi di stato italiani, Atti del Convegno di studi per i 50 anni della presenza benedettina in Basilicata, Matera-Picciano, 13-15 ottobre 2016, a cura di D. GIORDANO, Cesena 2019 (Italia benedettina, 44), pp. 261-297, per l’abbazia di Sassovivo in particolare pp. 284-286. 3 M. SCARPINI, I monaci benedettini di Monte Oliveto, San Salvatore Monferrato 1952, pp. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 249-320.

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DANIELA MAZZUCONI

Nel gruppo dei manoscritti camaldolesi oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana, con segnature da Vat. lat. 13674 a Vat. lat. 137254, si trova questo manoscritto cartaceo, che, pur esteticamente modesto, di converso, ci conserva una bella descrizione dello stato dell’archivio dell’abbazia di Santa Croce di Sassovivo nel Settecento e, in fascicoli separati, una serie di documenti originali e di note della seconda metà del Cinquecento, dal titolo Catalogo de libri e scritture, che si ritrovano nell’Archivio di Sassovivo 1727. L’abbazia, nata su preesistenti fondazioni nel sec. XI, per iniziativa dell’eremita Mainardo e posta sotto la regola benedettina, era passata nel 1476 in commenda del cardinale Marco Barbo5, che, poiché i benedettini si opponevano ai suoi tentativi di riforma, la affidò agli olivetani nel 1486, mantenendo tuttavia la commenda6. I testi contenuti nel Vat. lat. 13721 sono di due tipi ben diversi: ci restituiscono gli impegni economici dei monaci nella seconda metà del sec. XVI e l’ordinamento dell’archivio del 1727 con il ricordo di un dipinto di Raffaello che i monaci avevano dato in custodia «a Roma», dunque prima del 1727, e che successivamente verrà venduto nel 1734. Il nuovo ordina451-453; per tutta la questione: V. CATTANA, Il declino della Congregazione di Monte Oliveto tra la Restaurazione e la metà del secolo XIX, in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870). Atti del II Convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Abbazia di Rodengo (Brescia), 6-9 settembre 1989, a cura di F. G. B. TROLESE, Cesena 1992 (Italia benedettina, 11), pp. 347-391; ora anche in: V. CATTANA, Momenti di storia e spiritualità olivetana (sec. XIV-XX), a cura di M. TAGLIABUE, Cesena 2007 (Italia benedettina, 17), pp. 339385 (le citazioni qui sono da Italia benedettina, 11). 4 RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., p. 206. 5 Barbo, Marco (1420-1491): voce curata da G. GUALDO, Barbo, Marco, in Dizionario biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI), 6, Roma 1964, pp. 249-252. Il primo abate commendatario dell’abbazia era stato dal 1467 al 1476 il cardinale Filippo Calandrino: P. LUGANO, Le Chiese dipendenti dall’abbazia di Sassovivo presso Foligno ed un elenco compilato per ordine del Card. Commendatario Gerolamo Rusticucci (1586), in Rivista Storica Benedettina 7 (1912), pp. 68-69 (il contributo è stato interamente ripubblicato in: Abbazia di S. Croce di Sassovivo: il chiostro, le chiese dipendenti, gli abati, a cura di M. SENSI, Foligno 2001, pp. 69-117). 6 S. LANCELLOTTI, Historiae Olivetanae libri duo, [Venetiis], ex Typographia Gueriliana, 1623, pp. 259-265; L. IACOBILLI, Cronica della chiesa, e monastero di Santa Croce di Sassouiuo nel Territorio di Foligno, In Foligno, appresso Agostino Alterij, 1653, pp. 185-192, che sembra conoscere documenti oggi non più presenti nell’archivio, come, ad esempio, un Liber collationum relativo agli anni 1505, 1506, 1507, 1508, 1509 (p. 197); M. ARMELLINI, Appendix de quibusdam aliis per Italiam Ordinis S. Benedicti congregationum scriptoribus, episcopis, virisque sanctitate illustribus, Fulginei 1736, pp. 29-32; LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., pp. 47-94, in particolare sul passaggio agli olivetani: pp. 69-72; SCARPINI, I monaci cit., pp. 108-109; S. LANCELLOTTI, Istoria Olivetana, I, a cura di G. F. FIORI, Badia di Rodengo 1989, p. 106. Sul permanere della commenda e sulla consuetudine della doppia mensa nei monasteri olivetani, quella abbaziale per il commendatario e quella conventuale per i monaci: M. TAGLIABUE, La Congregazione olivetana nel Cinquecento: dati statistici e ordinamento interno, in Cinquecento monastico italiano. Atti del IX Convegno di studi storici sull’Italia benedettina, San Benedetto Po (Mantova), 18-21 settembre 2008, a cura di G. SPINELLI, Cesena 2013 (Italia benedettina, 36), pp. 252-253.

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SOTTRAZIONI, CONFUSIONI E DISORDINI DI LIBRI

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mento del 1727 è singolare, se pensiamo che nel monastero erano presenti 5 monaci nel 1705, 8 monaci nel 1735 e solo 3 monaci nel 17707. È però quanto sopravvive del glorioso e ricchissimo archivio dell’abbazia radunato oggi a Spoleto a darcene una spiegazione. Si conserva infatti una lettera dell’abate commendatario dal 1690 al 1741, il cardinale Lorenzo Altieri. È questa lettera, proprio del 1727, con relativo duplicato8, a parlarci del nuovo inventario resosi necessario a seguito delle disposizioni del cosiddetto Concilio Romano del 17259: Illustrissimo Signore, In risposta della sua delli 22 devo significare a V. S.10, che non ho difficoltà, anzi approvo, si faccia l’inventario de’ beni della badia et anche delle scritture, in adempimento del noto Decreto del Concilio Romano e11 ritenersi essi inventarii nell’Archivio abbaziale, e non già esibirsi in quello episcopale, siccome Ella mi hà dato avviso d’essersi12 preteso, ma con poco fondamento; onde alli monsignori della curia episcopale farà riconoscere l’insussistenza ben chiara 7

V. CATTANA, Monasteri e monaci olivetani durante il secolo XVIII, in Settecento monastico italiano. Atti del Convegno di studi storici sull’Italia Benedettina, Cesena 9-12 settembre 1989, a cura di G. FARNEDI – G. SPINELLI, Cesena 1990 (Italia benedettina, 9), p. 436; ora anche in: CATTANA, Momenti di storia e spiritualità cit., p. 334. 8 Pure il duplicato è privo di segnatura, come tutte le lettere che l’abate commendatario, cardinale Lorenzo Altieri invia all’amministratore del monastero, Gregorio Giacci. Queste recano nel margine inferiore del recto: Ill. Vicario Abbaziale di Foligno. Il duplicato del «6 Decembre 1727» si scosta pochissimo dal testo principale per mere correzioni formali. Nel margine superiore del recto: Dup. Le due lettere sono conservate in una cartella così segnata: Num. 1826. Diverse lettere de’ SS. Abbati Commendatarii pro tempore dell’Abbadia di Sassovivo. Lette. 7581. Le singole lettere sono prive di una specifica segnatura, salvo quella generale precedentemente indicata. Nella trascrizione si è scelto di seguire i moderni criteri nell’uso della punteggiatura, nell’uso di u/v, in quello i/j, e nell’utilizzo delle maiuscole e delle minuscole. Sul cardinale Lorenzo Altieri: M. G. PAVIOLO, I testamenti dei Cardinali: Lorenzo Altieri (1671-1741), s. l., 2017. Nel volume manca il riferimento alla commenda dell’abbazia di Sassovivo. La notizia, oltre che dalle lettere citate, si riscontra in: Relazione del solenne ottavario celebrato nella città di Foligno per la coronazione della miracolosa immagine della Madonna del pianto, Foligno 1713, p. 6; LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 72. 9 L. FIORANI, Il Concilio Romano del 1725, Roma 1978 (Biblioteca di storia sociale, 7), in particolare per gli inventari dei beni: pp. 265-272; per le «scritture che devonsi conservare negli Archivi delle Curie vescovili»: pp. 273-274 (forse per questo la lettera di chiarimento del cardinale Altieri specifica che tuttavia questo Inventario non va conservato presso l’archivio episcopale, ma presso l’archivio abbaziale); segnalo inoltre che dagli atti risulta che Lorenzo Altieri è fra i presenti al Concilio Romano: p. 255 e p. 260. È evidente che l’ordinamento previsto dal Vat. lat. 13721 tiene conto delle indicazioni date, che erano state confermate dalla costituzione apostolica Maxima vigilantia, promulgata il 14 giugno 1727, da Benedetto XIII. La prescrizione, senza un riferimento specifico, è ricordata anche da: SCARPINI, I monaci cit., p. 328. 10 In risposta della sua delli 22 devo significare a V. S./ Duplicato: Confermo a V. S. i miei sentimenti espressi con l’altra de’ 20. 11 Duplicato: e per. 12 Duplicato: essersi.

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DANIELA MAZZUCONI

della loro pretensione et anche, se occorre13, a mons. vescovo14, che per essere persona sì ben capace, e discreta, mi persuado, se ne renderà di ciò facilmente persuasa con sua15 lode e mio particolar gradimento. Et il fare, come sopra, li detti inventarii, mi dò a credere, sarà ben facile, già che vi saranno quelli fattisi in passato, et a quali aggiungendosi, o dichiarandosi tutto ciò spetta al tempo e circostanze presenti, verrà a seguire l’opportuno adempimento di tutto, per il quale V.S. — e non meno perché restino ben eseguiti i suddetti miei sentimenti e buon servigio — vi usi la maggior premura, e destrezza. E siccome pure dovrà pratticarsi dal monastero seco intendendosela, et a chi perciò Ella16 ne significhi la mia precisa intenzione e l’informi con ogni diligenza di tutto17, e dell’oprato così esattamente, e con qual effetto non ritardi18 a rendermene19 ben informato, mentre mi dico d. V. S. affezionatissimo per servirla Lorenzo Altieri20. Roma, 29 Novembre 172721.

Se questo manoscritto sia stato prelevato dai camaldolesi, quando Gregorio XVI soppresse l’ordine olivetano, unendolo a quello camaldolese, e così sia finito nel gruppo dei Vaticani latini di provenienza camaldolese o vi sia finito casualmente a causa del disordine avvenuto durante le soppressioni non si può stabilire in via definitiva. Perché i camaldolesi avrebbero trattenuto proprio questo manoscritto non è per altro facilmente comprensibile, se non ricorrendo a motivazioni più plausibili rispetto a quella della confusione, pur registrabile in altri casi. Nessuno dei restanti codici del fondo vaticano latino di origine camaldolese conserva particolari elementi per attribuirlo agli olivetani, salvo appunto il Vat. lat. 1372122. Certo l’unione degli olivetani ai camaldolesi, pure preceduta da lunghi studi anche da parte 13

Aggiunto nell’interlinea: se occore. Probabilmente si tratta di Pietro Carlo Benedetti, vescovo della diocesi di Spoleto – Norcia dal 1726 al 1739. 15 Duplicato: di lui. 16 Duplicato: V. S. 17 Duplicato segue: se non l’ha adempito sin’ora. 18 Duplicato: si compiaccia non ritardar. 19 Duplicato: rendermi. 20 Solo la firma è autografa, anche nel duplicato. 21 Duplicato: 6 Decembre 1727. 22 A titolo ricognitivo segnalo che il manoscritto B 24, conservato presso l’Archivio dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore (d’ora in poi AMOM), dal titolo: Instrumenta Recognitionis et Translationis, et Collocationis Corporis, seu Ossium Ven. Mauri Puccioli Perusini Abbatis Olivetani MDCCLXI, reca all’interno del primo piatto di copertina la nota: «9 luglio 1911. Il P. d. Giuseppe de Angelis, Camaldolese, parroco di S. Severo di Perugia, donò questo ms. al P. D. Placido Lugano, per l’archivio generalizio dell’Ordine di Montoliveto». Pur mancando segni esterni che ne consentano un’attribuzione certa, B 24 con molta probabilità proviene dal monastero di Monte Morcino di Perugia. 14

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SOTTRAZIONI, CONFUSIONI E DISORDINI DI LIBRI

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olivetana23, dovette sollevare più di qualche perplessità se persino un autore come Giuseppe Gioacchino Belli vi dedicò, il 15 maggio 1834, uno dei suoi sferzanti sonetti non certo lusinghiero nei confronti del papa, L’Olivetani24. Come dunque il volume sia finito tra i codici camaldolesi acquistati nel 1931 dalla Biblioteca Vaticana è difficile a dirsi con precisione, anche se possiamo cercare di delinearne in modo ragionevole il percorso: è abbastanza semplice ipotizzare che il manoscritto sia passato ai camaldolesi a seguito della prescrizione del cardinale Placido Zurla, camaldolese e visitatore dell’ordine olivetano, che disponeva la chiusura dell’abbazia di Sassovivo, riservando per sé l’amministrazione dei beni (1 ottobre 1830)25, di cui il Vat. lat. 13721 presentava il dettaglio. Il passaggio potrebbe anche essersi verificato quando i camaldolesi radunarono le loro biblioteche ai Ss. Andrea e Gregorio al Celio26, per un giro più “regolare”: prima Monte Morcino27, poi tra i libri di Monte Morcino finiti a S. Pietro di Gubbio, come ci racconta l’erudito locale Serafino Siepi28, monastero che passò dagli olivetani ai camaldolesi nel 1832 e fu soppresso nel 1860 dallo Stato italiano29. Resta sullo sfondo la residua, anche se ritengo remota, possibilità che, dopo la requisizione in S. Maria Nova/S. Francesca Romana30, dove erano finiti, come si vedrà, anche volumi provenienti da Monte Morcino, sia stato erroneamente restituito ai camaldolesi del monastero dei Ss. An23 CATTANA, Il declino della Congregazione di Monte Oliveto cit., pp. 348-353. Nel 1637 c’era stata addirittura una richiesta dei camaldolesi di unirsi agli olivetani: SCARPINI, I monaci cit., p. 243; sul perdurare della contesa anche nella seconda metà dell’Ottocento: MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., p. 278. 24 G. G. BELLI, I sonetti romaneschi, III, Città di Castello 1886, p. 342: «Io, er mi’ fìjjo granne e mmi’ fratello/Èrimo tutt’e ttre ccapi-ortolani/Dell’orto de li Padri Olivetani,/Che nnun c’è ar monno un orto accusì bbello./Ma vvenuto a rreggnà sto gran cervello/De don Mauro, noi poveri cristiani/Sémo stati cacciati com’e ccani,/Propio come caggnacci de mascelle./E pperché? pperché er Papa ha avuto vojja/De sopprime sti monichi, e mmò adesso/Fa l’inventario, e, bbontà ssua, li spojja./E pperché ll’ha ssoppressi e ll’ha spojjati?/Pe’ ffà a spese dell’Ordine soppresso/Più rricchi li su’ antichi cammerati» (15 maggio 1834). 25 SCARPINI, I monaci cit., p. 452; sull’operato del cardinale Placido Zurla: CATTANA, Il declino della Congregazione di Monte Oliveto cit., pp. 353-357. La commenda permane fino all’inizio del Novecento, dal 21 maggio 1827 al 17 dicembre 1832 il commendatario è l’allora mons. Giovanni Mastai Ferretti: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 72. 26 RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 200-206. 27 Per una rapida ricognizione sull’abbazia di Monte Morcino (Monte Morcino vecchio e Monte Morcino nuovo): MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., pp. 269-280. 28 S. SIEPI, Descrizione topologico-istorica della città di Perugia, I, Perugia 1822, p. 247; sui beni di S. Pietro di Gubbio: MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., pp. 263-269. 29 Monasteri Benedettini in Umbria cit., p. 101; scheda completa su S. Pietro di Gubbio, pp. 101-105. 30 D’ora in poi: S. Maria Nova; S. Francesca Romana solo quando ricorre nell’indicazione della segnatura dei manoscritti. Per S. Maria Nova cfr. scheda Roma 127 di V. CATTANA in Monasticon Italiae, I: Roma e Lazio, a cura di F. CARAFFA, Cesena 1981, p. 68.

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drea e Gregorio al Celio per le confusioni avvenute nel secolo XIX conseguenti alle soppressioni31. Il cardinale Zurla cercherà nel 1830 (1 ottobre) di raccogliere a S. Pietro di Gubbio i pochi monaci olivetani ancora presenti nello stato pontificio e si riserverà, come si è visto, l’amministrazione del monastero di Sassovivo32: 1. In monasterium Eugubii Divo Petro Apostolo dicatum, omnes tum Professos Iuvenes esse deducendos, tum Novitios, qui cum regularis Disciplinè observantiè denuo laudabile specimen exhibuerint, congruo elapso tempore, ad solemnem Professionem, servatis de more, et jure servandis admittantur, ibique Tyrocinium, convictoribus tamen dimissis, Postulantibus pateat. 2. Alterum ad Fulginium Saxi-vivi nuncupatum Monasterium mox clausum provisorie remaneat, et ex hoc sub Administratore Bonorum Montis Morcini tantum ponimus, disjuncta tamen administratione, et sub immediata directione nostra. Mandamus propterea, quod tam Mobilium, quam Stabilium Bonorum ad ipsum spectantium Inventarium exacte ac fideliter conficiatur eiusque autenticum exemplar ad Nos transmittatur33.

Forse era inutile compilare un nuovo stabilium bonorum ad ipsum spectantium Inventarium, perché nell’inventario settecentesco si trovano tutte le informazioni relative ai beni dell’abbazia di Santa Croce, informazioni che potevano essere utili allo Zurla, nella sua veste di visitatore, per una loro veloce ricognizione. Questo giustificherebbe agevolmente il passaggio di proprietà del manoscritto. Lo stesso Zurla si occupa con il confratello Mauro Cappellari, poi papa Gregorio XVI (1831-1846), di recuperare e trasferire i libri di S. Michele di Murano al monastero dei Ss. Andrea e Gregorio al Celio, e in generale il Cappellari si preoccupò di reintegrare la biblioteca del monastero celimontano dopo le soppressioni napoleoniche34. Si spiega così il percorso finale del Vat. lat. 13721 dal monastero dei Ss. Andrea e Gregorio al Celio fino alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Passiamo ad esaminare l’aspetto esterno del manoscritto prima di addentrarci nelle interessanti informazioni che esso ci fornisce. Il Vat. lat. 13721 è un manoscritto cartaceo dei secoli XVI e XVIII; ha una legatura settecentesca in cartone rivestito di pergamena al naturale, con una linguetta da dietro in avanti e legacci in cotone, che in origine doveva essere una cartella d’archivio; misura mm 340  230, numerato per fogli meccanicamente; ff. I + 70 + I (le guardie in origine probabilmente 31

RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 200-206. CATTANA, Il declino della Congregazione di Monte Oliveto cit., p. 354. 33 AMOM, Cancelleria VI. 2, Spedizioni II, pp. 399-400. 34 RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 204-205. 32

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incollate alla copertina). All’interno del f. di guardia anteriore una segnatura in inchiostro forse settecentesca: Ms. 52; un’indicazione recente a lapis 13721; cartiglio azzurro con l’indicazione Vat. lat. 13721. All’interno del registro settecentesco, formato da tre fascicoli (il I e il II: 6 + 6; il III 4 + 3), sono stati aggiunti i fascicoli delle spese cinquecentesche (ff. 31-66: il I 8 + 8, con all’interno un 2 + 2 e un 1 + 1, di misura più piccola, ma inseriti nella numerazione moderna fino a f. 52); il II 1 + 1; il III 7 + 7; in fondo sono stati aggiunti, numerati a mano, i ff. 67-70, in origine volanti35; vistose macchie di umidità, la carta si sfalda ai margini; i fascicoli cinquecenteschi sono legati sulla costa da lacci di pelle; il manoscritto è stato restaurato nell’estate del 2018. All’esterno del piatto anteriore della legatura si legge: Catalogo de libri e scritture, che si ritrovano nell’Archivio di Sassovivo 1727; f. 1r: Indice di tutti i Libri, et Scritture, che si conservano nell’Archivio del venerabile Monastero di S. Croce di Sassovivo. Fatto da me D. Idelfonso Braccini36 celle35 Fino al 2018 erano inseriti dopo il f. 33 (33 bis, 33 ter, 33 quater e 33 quinquies non numerati); dopo il restauro del 2018 sono stati inseriti in fondo al manoscritto e numerati a lapis: 67, 68, 69, 70. 36 Ildefonso Braccini da Fabriano (passato poi alla Natio Fulginensis), AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 76r: (Nativitas) 3 Septembris 1694, (Ingressus) 31 Maii 1711, (Professio) 2 Iulii 1712; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 1337-1945, p. 488: obiit 1773, abate titolare di Foligno; fu anche abate di Sassovivo dal 1771 al 1774: P. LUGANO, Gli abati di Sassovivo e di S. Ma. in Campis. Continuazione alle Croniche di Ludovico Iacobilli, Foligno 1903, p. 7 (estratto dalla Gazzetta di Foligno, nrr. 20, 21, 22, anno XIX). Segnalo che nelle note vengono date le indicazioni fondamentali relative alla vita monastica dei monaci citati, desunte dai documenti d’archivio, solo quando non siano disponibili notizie nella bibliografia a stampa. Nel 1727 erano monaci presso l’abbazia di Santa Croce di Sassovivo: Dominicus de Fulgineo (Abbas), Ildephonsus de Fabriano (Cellerarius), che erano le due autorità, il conventus era invece composto da: Cosmus de Florentia supranumerarius sue nationis, Vincentius de Placentia, Deodatus de Fulgineo in clausura: AMOM, Cancelleria X. 8, Familiarum Tabulae, f. 287r. In generale il monastero nel sec. XVIII non ebbe mai più di 4 o 5 monaci. La data di morte citata per ciascun monaco è contenuta in uno dei Necrologi conservati presso AMOM: sei in tutto. Si tratta sostanzialmente di copie abbastanza simili per il contenuto, seppur non sempre coincidenti, appartenenti ad epoche diverse. Il cosiddetto Necrologium parvum (AMOM, Cancelleria XII. 2) è quello che è stato iniziato per primo. Fino al secolo XIX le date di morte sono indicate a posteriori in occasione del capitolo che si teneva ogni anno. Ad esempio, alla riunione capitolare del 1659 venivano comunicati i morti dell’anno precedente, cioè quelli morti dopo il capitolo del 1658. Poiché i capitoli (generali e annuali) si tenevano di solito dopo Pasqua, quindi tra aprile e maggio, l’anno da considerare, ad esempio, se il capitolo si fosse tenuto a calendimaggio, sarebbe quello intercorrente tra la primavera del 1658 e il primo maggio del 1659. È possibile perciò che alcuni monaci, di cui per tradizione si dice che siano morti nel 1658, in realtà siano deceduti nei primi mesi del 1659; ovviamente siamo di fronte ad un anno mobile. Per alcuni di essi, invece, per quanto non molti, se la data è desunta da altre fonti, esterne alla congregazione o interne, come può essere un’annotazione marginale del Liber professorum, che di norma non riporta le date di morte, essa risulta precisa, perché inserita appositamente per ricordare l’evento. In questo caso nelle note si avrà la diversa e specifica indicazione. Sui Necrologi: G. PICASSO, Aspetti e problemi della storia

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lario del prefato Monastero, l’Anno del Signore 1727. Seguono degli ornati, poi: Nel fine di questo vi è un Indice delle Cose notabili, che si ritrovano nel Prefato Archivio; f. 1v bianco; ff. 2r-11v: indice per collocazione con riferimento a 4 plutei, sottoscritto (f. 11r) da: Domenico da Foligno, abate del monastero37, Idelfonso Braccini, vicario e cellerario, Cosimo de Angelis38, archivista (ma la parola si legge male); ff. 12r-30r: indice dettagliato in ordine alfabetico (tagli sulle pagine per evidenziare la lettera di riferimento dell’alfabeto) di tutte le cose notevoli con l’indicazione precisa del pluteo in cui si trovano; f. 30v bianco; ff. 31r-57v: documentazione varia o copiata o in originale; ff. 57v-66v: bianchi. I ff. 31-66, di mano cinquecentesca, costituiscono due fascicoli a sé stanti rispetto ai 3 precedenti e sono legati sul dorso con lacci di pelle; f. 67r: saldo dell’abate Giovanni Francesco da Perugia al muratore Ceccho da Como, in data 19 aprile 1572; f. 67v bianco; ff. 68r-69v: ricevuta del 3 gennaio 1574 di altro conto, eseguito da Tomasso Corradino da Foligno in nome di maestro Francesco de maestro Anbrosiis da Morbio, che si dichiara soddisfatto (a f. 69v: Saldo fatto con maestro Cecho muratore per tutto di 3 genaro 1574); f. 70r: nota di pagamento Adi 8 de magio 1576 a Piattarella da Santo Rachio39 di una fornitura di mattoni e altro; f. 70v vuoto, macchiato dall’inchiostro della scrittura di f. 70r. 2. L’Archivio dell’abbazia di Santa Croce di Sassovivo nel Vat. lat. 13721 2.1. Stato attuale dell’Archivio di Santa Croce di Sassovivo e introduzione all’ordinamento settecentesco Sull’Archivio dell’abbazia di Santa Croce di Sassovivo resta la monudella Congregazione Benedettina di Monte Oliveto, in Studia Monastica 3 (1961), pp. 385-386. Sull’annualità del capitolo che si svolgeva in aprile o maggio: M. MAZZUCOTELLI, Un inedito tentativo di unione del monastero di Astino alla congregazione Olivetana, in Benedictina 33 (1986), p. 481. 37 Domenico da Foligno, AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 70r: D. Dominicus Tatis, Abbas postea episcopus Bruniatensis (diocesi di Brugnato, oggi La Spezia-SarzanaBrugnato, Domenico Tatis vescovo dal 22 luglio 1754 al 29 ottobre 1765, anno della morte), (Nativitas) 23 Ianuarii 1692, (Ingressus) 23 Novembris 1708, (Professio) 15 Decembris 1709, (studiorum cursus) Philosophiam Mediolani cum plausu sustinuit atque theologiam ibidem postea in monasterio S. Michaelis in Busco philosophiae lector effactus; LUGANO, Gli abati di Sassovivo cit., p. 5. 38 Cosimo De Angelis da Firenze, AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 97r: (Nativitas) 8 Februarii 1700, (Ingressus) 2 Iulii 1716, (Professio) 11 Iulii 1717; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 1337-1945, p. 455: obiit Pisis 1739. 39 Sant’Eraclio frazione di Foligno. In passato San Rachio o anche Santo Rachio, come ricorda un’iscrizione di dedica di un affresco del 1507 in una cappella della navata sinistra di S. Maria in Campis di Foligno, monastero olivetano. La chiesa di S. Eraclio era fra le dipendenze di S. Maria in Campis di Foligno: P. LUGANO, L’Abazia Parrocchiale di Santa Maria in Campis a Foligno, Foligno 1904 (Spigolature di storia benedettina, 3), pp. 87-98.

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mentale opera avviata da Giorgio Cencetti e continuata, sotto la guida di Alessandro Pratesi, dalla scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’università di Roma40, che comprende le carte dal 1023 al 1231, cioè quelle appartenenti ai primi secoli della storia dell’abbazia rimasta benedettina fino al 1486, anno in cui verrà conferita agli olivetani. Tutta la documentazione archivistica sopravvissuta è oggi conservata a Spoleto presso l’Archivio Storico Diocesano ed è parzialmente consultabile solo attraverso un copioso inventario secentesco, compilato da Pier Simone Marinucci (o Marinuzzi), canonico di S. Maria Maggiore di Roma per disposizione del cardinale Antonio Barberini, abate commendatario dal 1633 al 166841, inventario che classificava 1810 documenti42, a cui sono stati aggiunti, all’inizio del secolo scorso, da Leone Allodi43 alcuni fogli con la numerazione per cartelle e il riscontro dei documenti ancora contenuti e quelli mancanti; oppure la consultazione può avvenire per esame diretto del materiale non ordinato e, spesso, non segnato44. Allodi si limita a indicare il numero delle cartelle senza mutare le segnature secentesche dei documenti. Negli anni quaranta del secolo scorso probabilmente Franco Bartoloni ha numerato in successione tutti i documenti anche quelli successivi all’inventario del Seicento ed ha inserito i documenti nelle cartelle precedenti. Il risultato è che ovviamente rispetto alle concordanze dell’Allodi relative all’antico catalogo sono stati inseriti non pochi documenti con segnatura progressiva, ma non inventariati perché successivi alla stesura dell’indice del Seicento. L’indice del Seicento coincide perfettamente con la documentazione più antica, anche se ho rilevato spostamenti di documenti in altra sede e alcune perdite. Questo non sempre rende agevole ed immediata la consultazione45. La sensazione 40

Le carte dell’abbazia di S. Croce di Sassovivo, I-VII, Firenze 1973-1983. Sulla storia dell’archivio, in particolare, la prefazione di A. PRATESI al primo volume, pp. v-xxii. 41 Ibid., p. xiv. Per le date della commenda: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 72. Sul Marinucci: Canonici della Basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore 1600-1800, a cura di M. JAGOSZ, Roma 2014 (Studia liberiana 9), p. 105. Marinucci ebbe l’ufficio capitolare di archivista di S. Maria Maggiore dal 1651 al 1652 (ibid., p. 185). 42 A questo inventario sono state aggiunte da altri sei pagine, compilate successivamente con l’aggiunta di documenti del sec. XVII fino al n° 1833. 43 Leone Allodi (1841-1914), monaco benedettino, sovrintendente della biblioteca del monastero di Subiaco. 44 L’Inventario S (Spoleto, Archivio Storico Diocesano, Abbazia di Sassovivo, fasc. 108, doc. 1412), risalente al primo trentennio del Seicento, descritto da Alessandro Pratesi (Le carte cit., pp. xiii-xiv) presenta una distribuzione per materie e, all’interno di esse, per località, con una propria numerazione dei documenti, che riguardano prevalentemente i diritti, le esenzioni, le locazioni, le acquisizioni e le concessioni. Esso è meno utilizzabile di quello del Marinucci per rintracciare le carte nell’attuale ordinamento, pur restando una delle testimonianze dei vari riordini dell’archivio dell’abbazia di Sassovivo. 45 Dopo Leone Allodi posero mano al riordino dell’Archivio mons. Luigi Fausti e succes-

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è che già nel Seicento, all’epoca della compilazione dell’inventario del Marinucci, pur essendo presenti numerosi atti del periodo olivetano, dovesse esistere in parallelo un archivio dell’abate con i documenti più importanti per i monaci del tempo. Il Vat. lat. 13721 ci restituisce un ordinamento più snello di quello secentesco, anche se la disposizione delle carte per plutei compare qui per la prima volta e non è riscontrabile nelle segnature spoletine, sebbene alcuni documenti citati nel volume in esame siano presenti anche negli altri Inventari. La sensazione è che l’ordinamento settecentesco risponda all’idea di una sorta di archivio corrente, che tiene conto delle nuove norme del Concilio Romano del 1725, e comunque si occupa dell’amministrazione olivetana; i documenti presi in esame quindi sono quasi tutti successivi al 1486, salvo quelli che, pur essendo più antichi, in qualche modo conservavano valore anche per la Congregazione succeduta ai benedettini. Segnalo, per altro, che alcuni libri contabili e inventari non sono oggi presenti presso l’Archivio Storico Diocesano di Spoleto, che di converso possiede diverse migliaia di documenti. Ovviamente si tratta di libri interessanti per gli agenti delle soppressioni, perché contenevano il dettaglio dei beni e forse per questo asportati. L’attuale consistenza del patrimonio archivistico conservato a Spoleto sarebbe di circa 800046 documenti, che occupano quattro palchetti; un buon numero di pergamene, estratte in parte da quello che era l’ordinamento secentesco, è conservato in grandi cassettiere. Mancano tuttavia numerosi fascicoli rispetto al riscontro fatto da Leone Allodi. Alcuni di questi furono forse svuotati per estrarvi le pergamene, ma oggettivamente manca all’appello oltre la metà dei fascicoli riscontrati nel 190247, cioè circa un centinaio. Allodi è preciso nel suo riscontro e segnala i documenti mancanti nei fascicoli, ma dà come presenti i fascicoli da 1 a 98 e i fascicoli da 140 a 143, di cui non si riscontra traccia oggi a Spoleto. Alcune pergamene saranno state spostate nei cassetti, nei cassetti tuttavia sono anche presenti pergamene senza l’antica segnatura, cioè non contenute nei fascicoli, ma più probabilmente provenienti dai pacchi pure segnalati dall’Allodi: «Vi sono inoltre cinque grossi pacchi di pergamene disordinate e confuse, che aspettano un paziente ordinatore per ordinarle classificarle, e munirle dei segni e distintivi d’Archivio. Trovansi eziandio molti fascicoli di documenti sivamente Franco Bartoloni, ma il riordino definitivo non è mai avvenuto, stante l’abbondantissimo materiale sopravvissuto ed il sostanziale permanente disordine: Le carte cit., pp. xvi-xvii. 46 La consistenza per via approssimativa mi è stata fornita dall’archivista attuale, Adalgiso Liberati, che ringrazio per la disponibilità dimostrata nelle mie ricerche spoletine. 47 La relazione di Leone Allodi reca la data: Spoleto, 15 Agosto 1902.

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cartacei, i quali sarebbero pure da ordinarsi […]». A parte, poi, sono conservati senza segnatura i conteggi delle fascine a partire dal Quattrocento e numerosissimi documenti settecenteschi, tra cui molte lettere, oltre alle ricevute contabili, e alcuni atti ottocenteschi48. L’inventario settecentesco ci presenta invece i documenti collocati in quattro plutei; per ogni pluteo i rispettivi documenti sono segnati, salvo i registri e i libri contabili, con una numerazione progressiva. Segue un indice molto dettagliato in ordine alfabetico e l’indicazione della collocazione, in modo da poter ritrovare facilmente il documento. L’ordine dell’inventario secentesco risulta diverso: i documenti sono elencati con un numero progressivo, ma per individuare gli atti è necessario scorrere tutto l’inventario oppure consultare la Rubricella iniziale in ordine alfabetico, che è però redatta secondo i criteri del tempo. Non sappiamo come nel Seicento fosse sistemato l’archivio, se cioè in plutei, casse, armadi, sacchi o scaffali. Si può supporre che i documenti fossero sistemati probabilmente secondo l’ordine topografico dell’inventario, quindi collocati in supporti rigidi, così da consentire all’archivista, una volta identificato il numero del documento necessario, di trovarlo a colpo sicuro e di non provocare alterazioni nell’ordine. Nell’ordinamento settecentesco sono da segnalare: nel pluteo secondo, Involto di varie scritture in pergamena del seguente tenore: e primieramente copia de Previlegii concessi alli monici benedittini e olivetani, in foglio grande di carta pecora, et autenticata n° 1 (f. 4v); Involto di lettere della Procuratoria generale, che contengono varie materie, con la Bolla della beatificazione del B. Bernardo, con suo processo, et la canonizazione di S. Francesca Romana segn° n° 21 (f. 6v); nel pluteo terzo, Una fede di censo compro[vante] riceuta del quadro di Rafaello di Urbino di questo monastero in Roma. Modo di fare le patenti per trasportare grano et altro segn° n° 27 (f. 7v); nel pluteo quarto, Varie lettere del padre generale; riceute del padre procuratore generale; diverse lettere del padre abate Tolomei, ed un ordine contra ambientii segn° n° 41 (f. 10r); l’indicazione a f. 21r: Lettere della vendita del quadro di Raffaello di Urbino Plu° 3 n° 27; la nota a f. 26r: Quadro di Raffaello di Urbino che stà in Roma et è di questo Monastero riceuta del medemo Plut° 3 n° 27; di seguito un’altra mano ha aggiunto: Quadro sudetto venduto l’anno 1734 al signore cardinale Olivieri per scudi cento e due pianete, una di damasco bianco con sua trina e l’altra de stoffa morella parimenti con sua trina come il tutto vedesi dalle lettere Plut°. 3 n° 27.

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Guida degli Archivi diocesani d’Italia, I, a cura di V. MONACHINO et alii, in Archiva ecclesiae 32-33 (1989-1990), p. 282: alla voce Sassovivo sono indicate solo 50 unità complessive.

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2.2. Privilegia e Liber privilegiorum La copia dei privilegi concessi agli olivetani in foglio grande in carta pecora è evidentemente diversa da Esenzioni e previlegii de sommi pontefici à favore del Monastero n° 16 (f. 5v), citati poco dopo, sempre nel pluteo secondo. Segnalo in merito che, a decorrere dal secolo XVI, probabilmente dopo il 150549, circolavano dei veri e propri volumetti di piccolo formato, contenenti in particolare il privilegio di Giulio II, mentre qui abbiamo, almeno nel primo caso, ancora dei documenti sfusi e di grande formato. Si trattava per evidenti ragioni di testi considerati molto importanti dai monaci che li possedevano e li conservavano in biblioteca o in archivio, come dimostra la presenza delle due edizioni a stampa: basta scorrere le liste del Vat. lat. 11274, che reca gli inventari della maggior parte delle biblioteche olivetane, per rendersene conto50. Ricordo i codici dell’Archivio dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore A 41, A 42, A 4351, copie eleganti tratte forse dal Liber privilegiorum, che era stato compilato in forma ufficiale per volere dell’abate generale Domenico Airoldi di Lecco nel 148552 e poi mantenuto aggiornato nel tempo, o forse 49 Per il privilegio di Giulio II concesso all’abate Airoldi dopo la sua terza elezione, avvenuta il 13 aprile 1505: SCARPINI, I monaci cit., pp. 128-129. 50 Le edizioni più antiche sono: Multa ac diversa privilegia Congregationi Montis Oliueti, à diuersis Pontificibus concessa atque confirmata, Impressum Fulginiè per Augustinum Colaldi, Apud Vincentium Cantagallum, Anno Domini 1566; Privilegia Sacrae Congregationis Monachorum Sanctae Mariae Montis Oliveti concessa, Bononiae, Apud Io. Rossium, 1580. Dalle liste del Vat. lat. 11274 l’edizione di Foligno era sicuramente posseduta dai monasteri di S. Sepolcro di Piacenza (f. 51v e f. 479v), S. Bernardo di Arezzo (f. 94v), S. Lorenzo di Cremona (f. 207r e f. 209r); S. Leo di Bitonto (f. 300v), S. Maria di Collebò di Camerino (f. 304v), S. Benedetto di Pistoia (f. 446r), S. Pietro di Bovara di Trevi (f. 471r), S. Maria di Lendinara (f. 521v), quella di Bologna dai monasteri di S. Bartolomeo di Rovigo (f. 63r), S. Erasmo di Castelleone di Formia (f. 79v), S. Guglielmo di Mantova (f. 123r), S. Pietro di Breme (f. 136r), Villanova di Lodi (f. 138r), S. Giacomo di Ghirigliano Veronese (f. 145r), S. Maria di Baura di Ferrara (f. 178v), S. Maria di Lonigo (f. 182r), S. Lorenzo di Cremona (f. 207r), Monte Oliveto Maggiore (f. 292r), S. Leo di Bitonto (f. 298r), S. Maria del Bosco di Contessa Entellina – Calatamauro (f. 318r), S. Maria in Organo di Verona (f. 422r, f. 429r e f. 431r), S. Giovanni Battista del Venda (f. 469v), S. Pietro di Bovara di Trevi (f. 470v e f. 473r), S. Benedetto Novello di Padova (f. 495v e f. 496v), S. Bartolomeo di Rovigo (f. 506r), S. Maria Nova di Roma (f. 536r). Una copia, in cui non si cita né l’edizione né se si tratti di un manoscritto, si trovava a S. Silvestro di Todi (f. 106v). Ovviamente in molti monasteri la copia di una delle due edizioni sarà stata conservata nell’archivio, che nella Congregazione olivetana appare sempre ben distinto dalla biblioteca: questo spiega perché alcuni monasteri olivetani non compaiano nell’elenco precedente. 51 Presso l’Archivio dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore è stata costituita una biblioteca di manoscritti di varia provenienza da monasteri olivetani, da non confondersi con l’antica biblioteca di manoscritti dell’abbazia: D. MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca: i manoscritti conservati presso l’Archivio di Monte Oliveto Maggiore, in corso di pubblicazione. Nell’articolo è contenuta la scheda descrittiva di tutti i manoscritti qui citati. 52 AMOM, Cancelleria I (il riferimento al 1485 a f. 1r); P. LUGANO, Origine e primordi

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trascritte direttamente dall’originale, visto che alcuni esemplari presentano le autentiche notarili. A 41 è stato abbastanza recentemente acquisito per dono (1954), proviene dal mercato antiquario di Amsterdam (1953) e non si sa a quale monastero sia appartenuto, perché non vi è nessuna nota che aiuti. A 42 era del monastero di S. Lorenzo di Cremona. A 43, che presenta anche traccia dei privilegi più antichi rispetto a quelli contenuti in A 41 e A 42, proviene da S. Maria di Scolca di Rimini. Un’altra copia manoscritta del Liber privilegiorum si trovava, alla fine del ’500, presso il monastero di S. Elena di Venezia (Vat. lat. 11274, f. 33v): Aliqua privilegia nostrae Congregationis manuscripta; un’altra copia ancora presso il monastero di S. Giovanni Battista del Venda (Vat. lat. 11274, f. 468v): Privilegi di papa Giulio secondo. Scritti a mano, ma, al momento, non sono ricomparse. Interessante è il piccolo codice in corsiva umanistica conservato a Perugia, Biblioteca Comunale Augusta 1260 (XXII) del fondo Soppresse Corporazioni Religiose53, contenente i privilegi di Giulio II, molto simile per fattura, anche se destinato ad un uso forse più corrente, ai tre conservati a Monte Oliveto Maggiore, da cui si differenzia per l’assenza di miniature e di ornamentazione, pur avendo i titoli rubricati54. Esso proviene sicuramente da un monastero olivetano umbro, non è però censito nel volume manoscritto del Vermiglioli55. Fa parte di un gruppo di manoscritti entrati in biblioteca nell’aprile del 188856. Anche il manoscritto perugino (sec. XVI) ha una legatura in pelle marrone impressa a secco coeva. La copertina è staccata e sono visibili i nervi di supporto. Le guardie sono state strappate e il volume è segnato da muffa e umidità57. A f. 39v compare la nota: Privilegia tantum valent quantum dell’Ordine di Montoliveto (1313-1450), Firenze, Apud editores in Abbatia Septiminianensi, 1903 (Spicilegium Montolivetense, 2), pp. 62-63; SCARPINI, I monaci cit., p. 111; PICASSO, Aspetti e problemi della storia cit., p. 388, lo dice scritto da Antonio da Lecco fino al 1487. 53 Il fondo Soppresse Corporazioni Religiose viene costituito alla Biblioteca Comunale Augusta dopo il 1862: G. CECCHINI, La Biblioteca Augusta del Comune di Perugia, Roma 1978 (Sussidi eruditi, 30), p. 67; M. A. PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia, Sala del Dottorato e altre collezioni speciali, in Annali di storia delle Università italiane 18 (2014), p. 208. 54 Descrizione estremamente sommaria in: G. MAZZATINTI, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, V: Perugia, Biblioteca Comunale, a cura di A. BELLUCCI, Forlì 1895, p. 266. 55 G. B. VERMIGLIOLI, Codici perugini illustrati, manoscritto, Perugia 10 Settembre 1810. Il volume, conservato presso la Biblioteca Comunale Augusta, dà l’indicazione delle provenienze dei manoscritti della Biblioteca Comunale Augusta, divisi per classi: Classe I: Codici Sagri; Classe II: Classici latini et greci tradotti; Classe III: Codici latini varj; Classe IV: Codici greci; Classe V: Codici Italiani. Oggi il catalogo è consultabile fra gli strumenti di sala, la segnatura del manoscritto è: 221 (D. 39). 56 Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 263. 57 Il manoscritto di ff. 40 ha le stesse dimensioni dei tre codici di Monte Oliveto Maggio-

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sonant. Hec copia privilegiorum est fratris Celsi de Corrigio monaci congregationis Montis Oliveti. 1526 p[ropri]a sc[ripsit] m[anu]. Fra’ Celso ha voluto evidentemente copiare la fattura dei tre manoscritti conservati a Monte Oliveto e questo spinge a pensare con convinzione che nella prima metà del Cinquecento si diffuse nell’ordine olivetano una vera e propria edizione dei Privilegia di Giulio II, più maneggevole di quella ufficiale più estesa conservata in un manoscritto cartaceo di grande formato presso la cancelleria dell’ordine (AMOM, Cancelleria I) ed anche di aspetto più elegante e gradevole. Gli olivetani avevano già ottenuto con Pio II i privilegi di cui fruiva la Congregazione di S. Giustina58, ma da Giulio II li ottennero direttamente59: questo spiega la particolare importanza attribuita a questi esemplari che sostanzialmente esibiscono un Liber privilegiorum Iulii II. Se seguiamo il percorso di fra’ Celso († 1550), scopriamo che nel 1526 si trovava nel monastero milanese di San Vittore al Corpo, poi è presente in diversi monasteri dell’ordine, ma, in particolare per il territorio umbro, nel 1538 si trova a S. Pietro di Gubbio, nel 1539 a Monte Morcino e nel 1540 a S. Secondo sull’isola Polvese60. In questi due ultimi monasteri svolge il ruolo di abate61. Vista l’assenza di questo piccolo manoscritto nel catalogo del re: mm 150  105 ; rigatura a piombo; numerazione antica e numerazione recente; fasc. I: 1 + 1; II-V: 4 + 4; VI: 3 + 3; al sesto fascicolo seguiva in origine il primo bifolio, che è stato erroneamente legato all’inizio in epoca posteriore, le rubriche sono molto sbiadite. 58 Presenta la distinzione tra privilegi concessi alla Congregazione olivetana (1344-1491) e privilegi concessi alla Congregazione di S. Giustina di cui godevano gli olivetani (14341447) il registro conservato a Perugia, Archivio di Stato, Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Miscellanea, 41. 59 SCARPINI, I monaci cit., p. 129. 60 S. Secondo all’isola Polvese sul lago Trasimeno (1482-1787), dal 1627 trasferito a S. Antonio di Perugia: TAGLIABUE, La Congregazione olivetana cit., p. 285; MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., pp. 280-283, anche sul successivo passaggio ai camaldolesi. 61 Frater Celsus de Corrigio († 1550), professò prima Augusti 1507 Bononiae (AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber Professorum, f. 19v); da AMOM, Cancelleria X. 2 e Cancelleria X. 3, Familiarum Tabulae, ad annos, risulta quanto segue: 1507: S. Michele in Bosco a Bologna; 1508-1509: S. Benedetto a Pistoia, sacrista; 1510: Monte Oliveto Maggiore; 1511: S. Maria di Barbiano a San Gimignano; 1512-1514: S. Ponziano a Lucca, nel 1515 a S. Ponziano è cellerario; 1516: Santi Niccolò e Cataldo a Lecce, cellerario; 1517: S. Bartolomeo in Strada a Pavia; 1518: Santi Angelo e Niccolò a Villanova di Lodi; 1519-1521: S. Bartolomeo in Strada a Pavia; 1522-1526: S. Vittore al Corpo a Milano; 1527: S. Bartolomeo in Strada a Pavia; 1528: S. Vittore al Corpo a Milano; 1529-1530: S. Bartolomeo in Strada a Pavia, priore; 1531-1532: S. Maria Nova a Roma, priore e procuratore dell’ordine; 1533-1534: S. Bartolomeo in Strada a Pavia, priore; 1535: San Sepolcro a Piacenza, abate; 1536-1537: S. Maria di Castiglione a Parma, priore; 1538: S. Pietro a Gubbio; 1539: S. Maria di Monte Morcino a Perugia, abate; 1540: S. Secondo all’isola Polvese, abate; 1541-1542: S. Michele in Bosco a Bologna; 15431544: Sant’Angelo Magno ad Ascoli Piceno, cellerario; 1545-1550: S. Maria Annunziata di Scolca a Rimini; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 168: obiit 1550 D. Celsus de Corregio, qui fuit Abbas – Arimini; Siena, Archivio di Stato, Conventi 236, f. 28r (29): Celsus de Corrigio fecit professionem in monasterio Sancti Michaelis in Busco de Bononia die pri-

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Vermiglioli, è molto probabile che o sia rimasto a S. Pietro di Gubbio fin dall’inizio, anche se il volumetto non è facilmente rintracciabile nell’inventario della biblioteca e dei beni di S. Pietro di Gubbio, redatto nel 183162, o sia giunto all’Augusta da Monte Morcino, considerando le affermazioni in proposito di Siepi. Il monastero di S. Pietro di Gubbio, per altro, possedeva almeno tre copie manoscritte dei privilegi di Giulio II, seppure di dimensioni più grandi rispetto ai precedenti, ma sostanzialmente di tipologia analoga, tutte del sec. XVI, oggi conservate presso l’Archivio di Stato di Perugia – Sezione di Gubbio, Corporazioni religiose soppresse, San Pietro 491, 492 e 497 (scritto in bella umanistica libraria della seconda metà del sec. XVI, con il titolo: Privilegia procurarie Montis Oliveti). Tutte queste copie, alcune provviste di sottoscrizioni notarili (come, ad esempio, 492 e 497) stanno ad indicare che, trattandosi di testi importanti per gli olivetani, ne fu fatta una sorta di edizione per ciascun monastero della congregazione, che ne conservava almeno un esemplare. 2.3. Gli atti del processo di beatificazione e le lettere di Bernardo Tolomei La bolla di beatificazione (1644) di Bernardo Tolomei63 con il suo processo (f. 6v) e quella di canonizzazione (1608) di S. Francesca Romana64 non potevano mancare in un monastero olivetano, ma ciò che risulta più interessante è quel “suo processo”: gli atti manoscritti del processo di beatificazione di Bernardo Tolomei sono conservati oggi in parte a S. Maria Nova a Roma, in parte a Monte Oliveto Maggiore, e non se ne conoscono altri esemplari. Acclusa a uno dei volumi di S. Maria Nova (tomo 15) è una delle due copie note delle lettere del Tolomei, l’altra è il manoscritto AMOM A 2, autografo di Secondo Lancellotti65. ma Augustj 1507. Una notizia, non riscontrabile in AMOM, lo segnala presente in qualità di procuratore, il 20 gennaio 1520, ad un atto, riguardante il monastero di S. Alberto di Butrio (diocesi di Tortona) allora dipendente da S. Bartolomeo di Pavia: A. CAVAGNA SANGIULIANI, Dell’abazia di S. Alberto di Butrio e del monastero di S. Maria della Pietà detto il Rosario in Voghera, Milano 1865, pp. 97-98, 172, 190. 62 Perugia – Sezione di Gubbio, Archivio di Stato, Ufficio del Registro di Gubbio, Corporazioni religiose soppresse, n. 175: in particolare gli inventari della biblioteca si trovano a pp. 133-197. Il registro contiene l’Inventario generale del venerabile monastero di S. Pietro di Gubbio, compilato tra il 13 agosto e il 3 settembre 1831 in occasione del “passaggio” dagli olivetani ai camaldolesi. 63 Si tratta probabilmente della Conferma pontificia del culto ab immemorabili: R. GRÉGOIRE, Il lento cammino del beato Bernardo Tolomei verso la canonizzazione, in L’Ulivo, n. s. 39 (2009), nr. 1, p. 49. 64 Sulla canonizzazione di S. Francesca Romana: La canonizzazione di Santa Francesca Romana. Santità, cultura e istituzioni a Roma tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di A. BARTOLOMEI ROMAGNOLI – G. PICASSO, Firenze 2013 (La mistica cristiana tra Oriente e Occidente, 20; Francesca Romana advocata urbis, 2; Studia Olivetana, 10). 65 Le lettere in latino sono ancora inedite; per un’introduzione sull’argomento: B. MAT-

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A S. Maria Nova si trovano, senza segnatura, 9 volumi secenteschi, ma la numerazione sul dorso arriva a 15, compreso un 13 bis. A Monte Oliveto Maggiore, dove si conservano alcuni dei volumi mancanti, ma non la collezione completa, la serie arriva al numero 18, cioè 166, 1667, 1768, 1869, del processo di beatificazione e di canonizzazione, quest’ultima non ottenuta al tempo. Della serie conservata a S. Maria Nova fa parte una Copia Processus, di ff. 341, in un unico volume, datata die decima Februarii 1648 e autenticata die sexta Aprilis 1648; f. 341r: Prèsens copia exarata fuit ex suo proprio processu originali in actis meis producto, in quo factis per me notarium infrascriptum fideli, ac diligenti collatione, et auscultatione, cum eodem processu originali concordare inveni, et concordat salvam et in fidem hac die sexta Aprilis 1648. Ita est Clearchus Buschus Sacrè Congregationis Rituum notarius70. Si tratta evidentemente di atti conseguenti la concessione (6 marzo 1646) di un processo super fama virtutum et sanctitatis71. Forse a Sassovivo c’era una copia come questa72, perché se ci fossero stati 19 tomi ne avremmo l’indicazione, data l’accuratezza dell’inventario di Vat. lat. 13721. Preziosa è poi la notizia, conservata dall’inventario a f. 10r, dell’esistenza di diverse lettere del padre abate Tolomei. È difficile dire se siamo di fronte ad un’ipotetica terza copia: la copia conservata a S. Maria Nova, la prima, è quella ufficiale dell’ordine, mentre AMOM A 2, la seconda, arriva The letters of Blessed Bernard Tolomei: a Study, in Saggi e ricerche nel VII centenario della nascita del B. Bernardo Tolomei (1272-1972), Monte Oliveto Maggiore (Siena) 1972, pp. 85-105; la traduzione italiana delle lettere in: A. DONATELLI, Giovanni Bernardo Tolomei Padre e Maestro di Monaci, Siena 1977, pp. 95-181; I PADRI OLIVETANI, Per una rinnovata fedeltà. Fonti olivetane. I più importanti documenti, le più antiche cronache e le più rilevanti testimonianze letterarie, a cura di C. FALCHINI, Magnano (Biella) 2003, pp. 317-368. Secondo Lancellotti (1583-1643), monaco olivetano, studioso della storia dell’ordine: G. B. VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, II, Perugia 1829, pp. 51-60; PICASSO, Aspetti e problemi cit., pp. 393-398, in particolare sulla Historia Olivetana; riassuntivamente cfr. E. RUSSO, Lancellotti, Secondo, in DBI, 63, Roma 2004, pp. 306-311. 66 AMOM, Procura Generale I. 1. 67 AMOM, Procura Generale II. 1. 68 AMOM, Procura Generale II. 2. 69 AMOM, Procura Generale II. 3. 70 Si tratta del tomo 9 indicato da B. MATTOSCIO, Inventario dell’Archivio di Monte Oliveto Maggiore: AMOM, manoscritto, p. 55. Il Mattoscio, come fa per tutti gli altri volumi conservati a S. Maria Nova, non inserisce una segnatura, ma indica i volumi integrando la serie di quelli conservati a Monte Oliveto Maggiore. 71 GRÉGOIRE, Il lento cammino cit., p. 49. 72 Non può evidentemente trattarsi per questioni cronologiche di Senen. seu nullius monasterii Montis Oliveti Majoris canonizationis b. Bernardi Ptolomei Fundatoris Congregationis Monachorum S. Mariae de Monte Oliveto Ordinis S. Benedicti. Summarium responsivun super Dubio […], Roma 1768; sulla storia della beatificazione e della canonizzazione: GRÉGOIRE, Il lento cammino cit., pp. 45-53. TOSCIO,

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a Monte Oliveto con ogni probabilità con i manoscritti di Secondo Lancellotti provenienti da Monte Morcino. La copia di S. Maria Nova è un fascicoletto cartaceo di ff. 12 (a f. 4v e a f. 6v nel margine inferiore una mano cinquecentesca ha segnalato: deest folium) rilegato all’inizio del tomo 15. Sembrerebbero fogli strappati da un registro di cancelleria, la calligrafia con cui sono vergati è di un solo copista ed è una cancelleresca di fine Trecento. La filigrana del tipo fiore/frutta con foglie, pera ed un anello è della seconda metà del Trecento73. A f. 1r la stessa mano cinquecentesca ha scritto: Fragmentum epistolarum Rmi P. N. Bernardi Ptolomei. Ah iacturam, iacturam! Ciò che tuttavia pare strano è che le lettere di Bernardo Tolomei non si siano conservate in nessun altro monastero olivetano. Il nostro inventario lascia supporre che fossero considerate materiale d’archivio piuttosto che di biblioteca, ma è curioso il fatto che esse non compaiano mai in nessun modo da nessuna parte, compresi gli inventari di Vat. lat. 11274, per quanto assai lacunosi quando si tratta di manoscritti. La stranezza è ancora più forte se si considera che a Monte Oliveto Maggiore verosimilmente era conservata in età antica la copia oggi a S. Maria Nova, prima cioè che il fascicolo fosse inserito negli atti del processo, ma anche vi erano molte più lettere, se dobbiamo prestar fede ad un’affermazione di Secondo Lancellotti, che ricorda: In haec, aliaq. permulta Cènobia, Monachis dimissis, Monasticam vitae rationem inuexit B. Bernardus, qui licet eremum perpetuo coleret Oliuetanam, modo tamen hunc, modo illum literis adhortabatur, quarum in monte Oliueto grandius volumen extabat, mihique paucis ante annis ad manus peruenerunt admodum quadraginta, voluminis fragmentum. Descriptas habeo74. La trascrizione che il Lancellotti fece delle lettere viene collocata nel 161275, certo egli dovette agevolmente attendervi quando rivestì il ruolo di cancelliere dell’ordine tra il 1611 e il 161276, perché poteva disporre dell’archivio di Monte Oliveto Maggiore, dove al tempo era conservato il manoscritto trecentesco; l’espressione fragmentum è la medesima usata nella copia di S. Maria Nova. Egli, tra l’altro, nelle sue peregrinazioni olivetane soggiornò anche presso l’abbazia di Sassovivo, secondo il Vermiglioli, nel 162977 e potrebbe in teoria averne lasciato una copia, come la sua di ff. 73

La filigrana è di tipo simile a quelle ai numeri da 127193 a 127201 elencate in Piccard, di alcune è testimoniato l’uso in Toscana, a Prato: https://www.piccard-online.de/struktur.ph p?anzeigeKlassi=&klassi=&sprache=fr, consultato il 4 ottobre 2019. Su questo manoscritto: DONATELLI, Giovanni Bernardo Tolomei cit., pp. 87-92. 74 LANCELLOTTI, Historiae Olivetanae cit., p. 17. 75 DONATELLI, Giovanni Bernardo Tolomei cit., pp. 83-84. 76 RUSSO, Lancellotti cit., p. 307. 77 VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., II, p. 55.

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20, se non addirittura la sua, anche se l’espressione diverse lettere del padre abate Tolomei farebbe pensare a fogli sparsi o a qualcosa di simile. Non ci sono però d’aiuto le Familiarum tabulae, che non vennero compilate nel 1628 e nel 1629, ma che danno Secondo Lancellotti presente a S. Silvestro di Todi nel 1624, a S. Caterina di Fabriano nel 1625, a S. Pietro di Gubbio nel 1626 e 1627 e nel 1630 a Monte Oliveto Maggiore78. Per lui quelli furono anni burrascosi, come narra egli stesso nella Istoria olivetana dei suoi tempi, dove risulta però chiarissimo, dalla narrazione riferita agli anni 1627-1629, che don Secondo a quel tempo si trovava all’abbazia di Santa Croce di Sassovivo79. Salvo il testo della Istoria, non ci è d’aiuto neppure la lista delle opere scritte dal vulcanico autore e conservate a Monte Morcino, perché non vi sono inserite quelle da lui copiate. Le lettere di Bernardo Tolomei non compaiono, per altro, nella lista presente nel codice 303 (E. 51)80, sec. XVIII, custodito a Perugia presso la Biblioteca Comunale Augusta. Il manoscritto contiene, oltre alla menzione relativa al Lancellotti, le opere degli olivetani che si trovavano o nella biblioteca o nell’archivio di Monte Morcino, ma non vi figura nulla di Bernardo Tolomei. Le sue lettere non sarebbero passate inosservate all’attento compilatore della lista degli scrittori dell’ordine, che vengono ricordati con estrema precisione e con la segnatura di riferimento a seconda della collocazione nell’archivio o nella biblioteca del monastero. Poiché però possediamo l’autografo del Lancellotti, è legittimo chiedersi se la copia delle lettere presenti nel 1727 a Sassovivo non fosse per caso la sua. Del resto che alla chiusura dell’abbazia di Sassovivo i libri ivi custoditi81 (e forse persino i documenti più importanti) siano finiti con ogni probabilità a Monte Morcino, lo testimonia, ad esempio, il manoscritto AMOM B 4 (Apocalypsis nova), indicato con precisione nei cataloghi di fine ’500 dell’abbazia di Sassovivo, non in quelli di Monte Morcino, dove era arrivato successivamente82: un libro scritto a mano doue 78

AMOM, Cancelleria X. 5, Familiarum Tabulae, ad annos. S. LANCELLOTTI, Istoria Olivetana dei suoi tempi. Libri XII, a cura di G. F. FIORI, Badia di Rodengo 1989, pp. 150-165. 80 Si tratta di una miscellanea di materiali olivetani. Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 114. Per la trascrizione della parte riguardante il Lancellotti cfr. infra, pp. 292-293. 81 È certo che anche presso l’abbazia di Sassovivo esisteva una biblioteca, come dimostra l’inventario contenuto nel Vat. lat. 11274, ff. 453r-464v: Inuentario di tutti li libri che si trouano nella abbatia di Sassouiuo incominciato, et fatto per ordine del reuerendissimo padre generale oliuetano con una sua lettera data sotto il dì 30 marzo del 1600 e riceuuta il dì 7 aprile del sudetto anno. Una biblioteca esisteva già prima del periodo olivetano e se ne conserva l’inventario: M. FALOCI-PULIGNANI, L’archivio, la biblioteca e i sacri arredi del Monastero di Sassovivo, in Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria 13 (1907), pp. 121-130. 82 P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, VI, London – Leiden 1992, p. 95; MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca cit. 79

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sono scritti molti ratti di molti segreti reuelati a un seruo de Iddio chiamato Amadeus qual comincia così Seruus Mariè filius Saluator hominum Apocalypsis noua sensum habens apertum83 et ea què in antiqua Apocalypsi erat intus hic ponuntur foris, hoc est què erant abscondita ita sunt manifestata. Comincia così Amadeus: Fui raptus ex spelunca mea ubi orabam in monticulum quondam, et cetera (Vat. lat. 11274, f. 462r-v). Lo testimonia altresì il manoscritto Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, S. Onofrio 30, che viene sicuramente dall’abbazia di Sassovivo84, di cui riporta note contabili e che arriva alla Nazionale Centrale attraverso il passaggio: da Monte Morcino a S. Maria Nova, quindi alla Nazionale di Roma. Resta difficile affermare in modo ultimativo se le lettere di Bernardo Tolomei ricordate dall’inventario di Sassovivo siano una terza copia o coincidano con quella del Lancellotti, sebbene quest’ultima ipotesi sia tutt’altro che improbabile; tuttavia la singolarità della citazione nell’inventario di Vat. lat. 13721 non può essere ignorata. 2.4. La Madonna della Quercia cosiddetta di Pesaro La notizia infine più significativa è quella relativa al quadro di Raffaello, conservato nel Settecento a Roma, e venduto al cardinale Olivieri nel 1734 per scudi cento e due pianete, una di damasco bianco con sua trina e l’altra de stoffa morella parimenti con sua trina. Il cardinale è Fabio degli Abati Olivieri (1658-1738)85, che sappiamo con certezza, a partire probabilmente dal 1735, possedeva un dipinto del maestro o a lui attribuito86. Si tratta di una delle copie della Madonna della Quercia. 83

Segue cancellato: et ea. Cfr. infra, pp. 303-304. 85 R. ZAPPERI, Abati Olivieri, Fabio, in DBI, 1, Roma 1960, pp. 9-10. 86 M. M. PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite. Mercato, collezionismo e dispersione di raccolte d’arte tra Pesaro e Roma dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo, Tesi di ricerca del Corso di Dottorato di ricerca in Storia delle arti (Interateneo), ciclo XXIX, Università Ca’ Foscari Venezia, coordinatore del Dottorato M. Frank, supervisore E. Pellegrini, Venezia 2017, p. 119, l’autrice ricava la notizia dal seguente appunto dattiloscritto, non datato, di Federico Zeri, conservato presso l’Archivio della omonima Fondazione (Fototeca, inv. F1496 coll. PI 0335/1/42-48), riprodotto a p. 378: «La “Madonna della quercia” chiamata “Madonna dell’Agnus Dei” di Raffaello. Dipinta verso 1515-1520. In tavola di m. 1,33 per 1,08. Fu dipinta per ordine del Duca d’Ottaviano de’ Medici. Passata nel Museo Vaticano e da Benedetto XIII regalata al Segretario del Brevi, Cardinale Conte Abati Olivieri di Pesaro, vedi G. Andrea Lazzarini Pesaro 1906 [1806]. Storia pittorica dell’Italia di Giov. Lanzi. Guida di Pesaro di Artazù 1821. Fu ristorata verso il 1735-40 e posseggo il documento “Romana Pretii Tabularum Picturam”, Roma 1749-50, quando il proprietario Conte Almerigi cita alla Corte Romana il Ristoratore per aver deteriorato il dipinto nella ristorazione. Nella ricerca dell’opere d’arte in Italia, Napoleone Primo, comprese anche questo dipinto ed un documento firmato dal Sindaco di Pesaro e dai Consiglieri, pregano il Generale incaricato di lasciare l’unico oggetto di Belle arti rimasto al paese. Così rimase nella Cappella privata della famiglia Abati-Olivieri84

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Gli olivetani possedevano anche altri due dipinti di Raffaello, uno, lo Spasimo di Sicilia, oggi al museo del Prado di Madrid, originariamente nel monastero palermitano di S. Maria dello Spasimo87, e l’altro, la cosiddetta Madonna d’Alba88, nel monastero di Nocera dei Pagani, oggi a Washington, National Gallery of Art. Il dato curioso è che della Madonna della quercia pesarese noi possediamo una fotografia, ma non si sa, dall’inizio del secolo XX, quale via abbia preso l’originale89. Molto controversa è l’attribuzione a Raffaello, ma tutte Almerigi-Vatielli. Venne ultimamente ripulita in quest’anno». Si tratta in realtà di una sentenza, data Lunae 27 Aprilis 1750, per un contenzioso sorto tra gli eredi del cardinale Fabio degli Abati Olivieri e un Roncalli figlio di un Carlo pittore, che asseriva di aver venduto dei quadri, tra cui un Barocci e un Giulio Romano, al cardinale senza riceverne il relativo pagamento. La citazione della Sacra Famiglia, senza, per altro, alcuna attribuzione, è fatta, parrebbe, incidentalmente, per provare che le pretese del Roncalli non sono vere; si dice infatti (p. 5 non numerata): Quod quantum rationi, & aequitati repugnet, nemo est, qui non intelligat. Illud animadvertendum erat quod ex inventario depromptum esse asserebatur cum inventario non convenire. «Quod enim legitur» = per auer (oscillazione u/v presente nel testo) ripulite, o portato alla luce con tutta diligenza il Quadro, che rappresenta la Famiglia Sacra = «& paulo post» = per aver ripulito, & accomodato il Quadro etc. «potius ex privatis rationibus decerptum esse videtur, quam ex aliquo inventario, cui haec scribendi ratio nullo modo convenit, usi res ipsa per sese declarat, & authenticum inventarij ostendit exemplum in quo licet eaedem tabulae recenseantur nulla tamen fit mentio de opera Caroli Roncalli. Alla fine, il Roncalli non vedrà riconosciuto il suo presunto credito. La data del 1736, come terminus ante quem i fatti si svolsero si ricava da un’affermazione dei testimoni in merito all’intera questione (p. 4 non numerata): Quod autem testes retulerunt, Cardinalem anno 1736, quod pecunia sibi deesset, solvere pecunias detrectasset, quas per Epistolam ipse Carolus, ut persolveret mandaverat, id non ex ea Causa, quam Testes dixerunt à Carolo audivisse, quod nempe tunc Cardinali pecunia deesset, sed ex alia omnino justa Causa contigisse, probat Epistola tunc temporis ab ipso Carolo ad Cardinalem data. II giudice osserva che il cardinale non aveva pagato semplicemente perché non aveva ancora ricevuto il quadro del Barocci che Roncalli asseriva di aver mandato da Napoli. Può essere che tutto questo abbia contribuito alla confusione relativa alla provenienza della Madonna della Quercia di proprietà dell’Olivieri. L’intestazione della sentenza è la seguente: R. P. D. Migazzi Romana pretii Tabularum pictarum, stampata: Romae, M. DCC. L. Ex Typographia Reverendae Camerae Apostolicae. Poiché si tratta di un testo non facile da reperire, segnalo che una copia si trova a Perugia presso la Biblioteca Comunale Augusta con segnatura ANT I. F 998 (78). 87 S. VISMARA, L’assegno del Re di Spagna per la cessione dello “Spasimo” di Raffaello, in Rivista Storica Benedettina 8 (1913), pp. 194- 204. Per una storia della tavola: S. MERCADANTE, Lo Spasimo di Sicilia di Raffaello e la sua fortuna. Diffusione di uno schema iconografico, in Tecla. Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica 12 (2015), pp. 20-37; un altro dipinto attribuito a Raffaello doveva forse trovarsi a S. Pietro di Gubbio secondo gli inventari settecenteschi del monastero: MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., p. 267. 88 P. LUGANO, Intorno ad un quadro attribuito a Raffaello, in Scritti di storia, di filologia e d’arte. Nozze Fedele-De Fabritiis (Itri, XI. gennaio .M.CM.VIII.), Napoli 1908, pp. 127-133. 89 Come inquadramento generale sulla dispersione delle raccolte d’arte nelle Marche: Arte venduta. Mercato, diaspora e furti nelle Marche in età moderna e contemporanea, a cura di B. CLERI – C. GIARDINI, Ancona 2016; in particolare lo studio, ivi contenuto, di M. M. PAOLINI, Domenico Mazza e le sue fortunate incursioni nel mercato artistico romano, p. 142, che si sofferma sul caso della Madonna della quercia.

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le copie attualmente note sono state oggetto di dispute riguardanti la paternità dell’autore. Tra le più famose, ad esempio, quella del Prado di Madrid, in origine considerata del Maestro urbinate, ha rivelato un cospicuo intervento di Giulio Romano, pur riconoscendosi l’apporto di Raffaello90, e quella della Galleria Palatina a Firenze (Madonna della lucertola), attribuita anche a Giulio Romano, poi a Girolamo Siciolante91, non esauriscono il dibattito sul soggetto scelto dall’artista, tanto spesso replicato, e soprattutto si assiste ad una seria incertezza di attribuzione per tutte le versioni conosciute. Recentemente (2017) sull’argomento è stata effettuata un’accurata ricostruzione documentaria e bibliografica in una tesi di dottorato da Maria Maddalena Paolini, che ha riprodotto anche quella che dovrebbe essere la fotografia del quadro già di proprietà dell’Olivieri92, conservata presso la Fondazione Federico Zeri di Bologna, ma che ha definito la questione «parecchio ingarbugliata e difficilmente districabile»93. Nel 1806, in una pubblicazione del canonico Giovanni Andrea Lazzarini, si legge una narrazione ricca di particolari in merito al quadro e alla sua presenza in casa Olivieri e Almerici, oltre ad una descrizione molto dettagliata del dipinto. Qui è presente la seguente notizia: Questa insigne Pittura fu donata da un Principe Napolitano a Papa Benedetto XIII, qual cosa degna di un Sovrano, e dallo stesso Pontefice al Card. Fabio Olivieri Prozio del suddetto Cav. ch’era allora Segretario de Brevi, e al Pontefice molto accetto. Esso da quel probo, ed onorato Signore, ch’egli era, ricusò più volte di accettare il Quadro, cercando di far conoscere al Papa, che poco di Pittura s’ intendea, la grandezza e preziosità del dono, che gli offeriva, e persuadendolo a farne assolutamente uno dei più rari ornamenti del Pontificio Palazzo. Tutto però fu vano: imperciocchè finalmente gli disse il Papa, che se Egli nol volea, lo avrebbe regalato a Coscia: il che determinò allora il Cardinale ad accettarlo. Dicesi, che fu prima posseduto dai Principi di Ottajano, discendenti da quel ramo della Casa Medici, che si stabilì in Napoli, del qual ramo 90 Sulla storia delle attribuzioni: S. GINZBURG, Una fonte antica e un possibile committente per la Madonna della Quercia, in Il più dolce lavorare che sia. Mélanges en l’honneur de Mauro Natale, a cura di F. ELSING – N. ETIENNE – G. EXTERMANN, Cinisello Balsamo 2009, p. 103; bibliografia p. 110. 91 GINZBURG, Una fonte antica e un possibile committente cit., p. 109. 92 PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit. p. 112. Un’altra fotografia del quadro pesarese dovrebbe essere quella allegata alla corrispondenza intercorsa tra il Ministero della Pubblica Istruzione, i periti e la proprietà che voleva vendere il dipinto agli inizi del secolo XX: ibid., p. 374. Questa fotografia è conservata a Roma, presso l’Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, 1908-1924, divisione 1, B 61, fasc. 1414. 93 Bologna, Università degli Studi, Fondazione Federico Zeri, Fototeca, busta 335, fascicolo 1; PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit., pp. 128-130; su tutta l’intricata vicenda pp. 113-133.

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viveva al tempo di Raffaello Ottaviano de’ Medici, di cui scrive il Vasari nella vita di Raffaele, che possedea qualche altr’opera di quell’insigne Maestro. La Casa Olivieri, viventi il Cardinale, e susseguentemente il Prelato di lui Nipote, ha più volte ricusato di disfarsi di questa grand’opera, anche a richiesta di alcuna delle primarie Corti di Europa coll’offerta di grosse somme94.

La notizia già era circolata nella seconda metà del Settecento ed è riportata da diversi viaggiatori, che hanno però sempre la stessa fonte orale, cioè il nipote del cardinale Olivieri: Innocenzo Ansaldi, Marcello Oretti, Luigi Lanzi, Domenico Bonamini95, ma in realtà si tratta di una notizia riportata, al momento, non documentata. Vediamo le questioni assodate: – È indubbio, e risulta da molteplici fonti, che il cardinale Fabio degli Abati Olivieri possiede un dipinto attribuito a Raffaello, una Madonna della Quercia, che rimase a Pesaro fino agli inizi del secolo scorso; – che gli perviene prima della morte (1738) e comunque pare che la possieda almeno dal 173596; – che una notizia tarda e non documentata riporta che il quadro gli fu regalato dal pontefice Benedetto XIII e che proveniva dai Principi di Ottajano, discendenti da quel ramo della Casa Medici, che si stabilì in Napoli anzi il possesso risaliva addirittura a Ottaviano de’ Medici; – che tale notizia viene raccontata dai discendenti di casa Olivieri ma non ha riscontri documentari97. Una ricostruzione convincente a proposito della committenza, vista la presenza della quercia, propone come committente il cardinale Raffaele Riario, legandolo pur con qualche difficoltà al dipinto conservato al Prado98. Raffaele Riario fu anche abate commendatario dell’abbazia di Sasso94

G. A. LAZZARINI, Opere, II, Pesaro 1806, pp. 45-48; la citazione pp. 45-46. PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit., pp. 114-118. Ricorda la citazione di Luigi Lanzi nel 1831: C. PRETE, Cantarini e non solo: nuove acquisizioni per la storia del collezionismo a Fano, in 1612-2012. Fano per Simone Cantarini genio ribelle. Catalogo della mostra, Fano 2012, p. 77. 96 PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit., p. 119. Convincente in proposito l’appunto dattiloscritto di Federico Zeri citato sopra nt. 86, pp. 267-268. 97 PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit., p. 118, segnala un articolo di Marinelli, in cui vengono citati genericamente, e non vi sono indicazioni utili per un’eventuale identificazione o ritrovamento, dei documenti napoletani relativi alla donazione: G. MARINELLI, A Rediscovery in Italian Renaissance Art. “The Holy Family under the Oak” by Raphael, in The Connoisseur 164 (marzo 1967), nr. 661, pp. 155-158, in realtà Marinelli cita, e male, Romana pretii Tabularum Pictarum, che evidentemente non conosce. 98 GINZBURG, Una fonte antica cit., pp. 103-113; PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit., p. 132 riprende la notizia. È nota per altro l’etimologia del cognome e ancora oggi gli stemmi del Palazzo della Cancelleria, fatto costruire a Roma appunto dal cardinale Riario, esibiscono le fronde di quercia, l’albero prediletto. 95

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vivo dal 1505 al 150999, mantenendone però i diritti pare fino al 1521, anno della morte100, e l’abbazia è nota per il bellissimo bosco che possedeva e che ancora la contorna, dove abbondano le querce, per cui potrebbe avere senso che a Sassovivo si trovasse una delle tavole con il soggetto della Madonna della quercia attribuita a Raffaello o ci fosse un interesse per tale soggetto e che, di conseguenza, questo coincida con quello già noto del cardinale Olivieri, che, per altro, pare aver posseduto un solo dipinto attribuito a Raffaello e, guarda caso, a partire dal 1735, cioè in coerenza con quanto si dice nella nota del Vat. lat. 13721. Bisognerà del resto riconoscere che la notizia del dono di Benedetto XIII, accettato a malincuore dall’Olivieri e solo perché il papa minacciava di dare il dipinto al cardinale Coscia101, per altro molto legato all’ambiente napoletano, è singolare. Perché mai il pontefice voleva disfarsi di un dono ricevuto da un nobile napoletano, arrivando a pensare ad un cardinale come il Coscia, vescovo di Benevento e in rapporto stretto con molti nobili napoletani? Il Principe napoletano citato dal Lazzarini non si sarebbe offeso? Forse si trattò di una piccola bugia del cardinal Olivieri al nipote, perché aveva acquistato il quadro dai monaci in gran segreto, con ogni probabilità per timore che l’abate commendatario, cardinale Lorenzo Altieri, ne rivendicasse i diritti. O forse i nipoti inventarono la storia a seguito del lungo contenzioso con Carlo Roncalli circa la vendita di quadri che egli sosteneva non fossero stati pagati dal cardinale, come appare dalla sentenza (Romana pretii Tabularum Pictarum) del 1750? Si converrà che, salvo diversa prova, i contorni del racconto siano alquanto strani. Non mi addentrerò infine nella complessa vicenda dell’attribuzione, anche se è molto suggestiva l’attestazione del critico Roberto Longhi, che attribuisce il dipinto a Raffaello102, proprio sulla scorta di una delle fotografie della Fondazione Zeri, che parrebbe essere quella della Madonna della quercia di Pesaro103. 99 IACOBILLI, Cronica cit., pp. 196-199. La datazione della commenda porterebbe ad anticipare di qualche anno l’attribuzione di GINZBURG, Una fonte antica cit., p. 104. 100 IACOBILLI, Cronica cit., p. 199; LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 70. Su alcuni rapporti con Raffaello: A. SCHIAVO, Profilo e testamento di Raffaele Riario, in Studi Romani, 8/4 (1960), pp. 414-429; sui suoi ritratti eseguiti da Raffaello, in particolare pp. 419-420; M. CAMAIONI, Riario Sansoni, Raffaele, in DBI, 87, Roma 2016, pp. 100-105. 101 F. PETRUCCI, Coscia, Niccolò, in DBI, 30, Roma 1984, pp. 6-12. Coscia (1681-1755), indubbiamente legato a Benedetto XIII, che lo protesse sempre, è stato un personaggio piuttosto discusso. 102 PAOLINI, Tra acquisizioni e vendite cit., p. 129 e p. 377. Per altro, anche il pittore Giuseppe Castellani, che aveva visto il dipinto, nel 1876 aveva predisposto una relazione positiva in merito all’attribuzione a Raffaello: ibid., p. 127; testo della relazione: pp. 369-371. 103 Ibid., pp. 129-130: la studiosa sulla scorta di confronti tra fotografie, pensa che il pare-

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È vero che, se si trattava davvero di un dipinto di Raffaello, il cardinale Olivieri non lo aveva pagato poi molto. Nel 1734 ed anche nel 1733, 100 scudi rappresentavano solo una parte della rendita che l’abbazia doveva corrispondere all’abate commendatario, che dalla corrispondenza appare comportarsi come un creditore davvero ansioso: Lorenzo Altieri insiste perché i debitori gli paghino il dovuto, perché ci si preoccupi del suo grano e via di questo passo. Il cardinale scrive una lettera ogni due o tre giorni per sapere dei beni della sua Badia (dice in continuazione «mia Badia», «mio grano») e, proprio nel 1734, gli viene corrisposta a metà anno la somma di 100 scudi104, che coincide con il ricavato della vendita del quadro. Presso l’Archivio Storico Diocesano di Spoleto sono conservate tutte le lettere del 1733 e del 1734 dell’abate commendatario, il cardinale Lorenzo Altieri, all’amministratore, Gregorio Giacci, che si definisce nelle ricevute senza segnatura contenute nella medesima scatola “agente generale dell’Abbadia di Santa Croce di Foligno”, lettere inviategli genericamente a Foligno. In esse non si trova traccia alcuna della vendita del dipinto, ma solo delle continue richieste di denaro avanzate dal commendatario. Le lettere (78 plichi per il solo 1734, alcuni con due lettere: molte lettere sono scritte a distanza di pochissimi giorni l’una dall’altra) purtroppo sono prive di segnatura e conservate in una scatola di cartone. L’11 agosto il commendatario dichiara di aver ricevuto una lettera di cambio di cento scudi (da tutta la corrispondenza si evince che necessitavano anche altre somme), guarda caso pari al ricavato della vendita della tavola di Raffaello, ma in una lettera immediatamente successiva ricomincia a parlare dei suoi debitori e delle sue rendite. Non è escluso che i monaci abbiano tenuta nascosta tale vendita e forse anche per questo era necessaria una bugia circa la provenienza del dipinto all’Olivieri. 3. L’ordinamento dell’Archivio settecentesco nel Vat. lat. 13721 Il materiale documentario, come si è visto, era collocato in quattro plutei e rispondeva alla necessità di avere sottomano tutta la documentazione utile alla gestione olivetana. Questa parte del Vat. lat. 13721 è vergata in una grande scrittura ordinata che rendeva e rende agevole la consultazione; l’inchiostro è penetrato re del Longhi (5 luglio 1965), relativo a un quadro al tempo conservato presso una collezione privata francese, non si riferisca a tale dipinto, ma ad un’altra fotografia; pubblica il testo della lettera del Longhi, che attribuisce il dipinto a Raffaello, a p. 377; pubblica altresì varia corrispondenza riguardante il dipinto, che il proprietario voleva vendere, a fine Ottocento, al Ministero della Pubblica Istruzione, in questo caso il dipinto non è attribuito a Raffaello, a pp. 365-376. Tutti i pareri sono dati su fotografia. 104 Spoleto, Archivio Storico Diocesano, corrispondenza senza segnatura.

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nella carta, perché il registro non era in buone condizioni di conservazione ed è stato restaurato. Trascrivo qui di seguito, suddiviso per fogli e per plutei, l’inventario. f. 2r In nomine Domini. Pluteo primo. Libro degli affitti segnato A, che principia dal 1538. Libro degli affitti, chiamato rosso, che principia dal 1522105. Libro degli affitti segnato B, che principia dal 1538. Libro degli affitti segnato B, che principia dal 1558. Libro degli affitti segnato C, che principia dal 1590. Libro de cottimi ò affitti segnato A: dal 1489. Altro libro de cottimi segnato B: dal 1496. Vachetta d’affitti segnata F. Vachetta d’affitti segnata A. Vachetta de lavorecci segnata Z. Libro de contratti, e locazioni delle terre del monastero segnato A. Misura et catasto dei beni del monastero, con tutte le piante dei sudetti dal 1588. Cabrero piccolo di Sassovivo. f. 2v Seguita Pluteo primo Libro di tutti gli strumenti ridotto in forma autentica dal 1486: segnato A. Altro libro di strumenti autentico come sopra segnato B dal 1650. f. 3r Pluteo secondo Cronica del monastero di Sassovivo. Regola di S. Benedetto con la Constitutione Olivetana. Inventarii del monastero dal 1584 al 1589. Inventarii di Sassovivo dal 1652 sino al 1684. Altro inventario dal 1687. Altro libro di inventarii dall’anno sudetto, che si seguiterà. Un libro coperto di cartone di 3 quinterni di carta ed uno sciolto, in cui sono gli atti fatti nella lite vertente col signore Giacoburii per il muro del cortile dell’ospizio di Foligno, che oggi confina con il signore Francesco Alessandri, in cui vi è un mattone con il millesimo; et fu deciso spettare al monastero. Entro detto Libro vi è una memoria spettante alla fabrica della stalletta et communio fatta106. 105 Pietro Simone Marinucci nel suo inventario (1643) al n. 1803 (cfr. Rubricella, voce corrispondente) ricorda un Liber rubeus antiquus continens solutiones censuum et recognitiones bonorum emphit. ab an. 1499 ad an. 1559 et in aliquibus ab. Anno 1640; e al n. 1774: Liber novus sive spolium del libro rosso in quo continentur relationes locorum, in quibus bona sunt situata cum expressione censuum. In generale per materiale di questo genere basta consultare la Rubricella del Marinucci alla voce Liber […]. 106 Segue come fosse una parola d’ordine: dal.

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f. 3v Seguita Pluteo secondo dal detto signore Alessandro, che si servì di detto muro con licenza del monastero: n° 1. Raccolta di alcuni Decreti, et Costituzioni della Sacra Congregazione del Concilio, che si leggono da Regolari etc.: n° 2. Raccolta di alcune Constituzioni spettanti all’esenzioni delle undici congregazioni dal sussidio triennale: n° 3. Catasti delle terre e roba del monastero con la rendita di esse: n° 5, e l’ultimo fatto dal 1682: segn. a n°4. Scartafacci sette 5 de lavorecci in 3° et vede, uno d’affitti, ed altro delle piante, di tutte le terre, con alcuni fogli volanti spettanti alle misure, termini etc. segnati n° 5. Alcune notizie et memorie del monastero in ordine alle case, terreni et censi, che possiede con la notizia del modo, con cui ci pervenne il monastero, con detta etc. notizia, segn°. n° 6. f. 4r Seguita Pluteo secondo Un libro delle memorie in carta pecora legato in cui si vedono molti terreni venduti, bonificamenti fatti, et altri atti pubblici, con ordine di monsignore vescovo di Foligno per l’immunità del nostro ospizio di Foligno etc. segn°. n° 7. Un scartafaccio di spese fatte dal 1642 in varie cose segnato n° 8. Un picciolo libro dell’entrata et uscita della sacrestia segnato n° 9. Atti per la colletta di quattro quatrini per la care. segnato n° 10. Instrumento dell’aggiustamento tra il signore cardinale comendatario ed il monastero, per il risarcimento e manutenzione della fabrica, per cui il signore cardinale s’obliga pagare scudi 40 annui al monastero etc; et altro istrumento d’affitto delle selve per 29 anni segnato n° 11. f. 4v Seguita Pluteo secondo Atti di Lite tra il signore Decio Roncali e il monastero con un breve, in cui sono deputati i giudici competenti dalla Santa Sede, a cui il monastero è immediatamente soggetto segnato n° 12. Libretto de riceuti fasciato in carta pecora, con varie annotazioni spettanti all’affitto delle selve, e capre, che suole mantenere il monastero segnato A. B. n° 13. — Involto di varie scritture in pergamena del seguente tenore: e primieramente copia de Previlegii concessi alli monici benedittini e olivetani, in foglio grande di carta pecora, et autenticata n° 1. — Scomunica contro alcuni, ch’ingiustamente tenevano beni e terreni del monastero n° 2. — Monitorio al signore Decio Roncali per la lite contro il monastero n° 3. f. 5r Seguita Pluteo secondo — Citazioni al signore D. Fausto Guidotti procuratore della villa dello Scandolaro n° 4.

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— Monitorio per l’osservanza de nostri previlegii di potere vendere senza pagare n° 5. — Elezione del padre generale olivetano del 1564107: n° 6. — Monitorio per l’acqua in favore della villa de Borroni n° 7. — Instrumento di enfiteusi spettante alla chiesa di S. Angelo di Natolia nella diocesi di Camerino del 1333108: n° 8. — Monitorio con inibizione di non radunare terra, sassi né altro nel fosso renaio n° 9. — Monitorio contro i gabellieri di Spello n° 10. — Aggregazione autentica del monastero di S. Pietro in Bovara alla Congregazione Olivetana109 n° 11. — Monitorio per l’esenzione del monastero e monaci da qualsivoglia giurisdizione in vigore de previlegii n° 12. f. 5v Seguita Pluteo secondo — Inibizioni alli ministri del danno dato n° 13. — Sentenza, che il monastero di Trevi, non sia della menza abaziale di Sassovivo110 n° 14. — Carta di participazione del nostro padre generale n° 15. — Esenzioni e previlegii de sommi pontefici à favore del monastero n° 16. — Concessione di alcuni terreni dati in 3a erede invocato: lascito del 1232: n° 17. — Liberazioni delle gravezze in carta n° 18. Il sopradetto involto di carte pecore, et questo ultimo in carta etc. segn° n° 14. Alcune memorie sopra la lite con la villa di Casale111, in ordine al potere noi te107 Don Barnaba Barsi, di Perugia (abate generale: 1564-1566): SCARPINI, I monaci cit., pp. 185-186. 108 LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 50 e p. 87, S. Angelo nella diocesi di Camerino risulta già dipendente dall’abbazia di Sassovivo il 21 maggio 1138; la lista delle chiese, dei monasteri e delle istituzioni dipendenti dall’abbazia di Sassovivo si legge anche in: IACOBILLI, Cronica cit., pp. 250-261. 109 L’unione di S. Pietro in Bovara e di tutte le sue dipendenze con l’abbazia di Santa Croce di Sassovivo sarebbe stata decretata dall’abate Ruggiero nel 1334 e confermata dal cardinale Giovanni Gaetano Orsini nel 1335: Monasteri Benedettini in Umbria cit., pp. 254-258, in particolare a p. 254 si sostiene che detta unione non abbia mai avuto luogo. Di diverso avviso fu: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 60 e 61, che riteneva avvenuta l’unione nel 1334. Il monastero di S. Pietro di Bovara di Trevi fu olivetano dal 1484 al 1807: LANCELLOTTI, Historiae Olivetanae cit., pp. 55-56; LANCELLOTTI, Istoria Olivetana cit., p. 106; SCARPINI, I monaci cit., p. 108; TAGLIABUE, La Congregazione olivetana cit., p. 285; il monastero viene soppresso dai francesi nel 1798 secondo Monasteri Benedettini in Umbria cit., p. 255, dove si sostiene, di contro allo Scarpini, che S. Pietro non ha mai conosciuto la commenda e che diventa olivetano nel 1448; MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., pp. 283-284 (p. 262 riporta la seguente cronologia per S. Pietro in Bovara: 1448-1798). 110 Cfr. supra, nt. 6, p. 250. 111 Il beneficio S. Andreae de villa Casalis cum cura animarum è conferito all’abbazia di Sassovivo il 20 novembre 1462: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 73.

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nere capre, et pecore, con copia d’instrumento dell’affitto de pascoli di Oppello112, con nota de confini di Casale segn° n° 15. Bandi per manutenzione delle selve et scritture etc. seg°. n° 16. f. 6r Seguita Pluteo secondo Fascietto di scritture appartenenti alla lite delle pecore del 1697 segn° n° 17. Involto di esenzioni dalle gabelle, colette, e d’altri pesi comunali, come anche per i lavoratori del Monastero, non obbligati al carreggio per l’agiustamento di strade, ò altro, con altra dicisione della sacra Congregazione del Concilio, che il monastero non sia tenuto alla contribuzione del seminario di Foligno. Vi è anche il Privilegio di Onorio 3° dove non potiamo essere convenuti senza espressa licenza, o denominazione segn° n° 18. Fascio di varie ricevute dalli sindici di Oppello, procuratore generale, e dalli collettori per il fiume Topino segn° n° 19. Scritture apartenenti al monastero di M. Morcino, S. Antonio, Bovara, et Ascoli113 segn° n° 20. f. 6v Seguita Pluteo secondo Involto di lettere della Procuratoria generale, che contengono varie materie, con la Bolla della beatificazione del B. Bernardo, con suo processo, et la canonizazione di S. Francesca Romana segn° n° 21. Involto di scritture appartenenti all’ospizio di Foligno sopra la casa lasciataci dalla moglie del quondam Gio. Batta. di Foligno, con alcuni consigli sopra il testamento. n° 22. f. 7r Pluteo terzo Libro del denaro riceuto dal signore cardinale comendatario per le fabriche, et risarcimenti del monastero, con la memoria della lite fatta col detto cardinale etc. segn° A. Altro libro delle fabriche et risarcimenti segn° B. Involto di scritture contenenti la compra della terra in Spello vocato Naiello114, atti per la lite sopra detta terra contro le monache di Valle di Gloria115, che ottennero detta terra in Salviano. Vi è anche la nota di alcuni istrumenti di terre vendute et comprate etc. segn° n° 23.

112 In località Oppello/Uppello vi era la chiesa di S. Venanzio con il relativo beneficio dipendente dall’abbazia di Sassovivo: IACOBILLI, Cronica cit., p. 13; LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 79. 113 Forse si riferisce a S. Lorenzo de Apignano: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 92. 114 S. Venanzio di Spello era tra le chiese e i monasteri dipendenti dall’abbazia di Sassovivo: ibid., p. 85. La località qui indicata è Navello. 115 Antico monastero femminile di Spello, prima ubicato fuori Spello, poi dal 1320 per ragioni di sicurezza trasferito entro le mura della città: Monasteri Benedettini in Umbria cit., pp. 223-226.

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Scritture appartenenti alla lite col prete Alfei di Matiggie116 circa le pecore, che pretendeva pascolare su le terre del monastero, et terminata l’anno 1726 inclusovi il mandato de manutenendo monastero in posessione etc. segn° n° 24. f. 7v Seguita Pluteo terzo Bolla della concessione del monastero di Sassovivo agli Olivetani segn° n° 25. Scritture appartenenti alli pascoli di Oppello segn° n° 26. Scritture miscellanee contenenti lo stato della lite, col signore Magni di Foligno, et l’istrumento di agiustamento col sudetto. Una fede di censo compro[vante] riceuta del quadro di Rafaello di Urbino di questo monastero in Roma. Modo di fare le patenti per trasportare grano et altro segn° n° 27. Fascietto di scritture più moderne intorno all’agiustamento col signore cardinale comendatario, per l’affitto delle selve, con la pianta più moderna delle medeme (sic) controverse; e licenza per l’incisione della selva intorno al monastero detta sacra segn° n° 28. f. 8r Seguita Pluteo terzo Scritture diverse appartenenti alla lite fatta tra i Folignati e i Perugini intorno al posesso del monastero di Sassovivo117 segn° n° 29. Atti per la lite del generalato olivetano nella provincia dell’Umbria et per la preminenza all’abbazia del fu abate Pagnini118 etc. Bolla di privazione contra ambientes segn° n° 30. Diversi mandati di procura per cellerari et procuratori del monastero segn° n° 31. Polize diverse di affitti del molino da olio segn° n° 32. Varie riceute et liste di robbe date al monistero segn° n° 33. Lettere del padre generale, con un breve per il capitolo, e diversi ordini capitolari segn° n° 34. Scritture più antiche appartenenti alle selve, che abbiamo in affitto dal signore cardinale et lite per le medesime con le piante etc. segn° n° 35. f. 8v bianco f. 9r Pluteo quarto Scartafacci n° 4 delle misure riportate nel campestre di tutti i terreni del monastero segn° n° 36. Alcuni manuscritti di elogii di uomini illustri della Sacra Scrittura stampati dal fu abate Catanei119 segn° n° 37. 116 S. Biagio di Matiggia chiesa dipendente dall’abbazia di Sassovivo nella diocesi di Foligno: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 74. 117 SCARPINI, I monaci cit., p. 305; una corposa documentazione della controversia è conservata a Perugia, Archivio di Stato, Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Controversie e pratiche amministrative varie, 23 e 24. 118 SCARPINI, I monaci cit., p. 306. 119 Ottavio Cattaneo da Foligno, abate di Sassovivo nel 1704, muore nel 1705: M. A. BEL-

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Misure et stime della casa di Foligno et di donna Agnesina segn° n° 38. Varii istrumenti et atti di affitto di terre devoluzione delle medesime al monastero e concessioni in affitto o 3e erede. Un esame per il maceratoro del monastero che tiene oggi Gio. Mezza Lancia. Un inventario antico della robba ritrovata di ser Gregorio di Foligno. Vi sono anche tutte scritture appartenenti alla lite contro il signore Giacobilli segn° n° 39. f. 9v Seguita Pluteo quarto Involto di scritture miscellanee contenente due Bolle di imposizione di Alessandro VII; alcune scritture contro il padre abate Figliola120; alcuni quesiti intorno all’enfiteusi; origine del monastero di Madonna; constituzione sopra l’abito del nostro padre generale ed altra circa l’uso de pontificali; Bolla di Paolo V per potere dare robba à nostri monasteri più poveri; riparti fatti per sussidi imposti da papi e dalla religione; revocazione de conservatori del monastero et modo di eleggerne altri; norma per fare le patenti alli guardiani, lavoratori e fattori del monastero segn° n° 40. f. 10r Seguita Pluteo quarto Varie lettere del padre generale; riceute del padre procuratore generale; diverse lettere del padre abate Tolomei ed un ordine contra ambientii segn° n° 41. Involto di scritture contenenti il disegno delle terre spettanti alla menza abaziale; testamento di donna Paola Profili da S. Eraclio; testamento di d. Agnese sorella di Alessandro da Bagnaia; alcuni atti, che difficilmente si leggono; orazione di Alesandro VII fatta poco prima di spirare121; alcune patenti de superiori per vendere et comutare segn° n° 42; Fascio di scritture contenenti proibizione di trasportare robba da un monastero122. f. 10v Seguita Pluteo quarto all’altro; una poliza per la nevara, che era del monastero; scrittura per il monastero di Madonna; scritture del fu padre abate Cattaneo; memorie per il fiume Topino et per il Teverone; riforme e pii istituti usciti dalla città di Foligno; facoltà di vendere beni stabili per 9500 scudi; vendita di un stanzone compr[at]o da noi in S. Eraclio; due lettere del cardinale Altobrandini123 (sic); professione di f. Evangelista da Gubbio124 segn° n° 43. Cronologia brevis caenobiorum, virorumque illustrium, vel commendabilium congregationis Montis Oliveti ordinis S. Benedicti, Mediolani 1720, p. 120; ARMELLINI, Appendix cit., p. 46. 120 Filippo Figliola: SCARPINI, I monaci cit., p. 299 e p. 304. 121 Alessandro VII muore il 22 maggio 1667. 122 Nell’angolo di destra parola d’ordine: all’. 123 Il cardinale Silvestro Aldobrandini fu abate commendatario di S. Croce di Sassovivo dal 17 settembre 1603 al 29 gennaio 1612: LUGANO, Le Chiese dipendenti, p. 72. 124 AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, per provenienza Evangelista da Gubbio

FORTI,

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f. 11r125 Seguita Pluteo quarto Involto di carte, pergamene126, quali contengono la Bolla della concessione della menza conventuale alli monici di Sassovivo; la bolla della facoltà di dividere la menza conventuale dalla menza abaziale127; la conferma dell’acordo col signore cardinale comendatario per il pagamento di scudi 40 per la fabrica; il trassunto della menza conventuale alli monaci di Sassovivo; la collazione della cura di Casale da papa Urbano VIII et dal signore cardinale Borghesio128, detto involto segn° n° 46. Fascietto di scritture che contengono l’entrata et l’uscita del monastero del 1660; la memoria del breve di Urbano VIII à favore dei Folignati et del monastero di Todi pure della nazione folignata129 segn° 47. [Nel margine inferiore:] Tutti li sopra nominati libri, e scritture si conservano nell’Archivio del venerabile monastero di Santa Croce di Sassovivo ed in fede [segue segno per subscripsi] io d. Domenico di Foligno abate del suddetto monastero affermo quanto sopra; io d. Idelfonso Braccini vicario e cellerario affermo come di sopra; io d. Cosimo Maria de Angelis archivista130 affermo come di sopra. f. 11v Conti del padre d. Stanislao Graffi di Bologna131 n° 48

dovrebbe stare nella Natio Eugubina, dove però non figura un professo con questo nome, mentre nella Natio Perusina, f. 214v, a cui appartiene il monastero di Sassovivo, figura un Evangelista Veglia: (Nativitas) 23 Septembris 1691, (Ingressus) 17 Martii 1710, (Professio) 21 Martii 1711; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 1337-1945, p. 463: obiit 1747. 125 Cambia mano: è la stessa che stenderà prevalentemente l’indice alfabetico (ff. 12r30r). 126 In precedenza: perghamene. 127 Cfr. supra, nt. 6, p. 250 e nt. 110, p. 275. 128 Il cardinale Scipione Borghese fu abate commendatario del monastero di Sassovivo dal 1612 al 2 ottobre 1633: LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., p. 72. 129 L’anno è il 1634: SCARPINI, I monaci cit., p. 237, ricorda il capitolo di primavera, che cita da Acta patrum, II, f. 7, f. 11, f. 17, non più reperibili già ai suoi tempi. La notizia del Breve è riportata da C. BESOZZI, Chronicorum opus, manoscritto conservato in AMOM (Cancelleria XIII. 4), p. 294, nell’anno 1634, ripresa da Acta patrum, II, 17-18: «Capitolo annuale congregato in M. O. M. il dì 25 Maggio 1634 giorno dell’Ascensione nel quale occorre da notarsi come fu introdotto il signor Gio. Antonio Mancini di Foligno mandato da quella città, il quale alla presenza e per mezzo di ser Carlo del già Scipione Piochi notaro pubblico senese, in presenza di due testimoni, produsse un Breve di Urbano 8 che comincia Salvatoris et Domini nostri datum apud S. Petrum die 20 Martii 1634 nel quale decretavasi che il monastero di Sassovivo s’apparteneva a Folignati non a Perugini, ma perché il detto signor Gio. Antonio Mancini non aveva seco il mandato di procura di sostituto per la detta città di Foligno, ma solo mostrò lettere della detta città, che l’asserivano latore di quelle senza altro nome di lui espresso, si protestorono li Padri che accettavano quell’azione si et in quantum senza pregiudizio proprio o d’altri». 130 Si legge male, perché è soprascritto per correggere quanto scritto in precedenza. 131 Stanislao Graffi, AMOM, Cancelleria XI.3, Liber professorum, f. 21r: (Nativitas) 28

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Autentica del legno della santa croce che si conserva nel reliquiario d’argento. Seg° A. ff. 12r-30r: Indice delle cose notabili che si ritrovano nell’Archivio del Monastero di Sassovivo. Si tratta dell’indice in ordine alfabetico riferito ai documenti contenuti nei plutei. Segnalo a f. 12r le aggiunte: Autentica del legno della Santa Croce, che si conserva nel reliquiario d’argento in Monastero Plut° 3: n° A; Autentica delle Reliquie che si conservano nelle due urne nuove fatte Plut°: 3 n° A. Queste aggiunte sono della medesima mano che ha continuato l’inventario dopo la sottoscrizione. f. 15r un’aggiunta del 1771 alla lettera D: Decreto del reverendissimo padre generale Mirano132 olivetano e del reverendissimo definitorio emanato li (segue spazio per una parola) 1771, nel quale ottenuta dalla Sagra Congregazione sopra Regolari la licenza di porre in economia il monastero di S. Croce di Sasso-Vivo, viene ridotta la famiglia ed affidata la direzione economica di detto monastero al padre d. Pietro Roncalli Benedetti di Foligno133 teologo di M. O. M. con la residenza nel monastero di S. Maria in Campis di Foligno134. Pluteo n°135. Decreto della Sacra Congregazione de Vescovi sopra i Regolari nel quale viene concessa al reverendissimo definitorio la piena libertà di porre in economia il venerabile monastero di S. Croce di Sasso-Vivo per tre anni. Pluteo n°136. f. 21r: Lettere della vendita del quadro di Raffaello di Urbino Plu° 3 n° 27 (segue un’aggiunta relativa ad una controversia presso la Congregazione dell’acqua a Roma, Plut° 2 n° 12, non immediatamente riscontrabile dalla descrizione, ma forse piuttosto ha a che vedere con Pluteo 4, n° 43). f. 26r: Quadro di Raffaello di Urbino che stà in Roma et è di questo Monastero riceuta del medemo (sic) Plut° 3 n° 27; di seguito un’altra mano ha aggiunto: Quadro sudetto venduto l’anno 1734 al signore cardinale Olivieri per scudi cento e due pianete, una di damasco bianco con sua trina e l’altra de stoffa morella parimenti con sua trina come il tutto vedesi dalle lettere Plut°. 3 n° 27. Februarii 1660, (Ingressus) 31 Maii 1676, (Professio) 13 Iunii 1677; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 1337-1945, p. 446: obiit 1730. 132 Carlo Giuseppe Mirano, di Napoli, abate generale dal 1770 al 1773: SCARPINI, I monaci cit., pp. 371-379. 133 Pietro Roncalli Benedetti, abate generale 1794-1802; AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 71v: Abbas Regiminis, (Nativitas) 9 Martii 1741, (Ingressus) 18 Aprilis 1756, (Professio) 24 Aprilis 1757, (studiorum cursus) Senis egregie Philosophiam defendit et eodem plausu theologiam et sacros canones Bononiè; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 13371945, p. 534, senza riportare la data; muore il 16 aprile 1814; LUGANO, Gli abati di Sassovivo cit., p. 7; SCARPINI, I monaci cit., pp. 419-430. 134 S. Maria in Campis in origine pieve, poi chiesa di un monastero cistercense dal 1373 al 1581, nel 1582 passò agli olivetani, che vi restarono fino al 1810: Monasteri Benedettini in Umbria cit., pp. 61-65; LUGANO, Gli abati di Sassovivo cit., pp. 8-19; LUGANO, L’Abazia Parrocchiale cit., pp. 5-144. 135 Senza indicazione del numero. 136 Senza indicazione del numero.

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SOTTRAZIONI, CONFUSIONI E DISORDINI DI LIBRI

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f. 28r: un’aggiunta del 1740 relativa a scritture spettanti alla tassa sul macinato conseguenza del passaggio degli Spagnoli (Plu° 2, n° 20, non riscontrabile dalla descrizione).

4. I lavori di manutenzione presso l’abbazia di Sassovivo nella seconda metà del Cinquecento nel Vat. lat. 13721 I due fascicoli, ff. 31r-57r (ff. 57v-66v bianchi), contengono una serie minuta di spese e di lavori, prevalentemente di manutenzione, relativi agli anni 1557-1571, 1574, 1576-1583, 1585, 1587, 1589-1590, 1593, e alcuni riferimenti all’abate commendatario pro tempore. Presso l’Archivio Storico Diocesano di Spoleto nel fondo dell’abbazia di Sassovivo sono conservati diversi fascicoli analoghi e il termine secentesco usato nell’inventario spoletino per designarli è quinternettus o quinternetto137, termine che ritorna più volte, così, ad esempio, sono conservati i pagamenti fino al 1552 (fasc. 111, doc. 1460), i cottimi del 1555 (fasc. 112, doc. 1464), mentre non ci sono i pagamenti fino al 1558 (fasc. 108, doc. 1415), ma il documento manca già nelle concordanze di Leone Allodi, da lui preposte all’inventario secentesco il 15 agosto 1902. Do qui di seguito l’indice dettagliato di quanto contenuto nei fascicoli cinquecenteschi del Vat. lat. 13721: f. 31r: 1557138 (al centro, nel margine superiore): Memoria como la nostra abadia qui de Santa Croce139 de Sasso vivo diocis (sic) de Foligno ha auto una lite con140 M. Hyeronimo Spinula141 per conto della reparatione de la fabrica de essa abatia, segue descrizione della composizione della lite, riferimenti anche all’anno 1558; f. 31v: elenco spese relative con note del 22 agosto; 137

Do solo pochi esempi: fasc. 103, doc. 1383 Quinternetto intitolato conto di denari […]; fasc. 104, doc. 1388 Quinternetto de’ calcoli e ricordi et Repertorio; fasc. 113 doc. 1476 Quinternetti […]. 138 L’ultima cifra tuttavia è una macchia di inchiostro. 139 C’è il disegno di una croce al posto della parola. 140 Segue cancellato: tra. 141 Gerolamo Spinola, abate commendatario dell’abbazia di Sassovivo dal 1537 al 1572: IACOBILLI, Cronica cit., pp. 203-208; LUGANO, Le Chiese dipendenti cit., pp. 70-71; cfr. voce corrispondente in: G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro fino ai nostri giorni, LXVIII, Venezia 1854, pp. 298-299. Sulle questioni con lo Spinola ci sono documenti dal 1572 al 1577 e del 1580: Spoleto, Archivio Storico Diocesano, fasc. 104, int. 1392. È citata una sentenza del 14 luglio 1554 per un contenzioso tra il vescovo di Foligno, Isidoro Clario, e Gerolamo Spinula nei Regesti, posseduti dalla Biblioteca Ludovico Jacobilli del Seminario Vescovile di Foligno, manoscritto 563 (D. I. 48), vol. III, compilato nei giorni 18-21 agosto 1919 da alcuni soci della Società per la storia ecclesiastica dell’Umbria, secondo una nota di M. Faloci Pulignani; e un altro regesto di un documento del 1° luglio 1570.

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f. 32r: seguono note di pagamenti relativi al luglio, settembre 1559; f. 32v: seguono note di pagamenti vari da ottobre a dicembre 1559; f. 33r: seguono note di pagamenti relativi al 1560; f. 33v cambia mano (scrittura piccola ed ordinata): promemoria relativo a spese in uscita dal maggio 1560 almeno fino al maggio 1561; la memoria è stesa per me D. Secondo da Perugia142. f. 34r: annotazione in inchiostro molto sbiadito relativa al giugno 1561 (il foglio ha anche una vistosa macchia di umidità); f. 34v: bianco (mm 280  210, fasc. 2+2, fino a f. 37); f. 35r: scrittura sbiadita, macchie di umidità; note relative al 1561 sempre su lavori da muratore riferibili al 1561 e al 1562; a ff. 35v-36v sono annotate le spese relative ai predetti lavori; f. 37r: bianco; f. 37v: annotazioni di spese relative a febbraio e marzo 1562; ff. 38-39: foglio piegato a metà (mm 280  210); f. 38r bianco; f. 38v scrittura sbiadita e macchia d’acqua, note di aprile e maggio 1562; f. 39r: note di spese di maggio 1562 e di maggio 1563, cancellate con un tratto di penna; f. 39v: bianco; poi ripartono i fascicoli interi; ff. con scrittura sbiadita e macchie d’acqua; ff. 40r-43v: seguono scritture contabili del 1562-1563; f. 44r: seguono scritture contabili del 1564; ff. 44v-49r: seguono scritture contabili dal 1565 al 1571; in fine, altra mano (f. 49r): Vista la uscita della Fabrica di questo monastero dalli quindici di Maggio del sessanta quattro per insino alli vinti sei di Maggio del 1571, ascende alla summa di fio. seicento undici bo. trenta tre et de. quattro. Vista per me D. Gio. Battista dal Monte Sante Marie143 per comissione del nostro R. S. Abb. et sua p. presente essendo quello in letto amalato e più l’intrata che l’uscita fio. quaranta due. bo. vinti otto et de. sedici, quali sono in mano del R. P. Cellerario. f. 49v: seguono note di spese del 1574; f. 50r: seguono note di spese del 1575; f. 50v: seguono note di spese del 1576, nota finale: Summa sumarum de tutta l’uscita della fabrica del Monastero di Sassovivo, fatta per me don 142 Secondo da Perugia, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 82ra: f. Secundus de Perusio Professus p° Iunii Perusii 1535; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 13371945, p. 235: obiit 1583. IACOBILLI, Cronica cit., p. 206, lo cita come abate nel 1564 e aggiunge che fu anche visitatore della Congregazione. 143 Giovanni Battista del Monte Sante Marie (località nei pressi di Monte Oliveto Maggiore), AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 151v: (Nativitas) 1533, (Ingressus) 1544 13 Aprilis, (Professio) 1545 13 Aprilis, in monasterio Eugubino; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 262: obiit 1603.

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Secondo perugino abbate moderno in tutti li quattro anni ch’io son stato qui come appare per le intere summe et sua (sic) partite sopra et retroscritte. Scuti 113 ba. 40. Io D. Beneditto da Perugia144 vicario confermo ut supra; Io D. Vito da Perugia145 confirmo ut supra; ff. 51r-53r: seguono note di spese relative al 1577; all’inizio (f. 51r): In Dei nomine amen. Seguita la Uscita della fabriga che se farà per me don Feliciano da Fuligno146 Cellerario moderno di questa abbatia essendo Abbate di detta abbatia il molto R. P. don Gioanfrancesco da Perugia147 dignissimo; f. 53r: alla fine delle spese Vista l’uscita de la fabricha di questo monastero de l’anno 1577 e 78 per me D. Io. Francesco da Perugia, abbate di questo monastero insieme cogli compagni deputati trovamo che ascende alla somma di scudi doicento vintiotto e baiochi diciotto e quattrini doi, numerum Scuti 228-18; segue la sottoscrizione: Io D. Michelangelo da Cantiana148 vicario fui presente etc. Vista per me don Leonardo da Caglio149. Vista per me don Fracesco (sic) da Foligno150 (tutte le sottoscrizioni sono autografe); f. 53v: E più l’uscita de l’intrata scudi setanta e baiochi trentotto e mezzo quali procedono da la più entrata ordinaria del monastero como appare al libro de l’entrata al somma sommarum a c. 56. Scuti 70.38. Seguono di nuovo le sottoscrizioni autografe: Io D. Michelangelo de Cantiana vicario fui presente. Vista per me don Leonardo da Caglio. Vista per me don Fracesco (sic) da Foligno; 144 Benedetto da Perugia, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 30r: (Nativitas) 1556, (Ingressus) 1561, (Professio) 1562; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 267: obiit 1606. 145 Vito da Perugia, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 89v/a: 1541 xi Novembris. AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 217: obiit 1578. 146 Feliciano da Foligno, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 28v/a: 1551. d. Felicianus de Fulgineo .30. Martii habitum sumpsit et eodem die et mense .1552. professus fuit Perusii; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 240: obiit 1592; abate di S. Maria in Campis di Foligno dal 1583 al 1588 e, dopo una breve interruzione, nel 1589: LUGANO, L’Abazia Parrocchiale cit., p. 131. 147 Giovanni Francesco da Perugia, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 43v/b: 1532 f. Ioannes Franciscus Perusinus 6 Maii Perusie; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 222, obiit: 1581; IACOBILLI, Cronica cit., p. 210. 148 Michelangelo da Cantiana, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 59r/b: d. Michaelangelus de Cantiana habitum sumpsit die 19 Aprilis 1562 et eodem die (ms. forse: et eodemque) anno 1563 professus est Eugubii; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 251: obiit 1598. 149 Leonardo da Caglio, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 52v/a: 1532 f. Leonardus de Calleo xii Martii; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 1337-1945, p. 244: obiit 1590. 150 Francesco da Foligno, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 28v/a: d. Franciscus de Fulgineo habitum sumpsit x° Martii 1573 et eodem die et mense anno 1574 (ad. in marg.) professus est in monasterio Saxi vivi; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 268: obiit 1607.

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f. 54r: spese del 1578 con relativa descrizione, come tutte le altre, la nota è redatta per me don Ambrogio da Perugia151; f. 54v: spese del 1579, segue: Vista l’uscita de la fabricha di questo Monastero de l’ano 1578152 e 1579153 trovamo che ascede (sic) alla somma di scudi cento sette e baiochi trenta novi da dì 20 Agosto 1578 sino tutto el 1579. E più l’uscita che l’intrata scudi vintitre e baiochi vintisette e quatrini tre quali procedono da la più intrata ordinaria di questo monastero come appare al libro de l’intrata a c. 70. Ducati 107.93. Io don Alesandro perugino154 vicario affmo. ut supra. Io don Gregorio da Cantiana155 confirmo ut supra. Io don Fracesco (sic) da Foligno confirmo como di sopra. Io don Gabriello da Montefiore156 confermo si come di sopra; f. 55r: 1580: seguita l’uscita dela fabrica che se farà per me don Ambrogio perugino; seguono le spese e la relativa descrizione; seguono alcune spese datate maggio 1581; f. 55v: 1583: seguita l’uscita della fabrica fatta quest’anno sopra detto per mano del reverendo padre don Marc’Antonio da Perugia157 abbate del monasterio; segue anche un’indicazione relativa ad una spesa del 1582 e del 1584, e l’uscita complessiva del 1583; f. 56r: spesa complessiva per il 1585 con indicazione che la spesa è stata superiore all’entrata; note datate luglio 1587 e febbraio 1589; f. 56v: 1590: seguita l’uscita che se farà nella fabrica da me don Giovanni da Perugia158 cellerario di questo monastero di Sassovivo dell’anno sopradetto, seguono spese numerate ma non datate; 151 Ambrogio da Perugia, AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 7r/b: 1563 d. Ambrosius de Perusio habitum sumpsit prima die Maii 1563 et eodem die et mense, anno sequenti 1564 professus est Perusiae; AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 2r, aggiunge alle informazioni precedenti la data di nascita: 1550 x Aprilis; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 330: obiit 1638. 152 Aggiunto sopra: 1578 e. 153 Seguono alcune lettere cancellate. 154 Alessandro da Perugia, AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 7r/b: 1563 d. Alexander de Perusio habitum sumpsit die octavo Septembris 1563 et eodem die et mense anno sequenti professus est Perusia; AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 2r: (Nativitas) 1549 8 Maii, (Ingressus) 1563 8 Septembris, (Professio) 1564 8 Septembris in monasterio Perusino; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 271: obiit 1609. 155 Gregorio di Cantiana, AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 22v: (Nativitas) 1549, (Ingressus) 1564 8 Aprilis, (Professus) 1565 8 Aprilis; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 311: obiit 1629. 156 Gabriele da Montefiore, AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 22r: (Nativitas) 1558 7 Octobris, (Ingressus) 1575 prima Maii, (Professus) 1576 3 Iulii; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 306: obiit 1626. 157 Marcantonio da Perugia, AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 58v/a.: 1533 f. Marcus Antonius de Perusia, 25 Aprilis; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 230: obiit 1585. 158 Giovanni da Perugia, AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 31v: (Nativitas)

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f. 57r: spese in fabrica fatta l’anno 1593 cominciando il presente di maggio seguendo sino al 96 per tuto Aprile; ff. 57v-66v bianchi; ff. 67r-70v (numerazione recente, non meccanica)159: sono stati inseriti qui e legati con il resto del manoscritto 4 fogli volanti, che precedentemente erano collocati dopo il f. 33v: f. 33 bis e 3 ter 33 quater e 33 quinquies numerati e sono: f. 67r (in origine staccato e collocato dopo il f. 33v, mm 285  210; altra mano): Adì 19 Aprile 1572, conto fatto dall’abate Giovanfrancesco da Perugia sempre per prestazioni di Maestro Ceccho da Como muratore per tutto il lavoro svolto nel 1571; f. 67v: bianco, ma è passato l’inchiostro del recto; f. 68r (in origine staccato e collocato dopo il f. 33v, mm 285  210; altra mano): ricevuta di pagamento Adì 3 de genaro 1574 in Sasso vivo, stesa da Tomasso Corradino da Foligno in nome di Maestro Francesco de Maestro Ambrogio da Morbio, muratore; ff. 69v-70r bianchi; f. 70v (il bifolio composto da f. 69 e f. 70 era in origine piegato in 8, su una facciata che rimaneva esterna): Saldo fatto con Maestro Cecho muratore per tutto, dj 3 geno. 1574; f. 70r (mm 210  140): Adj 8 de mago. 1576; Nota che ho pagato, io Abbe. mattoni cinquecento a Piattarella da sto. Rachio e altre osservazioni in merito; f. 70v: bianco, è passato l’inchiostro del recto. 5. Dispersioni di biblioteche olivetane: appunti sulla biblioteca di S. Maria di Monte Morcino di Perugia e sulla sua soppressione Sulle soppressioni degli ordini religiosi a Roma e sulla conseguente confisca delle biblioteche ha fatto luce il puntuale e ricco volume di Andreina Rita160, che rileva confusioni e disordini nella consegna dei volumi e nell’organizzazione dei depositi del materiale confiscato, sia durante la soppressione francese sia durante la soppressione seguita all’unità d’Italia. È il caso questo di un gruppo di manoscritti provenienti sicuramente da S. Maria Nova di Roma, che non sopravvivono mai nell’Ottocento, se non per uno sparuto gruppetto, come fondo a sé stante, ma sono sempre rimescolati con altri di diversa e varia provenienza. Esiste un fondo S. Francesca Romana presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ma l’esame di questo fondo mette subito in luce la con1561 17 Februarii, (Ingressus) 1574 x Maii, (Professus) 1577 x Maii; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 266: obiit 1606. 159 Per questi fogli vedi qui p. 255. 160 Per quanto riguarda S. Maria Nova in particolare: RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 114, 129-131, 407-408.

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fusione avvenuta, perché per la maggior parte dei libri del fondo non si ravvisano elementi precisi di riferimento al monastero di S. Maria Nova, mentre moltissimi volumi del fondo S. Onofrio, oltre a quelli già noti, provengono con sicurezza da S. Maria Nova e, in parte, attraverso il monastero romano, da quello di Monte Morcino di Perugia. Nelle schede relative al fondo S. Francesca Romana i compilatori hanno usato spesso un’espressione prudente: «Il manoscritto, pervenuto alla Biblioteca Nazionale dopo il 1873, in seguito alla legge sulla soppressione delle corporazioni religiose, come provenienza risulta pertinente alla biblioteca degli olivetani annessa alla chiesa di Santa Francesca Romana, o Santa Maria Nova», anche se in realtà il volume, salvo rari casi, potrebbe essere pertinente alla biblioteca di qualsiasi altra congregazione. Un esame diverso è stato possibile invece sul fondo S. Onofrio, dove in molti casi la provenienza olivetana è immediatamente verificabile in base agli argomenti, agli autori o ad una serie di altri elementi connessi con il materiale librario. Dopo la soppressione pontificia, avvenuta nel 1815161, dell’abbazia perugina di Monte Morcino già soppressa dai francesi, una prima volta, nel 1798162, molti manoscritti e stampati giungono a S. Maria Nova, anche se le vicende della monumentale biblioteca furono varie ed articolate: diversi manoscritti e molti stampati si trovano oggi presso l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore e molti altri stampati rimasero in sede e passarono in proprietà all’università di Perugia163. Complessivamente, stante l’inventario stilato nel 1810, in occasione della cessione del bene, doveva trattarsi di una biblioteca di 816 titoli per un totale di 2504 volumi164. 161

Cfr. infra, pp. 296-306. L. BONAZZI, Storia di Perugia dalle origini al 1860, a cura di G. INNAMORATI, II, Città di Castello 1960, p. 371: Bonazzi sembrerebbe collocare la soppressione nel 1796, ma la data del 30 gennaio del 1796 applicata ad una lettera di Giambattista Agretti sulla necessità di accogliere i francesi, sarà — credo per errore tipografico — da attribuire al 1798, in quanto contiene fatti successivi al 28 dicembre 1797 come correttamente riferisce lo stesso Bonazzi. Nel 1798 comunque si ha la soppressione francese “giacobina” degli ordini religiosi a Perugia: C. MINCIOTTI, Fra Girolamo Ramadori: ideologia e lotte reazionarie in Perugia giacobina, in Francescanesimo e società cittadina: l’esempio di Perugia, Perugia 1979, p. 373; per Monte Morcino: MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., p. 277. 163 PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., pp. 197-199. L’inventario, che comprende stampati e manoscritti, intitolato L’Indice de’ libri, fa parte del Verbale dell’atto di possesso del monastero di Monte Morcino e inventari relativi (1810), compilato in occasione del passaggio dei beni dall’abbazia all’Università di Perugia, oggi è conservato presso l’Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5: O. SCALVANTI, InventarioRegesto dell’Archivio universitario di Perugia, Perugia 1898, p. 123. 164 PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., pp. 197-199. Ringrazio Monica Fiore, responsabile del Fondo Antico della Biblioteca dell’Università di Perugia, per avermi reso disponibili i documenti riguardanti l’inventario di Monte Morcino 162

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Vale la pena seguire brevemente le vicende dell’abbazia di Monte Morcino e dei suoi libri. Pur senza fare esplicita menzione di Monte Morcino l’anonima Cronaca della Repubblica francese in Perugia conserva, alla data di sabato 14 aprile 1798, la seguente notizia: Dal Bureau dell’Amministrazione furono circa le ore 9 della mattina spediti due Deputati in più Conventi de’ Religiosi a formare l’inventario di tutti i mobili, commestibili e biancherie, quindi suggellando le porte dei Magazzini, dispense e armarj, presentarono infine l’intimazione in iscritto della partenza degli individui esteri165.

Nel novembre del 1798 fu prelevato il catalogo della biblioteca di Monte Morcino, cosa che avvenne in date diverse anche in altri monasteri cittadini, operazione preliminare alla confisca, che si verificò poi in molti casi, documentati anche dalle suppliche dei superiori religiosi per riavere i libri166. L’andirivieni tra truppe francesi e, di contro, quelle papaline è notevole a Perugia nel primo decennio del secolo XIX, ma il 3 aprile 1808 i francesi fanno ufficialmente ritorno. Il 19 luglio una guarnigione francese occupa Perugia e il 30 aprile 1809 la città viene annessa all’impero francese167. Il 15 giugno 1810 «si soppressero tutti i conventi di tutti i religiosi d’ambo i sessi e si prese possesso di tutti i loro beni»168. Il 18 dicembre 1810 il Maire della Comune di Perugia scrive al rettore in merito alla ricognizione fatta a Monte Morcino e perfeziona la concessione dell’immobile169. Lo Scarpini, storico dell’ordine olivetano, colloca la soppressione napoleonica nel 1811, ma è indubbio che si riferisca a quanto accaduto in quel torno di anni170. e per la segnalazione dei numerosi stampati provenienti dalla biblioteca del monastero, oggi conservati appunto presso la Biblioteca dell’Università di Perugia. 165 L’anonima Cronaca della Repubblica francese in Perugia, che inizia dal 1798, integrata con notizie tratte dal cronista locale Giambattista Marini, è pubblicata da E. RICCI, Cronaca di Giambattista Marini, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria 31 (1934), pp. 1-57; 33 (1935), pp. 1-109; la citazione è dal vol. 31, p. 25. Il 21 giugno 1798 è fissata una pensione per le monache e un risarcimento una tantum per i religiosi maschi (vol. 31, p. 37). 166 P. RENZI, Per una storia delle librarie claustrali soppresse a Perugia tra il periodo giacobino e l’Unità d’Italia (1798-1866): il ruolo di Luigi Canali nella tutela del «lusso bibliografico» cittadino, in Bibliothecae.it, 3/2 (2014), pp. 75-78, 106-113. 167 BONAZZI, Storia di Perugia cit., pp. 387-401. 168 Ibid., p. 404. 169 PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., pp. 195-200, fornisce dettagliate indicazioni sul passaggio dei beni all’università utilizzando documenti dell’Archivio Storico dell’Università degli Studi di Perugia. 170 Sulla soppressione napoleonica di Monte Morcino (1811), resa definitiva da un Breve di Pio VII (23 maggio 1815), all’epoca del vicario generale assoluto Giuseppe Benedetto Cas-

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Ci sono, come si vedrà, indicazioni relative agli anni successivi degli eventi che riguardarono la biblioteca a partire dal 1815, ma qualcosa accadde almeno dopo quel 3 aprile 1808 (o forse già dopo il 14 aprile 1798) e prima del 10 settembre 1810, data ufficiale di compilazione, ma sarà da intendersi come data di chiusura, del catalogo manoscritto del Vermiglioli, oggi conservato alla Biblioteca Comunale Augusta di Perugia171. Perché il Vermiglioli avverte la necessità di stendere un catalogo proprio nel 1810, con l’indicazione delle provenienze dei manoscritti che si trovavano a Perugia o presenti presso la Biblioteca Augusta, provenienza oggi non più riscontrabile nella grande maggioranza degli stessi e destinato a chi? Giovanni Battista Vermiglioli e Luigi Canali172, allora bibliotecario dell’Augusta, si sono forse accordati per rimuovere l’indicazione della provenienza dei manoscritti, rivendicandone l’appartenenza alla biblioteca pubblica e comunque non agli ordini religiosi nel timore che i francesi asportassero i volumi e li allontanassero da Perugia? L’Augusta era biblioteca pubblica dal 1623 e tale qualifica la poneva in certo qual modo fuori dall’ambito delle confische francesi. Le notizie conservateci dal catalogo andranno forse considerate per uso interno dello stesso Canali cui sono indirizzate. Tale ipotesi, per altro, non troverebbe conferma in ciò che accadde in altri luosinis di Padova (1812-1816): SCARPINI, I monaci cit., p. 444. Sulle vicende delle biblioteche di Perugia a seguito delle soppressioni: RENZI, Per una storia delle librarie claustrali cit., pp. 55-123; per Monte Morcino in particolare: p. 91. Sulle modalità delle soppressioni e dell’incamerazione dei beni librari nel 1862 a Perugia è interessante anche, sebbene sia riferito al convento francescano di Monte, lo studio: G. CECCHINI, Carteggio burocratico concernente la biblioteca del Monte nella seconda metà dell’Ottocento, in Francescanesimo e società cittadina, pp. 385-395. Una descrizione della biblioteca di Monte Morcino: SIEPI, Descrizione topologico-istorica cit., pp. 247-248 (sulla soppressione francese: p. 241), in anni più recenti la Deputazione di storia patria per l’Umbria ne ha curato la ristampa, con l’occasione ne sono state stampate per la prima volta le note rimaste inedite: S. SIEPI, Descrizione di Perugia. Annotazioni storiche, 2, a cura di M. RONCETTI, Perugia 1994, p. 692, la nota ricorda che la biblioteca dell’abbazia fu fondata nel 1591 dall’abate Placido Carosi, ampliata successivamente dall’abate Lorenzo Salvi e accresciuta da due “dottissimi germani”, Agostino e Secondo Lancellotti; cenni storici sulla biblioteca in: G. B. VERMIGLIOLI, Cenni storici sulle antiche biblioteche pubbliche di Perugia, Perugia 1843, pp. 9-16; una sintesi della storia dell’abbazia di Monte Morcino: MONACCHIA, Olivetani in Umbria cit., pp. 269-280; PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., pp. 196-197. Un decreto imperiale di requisizione dei beni e delle opere d’arte è del 1812: BONAZZI, Storia di Perugia cit., p. 407. 171 Il già citato 221 (D. 39): G. B. VERMIGLIOLI, Codici perugini illustrati, manoscritto, Perugia 10 Settembre 1810: Vermiglioli dedica l’opera a Luigi Canali, come si può vedere dalla copiosa introduzione, ff. 4r-33v. 172 Su Luigi Canali, prima coadiutore in biblioteca, poi bibliotecario dal 21 novembre 1803: G. B. VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, I, Perugia 1828, pp. 264-266. CECCHINI, La Biblioteca Augusta cit., pp. 58-62. Canali sembrerebbe essere anche l’estensore dell’elenco dei volumi che dagli olivetani di Monte Morcino passarono all’università: PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., p. 197.

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ghi, dove l’appartenenza di libri a una biblioteca pubblica non evitò razzie da parte dei francesi173. Nel catalogo del Vermiglioli troviamo volumi che oggi non sono più alla Biblioteca Comunale Augusta, come il codice Classe I, LI, contenente l’Expositio Regulè S. Benedicti, oggi a Monte Oliveto Maggiore (AMOM B 27)174, o come il codice Classe II, LXVI, Aristotelis Prèdicamentorum lib., che dalla descrizione e dalla sottoscrizione coincide inequivocabilmente con un altro dei manoscritti oggi a Monte Oliveto Maggiore (AMOM A 27)175, o come, probabilmente, il codice Classe I, LIX contenente l’Apocalypsis nova, oggi pure a Monte Oliveto Maggiore (AMOM B 4)176. Tutti questi manoscritti però passarono dagli olivetani alla Pub. Libreria, cioè nella Biblioteca Comunale Augusta, se ci atteniamo alle indicazioni del catalogo del Vermiglioli. Sappiamo che dopo l’allontanamento dei francesi i rappresentanti degli ordini religiosi trattarono la restituzione dei libri, come avvenne in altre città177 e lo stesso dovette accadere per gli olivetani, che scelsero però spontaneamente di lasciare alla Biblioteca Augusta alcuni volumi dei 14 indicati dal Vermiglioli, cioè sicuramente il codice Classe III, XXXI, un volume del sec. XV, contenente ricette mediche, oggi segnato 288 (E. 35)178, che ci conserva sia la segnatura del Vermiglioli (f. 2r), sia quella di Monte Morcino sul dorso (Plut. V. I. 23); il codice Classe V, XIV. 2 del sec. XVII, con rime di Curzio Gonzaga e altri, oggi segnato 556 (H. 41)179, che pure mantiene la segnatura attribuitagli dal Vermiglioli (f. 1r). Probabilmente coincide con il codice Classe II, XLI del Vermiglioli la Pharsalia di Lucano, oggi segnato 485 (G. 74)180 del sec. XIII, anche se non vi è nessun elemento particolare, salvo il fatto che il Vermiglioli afferma che il manoscritto membranaceo era molto postillato e lo attribuisce al «secolo XV, forse anche al secolo XIV»181; e ancora il codice Classe V, I con il Liber 173 RENZI, Per una storia delle librarie claustrali cit., pp. 70-71, che fornisce anche una dettagliata ricostruzione dell’intera operazione e delle apparenti “contraffazioni” in riferimento ad altri monasteri (pp. 65-68). 174 VERMIGLIOLI, Codici perugini illustrati, ff. 91v-92r. 175 Ibid., f. 274r. 176 Ibid., ff. 95r-96v. Per la descrizione di questi manoscritti: MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca cit. 177 Sulla complessa questione delle restituzioni valga l’esempio romano: RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 355-378; per Perugia: RENZI, Per una storia delle librarie claustrali cit., passim. 178 Descrizione sommaria: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 111; è in corso l’inserimento da catalogo delle schede in Manus; qui si indica quanto inserito alla data del 15 luglio 2019. 179 Descrizione sommaria: ibid., p. 149. 180 Descrizione sommaria: ibid., p. 135. 181 VERMIGLIOLI, Codici perugini illustrati cit., f. 259r.

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Nimpharum del Boccaccio è oggi il 562 (H. 47)182, che reca sul dorso la segnatura della biblioteca di Monte Morcino: Pl. III I Num. 34183. Non sono, al momento, ricomparsi o non sono identificabili con sicurezza alcuni codici, sempre descritti dal Vermiglioli: Classe I, XXIII del sec. XV contenente di S. Ambrogio: De officiis, Regula pastoralis, De paradiso; Classe I, XLV del sec. XVI con l’Officium Montis Oliveti (in questo caso il Vermiglioli non indica esplicitamente la provenienza da Monte Morcino, ma essa è molto probabile); Classe I, LXIV del sec. XV contenente le opere di Antonino da Firenze; Classe I, LXV del sec. XV con l’opera di Ambrogio da Cori184; Classe I, LXVI con il De institutione et regimine prèlatorum di Leonardo Giustiniani; Classe I, LXXVII con una Summa de casibus; Classe II, XV del sec. XV contenente di Cicerone: De amicitia, De senectute, Paradoxa185. Non compaiono nel catalogo del Vermiglioli il bel manoscritto 1239186, contenente il testamento del cardinale Nicola Capocci (sec. XIIIex182

Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., pp. 149-150; VERMIGLIOCodici perugini illustrati cit., ff. 675r-676v, che ne conferma la provenienza da Monte Morcino. 183 Il manoscritto 562 (H. 47) a f. 78v ha la sottoscrizione del copista dell’opera del Boccaccio: Scripto nell’anno Domini m°cccc°lxiiii a dì 20 de marzo per mano de mi P. Antonio de Rodolfo di Iuvanni de Crom° (?). Deo gratias. Amen. Vermiglioli (f. 676v) scrive in una nota marginale — credo — in riferimento al copista, che vi è un altro bel codice bombicino in 8°. Oltre al Ninfale il volume contiene sonetti anonimi, gli epitaffi dell’umanista e poeta perugino Francesco Maturanzio e un’opera in ottave sulla passione di Gesù. 184 La Biblioteca Comunale Augusta possiede due manoscritti con le opere di Ambrogio Massari da Cori, docente presso lo studio di Perugia: il 387 (F. 61), un codice miscellaneo che contiene a ff. 1-84 un’Expositio super libro sex principiorum edita ab egregio sacre theologie doctore magistro Ambrosio de Cora; scripta per me Marsilium magistri Nicolai de Fulgineo et completa xxiiii die Septembris anno Domini 1467, dum essem Perusii et in Sapientia nova moram traherem studendi gratia (descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., pp. 123-124) e il 505 (G. 94), contenente un Ambrosii Corani liber de sacerdotum vita ad dom. Iacobum de Cortonio episcopum Perusinum (descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 139), ma l’esame diretto degli stessi non pare dimostrare legami con la descrizione del Vermiglioli. Su Marsilius magistri Nicolai de Fulgineo e la sua sottoscrizione: C. CABY, Ambrogio Massari, percorso biografico e prassi culturali, in La carriera di un uomo di curia nella Roma del Quattrocento. Ambrogio Massari da Cori, agostiniano: cultura umanistica e committenza artistica, a cura di C. FROVA – R. MICHETTI – D. PALOMBI, Roma 2008, p. 27; C. FROVA, Auctoritates, in Maestri, insegnamenti e libri a Perugia. Contributi per la storia dell’Università 1308-2008, a cura di C. FROVA – F. TREGGIARI – M. A. PANZANELLI FRATONI, Milano 2009, pp. 86-87, 95; C. CABY, Les discours de laudibus theologie de l’augustin Ambrogio Massari pour le Studium de Perouse, in Annali di storia delle Università italiane 18 (2014), p. 79 (nt. 15). Sull’opera dedicata a Jacopo Vannucci da Cortona, senza però riferimento al codice perugino 505 (G. 94): CABY, Ambrogio Massari cit., p. 35. 185 L’ordine del Vermiglioli è quello dei testi nel manoscritto. 186 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., pp. 263-264. Anch’esso entrato nell’aprile del 1888. Scheda in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda. php?ID=48472&lang=en, consultata il 15 luglio 2019. LI,

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1368)187, grande protettore degli olivetani, che a f. 4r reca, di mano del sec. XVII, la nota di possesso: Hic liber est Monasterii Montis Morcini congregationis Montis Oliveti e neppure il volume dei Consilia e Privilegia, oggi segnato 1007 (M. 30)188, di sicura provenienza da Monte Morcino, oltre al già citato Liber privilegiorum [1260 (XXII), Fondo Soppresse Corporazioni religiose]. Nel catalogo del Vermiglioli non compaiono pure i numerosi manoscritti del secolo XVII, che si trovano ora presso la Biblioteca Comunale Augusta, provenienti sicuramente da Monte Morcino, ma che potrebbero essere entrati con gli altri ed esservi stati lasciati dai monaci perché ritenuti di scarso interesse oppure in alcuni casi vi sono pervenuti dopo la soppressione napoleonica da raccolte private in cui erano finiti a seguito delle varie dispersioni. Tra questi i manoscritti che ci riportano ancora a Secondo Lancellotti, sia autografi sia a lui riferibili: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta 145 (C. 28)189, in parte autografo dell’autore; 1394190 con le notizie sui monasteri veneti e un epigramma di dedica dell’olivetano Ortensio Veronese191 del 1612; 175 (C. 58) con appunti e bozze di Secondo, autografo192; 1393193, probabilmente appartenuto ad Ottavio Lancellotti194, per cui non da Monte Morcino, con poesie anche di Secondo; 942 (i. 18)195 contenente lettere di 187

B. GUILLEMAIN, Capocci, Niccolò, in DBI, 18, Roma 1975, pp. 600-603. Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., pp. 226-227; P. NARDI, Il giureconsulto Lorenzo Ermanni da Perugia (…1399-1424…) e la plenitudo potestatis del papa, in Honos et artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri. La formazione del diritto comune. Giuristi e diritti in Europa (secoli XII-XVIII), a cura di P. MAFFEI – G. M. VARANINI, 1, Firenze 2014 (Reti Medievali E-Book, 19/1), pp. 389-390; per i consilia riguardanti Monte Oliveto Maggiore: M. ASCHERI, I primi consilia giuridici per l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, in Da Siena al ‘desertum’ di Acona, in Atti della giornata di studio per il VII centenario del ritiro di Bernardo Tolomei a vita penitente ed eremitica (1313). Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, 26 Agosto 2014, a cura di V. CATTANA – M. TAGLIABUE, Cesena 2016 (Italia Benedettina, 42), pp. 73-95. 189 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 86. Il manoscritto è citato anche da RUSSO, Lancellotti cit., p. 307, pp. 309-311. 190 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 278. Il manoscritto è citato anche in: RUSSO, Lancellotti cit., p. 311. 191 Ortensio Sori di Verona (1584-1659), monaco olivetano, scrittore e poeta: BELFORTI, Cronologia brevis cit., pp. 51-52 e SCARPINI, I monaci cit., 236. 192 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 96. Il manoscritto è citato anche in: RUSSO, Lancellotti cit., p. 307, 309-311. 193 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., pp. 277-278. 194 VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., II, pp. 48-51. I suoi libri per lascito andarono alla Biblioteca Comunale Augusta, dove furono consegnati il 30 giugno 1672: CECCHINI, La Biblioteca Augusta cit., p. 87. 195 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., pp. 209-210. Il manoscritto è citato anche in: RUSSO, Lancellotti cit., p. 311. 188

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Ottavio Lancellotti, fratello di Secondo e di Agostino, ai suoi due fratelli (fratelli di sangue) olivetani. Segnalo infine: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta 71 (B. 15), Miscellanea Olivetana del sec. XVIII, contenente tra l’altro la Continuazione delle Novelle letterarie num. 27 del 1746 e num. 9 del 1747 (ff. 67r-70r)196; e il manoscritto 223 (D. 41), una biografia di Bernardo Tolomei scritta dall’olivetano Angelo Lauri197. Merita infine una menzione particolare il codice 303 (E. 51)198, ricchissima miscellanea settecentesca di argomento olivetano, che, tra gli altri testi ci presenta, anche per aggiunta alla Cronologia del Belforti199 (ff. 29r35v e ff. 45v-47r)200, una specie di catalogo delle opere degli olivetani esistenti presso la libreria di Monte Morcino con le relative segnature201. Per dare un’idea della precisione descrittiva cito, a titolo d’esempio, quanto detto per Secondo Lancellotti (f. 45v): Dell’abate d. Secondo Lancellotti oltre la Storia olivetana impress. Venet. nel 16 (in bianco lo spazio seguente)202, l’Oggidì, i Farfalloni, l’Oggidì 2°, ouero gl’ingegni non inferiori, il Mercurio olivetano, et il Vestir di bianco dati alle stampe nella libreria di M.M. stampato in (spazio bianco) e posto fra Miscellanei al vol. S203. oltre alla gran opera dell’Acus Nautica204 in to. 22 in f°., si conservano 196 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 74. Analogo contenuto in AMOM B 7 e B 8: MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca cit. 197 Vedi qui, nt. 225, p. 293. 198 Descrizione sommaria in: Perugia, Biblioteca Comunale cit., p. 114. 199 BELFORTI, Cronologia brevis cit. Su Michelangelo Belforti olivetano: ARMELLINI, Appendix cit., pp. 45-46; VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., I, p. 203. 200 Da f. 36r a f. 45r ci sono altre note riguardanti vicende olivetane (elezioni di abati e varie). 201 Prevalentemente si tratta di opere manoscritte con l’indicazione dell’edizione a stampa quando esistente. 202 L’anno è il 1623. 203 In margine con segno di richiamo da: stampato a S. 204 Oggi: Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, S. Onofrio 3-24. I manoscritti si trovavano ancora a Monte Morcino nel 1810, quando viene stilato l’Indice de’ libri dell’abbazia in occasione del passaggio dei beni all’università di Perugia, come si legge al f. 30r del documento, oggi conservato presso l’Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, ff. 22r-31v. Si può supporre che, dopo la stesura dell’Indice, sia intercorso qualche accordo per cui alcuni manoscritti restarono comunque agli olivetani. Compaiono infatti nel medesimo inventario, sicuramente attribuibili a Secondo Lancellotti, anche Epithema scripturientium (f. 30r), Opera moralia et theologica (f. 30v), Pittime de’ tribolati (f. 30v): il primo e il terzo oggi nel fondo S. Onofrio, il secondo, probabilmente, corrisponde a AMOM A 49, oltre a varie opere manoscritte di altri autori confluite in parte nei fondi della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma o presso l’Archivio di Monte Oliveto Maggiore, di cui si dà conto qui. Forse, tra il 1815 e il 1816, in occasione dell’acquisto di ciò che restava della biblioteca dell’abbazia da parte dell’università, che considerava troppo oneroso il trasporto della stessa a Roma, i monaci trattennero alcuni volumi presenti nell’inventario del 1810. Ricorda l’episodio dell’acquisto: PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., p. 199.

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le Pittime de’ tribolati205 et altre sue opere in to. 9 in fo. segnati al di fuori con le lettere T.T., di più il Bartimeo cieco di Gerico discorso al n° 60, altro discorso sopra il modo introdotto di fare la disciplina al n° 59. Un libro di conti de’ denari riceuti e spese nel suo giro per la Religione al n° 58206. Le Regole di aritmetica al n° 60207. Compendio di alcuni trattati di teologia n° 82. Le famiglie annue del monastero di M.M. dall’anno 1374 sino al 1628. L’abate d. Secondo raccolse ancora le Memorie principali del monasterio di Monte Morcino, che lì si conservano nell’archivio di detto monasterio al to. 32 n. 224. Il medesimo fece una risposta a un tale Argenti208 che gl’aueua scritto contro rispetto alla patria di Traian imperatore, che il Lancellotti sostenne che non fosse altrimenti da Todi ma spagniolo. Si veda tra i manoscritti al to. (spazio bianco) n. (spazio bianco)209.

Tra gli altri autori sono con altrettanta precisione citati: Adriano Banchieri di Bologna, che scrisse sotto il nome di Camillo Scaligeri della Fratta210, Antonio da Lodi211, converso, Lorenzo Agnelli212, Secondo Bartelli di Perugia213, Michele Angelo Belforti da Perugia, Paolo Capra di Perugia214, 205

Oggi: Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, S. Onofrio 25-26. Oggi: Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, S. Onofrio 64. 207 Forse: Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, S. Onofrio 38. 208 G. F. ARGENTI, Apologie o vero risposte alli discorsi del Sig. Domenico Tempesta, e del Signor Academico Insensato fatti intorno alla patria di Traiano imperatore, In Todi, Per Cerquetano Cerquetani, 1627. 209 Per le opere: RUSSO, Lancellotti cit., pp. 306-311. Da L’abate d. Secondo fino alla fine è scritto nella mezza colonna bianca di sinistra (f. 45v) senza segni di richiamo interni, per cui il testo, forse di incerta collocazione, è stato trascritto alla fine. 210 Adriano Banchieri (1568-1634), musicista e scrittore, usò vari pseudonimi: cfr. O. MISCHIATI, Banchieri, Adriano, in DBI, 5, Roma 1963, pp. 649-654. 211 Nella Natio Laudensis figura un Antonius tra gli oblati: AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 155r: (Nativitas) 14 Februarii 1658, (Ingressus) 31 Mar. 1681; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 467: obiit 1735. 212 Laurentius abbas de Mantua (1601-1663), AMOM Cancelleria XI. 2, Liber professorum D, f. 80r: (Nativitas) 19 Aprilis 1601; (Ingressus) 15 Novembris 1615; (Professus) 24 Iunii 1617; AMOM, Cancelleria X. 5 e Cancelleria X. 6, Familiarum Tabulae, ad annos: a S. Maria in Gradara di Mantova (1616, 1617; a Monte Oliveto Maggiore, 1623, 1630; a S. Stefano di Genova, 1636; più volte abate a S. Maria in Gradara di Mantova (1638-1641, 1642-1648), a S. Giovanni in Deserto (1641), a S. Maria del Pilastrello di Lendinara (1648-1650), infine abate titolare a Rodengo (1654-1662); AMOM Cancelleria XII. 1, Necrologium, f. 68v: † 1663. 213 VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., I, p. 173. 214 Paolo Capra da Perugia (1662-1727), AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 214v: (Nativitas) 31 Martii 1662, (Ingressus) 5 Aprilis 1676, (Professio) 5 Augusti 1679, (studiorum cursus) Hic philosophiam publice defendit et Bononiae theologiam; AMOM, Cancelleria X. 7 e Cancelleria X. 8, Familiarum Tabulae, ad annos: 1676-1677 S. Maria di Monte Morcino a Perugia, 1678-1680 S. Maria a Monte Oliveto Maggiore, 1681-1683 S. Michele in Bosco a Bologna, 1684 S. Maria Nova a Roma, 1685-1686 S. Maria a Monte Oliveto Maggiore, 16871688 S. Giorgio a Ferrara (lector philosophus), 1689 S. Giorgio a Ferrara (vicarius), 1690-1693 S. Antonio a Perugia (vicarius), 1694-1696 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (magister novitiorum), 1697-1698 S. Maria di Monte Morcino (vicarius), 1699 S. Pietro a Gubbio (vica206

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Ercole Corazzi di Bologna215, Ghirlando Mascardi216, Placido Titi da Perugia217, Gaetano Bargagli218, Balsamo da … (così nel manoscritto)219, Anrius), 1700 Ss. Angelo e Niccolò a Villanova di Lodi (magister novitiorum), 1701 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (vicarius), 1702-1704 S. Maria a Monte Oliveto Maggiore (vicarius), 1705-1707 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (abbas), 1708-1710 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (abbas vacans), 1711-1713 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (abbas), 1714-1716 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (abbas vacans), 1717-1719 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (abbas), 1720-1722 S. Maria di Monte Morcino a Perugia (abbas vacans), 1723-1725 S. Pietro di Bovara a Trevi (abbas et visitator), 1726-1727 S. Antonio a Perugia (abbas); AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 453: Anno Domini 1727. Rev. P. D. Paulus Capra de Perusio Abbas S. Antonii, qui magnos exantlavit labores in litterarum studiis et cum primis in sacra ac profana historia, iure canonico et civili ac mathematicis disciplinis. Edidit tres meditationes nonullorum sanctorum Ord. S. Benedicti impressas Perusiis 1711 et alias reliquit manuscriptas. Obiit tertio Nonas Septembris in monasterio S. Antonii Abb. Perus. Sue note di possesso in Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, S. Onofrio 145-146. Alla stessa mano sembrerebbero riconducibili note presenti in S. Onofrio 144 e 147 e “in un esemplare a stampa, contenente la prima edizione (Venezia, Bortoli, 1708) dell’“Armonico pratico al cimbalo” di Francesco Gasparini (1668-1727), conservato presso la Biblioteca dell’Università di Perugia, con segnatura: Bibl. Dottorato, XVII 4 49” (cfr. Manus, schede relative). Si tratta del Repertorium legale citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30r. 215 Ercole Corazza (1673-1726), professore di matematica a Bologna e a Torino. Resta fondamentale sulla vita e sulle opere: G. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 204-208; si vedano inoltre: ARMELLINI, Appendix cit., p. 43; E. DE TIPALDO, Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, Lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei, II, Venezia 1835, pp. 306-307 (voce: Corazzi Ercole, compilata da P. A. PARAVIA); Dizionario biografico universale, II, Firenze [1842], p. 165 (voce: Corazzi Ercole); S. MAZZETTI, Repertorio di tutti i professori antichi, e moderni della famosa università, e del celebre istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1847, p. 99; P. RICCARDI, Biblioteca matematica italiana dalle origini della stampa ai primi anni del secolo XIX, I, Modena 1870, coll. 371-373 [ristampa anastatica Martino Publishing, Mansfield Centre (Conn.), 2001]; L. SIMEONI, Storia della università di Bologna. L’età moderna, II, Bologna 1940, p. 116; SCARPINI, I monaci cit., p. 316, 329; C. MASETTI, Don Ercole Corazza, in L’Ulivo, n. s. 8 (1978), nr. 2, pp. 23-27; CATTANA, Monasteri e monaci cit., p. 326 (nt. 39); M. MAZZUCOTELLI, Ambienti monastici italiani e mondo scientifico nel XVIII secolo, in Settecento monastico italiano, p. 819 (nt. 51); pp. 822-823, 834; ID., Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, I, Seregno 1989, pp. 45, 91-92 (è citato il manoscritto AMOM A 31, composto nel 1713). 216 Girlando o Ghirlando d’Agrigento (1586-1639), AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum C, f. 23r: (Nativitas) 19 Decembris 1586, (Ingressus) 8 Decembris 1600: (Professus) 21 Martii 1602, in monasterio Nemoris (= S. Maria del Bosco di Calatamauro in diocesi di Agrigento); AMOM, Cancelleria X. 5, Familiarum Tabulae, ad annos: attestato tra il 1603 e il 1638, per lo più nel monastero di Calatamauro; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 332: † 1639, d. Gerlandus de Agrigento, edidit libellum De ceremoniis ecclesiasticis; BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 177: D. Girlandus de Agrigento evulgavit Librum de Ritibus Eccl. circa SS. Altaris Sacramentum, monasticae observantiae excultor. 217 Placido Titi, olivetano, matematico, docente a Pavia e Padova: BELFORTI, Cronologia brevis cit., pp. 110-112; ARMELLINI, Appendix cit., p. 47; VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., II, Perugia 1829, pp. 304-305; SCARPINI, I monaci cit., p. 273. 218 Gaetano Maria Bargagli, nato il 22 maggio 1670, vescovo di Chiusi dal 22 febbraio 1706 al 30 giugno 1729: F. UGHELLI, Italia sacra […] editio secunda, aucta et emendata, tomus III, a cura di N. COLETO, Venetiis 1718, col. 654; BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 17; Notizie

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drea Passini di Perugia220, Gaspare Frattasio da Napoli221, Modesto da Perugia222, Agostino Ghislieri223, Agostino Lancellotti224, Secondo Lancellotti, specificando che le Memorie di Monte Morcino da lui scritte si conservano nell’Archivio dell’abbazia e non nella Biblioteca, Angelo Lauri225, Mauro Puccioli226, anche qui distinguendo tra Archivio e Biblioteca, Barnaba Ric219

per l’anno 1722, Roma 1722, p. 124; Notizie per l’anno 1724, Roma 1724, p. 124; Notizie per l’anno 1725, Roma 1725, pp. 139-140; ARMELLINI, Appendix cit., pp. 48-49; SCARPINI, I monaci cit., p. 310 e 339. 219 Il manoscritto aggiunge (f. 35r) che scrisse: diversi sonetti in lode della SS. Concezione, che si leggono nel detto vol. 5 a c. 325. 220 ARMELLINI, Appendix cit., p. 40. 221 Gaspar Frattasius Neapolitanus: ARMELLINI, Appendix cit., p. 43. Un manoscritto contenente il De dignitate abbatis regularis del Frattasio è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30v. Ora il libro si trova a Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, S. Onofrio 32. 222 Secondo il compilatore lasciò alquanti scritti di concetti predicabili et una selva per tale effetto. 223 BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 85; ARMELLINI, Appendix cit., p. 41. Le sue Disputationes analiticè sono citate nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30v, ora a Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, S. Onofrio 52-53. 224 BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 108; ARMELLINI, Appendix cit., p. 41; VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., II, pp. 39-40. 225 Nel manoscritto a questo punto (f. 45v) è inserito un riferimento all’opera del Lombardelli (†1613): D. Angelo Lauri in Fabriano scrisse la vita del B. Bernardo, che vedesi ms nella Libreria di M. Morcino al n° 26. Questa vita è quasi trascritta da quella del Lombardelli. Il riferimento è a: G. LOMBARDELLI, Vita del Beato Bernardo Tolomei Senese, Abbate, & Institutore de’ Monaci Oliuetani dell’Ordine di S. Benedetto, a cura di B. PACCINELLI, Lucca 1659, opera scritta tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600. Angelus Maria Laurus della Natio Fabrianensis: AMOM, Cancelleria XI. 2, Liber professorum, f. 30r: (Nativitas) 25 Aprilis 1607, (Ingressus) 9 Maii 1627, (Professio) 18 Iunii 1628; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 350: obiit 1649, il Necrologium lo ricorda come presbyter. Oggi l’opera è conservata a Perugia presso la Biblioteca Comunale Augusta con segnatura 223 (D. 41): Perugia, Biblioteca Comunale, a cura di BELLUCCI, p. 102, reca la data Camerino p°. Gennri. 1645 (cfr. epistola dedicatoria dell’autore, Angelo Maria Lauri, scritta sulla carta incollata al verso del primo di copertina). 226 Mauro Puccioli (1562-1650), AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 352: R. Dominus Maurus de Perusio abbas benemeritus decrepitus obiit cum magna fama sanctitatis apud Perusinos confluentibus populis ad eius tumulum et gratias accipientibus; AMOM Cancelleria XI. 1, Liber professorum B, f. 42r: (Nativitas) 1562 xxi Decembris, (Ingressus) 1574 25 Martii, (Professus) 1579 Aprilis (manca l’indicazione del giorno); di lui scrisse una vita popolare nel 1689 l’olivetano Bonaventura Tondi, un’altra, nel 1716, M. A. BELFORTI, Vita del ven. servo di Dio D. Mauro Puccioli abate olivetano, Milano 1716; la notizia è riportata anche in: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, 303 (E. 51), f. 46r; nelle scritture riguardanti la beatificazione del Puccioli conservate a Perugia, Archivio di Stato, Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Controversie e pratiche amministrative varie, 25, sono contenute anche lettere autografe; ARMELLINI, Appendix cit., p. 45; VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini cit., II, pp. 247-249; ulteriori indicazioni in [P. LUGANO], Il padre d. Ildebrando M. Polliuti abate generale dei monaci benedettini di Montoliveto (1854-1917), Foligno 1918 (= Roma 2017), p. 40; SCARPINI, I monaci cit., pp. 256-257, 298 (nt. 4); G. PICASSO, Puccioli (Maur), olivétain, 1562-1650, in Dictionnaire de spiritualité, XII/2, Paris 1986, coll. 2605-2606;

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coboni da Rovigo227, Lorenzo Salvi228, Gasparo Turco229, Evangelista Turisenghi230, Angelo Valentini da Siena231, Cipriano Boselli232, Ottavio Cattaneo di Foligno233, Luigi Manzini di Bologna234, Niccolò Oddi di Padova235. Gli olivetani avevano sperato che con il ritorno del potere papale, avvenuto il 24 aprile 1814236, le cose si sarebbero volte al meglio, ma dell’abR. DONGHI, Esortazioni ai novizi di Mauro Puccioli da Perugia († 1650), in Monastica et humanistica. Scritti in onore di Gregorio Penco O.S.B., I, a cura di F. G. B. TROLESE, Cesena 2003 (Italia benedettina, 23), pp. 491-501; R. DONGHI, Lo stemma olivetano, in L’Ulivo n. s. 44 (2014), nr. 1, pp. 56-69. Sue opere sono AMOM A 5 e A 6 e a Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, S. Onofrio 35, S. Onofrio 45, S. Onofrio 46. S. Onofrio 58. 227 BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 66; SCARPINI, I monaci cit., p. 228. 228 ARMELLINI, Appendix cit., p. 44; due volte abate generale nel 1593 e nel 1611: SCARPINI, I monaci cit., pp. 179-201, 206-207, 212-215, studioso di geometria e di matematica, si adoperò molto per l’abbazia di Sassovivo e di Monte Morcino. Cfr. qui nt. 170, p. 288 e nt. 270, p. 303. 229 Gasparo Turco, AMOM, Cancelleria XI. 3, Liber professorum, f. 298r: (Nativitas) 28 Iunii 1692, (Ingressus) 20 Martii 1708, (Professio) 27 Martii 1709, (studiorum cursus) Philosophiam Brixiè magno cum plausu publice sustinuit 1720 ac Florentiè sacram Theologiam. 230 ARMELLINI, Appendix cit., p. 43. Un manoscritto contenente il Cantico dei Cantici tradotto dall’ebraico con commento Evangelista Turrisego (sic) cremonese è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 31r. 231 BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 20; il compilatore della lista segnala una notizia (f. 46v), di cui però in AMOM, Cancelleria III. 1, nel volume che contiene i sermoni tenuti in occasione dei capitoli generali, non si trova riscontro: Non si fa menzione nella Cronologia della sua Orazione fatta nei comizi generali olivetani l’anno (manca) e data alle stampe in (manca) e si trova nella Libreria di M. M. a Miscellanei del vol. B a c. 151; AMOM, Cancelleria XI. 2, Liber professorum D, f. 84r: (Nativitas) 19 Februarii 1614, (Ingressus) 1 Augusti 1627, (Professio) 6 Iunii 1630; AMOM, Cancelleria XII. 5, Necrologium 1337-1945, p. 354: obiit 1661. 232 BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 32; G. M. MAZZUCHELLI, Gli scrittori d’Italia, 2.3, Brescia 1762, p. 1832, cita una notizia, a riguardo di una edizione del 1680 (Retroguardia al lettore dell’Austria Anicia, Milano 1680), riportata in: P. A. ORLANDI, Notizie degli scrittori bolognesi e dell’opere loro stampate e manoscritte, Bologna 1714, p. 170, che definisce il Boselli aretino e abate olivetano. 233 Cfr. supra, nt. 119, pp. 277-278. 234 ORLANDI, Notizie degli scrittori bolognesi cit., pp. 202-203; BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 86; ARMELLINI, Appendix cit., p. 40; SCARPINI, I monaci cit., p. 236. 235 Niccolò degli Oddi (Padova 1560-1626), a S. Maria di Monte Morcino dal 1580 al 1581, poi a S. Secondo all’isola Polvese, quindi abate di S. Benedetto di Roncofreddo (Rimini), a Padova di S. Benedetto Novello, di S. Maria della Riviera e di S. Giovanni Battista del Venda, dove muore. G. M. MAZZUCHELLI, Gli scrittori d’Italia, 2.2, Brescia 1760, p. 668; SCARPINI, I monaci cit., p. 208; M. CORSELLI, Carlo Belli: appunti per un itinerario biografico, in Francescanesimo e cultura in Sicilia (secc. XIII-XVI), Atti del Convegno internazionale di studio nell’ottavo centenario della nascita di San Francesco d’Assisi, Palermo, 7-12 marzo 1982, in Schede Medievali 12-13 (1987), p. 213; M. RANIERO, Nicolò degli Oddi amico e corrispondente di Tasso, in Padova e il suo territorio, fasc. 57, 10 (1995), pp. 44-45; G. ROCCARO, Il ‘De secundarum intentionum natura tractatus’ del siciliano Carlo Belleo, in Giovanni Duns Scoto. Studi e ricerche nel VII Centenario della sua morte, in onore di P. César Saco Alarcón, a cura di M. CARBAJO NÚÑEZ, II, Roma 2008, pp. 411-412. 236 BONAZZI, Storia di Perugia cit., p. 410.

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bazia di Monte Morcino viene mantenuta la soppressione con un Breve di papa Pio VII, il 23 maggio 1815237, avvio questo di una storia penosissima per la Congregazione durante la prima metà dell’Ottocento, in cui si inserisce, come si è visto, anche l’inglobazione nell’ordine camaldolese. Siepi ci informa che i monaci restarono fino al giugno 1810, che il 3 dicembre 1811 si aprì l’università e che Pio VII confermò cessione dell’immobile il 23 maggio 1815 «coll’annuo canone di sc. 200 da pagarsi agli Olivetani in ricognizione del diretto loro dominio»238. Il 9 febbraio 1816 vengono stimati gli arredi della libreria in 256 scudi239. Gli edifici dell’abbazia di Monte Morcino vennero da subito assegnati all’università di Perugia. I libri della cospicua biblioteca, stampati e manoscritti, finirono in buona parte all’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, ma un libro di memorie del monastero senese di S. Benedetto presso Porta Tufi, nel riportare la notizia dei volumi che arrivarono a Monte Oliveto nel 1822 — «una sufficiente quantità di libri», non tutti, dunque, anche se si trattava di 21 cassoni per un totale di 1403 pezzi — riferisce che i libri partirono da Perugia e che della spesa si incaricò il monastero di Roma possessore dei beni stabili del monastero di Monte Morcino: Una sufficiente quantità di libri, che esistevano nella Libreria del Monastero di Monte Morcino di Perugia, fu dal Rev.mo Padre Abbate D. Stefano Ascanio Giannetti240, Vicario Generale Apostolico, aggiudicata a questo Principal Monastero; di tali libri furono formati 21 cassoni molto bene assestati, acciò non soffrissero nel trasporto. Partirono dunque da Perugia e giunsero alla Dogana di Siena sulla fine dell’anno scorso 1822. Per le spese di porto fino alla città suddetta, se n’incaricò il Monastero di Roma, possessore dei Beni stabili del surriferito Monastero di Perugia, sicché giunsero in Siena senza spesa alcuna di questo Monastero, come pure senza spesa d’introduzione nello Stato e nella Dogana di Siena, essendosi a ciò adoprato appresso il Governo il Rev.mo Padre Abbate D. Benedetto Bellini241, Cellerario, meno per altro la spesa solita farsi per i facchini della Dogana. Tali casse rimasero ferme diversi mesi in Dogana. Fra il mese poi di Marzo e Aprile del 1823 furono trasportati in Asciano da barrocciai di quella Terra, e la spesa consiste in lire 56. I contadini poi del Monastero in due o tre mandate, se non isbaglio, portarono qua i surriferiti cassoni, sani e 237 SCARPINI, I monaci cit., p. 444; PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., p. 198. 238 SIEPI, Descrizione topologico-istorica cit., p. 241, che riporta però la data del 20 maggio. 239 PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., p. 198, che riporta però la data del 20 maggio. 240 Don Stefano Ascanio Giannetti di Lucca, vicario generale, poi abate generale, dal 1816 al 1827: SCARPINI, I monaci cit., pp. 444-450. 241 Don Benedetto Bellini, vicario generale assoluto, poi abate generale, dal 1834 al 1841: SCARPINI, I monaci cit., pp. 455-458.

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salvi, ed il 21 del detto Aprile erano qua tutti. I libri furono tosto collocati, in numero di 1403, in una stanza a capo scala, che prima serviva ad uso Archivio, ove vi sono li scaffali di materia, su dai quali vi furono sollecitamente posti e classati passantemente. Provvisorio per altro fu il collocamento, poiché venendone altri, ed essendo piena la stanza, sarà necessario trasportarli nell’antica, vasta e bella Libreria ove staranno non senza spesa dovendoci costruire gli scaffali. I bei monumenti per altro che v’erano «evanuerunt» e non sarà mai possibile che ritornino, specialmente diversi, vari ed uno, unico, manoscritti, che v’erano242.

Per altro l’università già nel 1815 si era rifiutata di trasferire i libri a Roma, perché questo avrebbe comportato una spesa eccessiva, considerando che l’abbazia era stata privata dei suoi beni già prima della soppressione243. A parte la profezia sui volumi manoscritti dell’antica biblioteca di Monte Oliveto Maggiore, profezia disincantata che si avverò, perché i libri restarono e restano per la gran parte alla Biblioteca Comunale degli Intronati 242 Pagine inedite di storia olivetana, in L’Ulivo, n. s. 12 (1982), nr. 1, p. 52; il testo riprodotto viene da: AMOM, S. Benedetto di Siena. Libro segnato colla lettera B di Memorie e vicende del venerabil Monastero Olivetano sotto il titolo di S. Benedetto, presso e fuori della Porta Tufi della città di Siena, dall’anno 1782 fino all’anno (manca), continuato poi con altre memorie rimarchevoli per i tempi calamitosi che vi sono stati, annessevi ben anche memorie di cose accadute in Siena, pp. 163-164. A p. 154 sono ricordati per provenienza da Monte Morcino 24 libri corali «antichi, bellissimi e ricchi di miniature», anche in: Pagine inedite di storia olivetana, in L’Ulivo, n. s. 11 (1981), nr. 4, p. 51; SCARPINI, I monaci cit., p. 444, parla di «ventidue corali miniati». Oggi i manoscritti liturgici conservati a Monte Oliveto Maggiore provenienti da Monte Morcino sono: l’Antiphonarium segnato N, del sec. XV ex-XVI in; l’Antiphonarium segnato D, del sec. XV ex-XVI in; il Graduale segnato C, del sec. XV ex-XVI in; un Kyriale segnato X, del sec. XV ex-XVI in. Sui codici A, D, F, H, che facevano parte di un gruppo di manoscritti liturgici un tempo presenti presso l’abbazia di Monte Oliveto, oggetto di un clamoroso furto avvenuto nel 1975: F. GUALDI, I corali di Monte Morcino, in Rivista d’arte 33 (1958), pp. 3-27; EAD., Contributi alla miniatura umbra del Rinascimento, in Commentarii 18/4 (1967), pp. 297-321; più in generale sulla raccolta: EAD., Le miniature dei corali di Monte Morcino di Perugia, in Miniatura umbra del Rinascimento. Saggi e schede per il catalogo della mostra di Perugia «La miniatura in Umbria dal XV al XVI secolo», 2004, a cura di M. G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO – F. GUALDI, adiuv. S. GIACOMELLI, in Rivista di Storia della Miniatura 9-10 (2005-2006), pp. 71-102, 221-254. Altri frammenti riconducibili ai manoscritti sono stati identificati e attribuiti: http://old.fefonlus.it/codex/materiali/monteoliveto.pdf (consultato il 29 giugno 2018); recentemente sono stati ritrovati alcuni dei fogli rubati, ora custoditi in AMOM: M. E. BENEDETTI, Montemorcino: la storia lunga e difficile di un’antica abbazia olivetana, in Storie di pagine dipinte. Miniature recuperate dai Carabinieri, a cura di S. CHIODO, Livorno 2020, pp. 245-261; B. MOLINELLI, Storia di un furto straordinario, ibid., pp. 263-270; G. SPINA, La decorazione dei corali di Montemorcino di Perugia. Una testimonianza della miniatura umbra all’inizio del Cinquecento, ibid., pp. 273-287; seguono di autrici varie le schede descrittive dei manoscritti e dei fogli ritrovati: ibid., pp. 288-343. Sono conservati a Monte Oliveto Maggiore due altri volumi liturgici: un codice composito (Psalterium e Hymnarium), segnato s. s. 1, del sec. XIV; un Psalterium segnato s. s. 2, del sec. XIV (dal monastero di S. Ponziano di Lucca). La descrizione completa di questi manoscritti in: http://www406.regione.toscana.it/bancadati/codex/#, consultato il 29 giugno 2018. 243 PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., p. 199.

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di Siena244, la prima considerazione da fare riguarda le date: dal 1811 al 1822 i libri furono lasciati in loco, nonostante la soppressione, e solo successivamente trasportati? La questione con l’università di Perugia si consumò nello stesso torno di anni, tra il 1816 e il 1822: l’università registra oggi nel fondo proveniente dall’abbazia circa 400 libri, cioè quelli che recano il timbro della biblioteca di provenienza245. Alcuni restarono a Perugia, dove pure con le soppressioni ci fu una certa confusione246, altri sicuramente andarono a S. Maria Nova e, se dobbiamo prestar fede a Serafino Siepi, oltre che al monastero di Roma anche a quello di Gubbio, e non ad opera degli incaricati dell’ammasso, ma degli olivetani stessi: «Ricchissima di scelti volumi e codici era questa biblioteca. Ma è stata ultimamente quasi del tutto spogliata dai pp. Olivetani che han trasferito i libri ai loro monisteri parte di Gubbio, parte di Roma a cui sono state ammensate le rendite di questo»247. Siepi colloca dunque lo svuotamento della biblioteca intorno al 1822, anno dell’edizione della sua opera: è probabile che gli olivetani avessero sempre sperato in una reimmissione nel possesso dell’abbazia da parte del pontefice, ma, come si è visto, il papa confermò la soppressione. Siepi ci restituisce pure un’altra preziosa notizia: i libri in gran parte restarono agli olivetani e questo ne spiega la massiccia presenza nella Biblioteca monumentale di Monte Oliveto Maggiore248, dove soprattutto gli stampati andarono a coprire i vuoti lasciati dagli incaricati del governo francese, che circa dodici anni prima avevano di fatto svuotato l’abbazia principale dell’ordine, facendo confluire i libri nell’ammasso presso la Biblioteca Comunale degli Intronati249. Molti dei libri inviati a Roma erano ancora a Santa Maria Nova nel 1873: Enrico Narducci250, nella primavera di quell’anno, riesce, seppure 244 Sulla dispersione dell’antica biblioteca di Monte Oliveto Maggiore: D. MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca di Monte Oliveto Maggiore dopo la soppressione, in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870), a cura di F. G. B. TIROLESE, Cesena 1992, pp. 633-684. 245 PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., p. 199. 246 M. G. BISTONI GRILLI CILICIONI, Codici della Biblioteca comunale Augusta di Perugia, provenienti dalle soppresse corporazioni religiose, in Università e tutela dei beni culturali: il contributo degli studi medievali e umanistici: atti del Convegno promosso dalla Facoltà di Magistero di Arezzo dell’Università di Siena (Arezzo-Siena, 21-23 gennaio 1977), a cura di I. DEUG-SU – E. MENESTÒ, Firenze 1981, pp. 405-413; su Monte Morcino in particolare: p. 408; PANZANELLI FRATONI, La Biblioteca antica dell’Università di Perugia cit., pp. 195-199. 247 SIEPI, Descrizione topologico-istorica cit., pp. 247-248. La descrizione prosegue ricordando l’opera enciclopedica di Secondo Lancellotti: Acus nautica. 248 Da non confondersi con quella che comprende il nucleo di manoscritti conservati presso l’Archivio dell’abbazia. Per tutta questa parte e per i manoscritti di Monte Morcino oggi conservati a Monte Oliveto Maggiore: MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca cit. 249 MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., pp. 633-684. 250 Narducci, Enrico (1832-1893), funzionario governativo e bibliotecario: voce curata

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con difficoltà, ad entrare nella biblioteca, e vi trova circa 1500 volumi «in gran parte privi di note di appartenenza, a eccezione di un gruppo di codici, ma forse anche stampati, provenienti dalla raccolta del monastero olivetano di Monte Morcino di Perugia, dispersa dopo il 1810. Questi erano contrassegnati con ex libris e spesso avevano una segnatura su etichetta»251. 6. S. Maria Nova di Roma, S. Maria di Monte Morcino e ancora Santa Croce di Sassovivo: a proposito delle confusioni ottocentesche di manoscritti e ordini religiosi Molti manoscritti di Monte Morcino però, e non solo gli stampati, restarono agli olivetani, arrivando in parte a S. Maria Nova252: è il caso di quelli finiti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, alcuni nel fondo S. Francesca Romana e molti nel fondo S. Onofrio, in parte noti, come ad esempio: «l’Acus nautica di Secondo Lancellotti e altri 5 manoscritti miscellanei dello stesso autore»253, ma non solo, perché, come vedremo, il loro numero è maggiore e occupa molte segnature del fondo, che solo da M. G. CERRI, in DBI, 77, Roma 2012, pp. 798-801; oltre alla bibliografia ivi citata: RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., p. 110. 251 RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., p. 131. Questo spiega perchè molti manoscritti di Monte Morcino siano rimasti uniti nei passaggi successivi e collocati, per quanto erroneamente, nel fondo S. Onofrio della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. 252 La lista degli stampati prelevati nel 1812 a S. Maria Nova si trova alla Biblioteca Casanatense di Roma, manoscritto 489, int. 12, ff. 380-412, con l’indicazione: Indice dei libri scelti dai periti verificatori dalla Libreria del Convento di S. Maria Nova in Campo Boario; e in Roma, Archivio di Stato, Archivio Marini Clarelli, b. 75, 4 (2 copie, con titolo: Indice dei libri scelti dai periti verificatori della libreria del Convento di Sa. Francesca Romana al Foro Romano). Alcuni stampati rimasero alla Biblioteca Apostolica Vaticana, che, essendo “biblioteca imperiale”, fa la prima scelta tra i volumi delle congregazioni soppresse. Prova ne è il volume (BAV, R.G. Teol. IV. 407): Io. Francisci Bvddei theol. D. et P.P.O. Institvtiones theologiae dogmaticae variis observationibvs illvstratae, Francofurti – Lipsiae, [apud haeredes Thomae Fritsch], 1741, che reca al f. Ir la nota: Ex Bibliotecha (sic) Monrj. Sae. Mae. Novae de Urbe anno 1762: A. RITA, Tra rivoluzione e restaurazione. La Vaticana di Marini, Battaglini e Baldi, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, V: La Biblioteca Vaticana dall’occupazione francese all’ultimo papa re (1797-1878), a cura di A. RITA, Città del Vaticano 2020, pp. 74-76, 92, dove è riprodotta la nota citata. Successivamente, nel 1875 circa 3360 volumi vengono portati al Collegio Romano e un sopralluogo del 1871 aveva censito in Santa Maria Nova tra manoscritti e libri a stampa circa 8000 opere. È probabile che fra questi stampati alcuni provenissero anche da Monte Morcino, pur essendo la maggior parte finiti, come si è visto, a Monte Oliveto Maggiore e all’università di Perugia. Sul Cas. 489, sul documento del fondo Archivio Marini Clarelli e sulla requisizione dei libri degli olivetani: RITA, Biblioteche e requisizioni librarie, pp. 37-38, 129-130, 407-408. Anche l’archivio di Santa Maria Nova fu depredato nel 1811 e nel 1813 e furono asportate numerose pergamene trasferite a Parigi: ibid., p. 130. Per altra via una cinquecentina di Monte Morcino si trova alla Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele III di Napoli, segnata S.Q. 20 D 35. 253 G. CORSO, Il fondo S. Francesca Romana, in Manoscritti antichi e moderni, Roma 2005 (Quaderni della Biblioteca Nazionale centrale di Roma, 11), pp. 163-168.

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erroneamente è stato attribuito al convento di S. Onofrio dei girolamini e questo ad ulteriore testimonianza della confusione verificatasi a seguito delle soppressioni, sia quelle napoleoniche, sia quelle successive. Poiché i manoscritti provenienti da Monte Morcino arrivarono a S. Maria Nova non prima del 1822, essi dovettero finire alla Biblioteca Nazionale Centrale nel 1875254. Lì ci fu la confusione con quelli provenienti da S. Onofrio, che, appunto, ancora nel 1873 vantava una ricca e bella biblioteca255. Siepi ricorda i volumi dell’Acus nautica come onore e vanto della biblioteca di Monte Morcino, mentre non ricorda manoscritti più antichi256 sicuramente in omaggio al gusto dell’epoca che vedeva nell’impresa dell’enciclopedia francese una grande opera, di cui il Lancellotti sarebbe stato precursore257, ma anche perché probabilmente vede solo l’inventario del 1810 contenuto nel documento dell’Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, che complessivamente non cita, com’è ovvio, i manoscritti più antichi rimasti ai monaci o già entrati alla Biblioteca Comunale Augusta. Da ultimo almeno uno dei volumi di Monte Morcino finì, per motivi che non conosciamo, nell’Archivio della Curia Generalizia dei Gesuiti. Si tratta di un manoscritto contenente un’Expositio in octavum librum Phisicorum et in primum et secundum de coelo, datata 1589, dell’abate Placido Carosi, considerato il fondatore (o forse meglio il riordinatore) della biblioteca di Monte Morcino: Roma, Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana, Curia, F. C. 690258, che reca ancora la segnatura Plut. III I Num. 55 254

RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 130-131. Ibid., p. 345. 256 Per i manoscritti più antichi: MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca cit.; in AMOM provengono sicuramente dalla biblioteca di Monte Morcino, di cui recano il timbro e/o la segnatura, i manoscritti: A 5 (Esercizi di Mauro Puccioli, del 1630), A 6 (Devotioni a Maria Vergine di Mauro Puccioli, del 1630), A 25 (Vita del beato Girolamo da Corsica di Andrea da Volterra, donato da Secondo Lancellotti, del sec. XVI), A 27 (Quaestiones super universalia Porphyriana, del 1451), A 30 (Physica et Metaphysica, del sec. XVII), B 4 (Apocalypsis nova di Amadeo Menez de Sylva, del sec. XVI, arrivato a Monte Morcino probabilmente dall’abbazia di Sassovivo), B 27 (Bernardus I Casinensis Abbas, Expositio Regulae sancti Benedicti, del sec. XV), B 28 (Scorta sagra di Ottavio Lancellotti, del sec. XVII), B 32 (Directorium monasticum perpetuum curato da Girlando Mascardi di Agrigento, del sec. XVII) e probabilmente B 24 (si veda qui: nt. 22, p. 252). I manoscritti autografi di Secondo Lancellotti AMOM A 2 (Lettere del beato Bernardo Tolomei), A 3 (Le opere di storia olivetana di Secondo Lancellotti), A 49 (Silloge) potrebbero forse essere presenti a Monte Oliveto Maggiore indipendentemente dalla vicenda dei libri di Monte Morcino. 257 SIEPI, Descrizione topologico-istorica, p. 248. Il giudizio sull’opera non è unanime: M. SAVINI, A proposito di alcuni inediti di Secondo Lancellotti, in Lettere italiane 23/1 (1971), pp. 107-109. 258 Descrizione completa in http://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php?ID=104281. Il volume è appartenuto al Lancellotti e al suo interno scheda con l’indicazione: S. Francesca 255

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tipica dei manoscritti di Monte Morcino259. Anche questo volume è appartenuto a Secondo Lancellotti, come già gli altri volumi citati. Del famoso storico olivetano sono moltissimi i volumi che oggi si trovano in biblioteche romane, mentre nella biblioteca dell’Archivio di Monte Oliveto Maggiore si conservano solo i manoscritti dell’opera storica: Istoria Olivetana libro I e II; Istoria Olivetana dei suoi tempi. Libri XII (AMOM A 3)260, una Silloge prevalentemente composta da estratti della Summa di S. Tommaso, compilata, nel 1605, in età giovanile (AMOM A 49) e una copia autografa delle lettere di Bernardo Tolomei (AMOM A 2). Il Lancellotti ha inoltre posseduto il manoscritto AMOM A 27 contenente le Quaestiones super universalia Porphyriana261, come si evince da una nota in fondo al codice, pure appartenuto in precedenza all’abate Carosi262, così come aveva messo le mani anche sul manoscritto citato della Pontificia Università Gregoriana, Curia, F. C. 690263. Se a questi aggiungiamo i 22 volumi dell’Acus nautica e gli altri cinque miscellanei sempre di Secondo Lancellotti, presenti nel fondo S. Onofrio, oltre a S. Francesca Romana 6, anch’esso autografo, ci rendiamo conto che la più parte dei suoi volumi è finita a Roma: Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, S. Onofrio 3-24 (Acus nautica)264, S. Onofrio 25-26 (Le pittime dei tribolati)265, S. Onofrio 27 (Scripturientium Romana. Le citazioni da Manus sono state tutte riverificate il 15 luglio 2019. Placido Carosi di Perugia (AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, p. 251: obiit 1598): LANCELLOTTI, Historiae Olivetanae cit., p. 156, 160; BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 108; SCARPINI, I monaci cit., p. 212 (si tramanda che abbia fondato la biblioteca di S. Maria di Monte Morcino, nel 1593). 259 P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, VI, London – Leiden 1992, p. 199. 260 ff. 1r-66r: Dell’Istoria Olivetana dell’Abte. D. Secondo Lancellotti Perugino libro I; ff. 66v180r: libro II (S. LANCELLOTTI, Istoria Olivetana, I-II, a cura di G. F. FIORI, Badia di Rodengo 1989-1991); ff. 181r-301r: Dell’Istoria Olivetana de suoi tempi Del Lancellotti. A niun fuoro suoi d’avversità Secondo Libri XII, In Perugia l’anno 1636 (S. LANCELLOTTI, Istoria Olivetana dei suoi tempi. Libri XII, a cura di G. F. FIORI, Badia di Rodengo 1989). Per chiarezza vengono mantenuti per esteso i riferimenti bibliografici delle edizioni a stampa. 261 P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, II, London – Leiden 1977, p. 543, con il titolo: Quaestiones super universalia Porphyriana, sebbene nel manoscritto il titolo manchi; cfr. anche P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, VI, London – Leiden 1992, p. 95. 262 f. 57r: Domni Placidi Carosi Perusini hic liber est; poi ripetuto più in grande: R.P. Domni Placidi Carosi Perusini. Al f. 58r: un riquadro con le seguenti indicazioni: R. D. Placidus Perusinus Procurator Gen. Hunc librum comodavit mihi D. Secundo Perusino A. D. MDXCIIX. Moritur idem R.D.P Romae A. D. MDXCIX Non. Ian. Su f. 59r: Tabula quaestionum super universalia Porph. Nicolai de Pedemonte. D. Secondo Perusino Monacho Olivetano collecta A. 1599. M. Decembris, segue un inizio di indice. 263 ff. 73r-74r: Secondo Lancellotti stende l’Index quaestionum. 264 Del fondo S. Onofrio sono ora disponibili le schede dettagliate in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaFondo.php?ID=255. I manoscritti sono citati anche in: RUSSO, Lancellotti cit., p. 308; p. 311. 265 Il manoscritto è citato anche: ibid., p. 310.

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Epithema)266, S. Onofrio 47 (Indice alfabetico di nomi)267, S. Onofrio 49 (Repertorio di notizie)268, S. Onofrio 64 (Registro delle spese sostenute dal P. Secondo Lancellotti per comporre la storia della Congregazione Olivetana)269. Nel fondo S. Onofrio sono di provenienza olivetana, molti da Monte Morcino, ovviamente per il tramite descritto di S. Maria Nova, anche i manoscritti del sec. XVII e XVIII: S. Onofrio 30 (Varia olivetana), S. Onofrio 32 (Gaspare Frattasio), S. Onofrio 34 (Belforti), Onofrio 35 (Mauro Puccioli, Esercizi sacerdotali), S. Onofrio 36 (Storia del pontificato di Paolo IV), S. Onofrio 38 (Euclide tradotto da P. Lorenzo da Perugia)270, S. Onofrio 44 (Scritti matematici), S. Onofrio 45 (Mauro Puccioli, Vita di B. Tolomei), S. Onofrio 46 (Esercizi di Mauro Puccioli), S. Onofrio 48 (Varie), S. Onofrio 50 (Varia olivetana), S. Onofrio 51 (Miscellanea), S. Onofrio 52-53 (Agostino Ghislieri, Disputatio analytica), S. Onofrio 54 (Sermoni dello Zaramellini), S. Onofrio 55 (Verduccioli, Lettere), S. Onofrio 56 (Costituzioni olivetane), S. Onofrio 57 (Appunti sulle elezioni di alcuni abati generali olivetani), S. Onofrio 58 (Esercizi di Mauro Puccioli), S. Onofrio 59 (Opera dell’abate Barnaba Riccoboni rodigino)271, S. Onofrio 60 (Giovanni Giustiniani, Relazioni), S. Onofrio 61 (Regolamento dei monaci di S. Maria Nova), S. Onofrio 62 (Polipodio, Poesie)272, S. Onofrio 63 (Ferraris, Disputatio in Logicam)273, S. Onofrio 65 (Dichiarazioni dei cardinali della Congregazione del concilio), S. Onofrio 66 (Trattati vari di teologia di Agostino Lancellotti)274, S. Onofrio 74 (Lettere di Mauro Talucci abate olivetano sui liberi muratori), S. Onofrio 144-147 (Repertorium legale); forse S. Onofrio 42 e S. Onofrio 91. S. Onofrio 30 addirittura proviene dall’abbazia di Sassovivo come risulta evidente dal suo contenuto275 e dalle abbondanti informazioni contabili 266

Il manoscritto è citato anche: ibid., p. 311. Una menzione di un manoscritto dell’opera in: Catalogus librorum qui reperiuntur in officina Simeonis Piget bibliopolae Parisiensis, Parisiis, ex Officina Morelliana, sumptibus Simeonis Piget, 1646, p. 46. 267 Il manoscritto è citato anche in: RUSSO, Lancellotti cit., p. 311. 268 Il manoscritto è citato anche: ibid., p. 311. 269 Il manoscritto è segnalato anche: ibid., pp. 307, 309. 270 Si tratta di Lorenzo Salvi; il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30v. 271 Il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30r. 272 Il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30v. 273 Il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30v. 274 Il manoscritto è segnalato anche: RUSSO, Lancellotti cit., p. 311. È citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 31r (Tractatus theologie scritto da un Lancellotti). 275 Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, S. Onofrio 30: manoscritto miscellaneo, oltre a stampati e testi vari, contiene conti ed elenchi di monaci di Monte Oliveto Maggiore dal 1627

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e commerciali che ci offre. Certo, se guardiamo alla documentazione sopravvissuta dell’abbazia di Sassovivo, dobbiamo concludere che un’intensa attività economica ha segnato la vita di questo monastero. Stanno lì a testimoniarlo: il manoscritto Vat. lat. 13721, il S. Onofrio 30, i numerosissimi documenti contabili dell’Archivio Storico Diocesano di Spoleto. L’abbazia di Santa Croce di Sassovivo tuttavia disponeva pure di un’adeguata biblioteca, come testimonia l’inventario compilato per il Sant’Uffizio conservatoci dal manoscritto Vat. lat. 11274 ai ff. 453r-462v: Inuentario di tutti li libri che si trouano nella abbatia di Sassouiuo incominciato, et fatto per ordine del reuerendissimo padre generale oliuetano con una sua lettera data sotto il dì 30 marzo del 1600 e riceuuta il dì 7 aprile del sudetto anno. Ai manoscritti indicati andrebbero aggiunti nel fondo S. Francesca Romana della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma i manoscritti dal nr. 1 al nr. 16276, tutti del sec. XVII o XVIII, dichiarati prudentemente compatibili dai curatori delle schede di Manus con la provenienza da S. Francesca Romana. Fra questi segnalo come sicuramente olivetani il manoscritto autografo di Secondo Lancellotti, già citato: S. Francesca Romana 6 (Note varie dal 1618 al 1626)277; e i manoscritti S. Francesca Romana 7 (Opuscoli riguardanti l’espulsione dei Gesuiti dal Portogallo); S. Francesca Romana 12 (Testi relativi al Concilio di Trento), S. Francesca Romana 13 (Testi vari di carattere spirituale), S. Francesca Romana 14 (La Comica del cielo di Giulio Rospigliosi/Papa Clemente IX)278, e il S. Francesca Romana 16 (Marco Ancon indicazione dei capretti nati, del cacio, della ricotta, delle galline del 1630 etc.; in particolare: ff. 161v-162r dal 1618 al 1626 consistenza del Monastero di Santa Croce di Sassovivo; f. 162v Note varie, una riferentesi ad un padre di Monte Morcino morto; f. 162v e seguenti note su Sassovivo (i testi sono evidentemente compilati lì); ancora conti, uscite etc.; ff. 172v173v: elenco dei monasteri olivetani con le relative entrate; ai fogli successivi le entrate divise per regione ecclesiastica e/o monastero; f. 196r: confronti contabili con altri ordini monastici; ff. 199r-240r: rappresentazioni sceniche (provengono, stante la numerazione antica, da un altro volume); ff. 241r-245v: Disputatione De corpore substantiali incorruptibili sive De coelo; f. 246 bianco. Vi è un indice di mano secentesca che riporta tutti i contenuti come sono attualmente per cui esso è stato originariamente composto così; l’attuale rilegatura è recente (sec. XIX-XX); descrizione in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda. php?ID=245709. 276 Tutte le descrizioni dettagliate in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaFondo.php?ID=247. Sul fondo S. Francesca Romana della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: V. CARINI DAINOTTI, La Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele al Collegio Romano, Firenze 1956, p. 25; A. SPOTTI, Guida storica ai fondi manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma, in Pluteus 4-5 (1986-1987) p. 378; CORSO, Il fondo cit., pp. 163-168. Su S. Francesca Romana 7, 12, 13, 14 una rapida citazione in: D. LIONETTI, Fonti per la storia olivetana nell’Archivio di Stato di Roma, in Fonti per la storia cit., p. 299. 277 Descrizione dettagliata in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php ?ID=66736. Il manoscritto è citato anche in: RUSSO, Lancellotti cit., p. 307. 278 Il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 31r.

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tonio Bonciari279, Epistolae), tutti da Monte Morcino oltre a S. Onofrio 61 (riconducibile a S. Maria Nova). Tra quelli sparsi nei fondi della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma segnalo anche: Prov. Claustr. Varia XI (Trattato di architettura militare), il manoscritto del sec. XVIII era stato inserito originariamente nel fondo S. Onofrio, conserva la segnatura parziale di Monte Morcino280; e il manoscritto Varia 25, che sembrerebbe provenire da S. Francesca Romana281, il Gesuitico 68 (Composizione poetiche). Il manoscritto segnato S. Andrea della Valle 50 (1484-1502), viene dalla requisizione del 1873 da S. Andrea della Valle, ma il contenuto riporta al monastero di S. Maria Nova o più probabilmente a quello di Tor de’ Specchi delle oblate di S. Francesca Romana282. Da S. Maria Nova proviene, non si sa per quali vie, non comunque attraverso le soppressioni, il manoscritto della Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4845, entrato in Biblioteca Vaticana fin dal sec. XVI283. Ancora, sempre a Roma, nella biblioteca dell’Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana, Curia, F. C. 53 rec., da S. Francesca Romana un manoscritto del sec. XVII contenente Osservationi dei santi Padri sopra gli Evangelii correnti nelle domeniche e feste di Avvento284 e il manoscritto (sec. XVII) della stessa biblioteca Curia, F. C. 691, contenente In universam Aristotelis Logicam Commentaria et quaestiones R. P. D. Pauli Camilli Montini Brixiensis Lectoris Theologi285. Oltre a questi vanno ricordati i manoscritti conservati presso l’Archivio dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore: AMOM A 2 (Bernardo Tolomei, Epistolae); AMOM A 3 (Secondo Lancellotti, Istoria Olivetana libro I e II; Istoria Olivetana dei suoi tempi. Libri XII); AMOM A 5 (Mauro Puccioli, Essercitii regolari applicati a diverse materie, secondo l’occasioni delli Capitoli, 279 Fu

corrispondente tra gli altri di Secondo Lancellotti, che fu suo discepolo all’abbazia di Monte Morcino: RUSSO, Lancellotti cit., p. 306; Bonciari, Marco Antonio (1555-1616): voce curata da R. NEGRI, in DBI, 11, Roma 1969, pp. 676-678; risulta un acquisto di suoi libri da parte della Biblioteca Comunale Augusta il 25 settembre 1718: CECCHINI, La Biblioteca Augusta cit., p. 91. Il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30r; un altro manoscritto suo (Epistolè Illustr. Virorum) è citato a f. 30v. 280 Descrizione dettagliata in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php? ID=66276. 281 Descrizione dettagliata in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php? ID=67321. 282 Descrizione dettagliata in Manus; https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php? ID=196588. 283 Per il Vat. lat. 4845 cfr. qui Appendice, pp. 308-316. La riproduzione digitale in: https:// digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.4845, consultato il 30 giugno 2019. 284 Descrizione in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php?ID=162394. 285 Descrizione dettagliata in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php? ID=182694.

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et ordinationi contenuti in tutta la Regola del P. S. Benedetto Mediante li quali si cerca di muovere la volontà, et applicare l’affetto, et operatione di ciaschedun Monaco all’osservanza di quella); AMOM A 6 (Mauro Puccioli, Devotioni a Maria Vergine, Madre di Giesu Christo, Regina del Cielo, Avvocata, e Signora nostra: per potersi ciascuno essercitare nella devotione di lei: e crescere nella riverenza, et amor suo: A gloria ancora, et honore del predetto suo Figlio Signor nostro: E profitto spirituale di chi le vorrà devotamente praticare); AMOM A 25 (Andrea da Volterra, Vita del B. F. Girollamo da Corsica Converso della Congregazione di Mont’Oliveto); AMOM A 27 (Quaestiones super universalia Porphyriana); AMOM A 30 (Physica et Metaphysica); AMOM B 4 (Amadeo Menez de Sylva, Apocalypsis nova, più esattamente da Sassovivo); AMOM B 27 (Bernardus I Casinensis Abbas, Expositio Regulae sancti Benedicti); AMOM B 28/1 e B 28/2 (Ottavio Lancellotti, Scorta Sagra)286; AMOM B 32 (Directorium Monasticum perpetuum pro divino officio recitando iusta ritum breviarii SSmi. P. Benedicti e probabilmente AMOM B 24 (Instrumenta Recognitionis et Translationis, et Collocationis Corporis, seu Ossium Ven. Mauri Puccioli Perusini Abbatis Olivetani MDCCLXI). 7. Qualche conclusione Dall’esame della maggior parte dei manoscritti citati verrebbe da pensare che le biblioteche olivetane possedessero solo codici dal secolo XVII in poi. Va detto che molti di essi erano copie dei vari scrittori o compilatori olivetani e che spesso solo alla loro morte entravano in qualche modo in biblioteca o in archivio, a seconda dell’argomento trattato. Scrittori e compilatori facevano abbondante uso delle biblioteche di stampati presenti in tutti i monasteri dell’ordine, spesso fornitissime di libri già alla fine del Cinquecento, come testimonia il ricco volume compilato su ordine del Sant’Uffizio, Vat. lat. 11274, del tutto dimentichi dei codici più antichi che in molte biblioteche dovevano essere presenti: oltre a Monte Morcino, a Monte Oliveto Maggiore, S. Michele in Bosco a Bologna, S. Maria di Monte Oliveto (S. Anna dei Lombardi) a Napoli, S. Maria Nova a Roma, tanto per citare alcuni casi dove abbiamo le prove che esistessero manoscritti almeno del secolo XV se non precedenti287. Certo, a volte si tratta di membra 286 Il manoscritto è citato nell’Indice de’ libri: Archivio dell’Università di Perugia P. II, A I, fasc. 5, f. 30v. 287 A. S. Maria Nova confluirono anche i beni di Bartolomeo di Francesco da Pistoia, preposito di S. Stefano di Prato, vicecancelliere della sede apostolica, che sceglie di essere sepolto a S. Benedetto di Pistoia, monastero olivetano, tra cui una Bibbia di media grandezza, un De civitate Dei di S. Agostino, pure di media grandezza, un Messale, un Pontificale, libretti di devozione e bolle papali che lo riguardavano. In realtà la vicenda fu un po’ controversa e contrastata: O. MONTENOVESI, Roma agli inizi del secolo XV e il Monastero di Santa Maria Nova al Foro, in Rivista storica benedettina, fasc. 69-70, 17 (1926), pp. 245, 258-260 (regesto

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disiecta, come il caso citato del Vat. lat. 4845 di S. Maria Nova a Roma (sec. XII-XIII), a volte della più consistente raccolta di Monte Oliveto Maggiore oggi per buona parte alla Biblioteca Comunale di Siena, che i monaci conservarono sempre con molta attenzione, come reliquia del passato. Le stesse attenzioni poste nell’abbazia principale, com’era definita, a Monte Oliveto Maggiore per la predisposizione dei locali della biblioteca, sempre distinti da quelli dell’archivio, ci spingono a pensare che anche gli anni che vanno dalla fondazione dell’ordine (1319) al finire del secolo XVI, tempo in cui abbiamo la certezza delle ricche biblioteche di stampati, videro la presenza di codici, forse non antichissimi, ma sicuramente di buona fattura, e che questo dovesse essere un costume diffuso almeno nei monasteri più importanti dell’ordine, come mostrano la famosa cassa sottratta dagli emissari napoleonici288 a Monte Oliveto Maggiore, la monumentale Bibbia, New York, Morgan Library, M 215 (anno 1320), forse destinata dal cardinale Niccolò Capocci a Monte Morcino, ma, arrivata troppo presto, e perciò sempre rimasta presso l’abbazia principale, e con questa un Salterio289 e un De vitiis et virtutibus290, che testimoniano l’esistenza di una biblioteca a Monte Oliveto Maggiore già nel sec. XIV, a pochi anni dalla fondazione. Ancora: il bellissimo codice di Matteo Ronto della Biblioteca Palatina di Parma, Pal. 103 (sec. XV), che probabilmente stava nella misteriosa cassa a suo tempo sottratta, in compagnia delle Epistole di S. Gerolamo, conservate a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnam 996, e finite tra gli acquisti del conte Buturlin all’inizio dell’Ottocento291; o il manoscritto di ottima fattura, Borgh. 369 (anno 1468), contenente la Naturalis historia di Plinio292, ma anche più modesto, ben curato il manoscritto proveniente da Monte Morcino Bernardus I Casinensis Abbas, Expositio Regulae sancti Benedicti, del sec. XV (AMOM, B 27). C’è solo da augurarsi di poter con pazienza e studio di riuscire a ritrovare quanto ancora possibile. del testamento, 1° luglio 1400; ora Roma, Archivio di Stato, Benedettini Olivetani, Pergamene 30/19); pp. 296-298 (regesto del documento del 9 agosto (non 4) 1406; ora Roma, Archivio di Stato, Benedettini Olivetani, Pergamene 30/67). A S. Benedetto di Pistoia secondo il testamento dovevano andare tutti i suoi libri di teologia. 288 MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., pp. 650-655. 289 Ibid., pp. 634-635. 290 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, G. IV. 2: ibid., p. 635. 291 A. C. DE LA MARE, New Research on Humanistic Scribes in Florence, in Miniatura Fiorentina del Rinascimento, 1440-1525. Un primo censimento, Firenze 1985, p. 519; E. NILSSON NYLANDER – P. VIAN, “Riccius scripsit”. Un nuovo codice del copista Nicolò de’ Ricci nel fondo Reginense latino della Biblioteca Vaticana, in Ultra terminum vagari. Scritti in onore di Carl Nylander, Roma 1997, p. 229; per l’acquisto di questo manoscritto da parte di Buturlin: MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., p. 654. 292 Per il Borgh. 369 cfr. qui Appendice, pp. 317-320.

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APPENDICE Il codice Vat. lat. 4845: scheda Il Vat. lat. 4845 è un codice perg.; sec. XII ex. – XIII in.; carolina di passaggio alla gotica; ff. I cart. (in corrispondenza di quello attaccato al piatto di copertina) + 50 perg. + I cart. (in corrispondenza di quello attaccato al piatto di copertina); fascicoli con parola d’ordine; fascicoli 1-5: 4 + 4, fascicolo 6: 5 + 5; grande iniziale in rosso all’inizio di ciascuna delle due opere contenute, titoli rubricati (nell’opera attribuita a Gregorio Magno sono rubricati tutti i versetti del Cantico dei Cantici e le iniziali sono in blu, salvo la prima); talvolta iniziali rosse e blu; rilegatura in pelle verde, dorso chiaro, impresso al centro in oro stemma papale di Paolo V (1605-1621); mm 220  155 ; in origine manoscritto con ampi margini (cfr. f. 1r rimasuglio di nota tagliata al margine destro), rifilato a circa 1 cm dai fori della rigatura (molto ben visibili su ogni foglio, margine destro); rigatura a secco; numerazione antica; a piena pagina; maniculae qua e là, alcuni fogli presentano tagli e cuciture precedenti la copia del manoscritto (lo si capisce dall’andamento della scrittura): ff. 10, 21. f. Ir: Il foglio di guardia è adesso Vat. lat. 10645 f. 23a. H.MB. 4.iii.1909293; f. 1r: nel margine inferiore: Iste liber est venerabilis monasterii sancte Marie Nove de Urbe Montis Oliveti. 17 (sec. XV), più sotto al centro di mano del sec. XVI la segnatura: 4845294. Il numero 17 si trova anche nell’angolo in alto a destra e sembrerebbe un’antica segnatura; ff. 1r-11r: Inc. Iterum eiusdem responsio contra epistolam Nicete tou295 Stithaii296 idest Pectorati monachi monasterii quod dicitur tu297 Studiu (rubricato). Si diligenter sancte Calcedoniensis sinodi quartum considerasses capitulum/ Expl. omnem ecclesiam sicut antea ut superius in catum (sic) est ne exorbitetis ab itinere recto [UMBERTO DI SILVACANDIDA, Responsio sive contradictio contra Nicetam (Patrologiae cursus completus. Series Latina, accurante J.-P. MIGNE, d’ora in poi PL, 143) Lutetiae Parisiorum 1853, coll. 983-1000; Acta et scripta quae de contro293

La sigla è quella delle iniziali del noto liturgista Henry Marriot Bannister. Il foglio è infatti inserito in: Vat. lat. 10645, f. 23a: tratto da un Graduale, mm 300  190; date le misure e una piega al centro del foglio doveva originariamente essere inserito nel Vat. lat. 4845 piegato per il lungo a formare un bifolio di guardia, sec. XI-XII. Il Vat. lat. 10645 è formato da fogli liturgici provenienti da diversi manoscritti vaticani, per il f. 23a, che Bannister dice da un Graduale di ignota provenienza, scritto verso il 1100: E. M. BANNISTER, Monumenti Vaticani di paleografia musicale latina, Lipsia 1913, pp. 136-137, nr. 398. Sul codice, o meglio sui fogli che lo compongono, esiste una copiosa bibliografia in: https://opac.vatlib.it/mss/detail/Vat. lat.10645, consultato il 15 luglio 2019. 294 Sull’apposizione delle segnature del fondo antico dei Vaticani latini cfr. la relativa voce di A. MANFREDI, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca vaticana, I, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), p. 623. 295 Il copista probabilmente voleva scrivere l’articolo greco τοῦ. 296 Probabilmente traslitterazione di Στηθᾶτος. 297 Il copista forse voleva traslitterare un articolo greco e il sostantivo Στουδίου (sott. Μονή).

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versiis ecclesiae Grecae et Latinae saeculo undecimo composita extant, ed. C. WILL, Lipsiae et Marpurgi 1861, pp. 136-150; in entrambe le edizioni coincide fino all’inizio del cap. XXXIV, poi diverge per quasi tutto il capitolo XXXIV e per tutto il XXXV, cioè gli ultimi due capitoli del manoscritto]; ff. 11v-50r: Incipit premium beati Gregorii pape super epithalamium sponsi et sponsè quod Sirasyrin Salomonis idest Canticum canticorum inscribitur (fin qui rubricato). Inc. Quia si ceco longe adeo posito cordi sermo divinus/Expl. deo patre in unitate spiritus sancti per infinita seculorum secula. Amen. Segue rubricato: Explicit commentarium beati Gregorii pape super Syrasyrim Salomonis quod canticum canticorum inscribitur. Collatus est. [Commentum super Cantica canticorum, Basel, Michael Furter, 13 marzo 1496 (ISTC, ig00395000) e Parigi, Ulrich Gering e Berthold Rembolt, 16 gennaio 1499 (ISTC, ig00396000298); ripubblicato in Sancti Gregorii Magni Papae primi Opera […] in tomos sex distributa, II, Parisiis, (Compagnie de la Grand-Navire), 1605, coll. 1004-1006: il solo proemio, coll. 1004-1044: l’opera]. Più sotto in bruno: tritico orreum; f. 50v: note in gotica corsiva e prove di penna. Al centro del f.: Iohannes Aguilar apostolicus notarius huius libri avidus. Gregorii expositio finit.

La Responsio contra epistolam Nicete è attribuita, seppure non concordemente, a Umberto di Silvacandida299, di essa sono noti pochissimi manoscritti300: Bern, Universitätsbibliothek. Burgerbibliothek (Bibliotheca Bongarsiana), 292 I, ff. 51v-59v (sec. XI seconda metà, posseduto dall’abbazia di St. Arnoul di Metz); Bruxelles, Bibliothèque Royale «Albert Ier», 9706-25 (1360), ff. 166v-172v (sec. XII, Amalfi? Montecassino? Posseduto dall’abbazia di St. Laurent di Liegi); Leipzig, Universitätsbibliothek, 272, ff. 432r440r (sec. XV, posseduto dal Furstenkollegium di Leipzig)301; Roma, Biblioteca Alessandrina (Universitaria), 169, ff. 145v-154v (sec. XIII, Amalfi? Montecassino?)302.

298 ISTC, ig00396000 data 1498/99 (consultato il 30 marzo 2019), ma il colophon dell’Inc. IV.945 della Biblioteca Apostolica Vaticana è il seguente: Expositio beati Gregorii pape super Cantica canticorum feliciter explicit. Impressa parisius in sole aureo vici sorbonici per udalricum gering & magistrum bertholdum renbolt sociorum. Anno domini Millesimo quadringentesimo nonagesimo octauo. Die vero decimasexta. Mensis Ianuarii. 299 M. G. D’AGOSTINO, Il Primato della Sede di Roma in Leone IX (1049-1054). Studio dei testi latini nella controversia greco-romana nel periodo pregregoriano, Cinisello Balsamo 2008 (Storia della Chiesa – Saggi, 24), pp. 134-144; sui manoscritti Bern 292, Lipsia 272, Bruxelles 9702-25, Alessandrina 169: pp. 84-94. 300 https://www.mirabileweb.it/title/responsio-adversus-nicetae-pectorati-libellum-title/ 23439, consultato il 26 giugno 2019. 301 Riproduzione digitale in: https://digital.ub.uni-leipzig.de/mirador/index.php#823ac 773-484b-40fb-a2a8-eddb77b3a4a1, consultato il 1 luglio 2019. 302 Scheda dettagliata in Manus: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php?ID =236165. Riproduzione digitale in: http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu. jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3AN%3ACN MD0000236165, consultato il 1 luglio 2019.

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Ad essi dobbiamo ora aggiungere il Vat. lat. 4845, il Vat. lat. 3843303, il Vat. lat. 5097, il Vat. lat. 5594. Va subito detto che Vat. lat. 4845, Bruxelles, Bibliothèque Royale «Albert Ier», 9706-25 (1360), Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, 169 presentano per quanto concerne la Responsio ad Nicetam la medesima redazione, che diverge nei capitoli XXXIV e XXXV, cioè nella parte finale, rispetto alle edizioni a stampa e rispetto a tutti i restanti manoscritti fin qui noti. Inoltre Vat. lat. 4845 del gruppo di testi in questione ha solo la Responsio ad Nicetam, mentre gli altri due manoscritti noti contengono tutta la silloge relativa allo scisma del 1054. Il Vat. lat. 3843 è stato copiato nel 1554 da Federico Ranaldi304 († 1590): Scriptum Fed. Rai. anno 1554 Rome (f. 187r), presenta la Responsio a Niceta ai ff. 62v-83r e contiene l’intera silloge. Il Vat. lat. 5097 è composto da due parti: ff. 2r-52r di mano del sec. XVI, ff. 61r-259v di mano del sec. XVII; alcune note riportano ad un uso del libro nella seconda metà del Seicento, come, ad esempio, a f. 259v il riferimento ad un’edizione di Stefano Baluzio (1630-1718). Il volume è entrato alla Vaticana prima del 1636, perché si trova nel catalogo ultimato in quell’anno305. Contiene nella prima parte: la Responsio dell’Adversus Graecorum calumnia306 (ff. 2r-35v), la Responsio a Niceta (ff. 37r-49v), la Brevis et succincta commemoratio (ff. 50r-52v)307. A f. 1r si trova la seguente nota della mano di chi ha inserito la segnatura sullo stesso foglio forse tra fine Cinquecento e inizio Seicento: Sumptum est ex codice antiquo monasterii S. 303 Riproduzione digitale in https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.3843, consultato il 15 luglio 2019; C. M. GRAFINGER, Servizi al pubblico e personale, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, II: La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012, p. 223; M. BERTRAM, The catalogue of juridical manuscripts in the Vatican Library: a report on the present state of an uncompleted project, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae XX, Città del Vaticano 2014 (Studi e testi, 484), p. 192. 304 Su Federico Ranaldi, scriptor Latinus e poi custode della Biblioteca Vaticana: E. BOTTASSO, Dizionario dei bibliotecari e bibliografi italiani dal XVI al XX secolo, a cura di R. ALCIATI, S. Giovanni Valdarno 2009, p. 381; Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., II, ad indicem; Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, III: La Vaticana nel Seicento (1590-1700), una biblioteca di biblioteche, a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014, ad indicem; Ranaldi (relativo alla famiglia), G. BRUNELLI, Ranaldi, in DBI, 86, Roma 2016, pp. 371-374, per Federico in particolare: pp. 371-372. Del manoscritto si parla in una lettera di Guglielmo Sirleto a Marcello Cervini del 26 agosto 1553 (Vat. lat. 6177, ff. 372r-373r): ringrazio per la notizia don Giacomo Cardinali. 305 MANFREDI, Vaticani latini cit., p. 626; A. DI SANTE – A. MANFREDI, I Vaticani latini: dinamiche di organizzazione e di accrescimento tra Cinque e Seicento, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, III, p. 482. 306 PL 143, coll. 951-974, con incipit: Praefulgente gratia. 307 PL 143, coll. 1002-1004.

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Mariae Novae de Urbe Ordinis Sancti Benedicti Congregationis Montis Oliveti et cum eodem diligenter collatum. Si riconosce la mano di Pedro Chacón (1570 circa-1581) che emenda il testo già emendato da chi ha apposto la nota a f. 1r308. Pare che Pedro Chacón abbia lavorato anche presso la biblioteca di S. Maria Nova ed è conservata la sua lista dei Libri manu scripti quibus in restituendo Gratiani decreto usus sum309, dove viene espressamente citato Humbertus Cenomanensis episcopus, qui nomine Leonis IX citatur a Gratiano. Interessante è leggere questa indicazione in parallelo con quanto riportato nell’edizione del 1582 del Decretum nell’Index librorum qui variis ex locis sunt habiti, cioè: Humberti legati Leonis ix. ad libellum Nicetae contra Latinos responsio ex monasterio S. Mariae Novae310, per cui è certo anche da qui che Chacón abbia usato almeno il Vat. lat. 5097, o forse anche il suo antigrafo conservato a S. Maria Nova. Non ci è dato sapere però, per ovvi motivi, quale redazione della Responsio sia stata utilizzata per l’edizione del Decretum. Doveva tuttavia essere contenuta in un codice importante, se usato per l’edizione del Decretum, ma il Vat. lat. 4845 alla fin fine non parrebbe così significativo per la silloge perché ne contiene un unico testo e forse già era così nel sec. XV, se guardiamo la nota di possesso apposta a f. 1r, che dà l’impressione che quello fosse già allora il primo foglio del manoscritto, che in origine doveva avere ampi margini dati i rimasugli di varie note tagliate con le successive rifilature. Bisogna tener conto poi del codice 169 dell’Alessandrina, che, pure, circolava in ambito romano, anche se non sappiamo da quale biblioteca Costantino Gaetano l’abbia avuto o da chi l’abbia comperato, e che entra all’Alessandrina per dono di Alessandro VII, il 9 giugno 1666. Sicuramente i testi contenuti nella prima parte del Vat. lat. 5097 non sono quelli del Vat. lat. 4845 e, nel caso della Responsio ad Nicetam, c’è divergenza nelle redazioni, perché il Vat. lat. 5097 presenta la stessa redazione delle edizioni a stampa, che hanno pure il Vat. lat. 3843 e il Vat. lat. 5594, mentre Vat. lat. 4845 è differente, come si è notato, nei capitoli finali. Potrebbe semplicemente trattarsi di una nota apposta, per così dire, a posteriori e a memoria, senza dare una soverchia importanza ad una collazione effettiva, oppure se ne dovrebbe concludere che esisteva un altro 308 G. CARDINALI, «Qui havemo uno spagnolo dottissimo». Gli anni italiani di Pedro Chacón (1570 ca. – 1581). Saggio di ricostruzione bio-bibliografica a partire da carteggi coevi, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 513), p. 77. 309 Ibid., pp. 73-74; la riproduzione della lista dal Vat. lat. 6531, f. 222r in tav. 7. 310 Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum una cum glossis, Gregorii XIII. Pont. Max. iussu editum, Romae, In Aedibus Populi Romani, 1582, f. 33v. La citazione è a Distinctio XXXII, C. XIIII: Item Leo IX. contra epistolam Nicetae Abbatis e a lato: Humbertus Cènomanensis legatus Leonis IX. in responsione contra Nicetam.

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codice a S. Maria Nova contenente buona parte della silloge, se non addirittura la silloge per intero. È certo che a Roma nel sec. XVI circolava un antigrafo — si suppone antico —, che presentava la redazione prevalente per la Responsio ad Nicetam e con l’intera silloge, da cui vengono le copie del Ranaldi e quella di Castel S. Angelo. Il Vat. lat. 5594, sec. XVI, figura infatti tra i manoscritti trasportati alla Biblioteca Vaticana nel 1614 da Castel S. Angelo: a f. IIr riporta nell’angolo superiore destro la dicitura: Di Castello311 e contiene tutta la silloge degli scritti relativi alla controversia e, in particolare, la Responsio a Niceta di Umberto di Silva Candida ai ff. 92v-107v. La redazione del Vat. lat. 4845 è identica a quella del volume della Biblioteca Alessandrina e della biblioteca di Bruxelles312, ma non a quella pubblicata dal card. Baronio nei suoi Annales313, che i Maurini, ripresi dal Migne314, sostengono provenire da un codice della Biblioteca Vaticana, di cui il Baronio fu cardinale bibliotecario dal 1597 al 1607. Conservano invece tale redazione, come si è visto, i manoscritti di Berna e di Lipsia, il Vat. lat. 3843, il Vat. lat. 5097, il Vat. lat. 5594. L’edizione del Baronio e quella del Migne sono simili e nessuna delle due ricorda manoscritti che presentino i capitoli XXXIV e XXXV differenti, come accade per il gruppetto citato. Contemporaneamente a quella del Baronio esce un’edizione di Enrico Canisio sur un Manuscrit de la Bibliothéque de l’Electeur de Baviere315 (prout in Bavarico Codice reperimus316), sempre secondo i Maurini. Il manoscritto è probabilmente il Bernese. L’edizione migliore del Canisio secondo i Maurini è quella di Anversa del 1725317, che corregge alcuni errori di lettura dell’editio princeps. Il volume della Biblioteca Alessandrina è appartenuto al benedettino Costantino Gaetano318, che collaborò con il Baronio proprio alla stesura 311 MANFREDI, Vaticani latini cit., p. 627; DI SANTE – MANFREDI, I Vaticani latini: dinamiche di organizzazione cit., p. 484. 312 D’AGOSTINO, Il Primato della Sede di Roma cit., pp. 89-94 attribuisce al codice di Bruxelles e a quello dell’Alessandrina la definizione «collezione suditalica» probabilmente sulla base della presunta provenienza. 313 C. BARONIO, Annales ecclesiastici, XI, Roma 1605, p. 206 riferisce il fatto e nell’Appendix, pp. 765-775 pubblica l’opera. 314 PL 143, col. 924, la citazione è tratta da: Histoire Literaire de la France, par des religieux Benedictins de la Congregation de S. Maur, Parigi 1746, p. 538. 315 H. CANISIO, Antiquae lectiones,VI, Ingolstadii 1604, pp. 175-193. 316 Ibid., p. 113. 317 Thesaurus monumentorum ecclesiasticorum et historicorum sive Henrici Canisii Lectiones antiquae ad saeculorum ordinem digestae variisque opuscolis auctae, III, Amstelaedami, 1725, pp. 314-324. 318 Su di lui: J. RUYSSCHAERT, Costantino Gaetano, O.S.B., chasseur de manuscrits. Contri-

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del tomo XI degli Annales, dove è riprodotta la Responsio ad Nicetam, cosa questa che ci conduce a pensare che il Baronio e il Gaetano conoscessero da un lato la redazione del Vat. lat. 4845 e dell’Alessandrino 169, ma avessero tra le mani, dall’altro, un diverso e più autorevole manoscritto, perché anche nelle edizioni cinquecentesche delle opere di Leone IX, che essi avrebbero potuto consultare, non è riportata la cosiddetta Responsio ad Nicetam319. È difficile, al momento, dire, prestando fede ai Maurini, se il Baronio abbia usato per la sua edizione il Vat. lat. 3843, oppure se disponesse dell’antigrafo, in quanto nella serie antica del fondo Vaticano latino non vi sono altri manoscritti, salvo quelli qui citati, che contengano l’opera in questione. Il Commento al Cantico dei Cantici attribuito nel Vat. lat. 4845 a Gregorio Magno, è una ripresa dal commento di Robert de Tombelaine, Commento al Cantico dei Cantici, secondo la cosiddetta redazione D320. L’opera non è più stata riedita dal 1605; essa è conservata anche a Subiaco, Bibl. Statale del Monumento nazionale di S. Scolastica, ms. 229 (CCXXVI/1-2)321; a Madrid, Bibl. Nacional de España, 605 (olim H. 320); R. HAURÉAU, Initia operum scriptorum Latinorum medii potissimum aevi, vol. 5, Turnholti [19731974], ricorda i manoscritti di Paris, Bibl. nationale, lat. 14798 (f. 57) e lat. 14984 (f. 118); A. G. SCHMELLER – G. MEYER, nell’Appendix dello stesso volume, citano i manoscritti di München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6102 (f. 43) e Clm 16609 (f. 75) e di Bruxelles, Bibl. Royale, 10589; l’opera è conservata, oltre ai manoscritti citati, secondo F. STEGMÜLLER, Repertobution à l’histoire de trois bibliothèques romaines du XVIIe s. l’Aniciana, l’Alessandrina et la Chigi, in Mélanges Eugène Tisserant, VII/2, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 237), pp. 261-326, pl. I-VIII; in particolare, anche se non in riferimento al nostro testo, per il manoscritto 169 della Biblioteca Alessandrina, p. 317 (nr. 495). Gaetani, Costantino (1568-1650): M. CERESA, in DBI, 51, Roma 1998, pp. 189-191, che ricorda in particolare la collaborazione con il Baronio per i volumi XI e XII degli Annales ecclesiastici cit., pp. 189-191. 319 D. Leonis eius nominis I […] Opera, quae quidem haberi potuerunt, omnia, magno studio ad manuscriptorum codicum fidem à permultis, iisque foedis mendis nunc demum repurgata \F. Laurentius Surius. His adiunximus D. Leonis 9. aeque Romani pontificis eruditas aliquot lucubrationes, numquam antehac typis excusas. Cum indice nouo ac copioso, Coloniae Agrippinae, apud Ioannem Birckmannum iuniorem, 1561 (ripubblicata nel 1568 e nel 1569). L’edizione del 1561 fa pensare che Gesner (cfr. Histoire Literaire de la France, pp. 538-539) abbia indicato erroneamente 1521 (edizione vanamente ricercata dai Maurini) per 1561, edizione in cui si trovano effettivamente pubblicati alcuni testi della silloge legata a Leone IX e ad Umberto di Silvacandida, ma non la Responsio. 320 GRÉGOIRE LE GRAND, Commentaire sur le Cantique des cantiques, ed. R. BÉLANGER, Paris 1984 (Sources chrétiennes, 314), pp. 20-21, segnalato in PL 79, Lutetiae Parisiorum 1862, col. 471. I manoscritti relativi a tutte le redazioni sono censiti in http://www.mirabileweb.it/ title/commentariorum-in-cantica-canticorum-libri-duo-title/11329, data di visita 08/10/2020. 321 Descrizione dettagliata in: https://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php?ID= 49140.

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rium biblicum medii aevi, vol. 5, Matriti 1955, p. 165 (nr. 7488), a Madrid, Bibl. Nacional 6911 (olim T. 79); forse a Paris, Bibl. nationale, lat. 14802 (ff. 1-45); a Praha, Národní Knihovna Ceské Republiky (olim Národní a Univerzitní Knihovna), 1142 (VI. F. 5; ff. 36a-65a, sec. XV); 1946 (X. F. 20; ff. 117a-162a, sec. XV); 2206 (XII. F. 18; ff. 133a-162a, a. 1464-1475); 2491 (XIV. C. 24; ff. 1a-31a, sec. XIV); a Wilhering, Stiftsbibliothek IX 25 (sec. XIV, ff. 121-153). Non vengono segnalati manoscritti di questo tipo negli studi, preparatori a SANCTI GREGORII MAGNI Expositiones in Canticum canticorum in librum primum regum, Turnholti 1963 (Corpus christianorum, Series Latina, 144), di P. VERBRAKEN, La tradition manuscrite du Commentaire de Saint Grégoire sur le Cantique, in Revue bénédictine 73 (1963), pp. 277-288 e Un nouveau manuscrit du Commentaire de S. Grégoire sur le Cantique des cantiques, in Revue bénédictine 75 (1965), pp. 143-146. Difficile identificare Iohannes Aguilar apostolicus notarius huius libri avidus: nella copiosa e documentata serie dei notai non vi è nessuno che corrisponda ad un simile nome; compare un Giovanni Aquilano notaio della Camera Apostolica, di cui però non riemergono atti, citato nei repertori perché appartenente ad un ufficio soppresso322. Gli atti a lui pertinenti, dopo l’unificazione di una serie di uffici, dovevano confluire al notaio Luigi Nardi, di cui sono presenti documenti dal 1783 al 1788, ma non ve n’è traccia. Un altro notaio della Camera Apostolica è Iohannes de Aquilone, che compila i registri delle bollette di Pio II, conservati presso l’Archivio di Stato di Roma: Liber primus bullectarum d. Pii pape II (22 agosto 1458 – 30 luglio 1460) (Camerale I, Mandati della R.C.A. 834), Liber secundus bullectarum Pii pape II (1 agosto 1460 – 30 marzo 1462) (Camerale I, Mandati della R.C.A. 836), Liber tertius bullectarum Pii papae II (1 aprile 1462 – 31 322 Repertorio dei notari romani dal 1348 al 1927 dall’Elenco di Achille Francois, a cura di R. DE VIZIO, Roma 2011 (Collana di storia ed arte, 6), p. 28, che lo ricorda citato da Salvioni, p. 8. Salvioni è l’editore di Raccolta esattissima di tutti i notarj dell’alma città di Roma dall’anno 1507 a tutto il 1785 o sia dall’Erezzione del Collegio dei scrittori instituito dalla santa mem. di Giulio PP II con l’utilissima relazione degli antichi ai Notari viventi ed esercenti a commodo e vantaggio comune, Roma 1785, che a p. 8 rammenta Giovanni Aquilani in una tabella dal titolo Delli nove uffizj della rev. Camera Apostolica assegnati a quattro Notari con il nome di Segretarj. Unione di 4 Uffizi in uno come appresso e gli atti di tutti i notai elencati nella seconda colonna sono assegnati a Luigi Nardi, Giovanni Aquilani è il primo della lista. L’unificazione degli uffici si deve a un riordino disposto nel 1672 da Clemente X: Repertorio dei notari romani cit., pp. xxi-xxii. Segnalo che a Roma, Archivio di Stato, in un inventario manoscritto di sala (Inventario 10/I) a p. 67 si dice espressamente che tra i notai degli uffici della curia romana secondo le antiche tabelle Giovanni Aquilani è mancante ed era assegnato all’ufficio V. Il Francois non lo cita nel suo Elenco dei notari di cui si conservano gli atti nell’Archivio Romano di Stato, R. Sovrintendenza agli archivi nelle provincie romane, giugno 1886.

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dicembre 1463) (Camerale I, Mandati della R.C.A. 837)323. Iohannes de Aquilone non compare più nei registri camerali successivi. Impossibile tuttavia stabilire con certezza un’identificazione tra uno di questi personaggi e l’avido lettore del Vat. lat. 4845. Il Vat. lat. 4845 è alla Biblioteca Vaticana fin dal sec. XVI e va ricompreso nella «coda del fondo antico e aggiunte del sec. XVI»324. Se consideriamo il fatto che S. Maria Nova diventa olivetana nel 1351325 e precedentemente era stata una sede canonicale, questo manoscritto potrebbe provenire dalla biblioteca dei canonici. Fino al 1199 S. Maria Nova, stando ai documenti, era retta da un prior et rector senza altri riferimenti di sorta. L’ultimo priore citato così sul finire del 1199 è Torpinus326. In un atto del 22 gennaio 1199: Ego Torpinus Dei gratia prior et rector venerabilis ecclesie sancte Marie Nove, cum Iohanne presbitero, Martino presbitero et Rustico presbitero, Paulo diacono, Alberto subdiacono et Leo subdiacono et Iacobo subdiacono, omnes pariter hac die concedimus […]327. In un altro documento, del 2 aprile 1199, compare Turpino con i canonici e ancora senza alcun riferimento alla congregazione di S. Frediano: Ego quidem presbiter Actus yconomus venerabilis ecclesie sancte Marie Nove cum religiosis canonicis ipsius ecclesie, videlicet dompno Torpino priore, Rustico presbitero et Martino, consensu quoque et voluntate aliorum fratrum, scilicet Pauli, Leonis et Iacobi canonicorum eiusdem canonice, propria spontaneaque mea voluntate pro ipsa canonica loco [...]328. Nel primo documento del 1200 (11 aprile) 323 Mandati della Reverenda Camera Apostolica (1418-1802), a cura di P. CHERUBINI, Roma 1988 (Quaderni della rassegna degli Archivi di Stato, 55), pp. 99-100; nr. 834: pp. 4041, 77-79; nr. 836: pp. 32, 40, 53, 77, 79-80; nr. 837: pp. 40, 77, 79-80. 324 A. DI SANTE, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, I: Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010, pp. 311-312; MANFREDI, Vaticani latini cit., p. 624. Il codice non compare nè nell’inventario di Ruano nè nell’inventario del 1533: Librorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Sabeo collatus anno MDXXXIII, a cura di A. DI SANTE – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2009, p. 391 (Studi e testi, 457). 325 L’unione all’ordine di Monte Oliveto è del 1351, l’immissione nel possesso del 1352: P. LUGANO, S. Benedetto sul Palatino e nel Foro romano, in Rivista storica benedettina 15 (1924), pp. 201-209; R. M. CAPRA, Il sesto centenario olivetano in Santa Maria Nova, in Rivista storica benedettina 21 (1952), p. 23, che rileva come nelle Familiarum Tabulae fino al 1379 non compaiano le famiglie monastiche; su questo anche TAGLIABUE, La Congregazione olivetana cit., p. 233; Monasticon Italiae, I: Roma e Lazio cit., p. 68, n. 127; una veloce ricognizione su alcuni fondi dell’Archivio di Stato di Roma: LIONETTI, Fonti per la storia olivetana cit., pp. 299-306. 326 P. FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae ab anno 982 ad an. 1200, Roma 1903, pp. 246247 (documento CLX); pp. 249-251 (documento CLXII). 327 Ibid., p. 246. 328 Ibid., p. 249.

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compare un Iohannes Dei gratia prior et rector venerabilis canonice regularis sancti Fridiani et sancte Marie Nove et Martinus presbiter canonicus [sancte] Marie Nove et Paulus diaconus et camerarius dicte ecclesie329, e così in un documento del 23 aprile dello stesso anno330. La presenza dei canonici di S. Frediano è dunque attestata con certezza a partire dal 1200331. Ciò che rende interessante questo manoscritto nel contesto olivetano, oltre alla singolarità dei testi ivi copiati, è la datazione: al momento esso risulta il più antico posseduto da un monastero della Congregazione, ivi compreso Monte Oliveto Maggiore.

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Ibid., p. 254. In alcuni atti successivi (CLXVI, 23 aprile 1200, p. 255; CLXVII, 1 maggio 1200, p. 257) ricompare anche Rusticus; nell’atto del maggio 1200 è presente anche un frater Albertus, ibid., p. 257: Nos quidem dompnus Iohannes presbiter et dompnus Rusticus et dompnus Martinus canonici venerabilis ecclesie sancte Marie Nove et frater Albertus omnes pariter… locamus. 330 Ibid., pp. 254-256. 331 Non entro nel merito della tipologia della presenza canonicale in S. Maria Nova prima dell’avvento degli olivetani nel 1351, ma non è da considerarsi eccezionale l’esistenza nel 1234 di un Benedetto prior venerabilis canonice regularis Sancti Frigdiani Lucensis: C. CARBONETTI VENDITTELLI, Scrivere e riscrivere. Usi propri e impropri degli spazi tergali in alcuni documenti romani del XII secolo, in In uno volumine. Studi in onore di Cesare Scalon, a cura di L. PANI, Udine 2009, pp. 36-37; lo studio di Carbonetti Vendittelli, pp. 35-52, analizza i documenti di S. Maria Nova.

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Per una storia del Borgh. 369: Plinio, Naturalis historia Il Borgh. 369 è molto noto agli studiosi di Plinio per il suo contenuto e per l’importante fattura. Esso è stato variamente descritto e studiato332. Oltre alla sottoscrizione a f. 405r: Ego Iohannes Stagnensis de Florentia transcripsi sub anno Incarnationis MccccLxviii° et die xxviii° mensis Aprelis (una mano successiva ha corretto la e in i: Aprilis), segnalo la nota del copista sempre a f. 405r: Precibus magistri Leonis de Asciano visitavi locum istum ego Johannes Stagnesius hodie xvj Maii MccccLxxxiii. A f. 1r, inoltre, vi è una lunga nota erasa di cui si legge abbastanza chiaramente ai raggi ultravioletti: Hic liber est monasterii [principalis] Sancte Marie Montis Oliveti. Un poco più sotto: Maneat in xiii° bancho librarie [eiusdem] monasterii ex parte Orientis sig. Z xvii. Emptus fuit ex pecuniis eximii doctoris d. Ludovici de Interamne. Le note sono molto simili a tutte le altre apposte sui manoscritti posseduti dall’abbazia di Monte Oliveto, per la maggior parte conservate. In origine a f. 2r del Borgh. 369 doveva esserci tra i due angeli della cornice miniata il simbolo di Monte Oliveto, cioè i tre monti sormontati dalla croce e i rami d’ulivo, poi sostituiti dalle armi di Paolo V Borghese. Le insegne di Paolo V (aquila nera coronata in campo d’oro e drago d’oro in campo azzurro) saranno state dipinte in occasione del dono, che si può supporre avvenuto nel periodo di detto pontefice, cioè dal maggio del 1605 al gennaio del 1621333. L’occasione di un simile omaggio doveva essere sta332 DE LA MARE, New Research on Humanistic Scribes cit., p. 499, dice il codice acquistato con i denari di Ludovico da Terni, ma non dà il testo della nota erasa a f. 1r; MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., pp. 647-648; A. BORST, Das Buch der Naturgeschichte. Plinius und seine Leser im Zeitalter des Pergaments, Heidelberg 1994 (Abhandlungen der Heidelbergen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse Jahrgang 1994,2), pp. 314, 372; NILSSON NYLANDER – VIAN, “Riccius scripsit” cit., p. 236; J. FOHLEN, Colophons et souscriptions de copistes dans les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane (XIVe et XVe s.), in Roma, magistra mundi. Itineraria culturae medievalis. Mélanges offert au Père L.E. Boyle à l’occasion de son 75e anniversaire, Louvain-la-Neuve 1998, pp. 244, 260 in nota; E. LUGATO CARRARO – H. WALTER, Alla ricerca del codice pliniano di Giambattista Recanati (1687-1734), bibliofilo veneziano, in Studi umanistici piceni 19 (1999), p. 60; M. D. REEVE, The editing of Pliny’s Natural History, in Revue d’histoire des textes 2 (2007), pp. 109, 145, 173, 177; riproduzione digitale disponibile al permalink https://digi.vatlib.it/view/MSS_Borgh.369, consultato 15 giugno 2019. 333 Per la storia dei codici borghesiani: Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae, rec. A. MAIER, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 170), pp. V-VII; L. DUVAL-ARNOULD, Borghesiani, in Guida ai fondi manoscritti cit., pp. 354-356; la descrizione del manoscritto: Codices Burghesiani cit., pp. 422-423.

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ta molto importante per gli olivetani e non si può non pensare alla canonizzazione di Francesca Bussa dei Ponziani, S. Francesca Romana, avvenuta il 29 maggio 1608, proprio durante il pontificato di Paolo V334. Il codice non è più citato nel dettagliatissimo catalogo dei manoscritti di Monte Oliveto Maggiore di Cherubino Besozzi, compilato nel 1719335 né in alcun catalogo settecentesco. Compare invece nel Vat. lat. 11274, in cui la lista di Monte Oliveto Maggiore è compilata nell’anno 1600, a f. 242v: Plinius de naturali historia in Pergamis. La Naturalis historia stava nella seconda metà del Cinquecento nella grande e bella biblioteca di Monte Oliveto Maggiore, acquistata grazie all’eredità di Ludovico Petrucciani da Terni336, ex parte Orientis, in bancho sextodecimo: Plinius de naturali historia in pergamenis337, come apprendiamo dal primo inventario a noi noto, quello redatto nel 1569 per l’inquisitore, che farà le sue opportune verifiche: Frater Petrus de Sarono inquisitor generalis in toto dominio Senarum vidit et personaliter expurgavit omnes libros Montis Oliveti et deletis delendis, expurgatis expurgandis, omnes in preteritis quatuor foliis libros contentis aprobavit ac bonos et catholicos, salvo meliori iudicio, declaravit, manu sua propria sub die 5 mensis Iulii 1569. Frater Petrus de Sarono signavit ut supra338. 334

D. ZARDIN, Il processo apostolico per la canonizzazione di santa Francesca Romana (1602-1608), in La canonizzazione di Santa Francesca Romana cit., pp. 53-78; M. BOITEUX, La cerimonia di canonizzazione di santa Francesca Romana. Teatro, riti, stendardi e immagini, ibid., pp. 99-121. 335 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, P. V. 12: si tratta di un manoscritto predisposto da un giovane Cherubino Besozzi — lui stesso nella lettera prefatoria dice di avere 23 anni — contenente un catalogo del nucleo dei manoscritti dell’antica biblioteca di Monte Oliveto Maggiore, compilato sia per consultazione diretta dei manoscritti sia compulsando il catalogo allora esistente. Sul foglio di guardia: Questo cod. mi fu donato nel 1886 dal sig. Gio. Batta. Miniatelli di Cetona. Tale manoscritto dunque non fu portato alla Biblioteca Comunale di Siena al momento dell’ammasso causato dalla soppressione napoleonica, ma, sottratto all’abbazia in circostanze non note, solo successivamente giunse alla Biblioteca Comunale: MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., p. 658. 336 E. MECACCI, La biblioteca di Ludovico Petrucciani docente di diritto a Siena nel Quattrocento, Milano 1981; MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., p. 633. 337 Siena, Archivio di Stato, Conventi 184, doc. 15, f. 2vb. 338 Ibid., f. 5r. L’inquisitore è fra Pietro Fusi di Saronno, padre guardiano del convento di S. Francesco di Siena: L. WADDING, Annales minorum. 1565-1574, t. 20, Ad Claras Aquas prope Florentiam 1933, pp. 270, 304; P. PICCOLOMINI, Documenti fiorentini sull’eresia in Siena durante il secolo XVI, 1559-1570, in Bullettino senese di storia patria 17 (1910), pp. 192-193; R. CANOSA, Storia dell’inquisizione in Italia dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento. Milano e Firenze, 4, Roma 2000, pp. 134-135; Le lettere della Congregazione del Sant’Ufficio all’Inquisitore di Siena. 1581-1721, a cura di O. DI SIMPLICIO, Trieste 2009 (stampa 2012) (Inquisizione e società. Fonti, 3), pp. xx; xxxi; xxxiv.

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SOTTRAZIONI, CONFUSIONI E DISORDINI DI LIBRI

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Per la diversa collocazione di banco rilevabile tra la nota citata di Borgh. 369 e il documento, segnalo che in diversi manoscritti appartenuti a Monte Oliveto si ha un’evidente correzione del numero di banco e, almeno in un caso, un manoscritto che reca la nota antica non si trova nell’elenco dell’inquisitore, segno questo che vi sono stati spostamenti, come del resto è ovvio, e riordini: AMOM B 26 (Ordinarium offitii ordinis Sancti Benedicti) non si trova nell’inventario del 1569, ma è inequivocabile la segnatura antica che reca: Hic liber est Monasterii p[rincipa]lis Montis Oliveti in agro Senensi. Maneat in bancho XVI° librarie eiusdem monasterii ex parte Orientis sig. K.1. Rilevo in particolare che è appunto il bancho XVI ex parte Orientis a dimostrare le diverse sistemazioni. Proprio AMOM B 26 presenta la medesima nota di collocazione di Borgh. 369, salvo la segnatura che è, com’è ovvio, diversa339. Il Borgh. 369 era stato acquistato nel 1468 da frate Mathia di Simone da Trieve priore del convento di Monte Oliveto di Chiusure340: […] E a dì sette d’aprile fiorini cinquantadue larghi per lui a Ser Giovanni di Baldino Scagnosi: per uno Plinio fiorini quarantacinque, et fiorini sette per uno Augustino comparo dallui: fiorini 52341. Di questo abbiamo prova anche nella minuta — credo di uso personale — di fra Mattia: In Firenze comprati li infrascriptj… Ad ser Giouannj: per uno Plinio De naturali istoria; Justino istoriografo ducati 52342. 339 AMOM B 26 non appartiene al nucleo di libri acquistato con l’eredità di Ludovico Petrucciani da Terni ed è stato portato all’abbazia principale nella seconda metà del ’400, probabilmente da uno di quei molti monasteri che in quel torno d’anni entrava a far parte della Congregazione olivetana. Se ne trova testimonianza nell’inventario del Vat. lat. 11274, f. 247v: Ordinarium super officium et super regulam smi. Patris nostri Benedicti in pergis. Per questo manoscritto: MAZZUCONI, Una piccola, “nuova”, biblioteca cit. 340 AMOM, Cancelleria XI. 1, Liber professorum A, f. 56v: 1453 f. Matthias de Trevio 8 Maii Perusiè; AMOM, Cancelleria XII. 2, Necrologium parvum, f. 73r: obiit 1485. Su Mattia di Simone da Trevi e i libri: BELFORTI, Cronologia brevis cit., p. 113; SCARPINI, I monaci cit., p. 98. 341 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, B. IX. 11, f. 121r-v. I manoscritti con opere di Agostino appartenuti all’antica biblioteca di Monte Oliveto Maggiore sono diversi, per cui è impossibile in questo caso un’identificazione precisa. Per questi acquisti: MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., pp. 639-640. 342 Siena, Archivio di Stato, Conventi 237, f. 66r. Il manoscritto di Giustino è oggi a Genova, Biblioteca Durazzo, 212 (E VI 1): D. PUNCUH, I manoscritti della Raccolta Durazzo, Genova 1979, pp. 282-283: il manoscritto (sec. XV) è appartenuto a Poggio Bracciolini (nota erasa f. 111r; successivamente è passato all’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, di cui reca la nota di possesso, con relative correzioni, che anche in questo caso dimostrano un avvenuto spostamento (ibid., p. 282): Maneat in XVII° (su numero eraso) bancho librarie monasterii pri[ncipalis tocius sacri ordinis Sancte Marie de Monte Oliveto] ex parte orientis (corretto su occidentis). Emptus fuit hic codex ex denariis eximii utriusque doctoris et apostolici advocati, domini Luciani (recte: Ludovici) de Interamnis, cuius etiam impensis hec bibliotheca constructa fuit et libris maiori ex parte dotata, eo quod idem dominus habuit fratrem suum professum

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DANIELA MAZZUCONI

Dalla nota di Iohannes Stagnensis apprendiamo che egli nel 1483 si recò ad Asciano, verosimilmente presso l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, il locum istum, dove appose la nota relativa al suo passaggio nel codice che un tempo aveva copiato343.

nostrum qui obiit Rome, prior mon[asterii nostri Sancte Marie Nove]. Et erat valde religiosus et humilis devotusque et doctus vir; MAZZUCONI, Le vicende della biblioteca cit., p. 645. 343 Di mano di Iohannes Stagnensis sono conosciuti anche altri manoscritti: BENEDICTINS DU BOUVERET, Colophons des manuscrits occidentaux des origines au XVIe siècle. Colophons signés I-J (7392-12130), III, Fribourg 1973 (Spicilegii Friburgensis subsidia, 4), p. 504, nrr. 11518-11521.

ABSTRACT Il Vat. lat. 13721, di certa provenienza camaldolese al suo ingresso in Biblioteca Vaticana, trova origine nell’archivio del monastero olivetano di Santa Croce di Sassovivo, di cui contiene l’Inventario settecentesco qui pubblicato. Allegato vi è un fascicolo cinquecentesco con l’indicazione di varie spese. Interessante nell’Inventario è il riferimento a una Madonna della Quercia, attribuita a Raffaello e venduta nel 1734. Si esaminano altresì le citazioni del Liber privilegiorum, degli Atti del processo di beatificazione e delle Lettere di Bernardo Tolomei, valutandone le relazioni con le biblioteche e gli archivi olivetani e affrontando una prima ricostruzione dei fondi manoscritti delle biblioteche di S. Maria Nova, Monte Morcino e Sassovivo. Viene infine delineata la storia del Vat. lat. 4845, proveniente da S. Maria Nova, e del Borgh. 369, proveniente dall’abbazia di Monte Oliveto Maggiore. Vat. lat. 13721, a manuscript that is certainly of Camaldolese provenance before it came to the Vatican Library, originates from the archive of the Olivetan monastery of Santa Croce di Sassovivo, and contains the eighteenth-century Inventory published here. Attached is a sixteenth-century fascicle that indicates various expenses. A noteworthy detail in the Inventory is the reference to a Madonna della Quercia, attributed to Raphael and sold in 1734. The citations of the Liber privilegiorum, the Acts of the Process of Beatification and the Letters of Bernardo Tolomei are also taken into consideration, to assess the relations with the Olivetan archives and the libraries, and in an effort to reconstruct the manuscript collections of the libraries of S. Maria Nova, Monte Morcino and Sassovivo. Finally, the article discusses the history of Vat. lat. 4845, which comes from S. Maria Nova, and of Borgh. 369, from the abbey of Monte Oliveto Maggiore.

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ELANIA PIERAGOSTINI

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA: UNA VEDUTA DELLE MURA VATICANE NEL SETTECENTO* ABSTRACT a p. 336.

Il presente contributo intende proporre l’attribuzione all’artista inglese William Pars (1742-1782)1 di un acquerello, finora anonimo, conservato all’interno della miscellanea di disegni del fondo Ashby presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. L’acquerello (390  570 mm), segnato Ashby Disegni 902, raffigura una parte della città del Vaticano (tav. I): sulla sinistra si ergono le mura vaticane e in secondo piano il palazzetto di Innocenzo VIII osservato da piazza Risorgimento2. Siamo nell’area dell’attuale cortile del Belvedere, progettato all’inizio del Cinquecento da Bramante per volere di papa Giulio II; il nome deriva dal Belvedere di Innocenzo VIII, realizzato, stando alle pa* Sono immensamente grata alla Dott.ssa Kim Sloan, Curator of British Drawings and Watercolours before 1880 presso il Department of Prints and Drawings del British Museum, per i consigli relativi alla formazione di Pars e più in generale per le informazioni sull’ambiente inglese del periodo. Un suo contributo su Pars, presentato durante una conferenza nel 2014 (Smyrna: the Eye of Asia. A British Museum Classical Colloquium in Honour of Charles Sebag-Montefiore, The British Museum, London, 5-6 December 2014), è in corso di stampa. 1 Su Pars, si vedano: J. INGAMELLS: Pars, William, in A Dictionary of British and Irish Travellers in Italy: 1701-1800, New Haven – London 1997, p. 743; A. WILTON, Pars William, in J. TURNER, A Dictionary of Art, XXIV, New York – London 1996, p. 213; ID., William Pars. Journey through the Alps, Zurich 1979; ID., William Pars and his Works in Asia Minor, in R. CHANDLER, Travels in Asia Minor 1764-1765, London 1971, pp. xix-xxxvii; I. WILLIAMS, Early English Watercolours and Some Cognate Drawings by Artists Born not Later than 1785, London 1970, pp. 74-76; M. HARDIE, Water-Colour Painting in Britain, I: The Eighteenth Century, London 1966, pp. 88-91. Una breve biografia di Pars fu redatta nel 1808: E. EDWARDS, The Anecdotes of Painters, who Have Resided or Been Born in England, with Critical Remarks on their Productions, London 1808, pp. 89-91. Un contributo sull’artista e sul suo soggiorno italiano (con diverse vedute inedite) a cura di chi scrive è in corso di stampa per le Edizioni Quasar. 2 Sulla Città del Vaticano, palazzi, giardini e collezione, si veda The Vatican: Spirit and Art of Christian Rome, New York 1982; sul cortile cfr. J. S. ACKERMAN, The Cortile del Belvedere, Città del Vaticano 1954 (Studi e documenti per la storia del Palazzo Apostolico Vaticano, 3). Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 321-348.

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ELANIA PIERAGOSTINI

role di Vasari3, su disegno di Antonio del Pollaiolo e costruito da Jacopo Pietrasanta intorno al 1485-1487. Il Belvedere fu edificato come una villa suburbana — con loggia aperta verso la campagna e posta in una posizione rialzata — decorata con affreschi di Pinturicchio e Andrea Mantegna. Sulla destra del foglio si nota uno stabile, simile a quelli tuttora presenti nei giardini vaticani, come la cosiddetta Casetta del Giardiniere. Due figure, di cui una a cavallo, sono dipinte sulla strada che conduce al palazzetto, costeggiando le mura. Sui lati di queste, una rigogliosa vegetazione arricchisce la veduta e getta ombra sulla strada assolata. Per fare chiarezza sull’artista, si farà riferimento ad altre opere collegate a tale disegno: la prima è un acquerello presentato nel 1961 da Colnaghi come The approach to a Castle in Southern Italy di Thomas Jones (1742-1803), con misure molto vicine all’esemplare del fondo Ashby (380  567 mm)4. Nel 1999 passa in asta Sotheby’s un acquerello di William Pars proveniente dalla collezione di Leonard Gordon Duke (1890-1971)5, con il titolo Part of the Vatican (395  580 mm)6, e presentato da Agnew’s nel 1966. Ritengo che questi due acquerelli siano la stessa opera, una volta attribuita a Jones ed una volta, con ogni probabilità a ragione, a Pars (tav. II). William Pars si formò, inizialmente come ritrattista, presso l’Accademia di Shipley7, la Galleria del Duca di Richmond8 e l’Accademia di St 3

G. VASARI, Le vite, a cura di G. MILANESI, III, Firenze 1878, p. 256. P&D COLNAGHI & CO LTD, Exhibition of Old Master Drawings, London 1961 [catalogo d’asta, 27 giugno – 28 luglio 1961], nr. 44. 5 Per informazioni bibliografiche e un inquadramento della collezione si veda: J. EGERTON, L. G. Duke, in Old Watercolour Society’s Club 48 (1974), pp. 11-30. Il catalogo manoscritto della sua collezione è conservato presso il Department of Prints and Drawings del British Museum di Londra. 6 SOTHEBY’S, British Drawings and Watercolours, London 1999 [catalogo d’asta, 31 marzo 1999], nr. 46 (venduto per 6325 sterline). L’acquerello di Pars era stato precedentemente venduto da Sotheby’s nel 1970, cfr. Catalogue of Fine English Drawings and Watercolours, London 1970 [catalogo d’asta, 5 marzo 1970], nr. 144. 7 L’accademia fu fondata nel 1754 da William Shipley con il nome di The Society for the Encouragement of Arts, Manufactures and Commerce; dal 1761 Henry Pars, fratello maggiore di William, ne divenne direttore ed a seguito del decreto-legge del 1847, l’accademia divenne nota come RSA (Royal Society of Arts). Si vedano: D. G. C. ALLAN, William Shipley. Founder of the Royal Society, London 1968; H. T. WOOD, A History of the Royal Society of Arts, London 1913; Pars vinse tredici premi presso l’accademia di Shipley dal 1756 al 1764 (RSA/ PR.AR/103/14/453; RSA/PR.AR/103/14/69; RSA/PR.AR/103/14/713; RSA/PR.AR./103/14/618; RSA/PR/AR/103/19/106; RSA/PR/AR/103/19/109a; RSA/PR/AR/103/19/139; RSA/SC/IM/701/ S891). 8 L’accademia di Charles Lennox, terzo conte di Richmond (1735-1806), fu uno dei riferimenti più importanti per i giovani artisti inglesi alla metà del secolo, prima della fondazione della Royal Academy nel 1768. Matthew Brettingham (architetto e agente a Roma per conto di Thomas Coke, conte di Leicester) fece arrivare in Inghilterra numerosi calchi in gesso di statue famose, che furono esposti gratuitamente presso l’accademia di Richmond — inizia4

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SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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Martin’s Lane9 a Londra. Vincitore di premi presso le diverse Società di artisti formatesi nella Londra del tempo (Society of Artists, Free Society of Artists e Royal Society of Arts)10, nel 1764 Pars fu scelto dalla Società dei Dilettanti11 come disegnatore per un viaggio in Grecia ed Asia Minore al seguito di Richard Chandler e Nicholas Revett (tav. III). Nel 1768 partecipò all’inaugurazione della Royal Academy e il 5 dicembre dell’anno successivo ne divenne uno studente di disegno, per essere poi eletto il 27 agosto 1770 A.R.A. (Associate of Royal Academy)12. A seguito di viaggi nel continente (tav. IV)13 con Lord Palmerston, uno dei suoi più importanti committenti14, Pars partì per l’Italia alla fine del 1775 con una borsa di studio della durata di tre anni finanziata dalla Società dei Dilettanti. Le notizie documentarie sul suo soggiorno italiano sono scarse e si limitano quasi esclusivamente all’importante diario15 redatto dall’amico e ben più noto paesaggista Thotiva ricordata da Horace Walpole nel 1758. L’accademia rimase aperta alcuni giorni della settimana sotto la supervisione di Giovan Battista Cipriani (1727-1785), pittore fiorentino giunto in Inghilterra nel 1755, e di Joseph Wilton (1722-1803), scultore inglese che aveva soggiornato in Italia tra 1747 e 1755. Si veda: I. BIGNAMINI, The Accompaniment to Patronage. A Study of the Origins, Rise and Development of an Institutional System for the Arts in Britain, 1692-1768 (unpublished Ph.D. thesis, Courtauld Institute of Art, University of London, 1988), pp. 450-451. 9 Fondata nel 1724 da James Thornhill a Peter Court, l’accademia fu diretta dal 1735 al 1768 da William Hogarth. Si veda: I. BIGNAMINI, George Vertue, Art Historian and Art Institutions in London, 1689-1768: a Study of Clubs and Academies, in The Volume of the Walpole Society 54 (1988), pp. 1-148, in particolare pp. 95-123. 10 I. BIGNAMINI, Osservazioni sulle istituzioni, il pubblico e il mercato delle arti in Inghilterra, in Zeitschrift fur kunstgeschichte 53 (1990), pp. 177-197; A. GRAVES, The Society of Artists of Great Britain 1760/1791, The Free Society of Artists 1761/1783. A Complete Dictionary of Contributors and their Work from the Foundation of the Societies to 1791, London 1907, p. 190. 11 La Commissione scelse Pars, «a young Painter of promising Talents», per realizzare vedute e copiare bassorilievi; cfr. L. CUST, History of the Society of Dilettanti, edited by S. COLVIN, London 1914, pp. 82-83. Le vedute dell’Asia Minore sono state pubblicate in WILTON, William Pars and his Works in Asia Minor cit.; si veda anche A. GUNN, Paul Sandby, William Pars and the Society of Dilettanti, in The Burlington Magazine 152 (2010), pp. 219-227. 12 A. GRAVES, The Royal Academy of Arts. A Complete Dictionary of Contributors and their Work from its Foundation in 1769 to 1904, London [1905] 1970, pp. 63-64. Joseph Farington nel suo Diario annota che Pars sarebbe stato eletto Associate il 17 novembre 1770: K. GARLICK – A. MACINTYRE, Diary of Joseph Farington, I, New Haven – London 1978, p. 135. 13 Splendide vedute della Svizzera e delle Alpi sono oggi conservate presso il Department of Prints and Drawings del British Museum di Londra e analizzate in: WILTON, William Pars. Journey through the Alps cit.; nell’estate del 1771, Palmerston e Pars visitarono anche l’Irlanda e il Lake District. 14 Henry Temple (1739-1802), secondo visconte di Palmerston. Su di lui, si vedano: I. BIGNAMINI, Digging and Dealing in Eighteenth-Century Rome, I, New Haven – London 2010, pp. 313-314; F. RUSSELL, A Connoisseur’s Taste, Painting at Broadlands, in Country Life 171 (28 Gennaio 1982), pp. 224-226; B. CONNELL, Portrait of a Whig Peer: Compiled from the Papers of the Second Viscount Palmerston, 1739-1802, London 1957. 15 A. OTTANI CAVINA, Viaggio d’artista nell’Italia del Settecento. Il diario di Thomas Jones,

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mas Jones16, pittore gallese che Pars conobbe a Londra nel 176117. Questi ricorda come Pars trascorse il resto della sua vita a Roma, e morì nel novembre 1782 mentre lavorava a degli schizzi della grotta di Nettuno a Tivoli18. Tornando alle diverse redazioni degli acquerelli che hanno per soggetto il Belvedere Vaticano, informazioni essenziali sono presenti nel catalogo manoscritto di disegni ed acquerelli di Leonard G. Duke redatto dal collezionista stesso19. Collega di Paul Oppé20 (1878-1957) nella Board of Education e molto vicino a personalità del calibro di Iolo Williams (1890-1962)21, Duke fu un importante conoscitore e collezionista di disegni inglesi, che acquistò e scambiò incessantemente durante la sua vita. Intorno al 1950, nel suo momento più prospero, tale collezione vantava quasi quattromila disegni, tutti numerati e catalogati, frutto di una passione cominciata con il primo acquisto nel 1924 e coltivata fino all’ultima acquisizione nel 1969. Disegni di qualità diversa venivano acquisiti in blocco in lotti eterogenei Milano 2003. Il diario fu originariamente pubblicato in un’edizione critica in lingua originale da Paul Oppè: A. P. OPPÈ, Memoirs of Thomas Jones, in The Walpole Society 32 (1951). 16 Allievo di Richard Wilson, Jones è stato recentemente riscoperto dalla critica. Si vedano: A. SUMMER, Thomas Jones, 1742-1803: an Artist Riscovered, London 2003; A. OTTANI CAVINA, Un paese incantato: Italia dipinta da Thomas Jones a Corot, catalogo della mostra (Parigi, Galeries nationales du Grand Palais, aprile-luglio 2001; Mantova, Palazzo Thè, settembredicembre 2001), Milano 2002. 17 «Nel novembre 1761 mi trasferii a Londra per iniziare il mio noviziato presso la scuola del signor Shipley, che qualche tempo prima aveva ceduto la direzione a Henry Pars, occasionalmente assistito dal fratello William»: cfr: OTTANI CAVINA, Viaggio d’artista cit., p. 39. 18 «Ho ricevuto la notizia della morte dell’amico Pars. Solo poco tempo prima avevo avuto una sua lettera da Roma in cui non faceva il minimo cenno a malattie. Ho saputo più tardi che era stato a Tivoli con un gentiluomo inglese e si era fermato a disegnare alla grotta di Nettuno, rimanendo tutto il tempo con i piedi nell’acqua. Colto da brividi violenti, era stato avvolto in una coperta e portato immediatamente a Roma su un calesse. Era morto però il giorno dopo mentre gli praticavano una flebotomia» (2 Novembre 1782): cfr. OTTANI CAVINA, Viaggio d’artista cit., p. 193. 19 Catalogue of the Leonard G. Duke Collection of English Drawings and Watercolours, VI, London 1971 (riproduzioni del manoscritto annotato da Duke sulla sua collezione, in 8 volumi, sono conservate presso il Department of Prints and Drawings del British Museum). L’opera di Pars è catalogata nel sesto volume (collocazione: Cd.3.4.VI, dalla O alla R), numero D3825: gessetto nero e acquerello, 14 2/8  22 1/4 [pollici] (firmato): in mm corrisponde a 361.9  565.1. 20 Oppè fu un importante conoscitore e collezionista di disegni ed acquerelli inglesi, e 3000 di questi furono acquisiti dalla Tate, London nel 1996. Per una sua biografia, si veda R. HAMLYN, In Pursuit of the Abstract and the Practical, A. P. Oppè and the Collecting of British Watercolours and Drawings in the Early 1900s, in A. LYLES – R. HAMLYN, British Watercolours from the Oppé Collection, London 1997, pp. 9-18. 21 Giornalista e politico del partito liberale britannico, Williams è noto per il suo interesse, anche collezionistico, per gli acquerelli e disegni inglesi. La sua innovativa ricerca fu pubblicata in Early English Watercolours, London 1952.

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SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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e con il passare del tempo alcuni venivano contrassegnati come «weed»22 e poi venduti. I suoi disegni erano frequentemente esposti in mostre23 e venduti o donati a musei ed altre collezioni24 nella speranza di renderli più accessibili, con una diffusione su territorio nazionale. Quello che rimase della collezione fu venduto da Sotheby’s durante sette aste di 1351 lotti poco prima della sua morte nel dicembre 1971. Duke appunta di aver acquistato il disegno raffigurante le mura vaticane durante la mostra estiva di Colnaghi nel 1961 per 100 sterline — prezzo interessante se si considera che il suo acquisto più costoso fu di 200 sterline25. Tale acquerello veniva nell’occasione catalogato come Castello del Sud Italia di Jones: «I bought this drawing from Colnaghi in their summer exhibition 1961 for 100 pound, cat.44 as by Thomas Jones. It came to them in a parcel of quite different oil sketches by Jones (who was a close friend of Pars)». Di seguito, Duke manifesta i propri dubbi sull’artista indicato da Colnaghi e propone un’attribuzione a Pars, portando a sostegno la vicinanza stilistica di questo acquerello con uno firmato da Pars raffigurante Ariccia (tav. V) conservato presso il Victoria and Albert Museum (inventario nr. 5725): «I don’t think that I or anyone else has ever seen a drawing by Jones like it, and I have now seen in the collection of Peter Rhodes of Church Cottage, Iffley, Oxford a more finished watercolour of the same size by Pars, which differs only in minor details. I have little doubt my drawing is by Pars, cfr Palazzo Chigi in the V&A Mus.[eum]». Duke aveva, inoltre, avuto la possibilità di vedere un’altra versione dello stesso acquerello vaticano nella collezione di Peter Rhodes. Stando alle sue parole, tale esemplare, delle stesse dimensioni, risultava più finito e differiva dalla sua versione solamente per pochi dettagli. Duke prosegue con l’identificazione a nostro avviso corretta del soggetto dipinto: «The subject is not, as catalogued by Colnaghi, the approach to a castle in Southern Italy, but a part of the Vatican. Apart from the tonality, the touches of colour in the locality strongly suggest Pars». Nell’affermare che il suo disegno è superiore alla versione Rhodes, Duke aggiunge che quest’ultima fu venduta da Jeremy Maas nel marzo 1964 per 475 sterline e 22 Con questo si intende il verbo all’imperativo, nell’accezione di una cosa “da eliminare/ sradicare”, piuttosto che la connotazione negativa del sostantivo. Cfr. EGERTON, L. G. Duke cit., p. 15. 23 Ad esempio: British Art, presso la Royal Academy, 1934 (12 disegni); Three Centuries of British Watercolours and Drawings, Art’s Council Festival of Britain, 1951 (15 disegni). Cfr. EGERTON, L. G. Duke cit., p. 20. 24 La vendita numericamente più corposa si data al 1961, quando 806 disegni passano nella collezione di Paul Mellon. Cfr. EGERTON, L. G. Duke cit., p. 20. 25 Ibid., p. 15: «The most he ever paid for a drawing was 200£, in 1949».

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l’anno successivo da Agnew’s per 650 sterline. A suo parere si tratta di un acquerello di John ‘Warwick’ Smith (1749-1831), probabilmente realizzato nello stesso periodo di quello di Pars e con un punto di vista molto simile. «My drawing is superior to the more laboured and finished version belonging to Peter Rhodes, which was made from a spot nearby. This was sold by Jeremy Maas on 2.3.64 for 475 pounds. In Jan ’65 Agnew’s were offering Maas’s watercolour for 650 pounds. I think Agnew’s drawing is probably by Warwick Smith, though both were probably made at the same time». Nel rintracciare la versione Rhodes, sono venuta a conoscenza di un acquerello della Maas Gallery di Londra passato in asta Christie’s nel 2003 come after Pars, The Vatican, Rome (38  57 cm) con tutti gli elementi compositivi della veduta vaticana ripresi con estrema precisione. Presentato da Agnew’s nel marzo 1964, il disegno fu nell’occasione acquistato da John Byng Kenrick per 650 sterline26. L’opera sarebbe stata poi esposta nel 1965 da Agnew’s ed è con tutta probabilità quella citata da Duke come appartenente alla collezione di Rhodes (tav. VI). Esistono, quindi, tre acquerelli con lo stesso soggetto, riconducibili a Pars o alla sua cerchia: il primo è quello presentato da Colnaghi nel 1961 come Thomas Jones, nell’occasione acquisito da Duke che lo identifica correttamente come Pars. Il disegno viene poi venduto nel 1970 in un’asta Sotheby’s (insieme ad altri disegni del collezionista britannico) e nuovamente nel 1999. Il secondo è la versione passata in asta Christie’s nel 2003 come after Pars, proveniente dalla collezione di Peter Rhodes, la cui storia viene ripercorsa da Duke nel suo catalogo. Il terzo è quello presente nel fondo Ashby della Biblioteca Apostolica Vaticana. Alla luce del catalogo di William Pars, la presenza di tre opere riferibili al pittore raffiguranti il medesimo soggetto e molto simili per impaginato, composizione e dimensioni, non desta stupore. Di Pars non esistono taccuini di disegni, quindi il pittore non lavorava — come invece i suoi contemporanei John Robert Cozens o Thomas Jones — appuntando rapidamente e a matita quello che aveva di fronte, per poi tornare su quegli appunti grafici in vista della realizzazione dell’acquerello. Nel suo metodo di lavoro, Pars prediligeva l’uso dell’acquerello di fronte al soggetto, on 26 CHRISTIE’S, British Art on Paper including Original Book Illustrations, London 2003 [catalogo d’asta, 3 luglio 2003], nr. 150, The Vatican, Rome. Provenienza registrata nel catalogo: «with the Maas Gallery, London, with Agnew’s, London, March 1964, where purchased by John Byng Kenrick, £650. Exhibited London, Agnew’s 92nd Annual Exhibition of Watercolours and Drawings, January-March 1965, no. 46». Venduto per 1,528 sterline o 2,540 dollari americani. Matita ed acquerello, filigrana Strasbourg Lily 15  22 1/2 in. (38  57 cm) https:// www.christies.com/lotfinder/lot/after-william-pars-ara-the-vatican-rome-4131335-details. aspx?from=salesummery&intObjectID=4131335&sid=3a4fc83e-c573-4dd3-af9a17ce33bbf510 (data di visita 15 Settembre 2019).

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the spot, come un “prototipo” o modello, base per le altre, solitamente più compiute redazioni. Il foglio della collezione di Duke ricorda Pars soprattutto nel secondo piano, con i colori che quasi si affievoliscono e diventano più pastello e tenui. Il cielo, con leggere nuvole rosa, è tipico del modo di usare il colore da parte di Pars e anche la vegetazione del secondo piano non è lontana dal suo modo di dipingere le piante, sebbene quelle del primissimo piano siano molto disegnative. Parte del primo piano è poco materica e delineata fondamentalmente con l’uso della matita e della penna; non comunica quel senso di chiarezza cristallina e di apertura dell’orizzonte, tipico di molte delle sue opere italiane, ma appare più rigida. Il disegno passato in asta Christie’s e tratto da Pars è invece più carico di colore, brillante, acceso e ben si sposa con la descrizione di Duke: «a more finished watercolour of the same size by Pars, which differs only in minor details». Il palazzetto è talmente preciso da permetterci di riconoscere uno dei bastioni delle mura a destra e probabilmente la chiusura del nicchione del cortile della Pigna a sinistra. Anche la vegetazione è molto più rigogliosa e le figure sono delineate con maggior chiarezza. Per la corposità del colore, il trattamento del cielo e delle nuvole, lo studio delle ombre e la precisione nei dettagli anche strutturali degli edifici, quest’opera risulta interessante e di alta qualità, sebbene non sia così vicina allo stile di Pars. Rimango dubbiosa sull’attribuzione a John ‘Warwick’ Smith proposta da Duke: il trattamento così corposo del colore, la brillantezza della tavolozza non ricordano con certezza Smith, il quale solitamente opta per toni più delicati e contorni meno netti. Sembrerebbe più vicino allo stile di una delle figlie di Charles Gore, Eliza27, che Pars conobbe in Italia e della quale fu maestro. La versione della Biblioteca Apostolica Vaticana proviene dal fondo Ashby (Ashby Disegni 902)28, recentemente indagato da Barbara Jatta e 27 Charles Gore (1720-1807) giunse in Italia nel 1773 con la moglie e le figlie, tra cui Eliza. Nel 1777 visitò la Sicilia con Richard Payne Knight e Jakob Philipp Hackert, del quale fu amico e probabilmente allievo. Wilcox, studioso di Towne, nel commentare i suoi acquerelli conservati al British Museum, afferma che i Gores furono allievi di William Pars, informazione presente anche nell’analisi delle opere di Charles conservate nello stesso museo. Si veda ad esempio: un’opera passata in asta Christie’s il 9 aprile 1991 (lotto 27) e un acquerello oggi all’Ashmolean Museum, Oxford (WA1990.121), rispettivamente di Eliza e Charles in cui il Colosseo viene ripreso dallo stesso punto di vista di una versione di Pars (Veduta dell’interno del Colosseo, acquerello, matita con penna su carta vergata, 435  591 mm, Tate Gallery, T04853, tav. VII). Per informazioni su Eliza e Charles Gore si veda K. SLOAN, A Noble Art: Amateur Artists and Drawings Masters c. 1600-1800, London 2000, p. 119. 28 Sul fondo cfr. B. JATTA, Ashby, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, II, Città del Vaticano 2011 (Studi e

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Pier Andrea De Rosa nel nucleo di disegni ottocenteschi29. La collezione dell’archeologo inglese Thomas Ashby (1874-1931), giunta in Vaticano nel 1933, si caratterizza per un’attenzione topografica e archeologica, prossima al vedutismo romano. Per le modalità di acquisto dei disegni e delle stampe tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, non sempre è possibile risalire alla provenienza delle opere del fondo30. Ashby acquistò moltissimo sul mercato inglese, spesso lotti interi di materiale eterogeneo, in maniera simile a Duke che, nel ricordare l’acquisto dell’acquerello di Pars, afferma: «Arrivò loro [Colnaghi] in un pacco contenente schizzi ad olio di Jones molto diversi»31. Il fondo Ashby è stato studiato in contributi diversi, con approfondimenti sul nucleo di stampe, il fondo Piranesi32, gli acquerelli di Labruzzi33 e i disegni più antichi, prima del recente volume sui disegni dell’Ottocento. Pubblicato nel contributo di Jatta e De Rosa come anonimo della prima metà dell’Ottocento34, l’acquerello di Pars fu escluso dal primo catalogo sistematico della collezione redatto da Didier Bodart35, che si focalizzava sui disegni datati fino al 1825-1830. Stilisticamente, l’acquerello vaticano appare leggero, ma ben definito. Quasi sempre nelle vedute di Pars sono delineate figure che animano il paesaggio o il monumento antico, forse un retaggio della sua formazione da ritrattista e pittore di storia: un uomo a cavallo e di fianco una donna che trasporta legna sono diretti verso lo stabile dalla cui finestra si affaccia un’altra persona. Il disegno risulta dall’unione verticale di due fogli separati e compositivamente è molto simile all’esemplare della collezione Duke. L’espediente dei due fogli uniti potrebbe indicare che questo acquerello fu realizzato on the spot: l’opera, non pensata per un committente, è più testi, 467), pp. 888-890; R. KEAVENEY, Views of Rome: From the Thomas Ashby Collection in the Vatican Library, London 1988. 29 P. A. DE ROSA – B. JATTA, Disegni del secolo XIX del fondo Ashby nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2014 (Documenti e riproduzioni, 14). 30 Per un inquadramento sul collezionista, si veda R. HODGES: Visions of Rome: Thomas Ashby, Archaeologist, London 2000. 31 La traduzione è a cura di chi scrive. 32 B. JATTA, I fondi Piranesi della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Piranesi e l’Aventino, a cura di B. JATTA, Milano 1998, pp. 118-120. 33 P. A. DE ROSA – B. JATTA, La via Appia nei disegni di Carlo Labruzzi alla Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2013 (Documenti e riproduzioni, 13); M. BUONOCORE, I disegni acquerellati di Carlo Labruzzi e Richard Colt Hoare alla Biblioteca Vaticana: tra epigrafia e antichità, in Miscellanea greca e romana 15 (1990), pp. 347-365. 34 DE ROSA – JATTA, Disegni del secolo XIX cit., p. 299. 35 D. BODART, Dessins de la Collection Thomas Ashby à la Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano 1975 (Documenti e Riproduzioni, 2); H. EGGER, Römische Veduten. Handzeichnungen aus dem XV.-XVIII. Jahrhundert zur Topographie der Stadt Rom, II, Wien 1932.

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probabilmente una ripresa dal vero, per la quale a Pars non fu sufficiente il foglio precedentemente preparato. Tale pratica è riscontrabile in un altro acquerello di Pars, una Veduta dell’interno del Colosseo (tav. VII), oggi alla Tate Gallery di Londra36, che fu di proprietà dell’amico di Pars, Thomas Jones. I due pittori condivisero l’alloggio sia nella città eterna37 sia durante i soggiorni napoletani ed è possibile che il contenuto dello studio di Pars venne acquisito da Jones alla sua morte, avvalorando la tesi di un acquerello non inteso per un committente, ma tenuto nello studio come materiale di lavoro. Il Colosseo fu ripreso dal pittore in almeno altre tre occasioni (una veduta conservata presso il Birmingham Museum (tav. VIII)38, una inedita a Woburn Abbey39 ed una presso l’Aberdeen Art Gallery40 con un punto di vista inconsueto, la via che porta alla Basilica di San Giovanni in Laterano). Non è semplice stabilire la data del disegno di Pars: potrebbe trattarsi di uno dei primi monumenti indagati al suo arrivo a Roma, oppure studiato insieme ai suoi compagni John ‘Warwick’ Smith e Francis Towne tra 1780 e 1781. Entrambi ripresero il Colosseo in diverse occasioni, sia come veduta d’insieme che abbraccia il Palatino, sia soffermandosi solamente sulle arcate o sui corridoi, sia, nel caso di Towne, raffigurando l’interno della cavea: i punti di vista scelti sono interessanti e sembra emergere la volontà di indagare la rovina, studiando l’effetto del tempo sulle vestigia passate41. Nonostante questo, ritengo si tratti di una delle prime prove affrontate da Pars dopo l’arrivo nell’Urbe nel dicembre 1775, realizzato on the spot nel tentativo di fermare sulla carta un momento di raccoglimento. Acquerello, matita con penna su carta vergata, 435  591 mm, Tate Gallery, T04853. Negli Stati delle Anime del 1779 si indica uno «studio di antichità in Strada Gregoriana a man destra», diviso tra il primo appartamento abitato da «Guglielmo Paris, pittore inglese di 47 anni» e il secondo da «Tommaso Jones» di 50. Archivio Storico Diocesano di Roma, Stati delle Anime, Sant’Andrea delle Fratte, 1779, nr. 143, ff. 18. 38 Veduta dell’interno del Colosseo, acquerello con matita ed inchiostro su carta, 420  514 mm, Birmingham Museum and Art Gallery, 1953P294 (dal lascito di Leslie Wright nel 1953). 39 A riguardo si rinvia al contributo sull’artista e sul suo soggiorno italiano (con questa ed altre vedute inedite) a cura di chi scrive e in corso di stampa. 40 Colosseo da via di San Giovanni in Laterano, acquerello con matita, penna ed inchiostro su carta spessa e vergata, 555  675 mm, Aberdeen Art Gallery and Museum, ABDAG003852 (presentato nel 1936 da E. Anderson). 41 Ad esempio: Francis Towne, Veduta dell’interno del Colosseo, acquerello su carta, 317  472 mm, British Museum, Nn, 2.11; Francis Towne, Veduta di un arco del Colosseo, acquerello su carta, 471  319 mm, British Museum, Nn, 2.18; Francis Towne, Veduta di un arco del Colosseo, acquerello su carta, 470  319 mm, British Museum, Nn, 2.30; John ‘Warwick’ Smith, Il Colosseo, acquerello su carta, 335  530 mm, British Museum, 1936,0704.7; John ‘Warwick’ Smith, Nell’arcata del Colosseo, acquerello su carta, 384  513 mm, British Museum, 1936,0704.18; John ‘Warwick’ Smith, Dettagli del Colosseo, acquerello su carta, 400  552 mm, British Museum, 1936,0704.13. 36 37

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Tale metodo di lavoro risulta frequente nel catalogo di Pars. Il Campo Vaccino, o Foro Romano, è noto in almeno sei versioni: un esemplare (tav. IX) presso la Tate Gallery42 — caratterizzato da iscrizioni a matita identificative dei monumenti, che quindi ben si sposerebbe con una veduta on the spot realizzata all’inizio del soggiorno romano —, uno al Whitworth Museum di Manchester43, uno nella collezione privata di Woburn Abbey, uno presso il Fitzwilliam Museum di Cambridge44, uno passato in asta Christie’s nel 197345 e uno nel 198046, forse lo stesso che fino al 1977 era nella collezione della Fine Art Society. Tali opere risultano molto simili tra loro e le differenze sostanziali riguardano il trattamento della luce e delle nuvole. Il punto di vista è spesso analogo, sebbene meno frontale e meno rialzato, a quello reso celebre da Giovanni Battista Piranesi nelle sue acqueforti: le tre colonne del Tempio dei Dioscuri sulla destra, con i monumenti in successione sulla sinistra. Anche in questo caso, Jones entrò in possesso dell’acquerello raffigurante il Campo Vaccino oggi alla Tate Gallery — probabilmente rimasto nello studio — ossia quello meno finito, il “prototipo” su cui si sarebbero basati gli altri esemplari del suo corpus47. Altro soggetto noto in molteplici versioni è la Basilica di San Pietro, polo di attrazione per i pittori stranieri a Roma. Pars la riprese in almeno cinque occasioni, quattro delle quali dal medesimo punto di osservazione, ossia l’Arco Oscuro, un antico sentiero che dalla via Flaminia (sul tracciato dell’attuale via di villa Giulia) conduceva alle vigne del monte di San Valentino, oggi monte Parioli48. Due versioni (una presso il Birmingham Museum49 (tav. X) e una passata in asta nel 199450) sono datate 1776, a 42 Campo Vaccino, acquerello e matita con penna su carta vergata, 402  588 mm, Tate Gallery, T04852. 43 Campo Vaccino, acquerello e matita con penna ed inchiostro su carta vergata, 373  552 mm, Whitworth Art Gallery, Manchester D.1892.12. 44 Campo Vaccino, acquerello e matita con penna ed inchiostro su carta vergata, 368  553 mm, Fitzwilliam Museum, Cambridge PD.1-1959. 45 CHRISTIE’S, Highly Important English Drawings and Watercolours, London 1973 [catalogo d’asta, 5 giugno 1973], nr. 111. 46 CHRISTIE’S, Important English Drawings and Watercolours, London 1980 [catalogo d’asta, 18 marzo 1980], nr. 42. 47 Nei files della Tate, la provenienza è registrata come «probably acquired from the artist by Thomas Jones»; cfr. https://www.tate.org.uk/art/artworks/pars-rome-the-forum-t04852 (data di visita 30/04/2020). 48 Da un lato si trovava la Vigna Vecchia di papa Giulio III, con il Casino di Pio IV costruito dietro la fontana, dall’altro villa Poniatowski e villa Giulia. Arrivato sotto la parete di tufo, il vicolo si infilava in un tunnel chiamato Arco Oscuro, che riusciva pochi metri più avanti in una valletta oggi completamente interrata. 49 Veduta della Basilica di San Pietro, 1776, acquerello con inchiostro e penna su carta, 388  570 mm, Birmingham Museum, 1947P20. 50 SOTHEBY’S, British Watercolours and Drawings from the Collection of the Late Cornish

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pochi mesi dall’arrivo del pittore a Roma, mentre quella presso il Victoria and Albert Museum51 (tav. XI) fu realizzata nel 1777 per Ozias Humphry (1742-1810)52, seguita dall’inedito acquerello a Woburn Abbey del 178053. Anche l’amico Towne fu un assiduo frequentatore di questo sentiero, come dimostrano una serie di acquerelli, datati agli ultimi giorni del mese di novembre del 1780, in cui riprese sia il sentiero polveroso, concentrandosi sullo studio della vegetazione54, sia la Basilica in lontananza55. Il punto di vista da cui è ripresa la chiesa è quasi sovrapponibile, essendo perfino presente lo stesso cipresso sulla destra (tav. XII). L’acquerello di Pars del 1776 passato in asta è il più leggero, meno preciso sia nel secondo piano sia nel punto focale del foglio. Le dimensioni — minori rispetto agli acquerelli di Birmingham e Woburn Abbey — ben si sposerebbero con una ripresa diretta del soggetto, realizzata dall’artista per immortalare sulla carta gli effetti di luce e i toni di colore, in quanto attratto, appena giunto a Roma, dalla bellezza della luce italiana. Presumibilmente eseguito on the spot, focalizzandosi sullo studio di luci e ombre, ma senza delineare dettagli, si differenzia marcatamente dalla versione di Woburn Abbey definita, nitida, curata in ogni particolare, con verdi molto decisi e ben differenziati. La veduta oggi al Victoria and Albert Museum, la più piccola per dimensioni, è forse la più poetica: un acquerello delicato, molto morbido, quasi romantico per l’uso accentuato del rosa. Le foglie del primo piano sono rese senza matita, che invece è presente nella realizzazione di S. Pietro. Il fondo Torbock, London 1994 [catalogo d’asta, 14 aprile 1994], nr. 243: vendita della collezione di Cornish Torbock (proveniente da una vendita anonima a Briarswood, vicino Hawkshease, Ambleside, Cumbria, 1935). 51 Veduta della Basilica di San Pietro, 1777, acquerello su carta, 210  230 mm, Victoria and Albert Museum, London, P.31-1932. 52 Tale informazione è presente nell’iscrizione: si tratta di un dettaglio fondamentale, data la scarsità di informazioni sul mercato e sulla committenza di tali opere. Pittore inglese giunto in Italia nel 1773, Humphry fu ritrattista molto richiesto. Aveva conosciuto Pars e Jones presso l’accademia di Shipley e, una volta giunto nell’Urbe, fondò un’accademia privata nella sua abitazione, dove gli artisti inglesi potevano esercitarsi. Rimase a Roma fino alla fine di aprile 1777; l’opera di Pars potrebbe esser stata una delle ultime prove per l’accademia di Humphry oppure, più probabilmente, una veduta da dare all’amico prima del suo rientro in patria. 53 A tal riguardo si rinvia al contributo sull’artista e sul suo soggiorno italiano (con questa ed altre vedute inedite) a cura di chi scrive e in corso di stampa. 54 Si vedano, ad esempio, i seguenti disegni di Francis Towne: Una strada vicino l’Arco Oscuro, 1780, acquerello con inchiostro e penna su carta, 470  314 mm, British Museum, Nn, 2.23; Una strada vicino l’Arco Oscuro, acquerello con inchiostro e penna su carta, 319  472 mm, British Museum, Nn, 2.20; Una strada vicino l’Arco Oscuro, acquerello con inchiostro e penna su carta, 318  470 mm, British Museum, Nn, 2.21. 55 Francis Towne, Veduta della Basilica di San Pietro al tramonto, 1781, acquerello con inchiostro e penna su carta, 320  467 mm, British Museum, Nn, 1.14.

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è quasi senza contorno, stupendo nella sua capacità di suggerire la basilica e lo spazio retrostante, onirico nel trattamento del cielo rosa, nel quale la cupola michelangiolesca quasi si perde. Il taccuino di disegni, lo sketchbook tanto utilizzato dai pittori paesaggisti del tempo, non si adattava alle esigenze di Pars. L’uso esclusivo della matita non era sufficiente per l’analisi luministica e coloristica tipica di questi acquerelli, che apportano nuova linfa al suo catalogo. Salvo pochissimi appunti grafici preparatori per la composizione finale, il suo corpus italiano è caratterizzato da un’estrema finitura nei dettagli, da una visione limpida e pulita, da scene animate dalla presenza di animali e uomini e da una composizione di ampio respiro, spesso basata su pochi toni di colore, caldi o pastello. Inoltre, come segnalato da Wilcox56 in riferimento a Towne, spesso la carta utilizzata per l’acquerello è spessa ed assorbente, particolarmente adatta per il lavoro on the spot. In conclusione, appare probabile che i due acquerelli (Colosseo e Campo Vaccino) oggi alla Tate Gallery, San Pietro dall’Arco Oscuro passato in asta e la Veduta delle mura vaticane presso la Biblioteca Apostolica Vaticana siano stati utlizzati da Pars come “prototipi”, o modelli on the spot e siano poi serviti come materiale di studio, base di partenza per le altre redazioni del medesimo soggetto, probabilmente eseguite nello studio. Pars rimane per la critica un acquerellista difficile da contestualizzare, anche a causa delle poche opere pervenuteci57. Iolo Williams, collezionista e importante esperto della pittura inglese ad acquerello, tristemente commentava: «[…] had he lived more than forty years might well have become one of the greatest names in the English watercolour school»58. Più recentemente, Alistair Rowan ha ricordato come nel 1764, al momento del viaggio greco dell’artista, fu necessaria una presentazione del giovane Pars e come due secoli dopo «Willam Pars still needs some introduction»59. Nella sua presentazione, Rowan descrive Pars come uno degli artisti più talentuosi del circolo di acquerellisti inglesi del tempo, recriminando che sia lui sia il suo ruolo nella storia dell’acquerello inglese siano oramai dimenticati. 56

T. WILCOX, Francis Towne, London 1997, pp. 15-17. A titolo esemplificativo: A. OTTANI CAVINA – E. CALBI, La Pittura di Paesaggio in Italia. Il Settecento, Milano 2005, p. 277: «le poche vedute italiane che ci rimangono [...]; la scomparsa improvvisa di questo artista ha precluso alla sua pittura ulteriori esiti espressivi e disperso, forse per sempre, la quasi totalità dei lavori italiani»; WILCOX, Francis Towne cit., p. 56: «too little of Pars’s works survives». 58 WILLIAMS, Early English Watercolours cit., p. 74. 59 A. ROWAN, Poor William Pars, a Forgotten Early English Watercolourist, in Country Life (1970), pp. 116-118. 57

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D’altro canto, la stima da parte dei suoi contemporanei risulta evidente: «questo genere di vita gli aveva fatto nascere una predilezione segreta per lo studio del paesaggio, sebbene egli giurasse che non era vero e sebbene in gioventù fosse stato educato al ritratto. I suoi disegni acquerellati dal vero hanno uno stile inconfondibile»60. Pars faceva parte della nutrita comunità di artisti inglesi a Roma61, era in rapporto costante con pittori come Thomas Jones, Francis Towne62, John ‘Warwick’ Smith63, John Robert Cozens64, ma allo stesso tempo era influenzato dalle incisioni di Piranesi, i paesaggi di Richard Wilson ed i racconti di Goethe. A questo contesto culturale, si univa la visione dei monumenti di Roma e quella commistione tra rovine e paesaggio tipicamente italiana, coronata dalla luce calda mediterranea che tanto affascinò i pittori nordici del periodo. Come evidenziato 60

OTTANI CAVINA, Viaggio d’artista cit., p. 193 (2 Novembre 1782). Questi gli artisti incontrati da Jones presso il Caffè deli Inglesi nel novembre 1776: Ozias Humphry, James Durno, Alexander Day, James Jefferys, Jacob More, John Robert Cozens, Thomas Banks, Nathaniel Marchant, artisti che gli presentarono inoltre Henry Tresham, Johan Heinrich Füssli, John Jamer Rouby, William Miller, Robert Home, James Nevay, Richard Hurlestone, Christopher Hewetson, Michael Foy e Matthew Nulty. Cfr. OTTANI CAVINA, Viaggio d’artista cit., p. 106 (27 Novembre 1776). 62 Francis Towne (1739-1816) conobbe Pars, Jones e Smith presso l’Accademia di Shipley. Nel 1779 la Royal Academy espose per la prima volta i suoi lavori. Tornato a Londra (dopo il soggiorno italiano del 1780-1781 ed il viaggio alpino in compagnia di Smith), nel 1806 organizzò un’esposizione delle sue opere, donate nel 1816 al British Museum affinchè potessero rimanere vicine a quelle di Pars. Cfr. WILCOX, Francis Towne cit.; recentemente è stato pubblicato sul sito del Paul Mellon Centre il catalogo online: http://francistowne.ac.uk/ a cura di Richard Stephens (consultato il 15 Settembre 2019). 63 John ‘Warwick’ Smith (1749-1831), pittore di paesaggio, allievo di William Gilpin. Dal 1776 fu in Italia (sebbene Jones ne parli soltanto dal 1778) al seguito del conte di Warwick, nipote di William Hamilton. Smith condivise la casa con Jones a Napoli e lasciò definitivamente Roma nel 1781. Si vedano: C. POWELL, S. HEBRON, A Cumbrian Artist Rediscovered: John Smith (1749-1831), Wordsworth Trust 2011; OTTANI CAVINA, Viaggio d’artista cit., pp. 130, 150; B. S. LONG, John (Warwick) Smith (1749-1831), London 1920. Per un inquadramento sul suo soggiorno italiano, si veda: E. PIERAGOSTINI, “It may with truth be said, that with this artist the first epoch of painting in water colours originated”: gli acquerelli di John “Warwick” Smith al British Museum, in Temi e ricerche sulla cultura artistica, I: Antico, città, architettura. III: Dai disegni manoscritti dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, [a cura di E. DEBENEDETTI] Roma 2017 (Studi sul Settecento Romano, 33), pp. 141-168. 64 John Robert Cozens (1752-1796), figlio di Alexander Cozens (autore di A. COZENS, A New Method of Assisting the Invention Drawing in Original Compositions of Landscape, London 1786 il testo è riportato integralmente in A. P. OPPÈ, Alexander and John Robert Cozens, Cambridge, Mass 1952). Tra 1776 e 1779 compie il suo primo viaggio in Italia, al seguito del collezionista Richard Payne Knight. Vi tornò nel 1782 con William Beckford, spingendosi fino a Napoli; i suoi paesaggi visionari influenzarono molto la generazione successiva e quella romantica, Turner in particolar modo, il quale ebbe modo di ammirarli presso il Dottor Thomas Monro a Londra. Si veda: K. SLOAN, Alexander and John Robert Cozens: the Poetry of Landscape, New Haven – London 1986. 61

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da Ottani Cavina, sono le sedute all’aperto a portare nuova linfa alla pittura di paesaggio: «la nascita di un nuovo linguaggio, di sintesi ed essenzialmente cromatico, scaturito dagli studi d’apres nature, e la percezione di una realtà che non poteva esaurirsi nelle tipologie definite di paesaggio»65. In particolare, è l’acquerello lo strumento scelto per tale rivoluzione, per la sua stesura veloce, molto più rapida dell’olio su tela, per la sua duttilità, per la possibilità di essere trasportato con facilità ed utilizzato all’aria aperta. La scena artistica era, quindi, ormai pronta per l’esaltazione dell’esperienza en plein air, sublimata nei piccoli fogli napoletani dipinti da Thomas Jones66 e nelle strutture geometriche esplorate a Roma dal francese PierreHenry de Valenciennes (1750-1819)67. Tuttavia, come sottolineato da Ottani Cavina, «è importante salvare la diversità delle voci»68, ed accanto a Jones e de Valenciennes — certamente gli artisti maggiormente indagati dalla critica e ponte diretto del passaggio al moderno — non mancano altri pittori, come Pars, che cercano di svincolarsi dalla tradizione, che tentano di guardare Roma e le sue vestigia in modo nuovo, che cercano nel viaggio una risposta emotiva, allargando i propri orizzonti ed esaltando la potenza percettiva dello sguardo. *

*

*

Si ritiene utile offrire di seguito l’indice dei materiali grafici citati nel contributo: Aberdeen Aberdeen Art Gallery and Museum ABDAG003852 Birmingham Birmingham Museum and Art Gallery 1947P20 1953P294 Cambridge Fitzwilliam Museum PD.1-1959

329

330, 346 tav. X 329, 344 tav. VIII

330

65

OTTANI CAVINA, Un paese incantato cit., p. XXI. Ad esempio: Thomas Jones, Un muro a Napoli, 1782, olio su carta, 114  160 mm, National Gallery, London, NG6544. 67 Ad esempio: Pierre-Henry de Valenciennes, Recinzioni e case, penna, inchiostro e grafite su carta, 158  201 mm, Musée du Louvre, Paris, RF 12985. 68 A. OTTANI CAVINA, Terre senz’ombra, L’Italia dipinta, Milano 2015, p. 25. 66

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Città del Vaticano Biblioteca Apostolica Vaticana Ashby Disegni 902 Collezioni private Christie’s, 5 Giugno 1973, nr. 111 Christie’s, 18 Marzo 1980, nr. 42 Christie’s, 9 Aprile 1991, nr. 27 Christie’s, 3 Luglio 2003, nr. 150 Sotheby’s, 14 Aprile 1994, nr. 243 Sotheby’s, 31 Marzo 1999, nr. 46 London British Museum 1870,0514.1221 1936,0704.7 1936,0704.13 1936,0704.18 Mm, 11.63 Nn, 1.14 Nn, 2.11 Nn, 2.18 Nn, 2.20 Nn, 2.21 Nn, 2.23 Nn, 2.30

335

321-336, 337 tav. I 330 330 327 326, 342 tav. VI 330 322, 326, 338 tav. II

340 tav. IV 329 329 329 339 tav. III 331, 348 tav. XII 329 329 331 331 331 329

National Gallery NG6544

334

Royal Society of Art RSA/PR.AR/103/14/69 RSA/PR.AR/103/14/453 RSA/PR.AR. /103/14/618 RSA/PR.AR/103/14/713 RSA/PR/AR/103/19/106 RSA/PR/AR/103/19/109a RSA/PR/AR/103/19/139 RSA/SC/IM/701/S891

322 322 322 322 322 322 322 322

Tate Gallery T04852 T04853

330, 345 tav. IX 327, 329, 347 tav. VII

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336

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Victoria and Albert Museum 5725 P.31-1932

325, 341 tav. V 331, 347 tav. XI

Manchester Whitworth Art Gallery D.1892.12

330

Oxford Ashmolean Museum of Art and Archaeology WA1990.121

327

Paris Musée du Louvre RF 12985

334

Woburn Abbey Collezione privata senza segnatura

329, 330, 331

ABSTRACT Il presente contributo propone l’attribuzione all’artista inglese William Pars (17421782) di un acquerello finora anonimo conservato nel fondo Ashby presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Ashby Disegni 902). Tale attribuzione viene sostenuta attraverso un confronto con due acquerelli raffiguranti il medesimo soggetto riferibili a Pars, indagati tramite una ricerca documentaria sulla collezione di L. G. Duke. Il metodo di esecuzione di numerose versioni della stessa composizione viene contestualizzato all’interno di un più ampio discorso su Pars, tramite lo studio di altri tre soggetti. Tale metodo si fonda su prototipi, realizzati on the spot, di fronte al soggetto, intesi in sostituzione del più canonico sketchbook e base per le raffigurazioni più finite realizzate nello studio. Il pittore viene infine inserito nel circolo internazionale di artisti che a Roma sperimentano la pittura all’aria aperta, con una riflessione sul ruolo dell’acquerello. This article attributes an anonymous watercolor from the Ashby collection of the Vatican Library (Ashby Disegni 902) to the English watercolorist William Pars (1742-1782). Support for this conclusion comes by means of a comparison of the Vatican watercolor to two others depicting the same subject, which are both associated with Pars. These were identified by studying the collection of L. G. Duke. The practice of depicting several versions of the same subject was part of Pars’ customary method, as is indicated by three other subjects from his œuvre. Instead of employing the more traditional sketchbook, it appears that Pars painted watercolours on the spot, directly from the subject. This initial drawing then acted as a model for more finished versions that he later painted in the studio. Finally, this article places Pars within the international milieu of Rome, where he was part of a group of painters who experimented with works painted on the spot, using watercolour as a medium of choice.

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Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ashby Disegni 902, W. PARS, Veduta dei Prati e Belvedere Vaticano, acquerello, matita con penna su carta, 390  570 mm.

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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ELANIA PIERAGOSTINI

Tav. II – Collezione privata, W. PARS, Parte del Vaticano, acquerello, matita con penna su carta, 395  580 mm.

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Tav. III – London, British Museum, Mm,11.63, W. PARS, Il Teatro a Mileto, 1764, acquerello, penna e inchiostro su carta, 296  471 mm.

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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Tav. IV – London, British Museum, 1870,0514.1221, W. PARS, Ponte del Diavolo nel Canton Uri, 1770, acquerello con penna, inchiostro nero e grigio, grafite e gomma arabica su carta, 330  486 mm.

340 ELANIA PIERAGOSTINI

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Tav. V – London, Victoria and Albert Museum, 5725, W. PARS, Ariccia, acquerello, penna e inchiostro su carta, 490  588 mm, iscrizioni: LARICI nel mount in acquerello dell’artista; W Pars ARA in basso a destra.

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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ELANIA PIERAGOSTINI

Tav. VI – Collezione privata, W. PARS, Vaticano, Roma, acquerello, matita con penna su carta, 380  570 mm.

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Tav. VII – London, Tate Gallery, T04853, W. PARS, Veduta dell’interno del Colosseo, acquerello, matita con penna su carta vergata, 435  591 mm.

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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Tav. VIII – Birmingham Museum and Art Gallery, 1953P294, W. PARS, Veduta dell’interno del Colosseo, acquerello con matita ed inchiostro su carta, 420  514 mm.

344 ELANIA PIERAGOSTINI

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Tav. IX – London, Tate Gallery, T04852, W. PARS, Campo Vaccino, acquerello e matita con penna su carta vergata, 402  588 mm.

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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Tav. X – Birmingham Museum and Art Gallery, 1947P20, W. PARS, Veduta della Basilica di San Pietro, 1776, acquerello con inchiostro e penna su carta, 388  570 mm, iscrizioni: W PARS ROME 1776.

346 ELANIA PIERAGOSTINI

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Tav. XI – London, Victoria and Albert Museum, P.31-1932, W. PARS, Veduta della Basilica di San Pietro, 1777, acquerello 210  230 mm, iscrizioni: WP 1777; A View of St. Peter’s Church in Rome / by W pars - taken a little / above the Arc Oscuro – near Papa Julius’ Villa – / for Ozias Humphrey – 1777.

SU UN ACQUERELLO DI WILLIAM PARS NEL FONDO ASHBY DELLA BAV

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Tav. XII – London, British Museum, Nn, 1.14, F. TOWNE, Veduta della Basilica di San Pietro al tramonto, 1781, acquerello con inchiostro e penna su carta, 320  467 mm, iscrizioni: F. Towne delt 1781 No 41.

348 ELANIA PIERAGOSTINI

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EVA PONZI

TRA FERRARA E URBINO: LA ‘BIBBIA’ UBALDINI (URB. LAT. 548) E L’OFFICINA ARTISTICA DI GUGLIELMO GIRALDI ABSTRACT a p. 383.

Federico da Montefeltro «[…] in casa volse pascer l’intellecto | sì como l’ochio, e cum le voglie ascese | princïpiò, cum nobile intellecto | una bibliotheca tanta e tale | che ad ogni ingegnio è altissimo dilecto | e in tucte facoltà üniversale. | Ivi adunò de libri un numer tanto | che ogni chiar spirto lì può spiegar l’ale […]»1. Fa quindi seguito, in un elenco che riecheggia i modi di Vespasiano da Bisticci2, la descrizione della libraria feltresca. Sia il cartolaio fiorentino sia Giovanni Santi — estensore del poema in rima e personalità non secondaria alla corte urbinate3 — si concentrarono con scrupolosa insistenza sulla molteplicità delle opere e delle materie raccolte nella biblioteca, e non tralasciarono mai di enfatizzare l’ampiezza e l’unicità di quella collezione. Celebrazione — che coinvolge sempre anche la fabbrica del Palazzo ducale — di una grandeur materiale e simbolica, da leggere in parte attraverso il filtro dell’encomio. E tuttavia, se si ha la possibilità di immergersi tra i manoscritti quattrocenteschi e miniati del fondo 1 GIOVANNI SANTI, La vita e le gesta di Federico di Montefeltro Duca d’Urbino. Poema in terza rima (Codice Vat. Ottob. lat. 1305), II, a cura di L. MICHELINI TOCCI, Città del Vaticano 1985 (Studi e testi, 306), p. 421, capitolo XIV, «Nel quale se contiene le fabriche et magni hedifitij che fea murare el Conte, et in parte la sua vita al tempo di pace». 2 Da ultima E. PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? Riflessioni su alcuni manoscritti della biblioteca di Federico da Montefeltro, in Studi Medievali e Moderni. Arte letteratura storia 23,2 (2019), pp. 155-175: 155-157, con bibliografia. 3 Per una riflessione più ampia su «una persona […] che, pur essendo stata analizzata con ricerche a vasto raggio e di indubbia qualità, tuttavia continua a eludere una piena comprensione […]», cfr. da ultimo, Giovanni Santi [catalogo di mostra: Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo Ducale, 30 novembre 2018 – 17 marzo 2019], a cura di M. R. VALAZZI, Cinisello Balsamo 2018 (citazione da M. R. VALAZZI, Giovanni Santi pittore poeta scenografo imprenditore, ibid., pp. 11-16). Per la corte, cfr. G. FRANCESCHINI, Figure del Rinascimento urbinate, Urbino 1959; P. PERUZZI, Lavorare a corte: “ordine et officij”. Domestici, familiari, cortigiane e funzionari al servizio del Duca d’Urbino, in Federico di Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura, I, a cura di G. CERBONI BAIARDI – G. CHITTOLINI – P. FLORIANI, Roma 1986 («Europa delle Corti». Biblioteca del Cinquecento, 30), pp. 225-296; M. PERUZZI, Cultura potere immagine. La biblioteca di Federico di Montefeltro, Urbino 2004 (Collana di Studi e testi, 20).

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 349-383.

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EVA PONZI

Urbinate della Biblioteca Apostolica Vaticana4, il tono panegiristico trova in essi un puntuale riscontro; e non solo per la proporzione numerica5, ma anche per la varietà illustrativa che a uno sguardo veloce può sfuggire6. La preponderanza dei libri confezionati a Firenze nell’articolata officina di Vespasiano porta in parte a obliterare le altre, molte in verità, anime della biblioteca7. L’incontro con un Urbinate miniato — di qualsiasi entità sia la sua decorazione — crea il medesimo effetto del sasso lanciato in uno stagno: l’impatto — l’azione dell’aprire la coperta e poi dello sfogliare — genera una 4 Una possibilità che ha trovato recente forma nella pubblicazione on line Thematic Pathways on the Web. IIIF Annotations of Manuscripts from the Vatican Collections (https:// spotlight.vatlib.it), esito del progetto triennale della Biblioteca Apostolica Vaticana in collaborazione con le Stanford University Libraries (con il finanziamento della A. W. Mellon Foundation), in particolare per il percorso The Library of a ‘Humanist Prince’. Federico da Montefeltro and His Manuscripts / La Biblioteca di un ‘principe umanista’. Federico da Montefeltro e i suoi manoscritti, a cura di Maria Gabriella Critelli, disponibile al sito web https:// spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/home (a questo progetto si farà da ora riferimento con tutta una serie di link di volta in volta segnalati all’interno delle note successive, come pure si rimanda al sito di digitalizzazione della Biblioteca Vaticana, https://digi.vatlib.it/ per la libera consultazione dei codici citati, da me visitati in data 25/06/2020); mentre è in corso di elaborazione il Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana, II: I manoscritti Urbinati latini, a cura di S. MADDALO – E. PONZI, con la collaborazione di C. PANICCIA, Città del Vaticano (Studi e testi). 5 Nell’ordine di diverse centinaia, tra codici miniati variamente acquisiti negli anni federiciani e quelli parte della collezione degli avi Montefeltro. 6 Come ho già sottolineato altrove (PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., pp. 155-162), il linguaggio decorativo fiorentino può apparire egemonico rispetto ad altre tipologie, ma le ricerche degli ultimi anni hanno iniziato a mettere in luce in maniera piuttosto evidente le presenze ‘altre’ nella collezione di Federico; per tali questioni cfr. anche C. MARTELLI, Miniatore attivo a Urbino nel primo lustro dell’ottavo decennio del XV secolo (Federico Veterani?). Tito Livio, Ab Urbe condita (Decas I), in Il Rinascimento a Urbino. Fra’ Carnevale e gli artisti del Palazzo di Federico [catalogo di mostra: Urbino, Galleria nazionale delle Marche, 20 luglio – 14 novembre 2005], a cura di A. MARCHI – M. R. VALAZZI, Milano 2005, pp. 196-199; EAD., Il Petrarca miniato da Bartolomeo della Gatta per Federico da Montefeltro e lo scriptorium del duca attorno al 1480, in Prospettiva 119-120 (2005), pp. 2-22 (su tale artista e i suoi rapporti con la corte feltresca cfr. anche EAD., Bartolomeo della Gatta. Pittore e miniatore tra Arezzo, Roma e Urbino, Firenze 2013, passim); EAD., The Production of Illuminated Manuscripts in Florence and Urbino, in Federico da Montefeltro and His Library. Exhibition Catalogue, New York, The Morgan Library and Museum, June 8 – September 30, 2007, edited by M. SIMONETTA, preface by J. J. G. ALEXANDER, Milano – Città del Vaticano 2007, pp. 41-49; EAD., I codici di produzione urbinate e lo scriptorium di Federico di Montefeltro, in Ornatissimo codice. La biblioteca di Federico di Montefeltro [catalogo di mostra: Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 15 marzo – 27 luglio 2008], a cura di M. PERUZZI, con la collaborazione di C. CALDARI – L. MOCHI ONORI, Città del Vaticano – Milano 2008, pp. 69-77. 7 Anche tra i manufatti indubitabilmente fiorentini, osservazione dopo osservazione, si notano molteplici sfumature di linguaggio, non è questa tuttavia la sede per poterne discutere.

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TRA FERRARA E URBINO

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serie di invisibili cerchi concentrici che, nel loro progressivo propagarsi, mettono in relazione sia i protagonisti del processo di confezionamento del codice (committente/ordinator, cartolaio, scriptor, miniatori) sia il codice stesso con gli altri che, insieme a esso, sono parte della raccolta. In questo caso, il sasso nello stagno è l’Urb. lat. 5488, sufficientemente citato dalla critica, ma del quale solo di recente è stata sottolineata con maggior forza la rilevanza9. Si tratta di un esemplare di formato mediopiccolo, con un rapporto tra l’altezza e la base tale da renderlo oblungo (mm 245  145, a f. 141); nonostante le dimensioni contenute, il libro ha un certo peso, forse in ragione dell’impiego di una pergamena ben lavorata, ma molto consistente. Generalmente definito ‘Bibbia’10, esso raccoglie in realtà solo i Libri sapienziali e solo una parte di essi (Liber Proverbiorum, Liber Ecclesiastes, Cantica canticorum, Liber Sapientiae, Liber Ecclesiasticus), come è peraltro messo in rilievo sul verso del foglio di guardia membranaceo, che subito introduce uno dei protagonisti principali di questa vicenda. «Octaviani Ubaldini»: nome e cognome in esteso, per una affermazione di proprietà ad apertura di codice, enfatizzata poi in diversa maniera in tutti i luoghi ‘d’onore’ del manoscritto11. Ottaviano Ubaldini, personaggio molto conosciuto eppure ancora inafferrabile — come accade, in verità, per molte delle personalità che, con ruoli diversi, definiscono il profilo della corte marchigiana —; a iniziare dai suoi natali, segnati dal presunto legame di sangue con Federico, circostanza sempre adombrata nelle opere a essi contemporanee e che sovente trattano dell’uno e dell’altro, ma mai esplicitamente definita12. Quali che fossero le premesse del loro precocis8

La riproduzione è disponibile al permalink https://digi.vatlib.it/view/MSS_Urb.lat.548. M. G. CRITELLI, Ottaviano Ubaldini della Carda tra Milano e Urbino: note sulla sua ‘Bibbia’ (Urb. lat. 548) e alcuni altri suoi codici, in Ambrosiana, Hagiographica, Vaticana. Studi in onore di Mons. Cesare Pasini in occasione del suo settantesimo compleanno, a cura di A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2020 (Studi e testi, 535), pp. 79-101, con bibliografia; EAD., Urb. lat. 548, in Catalogo dei codici miniati cit. Mi fa piacere ringraziare l’autrice che mi ha invitata a riflettere dal punto di vista storico-artistico sul manoscritto, sul quale ci siamo confrontate a lungo. 10 Così si continuerà a chiamarla per comodità in questo contributo, senza apici. 11 Cfr. infra. 12 Oltre al già citato CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., passim, cfr. L. MICHELINI TOCCI, Agapito, bibliotecario «docto, acorto et diligente» della biblioteca urbinate alla fine del Quattrocento, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, II, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 220), pp. 245-280; ID., Ottaviano Ubaldini della Carda e una inedita testimonianza sulla battaglia di Varna (1444), in Mélanges Eugène Tisserant, VII: Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 237), pp. 97-130; ID., Federico di Montefeltro e Ottaviano Ubaldini della Carda, in Federico di Montefeltro cit., I, pp. 297-344; ID., La formazione della biblioteca di Federico da Montefeltro: codici contempo9

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EVA PONZI

simo rapporto13, un dato non discutibile fu la sua natura profonda, tanto da permeare — così come emerge dalle fonti, anche iconografiche14 — ogni aspetto delle loro esistenze, sia in pubblico sia in privato. Vero e proprio alter ego di Federico nella gestione degli affari di Stato, Ottaviano ebbe di certo un ruolo non secondario nella formazione della libraria e, in generale, nella vita intellettuale a palazzo, animata da molte personalità variamente in contatto con lui. Di solida preparazione diplomatica e di fine erudizione, coltivate e consolidatesi nei suoi anni giovanili milanesi15, Ottaviano nel 1447 fece rientro a Urbino sposando appieno, e contemporaneamente orientando, le scelte di Federico, con il quale condivideva una visione: la necessità cioè di trasformare la città in una vera e propria signoria, al pari di quelle che già disegnavano la geografia culturale sulla penisola italiana. Un piano comune ranei e libri a stampa, ibid., III, pp. 9-18: 11; R. SCRIVANO, Le biografie di Federico, ibid., II, pp. 373-392; H. HOFMANN, Literary Culture at the Court of Urbino during the Reign of Federico da Montefeltro, in Humanistica Lovaniensia 57 (2008), pp. 5-59; M. BONVINI MAZZANTI, Politica e cultura, in Ornatissimo codice cit., pp. 13-19; A. BERTUZZI, Ottaviano Ubaldini della Carda e l’allestimento della biblioteca di Federico da Montefeltro, in Theory and Criticism of Literature and Art 3,1 (2018), pp. 146-169; EAD., Ottaviano Ubaldini della Carda nel Palazzo Ducale di Urbino, in Giovanni Santi cit., pp. 151-156. Ottaviano definisce Federico mio zio in una lettera del marzo 1466, indirizzata al marchese Ludovico Gonzaga a proposito dell’architetto Luciano Laurana, il primo al lavoro nella fabbrica del Palazzo ducale di Urbino: «Essendo venuto de qua cum licentia de la V. Illu. S. maestro Luciano a requisitione de lo Ill. S. Messer Alexandro de Pesaro, et havendo lo Ill. e S. mio zio bisogno de luj, per questa sua casa che fa qui, mandò a pregarlo che venisse fin qui. […]», in FRANCESCHINI, Figure del Rinascimento urbinate cit., p. 85. 13 Essi erano pressoché coetanei, Federico di un anno più grande rispetto a Ottaviano, cfr. ancora CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., pp. 89-91. 14 Celeberrima è l’opera di Francesco di Giorgio Martini — architetto guida della fabbrica di Palazzo ducale in seguito alla rinuncia di Luciano Laurana —, che in una lunetta a bassorilievo effigia affrontati Ottaviano e Federico, in un doppio ritratto reale e ideale dall’evidente afflato classico, l’uno qualificato dai «simboli dell’otium letterario e della pace, il libro e l’ulivo», l’altro da quelli «dell’attività militare, l’elmo e la corazza», CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., pp. 80-81. È inoltre possibile che i due compaiano insieme nella tavola di Giusto di Gand, oggi a Hampton Court e realizzata forse attorno al 1480, che mostra la corte urbinate intenta all’ascolto di una lezione, probabilmente di filosofia (https://www.rct.uk/collection/406085/ federico-da-montefeltro-duke-of-urbino-1422-1482-his-son-guidobaldo-1472-1508-and, data di visita 28/09/2020). Significativa è infine la Comunione degli Apostoli ugualmente del pittore fiammingo, conservata presso la Galleria nazionale delle Marche: nel gruppo a sinistra, al seguito del signore feltresco, potrebbe esservi ancora una volta Ubaldini (per tali aspetti, cfr. MICHELINI TOCCI, Ottaviano Ubaldini della Carda cit., p. 117, ripreso in BERTUZZI, Ottaviano Ubaldini della Carda cit., passim). 15 Fondamentali in tal senso furono appunto gli anni di ‘cattività’ alla corte di Filippo Maria Visconti (1392-1447), a contatto con intellettuali come Pisanello, Francesco Filelfo, Pier Candido Decembrio, cfr. MICHELINI TOCCI, Ottaviano Ubaldini della Carda cit., pp. 100-102 e CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., p. 90.

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TRA FERRARA E URBINO

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che, come è noto, dette avvio alla maestosa fabbrica del Palazzo ducale16, edificato a immagine di un signore e di una corte presto all’avanguardia sotto ogni punto di vista17, e all’altra non meno rilevante impresa. La costituzione di un’ampia e completa raccolta libraria che fosse all’altezza della funzione a essa riservata18: il disvelamento dei manoscritti alle «persone de auctorità et de doctrina cum farli cum bel modo intendere la prestantia belleza et gintileza d’essi, et de caracteri e de miniature»19. Auctorità e doctrina, due poli che Federico e Ottaviano incarnarono entrambi, in un rimescolarsi continuo di intenzioni, aspirazioni, progetti. Eppure, in questo scenario di vasto respiro, tutto rivolto alla costruzione di un’immagine pubblica, vi fu spazio anche per iniziative a carattere più strettamente privato. Non è possibile per ora definirne l’entità, è però indubbio che Ottaviano possedesse una raccolta di libri, acquisiti negli anni da canali diversi, suo esclusivo patrimonio di parole su pergamena20. L’Urb. lat. 548 è un notevole esemplare di tale patrimonio. «In hoc sacre | pagine codice | continentur […]»: l’avvicendarsi di una tabula argumentorum, elegantemente distesa su un quinione e un binione21, accompagna il lettore all’antiporta decorata di f. 14v (fig. 1), trait d’union con l’incipit del volume, riservato alla voce di san Girolamo e alla sua Praefatio in libros Salomonis, indirizzata a Cromazio ed Eliodoro (fig. 2). Una minuta ombreggiatura in azzurro fa da sfondo e, contemporaneamente, enfatizza la 16 Solo per proporre contributi tra i più recenti, Il Rinascimento a Urbino cit., passim; J. HÖFLER, Il palazzo ducale di Urbino sotto i Montefeltro (1376-1508). Nuove ricerche sulla storia dell’edificio e delle sue decorazioni interne, traduzione di F. BEVILACQUA, Urbino 2006; Il Montefeltro e l’Oriente islamico. Urbino 1430-1550. Il Palazzo Ducale tra Occidente e Oriente [catalogo di mostra: Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo Ducale, 23 giugno – 30 settembre 2018], a cura di A. BRUSCHETTINI, Genova 2018, tutti con bibliografia. 17 L. BENEVOLO, Il palazzo e la città, in Federico di Montefeltro cit., II, pp. 9-29; P. CARPEGGIANI, La città sotto il segno del principe: Mantova e Urbino nella seconda metà del ’400, ibid., pp. 31-46. 18 Per una bibliografia aggiornata, cfr. la Bibliografia generale in https://spotlight.vatlib. it/it/humanist-library/about/bibliografia-generale, a cura di M. G. CRITELLI, I. MAGGIULLI, E. PONZI. 19 Ordini et offitii della Corte del ser.mo sig.r duca d’Urbino, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 1248, f. 58v, dall’Officio del bibbliothecario, capitolo LIII; PERUZZI, Lavorare a corte cit., pp. 225-296; in questo contributo (p. 244 nt. 56) si sottolinea, sulla scia di MICHELINI TOCCI, Ottaviano Ubaldini della Carda cit., p. 107 nt. 46, che il «manualetto» possa essere stato compilato poco dopo la morte di Ubaldini (1498), da un cortigiano a lui vicino. Per l’edizione cfr. Ordine et officij de casa de lo illustrissimo signor Duca de Urbino, a cura di S. EICHE, Urbino 1999. 20 Da ultimo, ancora CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., passim, con bibliografia precedente. 21 Come suggeriscono gli spazi riservati bianchi, la mise-en-page della tabula argumentorum prevedeva la presenza di capilettera sovramodulati, mai realizzati, a indicare l’avvicendamento dei libri biblici.

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EVA PONZI

Fig. 1 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 548, f. 14v.

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TRA FERRARA E URBINO

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Fig. 2 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 548, f. 15r.

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EVA PONZI

Fig. 3 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 548, f. 21r.

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TRA FERRARA E URBINO

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tridimensionalità di una complessa struttura architettonica dipinta. Una tabula purpurea, con i contenuti del codice crisografati in una capitale dall’afflato epigrafico22, costituisce il fulcro visivo dell’intera costruzione. Essa prende senza dubbio le mosse dall’immaginario dell’antiquaria, ormai à la page nella seconda metà del secolo XV, purtuttavia con una declinazione che, come si vedrà in seguito, si arricchisce di peculiari apporti visivi. Il monocromo, in bianco — un tempo rialzato in argento laddove oggi sono visibili solo ombre nere23 — a simulare una superficie marmorea e in bruno con minute lumeggiature in oro a richiamare la lucentezza del bronzo, definisce i volumi degli elementi a candelabra che racchiudono la tabula. Un architrave sormontato da festoni, nastri e da una gorgone incorniciata da una coppia di serpi (una dalla testa di grifo) è posto a corona della struttura; il basamento a mensoloni è invece sospeso su un motivo a cornucopie capovolte che inquadrano, tra volute di acanto, un’aquila ad ali spiegate. E se in quest’ultimo elemento si può forse intravedere un richiamo gentilizio, esplicita allusione alla famiglia feltresca, il momento araldico personale è riservato all’architrave: in esso, due scudi sovrapposti in obliquo mostrano l’uno lo stemma di Ottaviano Ubaldini e l’altro le cifre del suo nome, OC(tavianus) / VB(aldinus). Candelabre e girari di acanto, esaltati da una impalpabile filigrana in oro, intercalati da medaglioni, gioielli, putti musicanti, definiscono parimenti l’immaginario di f. 21r, pagina di incipit al Liber Proverbiorum (fig. 3). Anche in questo caso, la dialettica visiva sulla superficie dipinta è definita dal contrasto tra la monocromia degli elementi architettonici ed esornativi, un tempo accesi da bagliori argentei, e l’intensa tavolozza pittorica, nell’iniziale istoriata e nel bas-de-page. Dato a profusione, l’oro è variamente applicato; l’eterogeneità delle tecniche concorre a creare una contrapposizione tra pieni e vuoti: la filigrana a inchiostro illumina il foglio smaterializzandone i contorni, un effetto condiviso con la fine decorazione a filamenti, trina sul campo in blu nei margini esterni e nel superiore, mentre la lamina metallica fa emergere dal fondo bidimensionale sia i personaggi che animano la P di Parabolae Salomonis sia i girari acantiformi policromi nelle specchiature del basamento architettonico. È 22 Si osservino le fogliette cuoriformi proprie dell’epigrafia classica e che, per suo tramite, furono precocemente acquisite dal linguaggio dell’antiquaria. 23 Uno speciale ringraziamento al Laboratorio di Restauro della Biblioteca Vaticana, in particolare a Salvatore Giglio, e a Maurizio Aceto dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” per aver dato corpo con i loro occhi tecnologici a quanto mi era sembrato di cogliere con il mio esame autoptico: è estremamente probabile che tutte le ombre nell’antiporta e nella pagina di incipit fossero state realizzate con un inchiostro d’argento applicato con finissima precisione e straordinaria perizia tecnica.

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ancora l’oro a scolpire i volumi delle vesti di Salomone e di Roboamo, nella scena di ammaestramento nell’iniziale che dà avvio al testo; è la sua lucentezza a sottolineare le venature del marmo verde nella specchiatura, quinta a una coppia di putti reggistemma, quello di Ubaldini. Un’‘estetica della luce’ coinvolgeva quindi l’intera pagina, conferendo riflessi lunari anche agli impalpabili incarnati dei putti. Il foglio parla inoltre del committente non solo nei suoi elementi più evidenti — come appunto il blasone. Un paratesto allusivo sembra infatti prendere corpo all’interno del medaglione che reca il cervo24, nel margine superiore: esso è senza dubbio indizio di una predilezione al bestiario propria del linguaggio figurativo che connota il manoscritto25, ma è anche richiamo all’araldica di Ottaviano, che vede proprio nel cervo uno dei suoi elementi principali26. L’animale è peraltro usato in coppia antinomica con il leopardo, collocato nel margine inferiore: se il primo è ormai da secoli considerato una «creatura cristologica», simbolo di «rapidità, longevità, resurrezione», il leopardo — nato dall’accoppiamento ibrido fra il pardus e la leonessa —, è al contrario «nefasto e pericoloso»27. Presenze che possono avere una qualche ragione nei contenuti testuali del codice: una selezione, come già accennato in apertura, dai Libri Sapienziali. Non può esservi casualità nella scelta di inaugurare il manoscritto con il Liber Proverbiorum, con l’omissione dei Libri Iob e Psalmorum, solitamente in un corpus unico. L’enfasi visiva riservata alla sola pagina di incipit del primo libro — gli altri sono infatti segnalati da iniziali a bianchi girari su fondo policromo e corpo in foglia d’oro, spesso consistente, con fregio marginale della medesima tipologia decorativa — tradisce in modo piuttosto marcato una volontà dell’ordinator, che in questo caso coincide con il committente, Ottaviano Ubaldini. In special modo nei Proverbi e nell’Ecclesiasticus, il nucleo semantico attorno al quale ruotano i versetti 24 Rispetto all’iconografia adottata sia nel medaglione sia nello stemma, si dovrebbe forse più correttamente parlare di daino: l’animale è infatti rappresentato con imponenti palchi che fuoriescono dal cranio, solitamente connotanti questa specie. A tal proposito, una curiosità: in una lettera senza data, ma probabilmente inviata dopo il 1474, Federico da Montefeltro, tra le altre cose, ringrazia Thomas Rotherham, cancelliere d’Inghilterra proprio da quell’anno, per avergli inviato cani e cavalli, dono graditissimo. Egli tuttavia chiede all’alto funzionario inglese di fargli avere anche damme, daini, poiché aveva difficoltà a reperirli in loco [cfr. FEDERICO DA MONTEFELTRO, Lettere di stato e d’arte (1470-1480), a cura di P. ALATRI, Roma 1949 (Storia e letteratura, 21), pp. 89-90; in generale, in questa selezione di epistole, emerge un interesse di Federico piuttosto pronunciato per cani e cavalli, del tutto comprensibile per un uomo di guerra]. 25 Cfr. infra. 26 CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., passim. 27 M. PASTOUREAU, Bestiari del Medioevo, Torino 2012, pp. 69, 85.

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è proprio l’idea dell’insegnamento di un “padre” all’indirizzo di un “figlio” e quindi, per estensione, di un maestro verso un discepolo28. La figura di Salomone sembra inoltre avere caratteristiche per qualche via aderenti alla statura morale e all’attività pubblica di Ubaldini, così come emerge dalle fonti, che restituiscono l’immagine di un uomo dal non comune acume politico e diplomatico, coniugato a una notevole affidabilità — spesso trasformata in fedeltà e dedizione —, insieme a un altissimo livello intellettuale. *

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Per tornare alla facies artistica del codice, Luigi Michelini Tocci ne suggeriva una stringata lettura critica, scrivendo che esso era: «[…] ornato di superbi minii che ricordano […] anche se in tono assai minore, quelli dell’Evangeliario Urb. lat. 110 [così nel testo, ma chiaramente un refuso per Urb. lat. 10]»29. La via indicata dallo studioso non è ovviamente peregrina e se si lascia interagire un gruppo di manoscritti urbinati ‘ferraresi’ con la Bibbia Ubaldini i risultati sono assai intriganti. Il catalogo qui selezionato per questo scopo, oltre appunto all’Evangeliario30 (fig. 4), raccoglie anche l’Urb. lat. 369 — un codice miscellaneo trascritto da Federico Veterani31 (fig. 5) —, l’Urb. lat. 404 — le epistole di Pio II Piccolomini32 (fig. 6) —, i celeberrimi Urb. lat. 151 e 365 [rispettivamente, il De sanguine Christi di Francesco Della Rovere33 (fig. 7) e il Dante Urbinate34 (fig. 8)]. Si tratta di esemplari con apparati illustrativi e decorativi sia di un certo rilievo quantitativo — e molto studiati come gli Urb. lat. 10, 151, 365 — sia corredati di manifestazioni visive più contenute in ampiezza, ma non meno raffinate nell’esecuzione — Urb. lat. 369, 404. In tutti sono individuabili puntuali tangenze con l’Urb. lat. 548, nelle intenzioni che sottendono alla costruzione generale delle pagine e nei singoli 28

Acclarata, in tal senso, è la funzione ‘putativa’ di Ubaldini nei confronti di Guidubaldo, ultimo genito e unico figlio maschio di Federico. Per tali aspetti, cfr. MICHELINI TOCCI, Ottaviano Ubaldini della Carda cit., passim. 29 Ibid., p. 112 nt. 61. 30 Tra i più celebri manoscritti della collezione federiciana, dalla vicenda storiografica molto articolata, cfr. la nota critica a mia firma in https://spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/catalog/Urb_lat_10 e C. MONTUSCHI, Urb. lat. 10, in Catalogo dei codici miniati cit. 31 Copista al servizio di Federico da Montefeltro e poi bibliotecario con Guidubaldo; a proposito dei suoi rapporti con lo scriptorium di Urbino, cfr. PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., pp. 164-165; E. PONZI, Urb. lat. 369, in Catalogo dei codici miniati cit. 32 C. PONCHIA, Urb. lat. 404, in Catalogo dei codici miniati cit. 33 Cfr. la nota critica a cura di chi scrive in https://spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/ catalog/Urb_lat_151 e S. MADDALO, Urb. lat. 151, in Catalogo dei codici miniati cit. 34 Cfr. la nota critica a cura di chi scrive in https://spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/ catalog/Urb_lat_365 e C. PONCHIA – F. TONIOLO, Urb. lat. 365, in Catalogo dei codici miniati cit.

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Fig. 4 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 10, f. 10r.

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Fig. 5 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 369, f. 2r.

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Fig. 6 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 404, f. 6r.

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Fig. 7 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 151, f. 6r.

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Fig. 8 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 365, f. 1r.

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stilemi impiegati. Il filo che lega tali codici, nel loro insieme, non è tuttavia di sola natura stilistica, esso mette infatti in comunicazione personaggi e circostanze, fino a rendere forse un poco più chiari alcuni dei meccanismi relativi al confezionamento dei manoscritti nella ‘fase ferrarese’ della biblioteca federiciana. Il linguaggio della bottega di Guglielmo Giraldi è senza dubbio l’orizzonte entro il quale cercare le sorgenti visive della Bibbia Ubaldini35. Come già accennato in precedenza, i due maggiori momenti figurativi al suo interno, l’antiporta e la pagina di incipit (ff. 14v, 21r, figg. 1, 3), sono costruiti sugli stilemi dell’antiquaria padana, in una peculiare declinazione che, sia nella composizione d’insieme sia nei suoi singoli elementi, appare connotativa dell’idioma urbinate dell’officina ferrarese36. Forti suggestioni visive si possono infatti ravvisare nella decorazione dei portali del Palazzo ducale di Urbino, come quello d’ingresso alla Sala del Trono, ma soprattutto quello della Guerra. I due fogli dipinti dell’Urb. lat. 548 sembrano riproporre su pergamena quanto realizzato in marmo, attorno al 1480, nel portale di accesso all’interno dell’edificio signorile37, con vere e proprie citazioni; come la sequenza di fregi acantiformi e di festoni carichi di frutti, ma soprattutto la testa di gorgone associata al motivo della coppia di serpenti, allusione alla sua demoniaca capigliatura. Di certo stilemi di un linguaggio ormai 35 Inaugurata la sua carriera alla corte estense, tra gli anni di Lionello (1441-1450) e quelli di Ercole I (1471-1505), il miniatore fu protagonista di rilievo della stagione ‘ferrarese’ della biblioteca di Urbino, dove giunse insieme alla sua officina alla metà degli anni ’70 del Quattrocento, per il tramite di Matteo Contugi. Per una breve bibliografia di riferimento su Guglielmo Giraldi, cfr. FRANCESCHINI, Figure del Rinascimento urbinate cit., pp. 143-144; G. MARIANI CANOVA, Guglielmo Giraldi miniatore estense, catalogo delle opere a cura di F. TONIOLO, Modena 1995, passim; F. TONIOLO, Giraldi, Guglielmo, in Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI, a cura di M. BOLLATI, Milano 2004, pp. 305-310; G. MARIANI CANOVA, La natura dipinta: il Plinio Gonzaga e i suoi miniatori, in Rivista di storia della miniatura 12 (2008), pp. 34-44; S. FUMIAN, Considerazioni in margine al Plauto Gonzaga, in Rivista di storia della miniatura 13 (2009), pp. 120-128; F. TONIOLO, Ross. 455, in Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana, I. I manoscritti Rossiani. 2: Ross. 416-1195, a cura di S. MADDALO con la collaborazione di E. PONZI e il contributo di M. TORQUATI, Città del Vaticano 2014 (Studi e testi, 482), pp. 738-742; PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., passim. 36 Anche l’aspetto delle iniziali a bianchi girari, dagli intrecci carnosi e simmetrici, rimanda ai modi del settentrione italiano, presto rimbalzati in più di un codice conservato nella libraria; a tal proposito si osservino proprio gli Urb. lat. 10 e 365, ma anche il 324, il 427 e il 1221 (https://spotlight.vatlib.it/humanist-library/catalog/Urb_lat_324; https://spotlight. vatlib.it/humanist-library/catalog/Urb_lat_427; https://spotlight.vatlib.it/humanist-library/catalog/Urb_lat_1221 e note critiche a cura di chi scrive, con bibliografia), esemplari variamente riconducibili allo scriptorium di palazzo, con tutte le cautele del caso rispetto a tale definizione, cfr. da ultima PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., passim. 37 W. PRINZ, Simboli ed immagini di pace e di guerra nei portali del Rinascimento: la porta della guerra nel Palazzo di Federico da Montefeltro, in Federico di Montefeltro cit., II, pp. 65-71.

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Fig. 9 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 10, f. 20r.

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Fig. 10 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 10, f. 175r.

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Fig. 11 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 10, f. 114r.

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Fig. 12 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 369, f. 2r; Urb. lat. 10, f. 20r; Urb. lat. 548, f. 21r, confronto girari.

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Fig. 13 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 369, f. 2r; Urb. lat. 10, f. 114r; Urb. lat. 548, f. 21r, confronto girari.

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Fig. 14 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 10, f. 114r; Urb. lat. 548, f. 14v; Urb. lat. 10, f. 114r, confronto gorgone.

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Fig. 15 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 369, f. 2r; Urb. lat. 548, f. 14v, confronto serpi.

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Fig. 16 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 369, f. 2r; Urb. lat. 10, f. 114r; Urb. lat. 548, f. 21r, confronto fregi.

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Fig. 17 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 369, f. 2r; Urb. lat. 10, f. 114r; Urb. lat. 548, f. 21r, confronto putti.

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Fig. 18 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 151, f. 6r; Urb. lat. 548, f. 21r, confronto bas-de-page.

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Fig. 19 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 151, f. 6r; Urb. lat. 548, f. 21r, confronto specchiature.

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Fig. 20 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 365, f. 97r; Urb. lat. 548, f. 14v, confronto scudi.

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in voga a quell’altezza cronologica, che tuttavia si colorano di interessanti sfumature proprio perché reperibili in un medesimo ambiente, quello della corte urbinate, in un continuo gioco di rimandi tra pagina dipinta e scultura monumentale38, di una vera e propria circolazione di suggestioni visive tra maestranze all’opera su materiali diversi. Per tentare di afferrare il contesto nel quale è stata prodotta la Bibbia Ubaldini è però necessaria una preliminare operazione di scomposizione dell’immagine in sintagmi. A partire proprio dall’indicazione di Luigi Michelini Tocci, il confronto tra l’Urb. lat. 548 e l’Evangeliario 10 mostra tutta una serie di consonanze; si accostino ad esempio il f. 21r del primo (fig. 3) e il f. 10r dei Vangeli (fig. 4). Sarà subito evidente che, seppure su dimensioni completamente diverse39, l’intenzione che sostiene l’impalcatura del foglio è la medesima: un horror vacui decorativo (nell’uno declinato con gli apparati dell’antiquaria forse contaminata dalla plastica monumentale40, nell’altro con una fittissima trina a bianchi girari) vivacizzato dall’asimmetria dei margini e dagli inserti di medaglioni di varia tipologia. In entrambi i casi poi, l’iniziale istoriata calamita lo sguardo su una costruzione prospettica scorciata aperta su un paesaggio, mentre i personaggi occupano il primo piano; la filigranatura in oro uniforma lo spazio della pagina e le conferisce una impalpabile lucentezza [come anche accade ai ff. 20r, 175r dell’Urb. lat. 10 (figg. 9-10) e a f. 1r dell’Urb. lat. 365 (fig. 8)]. Un pressante gioco di rimandi investe l’antiporta miniata (f. 14v, fig. 1), con il suo repertorio di candelabre, mascheroni, festoni, cornucopie, aquile araldiche e l’incipit del Vangelo di Giovanni (f. 175r, fig. 10), dove questo stesso repertorio è dislocato in modo essenzialmente analogo. La Bibbia Ubaldini mostra inoltre più di una tangenza con il foglio di apertura a Luca (f. 114r, fig. 11), nell’impiego dell’ombreggiatura azzurra, in contrasto con la monocromia delle architetture dipinte41, e nella puntuale riproposta dei mascheroni e degli elementi in finto bronzo illuminati in oro. È possibile eseguire la medesima operazione sull’impiego dei girari d’acanto, protagonisti delle specchiature in foglia d’oro nel f. 21r dell’Urb. lat. 548: un analogo stilema, sia in policromia sia in monocromo, avvolge 38 In tale ottica, un elemento interessante sono le coppie di nastri che accompagnano gli scudi araldici di Ottaviano: la loro peculiare forma ‘segmentata’, dettaglio a prima vista trascurabile, è invece la puntuale riproposta di un motivo del linguaggio scultoreo; solo un esempio tra molti altri, nelle paraste decorate nel portale di ingresso del Palazzo Dal Verme Maffei a Verona, esso è posto a enfatizzare testine e mascheroni. 39 Rispettivamente mm 246  142 e mm 403  258. 40 Cfr. supra. 41 Anche in questo caso doveva essere stato utilizzato inchiostro in argento per rialzare i volumi, cfr. nt. 23.

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le litterae mantiniane all’incipit dei Vangeli di Matteo, di Luca, di Giovanni (ff. 20r, 114r, 175r), fa bella mostra di sé nella H di Has ego Trinacriis dell’Urb. lat. 369 (f. 2r), inaugura il Purgatorio nel Dante di Federico (f. 97r, figg. 12-13). E ancora, la coppia di serpi rimbalza dall’antiporta della Bibbia Ubaldini (dove è associata alla testa di gorgone), al Luca dell’Urb. lat. 10 (fig. 14), all’apertura dell’Urb. lat. 369 (fig. 15), che peraltro condivide con il suo intero apparato decorativo anche il fregio a candelabre — così come accade per l’Urb. lat. 404 (fig. 16) —, l’impiego delle volute fiorite, le fattezze morbide e ben tornite dei puttini (replicate anche ai ff. 114r dell’Evangeliario e 6r dell’Urb. lat. 151, fig. 17), oltre che la costruzione spaziale della pagina. L’enfasi visiva che pervade il bas-de-page del Liber Proverbiorum (f. 21r) si respira nel foglio di apertura del De sanguine Christi (Urb. lat. 151, f. 6r, fig. 18), l’uno e l’altro accomunati dall’utilizzo della raffinatissima specchiatura in marmo venato in oro che fa da sfondo al gruppo dei putti reggistemma (anche all’incipit dell’Inferno, Urb. lat. 365, f. 1r, fig. 19). È invece nel Purgatorio (f. 97r) che gli scudi araldici di Federico richiamano quelli di Ottaviano a coronamento dell’antiporta nella Bibbia Ubaldini (f. 14v, fig. 20). I riscontri sono inoltre possibili persino sull’impiego della tavolozza pittorica che assimila tutti i manoscritti sin qui citati: si è già insistito sulla diffusione dell’oro e in particolare sulla filigranatura, così come sull’inchiostro d’argento, oggi non più visibile nella sua lucentezza, ma un tempo ugualmente connotativo di tale produzione; essa prevedeva anche un considerevole utilizzo di intense tonalità di viola, di porpora, di indaco, di blu, vivacizzate con filamenti dorati o a biacca, se date a campire gli sfondi. *

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Una diffrazione di elementi visivi di codice in codice che può trovare la sua chiave interpretativa unificante proprio nel linguaggio della bottega di Guglielmo Giraldi e, in particolare, nella sua declinazione urbinate; uno snodo critico ancora non perfettamente messo a fuoco, con tutte le conseguenze che una tale indeterminatezza comporta per la comprensione dei meccanismi di produzione di una parte dei manoscritti federiciani. Lo Ill. Signor Octaviano me ha mandato qui a Ferrara per fare finire certe opere che sono qui al miniatore di mia mano, maxime uno Dante, che monta la miniatura ducati trecentodieci, et certe altre opere […] Io starò qui circa uno mese et poi ritornerò ad Urbino, et so che ’l sarà tornato quel Signore. Se accaderà alcuna cosa degna, sempre farò el debito mio, benché mai io non lo potrei

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fare inverso della Vostra Ill.ma Signoria, a la quale mille volte mi raccomando. Ferrariae die XVI octobris MCCCCLXXVIII42.

A scrivere è il servitor fidelissimus, come si firma, Matteo Contugi, copista di corte e altra notevole personalità della stagione ‘ferrarese’ della libraria; egli si rivolgeva al marchese Federico Gonzaga, per il quale aveva servito prima del suo trasferimento a Urbino, probabilmente alla metà degli anni ’70 del Quattrocento43. Nella storia che si va raccontando, la lettera delinea i rapporti tra i protagonisti della vicenda. Nel 1478 lo scriba, che vergò tra gli altri proprio gli Urb. lat. 548, 10, 151 e 365, fu inviato a Ferrara da Ottaviano in persona44 per sollecitare Giraldi — miniatore di mia mano — a portare a compimento il lavoro sulla Commedia e su certe altre opere. A quest’altezza cronologica, Contugi e l’artista erano legati da una consuetudine perlomeno di due lustri45 e già da qualche anno collaboravano per la raccolta del duca feltresco46. L’espressione «per fare finire certe opere» lascia pensare che il Dante e gli altri codici fossero già stati interamente trascritti, proprio da Contugi47; era perciò diventato urgente corredare quei fogli di un apparato illustrativo e decorativo che fosse all’altezza della loro destinazione finale. Rispetto a quanto sin qui detto, si 42 Mantova, Archivio di Stato, E. XXXI. 3. B. 1229, cfr. MICHELINI TOCCI, Ottaviano Ubaldini della Carda cit., pp. 107-108; è stata parzialmente edita anche in FRANCESCHINI, Figure del Rinascimento urbinate cit., p. 143 e da ultima, CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., p. 92, con bibliografia. 43 M. G. CRITELLI, Per la carriera di Matteo Contugi, in Studi in onore del Cardinale Raffaele Farina, I, a cura di A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 477), pp. 251-302; D. S. CHAMBERS, Matteo Contugi of Volterra (d. 1493): Scribe and Secret Agent, in Palaeography, Manuscript Illumination and Humanism in Renaissance Italy: Studies in Memory of A. C. de la Mare, a cura di R. BLACK – J. KRAYE – L. NUVOLONI, London 2016 (The Warburg Institute Colloquia, 28), pp. 171-198; https://spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/feature/ matteo-contugi, a cura di M. G. CRITELLI. 44 Ubaldini, come già si è detto, sovrintendeva a ogni aspetto della vita urbinate quando Federico era impegnato nelle frequenti campagne militari; l’epistola conferma tale scenario. Contugi scrive infatti «poi ritornerò ad Urbino, et so che ’l sarà tornato quel Signore» e presenta l’illustrissimo Signor Octaviano come promotore del suo viaggio in terra padana. 45 Molto nota è la lettera della fine degli anni ’60 del Quattrocento che testimonia dei rapporti tra i due: Contugi chiedeva a Ludovico Gonzaga se fosse possibile affidare proprio al miniatore ferrarese la decorazione del celebre Plinio, Torino, Biblioteca nazionale Universitaria, ms. J. I. 22-23, nella quale fu invece coinvolto Pietro Guindaleri [cfr. Andrea Mantegna e i Gonzaga. Rinascimento nel Castello di San Giorgio, catalogo della mostra (Mantova, Castello di San Giorgio, 16 settembre 2006 – 14 gennaio 2007), a cura di F. TREVISANI, Milano 2006, p. 184]. 46 TONIOLO, Giraldi, Guglielmo cit., pp. 305-310; EAD., I miniatori ferraresi e padani alla corte di Federico di Montefeltro, in Ornatissimo codice cit., pp. 79-89; PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., passim. 47 CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., p. 93.

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potrebbe allora ipotizzare che non solo le certe altre opere possano essere alcuni dei manoscritti esaminati in questa sede, ma che tra esse ci fosse anche la Bibbia Ubaldini. È infatti fuor di dubbio che il piccolo corpus del quale si sta trattando sia nato all’interno di un medesimo ambiente di produzione in un lasso di tempo relativamente ristretto poiché, come si è cercato di mettere in luce, le scelte esornative generali e i singoli stilemi linguistici sono variamente riproposti in tutti i codici. Essi furono realizzati nel pieno del periodo ducale48, negli avanzati anni ’70, e mostrano al lavoro una bottega articolata e ben strutturata, in grado di eseguire contemporaneamente — o quantomeno con poco scarto di tempo — più esemplari, con una messa in comune di elementi, dettagli, perizia esecutiva, materiali pittorici di altissimo livello. Pubblico e privato sembrano quindi mescolarsi: Ottaviano, alter ego di Federico49, inviò Contugi a sollecitare il lavoro di Giraldi per la libraria ducale, organismo in continuo accrescimento, espressione del moderno nell’arte del minio quattrocentesco. Egli fu però anche un bibliofilo appassionato ed è quindi possibile che, in quella stessa occasione, egli abbia richiesto i servigi dell’artista ferrarese per una commissione di tipo privato, vale a dire l’Urb. lat. 548. La lettera di Contugi dell’ottobre 147850 trova un’interessante controparte in quella che Federico in persona scrisse da Urbino a Ercole d’Este 48

Federico da Montefeltro ottenne da Sisto IV il titolo di duca e la carica di Gonfaloniere della Chiesa nell’agosto del 1474. I codici presentano lo stemma inquartato, nel I e nel IV d’oro all’aquila di nero coronata nel campo, nel II e nel III bandato d’azzurro e d’oro all’aquila di nero sulla I banda d’oro caricato di un palo centrale di rosso con triregno e chiavi decussate, sormontato da corona; unica eccezione è l’Urb. lat. 10, che tuttavia esibisce l’insieme degli emblemi che Federico acquisì con la carica ducale, C. CALDARI, Emblemi, imprese, onorificenze: Federico di Montefeltro letterato, condottiero e mecenate, in Ornatissimo codice cit., pp. 101-111, con bibliografia. Essi sono inoltre tutti registrati nell’interno dell’Indice vecchio, l’inventario che restituisce la fisionomia della collezione feltresca dopo la scomparsa del signore di Urbino, cfr. MICHELINI TOCCI, Agapito, bibliotecario cit.; M. PERUZZI, «Lectissima politissimaque volumina»: i fondi urbinati, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, III: La Vaticana nel Seicento (1590-1700): una biblioteca di biblioteche, a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014, pp. 337-394; https://spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/feature/ indice-vecchio). 49 Il 1478 è peraltro per il duca un anno di difficoltà, soprattutto di natura fisica: in seguito a un incidente occorsogli negli ultimi mesi del 1477, egli mostra una evidente zoppia che gli crea intralcio nel movimento, cfr. il racconto che Contugi fa a tal proposito a Ludovico Gonzaga, in G. BENZONI, Federico da Montefeltro, duca di Urbino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 45, Roma 1995, pp. 722-743. 50 L’anno successivo è invece «el signor nostro duca d’Urbino» a inviare nuovamente a Ferrara lo scriptor volterrano, «a condurre a fine certe sue cose», come egli afferma in una lettera del 24 giugno del 1479 inviata al marchese Federico Gonzaga, in CHAMBERS, Matteo Contugi of Volterra cit., pp. 171-198.

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EVA PONZI

duca di Ferrara, due anni dopo, il 6 dicembre 1480: «facendo io cercar di avere per complemento di una mia libraria che factio in casa alcuni volumi de libri & fra gli altri Benvenuto sopra Dante & Maestro Baptista de li Alberti de Architectura», poiché «la signoria vostra ha li proprii originali & accadendomi mandare là Maestro Guiglielmo servitore de vostra signoria et mio miniatore gli ho dato commissione li factia scrivere lì»51. Se nel 1478 era stato necessario lo spostamento di Contugi a Ferrara per affrettare l’attività di Giraldi e della sua officina, nel 1480 il maestro ferrarese era invece di stanza a Urbino e a sua volta inviato nella sua terra di origine come emissario ‘culturale’ del duca feltresco — «accadendomi mandare là Maestro Guiglielmo» e «gli ho dato commissione li factia scrivere lì». Si tratta di due informazioni particolarmente rilevanti: seguendo allora un ragionamento già da altri suggerito, è possibile che, di fronte a un lavoro in stato molto arretrato, il copista volterrano nel 1478 «abbia proposto al miniatore di trasferirsi con la sua bottega a Urbino, al diretto servizio del duca Federico, con tutte le prerogative annesse»52. Le evidenze documentarie coniugate a quelle visive sin qui messe in rilievo consentono perciò di avanzare un’idea; che cioè, in questo lasso di tempo e ormai a palazzo, il maestro ferrarese, coadiuvato dalla sua bottega, abbia svolto la sua attività con maggior agio, sul Dante e sulle certe altre opere53. Una officina nella quale aveva una parte non secondaria anche il cosiddetto Maestro giraldiano, riconoscibile in una serie di codici di altissimo livello qualitativo prodotti per la libraria feltresca nella stagione ducale54; il suo intervento si può individuare anche nella Bibbia Ubaldini, per esempio a f. 21r (fig. 3) nei putti musicanti e reggistemma, quasi sua cifra stilistica, per il modo di trattare la superficie pittorica con pennellate impalpabili, che tuttavia concorrono a definire una volumetria evidente debito nei confronti della statuaria classica mediata dalla scultura del secolo XV55. 51 Modena, Archivio di Stato, Lettere di principi esteri, Urbino B. 1, cfr. Il Dante Urbinate della Biblioteca Vaticana (codice Urbinate latino 365), I, introduzione di L. MICHELINI TOCCI, con una premessa di M. SALMI e una nota filologica di G. PETROCCHI, Città del Vaticano 1965 (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi, 29), pp. 55-56 e tav. XI; CRITELLI, Ottaviano Ubaldini cit., pp. 92-93 e nt. 34. 52 Il Dante Urbinate cit., p. 56. 53 E che abbia anche dato impulso alle operazioni cosiddette di remake sui codici più antichi della biblioteca, vale a dire di aggiornamento visivo dei manoscritti della raccolta feltresca più risalenti nel tempo, cfr. PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., p. 172 nt. 69. 54 Tra i quali, appunto gli Urb. lat. 10, 151 e probabilmente anche il 365, cfr. PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., passim. 55 PONZI, Franco dei Russi o Anonimo giraldiano? cit., passim. Intrigante, ma ancora senza una soluzione soddisfacente — almeno per chi scrive —, è la presenza delle iniziali ADH, quasi celate all’interno del vaso nel margine interno, in basso. Una prima ricognizione ono-

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TRA FERRARA E URBINO

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I manoscritti urbinati costringono allora a «saper vedere»56 in maniera inusuale, rendendo talvolta parossistico tale primario esercizio critico, poiché forzano lo studioso a una prospettiva sovente morelliana, anche quando essa sia estranea all’approccio che generalmente guida, ad esempio, chi scrive. Eppure è in questa sorta di smisurato gioco di memoria — come talvolta mi appaiono gli esemplari della libraria federiciana — che si recuperano i fili di una complessa costruzione visiva, in una continua contaminazione tra pagine miniate, plastica monumentale, intarsio ligneo, esempio pittorico, e in una incessante circolazione di stilemi figurativi ed esornativi autonomamente rielaborati, ma che nel loro reiterarsi mostrano in trasparenza una sorgente comune. mastica — Cosimo Stornajolo scriveva infatti «fortasse nomen pictoris» [Codices Urbinates Latini, recensuit C. STORNAJOLO, II: 501-1000, Romae 1912 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti), p. 43] —, tra le fonti a oggi note non ha portato a risultati di una qualche entità; che possa trattarsi di una data (1480) espressa in forma crittografata, con la sostituzione dei numeri con le lettere corrispondenti alla loro posizione nell’alfabeto? Ringrazio con molta gratitudine Laura Nuvoloni e il professor David H. Chambers che hanno voluto riflettere con me sulla questione. 56 P. TOESCA, «Saper vedere», in Annali della Istruzione media. Problemi e indirizzi della cultura e della scuola italiana 8 (1932), pp. 10-15.

ABSTRACT Noto come ‘Bibbia Ubaldini’, l’Urb. lat. 548, del quale solo di recente è stata sottolineata con maggior forza la rilevanza, raccoglie in realtà solo una parte dei Libri sapienziali. Ottaviano Ubaldini (1423-1498), fratellastro di Federico da Montefeltro (1422-1482) per via paterna, lasciò su un foglio di guardia la sua nota di possesso, affermazione di proprietà enfatizzata poi in tutti i luoghi ‘d’onore’ del codice. Il suo apparato illustrativo è limitato ad antiporta, pagina di incipit, iniziali a bianchi girari, ma è molto significativo sotto diversi aspetti. Sia per ragioni collegate alla sua facies esornativa sia per circostanze storiche, lo studio propone di accostare il volume a un gruppo di codici — tra gli altri, l’Urb. lat. 10, l’Evangeliario, e l’Urb. lat. 365, la Commedia — realizzati dall’officina di Guglielmo Giraldi, miniatore ferrarese al servizio del duca di Urbino dalla metà degli anni ’70 del Quattrocento. The so-called ‘Ubaldini Bible’, Urb. lat. 548 (the significance of which has been appreciated only recently) contains only a part of the wisdom books. Ottaviano Ubaldini (14231498), paternal half-brother of Federico da Montefeltro (1422-1482), indicated his possession of this work on a fly-leaf, and affirmed his ownership in all the places of “honour” in the manuscript. It contains few illuminations, which are limited to the frontispiece, the incipit page, the initials a bianchi girari, but it is still important for various reasons. On the basis of its ornamental facies and the historical circumstances surrounding the manuscript’s composition, this study links the volume to a group of codices, which includes, among others, Urb. lat. 10, the Gospel Book, and Urb. lat. 365, the Comedy. These manuscripts were made in the workshop of Guglielmo Giraldi, an illuminator from Ferrara who worked at the service of the Duke of Urbino from the middle of the 1470s.

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UMBERTO SOLDOVIERI

RICERCHE ISAGOGICHE PER UN’EDIZIONE DEI SIGNACULA EX AERE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI: LA COLLEZIONE BORGIA* ABSTRACT a p. 406.

Nel riprendere il progetto del Catalogo delle Iscrizioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è parso opportuno al prof. Giuseppe Camodeca e a me includere, a differenza del primo fascicolo dedicato alle epigrafi provenienti da Roma e dal Latium, anche alcuni specimina del cosiddetto instrumentum inscriptum. Varie sono state le ragioni che ci hanno convinto della necessità di riorganizzare e completare un’opera siffatta, sulla cui importanza sotto il profilo scientifico non è necessario soffermarsi: principalmente le condizioni miserevoli in cui versano ormai da tempo i depositi sotterranei e finanche il Medagliere. Da parte mia ho completato la ricognizione autoptica degli oltre duecentoventi signacula ex aere di diversa provenienza, nella stragrande maggioranza già editi1, per i quali si è cercato di recuperare i dati anagrafici attraverso uno scandaglio sistematico della documentazione archivistica * Non avrei avuto modo di addentrarmi in occupazioni di tale natura, se non mi fossi per caso imbattuto in una certa testolina inquieta, che invano ha cercato di far sì che apprezzassi appena codesta «roba e robaccia, che pur vuole essere curata». Un particolare ringraziamento desidero rivolgere a Marco Buonocore, Genius Aug. sin dal mio primo contatto con i manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, e a Floriana Miele, per l’entusiasmo con cui segue e appoggia da sempre le ormai rade incursioni di studio nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Avverto sin d’ora che sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni: AE: L’année épigraphique, Paris 1888-; CIL: Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1863-; FOS: M. TH. RAEPSAET CHARLIER, Prosopographie des femmes de l’ordre sénatorial (Ier-IIe siècles), Louvain 1987; IG: Inscriptiones Graecae, Berolini 1873-; PIR2: Prosopographia Imperii Romani saec. I, II, III. Editio altera, Berolini 1933-. 1 A questi vanno aggiunti tutti i signacula appartenuti alla collezione Santangelo, custoditi nel Medagliere ma proprietà del Comune: cfr. per le vicende legate all’acquisizione A. MILANESE, Il Museo Santangelo: storia delle raccolte di antichità, in I Greci in Occidente. La Magna Grecia nelle collezioni del Museo Archeologico di Napoli, a cura di S. DE CARO – M. R. BORRIELLO, Napoli 1996, pp. 171-180 nonché ID., Considerazioni intorno al Museo Santangelo, in Magna Grecia. Archeologia di un sapere, a cura di S. SETTIS – M. C. PARRA, Milano 2005, pp. 113-115 con letteratura ulteriore. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 385-406.

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UMBERTO SOLDOVIERI

e degli inventari più antichi rivedendo, fin dove è stato possibile, la tradizione manoscritta. Quale primo frutto di questo lavoro ho ritenuto utile proporre la ricomposizione integrale dei sigilli appartenuti alla collezione Borgia, che rappresentano uno dei lotti più consistenti di questa classe di materiali conservati nelle raccolte del Museo, né nascondo come codesta nota preliminare abbia come fine precipuo quello di sollecitare studi particolari su ciascun testo, in vista della loro completa riedizione2. La genesi di questa enciclopedica collezione che comprendeva oggetti provenienti da ogni parte del globo, dovuta in massima parte alla curiosità intellettuale del Cardinale Stefano Borgia (1731-1804), è stata largamente sviscerata e approfondita3, così come tutte quelle vicissitudini che portarono all’acquisizione nell’estate del 1814 da parte di Gioacchino Murat (1767-1815) dell’ormai smembrata raccolta esistente nella casa di Velletri4, conclusasi formalmente solo nel luglio del 18175. Chi tuttavia volesse trovare traccia della descrizione dell’abate Étienne Borson (1758-1832), il 2 Nel frattempo ne è stata comunque programmata la schedatura informatizzata nell’Epigraphic Database Roma (EDR), al fine di rendere fruibile in tempi brevi ciascun reperto illustrato nei suoi dati tecnici e corredato dalla relativa documentazione fotografica. 3 Ricordo qui almeno l’insieme di contributi raccolti in Le quattro voci del mondo: arte, culture e saperi nella collezione di Stefano Borgia (1731-1804), a cura di M. NOCCA, Napoli 2001, con il susseguente catalogo La collezione Borgia: curiosità e tesori da ogni parte del mondo, a cura di A. GERMANO – M. NOCCA, Napoli 2001, ma si tengano presenti anche C. GUERRINI, Un esempio della riscoperta del manufatto d’uso nel Settecento: l’instrumentum domesticum nel Museo Borgiano di Velletri, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Siena 24 (2003), pp. 165-180 e P. BUZI, Catalogo dei manoscritti copti borgiani conservati presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli con un profilo scientifico di Stefano Borgia e Georg Zoega e una breve storia della formazione della collezione Borgiana, Roma 2009 (Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie, s. 9, 25.1), pp. 15-75 con altra bibliografia; per la ricostruzione della biblioteca cfr. G. GRANATA – M. E. LANFRANCHI, La biblioteca del Cardinale Stefano Borgia (1731-1804), Roma 2008 (Il Bibliotecario, 21), passim, nonché le considerazioni di G. GRANATA, Teologia, erudizione, antiquaria nel secondo Settecento: la biblioteca del Cardinale Stefano Borgia, in Biblioteche filosofiche private in età moderna e contemporanea, a cura di F. M. CRASTA, Firenze 2010 (Giornale critico della filosofia italiana. Quaderni, 21), pp. 197-211. 4 Sulla sistemazione dei materiali all’interno della dimora di Velletri cfr. S. CRAVERO, L’organizzazione del Museo Borgia a Velletri, in Stefano Borgia e i Danesi a Roma, a cura di R. LANGELLA, Velletri 2000 (Centro Internazionale di Studi Borgiani. Quaderni, 1), pp. 95-97. 5 Per la consistenza e le vicende legate ai monumenti finiti invece nelle raccolte pontificie cfr. G. FILIPPI – G. SPINOLA, Il materiale archeologico della collezione Borgia in Vaticano. Le iscrizioni, le sculture, i mosaici, le terrecotte e L. VATTUONE – C. GENNACCARI, La collezione Borgia e gli inventari museali delle raccolte vaticane. I vetri, i sigilli, i reperti paleocristiani e giudaici, entrambi in Le quattro voci cit., rispettivamente pp. 192-226 e 227-241, nonché A. CECCARELLI, La collezione del Museo Borgiano al Museo Etnologico Vaticano, in Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie 30 (2012), pp. 299-337.

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Fig. 1 – F. NICCOLINI – F. NICCOLINI, Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti, II, Napoli 1862, Descrizione Generale, tab. LVI.

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quale visitando sul cadere del Settecento il palazzo di Velletri segnalava «beaucoup de cachets de bronze, de clefs, et d’anneaux en bronze, en or et en argent»6, tra le pagine del decimo volume del Corpus Inscriptionum Latinarum dedicate ai signacula non potrebbe recuperarvi che appena otto reperti di dichiarata provenienza borgiana: CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 = CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001, CIL X 8059, 51, 259, 271, 353a, 364, 497 e 505c7. V’è di più. Tre testi appartenuti, come si vedrà, alla collezione Borgia, CIL X 8058, 49, 53 e 898, sono stati addirittura assegnati a Pompeii9 sulla base d’una tavola contenuta nella monumentale opera dei fratelli Fausto e Felice Niccolini (fig. 1)10, i quali altro non fanno che riproporre alcuni oggetti pubblicati qualche anno prima da Giulio Minervini (1819-1891)11: di tutti questi solamente CIL X 8058, 30 era stato davvero ritrovato nella cittadina vesuviana il 17 aprile 181912. L’edizione in realtà si basa sostanzialmente sulle scarse indicazioni rin-

6 Cfr. E. BORSON, Lettre a M. le medicin Allioni, sur les beaux arts et en particulier, sur le cabinet d’antiquités et d’histoire naturelle de S.E. Monseigneur le Cardinal Borgia a Velletri, Roma 1796, p. 32 nr. 10. 7 La provenienza borgiana di CIL X 8059, 215 è stata recuperata, sulla scorta del Marini, nella successiva pubblicazione in IG XIV 2412, 18, così come per CIL X 8059, 107 la riedizione in CIL XI 6712, 118 ne ha potuto assodare tanto l’origine, quanto l’appartenenza alla collezione Borgia in base alle schede del Raponi e alla trascrizione del Marini (cfr. infra). 8 Questo reperto, ricavato per refuso dalla sola edizione del Guarini in C. GIRARDI, Le societates nel mondo romano: attestazioni dai signacula ex aere, in Instrumenta Inscripta V. Signacula ex aere. Aspetti epigrafici, archeologici, giuridici, prosopografici, collezionistici, a cura di A. BUONOPANE – S. BRAITO – C. GIRARDI, Roma 2014, p. 189 nr. 57, è stato erroneamente ripreso quale inedito in AE 2014, 78 adn. 9 Di tale attribuzione nessuno ha avuto in seguito ragione di dubitare: cfr. ad es. M. DELLA CORTE, Case ed abitanti di Pompei, a cura di P. SOPRANO, Napoli 19653, pp. 468 nrr. 58 e 61 e p. 470 nr. 94. 10 Cfr. F. NICCOLINI – F. NICCOLINI, Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti, II, Napoli 1862, tab. LVI della Descrizione Generale, per la quale viene offerta questa nota esplicativa: «Bronzi. – Diverse chiavi, una toppa e varie marche sono raccolti in questa tavola. N.° 1 chiave con catena a barbazzale n° 2, 3, 4, 5, 6 e 7 diverse marche. N.° 8, 9, e 10 pezzi che si suppongono appartenere ad un istesso serrame. N° 11 altra chiave». 11 Cfr. G. MINERVINI, Suggelli antichi e Chiavi e serrature antiche, in Real Museo Borbonico, XVI, Napoli 1857, tabb. XXII-XXIII: verosimilmente l’erronea attribuzione dei Niccolini deriva dall’affermazione dello stesso Minervini, che tuttavia riguarda soltanto «le chiavi e serrature», provenienti «tutte da Pompei». 12 Cfr. G. FIORELLI, Pompeianarum Antiquitatum Historia, II, Napoli 1852, p. 4; cfr. anche M. PAGANO – R. PRISCIANDARO, Studio sulle provenienze degli oggetti rinvenuti negli scavi borbonici del Regno di Napoli. Una lettura integrata, coordinata e commentata della documentazione, I, Castellammare di Stabia 2006, p. 119. Gli altri signacula presentati sono CIL X 8058, 45 = CIL X 8059, 375, per il quale può essere altrettanto esclusa una provenienza pompeiana già solo per ragioni cronologiche (cfr. infra), e CIL X 8059, 505c, anch’esso borgiano.

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RICERCHE ISAGOGICHE PER UN’EDIZIONE DEI SIGNACULA EX AERE

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tracciate nelle opere a stampa13, oltre che sulla scorta d’una parziale collazione del Vat. lat. 9110 effettuata dal de Rossi (cfr. infra), donde vengono ripresi CIL X 8059, 231 e 497, peraltro dal solo esemplare trascritto a p. 165 nr. 139. Unico riferimento bibliografico pressoché costante è rappresentato dalla sconclusionata opera di Raimondo Guarini (1765-1852)14, il quale non manca di confondere finanche i luoghi di conservazione nei pochi casi in cui questi sono indicati15: risulta invece completamente assente un qualche spoglio di tutta quella documentazione pertinente alla sezione 13

Cfr. in ordine cronologico G. C. AMADUZZI, Anecdota Litteraria ex mss. codicibus eruta, II, Roma 1773, p. 479 nrr. 45 e 46, il quale pubblica CIL X 8059, 259 e CIL X 8059, 377, l’uno già «Velitris in Aedibus Borgianis», che aveva potuto visitare personalmente (cfr. ad es. D. RIGATO, L’epigrafia e l’antichità negli Odeporici di Giovanni Cristofano Amaduzzi, in Atti della Quarta Giornata Amaduzziana, Viserba 2005 [Collana delle opere e degli studi di Giovanni Cristofano Amaduzzi e sul suo tempo, 5], pp. 103-104), l’altro, ricevuto dal Prefetto della Biblioteca Vaticana Giuseppe Antonio Reggi (1726-1802), allora «Sermonetae», indicazione generica che non consente di escluderne una trasmigrazione in quella cittadina per fini collezionistici; G. MARINI, Gli Atti e Monumenti de’ Fratelli Arvali scolpiti già in tavole di marmo ed ora raccolti, diciferati e commentati, I-II, Roma 1795, pp. 242, 504 e 531, dove compaiono rispettivamente CIL X 8059, 353a, CIL X 8059, 271 e CIL X 8059, 51, tutti «nel Museo Borgiano»; l’articolo Anulus a Iosepho Vernazza illustratus postridie calendas iunii MDCCXVI, in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino 23 (1818), p. 215, in cui si dà conto di CIL X 8059, 364 sulla base di una copia ricevuta dallo stesso Cardinale Borgia. Dei vari lavori di Clemente Cardinali, che aveva a disposizione l’inventario redatto dal Raponi (cfr. infra), rammento soltanto le Iscrizioni antiche inedite, Bologna 1819, pp. 67 nr. 474, 68 nrr. 496, 498, 499 e 500, dove si trovano proposti CIL X 8059, 212, CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 = CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001, CIL X 8059, 215 = IG XIV 2412, 18, CIL X 8059, 497 e CIL X 8059, 505c, cui si aggiungano CIL X 8059, 259 e IG XIV 2412, 14, trascritti nelle Iscrizioni antiche Veliterne, Roma 1823, pp. 99 nr. 39 e 181 nr. 115. 14 Sul personaggio, entrato nella storia degli studi «non per le sue qualità, bensì per il suo ingenuo zelo» (cfr. H. SOLIN, Corpus Inscriptionum Latinarum X. Passato, presente, futuro, in Epigrafi e studi epigrafici in Finlandia, a cura di H. SOLIN, Roma 1998 [Acta Instituti Romani Finlandiae, 19], p. 93), cfr. il profilo documentato e alquanto agiografico offerto da N. GAMBINO, Raimondo Guarini studioso di Aeclanum, a cura di V. IANDIORIO, Avellino 2003, passim. 15 Cfr. per CIL X 8059, 401, «del Museo S. Giorgio», R. GUARINI, Alcuni suggelli antichi, Napoli 1834, p. 49 nr. 29, mentre per CIL X 8059, 212 e CIL X 8059, 227, «del Signor Tuzio», p. 63 nrr. 83-84. È proprio la sciattezza tipica del Guarini che sconsiglia sia di considerare gli esemplari pubblicati come multipli sia di postulare trasmigrazioni illecite, altrimenti ben attestate in relazione alla collezione Sangiorgio, escluse dalla stessa catena inventariale: noto per inciso che degli ultimi due reperti non è traccia tra i «27 sugelli di bronzo esistenti in questa Capitale presso il signor Benigno Tuzî» descritti in una lettera del marzo 1834 diretta a Olaus Christian Kellermann (1805-1837) da Vito Capialbi (1789-1853), le cui indicazioni sono state confuse nella fase di edizione del Corpus Inscriptionum Latinarum (cfr. F. PAOLETTI, Il Giornale degli Scavi di Monteleone di Vito Capialbi: una rilettura, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, s. 3, 19,2 (1989), pp. 501-502). Aggiungo infine il sospetto almeno a mio giudizio fondato che il signaculum CIL X 8059, 297, noto soltanto mediante l’edizione del Guarini, altro non sia che una copia corrotta del borgiano CIL X 8059, 357.

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epigrafica della collezione Borgia, invero nota solo parzialmente allo stesso Theodor Mommsen16. Questa circostanza, che invoglia a correggere e affinare sempre più quella straordinaria impresa del Positivismo, se può da un lato certo spiegarsi con l’intenzione di completare l’opera in tempi ragionevoli17, dall’altro riflette l’approccio fioco dedicato all’approfondimento delle schede del cd. instrumentum inscriptum — e ciò a prescindere dal malcelato disprezzo del Mommsen verso tali categorie di iscrizioni18 — rispetto al notorio rigore riservato alle epigrafi lapidarie, dove le premure riservate agli auctores trovano ben altro spessore19: nonostante le autopsie dei supporti tradiscano l’emblematica acribia di Heinrich Dressel (18451920), la sezione difetta d’uno scrupoloso riscontro tanto della tradizione manoscritta20 quanto delle stesse edizioni a stampa21. Ad ogni modo, dei poco più che cinquanta signacula iscritti certamente appartenuti alla collezione Borgia, quelli pervenuti nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli sono in tutto quarantotto. 16 Bisogna in ogni caso rilevare come anche per le iscrizioni lapidee lo spoglio dei manoscritti si sia dimostrato poco scrupoloso, in quanto la revisione sistematica della tradizione ha permesso di riconoscere come borgiane oltre cinquanta epigrafi erranti nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: cfr. G. CAMODECA, La collezione Borgia e le raccolte minori di iscrizioni urbane nel Museo di Napoli, in Supplementa Italica Imagines. Roma (CIL, VI), 4, Roma 2014, pp. 23-24. 17 Per la fretta del Mommsen cfr. ad es. M. KAJAVA, Mommsen come epigrafista, in Theodor Mommsen e il Lazio antico, a cura di F. MANNINO – M. MANNINO – D. F. MARAS, Roma 2009 (Studia Archaeologica, 172), pp. 37-38. 18 Cfr. ad es. A. BUONOPANE, L’instrumentum inscriptum da curiosità antiquaria a fonte per la storia economica e sociale del mondo romano, in Economía romana. Nuevas perspectivas – The Roman Economy. New Perspectives, a cura di J. REMESAL RODRÍGUEZ, Barcellona 2017 (Instrumenta, 55), p. 20. 19 Sul punto cfr. S. BRAITO, Nell’officina del CIL. I signacula nei lavori preparatori del Corpus inscriptionum Latinarum, in Instrumenta Inscripta V cit., pp. 159-169, con descrizione particolareggiata dei superstiti materiali preparatori, attualmente conservati nella BerlinBrandenburgische Akademie der Wissenschaften, Archiv CIL, kast. 477. 20 Richiamo a mo’ d’esempio il Vat. lat. 9144, nel cui f. 95v si recupera la notizia del ritrovamento di CIL X 8059, 329, donde Gaetano Marini riprese il signaculum nel suo Vat. lat. 9110, pp. 169 e 452 nr. 206. 21 È in tal senso esemplificativa l’edizione dei signacula appartenuti alla collezione di Giovanni Carafa, Duca di Noja (1715-1768), ricavati essenzialmente dalla tab. 7 del volumetto Alcuni monumenti del Museo Carrafa, Napoli 1778, opera del Regio Istoriografo Francesco Daniele (cfr. L. DI FRANCO – S. LA PAGLIA, Un museum ritrovato: la collezione settecentesca di antichità di Giovanni Carafa duca di Noja, Napoli 2019 [Le archeologie. Storie, ricerche e metodi, 2], pp. 57-59 con bibliografia): se infatti per CIL X 8059, 223 vengono omessi riferimento e provenienza, mentre un esemplare in planta pedis è rimasto addirittura inedito, basti pensare che per errore vengono pubblicati quali sigilli CIL X 8059, 39, CIL X 8059, 335 e CIL X 8059, 464, in realtà null’altro che tegulae, nell’ordine CIL X 8042, 8, CIL X 8042, 48 e IG XIV 2403, 13.

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Fig. 2 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 278, f. 233r.

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Fig. 3 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ferr. 387, f. 191r.

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Per la loro identificazione22 è fondamentale un ternio (ff. 230r-235v) dall’intestazione Sigilla impressoria aenea Musei Borgiani. Velitris, contenuto quale VII Sezione all’interno dell’inventario manoscritto realizzato nel 1789 da Ignazio Maria Raponi (1748-1796), ora Borg. lat. 278 (fig. 2), interamente riprodotto anche nella copia (ff. 189r-193v) redatta da Filippo Aurelio Visconti (1754-1831), ora Ferrajoli 387 (fig. 3)23: quarantatré risultano i sigilli iscritti di età romana che già in quell’anno si conservavano nella dimora di Velletri24. Ai nostri fini si rivelano invece di modesto rilievo tanto il Catalogo del Museo Borgiano datato 1814, presentato dal nipote di Stefano, Camillo Borgia (1773-1817), al conte Giuseppe Zurlo (1759-1828)25, quanto la Ad inscriptiones Musei Borgiani Velitris appendix (ff. 104r-109v), proposta in margine al lavoro Inscriptiones Borgianae ad fidem autographi ms. apud S. Congregationem de Propaganda Fide26, ora custodito nel Fondo Antico della Biblioteca Comunale di Velletri, ms. V 3527, terminato nel 1815 da Luigi 22

Ricordo qui una volta per tutte la dettagliata analisi di ciascuno dei documenti, che avremo modo di utilizzare in seguito, elaborata da F. NASTI, La collezione epigrafica di Stefano Borgia nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in Le iscrizioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (ILMN), I: Roma e Latium, a cura di G. CAMODECA – H. SOLIN, Napoli 2000, pp. 45-54. Mi piace sottolineare come nel suo stesso epistolario privato il Cardinale riferisca incidentalmente di qualche «sigillo romano, dei bassi tempi» oppure «antico», menzioni tutte troppo fugaci perché se ne possa ricavare una qualche identificazione: cfr. R. LANGELLA, Stefano Borgia: epistolario privato, I-III, Velletri 1998-2001 (Quaderni della Biblioteca Comunale, 6), pp. 281 nr. 209b, 402 nr. 258-258b, 434 nr. 272-273b, 442 nr. 274-275b. 23 Cfr. M. BUONOCORE, Tra i codici epigrafici della Biblioteca Apostolica Vaticana, Faenza 2004 (Epigrafia e Antichità, 22), pp. 81-84 con letteratura ulteriore. 24 Mancano CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 = CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001, CIL X 8059, 81, 125, 201, 205a, 298, 331, 473, 8306 e IG XIV 2412, 1a = CIL XV 8621, 2, mentre vi sono già riportati CIL XV 8162, CIL XV 8212a, CIL XV 8264 e IG XIV 2412, 14, l’unico per il quale si precisi «Repertum Velitris». 25 Il catalogo, che ricalca la Stima e descrizione del Museo Borgiano Veliterno fatta dal Barone Akerblad e Filippo Aurelio Visconti, una cui copia è attualmente custodita nel Fondo Antico della Biblioteca Comunale di Velletri, ms. VII 5, fasc. 26, è stato pubblicato sulla base dell’esemplare conservato nell’Archivio Storico del Museo Archeologico di Napoli, Inventari Antichi 139, in Documenti inediti per servire alla storia dei Musei d’Italia pubblicati per cura del Ministero della Pubblica Istruzione, I, Firenze – Roma 1878, pp. 275-427: a causa delle descrizioni poco perspicue vi si riescono a riconoscere soltanto CIL X 8059, 212, al nr. 629 della Quinta Classe – Antichità Romane, nonché CIL XV 8264 e CIL XV 8212a, ai nrr. 47-48 della Decima Classe – Indicazione del Museo Sacro. 26 Vi figurano infatti, insieme a IG XIV 2412, 14 (f. 109r nr. 22), solamente CIL X 8059, 51 (f. 109r nr. 14), CIL X 8059, 259 (f. 106r nr. 3), CIL X 8059, 271 (f. 106r nr. 4) e CIL X 8059, 353a (f. 108r nr. 6), che egli riprendeva dalle edizioni a stampa, in realtà tutti già riportati nell’inventario del Raponi; i signacula latini si trovano riproposti anche nell’opera Iscrizioni Antiche Borgiane. Raccolte ed illustrate con note da C(lemente) C(ardinali) Socio L(etterario) Volsco, anno MDCCCXVII, custodita nel Fondo Antico della Biblioteca Comunale di Velletri, ms. V 19, pp. 72-73 nrr. 102-105, mentre quello greco compare a p. 200 nr. 444. 27 Un sommario elenco dei manoscritti riguardanti il Museo Borgiano, custoditi nel Fon-

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Cardinali (1783-1851) e Clemente Cardinali (1789-1839), i quali grazie ai legami intrecciati con il Visconti avevano potuto compulsare ampiamente l’inventario del Raponi28. Un contributo sostanziale è nondimeno offerto dalla sezione dedicata ai Sigilli, ed anelli in bronzo con relativo commento29, contenuta alle pp. 157-175 e 444-456 nel Vat. lat. 9110 di Gaetano Marini (1742-1815)30, intimo amico di Stefano Borgia e profondo conoscitore della collezione31: egli peraltro nel 1806, in occasione del trasferimento di tutti i beni mobili da Palazzo Altemps, aveva avuto modo di agire quale perito per conto della Sacra Congregazione de Propaganda Fide insieme al Visconti, ancor prima che sorgesse l’annosa disputa ereditaria in relazione al testamento del cardinale32. Dei dieci ulteriori signacula trascritti, solo di CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 do Antico della Biblioteca Comunale di Velletri, è stato redatto da R. LANGELLA, Bibliografia critica per argomenti dei manoscritti e pergamene esistenti nella Biblioteca Civica di Velletri relativi a Stefano Borgia, la sua famiglia, il museo, in Stefano Borgia. La famiglia – la storia – il museo, a cura di R. LANGELLA – R. MAMMUCARI, Velletri 1995 (Quaderni della Biblioteca Comunale, 5), pp. 112-114. 28 Parte del carteggio intercorso tra i personaggi si conserva nel Vat. lat. 10399, per cui cfr. M. VATTASSO – E. CARUSI, Codices Vaticani Latini: Codices 10301-10700, Città del Vaticano 1920, pp. 79-80, oltre che nella Miscellanea Visconti degli Autografi Ferrajoli, per cui cfr. P. VIAN, La raccolta e la miscellanea Visconti degli Autografi Ferrajoli. Introduzione, inventario e indice, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 377), ad indicem. 29 Dei nostri signacula vi sono riportate non più che brevi considerazioni su possibili lettura e scioglimento (CIL X 8059, 81, 125, 291, 331, 341 e 364) oppure la derivazione da edizioni a stampa (CIL X 8059, 51, 259, 271, 353a e 377) e dalle schede Raponiane (CIL X 8059, 56, 212, 231 e 401), ma il riscontro di ciascun testo è sovente omesso. 30 Cfr. in generale di I. DI STEFANO MANZELLA, Gaetano Marini e l’instrumentum inscriptum. A proposito del codice 9110, in Gaetano Marini (1742-1815) protagonista della cultura europea. Scritti per il bicentenario della morte, II, a cura di M. BUONOCORE, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 492), pp. 1166-1186. Sull’imponente statura dello studioso, quanto sulla necessità d’un sistematico riesame delle sue carte, mi limito a richiamare la recente messa a punto di M. BUONOCORE, Cosa ci insegna ancora Gaetano Marini?, in Epigrafia tra erudizione antiquaria e scienza storica. Ad honorem Detlef Heikamp, a cura di F. PAOLUCCI, Firenze 2019 (Studi e Saggi, 195), pp. 29-49. 31 Del Marini, verso le cui ricerche il cardinale nutriva vivo interesse (cfr. ad es. LANGELLA, Stefano Borgia cit., p. 417 nr. 264b), ricordo almeno il manipolo di iscrizioni trascritte Velitris in Museo Borgiano oppure R(omae) ap(ud) Cl(arissimum) Borgiam nel Vat. lat. 9130, ff. 203r-215r, per cui cfr. BUONOCORE, Tra i codici epigrafici cit. pp. 307-308; su quanto resta del rapporto epistolare tra i due intellettuali cfr. rispettivamente M. STUIBER, Zwischen Rom und dem Erdkreis. Die gelehrte Korrespondenz des Kardinals Stefano Borgia (1731-1804), Berlino 2012 (Colloquia Augustana, 31), p. 393 e M. BUONOCORE, Gaetano Marini e i suoi corrispondenti: i codici Vat. lat. 9042-9060, in Gaetano Marini (1742-1815) cit., pp. 155-156. 32 Per tutta la documentazione prodotta cfr. P. ORSATTI, Il Fondo Borgia della Biblioteca Vaticana e gli studi orientali a Roma tra Sette e Ottocento, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 376), pp. 36-43; il sommario inventario realizzato nell’occasione è stato pubblicato da

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Fig. 4 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 9110, p. 163 nrr. 109-110.

= CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001 si aveva altrimenti contezza, quantunque non si dimostri inopportuna qualche precisazione accessoria. A p. 163 nr. 109 è riportato CIL XV 8249, originariamente quale in R(oma) presso il Card(inale) Borgia, ma la dicitura il Card(inale) Borgia è stata sbarrata e corretta in di me, mentre CIL X 8059, 194 che segue è introdotto da un ivi (fig. 4): se il primo signaculum è davvero finito nel Museo Profano della Biblioteca Apostolica Vaticana33, l’ivi che introduce il secondo si riferisce con tutta evidenza all’intestazione originaria. Poco oltre al nr. 113 è copia di CIL X 8059, 198, in Velletri nel Mus(eo) Borgiano, cui si accodano in R(oma) presso il Card(inale) Borgia i nrr. 114117, rispettivamente CIL X 8059, 201, CIL X 8058, 89, riprodotto ancora a p. 173 nr. 271 come in Velletri nel Mus(eo) Borgiano, CIL XV 8264, trascritto ma poi cancellato anche a p. 164 nr. 121a con l’erronea indicazione in R(oma) presso il S. Penacchi, quindi CIL X 8059, 205a e, a p. 164, il nr. 118, ovvero CIL X 8059, 460: nell’indicazione in R(oma) è dunque adombrato M. NOCCA, Il mondo a casa: i nuovi confini della collezione Borgia. Lavori in corso per un’esposizione, in Le quattro voci cit., pp. 45-68. 33 Cfr. M. BUONOCORE, Le iscrizioni latine e greche, II (Instrumentum domesticum, 1), Città del Vaticano 1990 (Musei della Biblioteca Apostolica Vaticana. Inventari e Studi, 3), p. 49 nr. 47.

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lo spostamento, seppur provvisorio, di alcuni timbri insieme a parte della collezione nella Capitale.

Fig. 5 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 9110, p. 172 nr. 251.

V’è inoltre il sigillo riprodotto a p. 172 nr. 251 come in Velletri nel Mus(eo) Borgiano, intestazione cassata e sostituita da nel Mus(eo) Vatic(ano) con lett(er)e rilevate e cattive (fig. 5), ripresa dal Dressel, che l’ha pubblicato in CIL XV 8483c proponendo di identificarlo con quello migrato frattanto a Vienna34. Dell’affermazione del Marini non v’è ragione di dubitare35, ma a mio parere anche l’indicazione iniziale deve considerarsi esatta, poiché il borgiano CIL X 8059, 379 rappresenta dell’epigrafe uno dei numerosi multipli (cfr. infra): risulterebbe altrimenti questo l’unico signaculum della collezione del Cardinale assente all’interno di tutto il corpus. Finalmente CIL X 8059, 231, riportato a p. 157 nr. 4 come in Velletri nel Mus(eo) Borgiano (fig. 6), un cui esemplare ulteriore figura a p. 165 nr. 139, dov’è detto presso di me, manda(to)mi da Napoli (fig. 7): a meno di non dover postulare una semplice pecca materiale da parte del Marini nella redazione di due schede con diversa lezione, l’una ripresa dal Raponi, l’altra con intestazione erronea derivata da autopsia36, non è escluso che in questo caso ci si possa davvero trovare dinanzi a un nuovo multiplo. 34

Cfr. E. F. VON SACKEN – F. KENNER, Die Sammlungen des K. K. Münz- und AntikenCabinetes, Wien 1866, p. 290 nr. 745: l’ipotesi era suggerita dalla presenza nella stessa istituzione di CIL XV 8268 e CIL XV 8545, anch’essi segnalati precedentemente nel Mus(eo) Vatic(ano). 35 Il Dressel aveva potuto analizzarne un ectypon novicium in argilla expressum, già custodito all’interno dei depositi del Museo Kircheriano in un lotto di riproduzioni di sigilli, tutti schedati dal Marini nel Mus(eo) Vatic(ano): cfr. i cenni apud CIL XV 8049, 8072, 8103, 8129, 8190, 8191, 8202, 8220, 8235, 8292, 8321a, 8324, 8337, 8404, 8425, 8442, 8460, 8545, 8548, 8552 e 8594, ma cfr. anche ad CIL XV 8076 e 8502. 36 Una duplicazione del sigillo medesimo con due diverse lezioni è ad es. avvenuta per CIL X 8058, 89, riportato a p. 163 nr. 115 ivi (i.e. in R. presso il Card. Borgia) per autopsia,

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Fig. 6 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 9110, p. 157 nr. 4.

Fig. 7 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 9110, p. 165 nr. 139.

Le ragioni per cui una sì celebre opera, largamente sfruttata proprio in quegli anni37, non sia stata utilizzata appieno sono evidentemente da relazionare con il funesto incendio che colpì la casa del Mommsen nella notte tra i giorni 11 e 12 luglio del 1880, in cui andò distrutta anche la copia del codice che lo studioso tedesco aveva potuto trarre per sé38. Pare infatti che la collazione del manoscritto sia stata in seguito effettuata sulla sola scorta come credo, e nuovamente a p. 173 nr. 271 in Velletri nel Mus. Borgiano, dalla copia del Raponi. 37 Cfr. ad es. M. CH. DESCEMET, Inscriptions doliaires latines. Marques de briques relatives à une partie de la gens Domitia, Paris 1880 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 15), il quale a p. 150 riporta pure CIL X 8058, 89. 38 Cfr. ad es. la missiva del Mommsen diretta in data 30 agosto 1880 al de Rossi, ora ripubblicata in Lettere di Theodor Mommsen agli italiani, II, a cura di M. BUONOCORE, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 520), pp. 861-863 nr. 510.

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d’una copia assai parziale della sezione, realizzata da Giovanni Battista de Rossi (1822-1894), rintracciata sia pur mutila tra i materiali preparatori ancora conservati a Berlino39: in questa bisogna con tutta probabilità riconoscere il nuovo spoglio «per il distrutto instrumentum del vol. IX [...] del m(ano)scr(itto) doleario di Marini» operato proprio dal de Rossi, il quale ne possedeva copia personale40, dopo che ne era stato inizialmente dato specifico incarico a Hermann Dessau (1845-1931)41. Discorso a sé meritano infine gli inventari antichi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in particolare l’Inventario de’ bronzi minuti42, approntato topograficamente sotto gli auspici dell’allora Direttore del Museo Borbonico e Soprintendente degli scavi di antichità del Regno delle Due Sicilie, Michele Arditi (1746-1838), in un periodo di fervente riorganizzazione delle collezioni43: questo lavoro costituì la base per l’Inventario della collezione de’ bronzi minuti, composto per le cure del Principe di San Giorgio, Domenico Spinelli (1788-1863)44, sostituito successivamente dall’Inventario Generale tuttora in corso45. 39

Cfr. BRAITO, Nell’officina del CIL cit., p. 168. Si tratta del Vat. lat. 10827, per cui cfr. G. B. BORINO, Codices Vaticani Latini: Codices 10701-10875, Città del Vaticano 1947, p. 374, il quale costituì la base per la stampa di G. MARINI, Iscrizioni antiche doliari pubblicate per cura dell’Accademia di conferenze storico-giuridiche dal Comm. G.B. de Rossi con annotazioni del Dott. Enrico Dressel, Roma 1884 (Biblioteca dell’Accademia Storico-Giuridica, 3): purtroppo la sezione dedicata ai signacula, contenuta ai ff. 150r-167r e ff. 341v-351r, non venne pubblicata perché giudicata «estranea all’argomento del libro». 41 Per la vicenda cfr. M. BUONOCORE, Giovanni Battista de Rossi e l’Istituto Archeologico Germanico di Roma (Codici Vaticani Latini 14238-14295), in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Römische Abteilung 103 (1996), pp. 301-304. 42 Il volume è attualmente conservato nell’Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Inventari antichi 5, ma ho tenuto conto anche dei supplementi e delle varie copie. 43 Cfr. in generale A. MILANESE, Sulla formazione e i primi allestimenti del Museo reale di Napoli (1777-1830). Proposte per una periodizzazione, in Beni culturali a Napoli nell’Ottocento, Roma 2000 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 61), pp. 143-160; sul ruolo avuto dall’Arditi nell’acquisto e nella musealizzazione della collezione Borgia cfr. ID., Michele Arditi, il Museo Borgia e la catena delle arti: l’acquisizione delle raccolte borgiane e la loro sistemazione nel Real Museo di Napoli, in La collezione Borgia cit., pp. 55-60. 44 In quattro volumi, è custodito nell’Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Inventari antichi 101-104, ma ne esistono diverse copie insieme ai supplementi; se ne conserva una riproduzione anche nell’Archivio di Stato di Napoli, Ministero della Pubblica Istruzione, Real Museo Borbonico e Soprintendenza Generale degli Scavi 1848-1864, bb. 322 I-II. 45 Per la composizione di ciascuno di codesti documenti cfr. M. MORISCO, Gli inventari del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in Rivista di Studi Pompeiani 23 (2012), pp. 103107; cfr. anche F. MIELE, L’Inventario Generale del Museo Nazionale di Napoli e il contributo di Giuseppe Fiorelli alla sua costituzione, in Archeologia italiana e tedesca in Italia durante la 40

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L’inventario Arditi, che presenta per ogni oggetto descritto oltre la generica indicazione di provenienza una tripla numerazione — un numero di Inventario Generale, quello progressivo dei bronzi quindi il numero di Galleria — si rivela per la ricostruzione della consistenza dei signacula borgiani alquanto problematico: vi sono infatti registrati nella Quinta sala de’ Miscellanei come Borgia, insieme a quelli la cui appartenenza alla collezione del Cardinale può essere altrimenti comprovata46, non solo i reperti incertae originis CIL X 8058, 45 = CIL X 8059, 375 (Arditi 5889/2526/76 = Sangiorgio 3795, ora inv. 4871), CIL X 8059, 21 (Arditi 5880/2517/67 = Sangiorgio 3966, ora inv. 4786) e CIL X 8059, 234 (Arditi 5944/2581/131 = Sangiorgio 4030, ora inv. 4820), ma pure non pochi sigilli rinvenuti senza dubbio nelle città vesuviane durante gli scavi regi47. Tale aporia, riscontrabile anche per altre classi di oggetti48, mina seriamente l’affidabilità del documento, realizzato con forze modeste in un clima di inevitabile confusione: ricordo a tal proposito almeno il pondus CIL X 8067, 11 (fig. 8), concordemente attribuito a Pompeii (Arditi costituzione dello Stato Unitario, a cura di C. CAPALDI – T. FRÖHLICH – C. GASPARRI, Pozzuoli 2014 (Quaderni del Centro Studi Magna Grecia, 20. Studi di Antichità 2), pp. 181-188 con altra bibliografia. 46 L’unico che, se ho visto bene, manca negli inventari antichi è CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 = CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001, la qualcosa significa semplicemente che non si trovava tra i materiali esposti. 47 Provengono da Pompeii CIL X 8058, 19 (Arditi 5932/2569/119 = Sangiorgio 4018, ora inv. 4733), CIL X 8058, 62 (Arditi 5927/2564/114 = Sangiorgio 4013, ora inv. 4744), CIL X 8058, 83 (Arditi 5928/2565/115 = Sangiorgio 4014, ora inv. 4748), CIL X 8058, 84 (Arditi 5930/2567/117 = Sangiorgio 4016, ora inv. 4750), CIL X 8058, 90 = CIL X 8059, 425 cfr. p. 1001 (Arditi 5922/2559/109 = Sangiorgio 4008, ora inv. 4752) e CIL X 8058, 95 (Arditi 5920/2557/107 = Sangiorgio 4006, ora inv. 4754), da Herculaneum CIL X 8058, 1 (Arditi 5926/2563/113 = Sangiorgio 4012, ora inv. 4769), CIL X 8058, 4a (Arditi 5936/2573/123 = Sangiorgio 4022, ora inv. 4785), CIL X 8058, 12 (Arditi 5934/2571/121 = Sangiorgio 4020, ora inv. 4770), CIL X 8058, 20 (Arditi 5940/2577/127 = Sangiorgio 4026, ora inv. 4771), CIL X 8058, 25 (Arditi 5938/2575/125 = Sangiorgio 4024, ora inv. 4773), CIL X 8058, 26 (Arditi 5937/2574/124 = Sangiorgio 4023, ora inv. 4775), CIL X 8058, 28 (Arditi 5933/2570/120 = Sangiorgio 4019, ora inv. 4774), CIL X 8058, 36 (Arditi 5925/2562/112 = Sangiorgio 4011, ora inv. 4779), CIL X 8058, 48 (Arditi 5941/2578/128 = Sangiorgio 4027, ora inv. 4766), CIL X 8058, 57 (Arditi 5921/2558/108 = Sangiorgio 4007, ora inv. 4781), CIL X 8058, 63 (Arditi 5935/2572/122 = Sangiorgio 4021, ora inv. 4745), CIL X 8058, 64 (Arditi 5943/2580/130 = Sangiorgio 4029, ora inv. 4782), CIL X 8058, 79 (Arditi 5924/2561/111 = Sangiorgio 4010, ora inv. 4783), CIL X 8058, 92 (Arditi 5929/2566/116 = Sangiorgio 4015, ora inv. 4784) e CIL X 8059, 267 (Arditi 5942/2579/129 = Sangiorgio 4028, ora inv. 4767), mentre CIL X 8058, 31 (Arditi 5923/2560/110 = Sangiorgio 4009, ora inv. 4776) e CIL X 8059, 196 (Arditi 5931/2568/118 = Sangiorgio 4017, ora inv. 4765) sono stati ritrovati nell’ager di Nuceria Alfaterna. 48 Per qualche altro presunto reperto borgiano cfr. C. GUERRINI – A. LUPPINO – L. MANCINI, La ricognizione della collezione Borgia nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in Le quattro voci cit., pp. 159-167.

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400

UMBERTO SOLDOVIERI

Fig. 8 – Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 895, f. 150r.

1024/861/412 = Sangiorgio 1088, ora inv. 74181), da ricondurre tuttavia proprio alla collezione Borgia, dove è testimoniato già dalle schede del Raponi (Borg. lat. 278, f. 38r = Ferrajoli 387, f. 35r cfr. f. 184r)49. Queste circostanze impongono di lasciare nel limbo CIL X 8058, 45 = CIL X 8059, 375, CIL X 8059, 21 e CIL X 8059, 234, in attesa di documenti ulteriori che possano lumeggiare la malferma questione. Al fine di rendere più chiaro il quadro dei signacula certamente borgiani conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli e agevolarne il riscontro ho creduto utile istruire una tabella, organizzata sulla progressiva edizione di ciascun reperto, che ne mostri le corrispondenze con il manoscritto del Raponi, sia nell’autografo che nella copia, e con la silloge del Marini, quindi la trafila nei registri storici fino al corrente Inventario Generale50.

49 Si trova riportato anche da Clemente Cardinali nel suo manoscritto Iscrizioni Antiche Borgiane cit., p. 57 nr. 70, ma ho potuto recuperarne un’ottima riproduzione nel Borg. lat. 895, f. 150r. 50 Avverto che tutti i signacula riconosciuti quali borgiani sono qui genericamente registrati come d’incerto sito ovvero d’incerta provenienza.

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RICERCHE ISAGOGICHE PER UN’EDIZIONE DEI SIGNACULA EX AERE

Edizione

Borg. lat. 278 / Ferrajoli 387

CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 = CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001 CIL X 8058, 49

Vat. lat. 9110

Arditi

401

SanInv. giorgio

p. 157 nr. 9

4787

f. 234r / f. 193r

p. 166 nr. 153

5898/2535/85

CIL X 8058, 53

f. 234r / f. 193r

p. 166 nr. 158

5902/2539/89

3988

4828

CIL X 8058, 89

f. 234r / f. 193r

p. 163 nr. 115 = p. 5884/2512/71 173 nr. 271

3970

4857

CIL X 8059, 51

f. 233r / f. 192r

pp. 158 e 445 nr. 25

5907/2544/94

3993

4791

CIL X 8059, 56

f. 232r / f. 191r

pp. 158 e 445 nr. 29

5906/2543/93

3992

4792

CIL X 8059, 63

f. 232r / f. 191r

CIL X 8059, 81

3984

4827

p. 159 nr. 33

5900/2537/87

3986

4794

pp. 164 e 449 nr. 132

5875/2512/62

3961

4862

CIL X 8059, 86

f. 233r / f. 192r

p. 159 nr. 41

5915/2552/102

4001

4803

CIL X 8059, 94

f. 233r / f. 192r

p. 159 nr. 44

5909/2546/96

3995

4881

CIL X 8059, 107 = f. 231r / f. 190r CIL XI 6712, 118

p. 160 nr. 59

5899/2536/86

3985

4799

CIL X 8059, 125

pp. 168 e 452 nr. 200a

5881/2518/68

3967

4801

f. 233r / f. 192r

p. 166 nr. 165

5918/2555/105

4004

4802

CIL X 8059, 173

f. 233r / f. 192r

p. 163 nr. 104

5876/2513/63

3962

4806

CIL X 8059, 186

f. 232r / f. 191r

p. 163 nr. 107

5912/2549/99

3998

4805

CIL X 8059, 194

f. 232r / f. 191r

p. 163 nr. 110

5904/2541/91

3990

4808

CIL X 8059, 198

f. 232r / f. 191r

CIL X 8059, 131

p. 163 nr. 113

5919/2556/106

4005

4870

CIL X 8059, 201

p. 163 nr. 114

5911/2548/98

3997

4814

CIL X 8059, 205a

p. 163 nr. 117

5893/2530/80

3979

4810

pp. 165 e 450 nr. 152

7413/4050/1600

5489

4812

CIL X 8059, 215 = f. 234r / f. 193r IG XIV 2412, 18

p. 164 nr. 128c

5896/2533/83

3982

4813

CIL X 8059, 227

f. 231r / f. 190r

p. 165 nr. 136

5897/2534/84

3983

4817

CIL X 8059, 231

f. 232r / f. 191r

pp. 157 e 444 nr. 4, cfr. p. 165 nr. 139

5873/2510/60

3959

4818

CIL X 8059, 242

f. 232r / f. 191r

p. 165 nr. 146

5883/2520/70

3969

4829

CIL X 8059, 212

f. 233r / f. 192r

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402

UMBERTO SOLDOVIERI

Edizione

Borg. lat. 278 / Ferrajoli 387

Vat. lat. 9110

Arditi

SanInv. giorgio

CIL X 8059, 259

f. 231r / f. 190r

pp. 165 e 450 nr. 151

5879/2516/66

3965

4826

CIL X 8059, 271

f. 231r / f. 190r

pp. 166 e 450 nr. 166

5874/2511/61

3960

4831

CIL X 8059, 272

f. 231r / f. 190r

p. 167 nr. 170

5894/2531/81

3980

4833

CIL X 8059, 273a

f. 231r / f. 190r

p. 167 nr. 172

5891/2528/78

3977

4832

CIL X 8059, 291

f. 232r / f. 191r

pp. 167 e 451 nr. 185

5991/2554/104

4003

4837

CIL X 8059, 296

f. 232r / f. 191r

p. 168 nr. 186

5913/2550/100

3999

4843

CIL X 8059, 298

p. 168 nr. 187

5882/2519/69

3968

4842

CIL X 8059, 331

pp. 169 e 452 nr. 209

5939/2576/126

4025

4872

CIL X 8059, 341

f. 231r / f. 190r

pp. 169 e 452 nr. 217

5877/2514/64

3963

4847

CIL X 8059, 344

f. 231r / f. 190r

p. 170 nr. 222

5910/2547/97

3996

4848

CIL X 8059, 353a

f. 233r / f. 192r

pp. 170 e 453 nr. 230

5908/2545/95

3994

4849

CIL X 8059, 356

f. 231r / f. 190r

p. 170 nr. 233

5878/2515/65

3964

4851

CIL X 8059, 357 cfr. CIL X 8059, 297

f. 231r / f. 190r

p. 170 nr. 235

5890/2527/77

3976

4852

CIL X 8059, 364

f. 231r / f. 190r

pp. 171 e 453 nr. 239

5895/2532/82

3981

4874

CIL X 8059, 377

f. 234r / f. 193r

pp. 171 e 453 nr. 249

5887/2724/74

3973

4875

CIL X 8059, 379

f. 233r / f. 192r

p. 172 nr. 251

5905/2542/92

3991

4855

CIL X 8059, 401

f. 232r / f. 191r

pp. 172 e 454 nr. 257

5914/2551/101

4000

4876

CIL X 8059, 420

f. 232r / f. 191r

p. 173 nr. 272

5916/2553/103

4002

4858

CIL X 8059, 436

f. 231r / f. 190r

p. 173 nr. 282

5901/2538/88

3987

4859

CIL X 8059, 460

f. 233r / f. 192r

CIL X 8059, 473 CIL X 8059, 497

f. 233r / f. 192r

CIL X 8059, 505c

f. 234r / f. 193r

IG XIV 2412, 1a = CIL XV 8621, 2

p. 164 nr. 118

5903/2540/90

3989

4867

p. 166 nr. 164

5892/2529/79

3978

4863

p. 163 nr. 105

5885/2522/72

3971

4878

p. 175 nr. 302

5888/2525/75

3974

4822

p. 174 nr. 294

5886/2523/73

3972

4877

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RICERCHE ISAGOGICHE PER UN’EDIZIONE DEI SIGNACULA EX AERE

403

Fig. 9 – CIL X 8059, 107 = CIL XI 6712, 118.

Appena qualche conclusivo appunto su tale insieme di sigilli, che ostende tutte le problematicità caratteristiche di questo genere di oggetti, in primo luogo la provenienza: l’unico infatti che non presenti dubbi sulla propria origine risulta CIL X 8059, 107 = CIL XI 6712, 118, rinvenuto a Ostra Vetere (AN) (fig. 9)51. Esiti circoscritti mostrano anche i pur prudenti tentativi di rinvenire altrove qualcuno dei personaggi menzionati, senza correre il rischio di incappare nella consueta spirale delle omonimie52: la sola identificazione che ritengo possa trovare un qualche fondamento è rappresentata da M. Armenius Iulianus, noto da CIL X 8059, 51 (fig. 10),

Fig. 10 – CIL X 8059, 51. 51 Il reperto è stato di recente ripubblicato da S. ANTOLINI – S. M. MARENGO, I signacula ex aere della regio VI adriatica, in Instrumenta Inscripta V cit., p. 353 nr. 8: non ha ovviamente alcun fondamento la prospettata possibilità che nel personaggio si debba riconoscere quel Marcius Claudius Agrippa (PIR2 M 224) o un qualche individuo a questi collegato. 52 Rimangono a mio avviso delle mere ipotesi le identificazioni tanto del Theagenes Aug(usti) n(ostri) (sc. servus) di CIL X 8059, 401 con il Theagenes Caes(aris) Aug(usti) ser(vus) noto da CIL VI 16787 cfr. p. 3520, quanto dell’Aelius Torquatus di CIL X 8056, 11 cfr. p. 1000 = CIL X 8059, 13 cfr. p. 1001 con l’omonimo centurione d’età severiana, per cui cfr. R. SABLAYROLLES, Libertinus miles. Les cohortes de vigiles, Roma 1996 (Collection de l’École française de Rome, 224), p. 592 nr. 51. Ancor più incerta sembra la proposta di riconoscere nel dominus di CIL X 8059, 377 uno dei Cornelii Proculi di rango senatorio: cfr. ad es. W. REIDINGER, Die Statthalter des ungeteilten Pannonien und Oberpannoniens von Augustus bis Diokletian, Bonn 1956 (Antiquitas. Abhandlungen zur alten Geschichte, 2), p. 71.

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404

UMBERTO SOLDOVIERI

nel quale sarei incline a riconoscere quell’Armenius Iulianus (PIR2 A 1058), coniuge di Aelia Gemellina, matrona equestris durante i Ludi Saeculares del 204 d.C. (PIR2 A 295 = FOS 13)53, se non un suo stretto parente.

Fig. 11 – CIL X 8059, 353a.

Non mancano infine i casi di multipli accertati54: si possono richiamare almeno CIL X 8059, 353a55 (fig. 11) e IG XIV 2412, 1a = CIL XV 8621, 2 (fig. 12)56, dei quali sono state ritrovate anche delle rispettive notae pressae, nonché CIL X 8059, 205a (fig. 13)57 e CIL X 8059, 379 (fig. 14)58. 53 Sulla dama cfr. A. ÁLVAREZ MELERO, Matronae equestres. La parenté féminine des chevaliers romains originaires des provinces occidentales sous le Haut-Empire romain (Ier-IIe siècles), Bruxelles – Roma 2018 (Institut Historique belge de Rome. Études, 4), pp. 43, 91-92, 155-156 e 266 tab. 9.1. 54 Segnalo che l’autopsia di entrambi gli esemplari ha permesso di escludere qualsivoglia relazione tra il borgiano CIL X 8059, 273a e CIL X 8059, 273b, custodito tra i signacula della collezione Santangelo, inv. 82. 55 Cfr. per la documentazione I. DI STEFANO MANZELLA, A proposito di signacula: la tarda et neglegens subscriptio libellorum una forma (ex aere?) di Commodus, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 173 (2010), p. 273 nonché ID., Signacula ex aere. Gli antichi timbri romani di bronzo e le loro impronte, in L’écriture dans la maison romaine, a cura di M. CORBIER – J.-P. GUILHEMBET, Parigi 2011, pp. 359-360; non so se in uno degli esemplari altrimenti noti si debba identificare quello proveniente «da scavo in Aquino» riportato nel f. 31r del Vat. lat. 9742, sul quale cfr. M. BUONOCORE, Codices Vaticani Latini: Codices 9734-9782 (Codices Amatiani), Città del Vaticano 1988, p. 32. 56 Cfr. I. DI STEFANO MANZELLA – V. VALCHERA – G. CICALA – S. BRAITO – A. VELLA, Signacula ex aere: dossier Agátôn (quattro multipli e quattro impronte su tegole e mattoni), in Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie 30 (2012), pp. 39-62, dov’è prudentemente sospeso il giudizio in merito all’identificazione dell’esemplare conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli con quello segnalato all’interno della collezione Borgia. 57 Cfr. CIL X 8059, 205b cfr. CIL XV 8266 e CIL XI 6712, 225, riedito da V. VALCHERA, Signacula ex aere del Museo Civico Archeologico di Bologna: notabilia tecnici, prosopografici e collezionistici, in Instrumenta Inscripta V cit., p. 336 nr. 26. 58 Cfr. CIL XIV 4119, 7 = CIL XV 8483a, CIL XV 8483b, uno dei quali ripubblicato da G. MENNELLA, Signacula ex aere nel Museo di antichità di Torino: il fondo Ancona, in Epigrafia 2006. Atti della XIVe Rencontre sur l’épigraphie in onore di Silvio Panciera con altri contributi

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RICERCHE ISAGOGICHE PER UN’EDIZIONE DEI SIGNACULA EX AERE

405

Fig. 12 – IG XIV 2412, 1a = CIL XV 8621, 2.

Fig. 13 – CIL X 8059, 205a.

Fig. 14 – CIL X 8059, 379.

di colleghi, allievi e collaboratori, III, a cura di M. L. CALDELLI – G. L. GREGORI – S. ORLANDI, Roma 2008 (Tituli, 9), p. 1318 nr. 18, e CIL XI 6712, 417a-b, per cui cfr. rispettivamente D. RIGATO, I signacula ex aere del Museo Nazionale di Ravenna: un quadro introduttivo, in Instrumenta Inscripta cit., p. 207 fig. 2 nr. 78F e VALCHERA, Signacula ex aere cit., p. 339 nr. 43.

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UMBERTO SOLDOVIERI

ABSTRACT Lo studio propone la ricomposizione integrale dei signacula ex aere, attualmente conservati nel Medagliere del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, appartenuti alla Collezione del Cardinale Stefano Borgia (1731-1804) e acquistati nell’estate del 1814 da parte di Gioacchino Murat (1767-1815). Base documentaria è costituita essenzialmente dall’inventario manoscritto realizzato nel 1789 da Ignazio Maria Raponi (1748-1796), ora Borg. lat. 278, e dalla sezione dedicata ai Sigilli, ed anelli in bronzo contenuta nel Vat. lat. 9110 di Gaetano Marini (1742-1815), oltre che dagli inventari antichi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. This study proposes the complete recomposition of the signacula ex aere, currently preserved in the medal collection of the National Archaeological Museum of Naples, which belonged to the collection of Cardinal Stefano Borgia (1731-1804) and was purchased in the summer of 1814 by Gioacchino Murat (1767-1815). The documentary evidence for this recomposition consists of the manuscript inventory written in 1789 by Ignazio Maria Raponi (1748-1796), now Borg. lat. 278, and of a section of a text dedicated to the Sigilli, ed anelli in bronzo by Gaetano Marini (1742-1815) contained in Vat. lat. 9110, as well as from the ancient inventories of the National Archaeological Museum of Naples.

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FABIO TRONCARELLI

“POSUI VOS UT EATIS”. UOMINI E LIBRI DAL LATERANO A SAN PIETROBURGO A Marco Buonocore sempervirens ABSTRACT a p. 420.

Nel 1886 Giovan Battista de Rossi pubblicò un elenco dei volumi posseduti dalla biblioteca pontificia nel 6491, ricavata dal mosaico di citazioni di testi negli atti del Concilio Lateranense promosso da Martino I2. I risultati dell’indagine di de Rossi sono validi ancora oggi e sono stati confermati dalle successive edizioni degli atti del concilio3. Altrettanto valida è l’insistenza dello stesso studioso sul ruolo di centro di diffusione in Europa di manoscritti svolto dalla biblioteca lateranense, un ruolo parallelo a quello di conservazione di testi. Scriveva infatti de Rossi: «Bibliotheca sedis apostolicae hoc tempore fuit tanquam centrum unde libri sacri diffusi sunt per Europam praeserptim septentrionalem»4. Le affermazioni dello studioso romano possono essere sottoscritte e sono state, del resto, condivise da molti autorevoli ricercatori che hanno svolto numerose indagini sulla millenaria storia della biblioteca dei papi5. 1 Codices Palatini latini Bibliothecae Vaticanae descripti praeside I. B. Cardinali Pitra […], recensuit et digessit H. STEVENSON iunior, recognovit I. B. DE ROSSI, I, Romae 1886, pp. LXVIII-LXXI. 2 G. JENAL, Martino I, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, coll. 598-603. Si vedano per un primo riferimento E. CASPAR, Die Lateransynode von 649, in Zeitschrift für Kirchengeschichte 51 (1932), pp. 75-137; ID., Geschichte des Papsttums, II, Tübingen 1933, pp. 553-574, 779; R. RIEDINGER, Aus den Akten der Lateran-Synode von 649, in Byzantinische Zeitschrift 69 (1976), pp. 17-38; ID., Grammatiker-Gelehrsamkeit in den Akten der Lateransynode von 649, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 25 (1976), pp. 57-61; ID., Die Lateransynode von 649 und Maximos der Bekenner, in Maximus Confessor, Actes du Symposium sur Maxime le Confesseur, Fribourg 1982, pp. 111-121; Martino I papa (649-653) e il suo tempo, atti del XXVIII convegno storico internazionale (Todi, 13-16 ottobre 1991), Spoleto 1992 (Atti dei convegni dell’Accademia tudertina e del Centro di studi sulla spiritualità medievale, 5). 3 Concilium Lateranense anno 649 celebratum, edidit R. RIEDINGER, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, Series secunda, I, Berolini 1984, pp. IX-XXVIII. 4 Codices Palatini cit., p. LXXIII. 5 La bibliografia su questo tema è ovviamente sterminata: rimandiamo per semplicità a M. BUONOCORE, La biblioteca dei pontefici dall’età antica all’Alto Medioevo, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, I: Le Origini della Biblioteca Apostolica Vaticana tra Umanesimo

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXVI, Città del Vaticano 2020, pp. 407-443.

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FABIO TRONCARELLI

Nelle pagine che seguono ci limiteremo a segnalare un nuovo frammento di questa vicenda, ricostruendo le peripezie dall’Italia tardoantica alla Russia contemporanea, di un piccolo gruppo di manoscritti attraverso una serie di annotazioni poco leggibili e dimenticate. Da Vivarium al Laterano Riassumendo schematicamente i risultati di lunghi anni di lavoro, possiamo dire di aver isolato un ristretto numero di manoscritti di probabile origine vivariense6, accomunati da una serie di peculiarità degne di considerazione: in essi ritroviamo caratteristiche costanti di tipo grafico, e codicologico e nelle funzioni e nell’uso delle diverse scritture7, un complesso di elementi che, come hanno scritto Pratesi e Cherubini riferendosi ai nostri studi: «pare trovare un preciso riscontro nel programma formativo del fondatore di Vivarium»8. A questo gruppo appartengono alcuni codici databili nella seconda metà del VI secolo: il Vat. lat. 5704, che riporta la rarissima traduzione del commento di Epifanio di Cipro al Cantico dei Cantici9, e la seconda parte del codice di Oxford, Bodleian Library, Auct. T II 26 (che contiene il Chronicon di Marcellinus Comes), la quale mostra una scrittura simile al codice precedente, com’era già stato notato dal Courcelle e com’è stato ribadito da altri studiosi (tav. I)10; il manoscritto di Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nae Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010, pp. 24-70; M. A. BILOTTA, I libri dei papi. La curia, il Laterano e la produzione manoscritta ad uso del papato nel Medioevo (secoli VI-XIII), Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 465). 6 Le nostre proposte hanno riscosso un vasto consenso: si veda F. TRONCARELLI, Minutiore manu. Note tironiane in un codice di Vivarium (Vat. lat. 5704), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIII, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 516), pp. 631-671, in particolare pp. 631-632, nt. 3. 7 F. TRONCARELLI, I codici di Cassiodoro. Le testimonianze più antiche, in Scrittura e Civiltà 12 (1988), pp. 47-99; ID., L’odissea di un’odissea: note sull’Ilario basilicano (Arch. S. Pietro D 182), in Scriptorium 45 (1991), pp. 3-21; ID., Litteras pulcherrimas. Correzioni di Cassiodoro nei codici di Vivarium, in Scrittura e Civiltà 20 (1996), pp. 89-109; ID., Vivarium. I libri, il destino, Steenbrugis – Turnhout 1998 (Instrumenta patristica, 33). 8 P. CHERUBINI – A. PRATESI, Paleografia latina: l’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano, 2010 (Littera antiqua, 16), p. 127. 9 F. TRONCARELLI, Decora correctio. Un autografo di Cassiodoro?, in Scrittura e Civiltà 9 (1985), pp. 147-68. Sul manoscritto si vedano: Codices Latini Antiquiores (CLA), edited by E. A. LOWE, I, Oxford 1934, nr. 25; A. CERESA GASTALDO, Da Vivario a Roma; appunti per la storia del codice Vaticano latino 5704 (sec. VI), in Giornale italiano di filologia, N.S. I, 22,3 (1970), pp. 39-44, in particolare p. 42; CHERUBINI – PRATESI, Paleografia latina cit., pp. 109, 127. 10 P. COURCELLE, Les Lettres grecques en Occident. De Macrobe à Cassiodore, Paris 1943 (Bibliothèque des Écoles française et de Rome, 159), p. 354 nt. 3: «l’écriture ressemble étrangement à celle du ms Vat. lat. 5704»; F. MASAI, in La Règle du Maître: édition diplomatique des

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cional’naja Biblioteka (RNB), Q.v.I.6-1011, databile più o meno negli stessi anni dei primi due, che riunisce testi di Girolamo, Fulgenzio di Ruspe, Origene e lo Pseudo-Rufino12 separati tra loro all’origine (come mostra la numerazione dei fascicoli) e scritti da diversi copisti che tuttavia usano una scrittura molto simile, nettamente più calligrafica dei primi due, a partire da uno stesso tipo di educazione grafica (tavv. II-IV)13; i codici più tardi di Verona, Biblioteca Capitolare, ms. XXXIX14, che riporta le Complexiones cassiodoriane e il Reg. lat. 207715 che riporta Gennadio, Girolamo ed altri testi, databili entrambi nell’ultimo quarto del VI secolo, i cui copisti, più giovani di una generazione, mostrano comunque, a tratti, echi evidenti dell’educazione grafica dei loro predecessori (tav. V). Esaminando questi manoscritti osserveremo insieme alla Dobiaš, a Bischoff e a Petrucci16 che la scrittura di esemplari come il Vat. lat. 5704 manuscrits latins 12205 et 12634, a cura di H. VANDERHOVEN – F. MASAI – PH. B. CORBETT, Bruxelles – Paris 1953 (Aux sources du monachisme bénédictin, 1; Publications de Scriptorium, 3), p. 65: «exactement, le même type particulier d’écriture». 11 O. DOBIAŠ ROÀDESTVENSKAJA, Les anciens manuscrits latins de la Bibliothèque publique de Léningrad, I, in Analecta Medii Aevi III (1929), pp. 30-37; EAD., Le Codex Q.v.I.6-10 de la Bibliothèque publique de Léningrad, in Speculum 5 (1930), pp. 21-48; EAD., Histoire de l’atelier graphique de Corbie de 651 à 830 reflétée dans les Corbeienses Leninopolitani, Leningrad 1934, pp. 112-115; B. BISCHOFF, Scheda nr. 1614, in CLA, XI, Oxford 1966 (per l’attribuzione della scheda a Bischoff si veda: S. KRÄMER, Bibliographie Bernhard Bischoff und Verzeichnis aller von ihm herangezogenen Handschriften, Frankfurt am Main 1998, ad codicem). Si vedano inoltre: A. STAERK, Les manuscrits latins du Ve au XIVe siècle conservés a la Biliotheque Imperiale de Saint Petersbourg, I, Sankt Peterburg 1910, pp. 6-7; C. NORDENFALK, Die spätantiken Zierbuchstaben, Stockholm 1970 (Die Bücherornamentik der Spätantike, 2), pp. 139, 148, 184-189; D. GANZ, Corbie in the Carolingian Renaissance, Sigmaringen 1990 (Beihefte der Francia, 20), pp. 169-170; C. DE MÉRINDOL La production des livres peints à l’abbaye de Corbie au XIIe siècle. Étude historique et archéologique, Lille 1976, pp. 1055-1057; The Art of the 5th16th century European Manuscripts, Sankt Peterburg 2005, nr. 2, pp. 70-71. 12 M. W. MILLER, Rufini Presbyteri Liber de Fide, Washington 1964 (Catholic University Patristic Studies, 95); Origenes Werke […], VIII, herausgegeben von W. H. BAHERENS, Leipzig 1925 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller); Sancti Fulgentii episcopi Ruspensis Opera, cura et studio J. FRAIPONT, Turnhout 1968 (Corpus Christianorum, 91A), pp. 710-760. 13 La Dobiaš parla di una «écriture […] d’une seule et meme école» (DOBIAŠ ROÀDESTVENSKAJA, Le Codex cit., p. 24); Bischoff parla di un’unica forma grafica, «a rather graceful uncial» opera di «several, mostly expert hands» (CLA, XI, nr. 1614). 14 F. TRONCARELLI, Vivarium. I libri, il destino, Turnhout 1998 (Instrumenta patristica, 33); P. DEGNI, Libri e scrittura, in Santi, banchieri e re. Ravenna e Classe nel VI secolo. San Severo il tempio ritrovato, a cura di C. BERTELLI – A. AUGENTI, Milano 2006, pp. 168-179; CASSIODORUS, Complexiones in epistulis Pauli apostoli, a cura di P. GATTI, Trento 2009 (Labirinti, 123). 15 F. TRONCARELLI, Il consolato dell’Anticristo, in Studi Medievali, 3a serie, 30 (1989), pp. 567-592; ID., Osservazioni sul Reginense latino 2077, in Scriptorium 67 (2014), pp. 79-102. 16 «Vat. lat. 5704 [...] onciale grande, new style, scritta rapidam(ente), tondegg(iante) […]. Sembra scritto con calamo [rigido] (anche la capitale). Presenta una tipologia grafica sin-

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FABIO TRONCARELLI

«presenta una tipologia grafica singolare non facilmente accostabile ad altri esempi di onciale italiana» e che il codice dello stesso ambiente di quello della Dobiache [Sankt-Peterburg, Q.v.I.6-10] mostra «per formato, rigatura interna al testo, uso del calamo [rigido] [...] elementi antichi» (tav. VIa) e che le sue correzioni fanno pensare alla ipotesi di un’autografia cassidoriana (tav. VIb). Rispetto ai codici vaticano e oxoniense, il Sankt-Peterburg Q.v.I.6-10 è certamente più calligrafico ed ambizioso, ma è accomunato al precedente dalla configurazione della scrittura particolarmente schiacciata e fortemente influenzata dalla semionciale, nella quale vi sono lettere inusuali come le “B” che fuoriescono dallo schema bilineare e le “S”, con lunga coda, molto schiacciata e angolosa: tutti elementi che fanno pensare, come hanno detto Bischoff, la Dobiaš e Petrucci, a forme grafiche simili (anche se non a una scrittura tipizzata), giustificando, in accordo con i paleografi che abbiamo menzionato, l’ipotesi di una provenienza unitaria, verosimilmente vivariense. I libri di Vivarium sono andati dispersi in diverse direzioni ed occasioni, difficili da ricostruire: molti studiosi, in ogni caso, concordano con l’ipotesi del Courcelle, secondo il quale parecchi manoscritti sarebbero confluiti in diverse epoche nella biblioteca del Laterano e da lì sarebbero ripartiti verso importanti istituzioni in Europa17. L’ipotesi è fondata soprattutto sulla presenza di brani sicuramente derivati da opere tradotte o scritte a Vivarium e documenti pontifici già nel VI secolo, come ad esempio la traduzione del cosiddetto Codex Encyclius usata da papa Pelagio nella sua lettera ai vescovi d’Istria. Anche in seguito i pontefici mostrano di conoscere testi rarissimi che vengono da Vivarium, come la traduzione del commento al Cantico dei Cantici di Epifanio di Cipro, citata da papa Adriano I in una lettera a Carlo Magno del 79118. Tuttavia, va sottolineato che questi ed altri suggestivi parallelismi testuali non hanno avuto fino ad ora un significativo riscontro sul piano delle testimonianze scritte, come invece ci dovremmo aspettare. È evidente che ciò va imputato alla perdita dei manoscritti originali, come avviene in tanti golare non facilmente accostabile ad altri es(empi) di onciale ital(iana). Formato, foratura interna al testo, uso del calamo sono elementi tardo antichi. Appartiene allo stesso ambiente del codice della Dobiache [sic! = Sankt-Peterburg, Q.v.I.6-10]; ipotesi vivariense […] [Le correzioni sono di] mano coeva. Non è lo scriba, ma appartiene allo stesso ambiente (inchiostro […] medesimo del testo). Educaz(ione) grafica antica = uomo anziano. Interventi di merito che corregg(ono) la traduz(ione) (e non errori dello scriba) [...]. Ipotesi di autografia cassiodoriana»: A. PETRUCCI, Lettera del 27 giugno 1984 (tavv. VIa-b). 17 COURCELLE, Les lettres cit., pp. 342-382; cfr. tra gli altri M. LAPIDGE, The Anglosaxon Library, Oxford 2006, pp. 18-20. 18 COURCELLE, Les letters cit., pp. 363 e 367.

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altri casi simili: eppure questa lacuna lascia una punta di insoddisfazione in chi cerchi di ricostruire il destino di biblioteche come quella fondata da Cassiodoro e come la più antica biblioteca dei papi. Dobbiamo dunque rassegnarci a questa insufficienza della documentazione? Se non ci inganniamo, possiamo forse colmare questo vuoto grazie ai risultati di un supplemento di indagine su testimonianze spesso più note che conosciute. Infatti, nel gruppo di codici di Sankt-Peterbug accomunati dalla collocazione unitaria Q.v.I.6-10, figura a metà del margine destro del primo foglio di ciascun codice, in una scrittura microscopica (più tardi cancellata) che sembrerebbe un’onciale di glossa, il compendio del nome e della qualifica19 del vescovo Agostino di Squillace, che partecipò attivamente al Concilio Lateranense del 54920 (tavv. VIIa-b). Non sappiamo molto di questo personaggio: a giudicare dalla sua scrittura elegante e accurata deve essere stato un uomo di cultura raffinata. Tra le sue sottoscrizioni21, va ricordata quella che si trova al f. 1r del Q.v.I.7 che recita «A(u)g(ustinus) E(piscopu)s s(a)t(is) d(at)»22 (tav. VIIa). Infatti la formula “satis dat” è impiegata, comunemente, in senso giuridico per indicare chi “dà una garanzia” (Cic., Pro. Ros., 35; Pro. Quin., 3; 7) ed in questo caso, trattandosi di una nota in un codice che riporta il De fide di Fulgenzio di Ruspe indica chiaramente chi “dà una garanzia nel campo della fede”. Non ci pare un’ipotesi molto ardita interpretare queste parole 19 A. CAPPELLI, Lexicon abbreviaturarum. Dizionario di abbreviature latine ed italiane, 7ª ed., Milano 2011, ampliata e rinnovata da M. GEYMONAT e F. TRONCARELLI, p. 10 col. 2 e p. 518, col. 2 per tutte le variazioni sul nome «Augustus-Augustinus»; p. 122, col. 2 per la contrazione «es» per indicare «episcopus» (già dall’VIII secolo). 20 Agostino fu presente a tutte le sessioni del Concilio e nella lista dei vescovi partecipanti occupa il settantacinquesimo posto: cfr. Concilium Lateranense cit., pp. 6, 7, 33, 113, 181, 249 (il nome e il titolo che gli viene attribuito è «Αὐγουστίνου ἐπισκόπου Σκυλλακίου», p. 6, riga 4; «Augustino Squillacino episcopo», p. 7, riga 4: (prima sessione). Agostino ha sottoscritto alla fine la dichiarazione conclusiva sulla fede, promulgata nella quinta sessione del Concilio: Concilium Lateranense cit., p. 398, riga 13 «Αὐγουστῖνος ἐπίσκοπος Σκυλακίου»; p. 399, riga 13 «Augustinus episcopus sanctae Squillacine ecclesiae». 21 L’esistenza di diverse sottoscrizioni mostra che nel momento in cui i codici pervennero nelle mani di Agostino erano separati. Non sappiamo tuttavia quale fosse il loro assetto originario: l’esistenza di numerazioni di fascicoli diverse testimonia che potevano essere separati sin dall’origine: non possiamo dire però se fossero uniti ad altri testi, come indurrebbe a credere il fatto che nelle Omelie di Origene i fascicoli cominciano dal numero 28. In ogni caso vale la pena osservare che la numerazione dei fascicoli è stata fatta da mani diverse da quelle dei copisti, databili in almeno un caso in un’epoca non molto lontana da quella in cui può essere stato attivo Agostino, come mostra la somiglianza della lettera “X” in una sua nota e nei fascicoli del Sankt-Peterburg, RBN, Q.v.I.8. 22 CAPPELLI, Lexicon cit., p. 365, col. 1 (l’abbreviazione “ST D” è attestata già nel VI secolo).

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come un indizio della volontà del vescovo, che partecipa ad un concilio che sfida l’autorità dell’imperatore, di “dare garanzie nel campo delle fede” consonanti con quelle del papa e dei suoi collaboratori come Massimo Confessore. Questa “garanzia” è ovviamente rivolta al papa ed al papa è altrettanto ovviamente destinato in dono il bellissimo codice, insieme agli altri quattro, decorati con la stessa perizia. I testi ortodossi riportati da tali codici ed il testo “eretico” dello pseudo-Rufino ad essi associato s’inquadrano perfettamente nel genere di opere di scrittori ortodossi ed “eretici” utilizzati e citati negli atti del concilio elencati da de Rossi. Infatti durante il concilio vennero ampiamente menzionati testi patristici che corroboravano le posizioni ufficiali del pontefice e dei vescovi che partecipavano all’assemblea, ma anche testi di eretici, contrari alle posizioni ufficiali, che venero puntualmente condannati. Il dono di Agostino al papato, al di là dell’omaggio esteriore all’autorità del pontefice, aveva il carattere di un contributo indiretto alla causa promossa da Martino I: un contributo ovviamente accettato e gradito, ma tardivo rispetto al calendario conciliare. I testi che vennero citati negli atti erano stati da tempo accuratamente selezionati attraverso il lungo lavoro preparatorio delle sessioni conciliari e non c’era posto per inserirne altri, aggiunti all’ultimo momento, come quelli portati da Agostino. Dal Laterano a Corbie È noto che Martino I fece ogni sforzo per diffondere i decreti conciliari e per avere appoggio da autorità ecclesiastiche e civili. A questo riguardo c’è rimasta la lettera che accompagnava l’invio degli atti e della solenne dichiarazione di fede con cui si era concluso il concilio, rivolta al vescovo Amand di Maastricht per sollecitare l’intervento del re Sigeberto III (630656) e dei vescovi di Austrasia. La lettera si conclude in modo significativo, ricordando che al re vengono inviate in dono alcune reliquie, contrariamente all’uso, che prevedeva il dono di codici pregevoli della biblioteca papale: si trattava evidentemente di volumi giudicati superflui o dai quali ci si poteva separare senza recare pregiudizio alle necessità di documentazione garantite dalla biblioteca. Scriveva infatti il pontefice: «Reliquias vero sanctorum, de quibus praesentium lator nos admonuit, dari praecepimus. Nam codices iam exinaniti sunt a nostra bibliotheca et unde ei dare nullatenus habimus; transcribere autem non potuit, quoniam festinanter de hac civitate regredi properavit»23.

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Concilium Lateranense cit., p. 224.

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Sappiamo dalla Vita di Sant’Eligio24 che Martino I si rivolse per le stesse ragioni, anche ad un sovrano più importante, Clodoveo II (633-657) che governava la Neustria e la Borgogna, un gesto ovvio considerando l’estensione dei territori governati da questo re e la presenza nel suo regno di personaggi di grande autorità spirituale come Sant’Eligio, anche se quest’ultimo non poté impegnarsi come avrebbe voluto e dovuto a favore del papa, per ragioni che la Vita non specifica25. Non c’è nulla di strano nel ritenere che in questa circostanza possano essere stati inviati preziosi libri in dono a Clodoveo II, proprio quelli che risultavano ormai esauriti al momento della lettera ad Amand: tra questi c’erano proprio i codici che figurano sotto la collocazione Q.v.I.6-10 di Sankt-Peterburg. Come facciamo a saperlo? Ce lo rivela una nota scritta in una «crude, old cursive» (CLA, XI, nr. 1614) dopo l’explicit del Q.v.I.7 a f. 113r26, segnalata ma non letta dai CLA e dalla Dobiaš, che la data comunque al VII secolo27, il cui testo recita: Ego Bealtildis28 do volu(mina) ista. “I(te) [Mc. 16,7]” dicit D(o)m(inu)s; “Et posui [vos] [ut] eat(is) [Ioh. 15, 16]”. Clotarius rex s(ubscriptus), populi mei, anno vicesim(o) II° eius v(itae), publica [auctoritate] cum illa affirmans29: 24 AUDOENUS ROTHOMAGENSIS, Vita S. Eligii, lib. 1, cap. XXXII e XXXIV, in Patrologiae cursus completus. Series Latina, 87, accurante J.-P. MIGNE, Lutetiae Parisiorum 1863, col. 504. 25 Su questo tema si veda l’interessante contributo di L. SARTI, The Digression on Pope Martin I in the Life of Eligius of Noyon, in East and West in the Early Middle Ages. The Merovingian Kingdoms in Mediterranean Perspective, edited by S. ESDERS – Y. FOX – Y. HEN – L. SARTI, Cambridge 2019, pp. 149-164. 26 Questa nota non va confusa con quella «in Italian cursive recalling the North Italian type», che c’è alla fine del Q.v.I.10, f. 220v, datata al sec. VII, nella quale si accenna a una certa quantità di cibo e di vino, riprodotta parzialmente in CLA, XI, nr. 1614. 27 Questa datazione risulta sulla Planche V, dell’album di foto allegato alla Histoire de l’atelier graphique de Corbie, riprodotto solo in pochi esemplari. 28 La regina Baltilde è ricordata nei documenti in molti modi diversi (Batilde, Bathylle, Bathild, Bathildis, Bathilda, Baudour, Bauthieult), ma non nella forma che troviamo in questo caso: tuttavia essa è l’unica giusta se consideriamo l’etimologia del nome. Baltilde viene dall’Old English Beald hild che significa spada (o lancia = hild) coraggiosa, splendente (beald: da cui viene l’inglese bold). La regina, che era di stirpe sassone e veniva dall’Inghilterra, può avere avuto una naturale predilezione per l’ortografia originale del suo nome. 29 Si confronti questa formula con quella che chiude un diploma sottoscritto da Baltilde e Clodoveo datato 23 dicembre 661: «Et ut haec preceptio firmior habeatur [...] nos et precelsa genetrix nostra, domna Baldechildis regina ma[nus] nostri signiculis subter eam decrevimus adfirmare [...]» (L. LEVILLAIN, Examen critique des chartes mérovingiennes et carolingiennes de l’abbaye de Corbie (Ve-Xe siècles), Paris 1902 (Mémoires et documents publiés par la Société de l’École des Chartes, 5), p. 220.

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Rex gl(oriosus) d(o)m(in)us30 a(nno) eius v(itae) vi(cesimo II°): [seguono le lettere C L T A R I U e BEALTILDIS]31» (tavv. VIII-XV)

Fig. 1 – La sottoscrizione di Baltilde.

La presenza della regina Baltilde (626-680) a fior di pagina del codice di cui ci occupiamo è estremamente significativa. Questa donna straordinaria, che non ha ancora avuto tutta la considerazione che merita32, era capace di apprezzare il dono dei preziosi volumi da parte del papa, a differenza di suo marito Clodoveo. Quando egli morì e gli successe il figlio Clotario III (552-572), ancora in tenera età, che nella nota è chiamato «gloriosus» come nelle sottoscrizioni dei diplomi coevi. Baltilde, reggente fino alla maggior età di Clodoveo, gestì con grande si30

Ibid., «Signum glorioso domino Chlotario rege [...]». Con la nostra interpretazione concorda uno dei più autorevoli ed originali paleografi e diplomatisti italiani, Attilio Bartoli Langeli, che ci ha scritto: «mai avrei immaginato qualcuno capace di leggere quelle noterelle, e di tirarne fuori tutte quelle cose» (18/12/2019). 32 Topographies of Power in the Early Middle Ages, edited by F. THEUWS – M. DE JONG – C. VAN RHIJN, Leiden 2001; S. TATUM, Auctoritas as sanctitas: Balthild’s depiction as ‘queensaint’ in the Vita Balthildis, in European Review of History 16 (2006), pp. 809-834. La vita Balthildis è stata pubblicata in Fredegarii et aliorum Chronica. Vitae sanctorum, edidit B. KRUSCH, Hanoverae 1888 (Monumenta Germaniae historica. Scriptores rerum merovingicarum, 2), pp. 475-50. Sull’argomento si vedano: G. SANDERS, Le remaniement carolingien de la «Vita Balthildis» mérovingienne, in Analecta Bollandiana 100 (1982), pp. 411-428; The Vita domnae Balthildis (The life of Lady Balthild Queen of the Franks) in P. FOURACRE – R. GERBERDING, Late Merovingian France: History and Hagiography, 640-720, Manchester – New York 1996, pp. 97-132. 31

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curezza le sorti dei regni della Neustria e della Borgogna, alternando un’attività politica di tutto rispetto a un’intensa attività culturale, che comportò la creazione di importanti abbazie come Corbie, sostenute economicamente e spiritualmente con doni di ogni genere, tra cui, ovviamente, manoscritti. Per questa ragione risultò naturale alla regina privarsi dei preziosi codici, che il marito aveva ricevuto insieme alla copia degli atti del concilio da Martino I, e donarli, a sua volta, all’abbazia che aveva fondato, destinata a divenire una delle più importanti istituzioni della Gallia merovingica. Quest’evento, datato al ventiduesimo anno di vita del giovane re Clotario, poco prima della sua prematura morte, dovrebbe essere avvenuto intorno al 574, dal momento che gli storici moderni sono d’accordo nel fissare la nascita del sovrano al 552.

Fig. 2 – «In anno vicesimo secundo».

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Se fossimo precipitosi e incauti come purtroppo sono tanti contemporanei, potremmo meravigliarci che la nota non è stata vergata nella merovingica corsiva, così tipica dei diplomi dei re francesi tra VII e VIII secolo e sembra invece, a prima vista, uguale a tante altre disordinate e irregolari manifestazioni della corsiva nuova che troviamo in Italia, tra VI e VII secolo, come del resto anche in Spagna. In realtà restare vittime del miraggio della prima impressione è veramente ingenuo: solo uno sprovveduto nel campo della paleografia e della storia della cultura potrebbe pensare che in Francia si scrivesse unicamente nella merovingica corsiva dei diplomi33 o nella sua versione libraria usata a Luxeuil (ma anche nel Nord Italia). Da questa scrittura estremamente artificiosa e stilizzata deriva la merovingica “usuale” (“courante” secondo Jean Vezin) usata nelle sottoscrizioni di molti documenti, in note occasionali, conti, appunti. Tuttavia non è questa l’unica forma grafica che troviamo in Francia tra VI e VIII secolo. A parte la pluralità di testimonianze librarie di un’onciale che regge il confronto con quella prodotta in Italia tra VI ed VIII, in centri di grande livello grafico-estetico, come Lione; a parte gli esperimenti per “reinventare” una scrittura libraria minuscola che avesse le funzioni dell’antica semionciale, tentati in diverse occasioni, come testimoniano ad esempio le varie forme grafiche usate a Corbie, abbiamo in ogni caso molte manifestazioni di scrittura corsiva legata alla corsiva nuova romana, che non somigliano alla merovingica usuale ed invece somigliano, come è ovvio, ad altre manifestazioni di corsiva derivata dalla corsiva nuova romana che troviamo in Italia o in Spagna tra VI ed VIII secolo. Un esempio evidente è nella scrittura del codice che raccoglie le lettere e le omelie di Avito di Vienne (Paris, BnF, lat. 8913), che secondo Lapidge è della fine del VI secolo34 e secondo me anche più tardo e che nessuno potrebbe scambiare per una merovingica corsiva delle origini. Lo stesso possiamo dire delle note disordinate scritte tra VII e VIII secolo come quelle nel codice Paris, BnF, NAL 2654, che a volte presentano forme corsive generiche e non hanno affatto un aspetto tipicamente merovingico. Non possiamo dimenticare, inoltre, che alcune sottoscrizioni di re merovingi come Dagoberto I (siano esse autografe o non autografe), non sono affatto in una corsiva “merovingica”, ma in una scrittura che deriva dalla corsiva nuova romana, ingrandita e depurata dagli elementi corsivi (tav. VIa). Una simile grafia c’è nella nota del codice di Sankt-Peterburg. Non è strano che si volessero distinguere le firme dei sovrani dal resto del diploma: anche quando per ottenere questo effetto ci si limita a ingran33 34

PH. LAUER – C. SAMARAN, Les Diplomes originaux des Merovingiens, Paris 1908. LAPIDGE, The Anglo-Saxon Library cit., p. 94.

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dire la merovingica corsiva, usando le cosiddette “litterae elongatae”, lo scopo è lo stesso35. Tra le sottoscrizioni dei documenti merovingi, degna di nota è quella, non autografa, della regina Nantilde (o Nantechilde). La sottoscrizione contiene molti elementi grafici uguali a quelli della sottoscrizione di Baltilde nel codice di Sankt-Peterburg (tav. XVIb). Un suo aspetto caratteristico è costituito dal rovesciamento o capovolgimento di qualche lettera, che frena il ritmo corsiveggiante della penna: un artificio identico, stilisticamente parlando, a quello che troviamo nella sottoscrizione di Batilde. Infatti in essa sono rovesciate verticalmente la lettera “T” di “LT” e la lettera “L” di “IL”, un vezzo grafico che costringe chi scrive a staccare la penna dal foglio interrompendo il tracciato corsivo: allo stesso modo, nella firma di Natechilde, le prime due lettere del nome non sono scritte di seguito, da sinistra verso destra come le altre, ma sono scritte rovesciate verticalmente, più piccole, una sull’altra, in una forma poco spontanea, che blocca lo slancio corsivo di chi scrive. Simili singolarità ricorrono anche in altri casi, come per esempio in una delle due sottoscrizioni di Dagoberto I, nella quale nel vertice inferiore la lettera “T” di “Dagobertus” viene tracciata una piccola “u”, che resta al di sotto del rigo di scrittura e non si lega con la “S”, interrompendo il ductus corsivo della penna.

Fig. 3 – Inversioni di lettere nelle sottoscrizioni di Nantechilde e Baltilde. 35 H. ATSMA – J. VEZIN, Les autographes dans les documents mérovingiens, in Gli autografi medievali. Problemi paleografici e filologici, atti del convegno di studio (Erice, 25 settembre – 2 ottobre 1990), a cura di P. CHIESA – L. PINELLI, Spoleto 1994, pp. 61-74.

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Da Corbie a San Pietroburgo I codici donati dalla regina Bealtilde furono conservati a Corbie con il rispetto dovuto a simili cimeli. In essi vi sono poche annotazioni marginali attribuibili a mani attive nell’abbazia, come ad esempio le note di esecrazione per il testo “eretico” dello pseudo Rufino, che ribadivano ciò che era stato già scritto sin dal VI secolo sopra l’incipit in un’annotazione più volte commentata dagli studiosi36. Secondo David Ganz qualche glossa è stata scritta dalla stessa mano che ha vergato postille al codice Sankt-Peterburg F.I.1037. E tuttavia, se osserviamo con attenzione i margini di questi codici troveremo più volte piccoli monogrammi costituiti, in varie combinazioni, dalle lettere “A, L, D, S”, che si ricompongono nel nome “Adalardo”: essi sono simili ad altri monogrammi che troviamo in codici scritti sotto gli occhi del celebre abate Adalardo, come il Paris, BnF, lat. 13354. In realtà altri monogrammi più o meno simili o identici troviamo anche in codici che possono ragionevolmente essere stati nelle mani dello stesso personaggio, come ad esempio nel codex archetypus delle Institutiones di Cassiodoro, il Bamberg, Staatliche Bibliothek, Patr. 61 (HJ.IV.15), scritto a Montecassino nell’ultimo quarto del secolo VIII38, un monastero in cui Adalardo soggiornò a lungo (tavv. XVII-XVIII). Tentando di sfuggire alla sua sorte di obbediente funzionario agli ordini di Carlo Magno, Adalardo, peregrinò in Europa in cerca di pace39. Quest’uomo inquieto sembra aver avuto uno spiccato interesse per Vivarium e per il sogno di una vita piena di serenità e di cultura che questo nome evocava: per questo ha disseminato il ricordo del suo nome nei margini dei volumi oggi a Sankt-Peterburg e nel codex archetypus di Bamberg. Non ci meraviglia di conseguenza trovare una mano molto simile alla sua, che se non è autografa è certamente di un segretario che usa lo stesso tipo di scrittura, anche nel margine del codice in cui ricorrono note autografe di Cassiodoro, il Vat. lat. 5704 (tav. XIX). Il volume, che come si è già detto 36 C. F. TOUSTAIN – R. P. TASSIN, Nouveau traité de diplomatique […], III, Paris 1757, p. 155; DOBIAŠ ROÀDESTVENSKAJA, Le codex cit., pp. 30-32; GANZ, Corbie cit., p. 69. 37 GANZ, Corbie cit., p. 40. 38 CLA, VIII, Oxford 1959, nr. 1029. Sul codice si vedano: B. BISCHOFF, Katalog der festländischen Handschriften des neunten Jahrhunderts (mit Ausnahme der wisigotischen), I, Wiesbaden 1998, p. 52, nt. 234a; G. SUCKALE-REDLEFSEN, Die Handschriften des 8. bis 11. Jahrhunderts der Staatsbibliothek Bamberg, Wiesbaden 2004, pp. 3-10, tavv. 1, 188-132. 39 B. KASTEN, Adalhard von Corbie. Die Biographie eines karolingischen Politikers und Klostervorstehers, Düsseldorf 1986 (Studia humaniora, 3). Si veda pure R. MCKITTERICK, The Frankish Kingdoms under the Carolingians, 751-987, London 1983; P. DEPREUX, Prosopographie, de l’entourage de Louis le Pieux (781-840), Sigmaringen 1997 (Instrumenta, 1), pp. 76-79.

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contiene la rarissima traduzione di Epifanio di Cipro patrocinata espressamente dal fondatore di Vivarium, potrebbe essere stato portato, a sua volta, a Roma dal vescovo Agostino e, comunque, dovrebbe aver raggiunto il Laterano entro la fine dell’VIII secolo, poiché come abbiamo già ricordato, fu utilizzato da papa Adriano I nel 791. Non sappiamo dove e quando Adalardo, accompagnato dal suo segretario, possa aver avuto occasione di consultarlo e di soddisfare così la sua passione per le testimonianze vivariensi: non è impossibile, in ogni caso, che egli possa averlo fatto proprio nella biblioteca del Laterano, durante la sua permanenza a Roma come rappresentante dell’Imperatore nell’809. Nei più antichi cataloghi di Corbie troviamo traccia dei manoscritti che venivano dalla biblioteca del papa40, che per un certo periodo rimasero separati: in seguito, non sappiamo bene quando, furono riuniti tra loro e formarono un solo volume, che portava inizialmente il numero 580 e poi l’840 a San Germain des Prés. Il volume fu studiato accuratamente Toustain e Tassin41 e in seguito fu acquistato, insieme a molti altri, da Piotr Doubrovsky (1754-1816), un diplomatico russo che si trovava a Parigi all’epoca della Rivoluzione Francese. La collezione di Doubvrosky fu donata allo Zar Alessandro I nel 1805 e formò il nucleo di base della Biblioteca Imperiale di Russia, di cui Doubvrosky stesso divenne Conservatore42. L’ex-diplomatico russo descrisse con scrupolo i manoscritti della biblioteca e in particolare, per quanto riguarda il codice Q.v.I.6-10 ebbe cura di separare i fascicoli che erano stati accorpati ad altri testi: in questa circostanza fece rilegare i diversi volumetti con una fiammante legatura in marocchino, bordata di verde e filettata in oro. Successivamente ad un’altra drammatica Rivoluzione, la Biblioteca Imperiale divenne la Biblioteca Pubblica di Russia di una città che allora fu chiamata Leningrado ed oggi è stata ribattezzata San Pietroburgo, recuperando il nome originale. Terminò così lungo cammino degli elegantissimi manoscritti, appartenuti a un papa, due re e una regina, che ricordavano a tutti il valore del dolce dono dell’intelligenza (Inst., I, 7) e venivano da quel remoto angolo del Meridione, che secondo Cassiodoro somigliava alle Isole Fortunate (Variae, XII, 15,60).

40

GANZ, Corbie cit., p. 36. TOUSTAIN – TASSIN, Nouveau traité cit., III, pp. 154-155, pl. XLII. 42 P. Z. THOMPSON, Biography of a Library: The Western European Manuscript Collection of Peter P. Dubrovski in Leningrad, in The Journal of Library History 19 (1984), pp. 477-503; T. P. VORONOVA, P. P. Dubrovsky 1754-1816, and the Saint Germain Manuscripts, in The Book Collector 27 (1978), pp. 469-478. 41

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ABSTRACT Le note marginali di codici tardoantichi ci permettono di capire molti aspetti della storia di un manoscritto. Il presente saggio analizza quelle del Vat. lat. 5704, proveniente da Vivarium e appartenuto temporaneamente alla biblioteca papale, annotato nei margini da uno scriba vicino ad Adalardo di Corbie, più volte presente a Roma e in Italia. Lo stesso Adalardo, quando era a Corbie, ha lasciato note nel manoscritto Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka, Q.v.I.6-10, che apparteneva a questa fondazione e che viene qui analizzato in rapporto con il codice vaticano. Anche questo manoscritto proveniva dalla biblioteca di papa Martino I e fu donato dal papa al re di Neustria che lo regalò a sua volta al monastero di Corbie. In età moderna, il volume fu acquistato da Peter Doubvrosky, che lo lasciò alla biblioteca imperiale di San Pietroburgo. Marginal notes of late-ancient manuscripts reveal to us many aspects of the history of a manuscript. This essay analyzes the notes that appear in Vat. lat. 5704, a manuscript coming from Vivarium, that apparently also belonged to the papal library for a short while. It was annotated by a scribe who was close to Adalard of Corbie. Adalard himself appears to have been present many times in Rome and in Italy. When he was in Corbie, Adalard also left notes in a manuscript now preserved in St. Petersburg Q.v.I.6-10, which originally belonged to the library of Corbie and which is analyzed here in relation to the Vatican codex. This manuscript in St. Petersburg also came from the library of Pope Martin I and was donated by the pope to the king of Neustria, who in turn gave it to the monastery of Corbie. In the modern period, Peter Doubvrosky purchased the volume and then gave it the imperial library of St. Petersburg.

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Tav. I – Confronto tra la scrittura del Vat. lat. 5704, f. 36r, e dell’Oxford, Bodleian Library, Auct. T.II.26, f. 315r.

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Tav. IIa – Confronto tra la scrittura del copista delle prime righe del Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka (RNB), Q.v.I.6, f. 1r, e le prime righe della scrittura dei copisti del Q.v.I.7, f. 1r.

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Tav. IIb – Confronto tra la scrittura del copista delle prime righe del Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.6, f. 1r, e le prime righe della scrittura dei copisti del Q.v.I.8, f. 1r.

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Tav. IIIa – Confronto tra la scrittura del copista delle prime righe del Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.6, f. 1r, e le prime righe della scrittura dei copisti del Q.v.I.9, f. 1r.

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Tav. IIIb – Confronto tra la scrittura del copista delle prime righe del Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.6, f. 1r, e le prime righe della scrittura dei copisti del Q.v.I.10, f. 1r.

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Tav. IV – Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.8, ff. 1v-2r.

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Tav. Va – Confronto tra la scrittura del copista del Vat. lat. 5704, ff. 5r-10r (colonne 1, 3) e quella dei copisti del Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.7, ff. 1r-10r e Q.v.I.8, ff. 1r-10r.

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Tav. Vb – Confronto tra la scrittura del copista del Vat. lat. 5704, ff. 5r-10r (colonne 1, 3, 5, 7) e quella della prima mano del Reg. lat. 2077, ff. 98r-100r (colonne 2, 4, 6, 8).

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Tav. VIa – Note autografe di Armando Petrucci sul Vat. lat. 5704.

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Tav. VIb – Note autografe di Armando Petrucci sul Vat. lat. 5704.

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Tavv. VIIa-b – Nota di possesso del vescovo Agostino sul margine destro del primo foglio del codice di Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.7.

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Tav. VIII – Nota di Baltilde sul f. 113r del Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.9.

Tav. IX – Nota di Baltilde ingradita.

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Tav. Xa – Nota di Baltilde ingradita.

Tav. Xb – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

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Tav. XIa – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

Tav. XIb – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

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435

Tav. XIIa – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

Tav. XIIb – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

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Tav. XIIIa – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

Tav. XIIIb – Nota di Baltilde suddivisa in diverse sezioni, in bianco e nero e con intensità diminuita.

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Tav. XIVa-b – Confronto tra le lettere della firma di Clotario III e di Baltilde nella nota pietroburghese (tav. VIII) e le lettere del monogramma di Clotario III e di Baltilde, riprodotti nella copia di un diploma del 653 fatta in età carolingia (L. LEVELLAIN, Examen critique des chartes mérovingiennes et carolingiennes de l’abbaye de Corbie (Ve-Xe siècles), Paris 1902, p. 220).

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Tav. XV – Monogrammi di Clotario e di Baltilde scomposti nelle loro lettere costitutive.

Tav. XVIa – Sottoscrizioni di Clotario II, Nantechilde, Dagobert I (Chartae Latinae Antiquiores, XIII, 552, 556, 551, 554).

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Tav. XVIb – Confronto tra i monogrammi di Clotario II e quelli di Baltilde e Clodoveo III; confronto tra la corsiva della nota pietroburghese (tav. VIII) e della scrittura delle sottoscrizioni di Clotario II, Nantechilde e Dagoberto.

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Tav. XVIIa – Monogrammi di Adalardo: a) Paris, Bibliothèque nationale de France (BnF), lat. 13354, f. 93r; b) Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.8, f. 2v; c) d) Bamberg, Staatsbibliothek, Patr. 61, ff. 46v, 48r.

Tav. XVIIb – Monogrammi di Adalardo: a) c) Paris, BnF, lat. 13354, ff. 93r, 44r (il secondo monogramma è stato interpretato erroneamente dalla Dobiaš, L’atelier graphique, p. 167, nr. 34, come un segno per indicare i versetti biblici); b) d) Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.8, ff. 2v; Q.v.I.6, f. 34r; Q.v.I. 8, f. 15r; Paris, BnF, lat. 13354, f. 92v; Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.6, ff. 40v, 34r.

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Tavv. XVIIIa-b – Monogramma di Adalardo: Sankt-Peterburg, RNB, Q.v.I.8, f. 114v.

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Tav. XIXa – Esempi di scrittura di Adalardo e di suoi stretti collaboratori confrontati con la nota marginale di Vat. lat. 5704, f. 48v: a) Nonantola, Archivio dell’Abbazia, Pergamene, II. 2; b) c) d) e) Paris, BnF, lat. 13354, ff. 13v, 5r, 6r, 4v (particolari); f) g) h) i) l) Vat. lat. 5704, f. 48v (particolari).

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Tav. XIXb – Vat. lat. 5704, f. 48v.

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INDICE DEI MANOSCRITTI E DELLE FONTI ARCHIVISTICHE

Asciano, Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, Archivio Cancelleria I 260, 262 Cancelleria III. 1 296 Cancelleria VI. 2 254 Cancelleria X. 2 262 Cancelleria X. 3 262 Cancelleria X. 5 266, 293, 294 Cancelleria X. 6 293 Cancelleria X. 7 293 Cancelleria X. 8 255, 293 Cancelleria XI. 1 262, 282, 283, 284, 294, 295, 319 Cancelleria XI. 2 293, 295, 296 Cancelleria XI. 3 255, 256, 278, 279, 280, 293, 296 Cancelleria XII. 1 293 Cancelleria XII. 2 255, 262, 282, 283, 284, 285, 293, 294, 295, 302, 319 Cancelleria XII. 5 255, 256, 279, 280, 282, 283, 296 Cancelleria XIII. 4 279 Procura Generale I. 1 264 Procura Generale II. 1 264 Procura Generale II. 2 264 Procura Generale II. 3 264 senza segnatura (S. Benedetto di Siena – Cronaca dal 1782) 298 –, –, Biblioteca dell’Archivio A2 263, 264, 301, 302, 305 A3 302, 305 A5 296, 305 A6 296, 306 A 25 306 A 27 289, 302, 307 A 30 306 A 41 260, 261 A 42 260, 261 A 43 260, 261 A 49 292, 301, 302 Antiphonarium D 298 Antiphonarium N 298 B4 266, 289, 301, 306

B7 292 B8 292 B 24 252, 301, 306 B 26 319 B 27 289, 301, 307 B 28/1 301, 306 B 28/2 301, 306 B 32 301, 306 Graduale C 298 Kyriale X 298 Psalterium e Hymnarium senza segnatura 1 298 Psalterium senza segnatura 2 298 Autun, Bibliothèque municipale S. 276

189

Bamberg, Staatliche Bibliothek Patr. 61 (HJ.IV.15) 418, 440 fig. XVIIa Basel, Jörn Günther Rare Books senza segnatura 208, 209 fig. 17 Berlin, Brandenburgische Akademie der Wissenschaften, Archiv CIL Kast. 477 390 Bern, Burgerbibliothek 292 I

309

Bologna, Archivio di Stato Cod. min. 20 208 Cod. min. 22 208, 210 fig. 21 Cod. min. 25 202 Cod. min. 26 202 Cod. min. 27 202 Cod. min. 42 206 Cod. min. 58 211 Comune, Governo, Statuti, XIII 202 – Biblioteca Universitaria 4256

31

– Museo Civico Medievale 537 538

202 202

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446

539 544 599 604 605 607 608 609 631 634 635 636 637

INDICE DEI MANOSCRITTI

202 192 e fig. 1 200 200 200 200 200 200 194 193 fig. 2, 194 203 fig. 11, 204 204 207 fig. 16, 208

Borgo Tossignano, S. Michele Arcangelo senza segnatura 204 Bruxelles, KBR (olim Bibliothèque royale Albert Ier) 9706-25 (1360) 309, 310 10589 313 Cambrai, Bibliothèque municipale 620

194

Cambridge, MA, Harvard University, Houghton Library Typ. 489 194 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Arch. Bibl. 105 80 Arch. Cap. S. Pietro B.51 204, 205 figg. 13 e 14 Arch. Cap. S. Pietro, Giustificazioni del Capitolo I, 142 219, 221, 233-235 Arch. Cap. S. Pietro, Giustificazioni del Capitolo I, 143 221 Arch. Cap. S. Pietro, Registri di mandati 26 220, 226, 229 Arch. Cap. S. Pietro, Registri di mandati 27 219 Barb. lat. 4760 91 Borg. cin. 531 115-141, 122 fig. 1, 124 fig. 2, 125 fig. 4, 126 fig. 6, 129 fig. 9, 132 fig. 11, 134 fig. 13, 136 fig. 15, 137 fig. 17, 138 fig. 19, 140 fig. 21 Borg. lat. 278 391 fig. 2, 393, 400, 401, 402 Borg. lat. 420 143-154, 163, 179 tav. XVII, 181 tav. XIX, 183 tav. XXI, 184 tav. XXII, 185 tav. XXIII

Borg. lat. 895 Borgh. 369 Capp. sist. 4

400, 400 fig. 8 307, 317-320 143-163, 164 tav. I, 169 tav. VII, 174 tav. XII, 178 tav. XVI Ferr. 387 392 fig. 3, 393, 400, 401, 402 Ott. gr. 23, pt. 1 108 Ott. gr. 23, pt. 2 108 Ott. gr. 160 99 Ott. gr. 344 99 Pal. lat. 631 194 Pal. lat. 759 194 Reg. lat. 945 209, 210 fig. 18, 211 Reg. lat. 2077 409, 428 tav. Vb Urb. lat. 10 359, 360 fig. 4, 365, 366 fig. 9, 367 fig. 10, 368 fig. 11, 369 fig. 12, 370 fig. 13, 371 fig. 14, 373 fig. 16, 374 fig. 17, 378, 379, 381, 382, 383 Urb. lat. 151 359, 363 fig. 7, 375 fig. 18, 376 fig. 19, 379, 380, 382 Urb. lat. 164 212, 214 fig 23 Urb. lat. 220 237-240, 247 Urb. lat. 221 237-244, 245 tav. I, 246 tav. II, 247 Urb. lat. 324 365 Urb. lat. 364 208 Urb. lat. 365 359, 364 fig. 8, 365, 377 fig. 20, 378, 379, 380, 382, 383 Urb. lat. 369 359, 361 fig. 5, 369 fig. 12, 370 fig. 13, 372 fig. 15, 373 fig. 16, 374 fig. 17, 379 Urb. lat. 404 359, 14 fig. 362, 379 Urb. lat. 427 365 Urb. lat. 548 349-383, 354 fig. 1, 355 fig. 2, 356 fig. 3, 369 fig. 12, 370 fig. 13, 371 fig. 14, 372 fig. 15, 373 fig. 16, 374 fig. 17, 375 fig. 18, 376 fig. 19, 377 fig. 20 Urb. lat. 1221 365 Urb. lat. 1248 353 Vat. gr. 114 113 Vat. gr. 755 109 Vat. gr. 829 100 Vat. gr. 830 107 Vat. gr. 914 113

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. gr. 1153 Vat. gr. 1298, pt. 2

109 75-86, 87 tav. I, 88 tav. II Vat. gr. 1328 77, 78, 82, 85, 86 Vat. gr. 1595 104-106 Vat. gr. 1638 104-106 Vat. gr. 1641 103-104 Vat. gr. 1660 103-106 Vat. gr. 1667 103-106 Vat. gr. 1669 103 Vat. gr. 1671 103 Vat. gr. 1862 91, 99 Vat. gr. 1890, pt. 1 89-114 Vat. gr. 1890, pt. 2 89-114 Vat. gr. 1898 91 Vat. gr. 1902 91 Vat. gr. 1949 91 Vat. gr. 2033 103-106 Vat. lat. 1094 201 figg. 7-10, 202, 204 Vat. lat. 1388 211, 212, 213 fig. 22 Vat. lat. 1432 195, 196 fig. 4, 197 fig. 5, 198 fig. 6 Vat. lat. 1456 204 Vat. lat. 2538 204 Vat. lat. 3843 310, 311, 312, 313 Vat. lat. 4845 305, 307, 308-316 Vat. lat. 5097 310, 311, 312 Vat. lat. 5236 29 Vat. lat. 5237 28 Vat. lat. 5248 27-67, 68 tav. I, 72 tav. V Vat. lat. 5249 42, 46 Vat. lat. 5594 310, 311, 312 Vat. lat. 5704 407-420, 421 tav. I, 427 fig. Va, 422 fig. Vb, 429 fig. VIa, 430 fig. VIb, 442 fig. XIXa, 443 fig. XIXb Vat lat. 6132-6143 91 Vat. lat. 6151 91 Vat. lat. 6163 107-108 Vat. lat. 6177, pt. 2 91, 95, 97-98 Vat. lat. 6178 91, 95, 97 Vat. lat. 6179 91 Vat. lat. 6181 91 Vat. lat. 6189, pt. 1 91 Vat. lat. 6198 91 Vat. lat. 6207 91 Vat. lat. 6236 91 Vat. lat. 6792, pt. 1-2 91 Vat. lat. 7121 29 Vat. lat. 8185, pt. 2 98

447

Vat. lat. 9110

389, 390, 394, 395, 395 fig. 4, 396, 396 fig. 5, 397 fig. 6, 397 fig. 7 Vat. lat. 9130 394 Vat. lat. 9144 390 Vat. lat. 9539 75, 79-86 Vat. lat. 9540 80 Vat. lat. 9742 404 Vat. lat. 10399 394 Vat. lat. 10546 29 Vat. lat. 10645 308 Vat. lat. 10827 398 Vat. lat. 11274 260, 261, 265, 266, 267, 304, 306, 318, 319 Vat. lat. 13674-13725 250 – Fabbrica di S. Pietro, Archivio Storico Generale Arm. 12, D, 4 229 Arm. 27, E, 434 225, 229 Arm. 44, B, 128 229 Cortona, Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca 110 211 Eton, College Library 137

208

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Ashburnam 996 307 Plut. 59.9 77 – Biblioteca Riccardiana 1005

189

Foligno, Biblioteca Ludovico Jacobilli 563 (D. I. 48), vol. III 281 Forlì, Biblioteca Comunale Aurelio Saffi Corale 30 215 Corale 11 215 Corale 15 215 Corale 17 215 Corale 21 215 Corale 22 215 Corale 29-39 215 Corale 33 215 Genova, Biblioteca Durazzo 212 (E VI 1)

319

Glasgow, University Library Hunter 334 (U.8.2)

42

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448

INDICE DEI MANOSCRITTI

Holkham Hall, Norfolk, Library of the Earl of Leicester 225 215 Imola, Museo Diocesano Corale 1 Corale 2 Corale 4 Corale 5 Corale 11

204 204 204 204 204

Kraków, Biblioteka Jagielloñska Rps 780 194, 195 fig. 3 Kremsmünster, Stiftbibliothek 4

200

Leipzig, Universitätsbibliothek 272

319-320

London, British Library Add. 27428

204

Lyon, Bibliothèque municipale 374

194

Madrid, Biblioteca Nacional de España 605 (olim H. 320) 313 6911 (olim T. 79) 314 10096 31

München, Bayerische Staatsbibliothek Clm 3503 215 Clm 6102 313 Clm 13003 208 Clm 14015 215 Clm 16609 313 Clm 23552 192 Cod. graec. 115 107-108 Napoli, Archivio di Stato Ministero della Pubblica Istruzione, Real Museo Borbonico e Soprintendenza Generale degli Scavi 1848-1864, bb. 322 I-II

398

– Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III V. A. 8 208 – Museo Archeologico Nazionale, Archivio Storico Inventari Antichi 5 398 Inventari Antichi 101-104 398 Inventari Antichi 139 393 New York, Pierpont Morgan Library M 215

307

Nonantola, Archivio dell’Abbazia Pergamene, II.2 442 tav. XIXa

Mantova, Archivio di Stato E. XXXI. 3. B. 1229

380

Milano, Biblioteca Ambrosiana A 240 inf. B 42 inf. C 61 inf. C 65 inf. D 123 inf. D 199 inf. D 436 inf. E 33 inf.

Notre Dame, IN, Snite Museum of Art Snite 85.25 215

29 204 43 29 29 43 43 27

Novara, Archivio Storico Diocesano Ant. XIII 204, 209

– Biblioteca Nazionale Braidense AD XII 29 AG XII 2 Morbio 22

29 189 29

Modena, Archivio di Stato Lettere di principi esteri, Urbino B.1

382

– Biblioteca Estense Universitaria Lat. 992 (= α.L.5.15) ΓB.4.20 ΓW.5.10

32 29 29

Oxford, Bodleian Library Add. A.25 (olim 28398 [591]) 42 Auct. T.II.26 408, 421 tav. I Bodl. 580 208 Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile 285 51, 73 tav. VI – Pontificia Biblioteca Antoniana Corale VII Corale XI Corale XII

202 202 202

– Paris, Bibliothèque nationale de France fr. 782 189 gr. 1337 99 gr. 2919 76, 77, 82 lat. 8913 416

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449

INDICE DEI MANOSCRITTI

lat. 13354 lat. 14798 lat. 14802 lat. 14984 lat. 16222 NAL 2654

418,440 tavv. XVIIa e XVIIb, 442 tav. XIXa 313 314 313 239 416

–, –, Bibliothèque de l’Arsenal 8530

208

Parma, Biblioteca Palatina Pal. 103

307

Perugia, Archivio di Stato Comune di Perugia. Consigli e Riformanze 136 147, 148, 168 tav. VI Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Controversie e pratiche amministrative varie 23 277 Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Controversie e pratiche amministrative varie 24 277 Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Controversie e pratiche amministrative varie 25 295 Corporazioni religiose soppresse, Monte Morcino, Miscellanea 41 262 –, –, Sezione di Gubbio Corporazioni religiose soppresse, S. Pietro 491 Corporazioni religiose soppresse, S. Pietro 492 Corporazioni religiose soppresse, S. Pietro 497 Ufficio del Registro, Corporazioni religiose soppresse, S. Pietro 175

263 263 263 263

– Biblioteca Comunale Augusta 71 (B. 15) 292 81 (B. 25) 208 145 (C. 28) 291 175 (C. 58) 291 221 (D. 39) 261, 288 223 (D. 41) 292, 295 288 (E. 35) 289 303 (E. 51) 266, 292, 295 387 (F. 61) 290 485 (G. 74) 289 505 (G. 94) 290 556 (H. 41) 289 562 (H. 47) 290

942 (i. 18) 1007 (M. 30) 1260 (XXII) 1239 1393 1394 ANT I. F 998 (78)

291 291 261-262, 291 290 291 291 268

– Università degli Studi, Archivio Storico P. II, A I, fasc. 5 286, 292, 294, 295, 296, 301, 303, 304, 305, 306 Praha, Národní Knihovna Ceské Republiky (olim Národní a Univerzitní Knihovna) 1142 (VI. F. 5) 314 1946 (X. F. 20) 314 2206 (XII. F. 18) 314 2491 (XIV. C. 24) 314 Ravenna, Biblioteca Classense 429

77

Roermond, Municipal Museum 1 212 Roma, Archivio Centrale dello Stato Ministero Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, 1908-1924, divisione 1, B 61, fasc. 1414

269

– Archivio di Stato Archivio Marini Clarelli, b. 75, 4 300 Archivio Massimo d’Aracoeli, Eredità Cesi, b. 237 46 Benedettini Olivetani, Pergamene 30/19 307 Benedettini Olivetani, Pergamene 30/67 307 Camerale I, Mandati della R. C. A. 834 314, 315 Camerale I, Mandati della R. C. A. 836 314, 315 Camerale I, Mandati della R. C. A. 837 315 Fondo Massimo 271 46 Inventario (di sala) 10/I 314 – Archivio Storico Capitolino Notarile, Saccoccius Sanctis (de) Curtius, vol. 1, fasc. 9

46

– Archivio Storico Diocesano Stati delle Anime, Sant’Andrea delle Fratte, 1779, n. 143s

329

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450

INDICE DEI MANOSCRITTI

– Archivio Storico del Vicariato S. Lorenzo in Lucina, Morti, 18001810

230

– Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI) Goa 34, I 131 – Biblioteca Casanatense 458 145, 152, 165 tav. II 489 300 805 158, 160, 182 tav. XX – Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II S. Andrea della Valle 50 305 S. Francesca Romana 1-16 304 S. Francesca Romana 6 302, 304 S. Francesca Romana 7 304 S. Francesca Romana 12 304 S. Francesca Romana 13 304 S. Francesca Romana 14 304 S. Francesca Romana 16 304-305 S. Onofrio 3-24 292, 302 S. Onofrio 25-26 293, 302 S. Onofrio 27 302 S. Onofrio 30 267, 303, 304 S. Onofrio 32 295, 303 S. Onofrio 34 303 S. Onofrio 35 296, 303 S. Onofrio 36 303 S. Onofrio 38 293, 303 S. Onofrio 42 303 S. Onofrio 44 303 S. Onofrio 45 296, 303 S. Onofrio 46 296, 303 S. Onofrio 47 303 S. Onofrio 48 303 S. Onofrio 49 303 S. Onofrio 50 303 S. Onofrio 51 303 S. Onofrio 52-53 303 S. Onofrio 54 303 S. Onofrio 55 303 S. Onofrio 56 303 S. Onofrio 57 303 S. Onofrio 58 296, 303 S. Onofrio 59 303 S. Onofrio 60 303 S. Onofrio 61 303, 305 S. Onofrio 62 303 S. Onofrio 63 303

S. Onofrio 64 S. Onofrio 65 S. Onofrio 66 S. Onofrio 91 S. Onofrio 74 S. Onofrio 144-147 S. Onofrio 144 S. Onofrio 145 S. Onofrio 146 S. Onofrio 147 Gesuitico 68 Prov. Claustr. Varia XI Varia 25

303 303 303 303 303 303 294 294 294 294 305 305 305

– Biblioteca del Senato della Repubblica Statuti, ms. 26 206 – Biblioteca Universitaria Alessandrina 169 309, 310, 311, 313 – Pontificia Università Gregoriana, Archivio Storico Curia, F. C. 53 rec. 305 Curia, F. C. 690 301-302 Curia, F. C. 691 305 – S. Francesca Romana al Foro (S. Maria Nova), Archivio senza segnatura, tomo 15 (processo di beatificazione di Bernardo Tolomei) 263 Salzburg, Stiftsbibliothek St. Peter a. XII. 10

204

Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka F.I.10 418 fr. F.v.XIV.3 189 Q.v.I.6-10 407-420 Q.v.I.6 422 tav. IIa, 423 tav. IIb, 424 tav. IIIa, 425 tav. IIIb, 440 tav. XVIIb Q.v.I.7 411, 413, 422 tav. IIa, 423 tav. IIb, 427 tav. Va, 431 tavv. VIIa e VIIb Q.v.I.8 411, 422 tav. IIa, 423 tav. IIb, 426 tav. IV, 427 tav. Va, 440 tavv. XVIIa e XVIIb, 441 tav. XVIIIa e XVIIIb Q.v.I.9 424 tav. IIIa, 425 tav. IIIb, 432 tavv. VIII e IX, 433 tavv. Xa

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451

INDICE DEI MANOSCRITTI

Q.v.I.10

e Xb, 434 tavv. XIa e XIb, 435 tavv. XIIa e XIIb, 436 tavv. XIIIa e XIIIb, 437 tavv. XIVa e XIVb, 438 tav. XV, 439 tav. XVIb 425 tav. IIIb

Sevilla, Biblioteca Capitular y Colombina 248 208 Siena, Archivio di Stato Conventi 184, doc. 15 Conventi 237

318 319

– Biblioteca Comunale degli Intronati B. IX. 11 G. IV. 2 P. V. 12

319 307 318

Spoleto, Archivio Storico Diocesano Abbazia di Sassovivo, Inventario secentesco, senza segnatura 257-258 Abbazia di Sassovivo, fasc. 1-98 258 Abbazia di Sassovivo, fasc. 140-143 258 Abbazia di Sassovivo, fasc. 103, doc. 1383 281 Abbazia di Sassovivo, fasc. 104, doc. 1388 281 Abbazia di Sassovivo, fasc. 104, doc. 1392 281 Abbazia di Sassovivo, fasc. 108, doc. 1412 (Inventario S) 257 Abbazia di Sassovivo, fasc. 108, doc. 1415 281 Abbazia di Sassovivo, fasc. 112, doc. 1464 281 Abbazia di Sassovivo, fasc. 113, doc. 1476 281 Abbazia di Sassovivo, fasc. 111, doc. 1460 281 Abbazia di Sassovivo, senza segnatura (Lettere e ricevute) 251-252, 272 Subiaco, Biblioteca Statale del Monumento Nazionale di S. Scolastica 229 (CCXXVI/1-2) 313 Torino, Archivio di Stato Corte, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, cat. 2, Storie generali, m. 6, fasc. 1 35 69 tav. II

– Biblioteca Nazionale Universitaria J. I. 22-23

380

Trieste, Biblioteca Civica Attilio Hortis alfa EE 12 206 Velletri, Biblioteca Comunale ms. V 19 ms. V 35 ms. VII 5

393, 400 393 393

Venezia, Archivio di Stato Dieci savi alle decime in Rialto, redecima 1537, b. 101, Condizioni Dorsoduro, n. 106 Notarile, Atti, 14046, fasc. f Notarile, Testamenti, Angelo da Canal, b. 209, n. 55 San Giorgio Maggiore, b. 26 – Biblioteca Nazionale Marciana Gr. Z. 359 (= 816) It. VII, 15 (= 8304) It. VII, 17 (= 8306) Lat. XI, 67 (= 3859) Lat. XIV, 112 (= 4283) Lat. XIV, 260 (= 4258)

52 37 52 50 102 36 39 42 42 35

– Museo Correr, Biblioteca Cicogna 1632 (olim 2704) 51 Dandolo 935/92 51 Malvezzi 128 45, 70 tav. III, 71 tav. IV P.D. c 4/2 51 Verona, Biblioteca Capitolare XXXIX Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana 842

409 42

Wien, Österreichische Nationalbibliothek cod. 2042 208 cod. 2571 189 cod. 5667 54 cod. 6389 42 Wilhering, Stiftsbibliothek IX 25 Zadar, Znanstvena knjiànica 1098/I

314 42

Zagreb, Hrvatska akademija znanosti i umjetnosti (HAZU), Arhiv II. d. 161 192, 195

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INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA Bologna, Università degli Studi, Fondazione Federico Zeri, Fototeca inv. F1496 coll. PI 0335/1/42-48 267, 269, 270, 271 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Inc. II.692 238 Inc. IV.945 309 R.G. Storia III.3571 (1) 221 fig. 1, 222 fig. 2, 228 fig. 12 R.G. Storia III.3571 (2) 222 fig. 3, 223 fig. 9 R.G. Storia III.3571 (3) 222 fig. 4, 223 fig. 7, 227 figg. 10 e 11, 231 fig. 13 R.G. Storia III.3571 (4) 222 fig. 5, 223 figg. 6 e 8 R.G. Teol. IV. 407 300 Roma IX.13 (1-4) Cons. 217-235 Stamp. Barb. X.I.46 128 fig. 8

Stamp. Chig. II.881 119, 124 fig. 3, 125 fig. 5, 127 fig. 7, 130 fig. 10, 133 fig. 12, 135 fig. 14, 136 fig. 16, 137 fig. 18, 139 fig. 20, 140 fig. 22 Stamp. Ross. 3448 147, 156-157, 180 tav. XVIII London, British Museum, Department of Prints and Drawings Cd.3.4.VI 324 Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III S.Q. 20. D 35 300 Perugia, Biblioteca Comunale Augusta ANT I. F 998 (78) 268 – Università degli Studi, Biblioteca del Dottorato XVII 4 49 294

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